ANNO XXXIII N. 2 

MARZO-APRILE 1981 

RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1981 



ABBONAMENTI ANNO 1981 

ANNO ������������ �' � � � � � � � � � � � � � � � � L. 20.000 
UN NUMERO SEPARATO ��������������� � 3.500 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in ltaly 
. Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n, 11089 del 13 luglio 1966 


(2219189) Roma, 1981 -Istituto Poligrafico e Zecca.dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura 

dell'avv. Franco Favara). . . . . . . . . . pag. 157 

Sezione seconda: 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura dell'avv. Oscar Fiumara) . . � 172 

Sezione terza: 
GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, 
Carlo Sica e Antonio Cingolo) . . . . . . . � 179 

Sezione quarta: 
GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati 
Adriano Rossi e Antonio Catricol�) . . . . .� . . � 199 

Sezione quinta: 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del~ 
/'avv. Raffaele Tamiozzo) . . . . . . . . . � 212 

Sezione sesta:..... 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato 
Carlo Baf�le) . . . . . . . . . . . � 221 

Sezione settima: 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . � 254 

Sezione ottava: 
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI � NOTIZIARIO 


LEGISLAZIONE � � � � . . � . � . . . � . . � . . . pag. 13 


La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 


Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPACE, Bologna; 
Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA 
V�LLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; 
Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, 
Trento; Paolo Scorri, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. 



Saluto pronunciato dall'Avvocato Generale dello Stato, Ecc. Giuseppe 
Manzari, in occasione del collocamento a riposo del I Presidente 
della Corte di Cassazione, Ecc. Tommaso Novelli. 

Considero un privilegio il potermi associare, in questa raccolta 
e pur solenne cerimonia, a nome dell'Istituto che ho l'onore di rappresentare 
e mio personale, al saluto e all'omaggio che vengono tributati 
all'altissimo Magistrato ed al caro Amico, nel momento in cui 
prende commiato dal servizio attivo della Suprema Magistratura. 

Altri -e con maggiore autorevolezza -ne hanno ricordato 
l'eccezionale cursus honorum: io vorrei sottolineare che Egli � stato 
non soltanto un giurista nel senso pi� alto, comprensivo e nobile 
della parola, ma anche -ci� che � ben pi� raro -un Grand Commis 
dello Stato, portatore, in ogni sua ricordata e pluriforme attivit�, 
di quel senso sacrale della cosa pubblica che ha consentito 
e consente al Paese -ad ogni Paese che ha la ventura di poter contare 
su uomini di tal fatta -di superare i momenti pi� difficili. 

E di questi � stato largamente intessuto il periodo della sua Presidenza, 
che ha coinciso con l'affannata crescita democratica che oggi 
viviamo, complicata dai pesanti risvolti di una crisi di adattamento, 
che si estende dall'inserimento europeo del nostro Paese al pi� 
vasto piano internazionale e coinvolge l'intera comunit� dei popoli, 
con l'effetto, anche, che sulla Magistratura � venuto a riversarsi il 
peso e la responsabilit� di dover risolvere sul piano giudiziario le 
tante contraddizioni della nostra societ� civile, che assai spesso non 
riescono ad essere composte e mediate a livello politico, legislativo 
e di azione amministrativa dello Stato. 

Dei tanti apporti che Tommaso Novelli ha dato con la sua opera 
sempre fervida e prudente, saggia e coraggiosa, al servizio dello 
Stato, mi sia consentito ricordarne solo uno, che ho potuto sperimentare 
in prima persona, partecipando all'attivit� di un Istituto 
che storicamente trae origine dal ceppo della Magistratura, che, nel 
corso della sua storia, si � arricchito di un costante prezioso ricambio 
tra magistrati ed avvocati, e che ha il vanto ed il peso di averie in 
comune con la Magistratura ideali e vocazione di giustizia che quotidianamente 
esercita nell'esplicazione dei compiti suoi propri di � avvocato 
pubblico istituzionale �. 

Intendo riferirmi all'apporto da lui dato a quella �uniformit� 
di giurisprudenza � della Suprema Corte che durante la sua Presidenza, 
e sicuramente per suo geniale impulso, si � andata consolidando, 
con la scomparsa di bruschi revirements giurisprudenziali 
e con il costante riferimento -implicito o esplicito -in ogni sentenza 
della Cassazione ai precedenti, sia per una loro conferma sia 
per un motivato allontanamento da essi. 


VI 

In questi ultimi tempi si � discusso molto di diritto comparato 
e si � spesso contrapposto il sistema anglosassone di diritto consuetudinario 
a quello continentale di diritto scritto. La differenza strutturale 
� stata normalmente ravvisata nel valore vincolante o meno 
del precedente: fonte di diritto nell'un caso e semplice punto di riferimento 
nell'altro. Tale distinzione, � stato argutamente osservato, 
� conduce fin dove arriva, ma non arriva troppo lontano �. Ed invero 
il giudice �di diritto legislativo� avverte sempre viva l'esigenza 
di una certezza che l'induce, almeno in via tendenziale, allo stare 
dedsis; mentre il giudice � di diritto giurisprudenziale � tende a sua 
volta ad enucleare con sempre maggiore duttilit� la ratio decidendi 
da quanto pu� essere trascurato come obiter dictum, fino ad arrivare 
addirittura ad inserire nella � ratio decidendi � le caratteristiche 
socio-economiche e tecnologiche del contesto in cui si iscrivono 
i fatti giudicabili. 

Orbene, si pu� dare testimonianza che Tommaso Novelli, nella 
sua Presidenza, ha mirato alto ed � arrivato assai lont�no, conseguendo 
il risultato di dare nel nostro ordinamento giudiziario un 
significato preciso e pregnante alla � uniforme interpretazione della 
giurisprudenza�, mondandola al tempo stesso dai rischi di sclerotizzazione 
e da quelli di ingiustificate e sconcertanti oscillazioni. Ha 
cos� rafforzato quel pilastro di ogni ordinato vivere civile che � la 
�certezza del diritto�, la quale, pur nel rispetto dei valori costituiti, 
si adegua, secondo ragione, al mutevole divenire dei tempi. 

E questo non � piccolo patrimonio che Egli lascia, come suo personale 
contributo, alla vita pubblica del nostro Paese di cui resta 
un nobile ed ispirato protagonista. 

Ma ancora una testimonianza desidero rendere a Tommaso 
Novelli: una testimonianza che chi si senta servitore dello Stato, 
quale io mi sento, deve esprimere come un ringraziamento: quello 
di aver lasciato nella vita pubblica anche il patrimonio della sua 
integrit� morale, della sua fermezza d'animo, della sua serena e ricca 
umanit�, del suo infaticabile e sofferto sforza per la realizzazione 
di ideali che l'Istituto, che ho l'onore di dirigere, ha in comune con 
la Magistratura. Per essi, nella durezza di questi ultimi tempi, sono 
caduti tanti Magistrati, vittime di efferate azioni di terrorismo, ai 
quali ci sentiamo legati da vincoli di fraterna unit� e solidariet�. 

Con questa testimonianza, con questo animo ed in questo spirito 
desidero rinnovare, caro Presidente, il saluto pi� cordiale e partecipe 
dell'Avvocatura dello Stato e mio personale con sentimenti di fervido 
augurio e di sincera ammirazione ed amicizia. 

, 



Saluto prQnunciato dall'Avvocato Generale dello Stato, Ecc. Giuseppe 

Manzari in occasione dell'insediamento del I Presidente della Cas


sazione, Ecc. Mario Berri. 

� per me un onore ed una viva soddisfazione poter esprimere 
in questa Aula il sentimento di partecipazione degli avvocati dello 
Stato tutti ed il mio personale al caldo e deferente saluto con cui 
viene oggi accolto l'insediamento di Mario Berri al vertice di questa 
�suprema Corte di Cassazione. 

Il livello del personaggio, l'altezza delle funzioni e le cose che 
con tanta autorit� di lu( sono state gi� dette, mi ammoniscono a non 
trattenermi in parole di pur sentito e doveroso omaggio. Esse non 
risponderebbero allo stile dell'uomo che, ben consapevole del proprio 
valore, ne ha sempre rifuggito l'ostentazione, proclamando e praticando, 
nella sua scienza e nella sua condotta di vita, la dottrina della 
concretezza. 

Questa ispirazione egli ha costantemente seguita, tanto che la 
toga, che egli ha illustrato cos� dallo scrano del requirente come 
dalla cattedra del giudicante, pur fedele compagna di una vita tutta 
dedicata all'amministrazione della giustizia, non ha mai, da sola, 
assorbito l'ingegno e l'operosit� di Mario Berri. 

Baster� ricordare la sua partecipazione ai lavori della Commissione 
pen la riforma del codice di procedura civile in cui operarono 
giuristi come Calamandrei, Carnelutti e Redenti; l'apporto da lui 
dato nell'esercizio di funzioni di amministrazione attiva quale collaboratore 
personale di, un Ministro Guardasigilli; il contributo alla 
scienza giuridica italiana che egli ha fornito quale autore di numerosissime 
pubblicazioni di alto livello e quale capo della redazione 
giudiziaria della Giurisprudenza Italiana ed, ancora i delicati compiti 
di recente svolti in seno al Consiglio Superiore della Magistratura., 
perch� emerga l'immagine di chi a buon diritto pu� ricevere ....,. nel 
senso moderno e pieno dell'espressione -il titolo di � giureconsulto 
�. Un titolo ed un ruolo antichi, che, a mio avviso, riacquistano 
attualit� e pregnanza di significato quando un vero giur�ista eserciti 
la sua sensibilit� non solo nella scienza del diritto ma anche nella 
partecipazione e penetrazione dei problemi della vita reale, quali 
si vengono delineando con l'evolvere dei tempi e delle esigenze della 
societ� in cui � chiamato ad operare. Vi � un profilo di spicco di 
questa sensibilit� di grande giurista del quale vorrei dare particolare 
riconoscimento a Mario Berri. Egli ha prontamente avvertito 
l'angustia di un orizzonte operativo ancora ristretto ai confini nazionali 
ed ha dedicato un'intensa ed appassionata attivit� alla costruzione 
del nuovissimo diritto comunitario: un'attivit� di studio, di 
ricerca, di lavoro, di insegnamento, animata dalla convinzione, che 


ci � comune, che questo strumento pu� rappresentare il colpo d'ala 
della storia per riealizzare l'unit� d'Europa in forme che trascendano 
gli schemi tradizionali anche dei rapporti tra diritto interno e diritto 
internazionale. 

Questa visione Mario Berri ha intuito e coltivato acquisendo eccezionali 
benemerenze: ha diretto per un triennio, negli anni significativi 
del decollo, il Servizio giuridico dell'Alta Autorit� della CECA,� ha 
insegnato diritto comunitario in regolari corsi per un decennio presso 
l'Universit� di scienze comparate di Lussemburgo,� ha tenuto annualmente 
corsi di insegnamento per funzionari italiani; ha partecipato 
alla fondazione ed � il Presidente del Centro Studi di diritto comunitariio. 
Il suo interesse ai problemi pi� attuali di diritto sovranazionale 
in genere trova, poi, altra manifestazione -tra le tante che si 
potrebbero elencare -nella sua partecipazione al Comitato Consultivo 
per i Diritti dell'Uomo. Sono altissime qualificazioni dalle quali 
mi � facile e gradito trarre il felice presagio (tanto pi� compiaciuto 
in quanto consonante con le mie personali esperienze di lavoro e con 
i compiti istituzionalmente affidati all'Avvocatura in materia comunitaria 
ed internazionale dalla legge di riforma del 1979) che, come 
al vertice dell'Ordine giudiziario si combina felicemente nella persona 
di Mario Berri la competenza del giurista con l'apertura dello 
scienziato e dell'esperto sui problemi pi� essenziali, attuali e risolutivi 
della vita internazionale, cos� la giustizia italiana continuer�, 
con la sua tradizionale sensibilit�, a dare il suo contributo f ondamentale 
per un sempre pi� puntuale inserimento dell'Italia e del suo 
ordinamento nell'Europa. � lo spirito di collaborazione e di integrazione 
tra i popoli, specialmente se vicini per tradizioni e civilt�, che 
consente di guardare ancora con ottimismo al futuro dell'umanit�: 
grazie ad esso sar� compiuto ogni sforzo per sventare le minacce che 
possono turbare la pace del mondo, a cominciare dal recupero della 
tranquillit� e dell'affermazione della giustizia nell'ordine interno degli 
Stati e nei rapporti tra questi. 

Con questo auspicio desidero rinnovarTi, caro Presidente, con 
profonda ammirazione ed amicizia, il pi� fervido saluto e l'augurio 
di una felice, feconda Presidenza a nome dell'Avvocatura dello Stato, 
di tutti i colleghi e mio personale. 


PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ACQUE 

-Acque pubbliche -Acqua oggetto di 
concessione -Requisizione -Condizioni 
di mnmissjbrnit�, 262. 

AIMNISTIA 

-Sentenza di prosciogtlimento resa 
c1alJ T;r.ibUJilaLe a seguito di rdefinizione 
~illllidim rdcl fatto diversa da 
quella enunciata nell'ordinanza di 
rinvio -Diritto dell'imputato di proporre 
appello -Escl'll!sione -llilregittmit� 
costituzionale, 170. 

-Sentenza di proscioglimento resa in 
dibattimento dal Pretore a seguito 
di definizione giuridica del fatto 
diversa da quella annunciata nel 
decreto di citazione -Diritto dell'imputato 
di proporre appello Esclusione 
-Illegittimit� costituzionale, 
170. 

AIPIPArLTO 

-AipipWto di opere pubbliche -Contratti 
delJe .F.S. -Clauso~a di manleva 
-Nullit� -Non sussiste, 254. 

-Alpipalrto di opere ipubbldche -Danni 
ai terzi -Responsabfilrit� de11'appal� 
tatore -Concorrente respOIIlrSabildt� 
de] committente -Presupposti e limiti, 
254. 

COMPETENZA CIVILE 

-Attivit� di polizia rivolta a1fa prevenzione 
e reipressione & .ilrJ.eciti pelllald 
� Posizione del cittadino -.Interesse 
di mero fatto -Posizione del 
singolo esipos�to a specifico :pericolo 
e concreto danno aJla sua persona 

o ai suoi beni � Interesse legittimo Giur.
isdizione deL giudice ammiffistrativo, 
�183. 
- 
Cooperative -Registro deLle :imprese 
-Lscrizione � Dridtto soggettivo Giuri.
sdizione deJ1fa.g.o. -Suss.iste, 

190. 
-Pensione ed altri emolumenti connessi 
� Giurisdizione della Corte dei 
Conti, 1%. � 

-Pensione � Recupero emolumenti Giurisdizione 
dehla Corte dei Conti, 
;196. 

-Rapporti di pubbldco illl!Piego -Dimego 
di benefici combattentistici Controversie 
GiU!risdizione del 
TAiR. e del ConsigLio dj Stato -Suss~
ste, 214. 

-Segretari comunali -Emolumenti 
corrisposti in aggiunta al trattamento 
previsto dalla legge -Giudizio di 
responsabilit� dei Segretari comunali 
che hanno emesso il titolo di 
spesa � Giurisdizione della Corte dei 
Conti, 193. 

COMUNITA' EUROPEA 

-Fondo europeo agricolo di orientamento 
e garanzia (F.E.O.GA.) -Liquidazione 
dei conti -Spese iillllPU� 
tabild � Aiuti a] magazzinaggio privato 
del vino � Condizioni, 172. 

-Fondo europeo agricolo di orientamento 
e garanzia (F.E.O.GA.) -Liquidazione 
dei conti � Srpese imputabild 
-Ecrrata interpretazione del diritto 
comunitario � Comportamento 
delle istituzioni comunitarie -Effetti, 
172. 

CONTABILITA' PUBBLICA 

-Credirti nei confronti defilo Stato � 
Interessi � Decorrenza, 212. 

-Crediti nei confronti defilo Stato � 
Interessi -Presupposti -Limiti -Im 
piego e 01xlrinazione �di spesa � Irrilevanza 
-Effetti � Estensione, 212. 

-InteJJpretazione � Criteri -Intenzione 
comune dei contraenti � Art. 1362 
cod. civ. -Alpplrncabi:lrit� -Sussiste, 

216. 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 
CORTE COSTITUZIONALE noni di utenza -Indisponibilit� -Im {: 


-Conflitto di attribuzioni -Presupposti 
-Accertamento della propriet� 
di beni immobili assunti trasferiti 
dallo Staio alle Regioni -Conflitto 
di attribuzione -Esclusione, 
179. 

DEMANIO 

-AUoggi con caratter.iistiche prescritte 
sulili'ediliizia popoliare ed economica 
-Fi'llalldt� -Servimo pubbldco di 
protezione sociale -Patrimonio mdi.
siponibile -Trasferimento dalilio Stato 
alle Regioni -Esclusione, 179. 

-Demanio storico artistico -TuteLa 
dei beni culturailii -Attribuzione esdusiva 
-Soprintendente -Ambito 
dei destinatari -Pubbliche amministrazioni 
-Estensione -Sussiste, con 
nota di R. Tamioz:ro, 218. 

-Demanio storico artistico -Tutelia 
dei beni culituraLi -Interesse storicoartistico 
-Accertamento -Criteri Competenza 
del Soprintendente Estensione 
-Limiti -Conseguenze, 
con nota di R. Tamiozzo, 218. 

-Demanio storico-artistico -Vincolo 
di bene culrturale -VmooLo indiretto 
-Trascrizione -Necessit� -Omissione 
-Effetti, con nota di R. Tamiozzo, 
219. 

-Demanio storico-airtistioo -Vincolo 
di beni culturald -ViI1JC0lo mdiretto Trascrizione 
-Necessit� -Omissione 
Effetti, con nota di R. Tamioz 
zo, 219. 

-Demanio storico-artistico -Vincolo 
di beni culturald -Vmcolo indiretto Trascrizione 
-Neces.sit� -Nota di 
trascrizione -Formalit� -Esigenza 
di oss,ervare le prescrizioni fissate 
da1liart. 2665 cod. civ. -v.ioliazione -
Conseguenre, con nota di R. Tamiozzo, 
219. 

ELEZIONI 

-Elezfoni politiche -Contestazione sui 
risultati numerici delle operazioni 
elettorali -Competenza esclusiva 
delle Camere -Questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 87 t.u. 
20 marzo 1957 n. 361 -Manifesta 
infondatezza, 187. 

ESECUZIONE FORZATA 

-Pignornmento presso terzi -Crediti 
da esattare -Ente acquedotti -Ca


pi.gnorab11it� -Sussiste, 207. 

ESPROPRJIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILITA' 

-Stima -�pa;>oS:izione -Applicazione 
di criterio mdenrutorio diverso da 
quel1o seguito nel iprocedimento amministrativo 
-Possibifil.t� -Esclusione, 
260. 

FALLIMENTO 

-Giudice delegato -Provvedimenti emessa 
in materia ,di pfano di riparto 
dehl�'attivo -Redamo a1 Tribunale Procedimento 
-Illegittimit� costituzionale 
-Fondatezza, 163. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Impugnazione -Proposizione dell'appello 
-Rinuncia all'azione e agli 
effetti della sentenza di lo grado da 
parte dell'appellato -Effetti sul giudizio 
di appello non ancora definito, 

213. 
-Rioorso giurisdizionaLe -Atto impugnabile 
-Atto di mera comunicazione 
-Impugnabihl.t� autonoma -Preclusione, 
con nota di R. Tamiozzo, 

218. 
-Ricorso giurisdiziionale -.Poteri del 
giudioe -Limiti -Incompetenza delJ;'
Autor>it� emanante -Effotti dello 
annu1liamento -Indagine sugLi altri 
motivi -Esclusione -Necessit�, con 
nota di R. Tamiozzo, 218. 

- 
Ricorso giurisdizionale -Provvedimenti 
impugnabi1i -Atti regoliamentari 
-Criteriro -Attualdt� de1La lesione 
deLL'interesse dedotto in g.iudizio 
-Necessit� dell'accertamento 
i[l concreto deHa �lesione -Sussiste, 

216. 
-Ricorso giurisdizionale -Provvedimenti 
impugnabili -Atti regolamentari 
-Regolamenti de1 Ministero del!Iia 
Sanit� -Prodotti f.armaceumci di 
nuova istituzione -Regoliamento che 
disciplina l'esecuzione degli accertamenti 
del1lia composizione e innocuit� 
dei prodotti -Lesione immediata Non 
sussiste -Effetti -Impugnazione 
autonoma -Proclrusione, 216. 


INDICE DBLLA GIURISPRUDENZA 

-Ricorso giurisdizionale � Pubblico impiego 
-Controinterossati -Uff.iciaLi 
giudiziari � Riconoscimento di benefici 
combattentistici � Cassa pensioni 
ufficia.Li giudiziari � Posizione 
processuale ,di oontroiintieressata 
Non ,sussiste, 215. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Competenza e giurisdizione � Retribuzioni 
� Interessi -Cor.:riiispettivi e 
moratori � Giurisdizione amministrativa 
� Sussiste, 212. 

-Impiego non di ruolo o impiego di 
ruolo � Disciplina differenziata in caso 
di assenza per maliattia -Questione 
di Legittimit� oosti-tuzionaJe � Infondatezza, 
'167. 

-Procedimento disciplinare -Contestazione 
degLi addebiti -Iruizio de11a 
.procedura � Perentoriet� dei termi.
ni. -Criteri � Limiti � Irr.ilevaa:iza 
del ritardo daL1a data del fatto, 217 

-Procedimento ,di,sdplinare � Perenzione 
-Atti rinterruttivi � Natura Effetti, 
217. 

-Retribuzioni � Lavoro straordinario Dipenden!
ti I.N.P.S. -Oriterd di liquidazione 
� Decorrenza � Fattispecie, 

212. 
-Stipendi e pensio.rui -Prescrizione 
biennale � Illegittimit� costituzionale 
-Fondatezza, 166. 

-Ufficiali giudi1)iari -Stato giuridico 
di impriega:to dehlo Stato � Appl~cabiIJit� 
� Sussiste � Effetti ai fiini de1 
riconoscimento dei benefici combattentistioi, 
215. 

PREVIDBNZA 

-Controversia � Giudioe de1 Lavoro Competenze 
� Pensioni sooia1i -Sussiste 
� Fatt1s.pecie, 199. 

-Controversia -Giudice del Lavoro Competenza 
-Riconoscimento di 
pensione di invalidit� -Sussiste � 
Fattispecie, 199. 

-Pensione di inabilit� e vecchiaia, Cumulo 
con pensione a carico dello 
Stato -Trattamento minimo garantito 
-Integrazione -Esclusione -Illegittimit�, 
,158. 

RICORISI AIMMINISTRATIVI 

-Rdcorso straordinario -Provvedimento 
decisorio � A11t. 15 d.P R. 24 novembre 
1971, !Il. H99 � Appliioabildt?. Effetti 
-ImpugnabHiit� solo ;per reV'OOaZ�Oille 
-Effetti -1nammi1ssibhlrit� 
di una impugnazione proposta per 
motivi di merito gi� valutati in sede 
di ricorso straordinario -Sussiste, 
213. 

-Ric0I1So straordinario -Rapporti oon 
il ricorso giurisdizionale -Rinuncia 
agLi effetti de1La decisione � Effetti 
su1 l1�i00rso giurisdizionailie proposto 
da un terzo avverso La decisione pronunciata 
suL riooriso straol'dinario, 

213. 
TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobi1e 
-Reddi!ti di dimpresa -Danni di 
guerra -Detrazi0111e de1 costo dei 
beni 'ricostruiti � SopraVVlelllienze attive 
� Rlecupero di somme ammesse 
in detrazione per ammortamento dei 
beni ricostruiti � Esclusione, con nota 
di C. Bafile, 237. 

-Soggetti passi'Vi -Liquidatore chi societ� 
� Liquidatore 'di fatto -Sussiste, 
251. 

-Soggetti passivi � Liquidatore di societ� 
� Resiponsabi1it� personale � 
Presupposti, 223. 

TRLBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposte di registro -Usufrutto � 
Conso1idazione � Riacquisto deUa nuda 
propriet� da ,parte deWusufruttuario 
� Si verifica, 241. 

T,RLBUTI IN GENERE 

-Acoertamento -Notificazione � IrregoLarH� 
� Poterie della comrnissioille 
di ordinare I1a riillilovazione � Termme 
gi� scaduto -Ammissi!biLit�, 

226. 
- 
Accertamento tributario � Rapporto 
giuridico idi imposta � D1sponihi1Jit� 
da 1parte deL soggetto passivo � Am� 
miissibi1it� � Omes,sa eccezione di 
verificata decadenza � RilevabiLit� 
di ufficio -Eisdiusione, 221. 


Xll RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-Condono -.Pagamento del tributo -
Inaipipltlicabiliit�, 157. 

-Contenzioso Wrbutario -Poteri de1 
giudice -Rd�1evabi1it� .c:Li. ufficio -Decadenze 
conoernenti gli atti de1 processo 
-!Sussiste -Decadenza concernente 
atti estranei al processo -Non 
SUS�s1s�te, 221. 

-Potest� tributaria di imposfalione Capacit� 
contributiva -Tributi. :indiret-
ti -Scelita d1sccrez1onale �de1 Iegislatore 
-Imposta di registro -Con


solddazi001e di usufrutto -Illegittimit� 
costituziOlllale -Manifes�ta infondatezza, 
241. 

-Repcressiione dd1e vioLazioni -Pena 
0pecuniiaria -Pcrescrizione -Decorrenza 
-Atti intemuttivi -Verbale di acoertamento 
-Illlte�:-ruzione con effetto 
dstantaneo -Sosip.ensione deL pcrocec:
Li.mento fino altl:'esito di gd:uc:Li.zio 
penale -Non interrompe, 229. 

-Riepressiollle deLle vJoLazioni -Pena 
pecUl!liairia -Provvedimento di irrogazione 
-Natura dichiaratii.va, 229. 



INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

21 febbraio 1981, n. 33 
26 febb11aio 1981, n. 34 
23 marzo 19&1, n. 42 
7aiprHe 1981, n. 50 
7 aptl1e 1981, n. 52 
7 aprile 1981, n. 53 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

27 gennaio 1981, nella causa 1251/79 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CAJSSAZIONE 

Sez. I, '12 maggio 1980, n. 3122 
Sez. I, '19 maggio 1980, n. 3270 . 
Sez. I, 20 maggio 19&0, n. 3306 . 
Sez. I, 26 maggio 1980, n. 3431 
Sez. I, 26 nJ.aggio 1980, n. 3436 
Sez. I, 26 maggio 1980, n. 3440 
Sez. I. 2 giugno 11980, n. 3593 . 
Sez. Lav., 15 lug1iio 19&0, n. 4565 
Sez. Un., 1� ottobre 11980, n. 5332 
Sez. Un., 13 ottobre 1980, n. 5456 
Sez. Un., .17 ottobre 1980, n. 5583 . 
Sez. Lav., 110 novembre 1980, n. 6044 
Sez. I, 15 dkembre 19&0, n. 64&9 
Sez. Un., 6 genna:ilO 119&1, n. 44 
Sez. I, 6 gennaio 1981, n. 53 . 
Sez. Un., 7 gennaio 11981, n. 75 
Sez. Un., 7 ~nnaio 1981, n. 77 
Sez. I, 14 ge.tlJIJ.aio 1981, n. 323 

'11RLBUNALE SUPERIORE ACQUE 

19 gennaio 11981, n. 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

pag. 157 
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pag. 172 

pag. 221 
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pag. 262 


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XIV RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

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GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE f: 

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CONSIGLIO DI STATO ~ 

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Ad. Pl., 7 aprile 1981, n. 2 pag. 212 
Sez. IV, 10 marzo �1981, n. 244 ,. 213 
Sez. IV, 10 marzo 1981, n. 245 � 214 

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Sez. IV, '17 marzo 1981, n. 252 � 216 

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Sez. IV, 24 marzo 1981, rn. 279 � 216 
Sez. IV, 28 aprile 11981, rn. 376 217

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Sez. VI, 7 aprile 1981, n. 140 . )) 218 

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Sez. VI, 24 aprile 1981, n. 151 )) 219 

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PARTE SECONDA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLE CONSULTAZIONI 
LEGISLAZIONE 
QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 
I. -Norme dichiarate incostituzionali 
Il. -Questioni dichiarate non fondate 
III. -Questioni proposte 
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PARTE PRIMA 



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GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 21 febbraio 1981, n. 33 � Pres. Amadei � Rel. 

Elia-Fasana � Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini 

Rota). 

Tributi (in generale) � Condono �Pagamento del tributo � Inapplicabilit�. 

Non � fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 6 
della legge 19 dicembre 1973, n. 823, laddove ritiene non applicabile il condono 
alle controversie tributarie pendenti alla data di entrata in vigore 
della legge, nelle quali l'imposta sia stata pagata, in esecuzione alla ingiunzione 
fiscale e si discuta della richiesta di rimborso (1). 

(omissis) La questione sottoposta in via primaria al giudizio di questa 
Corte consiste pertanto nel quesito circa la legittimit� costituzionale 
dell'esclusione dalla sfera di applicabilit� dell'art. 6 dei contribuenti che 
hanno gi� pagato le imposte suppletive quando gli uffici tributari si 
siano avvalsi della facolt� di procedere a riscossione coattiva, nonostante 
la pendenza di opposizione. 

La questione non � fondata. Non si pu� negare, in primo luogo, che 
diversa sia la situazione di chi ha gi� pagato e di chi pu� definire la 
controversia pagando. N� la diversit� di trattamento tra queste due 
categorie di contribuenti � irragionevole, nel senso che la differenza presupposta 
come criterio di distinzione corrisponde alle finalit� assunte 
dal legislatore e caratterizzanti il provvedimento. A loro volta, tali finalit�, 
ponendosi come strumentali rispetto ad una migliore attuazione dell'art. 
53 della Costituzione (avvio della riforma tributaria), sono congruenti 
con tale obiettivo costituzionalmente rilevante; inoltre il legislatore 
ha adottato con coerenza congegni operativi di carattere automa


(1) Cfr. per qualche riferimento le altre sentenze della Corte Costituzionale 
25 giugno 1980, n. 96 e 23 luglio 1980, n. 119, sui presupposti e limiti di applicabilit� 
del condono fiscale. In conformit� a tale giurisprudenza la Cassazione 
ha sempre ritenuto manifestamente infondata la questione: cfr. Cass., 16 febbraio 
1978, n. 727, in Riv. legs. fisc., 1978, 1559. 

158 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
tico e, in certa misura, astratto: sicch� � esclusa, per la fattispecie normativa 
che qui interessa, ogni possibilit� di valutare, ai fini dell'applicazione 
del decreto-legge n. 660 del 1973, se gli uffici tributari si siano 
avvalsi in modo pienamente legittimo dei poteri ad essi spettanti in tema 
di riscossione coattiva. Di fronte a pagamenti effettuati anteriormente 
in condizioni di regolarit� formale, il legislatore ha preferito rinunciare 
anche ai vantaggi che potevano derivare da una soluzione definitiva della 
controversia in sede di applicazione dell'art. 6 e dalla conseguenziale definitivit� 
dell'introito in quella sede conseguito. N� si pu� trascurare che 
le disparit� di trattamento suscettibili di prodursi tra contribuenti in 
situazioni in apparenza analoghe non differiscono sostanzialmente da 
quelle che, per effetto dell'automatismo caratterizzante il provvedimento, 
questa Corte ha riconosciuto non contrastanti con i precetti dell'art. 3 
della Costituzione (sentt. nn. 96 e 119 �lel 1980). (omissis) 
CORTE COSTITUZIONALE, 26 febbraio 1981, n. 34 -Pres. Amadei -Rel. 
Bucciarelli Ducci -Sala ed altri c. Istituto Nazionale Previdenza 
sociale. 
Previdenza -Pensione di inabilit� e vecchiaia -Cumulo con pensione a 
carico dello Stato -Trattamento minimo garantito -Integrazione � 
Esclusione -Illegittimit�.� 
Sono costituzionalmente illegittimi: l'art. 2, secondo comma, lettera a) 
della legge 12 agosto 1962, n. 1338, nella parte in cui esclude il diritto alla 
integrazione al minimo della pensione diretta a carico dell'INPS, sia essa 
di vecchiaia che di invalidit�, per chi sia gi� titolare di pensione diretta 
dello Stato, dell'Istituto Postelegrafonici e della Cassa di Previdenza dei 
dipendenti degli enti. locali, qualora per effetto del cumulo sia superato 
il trattamento minimo garantito, e l'art. 1, secondo comma, della legge 
12 agosto 1962, n. 1339, nella parte in cui esclude il diritto all'integrazione 
al minimo della pensione di invalidit� e vecchiaia erogata dalla gestione 
speciale lavoratori autonomi per chi sia gi� titolare di pensione a carico 
dello Stato (1). 
(omissis) La questione, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, 
� fondata e merita accoglimento. 
Invero nel sistema originario delle norme che regolavano l'integrazione 
al minimo delle pensioni gestite dall'I.N.P.S., l'art. 2, secondo 
(1) La sentenza n. 263 del 1976, richiamata in motivazione, riguarda la incostituzionalit� 
della norma sul trattamento minimo sulla pensione di invalidit�, 
ai titolari di pensione diretta a carico dello Stato. ;,: 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

comma, lettera a) della legge 1338 del 1962 prevedeva il diritto all'integrazione 
al minimo della pensione diretta erogata dall'INPS, in caso di 
cumulo con altra pensione, solo qualora l'importo complessivo delle pensioni 
cumulate fosse inferiore al minimo garantito. 

Successivamente per� l'art. 23 della legge 153 del 1969, in deroga alla 
norma predetta, consent� la integrazione al minimo delle pensioni dirette 
INPS in caso di cumulo con pensioni di riversibilit� erogate dallo stesso 
INPS. A seguito poi della sentenza della Corte costituzionale n. 230 del 
9 luglio 1974 e della legge n. 114 del 16 aprile 1974, l'integrazione delle 
pensioni dirette dell'INPS veniva consentita in caso di cumulo con qualsiasi 
pensione di riversibilit�, quale che fosse l'ente erogatore. 

La successiva sentenza di questa Corte n. 263 del 1976 rendeva possibile 
anche l'integrazione al minimo delle pensioni dirette d'invalidit� 
a carico dell'INPS nell'ipotesi di cumulo con pensioni dirette dello Stato. 

La normativa in vigore, pertanto, determina effettivamente il denunciato 
trattamento di sfavore per i titolari di pensione diretta dello Stato, 
dell'Istituto post-telegrafonici e degli enti locali, cui � negata l'integrazione 
al minimo della pensione di vecchiaia a carico dell'INPS (qualora 
il cumulo delle due pensioni superi il minimo garantito) quando invece 
ai titolari di pensioni di riversibilit�, da qualunque ente erogate, � sempre 
riconosciuto il-predetto diritto all'integrazione, cos� come tale diritto 
� riconosciuto ai titolari di pensioni dirette dello Stato, ai quali spetta 
l'integrazione della pensione di invalidit� INPS. 

Ritiene la Corte che le prospettate disparit� di trattamento non trovino 
alcun razionale fondamento. 

In effetti, di fronte all'identit� del rapporto che tutti gli aspiranti 
all'integrazione al minimo hanno con l'INPS, erogatore della pensione 
mm1ma, non si giustifica la discriminazione del diritto all'integrazione 
sulla base di differenze relative alla seconda pensione cumulabile, di cui 
gli aspiranti sono titolari, quando tali differenze non comportino una 
diversit� sostanziale di condizioni economiche e sociali. 

Nella specie, sotto un primo profilo, una minore tutela del titolare 
di pensioni dirette rispetto ai titolari di pensioni di riversibilit� non 
trova rispondenza in sostanziali differenze di condizioni economiche e 
sociali tra le due categorie di titolari, caratterizzate entrambe dal fatto 
che il trattamento loro dovuto � comunque corrispettivo, differito nel 
tempo, di una prolungata prestazione lavorativa svolta durante il cessato 
rapporto di lavoro. 

Sotto l'altro profilo, altrettanto ingiustificabile � la maggior tutela 
accordata ai titolari di pensione diretta dello Stato, che chiedano 
all'INPS la integrazione della pensione di invalidit�, rispetto ai titolari 
della stessa pensione diretta (dello Stato, dell'Istituto post-telegrafonici 
e di enti locali) che chiedano al medesimo istituto l'integrazione della 
pensione di vecchiaia, attesa l'identica natura e funzione delle due pen



160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
sioni dirette erogate dallo stesso INPS. Infatti sia il trattamento per 
invalidit� sia quello per vecchiaia discendono dallo stesso presupposto: 
la diminuita capacit� di guadagno per infermit� o per et�, che rende 
il soggetto meritevole di uguale protezione. 

Osserva inoltre la Corte che in pi� occasioni il legislatore ha mostrato 
di voler salvaguardare la funzione eminentemente sociale e solidaristica 
della pensione minima INPS, indipendentemente dal percepimento 
di altri redditi di lavoro da parte del titolare; come nella normativa che 
consente, limitatamente alla quota corrispondente al trattamento minimo, 
il cumulo delle pensioni di vecchiaia e invalidit� con la retribuzione 
percepita dai lavoratori dipendenti (artt. 20 legge n. 153 del 1969 e 10 legge 

n. 160 del 1975); norma questa che ha superato il vaglio della Corte costituzionale 
(sentenza n. 30/1976) e che realizza l'intervento solidaristico in 
ipotesi nelle quali i bisogni vitali del lavoratore sono certamente gi� 
soddisfatti assai pi� che nel caso in esame di cumulo di pensione diretta 
di vecchiaia INPS con altra pensione diretta; o in quella contenuta nel 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, che all'art. 11 consente il cumulo della 
pensione sociale -che ha funzione analoga al trattamento minimo con 
gli assegni vitalizi, come viene ricordato nelle citate sentenze della 
Corte costituzionale n. 230/1974 e n. 263/1976; o infine nella disciplina 
riguardante le pensioni al clero secolare e agli altri ministri di culto, 
che, in ipotesi del tutto identiche a quelle che formano oggetto dell'attuale 
questione di costituzionalit�, garantisce il trattamento minimo della 
pensione diretta INPS in caso di cumulo con pensioni dirette a carico 
dello speciale Fondo di previdenza per i ministri di culto (art. 18 legge 
22 dicembre 1973, n. 903). 
C'� inoltre da osservare che ai pensionati dello Stato devono essere 
equiparati, ai fini dell'esame della questione cos� sollevata, i pensionati 
della C.P.D.E.L., e dell'Istituto post telegrafonici non essendovi motivi 
razionali per discriminare le tre situazioni. 

Da quanto precede emerge chiaramente che la norma effettivamente 
impugnata � soltanto l'art. 2, secondo comma, lettera a) della legge 1338 
del 1962 -come correttamente � stato indicato nella maggior parte delle 
ordinanze -e non anche l'art. 23 della legge n. 153 del 1969, che appare 
come semplice elemento di raffronto. � pertanto alla prima norma (art. 2, 
secondo comma, lettera a) della legge 1338 del 1962) che deve essere limitata 
la dichiarazione di illegittimit� costituzionale. 

L'accoglimento della censura relativa alla violazione dell'art. 3 della 
Costituzione rende superfluo l'esame dell'ulteriore censura relativa all'articolo 
38 della Costituzione, che rimane pertanto assorbita. 

Con la seconda questione proposta alla Corte si pone il dubbio 
se contrasti con gli artt. 3 e 38 della Costituzione il citato art. 2, secondo 



PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

comma, lettera a) della legge n. 1338 del 1962, nella parte in cui esclude 
l'integrazione al minimo della pensione diretta di invalidit� a carico dell'INPS 
ai titolari di pensioni dirette della Cassa per le pensioni ai dipendenti 
degli enti locali (C.P.D.E.L.), qualora per effetto del cumulo l'importo 
delle due pensioni superi il trattamento minimo. 

La questione � fondata. La norma impugnata, infatti, determina, dopo 
la citata sentenza n. 263/1976 della Corte costituzionale, una disparit� di 
trattamento tra titolari di una identica pensione di invalidit� erogata 
dall'INPS e di un'altra pensione diretta, discriminandoli a seconda che 
quest'ultima sia a carico dello Stato o della C.P.D.E.L. Nel primo caso, 
infatti, viene concessa l'integrazione al minimo della pensione INPS, che 
viene invece negata nel secondo caso. 

La minore tutela garantita ai pensionati degli enti locali rispetto ai 
pensionati dello Stato, relativamente alla stessa pensione di invalidit� 
erogata dall'INPS, � priva, infatti, di una razionale giustificazione, non 
trovando alcun riscontro in una obiettiva diversit� di condizioni sociali 
ed economiche, alla luce dei criteri sopra enunciati. 

Anche sotto questo ulteriore profilo, pertanto, l'art. 2, secondo comma, 
lettera a) della legge n. 1338 del 1962 � viziato di illegittimit� costituzionale. 


� superfluo a questo punto, per le considerazioni gi� svolte nel precedente 
paragrafo, esaminare l'ulteriore censur� relativa all'art. 38 Cost. 

La terza questione (ordinanza n. 442/77 del Pretore di Milano) 
sulla quale la Corte costituzionale � chiamata a decidere, � se sia in contrasto 
con l'art. 3 della Costituzione il combinato disposto delle norme 
gi� denunciate (artt. 2 legge 1338 del 1962 e 23 legge 153 del 1969) nella 
parte in cui esclude l'integrazione al minimo di altra pensione indiretta 
erogata da enti diversi, qualora per effetto del cumulo venga superato 
il trattamento minimo garantito. 

Nell'ordinanza di rimessione si dubita che tale esclusione realizzi 
un'ingiustificata disparit� di trattamento tra titolari di due pensioni 
ugualmente di riversibilit� corrisposte dall'INPS per il fatto che ad alcuni 
superstiti una delle pensioni perviene calcolata sulla base di una pensione 
diretta, per la quale il pensionato defunto aveva gi� ottenuto l'integrazione 
al minimo, mentre ad altri la stessa pensione di riversibilit� perviene 
sulla base di una pensione diretta non integrata, rimanendo esclusa 
per effetto delle norme impugnate. 

La questione � fondata, in quanto la denunciata disparit� di trattamento 
� priva di ogni giustificazione, discriminando tra cittadini che si 
trovano in analoga condizione sociale ed economica: entrambe le categorie 
messe a raffronto godono, infatti, di due pensioni di riversibilit� 
che hanno lo stesso titolo, cosicch� la differenza di tutela discende da 
una circostanza estrinseca meramente casuale: l'avere o meno il pensio



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nato defunto provveduto, mentre era in vita, a chiedere l'integrazione 
al minimo della sua pensione diretta. Ritiene la Corte che non possa 
il legislatore sancire discriminazioni all'interno di categorie sostanzialmente 
omogenee, in base a presupposti giuridici puramente formali, senza 
violare il principio di uguaglianza. 
Dunque in questo caso la norma che risulta effettivamente in contrasto 
con l'art. 3 Cost. � l'art. 2, secondo comma, lettera a) della legge 
n. 1338/1962, e non l'art. 23 della legge n. 153/1969, in quanto la denuncia 
del giudice a quo non � diretta ad eliminare la tutela accordata dal citato 
art. 23, ma ad estendere tale tutela al di l� dei limiti previsti dall'art. 2, 
secondo comma, lettera a) della citata legge del 1962. 
Va precisato altres� che la predetta norma � viziata di incostituzionalit� 
non perch� esclude che la pensione di riversibilit� INPS raggiunga 
l'importo della pensione diretta integrata al minimo -esclusione che 
sarebbe conforme alla logica dell'istituto della riversibilit�, che attribuisce 
ai superstiti soltanto-una quota determinata della pensione del defunto 
ma 
in quanto impedisce che il calcolo della pensione di riversibilit� 
INPS, in caso di� cumulo con altro trattamento di riversibilit�, sia rapportato 
all'importo integrato al minimo della pensione diretta INPS che il 
defunto avrebbe dovuto percepire se avesse chiesto l'integrazione. 
La soluzione della questione sotto il primo profilo esonera la Corte 
dall'esame dell'ulteriore profilo di censura, relativo all'art. 38 Cost. 
Altra questione sulla quale la Corte si deve pronunciare � se 
contrasti con l'art. 3 Cost. il combinato disposto degli artt. l, secondo 
comma, legge 12 agosto 1962, n; 1339 e 23 legge 30 aprile 1969, n. 153, 
nella parte in cui esclude per i titolari di pensione statale l'integrazione 
al minimo della pensione di invalidit� e vecchiaia erogata dalla Gestione 
speciale artigiani (legge 4 luglio 1959, n. 463), per la disparit� che ne 
deriva rispetto ai titolari della stessa pensione statale, ai quali � consentita 
l'integrazione della pensione d'invalidit� purch� erogata dall'INPS, 
nonch� rispetto ai titolari di qualunque pensione di riversibilit�, che 
hanno diritto all'integrazione della pensione diretta INPS. 
La questione cos� proposta � fondata. 
Invero il secondo comma dell'art. 1 della legge n. 1339 del 1962 riproduce 
-per la Gestione speciale artigiani una norma identica a quella 
dettata dall'art. 2, secondo comma, lettera a), della legge n. 1338 del 1962, 
sopra esaminata. 
Dall'accoglimento delle censure ad essa relative discende, infatti, l'illegittimit� 
costituzionale del diniego del trattamento minimo garantito 
sulle pensioni dirette INPS, sia di invalidit� che di vecchiaia, a chi sia 
gi� titolare di altra pensione di riversibilit� o di altra pensione diretta 
a carico dello Stato, o di altri fondi. ~~: 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 163 

Alla luce di quanto si � gi� rilevato, a proposito dell'estensione del 
diritto all'integrazione al minimo delle pensioni poste a carico dell'INPS, 
del tutto priva di giustificazione razionale si rivela la persistente esclusione 
di tale diritto per la pensione diretta (vecchiaia o invalidit�) eroga� 
ta dalla Gestione speciale per i lavoratori autonomi, dal momento che 
la pensione suddetta assolve, per la particolare categoria degli artigiani, 
esattamente la stessa funzione svolta per gli altri lavoratori dalla pensione 
diretta a carico dell'assicurazione ordinaria INPS. 

L'identit� della funzione dei due trattamenti, che � quella di assicurare 
al lavoratore anziano o invalido un minimo vitale, rende arbitraria 
la diversit� di disciplina data a due identici istituti a seconda che il pensionato 
sia assicurato dall'INPS o dalla gestione speciale lavoratori autonomi 
sempre gestita dall'INPS, non essendovi alcun motivo economico 

o sociale che valga a spiegare una discriminazione tra lavoratori dipendenti 
e lavoratori autonomi in riferimento al minimo vitale. 
Deve essere, quindi, dichiarata l'illegittimit� costituzionale dell'art. 1, 
secondo comma, della legge 1339 del 1962 sotto il profilo proposto. Va 
invece esclusa ogni pronuncia in ordine all'art. 23 della legge 153 del 1969, 
per i motivi gi� esposti nell'esame delle precedenti questioni. (omissis) 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 marzo 1981, n. 42 -Pres. Amadei -Rel. 

