ANNO XXXIII N. 2 MARZO-APRILE 1981 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1981 ABBONAMENTI ANNO 1981 ANNO ������������ �' � � � � � � � � � � � � � � � � L. 20.000 UN NUMERO SEPARATO ��������������� � 3.500 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in ltaly . Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n, 11089 del 13 luglio 1966 (2219189) Roma, 1981 -Istituto Poligrafico e Zecca.dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura dell'avv. Franco Favara). . . . . . . . . . pag. 157 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura dell'avv. Oscar Fiumara) . . � 172 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . . . . . . . � 179 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Adriano Rossi e Antonio Catricol�) . . . . .� . . � 199 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del~ /'avv. Raffaele Tamiozzo) . . . . . . . . . � 212 Sezione sesta:..... GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Baf�le) . . . . . . . . . . . � 221 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . � 254 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI � NOTIZIARIO LEGISLAZIONE � � � � . . � . � . . . � . . � . . . pag. 13 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPACE, Bologna; Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA V�LLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo Scorri, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. Saluto pronunciato dall'Avvocato Generale dello Stato, Ecc. Giuseppe Manzari, in occasione del collocamento a riposo del I Presidente della Corte di Cassazione, Ecc. Tommaso Novelli. Considero un privilegio il potermi associare, in questa raccolta e pur solenne cerimonia, a nome dell'Istituto che ho l'onore di rappresentare e mio personale, al saluto e all'omaggio che vengono tributati all'altissimo Magistrato ed al caro Amico, nel momento in cui prende commiato dal servizio attivo della Suprema Magistratura. Altri -e con maggiore autorevolezza -ne hanno ricordato l'eccezionale cursus honorum: io vorrei sottolineare che Egli � stato non soltanto un giurista nel senso pi� alto, comprensivo e nobile della parola, ma anche -ci� che � ben pi� raro -un Grand Commis dello Stato, portatore, in ogni sua ricordata e pluriforme attivit�, di quel senso sacrale della cosa pubblica che ha consentito e consente al Paese -ad ogni Paese che ha la ventura di poter contare su uomini di tal fatta -di superare i momenti pi� difficili. E di questi � stato largamente intessuto il periodo della sua Presidenza, che ha coinciso con l'affannata crescita democratica che oggi viviamo, complicata dai pesanti risvolti di una crisi di adattamento, che si estende dall'inserimento europeo del nostro Paese al pi� vasto piano internazionale e coinvolge l'intera comunit� dei popoli, con l'effetto, anche, che sulla Magistratura � venuto a riversarsi il peso e la responsabilit� di dover risolvere sul piano giudiziario le tante contraddizioni della nostra societ� civile, che assai spesso non riescono ad essere composte e mediate a livello politico, legislativo e di azione amministrativa dello Stato. Dei tanti apporti che Tommaso Novelli ha dato con la sua opera sempre fervida e prudente, saggia e coraggiosa, al servizio dello Stato, mi sia consentito ricordarne solo uno, che ho potuto sperimentare in prima persona, partecipando all'attivit� di un Istituto che storicamente trae origine dal ceppo della Magistratura, che, nel corso della sua storia, si � arricchito di un costante prezioso ricambio tra magistrati ed avvocati, e che ha il vanto ed il peso di averie in comune con la Magistratura ideali e vocazione di giustizia che quotidianamente esercita nell'esplicazione dei compiti suoi propri di � avvocato pubblico istituzionale �. Intendo riferirmi all'apporto da lui dato a quella �uniformit� di giurisprudenza � della Suprema Corte che durante la sua Presidenza, e sicuramente per suo geniale impulso, si � andata consolidando, con la scomparsa di bruschi revirements giurisprudenziali e con il costante riferimento -implicito o esplicito -in ogni sentenza della Cassazione ai precedenti, sia per una loro conferma sia per un motivato allontanamento da essi. VI In questi ultimi tempi si � discusso molto di diritto comparato e si � spesso contrapposto il sistema anglosassone di diritto consuetudinario a quello continentale di diritto scritto. La differenza strutturale � stata normalmente ravvisata nel valore vincolante o meno del precedente: fonte di diritto nell'un caso e semplice punto di riferimento nell'altro. Tale distinzione, � stato argutamente osservato, � conduce fin dove arriva, ma non arriva troppo lontano �. Ed invero il giudice �di diritto legislativo� avverte sempre viva l'esigenza di una certezza che l'induce, almeno in via tendenziale, allo stare dedsis; mentre il giudice � di diritto giurisprudenziale � tende a sua volta ad enucleare con sempre maggiore duttilit� la ratio decidendi da quanto pu� essere trascurato come obiter dictum, fino ad arrivare addirittura ad inserire nella � ratio decidendi � le caratteristiche socio-economiche e tecnologiche del contesto in cui si iscrivono i fatti giudicabili. Orbene, si pu� dare testimonianza che Tommaso Novelli, nella sua Presidenza, ha mirato alto ed � arrivato assai lont�no, conseguendo il risultato di dare nel nostro ordinamento giudiziario un significato preciso e pregnante alla � uniforme interpretazione della giurisprudenza�, mondandola al tempo stesso dai rischi di sclerotizzazione e da quelli di ingiustificate e sconcertanti oscillazioni. Ha cos� rafforzato quel pilastro di ogni ordinato vivere civile che � la �certezza del diritto�, la quale, pur nel rispetto dei valori costituiti, si adegua, secondo ragione, al mutevole divenire dei tempi. E questo non � piccolo patrimonio che Egli lascia, come suo personale contributo, alla vita pubblica del nostro Paese di cui resta un nobile ed ispirato protagonista. Ma ancora una testimonianza desidero rendere a Tommaso Novelli: una testimonianza che chi si senta servitore dello Stato, quale io mi sento, deve esprimere come un ringraziamento: quello di aver lasciato nella vita pubblica anche il patrimonio della sua integrit� morale, della sua fermezza d'animo, della sua serena e ricca umanit�, del suo infaticabile e sofferto sforza per la realizzazione di ideali che l'Istituto, che ho l'onore di dirigere, ha in comune con la Magistratura. Per essi, nella durezza di questi ultimi tempi, sono caduti tanti Magistrati, vittime di efferate azioni di terrorismo, ai quali ci sentiamo legati da vincoli di fraterna unit� e solidariet�. Con questa testimonianza, con questo animo ed in questo spirito desidero rinnovare, caro Presidente, il saluto pi� cordiale e partecipe dell'Avvocatura dello Stato e mio personale con sentimenti di fervido augurio e di sincera ammirazione ed amicizia. , Saluto prQnunciato dall'Avvocato Generale dello Stato, Ecc. Giuseppe Manzari in occasione dell'insediamento del I Presidente della Cas sazione, Ecc. Mario Berri. � per me un onore ed una viva soddisfazione poter esprimere in questa Aula il sentimento di partecipazione degli avvocati dello Stato tutti ed il mio personale al caldo e deferente saluto con cui viene oggi accolto l'insediamento di Mario Berri al vertice di questa �suprema Corte di Cassazione. Il livello del personaggio, l'altezza delle funzioni e le cose che con tanta autorit� di lu( sono state gi� dette, mi ammoniscono a non trattenermi in parole di pur sentito e doveroso omaggio. Esse non risponderebbero allo stile dell'uomo che, ben consapevole del proprio valore, ne ha sempre rifuggito l'ostentazione, proclamando e praticando, nella sua scienza e nella sua condotta di vita, la dottrina della concretezza. Questa ispirazione egli ha costantemente seguita, tanto che la toga, che egli ha illustrato cos� dallo scrano del requirente come dalla cattedra del giudicante, pur fedele compagna di una vita tutta dedicata all'amministrazione della giustizia, non ha mai, da sola, assorbito l'ingegno e l'operosit� di Mario Berri. Baster� ricordare la sua partecipazione ai lavori della Commissione pen la riforma del codice di procedura civile in cui operarono giuristi come Calamandrei, Carnelutti e Redenti; l'apporto da lui dato nell'esercizio di funzioni di amministrazione attiva quale collaboratore personale di, un Ministro Guardasigilli; il contributo alla scienza giuridica italiana che egli ha fornito quale autore di numerosissime pubblicazioni di alto livello e quale capo della redazione giudiziaria della Giurisprudenza Italiana ed, ancora i delicati compiti di recente svolti in seno al Consiglio Superiore della Magistratura., perch� emerga l'immagine di chi a buon diritto pu� ricevere ....,. nel senso moderno e pieno dell'espressione -il titolo di � giureconsulto �. Un titolo ed un ruolo antichi, che, a mio avviso, riacquistano attualit� e pregnanza di significato quando un vero giur�ista eserciti la sua sensibilit� non solo nella scienza del diritto ma anche nella partecipazione e penetrazione dei problemi della vita reale, quali si vengono delineando con l'evolvere dei tempi e delle esigenze della societ� in cui � chiamato ad operare. Vi � un profilo di spicco di questa sensibilit� di grande giurista del quale vorrei dare particolare riconoscimento a Mario Berri. Egli ha prontamente avvertito l'angustia di un orizzonte operativo ancora ristretto ai confini nazionali ed ha dedicato un'intensa ed appassionata attivit� alla costruzione del nuovissimo diritto comunitario: un'attivit� di studio, di ricerca, di lavoro, di insegnamento, animata dalla convinzione, che ci � comune, che questo strumento pu� rappresentare il colpo d'ala della storia per riealizzare l'unit� d'Europa in forme che trascendano gli schemi tradizionali anche dei rapporti tra diritto interno e diritto internazionale. Questa visione Mario Berri ha intuito e coltivato acquisendo eccezionali benemerenze: ha diretto per un triennio, negli anni significativi del decollo, il Servizio giuridico dell'Alta Autorit� della CECA,� ha insegnato diritto comunitario in regolari corsi per un decennio presso l'Universit� di scienze comparate di Lussemburgo,� ha tenuto annualmente corsi di insegnamento per funzionari italiani; ha partecipato alla fondazione ed � il Presidente del Centro Studi di diritto comunitariio. Il suo interesse ai problemi pi� attuali di diritto sovranazionale in genere trova, poi, altra manifestazione -tra le tante che si potrebbero elencare -nella sua partecipazione al Comitato Consultivo per i Diritti dell'Uomo. Sono altissime qualificazioni dalle quali mi � facile e gradito trarre il felice presagio (tanto pi� compiaciuto in quanto consonante con le mie personali esperienze di lavoro e con i compiti istituzionalmente affidati all'Avvocatura in materia comunitaria ed internazionale dalla legge di riforma del 1979) che, come al vertice dell'Ordine giudiziario si combina felicemente nella persona di Mario Berri la competenza del giurista con l'apertura dello scienziato e dell'esperto sui problemi pi� essenziali, attuali e risolutivi della vita internazionale, cos� la giustizia italiana continuer�, con la sua tradizionale sensibilit�, a dare il suo contributo f ondamentale per un sempre pi� puntuale inserimento dell'Italia e del suo ordinamento nell'Europa. � lo spirito di collaborazione e di integrazione tra i popoli, specialmente se vicini per tradizioni e civilt�, che consente di guardare ancora con ottimismo al futuro dell'umanit�: grazie ad esso sar� compiuto ogni sforzo per sventare le minacce che possono turbare la pace del mondo, a cominciare dal recupero della tranquillit� e dell'affermazione della giustizia nell'ordine interno degli Stati e nei rapporti tra questi. Con questo auspicio desidero rinnovarTi, caro Presidente, con profonda ammirazione ed amicizia, il pi� fervido saluto e l'augurio di una felice, feconda Presidenza a nome dell'Avvocatura dello Stato, di tutti i colleghi e mio personale. PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE -Acque pubbliche -Acqua oggetto di concessione -Requisizione -Condizioni di mnmissjbrnit�, 262. AIMNISTIA -Sentenza di prosciogtlimento resa c1alJ T;r.ibUJilaLe a seguito di rdefinizione ~illllidim rdcl fatto diversa da quella enunciata nell'ordinanza di rinvio -Diritto dell'imputato di proporre appello -Escl'll!sione -llilregittmit� costituzionale, 170. -Sentenza di proscioglimento resa in dibattimento dal Pretore a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella annunciata nel decreto di citazione -Diritto dell'imputato di proporre appello Esclusione -Illegittimit� costituzionale, 170. AIPIPArLTO -AipipWto di opere pubbliche -Contratti delJe .F.S. -Clauso~a di manleva -Nullit� -Non sussiste, 254. -Alpipalrto di opere ipubbldche -Danni ai terzi -Responsabfilrit� de11'appal� tatore -Concorrente respOIIlrSabildt� de] committente -Presupposti e limiti, 254. COMPETENZA CIVILE -Attivit� di polizia rivolta a1fa prevenzione e reipressione & .ilrJ.eciti pelllald � Posizione del cittadino -.Interesse di mero fatto -Posizione del singolo esipos�to a specifico :pericolo e concreto danno aJla sua persona o ai suoi beni � Interesse legittimo Giur. isdizione deL giudice ammiffistrativo, �183. - Cooperative -Registro deLle :imprese -Lscrizione � Dridtto soggettivo Giuri. sdizione deJ1fa.g.o. -Suss.iste, 190. -Pensione ed altri emolumenti connessi � Giurisdizione della Corte dei Conti, 1%. � -Pensione � Recupero emolumenti Giurisdizione dehla Corte dei Conti, ;196. -Rapporti di pubbldco illl!Piego -Dimego di benefici combattentistici Controversie GiU!risdizione del TAiR. e del ConsigLio dj Stato -Suss~ ste, 214. -Segretari comunali -Emolumenti corrisposti in aggiunta al trattamento previsto dalla legge -Giudizio di responsabilit� dei Segretari comunali che hanno emesso il titolo di spesa � Giurisdizione della Corte dei Conti, 193. COMUNITA' EUROPEA -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.GA.) -Liquidazione dei conti -Spese iillllPU� tabild � Aiuti a] magazzinaggio privato del vino � Condizioni, 172. -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.GA.) -Liquidazione dei conti � Srpese imputabild -Ecrrata interpretazione del diritto comunitario � Comportamento delle istituzioni comunitarie -Effetti, 172. CONTABILITA' PUBBLICA -Credirti nei confronti defilo Stato � Interessi � Decorrenza, 212. -Crediti nei confronti defilo Stato � Interessi -Presupposti -Limiti -Im piego e 01xlrinazione �di spesa � Irrilevanza -Effetti � Estensione, 212. -InteJJpretazione � Criteri -Intenzione comune dei contraenti � Art. 1362 cod. civ. -Alpplrncabi:lrit� -Sussiste, 216. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE noni di utenza -Indisponibilit� -Im {: -Conflitto di attribuzioni -Presupposti -Accertamento della propriet� di beni immobili assunti trasferiti dallo Staio alle Regioni -Conflitto di attribuzione -Esclusione, 179. DEMANIO -AUoggi con caratter.iistiche prescritte sulili'ediliizia popoliare ed economica -Fi'llalldt� -Servimo pubbldco di protezione sociale -Patrimonio mdi. siponibile -Trasferimento dalilio Stato alle Regioni -Esclusione, 179. -Demanio storico artistico -TuteLa dei beni culturailii -Attribuzione esdusiva -Soprintendente -Ambito dei destinatari -Pubbliche amministrazioni -Estensione -Sussiste, con nota di R. Tamioz:ro, 218. -Demanio storico artistico -Tutelia dei beni culituraLi -Interesse storicoartistico -Accertamento -Criteri Competenza del Soprintendente Estensione -Limiti -Conseguenze, con nota di R. Tamiozzo, 218. -Demanio storico-artistico -Vincolo di bene culrturale -VmooLo indiretto -Trascrizione -Necessit� -Omissione -Effetti, con nota di R. Tamiozzo, 219. -Demanio storico-airtistioo -Vincolo di beni culturald -ViI1JC0lo mdiretto Trascrizione -Necessit� -Omissione Effetti, con nota di R. Tamioz zo, 219. -Demanio storico-artistico -Vincolo di beni culturald -Vmcolo indiretto Trascrizione -Neces.sit� -Nota di trascrizione -Formalit� -Esigenza di oss,ervare le prescrizioni fissate da1liart. 2665 cod. civ. -v.ioliazione - Conseguenre, con nota di R. Tamiozzo, 219. ELEZIONI -Elezfoni politiche -Contestazione sui risultati numerici delle operazioni elettorali -Competenza esclusiva delle Camere -Questione di legittimit� costituzionale dell'art. 87 t.u. 20 marzo 1957 n. 361 -Manifesta infondatezza, 187. ESECUZIONE FORZATA -Pignornmento presso terzi -Crediti da esattare -Ente acquedotti -Ca pi.gnorab11it� -Sussiste, 207. ESPROPRJIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' -Stima -�pa;>oS:izione -Applicazione di criterio mdenrutorio diverso da quel1o seguito nel iprocedimento amministrativo -Possibifil.t� -Esclusione, 260. FALLIMENTO -Giudice delegato -Provvedimenti emessa in materia ,di pfano di riparto dehl�'attivo -Redamo a1 Tribunale Procedimento -Illegittimit� costituzionale -Fondatezza, 163. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Impugnazione -Proposizione dell'appello -Rinuncia all'azione e agli effetti della sentenza di lo grado da parte dell'appellato -Effetti sul giudizio di appello non ancora definito, 213. -Rioorso giurisdizionaLe -Atto impugnabile -Atto di mera comunicazione -Impugnabihl.t� autonoma -Preclusione, con nota di R. Tamiozzo, 218. -Ricorso giurisdiziionale -.Poteri del giudioe -Limiti -Incompetenza delJ;' Autor>it� emanante -Effotti dello annu1liamento -Indagine sugLi altri motivi -Esclusione -Necessit�, con nota di R. Tamiozzo, 218. - Ricorso giurisdizionale -Provvedimenti impugnabi1i -Atti regoliamentari -Criteriro -Attualdt� de1La lesione deLL'interesse dedotto in g.iudizio -Necessit� dell'accertamento i[l concreto deHa �lesione -Sussiste, 216. -Ricorso giurisdizionale -Provvedimenti impugnabili -Atti regolamentari -Regolamenti de1 Ministero del!Iia Sanit� -Prodotti f.armaceumci di nuova istituzione -Regoliamento che disciplina l'esecuzione degli accertamenti del1lia composizione e innocuit� dei prodotti -Lesione immediata Non sussiste -Effetti -Impugnazione autonoma -Proclrusione, 216. INDICE DBLLA GIURISPRUDENZA -Ricorso giurisdizionale � Pubblico impiego -Controinterossati -Uff.iciaLi giudiziari � Riconoscimento di benefici combattentistici � Cassa pensioni ufficia.Li giudiziari � Posizione processuale ,di oontroiintieressata Non ,sussiste, 215. IMPIEGO PUBBLICO -Competenza e giurisdizione � Retribuzioni � Interessi -Cor.:riiispettivi e moratori � Giurisdizione amministrativa � Sussiste, 212. -Impiego non di ruolo o impiego di ruolo � Disciplina differenziata in caso di assenza per maliattia -Questione di Legittimit� oosti-tuzionaJe � Infondatezza, '167. -Procedimento disciplinare -Contestazione degLi addebiti -Iruizio de11a .procedura � Perentoriet� dei termi. ni. -Criteri � Limiti � Irr.ilevaa:iza del ritardo daL1a data del fatto, 217 -Procedimento ,di,sdplinare � Perenzione -Atti rinterruttivi � Natura Effetti, 217. -Retribuzioni � Lavoro straordinario Dipenden! ti I.N.P.S. -Oriterd di liquidazione � Decorrenza � Fattispecie, 212. -Stipendi e pensio.rui -Prescrizione biennale � Illegittimit� costituzionale -Fondatezza, 166. -Ufficiali giudi1)iari -Stato giuridico di impriega:to dehlo Stato � Appl~cabiIJit� � Sussiste � Effetti ai fiini de1 riconoscimento dei benefici combattentistioi, 215. PREVIDBNZA -Controversia � Giudioe de1 Lavoro Competenze � Pensioni sooia1i -Sussiste � Fatt1s.pecie, 199. -Controversia -Giudice del Lavoro Competenza -Riconoscimento di pensione di invalidit� -Sussiste � Fattispecie, 199. -Pensione di inabilit� e vecchiaia, Cumulo con pensione a carico dello Stato -Trattamento minimo garantito -Integrazione -Esclusione -Illegittimit�, ,158. RICORISI AIMMINISTRATIVI -Rdcorso straordinario -Provvedimento decisorio � A11t. 15 d.P R. 24 novembre 1971, !Il. H99 � Appliioabildt?. Effetti -ImpugnabHiit� solo ;per reV'OOaZ�Oille -Effetti -1nammi1ssibhlrit� di una impugnazione proposta per motivi di merito gi� valutati in sede di ricorso straordinario -Sussiste, 213. -Ric0I1So straordinario -Rapporti oon il ricorso giurisdizionale -Rinuncia agLi effetti de1La decisione � Effetti su1 l1�i00rso giurisdizionailie proposto da un terzo avverso La decisione pronunciata suL riooriso straol'dinario, 213. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta sui redditi di ricchezza mobi1e -Reddi!ti di dimpresa -Danni di guerra -Detrazi0111e de1 costo dei beni 'ricostruiti � SopraVVlelllienze attive � Rlecupero di somme ammesse in detrazione per ammortamento dei beni ricostruiti � Esclusione, con nota di C. Bafile, 237. -Soggetti passi'Vi -Liquidatore chi societ� � Liquidatore 'di fatto -Sussiste, 251. -Soggetti passivi � Liquidatore di societ� � Resiponsabi1it� personale � Presupposti, 223. TRLBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposte di registro -Usufrutto � Conso1idazione � Riacquisto deUa nuda propriet� da ,parte deWusufruttuario � Si verifica, 241. T,RLBUTI IN GENERE -Acoertamento -Notificazione � IrregoLarH� � Poterie della comrnissioille di ordinare I1a riillilovazione � Termme gi� scaduto -Ammissi!biLit�, 226. - Accertamento tributario � Rapporto giuridico idi imposta � D1sponihi1Jit� da 1parte deL soggetto passivo � Am� miissibi1it� � Omes,sa eccezione di verificata decadenza � RilevabiLit� di ufficio -Eisdiusione, 221. Xll RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -Condono -.Pagamento del tributo - Inaipipltlicabiliit�, 157. -Contenzioso Wrbutario -Poteri de1 giudice -Rd�1evabi1it� .c:Li. ufficio -Decadenze conoernenti gli atti de1 processo -!Sussiste -Decadenza concernente atti estranei al processo -Non SUS�s1s�te, 221. -Potest� tributaria di imposfalione Capacit� contributiva -Tributi. :indiret- ti -Scelita d1sccrez1onale �de1 Iegislatore -Imposta di registro -Con solddazi001e di usufrutto -Illegittimit� costituziOlllale -Manifes�ta infondatezza, 241. -Repcressiione dd1e vioLazioni -Pena 0pecuniiaria -Pcrescrizione -Decorrenza -Atti intemuttivi -Verbale di acoertamento -Illlte�:-ruzione con effetto dstantaneo -Sosip.ensione deL pcrocec: Li.mento fino altl:'esito di gd:uc:Li.zio penale -Non interrompe, 229. -Riepressiollle deLle vJoLazioni -Pena pecUl!liairia -Provvedimento di irrogazione -Natura dichiaratii.va, 229. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 21 febbraio 1981, n. 33 26 febb11aio 1981, n. 34 23 marzo 19&1, n. 42 7aiprHe 1981, n. 50 7 aptl1e 1981, n. 52 7 aprile 1981, n. 53 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 27 gennaio 1981, nella causa 1251/79 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CAJSSAZIONE Sez. I, '12 maggio 1980, n. 3122 Sez. I, '19 maggio 1980, n. 3270 . Sez. I, 20 maggio 19&0, n. 3306 . Sez. I, 26 maggio 1980, n. 3431 Sez. I, 26 nJ.aggio 1980, n. 3436 Sez. I, 26 maggio 1980, n. 3440 Sez. I. 2 giugno 11980, n. 3593 . Sez. Lav., 15 lug1iio 19&0, n. 4565 Sez. Un., 1� ottobre 11980, n. 5332 Sez. Un., 13 ottobre 1980, n. 5456 Sez. Un., .17 ottobre 1980, n. 5583 . Sez. Lav., 110 novembre 1980, n. 6044 Sez. I, 15 dkembre 19&0, n. 64&9 Sez. Un., 6 genna:ilO 119&1, n. 44 Sez. I, 6 gennaio 1981, n. 53 . Sez. Un., 7 gennaio 11981, n. 75 Sez. Un., 7 ~nnaio 1981, n. 77 Sez. I, 14 ge.tlJIJ.aio 1981, n. 323 '11RLBUNALE SUPERIORE ACQUE 19 gennaio 11981, n. 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 157 )) 158 )) 163 )) 166 � :167 )) 170 pag. 172 pag. 221 )) 223 )) 226 )) 229 )) 237 )) 241 )) 251 )) l99 )) '179 )) 183 )) 187 )) 199 )) 254 )) 190 )) 260 )) 193 )) 196 )) 207 pag. 262 ~ ~ XIV RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I 11 w 1� ~: i: GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE f: ~j CONSIGLIO DI STATO ~ I% Ad. Pl., 7 aprile 1981, n. 2 pag. 212 Sez. IV, 10 marzo �1981, n. 244 ,. 213 Sez. IV, 10 marzo 1981, n. 245 � 214 I Sez. IV, '17 marzo 1981, n. 252 � 216 ~ Sez. IV, 24 marzo 1981, rn. 279 � 216 Sez. IV, 28 aprile 11981, rn. 376 217 " I ~ Sez. VI, 7 aprile 1981, n. 140 . )) 218 ~ Sez. VI, 24 aprile 1981, n. 151 )) 219 ~ & ~ ilif: m fj ~ fk ~~ ~ 11 ~ ~ @ ~ t~ ~ f: ~: I~ I@ I& I ~:: ~ ti ~~ & !: f.'. ;:: ::: );; f:: ~= ili r ~~ PARTE SECONDA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLE CONSULTAZIONI LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I. -Norme dichiarate incostituzionali Il. -Questioni dichiarate non fondate III. -Questioni proposte pag. � � 13 14 15 ,, r I: ~~~ PARTE PRIMA li I I ~ f:: GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 21 febbraio 1981, n. 33 � Pres. Amadei � Rel. Elia-Fasana � Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi (in generale) � Condono �Pagamento del tributo � Inapplicabilit�. Non � fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 6 della legge 19 dicembre 1973, n. 823, laddove ritiene non applicabile il condono alle controversie tributarie pendenti alla data di entrata in vigore della legge, nelle quali l'imposta sia stata pagata, in esecuzione alla ingiunzione fiscale e si discuta della richiesta di rimborso (1). (omissis) La questione sottoposta in via primaria al giudizio di questa Corte consiste pertanto nel quesito circa la legittimit� costituzionale dell'esclusione dalla sfera di applicabilit� dell'art. 6 dei contribuenti che hanno gi� pagato le imposte suppletive quando gli uffici tributari si siano avvalsi della facolt� di procedere a riscossione coattiva, nonostante la pendenza di opposizione. La questione non � fondata. Non si pu� negare, in primo luogo, che diversa sia la situazione di chi ha gi� pagato e di chi pu� definire la controversia pagando. N� la diversit� di trattamento tra queste due categorie di contribuenti � irragionevole, nel senso che la differenza presupposta come criterio di distinzione corrisponde alle finalit� assunte dal legislatore e caratterizzanti il provvedimento. A loro volta, tali finalit�, ponendosi come strumentali rispetto ad una migliore attuazione dell'art. 53 della Costituzione (avvio della riforma tributaria), sono congruenti con tale obiettivo costituzionalmente rilevante; inoltre il legislatore ha adottato con coerenza congegni operativi di carattere automa (1) Cfr. per qualche riferimento le altre sentenze della Corte Costituzionale 25 giugno 1980, n. 96 e 23 luglio 1980, n. 119, sui presupposti e limiti di applicabilit� del condono fiscale. In conformit� a tale giurisprudenza la Cassazione ha sempre ritenuto manifestamente infondata la questione: cfr. Cass., 16 febbraio 1978, n. 727, in Riv. legs. fisc., 1978, 1559. 158 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO tico e, in certa misura, astratto: sicch� � esclusa, per la fattispecie normativa che qui interessa, ogni possibilit� di valutare, ai fini dell'applicazione del decreto-legge n. 660 del 1973, se gli uffici tributari si siano avvalsi in modo pienamente legittimo dei poteri ad essi spettanti in tema di riscossione coattiva. Di fronte a pagamenti effettuati anteriormente in condizioni di regolarit� formale, il legislatore ha preferito rinunciare anche ai vantaggi che potevano derivare da una soluzione definitiva della controversia in sede di applicazione dell'art. 6 e dalla conseguenziale definitivit� dell'introito in quella sede conseguito. N� si pu� trascurare che le disparit� di trattamento suscettibili di prodursi tra contribuenti in situazioni in apparenza analoghe non differiscono sostanzialmente da quelle che, per effetto dell'automatismo caratterizzante il provvedimento, questa Corte ha riconosciuto non contrastanti con i precetti dell'art. 3 della Costituzione (sentt. nn. 96 e 119 �lel 1980). (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 26 febbraio 1981, n. 34 -Pres. Amadei -Rel. Bucciarelli Ducci -Sala ed altri c. Istituto Nazionale Previdenza sociale. Previdenza -Pensione di inabilit� e vecchiaia -Cumulo con pensione a carico dello Stato -Trattamento minimo garantito -Integrazione � Esclusione -Illegittimit�.� Sono costituzionalmente illegittimi: l'art. 2, secondo comma, lettera a) della legge 12 agosto 1962, n. 1338, nella parte in cui esclude il diritto alla integrazione al minimo della pensione diretta a carico dell'INPS, sia essa di vecchiaia che di invalidit�, per chi sia gi� titolare di pensione diretta dello Stato, dell'Istituto Postelegrafonici e della Cassa di Previdenza dei dipendenti degli enti. locali, qualora per effetto del cumulo sia superato il trattamento minimo garantito, e l'art. 1, secondo comma, della legge 12 agosto 1962, n. 1339, nella parte in cui esclude il diritto all'integrazione al minimo della pensione di invalidit� e vecchiaia erogata dalla gestione speciale lavoratori autonomi per chi sia gi� titolare di pensione a carico dello Stato (1). (omissis) La questione, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, � fondata e merita accoglimento. Invero nel sistema originario delle norme che regolavano l'integrazione al minimo delle pensioni gestite dall'I.N.P.S., l'art. 2, secondo (1) La sentenza n. 263 del 1976, richiamata in motivazione, riguarda la incostituzionalit� della norma sul trattamento minimo sulla pensione di invalidit�, ai titolari di pensione diretta a carico dello Stato. ;,: (.'. ;..: m I I= f.: ~.....,..,~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE comma, lettera a) della legge 1338 del 1962 prevedeva il diritto all'integrazione al minimo della pensione diretta erogata dall'INPS, in caso di cumulo con altra pensione, solo qualora l'importo complessivo delle pensioni cumulate fosse inferiore al minimo garantito. Successivamente per� l'art. 23 della legge 153 del 1969, in deroga alla norma predetta, consent� la integrazione al minimo delle pensioni dirette INPS in caso di cumulo con pensioni di riversibilit� erogate dallo stesso INPS. A seguito poi della sentenza della Corte costituzionale n. 230 del 9 luglio 1974 e della legge n. 114 del 16 aprile 1974, l'integrazione delle pensioni dirette dell'INPS veniva consentita in caso di cumulo con qualsiasi pensione di riversibilit�, quale che fosse l'ente erogatore. La successiva sentenza di questa Corte n. 263 del 1976 rendeva possibile anche l'integrazione al minimo delle pensioni dirette d'invalidit� a carico dell'INPS nell'ipotesi di cumulo con pensioni dirette dello Stato. La normativa in vigore, pertanto, determina effettivamente il denunciato trattamento di sfavore per i titolari di pensione diretta dello Stato, dell'Istituto post-telegrafonici e degli enti locali, cui � negata l'integrazione al minimo della pensione di vecchiaia a carico dell'INPS (qualora il cumulo delle due pensioni superi il minimo garantito) quando invece ai titolari di pensioni di riversibilit�, da qualunque ente erogate, � sempre riconosciuto il-predetto diritto all'integrazione, cos� come tale diritto � riconosciuto ai titolari di pensioni dirette dello Stato, ai quali spetta l'integrazione della pensione di invalidit� INPS. Ritiene la Corte che le prospettate disparit� di trattamento non trovino alcun razionale fondamento. In effetti, di fronte all'identit� del rapporto che tutti gli aspiranti all'integrazione al minimo hanno con l'INPS, erogatore della pensione mm1ma, non si giustifica la discriminazione del diritto all'integrazione sulla base di differenze relative alla seconda pensione cumulabile, di cui gli aspiranti sono titolari, quando tali differenze non comportino una diversit� sostanziale di condizioni economiche e sociali. Nella specie, sotto un primo profilo, una minore tutela del titolare di pensioni dirette rispetto ai titolari di pensioni di riversibilit� non trova rispondenza in sostanziali differenze di condizioni economiche e sociali tra le due categorie di titolari, caratterizzate entrambe dal fatto che il trattamento loro dovuto � comunque corrispettivo, differito nel tempo, di una prolungata prestazione lavorativa svolta durante il cessato rapporto di lavoro. Sotto l'altro profilo, altrettanto ingiustificabile � la maggior tutela accordata ai titolari di pensione diretta dello Stato, che chiedano all'INPS la integrazione della pensione di invalidit�, rispetto ai titolari della stessa pensione diretta (dello Stato, dell'Istituto post-telegrafonici e di enti locali) che chiedano al medesimo istituto l'integrazione della pensione di vecchiaia, attesa l'identica natura e funzione delle due pen 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sioni dirette erogate dallo stesso INPS. Infatti sia il trattamento per invalidit� sia quello per vecchiaia discendono dallo stesso presupposto: la diminuita capacit� di guadagno per infermit� o per et�, che rende il soggetto meritevole di uguale protezione. Osserva inoltre la Corte che in pi� occasioni il legislatore ha mostrato di voler salvaguardare la funzione eminentemente sociale e solidaristica della pensione minima INPS, indipendentemente dal percepimento di altri redditi di lavoro da parte del titolare; come nella normativa che consente, limitatamente alla quota corrispondente al trattamento minimo, il cumulo delle pensioni di vecchiaia e invalidit� con la retribuzione percepita dai lavoratori dipendenti (artt. 20 legge n. 153 del 1969 e 10 legge n. 160 del 1975); norma questa che ha superato il vaglio della Corte costituzionale (sentenza n. 30/1976) e che realizza l'intervento solidaristico in ipotesi nelle quali i bisogni vitali del lavoratore sono certamente gi� soddisfatti assai pi� che nel caso in esame di cumulo di pensione diretta di vecchiaia INPS con altra pensione diretta; o in quella contenuta nel d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, che all'art. 11 consente il cumulo della pensione sociale -che ha funzione analoga al trattamento minimo con gli assegni vitalizi, come viene ricordato nelle citate sentenze della Corte costituzionale n. 230/1974 e n. 263/1976; o infine nella disciplina riguardante le pensioni al clero secolare e agli altri ministri di culto, che, in ipotesi del tutto identiche a quelle che formano oggetto dell'attuale questione di costituzionalit�, garantisce il trattamento minimo della pensione diretta INPS in caso di cumulo con pensioni dirette a carico dello speciale Fondo di previdenza per i ministri di culto (art. 18 legge 22 dicembre 1973, n. 903). C'� inoltre da osservare che ai pensionati dello Stato devono essere equiparati, ai fini dell'esame della questione cos� sollevata, i pensionati della C.P.D.E.L., e dell'Istituto post telegrafonici non essendovi motivi razionali per discriminare le tre situazioni. Da quanto precede emerge chiaramente che la norma effettivamente impugnata � soltanto l'art. 2, secondo comma, lettera a) della legge 1338 del 1962 -come correttamente � stato indicato nella maggior parte delle ordinanze -e non anche l'art. 23 della legge n. 153 del 1969, che appare come semplice elemento di raffronto. � pertanto alla prima norma (art. 2, secondo comma, lettera a) della legge 1338 del 1962) che deve essere limitata la dichiarazione di illegittimit� costituzionale. L'accoglimento della censura relativa alla violazione dell'art. 3 della Costituzione rende superfluo l'esame dell'ulteriore censura relativa all'articolo 38 della Costituzione, che rimane pertanto assorbita. Con la seconda questione proposta alla Corte si pone il dubbio se contrasti con gli artt. 3 e 38 della Costituzione il citato art. 2, secondo PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE comma, lettera a) della legge n. 1338 del 1962, nella parte in cui esclude l'integrazione al minimo della pensione diretta di invalidit� a carico dell'INPS ai titolari di pensioni dirette della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali (C.P.D.E.L.), qualora per effetto del cumulo l'importo delle due pensioni superi il trattamento minimo. La questione � fondata. La norma impugnata, infatti, determina, dopo la citata sentenza n. 263/1976 della Corte costituzionale, una disparit� di trattamento tra titolari di una identica pensione di invalidit� erogata dall'INPS e di un'altra pensione diretta, discriminandoli a seconda che quest'ultima sia a carico dello Stato o della C.P.D.E.L. Nel primo caso, infatti, viene concessa l'integrazione al minimo della pensione INPS, che viene invece negata nel secondo caso. La minore tutela garantita ai pensionati degli enti locali rispetto ai pensionati dello Stato, relativamente alla stessa pensione di invalidit� erogata dall'INPS, � priva, infatti, di una razionale giustificazione, non trovando alcun riscontro in una obiettiva diversit� di condizioni sociali ed economiche, alla luce dei criteri sopra enunciati. Anche sotto questo ulteriore profilo, pertanto, l'art. 2, secondo comma, lettera a) della legge n. 1338 del 1962 � viziato di illegittimit� costituzionale. � superfluo a questo punto, per le considerazioni gi� svolte nel precedente paragrafo, esaminare l'ulteriore censur� relativa all'art. 38 Cost. La terza questione (ordinanza n. 442/77 del Pretore di Milano) sulla quale la Corte costituzionale � chiamata a decidere, � se sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione il combinato disposto delle norme gi� denunciate (artt. 2 legge 1338 del 1962 e 23 legge 153 del 1969) nella parte in cui esclude l'integrazione al minimo di altra pensione indiretta erogata da enti diversi, qualora per effetto del cumulo venga superato il trattamento minimo garantito. Nell'ordinanza di rimessione si dubita che tale esclusione realizzi un'ingiustificata disparit� di trattamento tra titolari di due pensioni ugualmente di riversibilit� corrisposte dall'INPS per il fatto che ad alcuni superstiti una delle pensioni perviene calcolata sulla base di una pensione diretta, per la quale il pensionato defunto aveva gi� ottenuto l'integrazione al minimo, mentre ad altri la stessa pensione di riversibilit� perviene sulla base di una pensione diretta non integrata, rimanendo esclusa per effetto delle norme impugnate. La questione � fondata, in quanto la denunciata disparit� di trattamento � priva di ogni giustificazione, discriminando tra cittadini che si trovano in analoga condizione sociale ed economica: entrambe le categorie messe a raffronto godono, infatti, di due pensioni di riversibilit� che hanno lo stesso titolo, cosicch� la differenza di tutela discende da una circostanza estrinseca meramente casuale: l'avere o meno il pensio RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nato defunto provveduto, mentre era in vita, a chiedere l'integrazione al minimo della sua pensione diretta. Ritiene la Corte che non possa il legislatore sancire discriminazioni all'interno di categorie sostanzialmente omogenee, in base a presupposti giuridici puramente formali, senza violare il principio di uguaglianza. Dunque in questo caso la norma che risulta effettivamente in contrasto con l'art. 3 Cost. � l'art. 2, secondo comma, lettera a) della legge n. 1338/1962, e non l'art. 23 della legge n. 153/1969, in quanto la denuncia del giudice a quo non � diretta ad eliminare la tutela accordata dal citato art. 23, ma ad estendere tale tutela al di l� dei limiti previsti dall'art. 2, secondo comma, lettera a) della citata legge del 1962. Va precisato altres� che la predetta norma � viziata di incostituzionalit� non perch� esclude che la pensione di riversibilit� INPS raggiunga l'importo della pensione diretta integrata al minimo -esclusione che sarebbe conforme alla logica dell'istituto della riversibilit�, che attribuisce ai superstiti soltanto-una quota determinata della pensione del defunto ma in quanto impedisce che il calcolo della pensione di riversibilit� INPS, in caso di� cumulo con altro trattamento di riversibilit�, sia rapportato all'importo integrato al minimo della pensione diretta INPS che il defunto avrebbe dovuto percepire se avesse chiesto l'integrazione. La soluzione della questione sotto il primo profilo esonera la Corte dall'esame dell'ulteriore profilo di censura, relativo all'art. 38 Cost. Altra questione sulla quale la Corte si deve pronunciare � se contrasti con l'art. 3 Cost. il combinato disposto degli artt. l, secondo comma, legge 12 agosto 1962, n; 1339 e 23 legge 30 aprile 1969, n. 153, nella parte in cui esclude per i titolari di pensione statale l'integrazione al minimo della pensione di invalidit� e vecchiaia erogata dalla Gestione speciale artigiani (legge 4 luglio 1959, n. 463), per la disparit� che ne deriva rispetto ai titolari della stessa pensione statale, ai quali � consentita l'integrazione della pensione d'invalidit� purch� erogata dall'INPS, nonch� rispetto ai titolari di qualunque pensione di riversibilit�, che hanno diritto all'integrazione della pensione diretta INPS. La questione cos� proposta � fondata. Invero il secondo comma dell'art. 1 della legge n. 1339 del 1962 riproduce -per la Gestione speciale artigiani una norma identica a quella dettata dall'art. 2, secondo comma, lettera a), della legge n. 1338 del 1962, sopra esaminata. Dall'accoglimento delle censure ad essa relative discende, infatti, l'illegittimit� costituzionale del diniego del trattamento minimo garantito sulle pensioni dirette INPS, sia di invalidit� che di vecchiaia, a chi sia gi� titolare di altra pensione di riversibilit� o di altra pensione diretta a carico dello Stato, o di altri fondi. ~~: ~i. 1:: !Jl {; PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 163 Alla luce di quanto si � gi� rilevato, a proposito dell'estensione del diritto all'integrazione al minimo delle pensioni poste a carico dell'INPS, del tutto priva di giustificazione razionale si rivela la persistente esclusione di tale diritto per la pensione diretta (vecchiaia o invalidit�) eroga� ta dalla Gestione speciale per i lavoratori autonomi, dal momento che la pensione suddetta assolve, per la particolare categoria degli artigiani, esattamente la stessa funzione svolta per gli altri lavoratori dalla pensione diretta a carico dell'assicurazione ordinaria INPS. L'identit� della funzione dei due trattamenti, che � quella di assicurare al lavoratore anziano o invalido un minimo vitale, rende arbitraria la diversit� di disciplina data a due identici istituti a seconda che il pensionato sia assicurato dall'INPS o dalla gestione speciale lavoratori autonomi sempre gestita dall'INPS, non essendovi alcun motivo economico o sociale che valga a spiegare una discriminazione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi in riferimento al minimo vitale. Deve essere, quindi, dichiarata l'illegittimit� costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge 1339 del 1962 sotto il profilo proposto. Va invece esclusa ogni pronuncia in ordine all'art. 23 della legge 153 del 1969, per i motivi gi� esposti nell'esame delle precedenti questioni. (omissis) I CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1981, n. 42 -Pres. Amadei -Rel. De Stefano -Societ� Vanelli Macchine (avv. Zavattaro Ardizzi) e I.M.I. (avv. Ferri). Fallimento -Giudice delegato -Provvedimenti emessi in materia di piano di riparto dell'attivo � R~Iamo al Tribunale � Procedimento . Illegitti� mit� costituzionale � Fondatezza. (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 23 e 26; Cost., art. 24). � costituzionalmente illegittimo, in -riferimento all'art. 24 della Cost., l'art. 26 in rapporto all'art. 23, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (disciplina del fafdimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui assoggetta al reclamo al Tribunale, disciplinato nel modo ivi previsto, i provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato in materia di piani di riparto dell'attivo. (omissis) La questione � fondata. Giova, in proposito, prender le mosse dalla sentenza di questa Corte n. 118 del 1963, alla quale ripetutamente fan richiamo i provvedimenti (.1) L'ordinanza di rinvio delle Sezioni Unite della Cassazione � pubblicata in Giur. cast., 1975, Il, 2345: in essa vi � un ampio e dettagliato esame della giurisprudenza sulla contrastante interpretazione della norma impugnata. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di rimessione. In quell'occasione il giudice a quo -investito dell'opposizione ad un decreto del giudice delegato che, in applicazione degli artt. 77 e 150 della legge fallimentare, aveva ingiunto ad un associato in partecipazione di versare la parte ancora dovuta dei conferimenti, nei limiti delle perdite a suo carico -aveva dubitato della legittimit� costituzionale degli artt. 23, ultimo comma, e 26, primo comma, nella parte che recita: � entro tre giorni dalla data del decreto�, e secondo comma, della legge medesima, in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione. Ma la Corte dichiar� non fondata la questione, ritenendo che le disposizioni impugnate dovessero necessariamente interpretarsi nel senso che il meccanismo, da esse delineato, non fosse applicabile ai provvedimenti, come quello allora contestato, �emessi dal giudice delegato nell'esercizio di funzioni di cognizione, aventi per oggetto diritti soggettivi�: ci�. essendo escluso �sia dalla stessa struttura del reclamo... sia dalle forme o dalle garanzie di tutela dei diritti soggettivi, assicurate dall'ordinamento generale�. L'opposta interpretazione data dal giudice a quo avrebbe invero condotto, ad avviso della Corte, a situazioni nelle quali si sarebbe verificata � non gi� una limitazione o un affievolimento dei diritti soggettivi, ma addirittura l'impossibilit� di una loro tutela giurisdizionale �. Senonch�, le Sezioni unite della Corte di cassazione -alle quali il ricorso dell'I.M.I. � stato deferito ai sensi dell'art. 374, comma secondo, del codice di procedura civile, trattandosi di questione di diritto gi� decisa in senso difforme dalle Sezioni semplici -nella loro ordinanza, richiamando giurisprudenza � largamente prevalente�, hanno invece ritenuto esperibile il reclamo ex art. 26 anche nelle controversie su diritti soggettivi tipicamente attribuite dalla legge al giudice delegato; ed hanno affermato che, nella specie, il decreto di approvazione del piano di rip~to rientra appunto in una delle ipotesi tipiche, in cui sono al giudice delegato attribuiti dalla legge poteri cognitori e decisori in controversie su diritti soggettivi, senza che sia insieme previsto uno specifico mezzo di gravame, dovendo pertanto riconoscersi che contro il decreto medesimo � esperibile il reclamo in parola. La medesima interpretazione delle denunciate norme vien posta a base dell'ordinanza del tribunale di Firenze, che in proposito fa puntuale riferimento all'ordinanza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione. Gli stessi orientamenti interpretativi, del resto, risultano pi� volte ribaditi e nettamente preponderanti nella giurisprudenza successiva alle ordinanze di rinvio. Non v'ha allora dubbio che, in tal modo interpretate ed applicate, le disposizioni impugnate vivono nella realt� concreta in modo incompatibile con il precetto dell'art. 24 della Costituzione. Suffraga la pronuncia di fondatezza della sollevata questione innanzi tutto la natura decisoria dei provvedimenti che il giudice delegato 1: !i !i PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE adotta in sede di ripartizione delle attivit� fallimentari, in applicazione degli artt. 110 e seguenti della legge fallimentare. Oggetto della cognizione del giudice �, infatti, l'ordine tra i vari creditori, quale disciplinato dall'art. 111, integrato dagli arit. 2777-2783 del codice civile, come modificati dalla legge 29 luglio 1975, n. 426, in materia di privilegi. Ben vero che il riparto ha per presupposto le situazioni consolidatesi nella procedura di accertamento del passivo, ma ci� non toglie al decreto di esecutivit� del riparto quel carattere di novit�, consistente nell'accertamento dell'ordine tra i creditori concorsuali, in difetto del quale l'ammissione al passivo non legittima alla colfocazione sulle somme disponibili. Si verte, dunque, nell'�mbito di diritti soggettivi, la cui tutela � resa impossibile, o quanto meno estremamente difficile, dalla eccessiva brevit� del termine (appena �tre giorni�) previsto dall'art. 26 per l'esperimento del reclamo; nonch� dalla sua decorrenza �dalla data del decreto�, indipendentemente dalla conoscenza di esso da parte dell'interessato. Con il che resta evidentemente vulnerato -come gi� sottolineato nella ricordata sentenza di questa Corte n. 118 del 1963 -il diritto di difesa costituzionalmente garantito, il cui effettivo esercizio postula appunto che il termine di decadenza dall'impugnazione sia congruo, e che decorra dal momento in cui l'interessato all'impugnativa abbia avuto notizia della emanazione dell'atto impugnabile, o quanto meno tale notizia abbia attinto un livello di conoscibilit� da parte dell'interessato medesimo. La stessa � struttura � del procedimento di reclamo ex artt. 23 e 26, inoltre, .non assicura adeguata tutela giurisdizionale ai diritti soggettivi coinvolti nella ripartizione delle attivit� fallimentari. Significativa, al riguardo, � soprattutto la sommariet� del contraddittorio propria di siffatto procedimento, essendo previsto che il tribunale investito del reclamo abbia soltanto la facolt�, e non l'obbligo, di sentire in camera di consiglio le parti; e ci� -come giustamente rileva la Corte di cassazione -dopo una prima fase cognitoria innanzi al giudice delegato � parimenti, quando non maggiormente, sommaria�. N� di minor rilievo appare la forma del provvedimento che definisce il procedimento di reclamo: decreto, per il quale -come rilevato dalla sentenza n. 118 del 1963 � non si richiede motivazione �. Per le su esposte considerazioni la Corte ritiene che la disposizione dettata dall'art. 26 della legge fallimentare, in relazione all'art. 23 della stessa legge, nella parte in cui secondo !'accolta interpretazione, prevede la esperibilit� del reclamo al tribunale fallimentare contro i provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato in materia di piani di riparto, regolandolo nel modo ivi previsto, contrasti con l'art. 24 della Costituzione, in quanto non vengono adeguatamente garantiti n� l'effettivo esercizio dell'azione in giudizio, n� la difesa della parte nel corso del procedimento; e pertanto ne va dichiarata la illegittimit� costituzionale. 166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Quale sia, poi, il rimedio che il vigente ordinamento appresta -una volta escluso il reclamo come strutturato dall'art. 26 in relazione all'articolo 23 -per la tutela dei diritti soggettivi che si assumano lesi dai suddetti provvedimenti adottati dal giudi�e delegato in materia di piani di riparto delle attivit� fallimentari, � questione ermeneutica che non compete a questa Corte risolvere. Sempre che il legislatore non ritenga poi di por mano ad un opportuno riassetto dell'intera materia delle procedure concorsuali, traendo occasione dalle segnalazioni che la Corte gli ha rivolto con le sentenze nn. 152 e 155 del 1980 a proposito di altre disposizioni della stessa legge. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 7 aprile 1981, n. 50 -Pres. Amadei -Rel. Rochrssen -Catandella (avv. Sorrentino) e Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Carafa). Impiego pubblico -Stipendi e pensioni � Prescrizione biennale . Illegitti� mit� costituzionale � Fondatezza. (r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, art. 2, primo comma; Cast., art. 3)i. E costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 3 della Cast., l'art. 2, primo comma, r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295 (recupero dei crediti verso gli impiegati e pensionati e prescrizione biennale), laddove prevede la prescrizione entro il termine di due anni delle rate di stipendio ovvero di pensione (1). (omissis) La questione � fondata. La disposizione censurata ha ad oggetto i soli crediti derivanti dal rapporto di impiego con lo Stato e per destinatari i titolari di rate di stipendio o di pensione dovuti dallo Stato, mentre nei riguardi delle rate di stipendio o di pensione dovute da qualsiasi altro soggetto di diritto pubblico, come gi� detto, si applica la norma generale contenuta nell'art. 2948 del codice civile. In tal modo si pone in essere, a danno dei soli dipendenti e pensionati statali, una palese discriminazione fra crediti aventi la medesima natura giuridica ed il medesimo contenuto e fra i loro titolari, pur appar (1) Cfr. tra le altre, l'ordinanza di rinvio Cons. Stato, Sez. VI, 25 gennaio 1979, n. 494, la quale, esattamente, distingue la ipotesi nella quale il diritto di credito sorge in base a norme di legge indipendentemente da modalit� di liquidazione e di pagamento da parte del1a p.a., dalle ipotesi nelle quali, pur essendo il diritto collegato a previsione normativa, alcuni dei presupposti devono essere posti in essere dalla p.a. dalla cui discrezionalit� il diritto stesso dipende, sia quanto all'esistenza, sia quanto al modo di essere; e ci� � rilevante sia ai fini dell'azionabilit� del diritto, sia (quindi) ai fini della prescrizione. li I 1: ~-; �'. ~~ PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 167 tenendo, tutti costoro, alla categoria sostanzialmente omogenea dei dipendenti e pensionati di soggetti di diritto pubblico: e ci� senza che la distinzione trovi alcuna giustificazione. In questa prospettiva non possono avere pregio n� le considerazioni svolte nei lavori preparatori della legge 9 marzo 1871, n. 102 (legge concernente la prescrizione degli stipendi ed assegni personali), dalla quale discende l'art. 2 in questione, n� quelle svolte dall'Avvocatura generale dello Stato nella memoria depositata il 18 settembre 1979. Quanto al rilievo fatto in quei lavori preparatori e consistente nella opportunit� di evitare il lavoro derivante dalla mancata riscossione, da parte degli interessati o dei loro eredi, di numeros.e piccole partite e che quindi devono essere trasportate da un esercizio all'altro, � sufficiente osservare che si tratta di un mero inconveniente di fatto non idoneo a dare fondamento alla drastica limitazione della tutela di un diritto. All'osservazione dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui in mancanza della prescrizione biennale l'onere derivante al bilancio dello Stato da una prescrizione di durata maggiore porrebbe allo Stato stesso problemi forse irreparabili, si deve rispondere che, cos� argomentando, si potrebbe perfino giungere alla elusione dei diritti patrimoniali degli interessati, anche se accertati da un giudicato. In ogni caso considerazioni del gen�re non sono riferibili solo allo Stato, ma potrebbero essere applicate a qualsiasi ente pubblico. Cop.segue da ci� evidente la irragionevolezza della disposizione censurata e, quindi, la violazione del principio di uguaglianza. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 7 aprile 1981, n. 52 -Pres. Amadei � Rel. Rossano -Pizzuti (avv. Evangelisti) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Imponente). Impiego pubblico � Impiego non di ruolo o tlimpiego di ruolo -Disciplina differenziata in caso di assenza per malattia � Questione di legitttlimit� ,costituzionale � Infondatezza. (d.LC.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 3; Cast., art. 3). Non � fondata, in riferimento all'art. 3 della Cast., la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 3 del d.l. C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207 (1) La sentenza, nell'esaminare la disciplina differenziata, nel caso di assenze dal servizio per malattia, tra il personale di ruolo ed il personale non di ruolo, pone in risalto le caratteristiche (eccezionalit�, precariet�) che distinguono, anche ai fini della disciplina giuridica in caso di assenza per malattia, l'impiego non di ruolo da quello di ruolo, enunciando un principio che pu� avere applicazione al di l� del caso di specie. V. anche Corte Cost., 1 � marzo 1972, n. 39. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (trattamento giuridico ed economico del personale civile non di ruolo in servizio nelle Amministrazioni dello Stato), laddove prevede la risoluzione del rapporto di impiego del personale stabile non di ruolo nel caso di assenza dal servizio per un periodo superiore a tre mesi (1). (omissis) Le questioni non sono fondate. In ordine a quella proposta in via principale si osserva che l'art. 3, comma primo, d.l. C.p.S. n. 207 del 1947 prevedeva, nel testo originario, che nei casi di assenza dal servizio per malattia, accertata dall'Amministrazione, al personale non di ruolo era mantenuto il rapporto di impiego per un periodo di tre mesi se avesse avuto almeno un anno di servizio e per un periodo di sei mesi se avesse avuto un'anzianit� di servizio superiore a cinque anni. Questa norma venne dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza 1� marzo 1972, n. 39 -richiamata dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio -limitatamente alla parte in cui, nei casi di assenza per malattia, condizionava il mantenimento del rapporto di impiego per tre mesi al compimento di un anno di servizio. L'esclusione assoluta del diritto dell'impiegato non di ruolo a un qualsiasi periodo di assenza per malattia prima del compimento di un anno di servizio fu� ritenuta priva di valida e razionale giustificazione da questa Corte, che ravvis� la violazione del principio di eguaglianza per diversit� di trattamento tra impiegati non di ruolo e impiegati di ruolo, non soggetti nel caso di malattia alla stessa condizione del compimento dell'anno di servizio. Nella particolare fattispecie, allora sottoposta al suo esame e limitatamente ad essa, questa Corte rilev� che non vi era ragione di differenziare il personale di ruolo da quello non di ruolo. Non pu�, quindi, contrariamente a quanto afferma il Tribunale Regionale Amministrativo del Lazio, ritenersi che con la menzionata sentenza n. 39 del 1972 sia stata effettuata una totale equiparazione del personale di ruolo e non di ruolo in ordine alla tutela da accordare in caso di infermit�, con la conseguenza che non sia consentito al legislatore realizzare tale tutela in modi diversi a seconda della peculiare natura del rapporto di impiego non di ruolo.. Il rapporto di impiego non di ruolo si differenzia da quello di ruolo perch� ha la funzione di soddisfare esigenze eccezionali ed indilazionabili, ma transitorie della Pubblica Amministrazione; quindi, carattere fondamentale di esso � la precariet� e la sua disciplina giuridica, in linea generale, � ben diversa da quella dell'impiego di ruolo. In aderenza al principio -affermato dall'art. 97, comma terzo, della Costituzione -che agli impieghi pubblici si accede solo mediante con PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE corso, salvo i casi stabiliti dalla legge, le assunzioni di personale statale non di ruolo sono consentite solo nei casi espressamente contemplati da disposizioni particolari, che dichiarano nulle di diritto le assunzioni stesse e sanciscono la responsabilit� patrimoniale del funzionario, che le ha disposte, verso lo Stato (art. 12 d.l. C.p.S. n. 207 del 1947; artt. 1 e 4 d.P.R. 31 marzo 1972, n. 276 -assunzioni temporanee di personale presso le Amministrazioni dello Stato). Le suddette esigenze eccezionali ed indilazionabili -che, in ipotesi tassativamente determinate dalla legge, consentono la nomina dell'impiegato non di ruolo -non possono essete pi� soddisfatte quando tale impiegato non sia in condizione di riprendere servizio dopo il previsto periodo di assenza per malattia. Un periodo di assenza maggiore di quello stabilito dal legislatore pu� incidere sul buon andamento della Pubblica Amministrazione, che � interesse costituzionalmente protetto ai sensi dell'art. 97, comma primo, della Costit.Zione. Tale princ�pio, come questa Corte ha gi�. aff~rmato con le sentenze n. 124 del 1968 e n. 68 del 1980, non riguarda esclusivamente l'orgahlzzazione interna dei pubblici uffici, ma si estende alla disciplina del pubblico impiego in quanto possa influire sull'andamento dell'amministrazione. � innegabile che la disciplina dell'impiego � pur sempre strumentale, meqiatamente o immediatamente, rispetto alle finalit� istituzionali assegnate agli uffici in cui si articola la pubblica amministrazione. Peraltro, va rilevato che l'impugnato art. 3, comma primo, decreto n. 207 del 1947 non prevede la risoluzione �ipso iure� del rapporto di impiego non di ruolo nei casi di assenza per malattia superiore ai tre mesi o ai sei mesi, a seconda dell'anzianit� di servizio, ma attribuisce alla Pubblica Amministrazione la facolt� di disporre la risoluzione solo dopo la scadenza dei suddetti periodi. Tale norma, quindi, funziona da garanzia .a favore dell'impiegato non di ruolo e non incide sulla normale potest� discrezionale della Pubblica Amministrazione, che potrebbe ancora ritenere compatibile con le esigenze superiori del pubblico interesse, �la essa valutate, la ulteriore permanenza in servizio del dipendente che sia stato assente per periodi superiori a quelli stabiliti dalla legge. E ulteriore garanzia per l'impiegato non di ruolo � costituita dalla possibilit� di impugnare il provvedimento di licenziamento con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale. Queste diversit� di struttura e di disciplina giuridica tra le due forme di rapporto di pubblico impiego, di ruolo e non di ruolo, escludono che, nella fattispecie in esame, la situazione dei dipendenti non di ruolo possa considerarsi uguale o assimilabile a quella dei dipendenti di ruolo. Si tratta di situazioni diverse, la cui differente disciplina trova razionale giustificazione; non sussiste, pertanto, la denunciata violazione del principio di eguaglianza. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 7 aprile 1981, .n. 53 -Pres. Amadei -Rel. Roehrssen -Bemardi (n.c.). Amnistia -Sentenza di proscioglimento resa dal Tribunale a seguito di definizione 'giuridica del� fatto diversa da quella enunciata nell'ordi nanza di rinvio � Diritto dell'imputato di proporre appello � Esclusio ne -Illegittimit� Costituzionale. (cod. proc. pen., art. 513, n. 2; Cost., artt. 3. e 24). Amnistia � Sentenza di proscioglimento resa in dibattimento dal Pretore a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella annunciata nel decreto di citazione � Diritto dell'imput�to di proporre appello � Esclusione � Illegittimit� costituzionale. (cod. proc. pen., art. 512, n. 2; "cost., artt. 3� e 24). Sono costituzionalmente illegittimi: a) l'art. 513, n. 2, cod. proc. pen., nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello avverso la sentenza del Tribunale che lo abbia prosciolto per amnistia, a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella enunciata nell'ordinanza di rinvio a giudizio; b) l'art. 521, n. 2, cod. proc. pen., nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello avverso la sentenza resa in dibattimento dal pretore' che lo� abbia prosciolto per amnistia a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella enunciata nel decreto di citazione. (omissis) La questione � fondata. Con le senten.Ze n. 70 del 1975, n. 73 del 1978 e n. 72 del 1979, questa Corte ha dichiarato la illegittimit� costituzionale degli artt. 512, n. 2, e 513, n. 2, cod. proc. pen., nella parte in cui escludevano il diritto dell'imputato di proporre appello avverso la sentenza di primo grado che l'avesse prosciolto per amnistia o per prescrizione del reato a seguito di giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti ed attenuanti. La Corte ha osservato in proposito che quando l'amnistia o la prescrizione siano applicate in dibattimento, a seguito di comparazione fra circostanze aggravanti ed attenuanti, ci� avviene non sulla base di un giudizio ipotetico ma in base alla valutazione in concreto che il fatto addebitato sussiste, che esso � preveduto dalla legge come reato e che l'imputato lo ha commesso: si ha, cio�, una affermazione di colpevolezza dell'imputato, la quale � idonea a produrre effetti negativi in altri giudizi. (1) Questa sentenza � applicazione del principio gi� enunciato con la sentenza n. 70 del 1975 e n. 73 del 1978; per la dottrina, sull'argomento, cfr. P1zzoRusso, Doppio grado di giurisdizione e princ�pi costituzionali, in Riv. dir. proc., 1978, 33. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Da ci� la Corte ha tratto la conseguenza che la esclusione dell'appellabilit� di dette sentenze � costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, sopprimendo ingiustificatamente, nei riguardi del solo imputato, un mezzo generale di difesa. Le suddette considerazioni sono senz'altro applicabili al caso ora sottoposto alla Corte e convincono che debba dichiararsi la illegittimit� costituzionale dell'art. 513, n. 2, cod. proc. pen. anche nella parte in cui consente all'imputato prosciolto di proporre appello contro la sentenza di non doversi procedere per amnistia quando essa contenga una sostanziale pronuncia di c�lpevolezza dell'imputato per avere previamente accertato che il fatto sussiste, costituisce reato ed � stato commesso dall'imputato ma che, per le circostanze nelle quali � avvenuto, va rubricato fra i reati compresi nel provvedimento di amnistia, a differenza di quanto era stato ritenuto con ordinanza di rinvio a giudizio. In conseguenza della declaratoria di illegittimit� costitm;ionale dell'art. 513, n. 2, cod. proc. pen., va dichiarata di ufficio, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la illegittimit� costituzionale dell'art. 512, n. 2, cod. proc. pen., nella parte in cui, analogamente, esclude il diritto dell'imputato di proporre appello contro la sentenza del pretore che lo abbia assolto per amnistia negli stessi casi di cui al precedente n. 3. (omissis) SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 27 gennaio 1981, nella causa 1251/79 -Pres. f.f. Pescatore -Avv. Gen. Reischl -Repubblica Italiana (avv. Stato Fiumara) c. Commissione delle CC.BE. (avv.ti Berardis e Campogrande). Comunit� europea -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti -Spese imputabili -Aiuti al magazzinaggio privato del vino -Condizioni. (Regolamenti CEE del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5, e 28 aprile 1970, n. 816, artt. 5, 6, 7; regolamenti CEE della Commissione 20 luglio 1970, n. 1437 e 27 dicembre 1971, n. 2837). Comunit� europea -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti -Spese imputabili -Errata interpretazione del diritto comunitario -Comportamento delle istituzioni comunitarie -Effetti. (Regolamenti CEE del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5, e 28 aprile 1970, n. 816, artt. 5, 6, 7; regolamenti CEE della Commissione 20 luglio 1970, n. 1437. 27 dicembre 1971, n. 2837, e 26 gennaio 1972, n. 176). Gli aiuti comunitari al magazzinaggio privato del vino, previsti e disciplinati dai regolamenti CEE del Consiglio n. 816/70 del 18 aprile 1970 e della Commissione n. 1437/70 del 20 luglio 1970, non possono considerarsi corrisposti dall'ente di intervento nazionale in conformit� alle norme suddette (e quindi non � censurabile la decisione della Commissione che esclude l'imputabilit� al F.E.O.G.A. della relativa spesa), se i contratti di magazzinaggio non siano stati stipulati nei termini prescritti dalla normativa comunitaria con la stesura di atto scritto, previa verifica di tutti gli elementi pertinenti da parte dell'ente di intervento (1). Non sono imputabili al F.E.O.G.A. le spese effettuate dall'ente di intervento nazionale in base ad una prassi derivata da un'errata interpretazione del diritto comunitario, a meno che l'errata interpretazione sia imputabile ad una istituzione della Comunit� (2). {1-2) In linea di principio la Corte aveva gi� affermato con le due sentenze 7 febbraio 1979, nella causa 11/76, PAESI BASSI c. COMMISSIONE, in Racc. 1979, 245, e nella causa 18/76, R.EP. FED. GERMANIA c. COMMISSIONE, in Racc. 1979, 343, che le norme del regolamento n. 729/70 permettono alla Commissione di porre a carico del F.E.O.G.A. solamente gli importi corrisposti in conformit� alle norme PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 173 (omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 28 dicembre 1979, la Repubblica italiana ha chiesto l'annullamento, in base all'art. 173 del Trattato CEE, della decisione della Commissione 12 ottobre 1979, n. 898, relativa alla liquidazione dei conti presentati dalla Repubblica italiana per le spese dell'esercizio 1973 finanziate dal Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e di Garanzia, sezione � Garanzia� (G. U. n. L 278, pag. 19), nella parte in cui esclude dalle spese imputate al F.E.A.0.G. la somma di 604.863.175 lire italiane, versata per aiuti in relazione a contratti di magazzinaggio a lungo termine nel settore del vino per la stagione 1971-1972. 2. -L'art. 5, n. 5, del regolamento del Consiglio 28 aprile 1970, n. 816, relativo a disposizioni complementari in materia di organizzazione comune del mercato vitivinicolo (G. U. n. L 99, pag. 1), subordina la concessione degli aiuti al magazzinaggio alla conclusione di contratti di magazzinaggio a lungo termine o a breve termine. La stessa disposizione stabilisce che i contratti a lungo termine sono validi per un periodo minimo di nove mesi e possono essere conclusi solo durante il periodo compreso -a norma del regolamento del Consiglio 22 novembre 1971, n. 2504, che modifica tale disposizione (G. V. n. L 261, pag. 1) -tra il 16 dicembre e il 15 febbraio di una stessa stagione viticola. Ai fini . dell'applicazione di detta disposizione, l'art. 8, n. 1, del regolamento della Commissione 20 luglio 1970, n. 1437, relativo ai contratti di magazzinaggio per il vino da pasto (G. U. n. L 160, pag. 16), dispone che i contratti non possono essere conclusi per un periodo che inizi prima della data della loro conclusione. 3. -Per la stagione viticola 1971-1972, il regolamento della Commissione 27 dicembre 1971, n. 2837, relativo agli aiuti al magazzinaggio priemanate per i vari settori dell'agricoltura, lasciando a carico degli Stati membri qualsiasi altro importo, e in particolare quelli che le autorit� nazionali abbiano a torto ritenuto di poter pagare nell'ambito della organizzazione comune dei mercati; e che le stesse norme del reg. 729/70 vanno interpretate nel senso che la Commissione � tenuta ad assumere a carico del F.E.O.GA. le spese pagate dagli Stati membri in modo non conforme alle regole comunitarie per una errata interpretazione delle stesse, qualora l'inesatta applicazione del diritto comunitario possa essere imputata ad una istituzione della Comunit�. Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che l'aiuto comunitario non era stato corrisposto dall'AIMA in conformit� alle norme comunitarie in quanto entro la data del 15 febbraio non si era provveduto alla conclusione dei contratti, precisando che per � conclusione � deve intendersi la stipulazione per iscritto previa verifica di tutti gli elementi pertinenti da parte dell'ente di intervento. La decisione suscita perplessit�. In effetti sembra che la Corte faccia discendere il suo convincimento dalla necessit� che la verifica della sussistenza delle condizioni per l'aiuto da parte dell'ente di intervento preceda la conclusione 174 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vato a lungo termine di taluni vini da pasto (G. U. n. L 285, pag. 78), 174 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vato a lungo termine di taluni vini da pasto (G. U. n. L 285, pag. 78), ha consentito la conclusione di contratti di magazzinaggio a lungo termine per taluni tipi di vino da pasto. 4. -Nel corso del periodo in cui potevano essere conclusi i contratti a lungo termine per la suddetta stagione, la Commissione adottava il regolamento 26 gennaio 1972, n. 176 (G. U. n. L 23, pag. 20), con cui completava il regolamento n. 1437/70 aggiungendo al precitato art. 8, n. 1, di questo le seguenti disposizioni: �Per i contratti di magazzinaggio per i quali l'organismo competente ha ricevuto le domande scritte nel periodo dal 1� dicembre 1971 al 31 agosto 1972, il periodo di validit� di un contratto ha inizio, in deroga al comma precedente, il giorno della ricezione della domanda. Tuttavia, per i contratti di magazzinaggio per i quali le domande scritte sono state ricevute dall'organismo competente dopo il 29 dicem bre 1971, il periodo di validit� comincia al massimo 30 giorni prima della loro conclusione �. 5. -Le spese cui si riferisce il ricorso rappresentano l'importo degli aiuti versati dall'Azienda di Stato per gli interventi sul mercato agricolo (in prosieguo: AIMA) -ente italiano d'intervento competente a stipulare i contratti di magazzinaggio ed a versare i relativi aiuti -in relazione a contratti di magazzinaggio a lungo termine di vino da pasto per la stagione 1971-1972. Nella decisione impugnata la Commissione si � rifiutata di imputare dette spese al FEAOG, dopo aver accertato che le autorit� italiane non avevano, a suo avviso, rispettato le regole alle quali era subordinata la concessione degli aiuti di cui trattasi, procedendo alla I del contratto, mentre sembra che ben possa ammettersi che il contratto si concluda indipendentemente da detta verifica (cfr., in particolare, l'art. 7 del reg. I CEE della Commissione 1437/70) al momento dell'incontro delle due volont� (momento che la Corte non si � troppo preoccupata di individuare), salvo risoluzione in caso di risultato negativo del controllo. I Inoltre la Corte, unificando la trattazione del secondo e del terzo motivo i del ricorso proposto dal Governo italiano, ha praticamente omesso l'esame del terzo motivo. Con questo mezzo, in effetti, si era rilevato che, in definitiva, la I Ij f corresponsione dell'aiuto da parte dell'AIMA aveva certamente consentito la realizzazione sostanziale dello scopo perseguito dalla normativa comunitaria, cio� la sottrazione dal mercato del prodotto eccedentario nel periodo critico: ;i pur se i contratti non potessero essere considerati � conclusi � entro la data di scadenza del 15 febbraio, l'aiuto era stato comunque corrisposto a produttori che avevano tenuto immagazzinato il prodotto sin dalla domanda (proposta ' ! entro il 15 febbraio) e per un periodo non inferiore ai nove mesi voluti dalla norma comunitaria. Quanto all'imputabilit� al comportamento della Commissione dell'errata interpretazione delle norme comunitarie, la Corte ha osservato che non � stata fornita una prova concludente in tal senso. Eppure era stata la stessa Commissione ad ammettere, nelle sue difese, che essa si era decisa ad emettere I i I ! PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 175 conclusione dei contratti a lungo termine dopo il 15 febbraio 1972, data limite per la stipulazione di tali contratti in base alla normativa comunitaria in materia. 6. -A sostegno del ricorso il Governo italiano deduce tre mezzi, concernenti la motivazione della decisione impugnata, l'interpretazione della normativa comunitaria in materia e, rispettivamente, la tutela del legittimo affidamento. � opportuno esaminare in primo luogo il secondo mezzo. 7. -Il Governo italiano spiega che l'atto ch'esso qualifica �stipulazione formale� del contratto da parte dell'AIMA poteva aver luogo solo in esito ad un procedimento articolato in diverse fasi: innanzitutto, presentazione da parte dell'interessato, tramite il competente Ispettorato provinciale dell'agricoltura, di una domanda contenente tutte le indicazioni di cui al regolamento n. 1437/70; poi verifica in loco, da parte dell'Ispettorato, dell'esattezza di tali indicazioni e inoltro della pratica all'AIMA da parte dello stesso; infine, redazione, da parte dell'AIMA, di un disciplinare e di un atto di sottomissione da trasmettere all'interessato per la sottoscrizione autenticata da notaio. Il Governo italiano ammette che, per quanto concerne i contratti a lungo termine cui si riferisce il ricorso, questa � stipulazione formale � � avvenuta dopo la data limite del 15 febbraio 1972. 8. -A suo avviso, per�, i contratti di cui trattasi sono stati � conclusi � tra il 16 dicembre 1971 e il 15 febbraio 1972 anche se la loro � stipulazione formale � � avvenuta in un momento successivo. A questo proposito, esso si richiama ai princ�pi giuridici generali in materia di con- il regolamento 26 gennaio 1972, n. 176, proprio in conseguenza del fatto che le autorit� italiane avevano affermato �di non essere in grado di concludere i contratti prima della data limite del 15 febbraio 1972, a causa di un iter amministrativo non ancora rodato�. Le autorit� italiane, dunque, avevano segnalato l'impossibilit� di rispettare la norma comunitaria; e l'adozione del reg. 176/72 a fronte di questa segnalazione non poteva non apparire un avallo della regolarit� della corresponsione dell'aiuto anche nell'eventuale mancanza di una stipulazione formale del contratto entro la data del 15 febbraio (secondo quanto era gi� accaduto nell'annata precedente senza che fosse sorta alcuna questione). Anch'essa ispirata a rigore formale appare la sentenza 14 gennaio 1981 della Corte nella causa 819/79, REP. FED. GERMANIA c. COMMISSIONE, dove, nel respingersi un analogo ricorso della Germania in tema di aiuti corrisposti per la denaturazione del latte magro in polvere, � stato precisato che, qualora la norma comunitaria autorizzi il pagamento di un aiuto solo a condizione che determinate formalit� di prova o di controllo siano osservate, l'aiuto versato senza l'osservanza di questa condizione non � conforme al diritto comunitario e la relativa spesa non pu�, quindi, in linea di principio, essere posta a carico del F.E.0.G.A., pur se, in ipotesi, il sistema di controllo praticato dalle autorit� nazionali fosse pi� efficace di quello contemplato dalla norma comunitaria. Qui � stato anche precisato che nessuna rilevanza ha, ai fini dell'attribuzione RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO tratti, secondo cui un contratto � concluso allorch� si verifica l'incontro delle volont� dei due contraenti. Orbene, offrendo pubblicamente la possibilit� di concludere contratti a lungo termine alle condizioni stabilite dalla normativa comunitaria, gli enti d'intervento fanno un'offerta al pubblico che viene accettata dal produttore di vino al momento in cui egli presenta la domanda. 9. -Il Governo italiano ammette che, dopo che la domanda � stata presentata, l'ente d'intervento deve procedere alla verifica di taluni dati al fine di controllare la conformit� della domanda alla normativa comunitaria; esso ritiene, tuttavia, che l'eventuale risultato negativo di tale verifica vada considerato come condizione risolutiva di un contratto gi� concluso. 10. -� importante sottolineare innanzitutto che l'aiuto al magazzinaggio a lungo termine del vino da pasto ha lo scopo -come giustamente ha osservato la Commissione -di consentire, in una situazione eccedentaria importante, di eliminare dal mercato la quantit� eccedentaria sin dall'inizio della stagione e fino alla vendemmia successiva, ai fini, soprattutto, della stabilizzazione dei mercati. L'obbligo di concludere i contratti a lungo termine nel periodo compreso fra il 16 dicembre e il 15 febbraio della stessa stagione viticola � inteso, al pari del periodo di validit� di nove mesi contemplato per detti contratti, a realizzare tale obiettivo. � in questo ambito che la nozione di � conclusione � del contratto dev'essere compresa. della spesa al Fondo, sotto il profilo dell'imputabilit� dell'errata interpretazione della norma comunitaria ad organi della Comunit�, l'approvazione a posteriori da parte della Commissione del sistema di controllo attuato dalle autorit� nazionali (lasciandosi quindi intendere che le conclusioni sarebbero opposte ove l'approvazione fosse preventiva). Per un altro caso di specie cfr. la sentenza 25 novembre 1980, nella causa 820/79, BELGIO c. COMMISSIONE, anch'essa sfavorevole allo Stato ricorrente. Ancora sul F.E.O.G.A. cfr. la sentenza della Corte 10 dicembre 1980, nella causa .140/78, COMMISSIONE c. REP. ITALIANA, dove, con riferimento all'ormai abolito sistema dei contributi forfettari del Fondo stesso, � stato affermato che gli Stati membri dovevano presentare rendiconti completi relativi alle somme effettivamente erogate e corrispondenti al contributo attribuito dal Fondo, e che la Repubblica Italiana � venuta meno agli obblighi incombentile in forza del trattato CEE per aver presentato rendiconti tardivi e incompleti, non potendo invocare norme o prassi del proprio ordinamento interno, n� circostanze di fatto che si verifichino in sede nazionale, per giustificare l'inosservanza degli obblighi e dei termini contemplati dalle norme comunitarie (pur se effettivamente il sistema dei contributi forfettari ha potuto dar luogo -come ha riconosciuto la Corte -a difficolt� di ordine amministrativo per gli Stati membri beneficiari). I I:: !i f:: PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 11. -Si deve poi ricordare che i~ controlli e le verifiche che vanno effettuati dall'ente d'intervento -o, come nella fattispecie, dagli Ispettorati provinciali dell'agricoltura che agiscono in nome dell'ente d'intervento competente -hanno lo scopo di stabilire se la domanda presentata dal produttore di vino soddisfi le condizioni essenziali stabilite dalla normativa comunitaria, e di accertare a tale scopo, in particolare, se si tratti di vino da pasto della categoria contemplata da detta normativa, se il produttore che ha presentato la domanda sia il proprietario del vino e se il vino sia immagazzinato sfuso. 12. -Cos� stando le cose, non pu� essere accolta un'interpretazione della nozione di � conclusione � del contratto che consentirebbe di attribuire il diritto all'aiuto comunitario ancor. prima che venisse accertata la sussistenza delle condizioni cui tale aiuto � subordinato. Infatti il risultato di siffatta interpretazione sarebbe che i controlli necessari per accertare se dette condizioni sussistano potrebbero essere effettuati durante tutto il periodo di validit� di nove mesi contemplato per il contratto, o perfino dopo la sua scadenza. 13. -Di conseguenza, non v'� motivo di fare una distinzione tra la �conclusione� del contratto� e la �stipulazione formale� dello stesso. L'art. 9 del regolamento n. 1437/70, che contempla la forma scritta per il contratto, � peraltro ispirato all'idea che il contratto � perfetto solo al momento della stesura dell'atto scritto, previa verifica di tutti gli elementi pertinenti da parte dell'ente d'intervento. La tesi sostenuta dal Governo italiano deve pertanto essere respinta. 14. -Il Governo italiano assume inoltre che il regolamento della Commissione n. 176/72 ha consentito la stipulazione di contratti a lungo termine dopo la data del 15. febbraio 1972. L'effetto retroattivo contemplato da questo regolamento non avrebbe alcun senso se i contratti dovessero ciononostante essere conclusi prima di tale data. 15. -Questo argomento non pu� essere accolto. Il regolamento della Commissione n. 176/72 ha modificato l'art. 8, n. 1, del regolamento n. 1437/70, disposizione che concerne solo l'inizio del periodo di nove mesi per il quale il contratto pu� essere stipulato. Per contro, il periodo nel corso del quale i contratti devono essere conclusi (compreso tra il 16 dicembre e il 15 febbraio) non � stato interessato da tale modifica; esso � stato fissato da taluni regolamenti del Consiglio, in particolare dai regolamenti nn. 816/70 e 2504/71. 16. -Il terzo mezzo riguarda la tutela del legittimo affidamento. Secondo il Governo italiano, la Commissione ha emanato il regolamento n. 176/72 per tener conto delle difficolt� incontrate dall'AIMA, la quale aveva fatto presente che la sua azione nel settore dei contratti di magaz RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STAID zinaggio subiva ritardi, soprattutto in ragione del notevole lasso di tempo intercorrente tra la data della domanda e quella della conclusione for. male dell'atto nel quale il contratto era incorporato. La Commissione, adottando il regolamento n. 176/72, avrebbe quindi dato l'impressione di accedere a tale domanda e non avrebbe pi� il diritto di trincerarsi dietro argomenti d'indole formale per contestare la validit�, dal punto di vista della normativa comunitaria, dei contratti formalmente conclusi dopo il 15 febbraio 1972. 17. ~ Dalle considerazioni relative al secondo mezzo risulta che la prassi seguita dalle autorit� italiane deriva da un'errata interpretazione del diritto comunitario. In un caso del genere, la Commissione non sarebbe tenuta ad imputare al FEAOG le spese effettuate su tale base, a meno che l'errata interpretazione potesse esser imputata ad un'istituzione della Comunit�. 18. -Il Governo italiano ha fatto sapere alla Corte che la domanda dell'AIMA cui esso si riferisce � stata fatta oralmente e che non risultano atti scritti relativi a tale richiesta. La Commissione ha per� fornito alla Corte il testo del resoconlo della 56" riunione del Comitato di Gestione Vini, tenutasi nel dicembre 1971, dal quale risulta che la delegazione italiana ha chiesto che �la data di validit� dei contratti possa essere quella della domanda e non obbligatoriamente quella della conclusione�, per tener conto del sovraccarico di lavoro dell'ente d'intervento italiano. � a questa domanda che il regolamento n. 176/72 ha dato seguito, modificando l'inizio del periodo di validit� dei contratti di nove mesi. 19. -Da questi fatti emerge che il Governo italiano non ha potuto dimostrare che la sua errata interpretazione del regolamento n. 176/72 sia imputabile al comportamento della Commissione. 20. -Occorre infine pronunziarsi sul mezzo relativo alla mancanza di motivazione della decisione impugnata. Questo mezzo, nella parte in cui non riguarda l'interpretazione del regolamento n. 176/72 -problema gi� esaminato sopra -non tiene conto del fatto che il Governo italiano � stato strettamente associato al procedimento di elaborazione della decisione impugnata e pertanto conosceva i motivi per i quali la Commissione riteneva di non dover imputare al FEAOG l'importo controverso. 21. -In una situazione siffatta, e nel contesto particolare dell'elaborazione delle decisioni relative alla liquidazione dei conti, la motivazione della decisione impugnata dev'essere considerata sufficiente. 22. -Ne consegue che il ricorso va respinto. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 1� ottobre 1980, n. 5332 -Pres. Novelli Est. Sandulli -P. M. Silocchi -Regione Friuli-Venezia Giulia (avv. Ricci) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Mataloni). Corte Costituzionale -Conflitto di attribuzioni -Presupposti -Accerta mento della propriet� di beni immobili assunti trasferiti dallo Stato alle Regioni -Conflitto cli attribuzione -Esclusione. Demanio -Alloggi con caratteristiche prescritte sull'edilizia popolare ed economica -Finalit� -Servizio pubblico di protezione sociale -Patrimonio indisponibile -Trasferimento dallo Stato alle Regioni � Esclusione. A norma degli artt. 134 Cast. e 39-41 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (norme sulla costituzione e funzionamento della Corte Costituzionale), il confiitto di attribuzione tra Stato e Regione si verifica quando uno dei soggetti costituzionali assuma che un atto dell'altro ente abbia invaso la propria sfera di competenza costituzionalmente garantita, facendo sorgere in concreto l'interesse a ricorrere per il � regolamento di competenza�. Ove la Regione non prospetta una invasione della sua sfera di competenza, n� chiede una dichiarazione o delimitazione delle sue attribuzioni costituzionalmente garantite, ma invoca esclusivamente l'accertamento dell'appartenenza ad essa di determinati immobili urbani, che assume essere stati trasferiti, in virt� del disposto dell'art. 1 del d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401, al suo patrimonio disponibile ed essere stati indebitamente trattenuti dallo Stato -deve ritenersi che -formando oggetto della pretesa un'effettiva e diretta vindicatio rerum -la controversia non possa, per i suoi caratteri formali e sostanziali, sussumersi nello schema paradigmatico del regolamento del confiitto costituzionale di attribuzione previsto dagli artt. 134 Cast. e 39 della legge n. 87 del 1953. L'attivit� di edilizia popolare -consistente nella costruzione di alloggi, operata, direttamente o indirettamente, dallo Stato al fine di soddisfare le esigenze dei ceti meno agiati -rientra nella cosiddetta attivit� sociale dello Stato, nella quale (1-2) Sulla prima massima la giurisprudenza � pacifica, cfr. Corte Cost., 6 maggio 1976, n. 111 e il Contenzioso dello Stato per gli anni 1971-1975, vol. I, 580; nella seconda massima cfr. Cost. 17 novembre 1971, n. J78, ivi, vol. I, 590. 