ANNO XXXVIII -N. 3 MAGGIO -GIUGNO 1986 


RASSEGNA 


-DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATC> 

ROMA 1987 



ABBONAMENTI ANNO 1987 

ANNO �� ;: � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � L. 40.000 
UN NUMERO SEPARATO.. � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � 7.500 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 
ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 


Stampato in Italia -Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966_ 


(8219113) Roma, 1987 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: 
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'
avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . . . pag. 223 

Sezione seconda: 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura dell'avv. Oscar Fiumara) . . � 245 

Sezione terza: 
GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio Cingolo) . � 257 

Sezione quarta: 
GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura dell'avvocato 
Anna Cenerini) � 264 

Sezione quinta: 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. (a cara degli 
avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Polizzi) � 278 

Sezione sesta: 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato 
Carlo Bafile) � 283 

Sezione settima: 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) � 303 

Sezione ottava: 
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) > 326 

Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 


QUESTIONI 
pag 87 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
)) 95 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 

UGO GARGIULO 


CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE 


Avvocati 


Glauco NoRr, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Carlo BAFILE, L'Aquila; Nicar 
sio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, 
Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

I. F. CARAMAZZA e G. MANGIA, Le misure cautelari nel processo amministrativo 
. . . . . . . . . . . ............. . II, 87 
P. 
DI TARSIA, La sottoscrizione dei motivi di impugnazione � a pena 
di inammissibilit�? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 326 

PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
ACQUE 

-Acque pubbliche -Acque sotterranee 
-Facolt� del proprietario di 
estrarre acque per usi domestici -
Estensibne, 322. 

-Acque pubbliche -Acque sotterranee 
-Facolt� del proprietario di 
estrarre acque per usi domestici Estensione, 
323. 

-Acque pubbliche -Derivazione e 
concessione -Licenza di attingimento 
-Concorrenza tra richiedente e 
utente di fatto -Non sussiste, 322. 

-Acque pubbliche -Derivazione e 
concessione -Licenza di attingimento 
-Per la derivazione di acque sotterranee 
-Concedibilit� -Cautele 
prevedute dall'art. 56 T.U. 1775 del 
1933 -Da osservare in quanto compatibili, 
321. 

APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Revisione 
dei prezzi -Danni da ritardato 
pagamento -Decorrenza -Non 
anteriore alla data del provvedimento 
che accorda la revisione, 303. 

-Appalto di opere pubbliche -Revisione 
dei prezzi -Positivo esercizio 
della facolt� di accordarla -Pretesa 
ad una maggior somma -Diritto 
soggettivo -Ritardo nel riconoscerla 
�dovuta -Inadeguamento di obbligazione 
pecuniaria -Responsabilit� 
per danni -Configurabilit�, 303. 

CAMBIO E VALUTA 

-Importazioni -Previo deposito vincolato 
infruttifero -Potere della 

p.a. -Decreto ministeriale -Natura -
Libera circolazione delle merci -Misure 
di effetto equivalente -Contributi 
finanziari per l'acquist� di 
veicoli di produzione nazionale, 245. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Conflitto di attribuzione -Competenze 
delegate -Non defendibilit� 
mediante il conflitto, 224. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Sentenza amministrativa declinatoria 
della giurisdizione -Vincolativit� 
nel successivo processo instaurato 
innanzi al giudice ordinario -Esclusione, 
257. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Messi in conciliazione -Raffronto 
con gli ufficiali giudiziari -Diversit� 
di situazione oggettiva, 234. 

ISTRUZIONE E SCUOLE. 

-Lavoratrice madre -Supplenza -Retribuzione 
mesi estivi -Computo 
periodo astensione obbligatoria per 
maternit�, 280. 

-Lavoratrice madre -Supplenza Trattamento 
economico -80% della 
retribuzione, 280. 

-Universit� -Professore associato Giudizio 
di idoneit� -Medici interni, 
237. 

-Universit� -Scuole di specializzazione 
e perfezionamento -Stabilizzazione 
degli incaricati, 238. 