De Stefano -Societ� Vanelli Macchine (avv. Zavattaro Ardizzi) e I.M.I. 

(avv. Ferri). 

Fallimento -Giudice delegato -Provvedimenti emessi in materia di piano 

di riparto dell'attivo � R~Iamo al Tribunale � Procedimento . Illegitti� 

mit� costituzionale � Fondatezza. 

(r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 23 e 26; Cost., art. 24). 
� costituzionalmente illegittimo, in -riferimento all'art. 24 della Cost., 
l'art. 26 in rapporto all'art. 23, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (disciplina 
del fafdimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata 
e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui assoggetta 
al reclamo al Tribunale, disciplinato nel modo ivi previsto, i provvedimenti 
decisori emessi dal giudice delegato in materia di piani di riparto 
dell'attivo. 

(omissis) La questione � fondata. 
Giova, in proposito, prender le mosse dalla sentenza di questa Corte 


n. 118 del 1963, alla quale ripetutamente fan richiamo i provvedimenti 
(.1) L'ordinanza di rinvio delle Sezioni Unite della Cassazione � pubblicata 
in Giur. cast., 1975, Il, 2345: in essa vi � un ampio e dettagliato esame della 
giurisprudenza sulla contrastante interpretazione della norma impugnata. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di rimessione. In quell'occasione il giudice a quo -investito dell'opposizione 
ad un decreto del giudice delegato che, in applicazione degli 
artt. 77 e 150 della legge fallimentare, aveva ingiunto ad un associato in 
partecipazione di versare la parte ancora dovuta dei conferimenti, nei 
limiti delle perdite a suo carico -aveva dubitato della legittimit� costituzionale 
degli artt. 23, ultimo comma, e 26, primo comma, nella parte 
che recita: � entro tre giorni dalla data del decreto�, e secondo comma, 
della legge medesima, in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 111, 
secondo comma, della Costituzione. Ma la Corte dichiar� non fondata 
la questione, ritenendo che le disposizioni impugnate dovessero necessariamente 
interpretarsi nel senso che il meccanismo, da esse delineato, 
non fosse applicabile ai provvedimenti, come quello allora contestato, 
�emessi dal giudice delegato nell'esercizio di funzioni di cognizione, 
aventi per oggetto diritti soggettivi�: ci�. essendo escluso �sia dalla 
stessa struttura del reclamo... sia dalle forme o dalle garanzie di tutela 
dei diritti soggettivi, assicurate dall'ordinamento generale�. L'opposta 
interpretazione data dal giudice a quo avrebbe invero condotto, ad avviso 
della Corte, a situazioni nelle quali si sarebbe verificata � non gi� una 
limitazione o un affievolimento dei diritti soggettivi, ma addirittura l'impossibilit� 
di una loro tutela giurisdizionale �. 
Senonch�, le Sezioni unite della Corte di cassazione -alle quali il 
ricorso dell'I.M.I. � stato deferito ai sensi dell'art. 374, comma secondo, 
del codice di procedura civile, trattandosi di questione di diritto gi� decisa 
in senso difforme dalle Sezioni semplici -nella loro ordinanza, richiamando 
giurisprudenza � largamente prevalente�, hanno invece ritenuto 
esperibile il reclamo ex art. 26 anche nelle controversie su diritti soggettivi 
tipicamente attribuite dalla legge al giudice delegato; ed hanno affermato 
che, nella specie, il decreto di approvazione del piano di rip~to 
rientra appunto in una delle ipotesi tipiche, in cui sono al giudice delegato 
attribuiti dalla legge poteri cognitori e decisori in controversie su 
diritti soggettivi, senza che sia insieme previsto uno specifico mezzo di 
gravame, dovendo pertanto riconoscersi che contro il decreto medesimo 
� esperibile il reclamo in parola. La medesima interpretazione delle 
denunciate norme vien posta a base dell'ordinanza del tribunale di Firenze, 
che in proposito fa puntuale riferimento all'ordinanza delle Sezioni 
unite della Corte di Cassazione. Gli stessi orientamenti interpretativi, del 
resto, risultano pi� volte ribaditi e nettamente preponderanti nella giurisprudenza 
successiva alle ordinanze di rinvio. 
Non v'ha allora dubbio che, in tal modo interpretate ed applicate, 
le disposizioni impugnate vivono nella realt� concreta in modo incompatibile 
con il precetto dell'art. 24 della Costituzione. 
Suffraga la pronuncia di fondatezza della sollevata questione 
innanzi tutto la natura decisoria dei provvedimenti che il giudice delegato 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

adotta in sede di ripartizione delle attivit� fallimentari, in applicazione 
degli artt. 110 e seguenti della legge fallimentare. Oggetto della cognizione 
del giudice �, infatti, l'ordine tra i vari creditori, quale disciplinato 
dall'art. 111, integrato dagli arit. 2777-2783 del codice civile, come modificati 
dalla legge 29 luglio 1975, n. 426, in materia di privilegi. Ben vero che 
il riparto ha per presupposto le situazioni consolidatesi nella procedura 
di accertamento del passivo, ma ci� non toglie al decreto di esecutivit� 
del riparto quel carattere di novit�, consistente nell'accertamento dell'ordine 
tra i creditori concorsuali, in difetto del quale l'ammissione al 
passivo non legittima alla colfocazione sulle somme disponibili. 

Si verte, dunque, nell'�mbito di diritti soggettivi, la cui tutela � resa 
impossibile, o quanto meno estremamente difficile, dalla eccessiva brevit� 
del termine (appena �tre giorni�) previsto dall'art. 26 per l'esperimento 
del reclamo; nonch� dalla sua decorrenza �dalla data del decreto�, 
indipendentemente dalla conoscenza di esso da parte dell'interessato. Con 
il che resta evidentemente vulnerato -come gi� sottolineato nella ricordata 
sentenza di questa Corte n. 118 del 1963 -il diritto di difesa costituzionalmente 
garantito, il cui effettivo esercizio postula appunto che il termine 
di decadenza dall'impugnazione sia congruo, e che decorra dal 
momento in cui l'interessato all'impugnativa abbia avuto notizia della 
emanazione dell'atto impugnabile, o quanto meno tale notizia abbia attinto 
un livello di conoscibilit� da parte dell'interessato medesimo. 

La stessa � struttura � del procedimento di reclamo ex artt. 23 e 26, 
inoltre, .non assicura adeguata tutela giurisdizionale ai diritti soggettivi 
coinvolti nella ripartizione delle attivit� fallimentari. Significativa, al 
riguardo, � soprattutto la sommariet� del contraddittorio propria di siffatto 
procedimento, essendo previsto che il tribunale investito del reclamo 
abbia soltanto la facolt�, e non l'obbligo, di sentire in camera di 
consiglio le parti; e ci� -come giustamente rileva la Corte di cassazione 
-dopo una prima fase cognitoria innanzi al giudice delegato � parimenti, 
quando non maggiormente, sommaria�. N� di minor rilievo appare 
la forma del provvedimento che definisce il procedimento di reclamo: 
decreto, per il quale -come rilevato dalla sentenza n. 118 del 1963 
� non si richiede motivazione �. 

Per le su esposte considerazioni la Corte ritiene che la disposizione 
dettata dall'art. 26 della legge fallimentare, in relazione all'art. 23 della 
stessa legge, nella parte in cui secondo !'accolta interpretazione, prevede 
la esperibilit� del reclamo al tribunale fallimentare contro i provvedimenti 
decisori emessi dal giudice delegato in materia di piani di riparto, 
regolandolo nel modo ivi previsto, contrasti con l'art. 24 della Costituzione, 
in quanto non vengono adeguatamente garantiti n� l'effettivo 
esercizio dell'azione in giudizio, n� la difesa della parte nel corso del procedimento; 
e pertanto ne va dichiarata la illegittimit� costituzionale. 


166 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Quale sia, poi, il rimedio che il vigente ordinamento appresta -una 
volta escluso il reclamo come strutturato dall'art. 26 in relazione all'articolo 
23 -per la tutela dei diritti soggettivi che si assumano lesi dai 
suddetti provvedimenti adottati dal giudi�e delegato in materia di piani 
di riparto delle attivit� fallimentari, � questione ermeneutica che non 
compete a questa Corte risolvere. Sempre che il legislatore non ritenga 
poi di por mano ad un opportuno riassetto dell'intera materia delle procedure 
concorsuali, traendo occasione dalle segnalazioni che la Corte gli 
ha rivolto con le sentenze nn. 152 e 155 del 1980 a proposito di altre disposizioni 
della stessa legge. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 7 aprile 1981, n. 50 -Pres. Amadei -Rel. 
Rochrssen -Catandella (avv. Sorrentino) e Presidenza del Consiglio 
dei Ministri (avv. Stato Carafa). 

Impiego pubblico -Stipendi e pensioni � Prescrizione biennale . Illegitti� 
mit� costituzionale � Fondatezza. 

(r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, art. 2, primo comma; Cast., art. 3)i. 
E costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 3 della Cast., 
l'art. 2, primo comma, r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295 (recupero dei crediti 
verso gli impiegati e pensionati e prescrizione biennale), laddove prevede 
la prescrizione entro il termine di due anni delle rate di stipendio ovvero 
di pensione (1). 

(omissis) La questione � fondata. 

La disposizione censurata ha ad oggetto i soli crediti derivanti dal 
rapporto di impiego con lo Stato e per destinatari i titolari di rate di 
stipendio o di pensione dovuti dallo Stato, mentre nei riguardi delle rate 
di stipendio o di pensione dovute da qualsiasi altro soggetto di diritto 
pubblico, come gi� detto, si applica la norma generale contenuta nell'art. 
2948 del codice civile. 

In tal modo si pone in essere, a danno dei soli dipendenti e pensionati 
statali, una palese discriminazione fra crediti aventi la medesima 
natura giuridica ed il medesimo contenuto e fra i loro titolari, pur appar


(1) Cfr. tra le altre, l'ordinanza di rinvio Cons. Stato, Sez. VI, 25 gennaio 
1979, n. 494, la quale, esattamente, distingue la ipotesi nella quale il diritto di 
credito sorge in base a norme di legge indipendentemente da modalit� di liquidazione 
e di pagamento da parte del1a p.a., dalle ipotesi nelle quali, pur essendo 
il diritto collegato a previsione normativa, alcuni dei presupposti devono essere 
posti in essere dalla p.a. dalla cui discrezionalit� il diritto stesso dipende, sia 
quanto all'esistenza, sia quanto al modo di essere; e ci� � rilevante sia ai fini 
dell'azionabilit� del diritto, sia (quindi) ai fini della prescrizione. 
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PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 167 

tenendo, tutti costoro, alla categoria sostanzialmente omogenea dei dipendenti 
e pensionati di soggetti di diritto pubblico: e ci� senza che la distinzione 
trovi alcuna giustificazione. 

In questa prospettiva non possono avere pregio n� le considerazioni 
svolte nei lavori preparatori della legge 9 marzo 1871, n. 102 (legge concernente 
la prescrizione degli stipendi ed assegni personali), dalla quale 
discende l'art. 2 in questione, n� quelle svolte dall'Avvocatura generale 
dello Stato nella memoria depositata il 18 settembre 1979. 

Quanto al rilievo fatto in quei lavori preparatori e consistente nella 
opportunit� di evitare il lavoro derivante dalla mancata riscossione, da 
parte degli interessati o dei loro eredi, di numeros.e piccole partite e che 
quindi devono essere trasportate da un esercizio all'altro, � sufficiente 
osservare che si tratta di un mero inconveniente di fatto non idoneo 
a dare fondamento alla drastica limitazione della tutela di un diritto. 

All'osservazione dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui in mancanza 
della prescrizione biennale l'onere derivante al bilancio dello Stato da 
una prescrizione di durata maggiore porrebbe allo Stato stesso problemi 
forse irreparabili, si deve rispondere che, cos� argomentando, si potrebbe 
perfino giungere alla elusione dei diritti patrimoniali degli interessati, 
anche se accertati da un giudicato. 

In ogni caso considerazioni del gen�re non sono riferibili solo allo 
Stato, ma potrebbero essere applicate a qualsiasi ente pubblico. 
Cop.segue da ci� evidente la irragionevolezza della disposizione censurata 
e, quindi, la violazione del principio di uguaglianza. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 7 aprile 1981, n. 52 -Pres. Amadei � Rel. 
Rossano -Pizzuti (avv. Evangelisti) c. Presidenza del Consiglio dei 
Ministri (avv. Stato Imponente). 

Impiego pubblico � Impiego non di ruolo o tlimpiego di ruolo -Disciplina 
differenziata in caso di assenza per malattia � Questione di legitttlimit� 
,costituzionale � Infondatezza. 
(d.LC.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 3; Cast., art. 3). 

Non � fondata, in riferimento all'art. 3 della Cast., la questione di 
legittimit� costituzionale dell'art. 3 del d.l. C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207 

(1) La sentenza, nell'esaminare la disciplina differenziata, nel caso di assenze 
dal servizio per malattia, tra il personale di ruolo ed il personale non di 
ruolo, pone in risalto le caratteristiche (eccezionalit�, precariet�) che distinguono, 
anche ai fini della disciplina giuridica in caso di assenza per malattia, 
l'impiego non di ruolo da quello di ruolo, enunciando un principio che pu� 
avere applicazione al di l� del caso di specie. V. anche Corte Cost., 1 � marzo 
1972, n. 39. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(trattamento giuridico ed economico del personale civile non di ruolo in 
servizio nelle Amministrazioni dello Stato), laddove prevede la risoluzione 
del rapporto di impiego del personale stabile non di ruolo nel caso di 
assenza dal servizio per un periodo superiore a tre mesi (1). 

(omissis) Le questioni non sono fondate. 

In ordine a quella proposta in via principale si osserva che l'art. 3, 
comma primo, d.l. C.p.S. n. 207 del 1947 prevedeva, nel testo originario, 
che nei casi di assenza dal servizio per malattia, accertata dall'Amministrazione, 
al personale non di ruolo era mantenuto il rapporto di impiego 
per un periodo di tre mesi se avesse avuto almeno un anno di servizio 
e per un periodo di sei mesi se avesse avuto un'anzianit� di servizio superiore 
a cinque anni. 

Questa norma venne dichiarata costituzionalmente illegittima con la 
sentenza 1� marzo 1972, n. 39 -richiamata dal Tribunale Amministrativo 
Regionale del Lazio -limitatamente alla parte in cui, nei casi di assenza 
per malattia, condizionava il mantenimento del rapporto di impiego per 
tre mesi al compimento di un anno di servizio. 

L'esclusione assoluta del diritto dell'impiegato non di ruolo a un 
qualsiasi periodo di assenza per malattia prima del compimento di un 
anno di servizio fu� ritenuta priva di valida e razionale giustificazione 
da questa Corte, che ravvis� la violazione del principio di eguaglianza 
per diversit� di trattamento tra impiegati non di ruolo e impiegati di 
ruolo, non soggetti nel caso di malattia alla stessa condizione del compimento 
dell'anno di servizio. 

Nella particolare fattispecie, allora sottoposta al suo esame e limitatamente 
ad essa, questa Corte rilev� che non vi era ragione di differenziare 
il personale di ruolo da quello non di ruolo. Non pu�, quindi, contrariamente 
a quanto afferma il Tribunale Regionale Amministrativo del 
Lazio, ritenersi che con la menzionata sentenza n. 39 del 1972 sia stata 
effettuata una totale equiparazione del personale di ruolo e non di ruolo 
in ordine alla tutela da accordare in caso di infermit�, con la conseguenza 
che non sia consentito al legislatore realizzare tale tutela in modi 
diversi a seconda della peculiare natura del rapporto di impiego non 
di ruolo.. 

Il rapporto di impiego non di ruolo si differenzia da quello di ruolo 
perch� ha la funzione di soddisfare esigenze eccezionali ed indilazionabili, 
ma transitorie della Pubblica Amministrazione; quindi, carattere fondamentale 
di esso � la precariet� e la sua disciplina giuridica, in linea generale, 
� ben diversa da quella dell'impiego di ruolo. 

In aderenza al principio -affermato dall'art. 97, comma terzo, della 
Costituzione -che agli impieghi pubblici si accede solo mediante con



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

corso, salvo i casi stabiliti dalla legge, le assunzioni di personale statale 
non di ruolo sono consentite solo nei casi espressamente contemplati da 
disposizioni particolari, che dichiarano nulle di diritto le assunzioni stesse 
e sanciscono la responsabilit� patrimoniale del funzionario, che le ha 
disposte, verso lo Stato (art. 12 d.l. C.p.S. n. 207 del 1947; artt. 1 e 4 d.P.R. 
31 marzo 1972, n. 276 -assunzioni temporanee di personale presso le 
Amministrazioni dello Stato). 

Le suddette esigenze eccezionali ed indilazionabili -che, in ipotesi 
tassativamente determinate dalla legge, consentono la nomina dell'impiegato 
non di ruolo -non possono essete pi� soddisfatte quando tale 
impiegato non sia in condizione di riprendere servizio dopo il previsto 
periodo di assenza per malattia. Un periodo di assenza maggiore di quello 
stabilito dal legislatore pu� incidere sul buon andamento della Pubblica 
Amministrazione, che � interesse costituzionalmente protetto ai sensi dell'art. 
97, comma primo, della Costit.Zione. Tale princ�pio, come questa 
Corte ha gi�. aff~rmato con le sentenze n. 124 del 1968 e n. 68 del 1980, 
non riguarda esclusivamente l'orgahlzzazione interna dei pubblici uffici, 
ma si estende alla disciplina del pubblico impiego in quanto possa influire 
sull'andamento dell'amministrazione. � innegabile che la disciplina dell'impiego 
� pur sempre strumentale, meqiatamente o immediatamente, rispetto 
alle finalit� istituzionali assegnate agli uffici in cui si articola la pubblica 
amministrazione. 

Peraltro, va rilevato che l'impugnato art. 3, comma primo, decreto 

n. 207 del 1947 non prevede la risoluzione �ipso iure� del rapporto di 
impiego non di ruolo nei casi di assenza per malattia superiore ai tre 
mesi o ai sei mesi, a seconda dell'anzianit� di servizio, ma attribuisce alla 
Pubblica Amministrazione la facolt� di disporre la risoluzione solo dopo 
la scadenza dei suddetti periodi. Tale norma, quindi, funziona da garanzia 
.a favore dell'impiegato non di ruolo e non incide sulla normale potest� 
discrezionale della Pubblica Amministrazione, che potrebbe ancora ritenere 
compatibile con le esigenze superiori del pubblico interesse, �la essa 
valutate, la ulteriore permanenza in servizio del dipendente che sia stato 
assente per periodi superiori a quelli stabiliti dalla legge. E ulteriore 
garanzia per l'impiegato non di ruolo � costituita dalla possibilit� di 
impugnare il provvedimento di licenziamento con ricorso al Tribunale 
Amministrativo Regionale. 
Queste diversit� di struttura e di disciplina giuridica tra le due forme 
di rapporto di pubblico impiego, di ruolo e non di ruolo, escludono che, 
nella fattispecie in esame, la situazione dei dipendenti non di ruolo possa 
considerarsi uguale o assimilabile a quella dei dipendenti di ruolo. 

Si tratta di situazioni diverse, la cui differente disciplina trova razionale 
giustificazione; non sussiste, pertanto, la denunciata violazione del 
principio di eguaglianza. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 7 aprile 1981, .n. 53 -Pres. Amadei -Rel. 
Roehrssen -Bemardi (n.c.). 

Amnistia -Sentenza di proscioglimento resa dal Tribunale a seguito di 

definizione 'giuridica del� fatto diversa da quella enunciata nell'ordi


nanza di rinvio � Diritto dell'imputato di proporre appello � Esclusio


ne -Illegittimit� Costituzionale. 

(cod. proc. pen., art. 513, n. 2; Cost., artt. 3. e 24). 

Amnistia � Sentenza di proscioglimento resa in dibattimento dal Pretore 
a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella annunciata 
nel decreto di citazione � Diritto dell'imput�to di proporre 
appello � Esclusione � Illegittimit� costituzionale. 
(cod. proc. pen., art. 512, n. 2; "cost., artt. 3� e 24). 

Sono costituzionalmente illegittimi: a) l'art. 513, n. 2, cod. proc. pen., 
nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello avverso 
la sentenza del Tribunale che lo abbia prosciolto per amnistia, a seguito 
di definizione giuridica del fatto diversa da quella enunciata nell'ordinanza 
di rinvio a giudizio; b) l'art. 521, n. 2, cod. proc. pen., nella parte in cui 
esclude il diritto dell'imputato di proporre appello avverso la sentenza 
resa in dibattimento dal pretore' che lo� abbia prosciolto per amnistia 
a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella enunciata 
nel decreto di citazione. 

(omissis) La questione � fondata. 
Con le senten.Ze n. 70 del 1975, n. 73 del 1978 e n. 72 del 1979, questa 
Corte ha dichiarato la illegittimit� costituzionale degli artt. 512, n. 2, e 513, 

n. 2, cod. proc. pen., nella parte in cui escludevano il diritto dell'imputato 
di proporre appello avverso la sentenza di primo grado che l'avesse 
prosciolto per amnistia o per prescrizione del reato a seguito di giudizio 
di comparazione fra circostanze aggravanti ed attenuanti. 
La Corte ha osservato in proposito che quando l'amnistia o la prescrizione 
siano applicate in dibattimento, a seguito di comparazione fra 
circostanze aggravanti ed attenuanti, ci� avviene non sulla base di un 
giudizio ipotetico ma in base alla valutazione in concreto che il fatto 
addebitato sussiste, che esso � preveduto dalla legge come reato e che 
l'imputato lo ha commesso: si ha, cio�, una affermazione di colpevolezza 
dell'imputato, la quale � idonea a produrre effetti negativi in altri giudizi. 

(1) Questa sentenza � applicazione del principio gi� enunciato con la sentenza 
n. 70 del 1975 e n. 73 del 1978; per la dottrina, sull'argomento, cfr. P1zzoRusso, 
Doppio grado di giurisdizione e princ�pi costituzionali, in Riv. dir. proc., 
1978, 33. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Da ci� la Corte ha tratto la conseguenza che la esclusione dell'appellabilit� 
di dette sentenze � costituzionalmente illegittima per violazione 
degli artt. 3 e 24 della Costituzione, sopprimendo ingiustificatamente, nei 
riguardi del solo imputato, un mezzo generale di difesa. 

Le suddette considerazioni sono senz'altro applicabili al caso ora 
sottoposto alla Corte e convincono che debba dichiararsi la illegittimit� 
costituzionale dell'art. 513, n. 2, cod. proc. pen. anche nella parte 
in cui consente all'imputato prosciolto di proporre appello contro la sentenza 
di non doversi procedere per amnistia quando essa contenga una 
sostanziale pronuncia di c�lpevolezza dell'imputato per avere previamente 
accertato che il fatto sussiste, costituisce reato ed � stato commesso 
dall'imputato ma che, per le circostanze nelle quali � avvenuto, 
va rubricato fra i reati compresi nel provvedimento di amnistia, a differenza 
di quanto era stato ritenuto con ordinanza di rinvio a giudizio. 

In conseguenza della declaratoria di illegittimit� costitm;ionale dell'art. 
513, n. 2, cod. proc. pen., va dichiarata di ufficio, ai sensi dell'art. 
27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la illegittimit� costituzionale 
dell'art. 512, n. 2, cod. proc. pen., nella parte in cui, analogamente, esclude 
il diritto dell'imputato di proporre appello contro la sentenza del pretore 
che lo abbia assolto per amnistia negli stessi casi di cui al precedente 

n. 3. (omissis) 

SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 27 gennaio 1981, 
nella causa 1251/79 -Pres. f.f. Pescatore -Avv. Gen. Reischl -Repubblica 
Italiana (avv. Stato Fiumara) c. Commissione delle CC.BE. 
(avv.ti Berardis e Campogrande). 

Comunit� europea -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia 
(F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti -Spese imputabili -Aiuti al 
magazzinaggio privato del vino -Condizioni. 

(Regolamenti CEE del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5, e 28 aprile 1970, 

n. 816, artt. 5, 6, 7; regolamenti CEE della Commissione 20 luglio 1970, n. 1437 e 27 dicembre 
1971, n. 2837). 
Comunit� europea -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia 
(F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti -Spese imputabili -Errata interpretazione 
del diritto comunitario -Comportamento delle istituzioni 
comunitarie -Effetti. 

(Regolamenti CEE del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, artt. 1, 3 e 5, e 28 aprile 1970, 

n. 816, artt. 5, 6, 7; regolamenti CEE della Commissione 20 luglio 1970, n. 1437. 27 dicembre 
1971, n. 2837, e 26 gennaio 1972, n. 176). 
Gli aiuti comunitari al magazzinaggio privato del vino, previsti e disciplinati 
dai regolamenti CEE del Consiglio n. 816/70 del 18 aprile 1970 
e della Commissione n. 1437/70 del 20 luglio 1970, non possono considerarsi 
corrisposti dall'ente di intervento nazionale in conformit� alle norme 
suddette (e quindi non � censurabile la decisione della Commissione che 
esclude l'imputabilit� al F.E.O.G.A. della relativa spesa), se i contratti di 
magazzinaggio non siano stati stipulati nei termini prescritti dalla normativa 
comunitaria con la stesura di atto scritto, previa verifica di tutti 
gli elementi pertinenti da parte dell'ente di intervento (1). 

Non sono imputabili al F.E.O.G.A. le spese effettuate dall'ente di 
intervento nazionale in base ad una prassi derivata da un'errata interpretazione 
del diritto comunitario, a meno che l'errata interpretazione sia 
imputabile ad una istituzione della Comunit� (2). 

{1-2) In linea di principio la Corte aveva gi� affermato con le due sentenze 
7 febbraio 1979, nella causa 11/76, PAESI BASSI c. COMMISSIONE, in Racc. 1979, 245, 
e nella causa 18/76, R.EP. FED. GERMANIA c. COMMISSIONE, in Racc. 1979, 343, che 
le norme del regolamento n. 729/70 permettono alla Commissione di porre a 
carico del F.E.O.G.A. solamente gli importi corrisposti in conformit� alle norme 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 173 

(omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 
28 dicembre 1979, la Repubblica italiana ha chiesto l'annullamento, in base 
all'art. 173 del Trattato CEE, della decisione della Commissione 12 ottobre 
1979, n. 898, relativa alla liquidazione dei conti presentati dalla Repubblica 
italiana per le spese dell'esercizio 1973 finanziate dal Fondo Europeo 
Agricolo di Orientamento e di Garanzia, sezione � Garanzia� (G. U. n. L 278, 
pag. 19), nella parte in cui esclude dalle spese imputate al F.E.A.0.G. la 
somma di 604.863.175 lire italiane, versata per aiuti in relazione a contratti 
di magazzinaggio a lungo termine nel settore del vino per la stagione 
1971-1972. 

2. -L'art. 5, n. 5, del regolamento del Consiglio 28 aprile 1970, n. 816, 
relativo a disposizioni complementari in materia di organizzazione comune 
del mercato vitivinicolo (G. U. n. L 99, pag. 1), subordina la concessione 
degli aiuti al magazzinaggio alla conclusione di contratti di magazzinaggio 
a lungo termine o a breve termine. La stessa disposizione stabilisce che 
i contratti a lungo termine sono validi per un periodo minimo di nove 
mesi e possono essere conclusi solo durante il periodo compreso -a norma 
del regolamento del Consiglio 22 novembre 1971, n. 2504, che modifica 
tale disposizione (G. V. n. L 261, pag. 1) -tra il 16 dicembre e il 
15 febbraio di una stessa stagione viticola. Ai fini . dell'applicazione di 
detta disposizione, l'art. 8, n. 1, del regolamento della Commissione 
20 luglio 1970, n. 1437, relativo ai contratti di magazzinaggio per il vino 
da pasto (G. U. n. L 160, pag. 16), dispone che i contratti non possono 
essere conclusi per un periodo che inizi prima della data della loro conclusione. 
3. -Per la stagione viticola 1971-1972, il regolamento della Commissione 
27 dicembre 1971, n. 2837, relativo agli aiuti al magazzinaggio priemanate 
per i vari settori dell'agricoltura, lasciando a carico degli Stati membri 
qualsiasi altro importo, e in particolare quelli che le autorit� nazionali abbiano 
a torto ritenuto di poter pagare nell'ambito della organizzazione comune 
dei mercati; e che le stesse norme del reg. 729/70 vanno interpretate nel senso 
che la Commissione � tenuta ad assumere a carico del F.E.O.GA. le spese pagate 
dagli Stati membri in modo non conforme alle regole comunitarie per una errata 
interpretazione delle stesse, qualora l'inesatta applicazione del diritto comunitario 
possa essere imputata ad una istituzione della Comunit�. 

Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che l'aiuto comunitario non era 
stato corrisposto dall'AIMA in conformit� alle norme comunitarie in quanto 
entro la data del 15 febbraio non si era provveduto alla conclusione dei contratti, 
precisando che per � conclusione � deve intendersi la stipulazione per 
iscritto previa verifica di tutti gli elementi pertinenti da parte dell'ente di 
intervento. 

La decisione suscita perplessit�. In effetti sembra che la Corte faccia discendere 
il suo convincimento dalla necessit� che la verifica della sussistenza delle 
condizioni per l'aiuto da parte dell'ente di intervento preceda la conclusione 



174 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
vato a lungo termine di taluni vini da pasto (G. U. n. L 285, pag. 78), 
174 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
vato a lungo termine di taluni vini da pasto (G. U. n. L 285, pag. 78), 
ha consentito la conclusione di contratti di magazzinaggio a lungo termine 
per taluni tipi di vino da pasto. 

4. -Nel corso del periodo in cui potevano essere conclusi i contratti 
a lungo termine per la suddetta stagione, la Commissione adottava il 
regolamento 26 gennaio 1972, n. 176 (G. U. n. L 23, pag. 20), con cui completava 
il regolamento n. 1437/70 aggiungendo al precitato art. 8, n. 1, di questo 
le seguenti disposizioni: 
�Per i contratti di magazzinaggio per i quali l'organismo competente 
ha ricevuto le domande scritte nel periodo dal 1� dicembre 1971 al 31 agosto 
1972, il periodo di validit� di un contratto ha inizio, in deroga al 
comma precedente, il giorno della ricezione della domanda. 

Tuttavia, per i contratti di magazzinaggio per i quali le domande 
scritte sono state ricevute dall'organismo competente dopo il 29 dicem


bre 1971, il periodo di validit� comincia al massimo 30 giorni prima della 

loro conclusione �. 

5. -Le spese cui si riferisce il ricorso rappresentano l'importo degli 
aiuti versati dall'Azienda di Stato per gli interventi sul mercato agricolo 
(in prosieguo: AIMA) -ente italiano d'intervento competente a stipulare 
i contratti di magazzinaggio ed a versare i relativi aiuti -in relazione 
a contratti di magazzinaggio a lungo termine di vino da pasto per 
la stagione 1971-1972. Nella decisione impugnata la Commissione si � 
rifiutata di imputare dette spese al FEAOG, dopo aver accertato che le 
autorit� italiane non avevano, a suo avviso, rispettato le regole alle quali 
era subordinata la concessione degli aiuti di cui trattasi, procedendo alla 
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del contratto, mentre sembra che ben possa ammettersi che il contratto si concluda 
indipendentemente da detta verifica (cfr., in particolare, l'art. 7 del reg. 

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CEE della Commissione 1437/70) al momento dell'incontro delle due volont� 

(momento che la Corte non si � troppo preoccupata di individuare), salvo risoluzione 
in caso di risultato negativo del controllo. 

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Inoltre la Corte, unificando la trattazione del secondo e del terzo motivo i 
del ricorso proposto dal Governo italiano, ha praticamente omesso l'esame del 
terzo motivo. Con questo mezzo, in effetti, si era rilevato che, in definitiva, la 

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corresponsione dell'aiuto da parte dell'AIMA aveva certamente consentito la 
realizzazione sostanziale dello scopo perseguito dalla normativa comunitaria, 
cio� la sottrazione dal mercato del prodotto eccedentario nel periodo critico: 

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pur se i contratti non potessero essere considerati � conclusi � entro la data 
di scadenza del 15 febbraio, l'aiuto era stato comunque corrisposto a produttori 
che avevano tenuto immagazzinato il prodotto sin dalla domanda (proposta ' 

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entro il 15 febbraio) e per un periodo non inferiore ai nove mesi voluti dalla 
norma comunitaria. 

Quanto all'imputabilit� al comportamento della Commissione dell'errata 
interpretazione delle norme comunitarie, la Corte ha osservato che non � stata 
fornita una prova concludente in tal senso. Eppure era stata la stessa Commissione 
ad ammettere, nelle sue difese, che essa si era decisa ad emettere 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 175 

conclusione dei contratti a lungo termine dopo il 15 febbraio 1972, data 
limite per la stipulazione di tali contratti in base alla normativa comunitaria 
in materia. 

6. -A sostegno del ricorso il Governo italiano deduce tre mezzi, concernenti 
la motivazione della decisione impugnata, l'interpretazione della 
normativa comunitaria in materia e, rispettivamente, la tutela del legittimo 
affidamento. � opportuno esaminare in primo luogo il secondo mezzo. 
7. -Il Governo italiano spiega che l'atto ch'esso qualifica �stipulazione 
formale� del contratto da parte dell'AIMA poteva aver luogo solo 
in esito ad un procedimento articolato in diverse fasi: innanzitutto, presentazione 
da parte dell'interessato, tramite il competente Ispettorato 
provinciale dell'agricoltura, di una domanda contenente tutte le indicazioni 
di cui al regolamento n. 1437/70; poi verifica in loco, da parte dell'Ispettorato, 
dell'esattezza di tali indicazioni e inoltro della pratica 
all'AIMA da parte dello stesso; infine, redazione, da parte dell'AIMA, di 
un disciplinare e di un atto di sottomissione da trasmettere all'interessato 
per la sottoscrizione autenticata da notaio. Il Governo italiano 
ammette che, per quanto concerne i contratti a lungo termine cui si riferisce 
il ricorso, questa � stipulazione formale � � avvenuta dopo la data 
limite del 15 febbraio 1972. 
8. -A suo avviso, per�, i contratti di cui trattasi sono stati � conclusi 
� tra il 16 dicembre 1971 e il 15 febbraio 1972 anche se la loro � stipulazione 
formale � � avvenuta in un momento successivo. A questo proposito, 
esso si richiama ai princ�pi giuridici generali in materia di con-
il regolamento 26 gennaio 1972, n. 176, proprio in conseguenza del fatto che le 
autorit� italiane avevano affermato �di non essere in grado di concludere i 
contratti prima della data limite del 15 febbraio 1972, a causa di un iter amministrativo 
non ancora rodato�. Le autorit� italiane, dunque, avevano segnalato 
l'impossibilit� di rispettare la norma comunitaria; e l'adozione del reg. 176/72 
a fronte di questa segnalazione non poteva non apparire un avallo della regolarit� 
della corresponsione dell'aiuto anche nell'eventuale mancanza di una stipulazione 
formale del contratto entro la data del 15 febbraio (secondo quanto 
era gi� accaduto nell'annata precedente senza che fosse sorta alcuna questione). 

Anch'essa ispirata a rigore formale appare la sentenza 14 gennaio 1981 della 
Corte nella causa 819/79, REP. FED. GERMANIA c. COMMISSIONE, dove, nel respingersi 
un analogo ricorso della Germania in tema di aiuti corrisposti per la denaturazione 
del latte magro in polvere, � stato precisato che, qualora la norma 
comunitaria autorizzi il pagamento di un aiuto solo a condizione che determinate 
formalit� di prova o di controllo siano osservate, l'aiuto versato senza 
l'osservanza di questa condizione non � conforme al diritto comunitario e la 
relativa spesa non pu�, quindi, in linea di principio, essere posta a carico del 
F.E.0.G.A., pur se, in ipotesi, il sistema di controllo praticato dalle autorit� 
nazionali fosse pi� efficace di quello contemplato dalla norma comunitaria. 
Qui � stato anche precisato che nessuna rilevanza ha, ai fini dell'attribuzione 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

tratti, secondo cui un contratto � concluso allorch� si verifica l'incontro 
delle volont� dei due contraenti. Orbene, offrendo pubblicamente la possibilit� 
di concludere contratti a lungo termine alle condizioni stabilite dalla 
normativa comunitaria, gli enti d'intervento fanno un'offerta al pubblico 
che viene accettata dal produttore di vino al momento in cui egli presenta 
la domanda. 

9. -Il Governo italiano ammette che, dopo che la domanda � stata 
presentata, l'ente d'intervento deve procedere alla verifica di taluni dati 
al fine di controllare la conformit� della domanda alla normativa comunitaria; 
esso ritiene, tuttavia, che l'eventuale risultato negativo di tale 
verifica vada considerato come condizione risolutiva di un contratto gi� 
concluso. 
10. -� importante sottolineare innanzitutto che l'aiuto al magazzinaggio 
a lungo termine del vino da pasto ha lo scopo -come giustamente 
ha osservato la Commissione -di consentire, in una situazione 
eccedentaria importante, di eliminare dal mercato la quantit� eccedentaria 
sin dall'inizio della stagione e fino alla vendemmia successiva, ai fini, 
soprattutto, della stabilizzazione dei mercati. L'obbligo di concludere 
i contratti a lungo termine nel periodo compreso fra il 16 dicembre e il 
15 febbraio della stessa stagione viticola � inteso, al pari del periodo di 
validit� di nove mesi contemplato per detti contratti, a realizzare tale 
obiettivo. � in questo ambito che la nozione di � conclusione � del contratto 
dev'essere compresa. 
della spesa al Fondo, sotto il profilo dell'imputabilit� dell'errata interpretazione 
della norma comunitaria ad organi della Comunit�, l'approvazione a posteriori 
da parte della Commissione del sistema di controllo attuato dalle autorit� nazionali 
(lasciandosi quindi intendere che le conclusioni sarebbero opposte ove 
l'approvazione fosse preventiva). Per un altro caso di specie cfr. la sentenza 
25 novembre 1980, nella causa 820/79, BELGIO c. COMMISSIONE, anch'essa sfavorevole 
allo Stato ricorrente. 

Ancora sul F.E.O.G.A. cfr. la sentenza della Corte 10 dicembre 1980, nella 
causa .140/78, COMMISSIONE c. REP. ITALIANA, dove, con riferimento all'ormai abolito 
sistema dei contributi forfettari del Fondo stesso, � stato affermato che gli Stati 
membri dovevano presentare rendiconti completi relativi alle somme effettivamente 
erogate e corrispondenti al contributo attribuito dal Fondo, e che la 
Repubblica Italiana � venuta meno agli obblighi incombentile in forza del trattato 
CEE per aver presentato rendiconti tardivi e incompleti, non potendo 
invocare norme o prassi del proprio ordinamento interno, n� circostanze di 
fatto che si verifichino in sede nazionale, per giustificare l'inosservanza degli 
obblighi e dei termini contemplati dalle norme comunitarie (pur se effettivamente 
il sistema dei contributi forfettari ha potuto dar luogo -come ha riconosciuto 
la Corte -a difficolt� di ordine amministrativo per gli Stati membri 
beneficiari). 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

11. -Si deve poi ricordare che i~ controlli e le verifiche che vanno 
effettuati dall'ente d'intervento -o, come nella fattispecie, dagli Ispettorati 
provinciali dell'agricoltura che agiscono in nome dell'ente d'intervento 
competente -hanno lo scopo di stabilire se la domanda presentata 
dal produttore di vino soddisfi le condizioni essenziali stabilite dalla 
normativa comunitaria, e di accertare a tale scopo, in particolare, se si 
tratti di vino da pasto della categoria contemplata da detta normativa, 
se il produttore che ha presentato la domanda sia il proprietario del 
vino e se il vino sia immagazzinato sfuso. 
12. -Cos� stando le cose, non pu� essere accolta un'interpretazione 
della nozione di � conclusione � del contratto che consentirebbe di attribuire 
il diritto all'aiuto comunitario ancor. prima che venisse accertata 
la sussistenza delle condizioni cui tale aiuto � subordinato. Infatti il risultato 
di siffatta interpretazione sarebbe che i controlli necessari per accertare 
se dette condizioni sussistano potrebbero essere effettuati durante 
tutto il periodo di validit� di nove mesi contemplato per il contratto, 
o perfino dopo la sua scadenza. 
13. -Di conseguenza, non v'� motivo di fare una distinzione tra la 
�conclusione� del contratto� e la �stipulazione formale� dello stesso. 
L'art. 9 del regolamento n. 1437/70, che contempla la forma scritta per 
il contratto, � peraltro ispirato all'idea che il contratto � perfetto solo 
al momento della stesura dell'atto scritto, previa verifica di tutti gli 
elementi pertinenti da parte dell'ente d'intervento. La tesi sostenuta dal 
Governo italiano deve pertanto essere respinta. 
14. -Il Governo italiano assume inoltre che il regolamento della 
Commissione n. 176/72 ha consentito la stipulazione di contratti a lungo 
termine dopo la data del 15. febbraio 1972. L'effetto retroattivo contemplato 
da questo regolamento non avrebbe alcun senso se i contratti dovessero 
ciononostante essere conclusi prima di tale data. 
15. -Questo argomento non pu� essere accolto. Il regolamento della 
Commissione n. 176/72 ha modificato l'art. 8, n. 1, del regolamento 
n. 1437/70, disposizione che concerne solo l'inizio del periodo di nove 
mesi per il quale il contratto pu� essere stipulato. Per contro, il periodo 
nel corso del quale i contratti devono essere conclusi (compreso tra 
il 16 dicembre e il 15 febbraio) non � stato interessato da tale modifica; 
esso � stato fissato da taluni regolamenti del Consiglio, in particolare 
dai regolamenti nn. 816/70 e 2504/71. 
16. -Il terzo mezzo riguarda la tutela del legittimo affidamento. 
Secondo il Governo italiano, la Commissione ha emanato il regolamento 
n. 176/72 per tener conto delle difficolt� incontrate dall'AIMA, la quale 
aveva fatto presente che la sua azione nel settore dei contratti di magaz

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STAID 

zinaggio subiva ritardi, soprattutto in ragione del notevole lasso di tempo 
intercorrente tra la data della domanda e quella della conclusione for. 
male dell'atto nel quale il contratto era incorporato. La Commissione, 
adottando il regolamento n. 176/72, avrebbe quindi dato l'impressione di 
accedere a tale domanda e non avrebbe pi� il diritto di trincerarsi dietro 
argomenti d'indole formale per contestare la validit�, dal punto di vista 
della normativa comunitaria, dei contratti formalmente conclusi dopo 
il 15 febbraio 1972. 

17. ~ Dalle considerazioni relative al secondo mezzo risulta che la 
prassi seguita dalle autorit� italiane deriva da un'errata interpretazione 
del diritto comunitario. In un caso del genere, la Commissione non sarebbe 
tenuta ad imputare al FEAOG le spese effettuate su tale base, a meno 
che l'errata interpretazione potesse esser imputata ad un'istituzione della 
Comunit�. 
18. -Il Governo italiano ha fatto sapere alla Corte che la domanda 
dell'AIMA cui esso si riferisce � stata fatta oralmente e che non risultano 
atti scritti relativi a tale richiesta. La Commissione ha per� fornito alla 
Corte il testo del resoconlo della 56" riunione del Comitato di Gestione 
Vini, tenutasi nel dicembre 1971, dal quale risulta che la delegazione 
italiana ha chiesto che �la data di validit� dei contratti possa essere 
quella della domanda e non obbligatoriamente quella della conclusione�, 
per tener conto del sovraccarico di lavoro dell'ente d'intervento italiano. 
� a questa domanda che il regolamento n. 176/72 ha dato seguito, modificando 
l'inizio del periodo di validit� dei contratti di nove mesi. 
19. -Da questi fatti emerge che il Governo italiano non ha potuto 
dimostrare che la sua errata interpretazione del regolamento n. 176/72 
sia imputabile al comportamento della Commissione. 
20. -Occorre infine pronunziarsi sul mezzo relativo alla mancanza 
di motivazione della decisione impugnata. Questo mezzo, nella parte in 
cui non riguarda l'interpretazione del regolamento n. 176/72 -problema 
gi� esaminato sopra -non tiene conto del fatto che il Governo italiano 
� stato strettamente associato al procedimento di elaborazione della decisione 
impugnata e pertanto conosceva i motivi per i quali la Commissione 
riteneva di non dover imputare al FEAOG l'importo controverso. 
21. -In una situazione siffatta, e nel contesto particolare dell'elaborazione 
delle decisioni relative alla liquidazione dei conti, la motivazione 
della decisione impugnata dev'essere considerata sufficiente. 
22. -Ne consegue che il ricorso va respinto. (omissis) 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 1� ottobre 1980, n. 5332 -Pres. Novelli Est. 
Sandulli -P. M. Silocchi -Regione Friuli-Venezia Giulia (avv. Ricci) 
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Mataloni). 

Corte Costituzionale -Conflitto di attribuzioni -Presupposti -Accerta


mento della propriet� di beni immobili assunti trasferiti dallo Stato 

alle Regioni -Conflitto cli attribuzione -Esclusione. 

Demanio -Alloggi con caratteristiche prescritte sull'edilizia popolare ed 
economica -Finalit� -Servizio pubblico di protezione sociale -Patrimonio 
indisponibile -Trasferimento dallo Stato alle Regioni � 
Esclusione. 

A norma degli artt. 134 Cast. e 39-41 della legge 11 marzo 1953, n. 87 
(norme sulla costituzione e funzionamento della Corte Costituzionale), 
il confiitto di attribuzione tra Stato e Regione si verifica quando uno dei 
soggetti costituzionali assuma che un atto dell'altro ente abbia invaso la 
propria sfera di competenza costituzionalmente garantita, facendo sorgere 
in concreto l'interesse a ricorrere per il � regolamento di competenza�. 

Ove la Regione non prospetta una invasione della sua sfera di competenza, 
n� chiede una dichiarazione o delimitazione delle sue attribuzioni 
costituzionalmente garantite, ma invoca esclusivamente l'accertamento 
dell'appartenenza ad essa di determinati immobili urbani, che assume 
essere stati trasferiti, in virt� del disposto dell'art. 1 del d.P.R. 31 ottobre 
1967, n. 1401, al suo patrimonio disponibile ed essere stati indebitamente 
trattenuti dallo Stato -deve ritenersi che -formando oggetto della pretesa 
un'effettiva e diretta vindicatio rerum -la controversia non possa, 
per i suoi caratteri formali e sostanziali, sussumersi nello schema paradigmatico 
del regolamento del confiitto costituzionale di attribuzione previsto 
dagli artt. 134 Cast. e 39 della legge n. 87 del 1953. L'attivit� di edilizia 
popolare -consistente nella costruzione di alloggi, operata, direttamente 

o indirettamente, dallo Stato al fine di soddisfare le esigenze dei ceti meno 
agiati -rientra nella cosiddetta attivit� sociale dello Stato, nella quale 
(1-2) Sulla prima massima la giurisprudenza � pacifica, cfr. Corte Cost., 
6 maggio 1976, n. 111 e il Contenzioso dello Stato per gli anni 1971-1975, vol. I, 
580; nella seconda massima cfr. Cost. 17 novembre 1971, n. J78, ivi, vol. I, 590. 



