RASSEGNA MENSILE 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


PUBBLICAZIONE DI SERVIZIO 

SOMMARIO 


I. 
ARTICOLI ORIGINALI 
1) 
Osservazioni intorno alla proposta di legge costituzionale contenente 
norme integrative sulla Oorte Costituzionale, dell'avvocato C. CARBONE, 
pag. 25~29. 

2) 
Ancora sulla riforma del contenzioso tributario, pag. 30-34. 

II. NOTE DI DOTTRINA 
1) 
M. BoNESOHI: Natura, giuridica del concordato d'imposta, recensione 
critica di u. GARGIULO, pag. 35-37. 
2) E. CANNADA BARTOLI: L'inappUcabilit� degli atti amministrativi, recensione 
critica di G. GuGLmLMI, pag. 37-40. 

Il�. RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA 

1) Competenza e giurisdizione -Tributi locali -Delibera d'imposizione Impugnativa 
(Corte di Cassazione), pag. 41-47. 
2) Imposte e tasse -Ricchezza mobile -Reddito agrario -Cantine sociali 
(Corte di Cassazione), pag. 47. 
3) Locazione -Aumenti legali -Non� operano ope legis (Corte di Caseazione), 
pag. 47-48. 
4) Obbligazioni e contratti -Obbligazioni nulle -Restituzione del prezzo 
(Corte di Cassazione), pag. 48. 
5) Parte civile -Nullit� del giudizio di primo grado -Effetti (Corte di 
Cassazione), pag. 48-49. 

IV. 
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE CORTI DI 
MERITO 
1) Enfiteusi -Diritto di prelazione del concedente (Tribunale di Catania), 
pag. 50. � 
2) Imposta di registro -Alienazione di fondo enfiteutico -Diritto di 
prelazione esercitato dal concedente (Tribunale di Catania), pag. 50-52. 

V. RASSEGNA DI LEGISLAZIONE, pag. 53. 
VI. INDICE SISTEMATICO DELLE CONSULTAZIONI, pag. 54-56. 

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RASSEGNA MENSILE 


DELL'AVVOCATURA DELLO �STATO 


PUBBLICJAZIONE DI SERVIZIO 


OSSERVAZIONI INTORNO ALLA PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE 
CONTENENTE NORME INTEGRATIVE SULLA CORTE COSTITUZIONALE 


1. La Corte costituzionale � uno degli istituti 
della nuova Costituzione maggiormente sottoposti 
ad esame critico e su cui la diversit� di opinioni 
si � manifestata con pi� stridente contrasto, 
sia in sede legislativa. sia in dottrina (1). Ci� 
� d'attribuirsi soprattutto al fatto che si tratta 
di un istituto nuovo per il nostro ordinamento 
il quale, pertanto, � esaminato solo attraverso la 
sua schematica costruzione legislativa�, senza poter 
fare riferimento al suo concreto funzionamento che, 
in materia costituzionale, molte volte acquista 
notevole importanza, data la particolare tendenza 
degli istituti costituzionali ad integrarsi col tempo 
con norme consuetudinarie o di correttezza costi tuzionale, 
assumendo una pi� spiccata flessibilit�. 
Subito dopo l'entrata in vigore della Costituzione 
fu emanata la legge costituzionale 9 febbraio 
1948, n. 1, contenente norme d'integrazione . 
relativamente alla Corte costituzionale, ma essa 
ha lasciato insoluti vari problemi, forse anche perch� 
la sua formazione ebbe luogo quando l'istituto 
non aveva potuto ancora essere oggetto di approfondito 
esame. 

Un progetto di legge ordinaria, contenente le 
norme necessarie per la costituzione ed il funzionamento 
della Corte costituzionale, � attualmente 
in corso di approvazione. Ma, non potendo una 
legge ordinaria ovviare alle lacune della Costituzione, 
in quanto la revisione della Costituzione 
pu� aver luogo mediante leggi costituzionali, ov


(1) Fra la ricca bibliografia sull'argomento, cfr. spe� 
cialmente, BERIO: La Corte costituzionale, in �Nuova 
Rassegna�, 1948, p. 550 segg.; MoRTATI: La Corte costituzionale 
ed i presupposti della sua validit�, in cc Iustitia 
�, 1949, p. 69 e segg.; Ru1N1: La Corte costituzionale, 
in � Riv. Amm. �, 1949, p. 229 e' segg.; PERSICO: La 
Corte costituzionale, Roma, 1949; Bozzr C.: Corte costituzionale 
e Alta Corte per la Sicilia, in cc Il dir. pubbl. 
della Reg. Sic. >>, 1949. p. 47 e segg.; ESPOSITO: Il controllo 
giurisdizionale sulla costituzionalit� delle leggi, in 
� Riv. di dir. proc. �, 1950, I, p. 298 segg.; TESAURO: La 
Corte costituzionale, in cc Rassegna di dir. pubbl. >>, 1950, 
p. 205 e segg.; PETRUCCI: La Corte costituzionale, in 
� Commentario sistematico alla Costituzione italiana >>, 
Firenze, 1950, II, p. 431 e segg.; AzZARITI: Poteri dei 
giudici sul controllo di costituzionalit� della legge, in 
�Problemi attuali di dir. costituzionale>>, Milano, 1951, 
p. 176 e segg.; BRUNORI: La Corte costituzionale, Firen;i:e, 
1952, dove trovansi larghi richiami alle discussioni 
parlamentari. 
vero con quelle altre forme di produzione giuridica 
(consuetudini) che sono permesse nel nostro 
ordinamento, � stato proposto un nupvo disegno 
di legge costituzionale contenente norme integrative 
della Costituzione circa la Corte costituzionale, 
disegno che risulta avere gi� avuto una 
prima approvazione dalla Camera dei deputati 
nella seduta del 26 marzo 1951. 

Questo disegno di legge costituzionale assume 
una particolare importanza che, in parte, deriva 
dalla stessa natura di legge di revisione della Costituzione, 
che, per la procedura di formazione, postula 
necessariamente un ripensamento ed un 
approfondimento dei problemi affrontati; in parte 
discende dall'essere diretto a completare la disciplina 
di un organo preposto ad attuare molte 
delle garanzie costituzionali. 

A questo proposito va posto in rilievo che, nel 
contenuto di una legge costituzionale, non devono 
preoccupare le lacune in genere, ma solo quelle 
che �neriscono a principi i quali, nella struttura 
organica dell'istituto, hanno bisogno di un'affermazione 
immediata, poich� diversamente quella 
struttura presenterebbe delle fratture esiziali alla 
sua organicit�. Per il resto la 'disciplina generica 
si mostra opportuna in una materia soggetta a 
continui fl.uttamenti, sotto la spinta di nuove 
esigenze politiche e giuridiche, permettendo quel 
fenomeno dell'elasticizzarsi delle norme costituzionali, 
il quale ha fatto resistere ai tempi numerose 
costituzioni (1). 

� per questo che le osservazioni che seguono 
sono dirette ad esaminare se il nuovo disegno di 
legge costituzionale completi la disciplina organica 
dell'istituto nei suoi principi fondamentali, 
tralasciando le eventuali lacune su punti particolari, 
e le disposizioni alquanto generiche, che � 
bene si vadano colmando ed integrando attraverso 
l'opera di interpretazione ed applicazione della 
legge costituzionale. 

2. Con l'art. 2 del progetto di legge costituzionale 
� attribuito alla Corte un nuovo potere, che 
non era previsto dalla Costituzione, stabilendosi_, 
(1) Sull'utilit� di formule sintetiche e generiche della 
Costituzione cfr. Rossi: La elasticit� dello Statuto italiano, 
ora in Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1941, 
vol. VI, p. l e segg. 

-26 


che spetta ad essa � giudicare se le richieste di 
referendum abrogativo previste a norma dello 
art. 7 della Costituzione siano ammissibili ai 
sensi del secondo comma dell'articolo stesso� (1). 

Il sottoporre, in ogni caso, la proposta di referendum 
al giudizio preventivo della Corte costituzionale 
non ci sembra opportuno, sia dal lato 
giuridico sia da quello politico. 

� bene precisare, innanzi tutto, che tale giudizio 
preventivo pu� essere giustificato solo da ragioni 
pratiche, non mostrandosi vantaggioso mettere 
in moto la complessa procedura del referen-' 
dum per l'approvazione di una legge che, successivamente, 
verrebbe dichiarata incostituzionale 
perch� in contrasto con i principi del secondo 
comma dell'art. 75. 

Da un punto di vista generale, invece, sarebbe 
rispondente alla logica del nostro sistema costituzionale 
porre l'iniziativa del referendum abrogativo 
sullo stesso piano dell'iniziativa parlamentare, 
non subordinandola ad alcun giudizio preventivo 
di legittimit� costituzionale. 

Gli istituti di democrazia diretta sono considerati 
da una larga parte della dottrina come i 
pi� idonei per esprimere la volont� popolare. Tuttavia, 
essi vengono riconosciuti con una stretta 
cerchia di attribuzioni, perch� nei moderni Stati 
l'attuazione della democrazia diretta si rende praticamente 
assai difficile (2). Quando per� vengono 
ammessi, sia pure in limiti ristretti, � bene� 
porli su un piano di parit� con gli istituti di democrazia 
indiretta o, almeno, assumerli con poteri 
analoghi a quelli quanto pi� � possibile, onde 
non vengano considerati come mezzi inefficienti, 
con la conseguenza di renderli inoperosi da parte 
di quei soggetti che dovrebbero metterli in moto. 

Chiarito che solo ragioni pratiche giustificano 
il giudizio preventivo di legittimit� costituzionale 
si pone, senz'altro, il problema inteso a stabilire 
se quel giudizio debba manifestarsi automaticamente, 
come prevede la proposta di legge costituzionale, 
ovvero se sia pi� opportuno limitarlo 
ai casi in cui la proposta di referendum sembra 
mostrarsi in contrasto col secondo comma dell'art. 
75. 

Prima di esaminare questo problema va posto 
in rilievo che, volendosi sottoporre la proposta 
di referendum ad un giudizio di legittimit� costituzionale, 
in ogni caso ovvero in particolari casi, 
l'organo pi� adatto per tale giudizio � la Corte 
costituzionale. 

Va escluso, difatti, che un tale giudizio venga 
emesso dal Parlamento, come � stato proposto 
in sede di discussione, poich� il referendum trova 
la sua origine in un conflitto fra Corpo elettorale 
e Parlamento per essersi manifestata una Camera 

(1) Un esame di questa disposizione � fatto dal Luo1FREDI: 
Il controllo sulla costituzionalit� delle richieste 
di referendum abrogativo, in cc Riv. trim. di dir. pubbl. '" 
1950, p. 128 segg., il quale, attraverso una critica di 
opposte opinioni manifestatesi in sede di discussione 
parlamentare o accettate in progetti di legge, pone in 
rilievo l'opportunit� della disposizione in esame. 
(2) Sugli istituti di democrazia diretta nelle moderne 
costituzioni vedi BERNAREGGI: L'attivit� legislativa e 
la volont� popolare nel regime democratico, Milano, 1949. 
favorevole all'abrogazione di una legge e l'altra 
contraria, ovvero per essersi le due Camere astenute 
dall'abrogazione di una legge che sembra 
sia desiderato dal Corpo elettorale. 

A parte l'accennata ragione, che a nostro giudizio 
.� decisiva in quanto il Parlamento ha sostanzialmente 
la veste di parte nel giudizio che dovr� 
attuarsi, vi� � il fatto che il funzionamento di un 
istituto di democrazia diretta non pu� subordinarsi 
alla decisione di un organo di democrazia 
indiretta, se non vuole snaturarsi quell'istituto. 

� appena il caso di accennare poi che ad. organo 
giudicante nella materia in esame non pu� essere , 
assunto il Governo, in quanto questo rispecchia 
l'orientamento politico del Parlamento e, quindi, 
si trova nella stessa situazione di incompatibilit� 
di quest'ultimo (1). 

Mentre, pertanto, ci sembra che sia da approvarsi 
la proposta di legge costituzionale quanto 
all'organo che dovr� attuare il giudizio preventivo, 
diversa � la nostra conclusione circa il modo 
in cui dovr� estrinsecarsi questo giudizio. 

Posto che, come si � accennato, il giudizio preventivo 
in esame trova la sua giustificazione in 
ragioni pratiche, secondo noi pu� ben perseguirsi 
questo scopo attribuendo il giudizio alla Corte 
costituzionale non automaticamente, ma solo 
quando venga sollevata la questione di legittimit� 
costituzionale da apposito organo. 

Con questo sistema si elimina la necessit� di 
quel giudizio preventivo in ogni caso, che adombra 
l'efficienza dell'istituto, e si evita, d'altra parte, 
alla Corte costituzionale un lavoro nei casi in cui 
� d'immediata evidenza che non sorger� questione 
di legittimit� costituzionale sulla proposta di refe


'rendum, qualora questa diventi legge in seguito 
ad approvazione da parte del Corpo elettorale. 

Questo principio ha trovato applicazione nel 
progetto di legge governativo sul referendum, il 
quale, per�, non ci sembra soddisfacente su questo 
punto per avere assunto a soggetto competente 
a sollevare la questione di legittimit� costituzionale 
il Governo che, come si � accennato, si trova 
in quella stessa posizione di contrasto con il Corpo 
elettorale in cui versa il Parlamento. 

A soll�vare la questione di legittimit� appare 
pi� adatto, invece, il magistrato ordinario, il quale, 
in una materia influenzata da motivi politici per 
il conflitto fra organi costituzionali che ad essa � 
connesso, offre le pi� idonee garanzie di obiettivit�. 

Riconoscendo il potere d'impugnativa al magistrato 
non sorgerebbero intralci di carattere amministrativo, 
in quanto si tratterebbe di allargare 
la cerchia di attribuzioni che ad esso spettano 
secondo il progetto sul referendum. 

Difatti, poich� secondo il progetto di legge sul 
referendum i promotori dovranno presentarsi alle 
Cancellerie delle Corti di appello per notificare il 
loro proposito e consegnare per la bollatura 
moduli predisposti con l'indicazione . della legge 
da abrogare, sui quali poi dovranno raccogliersile 
firme, potrebbe attribuirsi a ciascuna Corte di 

(1) In questo senso vedi LuOIFREDI, op. cit., p. 134 
e segg. 

-27 


�ppello il potere di sollevare la questione di legitDi 
quest'avviso, per�, non � stata la Camera 
timit� entro un determinato periodo di tempo dei deputati, la quale, nel disegno di legge� ordidal 
momento della notifica della proposta di refenaria, 
ha creduto opportuno risolvere la questione 
rendum, qualora si ritenga che questa sia in conescludendo 
espressamente dall'illegittimit� costitutrasto 
con l'art. 75, secondo coillilla della Costi-. zionale l'eccesso di potere legislativo, oltre ai 
tuzione. � vizi di merito che peraltro non sembra potessero 

Sarebbe opportuno, pertanto, che nel progetto ritenersi compresi nella illegittimit� costituziodi 
legge costituzionale si togliesse l'automaticit� nale di cui parla l'art. 134 della Costituzione. 
del giudizio preventivo della Corte costituzionale, Non � qui il caso di esaminare la figura dello 
stabilendosi che quel giudizio abbia luogo quando eccesso di potere legislativo, su cui la nostra dotvenga 
sollevata la questione di legittimit� costitrina 
non ha ancora svolto indagini approfondite, 
tuzionale dal magistrato ordinario nella forme ma si � limitata ad acute osservazioni, le quali 
previste dalla legge sul referendum, nella quale spianano la strada per ricerche che, qualunque 
andrebbe disciplinata la particolare procedura. potr� esserne il risultato, serviranno a chiarire 

particolari situazioni in ordine alla discreziona


3. La proposta di legge costituzionale in esame lit� legislativa. 
non pone alcuna disposizione sul contenuto del In questa sede interessa esaminare, invece, se 
giudizio di legittimit� costituzionale della Corte la disposizione contenuta nel citato art. 28 sia 
costituzionale, mentre, invece, nel disegno di costituzionalmente legittima ovvero se essa debba 
legge ordinaria approvato dalla Camera dei depuessere 
assunta in una norma costituzionale. 
tati � stabilito, all'art. 28, introdotto nella seduta 

La risoluzione del problema discende logica


del 14 marzo 1951 su proposta dell'on. Tesauro 

mente dalla natura della disposizione in esame,

(Atti parlamentari Camera dei deputati 1951, pa


dato che, per l'art. 137 secondo comma della 

gine 27-91), che �il controllo di legittimit� della 

Costituzione, pu� disporsi con legge ordinaria solo 

Corte costituzionale su una legge o� un atto avente 

per la materia che attiene alla Costituzione ed 

forza di legge esclude ogni valutazione di natura 

al funzionamento della Corte. 

politica ed ogni sindacato sull'uso del potere di


La determinazione del contenuto della legitti


screzionale del Parlamento �. 

mit� c�stituzionale, di cui parla l'art. 134, investe 

Questa disposizione ci suggerisce alcune osser


i limiti di uno dei poteri della Corte costituzio


vazioni che assumono rilievo nell'esame della 

nale, in quanto esso non pu� che essere circoscritto 

proposta di legge costituzionale. 

dalla estensione che si attribuisce a tale espres


� Dopo l'entrata in vigore della Costituzione � 

sione. 

stata profilata in dottrina la figura dell'eccesso 

Ora, l'art. 28 della citata legge ordinaria, con

di potere legislativo e si � sostenuto che essa rien


il disporre che il controllo di legittimit� costitu


tra nel generico vizio di legittimit� costituzionale 

zionale esclude ogni valutazione di natura poli


previsto dalla Costituzione medesima (1). 

tica ed ogni sindacato sull'uso del potere discre-

Alcuni scrittori si sono mostrati recisamente 

zionale del Parlamento, attua un'interpretazione

contrari all'accoglimento di tale figura di vizio � 

dell'art. 134 della Costituzione e conseguentemente 

di legittimit� costituzionale (2), altri hanno a:ffer


determina i limiti del potere di controllo della 

~ato che la soluzione della questione andava 

Corte costituzionale. 

lasciata alla prassi ed alla giurisprudenza della 

Si tratta di una disposizione, quindi, che ine


Corte costituzionale (3). 

risce alla potest� della Corte costituzionale, ad

Stando ai lavori preparatori sembra che l'inten


una materia cio� che � sottratta all'attivit� del

dimento del costituente sia stato appunto quello 

legislatore ordinario, potendo questa estrinsecarsi, 

di usare una formula generica onde dare modo 

come s'� detto, solo relativamente alla costitu


alla giurisprudenza di determinare l'esatto con


zione ed al funzionamento di quella Corte. 

tenuto dei vizi di legittimit� costituzionale (4). 

Ci� posto, poich� l'atto di interpretazione autentica 
si basa sulla stessa potest� che ha dato luogo 

(1) MoRTATI: Sull'eccesso di potere legislativo, in �Giur. all'atto interpretato, deriva che una interpretait. 
'" 1949, I, 1, 448 segg.; 'lo stesso, La Corte costituzio-zione autentica dell'art. 134 in ordine al controllo 
nale, cit., p. 69. ' di legittimit� deve effettuarsi mediante una norma 
(2) Vedi specialmente, ESPOSITO: Il controllo giurisdicostituzionale.


zionale sulla costituzionalit� delle leggi, cit., p. 302 segg. 

(3) Rmm: La Corte costituzionale cit. 229 segg.; AzZARITI: 
Gli efjetti delle pronunzie sulla costituzionalit� 
delle leggi, in cc Profili attuali di diritto costituzionale '" (1) Non ci nascondiamo che il sindacato di eccesso 
di potere legislativo qualora non sia esercitato con una

cit., p. 169. 

(4) cc Questa formulazione legittimit� costituzionale anspiccata 
sensibilit� giuridica possa portare a sfiorare 
zich� costituzionalit� l'abbiamo indicata... per superare il merito della legge e, sotto questo riguardo, condivila 
proposta che era sorta di inserire escluso ogni giudidiamo 
le perplessit� di una parte della dottrina. Vedi 
zio di merito� (cos� Mortati, Res. A. C., p. 2620). cc La in merito, CALAMANDREI: La illegittimit� costituzionale 
Corte non � giudice di merito; ma la Corte deve, ad delle leggi nel processo civile. Padova, 1950, p. 22 .segg.; 
esempio, poter valutare la :finalit� della legge per rico� BELLI: Recensione al citato libro del Calamandrei, in 
noscere se � costituzionale o no; e se vi � stata... qualcc 
Rassegna Mensile dell'Avvocatura dello Stato�, 1950, �


cosa come un eccesso di potere nei riguardi della costifase. 
2, p. 5. Tuttavia non ci sembra sia il caso, in vista 
di un ipotetico pericolo, interpretare autenticamente in

tuzionalit�. 

La formula legittimit� costituzionale, mentre esclude maniera restrittiva la norma costituzionale, togliendole 
il merito, consente una valutazione abbastanza elastica; quel carattere di elasticit� che potrebbe armonizzarla 

e star� alla prassi ed alla giurisprudenza della Corte con i nuovi schemi giuridici sull'atto legislativo afferstabilire 
la giusta via" (RUINI, Res. A. C., p. 2636). mati da un'autorevole dottrina. 



-28 


4. Un altro punto che merita attenzione � quello 
relativo alla soppressione dell'Alta Corte Siciliana. 
Secondo l'art. 16 della proposta di legge costituzionale, 
i giudizi in corso davanti l'.Alta Corte 
Siciliana saranno devoluti alla Corte costituzionale 
qualora non siano defi.niti entro tre mk\si 
dall'entrata in vigore della legge stessa e, decorso 
tale periodo, l'.Alta Corte Siciliana cesser�. dalle 

sue funzioni. 

Questa disposizione � forse quella su cni maggiormente 
si manifester�. il contrasto di opposte 
correnti in seno al Parlamento, almeno a giudicare 
dalla posizione assunta dalla stampa dei 
diversi partiti. Mentre, difatti, una corrente � 
favorevole a mantenere ferma la disposizione in 
esame nel testo defi.nitivo, altra � decisamente 
contraria. 

Questo profi.larsi di opinioni contrastanti ci 
induce ad un breve esame della posizione dell' .Alta 
Corte Siciliana con l'entrata in funzione della Corte 
costituzionale. 

L'Alta Corte Siciliana ha due distinte attribuzioni, 
che sono rispettivamente specificate negli 
articoli 25 e 26 dello Statuto siciliano: 

10 giudica sulla costituzionalit�. delle leggi 
emanate dall'Assemblea regionale e delle leggi 
e dei regolamenti emanati dallo Stato, rispetto 
allo Statuto siciliano � ed ai fini di efficacia dei 
medesimi entro la regione; 

20 giudica dei reati compiuti dal Presidente 
e dagli Assessori regionali nell'esercizio delle loro 
funzioni. 

Ponendo questa competenza in relazione a 
quella della Corte costituzionale si rileva che, 
con l'entrata in funzione di questa, le attribuzioni 
indicate al n. 1, con esclusione del giudizio sui 
regolamenti dello Stato, vengano assorbite automaticamente 
dalla competenza che la Corte costituzionale 
ha in ordine alle controversie circa la 
legittimit�. costituzionale delle leggi e degli atti, 
aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni. 

Diciamo che le accennate funzioni dell'Alta 
Corte Siciliana vengono assorbite dalla competenza 
della Corte costituzionale in quanto non 
ci pare possa essere dubbio che, con l'entrata in 
funzione di quest'ultima, debbano cessare le attribuzioni 
che I'.Alta Corte Siciliana ha in comune 
con essa per essere implicitamente abrogate, non 
essendo ammissibile, come si espresse l'on. Calamandrei 
alla Camera dei deputati, �la coesistenza 
di due organi i quali, a prescindere da ogni altra 
considerazione, potrebbero prendere diverse decisioni 
in ordine ad una stessa legge della Regione, 
del cui giudizio di legittimit�. fossero, per diversa 
via investiti>> (1). 

N� vale affermare, come si � fatto in sede di 
discussione parlamentare, che l'abrogazione implicita 
non pu� aver luogo perch� lo Statuto siciliano 
assunse la qualifica di legge costituzionale 
dopo l'emanazione della legge costituzionale 26 
febbraio 1948, n. 2, cio� successivamente all'en


(1) CALAMANDREI, nel discorso intitolato: Necessit� 
di sopprimere l'Alta Oorte per la Sicilia, citato da PERSICO, 
La Oorte costituzionale, cit., pp. !)9-70. 
trata in vigore della Costituzione, e ci� per un 
duplice ordine di motivi. 

In primo luogo va osservato che lo Statuto 
siciliano era legge costituzionale prima dell'emanazione 
della legge 26 fe:bbraio 1948i n. 2, la quale 
non ha fatto che dichiarare tale natura costituzionale. 
E difatti la natura costituzionale di tale 
Statuto per effetto dell'approvazione operata con 
regio decreto-legge 15 maggio 1946, n. 455, non 
sembra possa essere posta in dubbio, quando si 
tenga presente che esso disciplina una materia 
che � sostanzialmente costituzionale, investendo 
principi fondamentali della forma dello Stato. 