Impugnabilit� -Giurisdizione amministrativa, 
257. 
COMUNITA EUROPEE 
-Libera circolazione dei lavoratori -
Medici -Numero chiuso nelle facolt� 
di medicina, 251. 
LAVORO 
-Rapporto di lavoro -Scala mobile -
Sistema anomalo di determinazione 
nel settore creditizio alla data 
del 1 febbraio 1977 -Obbligo di adeguamento 
al settore industriale -Fiscalizzazione 
dell'eccedenza -Obbli

-


INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

go di corrispondere le somme al 
fondo speciale presso il ministero 
del tesoro, 269. 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI 

-Radio e televisione -Potere di assegnazione 
delle frequenze -Effetti 
sentenza costituzionale 202-76, 278. 

-Radio e televisione -Poteri di poli� 
zia -Canali riservati alla P.A. -Frequenze 
utilizzate dal Ministero del� 
la Difesa, 278. 

PRESCRIZIONE E DECADENZA 

--Prestazioni dovute agli infortunati 
sul lavoro ed agli affetti da malattie 
professionali -Interruzione della 
prescrizione, 243. 

PROCEDIMENTO PENALE 

-Omissione della firma � Forme equipollenti 
� Ammissibilit� -Motivi di 
appello redatti da avvocato dello 
Stato siglati a margine -Ammissibilit�, 
con nota di P. DI TARSIA, 326. 

REGIONI 

-Paesaggio e �rbanistica � Autonomia 
delle valutazioni paesaggistiche -Dovere 
di cooperazione tra Regioni e 
Stato, 223. 

RESPONSABILITA' CIVILE 

Danni � Valutazione e liquidazione � 
Svalutazione monetaria -Risarci-
inento automatico -Inammissibilit� � 

Prova mediante presunzioni, 303. 

TRENTINO-ALTO ADIGE 

-Provincia di Bolzano � Paesaggio e 
grandi derivazioni a scopo idroelettrico 
� Bilanciamento di interessi 

-diversi, 223. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Imposta sui redditi di ricchezza mo� 
bile -Condono -Riparto delle perdite 
� Compatibilit�, 295. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
� Plusvalenza -Avviamento di 

azienda conferita in societ� -Si ve


rifica, 298. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
� Plusvalenza -Imprenditore 
commerciale � Gestione di unico af� 
fare -Compatibilit�, 300. 

-Redditi esenti � Consorzi e societ� 
cooperative costituite per la manipolazione 
trasformazione e alienazione 
dei prodotti agricoli conferi� 
ti dai soci -Attivit� effettiva esercitata 
� Definizione statutaria � E' insufficiente, 
283. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro � Riforma della 
sentenza sottoposta a registrazione, 

234. 
- 
Pene pecuniarie � Fallimento -.Infrazioni 
commesse anteriormente alla 
sentenza di fallimento -Provvedi� 
mento sanzionatorio successivo Ammissibilit� 
al passivo fallimentare 
-Sussiste, 264. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Contenzioso tributario -Giudizio di 
Cassazione � Nullit� del giudizio di 
primo grado ex art. 24 secondo comma 
e 29 secondo comma d.P .R. 26 
ottobre 1972 n. 636 � Cassazione con 
rinvio alla Commissione di primo 
grado, 299. 

-Contenzioso tributario -Giudizio di 
terzo grado � Ipotesi di rinvio -Notificazione 
dell'accertamento -Nul� 
lit� � Rinvio per provocare la sana� 
toria -Esclusione, 291. 

-Contenzioso tributario � Provvedimento 
impugnabile � Avviso di liquidazione 
� Decadenza per mancata 
impugnazione, 288. 

-Contenzioso tributario -Rimborsi 
pagamento a seguito di iscrizione a 
ruolo non impugnato -Sopravvenu� 
to diritto 'al rimborso -Legge inter� 
pretativa � Esclusione, 293. 