180 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

va ricompresa anche l'attivit� di costruzione degli alloggi destinati a 
dipendenti pubblici, con la conseguenza che tali alloggi non possono ritenersi, 
come beni indisponibili, trasferiti alle Regioni. 

(omissis) Secondo la tesi della resistente, la Regione -tendendo 
ad ottenere ex art. 1 del d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401, il trasferimento 
degli alloggi economici e popolari rimasti nella potest� dello Stato 
(diversi da quelli degli Istituti autonomi per le case popolari gi� trasferiti 
alle Regioni) e vantando la propriet� su di essi, in quanto appartenenti 
(alla data del 16 febbraio 1963) al patrimonio disponibile dello Stato pretenderebbe 
esercitare su detti immobili la potest� amministrativa 
(amministrazione di alloggi assegnati e cessione in propriet� agli assegnatari) 
che lo Stato pretenderebbe di aver conservato. 

In base a tale profilo, si sostiene che ricorra un conflitto di attribuzione 
tra i poteri dello Stato e della Regione che dovrebbe essere regolato 
dalla Corte Costituzionale. 

L'eccezione di carenza di giurisdizione del giudice ordinario � infondata. 


A norma degli artt. 134 Cost. e 39-41 della legge 11 marzo 1953, n. 87 
(norme sulla costituzione e funzionamento della Corte Costituzionale), 
il conflitto di attribuzione tra Stato e Regione si verifica quando uno dei 
soggetti costituzionali assuma che un atto dell'altro ente abbia invaso la 
propria sfera di competenza costituzionalmente garantita, facendo sorgere 
in concreto l'interesse a ricorrere � per il regolamento di competenza
� (cfr., in tal senso, Corte Cost., sent. 6 maggio 1976, n. 111). 

Oggetto della �decisione che dirime il conflitto costituzionale di attribuzione 
-sia che si contesti l'appartenenza del potere sia che si contesti 
l'esercizio di esso, in quanto lesivo della sfera di attribuzione del 
soggetto ricorrente (in tali limiti � inteso, secondo la giurisprudenza 
della Corte Costituzionale, l'ambito del conflitto di attribuzione) -� sempre 
l'accertamento della spettanza di una competenza, con il conseguente 
(eventuale) annullamento dell'atto adottato dal soggetto costituzionale 
ritenuto privo del potere o riconosciuto responsabile dell'invasione 
(o menomazione) della sfera di competenza dell'altro. 

Contenuto essenziale e principale della decisione del conflitto costituzionale 
di attribuzione, � quindi, una declaratoria di competenza. 

Nel caso di specie -poich� la Regione non prospetta una invasione 
della sua sfera di competenza, n� chiede una dichiarazione o delimitazione 
delle sue attribuzioni costituzionalmente garantite, ma invoca esclusivamente 
l'accertamento dell'appartenenza ad essa di determinati immobili 
urbani, che assume essere stati trasferiti, in virt� del disposto dell'art. 
1 del d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401, al suo patrimonio disponibile 
ed essere stati indebitamente trattenuti dallo Stato -deve ritenersi 
che -formando oggetto della pretesa un'effettiva e diretta vindicatio 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

rerum -la controversia non possa, per i suoi caratteri formali e sostanziali, 
sussumersi nello schema paradigmatico del regolamento del conflitto 
costituzionale di attribuzione previsto dagli artt. 134 Cost. e 39 della 
legge n. 87 del 1953. 

Invero, nella contestazione oggetto di causa non riesce possibile identificare 
alcun atto dello Stato invasivo o lesivo della sfera di competenza 
della Regione, non risultando nel dibattito giudiziale alcuna manifestazione 
di volont� dello Stato, tesa ad invadere o a limitare l'area di com


.petenza della Regione. 

E ci� in quanto -stabilendo l'art. 56 della legge costituzionale 31 gennaio 
1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) che 
� sono trasferiti alla Regione i beni immobili patrimoniali dello Stato che 
si trovano nel territorio della Regione, disponibili alla data di entrata 
in vigore dello Statuto� (16 febbraio 1963) ed il successivo art. 57 che 
� con norme di attuazione del presente Statuto saranno determinati i beni 
indicati negli artt. 55 e 56 e le modalit� per la loro c9nsegna alla Regione
� e precisando l'art. 1 del d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401 (emanato, 
in attuazione di tali previsioni costituzionali, a norma dell'art. 65 dello 
Statuto) che �sono trasferiti alla Regione Friuli-Venezia Giulia, con effetto 
dal 1� gennaio 1965, e vanno a far parte del suo patrimonio disponibile 
(con i beni immobili patrimoniali dello Stato indicati nell'elenco annesso 
al decreto) gli immobili situati nel territorio regionale, la cui appartenenza 
al patrimonio disponibile dello Stato (con riferimento alla data 
del 16 febbraio 1963) sia accertata con provvedimento giurisdizionale 
ovvero con provvedimento dell'autorit� amministrativa a norma dell'articolo 
829 cod. civ.� -la Regione -al fine di vedersi attribuita la propriet� 
degli immobili appartenenti, alla data del 16 febbraio 1963, al 
patrimonio disponibile dello Stato -si � limitata, nell'adire al giudice 
ordinario -in mancanza di una declaratoria dell'autorit� amministrativa 
(nelle forme e nei modi previsti dall'art. 829 cod. civ.) -a chiedere 
l'accertamento che gli alloggi economici e popolari, siti nel territorio 
regionale e rimasti nella potest� dello Stato, appartenevano, alla data su 
indicata, al patrimonio disponibile dello Stato. 

Per modo che, in base ai rilievi che precedono -non risultando nel 

dibattito giudiziale alcun atto dello Stato che abbia invaso o leso la sfera 

di competenza della Regione e dovendo questa rivolgersi, -in mancanza 

della individuazione dei beni appartenenti al patrimonio disponibile dello 

Stato da parte dell'autorit� amministrativa -al giudice ordinario, in 

base al precetto dell'art. 1, primo comma, del decreto legislativo di 

attuazione statutaria (d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401), per ottenere la 

declaratoria dell'appartenenza degli alloggi al patrimonio disponibile dello 

Stato alla data del 16 febbraio 1963 -deve escludersi che la contesta


zione oggetto di causa possa configurarsi come un conflitto costituzionale 

di attribuzione e che la stessa esuli dalla giurisdizione dell'autorit� giudi



182 

RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 

ziaria ordinaria, per essere devoluta alla cognizione esclusiva della Corte 
Costituzionale. 
L'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall'Amministrazione 
dello Stato �, quindi, da disattendere. 

Pu�, pertanto, passarsi all'esame del merito. 

Con l'unico motivo, la ricorrente -denunciata la falsa applicazione 
dell'art. 826 cod. civ. e dei princ�pi in materia di edilizia residenziale 
pubblica e la violazione degli artt. 56 della legge Cost. 31 gennaio 1963, 

n. 1 ed 1 del d.P.R. 31 ottobre 1967, n. 1401, in relazione all'art. 360, n. 3, 
cod. proc. civ. -. si duole che la Corte del merito abbia ritenuto che gli 
alloggi economici e popolari rimasti nella potest� dello Stato,. essendo 
destinati ad assolvere il pubblico servizio di fornire una casa ai cittadini 
meno abbienti, rientrassero nel patrimonio indisponibile dello Stato 
e non dovessero, quindi, essere trasferiti alla Regione a norma del cit. 
art. 56, sostenendo che essi -essendo destinati alla cessione in propriet� 
agli assegnatari -costituissero, alla data del 16 febbraio 1963, beni patrimoniali 
disponibili dello Stato, soggetti al trasferimento alla Regione. 
Il motivo � infondato. 

La questione proposta � se -ai fini del trasferimento dal patrimonio 
dello Stato a quello della Regione Friuli-Venezia Giulia ex art. 56 della 
legge Cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto della Regione) -gli alloggi 
costruiti con denaro dello Stato, assegnati a pubblici dipendenti e rivestiti 
delle caratteristiche prescritte dagli artt. 48 e 49 del t.u. sull'edilizia 
economica e popolare rientrassero, alla data del 16 febbraio 1963, nel patrimonio 
disponibile dello Stato, s� da dover essere trasferiti alla Regione, 
con effetto dal 1� gennaio 1965, ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. 31 ottobre 
1967, n. 1401. 

L'attivit�.di edilizia popolare -consistente nella costruzione di alloggi, 
operata, direttamente o indirettamente, dallo Stato al fine di soddisfare 
le esigenze dei ceti meno agiati -rientra nella cosiddetta attivit� 
sociale dello Stato, nella quale va ricompresa anche l'attivit� di costruzione 
degli alloggi destinati ai dipendenti pubblici. 

La dottrina pi� autorevole ritiene che l'attivit� svolta dallo Stato 
in materia di edilizia popolare integri un vero e proprio servizio pubblico 
sia per quanto riguarda il fine (mirando a soddisfare un interesse collettivo), 
sia in ordine al contenuto (prestazione dell'alloggio a determinate 
categorie di cittadini meno provvedute), sia relativamente al regime giuridico 
(pubblicistico nella fase della provvista dei mezzi ed in quella di 
attuazione), sia per quanto attiene al profilo soggettivo (affidamento dell'attivit� 
ad un complesso strutturale pubblico). 

L'edilizia popolare � ritenuta, pertanto, un servizio pubblico di protezione 
sociale. 
Queste Sezioni Unite giudicano corretta tale configurazione giuridica, 
alla quale ritengono di aderire. 

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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

E conseguente implicazione di tale posizione � che gli alloggi di tipo 
economico e popolare -essendo destinati ad un servizio pubblico devono 
considerarsi beni patrimoniali indisponibili, in quanto -riguardando 
il concetto di �destinazione� i beni di cui l'Amministrazione 
si avvale per soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui essa provvede 
-deve ritenersi che, in materia di edilizia popolare, la destinazione 
si attui attraverso l'assegnazione degli alloggi alle categorie di cittadini 
meno abbienti, meritevoli di agevolazioni e di aiuti sociali. 

Gli alloggi ,economici e popolari devono, quindi, ritenersi beni patrimoniali 
indisponibili anche quando siano assegnati in godimento a determinate 
categorie di cittadini. 

N� vale a fare escludere tale natura la circostanza che gli alloggi possano 
essere ceduti in propriet� agli assegnatari, in quanto il fine dell'edilizia 
economica e popolare � di soddisfare l'esigenza che ogni famiglia 
possa disporre di un alloggio, s� che non solo nella fase dell'assegnazione 
ma anche in quella della cessione in propriet� la concessione dell'allog: 
gio risponde ad una causa pubblicistica. 

Per modo che il procedimento che conduce alla cessione in propriet�, 
lungi dall'essere di ostacolo alla considerazione del bene nell'ambito del 
patrimonio indisponibile, costituisce la fase terminale dell'esercizio del 
pubblico servizio. 

Pertanto, in base alle svolte considerazioni, deve concludersi che la 
Corte del merito abbia correttamente ritenuto che gli alloggi richiesti 
dalla Regione rientrassero nel patrimonio indisponibile dello Stato alla 
data del 16 febbraio 1963 e che, quindi, non dovessero essere trasferiti 
al patrimonio disponibile della Regione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 13 ottobre 1980, n. 5456 -Pres. Novelli -
Rel. Persico -P. M. Berri -Ministero dell'Interno (avv. Stato Ferri) 

c. Soc. Malta Meridionale (avv. Taccia). 
Competenza -Attivit� di polizia rivolta alla prevenzione civile e repressione 
di illeciti penali -Posizione del cittadino -Interesse di mero 
fatto -Posizione del singolo esposto a specifico pericolo e concreto 
danno alla sua persona o ai suoi beni -Interesse legittimo -Giurisdizione 
del giudice amministrativo. 

L'interesse di mero fatto del cittadino a che l'Amministrazione, tramite 
i competenti organi di polizia, provveda alla prevenzione e repressione 
di illeciti penali, si traduce, ove tali illeciti comportino specifico 
pericolo o concreto danno alla sua persona od ai suoi beni, in interesse 


184 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legittimo, non in diritto soggettivo, in quanto l'indicata attivit� dell'amministrazione 
medesima, ancorch� ricollegandosi ad ordini impartiti dall'autort� 
giudiziaria, configura esercizio di funzioni pubbliche ed autoritative 
a tutela della collettivit�, non adempimento di obbligazione diretta 
nei confronti del singolo; con la conseguenza che la domanda, con la quale 
il privato tenda a riversare sull'amministrazione il pregiudizio derivantegli 
dalla sub�ta occupazione di un immobile ad opera di terzi, sotto il 
profilo del mancato intervento dell'autorit� di pubblica sicurezza per il 
ripr�stino della legalit� della mancata attuazione di ordine di sgombero 
emanato dal Procuratore della Repubblica, � devoluta alla cognizione del 
giudice amministrativo, non del giudice ordinario� (1). 

(omissis) L'amministrazione istante assume che l'azione di danno non 
era contro di lei proponibile, n� sotto il profilo della violazione del principio 
del neminem laedere -in quanto la lesione del diritto di propriet� 
della societ� Malta Immobiliare si radicava non in un atto �od in un comportamento 
amministrativo, bens� nel fatto (abusiva occupazione) del 
terzo; n� sotto il profilo della ritardata esecuzione dell'ordine impartito 
dal Pretore -in quanto, essendo mancata un'azione giudiziaria a tutela 
del detto diritto di propriet�, quell'ordine era oggettivamente riconducibile 
al potere generale di polizia ex art. 231 cod. proc. pen., atteneva 
a dovere funzionale della polizia giudiziaria, perseguiva l'interesse generale 
all'attuazione dell'ordinamento e non quello soggettivizzato in capo 
ad un singolo individuo. 

L'istanza � fondata, e va dichiarata la giurisdizione del giudice ammi� 
nistrativo. 

Queste Sezioni Unite, con pronunzia in termini (sent. n. 5042/77), 
hanno gi� avuto occasione di statuire che � l'interesse di mero fatto del 
cittadino a che l'Amministrazione, tramite i competenti organi di polizia, 
provveda alla prevenzione e repressione di illeciti penali, si traduce, ove 
tali illeciti comportino specifico pericolo o concreto danno alla sua persona 
od ai suoi beni, in interesse legittimo, non in diritto soggettivo, in 
quanto l'indicata attivit� dell'amministrazione medesima, ancorch� ricollegantesi 
ad ordini impartiti dall'autorit� giudiziaria, configura esercizio 
di funzioni pubbliche ed autoritative a tutela della collettivit�, non adempimento 
di obbligazione diretta nei confronti del singolo; con la conseguenza 
che la domanda, con la quale il privato tenda a riversare sull'amministrazione 
il pregiudizio derivantegli dalla sub�ta occupazione di un 
immobile ad opera di terzi, sotto il profilo del mancato intervento del


(1) In senso conforme cfr. Sez. Un., 18 novembre 1977, n. 5042, in Giust. civ., 
1978, I, con nota di DE FINA. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

l'autorit� di pubblica sicurezza per il ripristino della legalit� della mancata 
attuazione di ordine di sgombero emanato dal Procuratore della 
Repubblica, � devoluta alla cognizione del giudice amministrativo, non del 
giudice ordinario �. 

Per scuotere la forza di tali statuizioni, la societ� intimata sottolinea 
la mancanza di qualsiasi discrezionalit� amministrativa nell'esecuzione 
dell'ordine del giudice (derivandone che l'omissione, quale inesecuzione 
di atto dovuto, integrerebbe gli estremi di cui all'art. 2043 cod. civ.); 
si rif� alla giurisprudenza costante nell'affermare la responsabilit� del!'
Amministrazione per omessa prestazione della forza pubblica necessaria 
all'esecuzione di titolo giudiziale (derivandone, che per la unitariet� dell'attivit� 
giurisdizionale, non sarebbe possibile distinguere, quo ad eff ectus, 
tra ordini del giudice, a seconda che impartiti nel quadro di una 
controversia civile ovvero nel corso dell'istruttoria penale sommaria, se 
non a patto di mettere in crisi l'autorit� dei provvedimenti del giudice); 
ed assume, infine, ch�, fuori dell'area di esplicazione dell'attivit� amministrativa 
funzionale nei diretti confronti dei destinatari del provvedimento, 
nulla osterebbe alla configurabilit� di una responsabilit� della Pubblica 
Amministrazione per la incisione di utilit� sostanziali del provati 
non destinatario, ove esse risultino garantite per se stesse da norme 
costituenti limite esterno del potere amministrativo. 

Tali rilievi non appaiono sufficienti, allo stato, a far mutare avviso. 

Il fatto che, all'interno dell'interesse indivisibile alla sicurezza pubblica, 
concernente la collettivit� statuale, siano identificabili situazioni 
differenziate (quale sarebbe quella di specie, che coinvolge il patrimonio 
del singolo), non comporta uniformit� delle correlative posizioni soggettive 
e dei mezzi di tutela, i quali vanno correlati al tipo di relazione 
con l'agire dell'Amministrazione ed all'efficienza causale delle omissioni. 

Nel caso della forza pubblica richiesta per l'esecuzione del giudicato 
civile di condanna (sent. nn. 2299/62; 2861/52), la parte che procede alla 
esecuzione forzata esercita il proprio diritto all'attuazione del titolo esecutivo, 
la norma giuridica (art. 475 cod. proc. civ.) che sancisce l'obbligo 
dell'Amministrazione di adempiere la prestazione (concorrere all'esecuzione, 
se legalmente richiesta), � direttamente posta nell'interesse dell'esecutante 
(anche se attuabile per il tramite dell'ufficiale giudiziario), la 
Pubblica Amministrazione -non avendo veste di organo del Potere Esecutivo 
nella realizzazione del fine ultimo della funzione sovrana della giurisdizione 
-non � chiamata ad esercitare potest� amministrativa bens� 
a prestare attivit� materiale per la concreta attuazione della sanzione: 
donde la sussistenza del nesso causale tra l'omissione imputabile, la lesione 
del diritto ed il danno. 

Viceversa, poich� l'attivit� di Polizia giudiziaria costituisce adempimento 
di doveri aventi natura funzionale in quanto esclusivamente finalizzati 
alla soddisfazione dell'interesse generale alla conservazione del



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'ordine sociale (del quale la soddisfazione di vantaggi particolari appare 
un mero riflesso), il mancato esercizio del potere di prevenzione e repressione 
di illeciti penali costituisce pur sempre esplicazione di pubbliche 
funzioni discrezionali, in relazione alle quali l'astratto dovere di provvedere 
non si concreta in un'obbligazione verso il privato n� in un diritto 
soggettivo del medesimo (uti singulus, non uti civis) ad essere tutelato 
mediante misure di repressione dell'attivit� illecita nei consociati (sent. 
nn. 1417/66; 3060/72; 2371/73; 694/78). 

N� l'ordine impartito dal giudice penale ex art. 231 cod. proc. civ. 
vale ad alterare la consistenza di tale posizione soggettiva; nella prima 
parte, relativa allo sgombero dell'immobile, esso esplicita e rafforza bens� 
il dovere di assolvere alla pubblica funzione, ma � dovere nei confronti 
dell'ordinamento del quale il provvedimento giudiziale � l'espressione 
sovrana; e nella seconda parte, relativa alla restituzione al legittimo proprietario, 
esso aderisce all'assenza (non ablatoria) dell'espletanda funzione, 
senza incidere sulla sfera di tutela pertinente al danneggiato, e presupposta, 
quale essa �, nell'espletamento della funzione giurisdizionale 
penale. 

Ma se ci� �, il rilievo conclusivo dalla societ� resistente rimane privo 
di base, poich�, se � corretto circoscrivere la tecnica dell'interesse legittimo 
-entro l'area dell'attivit� funzionale della Pubblica Amministrazione 
-al diretto rapporto tra l'autorit� esercitata e la libert� del singolo 
direttamente coinvolto nel procedimento di esplicazione dell'attivit�, 
con altrettanta correttezza si deve legare la configurabilit� di una responsabilit� 
della Pubblica Amministrazione ai requisiti inerenti all'azione, 
ed in particolare alla sussistenza di una garanzia diretta di un bene 
(utilit� sostanziale) del privato, protetto in s� da una norma generale di 
divieto (neminem laedere) che delimiti l'agire amministrativo, nonch� 
all'imputabilit� della relativa violazione; com'�, ad es., per l'integrit� 
personale dell'utente o per la propriet� del frontista, rispetto all'attivit� 
amministrativa funzionale alla viabilit� nel caso di connessione causale 
tra l'esplicazione, anche omissiva, del comportamento dell'Amministrazione 
e l'evento dannoso. 

Sotto tale profilo, per�, da un lato non � direttamente desumibile dall'art. 
2043 cod. civ. il dovere della Pubblica Amministrazione di adoperarsi 
attivamente per proteggere i diritti altmi e per interrompere all'uopo 
serie causali (nella specie: occupazioni abusive) originate e sviluppatesi 
fuori della propria sfera, ma devesi accertare la specifica esistenza della 
norma giuridica che chiami l'Amministrazione a rispondere della lesione 
per non averla impedita (sent. n. 3060/72); dall'altro la posizione soggettiva 
che alla societ� resistente deriva dalla tutela che l'ordinamento le 
assicura al suo interno a che l'Amministrazione si adopera per impedire 
eventi pregiudizievoli � (si � visto) quella dell'interesse legittimo; ed, 
infine, pertineva alla parte il potere di azione a tutela diretta del diritto 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 187 

di propriet� violato dall'illecito di terzi, e quindi, la concreta possibilit� 
di ottenerne la reintegrazione. 

Ed � perci� che l'anomalo riconoscimento di pretese risarcitorie (al 
quale la societ� si rif�, richiamando l'art. 25 t.u. 10 gennaio 1957, n. 10) 
� positivamente previsto dall'ordinamento verso i preposti ai pubblici 
Uffici, non verso l'amministrazione (come in dottrina fu pertinentemente 
annotato), cos� come l'adempimento del dovere funzionale rimane affidato 
ad altri meccanismi giuridici (art. 328 cod. pen., art. 112 Cost.). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 ottobre 1980, n. 5583 -Pres. Novelli -
Rel. Ruperti -P. M. Berri (conf.) -Fante (avv. Lucci Chiarissi) c. Presidenza 
del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). 

Elezioni -Elezioni politiche -Contestazione sui risultati numerici delle 
operazioni elettorali -Competenza esclusiva delle Camere -Questione 
di legittimit� costituzionale delrart. 87 t.u. 20 marzo 1957 n. 361 -
Manffesta infondatezza. , 

Ai sensi dell'art. 66 ii.ella Costituzione, ognuna delle Camere, nel giudizio 
sulla validit� dei titoli di ammissione, pu� accertare il regolare 
svolgimento delle operazioni elettorali, anche con riguardo ai risultati 
numerici della votazione, svolgendo cos� un'attivit� che, qualsiasi possa 
essere la sua specifica natura (legislativa in senso lato, obbiettivamente 
amministrativa, intrinsecamente giurisdizionale) esclude ogni sindacato, 
alternativo, concorrente o successivo, da parte di qualsiasi autorit� giurisdizionale, 
siccome palesemente lesivo della prerogativa legata alla particolare 
autonomia delle Camere stesse quali organi sovrani: in tal senso 
� infondato il sospetto di incostituzionalit� dell'art. 87 t.u. 20 marza 1957, 

n. 361, primo comma, che esplicita e chiarisce il contenuto del cit. 
art. 66 (1). 
(omissis) Col primo motivo, il ricorrente principale, denunziando 
violazione dell'art. 66 in relazione agli artt. 3, 24, 51, 102, primo comma, 
111, 113 Cost., censura l'impugnata sentenza per avere ritenuto che tutta 
la materia delle elezioni rimane affidata alla �giurisdizione domestica� 
della Camera dei deputati, e non solo quella relativa ai � titoli di ammissione 
�. Col secondo motivo, poi, lo stesso ricorrente principale, per il 
caso che queste Sezioni Unite dovessero disattendere la tesi posta a base 

(1) V. in senso conforme Sez. Un., 31 luglio 1967, n. 2036, in Foro It., 1967, 
I, 2009, con la quale � stata affermata l'improponibilit� assoluta della domanda 
del cittadino che si assume illegittimamente escluso dalle liste elettorali, v. anche 
Cass., Sez. Un., 10 marzo 1971, n. 674, in Giuris. it., ~1971, I, l, 811, con nota. 
4 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STA'�O

188 

del primo motivo, chiede che sia sollevata la questione di illegittimit� 
costituzionale dell'art. 87 t.u. 30 marzo 1957, n. 361 e delle norme del regolamento 
della Camera da esso ispirate, per contrasto con i succitati articoli 
della Costituzione. 

Entrambi i motivi, che si basano su di una interpretazione riduttiva 
dell'art. 66 Cost., vanno respinti. 

I rilievi e le obiezioni del ricorrente trovano gi� ampia risposta nelle 
due sentenze di queste Sezioni Unite, la n. 2036 del 1967 e la n. 674 del 
1971, che la Corte d'appello ha fedelmente seguito nel motivare la criticata 
decisione. 

Essi, del resto, afferiscono alla scelta operata dal nostro Costituente, 
piuttosto che alla interpretazione accolta dalla decisione stessa. � ben 
noto, infatti, che il sindacato di legittimit� sui titoli di ammissione dei 
componenti delle assemblee parlamentari si pu�, in astratto, realizzare 
attraverso molteplici sistemi. Tra i quali, il nostro Costituente ha prescelto 
quello c.d. della �verifica delle elezioni�, affidando detto sindacato 
alle stesse Camere: secondo l'esempio di molti paesi europei ed extraeuropei, 
che non hanno inteso seguire la tendenza alla giurisdizionalizzazione, 
affermatasi invece in altri paesi, per timore, storicamente 
giustificato, di abusi di potere perpetrabili in sede di verifica parlamentare 
(del genere di quello lamentato dal Fante). 

Trattasi di una scelta aderente alla tradizione ottocentesca italiana, 
che aveva gi� trovato puntuale espressione nell'art. 60 dello statuto albertino, 
il quale cos� recitava: � Ognuna delle Camere � sola competente 
per giudicare della validit� dei titoli di ammissione dei propri membri�. 
Scelta, peraltro, ben meditata dal nuovo costituente, che non manc� 
certo di darsi carico dei relativi inconvenienti sul piano delle garanzie 
di imparzialit� e che, nondimeno, consapevolmente respinse ogni altro 
possibile sistema, in particolare disattendendo la proposta di uno dei 
due relatori (Mortati) di istituire un � Tribunale per la verifica delle 
elezioni� (composto da cinque membri designati dai cinque uffici parlamentari' 
aventi il maggior numero di membri, nonch� da cinque consiglieri 
di Stato, e presieduto dal presidente della Corte di Cassazione); 
per riaffermare invece la �tradizionale prerogativa delle Camere�. 

E la stessa formula adottata nella stesura definitiva dell'art. 66, dopo 

successive correzioni dell'originario testo proposto dal secondo dei rela


tori (Conti), ha finito col riprodurre in modo pressoch� identico il surri


portato testo dell'art. 60 dello Statuto albertino. 

Ebbene, alla stregua di quest'ultima norma, mai si dubit� seriamente 

che � giudicare della validit� dei titoli di ammissione � significasse anche 

e in primo luogo accertare il regolare svolgimento delle operazioni elet


torali, segnatamente con riguardo ai risultati numerici della votazione. 

Non si vede, dunque, posto quanto sopra chiarito, come un significato 

pi� ristretto possa attribuirsi alla norma dell'art. 66 Cost., secondo cui 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 189 

� ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti 
e delle sue cause sopraggiunte di inelegibilit� e di incompatibilit��; atteso, 
oltretutto, che il primo e fondamentale �titolo di ammissione� per 
un eletto � proprio il risultato elettorale. Ed esattamente ci�, non fa 
che esplicitare il primo comma dell'art. 87 t.u. 20 marzo 1957, n. 361, 
disponendo che la Camera dei deputati � pronuncia giudizio definitivo 
sulle contestazioni, le proteste e, in generale, sui reclami presentati agli 
uffici delle singole sezioni elettorali, o all'ufficio centrale durante la loro 
attivit� o posteriormente �. Per cui non ha senso il sospetto di incostituzionalit� 
sollevato dal ricorrente, col secondo motivo, relativamente 
a tale articolo ed alle norme del regolamento della Camera da esso 
ispirate. D'altronde, � appena il caso di notare che, una volta accolta la 
suesposta interpretazione dell'art. 66 Cost., una tale questione di illegittimit� 
costituzionale non sarebbe sollevabile in questa sede, ma semmai 
nel procedimento di verifica parlamentare dei poteri, posto pure che in 
esso fosse possibile l'inserimento del processo pregiudiziale previsto dall'art. 
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. 

N� assume rilevanza, nella soluzione del problema che qui interessa, 
lo stabilire se quel procedimento, come sostiene il ricorrente e una parte 
della dottrina ritiene, abbia natura intrinsecamente giurisdizionale (la 
quale natura comporterebbe, fra l'altro, anche la possibilit� per le Camere 
di deferire alla Corte Costituzionale il giudizio di costituzionalit� sulle 
norme da applicare). Infatti, qualunque sia la specifica natura dell'attivit� 
svolta dalle Camere in sede di verifica dei poteri (legislativa in senso 
lato, obiettivamente amministrativa, intrinsecamente giurisdizionale, ovvero 
ancora di mero esercizio di un peculiare potere di controllo costituzionale), 
� comunque da considerarsi escluso ogni sindacato, alternativo, 
concorrente o successivo, da parte di qualsiasi autorit� giurisdizionale, 
siccome palesemente lesivo di una prerogativa legata alla particolare 
autonomia delle Camere stesse quali organi sovrani. Ed in particolare 
il sindacato successivo -espressamente richiesto dal ricorrente con 
l'esperita azione -sarebbe da escludere anche ravvisando una natura 
intrinsecamente giurisdizionale in detta attivit�, perch�, come, gi� chiarito 
nelle succitate sentenze, si tratterebbe in ogni caso di una �giurisdizione 
interna � propria di organi sovrani, che esulerebbero dunque 
dalla generale disciplina costituzionalizzata della giurisdizione (mirante 
alla tutela dei diritti e degli interessi legittimi da parte dei giudici ordinari 
o amministrativi), insieme con la quale -va aggiunto -tenderebbe 
a coprire ogni sfera della vita del diritto, per realizzare quella 
globalit� di tutela giurisdizionale voluta dalla nostra Costituzione (articoli 
24, 113, 134), e cui tendono anche le norme sovranazionali invocate 
nella memoria difensiva del ricorrente. 

Che se poi il procedimento davanti alle Camere non offre, nella 
attualit�, le garanzie proprie della giurisdizione, e dunque non attua real



190 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mente il precetto insito nel termine �giudica� usato dall'art. 66 Cost., 
star� allo stesso legislatore, in sede costituente ed ai sensi della VI disp. 
trans. (come pure � stato suggerito da autorevole dottrina), dettare la 
normativa all'uopo occorrente. 

Quel che in questa sede si pu� e si deve senz'altro affermare, � che 
la materia in esame esula dall'�mbito di applicabilit� dell'invocato art. 6 
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle 
libert� fondamentali (tesa a garantire l'effettiva applicazione di quanto 
enunciato nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, e resa esecutiva 
in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848); �mbito, che � limitato, 
come ha avuto occasione di precisare anche la Commissione europea dei 
diritti dell'uomo, alle procedure concernenti le contestazioni su situazioni 
giuridiche c:l'.i natura civilistica e la fondatezza di accuse in materia 
penale. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 gennaio 1981, n. 44 -Pres. Rossi -
Rel. Falcone -P. M. Marozzo della Rocca (conf.). Mutua Cooper. Edilizia 
Il Gabbiano (avv. Marucchi) c. Ministero del Lavoro (avv. Stato 
Cosentino). 

Competenza civile � Cooperative -Registro delle imprese -Iscrizione Diritto 
soggettivo -Giurisdizione dell'a.g.o. � Sussiste. 

La cooperativa legalmente costituita (art. 13, lett. a, d.l.C.p.S. 14 dicembre 
1947, n. 1577), che abbia cio� ottenuto l'iscrizione nel registro delle 
imprese ed acquistato la personalit� giuridica ed abbia assunto l'iniziativa 
per ottenere l'iscrizione nel registro prefettizio tenuto a norma del 
d.lgs. cit., presentando la relativa domanda (art. 14 d.lgs. cit. come modificato 
dall'art. 1 legge 2 aprile 1951, n. 302), ha il diritto soggettivo all'iscrizione 
quando concorrano l'adempimento degli oneri di documentazione 
previsti e la sussistenza dei requisiti richiesti (1). 

(omissis) L'istanza per regolamento preventivo di giurisdizione proposta 
dalla soc. coop. Il Gabbiano al fine precipuo di ottenere immediatamente 
la determinazione del giudice munito di giurisdizione, nel corso 

(1) La norma garantisce l'interesse della societ� cooperativa, gi� iscritta 
nel registro delle imprese, all'iscrizione nel registro prefettizio delle cooperative, 
in modo diretto nei confronti della pubblica amministrazione, riconoscendo ad 
esso la consistenza di diritto soggettivo, poich� nessun margine di apprezzamento 
lascia all'autorit� amministrativa che � chiamata non gi� a valutare, ma 
soltanto ad accertare la sussistenza dei requisiti prescritti per l'iscrizione. Sulla 
questione non risultano precedenti specifici. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

di due controversie con le stesse parti ed aventi il medesimo oggetto, 
pendenti l'una dinanzi al giudice ordinario e l'altra dinanzi al TAR, � 
ammissibile, poich� nessuna di tali controversie � stata decisa nel merito 
in primo grado e non � intervenuta n� per l'una n� per l'altra una pronuncia 
irrevocabile sulla giurisdizione. Il regolamento mira ad evitare 
la possibilit� di un conflitto che ancora non pu� venire in considerazione 
per non essere state sinora pronunciate decisioni (contrastanti) nei due 
giudizi. 

La societ� cooperativa ricorrente chiede che sia affermata la competenza 
giurisdizionale dell'autorit� giudiziaria ordinaria a conoscere della 
controversia, sostenendo che le societ� cooperative legalmente costituite, 
con la omologazione da parte del tribunale, sono titolari del diritto soggettivo 
all'iscrizione nel registro prefettizio quando ricorrano i presupposti 
stabiliti dalla legge (d.l.C.p.S. 14 dicembre 1947, n. 1577). La vincolativit� 
dell'azione amministrativa in ordine all'iscrizione si spiega -secondo 
la ricorrente -considerando che essa � correlata da un canto con 
la penetrante indagine devoluta al tribunale in sede di iscrizione nel registro 
delle imprese (artt. 2517, 2519, 2330 cod. civ.), e, dall'altro, con i ben 
pi� ampi controlli ai quali le cooperative devono sottostare successivamente, 
nella fase della gestione, con la possibilit� di subire, sulla base di 
essi soltanto, la cancellazione dal registro stesso. 

A questa configurazione della situazione soggettiva della cooperativa 
-sostiene la istante -conduce anche la considerazione della inaccettabilit� 
della tesi opposta che attribuirebbe all'autorit� amministrativa il 
potere di riesaminare, giungendo eventualmente a diversa conclusione, 
atti che l'autorit� giudiziaria ha ritenuto conformi a legge. 

Il Ministero del lavoro e della previqenza sociale ed il Prefetto di 
Lucca oppongono, e deducono a sostegno della competenza giurisdizionale 
amministrativa di cui chiedono la affermazione, che il provvedimento 
d'iscrizione nel registro delle cooperative, in quanto attribuisce all'ente 
iscritto la possibilit� di fruire delle particolari agevolazioni tributarie 
e di altra natura previste dal d.l.C.p.S. n. 1577 del 1947 o da altre leggi, 
deve essere qualificato come provvedimento di ammissione, emanato nell'esercizio 
di un potere discrezionale in ordine alla valutazione della 
rispondenza dell'ente ai principi mutualistici, potere esteso al �controllo 
di merito dei requisiti dei soci�, con la duplice conseguenza della configurabilit� 
di un interesse legittimo, e non di un diritto soggettivo, alla 
iscrizione e dell'attribuzione delle controversie al riguardo alla giurisdizione 
amministrativa. 

Tra le contrapposte tesi cos� prospettate, queste sezioni unite ritengono 
meritevole di adesione quella sostenuta dalla societ� cooperativa 
istante. 

La cooperativa legalmente costituita (art. 13, lett. a, d.l.C.p.S. 14 dicembre 
1947, n. 1577), che abbia cio� ottenuto l'iscrizione nel registro delle 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

imprese ed acquistato la personalit� giuridica (artt. 2519, 2331 cod. civ.) 
ed abbia assunto l'iniziativa per ottenere l'iscrizione nel registro prefettizio 
tenuto a norma del d.lgs., cit., presentando la relativa domanda 
(art. 14 d.lgs. cit.) come modificato dall'art. 1 legge 2 aprile 1951, n. 302, 
ha il diritto soggettivo all'iscrizione quando concorrano l'adempimento 
degli oneri di documentazione previsti e la sussistenza dei requisiti 
richiesti. 

L'art. 14, terzo comma d.l.C.p.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, come modificato 
dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, nel disporre che il Prefetto, accertato 
che per gli atti indicati al n. 1 (atto costitutivo e deliberazioni recanti 
ad esso modificazioni fino al giorno della domanda) sono state adempiute 
le formalit� prescritte dagli artt. 2519 e 2537 cod. civ. e che il numero 
ed i requisiti dei soci corrispondono a quelli prescritti dalla legge o dal-
l'atto costitutivo, sentita la commissione provinciale, ordina con decreto 
l'iscrizione della societ� cooperativa nel registro prefettizio, configura il 
provvedimento amministrativo come un atto dovuto. 

La norma garantisce l'interesse della societ� cooperativa, gi� iscritta 
nel registro delle imprese, alla iscrizione nel registro prefettizio delle 
cooperative, in modo diretto nei confronti della pubblica amministrazione, 
riconoscendo ad esso la consistenza di diritto soggettivo, poich� 
nessun margine di apprezzamento lascia all'autorit� amministrativa che 
� chiamata non gi� a valutare, ma soltanto ad accertare la sussistenza 
dei requisiti prescritti per l'iscrizione. 

In presenza dell'esito positivo di tale accertamento � imposto all'amministrazione 
l'obbligo dell'iscrizione, da cui discendono i particolari 
vantaggi previsti dalla legge, e cio� la possibilit� per la societ� cooperativa 
di fruire delle agevolazioni tributarie o di qualsiasi altra natura 
(art. 16 d.l.C.p.S. cit. mod. dall'art. 4, legge 17 febbraio 1971, n. 127). 

La possibilit� per la societ� cooperativa, una volta ottenuta l'iscrizione 
di cui si discute, di fruire delle particolari agevolazioni tributarie o di 
altra natura previste dal citato d.l.C.p.S. o da altre leggi non consegue, 
quindi, ad un atto volitivo della p.a. emesso all'esito positivo dell'esercizio 
di un potere discrezionale di ordinare o meno l'iscrizione in esito agli 
accertamenti compiuti, come sostiene la difesa erariale. Il procedimento 
che sfocia nell'iscrizione nell'apposito registro d� luogo, infatti, alla certezza 
sull'esistenza della qualit� giuridica da cui la norma fa derivare 
direttamente la fruibilit� del regime di favore predisposto per il sostegno 
e lo sviluppo del movimento cooperativo. 

Pertanto, poich� l'amministrazione che non presta o presta male 
l'attivit� dovuta si attribuisce un potere di cui non dispone, violando 
immediatamente la norma che � costituisce � il diritto, ogni questione 
nascente dal diniego dell'iscrizione domandata d� luogo ad una controversia 
concernente la sussistenza o meno del diritto soggettivo dell'ente 


PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 193 

all'iscrizione, la cui cognizione, secondo i criteri di ripartizione della 
competenza giurisdizionale (art. 2 legge 28 marzo 1865, n. 2248, all. E), 
spetta al giudice ordinario. 

Deve, in conclusione, essere dichiarata la giurisdizione del giudice 
ordinario a conoscere della controversia. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 gennaio 1981, n. 75 -Pres. Rossi Est. 
Fanelli -P. M. Marozzo della Rocca (conf.). -Marrapodi (avv. Ferruggia) 
c. Procura generale della Corte dei Conti (avv. Stato Azzariti). 

Competenza cl.vile -Segretari comunali -Emolumenti corrisposti m aggiunta 
al trattamento previsto dalla legge -Giudizio di responsabilit� 
dei Segretari comunali che hanno emesso i:l titolo di spesa -Giurisdizione 
della Corte dei Conti. 

Deve essere riconosciuta la competenza generale della Corte dei Conti, 
che pu� definirsi � ordinaria �, in materia di contabilit� pubblica, comprensiva 
di tutti i rapporti relativi alla gestione di denaro o di altri cespiti, 
dell'Amministrazione dello Stato o di qualsiasi ente pubblico, con la 
conseguenza che � assoggettata a detta giurisdizione anche la responsabilit� 
del segretario comunale (1). 

(omissis) Premesso che sulla base della ricostruzione dei fatti effettuata 
dallo stesso Procuratore generale, oggetto del giudizio � un comportamento 
commissivo di amministratori comunali, che hanno deliberato 
di corrispondere un assegno forfettario ai segretari comunali che 
avevano prestato servizio in favore del Comune, determinando cos� un 
esborso di somme, che si assume illegittimo, da parte del Comune stesso, 
rilevano i ricorrenti che nel predetto comportamento si riscontrano le 
caratteristiche soggettive ed oggettive di cui agli artt. 261 e segg. del t.u. 

n. 383 del 1934; e che, ammesso che il comportamento, in ipotesi illegittimo 
degli amministratori, per non aver tenuto conto della normativa 
vigente in materia di trattamento economico dei segretari comunali e aver 
dato esecuzione alla circolare dell'Assessorato regionale agli enti locali, 
abbia comportato un danno finanziario per l'ente con riflessi sul patrimonio, 
questo � rimasto inciso solo in via mediata, per l'esborso cui 
l'ente � stato esposto. Ma -aggiungevano i ricorrenti -secondo quanto 
questa Corte ha statuito con sent. n. 3335 del 1978, non pu� ricondursi 
(1) Giurisprudenza pacifica: Cass., Sez. Un., 6 luglio 1979, n. 3876, in Giuris. 
it. Rep., 1979, voce � giudizio di conto�, n. 25. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

194 

nell'ambito della giurisdizione della Corte dei Conti qualsiasi att-0 che in 
qualunque modo incida sulla consistenza patrimoniale dell'ente, sia perch� 
non esiste attivit� amministrativa dannosa per l'ente che non si traduca 
in una lesione del suo patrimonio, sia perch�, diversamente, si verrebbe 
ad annullare qualsiasi elemento di discriminazione fra attivit� gestoria 
e attivit� amministrativa di altra natura: pertanto, ricorrendo nel caso 
di specie una ipotesi di responsabilit� amministrativa per danni determinati 
da colpa dell'agente, la giurisdizione compete al giudice ordinario 
ex artt. 261 e segg. t.u. 383/1934. 

L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce, nel controricorso, l'inammissibilit� 
del ricorso, in quanto con esso si contesta il potere giurisdizionale 
della Corte dei Conti a conoscere della domanda proposta dalla 
Procura generale nei confronti dei soli amministratori comunali, per fame 
affermare la responsabilit� ex art. 251-260 del t.u. n. 383 del 1934, laddove 
nei confronti dei due segretari comunali, i soli che hanno proposto il 
ricorso, � stata formulata una domanda diversa, di accertamento ed 
affermazione della responsabilit� specificamente prevista e regolata dall'art. 
2 della legge n. 20 del 1968, in relazione alla quale il potere giurisdizionale 
della Corte dei Conti, del resto espressamente affermato dalla 
stessa legge, non � contestato nel ricorso. Con la conseguenza che i due 
ricorrenti non hanno interesse a chiedere che venga individuato il giudice 
competente rispetto ad una domanda che non � stata proposta nei loro 
confronti. 

L'istanza � infondata. 

Con essa si fanno valere ragioni, volte a dimostrare la pretesa carenza 
di giurisdizione della Corte dei Conti, in relazione esclusivamente alla 
posizione degli amministratori comunali, citati davanti a quella Corte 
insieme ai due segretari comunali qui (unici) ricorrenti, ma in base ad un 
titolo di responsabilit� che per i primi � diverso e distinto rispetto a quello 
riguardante i secondi. 

� vano, quindi, sostenere, da parte dei segretari comunali, che, quanto 
agli amministratori comunali (e solo per essi, non facendo i ricorrenti 
cenno alcuno alla propria, diversa posizione) la giurisdizione spetti al 
giudice ordinario, in quanto essi non hanno alcun interesse a sostenere 
ci�, dato che, ove per ipotesi fosse esatta la loro tesi, il giudizio che li 
riguarda non potrebbe mai essere attratto per connessione nella giurisdizione 
di quel giudice, operando l'istituto della connessione unicamente in 
relazione alla competenza, per la quale soltanto � prevista dalla legge, 
e non anche in relazione alla giurisdizione. 

Questa Corte non pu�, tuttavia, limitarsi a dichiarare inammissibile, 
per difetto di interesse il ricorso, secondo quanto prospettato dal resistente 
Procuratore generale presso la Corte dei Conti, dovendo essa, una 
volta investita di questione di giurisdizione, esaminare d'ufficio se que



PARTB I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

sta sussista o meno, indipendentemente dalle ragioni fatte valere dalla 
parte. 

E la giurisdizione della Corte dei Conti non pu� non affermarsi in 
relazione alla posizione dei due segretari comunali, sola di cui questa 
Corte pu� occuparsi. 

Basta all'uopo ricordare quanto disposto dall'art. 2 della legge 23 gennaio 
1968, n. 20, che, fatto espresso divieto ai comuni di concedere ai propri 
dipendenti qualsiasi ulteriore (rispetto a quella prevista dall'art. 1) 
nuova indennit� non prevista da particolari disposizioni di legge, dichiara 
nulli i prbvvedimenti di concessione in violazione del divieto, e rende 
personalmente e solidalmente responsabili gli amministratori e i segretari 
comunali che, ci� nonostante, abbiano emesso i titoli di spesa, accomunando 
nella stessa responsabilit� i componenti degli organi di controllo, 
e sottoponendo tutti al giudizio della Corte dei conti, promosso 
(come nella specie � avvenuto) dal Ministero dell'Interno. 