Ci� si ricava altresi dall'art. 116 della Costituzione, 
il quale dispone che gli statuti delle regioni 
ad autonomia speciale sono adattati con leggi 
costituzionali. Invero, se con l'entrata in vigore 
della nuova Costituzione gli statuti regionali vengono 
approvati con legge costituzionale, non sembra 
che possa negarsi natura di legge costituzionale 
al regio decreto-legge n. 455 che, prima dell'entrata 
in vigore della costituzione, approv� lo 
Statuto siciliano. A questa conclusione non osta 
la forma di emanazione del regio decreto-legge 
in esame, essendo stato esso emanato in virt� 
dell'art. 4 del decreto legislativo luogotenenziale 
25 giugno 1944, n. 151, che viene generalmente 
considerato come norma attributiva di un potere 
legislativo anche in materia costituzionale, con 
esclusione tuttavia della determinazione della 
forma repubblicana o monarchica dello Stato e 
della formazione della costituzione definitiva. 

Ma vi � ancm::a un'altra considerazione, la quale 
dimostra l'infondatezza della tesi che nega l'abrogazione 
implicita della norma relativa al giudizio 
di costituzionalit�. dell'Alta Corte Siciliana. 

La dottrina prevalente distingue le norme costituzionali 
in precettive, se sono complete e concrete 
nei loro enunciati, e direttive, se sono dirette principalmente, 
ma non esclusivamente, al futuro legislatore 
e se per il loro contenuto non sono in grado 
di essere applicate seriza ulteriori svolgimenti, e le 
prime poi classifica in due distinte categorie, a 
seconda che siano suscettibili d'immediata applicazione 
ovvero siano subordinate per la loro efficacia 
alla emanazione di norme o al funzionamento 
di istituti che presuppongono (1). 

Le norme della Costituzione che disciplinano 
la competenza della Corte costituzionale appartengono 
alla categoria delle norme precettive 
non applicabili immediatamente, presupponendo 
esse il funzionamento della Corte stessa. Di conseguenza, 
ai fi.ni dell'a.brogazione implicicita din01me 
per effetto delle norme della Costituzione relative 
alla competenza della Corte costituzionale, non 
bisogna riferirsi al momento in cui queste divennero 
valide, bensi a quello in cui si rendono applicabili. 

Le considerazioni fin'ora svolte pongono in rilievo 
che, qualora si voglia sopprimere l'art. 16 
al fine di lasciare in vita I'.Alta �orte Siciliana, 
si rende necessario porre uria norma la qual~d~ter.: 

(1) Per questa distinzione vedi specialmente BISOARETTI 
DI RUFFIA: Sull'efficacia abrogante delle norme 
della Costituzione italiana, in cc Foro Padano�, 1950, 
IV, 163 e segg. e bibliografia ivi citata. 

-29 


mini la linea di demarcazione nella competenza 
dei due organi. Diversamente, nel silenzio della 
legge, qualora quand'anche si affermasse il principiq 
della non abrogazione implicita delle norme 
relative al giudizio di costituzionalit� dell'Alta 
Corte, si creerebbero delle situazioni quanto mai 
strane. 

Potrebbe accadere, per esempio, che il commissario 
dello Stato impugni davanti l'.Alta Corte 
una legge regionale e che l'impugnativa sia respinta. 
Impedisce questo che la Corte costituzionale 
giudichi essa della costituzionalit� della legge 
regionale, quando la questione sorga in un giudizo 
ordinario, sollevata da una delle parti, e il 
giudice non la riconosca infondata (legge costituzionale 
9 febbraio 1948, n. 1) ~ 

.Ancora: i conflitti di attribuzicne fra Stato e 
Regione sono di competenza della Corte costituzionale. 
Ma la Regione potrebbe sempre eludere 
tale giudizio disponendo, nella materia che si 
presta per un eventuale conflitto, mediante legge 
regionale, la quale potrebbe essere impugnata solo 
davanti l'.Alta Corte. 

Questi pochi accenni ci sembrano sufficienti per 
dimostrare la necessit� di disciplinare chiaramente, 
come s'� detto, la sfera di competenza di ciascuno 
dei due organi perch� non si abbia duplicit� di 
giudizio sulla stessa legge, sempre che s'intenda 
dovesse prevalere la tesi della permanenza del1'.
Alta Corte Siciliana. 

Per completare il sommario esame dell'art. 16, 
che ci siamo proposto, rimane da fare ancora 
un'osservazione. 

Sebbene si sia sostenuto che, con l'entrata in 
vigore della Corte costituzionale, la competenza 
di legittimit� costituzionale dell'Alta Corte Siciliana, 
con esclusione per� dei giudizi sui regolamenti 
dello Stato attinenti allo Statuto siciliano 
ed ai fini della loro efficacia entro la regione, venga 
meno per abrogazione implicita delle relative 
norme, tuttavia, qualora prevalga la tesi della 
soppressione dell' .Alta Corte, ci sembra che una 
disposizione in questo senso sia molto opportuna, 
onde evitare il sorgere di questioni che, comunque 
risolte, determinerebbero sempre un irrigidimento 
nei rapporti fra i due enti. 

.A questo scopo non ci pare risponda il disposto 
dell'art. 16. Ed invero, poich� l'.Alta Corte Siciliana 
giudica anche sulla costituzionalit� dei rego


lamenti dello Stato attinenti allo Statuto s1mliano 
ed ai fini della loro efficacia entro il territorio 
della regione, non trovando questa competenza 
corrispondenza in quella della Corte costituzionale, 
sorgerebbe senz'altro il problema inteso 
a stabilire se, con l'abolizione dell'Alta Corte 
Siciliana, tutte le attribuzioni di essa passano 
alla Corte costituzionale ovvero solo quelle che 
hanno un identico contenuto, rimanendo soppresse 
le altre. . 

Questione analoga si presenterebbe relativamente 
alla competenza dell'Alta Corte circa 
reati commessi dal presidente e dagli assessori 
regionali. 

Vero � che questa competenza trova corrispon denza 
nell'analoga competenza della Corte costituzionale 
in ordine a taluni reati commessi dal 
presidente della Repubblica e dai ministri, ma, 
a parte che per questi giudizi la formazione 
del Collegio giudicj:tnte � determinata avendo 
riguardo alla funzione dei giudieabili, con la conseguenza 
che la Corte costituzionale, nella sua 
particolare composizione per i giudizi penali, 
mancherebbe di questa caratteristica per giudicare il 
presidente e gli assessori regionali, vi � la considerazione 
fatto che in materia di procedura penale le norme 
vanno interpretate con criteri rigidi ed aderenti, 
quanto pi� � possibile, al cont13nuto letterale delle 
norme stesse. Sia per quanto riguarda la competenza 
di costituzionalit� dei regolamenti dello 
Stato, sia relativamente alla competenza penale 
si potrebbe osservare che, disponendosi nell'articolo 
16 che i giudizi in corso presso l'.Alta Corte 
Siciliana saranno devoluti, trascorsi tre mesi, alla 
Corte costituzionale, si ha un'affermazione implicita 
dell'assorbimento di tutta la competenza 
della prima da parte di quest'ultima; ma l'argomento 
�, quanto meno, assai dubbio per i rilievi 
gi� �sposti. 

In conclusione ci sembra che, qualunque sia 
la tesi che si affermi relativamente alla permanenza 
o meno dell'Alta Corte Siciliana dopo la 
entrata in funzione dela Corte costituzionale, si rende 
necessario risolvere il problema in termini precisi s� 
da non crearsi situazioni giuridiche assai difficili, 
che si ripercuoterebbero inevitabilmente, come 
fanno presumere i dibattiti parlamentari sullo 
argomento, sui rapporti politici fra� Stato e Regione. 


CARMELO CARBONE 

.A.VVOOATO DELLO STATO 


-30 


ANCORA SULLA RIFORMA DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO 


Il progetto di riforma del contenzioso tributario, 
redatto da una Comlnissione di esperti, ora 
comunemente noto come il � Progetto dei sette >> 
di cui ci siamo occupati in questa Rassegna (1) 
ha dato occasione a numerosi scrittori di trattare 
ampiamente la tormentata materia con riferimento 
ai principi accolti in quel progetto, sicch� se con 
esso non si �, in realt�, inteso di redigere un testo 
concreto da tramutarsi in legge, bensi di provocare 
un ampio dibattito sui principi informatori di una 
riforma del contenzioso tributario, pu� fin d'ora 
dirsi che tale scopo, anche se meno ambizioso ma 
pi� realistico ed aderente alle effettive esigenze 
della preparazione di una seria e ponderata riforma, 
sia stato in gran part� raggiunto. 

Diamo, qui di seguito, una breve rassegna degli 
articoli pubblicati i quali, come si vedr�, nella 
maggioranza concordano nel giudizio negativo, 
da noi espresso sul progetto, fin dalla sua pubblicazione. 


Cominciamo dal conciso ma concreto studio 

del Griziotti (2). L'illustre scrittore elenca una 

serie di difetti dello attuale ordinamento conten


zioso tributario, che il progetto di riforma n� elimi


nerebbe n� attenuerebbe; e ne indica altri che il 

progetto stesso accrescerebbe o creerebbe ew novo. 

Difetto fondamentale del progetto � quello di la


sciare una scala cc incomprensibile >> di sei gradi di 

giurisdizione, perpetuando un inconveniente la


mentato da tutti gli studiosi di diritto tributario; 

anzi, vi si aggiungerebbe una Giunta di stima che 

non farebbe altro che complicare il sistema. 

Negli articoli pubblicati in questa Rassegna (3) 

avemmo gi� occasione di accennare a tale difetto 

come pure all'altro, ugualmente grave, rilevato 

autorevolmente dal Griziotti di sottrarre il con


cordato alla competenza dell'Amministrazione at


tiva, sia pur circondandolo di maggiori garanzie. 

Dopo alcune critiche minori, e dopo aver pro


posto che si stabilisca un sistema di alternativit� 

tra il ricorso in via amministrativa e l'azione giu


diziaria (evidentemente, il G. vuol intendere che 

il contribuente possa adire direttamente l'Auto


rit� giudiziaria senza esperire la previa azione 

amministrativa, non essendo concepibile una dispo


sizione che escluda comunque l'azione giudiziaria), 

il chiaro Autore solleva precise e documentate 

obiezioni contro l'art. 17 del progetto col quale, 

senza che nella relazione si spenda una sola parola 

di spiegazione si abolirebbe il principio del solve 

et repete. Il Griziotti, dopo aver negato che in tale 

modo si farebbe compiere all'ordinamento proces


suale tributario un progresso cosi prosegue: cc � da 

(1) 1951, pag. 107 e segg. 
(2) Per la riforma del contenzioso tributario, in� Riv. 
di Dir. Fin. >>, 1951, 203. 
(3) N. 10 del 1949, pag. 233 e n. 4 del 1951, pag. 107. 
ritenere, invece, che il sistema d~l solve et repete, 
applicato equamente dalla giurisprudenza della 
Cassazione con opportune esenzioni dal pagamento 
anticipato del tributo, quando il giudice al primo 
aspetto possa riconoscere come probabile che il 
tributo stesso non sia dovuto, s,ia molto pi� oppor 
tuno, almeno in Italia, del sistema straniero di 
non applicare il solve et repete e di non sospendere 
l'iscrizione a ruolo n� di impedire la esecuzione 
forzata della riscossione del tributo n. 

Concludendo il suo breve articolo il G. critica 

la proposta di costituire sezioni specializzate 

presso ogni ordine di giudizio, rilevando che, per 

quanto riguarda gli esperti, �in una materia cosi 

complessa, come la finanziaria, pare difficile tro


vare gli esperti, all'infuori di quelli esclusi nel pro


getto dal compito di esperto; e cio� notai, avvo


cati di Stato, impiegati finanziari, professionisti n. 

Un articolo di critica, limitata, per�, alla sola 

parte che concerne la fase amministrativa � stato 

quello pubblicato dal Lintas (1) il quale osserva 

che in base al principio che l'azione amministra


tiva, debba, anzitutto, trovare un correttivo in 

se stessa, la fase amministrativa della tutela del 

contribuente dovrebbe essere basata sul sistema 

del ricorso gerarchico, concordando, in ci�, sostan


zialmente col nostro punto di vista espresso negli 

articoli sopra ricordati. Dopo aver rilevato la 

stranezza del sistema seguito dal progetto che, 

mentre attribuisce alla Commissione carattere 

puramente amministrativo, esclude da essa qua~


siasi appartenente alla Amministrazione, anche Il 

Lintas rileva che la creazione della Giunta di sti


ma non farebbe altro che complicare le cose. Dopo 

aver detto che occorre eliminare il privilegio del 

solve et repete, il Lintas conclude proponendo, 

sostanzialmente, di lasciare le cose come stanno. 

Anche il Sapori (2) si occupa del progetto solo 

per �a parte che concerne la fase ammi.nistrativ~ 

della tutela del contribuente. Il Sapon, come il 

Lintas � funzionario dell'Amministrazione finan


ziaria.' Entrambi portano la viva voce di coloro 

che debbono diuturnamente occuparsi di questa 

materia ed entrambi sostengono la necessit� del 

ripristi~o . del sistema del ricorso gerarc~ico, in 

conformit� del principio generale secondo il quale 

deve essere consentito all'Amministrazione di esa


minare i propri atti, prima di essere tratta in giu


dizio da coloro che se ne pretendono colpiti. 

Nella citata Rivista (3) � anche pubblicato u~ 

articolo dello Spagnol, il quale, salvo alcune cri


tiche di carattere secondario, concorda sostan


(1) In Giurisprudenza delle Imposte '"dirette, di_ Re_gistro 
e di Negoziazione, 1951, 442. . . (
2) " Rivista Italiana di Ragioneria �, fascicolo 9-10, 
1951. 
(3) Giurisprudenza delle Imposte dirette, ecc., 1951, 
pag. 445. 

-31


zialmente con il progetto, bench�, in concreto, 
non lo esamini a fondo. Egli si limita, sopratutto, 
ftd esaltare l'abolizione del solve et repete, ed a chiedere, 
anzi, che si compia l'opera, cos� bene iniziata, 
stabilendo che l'azione giudiziaria, intrapresa direttamente 
senza il previo esperimento dell'azione 
amministrativa, sospenda anche l'esecutoriet� dell'atto 
di imposizione. 

L'articolo dello Spagnol mette, peraltro, in luce 
una grave innovazione che anche a noi era sfuggita. 
L'.A. rileva, infatti, che il progetto lascerebbe 
al solo contribuente la facolt� di adire 
l'.Autorit� giudiziaria dopo la decisione delle Commissioni 
amministrative. Ci� risulterebbe indirettamente 
dall'art. 23 il quale stabilisce che il ricorso, 
con cui verrebbe promoss� l'azione giJidiziaria, 
dovrebbe essere depositato in cancelleria e che 
<< il cancelliere appone sul ricorso un bollo con la 
data e ne d� la ricevuta al contribuente >>. 

Se l'interpretazi<,>ne dello Spagnol � esatta, come 
anche a noi sembm, � appena il caso di rilevare la 
gravit� delle conseguenze di tale disposizione per 
la Finanza, la quale verrebbe lasciata assolutamente 
indifesa di fronte alla violazione od errata applicazione 
della legge da parte delle Commissioni 
amministrative, che sarebbero tali solo di nome, 
essendo costituite da elementi che con !'.Amministrazione 
non hanno alcun rapporto, peggiorandosi 

, gravemente il sistema attuale, che riconosce almeno 
all'.Amministrazione, al pari del contribuente, 
ilrimedio dell'azione giudiziaria, di cui molto spesso 
si avvale, contro le decisioni delle Commissioni 
tributarie che ledano i suoi diritti. 
Bisogna, peraltro, riconoscere che la non impugnabilit� 
della decisione delle Commissioni da 
parte dell'Amministrazione discenderebbe dal rigore 
dei principi, giacch�, una volta sancito il 
carattere di � organi dell' .Amministrazione finanziaria 
� delle commissioni tributarie e, conseguentemente, 
riconosciuto alle loro decisioni il carattere 
di << provvedimenti dell'Amministrazione � 
sarebbe del tutto irrazionale ammettere che !'.Amministrazione 
possa impugnare i << suoi � stessi 
provvedimenti. 
Ci�, tuttavia, mette in chiara luce, come sia del 
tutto aberrante il principio ispiratore, accolto in 
questa parte del progetto, jn base al quale si vorrebbe 
imporre all'.Amministrazione di riconoscere 
co~e << suoi �provvedimenti che tali non sono per 
loro natura, non essendo emessi da organi dell'.Amministrazione. 
Suggestionati dalla preoccupazione di accentuare 
l'indipendenza delle Commissioni tributarie 
dalla .Amministrazione, Ii.on ci si � accorti che, 
con ci� stesso, se ne accentuerebbe il loro carattere 
obiettivo di organi giurisdizionali. E sarebbe un 
tentativo evidentemente destinato a cadere quello 
di cercare di eludere il diritto dell' .Amministrazione 
alla tutela, al pari del contribuente, dei suoi 
interessi dinanzi alla Magistratura ordinaria, attribuendo 
alla decisione il carattere di � provvedimento 
dell'.Amministrazione �, dall'.Amministrazione 
stessa non impugnabile. I diritti sanciti dalla 
Costituzione non valgono soltanto per i privati 
cittadini, ma, in egual misura, anche per l'.Ammi


nistrazione, che non pu� essere costretta a subire 

la violazione dei suoi interessi giuridici da parte 

di terzi senza la possibilit� di esercitare l'autotu


tela o di chiederne, almeno, la difesa in via giuri


sdizionale. 

In conclusione, o si vuol mantenere ilc.aratterP 
giurisdizionale delle Commissioni tributarie, ed 
in tal caso potr� essere questione di accentuarne 
l'indipendenza di fronte all'Amministrazione, la 
quale, correlativamente, potr� impugnarne ledecisioni, 
al pari del contribuente; o si vuol dare alle 
Commissioni il carattere di organi dell'.Ammfoistrazione 
i cui provvedimenti questa sia tenuta a 
. riconoscere per suoi, e, in tal caso, bisogner�, si 
voglia o no, fare il proces.so inverso ed accentuare 
nelle Commissioni il carattere amministrativo, 
escludendone gli estranei all' .Amministrazione stessa 

Dobbiamo, infine, rilevare che nemmeno su un 

punto cos� importante la Relazione dei sette con


tiene una sia pur scarna giustificazione di cos� 

radicale innovazione, tant'� vero che, come ve


dremo, essa � stata rilevata solo da un altro scrit


tore. 

Una vivace critica del progetto �, invece, con


tenuta in un articolo del La Torre comparso sulla 

stessa Rivista (1). 

Dopo aver premesso che << la riforma progettata 

se si regge sulla carta non si regge sui fatti �il La


Torre rileva la incongruenza di porre a capo delle 

Commissioni dichiaratamente amministrative un 

magistrato e, notati i difetti della proposta Giunta 

di stima, critica radicalmente le innovazioni pro


poste in materia di sindacato giudiziario. 

Il La Torre ritiene che la Commissione sia par


tita � da un errore fondamentale: quello che si 

debba assicurare ai cittadini un sindacato di me


rito in materia fiscale affidato al Magistrato ordi


nario �. Dopo aver messo in rilievo la impossi


bilit� pratica di affidare al magistrato, per una 

decisione giudiziaria, questioni di estimazione di 

reddito, l'.A. osserva che �l'articolo 113 dice che la 

tutela giurisdizionale, in confronto ali' .Ammini


strazione, non pu� essere esclusa o limitata; ma 

ci�, nel senso tradizionale, che deve esistere questa 

tutela, salvo che in dati settori !'.Amministrazione 

fruisca di discrezionalit� di volere o di apprezza


mento �. Ora, continua lo scrittore, stabilire l'im


ponibile � questione squisitamente tecnico-di


screzionale che � assolutamente sottratta all'esame 

del giudice ordinario. 

Concludendo, il La Torre sostiene che l'unica 

riforma possibile � di ritoccare l'ordinamento at


tuale, escludendo, comunque, la creazione di se


zioni specializzate presso i giudici ordinari. 

Una critica molto seria e ponderata � anche 

quella contenuta nell'articolo del Borruso (2). 

Il Borruso premette che il vigente sistema di 

contenzioso tributario << non sembra, come invece 

agli estensori del progetto sopradetto, incompati


bile con le disposizioni costituzionali ri1pmrdanti 

(1) Sul cc Contenzioso tributario '" Riv. Cit., 1951, 
pag. 650. 
(2) In cc Rivista del Notariato '" 1951, pagg. 579 e 
seguenti. 

-32


la unicit�~della rgiurisdizione, sia perch�, fin dal 
1865, per questioni di diritto il contribuente pu� 
adire l'autorit� giudiziaria, sia perch�, pur ammettendo 
che le attuali Commissioni tributarie esercitino 
per le questioni di estimazione funzioni 
sostanzialmente giurisdizionali, queste non sono 
radicalmente abrogate dalla nuova Costituzione �. 
Questa tesi concorda con quella da noi esposta 
in questa Rassegna, 1951, 112, n. 10. 

Passando, poi, alla critica del progetto per 
quanto riguarda la devoluzione al giudice ordinario 
della competenza in materia di semplice estimazione, 
il Borruso ritiene che con questa innovazione 
si verrebbe sostanzialmente a violare la Costituzione, 
e precisamente il principio della divisione 
dei poteri, in quanto si verrebbe a trasformare 
un magistrato ordinario in procuratore delle 
imposte o del registro; ed osserva che � se � vero 
che, in omaggio alla Costituzione, le magistrature 
speciali non amministrative devono sparire e i 
loro compiti debbono essere riassorbiti dalla magistratura 
ordinaria, affidare a quest'ultima funzioni 
affatto estranee alla sua naturale giurisdizione, 
denuncia in modo egualmente evidente una profonda 
crisi nello Stato, una diffusa sfiducia nella 
capacit� dei suoi organi dell'amministrazione attiva, 
una notevole confusione di idee �. 

Sostenendo, poi, che la pretesa del contribuente 
ad una giusta imposizione (per quanto riguarda 
l'accertamento dell'imponibile) si fondi piuttosto 
su un interesse legittimo che su di un di;ritto soggettivo 
(secondo la nota tesi dell' .Allorio) ilBorruso 
conclude che � esclusa la possibilit� e la necessit� 
di devolvere le questioni tributarie alla competenza 
del Consiglio di Stato e della Giunta provinciale 
amministrativa non resta che procedere alla 
� revisione � (art. VI delle disposizioni transitorie 
della costituzione) delle attuali commissioni delle 
Imposte, dando ad esse una pi� decisa, inequivoca 
fisionomia di giurisdizione amministrativa, chiamate 
a risolvere esclusivamente le questioni di stima, 
quando il contribuente non pretenda l'annullamento 
radicale dell'accertamento eseguito dall'Ufficio 
�. Il Borruso esamina, poi, lungamente 
la questione dell'abolizione del salve et repete, 
e rileva anzitutto la stranezza della cc omessa presentazione 
nella Relazione al Ministro delle Finanze, 
di un nuovo principio introdotto con l'articolo 
17 del progetto di riforma e che avrebbe 
sicuramente meritato la spesa di qualche cenno di 
chiarimento da parte degli autori, dai quali proprio 
in quanto giuristi e non burocrati ci si attende 
una pi� accentuata cura ad una consapevole e tecnica 
impostazione delle questioni di massima �. 

Era questo, come ben si ricorder�, l'appunto 
fondamentale che noi muovevamo al progetto dei 
sette per questa parte e siamo lieti di vedere con divisa 
la nostra opinione, ed anche il tono del 
nostro rilievo. 

Dopo aver riportato testualmente la parte del 
nostro articolo nella quale difendevamo il mantenimento 
del principio del salve et repete, il Borruso 
sostiene, tuttavia, che esso non pu� essere mantenuto 
nella forma attuale, e propone che sia introdotta 
una norma che attribuisca all'autorit� finan


ziaria la facolt� di dispensare i contribuenti dall'osservanza 
dell'onere del previo pagamento del 
tributo. 

Infine, a conclusione del suo studio, il Borruso 
espone quelli che dovrebbero essere, a suo avviso, 
i cardini di una riforma dell'attuale sistema del 
contenzioso..Essi dovrebbero essere i seguenti: 

1� assoluta uniformit� di disciplina per tutte 
le imposte dirette o indirette, erariali o fiscali; 

2� ripristino del ricorso gerarchico come mezzo 
di tutela amministrativa, onde conseguire la cc definitivit� 
� del provvedimento impugnando davanti 
alla giurisdizione ordinaria o a quella amministr3jtiva. 
Per le questioni di semplice stima, l'accertamento 
definitivo si avrebbe con la decisione 
dell'Intendente di Finanza; 

3� devoluzione alla competenza del magistrato 
ordinario -con giurisdizione di puro annullamento 
-secondo le normali regole del c.p.c., di 
tutte le questioni riguardanti diritti; sia che vertano 
sui presupposti di legittimit� della imposizione, 
sia che concernano la violazione dei criteri 
legali per la stima dei redditi e dei valori; 

4� attribuzione alle Commissioni delle imposte 
di tutte le questioni in cui il contribuente, che non 
ricorra per pretesa radicale infondatezza dell'accertamento, 
chieda un accertamento pi� mite in 
base ai criteri dell'equit� e dell'imparzialit�. Abolizione 
della Commissione centrale; 

5� alternativit� del ricorso alle due giurisdizioni 
senza possibilit� di rinvii dall'una all'altra; 

6� mantenimento del salve et repete c�n applicazione 
dal momento in cui l'accertamento si 
rende definitivo, salva la facolt� dell'Autorit� 
finanziaria di dispensare da tale onere; � 

7� obbligo a tutti gli organi di tutela amministrativa, 
di giurisdizione amministrativa e di giurisdizione 
ordinaria, di decidere sui ricorsi de.i contribuenti 
entro un breve termine tassativo; 

8� obbligo agli uffici tributari di motivare, 
con riferimenti analitici o personali, gli avvisi di 
accertamento; 

9� responsabilit� per danni, commisurata all'effettivo 
pregiudizio sub�to dal contribuente, del 
funzionario che ha reso definitivo l'accertamento 
quando -negata la �ispensa dal salve et repete siasi 
accertata la violazione da parte di lui di 
diritti soggettivi e l'eccesso di potere. 