TRIBUTI LOCALI 

-Imposta sull'incremento di valore 
degli immobili -Valore iniziale � Valore 
definito per condono � E' vincolante, 
285. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

1 aprile 1985, n. 94 . . . . . 
15 novembre 1985, n. 285 (cam. cons.} 
21 dicembre 1985, n. 359 . . . . . . 
14 gennaio 1986, n. 1 (cam. cons.} 
14 aprile 1986, n. 89 . 
23 maggio 1986, n. 129 
18 giugno 1986, n. 138 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

Sez. plen., 5 giugno 1986, nella cau~a 103/84 . . . . . . . 
Sez. III, 12 giugno 1986, nelle cause riunite 98, 162 e 258/85 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 11 marzo 1986, n. 1640 

Sez. I, 15 marzo 1986, n. 1771 
Sez. I, 4 aprile 1986, n. 2336 
Sez. Un., 5 aprile 1986, n. 2368 
Sez. I, 3 maggio 1986, n. 3012 
Sez. I, 7 maggio 1986, n. 3059 
Sez. I, 15 maggio 1986, n. � 3193 

Sez. I, 15 maggio 1986, n..3198 
Sez. I, 20 maggio 1986, n. 3340 
Sez. I, 31 maggio 1986, n. 3690 
Sez. l, 20 giugno 1986, n. 4104 . 
Sez. I, 27 giugno 1986, n. 4264 . 
Sez. Un., 27 giugno 1986, n. 4275 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE . 

27 gennaio 198~, n. 6 
3 aprile 198(n. 20 . . . . . � . . . . . . . . . . . . . � , ., 

pag. 223 

,. 234 

,. 223 

,. 234 
,. 237 

,. 243 

,. 238 

pag. 245 
,. 251 

pag. 283 

,. 

285 

,. 

288 

,. 

303 

,. . 

291 

,. 

293 

,. 

295 
� 298 

,. 

299 

,. 

. 300 

,. 

264 

.,. 

269 

,. 

257 

p~g~ 3~1 

... ; 323 



INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Sez. VI, 9 giugno 1986, n. 423 pag. 278 
Sez. VI, 9 giugno 1986, n. 428 � 280 
Sez. VI, 19 giugno 1986, n. 445 . � 280 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 
Sez. IV, 26 giugno 1986, n. 1392 ..................... pag. 326 


PARTE SECONDA 
Questioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 87 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
PARTE SECONDA 
Questioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 87 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
I. � Norme dichiarate incostituzionali pag. 95 
II. � Questioni dichiarate non fondate ,. 96 
III. -Questioni proposte . . . ,. 98 

PARTE PRIMA 



! 

~~ 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 1 aprile 1985, n. 94 -Pres. Elia -Rel. Malagugini 
-ENEL (avv. Conte) e Provincia di Bolzano (avv. De Matteo). 

Trentino-Alto Adige -Provincia di Bolzano -Paesaggio e grandi derivazioni 
a scopo idroelettrico -Bilanciamento di interessi diversi. 

(Statuto Trentino Alto Adige, artt. 9, 11 e 12; legge prov. Bolzano 26 luglio 1970, n. 16. 
artt. 12 e 15l. 

Il perseguimento del fine della tutela del paesaggio (e del patrimonio 
storico e artistico nazionale) � imposto alla Repubblica, vale a dire 
allo Stato-ordinamento e perci�, nell'ambito delle rispettive competenze 
istituzionali, a tutti i soggetti che vi operano. Detta tutela presuppone 
normalmente la comparazione ed il bilanciamento di interessi diversi. Il 
rilascio di concessioni di grande derivazione � attribuzione esclusiva 

dello Stato, e la Provincia di Bolzano non pu� interferire nella materia 
adducendo la propria competenza in tema di tutela del paesaggio (lJ. 
II 

CORTE COSTITUZIONALE, 21 dicembre 1985, n. 359 -Pres. Paladin -Rel. 
Corasaniti -Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Abruzzo 
(avv. Predieri), Regione Lombardia (avv. Steccanella) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). 

Regioni -Paesaggio e urbanistica � Autonomia delle valutazioni paesaggi� 
stiche � Dovere di cooperazione tra Regioni e Stato. 

(1-2) Le sentenze manifestano una viva sensibilit� per la tematica del 
paesaggio e pi� in generale dell'ambiente, ed opportunamente mantengono 
su piani distinti la environmental impact analysis (comprensiva della landskape 
analysis) e la pianificazione urbanistica ancorch� � allargata�. Come 
noto, la letteratura anche giuridica sull'ambiente e ,sui valori paesaggistici 
� ormai divenuta vastissima, specie negli Stati Uniti (dopo il National Environmental 
Policy Act del 1969) ed in Francia (dopo la legge sulla protezione 
della natura n. 76/629). 