180 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO va ricompresa anche l'attivit� di costruzione degli alloggi destinati a dipendenti pubblici, con la conseguenza che tali alloggi non possono ritenersi, come beni indisponibili, trasferiti alle Regioni. (omissis) Secondo la tesi della resistente, la Regione -tendendo ad ottenere ex art. 1 del d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401, il trasferimento degli alloggi economici e popolari rimasti nella potest� dello Stato (diversi da quelli degli Istituti autonomi per le case popolari gi� trasferiti alle Regioni) e vantando la propriet� su di essi, in quanto appartenenti (alla data del 16 febbraio 1963) al patrimonio disponibile dello Stato pretenderebbe esercitare su detti immobili la potest� amministrativa (amministrazione di alloggi assegnati e cessione in propriet� agli assegnatari) che lo Stato pretenderebbe di aver conservato. In base a tale profilo, si sostiene che ricorra un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato e della Regione che dovrebbe essere regolato dalla Corte Costituzionale. L'eccezione di carenza di giurisdizione del giudice ordinario � infondata. A norma degli artt. 134 Cost. e 39-41 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (norme sulla costituzione e funzionamento della Corte Costituzionale), il conflitto di attribuzione tra Stato e Regione si verifica quando uno dei soggetti costituzionali assuma che un atto dell'altro ente abbia invaso la propria sfera di competenza costituzionalmente garantita, facendo sorgere in concreto l'interesse a ricorrere � per il regolamento di competenza � (cfr., in tal senso, Corte Cost., sent. 6 maggio 1976, n. 111). Oggetto della �decisione che dirime il conflitto costituzionale di attribuzione -sia che si contesti l'appartenenza del potere sia che si contesti l'esercizio di esso, in quanto lesivo della sfera di attribuzione del soggetto ricorrente (in tali limiti � inteso, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, l'ambito del conflitto di attribuzione) -� sempre l'accertamento della spettanza di una competenza, con il conseguente (eventuale) annullamento dell'atto adottato dal soggetto costituzionale ritenuto privo del potere o riconosciuto responsabile dell'invasione (o menomazione) della sfera di competenza dell'altro. Contenuto essenziale e principale della decisione del conflitto costituzionale di attribuzione, � quindi, una declaratoria di competenza. Nel caso di specie -poich� la Regione non prospetta una invasione della sua sfera di competenza, n� chiede una dichiarazione o delimitazione delle sue attribuzioni costituzionalmente garantite, ma invoca esclusivamente l'accertamento dell'appartenenza ad essa di determinati immobili urbani, che assume essere stati trasferiti, in virt� del disposto dell'art. 1 del d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401, al suo patrimonio disponibile ed essere stati indebitamente trattenuti dallo Stato -deve ritenersi che -formando oggetto della pretesa un'effettiva e diretta vindicatio PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE rerum -la controversia non possa, per i suoi caratteri formali e sostanziali, sussumersi nello schema paradigmatico del regolamento del conflitto costituzionale di attribuzione previsto dagli artt. 134 Cost. e 39 della legge n. 87 del 1953. Invero, nella contestazione oggetto di causa non riesce possibile identificare alcun atto dello Stato invasivo o lesivo della sfera di competenza della Regione, non risultando nel dibattito giudiziale alcuna manifestazione di volont� dello Stato, tesa ad invadere o a limitare l'area di com .petenza della Regione. E ci� in quanto -stabilendo l'art. 56 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) che � sono trasferiti alla Regione i beni immobili patrimoniali dello Stato che si trovano nel territorio della Regione, disponibili alla data di entrata in vigore dello Statuto� (16 febbraio 1963) ed il successivo art. 57 che � con norme di attuazione del presente Statuto saranno determinati i beni indicati negli artt. 55 e 56 e le modalit� per la loro c9nsegna alla Regione � e precisando l'art. 1 del d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401 (emanato, in attuazione di tali previsioni costituzionali, a norma dell'art. 65 dello Statuto) che �sono trasferiti alla Regione Friuli-Venezia Giulia, con effetto dal 1� gennaio 1965, e vanno a far parte del suo patrimonio disponibile (con i beni immobili patrimoniali dello Stato indicati nell'elenco annesso al decreto) gli immobili situati nel territorio regionale, la cui appartenenza al patrimonio disponibile dello Stato (con riferimento alla data del 16 febbraio 1963) sia accertata con provvedimento giurisdizionale ovvero con provvedimento dell'autorit� amministrativa a norma dell'articolo 829 cod. civ.� -la Regione -al fine di vedersi attribuita la propriet� degli immobili appartenenti, alla data del 16 febbraio 1963, al patrimonio disponibile dello Stato -si � limitata, nell'adire al giudice ordinario -in mancanza di una declaratoria dell'autorit� amministrativa (nelle forme e nei modi previsti dall'art. 829 cod. civ.) -a chiedere l'accertamento che gli alloggi economici e popolari, siti nel territorio regionale e rimasti nella potest� dello Stato, appartenevano, alla data su indicata, al patrimonio disponibile dello Stato. Per modo che, in base ai rilievi che precedono -non risultando nel dibattito giudiziale alcun atto dello Stato che abbia invaso o leso la sfera di competenza della Regione e dovendo questa rivolgersi, -in mancanza della individuazione dei beni appartenenti al patrimonio disponibile dello Stato da parte dell'autorit� amministrativa -al giudice ordinario, in base al precetto dell'art. 1, primo comma, del decreto legislativo di attuazione statutaria (d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401), per ottenere la declaratoria dell'appartenenza degli alloggi al patrimonio disponibile dello Stato alla data del 16 febbraio 1963 -deve escludersi che la contesta zione oggetto di causa possa configurarsi come un conflitto costituzionale di attribuzione e che la stessa esuli dalla giurisdizione dell'autorit� giudi 182 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO ziaria ordinaria, per essere devoluta alla cognizione esclusiva della Corte Costituzionale. L'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall'Amministrazione dello Stato �, quindi, da disattendere. Pu�, pertanto, passarsi all'esame del merito. Con l'unico motivo, la ricorrente -denunciata la falsa applicazione dell'art. 826 cod. civ. e dei princ�pi in materia di edilizia residenziale pubblica e la violazione degli artt. 56 della legge Cost. 31 gennaio 1963, n. 1 ed 1 del d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. -. si duole che la Corte del merito abbia ritenuto che gli alloggi economici e popolari rimasti nella potest� dello Stato,. essendo destinati ad assolvere il pubblico servizio di fornire una casa ai cittadini meno abbienti, rientrassero nel patrimonio indisponibile dello Stato e non dovessero, quindi, essere trasferiti alla Regione a norma del cit. art. 56, sostenendo che essi -essendo destinati alla cessione in propriet� agli assegnatari -costituissero, alla data del 16 febbraio 1963, beni patrimoniali disponibili dello Stato, soggetti al trasferimento alla Regione. Il motivo � infondato. La questione proposta � se -ai fini del trasferimento dal patrimonio dello Stato a quello della Regione Friuli-Venezia Giulia ex art. 56 della legge Cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione) -gli alloggi costruiti con denaro dello Stato, assegnati a pubblici dipendenti e rivestiti delle caratteristiche prescritte dagli artt. 48 e 49 del t.u. sull'edilizia economica e popolare rientrassero, alla data del 16 febbraio 1963, nel patrimonio disponibile dello Stato, s� da dover essere trasferiti alla Regione, con effetto dal 1� gennaio 1965, ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401. L'attivit�.di edilizia popolare -consistente nella costruzione di alloggi, operata, direttamente o indirettamente, dallo Stato al fine di soddisfare le esigenze dei ceti meno agiati -rientra nella cosiddetta attivit� sociale dello Stato, nella quale va ricompresa anche l'attivit� di costruzione degli alloggi destinati ai dipendenti pubblici. La dottrina pi� autorevole ritiene che l'attivit� svolta dallo Stato in materia di edilizia popolare integri un vero e proprio servizio pubblico sia per quanto riguarda il fine (mirando a soddisfare un interesse collettivo), sia in ordine al contenuto (prestazione dell'alloggio a determinate categorie di cittadini meno provvedute), sia relativamente al regime giuridico (pubblicistico nella fase della provvista dei mezzi ed in quella di attuazione), sia per quanto attiene al profilo soggettivo (affidamento dell'attivit� ad un complesso strutturale pubblico). L'edilizia popolare � ritenuta, pertanto, un servizio pubblico di protezione sociale. Queste Sezioni Unite giudicano corretta tale configurazione giuridica, alla quale ritengono di aderire. i:: i ~: f:~j ~ll i ~;~ ~:j ...,,11"~...........J PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE E conseguente implicazione di tale posizione � che gli alloggi di tipo economico e popolare -essendo destinati ad un servizio pubblico devono considerarsi beni patrimoniali indisponibili, in quanto -riguardando il concetto di �destinazione� i beni di cui l'Amministrazione si avvale per soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui essa provvede -deve ritenersi che, in materia di edilizia popolare, la destinazione si attui attraverso l'assegnazione degli alloggi alle categorie di cittadini meno abbienti, meritevoli di agevolazioni e di aiuti sociali. Gli alloggi ,economici e popolari devono, quindi, ritenersi beni patrimoniali indisponibili anche quando siano assegnati in godimento a determinate categorie di cittadini. N� vale a fare escludere tale natura la circostanza che gli alloggi possano essere ceduti in propriet� agli assegnatari, in quanto il fine dell'edilizia economica e popolare � di soddisfare l'esigenza che ogni famiglia possa disporre di un alloggio, s� che non solo nella fase dell'assegnazione ma anche in quella della cessione in propriet� la concessione dell'allog: gio risponde ad una causa pubblicistica. Per modo che il procedimento che conduce alla cessione in propriet�, lungi dall'essere di ostacolo alla considerazione del bene nell'ambito del patrimonio indisponibile, costituisce la fase terminale dell'esercizio del pubblico servizio. Pertanto, in base alle svolte considerazioni, deve concludersi che la Corte del merito abbia correttamente ritenuto che gli alloggi richiesti dalla Regione rientrassero nel patrimonio indisponibile dello Stato alla data del 16 febbraio 1963 e che, quindi, non dovessero essere trasferiti al patrimonio disponibile della Regione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 13 ottobre 1980, n. 5456 -Pres. Novelli - Rel. Persico -P. M. Berri -Ministero dell'Interno (avv. Stato Ferri) c. Soc. Malta Meridionale (avv. Taccia). Competenza -Attivit� di polizia rivolta alla prevenzione civile e repressione di illeciti penali -Posizione del cittadino -Interesse di mero fatto -Posizione del singolo esposto a specifico pericolo e concreto danno alla sua persona o ai suoi beni -Interesse legittimo -Giurisdizione del giudice amministrativo. L'interesse di mero fatto del cittadino a che l'Amministrazione, tramite i competenti organi di polizia, provveda alla prevenzione e repressione di illeciti penali, si traduce, ove tali illeciti comportino specifico pericolo o concreto danno alla sua persona od ai suoi beni, in interesse 184 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legittimo, non in diritto soggettivo, in quanto l'indicata attivit� dell'amministrazione medesima, ancorch� ricollegandosi ad ordini impartiti dall'autort� giudiziaria, configura esercizio di funzioni pubbliche ed autoritative a tutela della collettivit�, non adempimento di obbligazione diretta nei confronti del singolo; con la conseguenza che la domanda, con la quale il privato tenda a riversare sull'amministrazione il pregiudizio derivantegli dalla sub�ta occupazione di un immobile ad opera di terzi, sotto il profilo del mancato intervento dell'autorit� di pubblica sicurezza per il ripr�stino della legalit� della mancata attuazione di ordine di sgombero emanato dal Procuratore della Repubblica, � devoluta alla cognizione del giudice amministrativo, non del giudice ordinario� (1). (omissis) L'amministrazione istante assume che l'azione di danno non era contro di lei proponibile, n� sotto il profilo della violazione del principio del neminem laedere -in quanto la lesione del diritto di propriet� della societ� Malta Immobiliare si radicava non in un atto �od in un comportamento amministrativo, bens� nel fatto (abusiva occupazione) del terzo; n� sotto il profilo della ritardata esecuzione dell'ordine impartito dal Pretore -in quanto, essendo mancata un'azione giudiziaria a tutela del detto diritto di propriet�, quell'ordine era oggettivamente riconducibile al potere generale di polizia ex art. 231 cod. proc. pen., atteneva a dovere funzionale della polizia giudiziaria, perseguiva l'interesse generale all'attuazione dell'ordinamento e non quello soggettivizzato in capo ad un singolo individuo. L'istanza � fondata, e va dichiarata la giurisdizione del giudice ammi� nistrativo. Queste Sezioni Unite, con pronunzia in termini (sent. n. 5042/77), hanno gi� avuto occasione di statuire che � l'interesse di mero fatto del cittadino a che l'Amministrazione, tramite i competenti organi di polizia, provveda alla prevenzione e repressione di illeciti penali, si traduce, ove tali illeciti comportino specifico pericolo o concreto danno alla sua persona od ai suoi beni, in interesse legittimo, non in diritto soggettivo, in quanto l'indicata attivit� dell'amministrazione medesima, ancorch� ricollegantesi ad ordini impartiti dall'autorit� giudiziaria, configura esercizio di funzioni pubbliche ed autoritative a tutela della collettivit�, non adempimento di obbligazione diretta nei confronti del singolo; con la conseguenza che la domanda, con la quale il privato tenda a riversare sull'amministrazione il pregiudizio derivantegli dalla sub�ta occupazione di un immobile ad opera di terzi, sotto il profilo del mancato intervento del (1) In senso conforme cfr. Sez. Un., 18 novembre 1977, n. 5042, in Giust. civ., 1978, I, con nota di DE FINA. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE l'autorit� di pubblica sicurezza per il ripristino della legalit� della mancata attuazione di ordine di sgombero emanato dal Procuratore della Repubblica, � devoluta alla cognizione del giudice amministrativo, non del giudice ordinario �. Per scuotere la forza di tali statuizioni, la societ� intimata sottolinea la mancanza di qualsiasi discrezionalit� amministrativa nell'esecuzione dell'ordine del giudice (derivandone che l'omissione, quale inesecuzione di atto dovuto, integrerebbe gli estremi di cui all'art. 2043 cod. civ.); si rif� alla giurisprudenza costante nell'affermare la responsabilit� del!' Amministrazione per omessa prestazione della forza pubblica necessaria all'esecuzione di titolo giudiziale (derivandone, che per la unitariet� dell'attivit� giurisdizionale, non sarebbe possibile distinguere, quo ad eff ectus, tra ordini del giudice, a seconda che impartiti nel quadro di una controversia civile ovvero nel corso dell'istruttoria penale sommaria, se non a patto di mettere in crisi l'autorit� dei provvedimenti del giudice); ed assume, infine, ch�, fuori dell'area di esplicazione dell'attivit� amministrativa funzionale nei diretti confronti dei destinatari del provvedimento, nulla osterebbe alla configurabilit� di una responsabilit� della Pubblica Amministrazione per la incisione di utilit� sostanziali del provati non destinatario, ove esse risultino garantite per se stesse da norme costituenti limite esterno del potere amministrativo. Tali rilievi non appaiono sufficienti, allo stato, a far mutare avviso. Il fatto che, all'interno dell'interesse indivisibile alla sicurezza pubblica, concernente la collettivit� statuale, siano identificabili situazioni differenziate (quale sarebbe quella di specie, che coinvolge il patrimonio del singolo), non comporta uniformit� delle correlative posizioni soggettive e dei mezzi di tutela, i quali vanno correlati al tipo di relazione con l'agire dell'Amministrazione ed all'efficienza causale delle omissioni. Nel caso della forza pubblica richiesta per l'esecuzione del giudicato civile di condanna (sent. nn. 2299/62; 2861/52), la parte che procede alla esecuzione forzata esercita il proprio diritto all'attuazione del titolo esecutivo, la norma giuridica (art. 475 cod. proc. civ.) che sancisce l'obbligo dell'Amministrazione di adempiere la prestazione (concorrere all'esecuzione, se legalmente richiesta), � direttamente posta nell'interesse dell'esecutante (anche se attuabile per il tramite dell'ufficiale giudiziario), la Pubblica Amministrazione -non avendo veste di organo del Potere Esecutivo nella realizzazione del fine ultimo della funzione sovrana della giurisdizione -non � chiamata ad esercitare potest� amministrativa bens� a prestare attivit� materiale per la concreta attuazione della sanzione: donde la sussistenza del nesso causale tra l'omissione imputabile, la lesione del diritto ed il danno. Viceversa, poich� l'attivit� di Polizia giudiziaria costituisce adempimento di doveri aventi natura funzionale in quanto esclusivamente finalizzati alla soddisfazione dell'interesse generale alla conservazione del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'ordine sociale (del quale la soddisfazione di vantaggi particolari appare un mero riflesso), il mancato esercizio del potere di prevenzione e repressione di illeciti penali costituisce pur sempre esplicazione di pubbliche funzioni discrezionali, in relazione alle quali l'astratto dovere di provvedere non si concreta in un'obbligazione verso il privato n� in un diritto soggettivo del medesimo (uti singulus, non uti civis) ad essere tutelato mediante misure di repressione dell'attivit� illecita nei consociati (sent. nn. 1417/66; 3060/72; 2371/73; 694/78). N� l'ordine impartito dal giudice penale ex art. 231 cod. proc. civ. vale ad alterare la consistenza di tale posizione soggettiva; nella prima parte, relativa allo sgombero dell'immobile, esso esplicita e rafforza bens� il dovere di assolvere alla pubblica funzione, ma � dovere nei confronti dell'ordinamento del quale il provvedimento giudiziale � l'espressione sovrana; e nella seconda parte, relativa alla restituzione al legittimo proprietario, esso aderisce all'assenza (non ablatoria) dell'espletanda funzione, senza incidere sulla sfera di tutela pertinente al danneggiato, e presupposta, quale essa �, nell'espletamento della funzione giurisdizionale penale. Ma se ci� �, il rilievo conclusivo dalla societ� resistente rimane privo di base, poich�, se � corretto circoscrivere la tecnica dell'interesse legittimo -entro l'area dell'attivit� funzionale della Pubblica Amministrazione -al diretto rapporto tra l'autorit� esercitata e la libert� del singolo direttamente coinvolto nel procedimento di esplicazione dell'attivit�, con altrettanta correttezza si deve legare la configurabilit� di una responsabilit� della Pubblica Amministrazione ai requisiti inerenti all'azione, ed in particolare alla sussistenza di una garanzia diretta di un bene (utilit� sostanziale) del privato, protetto in s� da una norma generale di divieto (neminem laedere) che delimiti l'agire amministrativo, nonch� all'imputabilit� della relativa violazione; com'�, ad es., per l'integrit� personale dell'utente o per la propriet� del frontista, rispetto all'attivit� amministrativa funzionale alla viabilit� nel caso di connessione causale tra l'esplicazione, anche omissiva, del comportamento dell'Amministrazione e l'evento dannoso. Sotto tale profilo, per�, da un lato non � direttamente desumibile dall'art. 2043 cod. civ. il dovere della Pubblica Amministrazione di adoperarsi attivamente per proteggere i diritti altmi e per interrompere all'uopo serie causali (nella specie: occupazioni abusive) originate e sviluppatesi fuori della propria sfera, ma devesi accertare la specifica esistenza della norma giuridica che chiami l'Amministrazione a rispondere della lesione per non averla impedita (sent. n. 3060/72); dall'altro la posizione soggettiva che alla societ� resistente deriva dalla tutela che l'ordinamento le assicura al suo interno a che l'Amministrazione si adopera per impedire eventi pregiudizievoli � (si � visto) quella dell'interesse legittimo; ed, infine, pertineva alla parte il potere di azione a tutela diretta del diritto PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 187 di propriet� violato dall'illecito di terzi, e quindi, la concreta possibilit� di ottenerne la reintegrazione. Ed � perci� che l'anomalo riconoscimento di pretese risarcitorie (al quale la societ� si rif�, richiamando l'art. 25 t.u. 10 gennaio 1957, n. 10) � positivamente previsto dall'ordinamento verso i preposti ai pubblici Uffici, non verso l'amministrazione (come in dottrina fu pertinentemente annotato), cos� come l'adempimento del dovere funzionale rimane affidato ad altri meccanismi giuridici (art. 328 cod. pen., art. 112 Cost.). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 ottobre 1980, n. 5583 -Pres. Novelli - Rel. Ruperti -P. M. Berri (conf.) -Fante (avv. Lucci Chiarissi) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). Elezioni -Elezioni politiche -Contestazione sui risultati numerici delle operazioni elettorali -Competenza esclusiva delle Camere -Questione di legittimit� costituzionale delrart. 87 t.u. 20 marzo 1957 n. 361 - Manffesta infondatezza. , Ai sensi dell'art. 66 ii.ella Costituzione, ognuna delle Camere, nel giudizio sulla validit� dei titoli di ammissione, pu� accertare il regolare svolgimento delle operazioni elettorali, anche con riguardo ai risultati numerici della votazione, svolgendo cos� un'attivit� che, qualsiasi possa essere la sua specifica natura (legislativa in senso lato, obbiettivamente amministrativa, intrinsecamente giurisdizionale) esclude ogni sindacato, alternativo, concorrente o successivo, da parte di qualsiasi autorit� giurisdizionale, siccome palesemente lesivo della prerogativa legata alla particolare autonomia delle Camere stesse quali organi sovrani: in tal senso � infondato il sospetto di incostituzionalit� dell'art. 87 t.u. 20 marza 1957, n. 361, primo comma, che esplicita e chiarisce il contenuto del cit. art. 66 (1). (omissis) Col primo motivo, il ricorrente principale, denunziando violazione dell'art. 66 in relazione agli artt. 3, 24, 51, 102, primo comma, 111, 113 Cost., censura l'impugnata sentenza per avere ritenuto che tutta la materia delle elezioni rimane affidata alla �giurisdizione domestica� della Camera dei deputati, e non solo quella relativa ai � titoli di ammissione �. Col secondo motivo, poi, lo stesso ricorrente principale, per il caso che queste Sezioni Unite dovessero disattendere la tesi posta a base (1) V. in senso conforme Sez. Un., 31 luglio 1967, n. 2036, in Foro It., 1967, I, 2009, con la quale � stata affermata l'improponibilit� assoluta della domanda del cittadino che si assume illegittimamente escluso dalle liste elettorali, v. anche Cass., Sez. Un., 10 marzo 1971, n. 674, in Giuris. it., ~1971, I, l, 811, con nota. 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STA'�O 188 del primo motivo, chiede che sia sollevata la questione di illegittimit� costituzionale dell'art. 87 t.u. 30 marzo 1957, n. 361 e delle norme del regolamento della Camera da esso ispirate, per contrasto con i succitati articoli della Costituzione. Entrambi i motivi, che si basano su di una interpretazione riduttiva dell'art. 66 Cost., vanno respinti. I rilievi e le obiezioni del ricorrente trovano gi� ampia risposta nelle due sentenze di queste Sezioni Unite, la n. 2036 del 1967 e la n. 674 del 1971, che la Corte d'appello ha fedelmente seguito nel motivare la criticata decisione. Essi, del resto, afferiscono alla scelta operata dal nostro Costituente, piuttosto che alla interpretazione accolta dalla decisione stessa. � ben noto, infatti, che il sindacato di legittimit� sui titoli di ammissione dei componenti delle assemblee parlamentari si pu�, in astratto, realizzare attraverso molteplici sistemi. Tra i quali, il nostro Costituente ha prescelto quello c.d. della �verifica delle elezioni�, affidando detto sindacato alle stesse Camere: secondo l'esempio di molti paesi europei ed extraeuropei, che non hanno inteso seguire la tendenza alla giurisdizionalizzazione, affermatasi invece in altri paesi, per timore, storicamente giustificato, di abusi di potere perpetrabili in sede di verifica parlamentare (del genere di quello lamentato dal Fante). Trattasi di una scelta aderente alla tradizione ottocentesca italiana, che aveva gi� trovato puntuale espressione nell'art. 60 dello statuto albertino, il quale cos� recitava: � Ognuna delle Camere � sola competente per giudicare della validit� dei titoli di ammissione dei propri membri�. Scelta, peraltro, ben meditata dal nuovo costituente, che non manc� certo di darsi carico dei relativi inconvenienti sul piano delle garanzie di imparzialit� e che, nondimeno, consapevolmente respinse ogni altro possibile sistema, in particolare disattendendo la proposta di uno dei due relatori (Mortati) di istituire un � Tribunale per la verifica delle elezioni� (composto da cinque membri designati dai cinque uffici parlamentari' aventi il maggior numero di membri, nonch� da cinque consiglieri di Stato, e presieduto dal presidente della Corte di Cassazione); per riaffermare invece la �tradizionale prerogativa delle Camere�. E la stessa formula adottata nella stesura definitiva dell'art. 66, dopo successive correzioni dell'originario testo proposto dal secondo dei rela tori (Conti), ha finito col riprodurre in modo pressoch� identico il surri portato testo dell'art. 60 dello Statuto albertino. Ebbene, alla stregua di quest'ultima norma, mai si dubit� seriamente che � giudicare della validit� dei titoli di ammissione � significasse anche e in primo luogo accertare il regolare svolgimento delle operazioni elet torali, segnatamente con riguardo ai risultati numerici della votazione. Non si vede, dunque, posto quanto sopra chiarito, come un significato pi� ristretto possa attribuirsi alla norma dell'art. 66 Cost., secondo cui PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 189 � ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle sue cause sopraggiunte di inelegibilit� e di incompatibilit��; atteso, oltretutto, che il primo e fondamentale �titolo di ammissione� per un eletto � proprio il risultato elettorale. Ed esattamente ci�, non fa che esplicitare il primo comma dell'art. 87 t.u. 20 marzo 1957, n. 361, disponendo che la Camera dei deputati � pronuncia giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale, sui reclami presentati agli uffici delle singole sezioni elettorali, o all'ufficio centrale durante la loro attivit� o posteriormente �. Per cui non ha senso il sospetto di incostituzionalit� sollevato dal ricorrente, col secondo motivo, relativamente a tale articolo ed alle norme del regolamento della Camera da esso ispirate. D'altronde, � appena il caso di notare che, una volta accolta la suesposta interpretazione dell'art. 66 Cost., una tale questione di illegittimit� costituzionale non sarebbe sollevabile in questa sede, ma semmai nel procedimento di verifica parlamentare dei poteri, posto pure che in esso fosse possibile l'inserimento del processo pregiudiziale previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. N� assume rilevanza, nella soluzione del problema che qui interessa, lo stabilire se quel procedimento, come sostiene il ricorrente e una parte della dottrina ritiene, abbia natura intrinsecamente giurisdizionale (la quale natura comporterebbe, fra l'altro, anche la possibilit� per le Camere di deferire alla Corte Costituzionale il giudizio di costituzionalit� sulle norme da applicare). Infatti, qualunque sia la specifica natura dell'attivit� svolta dalle Camere in sede di verifica dei poteri (legislativa in senso lato, obiettivamente amministrativa, intrinsecamente giurisdizionale, ovvero ancora di mero esercizio di un peculiare potere di controllo costituzionale), � comunque da considerarsi escluso ogni sindacato, alternativo, concorrente o successivo, da parte di qualsiasi autorit� giurisdizionale, siccome palesemente lesivo di una prerogativa legata alla particolare autonomia delle Camere stesse quali organi sovrani. Ed in particolare il sindacato successivo -espressamente richiesto dal ricorrente con l'esperita azione -sarebbe da escludere anche ravvisando una natura intrinsecamente giurisdizionale in detta attivit�, perch�, come, gi� chiarito nelle succitate sentenze, si tratterebbe in ogni caso di una �giurisdizione interna � propria di organi sovrani, che esulerebbero dunque dalla generale disciplina costituzionalizzata della giurisdizione (mirante alla tutela dei diritti e degli interessi legittimi da parte dei giudici ordinari o amministrativi), insieme con la quale -va aggiunto -tenderebbe a coprire ogni sfera della vita del diritto, per realizzare quella globalit� di tutela giurisdizionale voluta dalla nostra Costituzione (articoli 24, 113, 134), e cui tendono anche le norme sovranazionali invocate nella memoria difensiva del ricorrente. Che se poi il procedimento davanti alle Camere non offre, nella attualit�, le garanzie proprie della giurisdizione, e dunque non attua real 190 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mente il precetto insito nel termine �giudica� usato dall'art. 66 Cost., star� allo stesso legislatore, in sede costituente ed ai sensi della VI disp. trans. (come pure � stato suggerito da autorevole dottrina), dettare la normativa all'uopo occorrente. Quel che in questa sede si pu� e si deve senz'altro affermare, � che la materia in esame esula dall'�mbito di applicabilit� dell'invocato art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali (tesa a garantire l'effettiva applicazione di quanto enunciato nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, e resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848); �mbito, che � limitato, come ha avuto occasione di precisare anche la Commissione europea dei diritti dell'uomo, alle procedure concernenti le contestazioni su situazioni giuridiche c:l'.i natura civilistica e la fondatezza di accuse in materia penale. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 gennaio 1981, n. 44 -Pres. Rossi - Rel. Falcone -P. M. Marozzo della Rocca (conf.). Mutua Cooper. Edilizia Il Gabbiano (avv. Marucchi) c. Ministero del Lavoro (avv. Stato Cosentino). Competenza civile � Cooperative -Registro delle imprese -Iscrizione Diritto soggettivo -Giurisdizione dell'a.g.o. � Sussiste. La cooperativa legalmente costituita (art. 13, lett. a, d.l.C.p.S. 14 dicembre 1947, n. 1577), che abbia cio� ottenuto l'iscrizione nel registro delle imprese ed acquistato la personalit� giuridica ed abbia assunto l'iniziativa per ottenere l'iscrizione nel registro prefettizio tenuto a norma del d.lgs. cit., presentando la relativa domanda (art. 14 d.lgs. cit. come modificato dall'art. 1 legge 2 aprile 1951, n. 302), ha il diritto soggettivo all'iscrizione quando concorrano l'adempimento degli oneri di documentazione previsti e la sussistenza dei requisiti richiesti (1). (omissis) L'istanza per regolamento preventivo di giurisdizione proposta dalla soc. coop. Il Gabbiano al fine precipuo di ottenere immediatamente la determinazione del giudice munito di giurisdizione, nel corso (1) La norma garantisce l'interesse della societ� cooperativa, gi� iscritta nel registro delle imprese, all'iscrizione nel registro prefettizio delle cooperative, in modo diretto nei confronti della pubblica amministrazione, riconoscendo ad esso la consistenza di diritto soggettivo, poich� nessun margine di apprezzamento lascia all'autorit� amministrativa che � chiamata non gi� a valutare, ma soltanto ad accertare la sussistenza dei requisiti prescritti per l'iscrizione. Sulla questione non risultano precedenti specifici. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE di due controversie con le stesse parti ed aventi il medesimo oggetto, pendenti l'una dinanzi al giudice ordinario e l'altra dinanzi al TAR, � ammissibile, poich� nessuna di tali controversie � stata decisa nel merito in primo grado e non � intervenuta n� per l'una n� per l'altra una pronuncia irrevocabile sulla giurisdizione. Il regolamento mira ad evitare la possibilit� di un conflitto che ancora non pu� venire in considerazione per non essere state sinora pronunciate decisioni (contrastanti) nei due giudizi. La societ� cooperativa ricorrente chiede che sia affermata la competenza giurisdizionale dell'autorit� giudiziaria ordinaria a conoscere della controversia, sostenendo che le societ� cooperative legalmente costituite, con la omologazione da parte del tribunale, sono titolari del diritto soggettivo all'iscrizione nel registro prefettizio quando ricorrano i presupposti stabiliti dalla legge (d.l.C.p.S. 14 dicembre 1947, n. 1577). La vincolativit� dell'azione amministrativa in ordine all'iscrizione si spiega -secondo la ricorrente -considerando che essa � correlata da un canto con la penetrante indagine devoluta al tribunale in sede di iscrizione nel registro delle imprese (artt. 2517, 2519, 2330 cod. civ.), e, dall'altro, con i ben pi� ampi controlli ai quali le cooperative devono sottostare successivamente, nella fase della gestione, con la possibilit� di subire, sulla base di essi soltanto, la cancellazione dal registro stesso. A questa configurazione della situazione soggettiva della cooperativa -sostiene la istante -conduce anche la considerazione della inaccettabilit� della tesi opposta che attribuirebbe all'autorit� amministrativa il potere di riesaminare, giungendo eventualmente a diversa conclusione, atti che l'autorit� giudiziaria ha ritenuto conformi a legge. Il Ministero del lavoro e della previqenza sociale ed il Prefetto di Lucca oppongono, e deducono a sostegno della competenza giurisdizionale amministrativa di cui chiedono la affermazione, che il provvedimento d'iscrizione nel registro delle cooperative, in quanto attribuisce all'ente iscritto la possibilit� di fruire delle particolari agevolazioni tributarie e di altra natura previste dal d.l.C.p.S. n. 1577 del 1947 o da altre leggi, deve essere qualificato come provvedimento di ammissione, emanato nell'esercizio di un potere discrezionale in ordine alla valutazione della rispondenza dell'ente ai principi mutualistici, potere esteso al �controllo di merito dei requisiti dei soci�, con la duplice conseguenza della configurabilit� di un interesse legittimo, e non di un diritto soggettivo, alla iscrizione e dell'attribuzione delle controversie al riguardo alla giurisdizione amministrativa. Tra le contrapposte tesi cos� prospettate, queste sezioni unite ritengono meritevole di adesione quella sostenuta dalla societ� cooperativa istante. La cooperativa legalmente costituita (art. 13, lett. a, d.l.C.p.S. 14 dicembre 1947, n. 1577), che abbia cio� ottenuto l'iscrizione nel registro delle RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO imprese ed acquistato la personalit� giuridica (artt. 2519, 2331 cod. civ.) ed abbia assunto l'iniziativa per ottenere l'iscrizione nel registro prefettizio tenuto a norma del d.lgs., cit., presentando la relativa domanda (art. 14 d.lgs. cit.) come modificato dall'art. 1 legge 2 aprile 1951, n. 302, ha il diritto soggettivo all'iscrizione quando concorrano l'adempimento degli oneri di documentazione previsti e la sussistenza dei requisiti richiesti. L'art. 14, terzo comma d.l.C.p.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, come modificato dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, nel disporre che il Prefetto, accertato che per gli atti indicati al n. 1 (atto costitutivo e deliberazioni recanti ad esso modificazioni fino al giorno della domanda) sono state adempiute le formalit� prescritte dagli artt. 2519 e 2537 cod. civ. e che il numero ed i requisiti dei soci corrispondono a quelli prescritti dalla legge o dal- l'atto costitutivo, sentita la commissione provinciale, ordina con decreto l'iscrizione della societ� cooperativa nel registro prefettizio, configura il provvedimento amministrativo come un atto dovuto. La norma garantisce l'interesse della societ� cooperativa, gi� iscritta nel registro delle imprese, alla iscrizione nel registro prefettizio delle cooperative, in modo diretto nei confronti della pubblica amministrazione, riconoscendo ad esso la consistenza di diritto soggettivo, poich� nessun margine di apprezzamento lascia all'autorit� amministrativa che � chiamata non gi� a valutare, ma soltanto ad accertare la sussistenza dei requisiti prescritti per l'iscrizione. In presenza dell'esito positivo di tale accertamento � imposto all'amministrazione l'obbligo dell'iscrizione, da cui discendono i particolari vantaggi previsti dalla legge, e cio� la possibilit� per la societ� cooperativa di fruire delle agevolazioni tributarie o di qualsiasi altra natura (art. 16 d.l.C.p.S. cit. mod. dall'art. 4, legge 17 febbraio 1971, n. 127). La possibilit� per la societ� cooperativa, una volta ottenuta l'iscrizione di cui si discute, di fruire delle particolari agevolazioni tributarie o di altra natura previste dal citato d.l.C.p.S. o da altre leggi non consegue, quindi, ad un atto volitivo della p.a. emesso all'esito positivo dell'esercizio di un potere discrezionale di ordinare o meno l'iscrizione in esito agli accertamenti compiuti, come sostiene la difesa erariale. Il procedimento che sfocia nell'iscrizione nell'apposito registro d� luogo, infatti, alla certezza sull'esistenza della qualit� giuridica da cui la norma fa derivare direttamente la fruibilit� del regime di favore predisposto per il sostegno e lo sviluppo del movimento cooperativo. Pertanto, poich� l'amministrazione che non presta o presta male l'attivit� dovuta si attribuisce un potere di cui non dispone, violando immediatamente la norma che � costituisce � il diritto, ogni questione nascente dal diniego dell'iscrizione domandata d� luogo ad una controversia concernente la sussistenza o meno del diritto soggettivo dell'ente PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 193 all'iscrizione, la cui cognizione, secondo i criteri di ripartizione della competenza giurisdizionale (art. 2 legge 28 marzo 1865, n. 2248, all. E), spetta al giudice ordinario. Deve, in conclusione, essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della controversia. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 gennaio 1981, n. 75 -Pres. Rossi Est. Fanelli -P. M. Marozzo della Rocca (conf.). -Marrapodi (avv. Ferruggia) c. Procura generale della Corte dei Conti (avv. Stato Azzariti). Competenza cl.vile -Segretari comunali -Emolumenti corrisposti m aggiunta al trattamento previsto dalla legge -Giudizio di responsabilit� dei Segretari comunali che hanno emesso i:l titolo di spesa -Giurisdizione della Corte dei Conti. Deve essere riconosciuta la competenza generale della Corte dei Conti, che pu� definirsi � ordinaria �, in materia di contabilit� pubblica, comprensiva di tutti i rapporti relativi alla gestione di denaro o di altri cespiti, dell'Amministrazione dello Stato o di qualsiasi ente pubblico, con la conseguenza che � assoggettata a detta giurisdizione anche la responsabilit� del segretario comunale (1). (omissis) Premesso che sulla base della ricostruzione dei fatti effettuata dallo stesso Procuratore generale, oggetto del giudizio � un comportamento commissivo di amministratori comunali, che hanno deliberato di corrispondere un assegno forfettario ai segretari comunali che avevano prestato servizio in favore del Comune, determinando cos� un esborso di somme, che si assume illegittimo, da parte del Comune stesso, rilevano i ricorrenti che nel predetto comportamento si riscontrano le caratteristiche soggettive ed oggettive di cui agli artt. 261 e segg. del t.u. n. 383 del 1934; e che, ammesso che il comportamento, in ipotesi illegittimo degli amministratori, per non aver tenuto conto della normativa vigente in materia di trattamento economico dei segretari comunali e aver dato esecuzione alla circolare dell'Assessorato regionale agli enti locali, abbia comportato un danno finanziario per l'ente con riflessi sul patrimonio, questo � rimasto inciso solo in via mediata, per l'esborso cui l'ente � stato esposto. Ma -aggiungevano i ricorrenti -secondo quanto questa Corte ha statuito con sent. n. 3335 del 1978, non pu� ricondursi (1) Giurisprudenza pacifica: Cass., Sez. Un., 6 luglio 1979, n. 3876, in Giuris. it. Rep., 1979, voce � giudizio di conto�, n. 25. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 194 nell'ambito della giurisdizione della Corte dei Conti qualsiasi att-0 che in qualunque modo incida sulla consistenza patrimoniale dell'ente, sia perch� non esiste attivit� amministrativa dannosa per l'ente che non si traduca in una lesione del suo patrimonio, sia perch�, diversamente, si verrebbe ad annullare qualsiasi elemento di discriminazione fra attivit� gestoria e attivit� amministrativa di altra natura: pertanto, ricorrendo nel caso di specie una ipotesi di responsabilit� amministrativa per danni determinati da colpa dell'agente, la giurisdizione compete al giudice ordinario ex artt. 261 e segg. t.u. 383/1934. L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce, nel controricorso, l'inammissibilit� del ricorso, in quanto con esso si contesta il potere giurisdizionale della Corte dei Conti a conoscere della domanda proposta dalla Procura generale nei confronti dei soli amministratori comunali, per fame affermare la responsabilit� ex art. 251-260 del t.u. n. 383 del 1934, laddove nei confronti dei due segretari comunali, i soli che hanno proposto il ricorso, � stata formulata una domanda diversa, di accertamento ed affermazione della responsabilit� specificamente prevista e regolata dall'art. 2 della legge n. 20 del 1968, in relazione alla quale il potere giurisdizionale della Corte dei Conti, del resto espressamente affermato dalla stessa legge, non � contestato nel ricorso. Con la conseguenza che i due ricorrenti non hanno interesse a chiedere che venga individuato il giudice competente rispetto ad una domanda che non � stata proposta nei loro confronti. L'istanza � infondata. Con essa si fanno valere ragioni, volte a dimostrare la pretesa carenza di giurisdizione della Corte dei Conti, in relazione esclusivamente alla posizione degli amministratori comunali, citati davanti a quella Corte insieme ai due segretari comunali qui (unici) ricorrenti, ma in base ad un titolo di responsabilit� che per i primi � diverso e distinto rispetto a quello riguardante i secondi. � vano, quindi, sostenere, da parte dei segretari comunali, che, quanto agli amministratori comunali (e solo per essi, non facendo i ricorrenti cenno alcuno alla propria, diversa posizione) la giurisdizione spetti al giudice ordinario, in quanto essi non hanno alcun interesse a sostenere ci�, dato che, ove per ipotesi fosse esatta la loro tesi, il giudizio che li riguarda non potrebbe mai essere attratto per connessione nella giurisdizione di quel giudice, operando l'istituto della connessione unicamente in relazione alla competenza, per la quale soltanto � prevista dalla legge, e non anche in relazione alla giurisdizione. Questa Corte non pu�, tuttavia, limitarsi a dichiarare inammissibile, per difetto di interesse il ricorso, secondo quanto prospettato dal resistente Procuratore generale presso la Corte dei Conti, dovendo essa, una volta investita di questione di giurisdizione, esaminare d'ufficio se que PARTB I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE sta sussista o meno, indipendentemente dalle ragioni fatte valere dalla parte. E la giurisdizione della Corte dei Conti non pu� non affermarsi in relazione alla posizione dei due segretari comunali, sola di cui questa Corte pu� occuparsi. Basta all'uopo ricordare quanto disposto dall'art. 2 della legge 23 gennaio 1968, n. 20, che, fatto espresso divieto ai comuni di concedere ai propri dipendenti qualsiasi ulteriore (rispetto a quella prevista dall'art. 1) nuova indennit� non prevista da particolari disposizioni di legge, dichiara nulli i prbvvedimenti di concessione in violazione del divieto, e rende personalmente e solidalmente responsabili gli amministratori e i segretari comunali che, ci� nonostante, abbiano emesso i titoli di spesa, accomunando nella stessa responsabilit� i componenti degli organi di controllo, e sottoponendo tutti al giudizio della Corte dei conti, promosso (come nella specie � avvenuto) dal Ministero dell'Interno. Poich�, dunque, i due segretari comunali sono stati citati dal Procuratore generale appunto per avere emanato il mandato di pagamento dell'indennit� che si assume illegittimamente deliberata dagli organi comunali, la fattispecie rientra nella or vista previsione normativa, costituendo poi questione di merito, che dovr� quindi essere esaminata dal giudice ritenuto fornito di giurisdizione, quella se divieti e sanzioni possano intendersi analogicamente estesi al caso che l'indennit� aggiuntiva sia stata deliberata a favore dei segretari comunali, che, sebbene dipendenti statali, e non comunali (t.u. legge com. e provv. del 1934, art. 173), sono retribuiti dal Comune, a cui carico � espressamente posto dalle citate norme l'onere di corrispondere gli stipendi e le indennit� ad essi spettanti, e sono gerarchicamente dipendenti del sindaco. D'altro canto, la stessa loro qualit� di dipendenti dello Stato, pur se il denaro da essi maneggiato non � di questo ente, bens� del Comune, e la progressiva generalizzazione della giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla responsabilit� per maneggio di danaro pubblico alla stregua della estensiva interpretazione dello art. 103 della Costituzione fornita dalla giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sent. 6 luglio 1979, n. 3876; 18 luglio 1979, n. 4244; 8 ottobre 1979, n. 5184; 22 ottobre 1979, n. 5467; 19 novembre 1979, n. 6009 sino alla sentenza 5 febbraio 1969, n. 363, e 20 luglio 1968, n. 2616), per cui viene riconosciuta alla Corte dei Conti una competenza generale, che si pu� dire �ordinaria�, in materia di contabilit� pubblica, comprensiva di tutti i rapporti relativi alla gestione di denaro o di altri cespiti, dell'amministrazione dello Stato o di qualsiasi ente pubblico, concorrono a far ritenere comunque assoggettata a detta giurisdizione anche la responsabilit� del segretario comunale in un caso quale quello in esame. E, per quel che pu� valere, gli stessi ricorrenti non hanno mosso contestazione alcuna quanto alla loro posizione. 