Un consenso, invece, quasi completo al progetto 
� espresso in un articolo del Rotondi A. (1) 
il quale, dopo aver formulato solo critiche di carattere 
secondario, tra le quali una radicale contro 
l'istituzione della Giunta di stima, loda l'abolizione 
del salve et repete, come uno dei migliori pregi 
del progetto di riforma. 

Nella stessa Rivista (2) � pubblicato un articolo 
dello stesso direttore Uckmar, il quale, pur 
dichiarando che il progetto � cc redatto con criteri 
giuridici e con una tecnica e propriet� di linguaggio 
veramente encomiabili �, e pur affermando che 
cc sotto il profilo giuridico � la sofozione I>_roEos~a 

(1) In <<Diritto e Pratica tributaria�, 1951, 15. 
(2) Riv. cit., 1951, 163. 

-

dai sette sembra ineccepibile, confessa, per�, che 

dal punto di vista pratico sussistono gravi dubbi 

che essa elimini l'inconveniente della eccessiva 

durata del processo. 

L'Uckmar ritiene che la istituzione della Giunta 

di stima, come organo avanti il quale dovrebbero 

concludersi i concordati fiscali, valga a far cadere 

la sfiducia che oggi circonda questo istituto, pur 

cosi fondamentale in materia di accertamento tri


butario. Passando all'esame della parte del progetto 

che si occupa del sindacato giudiziario, l'Uckmar 

concorda sostanzialmente con tutte le innova


zioni portate dal progetto, pur senza esaminarle 

a fondo. Riportiamo, peraltro, testualmente una 

osservazione dell'A. che coincide con l'obiezione 

che noi abbiamo mosso e che continuiamo a muo


vere al progetto dei sette, di essere, cio�, assolu


tamente reticente proprio sulle questioni pi� im


portanti. Scrive infatti l'Uckmar: � sin' oggi nes


suno ha mai dubitato che, dopo la decisione delle 

Commissioni amministrative sia il contribuente 

che la finanza possano adire l'Autorit� giudizia


ria ordinaria. Dal testo del progetto sembra, in


vece, che il ricorso giurisdizionale sia ammesso 

solo per il contribuente; alludo all'art. 17, allo 

art. 22 nel qlfale si parla soltanto della domanda 

del contribuente, e soprattutto all'art. 25 che pre


vede la notifica del ricorso soltanto all'Ufficio che 

ha effettuato l'accertamento. Se si trattasse di 

una delle solite leggi tributarie si potrebbe parlare 

di un lapsits del legislatore, ma non � possibile 

che i giuristi che hanno compilato ilprogetto siano 

caduti in un tale errore �. 

D'altra parte non si comprende per quale ragione 
si debba negare la tutela giurisdizionale al 
Fisco; � vero che le nuove Commissioni tributarie 
sono organi dell'Amministrazione ma ci� non sembra 
sufficiente; anche le vigenti Commissioni, quando 
furono istituite, erano considerate organi amministrativi, 
ma contro le loro decisioni la finanza 
poteva ricorrere al magistrato ordinario. Comunque 
era necessario dare una giustificazione ad una 
�innovazione cosi radicale, mentre nella Relazione 
al progetto non � stato fatto il piu lontano aceenno �. 
Del progetto si �, infine, occupato l'Allorio (1), 
in un articolo incompleto e poco originale nel quale, 
dopo aver esposto alcune idee in materia di riforma 
tributaria sostanziale, critica il progetto dei 
sette, che egli sostanzialmente disapprova in toto. 

L'articolo � incompleto perch� non si occupa 
affatto n� dell'abolizione del salve et repete n� della 
innovazione costituita dagli artt. 17 e segg., secondo 
i quali, come si � visto, la facolt� di ricorrere 
in via giudiziaria sarebbe lasciata al solo contribuente, 
n� delle altre radicali innovazioni di 
cui abbiamo a lungo parlato (patrocinio facoltativo, 
abolizione del foro erariale, ecc.). 

Sui punti del progetto che sottopone al suo esame 
l'Allorio riprende, in sostanza, le critiche da noi 
formulate negli scritti sopra citati. 

(1) Rivista� Moneta e Credito>>, n. 16. Sulla riforma 
del procedimento di imposizione e sulla disegnata riforma 
del processo tributario. 
33 

Infatti, l'A., dopo aver contestato che le norme 
della Costituzione possano intendersi nel senso che 
esse impongano l'abolizione completa delle giurisdizioni 
speciali esistenti, afferma, invece, che tali 
norme, e cio� l'art. 102 e la VI Disposizione transitoria, 
debbono intendersi nel senso che le giurisdizioni 
speciali esistenti possano essere mantenute 
se pur revisionate. E partendo da tale premessa 
riconosce che il problema di mantenere o meno l~ 
Commissioni tributarie con carattere giurisdizionale 
(carattere oggi riconosciuto dalla giurisprudenza 
costante e dalla prevalente dottrina) si riduce 
ad un problema di politica legislativa che egli 
vorrebbe risolvere in senso positivo. Ci� specialmente 
per la irrealizzabilit�, dal punto di vista 
pratico, della proposta di deferire le controversie 
anche di semplice estimazione all'Autorit� giudiziaria 
ordinaria e della criticabilit� della proposta 
istituzione di sezioni specializzate con esperti presso 
le Preture secondo i rilievi gi� mossi in un suo noto 
seritto dall'Azzariti. 

L'Allorio propone, poi, la soppressione della Commissione 
centrale delle imposte e conclude sostenendo 
che si dovrebbe stabilire che contro le decisioni 
delle Commissioni tributarie si possa ricorrere 
in sede giudiziaria direttamente alla Corte d'Appello. 

L'articolo dell'Allorio acquista, peraltro, notevole 
interesse per aver provocato una postilla del 
presidente Azzariti, il quale, in essa, si limita a 
difendere, contro la tesi dell'Allorio, il suo punto 
di vista circa la necessit� di abolire tutte le giurisdizioni 
speciali esistenti escluso il Consiglio di 
Stato e la Corte dei conti. 

Poich�, peraltro, l'Allorio aveva espresso la sua 
meraviglia per il fatto che nel progetto fossero 
formulate proposte in contrasto con le idee sempre 
sosten.ute dall'Azzariti nei suoi scritti, il chiaro giurista, 
nella premessa alla postilla tiene a far presente 
che � ebbe l'onore di essere chiamato a far 
parte della Commissione in un secondo momento 
quando, cio�, essa era gi� costituita ed aveva 
gi� iniziato i suoi lavori �; e che agli altri componenti 
della Commissione va il merito (( di 
quelle doti di chiarezza e di organicit� che l'Allorio 
riconosce (nel progetto) !ll.entre il demerito 
per il suo contenuto, se demerito vi fosse, spetterebbe 
senza dubbio a me quale uno dei componenti 
della Commissione, ma non come autore di 
antichi scritti che probabilmente nessuno dei membri 
della Commissione ha mai visto �... 

E chiudiamo questa rassegna, citando altri due 
articoli, uno del Miele (1) e uno del Cocivera (2) 
i quali, pur non occupandosi espressamente del 
� progetto dei sette � trattano tuttavia della riforma 
del contenzioso tributario. Sono due articoli 
molto pregevoli. Il Miele si occupa dei riflessi 
della Costituzione sull'ordinamento del contenzioso 
tributario, e sostiene che, quale che sia la 
natura giuridica delle Commissioni tributarie (giurisdizionale 
o amministrativa) le questiOni gi� 

(1) Rivista trim. cc Diritto Pubblico>>, 1951, pagg. 825 
e seguenti. 
(2) � Foro It. >>, 1951, II, I, 65. 

-34 


sottratte alla competenza del giudice ordinario, 
debbono ritenersi restituite ad esso per effetto dell'art. 
113 della Costituzione. Il Cocivera si occupa, 
invece, a fondo della questione della compatibilit� 
del principio del solve et repete con la Costituzione, 
acutamente polemizzando con i nostri scritti e 
concludendo essere necessaria la sua abrogazione. 

Riteniamo di non avere omesso in questa rapida 
rassegna alcuno degli scritti che sono stati pubblicati 
sull'argomento (1). 

(1) Non ci occupiamo, di proposito, di un articolo del 
Berlieri pubblicato in cc Foro It. >>, 1952, IV, 57, sia perch� 
costituisce una pura difesa di ufficio del progetto 
(di cui, peraltro, finisce col riconoscere in gran parte i 
difetti) alla cui preparazione egli ha cosi ampiamente 
posto mano, sia perch�, per legittima ritorsione, dovremmo 
usare un tono che, se �, purtroppo, consueto nelle 
dispute dei giornali politici, non � stato ancora, per fortuna, 
adottato nelle discussioni giuridiche; e non intendiamo 
collaborare col B. nell'introdurre un cosi deteriore 
costume. 
Il lettore avr� potuto agevolmente rilevare che 
la maggior parte di coloro che si sono occupati del 
problema ha formulato critiche tali da investire 
il progetto nei suoi principi fondamentali . .Anche 
coloro, del resto, che hanno espresso la loroapprov:;
i,zione, lo hanno fatto aggiungendo obiezioni cos� 
sostanziali che il loro accoglimento porterebbe 
necessariamente ad una revisione totale del 
testo. 

Dobbiamo solo con rammarico rilevare che nessuno 
degli scrittori si sia particolarmente intrattenu~
o su quella parte del progetto che rappresenta 
il maggior pericolo per un ordinamento del contenzioso 
tributario che contemperi, ad un tempo, la 
indispensabile tutela delle ragiorti dei privati con 
gli interessi incontestabili dell' .Amministrazione. 
Noi non possiamo che riconfermare qui integralru.
ente il nostro pensiero in proposito quale lo 
abbiamo gi� esposto negli scritti sopra citati. 

*** 



NOTE D I DOTTRINA 


M.Aru:o BoNESCHI : Natura giuridica del concordato 
d'imposta. (cc Rivista Dir. Fin. e Scienza delle 
Finanze ))' 1951, n. 4, II, p. 323). 

Nonostante la lunga elaborazione scientifica a 
cui � stata sottoposta la figura del concordato 
d'imposta, � avviso dell' .A. che le conclusioni della 
dottrina e della giurisprudenza sull'argomento 
non possono ritenersi affatto sicure, per un difetto 
di impostazione dell'indagine, precisamente quello 
di avere studiato la figura con criteri unitari, limitatamente 
alle imposte sui redditi e sui capitali o 
al �massimo comprendendovi il concordato delle 
imposte sui trasferimenti, trascurando invece le 
varie sottospecie che la legge ammette di altre categorie 
di tributi. 

Premessa una rassegna esemplificativa per dimostrare 
che il concordato ha per oggetto valutazioni, 
stime, determinazioni di medie, l'.A. avverte 
che bisogna anzitutto distinguere il concordato 
come istituto unitario del nostro ordinamento 
tributario dalla convenzione di abbonamento, 
la quale non attiene alla fase dell'accertamento, 
ma a quella della riscossione, ed � in sostanza 
un accordo sulle modalit�. di riscossione mentre 
l'accertamento definitivo segue le vie ordinarie 
proprie di ogni tributo. Entrando nel merito della 
questione l'.A. muove alla dottrina ed.alla giurisprudenza 
l'appunto di aver cop.siderata la figura solo 
sotto il profilo formale trascurando di individuare 
e porre in evidenza la � funzione organica dell'istituto 
)). Secondo l'.A., i.vece, per definire la figura 
del concordato occorre anzitutto conoscerne la 
sostanza. Il concordato entra solo in quella fase 
della procedura di accertamento dell'imposta che 
� la valutazione. .A volte la legge richiede stime 
esatte. Ci� avviene ad esempio per i redditi di natura 
certa e definitiva (R. M. cat. .A, c~ e D) per i 
quali � da escludere nettamente la figura del concordato 
. .Altre volte invece -ed � il fenomeno 
pi� generalizzato -per la natura stessa del presupposto 
del tributo la valutazione tecnica e sperimentale 
si rivela difficile, costosa e complicata, se 
non addirittura impossibile, per modo che la legge 
stessa deve a volta contentarsi di richiedere una 
valutazione globale e sintetica. Si delinea allora la 
funzione del concordato: sostituire � alla valutazione 
condotta con criteri inquisitori e tecnici la 
valutazione ridotta nei limiti di quella approssimazione 
che risulta dal trovarsi l'.Amministrazione 
ed il soggetto passivo d'accordo su quella 
determinata cifra ed entit� )). 

Come istituto del procedimento di valutazione 
e solo di questo deve escludersi conseguentemente 
che il concordato possa contenere elementi di diritto. 
Se li contiene, si tratta di una transazione 
della pubblica amministrazione su mate1ia non 
transigibile, ovvero senza le debite forme e quindi 
assolutamente inesistente. 

Il quesito sulla natura giuridica dell'istituto 
sembra allora all' .A. di facile soluzione. Contro la 
dottrina dell'atto unilaterale puro: atto di accertamento 
unilaterale della Pubblica .Amministrazione 
l'.A. ha gi� obiettato che il soggetto passivo ~ 
collaborazione coll' .Amministrazione manifesti una 
volont� e non un semplice atto di comunicazione. 
Ora insiste nel porre in evidenza che secondo la 
legge tale volont� debba essere considerata come 
negoziale, non solo, ma non come Un.a entit� a 
s� stante, sibbene come elemento di una unica fattispecie 
in cui si fondono la volont� del privato e 
quella della Pubblica Amministrazione. Invocando 
una vecchia definizione del Ferrini (cc atti bilaterali 
sono quelli in cui concorrono alla formazione 
le dichiarazioni di pi� parti ))) l'.A. affe1ma non 
potersi negare, se non a patto di forzare la realt�, 
che nel concordato vi siano due parti e due dichiarazioni 
di volont�, e, contro la tesi ripetutamente 
avanzata che non si hanno dichiarazioni di volont� 
eguali in un procedimento amministrativo in cui il 
privato � soggetto al potere di imposizione, obbietta 
essere alla radice di tale affermazione un 
equivoco: quello di ritenere che il concordato 
esaurisca il concetto di procedimento di accertamento, 
mentre invece esso non � che un atto eventuale, 
L'accertamento � obbligatorio, ma il concordato 
� atto libero. Il soggetto passivo pu� non 
aderirvi. Nell'ambito dell'accertamento del valore 
concordato il soggetto passivo manifesta una volont�. 
giuridicamente eguale a quella dell'Amministrazione: 
quest'ultima cc ha rispetto alla volont� 
del singolo un potere di iniziativa che si esplica 

'nell'accertamento di ufficio, ma deve, come il singolo, 
sottostare all'accertamento giurisdizionale se 
il singolo non sottost�. all'accertamento d'ufficio. 
Le due volont� sono quindi giuridicamente omogenee 
)), Si potrebbe parlare di superiorit�. giuridica 
soltanto se la volont� dell'Ente pubblico potesse 
avere un valore decisivo nella valutazione: Ma ci� 
non corrisponde affatto ai moderni ordinamentC 
tributari che sono informati al principio che non 
soltanto i fatti costitutivi e l'ammontare, ma tutte 
le modalit�. giuridiche di imposta, debbono essere 
esattamente stabilite dalla legge che nell'accerta




-36


mento d'imposta debba applicarsi la legge �. Il 
concordato � dunque, secondo l'.A., un negozio giuridico 
bilaterale, ma non una transazione: cc se non 
pu� disporre su elementi di diritto non pu� essere 
una transazione �. �Della transazione manca anche 
il presupposto necessario che � la lite attuale 

o potenziale �; � il concordato non � necessariamente 
in funzione della lite attuale o potenziale, 
ma piuttosto in funzione del contradditorio nella 
procedura di accertamento �; esso cc non presuppone 
la controversia, presuppone soltanto un problema 
di valutazione. Nei concordati di valutazioni 
globali non solo la controversia non � un 
presupposto, ma non esiste neppure; il concordato 
viene ad essere il modo normale di accertamento 
di valori medi �. 
L'.A. si pone infine il quesito se il concordato, 
come negozio giuridico bilaterale vada ascritto 
alla categoria dei contratti. Contrappone al concetto 
di contratto quello di convenzione, ma osserva 
subito che, poich� cc la teoria generale del diritto 
non � ancora arrivata a dirci con sicurezza se tutti 
i negozi bilaterali sono contratti, se esiste una categoria 
di negozi bilaterali accanto a quella dei 
contratti, se si possa parlare di convenzione come 
negozio bilaterale distinto dal contratto, e 
via dicendo �, e afferma che il problema non pu� 
essere risolto ma cc deve essere accantonato nell'attesa 
che la dottrina generale del diritto ci diai 
definizioni sicure �. � 

Chiude la sua nota avvertendo che l'esame della 
natura del concordato di imposta rivela l'importanza 
della costruzione di un concetto unitario 
delle stime che sono sparse in svariate disposizioni 
di diritto processuale e sostanziale, amministrativa 
e tributaria, costruzione sistematica che -nonostante 
gli spunti dottrinali -attende tuttora di 
essere compiuta. 

Sembrano esatte le osservazioni che l'A., dopo la 
breve rassegna esemplificativa, svolge al fine di individuare 
le varie ipotesi nelle quali il concordato pu� 
ammettersi, sebbene i risultati conseguiti non sembrano 
nuovi alla dottrina che si � occupata del concordato 
tributario. Infatti, sin da quando era pacifica 
la tesi sulla natura transattiva (QUARTA: Commento 
alle leggi di R. M., 1903, II, 305), non si � 
mai negato che il concordato debba riconoscersi solo 
se gli elementi di fatto, suscettibili di un apprezzamento 
pi� o meno subbiettivo, possono dar luogo a 
contestazioni, perch� � in questi casi che si presenta 
la convenienza per la Finanza e per il contribuente, 
di giungere ad un accordo in modo che l'ammontare 
del valore imponibile possa essere definito al pi� 
presto (cfr. GARGIULO: Il Concordato tributario, 
pag. 48). 

D'altra parte, non si � mai dubitato che il concordato 
non debba avere per oggetto la definizione di 
controversie di diritto. Le varie disposizioni di legge 
limitano infatti la funzione di questo istituto alla 
sola valutazione, escludendo quindi che vi siano compresi 
gli elementi di diritto. 

Tuttavia, vi potranno essere altri ostacoli, tali da 
respingere la natura transattiva: saranno essi di carattere 
generale, quale la inammissibilit� di transazioni 
su rapporti pubblici; di carattere speciale, quale 

la natura di acquiescenza nella volont� del privato 
e di atto di accertamento nella volont� dell' A mministrazione. 
Ma non � certo, a nostro avviso, l'oggetto 
del concordato ad escludere in questo la predetta natura. 
Ben si pu�, infattj, ritenere. ammissibile una 
transazione che sia limitata agli elementi di fatto 
(valutazione del cespite), differenziandosi, in tal modo, 
per l'oggetto, dalla transazione ammessa dal diritto 
privato. 

L'A. poi esclude nel concordato il presupposto 
necessario della transazione, e cio� la lite attuale o 
potenziale, senza dare per� alcuna dimostrazione e 
senza precisare il concetto di lite. Oi sembra invece 
che sarebbe stata necessaria una pi� prof onda indagine 
sotto questo profilo, dato che l' .Amministrazione, 
e specie il contribuente, addivengono al concordato 
proprio per rendere definitivo il valore imponibile, 
e quindi per eliminare contestazioni, come � del resto 
pacifico in dottrina, anche per coloro che escludono 
la natura contrattuale (INGROSSO, GIANNINI). 

Pare anche affrettata l'affermazione con la quale l'A. 
esclude che la dottrina che si � occupato del c. ne 
abbia mai esaminato �la funzione organica � al fine di 
definirne la natura. Per quanto ci consta, ogni autore, 
abbia o meno affrontato ex professo l'argomento, ne ha 
ammesso o escluso la natura unilaterale proprio in 
rapporto alla funzione che il concordato esplica nel 
procedimento di accertamento, sebbene in linea generale 
sia stato rilevato che non � la funzione dell'atto 
a determinarne la struttura, ben potendo esservi atti. 
con eguale funzione e con diversa struttura {GIORGIANNI). 


Non sembrano� neanche convincenti e comunque 
decisivi gli argomenti addotti per giustificare la omogeneit� 
giuridica della volont� dell' .Amministrazione 
e di quella del privato, e quindi la natura di negozio 
bilaterale del concordato. Non � giustificante n� il 
rilievo secondo il quale anche l' .Amministrazione, se 
il singolo non presta acquiescenza all'accertamento di 
ufficio, deve, come il contribuente, sottostare all'accertamento 
giurisdizionale; n� l'altro rilievo. che nega 
all' .AmministriXfzione qualsiasi superiorit� giuridica, 
perch� la sua volont� non � decisiva nella valutazione 
del cespite, il quale va invece determinato secondo 
legge. 

Al contrario, altri e pi� solidi argomenti vengono 
svolti dalla recente dottrina, la quale, riscontrando 
nel contratto, pi� che una duplicit� o una pluralit� 
di manifestazioni di volont�, una unica manifestazione 
di volont� di due o pi� persone che danno vita 
ad un negozio giuridico, ha ammesso, in seno al procedimento 
amministrativo nel quale rientra come 
specie nel genere quello tributario, che il nucleo costitutivo 
possa essere formato di un atto composto 
nel quale rientra anche il contratto, ed ha riconosciu.to 
tale figura in que.i casi nei quali la relazione che corre 
tra i singoli elementi sia cos� stretta ed intima da 
farli apparire prima facie come un solo atto di pi� 
vasta ampiezza e di maggiori effetti. Tale intimit� 
di vincolo trova la sua spiegazione nell'unit� del 
fine immediato che i diversi elementi, cq_ncf?piti 
come un blocco funzionale unitario, tendono a rea~ 
lizzare. Da ci� la conseguenza che, nei confronti di 
un certo effetto giuridico, essi, anche se rivolti a soddisfare 
interessi di natura diversa, esplicano una 
medesima funzione, e cio� hanno un eguale potere 



-37 


determinante (SANDULLI: Il procedimento amministrativo, 
p. 198). 

� appunto in vista della diversa relazione che 
corre tra l'atto del contribuente e quello dell'Amministrazione, 
della loro diversa struttura e quindi del 
dfoerso potere che esplicano in rapporto all'effetto 
giuridico (il quale per il concordato consiste nell' accertamento 
definitivo del valore imponibile), che la 
dottrina, ormai prevalente, ha escluso la natura 
contrattuale nel concordato, definendolo invece come 
un atto di accertamento al quale il contribuente, in 
modo irretrattabile, aderisce (INGROSSO, GIANNINI). 
A questa dottrina, gi� seguita dalla Cassazione ed 
ormai concordemente anche dalla Commissione centrale, 
rinviamo, coma pure alla critica if,a essa fatta 
alla tesi contrattualistica del concordato (VIGNOCcm, 
CROCIVERA). 

Sotto tale profilo dobbiamo ancora rilevare che 
non pare esatta l'affermazione dell'A., secondo la 
quale la teoria generale del diritto non "ha ancora decisamente 
determ-inato il concetto di contratto, di 
negozio bilaterale e di convenzione. Infatti, gi� da 
tempo essa ha elaborato tali nozioni giungendo ora 
ad un orientamento decisivo anche nel campo legislativo. 
Contrariamente alla legislazione francese, che, 
sulle orme del Pothier, ha limitato il contratto alla 
costituzione di un rapporto obbligatorio, mentre il 
concetto della convenzione (o fatto) sarebbe pi� ampio, 
potendo avere un qualsiasi contenuto (ma sempre 
riferito alle obbligazioni), la nostra legislazione, 
sviluppando la concezione bizantina (Dr MARZO: 
Le basi romanistiche del Codice civile, p. 243), 

ha accolto questo concetto pi� ampio di convenzione, 
definendolo come contratto. Questo pertanto � inteso 
come negozio bilaterale, rivolto sia a costituire, sia a 
regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale 
(art. 1321 Codice civile). In tal modo il contratto, 
limitato ai soli rapporti obbligatori e reali, 
viene distinto dalla convenzione nella quale rientra 
come specie nel genere, intendendosi superata quella 
dottrina, sia pure autorevole, che, interpretando il 
vecchio codice (art. 1098), aveva esteso il concetto di 
contratto fino a farlo coincidere con quello d~ negozio 
giuridico bilaterale inteso a regolare i pi� diversi 
rapporti giuridici, anche, cio�, i rapporti di famiglia . 
(COVIELLO, N. BoNFANTE), risentendo in tal modo 
dell'infiuenza della dottrina germanica (von TUHR, 
KocH, SCHLOSSMANN). 

(U. G.) 
Eu�:ENIO CANNADA BARTOLI : L'inapplicabilit� degli 
atti amministrativi. Milano, Gruffi�, 1950, pp. 243 


Premessi alcuni cenni storici sulla norma contenuta 
nell'art. 5 della legge 20 marzo 1865, allegato 
E ed una rapida sintesi delle varie opinioni sull'argomento, 
l'A. tenta di costruire l'inapplicabilit� 
come categoria giuridica autonoma e dimostrare 
che, nell'esercizio della competenza occasionale, 
l'autorit� giudiziaria ordinaria possa sindacare 
gli atti aministrativi anche sotto il profilo del1'
eccesso di potere. 

Sono questi, se non ho mal visto, i due punti 
centrali del tema. 