224 RASSEGNA .DELL:AVVOCATURA DELLO STATO � 

Corte Costituzionale . Conflitto di attribuzione � Competenze delegate � 
Non defendibllit� mediante il conflitto. 

La tutela del paesaggio non � assorbita nella materia � urbanistica �; 
anche una nozione allargata di questa non esclude la configurabilit�, in 
ordine al territorio, di valutazioni e discipline diverse. L'art. 9 Cost. impegna 
Stato e. Regioni a concorrere alla tutela ed alla promozione dei 
valori paesaggistici. La pi� elementare e generale espressione della cooperazione 
sta nel dovere di mutua informazione; spetta allo Stato chie� 
dere alle Regioni informazioni finalizzate alla tutela del paesaggio (2). 

Le attribuzioni solo delegate alla Regione non sono, in linea di principio, 
def endibili col rimedio del conflitto di attribuzione, rimedio dato 
per la tutela di competenze proprie della Regione; tanto meno lo sono 
attribuzioni delegate in modo attenuato, per la conservazione allo Stato 
di poteri concorrenti. (2). 

I 

(omissis) Il Consiglio di Stato, sezione VI giurisdizionale, dubita 
della legittimit� costituzionale degli artt. 12 e 15 della legge della Pro� 
vincia autonoma di Bolzano 26 luglio 1970, n. 16, prospettandone il contrasto 
con gli artt. 9, 11 e 12 dello Statuto speciale della Regione Trenti� 
no-Alto Adige, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 5 
e successive modificazioni ed integrazioni. 

Specificatamente, della succitata legge provinciale n. 16/1970, vengono 
in considerazione: 

-il primo comma dell'art. 12, nella parte in cui dispone che � ��� la 
realizzazione di grandi derivazioni di acque... che siano progettate nell'ambito 
o in vista ovvero in prossimit� di zone sottoposte a vincolo paesistico... 
devono essere autorizzate dal presidente della giunta provinciale, 
su proposta dell'assessore competente, sentito il parere della sezione 
tutela del paesaggio�; 

-l'ultimo comma del medesimo art. 12, ai sensi del quale � le 
disposizioni del presente articolo non si applicano alle opere destinate 
alla difesa nazionale, di cui all'art. 822, primo comma, del codice civile� 
(donde si deduce l'applicabilit� delle disposizioni medesime alle grandi 
derivazioni di acqua a scopo idroelettrico, come � confermato dal successivo 
art. 15, primo comma); 

-l'intero testo dell'art. 15, che fissa !!ambito di efficacia delle norme 
e misure a tutela del paesaggio . (primo comma); stabilisce, per le grandi 
opere di interesse nazionale, l'obbligo dell'assessore provinciale competente 
di esaminare, in concorso con Je amministrazioni interessate, che 
ne facciano (per�) richiesta �soluzioni che contemperino gli interessi 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

del paesaggio con quelli rappresentati dalle amministrazioni stesse � 
(secondo comma); demanda, in caso di accordo, al presidente della 
giunta provinciale di autorizzare, con proprio decreto, sentita la sezione 
tutela del paesaggio, le grandi opere in discorso, � modificando, se occorre, 
il precedente vincolo� (terzo comma). (omissis) 

All'esame, nel merito, delle questioni sollevate dal Consiglio di Stato 
giova premettere alcune considerazioni di carattere generale. 

Il paesaggio, unitamente al patrimonio storico ed artistico della 
Nazione, costituisce un valore cui la Costituzione ha conferito straordinario 
rilievo, collocando la norma che fa carico alla Repubblica di tutelarlo 
tra i principii fondamentali dell'ordinamento (art. 9, secondo comma, 
Costituzione). 

Senza che qui occorra svolgere una compiuta esegesi del citato 
disposto costituzionale, basta rilevare come, in forza di esso, il persegui� 
mento del fine della tutela del paesaggio (e del patrimonio storico ed 
artistico nazionale) sia imposto alla Repubblica, vale a dire allo statoordinamento 
e perci�, nell'ambito delle rispettive competenze istituzionali, 
a tutti i soggetti che vi operano. Ed � di piana evidenza che cos� 
debba essere, volta che, in via generale, la tutela del paesaggio non pu� 
venire realisticamente concepita in termini statici, di assoluta immodificabi1it� 
dei valori. paesaggistici registrati in un momento dato, ma deve, 
invece, attuarsi dinamicamente e cio� tenendo conto delle esigenze poste 
dallo sviluppo socio-economico del paese per quanto la soddisfazione di 
esse pu� incidere sul territorio e sull'ambiente. 