Poich�, dunque, i due segretari comunali sono stati citati dal Procuratore 
generale appunto per avere emanato il mandato di pagamento 
dell'indennit� che si assume illegittimamente deliberata dagli organi 
comunali, la fattispecie rientra nella or vista previsione normativa, costituendo 
poi questione di merito, che dovr� quindi essere esaminata dal 
giudice ritenuto fornito di giurisdizione, quella se divieti e sanzioni possano 
intendersi analogicamente estesi al caso che l'indennit� aggiuntiva 
sia stata deliberata a favore dei segretari comunali, che, sebbene dipendenti 
statali, e non comunali (t.u. legge com. e provv. del 1934, art. 173), 
sono retribuiti dal Comune, a cui carico � espressamente posto dalle citate 
norme l'onere di corrispondere gli stipendi e le indennit� ad essi spettanti, 
e sono gerarchicamente dipendenti del sindaco. 

D'altro canto, la stessa loro qualit� di dipendenti dello Stato, pur se 
il denaro da essi maneggiato non � di questo ente, bens� del Comune, 
e la progressiva generalizzazione della giurisdizione della Corte dei conti 
in ordine alla responsabilit� per maneggio di danaro pubblico alla stregua 
della estensiva interpretazione dello art. 103 della Costituzione fornita 
dalla giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sent. 6 luglio 1979, 

n. 3876; 18 luglio 1979, n. 4244; 8 ottobre 1979, n. 5184; 22 ottobre 1979, 
n. 5467; 19 novembre 1979, n. 6009 sino alla sentenza 5 febbraio 1969, n. 363, 
e 20 luglio 1968, n. 2616), per cui viene riconosciuta alla Corte dei Conti 
una competenza generale, che si pu� dire �ordinaria�, in materia di contabilit� 
pubblica, comprensiva di tutti i rapporti relativi alla gestione 
di denaro o di altri cespiti, dell'amministrazione dello Stato o di qualsiasi 
ente pubblico, concorrono a far ritenere comunque assoggettata a 
detta giurisdizione anche la responsabilit� del segretario comunale in un 
caso quale quello in esame. 
E, per quel che pu� valere, gli stessi ricorrenti non hanno mosso contestazione 
alcuna quanto alla loro posizione. 


196 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


Va dunque dichiarata la giurisdizione della Corte dei Conti in ordine 
al giudizio che riguarda gli attuali ricorrenti; e ci� a prescindere da ogni 
considerazione in ordine alla questione di giurisdizione -in questa sede 
non proposta -circa l'azione nei confronti degli altri amministratori. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 gennaio 1981, n. 77 � Pres. Rossi � 
Rel. Santosuosso -P. M. Berri -Ministero del Tesoro (avv. Stato Vittoria) 
c. Vissani (avv. Carriero). 

Competenza civile . Pensione ed altri emolumenti connessi . Giurisdizione 
della Corte dei Conti. 

Competenza civile � Pensione � Recupero emolumenti � Giurisdizione della 
Corte dei Conti. 

Rientra nella competenza esclusiva della Corte dei Conti, ogni provvedimento 
che conceda, aumenti, riduca, rifiuti, non solo la pensione in 
senso stretto, ma anche gli altri emolumenti che, pur non collegati geneticamente 
all'originario atto di liquidazione, siano ad esso connessi dallo 
scopo di sovvenire alle esigenze economiche del pensionato, rientrando 
in tale nozione anche quegli atti aventi ad oggetto il diritto, la misura, 
la decorrenza della pensione e dei relativi accessori (1). 

Il potere di cognizione della Corte dei conti si estende -trattandosi 
pur sempre di materia pensionistica -anche alla questione di legittimit� 
del provvedimento di recupero di emolumenti comunque integrativi di 
detto trattamento, ivi compresa la � questione dell'irripetibilit� degl: 
assegni aventi destinazione alimentare che siano stati riscossi in buona 
fede (2). 

(omissis) L'Amministrazione ricorrente, premesso che la giurisdizione 
del Consiglio di Stato ha come presupposto oggettivo che la controversia 
derivi da un rapporto d'impiego con l'ente pubblico, rileva che quando 
tale rapporto � cessato, non vi � pi� materia di giurisdizione esclusiva 
e le posizioni delle parti sono di diritto soggettivo; e d'altra parte 
-aggiunge -in materia pensionistica la competenza esclusiva spetta 
alla Corte dei Conti, sia per quanto riguarda la sospensione della corresponsione 
di assegni non dovuti, sia per il recupero di somme gi� indebitamente 
percepite. 

Il ricorso � fondato. 

(1-2) Sulla prima massima la giurisprudenza � ormai pacifica; sulla seconda 
cfr. 23 ottobre 1979, n. 5507, in Giuris. it., 1979, Rep. voce �Pensioni�, n. 184. 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

Le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione hanno emesso numerose 
pronunce sulla questione, sia per negare la tesi del Consiglio di 
Stato, secondo cui le controversie relative alla riduzione del trattamento 
di quiescenza rientrerebbero nella sua giurisdizione esclusiva in quanto 
originate da un rapporto -anche se cessato -di pubblico impiego 
(Cass., nn. 1106/69, 3246/74) sia per affermare che alcuni assegni corri� 
sposti ai pensionati non hanno altra funzione che aumentare il quantum 
della pensione e quindi ne costituiscono parte integrante ed essenziale 
(Cass., nn. 221/71, 3246/74, 2155/75). 

Pi� recentemente (Cass., nn. 630/76, 1656/76) si � fatto riferimento ad 
una nozione globale del trattamento pensionistico, facendo rientrare nella 
materia pensionistica, di competenza esclusiva della Corte dei Conti, 
ogni provvedimento che conceda, aumenti, riduca, rifiuti, non solo la pensione 
in senso stretto, ma anche gli altri emolumenti che, pur non colle� 
gati geneticamente all'originario atto di liquidazione, siano ad esso con� 
nessi dallo scopo di sovvenire alle esigenze economiche del pensionato. 

Questa Suprema Corte, quindi, con progressivi chiarimenti ha costan� 
temente affermato che sui provvedimenti aventi ad oggetto il diritto, 
la misura, la decorrenza della pensione e dei relativi assegni accessori, 
la cognizione spetta alla giurisdizione della Corte dei conti. E tale orientamento 
viene condiviso da questo Collegio anche nella presente controversia. 


Va pure condivisa la precisazione, secondo cui restano devolute alla 
cognizione del giudice ordinario le controversie che attengono esclusivamente 
al pagamento, alla fase esecutiva dell'obbligazione dello Stato, 
e cio� alle mere modalit� di soddisfazione del riconosciuto diritto ad un 
determinato trattamento pensionistico. 

Pi� complessa � invece la questione di giurisdizione relativa al provvedimento 
di recupero delle somme indebitamente corrisposte, in ordine 
alla quale sembrano profilarsi contrastanti orientamenti di questa Corte. 

Si era affermato in un primo momento (Cass., nn. 2995/68, 1106/69, 
221/71) che quando non sia in contestazione il diritto alla pensione, in 
relazione ad un provvedimento definitivo che in tutto o in parte lo 
disconosca ma si controverta sulle ritenute applicate dall'ente, la giurisdizione 
spetta non alla Corte dei Conti, ma all'Autorit� giudiziaria 
ordinaria. 

Sulle modalit� di recupero dell'indebito, � stato poi ravvisato (Cass., 

n. 3246/76) un interesse legittimo del pensionato nei confronti di un potere 
discrezionale della pubblica amministrazione, con le relative conseguenze 
in tema di giurisdizione. Con la sentenza n. 630/76 si � distinta la giurisdizione 
della Corte dei conti sulla spettanza degli assegni accessori alla 
pensione (anche se in relazione a provvedimenti operanti sulle rate pensionistiche), 
dalla diversa giurisdizione sulle modalit� di recupero delle 

198 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

somme indebitamente pagate, alle quali soltanto inerisce la discrezionalit� 
amministrativa. 

Infine con le sentenze n. 2155/75 e 5507/79, si � affermato che il potere 
di cognizione della Corte dei conti si estende -trattandosi pur sempre 
di materia pensionistica -anche alla questione di legittimit� del provvedimento 
di recupero di emolumenti comunque integrativi di detto trattamento, 
ivi compresa la � questione dell'irripetibilit� degli assegni aventi 
destinazione alimentare che siano stati riscossi in buona fede �. 

Questo Collegio ritiene di dover confermare l'orientamento giurisprudenziale 
da ultimo indicato sia per un principio generale in tema di giurisdizione 
esclusiva, sia per l'esigenza -fondamentale per l'individuazione 
della giurisdizione -dell'interpretazione pi� idonea ad evitare incertezze. 

Da una parte, cio�, il carattere esclusivo della giurisdizfone in una 
determinata materia fa venir meno la rilevanza delle distinzioni fra posizioni 
di diritto soggettivo o di interesse legittimo sulle quali incidono i 
provvedimenti impugnati. Fra questi provvedimenti occorre annoverare, 
non solo quelli che direttamente impingono nella materia riservata alla 
giurisdizione esclusiva, ma anche gli atti che ne sono strettamente connessi 
o dipendenti. Ci� che appunto si verifica per il provvedimento di 
recupero delle somme che un altro provvedimento, spesso implicato nel 
primo, ha ritenuto indebitamente corrisposte. 

D'altra parte, proprio questa connessione e la frequente forma implicita 
rivelano l'esigenza di evitare (specie per certe categorie di persone 
interessate) le difficolt� di sottili distinzioni e quindi il rischio di incertezze, 
ancor pi� deprecabili in materia di giurisdizione, con pregiudizio 
del diritto del cittadino ad avere tempestiva giustizia. 

Va, pertanto, affermato che anche la valutazione dei criteri che giustificano 
la ripetibilit� o meno di assegni pensionistici indebitamente corrisposti 
(complessit� della normativa, comportamento della p.a. che ha 
determinato incertezza o affidamento, e soprattutto la buona fede dell'accipiens 
e la comparazione tra il pregiudizio che quest'ultimo risente per 
il recupero ed il vantaggio per la p.a.) pu� e deve essere compiuta dallo 
stesso giudice provvisto della giurisdizione esclusiva iri materia pensionistica, 
e quindi dalla Corte dei conti. (omissis) 



SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 10 novembre 1980, n. 6044 -Pres. 
Greco -Est. Micoli -P. M. Dettori -Ministero Interno (avv. Stato 
Ferri) c. Baroni (avv. Bussi). 

Previdenza � Controversia � Giudice del Lavoro � Competenza � Riconoscimento 
di pensione di invalidit� � Sussiste � Fattispecie. 

L'art. 442 cod. proc. civ., nel nuovo testo, nell'assoggettare alla disciplina 
del rito del lavoro le controversie in materia di assistenza e previdenza 
obbligatoria, con l'inciso � ogni altra forma di previdenza e assistenza 
obbligatoria � ha inteso estendere la sfera di applicazione delle 
norme alle controversie non riconducibili ad un rapporto di lavoro pregresso 
e in atto, ed alla conseguente instaurazione di un rapporto assicurativo, 
con la conseguenza che rientra, nella competenza per materia del 
pretore, in funzione del giudice del lavoro, la domanda per il riconoscimento, 
proposta contro il Ministero dell'Interno, della pensione di inabilit� 
prevista dall'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, a favore dei 
mutilati e invalidi civili, nella cui categoria rientrano tutti gli infermi 
psichici (e cio� anche i soggetti affetti da schizofrenia catatonica) (1). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 15 luglio 1980, n. 4565 -Pres. Dondona 
-Est. Alfeltra -P. M. Leo -Ministero Interno (avv. Stato Ferri) 

c. Ravelli (avv. Cassola). 
Previdenza � Controversia � Giudice del Lavoro � Competenze � Pensioni 
sociali � Sussiste � Fattispecie. 

Sono attratte nella nuova disciplina processuale di cui agli artt. 442 
e 413 cod. proc. civ. le controversie relative a �mere pensioni sociali� 

(1-2) Cfr. Cass., 16 gennaio 1979, n. 319, v. anche Cass., 21 ottobre 1980, 

n. 5673; in tal senso l'orientamento della giurisprudenza sulla espansione della 
competenza per materia del pretore ai sensi della legge 11 agosto 1973, n. 533 
(gi� affermata con la sentenza Cass., 29 giugno 1978, n. 3278) pu� ritenersi con� 
solidato. Per quanto concerne la pensione agli invalidi civili v. Cass., 21 maggio 
1975, n. 2002 ed anche Il contenzioso dello Stato, 1971-1975, III, 694. 

200 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
le quali prescindono dall'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato 
200 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
le quali prescindono dall'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato 
e comprendono anche le pensioni per invalidi civili prevista dalla legge 
30 marzo 1971, n. 118 (2). 

I 

(omissis) Il ministero ricorrente, con il primo motivo di annullamento 
proposto, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 442 
cod. proc. civ. (nella nuova formulazione datagli dalla legge 11 agosto 
1973, n. 533) con riguardo agli artt. 12, 13 e 22 della legge 30 marzo 1971, 

n. 118, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., ha sostenuto che il 
giudice del merito aveva errato nell'avere ritenuto che la causa doveva 
esser trattata con il rito previsto dal novellato art. 442 cod. proc. civ. per 
le controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, dal 
momento che l'assegno richiesto non aveva carattere di prestazione assistenziale 
secondo la ratio della legge 11 agosto 1973, n. 533, poich� il 
diritto in base al quale era rivendicato non traeva origine da alcun rapporto 
di lavoro, onde veniva meno sia il carattere cogente della prestazione, 
che la caratteristica trilaterale tip!ca di tutti i rapporti assistenziali 
i cui soggetti sono il lavoratore, il datore di lavoro e l'ente pubblico 
obbligato per legge all'erogazione delle prestazioni. 
La doglianza � infondata: questa Corte, con sentenza n. 1396/80 ha 
gi� avuto modo di osservare che la legge 11 agosto 1973, n. 533, ha iniziato 
il suo iter parlamentare dall'unificazione compiuta dalle commissioni 
riunite dal governo in data 14 ottobre 1968 nonch� dai progetti di 
iniziativa parlamentare nn. 903, 1423 e 3010, presentati rispettivamente, 
in data 24 gennaio 1969, 31 gennaio 1969, 9 maggio 1969 e 26 gennaio 1971. 

Il disegno di legge governativo si limitava a prevedere la modifica 
del procedimento delle controversie individuali di lavoro senza alcun riferimento 
alla materia assistenziale e previdenziale, mentre i progetti n. 903 
e 966 ne prevedevano la modifica nell'ambito, per�, dei rapporti di cui 
all'art. 409 cod. proc. civ. 

Rimanevano, cos�, esclusi dalla nuova disciplina legislativa tutti i 
rapporti concernenti i lavoratori autonomi, gli esercenti libere professioni, 
gli invalidi civili, ecc. 

Un pi� approfondito esame in seno al comitato ristretto delle commissioni 
parlamentari (cos� detto comitato dei nove), valutate ragioni di 
ordine costituzionale di eguaglianza e parit� di trattamento, con apposito 
emendamento votato in sede redigente nella seduta del 29 marzo 
1973, estese il nuovo rito del lavoro a tutti i rapporti previdenziali ed 
assistenziali delle categorie suddette, ed elabor� il complesso di norme 
oggi raccolte nel capo II del titolo IV del libro V del codice di procedura 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

civile nonch� nel capo V del titolo III delle disposizioni di attuazione 
dello stesso codice, s� che ne rimasero esclusi soltanto i rapporti dei 
dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici soggetti alla 
giurisdizione amministrativa. 

In tal modo le norme che erano state proposte inizialmente con criterio 
di modifica parziale e limitata, settorialmente, ai rapporti di lavoro 
subordinato vennero ad assumere contenuti di riforma generale dell'intero 
sistema processuale previdenziale, dando luogo, successivamente, in 
dottrina, all'elaborazione di un compiuto sistema di principi di diritto 
processuale in tale materia. 

Non v'era motivo, infatti di escludere dalla nuova legislazione che si 
voleva improntata a criteri di massima concentrazione, oralit� ed immediatezza, 
secondo il progetto di riforma del codice di procedura civile 
elaborato da Giuseppe Chiovenda intorno all'anno 1922, i diritti soggettivi 
di natura previdenziale ed assistenziale dei cittadini che non intrattenevano 
un rapporto di lavoro subordinato, poich� il precetto di cui all'art. 38 
Cost. non autorizzava aif;;Ltto tale discriminazione e, se fosse stata fatta, 
ne avrebbe leso la lettera e lo spirito. 

Di tanto si � reso conto infine lo stesso ministero ricorrente, che non 
ha potuto fare a meno di ammettere che �l'assegno agli invalidi civili 
si colloca in un ordine di intervento pubblico di categorie particolarmente 
bisognose di protezione, che � alternativo e sostitutivo del sistema 
di previdenza ed assicurazione sociale ... "� 

Deve riconfermarsi, pertanto, al riguardo la giurisprudenza gi� iniziata 
da questa Corte con riferimento ad altra prestazione di natura analoga 
(pensione da corrispondersi ai mutilati ed invalidi civili), con la sentenza 

n. 319/79 con la quale ha affermato che �l'art. 442, nuovo testo, cod. 
proc. civ., che assoggetta alla disciplina del rito del lavoro le controversie 
in materia di assistenza e previdenza obbligatoria, con l'inciso, ogni altra 
forma di previdenza e di assistenza obbligatoria>>, ha inteso estendere la 
sfera di applicazione della norma a controversie non riconducibili ad un 
rapporto di lavoro, pregresso e in atto, ed alla conseguente instaurazione 
di un rapporto assicurativo. 
�Rientra, pertanto, nella competenza per materia del pretore, in funzione 
di giudice del lavoro, la domanda proposta contro il ministero 
dell'interno per il riconoscimento della pensione di inabilit� prevista 
dall'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, a favore dei mutilati ed invalidi 
civili �. 

Col secondo motivo il ministero suddetto, denunciando violazione 
e falsa applicazione degli artt. 2, 12 e 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, 
nonch� omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un 
punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod.' proc. 
civ., ha sostenuto che il giudice del merito aveva errato, altres�, nell'aver 


RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DELLO STATO

202 

ritenuto che la schizofrenia catatonica da cui era affetta la resistente 
era una malattia psichica pura, cio� un'infermit� non ricollegabile a 
deficienze funzionali, sensoriali e, comunque, organiche, che costituiva il 
presupposto giuridico per la concessione dell'assegno di assistenza pre� 
visto dall'art. 2 della legge 30 marzo 1971, n. 118. 

Tale norma, infatti, secondo l'assunto del ministero ricorrente, definisce 
invalidi civili � i cittadini affetti da minorazioni congenite e acquisite 
anche a carattere progressivo�, precisando che vi devono essere com.
presi anche � gli irregolari psichici per oligofrenia di carattere organico 
e dismetabolico�, e �per insufficienze mentali da difetti sensoriali e funzionali
�, per cui tale ultima precisazione avrebbe dovuto essere interpretata 
come una restrizione dell'ambito di applicazione della norma, con 
la conseguenza che avrebbero dovuto rimanerne escluse tutte le infermit� 
psichiche pure. La doglianza � infondata: non solo la chiara formulazione 
della lettera della legge lascia intendere, al di l� di ogni ragionevole 
dubbio, che con essa si era voluto accordare tutela assistenziale a tutti 
gli infermi psichici, ma tale ratio rimane confermata dalla stessa evoluzione 
legislativa in materia. 

L'art. 5 della legge 625/66, infatti, disponeva che �ai mutilati ed invalidi 
civili di et� non superiore agli anni 18, nei cui confronti sia accertata 
una riduzione della capacit� lavorativa, di natura non esclusivamente 
psichica, nella misura superiore a due terzi � concesso, a carico dello 
Stato ed a cura del ministero dell'interno, un assegno mensile ... �. 

La successiva norma di cui all'art. 1, secondo comma, della legge 

n. 74/70 che aveva convertito in provvedimento legislativo il d.l. 14 gennaio 
1970, n. 2, apportandovi numerose modificazioni, aveva sostituito 
alla locuzione � non di natura psichica � contenuta nel decreto suddetto, 
e certamente pi� restrittiva addirittura di quella della gi� citata legge 
625/66, la locuzione pi� ampia e, quindi, pi� favorevole da essa recata, 
e la successiva novella n. 118/71, art. 2, secondo comma, ha definitivamente 
allargato la forma assistenziale in esame a tutti i � cittadini affetti 
da minorazioni congenite e acquisite, anche a carattere progressivo, compresi 
gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico e dismetabolico, 
insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali 
che abbiano sub�to una riduzione permanente della capacit� lavorativa 
non inferiore ad un terzo... �. 
Non v'� dubbio, pertanto, che con tale ultima norma il legislatore 
abbia voluto accordare assistenza a tutti quegli infelici che sono affetti da 
infermit� anche di natura esclusivamente psichica che non consentano 
loro di svolgere proficua attivit� lavorativa e non siano in grado, pertanto, 
di provvedere alle loro esigenze di vita, adempiendo in tal modo, anche 
nei loro riguardi, al precetto di cui all'art. 38 Cost. 

L'inciso che fa riferimento alle oligofrenie di carattere organico e 
dismetabolico nonch� alle insufficienze mentali derivanti da difetti senso-

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

riali e funzionali, lungi dal costituire una restrizione, sotto forma di 
limitazione a tali cause dell'assistibilit� delle affezioni psichiche, ne 
amplia, invece, l'ambito ricomprendendo nella categoria degli irregolari 
psichici tutte le affezioni che a tale stato patologico possono essere ricondotte, 
proprio perch� come gi� detto, il legislatore intendeva attuare anche 
nei confronti di tali minorati il suddetto precetto costituzionale e, pertanto, 
sarebbe stato irragionevolmente discriminatorio che ne avesse 
escluso alcuni senza alcun plausibile motivo. (omissis) 

II 

(omissis) Col primo mezzo il ricorrente Ministero, denunciando violazione 
e falsa applicazione dell'art. 442 cod. proc. civ. in relazione agli 
artt. 12, 13 e 22 della legge 30 marzo 1971, n. 118, deduce che ai fini dell'applicabilit� 
del rito del lavoro alla controversia in esame, l'argomentazione 
del Tribunale non � decisiva essendo la diversa formulazione dell'art. 
442 giustificata dal fatto che usufruiscono della previdenza e dell'assistenza 
obbligatoria anche soggetti esplicanti attivit� lavorativa non compresa 
nella previsione del vigente art. 409 cod. proc. civ.; che innegabile 
� la diversit� e l'alternativit� dell'assegno d'invalidit� rispetto al sistema 
di previdenza ed assicurazione sociale e che, in mancanza di inequivoche 
indicazioni, ritenere che il citato art. 442 adotti un concetto di previdenza 
ed assistenza pi� ampio di quello proprio del diritto sostanziale significa 
applicare oltre i casi espressamente considerati disposizioni di carattere 
speciale o eccezionale come quelle sul rito del lavoro. 

Tale motivo � infondato. 

La legge 30 marzo 1971, n. 118, prevede in favore dei mutilati ed 
invalidi civili che si trovino in condizioni economiche particolarmente 
disagiate l'erogazione di una pensione, ove l'inabilit� al lavoro raggiunga 
un certo limite (art. 12), o di un assegno mensile laddove il grado di 
inabilit� sia meno marcato (art. 13). Prevede poi, che, dopo il compimento 
del sessantacinquesimo anno di et�, i mutilati ed invalidi civili 
di cui sopra conseguano, in. sostituzione della pensione o dell'assegno 
mensile suddetti, la c.d. �pensione sociale�, istituita con l'art. 26 della 
legge 30 aprile 1969, n. 153, il cui importo pu� in determinati casi essere 
integrato, restando la relativa spesa a carico del Ministero degli Interni 
(art. 19). 

A sua volta, la citata legge n. 153 del 1969, istituendo la �pensione 
sociale�, ha fatto sorgere il diritto alla relativa corresponsione in capo 
a tutti i cittadini ultrasessantacinquenni, che si trovino in condizioni 
economiche disagiate e che non abbiano diritto ad altre forme di assistenza. 
Entrambe queste forme di assistenza (la pensione per i mutilati ed 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

invalidi civili, e la pensione sociale) sono completamente svincolate sia 
da pregressi rapporti di lavoro subordinato od autonomo sia dall'instaurazione 
precedente di rapporti di tipo assicurativo e previdenziale, e cio� 
dal versamento di contributi da parte dell'interessato o di altri soggetti, 
in vista della futura assistenza. 

Ci� posto, il problema che si pone, in linea di diritto, � quello di 
accertare se la disposizione dell'art. 442 cod. proc. civ., che, nel testonovellato, 
dopo aver elencato varie forme di assistenza e previdenza 
inquadrate in schemi di tipo assicurativo, accenna a �ogni altra forma 
di assistenza e previdenza obbligatorie�, si riferisca anche alle erogazioni 
pensionistiche previste dalle leggi sopra citate per gli invalidi e mutilati 
civili e per gli indigenti ultrasessantenni. 

La difesa dell'Amministrazione degli Interni tenta di dare al quesito 
una risposta negativa assumendo che l'assegno di invalidit� si colloca in 
un ordine di interventi pubblici in favore di categorie particolarmente 
bisognose di protezione che � alternativo e sostitutivo del sistema di previdenza 
ed assicurazione sociale, e quest'ultimo � nel nostro ordinamento,. 
funzionalmente e indissolubilmente legato al mondo del lavoro, al cui 
complessivo assetto garantistico restano forzatamente estranei, per la loroincapacit� 
di svolgere attivit� lavorativa, i mutilati ed invalidi civili. 

La tesi non persuade. � agevole osservare al riguardo che la asserita 
distinzione tra assistenza pubblica.� ed assistenza obbligatoria .-almeno 
in relazione ai fini che qui interessano -non trova alcun riscontro nelle� 
espressioni usate dal legislatore. N� vi � motivo per ritenere che quando� 
l'art. 442 cod. proc. civ. parla di assistenza obbligatoria non intenda riferirsi 
proprio a quelle forme di assistenza che sono imposte per fini pubblici 
ed inderogabili, e non rimesse semplicemente all'iniziativa ed alle 
concrete scelte degli interessati. � certo che lo Stato (per l'assistenza ai 
mutilati ed invalidi civili) e lo INPS (per le pensioni sociali) sono obbligati 
ad effettuare le erogazioni pensionistiche, e che a questo obbligo. 
corrisponde un diritto soggettivo perfetto in capo agli assistiti. In questa. 
situazione, sembra veramente arbitrario negare a queste forme di assistenza 
la qualifica di obbligatorie, dato che relativamente ad esse ci� che 
importa � che il diritto all'assistenza discenda direttamente dalla legge, 
e non gi� dal compimento volontario di atti negoziali privati (come. 
avviene nei rapporti assicurativi di tipo privatistico). In questo senso, 
un'assistenza pu� essere obbligatoria sia che la legge imponga a deter-� 
minati soggetti di erogarla direttamente ad altri soggetti, sia che imponga 
di instaurare un particolare tipo di rapporto assicurativo di carattere 
pubblicistico con un determinato ente pubblico (incaricato poi di 
provvedere alla erogazione dell'assistenza), sia infine che imponga di 
stipulare un contratto di natura privatistica con una compagnia assicu-ratrice 
privata (vedi l'assicurazione obbligatoria sulla R.C. per gli auto



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

veicoli). Non � quindi per nulla vero che il termine assistenza obbligatoria 
implichi necessariamente e logicamente un inquadramento della 
fattispecie nello schema della mutualit�, attraverso l'imposizione di una 
assicurazione obbligatoria. � obbligatoria l'assistenza che non � semplicemente 
rimessa alla discrezionalit� delle volont� individuali, e che non 
si esplica quindi attraverso erogazioni spontanee, o attraverso la stipulazione 
meramente volontaria di contratti da cui discenda l'obbligo della 
corresponsione dell'assistenza. N� vale in contrario il fatto che l'art. 442 
cod. proc. civ. consideri congiuntamente all'assistenza anche la previdenza, 
poich� proprio il fatto di avere usato entrambe le espressioni, 
e non solo quella di �previdenza� rende certi che il legislatore ha avuto 
di mira la disciplina di fenomeni pi� ampi di quelli riconducibili unicamente 
allo schema previdenziale-assicurativo. 

N� pu� far dubitare della validit� della tesi fin qui adottata, il rilievo, 
contenuto nel mezzo in esame, del difetto del presupposto di ogni tipo di 
assicurazione sociale, e cio� lo stretto collegamento con un rapporto di 
lavoro subordinato. Va in proposito rilevato che come il sistema della 
previdenza ed assistenza sociale tende sempre pi� a svincolarsi dagli 
schemi assicurativi, cos� tende sempre pi� ad attenuarsi l'inerenza delle 
assicurazioni sociali con la prestazione di un lavoro subordinato. L'evoluzione, 
sempre pi� accentuata negli ultimi tempi, dimostra come ci si 
vada distaccando continuamente dagli schemi originari. Le assicurazioni 
sociali furono dapprima previste solo in relazione ai lavoratori subordinati 
dell'industria; si sono poi estese ad altre categorie di lavoratori 
autonomi la cui posizione era in qualche modo somigliante od assimilabile 
a quella dei lavoratori subordinati (i mezzadri o gli agenti di commercio); 
quindi si sono compresi nell'ambito di operativit� della previdenza 
ed assistenza anche altri lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, 
coltivatori diretti) per giungere poi sino ai liberi professionisti, 
od addirittura a soggetti del tutto estranei al compimento di una attivit� 
lavorativa vera e propria. Il passo decisivo � stato poi compiuto nel 1969, 
con l'istituzione della �pensione sociale�, la cui gestione � stata affidata 
all'INPS e cio� allo stesso Istituto incaricato della gestione ed amministrazione 
della massima parte delle altre forme di previdenza inerenti 
a prestazioni lavorative subordinate od autonome: in questo caso lo 
svincolo della prestazione assistenziale dall'effettuazione di prestazioni di 
lavoro e dall'instaurazione di posizioni assicurative � stato totale. 

� chiaro, perci�, che l'innovazione introdotta dal legislatore del 1973 
con lo svincolare la nozione di controversia � in materia di previdenza 
ed assistenza obbligatorie� dall'inerenza ad un rapporto assicurativo 
instaurato in relazione ad un rapporto di lavoro subordinato, � avvenuta 
in un contesto di profonda e radicale evoluzione che si muove, nella 
direzione indicata dagli stessi principi della Costituzione Repubblicana. 


206 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

La nozione introdotta dal testo novellato dell'art. 442 cod. proc. civ., 
perci�, ben si attaglia anche alle forme di assistenza pubblica di cui alla 
legge n. 118 del 1971 (o di cui alla legge istitutiva della �pensione sociale 
�). Infatti anche nei due casi delle pensioni per gli invalidi e delle pen


sioni sociali esiste una inerenza col lavoro, sia pure con visuale rovesciata. 
Queste pensioni sono erogate, in definitiva, proprio perch� ed in 
quanto determinati soggetti non sono in grado, per ragioni di infermit� 

o di et�, di prestare un lavoro, subordinato od autonomo, e quindi di 
conseguire un guadagno con cui possano mantenersi. L'invalido civile 
(come ben emerge dal testo della legge n. 118 del 1971) non � pensionato 
perch� invalido (e cio� quasi a compenso della sua menomazione, o delle 
sofferenze sofferte e che subisce), ma perch� inabile al lavoro, e l'entit� 
della pensione � proporzionata proprio alla percentuale di tale inabilit�. 
La tesi �fin qui sostenuta trova conforto nella decisione di questo 
Supremo Collegio n. 2002/75 (emessa a Sezioni Unite) nella quale, si � 
affermata l'attrazione della nuova disciplina processuale di cui agli arti


coli 442 e 413 cod. proc. civ. delle cause relative a �mere pensioni sociali, 
le quali prescindono dall'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato�. 
N� contrasta con la tesi sin qui affermata l'altro precedente giurisprudenziale, 
costituito dalla sentenza n. 4626/76, la cui massima ufficiale 
( � la domanda con cui viene chiesta al Ministero dell'Interno una pensione 
di invalidit� civile ai sensi delle leggi n. 118 del 1971 e n. 194 del 
1974, � intesa ad ottenere non gi� una rendita vitalizia od una indennit� 
assicurativa, bens� una prestazione di carattere alimentare, e rientra pertanto, 
in primo grado, nella competenza per valore del Pretore, ed in 
secondo grado nella competenza del Tribunale individuato secondo le 
regole del foro erariale) parrebbe a prima vista recar conforto alla tesi 
dell'Amministrazione ricorrente. Ma in realt� ove si controlli la motivazione 
della sentenza stessa, si constata agevolmente come la massima ufficiale 
non ne rispecchi affatto lo spirito. La Corte, occupandosi di una 
vicenda analoga alla presente, si � riferita alla sentenza n. 2002 del 1975, 
sopra citata, a proposito della tesi secondo la quale in linea di massima 
nulla si oppone alla ravvisabilit� di una controversia ex art. 442 cod. 
proc. civ., rimessa al Pretore a titolo di competenza funzionale; ma ha 
comunque aggiunto su 
conforme conclusione del p.m., il quale, in primo 
luogo, aveva prospettato tale competenza per materia -che in ogni caso 
.anche alla stregua del valore, la causa rientrava in primo grado nella 
competenza del Pretore. L'argomentazione relativa al criterio di competenza 
per valore � svolta quindi nella sentenza citata quasi ad abundantiam, 
senza che con ci� si sia inteso negare o contestare la competenza 
per materia dello stesso giudice. Del tutto arbitrario � volere evincere, 
quindi, da questo precedente giurisprudenziale la dimostrazione dell'esistenza 
di un contrasto di orientamenti, che � in realt� del tutto insussistente. 
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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 207 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 gennaio 1981, n. 323 -Pres. La Farina Est. 
Falcone -P. M. Morozzo della Rocca (conf.). Comune di Bagheria 
(avv. Marrone) c. Ente Acquedotti Siciliani (avv. Stato Ferri). 

Esecuzione forzata -Pignoramento presso terzi -Crediti da esattare -Ente 
acquedotti -Canoni di utenza -Indisponibilit� -Impignorabilit� Sussiste. 


I crediti dell'Ente Acquedotti relativi ai canoni di utenza, riscossi dall'esattore, 
sono impignorabili a nulla rilevando la mancanza di un atto 
amministrativo di destinazione specifica delle somme (1). 

(omissis) Con l'unico motivo, denunziando la violazione degli artt. 828 
cod. civ. e 4 del d.l. 17 aprile 1948, n. 774, il Comune ricorrente censura 
la sentenza impugnata per avere escluso, in accoglimento dell'opposizione 
all'esecuzione dell'Ente Acquedotti Siciliani (E.A.S.), la pignorabilit� delle 
somme di denaro dovute dall'Esattore ad esso debitore esecutato, sull'erroneo 
rilievo che dette somme avrebbero una specifica destinazione 
pubblicistica, a norma dell'art. 4 del d.l. 17 aprile 1948, n. 774. Deduce, 
a sostegno della censura, che trattavasi di crediti pignorabili, in quanto 
la citata norma dell'art. 4 si limita a destinare genericamente le somme 
riscosse alle esigenze dell'E.A.S. (spese generali e di manutenzione ordinaria), 
e manca un provvedimento amministrativo di destinazione a uno 
scopo specifico. 

Il ricorrente ribadisce, poi, le critiche relative ai motivi di opposizione 
all'esecuzione proposti dall'E.A.S. e dichiarati assorbiti con entrambe 
le sentenze di merito. 

(1) Esattamente la Corte ha ritenuto che i canoni di utenza riscossi dall'esattore 
in base ai ruoli a lui trasmessi dall'E.A.S. abbiano ex lege una specifica 
destinazione pubblicistica in quanto vincolati, dall'art. 4 del d.l. 17 aprile 1948, 
n. 774, a specifiche spese dell'Ente, e cio� a quelle di manutenzione ordinaria, 
di esercizio, generali e di ammortamento dei mutui contratti a norma dell'art. 3 
del decreto cit. 
La decisione si pone in linea con il costante orientamento della Cassazione 
sull'indisponibilit� e conseguente impignorabilit� dei crediti degli Enti pubblici 
relativi ad entrate che per la loro natura servano al conseguimento dei fini istituzionali 
dell'Ente, a prescindere dall'avvenuto stanziamento delle somme nel 
bilancio. Basti ricordare che in numerosi precedenti la Cassazione ha accolto 
la tesi dell'Avvocatura sull'impignorabilit� dei crediti dei canoni nei confronti 
dell'Intendenza di Finanza per le quote sostitutive dell'IGE e dei mutui loro 
concessi dalla Cassa DD.PP. Nella sentenza che qui si annota, il collegio si � 
incidentalmente posto il problema dell'improponibilit� assoluta dell'azione esecutiva 
sui crediti pignorati e del conseguente difetto di giurisdizione dell'a.g.o., 
ritenendone l'insussistenza sulla scorta del principio espresso dalle Sez. Un. 
nella sentenza del 13 luglio 1979, n. 4071. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

208 

Il ricorso non merita accoglimento. 

Sembra opportuno premettere, brevemente, che la decisione non 
involge alcuna questione di giurisdizione, poich�, in conformit� della pi� 
recente giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte (sez. un., 
13 luglio 1979, n. 4071), deve ritenersi superato l'orientamento talora 
accolto, secondo il quale l'ostacolo alla esecuzione forzata rappresentato 
dalla natura del bene appartenente alla pubblica amministrazione aggredito 
dal privato con l'espropriazione promossa in virt� di una sentenza 
di condanna della stessa al pagamento di una somma di denaro, si risolve 
in improponibilit� assoluta dell'azione esecutiva, con il conseguente 
difetto di giurisdizione del giudice ordinario (sez. un., 12 ottobre 1971, 

n. 2863; 15 settembre 1977, n. 3986). 
Questo orientamento, al quale faceva riscontro quello accolto in pi� 
numerose sentenze, le quali :hanno affrontato e risolto lo stesso problema 
in sede di ricorso ordinario sotto il profilo della violazione di legge (Cass., 
3 gennaio 1967, n. 1; 2 luglio 1969, n. 2428; 22 novembre 1966, n. 2783; 
3 giugno 1978, n. 2768; 8 marzo 1979, n. 1464; 6 novembre 1978, n. 5096), 
� stato superato con la considerazione che la p.a., -di fronte ad una sentenza 
di condanna al pagamento di una somma di denaro, si trova in una 
situazione non diversa da quella di qualsiasi soggetto condannato a pagare, 
il quale risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi 
beni presenti o futuri (garanzia comune dei suoi creditori secondo la 
espressione dell'art. 1949 cod. civ. 1865) a norma dell'art. 2740 cod. civ. 
ed � soggetto all'espropriazione forzata ove non esegua spontaneamente 
il comando contenuto nella sentenza (art. 2810 cod. civ.). E ci� perch� 
il pagamento in esecuzione della condanna � un atto dovuto, rispetto al 
quale all'amministrazione non residua alcun margine per una valutazione 
comparativa con un (non ben identificato) interesse pubblico ad esso con


trapposto. 

In questa prospettiva, che muove da principi costituzionali o generali 
dell'ordinamento, i limiti all'espropriabilit� .dei beni dello Stato o dell'ente 
pubblico danno luogo a. questione di concreta possibilit� di esperire 
utilmente l'azione esecutiva, con riferimento alla natura dei beni staggiti, 
cio� a questione di pignorabilit� degli stessi deducibile in sede di opposizione 
all'esecuzione, ma non a questione di giurisdizione. 

Nella specie, trattandosi di crediti dell'Ente acquedotti siciliani riguardanti 
somme riscosse dall'esattore, a norma dell'art. 27 del r.d. 23 febbraio 
1942, n. 369, in base a ruoli nominativi, per canoni dovuti ad esso 
ente per utenze d'acqua, esattamente � stata riconosciuta la impignorabilit� 
di essi per effetto della specifica destinazione del relativo gettito 
alle spese di manutenzione ordinaria, di esercizio e di ammortamento 
dei mutui ed a quelle generali di esso ente, stabilita dalla norma dell'arti


colo 4 del d.lgs. 17 aprile 1948, n. 774. 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 209 

Il Comune ricorrente non contesta il principio, affermato dai giudici 
del merito, secondo cui anche i crediti dell'ente pubblico non derivanti 
<la un rapporto di diritto pubblico possono essere sottratti all'espropriazione 
forzata per un vincolo legislativo che sancisca la destinazione delle 
-corrispondenti entrate all'espletamento di un pubblico servizio, ma nega 
�che nella specie, in mancanza di un apposito provvedimento amministrativo, 
ricorra quel vincolo di specifica destinazione dal quale soltanto consegue 
l'opposta impignorabilit� del credito staggito. 

Ora, per quanto riguarda l'assoggettabilit� ad esecuzione forzata dei 
-crediti della p.a., la giurisprudenza di questa Corte ha avuto occasione 
�di occuparsi del problema a proposito di quelli nascenti dall'esercizio di 
pubbliche potest�, cio� dei cosiddetti crediti pubblicistici o di diritto pubblico, 
come quelli derivanti da rapporti tributari (imposte, tasse e contributi), 
e, nel riconoscere che essi restano sottratti all'esecuzione coatta 
dei debitori dell'ente, perch� vincolati al raggiungimento delle pubbliche 
finalit� costituenti il presupposto e la ragione d'essere del potere in forza 
del quale sono imposti e riscossi (sez. un., n. 2863/71 cit.), ed in quanto 
sino alla completa loro realizzazione continua l'esplicazione della funzione 
pubblica e l'esercizio del potere ad essa inerenti (sez. un., n. 2428/69 
dt.), ha talvolta affermato, in contrapposizione, ma come obiter dictum, 
che per i crediti traenti origine dai rapporti di diritto privato l'azione 
esecutiva � sempre ammissibile (v. sez. un., n. 2863/71 cit.), tranne che 
i proventi non assumano carattere di indisponibilit� in virt� di un provvedimento 
amministrativo che li destini al soddisfacimento di una finalit� 
pubblica (sez. un., n. 3986/77 cit.). 

Orbene, con riferimento ai crediti che qui interessano, relati\ti ad 
entrate pubbliche di diritto privato -in quanto aventi origine dalla 
riscossione dei canoni che rappresentano il corrispettivo della fornitura 
di acqua, pur se la regolamentazione della riscossione � retta da norme 
pubblicistiche -mentre non pu� ess�re negata, in via di principio, la 
possibilit� che, come si dir�, vengano sottratti all'espropriazione, non 
sembra tuttavia che questo risultato possa essere conseguito per mezzo 
di un provvedimento di destinazione, come il ricorrente ritiene sarebbe 
stato necessario. 

Al riguardo � stato esattamente rilevato in dottrina che nel nostro 

sistema positivo vige il.Principio che tutte le entrate, di qualsiasi natura, 

sono destinate a confondersi nel patrimonio finanziario dell'ente per 

essere, poi, devolute secondo gli stanziamenti predisposti, e che manca, 

in conseguenza, la possibilit� che un determinato credito venga destinato, 

come provvedimento dell'ente, ad uno scopo specifico tale da sottrarlo 

all'espropriazione. N� una specifica destinazione che valga ad attribuire 

il carattere di indisponibilit� pu� derivare dall'iscrizione del provento 

di natura privatistica nel bilancio dell'ente pubblico come destinato alla 

realizzazione di una finalit� pubblica (secondo quanto altra volta rite


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210 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

nuto: Cass., 3 gennaio 1977, n. 1; 20 marzo 1952, n. 755, in Foro it., 52, I, 
707) poich�, come ha avuto modo di precisare questa Corte con il pi� 
recente orientamento gi� ricordato e meritevole di essere condiviso anche 
su tale questione, il bilancio non consente in alcun modo di collegare 
singole entrate a singole uscite e, pertanto, non pu� essere considerato 
come fonte di un vincolo di destinazione in senso tecnico di particolari 
somme, tale da sottrarle all'azione espropriativa dei creditori dell'ente 
pubblico (sez. un., n. 4071 del 1979 cit.). 

Tutto ci� non esclude, peraltro, che il regime di indisponibilit� e, 
quindi, di impignorabilit� di un credito non possa essere stabilito direttamente 
dalla legge, con la destinazione di esso alla soddisfazione di una 
specifica esigenza correlata all'espletamento di un pubblico servizio. 

Trattasi, tuttavia, di una destinazione che non consente di comprendere 
il credito stesso tra i beni patrimoniali indisponibili (artt. 828, 826 
cod. civ.), al cui regime, connesso alla loro natura ed alla loro idoneit� 
alla immediata soddisfazione di specifici bisogni considerati di importanza 
sociale, esso non pu� essere sottoposto, ma che si sostanzia in un 
vincolo legale che ne fissa la destinazione per assicurare i mezzi necessari 
all'espletamento di un servizio pubblico e quindi per garantire il funzionamento 
di esso-e ne vieta la utilizzabilit� per qualsiasi altro scopo, 
sia pure rientrante nei fini istituzionali dell'ente. 

Nella specie, non pu� dubitarsi che ai canoni di utenza di acqua 
riscossi dall'esattore sulla base di ruoli trasmessigli dall'Ente acquedotti 
siciliani sia imposto-per legge un vincolo d'indisponibilit� che li rende 
impignorabili, in quanto essi individuati e separati dal complesso delle 
entrate dell'ente, sono specificamente destinati al soddisfacimento delle 
esigenze connesse al raggiungimento di alcuni soltanto degli scopi dell'ente 
medesimo, e precisamente di quelli che potrebbero qualificarsi 
primari. 

L'Ente acquedotti siciliani � stato, invero, istituito per provvedere in 
Sicilia ad un complesso coordinato di compiti consistenti nella costruzione 
di acquedotti in servizio di centri abitati; nel completamento di 
quelli in corso di costruzione a cura dello Stato, dei Comuni o dei consorzi; 
nella sistemazione di quelli esistenti; nell'esecuzione delle altre 
opere igieniche riconosciute indispensabili in connessione con la costruzione 
e l'esercizio degli acquedotti; nella manutenzione e nell'esercizio 
degli acquedotti ed opere connesse (art. 1 legge 19 gennaio 1942, n. 24) 
e, per il raggiungimento di tali scopi, � stato dotato di entrate costituite 
dalle somme ad esso assegnate, dalle entrate dei mutui di favore che 
esso � autorizzato a contrarre (artt. 1, 2, 3 d.lgs. 17 aprile 1948, n. 774), 
dal gettito dei canoni di utenza riscossi (art. 4 d.lgs. cit.), da eventuali 
contributi ricevuti (v. legge 10 agosto 1969, n. 617). 