L'inapplicabilit� � l'in s� del fenomeno, che 
nei riguardi del giudice assume l'aspetto della 
disapplicazione e nei confronti del cittadino quello 
dell'inosservanza. Nella prima parte del lavoro 
lJA. esamina il fenomeno in s�; nella seconda questo 
� guardato sotto il profilo della disapplicazione 
giudiziale. 

La tesi principale dell' A. � che l'inapplicabilit�, 
come categoria giuridica, si ricolleghi all'invalidit�, 
e si ponga come conseguenza di g_uesta, a fianco 
dell'annullabilit�. Essa sarebbe un carattere degli 
effetti dell'atto viziato, la condizione precaria 
degli effetti stessi, consistente nella possibile irrilevanza 
dei medesimi, indipendentemente dall'annullamento. 


Il collegamento dell'inapplicabilit� con l'invalidit� 
� ravvisato dall'A. nella sostanziale uguaglianza 
delle formule, con le quali l'ordinamento 
stabilisce i presupposti della disapplicazione e 
dell'annullamento. 

Per dimostrare questa sostanziale uguaglianza 
fra i precetti contenuti negli articoli 5 legge 20 
marzo 1865 e 650 Codice penale da una parte e 
quello, di cui all'art. 26 T. U. delle leggi sul Consiglio 
di Stato, dall'altra, l'A. esamina il concetto 
di legittimit�, i suoi rapporti con quelli di validit� 
e di illiceit� ed infine i rapporti di questi ultimi 
due concetti fra loro. Esamina poi la natura delle 
norme relative alla legittimit� degli atti amministrativi 
e la natura degli interessi legittimi, che 
da quelle sorgono, nonch� l'essenza e la forma 
degli atti amministrativi, distinguendo fra potere 
e comportamento -mezzo. Ricerca la natura del 
primo, che qualifica forza produttiva di una modificazione 
giuridica, dimostrando come lo stesso 
dia luogo ad una situazione soggettiva. Analizza 
infine i1 concetto di causa, dimostra la equivalenza 
fra una distinzione di poteri per tipi o per cause, 
e perviene, infine, alla conclusione che le formule 
usate dagli artt. 5, 650 e 26 citati sono sostanzialmente 
uguali ed esprimono il concetto di atto 
amministrativo illegittimo. Nella seconda parte 
l'A. applica le tesi esposte nella prima alla disapplicazione 
giudiziale in materia civile e penale, 
distinguendo fra competenza principale ed occa-. 
sionale, come vedremo via vi!1 di seguito. 

Le questioni affrontate dal Cannada Bartoli 
sono del massimo interesse, . non solo teorico, ed 
il tema � uno di quelli che finora non ha avuto una 
trattazione, la quale consenta di considerare raggiunti 
risultati concreti. Dir� di pi�: per quanto 
mi consti, la pratica giudiziaria ignora quasi del 
tutto l'art. 5, anche se del principio in esso 
contenuto, fa frequenti applicazioni, sia in rapporto 
ai regolamenti che agli ordini dell'autorit�, 
considerandolo principio generale dell'ordinamento 
giuridico. A mio modesto avviso questo modo 
di ragionare � sostanzialmente esatto e conferma 
l'opinione del Mancini (citato dall'A.), secondo il 
quale la norma, di cui all'art. 5, poteva trarsi 
dall'ordinamento con �la sola scorta ed �autorit� 
dei grandi principi �. 

Il Cannada Bartoli, con logica spesso rigorosa 
e, comunque, sempre con molta eleganza, trae le 
pi� estreme conseguenze dalla premessa che la 
disapplicazione, di cui all'art. 5, abbia ad oggetto 


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gli atti illegittimi, di cui all'art. 26. Questa premessa 
� a sua volta il risultato di un sillogismo 
fondato su due verit�, postulate e non dimostrate: 
che l'inapplicabilit� non possa riguardare gli attj 
nulli e che le formule degli artt. 5 legge 20 marzo 
1865 e 650 Codice penale da una parte e dell'art. 
26 della legge sul Consiglio di Stato dall'altra 
siano sostanzialmente uguali. 

Sostiene l'A. che l'inapplicabilit� non pu� riferirsi 
agli atti nulli o inesistenti (giuridicamente) 
sia perch� questi, non essendo produttivi di effetto, 
non sono applicabili, sia perch� l'accertamento 
della nullit� non richiede attribuzione di potere. 
Sul primo. punto possono formularsi delle riserve, 
il secondo � decisamente da respingere. Occorre 
porre bene in evidenza che oggetto dell'esame 
sono i provvedimenti amministrativi, espressione 
del potere statuale, e non i negozi privati. L'ordinamento 
degli Stati moderni tende all'equilibrio 
dei tre poteri, senza che alcuno di essi si ponga 
in posizione di supremazia rispetto all'altro, donde 
i limiti notevoli che l'autorit� giudiziaria ordinaria 
incontra nei riguardi dell'atto amministrativo. 

Questi limiti, che rispondono all'esigenza costituzionale 
di evitare l'ingerenza di un potere nell'altro, 
trovano la loro precisa espressione nella 
norma rigorosa dell'art. 4, che vieta al giudice 
di annullare o riformare l'atto amministrativo o 
di porre, comunque, con la sentenza l'�quipollente 
dell'atto amministrativo. Questo � espressione 
del potere pubblico al pari della sentenza, 
anche se non ne ha identica efficacia, e, in aderenza 
al sistema, al giudice ordinario � precluso ogni 
sindacato diretto sull'atto amministrativo. Ci� a 
prescindere dalla considerazione che la giurisdizione 
ordinaria si attua a tutela dei diritti soggettivi 
con assoluta esclusione degli interessi legittimi. 
Di fronte a questi, che sono i principi fondamentali 
del sistema, occorreva una ben pi� 
rigorosa dimostrazione, per assumere che la norma, 
di cui all'art. 5, non fosse stata per l'appunto dettata 
con riguardo agli atti amministrativi viziati 
di nullit� assoluta. 

Del tutto gratuita, poi, sembra l'affermazione 
che l'accertamento della nullit� di un atto amministrativo 
non implichi attribuzione di un potere. 

Altrettanto sfornita di dimostrazione mi sembra 
l'altra premessa del sillogismo, che, cio�, le formule 
usate dall'art. 5 20 marzo 1865 e 650 Codice 
penale siano sostanzialmente uguali a quelle, di 
cui all'art. 26 T. U. delle leggi sul Consiglio di 
Stato. Posso concordare con l'A. sul principio che 
nell'esegesi di tre testi legislativi il valore delle 
parole usate non sia risolutivo, dovendosi ricercare 
il loro senso logico in relazione al sistema, ma ci� 
significa che il significato letterale deve essere 
integrato con altri elementi, non gi� ch'esso debba 
essere del tutto trascurato. 

L'art. 5 parla di �regolamenti ed atti non conformi 
alla legge�, l'art. 650 Codice penale di � provvedimenti 
legalmente dati� e l'art. 26 si limita ad 
enunciare le tre categorie di vizi dell'atto amministrativo, 
che ne autorizzano l'annullamento da 
parte del Consiglio di Stato. Da questa espressione 
la dottrina e la giurisprudenza hanno tratto il 
concetto d'illegittimit�, dal quale non pare che 

possano senz'altro escludersi tutti i casi di c. d. 

nullit� per mancanza di un elemento essenziale. 

Dimostrare che l'atto non conforme e il provvedi


mento illegalmente dato siano niente altro che l'atto 

illegittimo, viziato, cio�, di uno qualsiasi dei tre 

vizi caratteristici, a me sembra ini'presa piuttosto 

ardua e tale da esigere ben diverso rigore. 

Il concetto di applicazione si riferisce immedia


tamente alla norma giuridica, che, appunto, si 

applica al caso concreto. Il verbo applicare riferito 

all'atto negoziale �, quanto meno, anomalo. Questi 

rilievi e, soprattutto, la storia dell'istituto e la sua 

provenienza dagli ordinamenti belga e francese 

avrebbero dovuto indurre ad una ancor maggiore 

cautela. � vero che il valore di una norma non � 

necessariamente uguale in ordinamenti diversi, ma 

l'interprete deve rigorosamente dimostrare la insus


sistenza della conformit�, che si ha ragione di 

presumere. 

Il precetto contenuto nell'art. 5 � tratto dall'ar


ticolol07 della Costituzione belga, che ha riguardo 

specialmente a "les regl�ments g�n�raux et locaux .. � 

non " conformes aux lois �. Il concetto della norma 

� chiaro: essa ha riguardo non agli atti ammini


strativi (negoziali) illegittimi o invalidi, ma alle 

norme giuridiche poste dal potere esecutivo non 

conformemente alle leggi. 

La non conformit� alle leggi delle norme giuri


diche poste in essere dal potere esecutivo si pone 

piuttosto come fenomeno d'incostituzionalit� che 

di illegittimit�. Ed il verbo "applicare>> � usato 

ben a proposito, perch� si riferisce alla proposi


zione della premessa maggiore del sillogismo, alla 

formulazione della norma giuridica applicabile 

al caso concreto. � chiaro che, secondo il citato 

art. 107, i giudici non debbono applicare i regola


menti, che siano contrari alle leggi formali o che 

siano stati emessi fuori della' materia attribuita 

all'esecutivo. La disapplicazione opera ex officio 

iudicis. 

Un principio analogo a quello contenuto nell'articolo 
107 della Costituzione belga � stato tratto, per 
il nostrQ ordinamento, dalla dottrina e dalla giurisprudenza 
con riferimento alle leggi ed ai provvedi.
menti aventi efficacia di legge, rispetto ai quali � 
ritenuto pacificamente p0ssibile il sindacato sulla 
validit� estrinseca, il cui difetto porta alla disap


plicazione. 

In Francia -ci dice il Cannada Bartoli -il 

principio fu tratto dalla giurisprudenza con riferi


mento ai regolamenti (pag. 6) e fu consacrato nel


l'art. 471 parag. 15 del c. p. 1832. 

Occorreva, pertanto, rigorosamente dimostrare 

che l'art. 5 non avesse per il nostro ordinamento 

lo stesso valore che l'analoga norma ha per gli 

ordinamenti belga e francese. La circostanza che 

una formulazione analoga era stata usata nell'arti


colo 650 c.p. e non nell'art. 26 doveva render partico


larmente cauti, perch� l'art. 650 c. p. � considerato 

un tipico esempio di norma in bianco e l'atto am


ministrativo che va a riempire il precetto della 

legge, deve considerarsi atto a contenuto norm�tivo. 


Rispetto ad esso il giudice doveva avere gli stessi 

poteri, che ha rispetto alle leggi ed ai regolamenti. 

Si concorda pienamente col Cannada Bartoli nel 

senso che tale norma non potesse trarsi dall'arti



;.__ 39 

colo 4, che detta un principio tutt'affatto diverso ed 

esclude ogni sindacato del giudice sulla legittimit� 

dell'atto amministrativo. Per effetto dell'art. 4 

il giudice deve accertare la liceit� dell'atto, non 

la legittimit� e cio pu� fare limitando il sindacato 

agli effetti dell'atto. Se questo ha leso un diritto 

soggettivo, il che presuppone che l'autorit� ammi


nistrativa non avesse il potere di sacrificarlo (in 

caso diverso non sussisterebbe la lamentata le


sione) il giudice limita il suo sindacato all'accerta


mento del danno, nella sua essenza e nella quantit�, 

con esclusione di ogni giudizio sulla legittimit� 

dell'atto. 

L'inapplicabilit�, a mio avviso, potrebbe conf�.


gurarsi come conseguenza della illegalit� del rego


lamento o dell'atto amministrativo (sarebbe pi� 

esatto dire che la illegalit� impedirebbe l'applica


zione, di cui � presupposto la legalit� dell'atto, 

che ha posto la norma), ma, come il giudice si 

ferma di fronte agli (< interna corporis � della legge, 

di fronte, cio�, ai suoi requisiti intrinseci, cosi 

dovrebbe fermaTsi di fronte agli asserti vizi (di 

legittimit�) dell'atto amministrativo, limitando l'e


same ai requisiti estrinseci di legalit�. 

Non ritengo di avere dimostrat� la differenza fra 

le due formule e come l'inapplicabilit� abbia rife


rimento alla ill~galit� e non alla illegittimit�, ma, 

in presenza di una differente formulazione e dei 

precedenti storici, ritengo che la dimostrazione 

del contrario incomba a chi assume l'identit� 

dei due precetti, identit�, che � contrastata, altresi, 

dall'essere posta la norma in connessione con quelle, 

che disciplinano il potere del giudice ordinario nei 

confronti dell'atto amministrativo ed in relazione 

alla specifica competenza attribuitagli. 

L'art. 5 pone un limite al divieto, posto con l'art. 4, 

ma non pu� annullarlo. Se si accedesse alla tesi 

che la formulazione usata dall'art. 5 abbia la stessa 

estensione di quella dell'art. 26, si negherebbe il 

criterio discriminativo della giurisdizione ordina


ria da quella speciale e si frustrerebbe il divieto 

dell'art. 4. 

Il giudice ordinario, cio�, potrebbe in ogni caso 

sindacare la legittimit� degli atti amministrativi 

con il solo limite di non poterli annullare, ma po


terli soltanto disapplicare, il che non mi sembra 

molto diverso. Poich�, come esattamente osserva 

il Oannada Bartoli, le norme sulla legittimit� d�nno 

luogo a interessi legittimi e non a diritti soggettivi, 

il giudice ordinario, ~indacando la legittimit� degli 

atti amministrativi, tutelerebbe gli interessi le


gittimi (a tale legittimit�). Le due giurisdizioni 

differirebbero non piu per l'oggetto, ma per l'effetto 

della pronuncia, che sarebbe di annullamento o 

di disapplicazione. 

Mi sembra pi� conforme al sistema ritenere che 
l'art. 5 abbia inteso limitare il divieto, di cui all'articolo 
4, consentendo in ogni caso .al giudice ordinario 
.il sindacato sulla legalit� estrinseca dei regolamenti 

e degli atti amministrativi. 

In tale ipotesi, evidentemente, non sussiste alcun 

obbligo dell'amministrazione di conformarsi al giu


dicato per quanto riguarda l'illegalit� dell'atto. 

Tale obbligo � previsto soltanto per le ipotesi, di 

cui all'art. 4, ed ha riguardo alla liceit� dell'atto o 

del comportamento lesivo, non alla sua legittimit�. 

A risultati analoghi � pervenuta la maggior 
parte della dottrina penalistica in occasione dell'esegesi 
dell'art. 650 Codice penale. 

Nella seconda parte I'A. trae tutte le possibili 
conseguenze dalla premessa dianzi esaminata. In 
alcune affermazioni si pu� essere d'accordo, pur 
partendosi da presupposti diversi. Ohe il giudice 
abbia l'obbligo di esaminare ex officio l'applicabilit� 
dei regolamenti e degli atti amministrativi 
non conformi deriva dalla considerazione che tutto 
quanto attiene alla proposizione della premessa 
maggiore del sillogismo rientra nell'esclusiva attribuzione 
del giudice, qui iura novit. Potr� dubitarsi 
se, in presenza della costituenda Corte costituzionale, 
il giudice conservi il potere di accertare 
la estrinseca validit� della legge, ma per gli atti 
posti dal potere esecutivo nessun dubbio pu� 
sorgere. 

La disapplicazione dell'atto negativo, poi, mi 
sembra un assurdo logico, prima che giuridico, 
perch� non pu� disapplicarsi il rifiuto senza porre 
in essere l'atto rifiutato. 

Altro problema importante � quello della disapplicazione 
dell'atto inoppugnabile. Ove si acceda 
alla tesi del Oannada Bartoli il problema non pu� 
risolversi che negativamente. L'atto non conforme�, 
inteso nel senso di atto privo dei requisiti estrinseci, 
che lo qualificano atto amministrativo e che 
gli attribuiscono l'efficacia, che gli � propria, pu� 
ritenersi che non debba essere impugnato in via 
autonoma. Esso, per la sua stessa difformit� dalla 
legge, pu� sostenersi che non sia suscettibile di 
acquistare il carattere di inoppugnabilit�, come 
non acquista la efficacia di giudicato la sentenza 
priva dei suoi requisiti estrinseci. 

Per l'atto illegittimo deve, invece, tenersi tutt'altro 
discorso. Esso, se non � impugnato nei 
termini, diviene inoppugnabile. � questo un effetto 
se non identico, certamente analogo all'efficacia 
formale di giudicato. che � propria delle sentenze. 
Senza dubbio � un effetto processuale dell'atto 
amministrativo come l'esecutoriet�. L'atto 
inoppugnabile �ha la stessa forza del giudicato fra 
le persone, a cui direttamente si riferisce, e fra 
queste e la pubblica amministrazione. Sia le prime 
che le seconde potranno in un successivo giudizio 
far valere l'inoppugnabilit�, che impedisce, fra le 
stesse parti, un riesame dell'atto. A maggior ragione 
pu� farsi valere questo effetto processuale 
impeditivo di ulteriore pronunzia sull'atto, quando 
questo sia stato impugnato e su di esso si sia pronunciato 
il giudice amministrativo. 

Il problema non si pone quando la disapplicazione 
sia chiesta in un processo, che si svolga 
fra parti diverse da quelle, a cui l'atto da disapplicare 
si riferiva. 

Ritiene l'.A.. che la competenza occasionale dell'autorit� 
giudiziaria ordinaria sussista anche quando 
il sindacato sull'atto amministrativo sia attribuito 
alla giurisdizione esclusiva � di merito del 
giudice amministrativo. A prescindere dar-quest'ultima 
ipotesi, che forse pi� non interessa, potende ritenersi 
che la giurisdizione di merito sia stata 
soppressa dalla vigente Costituzione, la quale all'art. 
103 prevede espressamente la tutela giurisdizionale 
soltanto nei riguardi degli interessi legit



-40 


timi, bisogna riconoscere che l'A. � perfettamente 
coerente e conseguenziario, anche se qualche affermazione 
mostra con maggior evidenza l'assurdit� 
della costruzione. 

In fondo � pi� ipotizzabile una competenza occasionale 
del giudice ordinario in materia di pubblico 
impiego, che non in tema di legittimit� degli 
atti amministrativi. Almeno la prima ha ad oggetto 
diritti soggettivi, su cui in linea generale si 
attua la giurisdizione ordinaria: nel sindacare la 
legittimit� degli atti amministrativi, invece, il 
giudice ordinario eserciterebbe un potere, che � 
fuori della giur~sdizione attribuitagli. 

La disapplicazione nei casi dell'art. 4, quando 
la si riferisca all'atto, delle cui conseguenze si chiede 
che il giudice conosca, � impossibile non solo e 
non tanto per il divieto, dallo stesso art. 4 posto, 
ma perch� si chiede appunto che il giudice conosca 
degli effetti di quell'atto, che non pu� non applicarsi. 


Volendo dare un significato alle prime due parole 
dell'art. 5, bisogna ritenere ch'esse abbiano riguardo 
ad un atto diverso da quello, dei cui effetti si 
discute. � d'altronde perfettamente logico che il 
potere di applicare i regolamenti e gli atti amministrativi 
soltanto quando siano conformi alla legge 
e conseguentemente, di sindacare l'estrinseca legalit� 
degli stessi sussista anche quando la causa 
abbia ad oggetto gli effetti di un diverso atto amministrativo, 
che il privato assuma lesivo dei suoi 

~iritti. 

Le conseguenze pi� aberranti delle premesse 
si ritrovano poi nell'ultima parte. Con una consequentiariet� 
veramente ammirevole ed un rigore 
logico apprezzabile l'A., dopo aver ammesso che il 
giudice ordinario, in sede di competenza occasionale, 
debba estendere .il suo sindacato all'eccesso 
di potere, conclude riconoscendo al privato un 
sindacato di pari ampiezza. La conclusione, ripeto, 
� perfettamente logica, perch�, se l'inosservanza 
di un provvedimento viziato da eccesso di potere 
non costituisce il reato, di cui all'art. 650 Codice 
penale, � naturale che il cittadino possa, e in alcuni 
casi debba, esaminare se un tale eccesso di potere 
sussista prima di osservare il provvedimento. 

Se il giudice ordinario dovesse valutare l'eccesso 
di potere con lo stesso metro usato dal Consiglio 
di Stato, secondo la cui giurisprudenza ogni sia 
pur lieve deviazione o perplessit� della causa, reale 

o desunta da sintomi, integra o pu� integrare l'eccesso 
di potere, la maggior parte delle inosservanze 
sarebbero atti pienamente leciti. I pochi casi residui 
rientrerebbero nell'errore su legge non penale 
(quella sulla legittimit� dell'atto amministrativo) 
e l'art. 650 Codice penale potrebbe considerarsi definitivamente 
soppresso da] Codice penale. 
In definitiva mi sembra che il lavoro del Cannada 
Bartoli, pur avendo indiscutibili pregi di 
chiarezza e di rigore logico, dimostri l'impossibilit� 
di dare all'art. 5 un'interpretazione diversa, da 
quella corrente, senza alterare profondamente il 
sistema. 

G. GUGLIELMI 

RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA 


COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Tributi locali 


Delibera di imposizione -Non lede diritti sogget


tivi -Impugnativa davanti al Consiglio di Stato 


Inammissibilit� per mancanza di interesse. (Corte 

di Cass., Sez. Unite -Sent. n. 2519/51 -Pres.: Fer


rara, Est.: Oggioni, P. M.: Eula (conf.) -Mattini 

ed altri contro Finanze, Comune di Roma ed altri) 

La deliberazione comunale istitutiva di un tributo 
specfale non ancora accertato nei confronti 
dei singoli contribuenti non spiega la sua incidenza 
su determinati soggetti dell'obbligazione tributaria, 
che possano, per ci� solo, ritenersi lesi in 
un loro diritto. Non pn�, quindi, parlarsi in tale 
ipotesi, di diritto soggettivo, che� si ha solo con 
riferimento a posizioni individuali, assunte lese 
non potenzialmente ed eventualmente, ma concretamente, 
dall'imposizione. Conseguentemente 
non � sufficiente invocare la possibilit� astratta 
di una lesione, in dipendenza del provvedimento 
generale amministrativo che istituisca il tributo, 
per chiedere davanti al giudice ordinario l'attuazione 
di una concreta volont� di legge che si assume 
esistente a proprio favore, restandosi sempre nel 
campo della tutela di un interesse legittimo ma 
non gi� di un diritto soggettivo. 

Fino a quando l'imposizione del tributo ha una 
illimitata latitudine nella sua possibilit� di espansione 
sui soggetti passivi del tributo, svincolata 
da ogni riferibilit� personale, diretta e attuale, 
non si ha lesione in atto. In tal caso, l'interesse 
del cittadino non diventa autonomo con autonomia 
di mezzi di tutela, ma rimane conglobato con 
l'interesse collettivo, e rimesso pertanto, come 
interesse generale di tutti e di ciascuno della regolarit� 
dell'azione amministrativa, alla tutela dello 
stesso ente pubblico. 

In tale situazione manca al cittadino l'interesse 
qualificato ad agire e la relativa questione si risolve 
in questione di giurisdizione. 

n debito di imposta sorge, secondo la dottrina 
pi� accettabile, nel momento in cui si concretano i 
presupposti di fatto ai quali la legge, o altro provvedimento 
di carattere impositivo, ricollega in via 
generale ed astratta l'obbligo del tributo. Alla previsione 
astratta e generica segue l'individuazione 
del soggetto passivo e del concreto ammontare dovuto, 
che avviene attraverso l'accertamento dell'imposta, 
incidente nella sfera patrimoniale (diritto soggettivo) 
del cittadino. 

Queste due fasi, che per semplificare potremmo 
chiamare dell'imposizione astratta e dell'imposizione 
concreta di ogni singolo tributo, non sono unitarie, 
come potrebbe apparire; in realt�, ognuna di esse 
� a sua volta scomponibile. 

Ci� apparve di gran tempo evidente, in modo 
particolare, per l'accertamento. 

Questo consta infatti di una serie di atti e provvedimenti 
culminanti nella liquidazione dell'imposta: 
� in altri termini un atto progressivo, risultante 
dalla combinazione o ' dal cumulo di pi� atti distribuiti 
nel tempo. 

Era naturale che la fase di determinazione dell'imposta 
prima ancora della fase di imposizione, 
venisse vivisezionata, per individuare la natura de~ 
potere dell'Amministrazione di fronte alla sfera_ di 
libert� patrimoniale del contribuen~e: � paci_fico 
che il risultato finale investe la posizione del cittadino 
come titolare di un diritto soggettivo. Ma � 
possibile che taluni atti della fase dell'accertamento 
investano posizioni di interessi legittimi? La dor;ianda 
si trasforma immediatamente nell'altra, se esistano, 
nella fase dell'accertamento, attivit� ~mminis~rative 
non vincolate discrezionali, alle quali non rispondano 
quindi diritti del cittadino, ma sol? interessi 
pubblici, entro i quali rimarrebbe occasionalm;ente 
prot(3tto l'interesse del contribuente ad un_a giusta 
imposizione. La risposta deve essere negativa: neppure 
l'accertamento del valore, che sembra svincolato 
da norme fisse ed inderogabili, � in realt� affidato a 
poteri discrezionali dell'amministrazi?ne: e. c_i�. ? 
sufficiente per stabilire che eventuali illegittimita 
dell'accertamento violano veri e propri diritti soggettivi 
e non interessi del contribue'!1'te (?fr: ?"ros


SANI: Diritti soggettivi e interessi leg1ttnm nel 
rapporto di imposta, �Riv. it. dir. fin.'' 1942, 1 
e segg., e richiami ivi). 