Si vuol dire con ci� che, fermo il riparto delle competenze disposto 
da norme costituzionali e sulla base di esso, la tutela del paesaggio presuppone, 
normalmente, la comparazione ed il bilanciamento di interessi 
diversi, in particolare degli interessi pubblici rappresentati da una pluralit� 
di soggetti, la cui intesa � perci� necessario perseguire di volta in 
volta, se comune a tutti � il fine costituzionalmente imposto, appunto, 
della tutela del paesaggio. 

Lo statuto speciale di autonomia della Regione Trentino-Alto Adige, 
di cui alla legge costituzionale n. 5 del 1948 e su�cessive modificazioni 
e integrazioni -nell'ambito del quale vanno individuati i parametri cui 
pu� farsi riferimento nel presente giudizio -ripartendo le competenze 
tra lo Stato, la Regione e le Province, mantiene al primo il potere di 
assentire le concessioni di grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico, 
come si evince implicitamente ma inequivocabilmente dall'art. 9 
della citata legge costituzionale n. 5 del 1948. Alla Regione (e successivamente, 
ex art. 10 della legge costituzionale n. 1 del 1971, alla Provincia) 
� attrJbuita soltanto la facolt� di intervenire nel !'elativo procedimento, 
mentre il Presidente della Giunta regionale o un suo delegato (e quindi 
ex art. 10 della citata legge costituzionale n. 1 del 1971 il presidente 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

226 

della giunta provinciale territorialmente competente o un suo delegato) 
� invitato a partecipare, con voto consultivo,� alle riunioni del Consiglio 
superiore dei lavori pubblici nelle quali sono esaminati i provvedimenti 
attinenti alla concessione in esame. 

Il disposto statutario non consente margini di dubbio per quanto 
concerne l'attribuzione allo Stato del potere esclusivo di rilasciare la 
concessione per le grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico, che 
vengono cos� sottratte anche alla competenza regionale, in tema di utilizzazione 
delle acque pubbliche, di cui all'art. 5 n. 5 dello statuto 
originario. 

Sul punto, con riferimento al medesimo parametro statutario, questa 
Corte ha gi� avuto occasione di pronunciarsi con la sentenza n. 20 
del 1961, precisando, sulla scorta di una diffusa argomentazione, che 
� nel territorio del Trentino-Alto Adige, in base allo statuto regionale ed 
alle relative norme di attuazione, sono riservate ai poteri dello Stato 
le sole concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, mentre sono 
di competenza della Regione tutte le concessioni di piccole derivazioni 
e inoltre le concessioni di grandi derivazioni per utilizzazione diversa 
da quella idroelettrica�. 

Ora, poich�, in base alla vigente disciplina, la concessione di grandi 
derivazioni di acque a scopo idroelettrico riguarda tutte le opere la cui 
realizzazione � necessaria per il .conseguimento, appunto, dello scopo 
per il quale la concessione stessa viene assentita, non pu� dubitarsi che 
il riparto di competenze operato a livello statutario precluda qualsiasi 
intervento, normativo od esecutivo, della provincia che comporti menomazione 
o vanificazione del potere attribuito, in via esclusiva allo Stato. 

N� pu� addursi in contrario che la legge impugnata � stata emanata 
dalla provincia di Bolzano nell'esercizio della propria incontestabile 
competenza primaria in tema di tutela del paesaggio. Vale, al 
proposito, quanto questa Corte ebbe ad osservare, nella sentenza n. 46 
del 1962, per cui �se fosse lecito� -in mancanza di apposite norme 
legislative statali -�far rientrare nelle competenze� (regionali e/o provinciali) 
� relative alle singole materie, tutte le altre ad esse connesse 
sulla base della loro attinenza a queste ultime, verrebbe meno la possibilit� 
di tracciare una linea precisa di demarcazione con le competenze 
statali �. 