196 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Va dunque dichiarata la giurisdizione della Corte dei Conti in ordine al giudizio che riguarda gli attuali ricorrenti; e ci� a prescindere da ogni considerazione in ordine alla questione di giurisdizione -in questa sede non proposta -circa l'azione nei confronti degli altri amministratori. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 gennaio 1981, n. 77 � Pres. Rossi � Rel. Santosuosso -P. M. Berri -Ministero del Tesoro (avv. Stato Vittoria) c. Vissani (avv. Carriero). Competenza civile . Pensione ed altri emolumenti connessi . Giurisdizione della Corte dei Conti. Competenza civile � Pensione � Recupero emolumenti � Giurisdizione della Corte dei Conti. Rientra nella competenza esclusiva della Corte dei Conti, ogni provvedimento che conceda, aumenti, riduca, rifiuti, non solo la pensione in senso stretto, ma anche gli altri emolumenti che, pur non collegati geneticamente all'originario atto di liquidazione, siano ad esso connessi dallo scopo di sovvenire alle esigenze economiche del pensionato, rientrando in tale nozione anche quegli atti aventi ad oggetto il diritto, la misura, la decorrenza della pensione e dei relativi accessori (1). Il potere di cognizione della Corte dei conti si estende -trattandosi pur sempre di materia pensionistica -anche alla questione di legittimit� del provvedimento di recupero di emolumenti comunque integrativi di detto trattamento, ivi compresa la � questione dell'irripetibilit� degl: assegni aventi destinazione alimentare che siano stati riscossi in buona fede (2). (omissis) L'Amministrazione ricorrente, premesso che la giurisdizione del Consiglio di Stato ha come presupposto oggettivo che la controversia derivi da un rapporto d'impiego con l'ente pubblico, rileva che quando tale rapporto � cessato, non vi � pi� materia di giurisdizione esclusiva e le posizioni delle parti sono di diritto soggettivo; e d'altra parte -aggiunge -in materia pensionistica la competenza esclusiva spetta alla Corte dei Conti, sia per quanto riguarda la sospensione della corresponsione di assegni non dovuti, sia per il recupero di somme gi� indebitamente percepite. Il ricorso � fondato. (1-2) Sulla prima massima la giurisprudenza � ormai pacifica; sulla seconda cfr. 23 ottobre 1979, n. 5507, in Giuris. it., 1979, Rep. voce �Pensioni�, n. 184. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione hanno emesso numerose pronunce sulla questione, sia per negare la tesi del Consiglio di Stato, secondo cui le controversie relative alla riduzione del trattamento di quiescenza rientrerebbero nella sua giurisdizione esclusiva in quanto originate da un rapporto -anche se cessato -di pubblico impiego (Cass., nn. 1106/69, 3246/74) sia per affermare che alcuni assegni corri� sposti ai pensionati non hanno altra funzione che aumentare il quantum della pensione e quindi ne costituiscono parte integrante ed essenziale (Cass., nn. 221/71, 3246/74, 2155/75). Pi� recentemente (Cass., nn. 630/76, 1656/76) si � fatto riferimento ad una nozione globale del trattamento pensionistico, facendo rientrare nella materia pensionistica, di competenza esclusiva della Corte dei Conti, ogni provvedimento che conceda, aumenti, riduca, rifiuti, non solo la pensione in senso stretto, ma anche gli altri emolumenti che, pur non colle� gati geneticamente all'originario atto di liquidazione, siano ad esso con� nessi dallo scopo di sovvenire alle esigenze economiche del pensionato. Questa Suprema Corte, quindi, con progressivi chiarimenti ha costan� temente affermato che sui provvedimenti aventi ad oggetto il diritto, la misura, la decorrenza della pensione e dei relativi assegni accessori, la cognizione spetta alla giurisdizione della Corte dei conti. E tale orientamento viene condiviso da questo Collegio anche nella presente controversia. Va pure condivisa la precisazione, secondo cui restano devolute alla cognizione del giudice ordinario le controversie che attengono esclusivamente al pagamento, alla fase esecutiva dell'obbligazione dello Stato, e cio� alle mere modalit� di soddisfazione del riconosciuto diritto ad un determinato trattamento pensionistico. Pi� complessa � invece la questione di giurisdizione relativa al provvedimento di recupero delle somme indebitamente corrisposte, in ordine alla quale sembrano profilarsi contrastanti orientamenti di questa Corte. Si era affermato in un primo momento (Cass., nn. 2995/68, 1106/69, 221/71) che quando non sia in contestazione il diritto alla pensione, in relazione ad un provvedimento definitivo che in tutto o in parte lo disconosca ma si controverta sulle ritenute applicate dall'ente, la giurisdizione spetta non alla Corte dei Conti, ma all'Autorit� giudiziaria ordinaria. Sulle modalit� di recupero dell'indebito, � stato poi ravvisato (Cass., n. 3246/76) un interesse legittimo del pensionato nei confronti di un potere discrezionale della pubblica amministrazione, con le relative conseguenze in tema di giurisdizione. Con la sentenza n. 630/76 si � distinta la giurisdizione della Corte dei conti sulla spettanza degli assegni accessori alla pensione (anche se in relazione a provvedimenti operanti sulle rate pensionistiche), dalla diversa giurisdizione sulle modalit� di recupero delle 198 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO somme indebitamente pagate, alle quali soltanto inerisce la discrezionalit� amministrativa. Infine con le sentenze n. 2155/75 e 5507/79, si � affermato che il potere di cognizione della Corte dei conti si estende -trattandosi pur sempre di materia pensionistica -anche alla questione di legittimit� del provvedimento di recupero di emolumenti comunque integrativi di detto trattamento, ivi compresa la � questione dell'irripetibilit� degli assegni aventi destinazione alimentare che siano stati riscossi in buona fede �. Questo Collegio ritiene di dover confermare l'orientamento giurisprudenziale da ultimo indicato sia per un principio generale in tema di giurisdizione esclusiva, sia per l'esigenza -fondamentale per l'individuazione della giurisdizione -dell'interpretazione pi� idonea ad evitare incertezze. Da una parte, cio�, il carattere esclusivo della giurisdizfone in una determinata materia fa venir meno la rilevanza delle distinzioni fra posizioni di diritto soggettivo o di interesse legittimo sulle quali incidono i provvedimenti impugnati. Fra questi provvedimenti occorre annoverare, non solo quelli che direttamente impingono nella materia riservata alla giurisdizione esclusiva, ma anche gli atti che ne sono strettamente connessi o dipendenti. Ci� che appunto si verifica per il provvedimento di recupero delle somme che un altro provvedimento, spesso implicato nel primo, ha ritenuto indebitamente corrisposte. D'altra parte, proprio questa connessione e la frequente forma implicita rivelano l'esigenza di evitare (specie per certe categorie di persone interessate) le difficolt� di sottili distinzioni e quindi il rischio di incertezze, ancor pi� deprecabili in materia di giurisdizione, con pregiudizio del diritto del cittadino ad avere tempestiva giustizia. Va, pertanto, affermato che anche la valutazione dei criteri che giustificano la ripetibilit� o meno di assegni pensionistici indebitamente corrisposti (complessit� della normativa, comportamento della p.a. che ha determinato incertezza o affidamento, e soprattutto la buona fede dell'accipiens e la comparazione tra il pregiudizio che quest'ultimo risente per il recupero ed il vantaggio per la p.a.) pu� e deve essere compiuta dallo stesso giudice provvisto della giurisdizione esclusiva iri materia pensionistica, e quindi dalla Corte dei conti. (omissis) SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 10 novembre 1980, n. 6044 -Pres. Greco -Est. Micoli -P. M. Dettori -Ministero Interno (avv. Stato Ferri) c. Baroni (avv. Bussi). Previdenza � Controversia � Giudice del Lavoro � Competenza � Riconoscimento di pensione di invalidit� � Sussiste � Fattispecie. L'art. 442 cod. proc. civ., nel nuovo testo, nell'assoggettare alla disciplina del rito del lavoro le controversie in materia di assistenza e previdenza obbligatoria, con l'inciso � ogni altra forma di previdenza e assistenza obbligatoria � ha inteso estendere la sfera di applicazione delle norme alle controversie non riconducibili ad un rapporto di lavoro pregresso e in atto, ed alla conseguente instaurazione di un rapporto assicurativo, con la conseguenza che rientra, nella competenza per materia del pretore, in funzione del giudice del lavoro, la domanda per il riconoscimento, proposta contro il Ministero dell'Interno, della pensione di inabilit� prevista dall'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, a favore dei mutilati e invalidi civili, nella cui categoria rientrano tutti gli infermi psichici (e cio� anche i soggetti affetti da schizofrenia catatonica) (1). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 15 luglio 1980, n. 4565 -Pres. Dondona -Est. Alfeltra -P. M. Leo -Ministero Interno (avv. Stato Ferri) c. Ravelli (avv. Cassola). Previdenza � Controversia � Giudice del Lavoro � Competenze � Pensioni sociali � Sussiste � Fattispecie. Sono attratte nella nuova disciplina processuale di cui agli artt. 442 e 413 cod. proc. civ. le controversie relative a �mere pensioni sociali� (1-2) Cfr. Cass., 16 gennaio 1979, n. 319, v. anche Cass., 21 ottobre 1980, n. 5673; in tal senso l'orientamento della giurisprudenza sulla espansione della competenza per materia del pretore ai sensi della legge 11 agosto 1973, n. 533 (gi� affermata con la sentenza Cass., 29 giugno 1978, n. 3278) pu� ritenersi con� solidato. Per quanto concerne la pensione agli invalidi civili v. Cass., 21 maggio 1975, n. 2002 ed anche Il contenzioso dello Stato, 1971-1975, III, 694. 200 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO le quali prescindono dall'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato 200 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO le quali prescindono dall'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e comprendono anche le pensioni per invalidi civili prevista dalla legge 30 marzo 1971, n. 118 (2). I (omissis) Il ministero ricorrente, con il primo motivo di annullamento proposto, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 442 cod. proc. civ. (nella nuova formulazione datagli dalla legge 11 agosto 1973, n. 533) con riguardo agli artt. 12, 13 e 22 della legge 30 marzo 1971, n. 118, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., ha sostenuto che il giudice del merito aveva errato nell'avere ritenuto che la causa doveva esser trattata con il rito previsto dal novellato art. 442 cod. proc. civ. per le controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, dal momento che l'assegno richiesto non aveva carattere di prestazione assistenziale secondo la ratio della legge 11 agosto 1973, n. 533, poich� il diritto in base al quale era rivendicato non traeva origine da alcun rapporto di lavoro, onde veniva meno sia il carattere cogente della prestazione, che la caratteristica trilaterale tip!ca di tutti i rapporti assistenziali i cui soggetti sono il lavoratore, il datore di lavoro e l'ente pubblico obbligato per legge all'erogazione delle prestazioni. La doglianza � infondata: questa Corte, con sentenza n. 1396/80 ha gi� avuto modo di osservare che la legge 11 agosto 1973, n. 533, ha iniziato il suo iter parlamentare dall'unificazione compiuta dalle commissioni riunite dal governo in data 14 ottobre 1968 nonch� dai progetti di iniziativa parlamentare nn. 903, 1423 e 3010, presentati rispettivamente, in data 24 gennaio 1969, 31 gennaio 1969, 9 maggio 1969 e 26 gennaio 1971. Il disegno di legge governativo si limitava a prevedere la modifica del procedimento delle controversie individuali di lavoro senza alcun riferimento alla materia assistenziale e previdenziale, mentre i progetti n. 903 e 966 ne prevedevano la modifica nell'ambito, per�, dei rapporti di cui all'art. 409 cod. proc. civ. Rimanevano, cos�, esclusi dalla nuova disciplina legislativa tutti i rapporti concernenti i lavoratori autonomi, gli esercenti libere professioni, gli invalidi civili, ecc. Un pi� approfondito esame in seno al comitato ristretto delle commissioni parlamentari (cos� detto comitato dei nove), valutate ragioni di ordine costituzionale di eguaglianza e parit� di trattamento, con apposito emendamento votato in sede redigente nella seduta del 29 marzo 1973, estese il nuovo rito del lavoro a tutti i rapporti previdenziali ed assistenziali delle categorie suddette, ed elabor� il complesso di norme oggi raccolte nel capo II del titolo IV del libro V del codice di procedura PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE civile nonch� nel capo V del titolo III delle disposizioni di attuazione dello stesso codice, s� che ne rimasero esclusi soltanto i rapporti dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici soggetti alla giurisdizione amministrativa. In tal modo le norme che erano state proposte inizialmente con criterio di modifica parziale e limitata, settorialmente, ai rapporti di lavoro subordinato vennero ad assumere contenuti di riforma generale dell'intero sistema processuale previdenziale, dando luogo, successivamente, in dottrina, all'elaborazione di un compiuto sistema di principi di diritto processuale in tale materia. Non v'era motivo, infatti di escludere dalla nuova legislazione che si voleva improntata a criteri di massima concentrazione, oralit� ed immediatezza, secondo il progetto di riforma del codice di procedura civile elaborato da Giuseppe Chiovenda intorno all'anno 1922, i diritti soggettivi di natura previdenziale ed assistenziale dei cittadini che non intrattenevano un rapporto di lavoro subordinato, poich� il precetto di cui all'art. 38 Cost. non autorizzava aif;;Ltto tale discriminazione e, se fosse stata fatta, ne avrebbe leso la lettera e lo spirito. Di tanto si � reso conto infine lo stesso ministero ricorrente, che non ha potuto fare a meno di ammettere che �l'assegno agli invalidi civili si colloca in un ordine di intervento pubblico di categorie particolarmente bisognose di protezione, che � alternativo e sostitutivo del sistema di previdenza ed assicurazione sociale ... "� Deve riconfermarsi, pertanto, al riguardo la giurisprudenza gi� iniziata da questa Corte con riferimento ad altra prestazione di natura analoga (pensione da corrispondersi ai mutilati ed invalidi civili), con la sentenza n. 319/79 con la quale ha affermato che �l'art. 442, nuovo testo, cod. proc. civ., che assoggetta alla disciplina del rito del lavoro le controversie in materia di assistenza e previdenza obbligatoria, con l'inciso, ogni altra forma di previdenza e di assistenza obbligatoria>>, ha inteso estendere la sfera di applicazione della norma a controversie non riconducibili ad un rapporto di lavoro, pregresso e in atto, ed alla conseguente instaurazione di un rapporto assicurativo. �Rientra, pertanto, nella competenza per materia del pretore, in funzione di giudice del lavoro, la domanda proposta contro il ministero dell'interno per il riconoscimento della pensione di inabilit� prevista dall'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, a favore dei mutilati ed invalidi civili �. Col secondo motivo il ministero suddetto, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 12 e 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, nonch� omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod.' proc. civ., ha sostenuto che il giudice del merito aveva errato, altres�, nell'aver RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DELLO STATO 202 ritenuto che la schizofrenia catatonica da cui era affetta la resistente era una malattia psichica pura, cio� un'infermit� non ricollegabile a deficienze funzionali, sensoriali e, comunque, organiche, che costituiva il presupposto giuridico per la concessione dell'assegno di assistenza pre� visto dall'art. 2 della legge 30 marzo 1971, n. 118. Tale norma, infatti, secondo l'assunto del ministero ricorrente, definisce invalidi civili � i cittadini affetti da minorazioni congenite e acquisite anche a carattere progressivo�, precisando che vi devono essere com. presi anche � gli irregolari psichici per oligofrenia di carattere organico e dismetabolico�, e �per insufficienze mentali da difetti sensoriali e funzionali �, per cui tale ultima precisazione avrebbe dovuto essere interpretata come una restrizione dell'ambito di applicazione della norma, con la conseguenza che avrebbero dovuto rimanerne escluse tutte le infermit� psichiche pure. La doglianza � infondata: non solo la chiara formulazione della lettera della legge lascia intendere, al di l� di ogni ragionevole dubbio, che con essa si era voluto accordare tutela assistenziale a tutti gli infermi psichici, ma tale ratio rimane confermata dalla stessa evoluzione legislativa in materia. L'art. 5 della legge 625/66, infatti, disponeva che �ai mutilati ed invalidi civili di et� non superiore agli anni 18, nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacit� lavorativa, di natura non esclusivamente psichica, nella misura superiore a due terzi � concesso, a carico dello Stato ed a cura del ministero dell'interno, un assegno mensile ... �. La successiva norma di cui all'art. 1, secondo comma, della legge n. 74/70 che aveva convertito in provvedimento legislativo il d.l. 14 gennaio 1970, n. 2, apportandovi numerose modificazioni, aveva sostituito alla locuzione � non di natura psichica � contenuta nel decreto suddetto, e certamente pi� restrittiva addirittura di quella della gi� citata legge 625/66, la locuzione pi� ampia e, quindi, pi� favorevole da essa recata, e la successiva novella n. 118/71, art. 2, secondo comma, ha definitivamente allargato la forma assistenziale in esame a tutti i � cittadini affetti da minorazioni congenite e acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico e dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano sub�to una riduzione permanente della capacit� lavorativa non inferiore ad un terzo... �. Non v'� dubbio, pertanto, che con tale ultima norma il legislatore abbia voluto accordare assistenza a tutti quegli infelici che sono affetti da infermit� anche di natura esclusivamente psichica che non consentano loro di svolgere proficua attivit� lavorativa e non siano in grado, pertanto, di provvedere alle loro esigenze di vita, adempiendo in tal modo, anche nei loro riguardi, al precetto di cui all'art. 38 Cost. L'inciso che fa riferimento alle oligofrenie di carattere organico e dismetabolico nonch� alle insufficienze mentali derivanti da difetti senso- i~: !""f.:: f.�: !�:� ..... PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE riali e funzionali, lungi dal costituire una restrizione, sotto forma di limitazione a tali cause dell'assistibilit� delle affezioni psichiche, ne amplia, invece, l'ambito ricomprendendo nella categoria degli irregolari psichici tutte le affezioni che a tale stato patologico possono essere ricondotte, proprio perch� come gi� detto, il legislatore intendeva attuare anche nei confronti di tali minorati il suddetto precetto costituzionale e, pertanto, sarebbe stato irragionevolmente discriminatorio che ne avesse escluso alcuni senza alcun plausibile motivo. (omissis) II (omissis) Col primo mezzo il ricorrente Ministero, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 442 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 12, 13 e 22 della legge 30 marzo 1971, n. 118, deduce che ai fini dell'applicabilit� del rito del lavoro alla controversia in esame, l'argomentazione del Tribunale non � decisiva essendo la diversa formulazione dell'art. 442 giustificata dal fatto che usufruiscono della previdenza e dell'assistenza obbligatoria anche soggetti esplicanti attivit� lavorativa non compresa nella previsione del vigente art. 409 cod. proc. civ.; che innegabile � la diversit� e l'alternativit� dell'assegno d'invalidit� rispetto al sistema di previdenza ed assicurazione sociale e che, in mancanza di inequivoche indicazioni, ritenere che il citato art. 442 adotti un concetto di previdenza ed assistenza pi� ampio di quello proprio del diritto sostanziale significa applicare oltre i casi espressamente considerati disposizioni di carattere speciale o eccezionale come quelle sul rito del lavoro. Tale motivo � infondato. La legge 30 marzo 1971, n. 118, prevede in favore dei mutilati ed invalidi civili che si trovino in condizioni economiche particolarmente disagiate l'erogazione di una pensione, ove l'inabilit� al lavoro raggiunga un certo limite (art. 12), o di un assegno mensile laddove il grado di inabilit� sia meno marcato (art. 13). Prevede poi, che, dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di et�, i mutilati ed invalidi civili di cui sopra conseguano, in. sostituzione della pensione o dell'assegno mensile suddetti, la c.d. �pensione sociale�, istituita con l'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, il cui importo pu� in determinati casi essere integrato, restando la relativa spesa a carico del Ministero degli Interni (art. 19). A sua volta, la citata legge n. 153 del 1969, istituendo la �pensione sociale�, ha fatto sorgere il diritto alla relativa corresponsione in capo a tutti i cittadini ultrasessantacinquenni, che si trovino in condizioni economiche disagiate e che non abbiano diritto ad altre forme di assistenza. Entrambe queste forme di assistenza (la pensione per i mutilati ed RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO invalidi civili, e la pensione sociale) sono completamente svincolate sia da pregressi rapporti di lavoro subordinato od autonomo sia dall'instaurazione precedente di rapporti di tipo assicurativo e previdenziale, e cio� dal versamento di contributi da parte dell'interessato o di altri soggetti, in vista della futura assistenza. Ci� posto, il problema che si pone, in linea di diritto, � quello di accertare se la disposizione dell'art. 442 cod. proc. civ., che, nel testonovellato, dopo aver elencato varie forme di assistenza e previdenza inquadrate in schemi di tipo assicurativo, accenna a �ogni altra forma di assistenza e previdenza obbligatorie�, si riferisca anche alle erogazioni pensionistiche previste dalle leggi sopra citate per gli invalidi e mutilati civili e per gli indigenti ultrasessantenni. La difesa dell'Amministrazione degli Interni tenta di dare al quesito una risposta negativa assumendo che l'assegno di invalidit� si colloca in un ordine di interventi pubblici in favore di categorie particolarmente bisognose di protezione che � alternativo e sostitutivo del sistema di previdenza ed assicurazione sociale, e quest'ultimo � nel nostro ordinamento,. funzionalmente e indissolubilmente legato al mondo del lavoro, al cui complessivo assetto garantistico restano forzatamente estranei, per la loroincapacit� di svolgere attivit� lavorativa, i mutilati ed invalidi civili. La tesi non persuade. � agevole osservare al riguardo che la asserita distinzione tra assistenza pubblica.� ed assistenza obbligatoria .-almeno in relazione ai fini che qui interessano -non trova alcun riscontro nelle� espressioni usate dal legislatore. N� vi � motivo per ritenere che quando� l'art. 442 cod. proc. civ. parla di assistenza obbligatoria non intenda riferirsi proprio a quelle forme di assistenza che sono imposte per fini pubblici ed inderogabili, e non rimesse semplicemente all'iniziativa ed alle concrete scelte degli interessati. � certo che lo Stato (per l'assistenza ai mutilati ed invalidi civili) e lo INPS (per le pensioni sociali) sono obbligati ad effettuare le erogazioni pensionistiche, e che a questo obbligo. corrisponde un diritto soggettivo perfetto in capo agli assistiti. In questa. situazione, sembra veramente arbitrario negare a queste forme di assistenza la qualifica di obbligatorie, dato che relativamente ad esse ci� che importa � che il diritto all'assistenza discenda direttamente dalla legge, e non gi� dal compimento volontario di atti negoziali privati (come. avviene nei rapporti assicurativi di tipo privatistico). In questo senso, un'assistenza pu� essere obbligatoria sia che la legge imponga a deter-� minati soggetti di erogarla direttamente ad altri soggetti, sia che imponga di instaurare un particolare tipo di rapporto assicurativo di carattere pubblicistico con un determinato ente pubblico (incaricato poi di provvedere alla erogazione dell'assistenza), sia infine che imponga di stipulare un contratto di natura privatistica con una compagnia assicu-ratrice privata (vedi l'assicurazione obbligatoria sulla R.C. per gli auto PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE veicoli). Non � quindi per nulla vero che il termine assistenza obbligatoria implichi necessariamente e logicamente un inquadramento della fattispecie nello schema della mutualit�, attraverso l'imposizione di una assicurazione obbligatoria. � obbligatoria l'assistenza che non � semplicemente rimessa alla discrezionalit� delle volont� individuali, e che non si esplica quindi attraverso erogazioni spontanee, o attraverso la stipulazione meramente volontaria di contratti da cui discenda l'obbligo della corresponsione dell'assistenza. N� vale in contrario il fatto che l'art. 442 cod. proc. civ. consideri congiuntamente all'assistenza anche la previdenza, poich� proprio il fatto di avere usato entrambe le espressioni, e non solo quella di �previdenza� rende certi che il legislatore ha avuto di mira la disciplina di fenomeni pi� ampi di quelli riconducibili unicamente allo schema previdenziale-assicurativo. N� pu� far dubitare della validit� della tesi fin qui adottata, il rilievo, contenuto nel mezzo in esame, del difetto del presupposto di ogni tipo di assicurazione sociale, e cio� lo stretto collegamento con un rapporto di lavoro subordinato. Va in proposito rilevato che come il sistema della previdenza ed assistenza sociale tende sempre pi� a svincolarsi dagli schemi assicurativi, cos� tende sempre pi� ad attenuarsi l'inerenza delle assicurazioni sociali con la prestazione di un lavoro subordinato. L'evoluzione, sempre pi� accentuata negli ultimi tempi, dimostra come ci si vada distaccando continuamente dagli schemi originari. Le assicurazioni sociali furono dapprima previste solo in relazione ai lavoratori subordinati dell'industria; si sono poi estese ad altre categorie di lavoratori autonomi la cui posizione era in qualche modo somigliante od assimilabile a quella dei lavoratori subordinati (i mezzadri o gli agenti di commercio); quindi si sono compresi nell'ambito di operativit� della previdenza ed assistenza anche altri lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti) per giungere poi sino ai liberi professionisti, od addirittura a soggetti del tutto estranei al compimento di una attivit� lavorativa vera e propria. Il passo decisivo � stato poi compiuto nel 1969, con l'istituzione della �pensione sociale�, la cui gestione � stata affidata all'INPS e cio� allo stesso Istituto incaricato della gestione ed amministrazione della massima parte delle altre forme di previdenza inerenti a prestazioni lavorative subordinate od autonome: in questo caso lo svincolo della prestazione assistenziale dall'effettuazione di prestazioni di lavoro e dall'instaurazione di posizioni assicurative � stato totale. � chiaro, perci�, che l'innovazione introdotta dal legislatore del 1973 con lo svincolare la nozione di controversia � in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie� dall'inerenza ad un rapporto assicurativo instaurato in relazione ad un rapporto di lavoro subordinato, � avvenuta in un contesto di profonda e radicale evoluzione che si muove, nella direzione indicata dagli stessi principi della Costituzione Repubblicana. 206 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO La nozione introdotta dal testo novellato dell'art. 442 cod. proc. civ., perci�, ben si attaglia anche alle forme di assistenza pubblica di cui alla legge n. 118 del 1971 (o di cui alla legge istitutiva della �pensione sociale �). Infatti anche nei due casi delle pensioni per gli invalidi e delle pen sioni sociali esiste una inerenza col lavoro, sia pure con visuale rovesciata. Queste pensioni sono erogate, in definitiva, proprio perch� ed in quanto determinati soggetti non sono in grado, per ragioni di infermit� o di et�, di prestare un lavoro, subordinato od autonomo, e quindi di conseguire un guadagno con cui possano mantenersi. L'invalido civile (come ben emerge dal testo della legge n. 118 del 1971) non � pensionato perch� invalido (e cio� quasi a compenso della sua menomazione, o delle sofferenze sofferte e che subisce), ma perch� inabile al lavoro, e l'entit� della pensione � proporzionata proprio alla percentuale di tale inabilit�. La tesi �fin qui sostenuta trova conforto nella decisione di questo Supremo Collegio n. 2002/75 (emessa a Sezioni Unite) nella quale, si � affermata l'attrazione della nuova disciplina processuale di cui agli arti coli 442 e 413 cod. proc. civ. delle cause relative a �mere pensioni sociali, le quali prescindono dall'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato�. N� contrasta con la tesi sin qui affermata l'altro precedente giurisprudenziale, costituito dalla sentenza n. 4626/76, la cui massima ufficiale ( � la domanda con cui viene chiesta al Ministero dell'Interno una pensione di invalidit� civile ai sensi delle leggi n. 118 del 1971 e n. 194 del 1974, � intesa ad ottenere non gi� una rendita vitalizia od una indennit� assicurativa, bens� una prestazione di carattere alimentare, e rientra pertanto, in primo grado, nella competenza per valore del Pretore, ed in secondo grado nella competenza del Tribunale individuato secondo le regole del foro erariale) parrebbe a prima vista recar conforto alla tesi dell'Amministrazione ricorrente. Ma in realt� ove si controlli la motivazione della sentenza stessa, si constata agevolmente come la massima ufficiale non ne rispecchi affatto lo spirito. La Corte, occupandosi di una vicenda analoga alla presente, si � riferita alla sentenza n. 2002 del 1975, sopra citata, a proposito della tesi secondo la quale in linea di massima nulla si oppone alla ravvisabilit� di una controversia ex art. 442 cod. proc. civ., rimessa al Pretore a titolo di competenza funzionale; ma ha comunque aggiunto su conforme conclusione del p.m., il quale, in primo luogo, aveva prospettato tale competenza per materia -che in ogni caso .anche alla stregua del valore, la causa rientrava in primo grado nella competenza del Pretore. L'argomentazione relativa al criterio di competenza per valore � svolta quindi nella sentenza citata quasi ad abundantiam, senza che con ci� si sia inteso negare o contestare la competenza per materia dello stesso giudice. Del tutto arbitrario � volere evincere, quindi, da questo precedente giurisprudenziale la dimostrazione dell'esistenza di un contrasto di orientamenti, che � in realt� del tutto insussistente. (omissis) j ~ ~ l' ' ' t. g ���1&�11:'i11a1s11111111111111.1111&rr1r1at11Jr1m . PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 207 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 gennaio 1981, n. 323 -Pres. La Farina Est. Falcone -P. M. Morozzo della Rocca (conf.). Comune di Bagheria (avv. Marrone) c. Ente Acquedotti Siciliani (avv. Stato Ferri). Esecuzione forzata -Pignoramento presso terzi -Crediti da esattare -Ente acquedotti -Canoni di utenza -Indisponibilit� -Impignorabilit� Sussiste. I crediti dell'Ente Acquedotti relativi ai canoni di utenza, riscossi dall'esattore, sono impignorabili a nulla rilevando la mancanza di un atto amministrativo di destinazione specifica delle somme (1). (omissis) Con l'unico motivo, denunziando la violazione degli artt. 828 cod. civ. e 4 del d.l. 17 aprile 1948, n. 774, il Comune ricorrente censura la sentenza impugnata per avere escluso, in accoglimento dell'opposizione all'esecuzione dell'Ente Acquedotti Siciliani (E.A.S.), la pignorabilit� delle somme di denaro dovute dall'Esattore ad esso debitore esecutato, sull'erroneo rilievo che dette somme avrebbero una specifica destinazione pubblicistica, a norma dell'art. 4 del d.l. 17 aprile 1948, n. 774. Deduce, a sostegno della censura, che trattavasi di crediti pignorabili, in quanto la citata norma dell'art. 4 si limita a destinare genericamente le somme riscosse alle esigenze dell'E.A.S. (spese generali e di manutenzione ordinaria), e manca un provvedimento amministrativo di destinazione a uno scopo specifico. Il ricorrente ribadisce, poi, le critiche relative ai motivi di opposizione all'esecuzione proposti dall'E.A.S. e dichiarati assorbiti con entrambe le sentenze di merito. (1) Esattamente la Corte ha ritenuto che i canoni di utenza riscossi dall'esattore in base ai ruoli a lui trasmessi dall'E.A.S. abbiano ex lege una specifica destinazione pubblicistica in quanto vincolati, dall'art. 4 del d.l. 17 aprile 1948, n. 774, a specifiche spese dell'Ente, e cio� a quelle di manutenzione ordinaria, di esercizio, generali e di ammortamento dei mutui contratti a norma dell'art. 3 del decreto cit. La decisione si pone in linea con il costante orientamento della Cassazione sull'indisponibilit� e conseguente impignorabilit� dei crediti degli Enti pubblici relativi ad entrate che per la loro natura servano al conseguimento dei fini istituzionali dell'Ente, a prescindere dall'avvenuto stanziamento delle somme nel bilancio. Basti ricordare che in numerosi precedenti la Cassazione ha accolto la tesi dell'Avvocatura sull'impignorabilit� dei crediti dei canoni nei confronti dell'Intendenza di Finanza per le quote sostitutive dell'IGE e dei mutui loro concessi dalla Cassa DD.PP. Nella sentenza che qui si annota, il collegio si � incidentalmente posto il problema dell'improponibilit� assoluta dell'azione esecutiva sui crediti pignorati e del conseguente difetto di giurisdizione dell'a.g.o., ritenendone l'insussistenza sulla scorta del principio espresso dalle Sez. Un. nella sentenza del 13 luglio 1979, n. 4071. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 208 Il ricorso non merita accoglimento. Sembra opportuno premettere, brevemente, che la decisione non involge alcuna questione di giurisdizione, poich�, in conformit� della pi� recente giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte (sez. un., 13 luglio 1979, n. 4071), deve ritenersi superato l'orientamento talora accolto, secondo il quale l'ostacolo alla esecuzione forzata rappresentato dalla natura del bene appartenente alla pubblica amministrazione aggredito dal privato con l'espropriazione promossa in virt� di una sentenza di condanna della stessa al pagamento di una somma di denaro, si risolve in improponibilit� assoluta dell'azione esecutiva, con il conseguente difetto di giurisdizione del giudice ordinario (sez. un., 12 ottobre 1971, n. 2863; 15 settembre 1977, n. 3986). Questo orientamento, al quale faceva riscontro quello accolto in pi� numerose sentenze, le quali :hanno affrontato e risolto lo stesso problema in sede di ricorso ordinario sotto il profilo della violazione di legge (Cass., 3 gennaio 1967, n. 1; 2 luglio 1969, n. 2428; 22 novembre 1966, n. 2783; 3 giugno 1978, n. 2768; 8 marzo 1979, n. 1464; 6 novembre 1978, n. 5096), � stato superato con la considerazione che la p.a., -di fronte ad una sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro, si trova in una situazione non diversa da quella di qualsiasi soggetto condannato a pagare, il quale risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti o futuri (garanzia comune dei suoi creditori secondo la espressione dell'art. 1949 cod. civ. 1865) a norma dell'art. 2740 cod. civ. ed � soggetto all'espropriazione forzata ove non esegua spontaneamente il comando contenuto nella sentenza (art. 2810 cod. civ.). E ci� perch� il pagamento in esecuzione della condanna � un atto dovuto, rispetto al quale all'amministrazione non residua alcun margine per una valutazione comparativa con un (non ben identificato) interesse pubblico ad esso con trapposto. In questa prospettiva, che muove da principi costituzionali o generali dell'ordinamento, i limiti all'espropriabilit� .dei beni dello Stato o dell'ente pubblico danno luogo a. questione di concreta possibilit� di esperire utilmente l'azione esecutiva, con riferimento alla natura dei beni staggiti, cio� a questione di pignorabilit� degli stessi deducibile in sede di opposizione all'esecuzione, ma non a questione di giurisdizione. Nella specie, trattandosi di crediti dell'Ente acquedotti siciliani riguardanti somme riscosse dall'esattore, a norma dell'art. 27 del r.d. 23 febbraio 1942, n. 369, in base a ruoli nominativi, per canoni dovuti ad esso ente per utenze d'acqua, esattamente � stata riconosciuta la impignorabilit� di essi per effetto della specifica destinazione del relativo gettito alle spese di manutenzione ordinaria, di esercizio e di ammortamento dei mutui ed a quelle generali di esso ente, stabilita dalla norma dell'arti colo 4 del d.lgs. 17 aprile 1948, n. 774. 1~ ~ ~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 209 Il Comune ricorrente non contesta il principio, affermato dai giudici del merito, secondo cui anche i crediti dell'ente pubblico non derivanti <la un rapporto di diritto pubblico possono essere sottratti all'espropriazione forzata per un vincolo legislativo che sancisca la destinazione delle -corrispondenti entrate all'espletamento di un pubblico servizio, ma nega �che nella specie, in mancanza di un apposito provvedimento amministrativo, ricorra quel vincolo di specifica destinazione dal quale soltanto consegue l'opposta impignorabilit� del credito staggito. Ora, per quanto riguarda l'assoggettabilit� ad esecuzione forzata dei -crediti della p.a., la giurisprudenza di questa Corte ha avuto occasione �di occuparsi del problema a proposito di quelli nascenti dall'esercizio di pubbliche potest�, cio� dei cosiddetti crediti pubblicistici o di diritto pubblico, come quelli derivanti da rapporti tributari (imposte, tasse e contributi), e, nel riconoscere che essi restano sottratti all'esecuzione coatta dei debitori dell'ente, perch� vincolati al raggiungimento delle pubbliche finalit� costituenti il presupposto e la ragione d'essere del potere in forza del quale sono imposti e riscossi (sez. un., n. 2863/71 cit.), ed in quanto sino alla completa loro realizzazione continua l'esplicazione della funzione pubblica e l'esercizio del potere ad essa inerenti (sez. un., n. 2428/69 dt.), ha talvolta affermato, in contrapposizione, ma come obiter dictum, che per i crediti traenti origine dai rapporti di diritto privato l'azione esecutiva � sempre ammissibile (v. sez. un., n. 2863/71 cit.), tranne che i proventi non assumano carattere di indisponibilit� in virt� di un provvedimento amministrativo che li destini al soddisfacimento di una finalit� pubblica (sez. un., n. 3986/77 cit.). Orbene, con riferimento ai crediti che qui interessano, relati\ti ad entrate pubbliche di diritto privato -in quanto aventi origine dalla riscossione dei canoni che rappresentano il corrispettivo della fornitura di acqua, pur se la regolamentazione della riscossione � retta da norme pubblicistiche -mentre non pu� ess�re negata, in via di principio, la possibilit� che, come si dir�, vengano sottratti all'espropriazione, non sembra tuttavia che questo risultato possa essere conseguito per mezzo di un provvedimento di destinazione, come il ricorrente ritiene sarebbe stato necessario. Al riguardo � stato esattamente rilevato in dottrina che nel nostro sistema positivo vige il.Principio che tutte le entrate, di qualsiasi natura, sono destinate a confondersi nel patrimonio finanziario dell'ente per essere, poi, devolute secondo gli stanziamenti predisposti, e che manca, in conseguenza, la possibilit� che un determinato credito venga destinato, come provvedimento dell'ente, ad uno scopo specifico tale da sottrarlo all'espropriazione. N� una specifica destinazione che valga ad attribuire il carattere di indisponibilit� pu� derivare dall'iscrizione del provento di natura privatistica nel bilancio dell'ente pubblico come destinato alla realizzazione di una finalit� pubblica (secondo quanto altra volta rite - 1 1:uri11&t111:11t111illrrrm1tMf%irfilrlt[:w1f&rrtmr11r@f!illr1r1*1fwt~1:rr~1:~1rni1mr1r1~~f1rr1mrf111~fiffifirirt@, 210 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO nuto: Cass., 3 gennaio 1977, n. 1; 20 marzo 1952, n. 755, in Foro it., 52, I, 707) poich�, come ha avuto modo di precisare questa Corte con il pi� recente orientamento gi� ricordato e meritevole di essere condiviso anche su tale questione, il bilancio non consente in alcun modo di collegare singole entrate a singole uscite e, pertanto, non pu� essere considerato come fonte di un vincolo di destinazione in senso tecnico di particolari somme, tale da sottrarle all'azione espropriativa dei creditori dell'ente pubblico (sez. un., n. 4071 del 1979 cit.). Tutto ci� non esclude, peraltro, che il regime di indisponibilit� e, quindi, di impignorabilit� di un credito non possa essere stabilito direttamente dalla legge, con la destinazione di esso alla soddisfazione di una specifica esigenza correlata all'espletamento di un pubblico servizio. Trattasi, tuttavia, di una destinazione che non consente di comprendere il credito stesso tra i beni patrimoniali indisponibili (artt. 828, 826 cod. civ.), al cui regime, connesso alla loro natura ed alla loro idoneit� alla immediata soddisfazione di specifici bisogni considerati di importanza sociale, esso non pu� essere sottoposto, ma che si sostanzia in un vincolo legale che ne fissa la destinazione per assicurare i mezzi necessari all'espletamento di un servizio pubblico e quindi per garantire il funzionamento di esso-e ne vieta la utilizzabilit� per qualsiasi altro scopo, sia pure rientrante nei fini istituzionali dell'ente. Nella specie, non pu� dubitarsi che ai canoni di utenza di acqua riscossi dall'esattore sulla base di ruoli trasmessigli dall'Ente acquedotti siciliani sia imposto-per legge un vincolo d'indisponibilit� che li rende impignorabili, in quanto essi individuati e separati dal complesso delle entrate dell'ente, sono specificamente destinati al soddisfacimento delle esigenze connesse al raggiungimento di alcuni soltanto degli scopi dell'ente medesimo, e precisamente di quelli che potrebbero qualificarsi primari. L'Ente acquedotti siciliani � stato, invero, istituito per provvedere in Sicilia ad un complesso coordinato di compiti consistenti nella costruzione di acquedotti in servizio di centri abitati; nel completamento di quelli in corso di costruzione a cura dello Stato, dei Comuni o dei consorzi; nella sistemazione di quelli esistenti; nell'esecuzione delle altre opere igieniche riconosciute indispensabili in connessione con la costruzione e l'esercizio degli acquedotti; nella manutenzione e nell'esercizio degli acquedotti ed opere connesse (art. 1 legge 19 gennaio 1942, n. 24) e, per il raggiungimento di tali scopi, � stato dotato di entrate costituite dalle somme ad esso assegnate, dalle entrate dei mutui di favore che esso � autorizzato a contrarre (artt. 1, 2, 3 d.lgs. 17 aprile 1948, n. 774), dal gettito dei canoni di utenza riscossi (art. 4 d.lgs. cit.), da eventuali contributi ricevuti (v. legge 10 agosto 1969, n. 617). In conclusione, poich� per assicurare il conseguimento degli scopi primari della manutenzione ordinaria, dell'esercizio degli impianti e del PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE mantenimento delle strutture organizzative dell'ente la legge individua tra le altre, per destinarle specificamente a tale scopo, le entrate costituite� dal gettito dei canoni di utenza, le stesse danno luogo a crediti, nei confronti dell'esattore incaricato della riscossione in base a ruoli nominativi (r.d. 23 febbraio 1942, n. 369), che non sono disponibili da parte dell'ente� se non per il raggiungimento di quelle determinate specifiche finalit� del pubblico servizio da esso gestito e risultano come tali impignorabili. Il vincolo legale di destinazione S!Jecifica �, pertanto, direttamente� costitutivo della indisponibilit� e, quindi, della impignorabilit� del credito di cui si discute. (omissis) SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA -CONSIGLIO DI STATO, Ad. PI., 7 aprile 1981, n. 2 -Pres. Pescatore, Est. Rosini -I.N.P.S. (avv. Guarino) c. !ovine ed altri (avv. Sorrentino) Appello avverso decisione T.A.R. Lazio III Sez. 11 giugno 1979, n. 481. lmpiego pubblico -Retribuzioni -Lavoro straovdinario -Dlpendenti l.N.P.S. -Criteri di liquidazione -Decorrenza -Fattispecie. Impiego pubblico -Competenza e giurisdizione -Retribuzioni -Interessi Corrispettivi e moratori -Giurisdizione amministrativa -Sussiste. Contabilit� pubblica -Crediti nei confronti dello Stato -Interessi -&-esupposti -Limiti -Impiego e ovdinazione di spesa -Irrilevanza -Effetti Estensione. Contabilit� pubblica -Crediti nei confronti dello Stato -Interessi -Decorrenza. Posto che, in difetto di espressa, diversa normativa specifica, il lavoro .straordinario deve essere compensato sulla base delle stesse tabelle retributive che costituiscono il presupposto dei criteri di retribuzione del lavoro ordinario, la misura del compenso di lavoro straordinario nel primo .semestre dell'anno 1976 per i dipendenti I.N.P.S. va determinata in base agli stipendi iniziali introdotti con la tab. all. 2 al d.P.R. n. 411 del 26 maggio 1976, con decorrenza dal 30 dicembre 1975, in applicazione di quanto .disposto dall'art. 37 del citato d.P.R. La questione concernente la liquidazione di interessi legali su retribuzioni dovute a dipendenti pubblici a seguito del giudizio di legittimit� di un atto o comportamento della p.a., nell'ambito di un rapporto di pubblico impiego, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, posto che .essa non prospetta questioni conseguenziali n� in ordine al danno dell'impiegato n� in ordine all'accertamento della colpa dell'Amministrazione, questioni queste che costituirebbero elementi ulteriori e indipendenti .rispetto al giudizio stesso (1). ~1-3) La decisione sd! distacca daihla precedente giurisprudenza consolidata nel senso che anche le controversie relative agli interessi moratori, involgendo �questJicmi concernenti i diratti patrimonfaili conseguen2iiiaili, dovevano rientrare neillla giul11sdizione deilil'a.g.o. I ,. f:~ i.i - PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 213 Il principio secondo cui la produttivit� di interessi, dei crediti vantati nei confronti dello Stato, ai sensi dell'art. 1282 cod. civ. prescinde dall'impegno e dalla ordinazione della spesa, e dalla assenza di contestazioni sull'an e sul quantum, non trova applicazione solo per gli interessi che maturano dalla scadenza del credito principale ma anche in tutti i casi in cui la p.a., non essendo tenuta a pagare entro un termine stabilito dalla legge (nel qual caso la decorrenza degli interessi andr� riferita alla scadenza del termine), � obbligata alla corresponsione degli interessi soltanto dalla domanda (2). Ove non risulti espressamente previsto per legge il termine entro il quale la p.a. deve provvedere al pagamento dei propri debiti e si tratti di obbligazioni senza termini di scadenza, la decorrenza degli interessi legali va fatta risalire alla data della domanda (3). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 10 marzo 1981, n. 244 -Pres. Santaniello Est. Riccio -Pontificio Istituto Missioni estere (avv. Boitani e Delli Santi) c. Comune di Roma (avv. Rago), Giovanardi (avv. Porzio e Giannini), Giberri ed altri (avv. Lavitola) e Regione Lazio ed altro (n.c.) -Appello avverso T.A.R. Lazio, II Sez., 20 novembre 1974, n. 53. Giustizia amministrativa -Impugnazione � Proposizione dell'appello � Rinuncia all'azione e agM effetti della sentenza di 1� grado da parte dell'appellato -Effetti sul giudizio di appello non ancora definito. _Ricorsi amministrativi � Ricorso straordinario � Rapporti con il ricorso giurisdizionale � Rinuncia agli effetti della decisione � Effetti sul ri� corso giurisdizionale proposto da un terzo avverso la decisione pronunciata sul ricorso straordinario. Ricorsi amministrativi � Ricorso straordinario � Provvedimento decisorio Art. 15 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 � App.licabilit� -Effetti J Impugnabilit� solo per revocazione � Effetti � Inammissibilit� di una impugnazione proposta per motivi di merito gi� valutati in sede di ricor>io straordinario � Sussiste. Qualora risulti presentata, da parte dell'appellato in sede di giudizio di impugnazione innanzi al Consiglio di Stato, proposto dal terza soccombente in primo grado, rinuncia formale all'azione e agli effetti della sentenza .impugnata e semprech� detta rinuncia intervenga prima della definizione ,del giudizio di appello, trattandosi di causa estintiva del giudizio il Consiglio di Stato dovr� limitarsi ad annullare senza rinvio la decisione di primo grado, ci� in applicazione di quanto espressamente disposto dal primo .comma dell'art. 34 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (1). (1-3) Le decisione pone 1n \Luce, fra ]'al1tro, roome fa nuova normativa, intro< lotta con la legge 6 dicembre 1971, n. 1034, non abbia affatto modificato istituti RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 214 Ove il ricorrente in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato abbia presentato formale rinuncia agli effetti della decisione resa sul ricorso, nessun effetto estintivo potr� svolgere detta rinuncia con riferimento ad un ricorso in sede giurisdizionale amministrativa, proposto da un terzo contro il provvedimento decisorio del ricorso straordinario,. trattandosi di un provvedimento amministrativo e non giurisdizionale, con conseguente inidoneit� della rinuncia agli effetti del medesimo, presentata dal soggetto diverso dal ricorrente in sede giurisdizionale, a configurare una ipotesi di annullamento senza rinvio, prevista solo per le decisioni giurisdizionali emesse in primo grado (2). Poich� l'art. 15 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, dispone che i provvedimenti decisori di ricorso straordinario al Capo dello Stato possono essere impugnati solo per revocazione e fermo altres� che, per consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, il provvedimento decisorio di un ricorso straordinario pu� essere impugnato, oltre che per revocazione, solo per vizi di procedura, va pronunciata la inammissibilit� del ricorso, proposto in sede giurisdizionale amministrativa avverso una decisione su ricorso straordinario, nel quale il ricorrente si sia limitato a formulare censure attinenti al solo merito della vertenza, censure che, come tali1 hanno gi� formato oggetto di valutazione in sede di ricorso straordinario (3). crune [a rinunziia, �l'acquiescenza e Ja perenzione, istituti intimamente connessi con il principio dell'impulso di parte, che rientrano senz'altro nella categoria delle cause estintive o impeditive del giudizio, che dimostrano, in particolare, il venir meno tdeihli'interesse ai! �ricorso e �Che conducono conseguentemente ali1a es1JiruJione del giudizio (clr. in termini Sez. IV, 21 ottobre 1980, n. 965, in Il Consiglio di Stato, 1980, I, 1925). Per quanrto concerne i 1lilruiti di impu~Illaibil!it� delJ.e dedsioni 1sui dcorsi straordinam cfr. OSi, 118 maggio �1972, n. 358, ivi, !1972, I, 1244; Sez. VI, 6 dicembre 1974, n. 409, ivi, 1974, I, 1698; Par. Ili Sez., 29 ottobre 1975, n. 840/75, ivi, 197'8, I, 1'580. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 10 marzo 1981, n. 245 -Pres. Chieppa Est. Lignani -Ministero grazia e giustizia (avv. Stato Ferri) c. Romano (avv. Caminiti), Claudiani (avv. Castellani), Cangianiello (avv. Improta) e Di Toro e altri (avv. Brusca) -Appello avverso T.A.R. Lazio, Sez. I, 19 dicembre 1979, n. 1062 e altre. Competenza civile -Rapporti di �pubblico impiego -Diniego di benefici combattentistici -Controversie -Giurisdizione del T.A.R. e del Consiglio di Stato -Sussiste. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 215 Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Pubblico impiego - Controinteressati -Uffiiciali giudiziari -Riconoscimento di benefici combattentistici -Cassa pensioni ufficiali giudiziari -Posizione processuale di controinteressata -Non sussiste. Impiego pubblico -Ufficiali giudiziari -Stato giuridico di impiegato dello Stato -Applicabilit� -Sussiste -Effetti ai fini del riconoscimento dei benefici combattentistici. Considerato che le controversie relative alla legittimit� dei provvedimenti di diniego dei benefici combattentistici concernono pur sempre .questioni relative al riconoscimento di particolari benefici connessi al rapporto di pubblico impiego e conseguenziali alla sua cessazione, le stesse -vanno devolute alla giurisdizione amministrativa generale dei T.A.R. e del Consiglio di Stato, non gi� a quella della Corte dei conti, giudice delle ,controversie in materia di pensione (1). Nei giudizi amministrativi in cui si verte del riconoscimento agli .ufficiali giudiziari dei benefici combattentistici di cui alla legge 336/1970 la Cassa pensioni degli Ufficiali Giudiziari non riveste� 1a posizione di controinteressata, trattandosi di controversie che solo in forma riflessa e indiretta .hanno effetti pensionistici e nelle quali, inoltre, i soggetti ricorrenti non fanno valere alcuna diretta pretesa nei confronti della Cassa stessa. In considerazione dello status giuridico rivestito dagli ufficiali giudi. ziari, i quali, pur con ordinamento particolare, hanno tutte le caratteristiche dell'impiegato dello Stato, agli stessi andranno riconosciuti i benefici combattentistici previsti dalla legge 24 maggio 1970, n. 336, a favore dei .dipendenti pubblici (2). (1.,2) Decisione che costituisce una uJ:teriore conferma delle caratte:niistiche -dello status degli ufficiali giudiziari, qualificato dai seguenti elementi che ne comprovano la natura di impiegati pubblici: 1) l'utente del servizio si rivolge .aili1'ufficio iimpersonailmente considerato, non al singolo funzionario; 2) mciascU!lla sede si ha un solo ufficio notifiche ed esecuzioni, ed � quindi esclusa la possibi�ldlt� delila esistenza di pi� uffici in regime da concorrenza nel!la stessa sede; 3) non � prevista, per il servizio reso, la corresponsione all'ufficiale giudiziario di un corris,'Pett�:vio ai1 medesimo direttamente des,tinato, ma di una vera e propria tassa :iin senso tecndico di cui � creditore l'erario e di cui 1Fufficiale g.iudiziainio � semplice depositario; l'eventuale richiesta o accettazione di compensi da parte dello stesso ufficiale giudiziario -precisa giustamente la motivazione della decisione all'esame -configurerebbe automaticamente il reato di concussione o di corruzione impropria. Cfr. in termini, per la estensione anche agli ufficiali giudiziari dei benefici combattentistici, da ultimo Sez. IV, 1� luglio 1980, n. 728, in Il Consiglio di Stato, 1980 I, 914. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 17 marzo 1981, n. 252 -Pres. Chieppa -Est. Grassi -Ministero lavori pubblici ed altro (avv. Stato Siconolfi} c. Impresa Vittorini (avv. Viola) ed altro (n.c.) -Appello avverso T.A.R. Abruzza, L'Aquila, 27 giugno 1979, n. 304. Contabilit� pubblica -Contratti -Interpretazione -Criteri -Intenzione comune dei contraenti -Art. 1362 cod. civ. -Applicabilit� -Sussiste. L'interpretazione dei contratti della pubblica amministrazione va condotta secqndo i criteri fissati dall'art. 1362 del codice civile e cio� accertando quale sia stata la comune intenzione delle parti, senza limitarsi al senso letterale delle parole usate, ma estendendo l'indagine anche al significato intrinseco delle parole stesse (1). (11) .Cfr. mtermdni Sez. III, P.ar. 24 gennaio 1968, �n. 36, illl Il Consiglio di Stato, 1%9, I, 471. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 24 marzo 1981, n. 279 -Pres. Santaniello Est. Trotta -Istituto Luso Farmaco d'Italia ed altri (avv. Sandulli e Lubrano) c. Ministero sanit� (avv. Stato Mataloni) -Appello avverso decisione T.A.R. Lazio, I. sez., 15 novembre 1978, n.... Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Provvedimenti impugnabili -Atti regolamentari -Criterio -Attualit� della lesione dell'inter: esse dedotto in giudizio -Necessit� dell'accertamento in concreto della lesione -Sussiste. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Provvedimenti im-� pugnabili -Atti regolamentari -Regolamenti del Ministero della Sanit� -Prodotti farmaceutici di nuova istituzione -Regolamento che disciplina l'esecuzione degli accertamenti della composizione e innocuit� dei prodotti -Lesione immediata -Non sussiste -Effetti -Im' pugnazione autonoma -Preclusione. Ai fini della impugnabilit� degli atti regolamentari va accertata inconcreto la sussistenza dei requisiti della attualit� della lesione dell'interesse dedotto in giudizio, attualit� della lesione non ipotetica o eventuale, ma riferita direttamente all'entit� e alle modalit� dell'incidenza effettuale (1). ('1-2) DeciJSione ,pienamente da condrividere, che costitulisce puntuale appilii.ca-� zione dei principi consofilda!Ui in tema di impugnazione deg!H atti regolamentarL PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 217 Il regolamento emanato dal Ministero della Sanit� ai fini di disciplinare l'esecuzione, da parte dell'Istituto Superiore di Sanit�, degli, accertamenti relativi alla composizione e innocuit� dei prodotti farmaceutici di nuova istituzione prima della sperimentazione clinica sull'uomo, non fissa norme dirette ad incidere in forma immediata e concreta nella sfera giuridica delle ditte produttrici di specialit� farmaceutiche, ma contiene solo una enunciazione di carattere definitorio delle ipotesi in cui l'Istituto � chiamato ad esercitare le sue attribuzioni in tema di siffatti accertamenti; e poich� la pretesa lesione della sfera giuridica delle ditte farmaceutiche riveste un carattere generico, ipotetico ed eventuale, ed inoltre poich� non pu� essere ritenuto idoneo ad assurgere ad interesse autonomamente protetto dall'ordinamento l'obiettivo perseguito da tali ditte di circoscrivere e� ridurre il campo di intervento dell'Istituto Superiore di Sanit�, resta preclusa la possibilit� della impugnazione autonoma del regolamento prima della adozione in concreto nei confronti di tali soggetti di eventuali atti applicativi del regolamento stesso da parte dell'Amministrazione (2). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 28 aprile 1981, n. 376 -Pres. Imperatrice Est. Gnoli -Corbino (avv. Lubrano e Russo) c. Ministero Difesa (n.c.) Appello avverso T.A.R. Lazio Sez. I, 21 settembre 1977, n. 821. Impiego pubblico -Procedimento disciplinare -Perenzione � Atti interrut�� tivi � Natura � Effetti. Impiego pubblico � Procedimento disciplinare � Contestazione degli addebiti � Inizio della procedura � Perentoriet� dei tennirni � Criteri -Limiti � Irrilevanza del ritardo dalla data del fatto. La normativa contenuta nell'art. 120 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3,. attribuisce efficacia preclusiva della estinzione del procedimento disciplinare al compimento di uno degli atti espressamente contemplati dalla legge, essendo irrilevante a tale fine il carattere interno o meno dell'atto (1). Del tutto legittimamente la pubblica amministrazione pu� aprire un procedimento disciplinare a carico di un proprio dipendente anche se sia decorso molto tempo dalla data in cui i fatti addebitati risultano commessi, essendo sufficiente che il procedimento disciplinare, in conformit� a quanto disposto dall'art. 97 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, sia iniziato entro ir termine di 180 giorni dalla sentenza penale che ha accertato l'esistenza de[ fatto illecito (2). (l-2) Decisione esatta e pienamente da condividere. Cfr. in termini Sez. IV,.. 20 apr1le 1971, n. 453, in Il Consiglio di Stato, 1971, I, 728. 218 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 7 aprile 1981, n. 140 -Pres. Daniele -Est. Trotta -Ministero beni culturali ed altro (avv. Stato Braguglia) c. Comune di S. Felice Circeo (avv. Cervati) -Appello avverso decisione T.A.R. Lazio, Sez. Il, 21 maggio 1980, n. 350. :Demanio -,Demanio storico artistico -Tutela dei beni culturali -Attribuzione esclusiva -Soprintendente -Ambito dei destinatari -Pubbliche amministrazioni -Estensione � Sussiste. �Giustizia amministrativa � Ricorso giurisdizionale � Atto impugnabile . Atto di mera comunicazione � Impugnabilit� 'autonoma . Preclusione. 'Giustizia amministrativa � Ricorso giurisdizionale . Poteri del giudice � storico-artistico � Accertamento � Criteri � Competenza del Soprlintendente � Estensione � Limiti � Conseguenze. Giustizia amministrativa � Ricorso giurisdizionale � Poteri del giudice � Limiti � Incompetenza dell'Autorit� emanante � Effetti dell'annullamento � Indagine sugli altrli motivi � Esclusione � Necessit�. Rientra nella diretta competenza funzionale del Soprintendente ai .monumenti l'esercizio del potere cautelare previsto dall'art. 6 della legge 1� giugno 1939 n. 1089; detto potere cautelare va esercitato indistintamente -nei confronti dei proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni culturali, ivi comprese le pubbliche amministrazioni che risultino .avere in uso o in consegna le cose mobili o immobili (anche di propriet� statale) che posseggono i requisiti richiesti dalla legge per essere sottoposte .alla particolare disciplina dei beni storico-artistici (1). La mera comunicazione illustrativa di un provvedimento gi� adottato non riveste la natura di atto provvedimentale e, come tale, non pu� formare .oggetto di impugnativa autonoma in sede giurisdizionale amministrativa (2). Spetta al Soprintendente ai monumenti, all'atto della emanazione dei _provvedimenti di sua competenza, procedere all'accertamento della esistenza ~1-4) Deoi1sione cli indubbio interesse, che conferma, fra :l'ahro, la assOl1uta kri!levanza, rispetto '~'potere cautela'I'e spettante ail Soprintendente \per i beni :storico-artistici a norma deLL'art. 6 ~egge 11089/1939, dehlra natura giuridica del bene il quale -indipendentemente dal regime di appartenenza che lo carattemzza -vmene sottoposto dalla J;egge a ,tutela diretta e immediata �con esdusd;yo riiferimeillto ai1 peet.iliare interesse artistico, storico e cu1tur;aile che presenta�; ci� i111 reLazione OO!a specifica .ratio del potere di sospensione, che 'si identifica nella esigenza di gam111rmre il!a conservazione, mtegrit� e sicurezza de.ile cose, tdp:�ICa �espressdcme del principio di autotutela amministrativa che deve potersi affermare ~ndipendentemente dai] regime che discipJina ~ beni dli :r>ropri<et� del!JJ.o Stato, e ci� sulla esatta considerazione che la specialit� di tale regime da sola non � idonea a salvaguardare il profilo artistico e storico che caratterizza detti beni. Quanto, mveoe, aili profilo ricogni1livo de1l'i111teres1se suili piano dela1a afferma... ~zione del v:ailore monumentale di un bene in via generale, l'atto diretto ad accer PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 219 dell'interesse storico-artistico dei beni automaticamente soggetti, ai sensi dell'art. 4 della legge 1� giugno 1939 n. 1089, alla speciale disciplina di tutela in quanto appartenenti ad enti pubblici; quando inwce il provvedimento ricognitivo dell'interesse storico-artistico riveste carattere autonomo ed � volto a sancire il valore monumentale o artistico del bene in via generale, indipendentemente dalla esigenza in concreto di provvedimenti cautelari o autorizzatori, la competenza all'emanazione del medesimo � del Ministro per i beni culturali i:: ambientali, non gi� del Soprintendente, con conseguente esigenza di impugnativa autonoma nei termini di decadenza stabiliti dalla legge qualora se ne assuma la illegittimit� e si voglia conseguentemente eliminarne gli effetti (3). Una volta che sia stato ritenuto fondato il motivo della incompetenza dell'Autorit� che ha emanato il provvedimento impugnato in sede giurisdizionale, il giudice amministrativo non deve procedere all'esame degli altri motivi di gravame essendo divenuta irrilevante ogni questione relativa alle determinazioni contenute nel provvedimento annullato (4). tare siffatta natura si risolve in un atto provvediiimentlai1e, avvel1So dt1 quale pu� essere proposta impugnativa, nei ['imd,tl di decadem;a stabmti dahla legge, e che, conseguentemente e come tale, non pu� che rientrare nella competenza esclusiva del Min:iJStro per :i beni cU!LturailJi e ambientali, non gi� dei suoi organi perifel'ici (Soprintendenza): ci� in rela2!ione .aJlla implicita abroga7lione intervenuta, per effetto dehl'entrata in v�igore dehla fogge �1089/19~, relativamente agli artt. 53 e 54 dcl regolamento 30 gennaio 1913, n. 363, .per ila parte �!ll cui si tprevedeva che re notificazioni di importante interesse storico, artistico o archeologico potessero essere promosse sia dal Ministro che dai Soprintendenti o da chi legalmente ne faceva Je veci (cfr. in particolare secondo comma art. 53). R. TAMIOZZO CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 24 aprile 1981, n. 151 -Pres. Daniele Est. Frascione -Parrella (avv. Violante) c. Ministero pubblica istruzione (avv. Stato Vitucci) -Appello avverso decisione T.A.R. Campania 5 aprile 1978, n. 332. Demanio -Demanio storico-artistico -Vincolo di bene culturale -Vincol�' indiretto -Trascrizione -Necessit� -Omissione -Effetti. Demanio -Demanio storico-artistico -Vincolo di beni culturali -Viincolo indiretto -Trascrizione -Necessit� -Nota di trascrizione -Formalit� Esigenza di osservare le prescrizioni fissate dall'art. 2665 cod. civ. Violazione -Conseguenze. I vincoli indiretti di tutela dei beni culturali, previsti dall'art. 21 .della legge 1� giugno 1939, n. 1089, debbono essere trascritti: tale obbligo costituisce condizione di operativit� del vincolo e pertanto, ove risulti la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 220 mancanza o la omissione della trascrizione, il vincolo stesso non � operativo (1). Poich� la legge 1� giugno 1939, n. 1089, all'art. 21 estende al settore dei vincoli indiretti di tutela monumentale l'istituto della trascrizione quale � previsto nell'ordinamento civilistico, va ritenuta la nullit� della nota di trascrizione eseguita in violazione di quanto disposto dall'art. 2665 cod. civ., e pi� precisamente qualora risulti mancante l'indicazione della paternit�, <> della data di nascita, e conseguentemente insorga incertezza assoluta circa la persona o le persone alle quali la trascrizione dovrebbe essere riferita (2). (1-2) Sulrla probliemart:ica relativa ai cmteri I�IIlterpretativi del valore della trascrizione ,ari fini di una va1rida costituzione del vincolo d� tuteilia indiretta, of<r. Ad. ~K 9 Juglio ,t,968, n. 21, ,fui Il Consiglio di Stato, 1968, I, 11.149; Sez. VI, 10 novembre 1964, n. 801, ivi, 1964, I, 2048; Sez. VI, 9 maggio 1956, n. 299; ivi, 1956, I, 750; Sez. VI, 10 ottobre 1956, n. 619, ivi, 1956, I, 1250; Sez. VI, 20 maggio 11977, n. 438, ivi, 11977 I, 864. In reil�azione ail:l'ambifto di apipLicab:iiliirt:� dehl'art 2665 cod. civ., giover� ricordare che lia trascrizione � affetta da nuililrit� ognriqualvolitiai ilia omissione o la inesistenza di ,alcune dclle indicazioni previste dagli artt. 2659 e 2660 cod. civ. comporti moertezza suilile persone, sul bene e ,sul rapporto giuridico cui l'atto si riferisce. Sugli effetti della mancata indicazione della data e luogo di nascita, omissioni' che producono incertezza assoluta drca ila persona curi ~a trascrizione si riferisce e ffia conseguente nuhlri1:� dehla trascrizione stessa ofr. Oa,ss., 21 maggio 1979, n. 2902, in Foro It. Repertorio, 11979, 2591, voce � T<raiscrizione �, n. 22. Nel caso di 1:;:pecie, :H Consii~io di Start:o, '8JCCertato che ila trascrizione del vmcooo ex art. 21 Jegge ,1089/1939 era 'stata a suo tempo richiesta contro un. soggetto indicato soJo con iil nome e cognome, ha ann~art:o il provvedimento� impugnato non per difetto di motil\Tazione ma -ed esa,ttamente -per difetto� <lei presuppostri legali. R. TAMIOZZC> SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 maggio 1980, n. 3122 -Pres. Sposato Est. Battimelli -P. M. Valente (conf.) -Zarcone c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Pierantozzi). Tributi in genere -Accertamento tributario � Rapporto giuridico di imposta � Disponibilita da parte del soggetto passivo � Ammissibilit� � Omessa eccezione di verificata decadenza -Rilevabilit� di ufficio Esclusione. (cod. civ., artt. 2968, 2969). Tributi in genere � Contenzioso tributario � Poteri del giudice � Rilevabilit� di ufficio � Decadenza concernente gli atti del processo � Sussiste Decadenza concernente atti estranei al processo -Non sussiste. L'obbligazione tributaria, di natura pubblicistica, � indisponibile nel senso che la pubblica amministrazione non 19u� disporre del potere-dovere di imposizione ed � tenuta ad applicare sempre le imposte nella misura prevista dalla legge, ma ci� non esclude che il soggetto privato possa rinunciare ad esperire tutti i rimedi contro l'esercizio del potere di imposizione e possa non eccepire l'avverata decadenza dalla potest� di accertamento e di riscossione; il giudice di conseguenza non pu� rilevare di ufficio la decadenza non eccepita a norma dell'art. 2969 cod. civ. (1). Il giudice pu� rilevare di ufficio la decadenza relativa all'azione innanzi ad esso proposta, ma non la decadenza relativa agli atti estranei al processo o che costituiscono oggetto della decisione di merito; non pu� di conseguenza il giudice rilevare di ufficio la decadenza dal potere di iscrizione dell'imposta a ruolo (2). (omissis) La censura sollevata contro la riconosciuta inammissibilit� dell'eccezione di decadenza dell'amministrazione per tardiva iscrizione a ruolo non merita accoglimento. (1-2) Decisione esattissima di evidente interesse. La disponibilit� dell'obbligazione da parte del soggetto passivo � rilevante anche per la determinazione degli effetti di quegli atti precipuamente dispositivi, come la dichiarazione, che non possono essere considerati inconciliabili con la natura legale dell'obbligazione (per una affermazione in tal senso v. Cass., 24 aprile 1979, n. 2318, in questa Rassegna, 1980, I, 361 con nota critica di C. BAFILE). Di rilievo anche la seconda massima che stabilisce il limite della rilevabilit� di ufficio delle decadenze facendo ricorso alla distinzione tra errores in precedendo, in senso stretto, e legittimit� degli atti preprocessuali che d� luogo ad una questione di merito. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Esattamente, infatti, la Corte di merito ha escluso la rilevabilit� d'ufficio di detta eccezione ai sensi dell'art. 2969 cod. civ., n� gli argomenti addotti a sostegno del ricorso possono scalfire l'esattezza di tale decisione. Per l'art. 2968 cod. civ., invero, le parti non possono modificare la disciplina legale della decadenza n� rinunziare ad essa se la decadenza � stabilita in materia sottratta alla disponibilit� delle parti; l'art. 2969, in applicazione di detto principio generale, stabilisce che il giudice pu�, in materia sottratta alla disponibilit� delle parti, rilevare d'ufficio le cause di improponibilit� dell'azione. E' evidente come detta normativa non riguardi il caso di specie, per un duplice ordine di considerazioni. Anzitutto, seppure la materia tributaria attiene ad obbligazioni nascenti ex lege e di contenuto pubblicistico, ci� non significa che tutta la relativa disciplina, ivi compresa quella dei rimedi giurisdizionali contro l'esercizio del potere di imposizione, sia sottratta alla disponibilit� delle parti. Mentre la pubblica amministrazione, infatti, non pu� disporre del potere-dovere di imposizione, ed � tenuta ad applicare sempre in ogni caso le imposte, nella misura prevista dalla legge, il privato contribuente, al contrario, non � tenuto ad esperire i rimedi, e tutti i rimedi possibili, contro l'esercizio del potere di imposizione, ben potendo prestare acquiescenza ad una imposizione illegittima o contrastarla solo sotto alcuni profili, e non sotto altri; e ci� appunto � avvenuto nel caso di specie, in cui lo Zarcone ha contestato, innanzi alle commissioni tributarie prima, ed alla Corte d'appello poi, l'esercizio del potere di imposizione deducendo alcune questioni di illegittimit�, esclusa quella di decadenza, tardivamente sollevata: il che rientrava pienamente nelle sue facolt�, cos� come vi rientrava l'eventuale totale acquiescenza alla pretesa impositiva; n�, vertendosi in materia di accertamento di legittimit� dell'operato dell'amministrazione, bastava denunciare genericamente l'illegittimit� dell'imposizione, facendo carico al privato che agisca per far dichiarare la legittimit� dell'atto denunziare gli specifici motivi e le concrete ragioni di illegittimit�, mentre non spetta al giudice ricercare comunque, fuori della concreta causa petendi, qual-. siasi ragione di illegittimit� dell'atto. Inoltre, il potere di rilevabilit� d'ufficio della decadenza, attribuito al giudice dall'art. 2969 cod. civ., attiene unicamente alle cause di improponibilit� dell'azione innanzi a lui proposta; e nel caso di specie l'eccezione non riguardava certamente la tempestivit� o meno dell'azione, ma la tempestivit� dell'attivit� dell'Amministrazione, ossia qualcosa di assolutamente diverso, e non involgeva certo questioni di errores in procedendo, bens� unicamente questioni di merito circa la validit� dell'avvenuta iscrizione a ruolo, questioni, quindi, che il giudice non poteva esaminare d'ufficio. (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 223 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 maggio 1980, n. 3270 -Pres. Mirabelli Est. Sgroi -P. M. Caristo (conf.) -Del Frate (avv. Del Frate) c. Ministero delle Fnanze (avv. Stato Carbone). Tributi erariali diretti -Soggetti passivi -Liquidatore di societ� -Responsabilit� personale -Presupposti. (t.u. 29 gennaio 1978, n. 645, art. 265). La responsabilit� personale del liquidatore di societ� di capitale ex art. 265 del t.u. delle imposte dirette, presuppone soltanto l'esistenza di attivit� sociali e l'omessa destinazione di esse al pagamento di debiti tributari; detta responsabilit� � ex lege e non richiede gli estremi della colpa (1). (omissis) Il ricorso dell'avv. Del Frate � basato su due motivi: la falsa applicazione dell'art. 265 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, e il difetto di motivazione in ordine all'esistenza di pretese attivit� da accantonare. Il ricorrente lamenta, col primo motivo, che la sentenza impugnata, sia pure richiamandosi a Cass., 29 ottobre 1974, n. 3259, si � attenuta ad un'interpretazione � esasperata � dei concetti in essa espressi, affermando che, per non incorrere nella responsabilit� derivante da una sua condotta colposa il liquidatore dovrebbe, al primo sintomo di esistenza di una pretesa fiscale -anche se ritenuta infondata e formulata a puro titolo cautelativo -sospendere ogni pagamento e chiedere il fallimento della societ�, ove non gli fosse possibile accantonare le somme occorrenti a soddisfare �l'assurda pretesa in pectore dell'Amministrazione�. Secondo il Del Frate, cos� pronunciando la Corte d'Appello non ha considerato che il liquidatore assume nei confronti dei suoi mandanti un obbligo di eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia, obbligo che sarebbe violato se, nell'ipotesi accennata, egli chiedesse il fallimento della societ�. Invece, secondo il ricorrente, la condotta colposa di cui all'art. 265 del t.u. del 1958 deve concretarsi in una condotta in cui possa ravvisarsi una colpa ragionevolmente comune e non gi� ridotta ad un concetto minimo, consistente nel prevedere tutto il prevedibile non previsto, anche a costo di incorrere, chiedendo il fallimento della societ�, in assai pi� gravi responsabilit� nei confronti dei propri mandanti. Il motivo � infondato. Come riconosce il ricorrente nella memoria, la pi� recente giurisprudenza di questa Corte ha negato (cfr. sentenze (1) Ancora una riconferma dell'orientamento affermato con le sentenze '6 luglio 1977, n. 2972 e 14 marzo 1978, n. 1273, in questa Rassegna, 1977, I, 699 e 1979, I, 478. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 224 6 luglio 1977, n. 2972; 14 marzo 1978, n. 1273) che la responsabilit� prevista dall'art. 265 del t.u. n. 645 del 1958 sia fondata sul dolo o sulla colpa degli amministratori o liquidatori, come requisito da accertare autonomamente al di fuori degli elementi obiettivi della sussistenza di attivit� nel patrimonio della societ� in liquidazione e della distrazione di tali attivit� a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute. Si tratta di una obbligazione ex lege, di cui il liquidatore � responsabile secondo le norme comuni degli artt. 1176 e 1218 cod. civ. (delle cause di esonero da responsabilit� si tratter� nell'esame del secondo motivo di ricorso). Pertanto, la sentenza impugnata � sufficientemente sorretta (a prescindere dalla questione della colpa del liquidatore nel non aver previsto il presumibile ammontare delle imposte dovute dalla societ�) dall'accertamento che -dopo il primo avviso di accertamento del dicembre 1961 -il bilancio societario riportava attivit� per una somma superiore all'intero ammontare delle imposte di <iui � stato chiesto il pagamento al liquidatore e che tali attivit� sono state impiegate in pagamenti diversi. In tal modo, la Corte del merito ha accertato l'esistenza degli unici elementi obiettivi che erano rilevanti al fine del decidere, secondo la retta interpretazione dell'art. 265 del t.u. del 1958. Col secondo motivo l'avv. Del Frate lamenta che la Corte d'appello abbia trascurato di considerare, tenuto conto della consistenza patrimoniale della societ� risultante dai bilanci, quale potesse essere il prevedibile buon fondamento di una pretesa fiscale formulata in via cautelativa, pi� nell'intento di interrompere eventuali prescrizioni che nel convinci� mento dell'esistenza di redditi imponibili e, soprattutto, ha mancato di considerare che le poche attivit� di bilancio (quelle del 31 dicembre 1962) furono, per la quasi totalit�, impiegate per il soddisfacimento di altre pretese fiscali. Anche questo motivo � infondato, sotto entrambi i profili dedotti. Per quanto attiene al primo, richiamato quanto gi� detto circa la non necessit� di un separato requisito di �colpa del liquidatore�, ne discende che l'indagine -di cui il ricorrente lamenta la mancanza -non doveva essere fatta. Da un canto, invero, la sussistenza ed entit� di un debito societario per imposte dirette definitivamente accertate nei confronti della societ�, non possono essere poste in contestazione, neppure in via incidentale, nella controversia fra i liquidatori e l'Amministrazione finanziaria istituita ai sensi dell'art. 265 del t.u. del 1958 (Cass., 14 marzo 1978, n-: 1273). Dall'altro canto, il liquidatore non pu� portare, a prova della sua mancanza di responsabilit� (ex artt. 1176 e 1218 cod. civ., richiamati per l'adempimento dell'obbligazione ex lege a suo carico) le risultanze di quegli stessi bilanci che sono state definitivamente accertate come non vere nella controversia fiscale fra l'ufficio delle imposte dirette e della Societ�. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Posto che,. infatti, come risulta dalla narrativa in fatto, le imposte �del cui pagamento si faceva carico all'avv. Del Frate si riferivano tutte a periodi nei quali egli era stato liquidatore (nominato nel 1957) e coinvolgevano anche i bilanci degli anni successivi, fino a quelli del 1964 e 1965 che il Del Frate invece sosteneva essere chiusi in perdita, � evidente che in sede fiscale erano stati accertati utili sottoposti all'imposta di r.m. ed alla conseguente imposta sulle societ�. All'amministrazione finanziaria il Del Frate non poteva opporre una presunzione di veridicit� dei bilanci redatti nei periodi della sua gestione liquidatoria, quando tale presunzione. era stata gi� definitivamente vinta dagli accertamenti fiscali iscritti a ruolo a carico della Societ� per gli stessi periodi. L'irrilevanza �della questione della prova dedotta rende quindi irrilevante quel punto in ordine al quale il Del Frate lamenta l'omissione di indagini da parte della Corte del merito, perch� il punto non � affatto decisivo, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. Quanto al secondo preteso vizio di motivazione sulla destinazione delle attivit� sociali, esso non sussiste non solo per la gi� indicata insufficienza della prova (bilanci della societ�, gi� definitivamente contestati in sede �di accertamenti fiscali divenuti definitivi a carico della societ�), ma anche perch�, in sede di merito, la questione era stata posta in termini diversi da come nel ricorso per cassazione si pretende che fosse stata posta. Infatti, tanto in primo grado che nell'atto d'appello, il Del Frate aveva sostenuto che gli unici pagamenti di cui doveva rendere conto, per sottrarsi alla responsabilit� fatta valere dall'Intendente di Finanza, erano quelli successivi all'iscrizione a ruolo dell'imposta sulle societ� dell'anno 1957, iscritta nel secondo ruolo del 1964, ed aveva quindi dedotto che negli esercizi sociali del 1964 e del 1965, �non vi era stata alcuna attivit� che non fosse stata impiegata dal liquidatore per il pagamento di altri debiti fiscali o di altre spese non dilazionabili, quali il pagamento delle rate di mutuo o le spese generali indicate in bilancio� (cos�, testualmente, si esprime l'atto di appello). La Corte d'appello ha invece ritenuto che dovessero essere presi in considerazione anche i periodi precedenti al 1964, purch� successivi al primo accertamento fiscale, notificato il 29 dicembre 1961. Tale limitazione apposta dalla Corte del merito (in coerenza col presupposto della necessit� della ricerca di una colpa positiva del liquidatore che questa Corte Suprema non ritiene necessaria), per i limiti istituzionali dell'esame di legittimit�, non pu� superarsi, ma ci� nonostante la motivazione del giudice d'appello � sufficiente. Infatti, � stata ritenuta esattamente rilevante, per accertare il requisito della distrazione delle attivit� della societ� a fini diversi dal pagamento delle imposte dirette presidiate dalla responsabilit� di cui all'art. 265 del t.u. del 1958, la prova, risultante dalle stesse deduzioni del Del Frate, che nel 1962 e nel 1963 egli aveva effettuato pagamenti non destinati a quell'impiego dovuto; che negli anni successivi RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO lo stesso Del Frate aveva ammesso di aver continuato a pagare � rate di mutuo ed altre spese generali non dilazionabili� e che al 31 dicembre 1962 vi erano attivit� sufficienti per il pagamento delle imposte di cui si contende in questa causa. Di fronte al generico assunto dedotto dall'appellante (che non prendeva in considerazione, come invece avrebbe dovuto, i pagamenti del 1962 e del 1963; che si basava su una documentazione -i bilanci societari -inopponibile in sede fiscale all'Amministrazione; che non indicava le somme precise dei pretesi pagamenti di rate di imposte dirette; che ammetteva di aver continuato ad effettuare, anche nel 1964 e 1965, dei pagamenti extrafiscali), la motivazione della Corte d'appello � adeguata, in relazione ai punti rilevanti in causa. Infatti, partendo dai dati certi dell'esistenza di attivit� sufficienti a pagare le imposte, nonch� della continuazione dei pagamenti extra:fiscali per tutto il periodo dal 29 dicembre 1961 alla chiusura del bilancio finale di liquidazione, la Corte del merito ha accertato, in fatto, con valutazione incensurabile e congruamente motivata, che il liquidatore non ha accantonato, avendone la disponibilit�, le somme sufficienti a pagare le imposte. In tal modo ha affermato l'esistenza dell'altro requisito obiettivo che la giurisprudenza di questa Corte ritiene necessario per l'esistenza della responsabilit� di cui all'art. 265 del t.u. del 1958: la distrazione di attivit� sociali sufficienti a pagare le imposte dirette per fini diversi dal pagamento delle medesime imposte. Tale distrazione � stata infatti affermata quando la Corte del merito ha testualmente rilevato che il Del Frate, effettuando i pagamenti che non avrebbe dovuto eseguire per tutto il periodo considerato, dal 1962 in poi (e non solo per gli anni 1964 e 1965, come pretendeva l'appellante) �non � stato in grado di fronteggiare il debito tributario >>, per un comportamento volontario e colposo che -a maggior ragione -non lo esonerava dalla responsabilit� per l'obbligazione legale gravante sul liquidatore. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 maggio 1980, n. 3306 -Pres. Mirabelli -Est. D'Orsi -P. M. Del Grosso (conf.). -Ingeborg c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico). Tributi in genere -Accertamento -Notificazione -Irregolarit� � Potere della commissione di ordinare la rinnovazione � Termine gi� scaduto Ammissibilit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 21). La rinnovazione della notificazione nulla (ma non inesistente) dell'atto di accertamento pu� essere ordinata dalla commissione a norma PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARI�\ 227' dell'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, anche dopo la scadenza det termine (1). (omissis) Con l'unico mezzo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 24 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in. relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ. e sostiene che la previsione dei suddetti articoli relativa al potere concesso alle Commissioni tributarie� di disporre la rinnovazione della notificazione dell'atto dell'ufficio impugnato con il conseguente impedimento di ogni decadenza, .->ussisterebbe solo nel caso in cui non sia ancora decorso il termine utile per l'azione accertativa. Nel caso in cui, come quello di specie, tale termine fosse gi� de-corso, la norma non potrebbe trovare applicazione. Il ricorso � infondato. La Commissione Centrale, dopo aver premesso che la notificazione dell'avviso di accertamento doveva ritenersi nulla perch� l'atto era stato. consegnato alla vicina di casa, senza specificare tale qualit� e senza. darne avviso alla destinataria con lettera raccomandata, ha ricordatoche gli artt. 21 e 24 del d.P.R. n. 636 del 1972 prevedono rispettivamente che le commissioni di primo e di secondo grado, allorch� rilevano un. vizio di notificazione comportantene la nullit�, fissano un termine non superiore a tre mesi per rinnovare la notificazione stessa, termine che: impedisce ogni decadenza, e, siccome nella specie tale rinnovazione non. era stata disposta, ha, invocando l'art. 29 secondo comma, rimesso la. causa ad altra sezione della Commissione di primo grado. Queste argomentazioni sono condivise dall'Avvocatura, la quale, per�,. si limita nel controricorso a richiamare le decisioni in tale senso della. Commissione centrale. (1) La decisione, di evidente esattezza, � importante anche perch� modifica. l'orientamento restrittivo precedentemente affiorato. Che l'art. 21, avesse lo scopodi ammettere la sanatoria con efficacia �ex tunc della notificazione tentata, ma non riuscita utile, risulta chiaro dalla norma; la stessa regola che, in applicazione dell'art. 291 cod. proc. civ., � sempre stata ritenuta valida per gli atti del processo � stata estesa ad un atto, quale l'accertamento, preprocessuale,. ma che del processo � momento essenziale. Precedentemente la sentenza 10 novembre 1979, n. 5789, in Foro it., 1980, I, 1034, aveva ritenuto che la Commissione Centrale non potesse far applica-� zione dell'art. 21 (essendo il rinvio previsto soltanto per rinnovare il giudizio sulla valutazione estimativa) che doveva ritenersi operante soltanto nei due-gradi di merito. Oggi invece, pur lasciando da parte la questione se la Commissione Centrale debba direttamente rinviare al primo grado ordinando la. rinnovazione della notifica ovvero rinviare al secondo grado che a sua volta ordiner� la rinnovazione con un ulteriore rinvio, non si dubita che anche in. terzo grado debba trovare applicazione la regola dell'art. 21. 