La prima fase, quella impositiva non venne 
invece sottoposta ad analoghe dissezioni. Nella maggior 
parte dei casi, la fonte dell'imposizione astratta 
� direttamente una legge; e questa �, di per s�, non: 
scomponibile. Se perci� si volesse trov:1're ad ~gni 
costo una posizione di interesse semplice del citta: 
dino e non di diritto soggettivo rispetto alla fase di 
imposizione astratta del tributo, non restere~b~ che 
affermare l'esistenza di questo interesse addirittura 
rispetto alla legge: ci� che per la verit� fu ~osten~to 
da alcuni (�LLORIO: Diritto processuale tributano,. 

p. 132), ma esaurientemente confutato da altri (�LE.ssr: 
.Accertamento o imposizione dell'imposta , � Riv. 
it. dir. fin.�, 1943, fase. III-IV). 
Senonch� vi sono casi in cui anche l'imposizione 
astratta n�n � un corpo semplice, ma un corpo composto. 
Fra i casi di tal genere (a parte l'imposizione 
delle sovrimposte fondiaria, art. 258 T. U. sulla 
finanza locale, sostituito dall'art. 306 legge comunale 
e provinciale), vanno genericamente inclusi .i sopraprezzi 
comunali sui biglietti dei locali di pubblico�spettacolo 
(art. 15 R. D. L. 15 aprile 1926, n. 265); 
i diritti speciali riscuotibili dai Comuni dopo autorizzazione 
ministeriale, a sensi dello art. �10 D. L. 
29 marzo 1947, n. 177; le contribuzioni stabilite dai 



-42 


Comuni per far fronte alle spese di gestione delle Casse 
Conguaglio, giusta il D. L. 26 gennaio 1948, n. 98. 

In questi, ed in altri casi che si possono configurare, 
l'imposizione non <feriva direttamente dalla 
legge, ma da un procedimento. 

In particolare, per ci� che riguarda le imposte 
sui generi extra tariffa e sui generi di la.rga produzione 
locale (art. 10 D. L. C. P. S. del 1947, n. 177) 
questo procedimento passa per fasi ben determinate, 
e cio�: deliberazione del Comune di richiedere al 
Ministero delle Finanze l'autorizzazione ad applicare 
tali speciali imposte, approvazione della Giunta 
provinciale, trasmissione della deliberazione (domanda) 
al Ministero da parte del Prefetto, decreto 
di autorizzazione del .111inistro, e, infine, deliberazione 
comunale istitutiva del tributo (cfr. GRIZIOTTI, 
in �Riv. di dir. fin. � 1949, II, 39 e GRECO, in 
� Riv. trib. �, 1949, 33). 

Ognuno di questi atti pu� presentare irregolarit� 
formali o sostanziali, fino a configurare l'eccesso di 
potere o altro vizio di legittimit�; e sorge quindi un 
duplice problema: individuare quale di questi atti 
invada la sfera di libert� patrimoniale del cittadino, 
tutelata dalla legge; accertare la natura dello sconfinamento, 
e conseguentemente i mezzi di tutela. 

Entrambi i problemi erano stati affrontati dal 
Consiglio di Stato in varie vertenze, e diversamente 
risolti. � interessante rilevare, a tale riguardo, come 
in sostanza il Consiglio di Stato e la Corte Suprema 
abbiano spostato sempre pi� avanti il momento 
concretamente lesivo della fase impositiva. 

Nella decisione 30 dicembre 1949, n. 449 (�Foro 
amm. �, 1950, I, 1, 159; �Riv. amm. �, 1950, 260bis; 
cc Foro it. �, 1950! III, 33; cfr. in senso analogo 
anche Pretura di Pistoia 24 giugno 1949, �Riv. 
trib. �, 1949, 340 con nota) il Consiglio di Stato 
escluse nettamente che l'autorizzazione ministeriale, 
prevista dall'art. 10 D. L. 29 marzo. 1947, n. 177, 
potesse cc determinare alcuna concreta, giuridica lesione 
di interesse�: il Consiglio di Stato osserv� che 
la generalit� e l'astrattezza dell'autorizzazione pur 
permettendo un danno di fatto, non creano ancora 
una situazione tale da configurare interessi giuridicamente 
protetti del cittadino. Tanto meno appare 
ammissibile questa protezione, se si tien presente 
che l'autorizzazione � semplicemente un atto di controllo 
preventivo (art. 343 T. U. della legge comunale 
e provinciale, 3 marzo 1934, n. 383). 

Un effetto invece concretamente lesivo venne attribuito 
alla successiva deliberazione :comunale, che 
precisa gi� i presupposti di applicazione del tributo 
(Consiglio di Stato, 2 luglio 1949, n. 633, cc Foro it. �, 
1950, III, 12; c< Foro amm. �, 1950, I, 2, 33; Consiglio 
di Stato 10 aprile 1950, c< Riv. amm. �, 1950, 
349). Senonch�, giunta a questo punto, l'imposizione 
spiegherebbe effetto -secondo le ricordate decisioni non 
pi� su un interesse, ma su un diritto soggettivo: 
il che, per altra via, impone l'esclusione della tutela 
di legittimit� davanti al Consiglio di Stato. 

Queste affermazioni vennero riesaminate dalle 
Sezioni unife in tre importanti sentenze, di cui 
l'ultima � quella oggi annotata. Con la sentenza 
20 maggio 1950, n. 1294 (cc Dir. e prat. trib. �, 
1950, II, 247; cc Foro it. �, 1950, I, 1489; cc Foro 
amm. �, 1950, II, 1, 120; cc Riv. amm. �, 1951, 88) 

la Corte Suprema precis�, anzitutto, che non basta 

la deliberazione comunale a concretare una lesione 
del diritto soggettivo del cittadino, giacch� questi 
assume la veste di contribuente solo dopo l'accertamento. 
La diversa opinione accolta dalla decisione 
2 luglio 1949 del Consiglio di Stato doveva dunque 
su questo punto, secondo la sentenza 20 rnaggio 
1950 della Cassazione, essere modificata. Tuttavia, 
la Cassazione osserv� che la deliberazione comunale, 
sebbene incapace di ledere diritti soggettivi, possiede 
gi� un proprio potere di penetrazione, sufficiente per 
invadere la sfera degli interessi legittimi del cittadino: 
onde nella sentenza n. 1294 le Sezioni Unite cos� 
conclusero: cc Se i privati quando siano minacciati 
di rimanere sottoposti ad una obbligazione tributaria 
illegittima, contemplata in un atto amministrativo, 
non possono lamentare una effettiva lesione di interesse 
fino a quando non si passi agli atti concreti 
per l'imposizione di un tributo, e quindi, come si 
� detto, si vedrebbero preclusa la via per esercitare 
un'azione giudiziaria, non per questo manchereb(
Jero del necessario interesse per proporre ricorso 
in sede giurisdizionale amministrativa. 

cc Questo interesse, infatti, dovendosi valutare in 
relazione alla natura stessa dell'interesse legittimo, 
ha una comprensione pi� .larga e pi� vasta, e ben 
pu� ravvisarsi nel fatto medesimo che le deliberazioni 
comunali indicano specificamente come cespite tributario 
imponibile l'attivit� economica esercitata dai ricorrenti 
i quali in conseguenza, fino a tale momento, 
avevano serio e fondato motivo di ritenersi pregiudicati 
da dette deliberazioni �. 

L'errore di questa impostazione era per� evidente. 
Se -come riconosceva la stessa Corte Suprema c< 
non pu� ancora dirsi avvenuta la subbiettivazione 
della norma giurid~ca che garantisce al privato il 
diritto astratto a non essere obbligato a pagare tributi 
non legali�, si profilava immediatamente, controluce, 
una mancanza di soggettivazione anche processuale; 
amrnesso che sussistesse in ipotesi una lesione 
di interesse, non esisteva ancora il soggetto giuridico 
individuato come contribuente, portatore di un interesse 
ad agire attuale, personale, diretto e legittimo. 
Era quindi inevitabile, da parte delle Sezioni Unite 
una rettifica di impostazione: e questa si ebbe nella 
sentenza 19 febbraio 1951 ( c< Sett. Oassaz. �, 1951, 289) 
e, successivamente, nel~a sentenza oggi annotata 
(che � riportata per esteso -con una breve mutilazione 
solo nella parte finale -nella cc Sett. Oassaz. 
�, 1951, 368). 

Le Sezioni Unite cominciano con l'avvertire che 
la deliberazione comunale di imposizione del contributo 
costituisce indubbiamente uno stadio avanzato, 
nel procedimento di creazione del debito di imposta. 
Tuttavia, riprendendo e confermanflo in parte la 
precedente sentenza n. 1294, l'attuale sentenza ribadisce 
che la deliberazione non concreta ancora una 
lesione di diritto soggettivo: essa costituisce semplicemente 
l'ultimo gradino di quella scala, che parte 
dalla domanda del Comune, sale all'autorizzazione 
ministeriale e giunge fino alla soglia del diritto soggettivo, 
che per� non varca: s� che, fin� a quando il 
contribuente rimane ancora al di l� di questa soglia~ 
non pu� ancora agire davanti l'autorit� giudiziaria, 
mancando la lesione attuale del suo diritto. Non solo: 
ma -aggiunge la Cassazione, distaccandosi dalla 
precedente sentenza -non pu� neppure ricorrere 



. -43 


alla giurisdiziOne amministrativa, perch� il suo 
ricorso non sarebbe sorretto da interesse ad agire. 
Infatti, la mancata individuazione e specificazione 
del debito di imposta funziona, rispetto alla giurisdizione 
ordinaria, come elemento impeditivo del 
sorgere di una idonea causa petendi (lesione del 
diritto soggettivo) e, rispetto alla giurisdizione di legittimit�, 
come un elemento impeditivo della configurazione 
di un interesse ad agire. 

Questo chiarimento della Corte Suprema � indubbiamente 
molto interessante. Per chi ricordi le dispute 
sulla distinzione fra l'interesse ad agire ed il potere 
di ricorrere (sulle quali si segnala il recente scritto 
di DEL PRETE: L'interesse a ricorrere nel processo 
amministrativo sulla �Rassegna di diritto pubblico�, 
1951, I, 42, particolarmente 92 e segg., e lo studio 
del OINGOLANI, in � Giur. Oompl. Oass. Civ.�, 1950, 
III, 735), l'affermazione che �la carenza, immediatamente 
rilevabile, di interesse qualificato ad agire, 
si risolve in un difetto di giurisdizione�, suggerisce 
molte osservazioni, che non possono tuttavia t rovare 
posto in una modesta nota (cfr. anche questa 
�Rassegna�, 1951, p�g. 47 e nota ivi). Qui possiamo 
solo rilevare che con questa affermazione la Cassazione 
ha abbandonato deliberatamente il principio 
precedentemente affermato, della possibilit� di una 
tutela di legittimit� rispetto ad un interesse non subbiettivato. 
Non esiste interesse ad agire, se non assume 
autonomia anche l'interesse legittimo che si vuol far 
valere. Fintantoch� questo rimane conglobato con 
l'interesse collettivo, esso non ha neppure autonomia 
di tutela: cio�, non possiede neppure quel substrato 
di interesse personale ad agire, che � necessario per 
far valere l'interesse leso. 

Ma, giunti a questo punto, � lecito porsi una 
domanda. Quando � avvenuta una soggettivazione 
dell'imposta, si configura davvero soltanto un interesse 
ad agire, o si verifica invece un altro fenomeno, 
ben pi� importante, e cio� la conversione o trasf ormazione 
dell'interesse in diritto? La Cassazione non 
risponde a questa domanda, ma tutta la giurisprudenza 
del Consiglio di St�to sembrava in proposito 
concorde: q?tando l'imposizione � soggettivata, essa 
investe posizioni di diritti soggettivi � e non pi� di 

. interessi �. Se si ammette che la stessa deliberazione 
comunale, creando �il nuovo tributo, ne indi-vidui 
gj� i soggetti passivi, in quanto pone a loro carico 
il dovere giuridico di adempiere alcune prestazioni, 
come quello della denuncia e di subire accertamenti � 
�e verifiche, gi� a questo punto le relative controversie 
vengono ad incidere non su un interesse, ma su un 
diritto (dee. Consiglio di Stato, 1� aprile 1950, � Riv. 
amm. �, 1950, 349). Se, invece, si ritenga pi� correttamente 
che la soggettivazione debba essere spostata 
al momento successivo dell'accertamento, come 
ritenne la Cassazione nella sentenza 20 maggio 
1950, n. 1294, � in ogni modo chiaro � che appena 
verificatasi la lesione del diritto soggettivo per effetto 
del provvedimento di concreta percussione degli individui
� colpiti spetta al giudice ordinario anche la 
indagine sulla legittimit� o meno della deliberazione 
che quelle prestazioni determinava in via generale 
nella nuova misura� (Consiglio di Stato 7 aprile 
1951, �Foro Amm. n, 1951, I, 2, 186). 
Sembra quindi lecito formulare un principio 
d'ordine generale, e cio�, che una volta individuata 

e specificata l'imposta, incidente su una situazione 
di diritto soggettivo del singolo contribuente, la competenza 
per ogni controversia relativa all'imposta 
stessa -sia nella fase impositiva sia nella fase di 
accertamento -appartiene al giudice ordinario. E 
non potrebbe il contribuente, impugndn�o gli atU 
prodromici della concreta imposizione, farne valere 
le eventuali illegittimit� davanti al giudice amministrativo 
perch� -come osserva incisivamente il 
Consiglio di Stato nella citata decisione 1� aprile 
1950, n. 391 ( << Riv. amm. �, 1950, 349; �Foro amm. � 
1950, I, 2, 286) <<il cittadino leso nel suo diritto 
non pu�, per il nostro sistema positivo, far valere 
questo come interesse e domandarne la tutela a un 
giudice diverso da �quello prestabilito, con determinati 
poteri, dall'ordinamento giuridico>>. 

*** 

A questo �punto � evidente che la questione assume 
una portata vastissima. Il principio che un diritto 
soggettivo non possa essere fatto valere come interesse 
� fondamentale nel nostro� ordinamento. La sola sua 
formulazione rievoca lunghe discussioni ed autorevoli 
dissensi dottrinali e giurisprudenziali, alla 
fine conciliati in una formula che sembrava collaudata 
da un ventennio di esperienze. 

Ma una recente decisione della IV Sezione del 
Consiglio di Stato (dee. 20 dicembre 1950, n. 619, 
<< Ghir. it. �, 1951, 3, 33 con nota di Guicciardi; 
�Foro amm. �, 1951, I, 1, 156 con nota di Piscione; 
�Foro it. �, 1951, 3, 27 con nota di richiami; <1 Dir. 
e prat. trib. �, 1951, II, 259), distruggendo praticamente 
il ventennale lavoro di consolidamento del 
principio della causa petendi unita al petitum 
come criterio discriminatore della giurisdizione, ha 
profilato la possibilit� che una lesione di diritti 
soggettivi lasci integra l'autonomia di eventuali lesioni 
di interessi, verificatesi nella fase prodromica della 
lesione del diritto. Secondo la citata decisione, in 
tali casi la lesione del diritto soggettivo, risultato 
finale della serie di atti amministrativi in essa confiuenti, 
non assorbe, ma si sovrappone alle lesioni 
degli interessi legittimi: queste conserverebbero una 
esistenza distinta ed autonoma, cui corrisponderebbe 
un separato ed autonomo mezzo di tutela davanti alla 
giurisdizione amministrativa. 

E la IV Sezione giunse a questa affermazione 
proprio rispetto ad una imposizione a carattere tributario, 
analoga a quella oggi presa in esame dalla 
Corte Suprema. 

Questo orientamento, approvato senza restrinzione 
dal Guicciardi, venne successivamente ribadito da 
due decisioni del Consiglio di Stato in adunanza 
plenaria 17 dicembre 1951, n. 10 e n. 13 (Riv. 
.Amm. 1952, 25; cfr. pure, per un completo quadro 
le decisioni 13 aprile 1951, n. 248, �Foro amm. >~, 
1951, I, 1, 301, e l'altra decisione in pari data n. 249, 
in <oi Racc. giur. compl. Cons. Stato�, 1951, 335 ). Ripudiata 
perfino l'espressione di� doppia tutela� qualificata 
comb �ellittica, inesatta ed equivoca >>",�il Consiglio 
di Stato riafferm� quanto segue: � La coesistenza�delle 
due tutele non vuol dire doppia tutela, perch� 
l'una tutela ha un oggetto, l'altra un oggetto diverso. 
La sopravvenuta insorgenza del diritto soggettivo 
non elimina il preesistente interesse legittimo, anche 


-44 


se l'uno e l'altro coesistano, come � possibile, in uno 
stesso procedimento amministrativo. L'unit� del 
q'Uale non esclude, ma implica il molteplice, potendo 
il procedimento amministrativo, come ogni altro 
procedimento, rappresentare un totum divisu:m, essere 
costituito, cio�, come di solito avviene, da pi� elementi 
di fisionomia diversa per la natura ed i fini 
che li distinguono >>. 

Ora, tutto ci� non rivela tanto uno sforzo dialettico, 
o una certa. propensione verso insoliti richiami, 
(come il totum divisum, che sembra ispirato 
dalla terminologia della Scolastica) ma � sopratutto 
il risultato di errori di prospettiva, che qui cercheremo 
di mettere in evidenza. 

A fondamento della teoria della tutela concorrente, 
la decisione 20 dicembre 1950, n. 619 ricord� anzitutto 
che esistono procedimenti amministrativi cul-� 
minanti, attraverso varie fasi, in lesioni di diritti 
soggettivi, che permettono tuttavia la tutela di eventuali 
interessi lesi nelle precedenti fasi; fra questi, 
la procedi1.ra di espropriazione per pubblica utilit� 
e, in campo piu specificamente tributario, i contributi 
di miglioria. Ma il richiamo non � pertinente. I due 
esempi, sui quali insiste a lungo la decisione 20 
dicembre 1950, n. 619, del Consiglio di Stato, presentano 
indubbiamente, fra loro, spiccate somiglianze: 
ma va subito osservato che proprio queste somiglianze 
li differenziano nettamente da ogni altra procedura 
impositiva di tributo. La loro caratteristica piu 
saliente � infatti una precisa separazione fra le due 
fasi che mantengano una propria individualit�: 
la fase incidente sul diritto, e l'anteriore fase incidente 
su interessi. 

Questa prima fase � caratterizzata, in entrambe � 
le procedure, da un elemento senza dubbio rivelatore 
di autonomia: la determinazione nominativa dei 
proprietari soggetti a espropriazione (col piano di 
massima), la determinazione nominativa dei proprietari 
soggetti a contributo (con l'elenco previsto dell'art. 
9 e il R. D. L. 28 novembre 1938, n. 2000). 
� evidente che nell'individuazione dei �soggetti del 
tributo gi� ci troviamo, se non ad un accertamento 
perfetto e compiuto, in uno stadio avanzato dello 
sviluppo del procedimento impositivo: il fissaggio e 
la soggettivazione dell'interesse leso. Manca solo la 
determinazione della misura, dell'entit� della lesione. 
Ma quella soggettivazione -secondo l'insegnamento 
dello stesso Consiglio di Stato e della Cassazione 
-che nei due procedimenti si verifica prima 
della lesione del diritto, � gi� indicatrice dell'esistenza 
di un autonomo interesse leso, tutelabile davanti alla 
giurisdizione di legittimit�, prima, dopo, o contem


poraneamente alla tutela del diritto soggettivo. 

Ci� spiega esaurientemente come negli esempi 
richiamati dal Consiglio di Stato possa ammettersi 
che la fase preparatoria dell'atto finale (che sar� 
poi il decreto di esproprio o l'iscrizione a ruolo dei 
contributi) determini posizioni a s� stanti di interessi 
legittimi: ci� � ammissibile in quanto questi sono 
individuati nei loro soggetti, e tali quindi da poter 
essere tutelati automaticamente, ex se. 

Queste posizioni di interessi, gi� soggettivati, non 
vanno naturalmente confuse con il trasferimento 
di propriet�, o -nel campo dei contributi -con 
l'iscrizione a ruolo dei contribuenti. Questa seconda 
fase rimane sindacabile solo dal giudice ordinario, 
giacch� -riconferma il Consiglio di Stato -�Ogni 

altra controversia relativa all'imponibilit�, ossia al 
diritto di sottoporre a contributo determinati cespiti, 
come anche la questioni in sede di tassazione devono 
invece intendersi sottratte alla competenza del Consiglio
� (Consiglio di Stato 14 maggio 1948, n. 249, 
�Foro amm. �, 1949, I, 1, 18 e �eeisione 3 maggio 
1949, n. 161, ivi p. 313). 

Del resto, gi� in altra precedente decisione (21 
aprile 1942, n. 119: Il Oonsiglio di Stato nel sessenio 
1941-46, vol. II, p. 385) la IV Sezione aveva 
avuto occasione di chiarire che il potere di imposizione 
�, di per s�, un perfetto diritto soggettivo pubplico 
dello Stato o degli altri enti pubblici, cui � 
conferito il potere di imposizione del contributo di 
miglioria, potere che non � sindacabile. E allorquando 
la contestazione vertesse su una eventuale decadenza 
dell'Amministrazione da tale diritto di imposizione 
�si sarebbe in materia di diritto soggettivo di una 
imposizione tributaria, la cui cognizione � sottratta 
alla competenza del Consiglio� (loc. cit). Principio 
esattissimo, piu volte rivadito anche per le controversie 
relative alla determinazione delle singolfi quote 
di contributo a carico dei singoli obbligati (IV sezione 
28l uglio 1943, n. 29 loc. cit. p. 387). 

Solo la prima fase, dunque, e cio� la delim.itazione 
delle zone e la individuazione dei proprietari (sia 
nel procedimento espropriativo sia nei contributi di 
miglioria) investe la sfera degli interessi legittimi: 
e ci� non per la circostanza, puramente esteriore, 
che con quegli atti si accertino i presupposti di fatto 
della imposizione: ma perch� in queste operazioni 
l'Amministrazione si muove su un terreno in parte 
discrezionale. L'accertamento dei presupposti di 
fatto dell'imposizione, l� dove non ha margine di 
discrezionalit�, ricade invece sempre nella sfera dei 
diritti soggettivi del cittadino, (Consiglio di Stato, 
V Sezione 6 ottobre 1950, n. 1029, <(Foro it �., 
1951, III, 66; � Riv. amm. �, 1951, 197; V Sezione 
14 aprile 1951, n. 350; � Racc. compl. giur. Oons. 
Stato�, 1951, 373). 

Cos� precisati i concetti ed i principi fissati per i 
procedimenti sopra ricordati (espropriazione e con~ 
tributi di miglioria), si avverte immediatamente 
come essi non siano adattabili ad altri procedimenti 
impositivi, ed in particolare a quelli oggi in esame. 
In questi, la fase prepc,ratoria �non presenta quello 
elemento rivelatore di autonomia, che � -nei citati 
procedimenti -l'individuazione del soggetto leso. Nel 
procedimento impositivo tributario si possono distinguere 
tre fasi: prima fra queste, l'emanazione 
della norma o dei provvedimenti scaturenti dal potere 
impositivo -e qualsiasi contestazione al riguardo, 
risolvendosi in una controaffermazione di carenza 
di potere, si risolve nella tutela di un diritto soggettivo 
del cittadino di non divenire soggetti passivi 
di una contribuzione speciale, se non nei casi tassativamente 
previsti dalla legge (IV Sezione 13 aprile 
1951, n. 248 �Foro amm. �, 1951, I, 1, 301 e � Raccolta 
Oompl. Giur. Oons. Stato >>, 1951, 249). Segue 
la fase di concreta istituzione del tributo; infine, 
l'accertamento. Di questi tre momenti,� uno solo � 
caratterizzato dall'individuazione del soggetto, --e Cioe 
il terzo. N� il primo, n� il secondo creano quella 
soggettivazione che unicamente -secondo la sentenza 
19 febbraio 1951, (� Sett. Oassaz. �, 1951, 289) e la 
stessa sentenza oggi annotata -conferiscono all'interesse 
leso una propria autonomia. 



-45 


Riesce quindi difficile rendersi conto, anche concettualmente, 
dell'asserita sopravvivenza di un interesse 
autonomo, che non esiste prima dell'accertamento 
dell'imposta e cio� prima della lesione del 
diritto soggettivo. Proprio quegli aspetti cronologici 
che sono richiamati dalle decisioni 17 dicembre 
1951 del Consiglio di Stato, persuadono che l'interesse 
leso � legato come un fratello siamese al diritto 
soggettivo. Per contro, nel procedimento espropriativo 
e nei contributi -esempi su cui la decisione 
20 dicembre 1950 si fonda -effettivamente le posizioni 
di interessi appaiono svincolate dalle posizioni 
di diritto, essendo individuate prima del decreto di 
esproprio e prima dell'iscrizione a ruolo del contributo. 
Ed � inutile invocare lo slogan della <<tutela 
concorrente � che dovrebbe soppiantare l'altro della 
�doppia tutela�, meno gradita al Consiglio di Stato. 
Iu realt�, non � possibile mantenere distinte due posizioni, 
quando l'esistenza dell'una (interessi) riceve 
autonomia ed individuazione solo dall'altra (diritto 
soggettivo). La verit� �, invece, che dal crogiuolo entro 
il quale si compie la fusione di tutte le precede�riti 
posizioni, vien fuori, perfetta nelle sue forme, la 
sola lesione del diritto, armata di un solo mezzo di 
tutela: l'azione giudiziaria. 