La questione proposta dal Consiglio di Stato deve, quindi, dichiararsi 
fondata, una volta accertato che i disposti (artt. 12 e 15) della legge 

n. 16 del 1970 della provincia di Bolzano contrastano, per la parte concernente 
le grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico, con l'art. 9 
dello statuto speciale di autonomia, approvato con la legge costituzionale 
n. 5 del 1948, restando assorbito ogni ulteriore motivo di censura. 
Vero � che, per quanto attiene alla tutela del paesaggio, pi� che 
mai stringente � la necessit� di predisporre strumenti normativi idonei 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

a realizzare un corretto bilanciamento degli interessi in gioco. Nella fattispecie 
esaminata, la nettezza del disposto statutario -che attribuisce 
allo Stato la competenza esclusiva per le grandi derivazioni di acque 
a scopo idroelettrico -esclude che la provincia possa autonomamente 
intervenire e interferire nella materia. Vero �, ancora, che il medesimo 
art. 9 dello statuto originario conferiva alla Regione -ed ora alla 
provincia -determinate facolt� di intervento e di partecipazione, a 
titolo consultivo, nel procedimento amministrativo per il rilascio (o il 
diniego) della concessione, nel quale poteva, quindi, far valere, perch� 
venissero presi nella debita considerazione, gli interessi da essa rappresentati, 
ivi compreso, ovviamente, quello alla tutela del paesaggio. 
E rispetto a quest'ultimo neppure l'amministrazione dello Stato poteva 
-e pu� -assumere una posizione di indifferenza, quasi che la 
competenza primaria attribuita alla provincia valesse a scioglierla dell'obbligo 
di osservare il principio fondamentale posto dall'art. 9, secondo 
comma, Cost. 

Resta da osservare, conclusivamente, che la normativa sopravvenuta, 
se ribadisce -e in termini espliciti -la competenza esclusiva 
dello Stato per le grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico 
(art. 12 n. 9 dello statuto, nel . testo sostituito dall'art. 6 della legge 
costituzionale n. 1 del 1971; artt. 5, primo comma e 11 lettera f) del 

d.P.R. n. 381 del 1974), prevede, per�, ulteriori momenti di consultazione 
e di intesa con la provincia (artt. 9, ultimo comma, e 10 penultimo 
comma dello statuto nel testo sostituito rispettivamente dagli 
artt. 10 e 11 della legge costituzionale n. 1 del 1971; artt. 6, 9 e 11 
d.P.R. n. 381 del 1974; art. 9 d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235). 
In questo quadro particolare rilievo sembra assumere il � piano 
generale per la utilizzazione delle acque pubbliche da parte dello Stato 
e della provincia nell'ambito delle rispettive competenze�, in quanto 
strumento destinato a registrare � l'intesa tra i rappresentanti dello 
Stato e della provincia, in seno ad un apposito comitato� (art. 17 ter, 
terzo comma dello statuto, introdotto con l'art. 16 della legge costituzionale 
n. 1 del 1971, ora art. 14 del testo unificato approvato con d.P.R. 

n. 670 del 1972; art. 8 d.P.R. 22 marzo 1974 n. 381). 
La presente decisione, quindi, si inserisce in un tessuto normativo 
che prevede una pluralit� di strumenti di coordinamento dell'attivit� 
dello Stato, della Regione e della provincia anche in tema di grandi 
derivazioni di acque a scopo idroelettrico e mentre attua il rispetto dei 
precetti statutari non intende, con ci�, sitabilire una gerarchia dei valori 
di rilievo costituzionale che vengono a confronto, dei quali spetta ai 
soggetti. pubblici cui ne � affidata la rappresentanza realizzare la composiizione. 



128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

p.q.m. 
dichiara la illegittimit� costituzionale degli artt. 12 e 15 della legge 
25 luglio 1970, n. 16 della provincia di Bolzano nelle parti in cui non 
escludono l'applicabilit� delle disposizioni in esse contenute alla realiz� 
zazione delle grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico. 

I 

II 

(omissis) � opportuno raggruppare i ricorsi avendo riguardo al 
contenuto degli atti statali con essi denunciati. 