228 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Va innanzi tutto precisato che non formano oggetto di ricorso la ritualit� della rimessione alla Commissione di primo grado e i limiti di applicazione dell'art. 29, il cui richiamo � fatto solo al secondo comma dell'art. 24 (irregolare contraddittorio in primo grado) e non anche .al primo comma (relativo alla fissazione del termine per la rinnova. zione della notifica). Non � quindi esaminabile il quesito se la Commissione centrale, in virt� dei poteri di riesame che istituzionalmente le -competono, pu� essa stessa fissare il termine per la rinnovazione della notificazione (com'� previsto per la commissione di secondo grado), oppure se, invece, debba rinviare per tale adempimento. Ci� che deve decidersi ora � unicamente la questione se la rinnovazione della notificazione possa essere disposta solo quando non sono .ancora decorsi i termini per l'atto di accertamento o in ogni caso. La soluzione nel senso propugnato dall'Amministrazione appare in, dubbia. L'atto di accertamento mal notificato non esaurisce il potere impositivo dell'Amministrazione tributaria e questa, allorch� si avveda di tale errore di notifica (se il termine per l'accertamento non � ancora decCorso) pu� rinnovare la notificazione medesima senza autorizzazione al �cuna. L'eventuale pendenza del giudizio di opposizione all'atto mal notificato, non � di ostacolo a tale adempimento. Neppure l'eventuale de, cisione sfavorevole all'Ufficio sarebbe di impedimento ad una spontanea ripetizione delle notificazioni dell'atto impositivo, perch� la deci. sione riguarderebbe la sola nullit� della notificazione e non anche il fatto costitutivo del debito d'imposta. La norma, se avesse la limitata portata affermata dalla ricorrente, :sarebbe inutile, laddove � corretto canone ermeneutico interpretarla .nel senso in cui abbia una sua prevista finalit� e utilit�. Ma se la norma operasse solo quando il termine per la notifica del1' atto di accertamento non � ancora decorso, non avrebbe neppure senso la limitazione a tr;e mesi del nuovo termine per rinnovare la notifica: zione. Ci sarebbe una limitazione del potere dell'ufficio che se spiegabile nel senso di non appesantire la durata del processo, non avrebbe in ogni caso correlazione con la precisazione che la rinnovazione impe �disce ogni decadenza. Del pari eccessivamente riduttrice della portata della norma appare la tesi che la norma medesima si riferisca all'ipotesi in cui la irregolarit� della notificazione sia rilevata nell'imminenza della scadenza del termine fissato dalla legge per l'atto impositivo, talch� vi sarebbe una proroga di tale termine, che raggiungerebbe i tre mesi nel solo caso in -cui l'irregolarit� fosse rilevata nell'ultimo giorno utile per l'imposizione tributaria, altrimenti la proroga sarebbe minore. Tanto questa interpretazione quanto la precedente non tengono conto <lella realt� della durata dei tempi di giudizio davanti alle commissioni PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tributarie, ben nota al legislatore, talch� il voler presumere che non solo il giudizio di primo grado, ma anche quello di secondo grado si esauriscano nei tempi relativamente brevi previsti per l'imposizione tributaria, lascerebbe ben poco margine di operativit� alle norme in parola. Ma decisiva per la soluzione della questione � la distinzione (costante nella giurisprudenza di questa Corte, cfr. sent. 20 dicembre 1977, n. 5591; 12 novembre 1977, n. 4915; 14 febbraio 1975, n. 591; 5 marzo 1973, n. 598) tra nullit� e inesistenza della notificazione. Per i casi di nullit� della notificazione questa Corte, applicando il principio dell'art. 291 cod. proc. civ. relativo alla contumacia anche al giudizio di appello e a quello di cassazione, ha ritenuto la possibilit� di disporre la rinnovazione della notificazione nulla, ancorch� i termini per impugnare siano decorsi, con conseguente operativit� della sanatoria .ex tunc. Non per�, quando la notificazione debba considerarsi inesi: stente. Trasportando questi princ�pi nel campo del contenzioso tributario .appare che gli artt. 21 e 24 del d.P.R. n. 636 del 1972 debbano essere interpretati nel senso che la rinnovazione della notificazione (nulla) delTatto impositivo nell'ulteriore termine non superiore a tre mesi debba �essere disposta proprio quando il termine per notificare l'atto impositivo sia scaduto. In tal senso le norme sono state interpretate dalla Commissione �centrale. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato. (omissis) �CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 maggio 1980, n. 3431 -Pres. Mirabelli -Est. Sandulli -P. M. Grossi (conf.). -Soc. F.I.C. (avv. Mattei Gentili) c. Ministero del Tesoro (avv. Stato Tarin). "Tributi in genere -Repressione delle violazioni -Pena pecuniaria -Prescrizione -Decorrenza -Atti interruttivi -Verbale di accertamento Interruzione con effetto istantaneo -Sospensione del procedimento fino all'esito di giudizio penale -Non interrompe. (legge 7 gennaio 1929, n. 4, artt. 3 e 17) . "Tributi in genere -Repressione delle violazioni -Pena pecuniaria -Provvedimento di irrogazione -Natura dichiarativa. La prescrizione quinquennale del diritto alla riscossione della pena pecuniaria decorre dal momento della commessa violazione, se pure il pagamento non pu� essere domandato prima della emanazione del provvedimento che ne determina la misura; la prescrizione � interrotta, solo con effetto istantaneo, dal verbale di accertamento o da altri eventuali atti del procedimento con i quali l'Amministrazione manifesta il pro. vosito di perseguire il suo credito, ma non dal provvedimento di carat 230 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO tere interno con il quale si sospende il procedimento sanzionatorio in: attesa di giudizio penale (1). Il procedimento sanzionatorio avente la funzione di accertare l'in frazione, individuarne l'autore e determinare la misura della sanzione ha natura dichiarativa (2). (omissis) Con il primo, la societ� ricorrente -denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 17 della legge 7 gennaio 1929, n. 4; 1368 e segg.; 2934 e 2943 cod. civ.; nonch� l'insufficienza della motivazione -si duole che la Corte di rinvio abbia assegnato efficacia interruttiva della prescrizione del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria inflitta per violazione valutaria al provvedimento del Ministro del Tesoro di sospensione del procedimento amministrativo di accertamento della infrazione in attesa dell'esito del giudizio penale promosso a carico dell'amministratore unico della societ�, sostenendo che tale provvedimento, operando esclusivamente � nell'ambito processuale �, e non mirando ad ottenere il soddisfacimento del credito, non sarebbe stato idoneo a costituire in mora il trasgressore. Con il secondo, la ricorrente -denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2934, 2943 e 2945 cod. civ., nonch� l'insufficienza e la contraddittoriet� della motivazione -lamenta che la Corte del merito abbia attribuito al cennato provvedimento di sospensione del procedimento amministrativo efficacia interruttiva permanente fino all'esito del giudizio penale. Con il terzo, la societ� ::_ denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 295, 296, 298 cod. proc. civ. e 2943, 2945 cod. civ., nonch� la insufficienza e la contraddittoriet� della motivazione -as (1-2) Riallacciandosi alla sentenza 3 aprile 1978, n. 1502 (in questa Rassegna,. 1978, I, 593) la S.C., con ampia analisi, riafferma l'effetto meramente istantaneo della interruzione della prescrizione operata dall'accertamento. La statuizione pu� considerarsi ormai irreversibile. Sulle premesse enunciate, era necessaria conseguenza l'affermazione che l'atto di sospensione del procedimento sanzionatorio in attesa della definizione di giudizio penale, come atto interno di interesse dell'Amministrazione, non interrompe la prescrizione. Resta per� confermato che nei procedimenti amministrativi di tipo giustiziale l'atto introduttivo� interrompe la prescrizione con effetto durevole fino all'emanazione del provvedimento pronunciato in posizione neutrale dall'autorit� amministrativa. La seconda massima, che pure si riconnette alla menzionata sentenza n. 1502 del 1978, afferma in termini forse troppo assoluti la natura dichiarativa del provvedimento sanzionatorio (non sembra che possa escludersi un effetto costitutivo della parte del provvedimento che stabilisce discrezionalmente la misura della pena pecuniaria); � per� importante che il credito per pena pecuniaria, allo stesso modo di quello per imposta, sorga al momento della commessa violazione (ed � per questo che pu� prescriversi) per effetto della legge e del fatto presupposto; se ne dovrebbero trarre le conseguenze in tema di interessi. t ~ ~~~ 1:: k; I=' r ............ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA sume che -non sussistendo alcuna connessione fra i fatti costituenti l'illecito penale e quelli relativi all'infrazione valutaria -fosse inefficace ai fini dell'interruzione della prescrizione, in quanto illegittimo, il provvedimento di sospensione del procedimento amministrativo. Con il quarto, la ricorrente -denunciata la violazione degli artt. 17 <lella legge 7 gennaio 1929, n. 4, 2943 e 2945 cod. civ. -sostiene che il provvedimento di sospensione del procedimento amministrativo -an<: he se idoneo ad interrompere, con efficacia istantanea, il corso del termine prescrizionale -non sarebbe valso ad evitare la maturazione <lella prescrizione. La censura, articolata nei riassunti motivi, � fondata. La Corte di rinvio -dopo avere rilevato che la Corte Suprema, in :sede rescindente, aveva affermato che l'obbligazione nascente a carico <lel trasgressore dall'infrazione di norme valutarie ed avente come contenuto il pagamento di una somma a titolo di pena pecuniaria aveva natura di obbligazione civile, sul riflesso che, a norma del richiamo dell'art. 3 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, operato dall'art. 3 del r.d.l. S dicembre 1938, n. 1928, costituissero illeciti amministrativi le violazioni delle norme per le quali sorgeva, per il trasgressore, l'obbligazione �di pagare una somma a titolo di pena pecuniaria a favore dello Stato, �e che la prescrizione del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria irrogata, decorrente dal momento della consumazione dell'infrazione valutaria, veniva interrotta, con effetto istantaneo, dalla �comunicazione al trasgressore del verbale di accertamento dell'infrazione, in quanto questa, essendo volta ad ottenere il soddisfacimento del .credito, era idonea a realizzare una valida costituzione in mora del trasgressore, ed avere osservato, inoltre, che, costituendo oggetto di esame da parte della Corte di cassazione esclusivamente il problema dell'effiecacia istantanea o permanente della interruzione della prescrizione operata con l'atto introduttivo del procedimento amministrativo (parteci- pazione al trasgressore del verbale di accertamento dell'infrazione valutaria) era rimasto estraneo al dibattito in sede di legittimit� il problema della efficacia interruttiva dei successivi atti del procedimento :amministrativo -ha statuito che il termine prescrizionale, il quale .aveva ripreso a decorrere dal giorno della comunicazione al trasgres sore del verbale di accertamento -non incidendo questa sul corso della prescrizione per l'intera durata di essa -fosse nuovamente interrotto dal provvedimento con il quale il Ministro del Tesoro aveva so: speso il procedimento amministrativo in attesa del giudizio penale promosso a carico dell'amministratore unico della societ�, rivelando tale provvedimento, attraverso l'intento dell'ampliamento delle indagini sul fatto illecito, la volont� dell'amministrazione di ottenere il soddisfacimento del diritto alla riscossione della pena pecuniaria. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Secondo l'opinione della Corte di rinvio, quindi, la prescrizione deI diritto alla pena pecuniaria prevista per l'infrazione valutaria sarebbe rimasta interrotta in conseguenza del provvedimento ministeriale di so-� spensione del procedimento amministrativo di accertamento dell'infrazione fino all'esito del giudizio penale promosso per la stessa violazione~ con la conseguenza che il quinquennio prescritto per la prescrizione non sarebbe maturato al momento della irrogazione della pena pecuniaria. Secondo la tesi della ricorrente, invece -non potendo assegnarsi al provvedimento di sospensione del procedimento amministrativo alcuna efficacia interruttiva della prescrizione, in quanto lo stesso, operando esclusivamente � nell'ambito processuale�, non sarebbe stato idoneo a costituire in mora il trasgressore, ed avendo il provvedimento di sospensione al pi� efficacia interruttiva istantanea (e non continuativa) -la. prescrizione si sarebbe largamente maturata al momento della emissione del provvedimento di imposizione della sanzione amministrativa pecuniaria. Fra le due posizioni questa Corte ritiene che debba condividersi la. tesi della ricorrente. Il problema proposto � se, a norma della legislazione previgente, in materia di trasgressioni valutarie (legge 7 gennaio 1929, n. 4, norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie; r.d.l. 12 maggio 1938, n. 794; norma per l'accertamento delle trasgressioni in materia valutaria; r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928; norme per la repressione delle violazioni delle leggi valutarie) la prescrizione quinquennale del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria prevista per le infrazioni valutarie sia (o meno) interrotta dal provvedimento del Ministero del Tesoro di sospensione del procedimento amministrativo� per l'accertamento dell'illecito valutario e la determinazione della san-� zione pecuniaria in attesa dell'esito del giudizio penale promesso per lo stesso fatto integrante l'illecito valutario, imputabile, oltre che come illecito amministrativo all'ente societario, come illecito penale (in quanto rivestito dei requisiti del reato) al rappresentante legale di esso. Corollario � il quesito se, nell'ipotesi positiva, l'interruzione originata dal cennato provvedimento sospensivo abbia efficacia istantanea o continuativa fino alla conclusione del giudizio penale. Nel vigore della legislazione previgente del 1929 e 1938 le violazioni delle norme valutarie -contrariamente alle previsioni della at-� tuale normativa (d.l. 4 marzo 1976, n. 31, convertito in legge 30 aprile� 1976, n. 159; legge 23 dicembre 1976, n. 863), secondo cui le infrazioni valutarie hanno perduto la configurazione amministrativa per assumere� quella di illeciti penali -costituivano illeciti amministrativi, per i quali erano previste ed irrogate sanzioni pecuniarie, si che essi, determinando� a carico dei trasgressori obbligazioni pec�niarie aventi natura civile, erano imputabili (come gli illeciti civili) anche alle persone guridiche.. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 2H Per l'accertamento di tali illeciti e per la determinazione delle pene pecuniarie � previsto dal r.d.l. 12 maggio 1938, n. 794 un procedimento� amministrativo (indispensabile per l'emissione del provvedimento di irrogazione della pena pecuniaria),. inquadrabile fra i procedimenti sanzionatori, nei quali l'esercizio della potest� punitiva (applicativa di sanzioni) � affidata all'amministrazione pubblica (essendo lo Stato-amministrazione abilitato ad accertare e punire le infrazioni qualificabili come illeciti amministrativi). Tale procedimento sanzionatorio (ad iniziativa pubblica, su denuncia. di tipo processuale penale: relazione di un ufficio di polizia tributaria) va meglio classificato fra i procedimenti amministrativi sanzionatori contravvenzionali, attinenti ad illeciti amministrativi conformati, in quanto� rivestiti degli stessi elementi costitutivi, secondo il modello dei reati contravvenzionali puniti con l'ammenda. In esso -articolato in una pluralit� di fasi procedimentali ed introdotto con il verbale di accertamento dell'infrazione valutaria, redatto� dall'Ufficio Italiano dei cambi e notificato al trasgressore con la fissazione di un termine per la presentazione di deduzioni scritte, e svolgentesi, attraverso la rimessione degli atti, insieme ad una relazione� illustrativa alla commissione consultiva istituita presso il Ministero del Tesoro e l'emissione del parere da parte di quest'ultima, sino a concludersi con l'atto finale costituito dal decreto del Ministro del Tesoro determinante la misura della pena inflitta per la trasgressione -lo Stato-amministrazione, investito della medesima potest� punitiva esercitata nel magistero penale (derivante allo Stato-comunit� della potest� sovrana), opera, non nell'esercizio di una funzione giurisdizionale, ma per la realizzazione -nell'esplicazione del potere di autotutela -di interessi pubblici ricompresi nell'area funzionale affidata ai suoi compiti, applicando direttamente le sanzioni previste dall'ordinamento giuridico per le ipotesi di violazioni in materia valutaria. L'autorit� amministrativa si presenta, quindi, nella descritta com plessa fattispecie procedimentale non in posizione neutra di terzista, ma in qualit� di titolare dell'interesse pubblico leso dal trasgressore e della. situazione giuridica soggettiva tesa alla riscossione della somma dovu tale da quest'ultimo a titolo di sanzione pecuniaria. Per modo che il cennato procedimento, anche se strutturato in forma. contenziosa -essendo consentito all'interessato di prospettare le pro prie ragioni prima che l'autorit� decidente adotti il provvedimento con clusivo -deve considerarsi diretto -non essendo volto a decidere una lite -ad attuare, con il provvedimento conclusivo, determinato della pena pecuniaria, esclusivamente l'interesse dello Stato-amministrazione. �, quindi, alla luce della natura e della struttura del delineato pro cedimento sanzionatorio, che va considerata l'influenza di esso e degli :234 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEU.O STATO atti intervenienti nel suo corso sulla prescrizione del diritto dello Stato .alla riscossione della pena pecuniaria. Al riguardo, va, innanzi tutto, osservato come, in base alla norma -contenuta nell'art. 3, comma, 2, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, richia. mata dall'art. 3 del r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928, l'obbligazione di :pagare allo Stato una pena pecuniaria per infrazione valutaria sorga a �.carico del trasgressore nel momento in cui la violazione sia commessa, e come, in base all'art. 17, primo comma, richiamato dallo stesso art. 3 �del cit. r.d.l. n. 1928 del 1938, la prescrizione del diritto dello stato alla riscossione della pena pecuniaria cominci a decorrere dal giorno della <Commessa violazione. E ci� sul duplice presupposto che il procedimento sanzionatorio di: sciplinato dal r.d.l. n. 1928 del 1938 abbia natura dichiarativa, e non �costitutiva (avendo esclusivamente la funzione di accertare l'infrazione �valutaria, di individuarne l'autore e di determinarne la misura della san: zione), e che la prescrizione, incidendo esclusivamente sul diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria (e non alla irrogazione della .sanzione), decorra non dalla data del provvedimento sanzionatorio; ma -dal giorno in cui l'illecito amministrativo sia stato commesso (cfr. �Cass., 3 aprile 1978, n. 1502, in motivazione); ed in conformit� del prin- cipio sancito nell'art. 2947 cod. civ., secondo cui -stabilendosi che la prescrizione del diritto al ristoro del danno derivante da fatto illecito �decorre dal giorno in cui il fatto si � verificato -la decorrenza della _prescrizione non postula l'accertamento del diritto, ma presuppone sol �tanto che sia sorto, anche se, trattandosi di un diritto di credito, il mancato accertamento di esso nell'an e nel quantum impedisce al suo titolare di esigere dal debitore l'immediato adempimento della presta:. zione che ne costituisce il contenuto. L'impossibilit� in cui si trova lo Stato di riscuotere coattivamente �dal trasgressore la somma dovutagli a titolo di pen_a pecuniaria, prima �che il procedimento sanzionatorio sia concluso, non impedisce, quindi, �che la prescrizione del diritto alla riscossione cominci a decorrere dal _giorno in cui, essendo stata commessa l'infrazione, il diritto � sorto. Per modo che la circostanza che lo Stato debba portare a termine �il procedimento sanzionatorio prima di poter esigere coattivamente la riscossione della pena pecuniaria non pu� influire in alcun modo sulla --decorrenza della prescrizione. N� vale in contrario il principio sancito dall'art. 2935 cod. civ., se ��condo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto pu� essere fatto valere, in quanto -non avendo tale principio una �portata assoluta e generale -l'impossibilit� dell'esercizio del diritto, .cui la legge attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza -della prescrizione, � soltanto quella derivante da cause giuridiche che '.ostacolano l'esercizio del diritto (ad esempio, la mancata scadenza di I ! . . ! I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA un termine iniziale o il mancato avverarsi di una condizione sospensiva) e non comprende anche gli impedimenti soggettivi e gli ostacoli di mero fatto (salvo che essi non integrino una delle cause di sospensione tassativamente previste dalla legge), come quelli che trovino la loro causa nell'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto (purch� essa, non sia determinata da un comportamento doloso imputabile al soggetto interessato a far valere la prescrizione) e nel ritardo con cui egli proceda ad accettarlo. Inoltre, va rilevato come la pendenza del procedimento sanzionatorio non comporti l'interruzione per tutta la durata di esso della prescrizione del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria, non potendo assimilarsi a tali effetti, l'atto d'iniziativa del procedimento sanzionatorio all'atto introduttivo di un procedimento� giurisdizionale o al ricorso amministrativo con cui si promuove un procedimento giustiziale, in quanto -mentre questi danno luogo a procedimenti contenziosi diretti alla decisione di una lite, la cui durata non pu� risolversi in un pregiudizio per l'attore ed in cui l'effetto interruttivo permanente si presenta come uno degli effetti sostanziali della domanda -l'atto di iniziativa del procedimento sanzionatorio -posto in essere mento conclusivo, ma appartenente allo stesso plesso organizzatorio da un organo diverso da quello competente ad adottare il provvedida luogo ad un procedimento amministrativo, diretto alla tutela di un interesse pubblico leso dall'illecito amministrativo e rientrante nella ..fora funzionale del cennato complesso organizzativo. Per modo che -verificandosi l'interruzione della prescrizione del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria per infrazione valutaria, in conseguenza dell'atto d'inizio del procedimento sanzionarorio. con efficacia istantanea, e non continuativa (permanente) (cfr., in tal senso, Cass., sent. 3 aprile 1978, n. 1502) -il problema residuale da risolvere � se, nel corso del procedimento amministrativo per l'accertamento delle infrazioni valutarie e l'irrogazione delle pene pecuniarie, possano individuarsi atti idonei a costituire in mora il debitore (con efficacia interruttiva istantanea o continuativa), e cio� a portare a conoscenza del debitore la richiesta di adempimento o comunque a partecipare al trasgressore la volont� dello Stato-creditore di ottenere il soddisfacimento del diritto alla riscossione della pena pecuniaria. Trattasi, quindi, di stabilire se, nel corso del cennato procedimento, ricorrano atti successivi al verbale di accertamento della violazione valutaria comunicato al trasgressore, idonei a determinare la costituzione in mora di quest'ultimo, rendendogli nota la volont� dello Stato di far valere il proprio diritto di credito, ed, in particolare, se l'efficacia interruttiva della prescrizione del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria sia attribuibile al provvedimento del Ministro del Tesoro di sospensione del procedimento sanzionatorio in attesa dell'esito del giu RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 236 dizio penale promosso, per la stessa infrazione valutaria, a carico del rappresentante legale della persona giuridica (societ�), al quale -a differenza dell'illecito amministrativo che va ascritto all'ente -va impu�tato all'illecito penale. La durata del procedimento amministrativo sanzionatorio, volto a. soddisfare un interesse esclusivo dello Stato-amministrazione, dipende unicamente dalla iniziativa della pubblica Amministrazione, titolare del. diritto ed unica interessata a veder soddisfatta la propria pretesa creditoria, dal che la conseguenza che il corso del cennato procedimento non pu� essere in alcun modo influenzato dalla eventuale pendenza di vrocedimenti giurisdizionali che siano instaurati a causa del medesimo fatto, ove questo, oltre che come illecito amministrativo, sia configurato come altro tipo di illecito (ad esempio, illecito penale). E gli atti compiuti dalla pubblica amministrazione nell'ambito del. procedimento amministrativo sanzionatorio possono ritenersi idonei ad interrompere il corso della prescrizione soltanto quando valgano a par-tecipare al trasgressore l'intenzione dello Stato di mantenere in vista il. diritto creditorio ed a neutralizzare la presunzione (originata dall'iner.,. ia) di rinuncia al diritto che sta alla base della prescrizione. Invero -data la tassativit� delle cause interruttive della prescrizione, giustificata dalle finalit� di ordine pubblico perseguite -l'effetto� interruttivo della prescrizione pu� ricollegarsi esclusivamente agli atti del procedimento sanzionatorio che, portati a conoscenza del trasgressore, possano valere come atti di costituzione in mora, � in quanto di-retti ad ottenere il soddisfacimento del credito (anche se questo sia. privo dell'indicazione della sua precisa entit�). Fra gli atti di costituzione in mora del trasgressore non pu�, quindi,. rie<omprendersi il provvedimento, dovuto all'iniziativa della pubblica amministrazione, di sospensione del procedimento amministrativo sanzionatorio (in attesa dell'esito del giudizio penale promosso per lo stesso fatto) all'esclusivo fine di venire in possesso di ulteriori dati ed elementi d'indagine, utili per l'istruttoria amministrativa, in quanto il provvedimento ordinatorio della sospensione della fattispecie sanzionatoria -operando esclusivamente all'interno dell'ambito del procedimento am-ministrativo, finalizzato, in via preparatoria e prodromica, alla irrogazione della sanzione pecuniaria, senza determinare alcun riflesso esterno nell'area delle sfere giuridiche di soggetti estranei all'amministrazione non vale ad esplicare effetti nel campo dei rapporti di diritto sostan-ziale, intercorrenti fra la pubblica amministrazione ed altri soggetti, in. quanto -non essendo portato a loro conoscenza -non � idoneo a partecipare l'intento dello Stato-creditore di ottenere il soddisfacimentodella pretesa creditoria e di non rinunciare, quindi, alla stessa. E -trattandosi della sospensione di un procedimento amministrativo, promosso con un atto d'iniziativa della pubblica amministrazione,. ... .. �� 1 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 237 e non di un procedimento giurisdizionale o giustiziale, instaurato con un ricorso al giudice amministrativo o con un atto diretto all'autorit� amministrativa gerarchicamente sovraordinata non ricorre alcuna ragione di pregiudizialit�, tesa a sollecitare la preventiva decisione (da parte del giudice competente) di una questione, risolvibile con autonoma pronuncia, la cui soluzione sia potenzialmente idonea alla definizione del giudizio. , Pertanto, deve escludersi che possa assegnarsi efficacia interruttiva della prescrizione (sia istantanea che permanente) al provvedimento ordinatorio di sospensione del procedimento amministrativo sanzionatorio, emesso ad iniziativa della pubblica amministrazione nel suo esclusivo interesse per esclusivi fini interni amministrativi. E -dovendosi, quindi, risalire, nella fattispecie sanzionatoria, ai fini della determinazione della maturazione della prescrizione, all'effetto interruttivo dell'atto d'inizio del procedimento amministrativo, costituito dal verbale di accertamento dell'infrazione valutaria comunicato al trasgressore -deve procedersi, nell'ulteriore corso del processo, all'indagine accertativa se il provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa sia stato adottato, nel caso di specie, dopo oltre cinque anni dal compimento dell'ultimo atto interruttivo e, essendosi prescritto il diritto dello Stato a riscuotere la pena pecuniaria, oggetto della sanzione amministrativa irrogata per l'infrazione valutaria, il trasgressore possa dedurre che la stessa non sia dovuta. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 in.aggio 1980, n. 3436 -Pres. Sandulli -Est. Gualtieri -P. M. Catelani (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo) c. Soc. Lanificio Risaliti. Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile . Redditi di impresa � Danni di guerra -Detrazione del costo dei beni ricostruiti � Sopravvenienze attive � Recupero di somme ammesse in detrazione per ammortamento dei beni ricostruiti � Esclusione. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 83 e 100; d.!. 22 dicembre 1946, n. 626, art. 2; legge 27 dicembre 1963, n. 968, art. 66). L'indennizza dei danni di guerra subiti da impianti industriali non costituisce reddito tassabile agli effetti dell'imposta di ricchezza mobile nemmeno quando per la ricostruzione degli impianti danneggiati siano stati portati in detrazione in precedenti esercizi quote annuali di ammortamento (1). (1) La motivazione della sentenza sopra riportata non ha affrontato direttamente il problema controverso. Le norme particolari sui danni di guerra non hanno molto val"re, perch� d'un canto non � necessaria una norma specifica 238 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con l'unico motivo, denunciando violazione degli artt. 81, 98, 100 t.u. 21 gennaio 1958, n. 645, 6 r.d.l. 27 maggio 1946, n. 436, modificato dall'art. 1 d.l.c.p.s. 22 dicembre 1946, n. 626, e dell'art. 66 legge 27 dicembre 1953, n. 968, in relazione all'art. 360, n. 3 codice di rito, l'Amministrazione ricorrente deduce che, pur essendo esatto, in via generale, che gli indennizzi e i contributi per danni di guerra costituiscono un provento a titolo di capitale non soggetto all'imposta di R.M., nel caso di specie, essendo stati gli indennizzi e i contributi liquidati a favore di un imprenditore commerciale che aveva ricostruito i cespiti danneggiati e aveva, quindi, portato in detrazione nel suo bilancio le quote annuali di ammortamento, dal fatto che il contributo per danni di guerra fosse stato liquidato dopo il compimento dell'ammortamento nasceva il problema non gi� di tassare il contributo stesso, bens� le somme detratte a titolo di ammortamento. Secondo la ricorrente, a norma dell'art. 2 d.l.C.p.S. 22 dicembre 1946, n. 626, che ha modificato l'art. 6 del d.l. 27 maggio 1946, . n. 436, ed � rimasta in vigore anche dopo l'emanazione della legge 27 dicembre 1953, n. 968, le indennit� corrisposte a titolo di danni non si considerano redditi, ma, ai fini degli ammortamenti, gli indennizzi vanno detratti dal costo dei beni ricostruiti. Inoltre, ai sensi dell'art. 100 c.p.v. t.u. I.I.D.D. del 1958, quando vengano recuperate a qualsiasi titolo somme ammesse in detrazione in precedenti eserCizi, si ha una sopravvenienza attiva che concorre a formare il reddito; se, quindi, un imprenditore abbia dedotto dall'attivo le quote di ammortamento per la ricostruzione per sottrarre all'imposizione gli indennizzi dei danni di guerra che sono entrate a titolo di capitale, dall'altro la mancata riproduzione nella legge sui danni di guerra 27 dicembre 1953, n. 968, della norma dell'art. 2 del d.l.C.p.S. 22 dicembre 1946, n. 626, non esclude che la corresponsione di indennizzi per danni di guerra, non tassabili in quanto tali, possa dar luogo indirettamente all'emersione di un reddito della impresa sotto forma di recupero di passibilit� gi� ammesse in detrazione. Il problema si incentra sulla sussistenza di sopravvenienza allorch� a fronte dell'esposizione nel passivo del bilancio di quote di ammortamento del costo del ripristino di un bene strumentale danneggiato (per fatto di guerra o per altra causa) sopravviene l'indennizzo o il risarcimento dei danni. Questi indennizzi o risarcimenti non sono redditi come tali, ma dopo che si � ottenuto un indennizzo (dallo Stato per i danni di guerra, o allo stesso modo da un privato o da una assicurazione per risarcimento) pu� essere ancora giustificata la detrazione delle quote di ammortamento del costo della riparazione di quegli stessi danni? Questo problema non � stato realmente affrontato. La S.C. si � limitata a considerare che seguendo la tesi dell'Amministrazione si giungerebbe a conseguenze assurdamente contrastanti a seconda che l'indennizzo sia erogato prima e dopo della riparazione. Ma � chiaro che se l'indennizzo viene percepito prima della ricostruzione, non sarebbero evidentemente detraibili le quote di ammortamento del costo della riparazione, cio� di un onere non sostenuto; PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 239 di impianti danneggiati e successivamente consegua una reintegrazione del danno a qualsiasi titolo, la reintegrazione ottenuta come capitale non � reddito, ma devono, tuttavia, essere tassate come sopravvenienza le quote di ammortamento; diversamente sarebbe esente da imposta non soltanto il contributo, ma anche la somma detratta per ammortamento. MOTIVI DELLA DECISIONE La complessa censura � priva di fondamento. Devesi premettere che l'art. 6 del d.l. 27 maggio 1946, n. 436, stabiliva che le indennit� corrisposte dallo Stato a titolo di risarcimento dei danni di guerra sub�ti dalle imprese industriali, commerciali e agricole non si dovevano considerare reddito agli effetti dell'imposta di R.M. L'esclusione era giustificata dalla considerazione che tali indennit�, costituendo il corrispettivo di beni distratti o danneggiati, erano dirette ad integrare il patrimonio leso dei soggetti cui appartenevano. Senonch�, al citato art. 6 venne aggiunto con l'art. 2 d.l. C.p.S. 22 dicembre 1946, n. 626, un altro comma, con il quale si stabil� che, agli effetti degli ammortamenti, le indennit� per i danni di guerra dovevano essere sottratte dal costo dei beni ricostruiti. Tuttavia, la successiva legge 27 dicembre 1953, n. 968, che ha disciplinato ex novo la materia della concessione di indennizzi e contributi per danni di guerra, ha espressamente previsto, all'art. 66, che i con- e proprio in coerenza con questo principio deve farsi ricorso alla sopravvenienza quando l'indennizzo sopravvenga in periodi di imposta successivi a quelli (ormai chiusi) nei quali fu ammessa una detrazione ormai divenuta senza titolo. Per giungere alla conclusione stabilita nella sentenza si dovrebbe dimostrare che in nessun caso il pagamento di un indennizzo influisce sull'ammortamento del costo del ripristino, che cio� l'imprenditore ha diritto di esporre le stesse passivit� per rate di ammortamento, abbia o meno ricevuto un indennizzo o un risarcimento. Su questa via si � posta altra recente pronunzia esaminando la analoga questione se i contributi (non indennizzi) dello Stato o di altri enti pubblici erogati in conto capitale (non tassabili in quanto tali a norma dell'art. 83 del t.u. del 1958) debbano o meno essere dedotti dal costo ammortizzabile dei beni acquistati con il contributo (Cass., 7 gennaio 1980, n. 76, in questa Rassegna, 1980, I, 623). Questa conclusione non pu� essere condivisa, come si � avuto modo di rilevare; ina ancor meno sostenibile appare l'indifferenza rispetto all'ammortamento degli indennizzi ed altri risarcimenti che non sono considerati affatto nell'art. 83 del t.u. e che costituiscono invece un'ipotesi tipica di sopravvenienza come definita nell'art. 100. La condizione di colui che abbia ripristinato i beni danneggiati senza ottenere indennizzi o risarcimenti non pu� essere sul piano tributario identica a quella di colui che � stato reintegrato nel danno sub�to. C. BAFILE RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 240 tributi concessi m applicazione della legge non sono soggetti all'im posta di R.M., n� all'l.G.E., senza riprodurre, quindi, la limitazione di cui al detto comma aggiunto. Questo, pertanto, contrariamente a quanto sostiene l'Amministrazione finanziaria, deve ritenersi non pi� applica bile, anche perch� l'art. 75 della citata legge del 1953 ha espressa mente stabilito che le precedenti norme con essa incompatibili o ad essa contrarie devono intendersi abrogate. Orbene, se per stabilire l'indetraibilit� degli ammortamenti dei beni ricostruiti col contributo dello Stato si dovette introdurre nella legisla zione relativa al risarcimento dei danni di guerra una norma speciale, � evidente che, senza di essa, gli ammortamenti sarebbero stati detraibili. D'altra parte, i contributi in parola rientrano nella previsione dell'art. 83 del t.u. n. 645 del 1958, ora abrogato, secondo cui non sono soggetti all'imposta di R.M. i contributi di ogni genere pagati dallo Stato o da altri enti pubblici che non costituiscano concorso in spese .di produzione o passivit� detraibili. Consegue che non pu� negarsi l'in tassabilit�, da un lato, degli indennizzi e dei contributi in parola, e la detraibilit�, dall'altro, degli ammortamenti dei beni acquistati con i contributi stessi. N� vale invocare, come fa la ricorrente per sostenere la tesi della indetraibilit�, la norma dell'art. 100, secondo comma, del t.u. del 1958, per la quale, quando vengono recuperate a qualsiasi titolo somme am messe in detrazione in precedenti esercizi si ha una sopravvenienza attiva che concorre a formare il reddito. La stessa ricorrente, infatti, riconosce che, in via generale, gli inden nizzi e i contributi per danni di guerra costituiscono un provento a .titolo di capitale non soggetto all'imposta di R.M. �anche indipendentemente da norme espresse di esclusione >>, ammettendo cos� che non si tratta di proventi a titolo di reddito imponibile, ma poi precisa che quando l'im prenditore abbia ricostruito i cespiti danneggiati ed abbia, quindi, por tato in detrazione nel suo bilancio le quote annuali di ammortamento, dal fatto che egli abbia ricevuto il contributo per danni di guerra desti nato alla ricostruzione dei cespiti danneggiati, come � avvenuto nella fattispecie, nasce il problema non gi� di tassare il contributo, bens� le somme detratte a titolo di ammortamento. Cos� ragionando, la ricorrente finisce per distinguere, ai fini della esenzione in parola, l'ipotesi in cui l'imprenditore riceve i contributi prima della ricostruzione dei cespiti danneggiati e l'ipotesi in cui egli li riceve successivamente. Orbene, una distinzione del genere, ai fini della intassabil�t� o meno dei contributi, oltre ad essere in contrasto con la normativa fiscale vigente in tema di concessione di indennizzi e contributi per danni di guerra, la quale non fa differenza tra contributi ricevuti dall'imprendi tore prima della ricostruzione dei cespiti danneggiati e contributi rice i ~ I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 241 -vuti successivamente, finisce per ammettere nella prima ipotesi la tassabilit� dei contributi e la detraibilit� degli ammortamenti dei beni acqui- stati con i contributi stessi e per negarle, invece, nella seconda ipotesi, -creando cos�, a parit� di condizioni, una irragionevole disparit� di trattamento, che il legislatore non ha certamente voluto. Pertanto, appare fuor di luogo il richiamo alla norma dell'art. 100, secondo comma, del citato t.u., e va disattesa l'applicabilit� del principio, invocato dalla ricorrente, secondo cui, quando vengono recuperate a qualsiasi titolo somme ammesse in detrazione in precedenti esercizi, si ha una sopravvenienza attiva che concorre a formare il reddito, donde la tassabilit� come sopravvenienza delle quote di ammortamento. Il ricorso deve essere, quindi rigettato. (omissis) -CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 maggio 1980, n. 3440 -Pres. Sandulli � Est. Lipari -P. M. Leo (conf.) -Prina (avv. Guerra) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 'Tributi erariali indiretti -Imposte di registro -Usufrutto -Consolidazio ne -Riacquisto _della nuda propriet� da parte dell'usufruttuario -Si verifica. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 20, 21, 86, 93). Tributi in genere -Potest� tributaria di imposizione -Capacit� contributiva -Tributi indiretti -Scelta discrezionale del legislatore -Imposta di registro -Consolidazione di usufrutto -Illegittimit� costituzionale Manifesta infondatezza. (Cast., art. 53; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 21). L'imposta di registro sulla consolidazione dell'usufrutto � dovuta .all'identico modo sia nel caso che il nudo proprietario acquista per estinzione dell'usufrutto la piena propriet� sia nel caso che l'usufruttuario riacquista la nuda propriet� (1). Rispetto alle imposte indirette la capacit� contributiva va dedotta .esclusivamente dal collegamento fra i soggetti colpiti e la fattispecie costituente il presupposto di imposta, assunti come tali dal legislatore con -valutazione discrezionale sindacabile soltanto ove -non presentino un (1-2) Sulla prima massima la giurisprudenza � pacifica (Cass., l7 febbraio 1975, n. 625, in questa Rassegna, 1975, I, 572). La seconda massima � di rilevante interesse sia per l'ampia disamina del principio della capacit� contributiva in relazione alle imposte indirette secondo i criteri desumibili dalla giurisprudenza costituzionale, sia per il particolare aspetto di questo problema dal punto di vista del giudice comune chiamato a pronunziarsi sulla non manifesta infondatezza. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 242 minimo di razionalit� tale da evidenziare l'arbitrariet� della norma; e poich� trattasi di stabilire una eccezione alla normale insindacabilit� della discrezionalit� legislativa la manifesta infondatezza della eccezione di illegittimit� costituzionale si presenta al giudice comune � certa ed evidente � ove si dimostri un minimo di razionalit� della norma. Conseguentemente � manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit� costituzionale dell'art. 21 dell'abrogata legge di registro che prevede l'imposizione sulla consolidazione dell'usufrutto (2). (omissis) 1. -Si discute in causa se l'imposta di consolidazione dell'usufrutto prevista dall'art. 21 dell'abrogata legge di registro 30 dicembre 1973, n. 3269 si applichi nel solo caso di riunione dell'usufrutto alla nuda propriet� in capo al nudo proprietario, ovvero anche nel caso inverso di riunione della nuda propriet� all'usufrutto a favore dell'usufruttuario in capo a costui. La Corte d'appello di Milano ha accolto quest'ultima soluzione uniformandosi al puntuale orientamento di questo S.C., manifestato con sentenza 7 luglio 1971, n. 2119 e successivamente ribadito con decisioni 18 dicembre 1974, n. 4350; 17 febbraio 1975, n. 625; 25 maggio 1979, n. 3031 (che adottano la soluzione gi� affermatasi sotto la vecchia legge di registro: Cass., Roma 9 gennaio 1893, 9 gennaio 1894, 12 agosto 1902, 3 giugno 1903). La ricorrente, con il primo mezzo, contesta l'esegesi cui si sono uniformati i giudici di secondo grad<? e, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 86, 93 n. 5 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, sostiene l'inapplicabilit� dell'imposta di consolidazione nel caso di riacquisto, a titolo oneroso, della nuda propriet� da parte dell'usufruttuario. Il motivo non � giuridicamente fondato. L'orientamento giurisprudenziale di questa S.C. in materia � coerente con la adottata ricostruzione del tributo che non ha natura autonoma, ma deve ritenersi parte del tributo afferente al trasferimento della piena propriet� che va liquidata e riscossa al momento della consolidazione dell'usufrutto, sul valore attuale della piena propriet�, dedotto il corrispettivo (cfr. Cass., nn. 3031/79, 1625/75, 2119/71 cit., 878/70, 3612/68, 2456/58 ed altre; contra ma isolatamente n. 3579/68). Ogni trasferimento della nuda propriet�, infatti, si risolve, in prospettiva, nel trasferimento della propriet� piena perch� l'usufrutto, avendo durata limitata nel tempo, deve necessariamente cessare ad un dato momento portando alla riespansione della nuda propriet�, e comporta di conseguenza l'applicazione dell'imposta sul valore della piena propriet�; poich� peraltro ab origine la propriet� non si trasferisce come piena, l'imposta viene riscossa in due tempi: al momento della registrazione del contratto di trasferimento a titolo oneroso della nuda propriet� si tassa il corrispettivo contrattualmente stabilito, mentre al momento della consolidazione si tassa la diffe PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA renza fra il valore attuale della piena propriet� ed il corrispettivo a suo� tempo dichiarato nell'atto, ed in tale sua consistenza gi� tassato. Se, quindi, l'imposta di consolidazione non � che una parte dell'im-posta dovuta sul trasferimento della piena propriet� gi� determinata al momento della costituzione dell'usufrutto, e la cui esazione � rimasta sospesa sino alla ricomposizione del diritto di propriet� nella sua pie-� nezza, essa � dovuta in ogni ipotesi di cessazione dell'usufrutto, sia quan-do l'usufrutto torna al nudo proprietario, sia quando la nuda propriet� torna all'usufruttuario. Anche in questa seconda ipotesi il diritto parziario si estingue per confusione; l'usufruttuario non diventa titolare di due distinti diritti chefra loro si sommano, cos� formando la piena propriet�, perch� l'acquisto� della propriet� da parte del titolare del diritto reale limitato determina l'estinzione di questo. Presupposto dell'imposizione fiscale non � il trasferimento dell'usufrutto, venendo in considerazione l'estinzione del diritto reale limitato� e la correlativa espansione del diritto di propriet� prima compresso,. quali eventi che valgono a rendere attuale l'esazione delle imposte gi� dovute in base all'unico precedente trasferimento. Non vi � motivo, pertanto, di differenziare il trasferimento della nuda. ..,, propriet� dal trasferimento dell'usufrutto. Sotto il profilo civilistico, invero, il fenomeno della consolidazioneva in ogni caso riportato al fatto unico della estinzione dell'usufrutto che si verifica sia quando � l'usufrutto a congiungersi alla nuda propriet�,. sia nell'ipotesi opposta; e, stante il collegamento fra art. 20 legge reg.. ed art. 1014 cod. civ., alla stessa conclusione deve giungersi sotto il profilo fiscale, tenendo conto altres� del carattere residuale dell'imposta dovuta in ogni caso in cui si sia prima verificato il distacco dell'usufrutto� per l'alienazione della nuda propriet�, la quale poi, per il venir meno dell'usufrutto medesimo (estintosi) venga a riespandersi. Alla soluzione� adottata non sono di. ostacolo le disposizioni circa le persone obbligatea presentare la denuncia dell'avvenuta consolidazione, dovendosi interpretare l'art. 86 .del r.d. n. 3269 del 1923 in armonia con il disposto dell'art. 93 n. 5 della medesima legge nel senso della soggezione all'obbligo� relativo (nonostante il testuale riferimento a coloro � a cui favore l'usufrutto si devolve �) di ogni soggetto in capo al quale si realizza la pienezza del domino, che -come si � visto -consegue anche nel caso in cui la nuda propriet� si trasferisce all'usufruttuario. N�, ai fini della corretta esegesi delle norme della legge di registr0' del 1923, giova richiamare la disciplina introdotta con la riforma tribu-taria (artt. 45 e 41 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634). Mentre � fuori discu_ssione che tali norme non si applicano direttamente alla fattispecie (ai sensi dell'art. 77 delle disposizioni finali e transitorie la nuova legge opera soltanto rispetto agli atti formati dopo la sua entrata in vigore),. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 244 non pu� nemmeno utilizzarsi la legislazione sopravvenuta per la sua portata di puntualizzazione e precisazione delle norme precedentemente -vigenti, giacch� il sistema ado.ttato dal legislatore non rappresenta un mero affidamento tecnico di quello anteriore, ma attua una disciplina radicalmente diversa dalla quale quindi non possono trarsi lumi interpretativi. Alle conclusioni raggiunte, alla stregua della ricostruzione della tassa <li consolidazione come parte della tassa dovuta per la vendita della_ nuda propriet�, la ricorrente si limita a contrapporre l'altra tesi (autorevolmente sostenuta in dottrina) che configura l'imposta di consolidazione ,come tributo a se stante, che colpisce appunto la riunione dell'usufrutto alla nuda propriet�. Ma poich� gli argomenti in precedenza svolti danno -sufficientemente conto della scelta interpretativa seguita dalla giurisprudenza con indirizzo costante non vi � ragione di discostarsene, nemmeno sotto l'angolazione di una esegesi adeguata ai principi costituzionali. Un riesame dell'orientamento giurisprudenziale si imporrebbe soltanto se il Collegio dovesse convincersi, alla stregua dei dubbi sollevati al riguardo, che cos� interpretata la norma che prevede l'imposizione sulla ,consolidazione dell'usufrutto si ponga in contrasto con la Costituzione. Di fronte ad una molteplicit� di letture della disposizione legislativa, fra le diverse norme che se ne possono trarre l'operatore giuridico -come � noto -deve privilegiare quella che consente di adeguare la norma primaria con forza di legge alla norma costituzionale che ne rappresenta il parametro di validit�. Il Collegio si trova quindi di fronte ad una chiara alternativa potendo tener ferma l'interpretazione recepita dalla giurisprudenza soltanto ove risulti manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale :sollevata dalla ricorrente; se invece la denuncia presentasse consistenza tale da giustificare il rinvio alla Corte costituzionale, prima di provvedere in tal senso occorrerebbe verificare l'ammissibilit� di una esegesi della norma suscettibile di superare il dubbio di costituzionalit� nel rispetto delle regole di ermeneutica. L'adozione del criterio della interpretazione adeguatrice non significa, infatti, che debba necessariamente prevenirsi sempre ad un risultato �esegetico costituzionalmente accettabile, ma comporta che nel processo interpretativo venga ad assumere determinante rilievo, entro i margini di �elasticit� della disposizione, il profilo dell'armonizzazione con la Costi tuzione. Se dal testo, nonostante ogni possibile sollecitazione, non sia possibile trarre significati normativi coerenti con i precetti costituzionali, �ovvero se l'interpretazione recepita appaia cos� radicata da costituire il diritto vivente insuscettibile di .rapida e largamente accettata modifi �cazione (ed in tal senso assume particolare rilievo l'orientamento di questa Suprema Corte, attesa la funzione di momofilachia che le � propria), :Si rende necessario sollevare questioni di legittimit� costituzionale. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Ma nel caso di specie non sembra al Collegio che le deduzioni del ricorrente in termini di illegittimit� costituzionale colgano nel segno, e la <:onclusione nel senso della manifesta infondatezza della questione di legittimit� costituzionale esclude che l'�ccolta interpretazione debba essere ulteriormente verificata alla stregua di una interpretazione adeguatrice, poich� la norma, cos� come � intesa dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, pur dando luogo a rilievi di opportunit�, non presta il fianco ad apprezzabili critiche in termini di legittimit� costituzionale, .sia pure al livello meramente delibativo cui � circoscritta la valutazione .del giudice comune. 2. -Le articolate considerazioni della difesa della ricorrente sono inficiate, in radice, _da un vizio di qualit�, poch� sottolineano inconvenienti e disarmonie del sistema dipendenti da scelte del legislatore, ricon. ducibili al campo della discrezionalit� legislativa, insindacabili come tali in sede di legittimit� costituzionale in quanto assistite da un minimo di .razionalit�. Questo collocarsi dei dubbi di costituzionalit� sollevati nell'area della discrezionalit� legislativa, rispetto alla quale la competenza della Corte, minimale o residuale, si risolve nell'escludere la sussistenza di un qual: siasi aggancio in termini di ragionevolezza, assume rilievo anche ai fini <I.ella individuazione del criterio espresso dalla locuzione �non manifesta infondatezza� per circoscrivere l'accesso alla Corte. Gi� ripetutamente questo Collegio ha interpretato tale locuzione in .senso assai ampio, riconducendo il giudizio delibativo all'accertamento in positivo della certa ed evidente costituzionalit� della norma che si tratta di applicare e rilevando correlativamente in negativo che ogni qualvolta questa certezza viene meno deve sollevarsi questione incidentale di .costituzionalit�. Ma quando vengono in considerazione i limiti di competenza della <:orte, �risultando temperata eccezionalmente l'insindacabilit� della discrezionalit� legislativa dall'arbitrariet� assolutamente ingiustificata delle :scelte, la costituzionalit�, sotto l'aspetto della sussistenza dei requisiti -per l'accesso alla Corte, risulta �certa ed evidente� finch� non si dimo: stii l'inesistenza di ogni criterio di collegamento provvisto di un mini mum di razionalit�, mentre non giova argomentare nel senso che la scelta -del legislatore avrebbe potuto essere pi� saggia, pi� oculata, pi� giusta. Che la figura impositiva della consolidazione dell'usufrutto non fosse felice � senz'altro da ammettersi, tanto che il legislatore, in sede di riforma dell'imposta di registro, l'ha -molto opportunamente -soppressa. Ma tale soppressione va ricondotta, appunto, all'adozione di pi� retti criteri di politica legislativa, non gi� al riconoscimento, sia pure implicito, che la relativa imposizione prestasse il fianco a critiche di :legittimit� costituzionale. 246 """""'' "'':""""''""' OOW> "''� . . l Del resto questa S.C., con recentissima decisione 25 maggio 1979, n. 3031, in una situazione di fondo analoga a quella qui prospettata, ha !i gi� avuto occasione di dichiarare manifestamente infondata la questione di costituzionalit� degli artt. 21 e 93 n. 5 dell'abrogata legge di registro 'If! n. 3269 del 1923, che prevede la tassazione sulla consolidazione dell'usufrutto, in riferimento all'art. 53 Cost. 3. -Del convincimento espresso nel senso della manifesta infonda-� tezza occorre or dar conto, in termini il pi� possibile sintetici, prendendo le mosse .dalla ricognizione degli orientamenti giurisprudenzali della Corte Costituzionale in tema di capacit� contributiva e discrezionalit� del legislatore al riguardo. � esatto che non costituisce precedente puntuale la sentenza della Corte n. 92 del 1963, la quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 21 della legge di registro del 1923 nella contrapposizione del trattamento tributario della consolidazione nei trasferimenti a titolo gratuito ed in quelli a titolo oneroso; ma anche da questa decisione traspare il canone fondamentale circa la insindacabilit� delle scelte del legislatore in tema di capacit� contributiva. Secondo la Corte cost. la capacit� contributiva, rispetto alle imposte indirette, va dedotta esclusivamente dal collegamento fra i soggetti colpiti e la fattispecie costituente il presupposto di imposta, assunti come tali dal legislatore secondo valutazioni discrezionali sindacabili soltanto ove non presentino un minimo di razionalit� nel porre tale collegamento (Corte cost., n. 120/72). Pi� in generale il principio di proporzionalit� contributiva, sancito dall'art. 53, primo comma, Cost., riflette, secondo l'univoca giurisprudenza della Corte cost., il necessario collegamento di qualsiasi forma di imposizione tributaria con l'idoneit� della obbligazione medesima, desumibile dalla concreta esistenza del presupposto economico relativo (sentenze nn. 45 del 1964, 16 del 1965, 89 del 1966, 97 del 1968, 91, 92, 144 del 1972; 201 del 1975, 200 del 1976; 62 del 1977) identificabile con qualsiasi indice, concretamente rivelatore di ricchezza, senza che spetti al giudice di legittimit� delle leggi valutare l'entit� e la proporzionalit� dell'onere tributario, trattandosi di compito riservato al legisla-� tore, salvo il controllo, sotto il profilo dell'arbitrariet� delle norme, spettante alla Corte. Nella prospettiva della capacit� contributiva, intesa come idoneit� soggettiva all'obbligazione di imposta, deducibile dal presupposto al quale la prestazione � collegata, il compito che la difesa del contribuente .si � assunto appare arduo, trattandosi di superare l'ostacolo della discrezionalit� legislativa, individuando situazioni di arbitrariet� ed irrazionalit� non riconducibili in alc1m modo al criterio di collegamento cui il legislatore si � voluto riferire. I ~l rn ~j !1 1:: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA In tal senso depongono, appunto, le fattispecie di illegittimit� dichiarata per contrasto con l'art. 53 Cost. alle quali pertanto non giova fare richiamo, istituendo una sorta di parallelismo con la situazione in esame. Nell'ipotesi del cumulo dei redditi familiari (sentenza n. 179 del 1976) �Osserv� la Corte che non si spiegava come e perch� un soggetto (il marito) dovesse presentare una maggiore capacit� contributiva per l'esistenza di redditi altrui di cui non era legalmente in possesso. Nelle sentenze n. 198 del 1976 e n. 200 del 1972 si dichiar� l'incostituzionalit� per man� canza dell'oggetto dell'imposizione tributaria, poich� l'atto da registrare sostanzialmente non esisteva pi�, donde la necessit� di disporre la restituzione del tributo (ipotesi di sentenza sottoposta a registrazione e successivamente riformata e annullata). Nella sentenza n. 59 del 1970 era appunto macroscopica la diversit� di trattamento nell'ambito delle vendite all'incanto con eccettuazione del riferimento al prezzo di aggiudica: zione solo per quelle promosse in base a mutui in denaro. E la stessa sentenza n. 120 del 1972, sulla quale la difesa della ricorrente sembra puntare particolarmente, parte dalla premessa che il necessario collegamento con la capacit� contributiva non esclude che la legge stabilisca prestazioni tributarie, a carico solidalmente oltre che del debitore principale anche di altri soggetti non direttamente partecipi dell'atto assunto come indice di capacit� contributiva, purch� l'imposizione risulti �1egittimata da rapporti giuridici economici, intercorrenti tra tali soggetti, idonei alle configurazioni di situazioni che possano giustificare razionalmente il vincolo obbligatorio e la sua causa. Tale decisione, quindi, in definitiva conferma che il legislatore pu� desumere da un rapporto giuridico �Od economico un collegamento valorizzando come presupposto d'imposta. Alla luce di questa puntualizzazione del concetto di capacit� contributiva e dei limiti delle sindacabilit� delle scelte del legislatore si scolorano le pur diligenti ed acute considerazioni della difesa della ricorrente. 4. -Si deduce, innanzitutto, che l'art. 21, primo comma, della abrogata legge di registro, nell'interpretazione accolta, sarebbe in contrasto -con gli artt. 3 e 53 Cost. nella parte in cui pone l'imposta di consolida: zione a carico dell'ultimo acquirente consolidante (nella specie usufruttua rio) anzich� a carico del primo acquirente della nuda propriet�. L'Avvocatura dello Stato eccepisce al riguardo la irrilevanza della .questione, perch� nella specie non vi sarebbe stata una molteplicit� di trasferimenti fra soggetti diversi, ma soltanto la alienazione e la retro cessione del diritto fra gli stessi soggetti, e trattandosi delle medesime parti dell'iniziale trasferimento, entrambe sarebbero comunque solidal mente tenute al pagamento di tutte le imposte liquidate sul relativo atto. L'eccezione non sembra puntuale al Collegio. Nella specie � accaduto che l'ultima acquirente consolidante coincidesse con l'originario alienante �della nuda propriet� (Francesca Prina) e si sostiene che per evitare il 248 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO VIZIO di incostituzionalit� l'imposta dovrebbe gravare in via diretta non su di essa ma sulla prima acquirente della nuda propriet� certa Morselli. E poich� in causa l'imposta � pretesa a tale titolo nei confronti della ricorrente se la norma fosse caducata per illegittimit� incostituzionale il relativo titolo verrebbe travolto. Trattandosi di individuare il soggetto direttamente ed immediatamente obbligato, e non quelli chiamati a rispondere del tributo soltanto in via solidale, non rileva che la particolare situazione di specie comporterebbe anche e comunque una responsabilit� solidale della Prina medesima. Anche ad ammettere la sussistenza della ipotizzata solidariet� (contestata dalla difesa della ricorrente) si deve osservare che in questo processo non si discute della obbligazione solidale, ma di quella diretta e che la modificazione del titolo giuridico non � pi� possibile processualmente, sicch� soltanto alla stregua del titolo di responsabilit� tributaria diretta la presente controversia potrebbe risolversi a favore della finanza salva la esperibilit� di altra azione in altro instaurando processo a titolo di responsabilit� solidale. Non vi � dubbio, infatti, che vi � diversit� di titolo fra l'essere chiamato a rispondere solidalmente in qualit� di originario venditore (con diritto di regresso) e l'essere chiamato a rispondere come consolidatario.. Pur essendo rilevante la questione �, peraltro, manifestamente infondata. Si � gi� messo in evidenza che la giustificazione dell'imposta di conso-lidazione discende dal rilievo che il trasferimento della nuda propriet�, attesa la naturale temporaneit� dell'usufrutto, � considerato dalla legge come un trasferimento differito della propriet� piena che viene tassatoa carico di colui che beneficia del trasferimento medesimo e cio� del consolidante il quale deve versare un'imposta corrispondente al trasferimento della piena propriet� al momento della consolidazione al netto di quanto gi� pagato per lo stesso trasferimento. Ora � indiscutibile che il collegamento cos� posto in essere dal legi-slatore presenta un minimo di razionalit� colpendo il consolidante che, ricostituendo in capo a s� la piena propriet�, completa la fattispecie che� ebbe inizio con la scissione di nuda propriet� ed usufrutto. Non interessano -quindi -i passaggi intermedi eventuali della nuda propriet� estranei all'acquisto della propriet� piena che � l'indice assuntoquale rivelatore della capacit� contributiva. L'eventuale infelicit� della scelta del legislatore, di cui si � gi� datoatto, non si riverbera pertanto sul piano della legittimit� costituzionale. Avendo il legislatore costruito la fattispecie impositiva con riferi-mento al momento della consolidazione della piena propriet� si comprende che l'accertamento del valore venga effettuato rispetto a tale� momento. La scelta legislativa si giustifica perch� per effetto della conso-lidazione si verifica la riespansione del diritto; non importa alla stregua dell'accolto criterio di collegamento essere il primo o l'ulteriore acqui PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 249" rente, venendo in rilievo soltanto la posizione (e quindi la capacit� contributiva) di colui in capo al quale la fattispecie si perfeziona e la nuda propriet� torna ad essere propriet� piena. Il ragionevole collegamento, di fronte al quale si arresta il sindacato� di legittimit� consiste, appunto nella considerazione della ineluttabile espansione del diritto di propriet� in capo al consolidante, non potendosi contestare che la vicenda della consolidazione fa corpo con quella che trae origine dall'iniziale trasferimento della nuda propriet�, il quale ben pu� essere assunto come indice concretamente rivelatore di ricchezza, secondo una misura che potr� magari apparire eccessiva (se raffrontata. al trattamento tributario del passaggio dell'intera propriet�) senza che per� questa pretesa eccessivit� sia suscettibile di valutazione di congruit� da parte del giudice delle leggi e senza che si possa validamente impostar un discorso in termini di eguaglianza, attesa la diversit� strutturale delle situazioni da raffrontare. Deve tenersi presente, invero, il rapporto di specialit� che intercorre� fra la previsione generale dell'art. 3 Cost. e quella dell'art. 53 Cost. postulante che l'eguaglianza informi i rapporti tributari secondo criteri di. proporzionalit�. Non giova, quindi, osservare che all'ultimo acquirente consolidante � riservato un trattamento tributario deteriore rispetto agli acquirenti intermedi, giacch� l'elemento differenziale della consolidazione vale a giustificare la disposizione. � Per il medesimo ordine di considerazioni vanno disattesi i profili ulteriori e subordinati di illegittimit� volti a sostenere l'irrazionalit� dell'mposizione a carico dell'ultimo acquirente consolidante anche della quota dell'imposta di registro sul primo acquisto che avrebbe dovuto gravare come imposta complementare sul primo acquirente e della esclusione del diritto di regresso dell'ultimo acquirente consolidante nei confronti del. primo acquirente, naturale soggetto passivo di tale imposizione. In sostanza si gioca sull'equivoco di ipotizzare l'irrazionalit� (e quindi la sindacabilit�) della scelta legislativa, sia per. quanto attiene alla deben za dell'imposta di consolidazione, sia comunque per quanto attiene alla sua misura, intendendo il termine � irrazionalit� � in senso estremamente vago ed elastico, adducendo inconvenienti del sistema che non si risol vono nella radicale elisione dell'evidenziato criterio di collegamento giusti ficante l'imposizione, senza che sia dato lamentare l'eccessivit� della misura del tributo imposto. � Intesa l'imposta di consolidazione come una frazione della imposta. di registro sul primo trasferimento della nuda propriet� (equivalente potenzialmente ad un trasferimento della propriet� piena) la circostanza della consolidazione si presenta quale criterio costituzionalmente valido� di collegamento (anche se, pu�, concedersi, non ottimale) poich� chi consolida dimostra capacit� contributiva non soltanto per effetto dell'av 250 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO venuto acquisto della nuda propriet�, ma anche per effetto della estin. zione dell'usufrutto e delle correlative riespansioni della nuda propriet� .a propriet� piena. Il nudo proprietario, cio�, per l'acquisto del relativo diritto, destinato :a riespandersi nella pienezza del domino, versa un prezzo sostanzialmente minore di quello della piena propriet�, in quanto scontato in considera �zione dell'anticipato pagamento; e correlativamente a detto sconto il -credito di imposta si fraziona con riguardo al trasferimento della nuda propriet� ed alla successiva consolidazione. L'usufruttuario consolidante poich� vede attuarsi immediatamente la pienezza della propriet� deve un quid pluris con un aggancio formale autonomo che sul piano della legittimit� costituzionale giustifica l'aggravio. Non pu� quindi condividersi l'assunto che l'imposta di consolidazione non avrebbe una autonoma base imponibile e prescinderebbe dalla capa �cit� contributiva dell'obbligato. Non � esatto che l'unico sistema di tassazione razionale, rispettoso -dei principi di eguaglianza dei cittadini e della proporzionalit� di carichi tributari, sia quello adottato dall'attuale legislatore (tassazione del solo valore della nuda propriet� trasferita e soppressione dell'imposta di con �solidazione) poich� anche quello precedente, pur essendo meno felice; non si presenta scevro di una qualsivoglia misura di razionalit�, n� :appare determinante in senso contrario il rilievo che l'imposta di consoli �dazione addebitata all'ultimo acquirente, sommata con quella dovuta �sul valore della nuda propriet�, non dovrebbe mai superare l'imposta �di registro ragguagliata al valore della propriet� giacch� ancora una volta si confondono le soluzioni pi� appaganti in termini di equit� e linearit� �del sistema, con quelle meno soddisfacenti ma pur sempre riconducibili :al rispetto dell'art. 53 Cost. alla stregua di un collegamento che privilegia la consolidazione a costo di comportare in certi casi e non come conseguenza ineluttabile; un carico tributario oggettivamente maggiore che �peraltro dipende da un presupposto formalmente diverso. N� ci si sottrae all'ambito della insindacabilit� delle scelte legislative tentando di impostare un discorso in termini di esclusivo riferimento al principio di eguaglianza, stante la disparit� di trattamento del primo :acquirente della nuda propriet� e di un acquirente successivo� della medesima in occasione della consolidazione (nel senso che, mentre per il primo acquirente la detrazione ai fini della futura consolidazione riguar �derebbe il prezzo da lui pagato, per il successivo acquirente, riguarderebbe il prezzo pagato dal primo dei suoi danti causa). Invero la situazione del primo e dei successivi acquirenti della nuda propriet� � diversa ai fini dell'imposta di consolidazione, che riguarda la vicenda di costituzione ed estinzione dell'usufrutto, concernendo esclusivamente i soggetti cui tali eventi si riferiscono. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 251 Se tali soggetti coincidono (primo acquirente consolidante) la tassazione della consolidazione avr� riferimento al prezzo pagato dal consolidante per l'acquisto della nuda propriet�; se invece non vi � coincidenza, perch� la nuda propriet� ha subito diversi trasferimenti, la materia tassabile rimane sempre la stessa, poich� i trasferimenti intermedi sono estranei ad essa e, naturalmente il prezzo da detrarre (che � quello relativo alla costituzione dell'usufrutto), non sar� pi� quello pagato dal consolidante. La diversit� della situazione da raffrontare esclude, pertanto, che possa essere utilmente invocato il principio di eguaglianza per ipotizzare identit� di trattamento giuridico. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 giugno 1980, n. 3593 -Pres. Mirabelli Est. Scansano -P. M. Caristo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Neri (avv. Fusco). Tributi erariali diretti -Soggetti passivi -Liquidatore di societ� -Liquidatore di fatto -Sussiste. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265). La responsabilit� del liquidatore di societ� stabilita nell'art. 265 del t.u. delle imposte dirette opera ogni volta che la societ� entri concretamente nella fase di liquidazione delle attivit� e sussiste a carico di coloro ai quali sia stata demandata la liquidazione, anche in difetto di f armale investitura (1). (omissis) L'esame di ricorso, da parte del Collegio, va limitato pertanto al secondo motivo, con cui si denuncia violazione dell'art. 265 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e correlata omissione d'esame di punto decisivo; Secondo l'Amministrazione ricorrente, la responsabilit� prevista da tale norma a carico dei liquidatori, che non paghino le imposte dovute dalla societ�, sussisterebbe non solo a carico dei liquidatori formalmente nominati, ma anche a carico degli amministratori .che abbiano compiuto di fatto attivit� di liquidazione ed anche nel caso in cui a tale attivit� sia poi seguita la formale nomina di un liquidatore. La censura � fondata. La questione prospettata � stata esaminata pi� volte da questa Corte e. risolta nel senso che la responsabilit� personale prevista dall'art. 265 (1) � ormai con.solidato il princ1p10 della responsabilit� dei liquidatori. di fatto, afferm�to con le sentenze 2 agosto 1977, n. 3411; 14 marzo 1978, n. 1273 e 10 giugno 1978, n. 2927, in questa Rassegna, 1977, I, 699 e 1978, I, 478. � RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO citato opera sempre che la societ� entri concretamente nella fase di liquidazione delle attivit�, e sussiste a carico di tutti coloro ai quali venga demandata la gestione di quella fase anche in difetto di formale investitura (sentenze nn. 3411/77, 1273/78, 2766/78). Da ultimo le Sezioni Unite hanno ribadito e precisato che la detta norma si riferisce a tutti coloro che, pur in mancanza di formale investitura, si siano concretamente occupate della realizzazione del patrimonio sociale, al fine di distribuire gli eventuali residui fra gli aventi diritto e quindi anche all'amministratore che abbia in effetti compiuto attivit� di liquidazione prima del formale ristaurarsi della liquidazione medesima e della nomina di altri come liquidatore (v. sent. 9 giugno 1978, n. 2925). L'orientamento espresso da tali sentenze � presidiato da valide ragioni. � bens� vero che l'art. 265 del citato testo unico fa riferimento, nel primo comma, alla responsabilit� dei �liquidatori� e che il secondo comma rende applicabile la disposizione agli amministratori � se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori �. Ma dedurre da ci� le conclusioni cui � giunta la Corte del merito, significa valorizzare esclusivamente, e neppure compiutamente, la mera lettera della legge. Gi� sul piano puramente letterale, invero, va considerato che la disposizione anzidetta, pur facendo riferimento ai liquidatori ed agli amministratori -:rispettivamente nel primo e nel secondo comma -s'intitola � responsabilit� dei liquidatori� (con un'espressione comprensiva di entrambe le ipotesi contemplate nei due commi) come a significare che la situazione cui la legge ricollega l'obbligo di pagare personalmente le imposte dovute dalla societ� si realizza nei confronti non dei soggetti che formalmente abbiano rivestito una certa qualifica ma di coloro che abbiano compiuto operazioni obiettivamente concretanti un'attivit� di liquidazione. In tale senso � esatto il rilievo della ricorrente, secondo cui nella norma il termine � liquidatori � � assunto non come indicativo di una certa categoria di persone identificabili in base ad una qualifica formale, ma come indicativo degli autori di una certa attivit�: cio� l'attivit� di liquidazione, il cui esaurimento appunto -considerato nella sua obiettivit�, indipendentemente dalla qualifica del soggetto che l'ha realizzato -pu� pregiudicare, o rendere pi� difficile, la riscossione delle imposte non pagate. Questi rilievi rispondono anche alla ratio della legge, che � dichiaratamente quella di rafforzare la esigibilit� delle imposte dovute dai soggetti alla cui estinzione normalmente non segue una successione, e di evitare che tali imposte possano rischiare di rimanere insolute o possano essere riscosse solo attraverso il pi� complesso congegno stabilito -quanto alle societ� -dagli artt. 2312 e 2456 cod. civ. E se cosi �, deve appunto ritenersi che il legislatore, pur facendo riferimento -adeguarsi allo schema normale della vicenda estintiva dei soggetti tassabili in base al bilancio -ai liquidatori (ed agli amministratori, per il caso di mancata nomina dei liquidatori), ha assunto come oggetto della PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA previsione normativa il fenomeno reale che di fatto pregiudica la riscossione del credito d'imposta, rendendo responsabile in proprio l'effettivo autore del pregiudizio relativo. La contraria opinione della corte del merito eondurrebbe a ritenere che gli amministratori, pur avendo compiuto la liquidazione ed omesso di pagare, con le attivit� relative, le imposte dovute dalla societ�, e pur avendo cos� realizzato la fattispecie cui il coordinato disposto dei due commi dell'art. 265 ricollega la loro personale responsabilit�, possano poi rimanere esenti da questa, solo che si faccia luogo alla nomina di liquidatore cui non residui altro compito che quello di provvedere ad adempimenti puramente formali. La relativa -palesemente inaccettabile -conseguenza sarebbe non gi� un mero inconveniente (come suppone la detta corte), ma il frutto di una conclusione chiaramente contraria allo spirito della legge. Una disciplina coerente con l'interpretazione qui accolta � stata dettata espressamente dall'art. 36 del nuovo testo sulla riscossione delle imposte sul reddito (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602). Esso pu� fornire argomento per la soluzione del caso, non in quanto norma di natura interpretativa (sarebbe vano, infatti, ricercare enunciazioni di un intento interpretativo in un testo che abroga espressamente la norma che si vorrebbe vedere interpretata: v. art. 104 del citato d.P.R.), ma in quanto norma dettata (in forma pi� completa e articolata) a tutela di una medesima immutata esigenza. Il ricorso pertanto deve essere accolto, con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte d'appello di Roma, la quale si uniformer� al seguente principio di diritto: ai sensi dell'art. 265 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, la responsabilit� personale per le imposte dovute dai soggetti tassabili in base al bilancio sussiste anche a carico degli amministratori che abbiano di fatto compiuto attivit� di liquidazione omettendo di pagare, con il relativo realizzo, le imposte predette, e non � esclusa dal fatto che successivamente si sia provveduto alla formale nomina di un liquidatore. Il giudice di rinvio proceder� all'indagine di merito dalla quale la Corte d'appello si � ritenuta dispensata; cio� accerter� se il Neri abbia � di fatto provveduto alla liquidazione della societ� e realizzato attivit� che consentissero il pagamento delle imposte, e se sussistano quindi i presupposti della responsabilit� personale ravvisata a suo carico dall'Intendente di Finanza. (omissis) SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 dicembre 1980, n. 6489 -Pres. MiraSEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 dicembre 1980, n. 6489 -Pres. Mirabelli -Rei. R. Sandulli -P. M. Antoci (conf.). -Azienda autonoma F.S. (avv. Stato De Francisci) c. Condominio dell'edificio in Finale Ligure via Caviglia 63-65 ed altri (avv. Romanelli e Vigotti) e S.p.A. l.CO.RI. (avv. De Cordova). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Danni ai terzi -Responsabilit� dell'appaltatore -Concorrente responsabilit� del committente -Presupposti e limiti. (Cod. civ., artt. 1655 e 2043; r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 118)1. Appalto -Appalto di opere pubbliche -Contratti delle F .S. -Clausola di manleva -Nullit� � Non sussiste. (Cod. civ., artt. 1229, 1418 e 1883). In tema di appalto di opere pubbliche -pur essendo, di regola, l'appaltatore, in virt� della sua autonomia, l'unico responsabile dei danni da lui eventualmente cagionati a terzi nella costruzione dell'opera appaltatore ed amministrazione committente sono da ritenere corresponsabili dei danni derivati dall'esecuzione di direttive della committente o del progetto da essa predisposto, quando la libert� di decisione dell'appaltatore nell'esecuzione dei lavori non sia stata completamente neutralizzata dall'ingerenza dell'amministrazione (1). La clausola di manleva inscritta nei contratti di appalto di lavori e servizi per le ferrovie dello Stato, non pu� ritenersi v,ietata dall'art. 1229 (1) Nello stesso senso, cfr. Cass., 3 novembre 1978, n. 5133, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1973, 245; Trib. Sup. Acque, 25 febbraio 1978, n. 11, in questa Rassegna, 1978, I, 762; Cass., 13 aprile 1977, n. 1385, in Giust. civ. Mass., 1977, 599; Cass., 18 novembre 1974, n. 3668, in Giust. civ. Mass., 1974, 1586; Cass., 3 giugno 1967, n. 1218, in Foro amm., 1967, I, 1, 533. In tema di responsabilit� dell'appaltatore verso i terzi per danni ricollegabili a vizi del progetto predisposto o fatto predisporre dal committente, cfr. in dottrina, RUBINO, L'appalto, in Trattato di diritto civile diretto da F. Vassalli (con note di E. MOSCATI}, UTET, Torino, 1980, pag. 627 ed ivi diffusi richiami di dottrina e giurisprudenza; sul connesso tema dei rapporti tra appaltatore e committente in ordine alla esecuzione del progetto fornito dal secondo, cfr. anche, in questa Rassegna, 1977, I, 576, Trib. Roma, 14 marzo 1977, n. 2338. (2) Nello stesso senso, Cass., 13 maggio 1977, n. 1896, in questa Rassegna, 1977, I, 638. � PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 255 cod. civ. ed � quindi valida a condizione, per�, che il terza e perci� l'appaltatore, su cui vengono riversati gli oneri derivanti dalla responsabilit� dell'amministrazione, vi abbia un interesse, in difetto del quale il patto sarebbe nullo per mancanza o illiceit� della clausola, secondo il disposto dell'art. 1418 cod. civ. (2). (omissis) I due ricorsi, separatamente proposti, contro la medesima sentenza, dall'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato e dalla Societ� I.CO.RI., vanno riuniti, a norma dell'art. 335 cod. proc. civ., sotto il pi� antico numero di ruolo. L'unico motivo del ricorso dell'Azienda delle Ferrovie dello Stato ed il secondo motivo del ricorso della Societ� I.CO.RI., attenendo al me desimo problema della responsabilit� concorrente del committente e dell'appaltatore dell'opera pubblica (o esclusiva di uno di essi) per i danni cagionati ai terzi nel corso dei lavori, vanno esaminati con giuntamente. Con l'unico motivo, l'Amministrazione Ferroviaria dello Stato -de nunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 .e segg., 1659, 2043 e 2055 cod. civ., con riferimento agli artt. 342 e segg. della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F e 360 n. 3 cod. proc. civ., nonch� l'in sufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) si duole che la Corte del merito abbia ritenuto la responsabilit� con corrente, in ordine ai danni cagionati ai terzi nel corso dei lavori, per un errore di progettazione dell'opera affidata in appalto e per la in sufficienza dell'attivit� direttiva dei lavori, sostenendo che -avendo riconosciuto che la societ� appaltatrice godeva di una notevole auto nomia nell'esecuzione dei lavori e non era vincolata dal progetto -la Corte avrebbe dovuto ritenere che la stessa, non avendo rilevato il vizio del progetto e non avendo proposto le opportune varianti, fosse esclu sivamente responsabile dei danni, anche se dipendenti dalle direttive ricevute e dai vizi del progetto. Con il secondo motivo del suo ricorso, la Societ� I.CO.RI. -de nunciando la violazione degli artt. 1655, 1669, 2043 e 2049 cod. civ., 99, 100 e 116 cod. proc. civ., nonch� l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e l'omesso esame di punti decisivi -censura la sentenza impugnata, la quale -dopo avere individuato la colpa dell'Amministra zione ferroviaria nell'errore della progettazione e nella insufficiente atti vit� di direzione dei lavori -avrebbe erroneamente affermato la sua responsabilit� concorrente nella produzione dei danni ai terzi, sul ri flesso che essa avesse il dovere di rilevare il vizio del progetto e di proporre le opportune varianti, affinch� fosse garantita la sicurezza degli edifici sovrastanti la galleria. Ambedue i motivi, con i quali si lamenta, da entrambe le parti ricorrenti, dai rispettivi contrastanti punti di vista, che la Corte del RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO merito abbia ravvisato nella causazione dei danni a terzi la loro responsabilit� concorrente (e non la responsabilit� esclusiva della controparte), sono privi di fondamento. Il problema proposto, relativo alla corresponsabilit� dell'appaltatore e del committente per i danni cagionati ai terzi nell'esecuzione dell'opera a causa dei vizi del progetto e degli errori delle direttive del committente, attiene ai limiti di compatibilit�, in tema di appalti di opere pubbliche destinate alla soddisfazione di interessi collettivi, tra l'autonomia dell'attivit� dell'appaltatore e l'ingerenza della pubblica amministrazione, che trova il suo fondamento nell'art. 118 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827 (regolamento per l'Amministrazione del patrimonio e per la contabilit� generale dello Stato), (il quale, nel primo comma, prescrive che � nei regolamenti speciali di ciascun servizio si stabiliscono le cautele di assistenza, vigilanza e direzione necessarie per assicurare la buona esecuzione delle forniture, dei trasporti e lavori secondo la diversa natura loro) e si estrinseca (non allo scopo di una generica vigilanza) con un'assistenza intensa e continua anche mediante l'eserciziQ di poteri dispositivi, nel campo dell'esecuzione dei lavori, sotto un aspetto puramente tecnico e sotto un profilo di carattere tecnicoamministrativo. Invero -non potendo l'ingerenza della pubblica amministrazione spingersi sino ad annullare ogni funzione dell'appaltatore -trattasi di stabilire, ai fini della determinazione dei limiti di coesistenza fra l'autonomia dell'appaltatore e la ingerenza dell'amministrazione, il segno oltre il quale non � consentito a questa d'intromettersi nell'attivit� di esecuzione dei lavori. L'ingerenza dell'amministrazione committente, non essendo destinata ad incidere sull'obbligazione fondamentale dell'appaltatore di -eseguire l'opera secondo il contratto e le regole dell'arte, non vale, quindi, ad escludere la sua responsabilit�, essendo l'appaltatore tenuto (oltre che al dovere di prendere, indipendentemente dagli interventi dell'amministrazione, le opportune iniziative per eseguire l'opera) ad un dovere di controllo sugli atti in cui si esplica l'ingerenza dell'amministrazione ed a contestare conseguentemente quelli che a suo giudizio siano incompatibili con la regolare e puntuale esecuzione e che perci� incidano sulla sua responsabilit� di prestare il risultato promesso. E -dovendo tale controllo essere esercitato in tutti i campi in cui si espli�a l'ingerenza dell'amministrazione e, quindi, sia nei confronti delle prescrizioni tecniche impartite, tramite il direttore dei lavori, in corso di esecuzione sia nei confronti del progetto, la cui compilazione costituisce la prima forma di ingerenza dell'amministrazione -l'appaltatore � tenuto a segnalare le carenze, i vizi e gli errori che riscontri nelle direttive e nel progetto (cfr. Cass., sent. 11 aprile 1975, n. 1378), con la conseguenza che la loro mancata segnalazione la induca in 1:~ ![ ![ i�' .........,~~ PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI responsabilit�, in ordine ai danni prodotti ai terzi per i difetti che ne derivano all'opera. Inoltre -poich� il mancato accoglimento delle segnalazioni da parte dell'amministrazione, che insista nel suo atteggiamento impositivo dei termini del progetto e delle direttive tecniche, pur facendo cessare la responsabilit� dell'appaltatore verso la committente, non ne fa venir meno la responsabilit� verso i terzi n� quella che rivesta carattere penale dovendo l'appaltatore, in tale ipotesi, rifiutarsi di eseguire l� prescrizioni e le direttive tecniche, impostegli, in origine, mediante la progettazione ed, in corso di esecuzione, attraverso la direzione dei lavori -la responsabilit� dell'appaltatore in ordine ai danni derivanti ai terzi, per vizi rilevabili del progetto e per la riscontrabile erroneit� tecnica delle prescrizioni nel capitolato speciale e impartite in corso di esecuzione, pur essendo attenuata, sussiste accanto a quella dell'amministrazione committente. E -non essendo agevole stabilire aprioristicamente i limiti in cui le due responsabilit�, interferendo fra loro, operano -il problema da risolvere, caso per caso, con riferimento alle circostanze della ipotesi concreta, � quello relativo alla conciliazione della responsabilit� dell'appaltatore con la ingerenza ed i poteri dispositivi riservati alla pubblica amministrazione. Nel caso di specie, la Corte d'appello -avendo ritenuto, con accertamento di fatto, insindacabile in questa sede, per avere a supporto uno svolgimento motivazionale adeguato e corretto, esente da vizi logici e da errori giuridici, che la responsabilit� dell'amministrazione ferroviaria doveva individuarsi in un vizio del progetto ed in un'insufficiente attivit� direttiva dei lavori, sotto il riflesso che, sia nella fase di studio e di elaborazione sia in quella di realizzazione, non era stato intuito che la natura e le condizioni dei luoghi richiedevano l'adozione di un sistema di particolari cautele e che la responsabilit� della societ� appaltatrice, la cui autonomia non era stata neutralizzata dall'ingerenza della committente, andava identificata nell'inosservanza del dovere di rilevare gli errori e le insufficienze del progetto e di proporre le opportune varianti per garantire la sicurezza e gli interessi dei terzi -ha correttamente dichiarato la corresponsabilit� dell'Amministrazione committente e della ditta appaltatrice riguardo ai danni derivanti agli stabili sovrastanti la galleria costruenda. Invero, tale statuizione giudiziale risulta pienamente conforme al principio di diritto, pi� volte affermato dalla Corte Suprema (cfr. sent. 13 aprile 1977, n. 1385; sent. 18 novembre 1974, n. 3668), secondo cui, in tema di appalto di opere pubbliche -pur essendo, di regola, l'appaltatore, in virt� della sua autonomia, l'unico responsabile dei danni da lui eventualmente cagionati a terzi nell'esecuzione dell'opera -deve ritenersi che l'appaltatore e l'amministrazione committente siano cor RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO responsabili dei danni derivati dall'esecuzione di direttive della committente o del progetto da essa predisposto, quando (come nella fattispecie) la libert� di decisione dell'appaltatore nell'esecuzione dei lavori non sia stata completamente neutralizzata dall'ingerenza dell'amministrazione. L'unico motivo del ricorso dell'Azienda Ferroviaria ed il secondo motivo del ricorso della societ� appaltatrice sono, quindi, da disattendere. Con il primo motivo, la societ� I.CO.RI. -denunciando la violazione degli artt. 1229, 1343, 1371, 1883 cod. civ., nonch� l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia -lamenta che la Corte del merito -dopo avere affermato, in linea astratta, la validit� della clausola di manleva, materialmente inserita nei contratti di appalto stipulati dalle Ferrovie dello Stato e la sua compatibilit� con gli artt. 1229 e 1883 cod. civ. -abbia ritenuto valida ed efficace la clausola di manleva; contenuta nell'art. 110 del contratto di appalto, intesa in senso onnicomprensivo, ricomprendente, , cio�, non solo i danni causati dall'esecuzione dei lavori, ma anche quelli (conseguenti alla mancata adozione di cautele ed accorgimenti atti ad evitare pregiudizi a terzi) estranei all'esecuzione dei lavori appaltati. Sostiene che la mancanza dell'interesse dell'assuntore, dovuta alla lata estensione assegnata alla garanzia, determini la nullit� del patto di manleva. Denunzia, inoltre, il vizio di contraddittoriet� della motivazione della sentenza impugnata, la quale -dopo avere ritenuto che gli � oneri e le soggezioni� -contemplati nell'art. 110 erano compresi nei prezzi indicati in contratto -avrebbe affermato che l'interesse della societ� appaltatrice a prestare una garanzia cos� vasta fosse correlata, oltre che alla pattuizione di un prezzo fisso, alla possibilit� di ottenere maggiori corrispettivi. Il motivo � iI;ifondato. Secondo la tesi della ricorrente -essendo stati erroneamente ricompresi dalla garanzia non solo i danni causati dalla esecuzione dei lavori di costruzione della galleria, ma �nche quelli conseguenti alla. mancata adozione di eccezionali misure atte ad evitare pregiudizi agli stabili sovrastanti la galleria, per i quali non ,sarebbe stata prevista alcuna controprestazione -la clausola di manleva sarebbe nulla per difetto di interesse dell'appaltatore. La Corte d'appello -dopo avere ritenuto che l'interpretazione delle clausole 109 e 110 del contratto di appalto portava a ritenere che all'impresa appaltatrice era stato riservato un sicuro margine di iniziativa e di libert� nell'esecuzione e nell'organizzazione di lavori e che ineccepibile appariva la decisione di primo grado in ordine alla responsabilit� della societ� appaltatrice per essere questa, anche in virt� della PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 25!