In conclusione, poich� per assicurare il conseguimento degli scopi 
primari della manutenzione ordinaria, dell'esercizio degli impianti e del 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

mantenimento delle strutture organizzative dell'ente la legge individua tra 
le altre, per destinarle specificamente a tale scopo, le entrate costituite� 
dal gettito dei canoni di utenza, le stesse danno luogo a crediti, nei confronti 
dell'esattore incaricato della riscossione in base a ruoli nominativi 

(r.d. 23 febbraio 1942, n. 369), che non sono disponibili da parte dell'ente� 
se non per il raggiungimento di quelle determinate specifiche finalit� del 
pubblico servizio da esso gestito e risultano come tali impignorabili. 
Il vincolo legale di destinazione S!Jecifica �, pertanto, direttamente� 
costitutivo della indisponibilit� e, quindi, della impignorabilit� del credito 
di cui si discute. (omissis) 


SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

-CONSIGLIO DI STATO, Ad. PI., 7 aprile 1981, n. 2 -Pres. Pescatore, Est. 
Rosini -I.N.P.S. (avv. Guarino) c. !ovine ed altri (avv. Sorrentino) Appello 
avverso decisione T.A.R. Lazio III Sez. 11 giugno 1979, n. 481. 

lmpiego pubblico -Retribuzioni -Lavoro straovdinario -Dlpendenti 

l.N.P.S. -Criteri di liquidazione -Decorrenza -Fattispecie. 
Impiego pubblico -Competenza e giurisdizione -Retribuzioni -Interessi Corrispettivi 
e moratori -Giurisdizione amministrativa -Sussiste. 

Contabilit� pubblica -Crediti nei confronti dello Stato -Interessi -&-esupposti 
-Limiti -Impiego e ovdinazione di spesa -Irrilevanza -Effetti Estensione. 


Contabilit� pubblica -Crediti nei confronti dello Stato -Interessi -Decorrenza. 


Posto che, in difetto di espressa, diversa normativa specifica, il lavoro 
.straordinario deve essere compensato sulla base delle stesse tabelle retributive 
che costituiscono il presupposto dei criteri di retribuzione del lavoro 
ordinario, la misura del compenso di lavoro straordinario nel primo 
.semestre dell'anno 1976 per i dipendenti I.N.P.S. va determinata in base 
agli stipendi iniziali introdotti con la tab. all. 2 al d.P.R. n. 411 del 26 maggio 
1976, con decorrenza dal 30 dicembre 1975, in applicazione di quanto 
.disposto dall'art. 37 del citato d.P.R. 

La questione concernente la liquidazione di interessi legali su retribuzioni 
dovute a dipendenti pubblici a seguito del giudizio di legittimit� di 
un atto o comportamento della p.a., nell'ambito di un rapporto di pubblico 
impiego, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, posto che 
.essa non prospetta questioni conseguenziali n� in ordine al danno dell'impiegato 
n� in ordine all'accertamento della colpa dell'Amministrazione, 
questioni queste che costituirebbero elementi ulteriori e indipendenti 
.rispetto al giudizio stesso (1). 

~1-3) La decisione sd! distacca daihla precedente giurisprudenza consolidata 
nel senso che anche le controversie relative agli interessi moratori, involgendo 
�questJicmi concernenti i diratti patrimonfaili conseguen2iiiaili, dovevano rientrare 

neillla giul11sdizione deilil'a.g.o. 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 213 

Il principio secondo cui la produttivit� di interessi, dei crediti vantati 
nei confronti dello Stato, ai sensi dell'art. 1282 cod. civ. prescinde dall'impegno 
e dalla ordinazione della spesa, e dalla assenza di contestazioni 
sull'an e sul quantum, non trova applicazione solo per gli interessi che 
maturano dalla scadenza del credito principale ma anche in tutti i casi 
in cui la p.a., non essendo tenuta a pagare entro un termine stabilito dalla 
legge (nel qual caso la decorrenza degli interessi andr� riferita alla scadenza 
del termine), � obbligata alla corresponsione degli interessi soltanto dalla 
domanda (2). 

Ove non risulti espressamente previsto per legge il termine entro il 
quale la p.a. deve provvedere al pagamento dei propri debiti e si tratti di 
obbligazioni senza termini di scadenza, la decorrenza degli interessi legali 
va fatta risalire alla data della domanda (3). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 10 marzo 1981, n. 244 -Pres. Santaniello Est. 
Riccio -Pontificio Istituto Missioni estere (avv. Boitani e Delli 
Santi) c. Comune di Roma (avv. Rago), Giovanardi (avv. Porzio e 
Giannini), Giberri ed altri (avv. Lavitola) e Regione Lazio ed altro 
(n.c.) -Appello avverso T.A.R. Lazio, II Sez., 20 novembre 1974, n. 53. 

Giustizia amministrativa -Impugnazione � Proposizione dell'appello � Rinuncia 
all'azione e agM effetti della sentenza di 1� grado da parte 
dell'appellato -Effetti sul giudizio di appello non ancora definito. 

_Ricorsi amministrativi � Ricorso straordinario � Rapporti con il ricorso 
giurisdizionale � Rinuncia agli effetti della decisione � Effetti sul ri� 
corso giurisdizionale proposto da un terzo avverso la decisione pronunciata 
sul ricorso straordinario. 

Ricorsi amministrativi � Ricorso straordinario � Provvedimento decisorio Art. 
15 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 � App.licabilit� -Effetti J 
Impugnabilit� solo per revocazione � Effetti � Inammissibilit� di una 
impugnazione proposta per motivi di merito gi� valutati in sede di 
ricor>io straordinario � Sussiste. 

Qualora risulti presentata, da parte dell'appellato in sede di giudizio 
di impugnazione innanzi al Consiglio di Stato, proposto dal terza soccombente 
in primo grado, rinuncia formale all'azione e agli effetti della sentenza 
.impugnata e semprech� detta rinuncia intervenga prima della definizione 
,del giudizio di appello, trattandosi di causa estintiva del giudizio il Consiglio 
di Stato dovr� limitarsi ad annullare senza rinvio la decisione di primo 
grado, ci� in applicazione di quanto espressamente disposto dal primo 
.comma dell'art. 34 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (1). 

(1-3) Le decisione pone 1n \Luce, fra ]'al1tro, roome fa nuova normativa, intro<
lotta con la legge 6 dicembre 1971, n. 1034, non abbia affatto modificato istituti 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

214 

Ove il ricorrente in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato 
abbia presentato formale rinuncia agli effetti della decisione resa sul 
ricorso, nessun effetto estintivo potr� svolgere detta rinuncia con riferimento 
ad un ricorso in sede giurisdizionale amministrativa, proposto da 
un terzo contro il provvedimento decisorio del ricorso straordinario,. 
trattandosi di un provvedimento amministrativo e non giurisdizionale, con 
conseguente inidoneit� della rinuncia agli effetti del medesimo, presentata 
dal soggetto diverso dal ricorrente in sede giurisdizionale, a configurare 
una ipotesi di annullamento senza rinvio, prevista solo per le decisioni 
giurisdizionali emesse in primo grado (2). 

Poich� l'art. 15 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, dispone che i provvedimenti 
decisori di ricorso straordinario al Capo dello Stato possono 
essere impugnati solo per revocazione e fermo altres� che, per consolidata 
giurisprudenza del Consiglio di Stato, il provvedimento decisorio di un 
ricorso straordinario pu� essere impugnato, oltre che per revocazione, solo 
per vizi di procedura, va pronunciata la inammissibilit� del ricorso, proposto 
in sede giurisdizionale amministrativa avverso una decisione su ricorso 
straordinario, nel quale il ricorrente si sia limitato a formulare censure 
attinenti al solo merito della vertenza, censure che, come tali1 hanno 
gi� formato oggetto di valutazione in sede di ricorso straordinario (3). 

crune [a rinunziia, �l'acquiescenza e Ja perenzione, istituti intimamente connessi 
con il principio dell'impulso di parte, che rientrano senz'altro nella categoria 
delle cause estintive o impeditive del giudizio, che dimostrano, in particolare, il 
venir meno tdeihli'interesse ai! �ricorso e �Che conducono conseguentemente ali1a 
es1JiruJione del giudizio (clr. in termini Sez. IV, 21 ottobre 1980, n. 965, in Il 
Consiglio di Stato, 1980, I, 1925). 

Per quanrto concerne i 1lilruiti di impu~Illaibil!it� delJ.e dedsioni 1sui dcorsi straordinam 
cfr. OSi, 118 maggio �1972, n. 358, ivi, !1972, I, 1244; Sez. VI, 6 dicembre 1974, 

n. 409, ivi, 1974, I, 1698; Par. Ili Sez., 29 ottobre 1975, n. 840/75, ivi, 197'8, I, 1'580. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 10 marzo 1981, n. 245 -Pres. Chieppa Est. 
Lignani -Ministero grazia e giustizia (avv. Stato Ferri) c. Romano 
(avv. Caminiti), Claudiani (avv. Castellani), Cangianiello (avv. Improta) 
e Di Toro e altri (avv. Brusca) -Appello avverso T.A.R. Lazio, Sez. I, 
19 dicembre 1979, n. 1062 e altre. 

Competenza civile -Rapporti di �pubblico impiego -Diniego di benefici 
combattentistici -Controversie -Giurisdizione del T.A.R. e del Consiglio 
di Stato -Sussiste. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 215 

Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Pubblico impiego -
Controinteressati -Uffiiciali giudiziari -Riconoscimento di benefici 
combattentistici -Cassa pensioni ufficiali giudiziari -Posizione processuale 
di controinteressata -Non sussiste. 

Impiego pubblico -Ufficiali giudiziari -Stato giuridico di impiegato dello 
Stato -Applicabilit� -Sussiste -Effetti ai fini del riconoscimento dei 
benefici combattentistici. 

Considerato che le controversie relative alla legittimit� dei provvedimenti 
di diniego dei benefici combattentistici concernono pur sempre 
.questioni relative al riconoscimento di particolari benefici connessi al 
rapporto di pubblico impiego e conseguenziali alla sua cessazione, le stesse 
-vanno devolute alla giurisdizione amministrativa generale dei T.A.R. e del 
Consiglio di Stato, non gi� a quella della Corte dei conti, giudice delle 
,controversie in materia di pensione (1). 

Nei giudizi amministrativi in cui si verte del riconoscimento agli 
.ufficiali giudiziari dei benefici combattentistici di cui alla legge 336/1970 la 
Cassa pensioni degli Ufficiali Giudiziari non riveste� 1a posizione di controinteressata, 
trattandosi di controversie che solo in forma riflessa e indiretta 
.hanno effetti pensionistici e nelle quali, inoltre, i soggetti ricorrenti non 

fanno valere alcuna diretta pretesa nei confronti della Cassa stessa. 

In considerazione dello status giuridico rivestito dagli ufficiali giudi.
ziari, i quali, pur con ordinamento particolare, hanno tutte le caratteristiche 
dell'impiegato dello Stato, agli stessi andranno riconosciuti i benefici 
combattentistici previsti dalla legge 24 maggio 1970, n. 336, a favore dei 
.dipendenti pubblici (2). 

(1.,2) Decisione che costituisce una uJ:teriore conferma delle caratte:niistiche 

-dello status degli ufficiali giudiziari, qualificato dai seguenti elementi che ne 
comprovano la natura di impiegati pubblici: 1) l'utente del servizio si rivolge 
.aili1'ufficio iimpersonailmente considerato, non al singolo funzionario; 2) mciascU!lla 
sede si ha un solo ufficio notifiche ed esecuzioni, ed � quindi esclusa la possibi�ldlt� 
delila esistenza di pi� uffici in regime da concorrenza nel!la stessa sede; 
3) non � prevista, per il servizio reso, la corresponsione all'ufficiale giudiziario di 
un corris,'Pett�:vio ai1 medesimo direttamente des,tinato, ma di una vera e propria 
tassa :iin senso tecndico di cui � creditore l'erario e di cui 1Fufficiale g.iudiziainio 
� semplice depositario; l'eventuale richiesta o accettazione di compensi da parte 
dello stesso ufficiale giudiziario -precisa giustamente la motivazione della 
decisione all'esame -configurerebbe automaticamente il reato di concussione o 

di corruzione impropria. Cfr. in termini, per la estensione anche agli ufficiali 
giudiziari dei benefici combattentistici, da ultimo Sez. IV, 1� luglio 1980, n. 728, 
in Il Consiglio di Stato, 1980 I, 914. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 17 marzo 1981, n. 252 -Pres. Chieppa -Est. 
Grassi -Ministero lavori pubblici ed altro (avv. Stato Siconolfi} 

c. Impresa Vittorini (avv. Viola) ed altro (n.c.) -Appello avverso T.A.R. 
Abruzza, L'Aquila, 27 giugno 1979, n. 304. 
Contabilit� pubblica -Contratti -Interpretazione -Criteri -Intenzione 
comune dei contraenti -Art. 1362 cod. civ. -Applicabilit� -Sussiste. 

L'interpretazione dei contratti della pubblica amministrazione va condotta 
secqndo i criteri fissati dall'art. 1362 del codice civile e cio� accertando 
quale sia stata la comune intenzione delle parti, senza limitarsi al 
senso letterale delle parole usate, ma estendendo l'indagine anche al 
significato intrinseco delle parole stesse (1). 

(11) .Cfr. mtermdni Sez. III, P.ar. 24 gennaio 1968, �n. 36, illl Il Consiglio di Stato, 
1%9, I, 471. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 24 marzo 1981, n. 279 -Pres. Santaniello Est. 
Trotta -Istituto Luso Farmaco d'Italia ed altri (avv. Sandulli e 
Lubrano) c. Ministero sanit� (avv. Stato Mataloni) -Appello avverso 
decisione T.A.R. Lazio, I. sez., 15 novembre 1978, n.... 

Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Provvedimenti impugnabili 
-Atti regolamentari -Criterio -Attualit� della lesione dell'inter:
esse dedotto in giudizio -Necessit� dell'accertamento in concreto 
della lesione -Sussiste. 

Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Provvedimenti im-� 
pugnabili -Atti regolamentari -Regolamenti del Ministero della Sanit� 
-Prodotti farmaceutici di nuova istituzione -Regolamento che 
disciplina l'esecuzione degli accertamenti della composizione e innocuit� 
dei prodotti -Lesione immediata -Non sussiste -Effetti -Im'
pugnazione autonoma -Preclusione. 

Ai fini della impugnabilit� degli atti regolamentari va accertata inconcreto 
la sussistenza dei requisiti della attualit� della lesione dell'interesse 
dedotto in giudizio, attualit� della lesione non ipotetica o eventuale, 
ma riferita direttamente all'entit� e alle modalit� dell'incidenza effettuale 
(1). 

('1-2) DeciJSione ,pienamente da condrividere, che costitulisce puntuale appilii.ca-� 
zione dei principi consofilda!Ui in tema di impugnazione deg!H atti regolamentarL 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 217 

Il regolamento emanato dal Ministero della Sanit� ai fini di disciplinare 
l'esecuzione, da parte dell'Istituto Superiore di Sanit�, degli, accertamenti 
relativi alla composizione e innocuit� dei prodotti farmaceutici di 
nuova istituzione prima della sperimentazione clinica sull'uomo, non fissa 
norme dirette ad incidere in forma immediata e concreta nella sfera giuridica 
delle ditte produttrici di specialit� farmaceutiche, ma contiene solo 
una enunciazione di carattere definitorio delle ipotesi in cui l'Istituto � 
chiamato ad esercitare le sue attribuzioni in tema di siffatti accertamenti; 
e poich� la pretesa lesione della sfera giuridica delle ditte farmaceutiche 
riveste un carattere generico, ipotetico ed eventuale, ed inoltre poich� non 
pu� essere ritenuto idoneo ad assurgere ad interesse autonomamente protetto 
dall'ordinamento l'obiettivo perseguito da tali ditte di circoscrivere e� 
ridurre il campo di intervento dell'Istituto Superiore di Sanit�, resta preclusa 
la possibilit� della impugnazione autonoma del regolamento prima 
della adozione in concreto nei confronti di tali soggetti di eventuali atti 
applicativi del regolamento stesso da parte dell'Amministrazione (2). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 28 aprile 1981, n. 376 -Pres. Imperatrice Est. 
Gnoli -Corbino (avv. Lubrano e Russo) c. Ministero Difesa (n.c.) Appello 
avverso T.A.R. Lazio Sez. I, 21 settembre 1977, n. 821. 

Impiego pubblico -Procedimento disciplinare -Perenzione � Atti interrut�� 
tivi � Natura � Effetti. 

Impiego pubblico � Procedimento disciplinare � Contestazione degli addebiti 
� Inizio della procedura � Perentoriet� dei tennirni � Criteri -Limiti � 
Irrilevanza del ritardo dalla data del fatto. 

La normativa contenuta nell'art. 120 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3,. 
attribuisce efficacia preclusiva della estinzione del procedimento disciplinare 
al compimento di uno degli atti espressamente contemplati dalla 
legge, essendo irrilevante a tale fine il carattere interno o meno dell'atto 
(1). 

Del tutto legittimamente la pubblica amministrazione pu� aprire un 
procedimento disciplinare a carico di un proprio dipendente anche se sia 
decorso molto tempo dalla data in cui i fatti addebitati risultano commessi, 
essendo sufficiente che il procedimento disciplinare, in conformit� a quanto 
disposto dall'art. 97 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, sia iniziato entro ir 
termine di 180 giorni dalla sentenza penale che ha accertato l'esistenza de[ 
fatto illecito (2). 

(l-2) Decisione esatta e pienamente da condividere. Cfr. in termini Sez. IV,.. 
20 apr1le 1971, n. 453, in Il Consiglio di Stato, 1971, I, 728. 



218 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 7 aprile 1981, n. 140 -Pres. Daniele -Est. 
Trotta -Ministero beni culturali ed altro (avv. Stato Braguglia) 

c. Comune di S. Felice Circeo (avv. Cervati) -Appello avverso decisione 
T.A.R. Lazio, Sez. Il, 21 maggio 1980, n. 350. 
:Demanio -,Demanio storico artistico -Tutela dei beni culturali -Attribuzione 
esclusiva -Soprintendente -Ambito dei destinatari -Pubbliche 
amministrazioni -Estensione � Sussiste. 

�Giustizia amministrativa � Ricorso giurisdizionale � Atto impugnabile . 
Atto di mera comunicazione � Impugnabilit� 'autonoma . Preclusione. 

'Giustizia amministrativa � Ricorso giurisdizionale . Poteri del giudice � 
storico-artistico � Accertamento � Criteri � Competenza del Soprlintendente 
� Estensione � Limiti � Conseguenze. 

Giustizia amministrativa � Ricorso giurisdizionale � Poteri del giudice � 
Limiti � Incompetenza dell'Autorit� emanante � Effetti dell'annullamento 
� Indagine sugli altrli motivi � Esclusione � Necessit�. 

Rientra nella diretta competenza funzionale del Soprintendente ai 

.monumenti l'esercizio del potere cautelare previsto dall'art. 6 della legge 
1� giugno 1939 n. 1089; detto potere cautelare va esercitato indistintamente 
-nei confronti dei proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei 
beni culturali, ivi comprese le pubbliche amministrazioni che risultino 
.avere in uso o in consegna le cose mobili o immobili (anche di propriet� 
statale) che posseggono i requisiti richiesti dalla legge per essere sottoposte 

.alla particolare disciplina dei beni storico-artistici (1). 

La mera comunicazione illustrativa di un provvedimento gi� adottato 
non riveste la natura di atto provvedimentale e, come tale, non pu� formare 
.oggetto di impugnativa autonoma in sede giurisdizionale amministrativa (2). 
Spetta al Soprintendente ai monumenti, all'atto della emanazione dei 
_provvedimenti di sua competenza, procedere all'accertamento della esistenza 

~1-4) Deoi1sione cli indubbio interesse, che conferma, fra :l'ahro, la assOl1uta 
kri!levanza, rispetto '~'potere cautela'I'e spettante ail Soprintendente \per i beni 

:storico-artistici a norma deLL'art. 6 ~egge 11089/1939, dehlra natura giuridica del 
bene il quale -indipendentemente dal regime di appartenenza che lo carattemzza 
-vmene sottoposto dalla J;egge a ,tutela diretta e immediata �con esdusd;yo 
riiferimeillto ai1 peet.iliare interesse artistico, storico e cu1tur;aile che presenta�; ci� 
i111 reLazione OO!a specifica .ratio del potere di sospensione, che 'si identifica nella 
esigenza di gam111rmre il!a conservazione, mtegrit� e sicurezza de.ile cose, tdp:�ICa 
�espressdcme del principio di autotutela amministrativa che deve potersi affermare 
~ndipendentemente dai] regime che discipJina ~ beni dli :r>ropri<et� del!JJ.o Stato, e 
ci� sulla esatta considerazione che la specialit� di tale regime da sola non � 
idonea a salvaguardare il profilo artistico e storico che caratterizza detti beni. 

Quanto, mveoe, aili profilo ricogni1livo de1l'i111teres1se suili piano dela1a afferma... 
~zione del v:ailore monumentale di un bene in via generale, l'atto diretto ad accer



PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 219 

dell'interesse storico-artistico dei beni automaticamente soggetti, ai sensi 
dell'art. 4 della legge 1� giugno 1939 n. 1089, alla speciale disciplina di 
tutela in quanto appartenenti ad enti pubblici; quando inwce il provvedimento 
ricognitivo dell'interesse storico-artistico riveste carattere autonomo 
ed � volto a sancire il valore monumentale o artistico del bene in via 
generale, indipendentemente dalla esigenza in concreto di provvedimenti 
cautelari o autorizzatori, la competenza all'emanazione del medesimo � 
del Ministro per i beni culturali i:: ambientali, non gi� del Soprintendente, 
con conseguente esigenza di impugnativa autonoma nei termini di decadenza 
stabiliti dalla legge qualora se ne assuma la illegittimit� e si voglia 
conseguentemente eliminarne gli effetti (3). 

Una volta che sia stato ritenuto fondato il motivo della incompetenza 
dell'Autorit� che ha emanato il provvedimento impugnato in sede giurisdizionale, 
il giudice amministrativo non deve procedere all'esame degli altri 
motivi di gravame essendo divenuta irrilevante ogni questione relativa alle 
determinazioni contenute nel provvedimento annullato (4). 

tare siffatta natura si risolve in un atto provvediiimentlai1e, avvel1So dt1 quale pu� 
essere proposta impugnativa, nei ['imd,tl di decadem;a stabmti dahla legge, e che, 
conseguentemente e come tale, non pu� che rientrare nella competenza esclusiva 
del Min:iJStro per :i beni cU!LturailJi e ambientali, non gi� dei suoi organi perifel'ici 
(Soprintendenza): ci� in rela2!ione .aJlla implicita abroga7lione intervenuta, per 
effetto dehl'entrata in v�igore dehla fogge �1089/19~, relativamente agli artt. 53 e 54 
dcl regolamento 30 gennaio 1913, n. 363, .per ila parte �!ll cui si tprevedeva che re 
notificazioni di importante interesse storico, artistico o archeologico potessero 
essere promosse sia dal Ministro che dai Soprintendenti o da chi legalmente ne 
faceva Je veci (cfr. in particolare secondo comma art. 53). 

R. TAMIOZZO 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 24 aprile 1981, n. 151 -Pres. Daniele Est. 
Frascione -Parrella (avv. Violante) c. Ministero pubblica istruzione 
(avv. Stato Vitucci) -Appello avverso decisione T.A.R. Campania 
5 aprile 1978, n. 332. 

Demanio -Demanio storico-artistico -Vincolo di bene culturale -Vincol�' 
indiretto -Trascrizione -Necessit� -Omissione -Effetti. 

Demanio -Demanio storico-artistico -Vincolo di beni culturali -Viincolo 
indiretto -Trascrizione -Necessit� -Nota di trascrizione -Formalit� Esigenza 
di osservare le prescrizioni fissate dall'art. 2665 cod. civ. Violazione 
-Conseguenze. 

I vincoli indiretti di tutela dei beni culturali, previsti dall'art. 21 
.della legge 1� giugno 1939, n. 1089, debbono essere trascritti: tale obbligo 
costituisce condizione di operativit� del vincolo e pertanto, ove risulti la 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

220 

mancanza o la omissione della trascrizione, il vincolo stesso non � operativo 
(1). 

Poich� la legge 1� giugno 1939, n. 1089, all'art. 21 estende al settore dei 
vincoli indiretti di tutela monumentale l'istituto della trascrizione quale � 
previsto nell'ordinamento civilistico, va ritenuta la nullit� della nota di 
trascrizione eseguita in violazione di quanto disposto dall'art. 2665 cod. civ., 
e pi� precisamente qualora risulti mancante l'indicazione della paternit�, <> 
della data di nascita, e conseguentemente insorga incertezza assoluta circa 
la persona o le persone alle quali la trascrizione dovrebbe essere riferita (2). 

(1-2) Sulrla probliemart:ica relativa ai cmteri I�IIlterpretativi del valore della 
trascrizione ,ari fini di una va1rida costituzione del vincolo d� tuteilia indiretta, 
of<r. Ad. ~K 9 Juglio ,t,968, n. 21, ,fui Il Consiglio di Stato, 1968, I, 11.149; Sez. VI, 
10 novembre 1964, n. 801, ivi, 1964, I, 2048; Sez. VI, 9 maggio 1956, n. 299; ivi, 1956, 
I, 750; Sez. VI, 10 ottobre 1956, n. 619, ivi, 1956, I, 1250; Sez. VI, 20 maggio 11977, 

n. 438, ivi, 11977 I, 864. 
In reil�azione ail:l'ambifto di apipLicab:iiliirt:� dehl'art 2665 cod. civ., giover� ricordare 
che lia trascrizione � affetta da nuililrit� ognriqualvolitiai ilia omissione o la inesistenza 
di ,alcune dclle indicazioni previste dagli artt. 2659 e 2660 cod. civ. comporti 
moertezza suilile persone, sul bene e ,sul rapporto giuridico cui l'atto si riferisce. 

Sugli effetti della mancata indicazione della data e luogo di nascita, omissioni' 
che producono incertezza assoluta drca ila persona curi ~a trascrizione si riferisce 
e ffia conseguente nuhlri1:� dehla trascrizione stessa ofr. Oa,ss., 21 maggio 1979, 

n. 2902, in Foro It. Repertorio, 11979, 2591, voce � T<raiscrizione �, n. 22. 
Nel caso di 1:;:pecie, :H Consii~io di Start:o, '8JCCertato che ila trascrizione del 
vmcooo ex art. 21 Jegge ,1089/1939 era 'stata a suo tempo richiesta contro un. 
soggetto indicato soJo con iil nome e cognome, ha ann~art:o il provvedimento� 
impugnato non per difetto di motil\Tazione ma -ed esa,ttamente -per difetto� 
<lei presuppostri legali. 

R. TAMIOZZC> 

SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 maggio 1980, n. 3122 -Pres. Sposato Est. 
Battimelli -P. M. Valente (conf.) -Zarcone c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Pierantozzi). 

Tributi in genere -Accertamento tributario � Rapporto giuridico di imposta 
� Disponibilita da parte del soggetto passivo � Ammissibilit� � 
Omessa eccezione di verificata decadenza -Rilevabilit� di ufficio Esclusione. 
(cod. civ., artt. 2968, 2969). 

Tributi in genere � Contenzioso tributario � Poteri del giudice � Rilevabilit� 
di ufficio � Decadenza concernente gli atti del processo � Sussiste Decadenza 
concernente atti estranei al processo -Non sussiste. 

L'obbligazione tributaria, di natura pubblicistica, � indisponibile nel 
senso che la pubblica amministrazione non 19u� disporre del potere-dovere 
di imposizione ed � tenuta ad applicare sempre le imposte nella misura 
prevista dalla legge, ma ci� non esclude che il soggetto privato possa 
rinunciare ad esperire tutti i rimedi contro l'esercizio del potere di imposizione 
e possa non eccepire l'avverata decadenza dalla potest� di accertamento 
e di riscossione; il giudice di conseguenza non pu� rilevare di 
ufficio la decadenza non eccepita a norma dell'art. 2969 cod. civ. (1). 

Il giudice pu� rilevare di ufficio la decadenza relativa all'azione innanzi 
ad esso proposta, ma non la decadenza relativa agli atti estranei al processo 
o che costituiscono oggetto della decisione di merito; non pu� di 
conseguenza il giudice rilevare di ufficio la decadenza dal potere di iscrizione 
dell'imposta a ruolo (2). 

(omissis) La censura sollevata contro la riconosciuta inammissibilit� 
dell'eccezione di decadenza dell'amministrazione per tardiva iscrizione 
a ruolo non merita accoglimento. 

(1-2) Decisione esattissima di evidente interesse. La disponibilit� dell'obbligazione 
da parte del soggetto passivo � rilevante anche per la determinazione 
degli effetti di quegli atti precipuamente dispositivi, come la dichiarazione, che 
non possono essere considerati inconciliabili con la natura legale dell'obbligazione 
(per una affermazione in tal senso v. Cass., 24 aprile 1979, n. 2318, in questa 
Rassegna, 1980, I, 361 con nota critica di C. BAFILE). Di rilievo anche la seconda 
massima che stabilisce il limite della rilevabilit� di ufficio delle decadenze facendo 
ricorso alla distinzione tra errores in precedendo, in senso stretto, e legittimit� 
degli atti preprocessuali che d� luogo ad una questione di merito. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Esattamente, infatti, la Corte di merito ha escluso la rilevabilit� 
d'ufficio di detta eccezione ai sensi dell'art. 2969 cod. civ., n� gli argomenti 
addotti a sostegno del ricorso possono scalfire l'esattezza di tale 
decisione. Per l'art. 2968 cod. civ., invero, le parti non possono modificare 
la disciplina legale della decadenza n� rinunziare ad essa se la decadenza 
� stabilita in materia sottratta alla disponibilit� delle parti; l'art. 2969, 
in applicazione di detto principio generale, stabilisce che il giudice pu�, 
in materia sottratta alla disponibilit� delle parti, rilevare d'ufficio le cause 
di improponibilit� dell'azione. 

E' evidente come detta normativa non riguardi il caso di specie, per 
un duplice ordine di considerazioni. Anzitutto, seppure la materia tributaria 
attiene ad obbligazioni nascenti ex lege e di contenuto pubblicistico, 
ci� non significa che tutta la relativa disciplina, ivi compresa quella dei 
rimedi giurisdizionali contro l'esercizio del potere di imposizione, sia 
sottratta alla disponibilit� delle parti. Mentre la pubblica amministrazione, 
infatti, non pu� disporre del potere-dovere di imposizione, ed � tenuta 
ad applicare sempre in ogni caso le imposte, nella misura prevista dalla 
legge, il privato contribuente, al contrario, non � tenuto ad esperire 
i rimedi, e tutti i rimedi possibili, contro l'esercizio del potere di imposizione, 
ben potendo prestare acquiescenza ad una imposizione illegittima 

o contrastarla solo sotto alcuni profili, e non sotto altri; e ci� appunto 
� avvenuto nel caso di specie, in cui lo Zarcone ha contestato, innanzi 
alle commissioni tributarie prima, ed alla Corte d'appello poi, l'esercizio 
del potere di imposizione deducendo alcune questioni di illegittimit�, 
esclusa quella di decadenza, tardivamente sollevata: il che rientrava pienamente 
nelle sue facolt�, cos� come vi rientrava l'eventuale totale 
acquiescenza alla pretesa impositiva; n�, vertendosi in materia di accertamento 
di legittimit� dell'operato dell'amministrazione, bastava denunciare 
genericamente l'illegittimit� dell'imposizione, facendo carico al privato 
che agisca per far dichiarare la legittimit� dell'atto denunziare gli 
specifici motivi e le concrete ragioni di illegittimit�, mentre non spetta 
al giudice ricercare comunque, fuori della concreta causa petendi, qual-. 
siasi ragione di illegittimit� dell'atto. 
Inoltre, il potere di rilevabilit� d'ufficio della decadenza, attribuito al 
giudice dall'art. 2969 cod. civ., attiene unicamente alle cause di improponibilit� 
dell'azione innanzi a lui proposta; e nel caso di specie l'eccezione 
non riguardava certamente la tempestivit� o meno dell'azione, ma la 
tempestivit� dell'attivit� dell'Amministrazione, ossia qualcosa di assolutamente 
diverso, e non involgeva certo questioni di errores in procedendo, 
bens� unicamente questioni di merito circa la validit� dell'avvenuta iscrizione 
a ruolo, questioni, quindi, che il giudice non poteva esaminare 
d'ufficio. (omissis) 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 223 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 maggio 1980, n. 3270 -Pres. Mirabelli Est. 
Sgroi -P. M. Caristo (conf.) -Del Frate (avv. Del Frate) c. Ministero 
delle Fnanze (avv. Stato Carbone). 

Tributi erariali diretti -Soggetti passivi -Liquidatore di societ� -Responsabilit� 
personale -Presupposti. 

(t.u. 29 gennaio 1978, n. 645, art. 265). 
La responsabilit� personale del liquidatore di societ� di capitale ex 
art. 265 del t.u. delle imposte dirette, presuppone soltanto l'esistenza di 
attivit� sociali e l'omessa destinazione di esse al pagamento di debiti tributari; 
detta responsabilit� � ex lege e non richiede gli estremi della 
colpa (1). 

(omissis) Il ricorso dell'avv. Del Frate � basato su due motivi: la falsa 
applicazione dell'art. 265 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, e il difetto di motivazione 
in ordine all'esistenza di pretese attivit� da accantonare. 

Il ricorrente lamenta, col primo motivo, che la sentenza impugnata, 
sia pure richiamandosi a Cass., 29 ottobre 1974, n. 3259, si � attenuta ad 
un'interpretazione � esasperata � dei concetti in essa espressi, affermando 
che, per non incorrere nella responsabilit� derivante da una sua condotta 
colposa il liquidatore dovrebbe, al primo sintomo di esistenza di una 
pretesa fiscale -anche se ritenuta infondata e formulata a puro titolo 
cautelativo -sospendere ogni pagamento e chiedere il fallimento della 
societ�, ove non gli fosse possibile accantonare le somme occorrenti 
a soddisfare �l'assurda pretesa in pectore dell'Amministrazione�. 

Secondo il Del Frate, cos� pronunciando la Corte d'Appello non ha 
considerato che il liquidatore assume nei confronti dei suoi mandanti un 
obbligo di eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia, 
obbligo che sarebbe violato se, nell'ipotesi accennata, egli chiedesse 
il fallimento della societ�. Invece, secondo il ricorrente, la condotta colposa 
di cui all'art. 265 del t.u. del 1958 deve concretarsi in una condotta 
in cui possa ravvisarsi una colpa ragionevolmente comune e non gi� 
ridotta ad un concetto minimo, consistente nel prevedere tutto il prevedibile 
non previsto, anche a costo di incorrere, chiedendo il fallimento 
della societ�, in assai pi� gravi responsabilit� nei confronti dei propri 
mandanti. 

Il motivo � infondato. Come riconosce il ricorrente nella memoria, 
la pi� recente giurisprudenza di questa Corte ha negato (cfr. sentenze 

(1) Ancora una riconferma dell'orientamento affermato con le sentenze 
'6 luglio 1977, n. 2972 e 14 marzo 1978, n. 1273, in questa Rassegna, 1977, I, 699 
e 1979, I, 478. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

224 

6 luglio 1977, n. 2972; 14 marzo 1978, n. 1273) che la responsabilit� prevista 
dall'art. 265 del t.u. n. 645 del 1958 sia fondata sul dolo o sulla colpa degli 
amministratori o liquidatori, come requisito da accertare autonomamente 
al di fuori degli elementi obiettivi della sussistenza di attivit� nel patrimonio 
della societ� in liquidazione e della distrazione di tali attivit� 
a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute. Si tratta di una obbligazione 
ex lege, di cui il liquidatore � responsabile secondo le norme 
comuni degli artt. 1176 e 1218 cod. civ. (delle cause di esonero da responsabilit� 
si tratter� nell'esame del secondo motivo di ricorso). Pertanto, 
la sentenza impugnata � sufficientemente sorretta (a prescindere dalla 
questione della colpa del liquidatore nel non aver previsto il presumibile 
ammontare delle imposte dovute dalla societ�) dall'accertamento che 
-dopo il primo avviso di accertamento del dicembre 1961 -il bilancio 
societario riportava attivit� per una somma superiore all'intero ammontare 
delle imposte di <iui � stato chiesto il pagamento al liquidatore e che 
tali attivit� sono state impiegate in pagamenti diversi. In tal modo, la 
Corte del merito ha accertato l'esistenza degli unici elementi obiettivi che 
erano rilevanti al fine del decidere, secondo la retta interpretazione dell'art. 
265 del t.u. del 1958. 

Col secondo motivo l'avv. Del Frate lamenta che la Corte d'appello 
abbia trascurato di considerare, tenuto conto della consistenza patrimoniale 
della societ� risultante dai bilanci, quale potesse essere il prevedibile 
buon fondamento di una pretesa fiscale formulata in via cautelativa, 
pi� nell'intento di interrompere eventuali prescrizioni che nel convinci� 
mento dell'esistenza di redditi imponibili e, soprattutto, ha mancato di 
considerare che le poche attivit� di bilancio (quelle del 31 dicembre 1962) 
furono, per la quasi totalit�, impiegate per il soddisfacimento di altre 
pretese fiscali. 

Anche questo motivo � infondato, sotto entrambi i profili dedotti. 
Per quanto attiene al primo, richiamato quanto gi� detto circa la non 
necessit� di un separato requisito di �colpa del liquidatore�, ne discende 
che l'indagine -di cui il ricorrente lamenta la mancanza -non doveva 
essere fatta. Da un canto, invero, la sussistenza ed entit� di un debito 
societario per imposte dirette definitivamente accertate nei confronti della 
societ�, non possono essere poste in contestazione, neppure in via incidentale, 
nella controversia fra i liquidatori e l'Amministrazione finanziaria 
istituita ai sensi dell'art. 265 del t.u. del 1958 (Cass., 14 marzo 1978, 
n-: 1273). Dall'altro canto, il liquidatore non pu� portare, a prova della 
sua mancanza di responsabilit� (ex artt. 1176 e 1218 cod. civ., richiamati 
per l'adempimento dell'obbligazione ex lege a suo carico) le risultanze di 
quegli stessi bilanci che sono state definitivamente accertate come non 
vere nella controversia fiscale fra l'ufficio delle imposte dirette e della 
Societ�. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Posto che,. infatti, come risulta dalla narrativa in fatto, le imposte 
�del cui pagamento si faceva carico all'avv. Del Frate si riferivano tutte 
a periodi nei quali egli era stato liquidatore (nominato nel 1957) e coinvolgevano 
anche i bilanci degli anni successivi, fino a quelli del 1964 
e 1965 che il Del Frate invece sosteneva essere chiusi in perdita, � evidente 
che in sede fiscale erano stati accertati utili sottoposti all'imposta di 

r.m. ed alla conseguente imposta sulle societ�. All'amministrazione finanziaria 
il Del Frate non poteva opporre una presunzione di veridicit� dei 
bilanci redatti nei periodi della sua gestione liquidatoria, quando tale 
presunzione. era stata gi� definitivamente vinta dagli accertamenti fiscali 
iscritti a ruolo a carico della Societ� per gli stessi periodi. L'irrilevanza 
�della questione della prova dedotta rende quindi irrilevante quel punto 
in ordine al quale il Del Frate lamenta l'omissione di indagini da parte 
della Corte del merito, perch� il punto non � affatto decisivo, ai sensi 
dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. 
Quanto al secondo preteso vizio di motivazione sulla destinazione delle 
attivit� sociali, esso non sussiste non solo per la gi� indicata insufficienza 
della prova (bilanci della societ�, gi� definitivamente contestati in sede 
�di accertamenti fiscali divenuti definitivi a carico della societ�), ma anche 
perch�, in sede di merito, la questione era stata posta in termini diversi 
da come nel ricorso per cassazione si pretende che fosse stata posta. 

Infatti, tanto in primo grado che nell'atto d'appello, il Del Frate 
aveva sostenuto che gli unici pagamenti di cui doveva rendere conto, 
per sottrarsi alla responsabilit� fatta valere dall'Intendente di Finanza, 
erano quelli successivi all'iscrizione a ruolo dell'imposta sulle societ� 
dell'anno 1957, iscritta nel secondo ruolo del 1964, ed aveva quindi dedotto 
che negli esercizi sociali del 1964 e del 1965, �non vi era stata alcuna attivit� 
che non fosse stata impiegata dal liquidatore per il pagamento di 
altri debiti fiscali o di altre spese non dilazionabili, quali il pagamento 
delle rate di mutuo o le spese generali indicate in bilancio� (cos�, testualmente, 
si esprime l'atto di appello). 

La Corte d'appello ha invece ritenuto che dovessero essere presi in 
considerazione anche i periodi precedenti al 1964, purch� successivi al 
primo accertamento fiscale, notificato il 29 dicembre 1961. Tale limitazione 
apposta dalla Corte del merito (in coerenza col presupposto della 
necessit� della ricerca di una colpa positiva del liquidatore che questa 
Corte Suprema non ritiene necessaria), per i limiti istituzionali dell'esame 
di legittimit�, non pu� superarsi, ma ci� nonostante la motivazione 
del giudice d'appello � sufficiente. Infatti, � stata ritenuta esattamente rilevante, 
per accertare il requisito della distrazione delle attivit� della societ� 
a fini diversi dal pagamento delle imposte dirette presidiate dalla 
responsabilit� di cui all'art. 265 del t.u. del 1958, la prova, risultante dalle 
stesse deduzioni del Del Frate, che nel 1962 e nel 1963 egli aveva effettuato 
pagamenti non destinati a quell'impiego dovuto; che negli anni successivi 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

lo stesso Del Frate aveva ammesso di aver continuato a pagare � rate 
di mutuo ed altre spese generali non dilazionabili� e che al 31 dicembre 
1962 vi erano attivit� sufficienti per il pagamento delle imposte di cui 
si contende in questa causa. Di fronte al generico assunto dedotto dall'appellante 
(che non prendeva in considerazione, come invece avrebbe 
dovuto, i pagamenti del 1962 e del 1963; che si basava su una documentazione 
-i bilanci societari -inopponibile in sede fiscale all'Amministrazione; 
che non indicava le somme precise dei pretesi pagamenti di 
rate di imposte dirette; che ammetteva di aver continuato ad effettuare, 
anche nel 1964 e 1965, dei pagamenti extrafiscali), la motivazione della 
Corte d'appello � adeguata, in relazione ai punti rilevanti in causa. Infatti, 
partendo dai dati certi dell'esistenza di attivit� sufficienti a pagare le 
imposte, nonch� della continuazione dei pagamenti extra:fiscali per tutto 
il periodo dal 29 dicembre 1961 alla chiusura del bilancio finale di liquidazione, 
la Corte del merito ha accertato, in fatto, con valutazione incensurabile 
e congruamente motivata, che il liquidatore non ha accantonato, 
avendone la disponibilit�, le somme sufficienti a pagare le imposte. 

In tal modo ha affermato l'esistenza dell'altro requisito obiettivo che 
la giurisprudenza di questa Corte ritiene necessario per l'esistenza della 
responsabilit� di cui all'art. 265 del t.u. del 1958: la distrazione di attivit� 
sociali sufficienti a pagare le imposte dirette per fini diversi dal pagamento 
delle medesime imposte. Tale distrazione � stata infatti affermata 
quando la Corte del merito ha testualmente rilevato che il Del Frate, 
effettuando i pagamenti che non avrebbe dovuto eseguire per tutto il 
periodo considerato, dal 1962 in poi (e non solo per gli anni 1964 e 1965, 
come pretendeva l'appellante) �non � stato in grado di fronteggiare il 
debito tributario >>, per un comportamento volontario e colposo che -a 
maggior ragione -non lo esonerava dalla responsabilit� per l'obbligazione 
legale gravante sul liquidatore. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 maggio 1980, n. 3306 -Pres. Mirabelli 
-Est. D'Orsi -P. M. Del Grosso (conf.). -Ingeborg c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato D'Amico). 

Tributi in genere -Accertamento -Notificazione -Irregolarit� � Potere 

della commissione di ordinare la rinnovazione � Termine gi� scaduto 


Ammissibilit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 21). 
La rinnovazione della notificazione nulla (ma non inesistente) dell'atto 
di accertamento pu� essere ordinata dalla commissione a norma 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARI�\ 227' 

dell'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, anche dopo la scadenza det 
termine (1). 

(omissis) Con l'unico mezzo la ricorrente denuncia la violazione e 
falsa applicazione degli artt. 21 e 24 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in. 
relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ. e sostiene che la previsione dei 
suddetti articoli relativa al potere concesso alle Commissioni tributarie� 
di disporre la rinnovazione della notificazione dell'atto dell'ufficio impugnato 
con il conseguente impedimento di ogni decadenza, .->ussisterebbe 
solo nel caso in cui non sia ancora decorso il termine utile per 
l'azione accertativa. 

Nel caso in cui, come quello di specie, tale termine fosse gi� de-corso, 
la norma non potrebbe trovare applicazione. 

Il ricorso � infondato. 

La Commissione Centrale, dopo aver premesso che la notificazione 
dell'avviso di accertamento doveva ritenersi nulla perch� l'atto era stato. 
consegnato alla vicina di casa, senza specificare tale qualit� e senza. 
darne avviso alla destinataria con lettera raccomandata, ha ricordatoche 
gli artt. 21 e 24 del d.P.R. n. 636 del 1972 prevedono rispettivamente 
che le commissioni di primo e di secondo grado, allorch� rilevano un. 
vizio di notificazione comportantene la nullit�, fissano un termine non 
superiore a tre mesi per rinnovare la notificazione stessa, termine che: 
impedisce ogni decadenza, e, siccome nella specie tale rinnovazione non. 
era stata disposta, ha, invocando l'art. 29 secondo comma, rimesso la. 
causa ad altra sezione della Commissione di primo grado. 

Queste argomentazioni sono condivise dall'Avvocatura, la quale, per�,. 
si limita nel controricorso a richiamare le decisioni in tale senso della. 
Commissione centrale. 

(1) La decisione, di evidente esattezza, � importante anche perch� modifica. 
l'orientamento restrittivo precedentemente affiorato. Che l'art. 21, avesse lo scopodi 
ammettere la sanatoria con efficacia �ex tunc della notificazione tentata, ma 
non riuscita utile, risulta chiaro dalla norma; la stessa regola che, in applicazione 
dell'art. 291 cod. proc. civ., � sempre stata ritenuta valida per gli atti 
del processo � stata estesa ad un atto, quale l'accertamento, preprocessuale,. 
ma che del processo � momento essenziale. 
Precedentemente la sentenza 10 novembre 1979, n. 5789, in Foro it., 1980, 
I, 1034, aveva ritenuto che la Commissione Centrale non potesse far applica-� 
zione dell'art. 21 (essendo il rinvio previsto soltanto per rinnovare il giudizio 
sulla valutazione estimativa) che doveva ritenersi operante soltanto nei due-gradi 
di merito. Oggi invece, pur lasciando da parte la questione se la Commissione 
Centrale debba direttamente rinviare al primo grado ordinando la. 
rinnovazione della notifica ovvero rinviare al secondo grado che a sua volta 
ordiner� la rinnovazione con un ulteriore rinvio, non si dubita che anche in. 
terzo grado debba trovare applicazione la regola dell'art. 21. 