Secondo l'indicato criterio una prima serie di atti pu� individuarsi 
nelle circolari rispettivamente della Presidenza del Consiglio in data 
20 aprile 1982, cui si riferisce il ricorso n. 9/82 della Regione Emilia-Romagna, 
e del Ministero dei beni culturali e ambientali in data 30 marzo 
1984, cui si riferiscono i ricorsi della stessa Regione Emilia-Romagna 

n. 21/84, della Regione Umbria n. 20/84 e della Regione Lombardia 
n. 22/84. 
Una seconda serie di atti pu� individuarsi nelle note del Ministero 
dei beni culturali e ambientali alla Regione Abruzzo, cui si riferiscono 
i ricorsi nn. 30/84, 31/84, 33/84, 34/84. 

Entrambe le serie di atti sono intese all'acquisizione di informa� 
zioni attinenti al tema, e preordinate al fine, della protezione del paesaggio. 


La circolare della Presidenza del Consiglio 20 aprile 1982, infatti, 
� rivolta in primo luogo alle amministrazioni. statali, e quindi alle 
Regioni e ad altre autorit� pubbliche, per sollecitare la trasmissione 
al Ministero dei beni culturali e ambientali dei progetti di tutte le opere 
pubbliche destinate ad essere realizzate su aree o zone protette ai sensi 
della legge n. 1089 del 1939 (sui beni d'interesse storico) e della legge 

n. 1497 del 1939 (sulle bellezze naturali): ci� (come si desume dal 
tenore della circolare e da quello della nota esplicativa 24 giugno 1982) 
al fine della eventuale prevenzione, per mezzo di provvedimenti inibitori, 
di lesioni irreversibili del patrimonio culturale e ambientale. Ed 
analogamente dispone la circolare del Ministero dei beni culturali e 
ambientali 30 marzo 1984, diretta a varie autorit� statali e regionali, 
la quale richiama la circolare della Presidenza del Consiglio suindicata, 
aggiungendo precisazioni circa le modalit� di trasmissione delle notizie. 
Le note del Ministero dei beni culturali alla Regione Abruzzo sono 
dirette a sollecitare la trasmissione di notizie circa date localit�, ai 
fini dell'eventuale esercj.zio del potere di integrazione degli elenchi delle 
behl.ezze naturali previsto dall'art. 82, comma secondo, lett. a), del d.P.R. 

n. 616 del 1977, in relazione alla legge n. 1497 del 1939. (omissis) 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Nel merito; la tesi di fondo delle Regioni ricorrenti � che la stessa 
richiesta di informazioni in cui le due serie di atti si concretano -in 
quanto preordinata, per la prima serie, all'assunzione di decisioni (autorizzative) 
circa opere atte ad incidere direttamente sull'interesse paesaggistico, 
e, per la seconda serie, all'individuazione di beni di interesse 
paesaggistico -costituisce invasione di competenze riservate alla 
Regione. 

Si sostiene al riguardo che le attribuzioni in materia di paesaggio 
sono interamente trasferite alle Regioni con l'art. 80 del d.P.R. n. 616 
del 1977, per essere la detta materia ricompresa e assorbita in quella 
pi� ampia dell'urbanistica, o almeno interamente delegate alle Regioni 
stesse con l'art. 82 del decreto ora indicato, per essere tale seconda 
disposizione attributiva alle Regioni di tutti i poteri gi� spettanti in 
tema di bellezze naturali, secondo la legge n. 1497 del 1939, allo Stato 
(al Ministero per i beni culturali e ambientali, succeduto al Ministero 
della pubblica istruzione). Si sottolinea come alla Regione sia cos� 
affidato fra l'altro il potere di individuare le bellezze naturali formandone 
gli elenchi, di gestirle autorizzandone le modificazioni, di tutelarle 
con provvedimenti cautelari anche indipendentemente dalla loro inclusione 
negli elenchi: art. 82 cit., comma secondo, lett. a), b), e). Cosicch� 
allo Stato sarebbero ora conservati, oltre al potere di indirizzo e di 
coordinamento (art. 3 legge n. 382 del 1975), solo poteri residuali e sostitutivi, 
sostanzialmente riducibili a quello (art. 2 stessa legge) dato per 
ogni caso di delega: quali il potere di mera integrazione degli elenchi 
gi� formati, e il potere di inibire o sospendere, in via d'urgenza, e 
sempre nel presupposto dell'inerzia della Regione, lavori pregiudizievoli 
alle bellezze naturali anche indipendentemente dalla loro inclusione negli 
elenchi (art. 82 d.P.R. citato, comma secondo, lett. a), e comma ultimo). 