Questa conclusione � corroborata, nel campo tributario, 
da argomenti specifici. Il ritegno dimostrato 
dalla stessa IV Sezione nell'ammettere la tutela de{ 
preesistenti interessi legittimi, dopo il compimento 
dell'accertamento (iscrizione a ruolo, liquidazione 
dell'imposta), trova la sua ragion d'essere in un 
principio che pu� dirsi tradizionale nel nostro ordinamento: 
l'affidamento all'autorit� giudiziaria delle 
questioni di imposta. Il Consiglio di Stato nella 
decisione 20 dicembre 1950 e la sentenza annotata 
hanno naturalmente avvertito il disagio derivante 
dalla devoluzione al giudice amministrativo di posizioni 
di interessi nello speciale campo tributario; 
ed hanno creduto di liberarsene sottoponendo ad una 
penetrante interpretazione l'art. 6 della legge sul 
Contenzioso. Certo, l'art. 6, disarticolato nei suoi vari 
commi, pu� essere manovrato in vario modo; sopratutto 
se chi tira i fili intende adattarne i movimenti 
ad una teoria prestabilita, come intese fare -del 
resto, con sincero entusiasmo -il Guicciardi. 

Ma � proprio vero che il primo comma dell'art. 6 
fissi solo l'inizio di uno stadio del procedimento, 
come ritiene la Corte Suprema nella sentenza annotata? 
Il primo comma �dell'art. 6 � formulato per 
modum exclusionis, e ci� ne rende meno chiara la 
portata. Trasformato in una formulazione positiva 
(il che dialetticamente sembra lecito ed �, comunque, 
fatto dallo stesso legislatore nell'art . .285 T. U. per 
la finanza locale), esso suona cos�: <<Sono incluse 
nella competenza dell'autorit� giudiziaria . .. tutte le 
altre quistioni sull'imposte dirette dopo che abbia 
avuto luogo la pubblicazione dei ruoli�. L'importanza 
fondamentale dell'art. 6 non � nella precisazione del 
momento iniziale della fase giudiziaria: � nell'esplicita 
affermazione che tutte le questioni dopo la 
pubblicazione dei ruoli rientrano nella competenza 
dell'autorit� giudiziaria. 

Il significato di questo tormentato art. 6 � forse 
meglio compreso se si tien presente la sua portata 
innovativa, rispetto all'ordinamento precedente. 

Secondo la legislazione in vigore prima della legge 
del 1865 le controversie sulle imposte dirette riscuoti


bili mediante ruoli erano affidate ai Consigli di 
Prefettura, giudici ordinari del Contenzioso amministrativo; 
erano invece rimesse alla giurisdizione 
ordinaria le questioni su quasi tutte le imposte indirette. 

� probabile che questo diverso .regolamento traesse 
origine da una inesatta concezione dell'atto amministrativo, 
che per le prime veniva ravvisato nella formazione 
del ruolo, mentre per le seconde appariva 
meno facilmente individuabile. Comunque, la legge 
del 1865 intese senza dubbio ricondurre nell'ambito 
della giurisdizione ordinaria la questioni di imposta 
prima devolute ai Consigli di Prefettura, appunto 
in considerazione del loro carattere di questioni di 
diritto civile, concernenti diritti patrimoniali o di 
propriet�. Non possiamo certo arbitrarci di attribuire 
al legislatore dell'epoca una mens legis informata 
alle attuali esigenze teoretiche, che sono il 
risultato di elaborazioni allora neppure sospettate: ma 
possiamo senza esitazione affermare che fu proprio 
l'aspetto finale (lesione di un diritto civile), che pes� 
sulla sottrazione delle controversie di imposta al 
giudice amministrativo. Il che val quanto dire che 
il legislatore del 1865 consider� siffatte questioni 
riel loro aspetto globale, prescindendo dalle eventuali 
posizioni di interessi confiuenti nella lesione finale 
del diritto. 

D'altra parte, � indubbio che cos� facendo il legislatore 
del 1865 assicur� effettivamente alle controversie 
di imposta una garanzia maggiore che ad 
ogni altra controversia devoluta al giudice ordinario. 
Nessuno disconosce che anche in materia tributaria 
l'art. 4 della legge sul Contenzioso spieghi, teoricamente, 
il suo effetto limitativo. Ma nella stessa natura 
della prestazione tributaria si annida il mezzo di 
evasione dalle strettoie dell'art. 4, giacch� la prestazione 
tributaria �, salvo casi eccezionalissimi, una 
prestazione pecuniaria: e proprio rispetto a queste 
prestazioni la tutela giurisdizionale ordinaria viene 
ad essere pressoch� perfetta, perch� � ammessa la 
condanna dell'Amministrazione alla restituzione della 
somma pretesa, cos� come � ammessa la negazione. 
del diritto al tributo. 

In altri termini, il diritto subbiettivo del cittadino 
di non essere gravato di una imposta ingiusta, o di 
ottenere la restituzione dell'imposta indebitamente 
pagata, pu� essere tutelato praticamente in sede 
ordinaria con quello stesso risultato, che �, per altre 
questioni, caratteristico delle tutela di legittimit�: 
lo annullamento dell'imposizione. Sappiamo perfettamente 
che anche in materia tributaria l'autorit� 
giudiziaria non potrebbe annullare esplicitamente e 
formalmente il ruolo o l'ingiunzione: ma quante 
volte, pur nella nostra limitata esperienza, abbiamo 
letto dispositivi in cui �dichiarata nulla l'ingiunzione, 
si condanna l'Amministrazione al rimborso �. 
Sollecitato da considera~ioni di ordine pratico, il 
magistrato si sente d'istinto portato ad una declaratoria 
di annullamento: che �, in fondo, il risultato 
tipico della giurisdizione di legittimit�, incidente 
direttamente sull'atto (amministrativo) di .imposizione, 
svuotandolo di contenuto. 

Effetto, ripetesi, che � assolutamente diverso da 
quello derivante dalle altre pronunce dell'autorit� 
giudiziaria, che di fronte ad un atto amministrativo 
illegittimo ne rispettano l'esecutivit� e la portata, 
limitandosi a riparare indirettamente il torto sotto 
forma di risarcimento. 


-46


Ohe questa diversit� di effetti derivi dalla natura 

pecuniaria della prestazione (e quindi della ripara


zione) gi� lo si � detto: ma ci� non toglie nulla all'ef


fettiva estensione della tutela giurisdizionale ordi


naria in tema di imposte. 

Questo discorso vuole semplicemente chiarire come 

siffatta tutela trovasse nella riforma del 1865 una 

estensione notevolmente pi� ampia di quella riser


vata alle altre questioni di diritto civile. E vuole 

altres� spiegare perch� -nel campo tributario 


l'esperienza di quasi novant'anni non abbia mai 

rivelato in modo pressante l'esigenza di una maggiore 

o pi� ampia tutela di legittimit�. La creazione di 
speciali organi giurisdizionali tributari (Commissioni 
amministrative) non fu tanto inte~a ad accrescere 
le garanzie del cittadino, quanto ad assicurare 
l'esatta risoluzione di questioni tecniche, affidandole 
ad organi specializzati. Ad ogni modo, la persuasione 
del legislatore del 1865, di aver tutelato i diritti 
soggettivi del cittadino in materia di imposta in modo 
completo ed integrale, appare -ancor oggi -del 
tutto fondata. 
Di questa persuasione sono, del resto, permeate le 
disposizioni successive, che ribadirono sempre in 
modo inequivocabile la sola competenza dell'autorit� 
giudiziaria. Basterebbe qui ricordare l'art. 22 R. D. 

L. 7 agosto 1936, n. 1639, che riconferma il mantenimento 
della competenza della autorit� giudiziaria, 
ai sensi dell'art. 6 legge 20 marzo 1865, alleg. E, f!U 
cc ogni controversia che non si riferisca a semplice 
estimazione dei redditi �. Non rimangono spazi vuoti, 
nei quali possano sorgere ed alimentarsi altre questioni 
e altre controversie, sottratte, -in materia 
d'imposta -alla competenza istituzionale della autorit� 
giudiziaria. La quale competenza � esclusiva e 
l'art. 285 T. U. sulla finanza locale nella sua formulazione 
del 1931 adoperava testualmente tale� 
termine -in materia di imposta, se con ci� si vuul 
dire che non vi � contemporaneit� di tutela davanti 
al giudice amministrativo: ma � sopratutto primor.
diale, �nel senso che la particolare materia � per 

natura devoluta a questa competenza originaria: 

onde, se norme speciali occorrono, esse occorrono per 

stabilire eccezioni a questa competenza (come fu 

fatto per. le controversie di estimazione), non per. 

ricondurre al giudice cc naturale � le questioni di 

imposta. 

Questo volle ribadire il GIANNINI (Istituzioni di 
diritto trib, 1944, p. 208) quando osserv� che cc dal 
rapporto giuridico di imposta scaturiscono dei diritti 
soggettivi tanto per l'Amministrazione che per il 
contribuente, la cui tutela rientra, fondamentalmente 
nelle attribuzioni della giurisdizione ordinaria �. 

Del resto, secondo i principi affermati dalla Oorte 
Suprema nell'attuale sentenza, la tutela concorrente 
appare solo non contrastante con tutto il sistema, ma 
anche inattuabile. 

Se il cittadino non ha interesse ad agire prima 
della soggettivaziorj,e dell'imposta, egli � costretto ad 
attendere -dopo la pubblicazione della deliberazione 
impositiva -che l'accertamento sia effettuato. D'altra 
parte, il termine per impugnare decorre dalla 
pubblicazione. Pu� quindi accadere che mentre il 
cittadino attende di divenire contribuente, egli venga 
dichiarato decaduto dal diritto di impugnare la 
deliberazione: e cos� infatti decise, con perfetto rigore 

logico, la V Sezione del Consiglio di Stato (decisione 
7 aprile 1951, n. 319, cc Foro amm. �, 1951, I, 2, 186). 

Questa conseguenza rivela 'chiaramente la debolezza 
della teoria della cc tutela concorrente �. Nella 
decisione 17 dicembre lll51 in ad-'tfnanz~ plenaria il 
Consiglio di Stato avvert� l'assurdit� della situazione: 
e credette di poterla eliminare affermando testualmente: 
�Il Collegio ritiene che il termine a quo non 
possa avere inizio che dalla pubblicazione degli 
elenchi dei contribuenti (e non dalla pubblicazione 
della deliberazione comunale). E ci� perch� da tale 
data, essendo stati essi ricorrenti individuati come 
passibili in concreto della speciale imposizione, non 
prima di quel momento sorgeva il loro interesse personale 
ed attuale a gravarsi contro la deliberazione 
istitutiva del tributo �. 

Ma la contraddizione � evidente. Se � vero che le 
posizioni di interessi hanno una loro � autonoma 
esistenza, questa autonomia deve essere piena e completa, 
anche rispetto ai termini di decadenza. Ma se 
invece si riafferma e si esige che il regolamento 
temporale della loro tutela prenda data solo dall'individuazione, 
cio� dal sorgere del diritto sogqettivo, 
ci� riprova una cosa sola: che la posizioni di interessi 
prendono vita appunto dalla loro trasfusione e 
conversione in posizioni di diritto, dalle quali restano 
assorbite. 

E non � questa la sola contradizione insita nella 
teoria della cc tutela concorrente �. Questa si rivela, 
infatti, tanto insufficiente quanto ineguale. Basti 
pensare al diverso trattamento che verrebbe/ atto 
alle varie imposizioni, di cui quelle stabilite direttamente 
per legge non lascerebbero spiragli per 
una tutela di legittimit� (per quanto gi� si adombri 
anche per esse un ricorso alla Oorte Costituzionale: 
vedi nota in cc Foro amm. �, 1951, I, 1, 160) mentre 
le altre si troverebbero esposte ad immediate impugnative 
davanti al Consiglio di Stato. � evidente che 
questa disparit� di trattamento va considerata con 
netto sfavore. Sfavore vhe tanto pi� accentua, se si 
tien presente eh.e il sistema istitutivo dei tributi 
sui generi di larga produzione locale ed extratariff a 
non differisce, nelle sue linee essenziali, da altri 
sistemi impositivi di tributi locali, per i quali sono 
previste determinate procedure a garanzia degli 
interessi dei contribuenti, regolate in modo specifico 
dalla legge (art. 258, comma ottavo, T. U. sulla 
finanza locale, 31 marzo 1931, n. 1058, sostituito 
dall'art. 306 T. U. sulla legge comunale e provinciale; 
cfr. anche articoli 23 a 28 del citato T. U. sulla 
finanza locale; articoli 344 e 345 Regol. 30 aprile 
1936, n. 1138, per le imposte di consumo). E va 
qui rilevato che l'equiparazione dei tributi speciali 
alle imposte di consumo � stata varie volte ribadita 
dalla giurisprudenza dei giudici di merito (Cassazione 
20 maggio 1949, cc Rep. Foro it. � 1949, col 
1653, n. 69; Tribunale di Trani 20 ottobre 1949, 
cc Riv. trib. loc. �, 1949, 199 e Tribunale di. Nicastro 
30 dicembre 1949, ivi 197). Oi� significa che 
per i tributi speciali di cui all'art. ~O.D. L. O. P. S. 
29 marzo 1947, , n. 177, verrebbero introdotti mez_zi 
diretti di tutela davanti alla giustizia amministrativa, 
del tutto anormali rispetto ai mezzi di tutela previsa 
per altri tributi che pure hanno carattere affine. A 
meno che non si voglia estendere ulteriormente il 
principio della tutela concorrente affermato dal 


-47 


Consiglio di Stato, con la conseguenza pratica non 
solo di creare vere e proprie sovrastrutture, ma anche, 
e sopra tutto, di far rientrare da altra finestra quella 
azione di accertamento negativo dell'imposta, che nel 
campo della giurisdizione ordinaria la Cassazione ha 
finora considerato, con giusto sospetto, come elitsiva 
dell'obbligo del previo pagamento dell'imposta (cfr. 

RrnoLzr: Esperibilit� delle azioni di mero accertamento 
nel diritto, processuale tributario, in << M on. 
Trib. �, 1951, 66 e richiami nella nota redazionale 
alla sentenza 13 settembre 1949 del Tribunale di 
Brescia, in <<Foro it. �, 1950, I, 1415; cfr. anche Sezione 
Unite 19febbraio1951, Sett. Cassaz. 1951, 289). 

N� queste deviazioni da principi fondamentali 
dell'ordinamento positivo potrebbero considerarsi autorizzate 
dall'art. 113 della Costituzione, richiamato 
dalla IV Sezione e dalla adunanza plenaria del 
Consiglio di Stato. Esatti al riguardo, appaiono i 
rilievi del Benedicenti, in nota alla sentenza 20 
maggio 1950 della Cassazione (Dir e prat. trib., 
1950, II, p. 252 1; 253), ai quali rimandiamo, per 
non .eccedere dai limiti propostici. 

Tutti questi aspetti, in ogni caso, meritano un 
attento riesame da parte della Corte Suprema. La 
sentenza annotata, sebbene l'Avvocatura avesse esplicitamente 
chiesto una decisione orientativa sulla 
teoria della doppia tutela, non ha creduto di pronunciarsi. 
Ci� lascia comprendere che le Sezioni 
Unite si riserbano di precisare il loro pensiero in 
altra occassione, dopo aver approfondito, sotto ogni 
profilo, la gravissima questione. E sotto questo 
aspetto pu� veramente dirsi che la sentenza annotata 
� importante non solo per le cose dette, ma 
anche -e forse pi� -per quelle non dette. 

.A. Crucco 

IMPOSTE E TASSE -Ricchezza mobile -Reddito 
agrario -Mancata considerazione dell'intero ciclo 
produttivo -Tassabilit� in reddito di R. M. Cantine 
sociali. (Corte di Cass., Sez. Unite, Sentenza 

n. 2651-51-Pres.: Ferrara, Est.: MeFsina, P.M.: EulaCantine 
sociali Saliera contro Finanze). 
L'art. 30 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, 
non pu� ritenersi completamente abrogato dal 

D. L. 4 aprile 1939, n. 589, che ha introdotto il 
sistema di accertamento catastale del, diritto 
agrario, ma deve �ritenersi sempre in vigore in 
quanto determina il concetto fondamentale del 
reddito agrario e lo differenzia dal reddito industriale 
propriamente detto. 
Con l'applicazione del detto sistema di accertamento, 
il reddito agrario imponibile pu�, per una 
determinata zona, non coincidere con l'intero 
ciclo agrario. 

Nel caso, quindi, che le tariffe dei redditi agrari 
(stabilite per zone o per Comuni) non abbiano 
preso in considerazione l'intero normale ciclo produttivo, 
il reddito derivante dalle ulteriori fasi 
(manipolazione o trasformazione dei prodotti del 
fondo) ben pu� formare oggetto di tassazione come 
reddito di ricchezza mobile (cat. B) a carico del 
singolo produttore (proprietario o possessore). 

Gli enti collettivi (cantine sociali, latterie sociali, 
ecc.) con la introduzione del sistema di accertamento 
catastale, non sono pi� assoggettabili, 

per le ulteriori manipolazione lavorazioni dei 
prodotti conferiti dai singoli partecipanti, all'imposta 
sul reddito agrario, che � accertabile ora 
solo nei confronti del proprietario o possessore del 
fondo. . 

L'attivit� di una cooperativa o consorzio di 
produttori agricoli, che trasforma, anche con 
mezzi tecnici complessi, i prodotti del suolo, anche 
in quantit� ingenti, che vengono conferiti dai singoli 
partecipanti e che sono prodotti dai loro rispettivi 
fondi, deve ritenersi compresa nel reddito 
agrario dovuto dai singoli conferenti se ed in 
quanto le dette manipolazioni e trasformazioni 
siano state prese in considerazione nella determinazione 
delle tariffe di estimo. 

Nel caso, invece, che le dette lavorazioni e trasformazioni 
(nella specie, vinificazione e vendita 
del vino per conto dei partecipanti) non siano state 
considerate (come nella fattispecie) dalle tariffe 
di reddito agrario imponibile a carico dei singoli 
proprietari o possessori, il relativo reddito deve 
considerarsi come ordinario reddito di R. M. � 
(cat. B) nei confronti degli enti collettivi. 

La competenza degli uffici catastali � limitata 
all'accertamento del normale reddito agrario assoggettabile 
all'imposta relativa, restando ferma la 
competenza degl Uffici delle imposte dirette per 
i redditi, sia pure di natura agraria, ma non colpiti 
. dalla detta imposta. 

Nelle massime sopra riportate � contenuta la 

parte sostanziale dell'ampia motivazione di questa 

sentenza, interessantissima sopratutto per l'accu


rato esame storico delle norme che hanno nel tempo 

regolato l'imposta sui redditi agrari. 

La sentenza � integralmente pubblicata in << Rivi


sta di Diritto finanziario e Scienza delle Finanze �, 

1952, II, 3 e segg., con nota del Griziotti. 

LOCAZIONE -Vincolismi -Aumenti legali -Non 
operano " ope legis ". (Corte di Cassaz. Sez. III, 
sent. n. 151-952; Pres.: Acampora -P. M.: Carboni Est.: 
Caruso -Ministero Interno c. Trapani). 

Gli aumenti legali del canone locatizio non 
operano automaticamente in forza di legge, ma 
devono essere richiesti dal locatore al conduttore 
e sono operanti dal momento in cui vengono richiesti. 


La questione decisa con la presente sentenza era 

sorta in relazione al d.ecreto legislativo 27 febbraio 

1947, n. 39, ma il Supremo Collegio ha preso in 

esame tutta la legislazione vincolistica compresa la 

legge 23 maggio 1950, n. 253, ed ha accolto la tesi 

sostenuta dall'Avvocatura (v. anche in questa Ras


segna, 1950, pag. 158, J) secondo la quale, appunto, 

l'acquisto del diritto all'aumento da parte del loca


tore non si verifica ope legis << ma produce i s�uoi 

effetti soltanto in relazione alla volont� del titolare, 

manifestata nei modi di legge e con le decorrenze 

ivi prescritte, essendo perentoriamente escluso che~ 

la richiesta di aumenti operi ex tunc �. 

Com'� noto, la legge attualmente vigente in materia 

di locazioni � quella del 16 febbraio 1952~ n. 58, 

la quale ha convertito in legge il decreto legislativo 

21 dicembre 1951, n. 1356. 


-48


Questa legge rinvia, per tutto quanto non � da 
essa direttamente disposto, alle norme della legge 

n. 253 del 1950; e pertanto � da ritenere che, anche 
sotto l'impero della citata legge n. 58 del 1952, gli 
aurnenti siano subordinati alla richiesta del locatore 
e decorrano non automaticamente dal 1� gennaio 
1952, ma questa decorrenza hanno solo nel caso che 
la richiesta sia fatta nei sessanta giorni, mentre, nel 
caso che la richiesta sia fatta dopo tale termine gli 
aumenti decorrono dal primo del mese successivo alla 
richiesta stessa. 
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI--Obbligazioni nulle Restituzioni 
del prezzo -Influenza della svalutazione 
monetaria -Insussistenza. (Corte di Cassaz. 
Sez. III, Sent. 78/952 -Pres.: Acampora; P. M.: 
Lonardo; Est.: Binazzi; Gallus -Gallus). 

La declaratoria di nullit� di rapporti a prestazioni 
corrispettive, appunto perch� elimina qualsiasi 
effetto realizzabile e realizzato, e mira a ristabilire 
ed imporre il ripristino della situazione anteriore, 
non pu�, riguardo all'obbligo della restituzione 
del prezzo, trasformare in debito di valore 
quello che, in sostanza, e dal punto di vista giuridico, 
-� un debito pecuniario. Di qui la conseguenza 
che a tale obbligo di restituzione si applica il prinoipio 
nominalistico consacrato nell'art. 1377 del 
Codice civile secondo il quale i debiti pecuniari si 
estinguono con moneta avente corso legale nello 
Stato al tempo del pagamento e per il suo1 valore 
nominale, senza quindi che possa avere alcuna 
influenza la sopravvenuta svalutazione del potere 
intrinseco di acquisto della moneta. 

La sentenza � riportata sul cc Foro it. �, 1952, 
I, 304, con riferimento alla sentenza 10 gennaio 
1952, pure riportata sul cc Foro it. �, 1952, I, 167 
con ampi richiami. 

La Cassazione conferma la, giurisprudenza domindnte 
secondo la quale l'obbligo di restituzione del 
prezzo, in caso di annullamento di contratto a prestazioni 
corrispettive, ha carattere pecuniario. 

Sempri; in tema di rivalutazione, i contrasti sulla 
possibilit� di accordare gl�i interessi quando la liquidazione 
del danno avvenga in moneta attuale (cfr. 
RUBINO, DISTASO e Mrccro: Giur. Comp�. Cass. 
Civ., 1951, tomo I, pag. 429 e segg.; REBORI: Foro 
it., 1951, I, 884; FAVARA: ivi, 1332)) tendono arisolversi 
nel senso della 'rivalutazione anche degli 
interessi (Cass. 14 agosto 1951, e 31 dicembre 1951, 
� Mass. Foro it. �, 1951, col. 601 e 697). 

Per contro, resta fermo il principio che il rimborso 
di spese rimane una obbligazione a carattere 
nominalistico, non rivalutabile, salvo naturalmente 
la prova dei maggiori danni a sensi deWart. 1224 
Codice civile (Cass. 28 giugno 1951, cc Mass. Foro 
it. )) 1951, 420; Cass. 18 luglio 1950, cc Giur. Compl. 
Cass. Civ. �, 1950, tomo II, pag. 673; Cass. 30 maggio 
1949, ivi 1949, tomo II, pag. 497 e e' Giur. it. �, 
1950, I, 1, 344 con nota). 

Con la citata sentenza 28 giugno 1951 la Corte 
Suprema chiari che cc allorch� trattasi di obbligazione 
contrattuale che si concreti sin dall'origine in un debito 
pecuniario, il fatto che l'ammontare di questo si 
debba accertare per poi procedere alla liquidazione 

non pu� alterare la natura dell'obbligazione, trasformandola 
da debito di valuta in debito di valore �. 
Gi� in precedenza (sent. Sezioni Unite 29 luglio 
1950, cc Giur. Compl. Cass. Civ.�, 1950, II, pag. 723 
e pag. 1027) la Cassazione aveva avvertito ohe cc obbligazione 
pecuniaria non � soltanto quella che sorge 
specificamente in contemplazione di una somma di 
danaro, indipendentemente dal rapporto di corrispettivit� 
tra essa ed un bene diverso dal danaro, ma ogni 
altra che si concreta comunque nel dovere di corrispondere 
una determinata quantit� di moneta, anche 
se in funzione di valore di scambio )). 