228 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Va innanzi tutto precisato che non formano oggetto di ricorso la 
ritualit� della rimessione alla Commissione di primo grado e i limiti 
di applicazione dell'art. 29, il cui richiamo � fatto solo al secondo comma 
dell'art. 24 (irregolare contraddittorio in primo grado) e non anche 

.al primo comma (relativo alla fissazione del termine per la rinnova.
zione della notifica). Non � quindi esaminabile il quesito se la Commissione 
centrale, in virt� dei poteri di riesame che istituzionalmente le 
-competono, pu� essa stessa fissare il termine per la rinnovazione della 
notificazione (com'� previsto per la commissione di secondo grado), oppure 
se, invece, debba rinviare per tale adempimento. 

Ci� che deve decidersi ora � unicamente la questione se la rinnovazione 
della notificazione possa essere disposta solo quando non sono 
.ancora decorsi i termini per l'atto di accertamento o in ogni caso. 

La soluzione nel senso propugnato dall'Amministrazione appare in,
dubbia. 

L'atto di accertamento mal notificato non esaurisce il potere impositivo 
dell'Amministrazione tributaria e questa, allorch� si avveda di 
tale errore di notifica (se il termine per l'accertamento non � ancora decCorso) 
pu� rinnovare la notificazione medesima senza autorizzazione al
�cuna. L'eventuale pendenza del giudizio di opposizione all'atto mal notificato, 
non � di ostacolo a tale adempimento. Neppure l'eventuale de,
cisione sfavorevole all'Ufficio sarebbe di impedimento ad una spontanea 
ripetizione delle notificazioni dell'atto impositivo, perch� la deci.
sione riguarderebbe la sola nullit� della notificazione e non anche il 
fatto costitutivo del debito d'imposta. 

La norma, se avesse la limitata portata affermata dalla ricorrente, 
:sarebbe inutile, laddove � corretto canone ermeneutico interpretarla 
.nel senso in cui abbia una sua prevista finalit� e utilit�. 

Ma se la norma operasse solo quando il termine per la notifica del1'
atto di accertamento non � ancora decorso, non avrebbe neppure senso 
la limitazione a tr;e mesi del nuovo termine per rinnovare la notifica:
zione. Ci sarebbe una limitazione del potere dell'ufficio che se spiegabile 
nel senso di non appesantire la durata del processo, non avrebbe 
in ogni caso correlazione con la precisazione che la rinnovazione impe
�disce ogni decadenza. 

Del pari eccessivamente riduttrice della portata della norma appare 
la tesi che la norma medesima si riferisca all'ipotesi in cui la irregolarit� 
della notificazione sia rilevata nell'imminenza della scadenza del 
termine fissato dalla legge per l'atto impositivo, talch� vi sarebbe una 
proroga di tale termine, che raggiungerebbe i tre mesi nel solo caso in 
-cui l'irregolarit� fosse rilevata nell'ultimo giorno utile per l'imposizione 
tributaria, altrimenti la proroga sarebbe minore. 

Tanto questa interpretazione quanto la precedente non tengono conto 
<lella realt� della durata dei tempi di giudizio davanti alle commissioni 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

tributarie, ben nota al legislatore, talch� il voler presumere che non solo 
il giudizio di primo grado, ma anche quello di secondo grado si esauriscano 
nei tempi relativamente brevi previsti per l'imposizione tributaria, 
lascerebbe ben poco margine di operativit� alle norme in parola. 

Ma decisiva per la soluzione della questione � la distinzione (costante 
nella giurisprudenza di questa Corte, cfr. sent. 20 dicembre 1977, 

n. 5591; 12 novembre 1977, n. 4915; 14 febbraio 1975, n. 591; 5 marzo 
1973, n. 598) tra nullit� e inesistenza della notificazione. 
Per i casi di nullit� della notificazione questa Corte, applicando il 
principio dell'art. 291 cod. proc. civ. relativo alla contumacia anche al 
giudizio di appello e a quello di cassazione, ha ritenuto la possibilit� di 
disporre la rinnovazione della notificazione nulla, ancorch� i termini per 
impugnare siano decorsi, con conseguente operativit� della sanatoria 
.ex tunc. Non per�, quando la notificazione debba considerarsi inesi:
stente. 

Trasportando questi princ�pi nel campo del contenzioso tributario 
.appare che gli artt. 21 e 24 del d.P.R. n. 636 del 1972 debbano essere 
interpretati nel senso che la rinnovazione della notificazione (nulla) delTatto 
impositivo nell'ulteriore termine non superiore a tre mesi debba 
�essere disposta proprio quando il termine per notificare l'atto impositivo 
sia scaduto. 

In tal senso le norme sono state interpretate dalla Commissione 
�centrale. 
Il ricorso deve, quindi, essere rigettato. (omissis) 

�CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 
I, 26 maggio 1980, n. 3431 -Pres. Mirabelli 
-Est. Sandulli -P. M. Grossi (conf.). -Soc. F.I.C. (avv. Mattei Gentili) 
c. Ministero del Tesoro (avv. Stato Tarin). 
"Tributi in genere -Repressione delle violazioni -Pena pecuniaria -Prescrizione 
-Decorrenza -Atti interruttivi -Verbale di accertamento Interruzione 
con effetto istantaneo -Sospensione del procedimento 
fino all'esito di giudizio penale -Non interrompe. 
(legge 7 gennaio 1929, n. 4, artt. 3 e 17) . 

"Tributi in genere -Repressione delle violazioni -Pena pecuniaria -Provvedimento 
di irrogazione -Natura dichiarativa. 

La prescrizione quinquennale del diritto alla riscossione della pena 
pecuniaria decorre dal momento della commessa violazione, se pure il 
pagamento non pu� essere domandato prima della emanazione del provvedimento 
che ne determina la misura; la prescrizione � interrotta, solo 
con effetto istantaneo, dal verbale di accertamento o da altri eventuali 
atti del procedimento con i quali l'Amministrazione manifesta il pro.
vosito di perseguire il suo credito, ma non dal provvedimento di carat



230 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

tere interno con il quale si sospende il procedimento sanzionatorio in: 
attesa di giudizio penale (1). 

Il procedimento sanzionatorio avente la funzione di accertare l'in


frazione, individuarne l'autore e determinare la misura della sanzione 

ha natura dichiarativa (2). 

(omissis) Con il primo, la societ� ricorrente -denunciata la violazione 
e la falsa applicazione degli artt. 17 della legge 7 gennaio 1929, 

n. 4; 1368 e segg.; 2934 e 2943 cod. civ.; nonch� l'insufficienza della 
motivazione -si duole che la Corte di rinvio abbia assegnato efficacia 
interruttiva della prescrizione del diritto dello Stato alla riscossione della 
pena pecuniaria inflitta per violazione valutaria al provvedimento del 
Ministro del Tesoro di sospensione del procedimento amministrativo di 
accertamento della infrazione in attesa dell'esito del giudizio penale 
promosso a carico dell'amministratore unico della societ�, sostenendo 
che tale provvedimento, operando esclusivamente � nell'ambito processuale
�, e non mirando ad ottenere il soddisfacimento del credito, non 
sarebbe stato idoneo a costituire in mora il trasgressore. 
Con il secondo, la ricorrente -denunciata la violazione e la falsa 
applicazione degli artt. 2934, 2943 e 2945 cod. civ., nonch� l'insufficienza 
e la contraddittoriet� della motivazione -lamenta che la Corte del merito 
abbia attribuito al cennato provvedimento di sospensione del procedimento 
amministrativo efficacia interruttiva permanente fino all'esito 
del giudizio penale. 

Con il terzo, la societ� ::_ denunciando la violazione e la falsa applicazione 
degli artt. 295, 296, 298 cod. proc. civ. e 2943, 2945 cod. civ., 
nonch� la insufficienza e la contraddittoriet� della motivazione -as


(1-2) Riallacciandosi alla sentenza 3 aprile 1978, n. 1502 (in questa Rassegna,. 
1978, I, 593) la S.C., con ampia analisi, riafferma l'effetto meramente istantaneo 
della interruzione della prescrizione operata dall'accertamento. La statuizione 
pu� considerarsi ormai irreversibile. Sulle premesse enunciate, era necessaria 
conseguenza l'affermazione che l'atto di sospensione del procedimento sanzionatorio 
in attesa della definizione di giudizio penale, come atto interno di interesse 
dell'Amministrazione, non interrompe la prescrizione. Resta per� confermato 
che nei procedimenti amministrativi di tipo giustiziale l'atto introduttivo� 
interrompe la prescrizione con effetto durevole fino all'emanazione del provvedimento 
pronunciato in posizione neutrale dall'autorit� amministrativa. 

La seconda massima, che pure si riconnette alla menzionata sentenza n. 1502 
del 1978, afferma in termini forse troppo assoluti la natura dichiarativa del provvedimento 
sanzionatorio (non sembra che possa escludersi un effetto costitutivo 
della parte del provvedimento che stabilisce discrezionalmente la misura della 
pena pecuniaria); � per� importante che il credito per pena pecuniaria, allo 
stesso modo di quello per imposta, sorga al momento della commessa violazione 
(ed � per questo che pu� prescriversi) per effetto della legge e del fatto presupposto; 
se ne dovrebbero trarre le conseguenze in tema di interessi. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

sume che -non sussistendo alcuna connessione fra i fatti costituenti 
l'illecito penale e quelli relativi all'infrazione valutaria -fosse inefficace 
ai fini dell'interruzione della prescrizione, in quanto illegittimo, 
il provvedimento di sospensione del procedimento amministrativo. 

Con il quarto, la ricorrente -denunciata la violazione degli artt. 17 
<lella legge 7 gennaio 1929, n. 4, 2943 e 2945 cod. civ. -sostiene che il 
provvedimento di sospensione del procedimento amministrativo -an<:
he se idoneo ad interrompere, con efficacia istantanea, il corso del 
termine prescrizionale -non sarebbe valso ad evitare la maturazione 
<lella prescrizione. 

La censura, articolata nei riassunti motivi, � fondata. 

La Corte di rinvio -dopo avere rilevato che la Corte Suprema, in 
:sede rescindente, aveva affermato che l'obbligazione nascente a carico 
<lel trasgressore dall'infrazione di norme valutarie ed avente come contenuto 
il pagamento di una somma a titolo di pena pecuniaria aveva 
natura di obbligazione civile, sul riflesso che, a norma del richiamo dell'art. 
3 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, operato dall'art. 3 del r.d.l. 
S dicembre 1938, n. 1928, costituissero illeciti amministrativi le violazioni 
delle norme per le quali sorgeva, per il trasgressore, l'obbligazione 
�di pagare una somma a titolo di pena pecuniaria a favore dello Stato, 
�e che la prescrizione del diritto dello Stato alla riscossione della pena 
pecuniaria irrogata, decorrente dal momento della consumazione dell'infrazione 
valutaria, veniva interrotta, con effetto istantaneo, dalla 
�comunicazione al trasgressore del verbale di accertamento dell'infrazione, 
in quanto questa, essendo volta ad ottenere il soddisfacimento del 
.credito, era idonea a realizzare una valida costituzione in mora del trasgressore, 
ed avere osservato, inoltre, che, costituendo oggetto di esame 
da parte della Corte di cassazione esclusivamente il problema dell'effiecacia 
istantanea o permanente della interruzione della prescrizione operata 
con l'atto introduttivo del procedimento amministrativo (parteci-
pazione al trasgressore del verbale di accertamento dell'infrazione valutaria) 
era rimasto estraneo al dibattito in sede di legittimit� il problema 
della efficacia interruttiva dei successivi atti del procedimento 
:amministrativo -ha statuito che il termine prescrizionale, il quale 
.aveva ripreso a decorrere dal giorno della comunicazione al trasgres


sore del verbale di accertamento -non incidendo questa sul corso 
della prescrizione per l'intera durata di essa -fosse nuovamente interrotto 
dal provvedimento con il quale il Ministro del Tesoro aveva so:
speso il procedimento amministrativo in attesa del giudizio penale promosso 
a carico dell'amministratore unico della societ�, rivelando tale 
provvedimento, attraverso l'intento dell'ampliamento delle indagini sul 
fatto illecito, la volont� dell'amministrazione di ottenere il soddisfacimento 
del diritto alla riscossione della pena pecuniaria. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Secondo l'opinione della Corte di rinvio, quindi, la prescrizione deI 
diritto alla pena pecuniaria prevista per l'infrazione valutaria sarebbe 
rimasta interrotta in conseguenza del provvedimento ministeriale di so-� 
spensione del procedimento amministrativo di accertamento dell'infrazione 
fino all'esito del giudizio penale promosso per la stessa violazione~ 
con la conseguenza che il quinquennio prescritto per la prescrizione non 
sarebbe maturato al momento della irrogazione della pena pecuniaria. 

Secondo la tesi della ricorrente, invece -non potendo assegnarsi al 
provvedimento di sospensione del procedimento amministrativo alcuna 
efficacia interruttiva della prescrizione, in quanto lo stesso, operando 
esclusivamente � nell'ambito processuale�, non sarebbe stato idoneo a 
costituire in mora il trasgressore, ed avendo il provvedimento di sospensione 
al pi� efficacia interruttiva istantanea (e non continuativa) -la. 
prescrizione si sarebbe largamente maturata al momento della emissione 
del provvedimento di imposizione della sanzione amministrativa 
pecuniaria. 

Fra le due posizioni questa Corte ritiene che debba condividersi la. 
tesi della ricorrente. 

Il problema proposto � se, a norma della legislazione previgente, in 
materia di trasgressioni valutarie (legge 7 gennaio 1929, n. 4, norme generali 
per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie; r.d.l. 
12 maggio 1938, n. 794; norma per l'accertamento delle trasgressioni in 
materia valutaria; r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928; norme per la repressione 
delle violazioni delle leggi valutarie) la prescrizione quinquennale 
del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria prevista per 
le infrazioni valutarie sia (o meno) interrotta dal provvedimento del 
Ministero del Tesoro di sospensione del procedimento amministrativo� 
per l'accertamento dell'illecito valutario e la determinazione della san-� 
zione pecuniaria in attesa dell'esito del giudizio penale promesso per 
lo stesso fatto integrante l'illecito valutario, imputabile, oltre che come 
illecito amministrativo all'ente societario, come illecito penale (in quanto 
rivestito dei requisiti del reato) al rappresentante legale di esso. 

Corollario � il quesito se, nell'ipotesi positiva, l'interruzione originata 
dal cennato provvedimento sospensivo abbia efficacia istantanea o 
continuativa fino alla conclusione del giudizio penale. 

Nel vigore della legislazione previgente del 1929 e 1938 le violazioni 
delle norme valutarie -contrariamente alle previsioni della at-� 
tuale normativa (d.l. 4 marzo 1976, n. 31, convertito in legge 30 aprile� 
1976, n. 159; legge 23 dicembre 1976, n. 863), secondo cui le infrazioni 
valutarie hanno perduto la configurazione amministrativa per assumere� 
quella di illeciti penali -costituivano illeciti amministrativi, per i quali 
erano previste ed irrogate sanzioni pecuniarie, si che essi, determinando� 
a carico dei trasgressori obbligazioni pec�niarie aventi natura civile, 
erano imputabili (come gli illeciti civili) anche alle persone guridiche.. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 2H 

Per l'accertamento di tali illeciti e per la determinazione delle pene 
pecuniarie � previsto dal r.d.l. 12 maggio 1938, n. 794 un procedimento� 
amministrativo (indispensabile per l'emissione del provvedimento di irrogazione 
della pena pecuniaria),. inquadrabile fra i procedimenti sanzionatori, 
nei quali l'esercizio della potest� punitiva (applicativa di 
sanzioni) � affidata all'amministrazione pubblica (essendo lo Stato-amministrazione 
abilitato ad accertare e punire le infrazioni qualificabili 
come illeciti amministrativi). 

Tale procedimento sanzionatorio (ad iniziativa pubblica, su denuncia. 
di tipo processuale penale: relazione di un ufficio di polizia tributaria) 
va meglio classificato fra i procedimenti amministrativi sanzionatori contravvenzionali, 
attinenti ad illeciti amministrativi conformati, in quanto� 
rivestiti degli stessi elementi costitutivi, secondo il modello dei reati 
contravvenzionali puniti con l'ammenda. 

In esso -articolato in una pluralit� di fasi procedimentali ed introdotto 
con il verbale di accertamento dell'infrazione valutaria, redatto� 
dall'Ufficio Italiano dei cambi e notificato al trasgressore con la fissazione 
di un termine per la presentazione di deduzioni scritte, e svolgentesi, 
attraverso la rimessione degli atti, insieme ad una relazione� 
illustrativa alla commissione consultiva istituita presso il Ministero del 
Tesoro e l'emissione del parere da parte di quest'ultima, sino a concludersi 
con l'atto finale costituito dal decreto del Ministro del Tesoro 
determinante la misura della pena inflitta per la trasgressione -lo 
Stato-amministrazione, investito della medesima potest� punitiva esercitata 
nel magistero penale (derivante allo Stato-comunit� della potest� 
sovrana), opera, non nell'esercizio di una funzione giurisdizionale, ma 
per la realizzazione -nell'esplicazione del potere di autotutela -di interessi 
pubblici ricompresi nell'area funzionale affidata ai suoi compiti, 
applicando direttamente le sanzioni previste dall'ordinamento giuridico 
per le ipotesi di violazioni in materia valutaria. 

L'autorit� amministrativa si presenta, quindi, nella descritta com


plessa fattispecie procedimentale non in posizione neutra di terzista, ma 

in qualit� di titolare dell'interesse pubblico leso dal trasgressore e della. 

situazione giuridica soggettiva tesa alla riscossione della somma dovu


tale da quest'ultimo a titolo di sanzione pecuniaria. 

Per modo che il cennato procedimento, anche se strutturato in forma. 

contenziosa -essendo consentito all'interessato di prospettare le pro


prie ragioni prima che l'autorit� decidente adotti il provvedimento con


clusivo -deve considerarsi diretto -non essendo volto a decidere una 

lite -ad attuare, con il provvedimento conclusivo, determinato della 

pena pecuniaria, esclusivamente l'interesse dello Stato-amministrazione. 

�, quindi, alla luce della natura e della struttura del delineato pro


cedimento sanzionatorio, che va considerata l'influenza di esso e degli 


:234 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEU.O STATO 

atti intervenienti nel suo corso sulla prescrizione del diritto dello Stato 
.alla riscossione della pena pecuniaria. 

Al riguardo, va, innanzi tutto, osservato come, in base alla norma 
-contenuta nell'art. 3, comma, 2, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, richia.
mata dall'art. 3 del r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928, l'obbligazione di 
:pagare allo Stato una pena pecuniaria per infrazione valutaria sorga a 
�.carico del trasgressore nel momento in cui la violazione sia commessa, 

e come, in base all'art. 17, primo comma, richiamato dallo stesso art. 3 
�del cit. r.d.l. n. 1928 del 1938, la prescrizione del diritto dello stato alla 
riscossione della pena pecuniaria cominci a decorrere dal giorno della 
<Commessa violazione. 

E ci� sul duplice presupposto che il procedimento sanzionatorio di:
sciplinato dal r.d.l. n. 1928 del 1938 abbia natura dichiarativa, e non 
�costitutiva (avendo esclusivamente la funzione di accertare l'infrazione 
�valutaria, di individuarne l'autore e di determinarne la misura della san:
zione), e che la prescrizione, incidendo esclusivamente sul diritto dello 

Stato alla riscossione della pena pecuniaria (e non alla irrogazione della 
.sanzione), decorra non dalla data del provvedimento sanzionatorio; ma 
-dal giorno in cui l'illecito amministrativo sia stato commesso (cfr. 
�Cass., 3 aprile 1978, n. 1502, in motivazione); ed in conformit� del prin-
cipio sancito nell'art. 2947 cod. civ., secondo cui -stabilendosi che 
la prescrizione del diritto al ristoro del danno derivante da fatto illecito 
�decorre dal giorno in cui il fatto si � verificato -la decorrenza della 
_prescrizione non postula l'accertamento del diritto, ma presuppone sol
�tanto che sia sorto, anche se, trattandosi di un diritto di credito, il 

mancato accertamento di esso nell'an e nel quantum impedisce al suo 
titolare di esigere dal debitore l'immediato adempimento della presta:.
zione che ne costituisce il contenuto. 

L'impossibilit� in cui si trova lo Stato di riscuotere coattivamente 
�dal trasgressore la somma dovutagli a titolo di pen_a pecuniaria, prima 
�che il procedimento sanzionatorio sia concluso, non impedisce, quindi, 
�che la prescrizione del diritto alla riscossione cominci a decorrere dal 
_giorno in cui, essendo stata commessa l'infrazione, il diritto � sorto. 

Per modo che la circostanza che lo Stato debba portare a termine 
�il procedimento sanzionatorio prima di poter esigere coattivamente la 
riscossione della pena pecuniaria non pu� influire in alcun modo sulla 
--decorrenza della prescrizione. 

N� vale in contrario il principio sancito dall'art. 2935 cod. civ., se
��condo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto 

pu� essere fatto valere, in quanto -non avendo tale principio una 
�portata assoluta e generale -l'impossibilit� dell'esercizio del diritto, 
.cui la legge attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza 
-della prescrizione, � soltanto quella derivante da cause giuridiche che 
'.ostacolano l'esercizio del diritto (ad esempio, la mancata scadenza di 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

un termine iniziale o il mancato avverarsi di una condizione sospensiva) 
e non comprende anche gli impedimenti soggettivi e gli ostacoli 
di mero fatto (salvo che essi non integrino una delle cause di sospensione 
tassativamente previste dalla legge), come quelli che trovino la 
loro causa nell'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del 
suo diritto (purch� essa, non sia determinata da un comportamento 
doloso imputabile al soggetto interessato a far valere la prescrizione) e 
nel ritardo con cui egli proceda ad accettarlo. 

Inoltre, va rilevato come la pendenza del procedimento sanzionatorio 
non comporti l'interruzione per tutta la durata di esso della prescrizione 
del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria, 
non potendo assimilarsi a tali effetti, l'atto d'iniziativa del procedimento 
sanzionatorio all'atto introduttivo di un procedimento� giurisdizionale 

o al ricorso amministrativo con cui si promuove un procedimento giustiziale, 
in quanto -mentre questi danno luogo a procedimenti contenziosi 
diretti alla decisione di una lite, la cui durata non pu� risolversi 
in un pregiudizio per l'attore ed in cui l'effetto interruttivo permanente 
si presenta come uno degli effetti sostanziali della domanda 
-l'atto di iniziativa del procedimento sanzionatorio -posto in essere 
mento conclusivo, ma appartenente allo stesso plesso organizzatorio da 
un organo diverso da quello competente ad adottare il provvedida 
luogo ad un procedimento amministrativo, diretto alla tutela di 
un interesse pubblico leso dall'illecito amministrativo e rientrante nella 
..fora funzionale del cennato complesso organizzativo. 
Per modo che -verificandosi l'interruzione della prescrizione del 
diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria per infrazione 
valutaria, in conseguenza dell'atto d'inizio del procedimento sanzionarorio. 
con efficacia istantanea, e non continuativa (permanente) (cfr., in 
tal senso, Cass., sent. 3 aprile 1978, n. 1502) -il problema residuale da 
risolvere � se, nel corso del procedimento amministrativo per l'accertamento 
delle infrazioni valutarie e l'irrogazione delle pene pecuniarie, 
possano individuarsi atti idonei a costituire in mora il debitore (con 
efficacia interruttiva istantanea o continuativa), e cio� a portare a conoscenza 
del debitore la richiesta di adempimento o comunque a partecipare 
al trasgressore la volont� dello Stato-creditore di ottenere il soddisfacimento 
del diritto alla riscossione della pena pecuniaria. 

Trattasi, quindi, di stabilire se, nel corso del cennato procedimento, 
ricorrano atti successivi al verbale di accertamento della violazione valutaria 
comunicato al trasgressore, idonei a determinare la costituzione in 
mora di quest'ultimo, rendendogli nota la volont� dello Stato di far valere 
il proprio diritto di credito, ed, in particolare, se l'efficacia interruttiva 
della prescrizione del diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria 
sia attribuibile al provvedimento del Ministro del Tesoro di 
sospensione del procedimento sanzionatorio in attesa dell'esito del giu



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

236 

dizio penale promosso, per la stessa infrazione valutaria, a carico del 
rappresentante legale della persona giuridica (societ�), al quale -a differenza 
dell'illecito amministrativo che va ascritto all'ente -va impu�tato 
all'illecito penale. 

La durata del procedimento amministrativo sanzionatorio, volto a. 
soddisfare un interesse esclusivo dello Stato-amministrazione, dipende 
unicamente dalla iniziativa della pubblica Amministrazione, titolare del. 
diritto ed unica interessata a veder soddisfatta la propria pretesa creditoria, 
dal che la conseguenza che il corso del cennato procedimento 
non pu� essere in alcun modo influenzato dalla eventuale pendenza di 
vrocedimenti giurisdizionali che siano instaurati a causa del medesimo 
fatto, ove questo, oltre che come illecito amministrativo, sia configurato 
come altro tipo di illecito (ad esempio, illecito penale). 

E gli atti compiuti dalla pubblica amministrazione nell'ambito del. 
procedimento amministrativo sanzionatorio possono ritenersi idonei ad 
interrompere il corso della prescrizione soltanto quando valgano a par-tecipare 
al trasgressore l'intenzione dello Stato di mantenere in vista il. 
diritto creditorio ed a neutralizzare la presunzione (originata dall'iner.,.
ia) di rinuncia al diritto che sta alla base della prescrizione. 

Invero -data la tassativit� delle cause interruttive della prescrizione, 
giustificata dalle finalit� di ordine pubblico perseguite -l'effetto� 
interruttivo della prescrizione pu� ricollegarsi esclusivamente agli atti 
del procedimento sanzionatorio che, portati a conoscenza del trasgressore, 
possano valere come atti di costituzione in mora, � in quanto di-retti 
ad ottenere il soddisfacimento del credito (anche se questo sia. 
privo dell'indicazione della sua precisa entit�). 

Fra gli atti di costituzione in mora del trasgressore non pu�, quindi,. 
rie<omprendersi il provvedimento, dovuto all'iniziativa della pubblica amministrazione, 
di sospensione del procedimento amministrativo sanzionatorio 
(in attesa dell'esito del giudizio penale promosso per lo stesso 
fatto) all'esclusivo fine di venire in possesso di ulteriori dati ed elementi 
d'indagine, utili per l'istruttoria amministrativa, in quanto il provvedimento 
ordinatorio della sospensione della fattispecie sanzionatoria 
-operando esclusivamente all'interno dell'ambito del procedimento am-ministrativo, 
finalizzato, in via preparatoria e prodromica, alla irrogazione 
della sanzione pecuniaria, senza determinare alcun riflesso esterno 
nell'area delle sfere giuridiche di soggetti estranei all'amministrazione non 
vale ad esplicare effetti nel campo dei rapporti di diritto sostan-ziale, 
intercorrenti fra la pubblica amministrazione ed altri soggetti, in. 
quanto -non essendo portato a loro conoscenza -non � idoneo a 
partecipare l'intento dello Stato-creditore di ottenere il soddisfacimentodella 
pretesa creditoria e di non rinunciare, quindi, alla stessa. 

E -trattandosi della sospensione di un procedimento amministrativo, 
promosso con un atto d'iniziativa della pubblica amministrazione,. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 237 

e non di un procedimento giurisdizionale o giustiziale, instaurato con 
un ricorso al giudice amministrativo o con un atto diretto all'autorit� 
amministrativa gerarchicamente sovraordinata non ricorre alcuna ragione 
di pregiudizialit�, tesa a sollecitare la preventiva decisione (da parte 
del giudice competente) di una questione, risolvibile con autonoma pronuncia, 
la cui soluzione sia potenzialmente idonea alla definizione del 
giudizio. , 

Pertanto, deve escludersi che possa assegnarsi efficacia interruttiva 
della prescrizione (sia istantanea che permanente) al provvedimento ordinatorio 
di sospensione del procedimento amministrativo sanzionatorio, 
emesso ad iniziativa della pubblica amministrazione nel suo esclusivo 
interesse per esclusivi fini interni amministrativi. 

E -dovendosi, quindi, risalire, nella fattispecie sanzionatoria, ai 
fini della determinazione della maturazione della prescrizione, all'effetto 
interruttivo dell'atto d'inizio del procedimento amministrativo, costituito 
dal verbale di accertamento dell'infrazione valutaria comunicato al trasgressore 
-deve procedersi, nell'ulteriore corso del processo, all'indagine 
accertativa se il provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa 
sia stato adottato, nel caso di specie, dopo oltre cinque 
anni dal compimento dell'ultimo atto interruttivo e, essendosi prescritto 
il diritto dello Stato a riscuotere la pena pecuniaria, oggetto 
della sanzione amministrativa irrogata per l'infrazione valutaria, il trasgressore 
possa dedurre che la stessa non sia dovuta. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 in.aggio 1980, n. 3436 -Pres. Sandulli 
-Est. Gualtieri -P. M. Catelani (conf.). -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Gargiulo) c. Soc. Lanificio Risaliti. 

Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile . Redditi 
di impresa � Danni di guerra -Detrazione del costo dei beni ricostruiti 
� Sopravvenienze attive � Recupero di somme ammesse in 
detrazione per ammortamento dei beni ricostruiti � Esclusione. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 83 e 100; d.!. 22 dicembre 1946, n. 626, art. 2; legge 
27 dicembre 1963, n. 968, art. 66). 
L'indennizza dei danni di guerra subiti da impianti industriali non 
costituisce reddito tassabile agli effetti dell'imposta di ricchezza mobile 
nemmeno quando per la ricostruzione degli impianti danneggiati 
siano stati portati in detrazione in precedenti esercizi quote annuali di 
ammortamento (1). 

(1) La motivazione della sentenza sopra riportata non ha affrontato direttamente 
il problema controverso. Le norme particolari sui danni di guerra non 
hanno molto val"re, perch� d'un canto non � necessaria una norma specifica 

238 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Con l'unico motivo, denunciando violazione degli artt. 81, 
98, 100 t.u. 21 gennaio 1958, n. 645, 6 r.d.l. 27 maggio 1946, n. 436, modificato 
dall'art. 1 d.l.c.p.s. 22 dicembre 1946, n. 626, e dell'art. 66 legge 
27 dicembre 1953, n. 968, in relazione all'art. 360, n. 3 codice di rito, 
l'Amministrazione ricorrente deduce che, pur essendo esatto, in via generale, 
che gli indennizzi e i contributi per danni di guerra costituiscono 
un provento a titolo di capitale non soggetto all'imposta di R.M., 
nel caso di specie, essendo stati gli indennizzi e i contributi liquidati 
a favore di un imprenditore commerciale che aveva ricostruito i cespiti 
danneggiati e aveva, quindi, portato in detrazione nel suo bilancio 
le quote annuali di ammortamento, dal fatto che il contributo per danni 
di guerra fosse stato liquidato dopo il compimento dell'ammortamento 
nasceva il problema non gi� di tassare il contributo stesso, bens� le 
somme detratte a titolo di ammortamento. 

Secondo la ricorrente, a norma dell'art. 2 d.l.C.p.S. 22 dicembre 1946, 

n. 626, che ha modificato l'art. 6 del d.l. 27 maggio 1946, . n. 436, ed � 
rimasta in vigore anche dopo l'emanazione della legge 27 dicembre 1953, 
n. 968, le indennit� corrisposte a titolo di danni non si considerano 
redditi, ma, ai fini degli ammortamenti, gli indennizzi vanno detratti 
dal costo dei beni ricostruiti. Inoltre, ai sensi dell'art. 100 c.p.v. t.u. 
I.I.D.D. del 1958, quando vengano recuperate a qualsiasi titolo somme 
ammesse in detrazione in precedenti eserCizi, si ha una sopravvenienza 
attiva che concorre a formare il reddito; se, quindi, un imprenditore 
abbia dedotto dall'attivo le quote di ammortamento per la ricostruzione 
per sottrarre all'imposizione gli indennizzi dei danni di guerra che sono entrate 
a titolo di capitale, dall'altro la mancata riproduzione nella legge sui danni 
di guerra 27 dicembre 1953, n. 968, della norma dell'art. 2 del d.l.C.p.S. 22 dicembre 
1946, n. 626, non esclude che la corresponsione di indennizzi per danni di 
guerra, non tassabili in quanto tali, possa dar luogo indirettamente all'emersione 
di un reddito della impresa sotto forma di recupero di passibilit� gi� 
ammesse in detrazione. 

Il problema si incentra sulla sussistenza di sopravvenienza allorch� a fronte 
dell'esposizione nel passivo del bilancio di quote di ammortamento del costo 
del ripristino di un bene strumentale danneggiato (per fatto di guerra o per 
altra causa) sopravviene l'indennizzo o il risarcimento dei danni. Questi indennizzi 
o risarcimenti non sono redditi come tali, ma dopo che si � ottenuto 
un indennizzo (dallo Stato per i danni di guerra, o allo stesso modo da un 
privato o da una assicurazione per risarcimento) pu� essere ancora giustificata 
la detrazione delle quote di ammortamento del costo della riparazione di quegli 
stessi danni? 

Questo problema non � stato realmente affrontato. La S.C. si � limitata a 
considerare che seguendo la tesi dell'Amministrazione si giungerebbe a conseguenze 
assurdamente contrastanti a seconda che l'indennizzo sia erogato prima 
e dopo della riparazione. Ma � chiaro che se l'indennizzo viene percepito prima 
della ricostruzione, non sarebbero evidentemente detraibili le quote di 
ammortamento del costo della riparazione, cio� di un onere non sostenuto; 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 239 

di impianti danneggiati e successivamente consegua una reintegrazione 
del danno a qualsiasi titolo, la reintegrazione ottenuta come capitale 
non � reddito, ma devono, tuttavia, essere tassate come sopravvenienza 
le quote di ammortamento; diversamente sarebbe esente da imposta 
non soltanto il contributo, ma anche la somma detratta per ammortamento. 


MOTIVI DELLA DECISIONE 

La complessa censura � priva di fondamento. 

Devesi premettere che l'art. 6 del d.l. 27 maggio 1946, n. 436, stabiliva 
che le indennit� corrisposte dallo Stato a titolo di risarcimento dei 
danni di guerra sub�ti dalle imprese industriali, commerciali e agricole 
non si dovevano considerare reddito agli effetti dell'imposta di R.M. 

L'esclusione era giustificata dalla considerazione che tali indennit�, 
costituendo il corrispettivo di beni distratti o danneggiati, erano dirette 
ad integrare il patrimonio leso dei soggetti cui appartenevano. 

Senonch�, al citato art. 6 venne aggiunto con l'art. 2 d.l. C.p.S. 
22 dicembre 1946, n. 626, un altro comma, con il quale si stabil� che, 
agli effetti degli ammortamenti, le indennit� per i danni di guerra dovevano 
essere sottratte dal costo dei beni ricostruiti. 

Tuttavia, la successiva legge 27 dicembre 1953, n. 968, che ha disciplinato 
ex novo la materia della concessione di indennizzi e contributi 
per danni di guerra, ha espressamente previsto, all'art. 66, che i con-

e proprio in coerenza con questo principio deve farsi ricorso alla sopravvenienza 
quando l'indennizzo sopravvenga in periodi di imposta successivi a quelli (ormai 
chiusi) nei quali fu ammessa una detrazione ormai divenuta senza titolo. 

Per giungere alla conclusione stabilita nella sentenza si dovrebbe dimostrare 
che in nessun caso il pagamento di un indennizzo influisce sull'ammortamento 
del costo del ripristino, che cio� l'imprenditore ha diritto di esporre 
le stesse passivit� per rate di ammortamento, abbia o meno ricevuto un indennizzo 
o un risarcimento. 

Su questa via si � posta altra recente pronunzia esaminando la analoga 
questione se i contributi (non indennizzi) dello Stato o di altri enti pubblici 
erogati in conto capitale (non tassabili in quanto tali a norma dell'art. 83 del 

t.u. del 1958) debbano o meno essere dedotti dal costo ammortizzabile dei beni 
acquistati con il contributo (Cass., 7 gennaio 1980, n. 76, in questa Rassegna, 
1980, I, 623). 
Questa conclusione non pu� essere condivisa, come si � avuto modo di 
rilevare; ina ancor meno sostenibile appare l'indifferenza rispetto all'ammortamento 
degli indennizzi ed altri risarcimenti che non sono considerati affatto 
nell'art. 83 del t.u. e che costituiscono invece un'ipotesi tipica di sopravvenienza 
come definita nell'art. 100. La condizione di colui che abbia ripristinato i beni 
danneggiati senza ottenere indennizzi o risarcimenti non pu� essere sul piano 
tributario identica a quella di colui che � stato reintegrato nel danno sub�to. 

C. BAFILE 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

240 

tributi concessi m applicazione della legge non sono soggetti all'im


posta di R.M., n� all'l.G.E., senza riprodurre, quindi, la limitazione di 

cui al detto comma aggiunto. Questo, pertanto, contrariamente a quanto 

sostiene l'Amministrazione finanziaria, deve ritenersi non pi� applica


bile, anche perch� l'art. 75 della citata legge del 1953 ha espressa


mente stabilito che le precedenti norme con essa incompatibili o ad 

essa contrarie devono intendersi abrogate. 

Orbene, se per stabilire l'indetraibilit� degli ammortamenti dei beni 

ricostruiti col contributo dello Stato si dovette introdurre nella legisla


zione relativa al risarcimento dei danni di guerra una norma speciale, 

� evidente che, senza di essa, gli ammortamenti sarebbero stati detraibili. 
D'altra parte, i contributi in parola rientrano nella previsione dell'art. 
83 del t.u. n. 645 del 1958, ora abrogato, secondo cui non sono 
soggetti all'imposta di R.M. i contributi di ogni genere pagati dallo 
Stato o da altri enti pubblici che non costituiscano concorso in spese 
.di produzione o passivit� detraibili. Consegue che non pu� negarsi l'in


tassabilit�, da un lato, degli indennizzi e dei contributi in parola, e la 

detraibilit�, dall'altro, degli ammortamenti dei beni acquistati con i 

contributi stessi. 

N� vale invocare, come fa la ricorrente per sostenere la tesi della 

indetraibilit�, la norma dell'art. 100, secondo comma, del t.u. del 1958, 

per la quale, quando vengono recuperate a qualsiasi titolo somme am


messe in detrazione in precedenti esercizi si ha una sopravvenienza 

attiva che concorre a formare il reddito. 

La stessa ricorrente, infatti, riconosce che, in via generale, gli inden


nizzi e i contributi per danni di guerra costituiscono un provento a .titolo 

di capitale non soggetto all'imposta di R.M. �anche indipendentemente 

da norme espresse di esclusione >>, ammettendo cos� che non si tratta di 

proventi a titolo di reddito imponibile, ma poi precisa che quando l'im


prenditore abbia ricostruito i cespiti danneggiati ed abbia, quindi, por


tato in detrazione nel suo bilancio le quote annuali di ammortamento, 

dal fatto che egli abbia ricevuto il contributo per danni di guerra desti


nato alla ricostruzione dei cespiti danneggiati, come � avvenuto nella 

fattispecie, nasce il problema non gi� di tassare il contributo, bens� le 

somme detratte a titolo di ammortamento. 

Cos� ragionando, la ricorrente finisce per distinguere, ai fini della 

esenzione in parola, l'ipotesi in cui l'imprenditore riceve i contributi prima 

della ricostruzione dei cespiti danneggiati e l'ipotesi in cui egli li riceve 

successivamente. 

Orbene, una distinzione del genere, ai fini della intassabil�t� o meno 

dei contributi, oltre ad essere in contrasto con la normativa fiscale 

vigente in tema di concessione di indennizzi e contributi per danni di 

guerra, la quale non fa differenza tra contributi ricevuti dall'imprendi


tore prima della ricostruzione dei cespiti danneggiati e contributi rice


i 
~ 

I 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 241 

-vuti successivamente, finisce per ammettere nella prima ipotesi la tassabilit� 
dei contributi e la detraibilit� degli ammortamenti dei beni acqui-
stati con i contributi stessi e per negarle, invece, nella seconda ipotesi, 
-creando cos�, a parit� di condizioni, una irragionevole disparit� di trattamento, 
che il legislatore non ha certamente voluto. 

Pertanto, appare fuor di luogo il richiamo alla norma dell'art. 100, 
secondo comma, del citato t.u., e va disattesa l'applicabilit� del principio, 
invocato dalla ricorrente, secondo cui, quando vengono recuperate a qualsiasi 
titolo somme ammesse in detrazione in precedenti esercizi, si ha 
una sopravvenienza attiva che concorre a formare il reddito, donde la 
tassabilit� come sopravvenienza delle quote di ammortamento. 

Il ricorso deve essere, quindi rigettato. (omissis) 

-CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 maggio 1980, n. 3440 -Pres. Sandulli � 
Est. Lipari -P. M. Leo (conf.) -Prina (avv. Guerra) c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

'Tributi erariali indiretti -Imposte di registro -Usufrutto -Consolidazio


ne -Riacquisto _della nuda propriet� da parte dell'usufruttuario -Si 

verifica. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 20, 21, 86, 93). 
Tributi in genere -Potest� tributaria di imposizione -Capacit� contributiva 
-Tributi indiretti -Scelta discrezionale del legislatore -Imposta 
di registro -Consolidazione di usufrutto -Illegittimit� costituzionale Manifesta 
infondatezza. 

(Cast., art. 53; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 21). 

L'imposta di registro sulla consolidazione dell'usufrutto � dovuta 
.all'identico modo sia nel caso che il nudo proprietario acquista per estinzione 
dell'usufrutto la piena propriet� sia nel caso che l'usufruttuario 
riacquista la nuda propriet� (1). 

Rispetto alle imposte indirette la capacit� contributiva va dedotta 
.esclusivamente dal collegamento fra i soggetti colpiti e la fattispecie costituente 
il presupposto di imposta, assunti come tali dal legislatore con 
-valutazione discrezionale sindacabile soltanto ove -non presentino un 

(1-2) Sulla prima massima la giurisprudenza � pacifica (Cass., l7 febbraio 

1975, n. 625, in questa Rassegna, 1975, I, 572). 

La seconda massima � di rilevante interesse sia per l'ampia disamina del 
principio della capacit� contributiva in relazione alle imposte indirette secondo 
i criteri desumibili dalla giurisprudenza costituzionale, sia per il particolare 
aspetto di questo problema dal punto di vista del giudice comune chiamato 
a pronunziarsi sulla non manifesta infondatezza. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

242 

minimo di razionalit� tale da evidenziare l'arbitrariet� della norma; e poich� 
trattasi di stabilire una eccezione alla normale insindacabilit� della 
discrezionalit� legislativa la manifesta infondatezza della eccezione di 
illegittimit� costituzionale si presenta al giudice comune � certa ed evidente 
� ove si dimostri un minimo di razionalit� della norma. Conseguentemente 
� manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit� costituzionale 
dell'art. 21 dell'abrogata legge di registro che prevede l'imposizione 
sulla consolidazione dell'usufrutto (2). 

(omissis) 1. -Si discute in causa se l'imposta di consolidazione dell'usufrutto 
prevista dall'art. 21 dell'abrogata legge di registro 30 dicembre 
1973, n. 3269 si applichi nel solo caso di riunione dell'usufrutto alla 
nuda propriet� in capo al nudo proprietario, ovvero anche nel caso 
inverso di riunione della nuda propriet� all'usufrutto a favore dell'usufruttuario 
in capo a costui. 

La Corte d'appello di Milano ha accolto quest'ultima soluzione uniformandosi 
al puntuale orientamento di questo S.C., manifestato con sentenza 
7 luglio 1971, n. 2119 e successivamente ribadito con decisioni 
18 dicembre 1974, n. 4350; 17 febbraio 1975, n. 625; 25 maggio 1979, n. 3031 
(che adottano la soluzione gi� affermatasi sotto la vecchia legge di registro: 
Cass., Roma 9 gennaio 1893, 9 gennaio 1894, 12 agosto 1902, 3 giugno 
1903). 

La ricorrente, con il primo mezzo, contesta l'esegesi cui si sono uniformati 
i giudici di secondo grad<? e, denunciando la violazione e falsa applicazione 
degli artt. 21, 86, 93 n. 5 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, sostiene 
l'inapplicabilit� dell'imposta di consolidazione nel caso di riacquisto, 
a titolo oneroso, della nuda propriet� da parte dell'usufruttuario. 

Il motivo non � giuridicamente fondato. 

L'orientamento giurisprudenziale di questa S.C. in materia � coerente 
con la adottata ricostruzione del tributo che non ha natura autonoma, 
ma deve ritenersi parte del tributo afferente al trasferimento della piena 
propriet� che va liquidata e riscossa al momento della consolidazione 
dell'usufrutto, sul valore attuale della piena propriet�, dedotto il corrispettivo 
(cfr. Cass., nn. 3031/79, 1625/75, 2119/71 cit., 878/70, 3612/68, 
2456/58 ed altre; contra ma isolatamente n. 3579/68). Ogni trasferimento 
della nuda propriet�, infatti, si risolve, in prospettiva, nel trasferimento 
della propriet� piena perch� l'usufrutto, avendo durata limitata nel tempo, 
deve necessariamente cessare ad un dato momento portando alla riespansione 
della nuda propriet�, e comporta di conseguenza l'applicazione dell'imposta 
sul valore della piena propriet�; poich� peraltro ab origine la 
propriet� non si trasferisce come piena, l'imposta viene riscossa in due 
tempi: al momento della registrazione del contratto di trasferimento 
a titolo oneroso della nuda propriet� si tassa il corrispettivo contrattualmente 
stabilito, mentre al momento della consolidazione si tassa la diffe



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

renza fra il valore attuale della piena propriet� ed il corrispettivo a suo� 
tempo dichiarato nell'atto, ed in tale sua consistenza gi� tassato. 

Se, quindi, l'imposta di consolidazione non � che una parte dell'im-posta 
dovuta sul trasferimento della piena propriet� gi� determinata 
al momento della costituzione dell'usufrutto, e la cui esazione � rimasta 
sospesa sino alla ricomposizione del diritto di propriet� nella sua pie-� 
nezza, essa � dovuta in ogni ipotesi di cessazione dell'usufrutto, sia quan-do 
l'usufrutto torna al nudo proprietario, sia quando la nuda propriet� 
torna all'usufruttuario. 

Anche in questa seconda ipotesi il diritto parziario si estingue per 
confusione; l'usufruttuario non diventa titolare di due distinti diritti chefra 
loro si sommano, cos� formando la piena propriet�, perch� l'acquisto� 
della propriet� da parte del titolare del diritto reale limitato determina 
l'estinzione di questo. 

Presupposto dell'imposizione fiscale non � il trasferimento dell'usufrutto, 
venendo in considerazione l'estinzione del diritto reale limitato� 
e la correlativa espansione del diritto di propriet� prima compresso,. 
quali eventi che valgono a rendere attuale l'esazione delle imposte gi� 
dovute in base all'unico precedente trasferimento. 
Non vi � motivo, pertanto, di differenziare il trasferimento della nuda. 