} sua particolare competenza tecnica e della specializzazione nel ramodelle costruzioni di opere pubbliche, in grado di rilevare il vizio del progetto e di proporre le opportune varianti per garantire fa sicurezza degli edifici sovrastanti la galleria -passando ad esaminare la validit� e l'efficacia della clausola di manleva alla luce dei rilievi avan-zati dall'appaltatrice (ora riproposti in cassazione), ha ritenuto che i danni oggetto di causa rientrassero nella previsione dei contraenti sia perch�si erano verificati in dipendenza dell'esecuzione dei lavori sia perch� l'onere assunto dall'appaltatrice era strettamente connesso con le altre clausole contenute negli artt. 109 e 110 del contratto di appalto,. s� che il patto di manleva si estendeva a qualunque fatto cagionato dall'omessa o imperfetta adozione degli accorgimenti e delle cautele necessarie per assicurare la stabilit� degli edifici, ed ha osservato che,. se in forza dell'ultimo comma dell'avvertenza in calce dell'art. 110 del capitolato gli �accorgimenti e soggezioni� contemplati nei primi quattro commi dovevano intendersi compresi nei prezzi indicati negli artt. 109 e 110, tale disposizione non era preclusiva del diritto dell'appaltatrice di richiedere ed ottenere la corresponsione dei prezzi supplettivi quando le lavorazioni non previste imponevano un sacrificio finanziario tale da alterare l'equilibrio economico del contratto, onde l'interesse dell'appaltatrice a prestare siffatta lata garanzia era correlato, oltre che alla pattuizione di un prezzo fisso, alla possibilit� di ottenere maggiori corrispettivi ed andava, quindi, rapportato al complesso dei vantaggi derivanti dalla conclusione del contratto. In base a tale svolgimento argomentativo, compiuto e conducente( e non contraddittorio, come si assume dalla ricorrente), la Corte del merito � pervenuta alla conclusione della validit� della clausola di manleva, sul riflesso che, nel caso di specie, ricorresse l'interesse del-� l'impresa appaltatrice, identificabile non solo in relazione allo specificomaggiore corrispettivo, ma con riferimento all'intera economia del con-tratto. E tale soluzione appare indubbiamente corretta, per essere rispon-dente ai princ�pi giuridici che regolano il patto di manleva inserito in contratto di pubblico appalto e per avere a supporto una motivazionecongrua ed esente da vizi logici. La questione della validit� della cosiddetta clausola di manleva (nor-malmente inserita nei contratti di appalto di lavori e servizi per le ferrovie dello Stato) � stata altre volte affrontata da questa Corte ed � stata sempre risolta nel senso che non pu� ritenersi vietata dall'art. 1229 cod. civ. ed �, quindi, valida la clausola di manleva, con la quale,. lasciando ferma la responsabilit� dell'amministrazione, si consente a. quella di riversare (su altri e anche) sull'appaltatore gli oneri derivanti dalla propria responsabilit� -a condizione, per�, che il terzo, assuntore di tali oneri, vi abbia un interesse, in difetto del quale il patto RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 260 sarebbe nullo per mancanza o per illiceit� della causa (art. 1418 cod. �civ.) (cfr. Cass., 13 maggio 1977, n. 1896; sent. 7 aprile 1976, n. 1213; sent. 6 agosto 1974, n. 2348; sent. 26 giugno 1973, n. 1853; sent. 1� agosto 1970, n. 1756). Invero -operando nei soli rapporti fra danneggiante e danneggiato il divieto dei patti di esonero o di limitazione della responsabilit� -sancito dall'art. 1229 cod. civ., la cui ragione giustificativa va individuata nella finalit� di tutelare la posizione creditoria e di evitare che sia ingiustamente privilegiata la posizione debitoria -una volta assicurata la tutela del danneggiato, la liceit� del patto, che trasferisce su un terzo l'onere del risarcimento, non incontra l'ostacolo dell'art. 1229 cod. civ. E -poich� l'interesse che vale a giustificare la clausola di manleva risiede nel complesso dei vantaggi assicurati al contraente dell'appalto ~. quindi, nell'intera economia del contratto (quando, ai fini della determinazione del prezzo, si sia tenuto conto degli oneri relativi) -deve ritenersi che, nel caso di specie, correttamente la Corte del merito abbia assegnato alla clausola di manleva un ambito comprensivo dei danni �conseguenti alla mancata adozione degli accorgimenti atti ad evitare pregiudizi a terzi ed abbia riconosciuto la validit� e l'efficacia della -stessa, sulla considerazione che -essendo previste nel capitolato di appalto disposizioni volte a conservare, in caso di lavori non considerati -comportanti particolari sacrifici economici, mediante la corresponsione di compensi supplettivi, l'equilibrio economico del contratto -ricorresse l'interesse dell'impresa appaltatrice alla stipula del patto di garanzia. Anche il primo motivo del ricorso della societ� I.CO.RI. �, quindi, �da disattendere. (omissis) -CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 gennaio 1981, n. 53 -Pres. Sposato - Rel. R. Sandulli -P. M. Grimaldi (conf.). -Comune di Messina (avv. Scarcella) c. Marullo (avv. Greco e Gatto) e Ministero dei lavori pubblici (avv. Gen. Stato). �Espropriazione per pubblica utilit� -Stima -Opposizione -Applicazione di criterio indennitario diverso da quello seguito nel procedimento amministrativo -Possibilit� -Esclusione. (legge 28 luglio 1967, n. 641, art. 14; legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 9 e segg.; legge 25 febbraio 1972, n. 13, art. 1-ter). Nel giudizio di opposizione alla stima, i criteri, in base ai quali dev'essere determinata l'indennit� spettante al proprietario espropriato, non possono essere che quelli considerati nella legge secondo la quale .si � svolto il procedimento espropriativo ed � stato emesso il provvedimento ablatorio, non essendo consentito al giudice di sostituire, al .criterio fissato dalla legge che regola il procedimento in concreto svol .........,,...........J ~ PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 261 .tosi, un criterio stabilito da altre leggi di cui si assume che la pubblica amministrazione avrebbe dovuto avvalersi per far luogo all'espropriazione (1). (omissis) Con il primo motivo del ricorso incidentale, il Ministero dei Lavori Pubblici -denunciata la violazione degli artt. 14 della legge 18 luglio 1967, n. 641 e 9 segg. della legge 22 ottobre 1971, n. 865, interpretata dall'art. 1-ter della legge 25 febbraio 1972, n. 13 -si duole che la Corte del merito non abbia applicato, ai fini della determinazione dell'indennit� di espropriazione il criterio fissato dalla legge 22 ottobre 1971, n. 865, vigente all'epoca dell'espropriazione. La censura � infondata. La Corte del merito -essendo intervenuta l'espropriazione in base .alla legge 25 giugno 1865, n. 2359 -ha correttamente applicato, ai fini della liquidazione della indennit� di espropriazione, il criterio determinativo stabilito dagli artt. 39 e segg. della legge fondamentale n. 2359 del 1865, in correlazione agli artt. 12 e 13 della legge 15 gennaio 1885, n. 2892 (Risanamento della citt� di Napoli), richiamati dall'art. 14, ultimo comma, della legge 28 luglio 1967, n. 641. Invero -indipendentemente dalla circostanza che i commi 5, 6 e 7 dell'art. 16 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica: cosiddetta legge sulla casa), come modificati dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilit� dei suoli}, sono stati espunti dall'ordinamento giuridico, in quanto dichiarati incostituzionali con la sentenza n. 5 del 30 gennaio 1980 della Corte Costituzionale -va osservato che, secondo la costante giurisprudenza della Corte Suprema, nel giudizio di opposizione alla stima, i criteri, in base ai quali dev'essere determinata l'indennit� spettante al proprietario espropriato, non possono essere che ,quelli considerati nella legge secondo la quale si � svolto il procedimento espropriativo ed � stato emesso il provvedimento ablatorio, non essendo .consentito al giudice di sostituire, al criterio fissato dalla legge che (1) Nello stesso senso, cfr. Cass., 13 dicembre 1980, n. 6457, in Giust. civ., 1981, I, 480; Cass., 1� agosto .1980, n. 4905, in Giusi. civ. Mass., 1980, 2076; Cass., '6 marzo 1980; n. 1507, ivi, 1980, 647; Cass., 10 gennaio 1980, n. 183, ibidem, 1980, 86. La decisione in rassegna e quelle richiamate si basano su un principio, la cui riaffermazione � costante nella giurisprudenza della cassazione ed in ordine al quale cfr. P. VITTORIA, Dichiarazione di pubblica utilit�, connessi criteri di determinazione dell'indennit� di espropriazione e � ius superveniens �: l'applicazione della legge 27 giugno 1974, n. 247 nel giudizio di opposizione alla stima, in questa Rassegna, 1979, I, 77. Sull'argomento va ancora segnalata Cass., Sez. Un., 12 marzo 1980, n. 1643 in Giust. civ., 1980, I, 1279 con nota di richiami, nella cui motivazione si accenna .all'eventualit� di una riconsiderazione dell'orientamento giurisprudenziale in esame nei casi di espropriazioni successive alla legge 27 giugno 1974, n. 247. 262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO regola il procedimento in concreto svoltosi, un criterio stabilito da altre leggi di cui, secondo l'assunto dell'espropriato, la pubblica amministrazione avrebbe dovuto avvalersi per far luogo all'espropriazione. E ci� in quanto, nella scelta dei mezzi giuridici idonei al consegui-mento della finalit� pubblicistica, come nella determinazione dell'opera da eseguire e dei beni da espropriare, la pubblica amministrazione esercita un potere discrezionale e, non potendo tale esercizio essere sindacato da parte del giudice ordinario, non sono proponibili innanzi ad esso questioni relative alla scelta della procedura espropriativa adottata o circa la legge che, invece di quella relativa al tipo di procedimento posto in essere, avrebbe potuto, in ipotesi, trovare applicazione. E, pertanto, mentre la tutela del diritto soggettivo, concernente la liquidazione dell'indennit� di espropriazione, consiste nel controllo da parte del giudice ordinario di tale liquidazione alla stregua delle disposizioni della legge in base alla quale l'espropriazione � avvenuta,. ogni questione circa la scelta del procedimento espropriativo e dei relativi criteri per la determinazione dell'indennit�, in quanto diretta a far valere un'eventuale lesione dell'interesse legittimo del cittadino, non pu� che essere dedotta innanzi al giudice amministrativo. Diversamente opinando, il giudice ordinario opererebbe non una disapplicazione, ma una modificazione dell'atto amministrativo in violazione dei limiti posti all'esercizio dei suoi poteri dall'art. 4, secondo comma, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, sull'abolizione del contenzioso amministrativo. Per modo che, nel caso di specie -essendo stata operata l'espropriazione in base alla legge 25 giugno 1865, n. 2359 -deve ritenersi che correttamente la Corte d'Appello abbia fatto applicazione, ai fini della determinazione della indennita di esproprio, del criterio stabilito dagli artt. 39 e segg. della legge fondamentale del 1865 (in correlazione agli artt. 12 e 13 della legge n. 2892 del 1885). Il primo motivo del ricorso incidentale, � quindi, da disattendere.. (omissis) TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 19 gennaio 1981, n. 4 -Pres. Tamburino -Rel. Cortese -Azienda municipalizzata acque Palermo (avv. Angelucci) c. Prefetto di Palermo (Avv. Gen. Stato). Acque pubbliche ed elettricit� -Acqua oggetto di concessione -Requisizione -Condizioni di ammissibilit�. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 43; legge 29 marzo 1865, n. 2248, ali. E, art. 7). Il prefetto pu�, ex art. 7 legge 29 marzo 1865, n. 2248, All. E, di sporre la requisizione di acque pubbliche oggetto di concessione non sul solo presupposto di un'eccezionale deficienza di acqua e a tutela PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MAmRIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 263 -di pubblici interessi, ma allorch� ricorrano fatti imprevedibili che impongano la necessit� di provvedimenti extra ordinem. In mancanza di tali presupposti, ad esigenze di carattere ricorrente pu� provvedersi nei .modi posti dall'art. 43, ultimo comma, t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 (1). (omissis) Il ricorso � fondato e merita accoglimento. Va rilevato che per sopperire ad eccezionali deficienze d'acqua e a tutela di interessi pubblici l'art. 43, ultimo comma, t.u. 1775 del 1933, attribuisce una specifica competenza al Ministro dei lavori pubblici, cui -� subentrata,. in talune Regioni, quella del corrispondente Assessorato. Secondo la giurisprudenza amministrativa, condivisa da lungo tempo <la questo Tribunale Superiore, il provvedimento di requisizione di acque adottato dal Prefetto ex art. 7 legge 29 marzo 1865, n. 2248, all. E, non . � atto fungibile rispetto a quello previsto dall'art. 43 sopra citato, bens� -costituisce un provvedimento straordinario che pu� essere adottato non sul solo presupposto di una eccezionale deficienza di acqua e a tutela �di pubblici interessi, ma allorch� ricorrano fatti imprevedibili che im pongono la necessit� di provvedimenti extra ordinem. Si � fatto pi� volte l'esempio della distruzione di acquedotti, dell'improvviso venir meno del le normali fonti di approvvigionamento idrico per calamit� naturali ed altre consimili ipotesi (Trib. Sup. Acque Pubbl., n. 17 del 1972). Nella specie, invece, come risulta anche da altre decisioni emesse da questo Tribunale (n. 4 del 1980 si verte in un'ipotesi diversa e certa mente prevedibile. � emerso infatti dagli atti di causa -n� la circo stanza � contestata -che durante la stagione estiva si riversa ogni anno nei Comuni di Bagheria e di Ficarazzi una grande quantit� di vil leggianti, sicch� l'appi;ovvigionamento idrico di tali Comuni diviene pe riodicamen.te insufficiente, sia pure per il periodo estivo. Non pu� pertanto essere legittimamente adottato un provvedimento <li requisizione se non altro perch� la prevedibilit� dello evento impe d.isce il ricorso ad uno strumento eccezionale che � previsto Jalla nurma per casi imprevedibili, oltre che straordinari ed eccezionali, a soppe rire i quali l'ordinamento non appresti altri mezzi. Va ancora precisato che l'impugnato decreto di requisizione fa ri ferimento, in premessa, al disagio della popolazione con prevedibili ri percussioni sull'ordine pubblico ed invoca l'art. 2 del t.u. leggi di p.s., oltrech� l'art. 7 citata legge del 1865. Ritiene tuttavia il Collegio alla stregua della comune interpreta zione che l'atto debba essere considerato nel suo complesso e valutato nel suo contenuto sostanziale, al di l� del significato che esso possa (1) Sull'argomento cfr. da ultimo, Cass., Sez. Un., 17 novembre 1978, n. 5327; Cass., Sez. Un., 25 marzo 1980, n. 1990 e Trib. Sup. Acque, 20 marzo 1980, n. 4, in questa Rassegna, 1980, I, 847. 264 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO presentare sotto un profilo formalistico deducibile da taluni espressioni adoperate. Esaminando dunque in quest'ottica l'impugnato decreto prefettizio, ed a confutazione del 4� e del 5� motivo di ricorso va rilevato che esso. appare adottato sull'esercizio dei poteri di requisizione che l'art. 7 della citata legge del 1865 attribuisce al Prefetto: ci� emerge chiaramente dalle premesse, ove viene considerata la ~rave carenza d'acqua dei due Comuni beneficiari, e viene valutata la sussistenza dei presupposti della grave necessit� pubblica e della urgenza. Risulta altres� dal dispositivo -che dispone un'effettiva requisizione di acque -e dalla indicazione degli organi incaricati dell'esecuzione del decreto, individuati nell'ingegnere Capo dell'Ufficio del genio civile di Palermo. Appare pertanto infondato quel motivo di ricorso secondo cui il Prefetto avrebbe fatto illegittimo riferimento, come a fonte abilitante all'emanazione del proprio provvedimento, ai poteri di ordinanza in materia di pubblica sicurezza spettantigli ex art. 2 t.u. leggi di p.s.. Non va comunque ignorato che nella premessa del decreto, dopo aver dimostrato la carenza idrica dei due Comuni, l'autorit� emittente formula la seguente considerazione: � che il carente approvvigionamento idrico ha provocato e provoca gravissimo disagio alle popolazioni dei Comuni interessati con conseguente malumore e con prevedibili riper-� cussioni nell'ordine pubblico �. Tale valutazione, ad avviso del Collegio, non �, di per s�, idonea a dar contezza della esistenza di quella situazione di imprevedibilit� che, insieme agli altri presupposti, -quali le indilazionabili esigenze pubbliche locali -giustifica e rende legittimo il provvedimento di requisizione. Invero pur riconoscendosi all'autorit� preposta all'ordine pubblico. il compito di valutare con discrezionalit� il pericolo di danni alla sicurezza pubblica, occorre che l'autorit� stessa fondi la sua prognosi su elementi certi e dettagliati, che consentano il controllo di legittimit� sulla congruit� della motivazione. Nella specie la previsione contenuta nella premessa del decreto di requisizione � troppo generica, sicch� si dimostra inidonea a far ritenere provato l'insorto pericolo per l'ordine pubblico. Da quanto precede risulta che nella specie non sussistevano le condizioni perch� potesse intervenire il Prefetto a sopperire le esigenze di approvvigionamento idrico dei due Comuni beneficiari del provvedimento di requisizione. Si sarebbe potuto, infatti, adottare il provvedimento previsto dall'ultimo comma dell'art. 43 t.u. n. 1775 del 1933 posto che con l'atto sono state salvaguardate esigenze di carattere ricorrente. Pertanto � fondato il primo motivo di ricorso, sicch� risulta ultronea. la disamina dettagliata delle altre censure, che restano assorbite.. (omissis) PARTE SECONDA LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice di procedura penale, art. 512, n. 2, nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello avverso la sentenza resa in dibattimento dal pretore che lo abbia prosciolto per amnistia a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella enunciata nel decreto di citazione. Sentenza 7 aprile 1981, n. 53, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. codice di procedura penale, art. 513, n. 2, nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello avverso la sentenza del Tribunale che lo abbia prosciolto per amnistia, a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella enunciata nell'ordinanza di rinvio a giudizio. Sentenza 7 aprile 1981, n. 53, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, art. 2, primo comma. Sentenza 7 aprile .1981, n. 50, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, nella parte in cui assoggetta al reclamo al Tribunale, disciplinato nel modo ivi previsto, i provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato in materia di piani di riparto dell'attivo. Sentenza 23 marzo 1981, n. 42, G. U. 1� aprile 1981, n. 91. legge 12 agosto 1962, n. 1339, art. 1, secondo comma, nella parte in cui esclude il diritto all'integrazione al minimo della pensione di invalidit� e vecchiaia erogata dalla gestione speciale lavoratori autonomi per chi sia gi� titolare di pensione a carico dello Stato. Sentenza 26 febbraio 1981, n. 34, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lettera a), nella parte in cui esclude il diritto all'integrazione al minimo della pensione diretta a carico dell'INPS, sia essa di vecchiaia che di invalidit�, per chi sia gi� titolare di pensione diretta dello Stato, dell'Istituto posNelegrafonici o della Cassa di previdenza dipendenti enti locali, qualora per effetto del cumulo sia superato il trattamento minimo garantito; nonch� nella parte in cui preclude che la pensione di riversibilit� INPS sia calcolata in proporzione alla pensione diretta INPS integrata al minimo, che il titolare defunto avrebbe diritto di percepire. Sentenza 26 febbraio 1981, n. 34, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, nella parte in cui non comprende nelle previsioni, di cui al terzo comma, le persone che siano comunque addette, in rapporto diretto con il pubblico, a servizio di cassa presso imprese, i cui dipendenti sono soggetti all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, cos� come disciplinata dal titolo primo del testo unico. Sentenza 7 aprile 1981, n. 55, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. 9 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO, STATO d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, lettera a), nella parte in cui richiede, ai fini della corresponsione della rendita:, in caso di silicosi o asbestosi, un grado minimo di inabilit� permanente superiore al 20 %, anzich� al 10 %. Sentenza 15 aprile 1981, n. 64, G. U. 22 aprile 1981, n. 111. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 293, comma primo, limitatamente alle parole � nonch� la tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 648 �. Sentenza 7 aprile 1981, n. 54, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. legge 12 novembre 1976, n. 75, artt. 1, ultimo comma, e 3, ultimo comma. Sentenza 7 aprile 1981, n. 49, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. II -QUESTIONI NON FONDATE Codice di procedura penale, art. 169 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1981, n. 51, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. codice di procedura penale, art. 171, quinto comma (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 26 febbraio 1981, n. 32, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. codice di procedura penale, art. 435, ultimo comma-(artt. 3, 24, 25 e 111 della Costituzione). Sentenza 15 aprile 1981, n. 62, G. U. 22 aprile 1981, n. 111. d.l.C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 3 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1981, n. 52, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 10 [modif. da legge 12 agosto 1962, n. 1338, artt. 2, secondo comma, lettera a), e 8] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 26 febbraio 1981, n. 34, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 119 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 26 febbraio 1981, n. 35, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art 119 (art 36, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 10 marzo 1981, n. 40, G. U. 18 marzo 1981, n. 77. legge 30 aprile 1969, n 153, art 23 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 26 febbraio 1981, n. 34, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 6 [conv. con modif. in legge 19 dicembre 1973, n. 823] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 26 febbraio 1981, n. 33, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. PARTE II, LEGISLAZIONE III -QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, artt. 1341 e 1342, cpv. (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 9 maggio ,1980, n. 42/1981, G. U. 1� aprile 1981, n. 91. codice civile, artt. 2758, secondo comma, e 2772, terzo comma [modif. da legge 29 luglio 1975, n. 426] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 16 ottobre 1980, n. 72/1981, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. codice di procedura civile, art. 5 (artt. 25, primo comma, e 24, primo comma, della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 26/1981, G. U. 1� aprile 1981, n. 91. codice di procedura civile, artt. 660, 140 e 313, secondo comma (artt. 24 e 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 6 novembre 1980, n. 8/1981, G. U. 18 marzo 1981, n. 77. codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 29 ottobre .1980, n. 32/1981, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. codice penale, art. 81 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Verona, ordinanza 17 ottobre 1980, n. 61/1981, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. codice penale, art. 204, secondo comma (artt. 3, primo comma, e 32 della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale di Milano, ordinanza 29 settembre 1980, n. 896, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. codice penale, art. 204 (artt. 3, 24 e 32 della Costituzione). Pretore di Pieve di Cadore, ordinanza 20 dicembre 1980, n. 90/1981, G. U. 29 aprile 1981, n. 117. codice penale, artt. 215 e 222 (artt. 3, primo comma, e 32 della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale di Milano, ordinanza 29 settembre 1980, n. 896, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. Giudice istruttore del Tribunale di Pisa, ordinanza 4 settembre 1980, n. 11/1981,, G. U. ,18 marzo 1981, n. 77. 1.6 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO codice penale, art. 402 (artt. 8, primo comma, 7, primo comma, 19 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 3 ottobre 1980, n. 877, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. codice penale, art. 584 (art. 3 della Costituzione). Corte d'assise di Sassari, ordinanza 29 ottobre 1980, n. 911, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. codice penale, art. 688 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 6 novembre 1980, n. 89/1981, G. U. 29 aprile 1981, n. 117. -codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Pretore di Legnano, ordinanza 27 novembre 1980, n. 43/1981, G. U. 8 aprile 1981, n. 98. codice di procedura penale, art. 282, terzo comma (art. 24 della Costituzione). Corte di appello di Roma, sezione istruttoria, ordinanza 17 luglio 1980, n. 878, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. codice di procedura penale, art. 315-bis (artt. 3 e 108 della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale di Velletri, ordinanza 25 novembre 1980, n. 7,1/1981, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. codice di procedura penale, art. 399 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Tirano, ordinanza 29 settembre 1980, n. 35/.1981, G. U. 18 marzo 1981, n. 77. codice penale militare di pace, art. 189 (artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre ,1980, n. 900, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. codice penale militare di pace, art. 189, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanza 11 novembre 1980, n. 888, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. codice di procedura militare penale, art. 26, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanza 7 ottobre 1980, n. 870, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. X � W/, ':}:::,. :X . �::W. .*. ' . ~ , ~ . .. . ~~.1.sm:. . ., . . 17 PARTE II, LEGISLAZIONE r.d. 22 dicembre 1872, n. 1210-sexies, art. 78 (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 900, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. r.d. 19 ottobre 1923, n. 2616, art. 16 (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 900, G. U. 11 marzo .1981, n. 70. r.d. 30 di�embre 1923, n. 2903, art. 29 (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 900, G. U. 11 marzo .1981, n. 70. r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825, art. 6, primo comma [conv. in legge 18 marzo 1926, n. 562] (art. 52, secondo 1cOlll1ll11a, delil.a Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 9 maggio 1980, n. 880, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. r.d.l. 23 luglio 1925, n. 1605, art. 3, secondo comma [conv. in legge 18 marzo 1926, n. 562] (art. 52, secondo comma, della Costituzione). Corte dei conti, sezione III giurisdizionale, ordinanza 10 gennaio 1979, n. 884/1980, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. r.d.I. 26 gennaio 1931, n. 122, art. 12 [conv. in legge 18 giugno 1931, n. �919] (artt. .101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 900, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. r.d. 28 maggio 1931, n. 602, art. 25 (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Vicenza, ordinanze (due) 29 gennaio 1975, nn. 17 e 18/1981, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 62, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Cortina d'Ampezzo, ordinanze (dieci) 4 agosto 1980, nn. da 901 a 910, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 (art. 33, quinto comma, della Costituzione). Consiglio nazionale forense, ordinanza 27 marzo 1980, n. 46/1981, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. Consiglio nazionale forense, ordinanza 27 marzo 1980, n. 47/1981, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. :1.8 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO r.d. 27 febbraio 1936, n. 645, artt. 183, primo comma, e 195 (artt. 21, 41 e 43 della Costituzione). Pretore di Trasacco, ordinanza 7 febbraio 1979, n. 65/1981, G. U. 15 aprile a981, n. 105. r.d.I. 30 dicembre 1937, n. 2411, art. 1, secondo comma [conv. in legge 17 maggio 1938, n. 886] (art. 36, primo comma, della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 16 novembre 1972, n. 78/1981, G. U. 22 aprile 1981, n. 116. r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 8 maggio 1980, n. 876, G. U. 18 marzo 1981, n. 77. legge 19 giugno 1940, n. 762, art. 3, lettera a) (art. 53, primo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Napoli, ordinanza 16 aprile 1975, n. 39/1981, G. U. 1� aprile 1981, n. 9.1. r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 9, secondo comma (art. 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 900, G. U. 1'1 marzo 1981, n. 70. r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 50, secondo comma (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 900, G. U. 1'1 marzo 1981, n. 70. r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 (artt. 21, primo comma, 25, secondo comma, 101, secondo comma, e 108, primo comma, della Costituzione). Consiglio superiore della magistratura, sezione disciplinare, ordinanza 14 novembre 1980, n. 28/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. l, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 29 ottobre 1980, n. 32/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. d.P.R. 5 gennaio 1950, �n. 180, art. 1 (artt. 3, 35 e 36 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 28 ottobre 1980, n. 917, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. legge 11 marzo 1953, n. 87, artt. 27 e 30 (artt. 3, 24 e 70 della Costituzione). Pretore di Trasacco, ordinanza 7 febbraio 1979, n. 65/1981, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. .PARTE II, LEGISLAZIONE 19 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, artt. 5 e 9 (artt. 21, 25 e 49 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 27 settembre 1980, n. 874, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 119 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lecco, ordinanza 27 novembre 1980, n. 30/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma (art. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione). Pretore di Prato, ordinanze (due) 17 novembre 1980, nn. 9 e 10/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma [modif. da legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5] (artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 6 novembre 1980, n. 21/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. . legge 27 giugno 1961, n. 550, art. l, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti -sezione terza giurisdizionale, ordinanza 16 novembre 1972, n. 78/1981, G.U. 22 aprile 1981, n. 111. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lettera a) (art. 3 della Costituzione. Tribunale di Trento, ordinanza 6 novembre 1980, n. 73/1981, G.U. 15 aprile 1981, n. 105. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lettera a) (artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza U ottobre 1980, n. 822, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 7, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, sezione III giurisdizionale, ordinanza 3 luglio 1978, n. 883/ 1980, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3 (artt. 3, 24, 35 e 38 della Costituzione). Pretore di Massa, ordinanza 9 gennaio 1981, n. 108/1981, G.U. 29 aprile 1981, Il. 117. Pretore di Massa, ordinanza 9 gennaio 1981, n. "109, G.U. 29 aprile 1981, Il. 117. 20 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 22 ottobre 1980, n. 890, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Ferrara, ordinanza 6 gennaio 1981, n. 81, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 11 (artt. 3, 4 e 37 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 15 novembre 1980, n. 915, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, primo comma (artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Tribunale regionale per il Molise, ordinanza 16 luglio 1980, n. 887, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 1, 8 e 9 (artt. 3 e 41 della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 17 novembre 1980, n. 3/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. Pretore di La Spezia, ordinanza 10 novembre 1980, n. 4/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 14, primo comma (artt. 3, primo comma, 36, primo comma, 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 11 ottobre 1980, n. 822, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 54, primo comma {artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 11 ottobre 1980, n. 822, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 32 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Mazara del Vallo, ordinanza 14 novembre 1980, n. 33/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. legge 28 ottobre 1970, n. 775, art. 16-ter (artt. 3, 36, 103, 104, primo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione). Corte dei conti -sezione terza giurisdizionale, ordinanze (due) 16 feb� braio 1977, nn. 79 e 80/1981, G.U. 22 aprile 1981, n. 111. legge reg. siciliana 8 marzo 1971, n. 5, art. 13, primo comma (artt. 3 della Costituzione e, 14 e 17 dello statuto speciale della regione siciliana). Pretore di Palermo, ordinanze (due) 2 ottobre 1980, nn. 14 e 15/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. PARTE II, LEGISLAZIONE legge prov. Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza U marzo 1980, n. 64/198.1, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 5, primo e secondo comma (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Cuneo, ordinanza 21 ottobre 1980, n. 36/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17 (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Avezzano, ordinanza 10 marzo 1980, n. 44/1981, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. legge prov. Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 14 ottobre 1980, n. 7 /1981, G.U. 1� aprile 1981, n. 91. legge prov. Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28 (artt. 3, 42 e 53 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 26 febbraio 1980, n. 895, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. d.P.R.''29 marzo 1973, n. 156, art. 218 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Pretore di San Don� di Piave, ordinanza 2 ottobre 1980, n. 82/1981, G.U. 15 aprile �1981, n. 105. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 7, ultimo comma (artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Nuoro, ordinanze (dieci) 9 marzo 1979, nn. da 51 a 60/1981, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56 (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Forl�, ordinanza 11 novembre 1980, n. 879, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). Pretore di Crema, ordinanza 25 luglio �1980, n. 913, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. Pretore di Busto Arsizio, ordinanze (due) 21 novembre 1980, nn. 22 e 23/1981, G.U. U marzo 1981, n. 70. Pretore di Crema, ordinanza 18 luglio 1980, n. 91/1981, G.U. 15 aprile 1981, n. 105. 22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 15 (artt. 3 e 36 della Costituzione). I ~ Corte dei Conti -sezione III giurisdizionale, ordinanza 24 novembre 1975, n. 885/1980, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, artt. 82 e 86, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Consiglio di Stato -sezione sesta giurisdizionale, ordinanza U aprile 1980, n. 899, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 14 (art. 117 della Costituzione). Pretore di Bellano, ordinanza 23 ottobre 1980, n. 41/1981, G.U. 1� aprile 1981, n. 91. legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 17 dicembre 1980, n. 70/1981, G.U. 15 aprile 1981, n. 105. Tribunale di Napoli, ordinanza 23 ottobre 1980, n. 77/1981, G.U. 29 aprile 1981, n. 117. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 25, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Vigevano, ordinanze (due) 30 ottobre e 22 maggio 1980, nn. 2 e 13/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. Tribunale di Agrigento, ordinanza 22 ottobre 1980, n. 74/1981, G.U. 15 aprile 1981, n. 105. legge reg. Friuli-Venezia Giulia 22 maggio 1975, n. 26, art. 18 (artt. 103 della Costituzione e 5 dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia). Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 11 aprile 1980, n. 89.1, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, primo, terzo e quinto comma (artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 28 ottobre 1980, n. 881, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. legge 22 luglio 1975, n. 382, art. 1, lettera c) (artt. 117, 76, 118 e 110 della Costituzione). Corte d'appello di Bologna -sezione minorenni, ordinanza 19 novembre 1980, n. 83/1981, G.U. 29 aprile 1981, n. 117. legge 29 aprile 1976, n. 177, artt. 8 e 12 (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti -sezione terza giurisdizionale, ordinanza 24 giugno 1980, n. 40/1981, G.U. 24 marzo 1981, n. 83. I l, f: 23 PARTE II, LEGISLAZIONE legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Adria, ordinanze (quattro) 26 febbraio 1980, nn. 66, 67, 68 e 69/1981, G.U. 15 aprile 1981, n. 105. legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 15, secondo, ottavo e nono comma, 21, 25, ultimo comma, 26, primo comma (artt. 3 e 32 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 15 aprile 1980, n . .16/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 25 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Argenta, ordinanza 8 ottobre 1980, n. 6/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 2, 3, 29, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Nuoro, ordinanza 4 gennaio 1979, n. 50/1981, G.U. 8 aipl'ill.e 19811, n. 98. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Rimini, ordinanza 8 novembre 1980, n. 62/1981, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. legge 13 aprile 1977, n. 114, artt. 5 e 23 (artt. 3, 53 e 47 della Costituzione). Commissione tributaria di I grado di Roma, ordinanza 21 giugno 1980, n. 897, G.U. 11 marzo �1981, n. 70. legge reg. Campania 19 aprile 1977, n. 23, art. 2 (artt. 117, 118, terzo comma, e 128 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 29 aprile 1980, n. 24/1981, G.U. 1� aprile 1981, n. 91. legge reg. siciliana 18 giugno 1977, n. 42, art. 1 (artt. 3 della Costituzione e 14 e n dello statuto speciale della regione siciliana). Pretore di Palermo, ordinanze (due) 2 ottobre 1980, nn. 14 e 15/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 22, 23 e 25 (artt. 1.17, 76, 118 e 110 della Costituzione). Corte d'appello di Bologna -sezione minorenni, ordinanza 9 novembre 1980, n. 83/1981, G.U. 29 aprile 1981, n. 117. legge 27 dicembre 1977, n. 968, art. 20, lettera a) (art. 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 4 luglio 1980, n. 29/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. 24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 5, ultimo comma (artt. 3, 24, 100, primo < comma, 103, primo comma, 113 e 125, secondo comma, della Costituzione). �=� Consiglio di Stato -sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 30 luglio 1980, n. 25/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. legge 22 maggio 1978, n. 194, artt. 4 e 5 (artt. 2, 3, 4, 31 e 32 della Costituzione). Pretore di Galatina, ordinanza 14 novembre 1980, n. 48/1981, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 2 (artt. 3 e 42, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Cassano d'Adda, ordinanza 24 ottobre 1980, n. 76/1981, G.U. 22 aprile 1981, n. 111. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 16, 17, 20 e 21 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Voltri, ordinanza 27 novembre 1980, n. 20/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 34 e 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 2 dicembre 1980, n. 63/1981, G.U. 6 aprile 1981, n. 98. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58, 59, n. 2, e 65 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Gorizia, ordinanza 10 novembre 1980, n. 912, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 5 maggio 1980, n. 914, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, primo e terzo comma (artt. 42 e 3 della Costituzione). Pretore di Imperia, ordinanza 30 novembre .1980, n. 19/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (art. 42, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Pescara, ordinanza 19 dicembre 1980, n. 93/1981, G.U. 29 aprile 1981, n. 117. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [modif. da legge 31 marzo 1979, n. 93] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Armerina, ordinanza 16 dicembre 1980, n. 75/1981, G.U. 15 aprile 1981, n. 105. ,. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 4 agosto 1978, n. 4131, art. 2, lettera c) (artt. 3, 70 e 79 della Costituzione). Pretore di Sassari, ordinanza 29 aprile 1980, n. 31/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 4, lettera b) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Latisana, ordinanza 28 ottobre 1980, n. 5/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. legge reg. Piemonte 22 novembre 1978, IL 69, art. 3, ultimo comma (art. 128 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 24 settembre 1980, n. 2/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 24 settembre 1980, n. 1/1981, G.U. 24 marzo 1981, n. 83. legge reg. Abruzzo 28 dicembre 1978, n. 87, art. 15 (art. 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 7 dicembre 1979, n. 871/1980, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. legge 13 agosto 1979, n. 374, art. 1 (artt. 1, primo comma, 38, primo e secondo comma, 24, primo e secondo comma, e 102, primo comma, della Costituzione). Tribunale di Frosinone, ordinanze (undici) 17 dicembre 1980, nn. da 167 a 177/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 10 [modif. da legge 6 febbraio 1980, n. 15] (artt. 13, primo, secondo e quinto comma, 27, secondo comma, della Costituzione). Corte d'assise di Torino, ordinanza 17 novembre 1980, n. 34/1981, G.U. 24 marzo 1981, n. 83. d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 11 [modif. da legge 6 febbraio 1980, n. 15] (artt. 3, primo comma, 13, primo, secondo e quinto comma, 25, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione). Corte d'assise di Torino, ordinanza .17 novembre 1980, n. 34/1981, G.U. 24 marzo 1981, n. 83. legge 20 marzo 1980, n. 75, artt. 4, ultimo comma, e 6, secondo comma (artt. l, primo comma, 38, primo e secondo comma, 24, primo e secondo comma, e 102, primo comma, della Costituzione). Tribunale di Frosinone, ordinanze (undici) 17 dicembre 1980, nn. da 167 a 177/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. 26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo comma (artt. 3, primo comma e 24, primo comma, della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 26/1981, G.U. 1� aprile 1981, n. 91. I legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo e secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). I Pretore di Genova, ordinanza 11 dicembre 1980, n. 49/1981, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. I legge 27 marzo 1980, n. 112 (art. 104, primo comma, della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale di Roma, ordinanza 11 dicembre 1980, n. 38/.1981, G.U. 24 marzo 1981, n. 83. legge prov. Bolzano 12 giugno 1980, n. 16, art. 4, terzo comma (artt. 70 della Costituzione e 4 e 8 dello Statuto della Regione Trentino Alto Adige). Tribunale di Bolzano, ordinanza 13 novembre 1980, n. 889, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1 (art. 42 della Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanza 21 novembre 1980, n. 27/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1, 2, 3 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 24 ottobre 1980, n. 107/1981, G.U. 29 aprile 1981, n. 117. Corte d'appello di Roma, ordinanza 24 ottobre 1980, n. 106/1981, G.U. 29 aprile 1981, n. 117. Corte d'appello di Bologna, ordinanza 12 dicembre 1980, n. 118/1981, G.U. 29 aprile 1981, n. 117. legge reg. Trentino-Alto Adige riappr. il 29 gennaio 1981 (artt. 4, 5 e 6 dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 27 febbraio 1981, n. 5, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. ~ ~ ~ ~ I ~ f: t l: ~~ i: �-. -. I' , . f _....,~~