Tali principii portano alla conseguenza, fra l'altro, 
che non vanno rivalutati quei risarcimenti o 
quei corrispettivi che trovino, nelle clausole contrattuali 
o nella legge, gi� prestabiliti i criteri di determinazione 
della quantit� di moneta liquidabile. 
� da sperare, quindi, che la Corte Suprema intenda 
rivedere la soluzione data al caso dell'indennit� per 
le cose trasportate (cfr. questa Rassegna 1950, pagina 
20-bis, recto 56), che rappresenta un caso tipico 
di obbligo originario di corrisponsione di un 
determinato ammontare monetario in luogo e vece 
della cosa perduta o danneggiata. In sostanza, pu� 
dirsi che l'obbligo di pagare un valore non elimina 
il carattere pecuniario dell'obbligazione, allorquando 
l'aestimatio rimane vincolata ad un metro monetario 
gi� in precedenza fissato. Cos�, nell'usufrutto 
di cose consumabili il valore dalla fine dell'usufrutto 
va per legge calcolato << secondo la stima convenuta )) 
(995 Codice civile); analogamente nella rescissione 
dell'appalto di opere pubbliche (345 legge sulle opere 
pubbliche) il valore del materiale a pi� d'opera e dei 
lavori al momento della risoluzione va caloolato 
secondo i convenuti prezzi tariftari. In tutti qitesti 
casi, ed in altri che si possono configurare (si veda 
in tema di espropriazione per pubblica utilit� questa 
Rassegna 1951, pag. 140), l'event�uale riferimento 
legislativo al valore della cosa non ha alcun 
rilievo, dovendosi tener conto dell'esistenza o meno 
della predeterminazione dei criteri della stim�. Ove 
questi criteri siano predeterminati, ci si trova sempre 
di fronte ad un debito di valuta e non di valore. 

PARTE CIVILE -Mancate. citazione della parte lesa Annullamento 
del giudizio di primo grado. Ammissibilitd 
ddla costituzione della parte civile in 
appello. (Corte di Cass., II Sez. pen. 10 luglio 1951 -
Pres.: Pannullo, Rel.: Violanti, P. M.: Velotti (conf.) 
_Rie. Bini). 

Nel caso in cui il giudice di appello abbia dichiarato 
la nullit� del giudizio di primo grado per 
la mancata citazione della parte lesa ed abbia 
ordinato la totale rinnovazione del dibattimento, 
in tale sede di appello pu� avvenire la costituzione 
di parte civile. 

!rifatti non trova applicazione l'art. 93 c. p. p., 
perch� solo in appello la persona offesa � in grado 
di esercitare i suoi diritti per la prima volta. 

I. Sulla esercitabilit� del diritto di costituirsi parte 
civile nel dibattimento rinnovato in appello, 
dopo la dichiarazione di nullit� del primo giudizio 
(e, per ampliare il quadro, in quello davanti al 
giudice di rinvio in seguito ad annullamento), 

-49


esiste molta incertezza in giurisprudenza ed in dottrina. 
Si consulti, per un quadro preciso: MANZINI: 
Tratt. dir. proc. pen., ed. 1942, vol II, p. 381 
e segg.: FoscmNI: Costituzione di parte civile nel 
giudizio di appello, �Riv. it. dir. pen. n, 1951, II, 
751 e segg.; Dosi: La costituzione di parte civile 
nel dibattimento, � Riv. it. dir. pen. n, 1952, I, 

p. 48 e segg. 
II. Il problema lascia molto perplessi . .Argomento, 
a nostro parere, veramente rilevante con il quale 
pu� sostenersi la esercitabilit� del diritto in esame 
nei casi di cui al precedente paragrafo, � quello relativo 
alla sorte del primo giudizio: poich� ci� che � 
nullo non pu� produrre effetti, non si pu� dire 
che siano state �compiute per la prima volta le 
formalit� di apertura del dibattimento n, termine, 
come � noto, di decadenza dalla esercitabil� del diritto 
di costituirsi parte civile a sensi dell'art. 93 
c. p. p., nell'ipotesi in cui il primo giudizio (compreso 
quindi il compimento, per la prima volta, 
delle formalit� di apertura del dibattimento) sia 
stato dichiarato nullo. 
III. Il termine di decadenza avrebbe valore quindi 
nei casi in cui le formalit� di apertura del dibattimento 
espletate per la prima volta non siano state 
dichiarate nulle: cos� nell'ipotesi di cui all'art. 432 
l'aer. 432 c. p. p . .A questa si riferisce la Relazione 
al Re nel punto in cui (n. 48) afferma che �chi non 
si � costituito parte civile prima che siano terminate 
le dette formalit�, non pu� pi� costituirsi, 
neppure se il dibattimento venga rinviato a tempo 
in'determinato cos� da dover essere ripreso ex novo 
completamente �. 

� da osservare per� che, anche in questo caso, 
del precedente giudizio cade tutto (argomento em 
art. 432 c. p. p.) ed ogni atto deve essere rinnovata. 
In pratica quindi non c'� differenza fra questa ipotesi 
di nullit� implicita (se ci � lecito cos� definirla) 
e le altre di nullit� esplicita (in quanto previste tali 
dalla legge e dichiarata dal giudice). 

.Appare pertanto difficile giustificare in teorica 
la diversit� di trattamento e non si pu� neppure 
pervenire alla conclusi.one di sostenere la tesi della 
esercitabilit� del diritto in esame nell'ipotesi del 
secondo dibattimento che si celebra a seg�uito del rinvio 
a tempo indeterminato del primo, perch� si 
toglierebbe ogni valore alla dizione cc per la prima 
volta ii di cui all'art. 93 c. p. p. che il legislatore 
ha pure inteso attribuire in modo non equivoco. 

IV. Il dilemma si esprime dunque in questi 
termini: o si respinge la massima annotata perch� 
relativa ad una fattispecie in pratica non diversa 
da altra per la quale il noto termine di decadenza 
ha efficacia (ipotesi dell'art. 432 c. p. p.) o la si 
accetta, sostenendo che i casi di nullit� esplicita 
debbono essere trattati diversamente da quelli di 
nullit� implicita (se ci � lecito riportarci ancora 
alla distinzione .di. cui sopra). 
Ragioni a sostegno del diverso trattamento non � 
certo agevole trovarne: il che porta a concludere che 
sarebbe forse opportuno, de jure condendo, rivedere 
la formazione dell'art. 93 c. p. p. 

(F. O.) 

ORIENTAMENTI GIURISP~UDENZIALI 
DELLE CORTI DI MERITO 


ENFITEUSI -Diritto di prelazione del concedente Riscatto 
per alienazione irrequisito domino -Restituzione 
dei frutti. (Tribunale di Catania, Sez. II, 
6 marzo 1951 -Presidente ed estensore: Galifi -Fondo 
Culto contro Barrano, Morello e Garofalo). 

La vendita irrequisito domino del fondo enfiteutico 
� una vendita immediatamente efficace, i cui 
effetti traslativi sono soggetti ad essere posti nel 
nulla dall'esercizio del diritto (potestativo) di 
riscatto, giuridicamente configurabile come una 
condizione risolutiva inerente ope legis al contratto 
di vendita. . 

Per conaeguenza, in base all'art. 1361 Codice 
civile, il diritto alla restituzione dei frutti nasce 
dal giorno deJla domanda giudiziale con cui si 
esercita il diritto di riscatto. 

IMPOSTA DI REGISTRO -Alienazione di fondo enfiteutico 
irrequisito domino -Sentenza di riscatto a 
favore del concedente -Nuovo trasferimento -Valutazione 
al tempo della pubblicazione della sentenza. 
(Tribunale di Catania, Sez. III, 23 luglio 1951 .:. 
Pres. : Marletta, Est. : Nicosia -Corselli contro 
Finanze). 

La sentenza che dichiara il riscatto di un fondo 
enfiteutico alienato irrequisito domino attua un 
nuovo trasferimento immobiliare a favore del 
concedente e, come tale, � soggetta alla relativa 
imposta di registro. Tale imposta, per l'art. 17 
della legge di registro, non pu� essere compensata 
con quella precedentemente pagata, per il trasferimento 
avvenuto irrequisito domino e sospensivemente 
condizionato. Ci� tanto pi� � a dirsi se 
il riscatto � dichiarato a far tempo da un momento 
successivo a quello del trasferimento condizionato. 

La tassazione del nuovo trasferimento, per 
l'art. 15 del R. D. L. 7 agosto 1936, n. 1639, va 
fatta con riguardo al valore dell'immobile al momento 
della pubblicazione della sentenza di riscatto. 

Le due sentenze riportate si occupano del problema 
della configurazione giuridica del diritto di 
riscatto, che l'art. 966 Oodice civile, attribuisce al 
concedente, nel caso di vendita del fondo enfiteutico, 
effettuata senza la preventiva notifica della proposta 
dichiarazione. Mentre per� la prima sentenza d� 
una sua risoluzione al problema, la seconda, reputandosi 
vincolata alla diversa configurazione data 
dal Supremo Collegio nella fattispecie decisa, risolve 
in base ad essa la questione strettamente connessa di 
diritto tributario se, in seguito alla pronuncia di 
riscatto, debba ritenersi avvenuto un solo trasferimento 
immobiliare, o se invece il nuovo trapasso 
lascia sussistere il precedente, rimanendo entrambi 
soggetti alla relativa imposta di registro. 

Il problema accennato, come si sa, � antichissimo, 
e fu grandemente disputato fin dal diritto comune. 

Risolvendolo nel diritto vigente con la prima decisione, 
il Tribunale di Catania, correttamente,, a 
parere nostro, respinge quelle opinioni che vedono 
nella vendita del fondo enfiteutico inconsulto domino 
un contratto annullabile (in tal senso, per le enfiteusi 
antiche, Cassazione 12 febbraio 1946, n. 131) 

o un contratto sottoposto alla condizione sospensiva 
che il conducente non eserciti, nel termine di legge o 
di contratto, il diritto di riscatto (cfr. � Cassazione 
27 luglio 1933 n. 3016; � ppello Roma 23 luglio 
1946, � Foro It. �, 1946, I, 771; Cassazione, 8 agosto 
1946, n. 1116). Per convincersi che non si tratti 
di annullabilit� � sufficiente considerare, secondo il 
Tribunale, � le cause che invalidano il negozio e i 
principi che reggono l'azione di annullamento: pu� 
questa farsi valere solo dalla parte contraente o dal 
suo legale rappresentante, se incapace, e in alcuni 
determinati casi da chiunque vi abbia interesse; e, 
sebbene l'azione sia pres&rittibile, pu� sempre eccepirsi 
che invalida il negozio (quae temporalia ad 
agendum, perpetua ad excipiendum); laddove il 
diritto di riscatto va esercitato dal concedente e cio� 
da un terzo determinato e solo da esso, mentre, decorso 
inutilmente il termine di cui all'art. 966 Codice 
civile, non pu� eccepirsi la mancata requisitfo. 
Inoltre, l'annullabilit� colpisce il negozio per incapacit� 
di agire del soggetto o per vizio del volere o 
per casi determinati di incompatibilit�, mentre nella 
vendita in esame � la mancata requisitio e cio� l'omissione 
di una particolare attivit� che provoca il sorgere 
del diritto di riscatto e la possibilit� di esercitare 
la relativa azione �. Pu� aggiungersi che l'invalidit� 
non trova alcun sostegno nel nostro diritto positivo, 
a differenza di quanto avveniva, per esempio, nel 
Codice civile napoletano del 1819, dove era espressamente 
dichiarato che� Sar� nulla qualunque vendita, 
e si dar� luogo alla devoluzione, se il diretto padrone 
non sar� interpellato a prestare il consenso >> (articolo 
1692). 

V na disposizione simile � contenuta nell'art. 61 
della legge 1� giugno 1939, n. 1089, per le alienazioni 
di cose di propriet� privata d'interesse storico 
o artistico, effettuate senza la preventiva denunzia 
al Ministero della Pubblica Istruzione, per 
l'eventuale esercizio del diritto di prelazione da parte 
dello Stato. Ma, in difetto di un'esplicita norma che 
elevi l'inadempimento della preventiva notizia a vizio 
dell'atto di trasferimento, sembra che il diritto 
di riscatto non pu� configurarsi n� come azione di 
nullit� n� come azione di annullamento. 

Ohe l'esercizio di tale diritto possq,_ poi attuare il 
contenuto di una condizione sospensiva, secQnd!� lQ 
stesso Tribunale, � resistito � dall'immediato trasf�rimento 
dei diritti dall'enfiteuta all'acquirente. E 
che la legge non consideri sospesa l'efficacia della 
vendita � fatto chiaro e dalla dizione della norma, 



-51


in cui parlasi di riscatto dall'acquirente (e non 
dall'enfiteuta) e dal sorgere nel terzo alienatario 
degli obblighi del canone per solo effetto della intervenuta 
vendita (art. 967 O.O.) >>. Fatte tali premesse, 
il Tribunale cos� conclude: � Posto che la vendita 
irrequisito domino ha immediata efficacia e che ogni 
suo effetto traslativo � posto nel nulla dall'esercizio 
del diritto di riscatto, il cui avverarsi � rimesso alla 
libera scelta del concedente, l'esercizio del predetto 
diritto va rettamente inteso come condizione risolutiva, 
eh.e ope legis inerisce al contratto stipulato 
senza la requisitio domini ��, 

Neppure tale opinione, che in dottrina si trova 
sostenuta per il riscatto ex art. 732 Codice civile 
(ANDREOLI: Il retratto successorio, 1946, pag. 34), 
ci sembra tuttavia che renda perfettamente la vera 
natura giuridica del diritto di riscatto in questione. 
Anzitutto, una condizfone eh~ non costit1.iisce parte 
della dichiarazione di volont� ma che inerisce al 

�contratto in virt� di legge non � propria,mente una 
condizione, ma solo una condicio juris. E questa 
non soltanto non retroagisce, come la condizione propria, 
ma neppure pu� essere risolutiva, e8sendo per 
definizione sospensiva dell'efficacia, se non pure 
della validit�, del negozio (cfr. MESSINEO~ Manuale, 
1946, I, pag. 347). In secondo luogo, l'esercizio del 
diritto di riscatto ex articolo 966 Oodiae civile, in 
verit� sembra che non risolva affatto la vendita compiuta 
irrequisito domino, se � proprio dall'acquirente 
e non dal venditore che il concedente riscatta, 
cio� riacquista il godimento ed il possesso dell'immobile. 
Ammettendo la risoluzione del contratto, invece, 
il fondo riscattato dovrebbe logicamente considerarsi 
come mai uscito dal patrimonio dell'enfiteuta 
il quale potrebbe anche recedere dall'intenzione di 
vendere cos� come potrebbe mutare le condizioni 
della vendita, e in particolare il prezzo. D'altra parte, 
ritenere che l'enfiteuta rimanga vincolato alla dichiarazione 
di volont� di vendere, da valere come promessa 
unilaterale (in tal senso, DE PIRRO: Della 
enfiteusi, 1907, pag. 126) contenuta nel contratto 
che si risolve e a cui il concedente � del tutto estraneo, 
sembra inconcepibile. Effetto risolutivo avrebbe 
certamente il riscatto, qualora l'obbligazione dell' enfiteuta 
di notificare la proposta di alienazione fosse 
stata dalle parti dedotta come condizione risolutiva 
espressa dall'enfiteusi (v. Cassazione 21 febbraio 
1946, �Foro it. �, 1946, I, 570); cos� come avviene per 
il patto di riscatto apposto ad una compravendita 
(artt. 1500 e segg. Codice civile). Diversa � per� 
da codesto patto quella forma qualificata di riscatto 
di cui qui si parla e che pi� esattamente viene indicata 
col termine retr._atto; mentre, infatti, il primo 
tende ad � apporre un termine alla propriet� >> altrui 

o � alla posizione giuridica creata nell' acqu.irente � 
(GORLA: La Compravendita, 1937, pag. 304), il 
retratto, che non � esclusivo dell'enfiteusi ma che ricorre 
anche in altre situazioni di priorit� di un soggetto 
rispetto ad altri soggetti (per es. in materia successoria, 
art. 732 Codice civile), ha invece una funzione 
di garanzia, come l'ipoteca, avendo lo scopo di 
rafforzare l'obbligazione di preferire garantendone 
l'adempimento (D'ORAZI: Della prelazione, 1950, 
pag. 131, 132, 175, 194). Scopo che viene raggiunto 
merc� l'attribuzione e l'esercizio di un potere diretto 
a � rendere improduttiva di e:ffeti una determinata 
vicenda, sostituendo a questa altra vicenda in favore 
del ritraente stesso o di un beneficiario >> (D'ORAZI, 
op. cit., pag. 321). Fine del retratto del concedente, 
nel nostro diritto, � quindi quello di ottenere l'adempimento 
coatto della prelazione. E ci� a differenza di 
quanto avveniva sotto l'impero delle leggi civili napoletane 
del 1819, secondo le quali il concedente, 
esercitando il riscatto, se poteva ottenere l'annullamento 
della vendita e la risoluzione dell'enfiteu~i, 
poteva anche limitarsi a chiedere solo il primo, 
preferendo mantenere in vita il rapporto enfiteutico 
(cfr. Duscro: Trattato della enfiteusi, 1852, n. 339, 
pag. 241; IANNELLO: Dell'enfiteusi, 1845, n. 283, 
pag. 278). Il che non pu� certo dirsi nel nostro 
sistema giuridico, in cui il concedente che esercita 
il retratto pu� solo ottenere il riacquisto del c. d. 
dominio utile, gi� trasferito al compratore, e cio� 
lo scioglimento dell'enfiteusi, previo il rimborso dei 
legittimi pagamenti sostenuti dal retrattato. Il diritto 
di retratto del domino, diretto perci� non pu� 
essere rivolto a fare a risolvere la vendita, la quale 
anzi ne costituisce un presupposto, ma semplicemente 
a farne cessare ex nunc gli effetti (OARIOTAFERRARA: 
L'enfiteusi, 1950, pag. 299). L'esercizio 
del diritto di retratto, in altre parole, si comporta 
diversamente dall'esercizio del diritto di prelazione. 
Anche tra questi due diritti corre distinzione � perch� 
(secondo le parole dello SCHUPFER riportate in 
D'ORAZI, op. cit., pag. 195) il diritto di prelazione 
si riferisce ad ima vendita che � ancora da conchiudere 
e contiene solo un'obbligazione dell'alienante; 
il retratto si riferisce ad una vendita gi� conchiusa, 
ed � un diritto che si fa valere contro l'acquirente 
allo scopo di riprendere il fondo dalle sue mani >>. 
L'esercizio del diritto di prelazione genera, perci�, 
un acquisto del concedente direttamente da parte 
dell'enfiteuta, ed importa una eventuale sostituzione 
ad altri soggetti, che vengono posposti; l'esercizio 
del diritto di retratto d� luogo, invece, ad un acquisto 
del concedente da parte dell'acquirente e nuovo enfiteuta 
e non implica sostituzione o surroga di soggetti 
nel contratto irrequisito domino (in tal senso vedi 

tuttavia TRIFONE: Dell'enfiteusi, in � Commentario 
del Codice civile ii a cura di Scialoia e Branca, 
Libro della Propriet�, 1947, sub. art. 966, pag. 60), 
ma un nuovo rapporto, che eventualmente potr� costituirsi 
con un successivo avente causa dallo stesso 
compratore (art. 966 Codice civile). Nuovo rapporto 
inteso a sciogliere non gi� il contratto di compravendita 
bens� il rapporto enfiteutico, per cui il compratore, 
nuovo enfiteuta, divenuto possessore senza 
titolo, � tenuto senz'altro a restituire il fondo al concedente. 


Da ci� discende che il retratto non opera retroattivamente, 
ma dal momento in cui esso viene esercitato 
(cfr. D'ORAZI, op. cit., pag. 324). L'acquisto 
ch,e 11,a fatto il c,ompratore � s� un acquisto efficace 
(cfr. OARRARo: Il mandato ad alienare, 1947, 
pag. 54), ma, com'� stato detto in dottrina, si trova in 
una situazione temporanea <e di e.quilibrio inf:lt(Jjbile ii 
(D'ORAZI, op. cit., pag. 318), potendo esso perdere -ogni 
effetto in virt� della mera dichiarazione di 
volont� del concedente. E il momento di tale dich,iarazione 
� il momento stesso in cui avviene il trasfe


. rimento del fondo obnoxio al retraente, senza alcuna 


-52 


in"fl,uenza sul periodo intercorso con la conseguenza 
che la sentenza che eventualmente dichiari il riscatto 
non fa altro che accertare il potere del concedente di 
determinare un mutamento nella situazione giuridica 
preesistente e dichiarare gi� avvenuto codesto mutamento, 
avendo la natura propria di una sentenza 
costitutiva. L'acquisto che si attua in seguito all'esercizio 
del retratto � cio� un acquisto che dipende 
dall'esercizio di un diritto potestativo, come quello 
che am,iene per la comunione forzosa del muro sul 
confine (art. 874 Codice civile). Il che sembra che 
debba esclitdere al retratto la virt� di generare un 
vero e proprio trasferimento coattivo, perch� l'acquisto 
del concedente non nasce dalla sentenza ma 
dalla realizzazione del diritto potestativo preesistente, 
e la volont� dell'organo pubblico interviene sussidiariamente 
per rimuovere l'ostacolo della resistenza 
della volont� del compratore (cfr. PUGLIATTI: Teoriad 
ei trasferimenti coattivi, 1931, pag. 55; Id.: 
Esecuzione forzata e diritto sostanziale, 1935, 
pag. 172 e 180). Cos� ancora sembra che il retratto 
neppure possa essere concepito come una forma di 
esecuzione in forma specifica (art. 2932 Codice civile) 
dell'obbligo di preferire, perch�, essendo gi� stato 
concluso il contratto col soggetto posposto, l'attuazione 
del diritto del concedente di acquistare dall' enfiteuta 
non � pi� attuabile. Il retratto sembra piuttosto 
configurabile con tma rivendica (cos� DE Przzo 
op. cit., pag. 123; Appello Roma 23 luglio 1946 
cit.; Tribunale Modica 15 giugno 1946, cc Diritto 
e Giurisprudenza �, 1946, 75; vedi, per�, .contro, 
SANTORo-PASSARELLI in ccDiritto e Giurisprudenza�, 
1946, 76) in quanto � immediatamente diretto ad 
ottenere la restituzione del fondo, in conseguenza 
della avvenuta risoluzione del rapporto enfiteutico. 

E la situazione a cui d� luogo il suo esercizio appare 
in qualche modo simigliante a quella che� si verifica 
quando colui che ha acquista.to a non domino viene 
evitto: in entrambe le ipoesi vi � una comprai,endita 
che perde effetto ex nunc, con la differenza che, 
nell'ipotesi del retratto, il retraente � tenuto a rimborsare 
al compratore il prezzo pagato e che, nel 
caso dell'evizione, pu� aversi un'azione di danni da 
parte dell'evitto contro il venditore (art. 1483 Codice 
civile), azione che invece non sembra esperibile da 
chi ha sub�to il retratto, se si ritiene fondata una sua 
responsabilit� (extra contrattuale) per avere concorso, 
col suo comportamento, a porre in essere l'infrazione 
(cfr. D'ORAZI: op. cit., pag. 332). 

L'effetto risolutivo della vendita irrequisito domino, 
infine, non si desume da alcun accenno della 
legge, mentre era invece esplicitamente disposta ad es. 
in materia di alienazione di cose d'interesse storico 
ed artistico (art. 6 legge 20 giugno 1909, n. 364, 
sostituito ora dall'art. 32 della legge 1� giugno 1939, 

n. 1089, che parla di condizione sospensiva), con il 
divieto persino di effettuare la tradizione della cosa. 
N� quell'effetto risolutivo � imposto dalla rilevata 
funzione del retratto, alla quale, rimanendo estranea 
ogni idea di risarcimento di danni, � sufficiente che 
il retraente, conseguito il bene che la legge gli assicura, 
esperisca un'azione di danni contro l'enfiteuta 
alienante, per l'eventuale pregiudizio che egli possa 
aver sub�to dal ritardo dell'acquisto. 
Se, senza aver affatto la pretesa di risolvere qui 
il problema, il retratto enfiteutico pu� essere con


cepito nella maniera esposta, come cio� il potere 
giuridico diretto semplicemente a far cessare ex 
nunc gli effetti della vendita irrequisito domino 
e a sciogliere l'enfite�usi nei confronti del nuovo 
enfiteuta, sembra che possa pi� agevolmente comprendersi 
alcune conseguenze di!, �retratto: il di� 
ritto del concedente alla restituzione dei frutti prodotti 
dal fondo riscattato nasce dal giorno della. 
domanda giudiziale, come correttamente dichiara il 
Tribunale di Catania, non tanto in virt� delle norme 
sulla condizione, quanto perch� � in quella data che 
avviene il trasferimento del godimento del fondo a 
favore del retraente; la prevalenza del retratto sttll' 
affranco, riconosciuta dalla giurisp1�udenza (cfr. 
Cassazione 8 agosto 1946, n. 1116; Appello Roma 
23 luglio 1946, cit.) si spiega meglio per essere 
cessata, al momento stesso del retratto, la qualit� di 
enfiteuta nel compratore; l'obbligo del concedente di 
corrispondere solo il prezzo che risulta dal contratto 
irrequisito domino e non quello eventualmente dissimulato 
(cfr. Cassazione 8 agosto 1946, n. 1116; 
CARIOTA-FERRARA: op. cit., pag. 299) discende 
dalla sua qualit� di terzo (cio� neppure parte per 
via di surroga o sostituzione) rispetto a quel contratto; 
l'esercizio del retratto d� luogo a nuova imposizione 
tributaria di trasferimento. 