..,, propriet� dal trasferimento dell'usufrutto. 
Sotto il profilo civilistico, invero, il fenomeno della consolidazioneva 
in ogni caso riportato al fatto unico della estinzione dell'usufrutto che 
si verifica sia quando � l'usufrutto a congiungersi alla nuda propriet�,. 
sia nell'ipotesi opposta; e, stante il collegamento fra art. 20 legge reg.. 
ed art. 1014 cod. civ., alla stessa conclusione deve giungersi sotto il profilo 
fiscale, tenendo conto altres� del carattere residuale dell'imposta 
dovuta in ogni caso in cui si sia prima verificato il distacco dell'usufrutto� 
per l'alienazione della nuda propriet�, la quale poi, per il venir meno 
dell'usufrutto medesimo (estintosi) venga a riespandersi. Alla soluzione� 
adottata non sono di. ostacolo le disposizioni circa le persone obbligatea 
presentare la denuncia dell'avvenuta consolidazione, dovendosi interpretare 
l'art. 86 .del r.d. n. 3269 del 1923 in armonia con il disposto dell'art. 
93 n. 5 della medesima legge nel senso della soggezione all'obbligo� 
relativo (nonostante il testuale riferimento a coloro � a cui favore l'usufrutto 
si devolve �) di ogni soggetto in capo al quale si realizza la pienezza 
del domino, che -come si � visto -consegue anche nel caso in 
cui la nuda propriet� si trasferisce all'usufruttuario. 

N�, ai fini della corretta esegesi delle norme della legge di registr0' 
del 1923, giova richiamare la disciplina introdotta con la riforma tribu-taria 
(artt. 45 e 41 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634). Mentre � fuori 
discu_ssione che tali norme non si applicano direttamente alla fattispecie 
(ai sensi dell'art. 77 delle disposizioni finali e transitorie la nuova legge 
opera soltanto rispetto agli atti formati dopo la sua entrata in vigore),. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

244 

non pu� nemmeno utilizzarsi la legislazione sopravvenuta per la sua portata 
di puntualizzazione e precisazione delle norme precedentemente 
-vigenti, giacch� il sistema ado.ttato dal legislatore non rappresenta un 
mero affidamento tecnico di quello anteriore, ma attua una disciplina 
radicalmente diversa dalla quale quindi non possono trarsi lumi interpretativi. 


Alle conclusioni raggiunte, alla stregua della ricostruzione della tassa 
<li consolidazione come parte della tassa dovuta per la vendita della_ nuda 
propriet�, la ricorrente si limita a contrapporre l'altra tesi (autorevolmente 
sostenuta in dottrina) che configura l'imposta di consolidazione 
,come tributo a se stante, che colpisce appunto la riunione dell'usufrutto 
alla nuda propriet�. Ma poich� gli argomenti in precedenza svolti danno 
-sufficientemente conto della scelta interpretativa seguita dalla giurisprudenza 
con indirizzo costante non vi � ragione di discostarsene, nemmeno 
sotto l'angolazione di una esegesi adeguata ai principi costituzionali. 

Un riesame dell'orientamento giurisprudenziale si imporrebbe soltanto 
se il Collegio dovesse convincersi, alla stregua dei dubbi sollevati al 
riguardo, che cos� interpretata la norma che prevede l'imposizione sulla 
,consolidazione dell'usufrutto si ponga in contrasto con la Costituzione. 

Di fronte ad una molteplicit� di letture della disposizione legislativa, 
fra le diverse norme che se ne possono trarre l'operatore giuridico 
-come � noto -deve privilegiare quella che consente di adeguare la 
norma primaria con forza di legge alla norma costituzionale che ne 
rappresenta il parametro di validit�. 

Il Collegio si trova quindi di fronte ad una chiara alternativa potendo 
tener ferma l'interpretazione recepita dalla giurisprudenza soltanto ove 
risulti manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale 
:sollevata dalla ricorrente; se invece la denuncia presentasse consistenza 
tale da giustificare il rinvio alla Corte costituzionale, prima di provvedere 
in tal senso occorrerebbe verificare l'ammissibilit� di una esegesi 
della norma suscettibile di superare il dubbio di costituzionalit� nel 
rispetto delle regole di ermeneutica. 

L'adozione del criterio della interpretazione adeguatrice non significa, 
infatti, che debba necessariamente prevenirsi sempre ad un risultato 
�esegetico costituzionalmente accettabile, ma comporta che nel processo 
interpretativo venga ad assumere determinante rilievo, entro i margini di 
�elasticit� della disposizione, il profilo dell'armonizzazione con la Costi


tuzione. Se dal testo, nonostante ogni possibile sollecitazione, non sia 
possibile trarre significati normativi coerenti con i precetti costituzionali, 
�ovvero se l'interpretazione recepita appaia cos� radicata da costituire 
il diritto vivente insuscettibile di .rapida e largamente accettata modifi
�cazione (ed in tal senso assume particolare rilievo l'orientamento di questa 
Suprema Corte, attesa la funzione di momofilachia che le � propria), 
:Si rende necessario sollevare questioni di legittimit� costituzionale. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ma nel caso di specie non sembra al Collegio che le deduzioni del 
ricorrente in termini di illegittimit� costituzionale colgano nel segno, e la 
<:onclusione nel senso della manifesta infondatezza della questione di 
legittimit� costituzionale esclude che l'�ccolta interpretazione debba essere 
ulteriormente verificata alla stregua di una interpretazione adeguatrice, 
poich� la norma, cos� come � intesa dalla consolidata giurisprudenza 
di questa Corte, pur dando luogo a rilievi di opportunit�, non presta il 
fianco ad apprezzabili critiche in termini di legittimit� costituzionale, 
.sia pure al livello meramente delibativo cui � circoscritta la valutazione 
.del giudice comune. 

2. -Le articolate considerazioni della difesa della ricorrente sono 
inficiate, in radice, _da un vizio di qualit�, poch� sottolineano inconvenienti 
e disarmonie del sistema dipendenti da scelte del legislatore, ricon.
ducibili al campo della discrezionalit� legislativa, insindacabili come tali 
in sede di legittimit� costituzionale in quanto assistite da un minimo di 
.razionalit�. 
Questo collocarsi dei dubbi di costituzionalit� sollevati nell'area della 
discrezionalit� legislativa, rispetto alla quale la competenza della Corte, 
minimale o residuale, si risolve nell'escludere la sussistenza di un qual:
siasi aggancio in termini di ragionevolezza, assume rilievo anche ai fini 
<I.ella individuazione del criterio espresso dalla locuzione �non manifesta 
infondatezza� per circoscrivere l'accesso alla Corte. 

Gi� ripetutamente questo Collegio ha interpretato tale locuzione in 
.senso assai ampio, riconducendo il giudizio delibativo all'accertamento in 
positivo della certa ed evidente costituzionalit� della norma che si tratta 
di applicare e rilevando correlativamente in negativo che ogni qualvolta 
questa certezza viene meno deve sollevarsi questione incidentale di 
.costituzionalit�. 

Ma quando vengono in considerazione i limiti di competenza della 
<:orte, �risultando temperata eccezionalmente l'insindacabilit� della discrezionalit� 
legislativa dall'arbitrariet� assolutamente ingiustificata delle 
:scelte, la costituzionalit�, sotto l'aspetto della sussistenza dei requisiti 
-per l'accesso alla Corte, risulta �certa ed evidente� finch� non si dimo:
stii l'inesistenza di ogni criterio di collegamento provvisto di un mini


mum di razionalit�, mentre non giova argomentare nel senso che la scelta 
-del legislatore avrebbe potuto essere pi� saggia, pi� oculata, pi� giusta. 

Che la figura impositiva della consolidazione dell'usufrutto non fosse 
felice � senz'altro da ammettersi, tanto che il legislatore, in sede di 
riforma dell'imposta di registro, l'ha -molto opportunamente -soppressa. 
Ma tale soppressione va ricondotta, appunto, all'adozione di pi� 
retti criteri di politica legislativa, non gi� al riconoscimento, sia pure 
implicito, che la relativa imposizione prestasse il fianco a critiche di 
:legittimit� costituzionale. 


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Del resto questa S.C., con recentissima decisione 25 maggio 1979, 

n. 3031, in una situazione di fondo analoga a quella qui prospettata, ha 
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gi� avuto occasione di dichiarare manifestamente infondata la questione 
di costituzionalit� degli artt. 21 e 93 n. 5 dell'abrogata legge di registro 'If! 

n. 3269 del 1923, che prevede la tassazione sulla consolidazione dell'usufrutto, 
in riferimento all'art. 53 Cost. 
3. -Del convincimento espresso nel senso della manifesta infonda-� 
tezza occorre or dar conto, in termini il pi� possibile sintetici, prendendo 
le mosse .dalla ricognizione degli orientamenti giurisprudenzali della Corte 
Costituzionale in tema di capacit� contributiva e discrezionalit� del legislatore 
al riguardo. 
� esatto che non costituisce precedente puntuale la sentenza della 
Corte n. 92 del 1963, la quale ha dichiarato non fondata la questione di 
legittimit� costituzionale dell'art. 21 della legge di registro del 1923 nella 
contrapposizione del trattamento tributario della consolidazione nei trasferimenti 
a titolo gratuito ed in quelli a titolo oneroso; ma anche da 
questa decisione traspare il canone fondamentale circa la insindacabilit� 
delle scelte del legislatore in tema di capacit� contributiva. 

Secondo la Corte cost. la capacit� contributiva, rispetto alle imposte 
indirette, va dedotta esclusivamente dal collegamento fra i soggetti colpiti 
e la fattispecie costituente il presupposto di imposta, assunti come tali 
dal legislatore secondo valutazioni discrezionali sindacabili soltanto ove 
non presentino un minimo di razionalit� nel porre tale collegamento 
(Corte cost., n. 120/72). Pi� in generale il principio di proporzionalit� 
contributiva, sancito dall'art. 53, primo comma, Cost., riflette, secondo 
l'univoca giurisprudenza della Corte cost., il necessario collegamento di 
qualsiasi forma di imposizione tributaria con l'idoneit� della obbligazione 
medesima, desumibile dalla concreta esistenza del presupposto economico 
relativo (sentenze nn. 45 del 1964, 16 del 1965, 89 del 1966, 97 del 1968, 
91, 92, 144 del 1972; 201 del 1975, 200 del 1976; 62 del 1977) identificabile 
con qualsiasi indice, concretamente rivelatore di ricchezza, senza che 
spetti al giudice di legittimit� delle leggi valutare l'entit� e la proporzionalit� 
dell'onere tributario, trattandosi di compito riservato al legisla-� 
tore, salvo il controllo, sotto il profilo dell'arbitrariet� delle norme, spettante 
alla Corte. 

Nella prospettiva della capacit� contributiva, intesa come idoneit� 
soggettiva all'obbligazione di imposta, deducibile dal presupposto al quale 
la prestazione � collegata, il compito che la difesa del contribuente .si � 
assunto appare arduo, trattandosi di superare l'ostacolo della discrezionalit� 
legislativa, individuando situazioni di arbitrariet� ed irrazionalit� 
non riconducibili in alc1m modo al criterio di collegamento cui il legislatore 
si � voluto riferire. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 

In tal senso depongono, appunto, le fattispecie di illegittimit� dichiarata 
per contrasto con l'art. 53 Cost. alle quali pertanto non giova fare 
richiamo, istituendo una sorta di parallelismo con la situazione in esame. 

Nell'ipotesi del cumulo dei redditi familiari (sentenza n. 179 del 1976) 
�Osserv� la Corte che non si spiegava come e perch� un soggetto (il marito) 
dovesse presentare una maggiore capacit� contributiva per l'esistenza 
di redditi altrui di cui non era legalmente in possesso. Nelle sentenze 

n. 198 del 1976 e n. 200 del 1972 si dichiar� l'incostituzionalit� per man�
canza dell'oggetto dell'imposizione tributaria, poich� l'atto da registrare 
sostanzialmente non esisteva pi�, donde la necessit� di disporre la restituzione 
del tributo (ipotesi di sentenza sottoposta a registrazione e successivamente 
riformata e annullata). Nella sentenza n. 59 del 1970 era 
appunto macroscopica la diversit� di trattamento nell'ambito delle vendite 
all'incanto con eccettuazione del riferimento al prezzo di aggiudica:
zione solo per quelle promosse in base a mutui in denaro. 

E la stessa sentenza n. 120 del 1972, sulla quale la difesa della ricorrente 
sembra puntare particolarmente, parte dalla premessa che il necessario 
collegamento con la capacit� contributiva non esclude che la legge 
stabilisca prestazioni tributarie, a carico solidalmente oltre che del debitore 
principale anche di altri soggetti non direttamente partecipi dell'atto 
assunto come indice di capacit� contributiva, purch� l'imposizione risulti 
�1egittimata da rapporti giuridici economici, intercorrenti tra tali soggetti, 
idonei alle configurazioni di situazioni che possano giustificare razionalmente 
il vincolo obbligatorio e la sua causa. Tale decisione, quindi, in definitiva 
conferma che il legislatore pu� desumere da un rapporto giuridico 
�Od economico un collegamento valorizzando come presupposto d'imposta. 

Alla luce di questa puntualizzazione del concetto di capacit� contributiva 
e dei limiti delle sindacabilit� delle scelte del legislatore si scolorano 
le pur diligenti ed acute considerazioni della difesa della ricorrente. 

4. -Si deduce, innanzitutto, che l'art. 21, primo comma, della abrogata 
legge di registro, nell'interpretazione accolta, sarebbe in contrasto 
-con gli artt. 3 e 53 Cost. nella parte in cui pone l'imposta di consolida:
zione a carico dell'ultimo acquirente consolidante (nella specie usufruttua


rio) anzich� a carico del primo acquirente della nuda propriet�. 

L'Avvocatura dello Stato eccepisce al riguardo la irrilevanza della 

.questione, perch� nella specie non vi sarebbe stata una molteplicit� di 

trasferimenti fra soggetti diversi, ma soltanto la alienazione e la retro


cessione del diritto fra gli stessi soggetti, e trattandosi delle medesime 

parti dell'iniziale trasferimento, entrambe sarebbero comunque solidal


mente tenute al pagamento di tutte le imposte liquidate sul relativo atto. 

L'eccezione non sembra puntuale al Collegio. Nella specie � accaduto 
che l'ultima acquirente consolidante coincidesse con l'originario alienante 
�della nuda propriet� (Francesca Prina) e si sostiene che per evitare il 


248 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

VIZIO di incostituzionalit� l'imposta dovrebbe gravare in via diretta non 
su di essa ma sulla prima acquirente della nuda propriet� certa Morselli. 
E poich� in causa l'imposta � pretesa a tale titolo nei confronti della 
ricorrente se la norma fosse caducata per illegittimit� incostituzionale il 
relativo titolo verrebbe travolto. Trattandosi di individuare il soggetto 
direttamente ed immediatamente obbligato, e non quelli chiamati a 
rispondere del tributo soltanto in via solidale, non rileva che la particolare 
situazione di specie comporterebbe anche e comunque una responsabilit� 
solidale della Prina medesima. Anche ad ammettere la sussistenza 
della ipotizzata solidariet� (contestata dalla difesa della ricorrente) si deve 
osservare che in questo processo non si discute della obbligazione solidale, 
ma di quella diretta e che la modificazione del titolo giuridico non 
� pi� possibile processualmente, sicch� soltanto alla stregua del titolo 
di responsabilit� tributaria diretta la presente controversia potrebbe risolversi 
a favore della finanza salva la esperibilit� di altra azione in altro 
instaurando processo a titolo di responsabilit� solidale. 

Non vi � dubbio, infatti, che vi � diversit� di titolo fra l'essere chiamato 
a rispondere solidalmente in qualit� di originario venditore (con 
diritto di regresso) e l'essere chiamato a rispondere come consolidatario.. 

Pur essendo rilevante la questione �, peraltro, manifestamente infondata. 


Si � gi� messo in evidenza che la giustificazione dell'imposta di conso-lidazione 
discende dal rilievo che il trasferimento della nuda propriet�, 
attesa la naturale temporaneit� dell'usufrutto, � considerato dalla legge 
come un trasferimento differito della propriet� piena che viene tassatoa 
carico di colui che beneficia del trasferimento medesimo e cio� del consolidante 
il quale deve versare un'imposta corrispondente al trasferimento 
della piena propriet� al momento della consolidazione al netto di quanto 
gi� pagato per lo stesso trasferimento. 

Ora � indiscutibile che il collegamento cos� posto in essere dal legi-slatore 
presenta un minimo di razionalit� colpendo il consolidante che, 
ricostituendo in capo a s� la piena propriet�, completa la fattispecie che� 
ebbe inizio con la scissione di nuda propriet� ed usufrutto. 

Non interessano -quindi -i passaggi intermedi eventuali della nuda 
propriet� estranei all'acquisto della propriet� piena che � l'indice assuntoquale 
rivelatore della capacit� contributiva. 

L'eventuale infelicit� della scelta del legislatore, di cui si � gi� datoatto, 
non si riverbera pertanto sul piano della legittimit� costituzionale. 

Avendo il legislatore costruito la fattispecie impositiva con riferi-mento 
al momento della consolidazione della piena propriet� si comprende 
che l'accertamento del valore venga effettuato rispetto a tale� 
momento. La scelta legislativa si giustifica perch� per effetto della conso-lidazione 
si verifica la riespansione del diritto; non importa alla stregua 
dell'accolto criterio di collegamento essere il primo o l'ulteriore acqui



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 249" 

rente, venendo in rilievo soltanto la posizione (e quindi la capacit� contributiva) 
di colui in capo al quale la fattispecie si perfeziona e la nuda 
propriet� torna ad essere propriet� piena. 

Il ragionevole collegamento, di fronte al quale si arresta il sindacato� 
di legittimit� consiste, appunto nella considerazione della ineluttabile 
espansione del diritto di propriet� in capo al consolidante, non potendosi 
contestare che la vicenda della consolidazione fa corpo con quella 
che trae origine dall'iniziale trasferimento della nuda propriet�, il quale 
ben pu� essere assunto come indice concretamente rivelatore di ricchezza, 
secondo una misura che potr� magari apparire eccessiva (se raffrontata. 
al trattamento tributario del passaggio dell'intera propriet�) senza che 
per� questa pretesa eccessivit� sia suscettibile di valutazione di congruit� 
da parte del giudice delle leggi e senza che si possa validamente impostar 
un discorso in termini di eguaglianza, attesa la diversit� strutturale 
delle situazioni da raffrontare. 

Deve tenersi presente, invero, il rapporto di specialit� che intercorre� 
fra la previsione generale dell'art. 3 Cost. e quella dell'art. 53 Cost. postulante 
che l'eguaglianza informi i rapporti tributari secondo criteri di. 
proporzionalit�. 

Non giova, quindi, osservare che all'ultimo acquirente consolidante 
� riservato un trattamento tributario deteriore rispetto agli acquirenti 
intermedi, giacch� l'elemento differenziale della consolidazione vale a giustificare 
la disposizione. � 

Per il medesimo ordine di considerazioni vanno disattesi i profili 
ulteriori e subordinati di illegittimit� volti a sostenere l'irrazionalit� dell'mposizione 
a carico dell'ultimo acquirente consolidante anche della quota 
dell'imposta di registro sul primo acquisto che avrebbe dovuto gravare 
come imposta complementare sul primo acquirente e della esclusione del 
diritto di regresso dell'ultimo acquirente consolidante nei confronti del. 
primo acquirente, naturale soggetto passivo di tale imposizione. 

In sostanza si gioca sull'equivoco di ipotizzare l'irrazionalit� (e quindi 

la sindacabilit�) della scelta legislativa, sia per. quanto attiene alla deben


za dell'imposta di consolidazione, sia comunque per quanto attiene alla 

sua misura, intendendo il termine � irrazionalit� � in senso estremamente 

vago ed elastico, adducendo inconvenienti del sistema che non si risol


vono nella radicale elisione dell'evidenziato criterio di collegamento giusti


ficante l'imposizione, senza che sia dato lamentare l'eccessivit� della 

misura del tributo imposto. � 

Intesa l'imposta di consolidazione come una frazione della imposta. 

di registro sul primo trasferimento della nuda propriet� (equivalente 

potenzialmente ad un trasferimento della propriet� piena) la circostanza 

della consolidazione si presenta quale criterio costituzionalmente valido� 

di collegamento (anche se, pu�, concedersi, non ottimale) poich� chi 

consolida dimostra capacit� contributiva non soltanto per effetto dell'av



250 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

venuto acquisto della nuda propriet�, ma anche per effetto della estin.
zione dell'usufrutto e delle correlative riespansioni della nuda propriet� 
.a propriet� piena. 

Il nudo proprietario, cio�, per l'acquisto del relativo diritto, destinato 
:a riespandersi nella pienezza del domino, versa un prezzo sostanzialmente 

minore di quello della piena propriet�, in quanto scontato in considera
�zione dell'anticipato pagamento; e correlativamente a detto sconto il 
-credito di imposta si fraziona con riguardo al trasferimento della nuda 
propriet� ed alla successiva consolidazione. L'usufruttuario consolidante 
poich� vede attuarsi immediatamente la pienezza della propriet� deve 
un quid pluris con un aggancio formale autonomo che sul piano della 
legittimit� costituzionale giustifica l'aggravio. 

Non pu� quindi condividersi l'assunto che l'imposta di consolidazione 
non avrebbe una autonoma base imponibile e prescinderebbe dalla capa
�cit� contributiva dell'obbligato. 

Non � esatto che l'unico sistema di tassazione razionale, rispettoso 
-dei principi di eguaglianza dei cittadini e della proporzionalit� di carichi 
tributari, sia quello adottato dall'attuale legislatore (tassazione del solo 
valore della nuda propriet� trasferita e soppressione dell'imposta di con
�solidazione) poich� anche quello precedente, pur essendo meno felice; 
non si presenta scevro di una qualsivoglia misura di razionalit�, n� 
:appare determinante in senso contrario il rilievo che l'imposta di consoli
�dazione addebitata all'ultimo acquirente, sommata con quella dovuta 
�sul valore della nuda propriet�, non dovrebbe mai superare l'imposta 
�di registro ragguagliata al valore della propriet� giacch� ancora una volta 

si confondono le soluzioni pi� appaganti in termini di equit� e linearit� 
�del sistema, con quelle meno soddisfacenti ma pur sempre riconducibili 
:al rispetto dell'art. 53 Cost. alla stregua di un collegamento che privilegia 
la consolidazione a costo di comportare in certi casi e non come conseguenza 
ineluttabile; un carico tributario oggettivamente maggiore che 
�peraltro dipende da un presupposto formalmente diverso. 

N� ci si sottrae all'ambito della insindacabilit� delle scelte legislative 
tentando di impostare un discorso in termini di esclusivo riferimento al 
principio di eguaglianza, stante la disparit� di trattamento del primo 

:acquirente della nuda propriet� e di un acquirente successivo� della 
medesima in occasione della consolidazione (nel senso che, mentre per 
il primo acquirente la detrazione ai fini della futura consolidazione riguar
�derebbe il prezzo da lui pagato, per il successivo acquirente, riguarderebbe 
il prezzo pagato dal primo dei suoi danti causa). 

Invero la situazione del primo e dei successivi acquirenti della nuda 
propriet� � diversa ai fini dell'imposta di consolidazione, che riguarda la 
vicenda di costituzione ed estinzione dell'usufrutto, concernendo esclusivamente 
i soggetti cui tali eventi si riferiscono. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 251 

Se tali soggetti coincidono (primo acquirente consolidante) la tassazione 
della consolidazione avr� riferimento al prezzo pagato dal consolidante 
per l'acquisto della nuda propriet�; se invece non vi � coincidenza, 
perch� la nuda propriet� ha subito diversi trasferimenti, la materia tassabile 
rimane sempre la stessa, poich� i trasferimenti intermedi sono 
estranei ad essa e, naturalmente il prezzo da detrarre (che � quello relativo 
alla costituzione dell'usufrutto), non sar� pi� quello pagato dal consolidante. 


La diversit� della situazione da raffrontare esclude, pertanto, che 
possa essere utilmente invocato il principio di eguaglianza per ipotizzare 
identit� di trattamento giuridico. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 giugno 1980, n. 3593 -Pres. Mirabelli Est. 
Scansano -P. M. Caristo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Angelini Rota) c. Neri (avv. Fusco). 

Tributi erariali diretti -Soggetti passivi -Liquidatore di societ� -Liquidatore 
di fatto -Sussiste. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265). 
La responsabilit� del liquidatore di societ� stabilita nell'art. 265 del 

t.u. delle imposte dirette opera ogni volta che la societ� entri concretamente 
nella fase di liquidazione delle attivit� e sussiste a carico di coloro 
ai quali sia stata demandata la liquidazione, anche in difetto di f armale 
investitura (1). 
(omissis) L'esame di ricorso, da parte del Collegio, va limitato pertanto 
al secondo motivo, con cui si denuncia violazione dell'art. 265 t.u. 
29 gennaio 1958, n. 645 e correlata omissione d'esame di punto decisivo; 
Secondo l'Amministrazione ricorrente, la responsabilit� prevista da tale 
norma a carico dei liquidatori, che non paghino le imposte dovute dalla 
societ�, sussisterebbe non solo a carico dei liquidatori formalmente nominati, 
ma anche a carico degli amministratori .che abbiano compiuto di 
fatto attivit� di liquidazione ed anche nel caso in cui a tale attivit� 
sia poi seguita la formale nomina di un liquidatore. 

La censura � fondata. 

La questione prospettata � stata esaminata pi� volte da questa Corte 

e. risolta nel senso che la responsabilit� personale prevista dall'art. 265 
(1) � ormai con.solidato il princ1p10 della responsabilit� dei liquidatori. di 
fatto, afferm�to con le sentenze 2 agosto 1977, n. 3411; 14 marzo 1978, n. 1273 
e 10 giugno 1978, n. 2927, in questa Rassegna, 1977, I, 699 e 1978, I, 478. � 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

citato opera sempre che la societ� entri concretamente nella fase di 
liquidazione delle attivit�, e sussiste a carico di tutti coloro ai quali 
venga demandata la gestione di quella fase anche in difetto di formale 
investitura (sentenze nn. 3411/77, 1273/78, 2766/78). Da ultimo le Sezioni 
Unite hanno ribadito e precisato che la detta norma si riferisce a tutti 
coloro che, pur in mancanza di formale investitura, si siano concretamente 
occupate della realizzazione del patrimonio sociale, al fine di distribuire 
gli eventuali residui fra gli aventi diritto e quindi anche all'amministratore 
che abbia in effetti compiuto attivit� di liquidazione prima 
del formale ristaurarsi della liquidazione medesima e della nomina di altri 
come liquidatore (v. sent. 9 giugno 1978, n. 2925). 

L'orientamento espresso da tali sentenze � presidiato da valide ragioni. 

� bens� vero che l'art. 265 del citato testo unico fa riferimento, nel 
primo comma, alla responsabilit� dei �liquidatori� e che il secondo comma 
rende applicabile la disposizione agli amministratori � se non si sia 
provveduto alla nomina dei liquidatori �. Ma dedurre da ci� le conclusioni 
cui � giunta la Corte del merito, significa valorizzare esclusivamente, 
e neppure compiutamente, la mera lettera della legge. Gi� sul piano puramente 
letterale, invero, va considerato che la disposizione anzidetta, pur 
facendo riferimento ai liquidatori ed agli amministratori -:rispettivamente 
nel primo e nel secondo comma -s'intitola � responsabilit� dei 
liquidatori� (con un'espressione comprensiva di entrambe le ipotesi contemplate 
nei due commi) come a significare che la situazione cui la legge 
ricollega l'obbligo di pagare personalmente le imposte dovute dalla societ� 
si realizza nei confronti non dei soggetti che formalmente abbiano rivestito 
una certa qualifica ma di coloro che abbiano compiuto operazioni 
obiettivamente concretanti un'attivit� di liquidazione. In tale senso � 
esatto il rilievo della ricorrente, secondo cui nella norma il termine � liquidatori 
� � assunto non come indicativo di una certa categoria di persone 
identificabili in base ad una qualifica formale, ma come indicativo degli 
autori di una certa attivit�: cio� l'attivit� di liquidazione, il cui esaurimento 
appunto -considerato nella sua obiettivit�, indipendentemente 
dalla qualifica del soggetto che l'ha realizzato -pu� pregiudicare, o rendere 
pi� difficile, la riscossione delle imposte non pagate. 

Questi rilievi rispondono anche alla ratio della legge, che � dichiaratamente 
quella di rafforzare la esigibilit� delle imposte dovute dai soggetti 
alla cui estinzione normalmente non segue una successione, e di 
evitare che tali imposte possano rischiare di rimanere insolute o possano 
essere riscosse solo attraverso il pi� complesso congegno stabilito 
-quanto alle societ� -dagli artt. 2312 e 2456 cod. civ. E se cosi �, 
deve appunto ritenersi che il legislatore, pur facendo riferimento -adeguarsi 
allo schema normale della vicenda estintiva dei soggetti tassabili 
in base al bilancio -ai liquidatori (ed agli amministratori, per il 
caso di mancata nomina dei liquidatori), ha assunto come oggetto della 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

previsione normativa il fenomeno reale che di fatto pregiudica la riscossione 
del credito d'imposta, rendendo responsabile in proprio l'effettivo 
autore del pregiudizio relativo. 

La contraria opinione della corte del merito eondurrebbe a ritenere 
che gli amministratori, pur avendo compiuto la liquidazione ed 
omesso di pagare, con le attivit� relative, le imposte dovute dalla societ�, 
e pur avendo cos� realizzato la fattispecie cui il coordinato disposto 
dei due commi dell'art. 265 ricollega la loro personale responsabilit�, 
possano poi rimanere esenti da questa, solo che si faccia luogo 
alla nomina di liquidatore cui non residui altro compito che quello di 
provvedere ad adempimenti puramente formali. La relativa -palesemente 
inaccettabile -conseguenza sarebbe non gi� un mero inconveniente 
(come suppone la detta corte), ma il frutto di una conclusione 
chiaramente contraria allo spirito della legge. 

Una disciplina coerente con l'interpretazione qui accolta � stata 
dettata espressamente dall'art. 36 del nuovo testo sulla riscossione 
delle imposte sul reddito (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602). Esso pu� 
fornire argomento per la soluzione del caso, non in quanto norma di 
natura interpretativa (sarebbe vano, infatti, ricercare enunciazioni di 
un intento interpretativo in un testo che abroga espressamente la norma 
che si vorrebbe vedere interpretata: v. art. 104 del citato d.P.R.), ma 
in quanto norma dettata (in forma pi� completa e articolata) a tutela 
di una medesima immutata esigenza. 

Il ricorso pertanto deve essere accolto, con rinvio della causa ad 
altra Sezione della Corte d'appello di Roma, la quale si uniformer� al 
seguente principio di diritto: ai sensi dell'art. 265 del t.u. 29 gennaio 
1958, n. 645, la responsabilit� personale per le imposte dovute dai soggetti 
tassabili in base al bilancio sussiste anche a carico degli amministratori 
che abbiano di fatto compiuto attivit� di liquidazione omettendo 
di pagare, con il relativo realizzo, le imposte predette, e non � 
esclusa dal fatto che successivamente si sia provveduto alla formale 
nomina di un liquidatore. 

Il giudice di rinvio proceder� all'indagine di merito dalla quale la 
Corte d'appello si � ritenuta dispensata; cio� accerter� se il Neri abbia 

� di fatto provveduto alla liquidazione della societ� e realizzato attivit� 
che consentissero il pagamento delle imposte, e se sussistano quindi i 
presupposti della responsabilit� personale ravvisata a suo carico dall'Intendente 
di Finanza. (omissis) 


SEZIONE SETTIMA 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 dicembre 1980, n. 6489 -Pres. MiraSEZIONE 
SETTIMA 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 dicembre 1980, n. 6489 -Pres. Mirabelli 
-Rei. R. Sandulli -P. M. Antoci (conf.). -Azienda autonoma F.S. 
(avv. Stato De Francisci) c. Condominio dell'edificio in Finale Ligure 
via Caviglia 63-65 ed altri (avv. Romanelli e Vigotti) e S.p.A. 
l.CO.RI. (avv. De Cordova). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Danni ai terzi -Responsabilit� dell'appaltatore 
-Concorrente responsabilit� del committente -Presupposti 
e limiti. 
(Cod. civ., artt. 1655 e 2043; r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 118)1. 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Contratti delle F .S. -Clausola di 
manleva -Nullit� � Non sussiste. 
(Cod. civ., artt. 1229, 1418 e 1883). 

In tema di appalto di opere pubbliche -pur essendo, di regola, 
l'appaltatore, in virt� della sua autonomia, l'unico responsabile dei danni 
da lui eventualmente cagionati a terzi nella costruzione dell'opera appaltatore 
ed amministrazione committente sono da ritenere corresponsabili 
dei danni derivati dall'esecuzione di direttive della committente o 
del progetto da essa predisposto, quando la libert� di decisione dell'appaltatore 
nell'esecuzione dei lavori non sia stata completamente 
neutralizzata dall'ingerenza dell'amministrazione (1). 

La clausola di manleva inscritta nei contratti di appalto di lavori e 
servizi per le ferrovie dello Stato, non pu� ritenersi v,ietata dall'art. 1229 

(1) Nello stesso senso, cfr. Cass., 3 novembre 1978, n. 5133, in Riv. Giur. 
Circ. Trasp., 1973, 245; Trib. Sup. Acque, 25 febbraio 1978, n. 11, in questa Rassegna, 
1978, I, 762; Cass., 13 aprile 1977, n. 1385, in Giust. civ. Mass., 1977, 599; Cass., 
18 novembre 1974, n. 3668, in Giust. civ. Mass., 1974, 1586; Cass., 3 giugno 1967, 
n. 1218, in Foro amm., 1967, I, 1, 533. 
In tema di responsabilit� dell'appaltatore verso i terzi per danni ricollegabili 
a vizi del progetto predisposto o fatto predisporre dal committente, cfr. 
in dottrina, RUBINO, L'appalto, in Trattato di diritto civile diretto da F. Vassalli 
(con note di E. MOSCATI}, UTET, Torino, 1980, pag. 627 ed ivi diffusi richiami 
di dottrina e giurisprudenza; sul connesso tema dei rapporti tra appaltatore 
e committente in ordine alla esecuzione del progetto fornito dal secondo, cfr. 
anche, in questa Rassegna, 1977, I, 576, Trib. Roma, 14 marzo 1977, n. 2338. 

(2) Nello stesso senso, Cass., 13 maggio 1977, n. 1896, in questa Rassegna, 
1977, I, 638. 

�


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 255 

cod. civ. ed � quindi valida a condizione, per�, che il terza e perci� 
l'appaltatore, su cui vengono riversati gli oneri derivanti dalla responsabilit� 
dell'amministrazione, vi abbia un interesse, in difetto del quale 
il patto sarebbe nullo per mancanza o illiceit� della clausola, secondo 
il disposto dell'art. 1418 cod. civ. (2). 

(omissis) I due ricorsi, separatamente proposti, contro la medesima 
sentenza, dall'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato e dalla Societ� 
I.CO.RI., vanno riuniti, a norma dell'art. 335 cod. proc. civ., sotto il 
pi� antico numero di ruolo. 

L'unico motivo del ricorso dell'Azienda delle Ferrovie dello Stato ed 

il secondo motivo del ricorso della Societ� I.CO.RI., attenendo al me


desimo problema della responsabilit� concorrente del committente e 

dell'appaltatore dell'opera pubblica (o esclusiva di uno di essi) per i 

danni cagionati ai terzi nel corso dei lavori, vanno esaminati con


giuntamente. 

Con l'unico motivo, l'Amministrazione Ferroviaria dello Stato -de


nunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 .e segg., 1659, 

2043 e 2055 cod. civ., con riferimento agli artt. 342 e segg. della legge 

20 marzo 1865, n. 2248, all. F e 360 n. 3 cod. proc. civ., nonch� l'in


sufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) 


si duole che la Corte del merito abbia ritenuto la responsabilit� con


corrente, in ordine ai danni cagionati ai terzi nel corso dei lavori, per 

un errore di progettazione dell'opera affidata in appalto e per la in


sufficienza dell'attivit� direttiva dei lavori, sostenendo che -avendo 

riconosciuto che la societ� appaltatrice godeva di una notevole auto


nomia nell'esecuzione dei lavori e non era vincolata dal progetto -la 

Corte avrebbe dovuto ritenere che la stessa, non avendo rilevato il vizio 

del progetto e non avendo proposto le opportune varianti, fosse esclu


sivamente responsabile dei danni, anche se dipendenti dalle direttive 

ricevute e dai vizi del progetto. 

Con il secondo motivo del suo ricorso, la Societ� I.CO.RI. -de


nunciando la violazione degli artt. 1655, 1669, 2043 e 2049 cod. civ., 99, 

100 e 116 cod. proc. civ., nonch� l'omessa, insufficiente e contraddittoria 

motivazione e l'omesso esame di punti decisivi -censura la sentenza 

impugnata, la quale -dopo avere individuato la colpa dell'Amministra


zione ferroviaria nell'errore della progettazione e nella insufficiente atti


vit� di direzione dei lavori -avrebbe erroneamente affermato la sua 

responsabilit� concorrente nella produzione dei danni ai terzi, sul ri


flesso che essa avesse il dovere di rilevare il vizio del progetto e di 

proporre le opportune varianti, affinch� fosse garantita la sicurezza degli 

edifici sovrastanti la galleria. 

Ambedue i motivi, con i quali si lamenta, da entrambe le parti 

ricorrenti, dai rispettivi contrastanti punti di vista, che la Corte del 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

merito abbia ravvisato nella causazione dei danni a terzi la loro responsabilit� 
concorrente (e non la responsabilit� esclusiva della controparte), 
sono privi di fondamento. 

Il problema proposto, relativo alla corresponsabilit� dell'appaltatore 
e del committente per i danni cagionati ai terzi nell'esecuzione 
dell'opera a causa dei vizi del progetto e degli errori delle direttive 
del committente, attiene ai limiti di compatibilit�, in tema di appalti 
di opere pubbliche destinate alla soddisfazione di interessi collettivi, 
tra l'autonomia dell'attivit� dell'appaltatore e l'ingerenza della pubblica 
amministrazione, che trova il suo fondamento nell'art. 118 del r.d. 23 maggio 
1924, n. 827 (regolamento per l'Amministrazione del patrimonio e per 
la contabilit� generale dello Stato), (il quale, nel primo comma, prescrive 
che � nei regolamenti speciali di ciascun servizio si stabiliscono 
le cautele di assistenza, vigilanza e direzione necessarie per assicurare 
la buona esecuzione delle forniture, dei trasporti e lavori secondo la 
diversa natura loro) e si estrinseca (non allo scopo di una generica 
vigilanza) con un'assistenza intensa e continua anche mediante l'eserciziQ 
di poteri dispositivi, nel campo dell'esecuzione dei lavori, sotto 
un aspetto puramente tecnico e sotto un profilo di carattere tecnicoamministrativo. 


Invero -non potendo l'ingerenza della pubblica amministrazione 
spingersi sino ad annullare ogni funzione dell'appaltatore -trattasi di 
stabilire, ai fini della determinazione dei limiti di coesistenza fra 
l'autonomia dell'appaltatore e la ingerenza dell'amministrazione, il segno 
oltre il quale non � consentito a questa d'intromettersi nell'attivit� di 
esecuzione dei lavori. 

L'ingerenza dell'amministrazione committente, non essendo destinata 
ad incidere sull'obbligazione fondamentale dell'appaltatore di -eseguire 
l'opera secondo il contratto e le regole dell'arte, non vale, quindi, 
ad escludere la sua responsabilit�, essendo l'appaltatore tenuto (oltre 
che al dovere di prendere, indipendentemente dagli interventi dell'amministrazione, 
le opportune iniziative per eseguire l'opera) ad un dovere 
di controllo sugli atti in cui si esplica l'ingerenza dell'amministrazione 
ed a contestare conseguentemente quelli che a suo giudizio siano incompatibili 
con la regolare e puntuale esecuzione e che perci� incidano 
sulla sua responsabilit� di prestare il risultato promesso. 

E -dovendo tale controllo essere esercitato in tutti i campi in cui 
si espli�a l'ingerenza dell'amministrazione e, quindi, sia nei confronti 
delle prescrizioni tecniche impartite, tramite il direttore dei lavori, in 
corso di esecuzione sia nei confronti del progetto, la cui compilazione 
costituisce la prima forma di ingerenza dell'amministrazione -l'appaltatore 
� tenuto a segnalare le carenze, i vizi e gli errori che riscontri 
nelle direttive e nel progetto (cfr. Cass., sent. 11 aprile 1975, n. 1378), 
con la conseguenza che la loro mancata segnalazione la induca in 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

responsabilit�, in ordine ai danni prodotti ai terzi per i difetti che ne 
derivano all'opera. 

Inoltre -poich� il mancato accoglimento delle segnalazioni da 
parte dell'amministrazione, che insista nel suo atteggiamento impositivo 
dei termini del progetto e delle direttive tecniche, pur facendo 
cessare la responsabilit� dell'appaltatore verso la committente, non ne 
fa venir meno la responsabilit� verso i terzi n� quella che rivesta 
carattere penale dovendo l'appaltatore, in tale ipotesi, rifiutarsi di eseguire 
l� prescrizioni e le direttive tecniche, impostegli, in origine, mediante 
la progettazione ed, in corso di esecuzione, attraverso la direzione 
dei lavori -la responsabilit� dell'appaltatore in ordine ai danni 
derivanti ai terzi, per vizi rilevabili del progetto e per la riscontrabile 
erroneit� tecnica delle prescrizioni nel capitolato speciale e impartite in 
corso di esecuzione, pur essendo attenuata, sussiste accanto a quella 
dell'amministrazione committente. 

E -non essendo agevole stabilire aprioristicamente i limiti in cui 
le due responsabilit�, interferendo fra loro, operano -il problema da 
risolvere, caso per caso, con riferimento alle circostanze della ipotesi 
concreta, � quello relativo alla conciliazione della responsabilit� dell'appaltatore 
con la ingerenza ed i poteri dispositivi riservati alla pubblica 
amministrazione. 

Nel caso di specie, la Corte d'appello -avendo ritenuto, con accertamento 
di fatto, insindacabile in questa sede, per avere a supporto 
uno svolgimento motivazionale adeguato e corretto, esente da vizi logici 
e da errori giuridici, che la responsabilit� dell'amministrazione ferroviaria 
doveva individuarsi in un vizio del progetto ed in un'insufficiente attivit� 
direttiva dei lavori, sotto il riflesso che, sia nella fase di studio e 
di elaborazione sia in quella di realizzazione, non era stato intuito che 
la natura e le condizioni dei luoghi richiedevano l'adozione di un sistema 
di particolari cautele e che la responsabilit� della societ� appaltatrice, 
la cui autonomia non era stata neutralizzata dall'ingerenza della 
committente, andava identificata nell'inosservanza del dovere di rilevare 
gli errori e le insufficienze del progetto e di proporre le opportune 
varianti per garantire la sicurezza e gli interessi dei terzi -ha correttamente 
dichiarato la corresponsabilit� dell'Amministrazione committente 
e della ditta appaltatrice riguardo ai danni derivanti agli stabili 
sovrastanti la galleria costruenda. 

Invero, tale statuizione giudiziale risulta pienamente conforme al 
principio di diritto, pi� volte affermato dalla Corte Suprema (cfr. sent. 
13 aprile 1977, n. 1385; sent. 18 novembre 1974, n. 3668), secondo cui, in 
tema di appalto di opere pubbliche -pur essendo, di regola, l'appaltatore, 
in virt� della sua autonomia, l'unico responsabile dei danni da 
lui eventualmente cagionati a terzi nell'esecuzione dell'opera -deve 
ritenersi che l'appaltatore e l'amministrazione committente siano cor



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

responsabili dei danni derivati dall'esecuzione di direttive della committente 
o del progetto da essa predisposto, quando (come nella fattispecie) 
la libert� di decisione dell'appaltatore nell'esecuzione dei lavori 
non sia stata completamente neutralizzata dall'ingerenza dell'amministrazione. 


L'unico motivo del ricorso dell'Azienda Ferroviaria ed il secondo 
motivo del ricorso della societ� appaltatrice sono, quindi, da disattendere. 


Con il primo motivo, la societ� I.CO.RI. -denunciando la violazione 
degli artt. 1229, 1343, 1371, 1883 cod. civ., nonch� l'omessa, insufficiente 
e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia 
-lamenta che la Corte del merito -dopo avere affermato, 
in linea astratta, la validit� della clausola di manleva, materialmente 
inserita nei contratti di appalto stipulati dalle Ferrovie dello Stato e la 
sua compatibilit� con gli artt. 1229 e 1883 cod. civ. -abbia ritenuto 
valida ed efficace la clausola di manleva; contenuta nell'art. 110 del 
contratto di appalto, intesa in senso onnicomprensivo, ricomprendente, , 
cio�, non solo i danni causati dall'esecuzione dei lavori, ma anche quelli 
(conseguenti alla mancata adozione di cautele ed accorgimenti atti ad 
evitare pregiudizi a terzi) estranei all'esecuzione dei lavori appaltati. 

Sostiene che la mancanza dell'interesse dell'assuntore, dovuta alla 
lata estensione assegnata alla garanzia, determini la nullit� del patto di 
manleva. 

Denunzia, inoltre, il vizio di contraddittoriet� della motivazione della 
sentenza impugnata, la quale -dopo avere ritenuto che gli � oneri e le 
soggezioni� -contemplati nell'art. 110 erano compresi nei prezzi indicati 
in contratto -avrebbe affermato che l'interesse della societ� appaltatrice 
a prestare una garanzia cos� vasta fosse correlata, oltre che 
alla pattuizione di un prezzo fisso, alla possibilit� di ottenere maggiori 
corrispettivi. 

Il motivo � iI;ifondato. 

Secondo la tesi della ricorrente -essendo stati erroneamente ricompresi 
dalla garanzia non solo i danni causati dalla esecuzione dei 
lavori di costruzione della galleria, ma �nche quelli conseguenti alla. 
mancata adozione di eccezionali misure atte ad evitare pregiudizi agli 
stabili sovrastanti la galleria, per i quali non ,sarebbe stata prevista 
alcuna controprestazione -la clausola di manleva sarebbe nulla per 
difetto di interesse dell'appaltatore. 