Quest'ultima questione costituisce precisamente 
quella decisa con la seconda sentenza segnalata del 
Tribunale di Catania, il quale giunge alla detta conclusione 
(cfr. Commissione Centrale 24 ottobre 1947, 

n. 32454, Massim. Tributario, agosto 1949) pur 
costretto a considerare, per effetto di precedente giudicato 
nella contestazione decisa, la vendita irrequiAito 
domino come soggetta alla condizione sospensiva 
del mancato esercizio del diritto di retratto. E la ragione 
della nuova imposizione viene indicata nella 
considerazione, esattissima, che se l'atto di trasferimento 
condizionato, nonostante il disposto dell'articolo 
17 della legge di registro, ha gi� scontato la 
relativa imposta, questa non pu� valere il trasf erimento 
che eventualmente venga a concretarsi in luogo 
del primo. N� tale imposta, secondo lo stesso Tribunale, 
pu� essere restituita a chi ebbe a corrisponderla, 
se il riscatto viene dichiarato a far tempo da un mo� 
mento successivo a quello della vendita irregolare, per 
cui questa rimane in vita per un periodo intermedio. 
E ci� in applicazione del menzionato art. 1 7 
della legge del registro, che prescrive il pagamento 
dell'imposta cc quando. . . il trasferimento ha 
effetto prima che la condizione si avveri �. 

Motivazione senza dubbio ineccepibile, ma non 
necessaria se al retratto si nega efficacia retroattiva, 
per cui il nuovo trasferimento succede al primo .e 
non si sostituisce ad esso, con la conseguenza, rispondente 
alla reale situazione, che due sono i trasferimenti, 
uno volontario dell'enfiteitta al compratore 
ed uno necessario, posteriore, da quest'ultimo 
al concedente, ed ognuno di essi � soggetto all'imposta 
di registro che gli � propria. . 

Sul niomento della valutazione, poi, il TJ'ibJ:tna:_le 
ha rettamente interpretato l'art. 15 del R.D.L. 7 agosto 
1936, per cui la tassazione va fatta alla data del 
titolo in base a cui si opera il trasferimento. 

(A. N.) 

" 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


I PROVVEDIMENTI_ SONO ELENOA.TI SEOONDO L'ORDINE 

DI PUBBLIOA.ZIONE SULLA. e GAZZETTA. UFFIOIA.LE , 

I. 
1. 
Legge 10 gennaio 1952, n. 9 (G. U., n. 16): Provvidenze 
in favore delle zone disastrate dalle alluvioni e 
mareggiate dell'estate e dell'autunno 1951 in Calabria, 
Sicilia, ecc. 
Notevoli gli articoli 3, 4 e 5 della legge, i quali contengono 
deroghe alle norme di contabilit� e agevolazioni 
tributarie. L'art. 4 esclude la necessit� del parere 
del Consiglio di Stato-per i contratti relativi ai lavori da 
eseguirsi a norma della presente legge. L'art. 3, invece, 
stabilisce l'obbligo di sentire il parere del Consiglio superiore 
dei LL. PP. per la esecuzione dei lavori a trattativa 
privata. I suddetti artt. 3 e 4 non sono un modello 
di tecnica legislativa. Si veda in proposito la critica 

fattane dal Roehrssen in Acque, Bonifiche e Costruzioni, 
1951, pagg. 568 e segg. 
2. Legge 2 gennaio 1952, n. 41 (G. U., n. 34): Ratifica 

del decreto legislativo 27 giugno 1946, n. 38 e ratifica, 
con modificazioni, del decreto legislativo 17 aprile 1948, 

n. 547, concernenti la istituzione dell'A.N.A.S. 
La modificazione che presenta particolare importanza 
per l'Avvocatura � quella dell'art. 51 del decreto legislativo 
n. 547 del 1948. Nel nuovo testo si � stabilito che 
le notifiche di atti giudiziari relativi a procedimenti 
che si svolgano dinanzi a giurisdi.zioni .amministrative 

o speciali o dinanzi agli arbitri debbano essere fatte 
direttamente al Ministro, presso gli Uffici centrali o 
periferici dell'azienda, e non presso l'Avvocatura dello 
Stato. � questo il sistema seguito per tutte le Amministrazioni 
dello Stato e non vi era alcuna ragione per 
adottare un sistema differente per l'A.N.A.S., ch� � 
appunto un'Amministrazione dello Stato seppure ad 
ordinamento autonomo. Sarebbe tuttavia opportuno 
rivedere tutta questa materia, allo scopo di unificare il 
procedimento di notificazione di atti giudiziari, non 
essendovi alcun motivo serio per distinguere tra le varie 
giurisdizioni. 
3. Legge 
9 febbraio 1952, n. 49 (G. U., n. 36): Provvedimenti 
in materia di tasse automobilistiche. 
Segnaliamo gli artt. 5, 6 e 7 i quali vanno evidentemente 
messi in relazione all'.art. 11 della legge 17 gennaio 
1949 n. 6 (v. in questa Rassegna, 1949, 33, n. 4). 
La presente legge risolve evidentemente il dubbio 
provocato dalla insolita formula usata nel citato art. 11 
della legge 17 gennaio 1949 n. 6, nel senso che<< l'autorit� 
politica �prevista dal predetto art. 11 � il Prefetto. 
Si segnala l'art. 18 che contiene mfa delega legislativa, 
con il temperamento, ormai divenuto consuetudinario, 
del parere di una Commissione parlamentare mista. 

4. Legge 26 febbraio 1952, 
n. 67 (G. U., n. 52): Nuove 
norme sullo stato giuridico dei salariati dello Stato. 
Si tratta solo di poche modificazioni al Testo Unico 
delle Disposizioni sullo Stato giuridico dei salariati dello 
Stato approvato con R. decreto 24 dicembre 1924, 

n. 2114. 
5. Legge 
11 febbraio 1952, n. 74 f(G. U., n. 54): Norme 
sulla rivalutazione del conguaglio monetario. 
� questa l'ultima della serie di leggi che dal 1946 
si sono occupate dell'argomento~� sono le seguenti: 
1� R. decreto-legge 27 maggio 1946, n. 436; 20 decreto~ 
legge 14 febbraio 1948, n. 49; 30 legge 1� aprile 1949, 

n. 94. 
Questa successione di leggi ha dato luogo ad una serie 
di questioni di diritto transitorio, particolarmente importanti 
ove si consideri che, per esempio, la legge del 
1949 ha abolito ogni conseguenza tributaria relativa ai 
trasferimenti a capitale dei saldi attivi delle rivalutazioni 
per conguaglio monetario, conseguenze che erano invece 
previste dalle leggi precedenti, con diversi gradi di rigore 

6. Legge 13 febbraio 1952, 
n. 106 (G. U. n. 63): Riforma 
della carriera diplomatica. 
Di questa legge ci siamo gi� occupati in sede di esame 
del relativo progetto (v. in questa Rassegna 1951, pagina 
174). 



INDICE SISTEMATICO 
DELLE CONSULTAZIONI 


LA FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE � STATA DATA 

AMMINISTRAZIONE PUBBLICA. -I) Se le mense 
per il personale ferroviario gestite dall'Amministrazione 
debbano essere considerate ai sensi e per gli effetti dell'art. 
1 del testo unico 30 ottobre 1933, n. 1611, Ufficio 
dello Rtato (n. 124). -II) Se il Circolo Ricreativo Assistenziale 
Postelegrafonico di Napoli sia da considerare 
quale organo dell'Amministra11:ione (n. 125). -III) Se 
sia possibile la costituzione di un rapporto di locazione 
tra due Uffici (DirezioneGenerale CassaDD.PP. eDirez. 
Gen. Istituti di Previdenza) di una stessa Amministrazione 
dello Stato (Tesoro) e, conseguentemente, se al 
rapporto medesimo sia applicabile il blocco dei fitti 

(n. 126). 
ANTICHITA' E BELLE ARTI. -Se la dichiara-. 
z;ione di interesse storico-artistico di un immobile in 
condominio indiviso, emanata ai sensi della legge 1� giugno 
1939, n. 1089, debba essere notificata a tutti i comproprietari 
(n. 19). 

APPALTO. -I) Se la norma dell'art. 23 del C.G.A., 
che autorizza l'Amministrazione a provvedere direttamente 
d'ufficio all'adempimento degli obblighi inerenti 
all'assicurazione infortuni possa estendersi alle altre 
assicurazioni (n. 152). -II) Se il termine di tre mesi 
per l'approvazione dei contratti conclusi a trattativa 
privata decorra dalla data di sottoscrizione dell'atto 
di sottomissione (n. 153). -III) Se il termine di tre 
mesi, per l'approvazione dei contratti conclusi a mezzo 
di licitazione privata decorr:a dalla data dell'aggiudicazione 
(n. 153). 

APPROVVIGIONAMENTI E CONSUMI. -Se la 
pretesa dell'Amministrazione di recuperare il maggior 
lucro, conseguito da un mulino per la maggiore resa, 
conseguente alla minore umidit�, delle farine americane, 
legittimi l'esercizio dell'azione di indebito arricchimento 
(n. 27). 

ASSICURAZIONI. -I) Se le n.orme dell'art. 23 del 
C.G.A., che autorizza l'Amministrazione a provvedere 
direttamente d'ufficio all'adempimento degli obblighi 
inerenti alla assicurazione infortuni possa estendersi 
alle altre assicurazioni (n. 34). -II) Se debbano corrispondersi 
all'I.N.P.S. le quote di assicurazioni sociali 
per i pensionati dello Stato riassunti in servizio in qualit� 
di salariati. (n. 35). 

AUTOVEICOLI. -Se l'autorizzazione al trasporto 
di merci in servizio di piazza possa essere accordata per 
una durata inferiore a nove anni (n. 34). 

CASE ECONOMICHE E POPOLARI. -I) Se la 
registrazione degli atti costitutivi delle societ� cooperative 
edilizie sia esente da imposta di registro o sia da 
effettuarsi mediante il pagamento di tassa ridotta ad un 
quarto dell'imposta ordinar~a (n. 34). -II) Se la stessa 
disposizione, che vale per gli atti costitutivi, valga anche 
per le delibere di aumento di capitale (n. 34). 

CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO. 
I) Se il termine dl tre mesi per l'approvazione dei 
contratti conclusi a trattativa privata decorra dalla 
data di sottoscrizione doll'atto di sottomissione (n. 85). 
-II) Se il termine di tre mesi per l'approvazione dei 
contratti conclusi a mezzo di licitazione privata decorra 
dalla data dell'aggiudicazione (n. 85). 

CONTRATTI AGRARI. -I) Se la proroga legale 
dei contratti agrari sia applicabile al contratto di affitto 
di un terreno attiguo a una casa cantoniera dell'A.N. 

A.S. (n. 14). -II) Se possa procedersi a revoca dell'assegnazione 
di terre incolte, quando l'associazione di 
contadini beneficiaria non si attenga alle disposizioni 
dell'art. 23 del decreto-legge 14 dicembre 1947, n. 1577, 
il quale stabilisce che i soci componenti non possono 
essere che coltivatori diretti (n. 15). -II) Se la Commissione 
provinciale per la concessione delle terre incolte 
possa pronunciare la decadenza dalla concessione 
(n. 15). 
DONAZIONI. -I) Se possa procedersi alla trascrizione 
di un atto di donazione contro un terzo estraneo 
alla donazione stessa (n. 17). -II) Se le Amministrazioni 
dello Stato per accettare beni a titolo gratuito, 
abbiano bisogno dell'autorizzazione prevista dalla legge 
5 giugno 1850, n. 1037, e successive modifiche (n. 18). III) 
Se detta autorizzazione sia necessaria anche per 
l'accettazione di beni a titolo gratuito da parte della 
Regione Sarda, che gode di una particolare autonomia 

(n. 18). 
ESPROPRIAZIONE PER P. U. -I) Se l'atto di 
dichiarazione implicita di pubblica utilit� di opere pubbliche 
(approvazione del progetto) debba contenere, a 
pena di nullit� del procedimento, anche l'indicazione del 
termine per gli espropri e per il compimento dei lavori 

(n. 70). -II) Se il valore dei fondi da retrocedere, ovel'opera 
non sia stata eseguita, sia quello che i fondi medesimi 
hanno al momento della domanda di retrocessione, 
oppure quello attuale, del momento cio� in cui 
viene effettuata la retrocessione (n. 70). 

-55 


FERROVIE. -I) Se l'inscrizione di Ditte nell'albo 
dei fornitori dell'Amministrazione delle FF. SS. non 
prescritto da alcuna disposizione di legge, possa far sorgere 
nelle Ditte stesse diritti o interessi tutelabili, in 
relazione alla loro esclusione dall'invito di partecipazione 
alla gara per determinate forniture (n. 143). II) 
Se l'acquirente di un carro ferroviario privato, ancora 
immatricolato al nome del vecchio proprietario, 
non essendo intervenuta la prescritta radiazione del 
parco veicoli, possa disporre del carro medesimo (n. 144). 
-III) Se l'azione, relativa agli assegni gravanti le spedizioni 
ferroviarie, debba essere considerata quale azione 
derivante dal contratto di trasporto e, pertanto, soggetta 
alla prescrizione di un anno (n. 145). 

GUERRA. -Se l'impresa, esonerata dall'obbligo di 
prestare cauzione, col carico di corrispondere all'Amministrazione 
l'abbuono del 5 % sull'ammontare della 
cauzione stessa per tutto il tempo in cui questa dovrebbe 
rimanere vincolata, debba corrispondere detto abbuono 
dopo pi� di 18 mesi dalla ultimazione dei lavori, ove a 
tale data non si sia ancora proceduto alla liquidazione 
dei medesimi e allo svincolo del deposito cauzionale 

(n. 114). 
IMPIEGO PUBBLICO. -I) Se debbano corrispondersi 
all'I.N.P.S. le quote di assicurazioni sociali per i 
pensionati dello Stato riassunti in servizio in qualit� di 
salariati (n. 285). -II) Se la legge 6 marzo 1950, n. 104 
sia applicabile soltanto a quei rapporti dipendenti da 
eventi avvenuti posteriormente all'entrata in vigore 
della legge medesima (n. 286). -III) Se in caso di proscioglimento 
dell'imputato, impiegato, per insufficienza 
di prove, che non consenta una diversa valutazione 
disciplinare del fatto, ritenuto non provato, l'Amministrazione 
sia tenuta a sospendere l'impiegato medesimo 

o ne abbia semplicemente la facolt�. (n. 287). -IV) Se 
l'assoluzione per insufficienza di prove risolva di diritto 
il rapporto di impiego (n. 287). -V) Se il periodo per 
il quale gli operai temporanei sono allontanati dal servizio, 
perch� colpiti da mandato di cattura, possa essere 
calcolato ai fini del computo delle assenze dal servizio 
che, per l'art. 64 del testo unico 24 dicembre 1924, numero 
2114, rendono obbligatorio il loro licenzia.mento 
(n. 288). -VI) Se vi sia incompatibilit� tra un impiego 
di ruolo e un incarico temporaneo rinnovabile, quale 
quello della supplenza nell'insegnamento (n. 289). VII) 
Se il giudicato del giudice ordinario -il quale, 
ammettendo l'esistenza di un valido rapporto d'impiego 
riconosca competente a conoscere della causa il giudice 
amministrativo -abbia efficacia preclusiva sulla questione 
della sussistenza del rapporto di impiego medesimo 
nell'eventuale successivo giudizio amministrativo 
(n. 290). -VIII) Se il trattenimento in servizio di un 
impiegato, licenziato per disposizione ministeriale, o ad 
iniziativa del Dirigente dell'Ufficio, possa considerarsi 
come continuazione del rapporto di impiego (n. 290). IX) 
Se nella determinazione dell'indennit� di licenziamento 
dovuta al personale salariato di ruolo dell'Istituto 
Nazionale per studi ed esperienze di architettura 
navale, ai sensi dell'art. �2 del decreto interministeriale 
12 maggio 1949, debba tenersi conto soltanto della paga 
ovvero anche degli assegni accessori (carovita, presenza, 
ecc.) (n. 291). 

IMPOSTA DI REGISTRO. -Se il contratto con il 
quale si pattuisca una cointeressenza agli utili .di una 
impresa con la partecipazione alle perdite o il contratto 
con il quale un contraente attribuisca la partecipazione 
agli utili ed alle perdite senza il corrispettivo di un determinato 
apporto (art. 2554 e.e.) �bbiano la �maggiore 
analogia, agli effetti dell'art. 8 della legge di registro, con 
il contratto di associazione in partecipazione (art. 2449) 

(n. 72). 
IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE. -Se il diritto 
di prelazione, di cui agli artt. 7 e 9 del decreto-legislativo 
luogotenenziale 1944, n. 367, sia prevalente al privilegio 
per imposta di R.M. (n. 3). 

IMPOSTE E TASSE. -I) Se il termine di prescrizione 
per la restituzione dell'imposta di fabbricazione 
sui filati esportati decorra dalla data del certificato di 
analisi, nei casi nei quali si renda necessaria l'analisi 
sui filati da esportare, oppure dalla data della bolletta� 
doganale di esportazione (n. 169). -II) Se la dichiarazione 
annuale dei redditi presentata tardivamente debba 
essere considerata come� mancata dichiarazione (in termine)>>, 
ed essere regolata -ai fini della prescrizione come 
la mancanza totale di dichiarazione (n. 170). III) 
Se le disposizioni concernentila prescrizione fiscale, 
di cui all'art. 24 delli:J, legge 11 gennaio 1951, n. 25, 
siano di applicazione generale e si estendano, quindi, 
anche alla materia della revisione delle dichiarazioni presentate 
dalla societ� e dagli enti tassati in base a bilancio 
(n. 170). -IV) Se la dichiarazione da parte del 
datore di lavoro dei redditi tassabili mediante rivalsa 

(cat. C/2) costituisca vera e propria dichiarazione di 

reddito e ricada, pertanto, sotto la norma dell'art. 24 

della legge Il gennaio 1951, n. 25 (n. 170). 

INFORTUNI SUL LAVORO. -I) Se la legge 6 marzo 
1950, n. 104 sia applicabile soltanto a quei rapporti 
dipendenti da eventi avvenuti posteriormente all'entrata 
in vigore della legge medesima (n. 26). -II) Se la norma 
dell'art. 23 del C.G.A. che autorizza l'Amministrazione 
a provvedere direttamente di ufficio all'adempimento 
degli obblighi inerenti alla assicurazione infortuni possa 
estendersi alle altre assicurazioni (n. 27). 

LOCAZIONI. -I) Se sia possibile la costituzione di 

un rappqrto di locazione tra due Uffici (Dir. Gen. Cassa 

DD. PP. e Dir. Gen. Istituti di Previdenza) di una stessa 

Amministrazione dello Stato (Tesoro) e, conseguente


mente, se al rapporto medesimo si applicabile il blocco 

dei fitti (n. 61). -II) Se a un contratto di locazione di 

alloggio, stipulato per anni cinque dal 15 settembre 1946 

al 14 settembre 1951, sia applicabile, alla scadenza, 

la proroga legale delle locazioni (n. 62). -III) Se, in 

costanza del contratto originario, possa il locatore appli


care gli aumenti di fitto intervenuti con il D.L.C.P.S. 

23 dicembre 1947, n. 1461 e con la legge 30 dicembre 

1948, n. 1471 (n. 62). -IV) Se l'importo degli inte


ressi sul capitale impiegato per il riattamento dell'im


mobile locato debba essere incorporato nel fitto e benefi


ciare, conseguentemente, degli aumenti stabiliti �dalle 

leggi emanate successivamente (n. 63). 

NAVI. -I) Se la lettera, con la quale, l'Amministrazione 
comunica ad un armatore la decisione di revoca 
del contratto di gestione di nave, costituisca atto ammi




-56 _. 


nistrativo, impugnabile, quindi, nei modi ordinari (n. 50). 
-II) Se l'Amministrazione possa ottenere la riduzione 
del compenso di gestione, ove la nave sia inutilizzata per 
danni, salva la facolt� di revoca della gestione (n. 50). 

OPERE PUBBL�CHE. -Se l'impresa, esonerata 
dall'obbligo di prestare cauzione, col carico di corrispondere 
all'Amministrazione l'abbuono del 5 % sull'ammontare 
della cauzione stessa per tutto il tempo in 
cui questa dovrebbe rimanere vincolata, debba corrispondere 
detto abbuono dopo pi� di 18 mesi dalla ultimaziane 
dei lavori, ove a tale data non si sia ancora proceduto 
alla liquidazione dei medesimi e allo svincolo del 
deposito cauzionale (n. 20). 

PROFITTI DI REGIME. -Se, in caso di contestazioni 
tra le parti, il Presidente del Tribunale sia competente 
a determinare l'ente o le persone, cui deve far carico 
il pagamento del compenso al sequestratario (n. 62). 

RAPPORTI DI LAVORO. -I) Se ildisegno di legge 
regionale, concernente l'istituzione del libretto di lavoro 
per i lavoratori agricoli contenga disposizioni che possano 
dar luogo ad impugnativa per illegittimit� costituzionale 
(n. 20). -II) Se l'autorizzazione prevista dalla 
legge 5 giugno 1850, n. 1037, sia necessaria per l'accettazione 
di beni a titolo gratuito da parte d~lla Regione 
Sarda, che gode di una particolare autonomia (n. 21). III) 
Se il disegno di legge regionale, concernente cc Il 
Fondo per il credito alle cooperative �, possa dar adito � 
ad impugnativa per motivi di incostituzionalit� (n. 22). 
-IV) Se il disegno di legge regionale concernente l'istituzione 
di scuole elementari differenziali contenga disposizioni 
di carattere incostituzionale (n. 23,. -V) Se 
il disegno di legge regionale concernente I' cc istituzione 
del libretto di lavoro per i lavoratori agricoli� contenga 
disposizioni che possano dar luogo ad impugnativa per 
illegittimit� costituzionale (n. 24). 

REQUISIZIONI. -I) Se le occupazioni irregolari 

di immobili, effettuate da autorit� militari per cause 
�legittime di interesse pubblico dopo la dichiarazione di 
applicazione della legge di guerra, verificatasi in occasione 
dell'ultimo conflitto (R. decreto IO giugno 1940, 

n. 566), possano considerarsi quali requisizioni di guerra 
(n. 94). -II) Se i danni conseguenziali debbano essere 
liquidati ad iniziativa dell'Amministrazione (n. 94). III) 
Se, in tal caso, per la prescrizione del diritto del privato 
allo indennizzo a favore dell'Amministrazione sia 
applicabile l'ordinario termine decennale (art. 2946 e.e.). 
(n. 94). -IV) Se le occupazioni militari irregolari effettuate 
prima della dichiarazione di applicazione della 
legge di guerra, costituiscano fatti illeciti, con la conseguente 
applicazione del termine prescrizionale quinquen� 
nale del disitto all'indennizzo suddetto (n. 94). 
SEQUESTRO. -Se il locatario di un alloggio, gi� 
sottoposto a sequestro, perch� di propriet� di un citta


dino tedesco, abbia un interesse tutelabile per opporsi 
al decreto di dissequestro (n. 8). 

SOCIETA' -I) Se il Consiglio di amministrazione di 
una societ�, che partecipi al capitale di altra societ�, 
sia competente a deliberar� l'acquisto 6 la vendita dei 
titoli azionari di detta societ� (partecipazione), ove consentiti 
(n. 38). -II) Se la medesima competenza spetti 
al Consiglio di amministrazione, per l'esercizio del diritto 
di opzione (n. 38). -III) Se, per invocare la applicazione 
dell'art. 2362 e.e., sia necessario che tutte le azioni 
sociali siano appartenute ad una sola persona nel momento 
in cui � sorta l'obbligazione sociale (n. 39). IV) 
Se la registrazione degli atti costitutivi delle societ� 
cooperative edilizie sia esente da imposta di registro, o 
sia da effettuarsi mediante il pagamento di tassa ridotta 
ad un quarto della imposta ordinaria (n. 40). -V) Se 
la stessa disposizione, che vale per gli atti costitutivi, 
valga anche per le delibere di aumento di capitale (numero 
40). 

TRASCRIZIONI. -Se possa procedersi alla trascrizione 
di un atto didonazione contro un terzo estraneo alla 
donazione stessa (n. 21 ). 

TRASPORTO. -I) Se l'azione, relativa agli assegni 
gravanti le spedizioni ferroviarie, debba essere considerata 
quale azione derivante dal contratto di trasporto e, 
pertanto, soggetta alla prescrizione di un anno (n. 20). 
-II) Se la autorizzazione al trasporto di merci in servizio 
di piazza possa essere accordata per una durata interiore 
a nove anni (n. 21). 

TRATTATO DI PACE. -I) Se i provvedimenti riguardanti 
la sistemazione delle opere di protezione 
antiaerea nel T.L.T. siano di competenza del Governo Militare 
Alleato (n. 39). -II) Se la facolt� di apprensione, 
sancita nell'art. 75 del Trattato di Pace, dei beni italiani 
siti nel Territorio di ciascuna delle Nazioni Unite, possa 
estendersi anche ai crediti ivi esistenti (n. 40). -III) Se 
l'offerta per l'acquisto del pacchetto azionario di una 
societ� tedesca, non corredata dal deposito cauzionale 
per l'importo fissato, sia regolare (n. 41). -IV) Se sia 
regolare l'offerta, ove il certificato di cittadinanza dell'offerente 
sia presentato solo dopo la scadenza del ter� 
mine per le offerte (n. 41). -V) Se sia regolare l'offerta, 
ove, all'atto dell'apertura delle buste, sia scaduta la validit� 
della fideiussione bancaria presentata a titolo di cauzione 
(n. 41). -VI) Se il locatario di un alloggio gi� sottoposto 
a sequestro perch� di propriet� di un cittadino 
tedesco, abbia un interesse tutelabile per opporsi al 
decreto di dissequestro (n. 42). 

TURISMO. -Se i crediti degli Enti Provinciali per 
il Turismo per contributi da pagarsi da enti o da privati 
abbiano natura privilegiata o chirografaria (n. 3.) 

(8106539) Roma, 1952 � Istituto Poligrafico Stato � G. O.