La Corte d'appello -dopo avere ritenuto che l'interpretazione delle 
clausole 109 e 110 del contratto di appalto portava a ritenere che all'impresa 
appaltatrice era stato riservato un sicuro margine di iniziativa 
e di libert� nell'esecuzione e nell'organizzazione di lavori e che 
ineccepibile appariva la decisione di primo grado in ordine alla responsabilit� 
della societ� appaltatrice per essere questa, anche in virt� della 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 25!} 

sua particolare competenza tecnica e della specializzazione nel ramodelle 
costruzioni di opere pubbliche, in grado di rilevare il vizio del 
progetto e di proporre le opportune varianti per garantire fa sicurezza 
degli edifici sovrastanti la galleria -passando ad esaminare la validit� 
e l'efficacia della clausola di manleva alla luce dei rilievi avan-zati 
dall'appaltatrice (ora riproposti in cassazione), ha ritenuto che i danni 
oggetto di causa rientrassero nella previsione dei contraenti sia perch�si 
erano verificati in dipendenza dell'esecuzione dei lavori sia perch� 
l'onere assunto dall'appaltatrice era strettamente connesso con le altre 
clausole contenute negli artt. 109 e 110 del contratto di appalto,. s� 
che il patto di manleva si estendeva a qualunque fatto cagionato dall'omessa 
o imperfetta adozione degli accorgimenti e delle cautele necessarie 
per assicurare la stabilit� degli edifici, ed ha osservato che,. 
se in forza dell'ultimo comma dell'avvertenza in calce dell'art. 110 del 
capitolato gli �accorgimenti e soggezioni� contemplati nei primi quattro 
commi dovevano intendersi compresi nei prezzi indicati negli artt. 109 
e 110, tale disposizione non era preclusiva del diritto dell'appaltatrice 
di richiedere ed ottenere la corresponsione dei prezzi supplettivi quando 
le lavorazioni non previste imponevano un sacrificio finanziario tale da 
alterare l'equilibrio economico del contratto, onde l'interesse dell'appaltatrice 
a prestare siffatta lata garanzia era correlato, oltre che alla 
pattuizione di un prezzo fisso, alla possibilit� di ottenere maggiori 
corrispettivi ed andava, quindi, rapportato al complesso dei vantaggi 
derivanti dalla conclusione del contratto. 

In base a tale svolgimento argomentativo, compiuto e conducente(
e non contraddittorio, come si assume dalla ricorrente), la Corte del 
merito � pervenuta alla conclusione della validit� della clausola di 
manleva, sul riflesso che, nel caso di specie, ricorresse l'interesse del-� 
l'impresa appaltatrice, identificabile non solo in relazione allo specificomaggiore 
corrispettivo, ma con riferimento all'intera economia del con-tratto. 


E tale soluzione appare indubbiamente corretta, per essere rispon-dente 
ai princ�pi giuridici che regolano il patto di manleva inserito in 
contratto di pubblico appalto e per avere a supporto una motivazionecongrua 
ed esente da vizi logici. 

La questione della validit� della cosiddetta clausola di manleva (nor-malmente 
inserita nei contratti di appalto di lavori e servizi per le ferrovie 
dello Stato) � stata altre volte affrontata da questa Corte ed � 
stata sempre risolta nel senso che non pu� ritenersi vietata dall'art. 1229 
cod. civ. ed �, quindi, valida la clausola di manleva, con la quale,. 
lasciando ferma la responsabilit� dell'amministrazione, si consente a. 
quella di riversare (su altri e anche) sull'appaltatore gli oneri derivanti 
dalla propria responsabilit� -a condizione, per�, che il terzo, assuntore 
di tali oneri, vi abbia un interesse, in difetto del quale il patto



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

260 

sarebbe nullo per mancanza o per illiceit� della causa (art. 1418 cod. 
�civ.) (cfr. Cass., 13 maggio 1977, n. 1896; sent. 7 aprile 1976, n. 1213; 
sent. 6 agosto 1974, n. 2348; sent. 26 giugno 1973, n. 1853; sent. 1� agosto 
1970, n. 1756). 

Invero -operando nei soli rapporti fra danneggiante e danneggiato 
il divieto dei patti di esonero o di limitazione della responsabilit� 
-sancito dall'art. 1229 cod. civ., la cui ragione giustificativa va individuata 
nella finalit� di tutelare la posizione creditoria e di evitare che sia 
ingiustamente privilegiata la posizione debitoria -una volta assicurata 
la tutela del danneggiato, la liceit� del patto, che trasferisce su un terzo 
l'onere del risarcimento, non incontra l'ostacolo dell'art. 1229 cod. civ. 

E -poich� l'interesse che vale a giustificare la clausola di manleva 
risiede nel complesso dei vantaggi assicurati al contraente dell'appalto 
~. quindi, nell'intera economia del contratto (quando, ai fini della determinazione 
del prezzo, si sia tenuto conto degli oneri relativi) -deve 
ritenersi che, nel caso di specie, correttamente la Corte del merito abbia 
assegnato alla clausola di manleva un ambito comprensivo dei danni 
�conseguenti alla mancata adozione degli accorgimenti atti ad evitare 
pregiudizi a terzi ed abbia riconosciuto la validit� e l'efficacia della 
-stessa, sulla considerazione che -essendo previste nel capitolato di 
appalto disposizioni volte a conservare, in caso di lavori non considerati 
-comportanti particolari sacrifici economici, mediante la corresponsione 
di compensi supplettivi, l'equilibrio economico del contratto -ricorresse 
l'interesse dell'impresa appaltatrice alla stipula del patto di garanzia. 


Anche il primo motivo del ricorso della societ� I.CO.RI. �, quindi, 
�da disattendere. (omissis) 

-CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 gennaio 1981, n. 53 -Pres. Sposato -
Rel. R. Sandulli -P. M. Grimaldi (conf.). -Comune di Messina (avv. 
Scarcella) c. Marullo (avv. Greco e Gatto) e Ministero dei lavori 
pubblici (avv. Gen. Stato). 

�Espropriazione per pubblica utilit� -Stima -Opposizione -Applicazione 
di criterio indennitario diverso da quello seguito nel procedimento 
amministrativo -Possibilit� -Esclusione. 
(legge 28 luglio 1967, n. 641, art. 14; legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 9 e segg.; legge 
25 febbraio 1972, n. 13, art. 1-ter). 

Nel giudizio di opposizione alla stima, i criteri, in base ai quali 
dev'essere determinata l'indennit� spettante al proprietario espropriato, 
non possono essere che quelli considerati nella legge secondo la quale 
.si � svolto il procedimento espropriativo ed � stato emesso il provvedimento 
ablatorio, non essendo consentito al giudice di sostituire, al 
.criterio fissato dalla legge che regola il procedimento in concreto svol


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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 261 

.tosi, un criterio stabilito da altre leggi di cui si assume che la pubblica 
amministrazione avrebbe dovuto avvalersi per far luogo all'espropriazione 
(1). 

(omissis) Con il primo motivo del ricorso incidentale, il Ministero 
dei Lavori Pubblici -denunciata la violazione degli artt. 14 della legge 
18 luglio 1967, n. 641 e 9 segg. della legge 22 ottobre 1971, n. 865, interpretata 
dall'art. 1-ter della legge 25 febbraio 1972, n. 13 -si duole che 
la Corte del merito non abbia applicato, ai fini della determinazione 
dell'indennit� di espropriazione il criterio fissato dalla legge 22 ottobre 
1971, n. 865, vigente all'epoca dell'espropriazione. 

La censura � infondata. 

La Corte del merito -essendo intervenuta l'espropriazione in base 
.alla legge 25 giugno 1865, n. 2359 -ha correttamente applicato, ai fini 
della liquidazione della indennit� di espropriazione, il criterio determinativo 
stabilito dagli artt. 39 e segg. della legge fondamentale n. 2359 
del 1865, in correlazione agli artt. 12 e 13 della legge 15 gennaio 1885, 

n. 2892 (Risanamento della citt� di Napoli), richiamati dall'art. 14, ultimo 
comma, della legge 28 luglio 1967, n. 641. 
Invero -indipendentemente dalla circostanza che i commi 5, 6 e 7 
dell'art. 16 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento 
dell'edilizia residenziale pubblica: cosiddetta legge sulla casa), 
come modificati dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme 
per la edificabilit� dei suoli}, sono stati espunti dall'ordinamento giuridico, 
in quanto dichiarati incostituzionali con la sentenza n. 5 del 
30 gennaio 1980 della Corte Costituzionale -va osservato che, secondo 
la costante giurisprudenza della Corte Suprema, nel giudizio di opposizione 
alla stima, i criteri, in base ai quali dev'essere determinata l'indennit� 
spettante al proprietario espropriato, non possono essere che 
,quelli considerati nella legge secondo la quale si � svolto il procedimento 
espropriativo ed � stato emesso il provvedimento ablatorio, non essendo 
.consentito al giudice di sostituire, al criterio fissato dalla legge che 

(1) Nello stesso senso, cfr. Cass., 13 dicembre 1980, n. 6457, in Giust. civ., 
1981, I, 480; Cass., 1� agosto .1980, n. 4905, in Giusi. civ. Mass., 1980, 2076; Cass., 
'6 marzo 1980; n. 1507, ivi, 1980, 647; Cass., 10 gennaio 1980, n. 183, ibidem, 1980, 86. 
La decisione in rassegna e quelle richiamate si basano su un principio, la 
cui riaffermazione � costante nella giurisprudenza della cassazione ed in ordine 
al quale cfr. P. VITTORIA, Dichiarazione di pubblica utilit�, connessi criteri di 
determinazione dell'indennit� di espropriazione e � ius superveniens �: l'applicazione 
della legge 27 giugno 1974, n. 247 nel giudizio di opposizione alla stima, 
in questa Rassegna, 1979, I, 77. 

Sull'argomento va ancora segnalata Cass., Sez. Un., 12 marzo 1980, n. 1643 
in Giust. civ., 1980, I, 1279 con nota di richiami, nella cui motivazione si accenna 
.all'eventualit� di una riconsiderazione dell'orientamento giurisprudenziale in 
esame nei casi di espropriazioni successive alla legge 27 giugno 1974, n. 247. 



262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

regola il procedimento in concreto svoltosi, un criterio stabilito da altre 
leggi di cui, secondo l'assunto dell'espropriato, la pubblica amministrazione 
avrebbe dovuto avvalersi per far luogo all'espropriazione. 

E ci� in quanto, nella scelta dei mezzi giuridici idonei al consegui-mento 
della finalit� pubblicistica, come nella determinazione dell'opera 
da eseguire e dei beni da espropriare, la pubblica amministrazione esercita 
un potere discrezionale e, non potendo tale esercizio essere sindacato 
da parte del giudice ordinario, non sono proponibili innanzi ad 
esso questioni relative alla scelta della procedura espropriativa adottata 

o circa la legge che, invece di quella relativa al tipo di procedimento 
posto in essere, avrebbe potuto, in ipotesi, trovare applicazione. 
E, pertanto, mentre la tutela del diritto soggettivo, concernente la 
liquidazione dell'indennit� di espropriazione, consiste nel controllo da 
parte del giudice ordinario di tale liquidazione alla stregua delle disposizioni 
della legge in base alla quale l'espropriazione � avvenuta,. 
ogni questione circa la scelta del procedimento espropriativo e dei relativi 
criteri per la determinazione dell'indennit�, in quanto diretta a far 
valere un'eventuale lesione dell'interesse legittimo del cittadino, non pu� 
che essere dedotta innanzi al giudice amministrativo. Diversamente opinando, 
il giudice ordinario opererebbe non una disapplicazione, ma una 
modificazione dell'atto amministrativo in violazione dei limiti posti all'esercizio 
dei suoi poteri dall'art. 4, secondo comma, della legge 20 marzo 
1865, n. 2248, all. E, sull'abolizione del contenzioso amministrativo. 

Per modo che, nel caso di specie -essendo stata operata l'espropriazione 
in base alla legge 25 giugno 1865, n. 2359 -deve ritenersi che 
correttamente la Corte d'Appello abbia fatto applicazione, ai fini della 
determinazione della indennita di esproprio, del criterio stabilito dagli 
artt. 39 e segg. della legge fondamentale del 1865 (in correlazione agli 
artt. 12 e 13 della legge n. 2892 del 1885). 

Il primo motivo del ricorso incidentale, � quindi, da disattendere.. 

(omissis) 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 19 gennaio 1981, n. 4 -Pres. Tamburino 
-Rel. Cortese -Azienda municipalizzata acque Palermo (avv. 
Angelucci) c. Prefetto di Palermo (Avv. Gen. Stato). 

Acque pubbliche ed elettricit� -Acqua oggetto di concessione -Requisizione 
-Condizioni di ammissibilit�. 

(t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 43; legge 29 marzo 1865, n. 2248, ali. E, art. 7). 
Il prefetto pu�, ex art. 7 legge 29 marzo 1865, n. 2248, All. E, di


sporre la requisizione di acque pubbliche oggetto di concessione non 
sul solo presupposto di un'eccezionale deficienza di acqua e a tutela 

PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MAmRIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 263 

-di pubblici interessi, ma allorch� ricorrano fatti imprevedibili che impongano 
la necessit� di provvedimenti extra ordinem. In mancanza di 
tali presupposti, ad esigenze di carattere ricorrente pu� provvedersi nei 
.modi posti dall'art. 43, ultimo comma, t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 (1). 

(omissis) Il ricorso � fondato e merita accoglimento. 

Va rilevato che per sopperire ad eccezionali deficienze d'acqua e a 

tutela di interessi pubblici l'art. 43, ultimo comma, t.u. 1775 del 1933, 

attribuisce una specifica competenza al Ministro dei lavori pubblici, cui 

-� subentrata,. in talune Regioni, quella del corrispondente Assessorato. 
Secondo la giurisprudenza amministrativa, condivisa da lungo tempo 
<la questo Tribunale Superiore, il provvedimento di requisizione di acque 
adottato dal Prefetto ex art. 7 legge 29 marzo 1865, n. 2248, all. E, non 
. � atto fungibile rispetto a quello previsto dall'art. 43 sopra citato, bens� 

-costituisce un provvedimento straordinario che pu� essere adottato non 

sul solo presupposto di una eccezionale deficienza di acqua e a tutela 

�di pubblici interessi, ma allorch� ricorrano fatti imprevedibili che im


pongono la necessit� di provvedimenti extra ordinem. Si � fatto pi� volte 

l'esempio della distruzione di acquedotti, dell'improvviso venir meno del


le normali fonti di approvvigionamento idrico per calamit� naturali ed 

altre consimili ipotesi (Trib. Sup. Acque Pubbl., n. 17 del 1972). 

Nella specie, invece, come risulta anche da altre decisioni emesse 

da questo Tribunale (n. 4 del 1980 si verte in un'ipotesi diversa e certa


mente prevedibile. � emerso infatti dagli atti di causa -n� la circo


stanza � contestata -che durante la stagione estiva si riversa ogni 

anno nei Comuni di Bagheria e di Ficarazzi una grande quantit� di vil


leggianti, sicch� l'appi;ovvigionamento idrico di tali Comuni diviene pe


riodicamen.te insufficiente, sia pure per il periodo estivo. 

Non pu� pertanto essere legittimamente adottato un provvedimento 

<li requisizione se non altro perch� la prevedibilit� dello evento impe


d.isce il ricorso ad uno strumento eccezionale che � previsto Jalla nurma 

per casi imprevedibili, oltre che straordinari ed eccezionali, a soppe


rire i quali l'ordinamento non appresti altri mezzi. 

Va ancora precisato che l'impugnato decreto di requisizione fa ri


ferimento, in premessa, al disagio della popolazione con prevedibili ri


percussioni sull'ordine pubblico ed invoca l'art. 2 del t.u. leggi di p.s., 

oltrech� l'art. 7 citata legge del 1865. 

Ritiene tuttavia il Collegio alla stregua della comune interpreta


zione che l'atto debba essere considerato nel suo complesso e valutato 

nel suo contenuto sostanziale, al di l� del significato che esso possa 

(1) Sull'argomento cfr. da ultimo, Cass., Sez. Un., 17 novembre 1978, n. 5327; 
Cass., Sez. Un., 25 marzo 1980, n. 1990 e Trib. Sup. Acque, 20 marzo 1980, n. 4, 
in questa Rassegna, 1980, I, 847. 

264 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

presentare sotto un profilo formalistico deducibile da taluni espressioni 
adoperate. 

Esaminando dunque in quest'ottica l'impugnato decreto prefettizio, 
ed a confutazione del 4� e del 5� motivo di ricorso va rilevato che esso. 
appare adottato sull'esercizio dei poteri di requisizione che l'art. 7 della 
citata legge del 1865 attribuisce al Prefetto: ci� emerge chiaramente 
dalle premesse, ove viene considerata la ~rave carenza d'acqua dei due 
Comuni beneficiari, e viene valutata la sussistenza dei presupposti della 
grave necessit� pubblica e della urgenza. Risulta altres� dal dispositivo 
-che dispone un'effettiva requisizione di acque -e dalla indicazione 
degli organi incaricati dell'esecuzione del decreto, individuati nell'ingegnere 
Capo dell'Ufficio del genio civile di Palermo. 

Appare pertanto infondato quel motivo di ricorso secondo cui il 
Prefetto avrebbe fatto illegittimo riferimento, come a fonte abilitante 
all'emanazione del proprio provvedimento, ai poteri di ordinanza in 
materia di pubblica sicurezza spettantigli ex art. 2 t.u. leggi di p.s.. 

Non va comunque ignorato che nella premessa del decreto, dopo 
aver dimostrato la carenza idrica dei due Comuni, l'autorit� emittente 
formula la seguente considerazione: � che il carente approvvigionamento 
idrico ha provocato e provoca gravissimo disagio alle popolazioni dei 
Comuni interessati con conseguente malumore e con prevedibili riper-� 
cussioni nell'ordine pubblico �. 

Tale valutazione, ad avviso del Collegio, non �, di per s�, idonea a 
dar contezza della esistenza di quella situazione di imprevedibilit� che, 
insieme agli altri presupposti, -quali le indilazionabili esigenze pubbliche 
locali -giustifica e rende legittimo il provvedimento di requisizione. 


Invero pur riconoscendosi all'autorit� preposta all'ordine pubblico. 
il compito di valutare con discrezionalit� il pericolo di danni alla sicurezza 
pubblica, occorre che l'autorit� stessa fondi la sua prognosi su 
elementi certi e dettagliati, che consentano il controllo di legittimit� 
sulla congruit� della motivazione. Nella specie la previsione contenuta 
nella premessa del decreto di requisizione � troppo generica, sicch� 
si dimostra inidonea a far ritenere provato l'insorto pericolo per l'ordine 
pubblico. 

Da quanto precede risulta che nella specie non sussistevano le condizioni 
perch� potesse intervenire il Prefetto a sopperire le esigenze di 
approvvigionamento idrico dei due Comuni beneficiari del provvedimento 
di requisizione. Si sarebbe potuto, infatti, adottare il provvedimento 
previsto dall'ultimo comma dell'art. 43 t.u. n. 1775 del 1933 posto 
che con l'atto sono state salvaguardate esigenze di carattere ricorrente. 

Pertanto � fondato il primo motivo di ricorso, sicch� risulta ultronea. 
la disamina dettagliata delle altre censure, che restano assorbite.. 

(omissis) 


PARTE SECONDA 



LEGISLAZIONE 


QUESTIONI DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE 

I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice di procedura penale, art. 512, n. 2, nella parte in cui esclude il diritto 
dell'imputato di proporre appello avverso la sentenza resa in dibattimento dal 
pretore che lo abbia prosciolto per amnistia a seguito di definizione giuridica 
del fatto diversa da quella enunciata nel decreto di citazione. 

Sentenza 7 aprile 1981, n. 53, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. 

codice di procedura penale, art. 513, n. 2, nella parte in cui esclude il diritto 
dell'imputato di proporre appello avverso la sentenza del Tribunale che lo abbia 
prosciolto per amnistia, a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da 
quella enunciata nell'ordinanza di rinvio a giudizio. 

Sentenza 7 aprile 1981, n. 53, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. 

r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, art. 2, primo comma. 
Sentenza 7 aprile .1981, n. 50, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, nella parte in cui assoggetta al reclamo 
al Tribunale, disciplinato nel modo ivi previsto, i provvedimenti decisori emessi 
dal giudice delegato in materia di piani di riparto dell'attivo. 
Sentenza 23 marzo 1981, n. 42, G. U. 1� aprile 1981, n. 91. 

legge 12 agosto 1962, n. 1339, art. 1, secondo comma, nella parte in cui esclude 
il diritto all'integrazione al minimo della pensione di invalidit� e vecchiaia 
erogata dalla gestione speciale lavoratori autonomi per chi sia gi� titolare di 
pensione a carico dello Stato. 

Sentenza 26 febbraio 1981, n. 34, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lettera a), nella parte in 
cui esclude il diritto all'integrazione al minimo della pensione diretta a carico 
dell'INPS, sia essa di vecchiaia che di invalidit�, per chi sia gi� titolare di 
pensione diretta dello Stato, dell'Istituto posNelegrafonici o della Cassa di previdenza 
dipendenti enti locali, qualora per effetto del cumulo sia superato il 
trattamento minimo garantito; nonch� nella parte in cui preclude che la pensione 
di riversibilit� INPS sia calcolata in proporzione alla pensione diretta 
INPS integrata al minimo, che il titolare defunto avrebbe diritto di percepire. 

Sentenza 26 febbraio 1981, n. 34, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, nella parte in cui non comprende nelle 
previsioni, di cui al terzo comma, le persone che siano comunque addette, 
in rapporto diretto con il pubblico, a servizio di cassa presso imprese, i cui 
dipendenti sono soggetti all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul 
lavoro e le malattie professionali, cos� come disciplinata dal titolo primo del 
testo unico. 

Sentenza 7 aprile 1981, n. 55, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. 

9 



14 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO, STATO 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, lettera a), nella parte in cui richiede, 
ai fini della corresponsione della rendita:, in caso di silicosi o asbestosi, un 
grado minimo di inabilit� permanente superiore al 20 %, anzich� al 10 %. 
Sentenza 15 aprile 1981, n. 64, G. U. 22 aprile 1981, n. 111. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 293, comma primo, limitatamente alle 
parole � nonch� la tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica 
20 marzo 1956, n. 648 �. 
Sentenza 7 aprile 1981, n. 54, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. 

legge 12 novembre 1976, n. 75, artt. 1, ultimo comma, e 3, ultimo comma. 
Sentenza 7 aprile 1981, n. 49, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. 

II -QUESTIONI NON FONDATE 

Codice di procedura penale, art. 169 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 7 aprile 1981, n. 51, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. 

codice di procedura penale, art. 171, quinto comma (art. 24, secondo comma, 
della Costituzione). 

Sentenza 26 febbraio 1981, n. 32, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. 

codice di procedura penale, art. 435, ultimo comma-(artt. 3, 24, 25 e 111 della 
Costituzione). 

Sentenza 15 aprile 1981, n. 62, G. U. 22 aprile 1981, n. 111. 

d.l.C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 3 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 7 aprile 1981, n. 52, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. 
legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 10 [modif. da legge 12 agosto 1962, n. 1338, 
artt. 2, secondo comma, lettera a), e 8] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Sentenza 26 febbraio 1981, n. 34, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. 

d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 119 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 26 febbraio 1981, n. 35, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. 
d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art 119 (art 36, terzo comma, della Costituzione). 
Sentenza 10 marzo 1981, n. 40, G. U. 18 marzo 1981, n. 77. 
legge 30 aprile 1969, n 153, art 23 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 26 febbraio 1981, n. 34, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. 


d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 6 [conv. con modif. in legge 19 dicembre 
1973, n. 823] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 26 febbraio 1981, n. 33, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

Codice civile, artt. 1341 e 1342, cpv. (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'appello di Roma, ordinanza 9 maggio ,1980, n. 42/1981, G. U. 1� aprile 
1981, n. 91. 

codice civile, artt. 2758, secondo comma, e 2772, terzo comma [modif. da 
legge 29 luglio 1975, n. 426] (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 16 ottobre 1980, n. 72/1981, G. U. 15 aprile 
1981, n. 105. 

codice di procedura civile, art. 5 (artt. 25, primo comma, e 24, primo comma, 
della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 26/1981, G. U. 1� aprile 1981, 

n. 91. 
codice di procedura civile, artt. 660, 140 e 313, secondo comma (artt. 24 e 3 
della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 6 novembre 1980, n. 8/1981, G. U. 18 marzo 
1981, n. 77. 

codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 29 ottobre .1980, n. 32/1981, G. U. 11 marzo 1981, 

n. 70. 
codice penale, art. 81 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Verona, ordinanza 17 ottobre 1980, n. 61/1981, G. U. 15 aprile 
1981, n. 105. 

codice penale, art. 204, secondo comma (artt. 3, primo comma, e 32 della 
Costituzione). 

Giudice istruttore del Tribunale di Milano, ordinanza 29 settembre 1980, 

n. 896, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. 
codice penale, art. 204 (artt. 3, 24 e 32 della Costituzione). 

Pretore di Pieve di Cadore, ordinanza 20 dicembre 1980, n. 90/1981, G. U. 
29 aprile 1981, n. 117. 

codice penale, artt. 215 e 222 (artt. 3, primo comma, e 32 della Costituzione). 

Giudice istruttore del Tribunale di Milano, ordinanza 29 settembre 1980, 

n. 
896, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. 
Giudice istruttore del Tribunale di Pisa, ordinanza 4 settembre 1980, 
n. 11/1981,, G. U. ,18 marzo 1981, n. 77. 

1.6 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

codice penale, art. 402 (artt. 8, primo comma, 7, primo comma, 19 della Costituzione). 


Tribunale di Firenze, ordinanza 3 ottobre 1980, n. 877, G. U. 11 marzo 1981, 

n. 70. 
codice penale, art. 584 (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'assise di Sassari, ordinanza 29 ottobre 1980, n. 911, G. U. 11 marzo 
1981, n. 70. 

codice penale, art. 688 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Lecce, ordinanza 6 novembre 1980, n. 89/1981, G. U. 29 aprile 1981, 

n. 117. 
-codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Pretore di Legnano, ordinanza 27 novembre 1980, n. 43/1981, G. U. 8 aprile 
1981, n. 98. 

codice di procedura penale, art. 282, terzo comma (art. 24 della Costituzione). 

Corte di appello di Roma, sezione istruttoria, ordinanza 17 luglio 1980, 

n. 878, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. 
codice di procedura penale, art. 315-bis (artt. 3 e 108 della Costituzione). 

Giudice istruttore del Tribunale di Velletri, ordinanza 25 novembre 1980, 

n. 7,1/1981, G. U. 15 aprile 1981, n. 105. 
codice di procedura penale, art. 399 (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di Tirano, ordinanza 29 settembre 1980, n. 35/.1981, G. U. 18 marzo 
1981, n. 77. 

codice penale militare di pace, art. 189 (artt. 3 e 27, secondo comma, della 
Costituzione). 

Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre ,1980, n. 900, 

G. U. 11 marzo 1981, n. 70. 
codice penale militare di pace, art. 189, primo comma (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanza 11 novembre 1980, n. 888, 

G. U. 4 marzo 1981, n. 63. 
codice di procedura militare penale, art. 26, primo comma (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanza 7 ottobre 1980, n. 870, 

G. U. 4 marzo 1981, n. 63. 

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17

PARTE II, LEGISLAZIONE 

r.d. 22 dicembre 1872, n. 1210-sexies, art. 78 (artt. 101, secondo comma, e 108, 
secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 900, 

G. U. 11 marzo 1981, n. 70. 
r.d. 19 ottobre 1923, n. 2616, art. 16 (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo 
comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 900, 

G. U. 11 marzo .1981, n. 70. 
r.d. 30 di�embre 1923, n. 2903, art. 29 (artt. 101, secondo comma, e 108, secondo 
comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 900, 

G. U. 11 marzo .1981, n. 70. 
r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825, art. 6, primo comma [conv. in legge 18 marzo 
1926, n. 562] (art. 52, secondo 1cOlll1ll11a, delil.a Costituzione). 
Corte di Cassazione, ordinanza 9 maggio 1980, n. 880, G. U. 4 marzo 1981, 

n. 63. 
r.d.l. 23 luglio 1925, n. 1605, art. 3, secondo comma [conv. in legge 18 marzo 
1926, n. 562] (art. 52, secondo comma, della Costituzione). 
Corte dei conti, sezione III giurisdizionale, ordinanza 10 gennaio 1979, 

n. 884/1980, G. U. 4 marzo 1981, n. 63. 
r.d.I. 26 gennaio 1931, n. 122, art. 12 [conv. in legge 18 giugno 1931, n. �919] 
(artt. .101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 900, 

G. U. 11 marzo 1981, n. 70. 
r.d. 28 maggio 1931, n. 602, art. 25 (art. 24, secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale di Vicenza, ordinanze (due) 29 gennaio 1975, nn. 17 e 18/1981, 

G. U. 11 marzo 1981, n. 70. 
r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 62, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Cortina d'Ampezzo, ordinanze (dieci) 4 agosto 1980, nn. da 901 
a 910, G. U. 11 marzo 1981, n. 70. 

r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 (art. 33, quinto comma, della Costituzione). 
Consiglio nazionale forense, ordinanza 27 marzo 1980, n. 46/1981, G.U. 
8 aprile 1981, n. 98. 

Consiglio nazionale forense, ordinanza 27 marzo 1980, n. 47/1981, G.U. 
8 aprile 1981, n. 98. 


:1.8 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

r.d. 27 febbraio 1936, n. 645, artt. 183, primo comma, e 195 (artt. 21, 41 e 43 
della Costituzione). 
Pretore di Trasacco, ordinanza 7 febbraio 1979, n. 65/1981, G. U. 15 aprile 
a981, n. 105. 

r.d.I. 30 dicembre 1937, n. 2411, art. 1, secondo comma [conv. in legge 17 maggio 
1938, n. 886] (art. 36, primo comma, della Costituzione). 
Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 16 novembre 1972, 

n. 78/1981, G. U. 22 aprile 1981, n. 116. 
r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 8 maggio 1980, 

n. 876, G. U. 18 marzo 1981, n. 77. 
legge 19 giugno 1940, n. 762, art. 3, lettera a) (art. 53, primo comma, della 
Costituzione). 

Corte d'appello di Napoli, ordinanza 16 aprile 1975, n. 39/1981, G. U. 1� aprile 
1981, n. 9.1. 

r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 9, secondo comma (art. 108, secondo comma, 
della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 900, 

G. U. 1'1 marzo 1981, n. 70. 
r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 50, secondo comma (artt. 101, secondo 
comma, e 108, secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 900, 

G. U. 1'1 marzo 1981, n. 70. 
r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 (artt. 21, primo comma, 25, secondo 
comma, 101, secondo comma, e 108, primo comma, della Costituzione). 
Consiglio superiore della magistratura, sezione disciplinare, ordinanza 14 novembre 
1980, n. 28/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. 

legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. l, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 29 ottobre 1980, n. 32/1981, G.U. 11 marzo 
1981, n. 70. 

d.P.R. 5 gennaio 1950, �n. 180, art. 1 (artt. 3, 35 e 36 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 28 ottobre 1980, n. 917, G.U. 11 marzo 1981, 
n. 70. 
legge 11 marzo 1953, n. 87, artt. 27 e 30 (artt. 3, 24 e 70 della Costituzione). 

Pretore di Trasacco, ordinanza 7 febbraio 1979, n. 65/1981, G. U. 15 aprile 
1981, n. 105. 


.PARTE II, LEGISLAZIONE 19 

legge 27 dicembre 1956, n. 1423, artt. 5 e 9 (artt. 21, 25 e 49 della Costituzione). 


Pretore di Orvieto, ordinanza 27 settembre 1980, n. 874, G.U. 4 marzo 1981, 

n. 63. 
d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 119 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Lecco, ordinanza 27 novembre 1980, n. 30/1981, G.U. 11 marzo 
1981, n. 70. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma (art. 3 e 27, terzo comma, 
della Costituzione). 
Pretore di Prato, ordinanze (due) 17 novembre 1980, nn. 9 e 10/1981, G.U. 
11 marzo 1981, n. 70. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma [modif. da legge 5 maggio 
1976, n. 313, art. 5] (artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione). 
Tribunale di Catania, ordinanza 6 novembre 1980, n. 21/1981, G.U. 11 marzo 
1981, n. 70. 

. legge 27 giugno 1961, n. 550, art. l, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 


Corte dei conti -sezione terza giurisdizionale, ordinanza 16 novembre 1972, 

n. 78/1981, G.U. 22 aprile 1981, n. 111. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lettera a) (art. 3 della 
Costituzione. 

Tribunale di Trento, ordinanza 6 novembre 1980, n. 73/1981, G.U. 15 aprile 
1981, n. 105. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lettera a) (artt. 3, primo 
comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza U ottobre 1980, n. 822, G.U. 4 marzo 1981, 

n. 63. 
legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 7, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 


Corte dei conti, sezione III giurisdizionale, ordinanza 3 luglio 1978, n. 883/ 
1980, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3 (artt. 3, 24, 35 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Massa, ordinanza 9 gennaio 1981, n. 108/1981, G.U. 29 aprile 1981, 
Il. 117. 
Pretore di Massa, ordinanza 9 gennaio 1981, n. "109, G.U. 29 aprile 1981, 
Il. 117. 


20 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Bari, ordinanza 22 ottobre 1980, n. 890, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. 

d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Ferrara, ordinanza 6 gennaio 1981, n. 81, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. 

legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 11 (artt. 3, 4 e 37 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 15 novembre 1980, n. 915, G.U. 11 marzo 1981, 

n. 70. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, primo comma (artt. 3, primo comma, e 
38, secondo comma, della Costituzione). 

Tribunale regionale per il Molise, ordinanza 16 luglio 1980, n. 887, G.U. 
4 marzo 1981, n. 63. 

legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 1, 8 e 9 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 

Pretore di La Spezia, ordinanza 17 novembre 1980, n. 3/1981, G.U. 18 marzo 
1981, n. 77. 
Pretore di La Spezia, ordinanza 10 novembre 1980, n. 4/1981, G.U. 18 marzo 
1981, n. 77. 

d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 14, primo comma (artt. 3, primo comma, 
36, primo comma, 38, secondo comma, della Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 11 ottobre 1980, n. 822, G.U. 4 marzo 1981, 

n. 63. 
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 54, primo comma {artt. 3, primo comma, 
36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 11 ottobre 1980, n. 822, G.U. 4 marzo 1981, 

n. 63. 
legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 32 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Mazara del Vallo, ordinanza 14 novembre 1980, n. 33/1981, G.U. 
18 marzo 1981, n. 77. 

legge 28 ottobre 1970, n. 775, art. 16-ter (artt. 3, 36, 103, 104, primo comma, 
e 107, terzo comma, della Costituzione). 

Corte dei conti -sezione terza giurisdizionale, ordinanze (due) 16 feb� 
braio 1977, nn. 79 e 80/1981, G.U. 22 aprile 1981, n. 111. 

legge reg. siciliana 8 marzo 1971, n. 5, art. 13, primo comma (artt. 3 della 
Costituzione e, 14 e 17 dello statuto speciale della regione siciliana). 

Pretore di Palermo, ordinanze (due) 2 ottobre 1980, nn. 14 e 15/1981, G.U. 
18 marzo 1981, n. 77. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge prov. Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 


Corte d'appello di Trento, ordinanza U marzo 1980, n. 64/198.1, G.U. 8 aprile 
1981, n. 98. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 5, primo e secondo comma (art. 76 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Cuneo, ordinanza 21 ottobre 
1980, n. 36/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17 (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Avezzano, ordinanza 10 marzo 
1980, n. 44/1981, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. 

legge prov. Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 


Corte d'appello di Trento, ordinanza 14 ottobre 1980, n. 7 /1981, G.U. 1� aprile 
1981, n. 91. 

legge prov. Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28 (artt. 3, 42 e 53 della 
Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 26 febbraio 1980, n. 895, G.U. 11 marzo 
1981, n. 70. 

d.P.R.''29 marzo 1973, n. 156, art. 218 (artt. 3 e 21 della Costituzione). 

Pretore di San Don� di Piave, ordinanza 2 ottobre 1980, n. 82/1981, G.U. 
15 aprile �1981, n. 105. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 7, ultimo comma (artt. 76 e 77, primo 
comma, della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Nuoro, ordinanze (dieci) 
9 marzo 1979, nn. da 51 a 60/1981, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56 (art. 24 della Costituzione). 
Tribunale di Forl�, ordinanza 11 novembre 1980, n. 879, G.U. 11 marzo 
1981, n. 70. 

legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). 

Pretore di Crema, ordinanza 25 luglio �1980, n. 913, G.U. 11 marzo 1981, 

n. 
70. 
Pretore di Busto Arsizio, ordinanze (due) 21 novembre 1980, nn. 22 e 23/1981, 
G.U. 
U marzo 1981, n. 70. 
Pretore di Crema, ordinanza 18 luglio 1980, n. 91/1981, G.U. 15 aprile 1981, 
n. 105. 

22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 15 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
I ~ 

Corte dei Conti -sezione III giurisdizionale, ordinanza 24 novembre 1975, 

n. 885/1980, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. 
d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, artt. 82 e 86, ultimo comma (art. 3 della 
Costituzione). 
Consiglio di Stato -sezione sesta giurisdizionale, ordinanza U aprile 1980, 

n. 899, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. 
legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 14 (art. 117 della Costituzione). 


Pretore di Bellano, ordinanza 23 ottobre 1980, n. 41/1981, G.U. 1� aprile 
1981, n. 91. 

legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 17 dicembre 1980, n. 70/1981, G.U. 15 aprile 
1981, n. 105. 
Tribunale di Napoli, ordinanza 23 ottobre 1980, n. 77/1981, G.U. 29 aprile 
1981, n. 117. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 25, secondo comma, 
della Costituzione). 
Tribunale di Vigevano, ordinanze (due) 30 ottobre e 22 maggio 1980, 
nn. 2 e 13/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 22 ottobre 1980, n. 74/1981, G.U. 15 aprile 
1981, n. 105. 

legge reg. Friuli-Venezia Giulia 22 maggio 1975, n. 26, art. 18 (artt. 103 
della Costituzione e 5 dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia). 


Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 
11 aprile 1980, n. 89.1, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. 


legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, primo, terzo e quinto comma (artt. 3, 
primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). 


Pretore di Modena, ordinanza 28 ottobre 1980, n. 881, G.U. 4 marzo 1981, 

n. 63. 
legge 22 luglio 1975, n. 382, art. 1, lettera c) (artt. 117, 76, 118 e 110 della 
Costituzione). 


Corte d'appello di Bologna -sezione minorenni, ordinanza 19 novembre 
1980, n. 83/1981, G.U. 29 aprile 1981, n. 117. 


legge 29 aprile 1976, n. 177, artt. 8 e 12 (art. 3 della Costituzione). 

Corte dei conti -sezione terza giurisdizionale, ordinanza 24 giugno 1980, 

n. 40/1981, G.U. 24 marzo 1981, n. 83. 
I 

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23

PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Adria, ordinanze (quattro) 26 febbraio 1980, nn. 66, 67, 68 e 
69/1981, G.U. 15 aprile 1981, n. 105. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 15, secondo, ottavo e nono comma, 21, 
25, ultimo comma, 26, primo comma (artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Corte di Cassazione, ordinanza 15 aprile 1980, n . .16/1981, G.U. 11 marzo 1981, 

n. 70. 
legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 25 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Argenta, ordinanza 8 ottobre 1980, n. 6/1981, G.U. 11 marzo 1981, 

n. 70. 
legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 2, 3, 29, 31 e 

53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Nuoro, ordinanza 4 gennaio 
1979, n. 50/1981, G.U. 8 aipl'ill.e 19811, n. 98. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Rimini, ordinanza 8 novembre 
1980, n. 62/1981, G.U. 8 aprile 1981, n. 98. 

legge 13 aprile 1977, n. 114, artt. 5 e 23 (artt. 3, 53 e 47 della Costituzione). 

Commissione tributaria di I grado di Roma, ordinanza 21 giugno 1980, 

n. 897, G.U. 11 marzo �1981, n. 70. 
legge reg. Campania 19 aprile 1977, n. 23, art. 2 (artt. 117, 118, terzo comma, 
e 128 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 29 aprile 
1980, n. 24/1981, G.U. 1� aprile 1981, n. 91. 

legge reg. siciliana 18 giugno 1977, n. 42, art. 1 (artt. 3 della Costituzione 
e 14 e n dello statuto speciale della regione siciliana). 

Pretore di Palermo, ordinanze (due) 2 ottobre 1980, nn. 14 e 15/1981, G.U. 
18 marzo 1981, n. 77. 

d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 22, 23 e 25 (artt. 1.17, 76, 118 e 110 della 
Costituzione). 
Corte d'appello di Bologna -sezione minorenni, ordinanza 9 novembre 1980, 

n. 83/1981, G.U. 29 aprile 1981, n. 117. 
legge 27 dicembre 1977, n. 968, art. 20, lettera a) (art. 3, primo comma, della 
Costituzione). 

Pretore di Palermo, ordinanza 4 luglio 1980, n. 29/1981, G.U. 18 marzo 1981, 

n. 77. 

24 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 5, ultimo comma (artt. 3, 24, 100, primo < 
comma, 103, primo comma, 113 e 125, secondo comma, della Costituzione). 
�=� 

Consiglio di Stato -sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 30 luglio 1980, 

n. 25/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. 
legge 22 maggio 1978, n. 194, artt. 4 e 5 (artt. 2, 3, 4, 31 e 32 della Costituzione). 


Pretore di Galatina, ordinanza 14 novembre 1980, n. 48/1981, G.U. 8 aprile 
1981, n. 98. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 2 (artt. 3 e 42, secondo comma, della Costituzione). 


Pretore di Cassano d'Adda, ordinanza 24 ottobre 1980, n. 76/1981, G.U. 
22 aprile 1981, n. 111. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 16, 17, 20 e 21 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 


Pretore di Voltri, ordinanza 27 novembre 1980, n. 20/1981, G.U. 18 marzo 
1981, n. 77. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 34 e 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della 
Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 2 dicembre 1980, n. 63/1981, G.U. 6 aprile 
1981, n. 98. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58, 59, n. 2, e 65 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Gorizia, ordinanza 10 novembre 1980, n. 912, G.U. 11 marzo 1981, 

n. 70. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Corte di Cassazione, ordinanza 5 maggio 1980, n. 914, G.U. 4 marzo 1981, 

n. 63. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, primo e terzo comma (artt. 42 e 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Imperia, ordinanza 30 novembre .1980, n. 19/1981, G.U. 18 marzo 
1981, n. 77. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (art. 42, secondo comma, 
della Costituzione). 

Pretore di Pescara, ordinanza 19 dicembre 1980, n. 93/1981, G.U. 29 aprile 
1981, n. 117. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [modif. da legge 31 marzo 1979, n. 93] 
(art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Armerina, ordinanza 16 dicembre 1980, n. 75/1981, G.U. 15 aprile 
1981, n. 105. 

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PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 4 agosto 1978, n. 4131, art. 2, lettera c) (artt. 3, 70 e 79 della Costituzione). 
Pretore di Sassari, ordinanza 29 aprile 1980, n. 31/1981, G.U. 11 marzo 1981, 

n. 70. 
d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 4, lettera b) (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Latisana, ordinanza 28 ottobre 1980, n. 5/1981, G.U. 18 marzo 
1981, n. 77. 

legge reg. Piemonte 22 novembre 1978, IL 69, art. 3, ultimo comma (art. 128 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 24 settembre 
1980, n. 2/1981, G.U. 18 marzo 1981, n. 77. 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 24 settembre 
1980, n. 1/1981, G.U. 24 marzo 1981, n. 83. 

legge reg. Abruzzo 28 dicembre 1978, n. 87, art. 15 (art. 117 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 7 dicembre 
1979, n. 871/1980, G.U. 4 marzo 1981, n. 63. 

legge 13 agosto 1979, n. 374, art. 1 (artt. 1, primo comma, 38, primo e secondo 
comma, 24, primo e secondo comma, e 102, primo comma, della Costituzione). 


Tribunale di Frosinone, ordinanze (undici) 17 dicembre 1980, nn. da 167 a 
177/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. 

d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 10 [modif. da legge 6 febbraio 1980, n. 15] 
(artt. 13, primo, secondo e quinto comma, 27, secondo comma, della Costituzione). 
Corte d'assise di Torino, ordinanza 17 novembre 1980, n. 34/1981, G.U. 
24 marzo 1981, n. 83. 

d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 11 [modif. da legge 6 febbraio 1980, n. 15] 
(artt. 3, primo comma, 13, primo, secondo e quinto comma, 25, secondo comma, 
e 27, secondo comma, della Costituzione). 
Corte d'assise di Torino, ordinanza .17 novembre 1980, n. 34/1981, G.U. 
24 marzo 1981, n. 83. 

legge 20 marzo 1980, n. 75, artt. 4, ultimo comma, e 6, secondo comma 
(artt. l, primo comma, 38, primo e secondo comma, 24, primo e secondo 
comma, e 102, primo comma, della Costituzione). 

Tribunale di Frosinone, ordinanze (undici) 17 dicembre 1980, nn. da 167 
a 177/1981, G.U. 11 marzo 1981, n. 70. 


26 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo comma (artt. 3, primo comma e 
24, primo comma, della Costituzione). 


Pretore di Modena, ordinanza 9 ottobre 1980, n. 26/1981, G.U. 1� aprile 
1981, n. 91. 

I 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo e secondo comma (artt. 3 e 24 
della Costituzione). 

I 

Pretore di Genova, ordinanza 11 dicembre 1980, n. 49/1981, G.U. 8 aprile 
1981, n. 98. 

I 

legge 27 marzo 1980, n. 112 (art. 104, primo comma, della Costituzione). 

Giudice istruttore del Tribunale di Roma, ordinanza 11 dicembre 1980, 

n. 38/.1981, G.U. 24 marzo 1981, n. 83. 
legge prov. Bolzano 12 giugno 1980, n. 16, art. 4, terzo comma (artt. 70 della 
Costituzione e 4 e 8 dello Statuto della Regione Trentino Alto Adige). 

Tribunale di Bolzano, ordinanza 13 novembre 1980, n. 889, G.U. 4 marzo 
1981, n. 63. 

legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1 (art. 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Bologna, ordinanza 21 novembre 1980, n. 27/1981, G.U. 
18 marzo 1981, n. 77. 

legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1, 2, 3 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Roma, ordinanza 24 ottobre 1980, n. 107/1981, G.U. 29 aprile 
1981, n. 117. 

Corte d'appello di Roma, ordinanza 24 ottobre 1980, n. 106/1981, G.U. 29 aprile 
1981, n. 117. 

Corte d'appello di Bologna, ordinanza 12 dicembre 1980, n. 118/1981, G.U. 
29 aprile 1981, n. 117. 

legge reg. Trentino-Alto Adige riappr. il 29 gennaio 1981 (artt. 4, 5 e 6 dello 
Statuto speciale del Trentino-Alto Adige). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 27 febbraio 1981, n. 5, G.U. 
11 marzo 1981, n. 70. 

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