Anzitutto le conclusioni che per tal via le Regioni prospettano non 
tengono conto della disciplina costituzionale del paesaggio qual � stabilita 
nell'art. 9 Cost. Questo erige il valore estetico-culturale riferito (anche) 
alla forma del territorio a valore primario dell'ordinamento, e correlativamente 
impegna tutte le pubbliche istituzioni, e particolarmente 
lo Stato e la Regione, a concorrere alla tutela e alla promozione del 
valore. 

Gi� in questa prima generale prospettiva -cio� secondo le indicazioni 
desumibili dall'art. 9 Cost. -non pu� certamente ritenersi 
ingiustificata la pretesa dello Stato. di ottenere informazioni finalizzate 
alla protezione del paesaggio sia dalla Regione che da altri organi o 
soggetti pubblici (nei confronti di questi anche in concorrenza con la 
Regione): pretesa, il cui esercizio la Regione � tenuta a non ostacolare 
e anzi ad assecondare (cfr. l'art. 2 del d.P.R. n. 805 del 1975 sull'orga� 
nizzazione del Ministero dei beni culturali e ambientali, che, dispo



230 . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
nendo espressamente al di l� della specifica normativa sulla devoluzione 
di competenze emanata o in via di emanazione, obbliga la Regione a 
collaborare con l'amministrazione statale nell'attivit� di tutela del valore). 


Ma -ed � quello che pi� importa -ci� trova immediato riscontro 
nel principio, sicuramente riguardante le competenze, di leale cooperazione 
reciproca nei rapporti fra i due enti: principio la cui pi� elementare 
e generale espressione sta nell'imposizione del dovere di mutua 
informazione (art. 3, u.c., legge. n. 382 del 1975). Mentre non � senza 
significato che tale dovere si trovi sancito nella normativa (anche sulle 
competenze: art. 6, u.c., legge n. 833 del 1978) concernente l'attuazione 
di un altro valore primario dell'ordinamento: quello della salute (art. 32 
Cost.). 

N� mancano, quanto al principio di cooperazione nei rapporti fra 
Stato e Regione in tema di paesaggio, positive valutazioni nella giurisprudenza 
di questa Corte (sentenza n. 94 del 1985). 

Di fronte alle esposte considerazioni non sono rilevanti gli assunti 

delle ricorrenti circa l'esclusione, ex art. 80 d.P.R. n. 616, o circa l'estrema 
limitatezza, ex art. 82 stesso decreto, di attribuzioni il cui esercizio 
� prospettato, peraltro come meramente eventuale, negli atti impugnati. 

E ci� indipendentemente: 

a) dalle riserve sulla stessa tesi, implicita nell'argomentazione 
delle ricorrenti, secondo la quale, se i poteri dello Stato fossero riducibili 
a quelli dati in qualsi�si caso di delega (poteri di indirizzo e di 
coordinamento ex art. 3 legge n. 382 del 1975; sostitutivi ex art. 2 
stessa legge; di direttiva ex art. 4, u.c., d.P.R. n. 616 del 1977), ci� escluderebbe 
la legittimit� della richiesta di informazioni: riserve alimentate 
dalla considerazione che queste potrebbero essere necessarie anche all'esercizio 
di detti poteri; 

b) dalle riserve sugli assunti delle ricorrenti circa la portata degli 
artt. 80 e 82 del d.P.R. n .. 616 del 1977: riserve alimentate dalla considerazione 
della stessa strutturazione della devoluzione alla Regione, ex art. 82, 
di funzioni in materia di paesaggio come delega, e per di pi� come delega 
caratterizzata dalla previsione in capo allo Stato di specifici poteri, in 
realt� difficilmente riducibili a quelli spettanti allo Stato stesso in q�alsiasi 
caso di delega. 

Rigettandosi i ricorsi finora esaminati, deve dunque dichiararsi 
che spetta allo Stato, cos� come, nell'ipotesi inversa, spetterebbe alle 
Regioni, far valere la pretesa ad informazioni finalizzate alla protezione 
del paesaggio, pretesa quale obiettivata con gli atti impugnati, 
nei confronti dei destinatari dei medesimi. 


PARTE I, SEZ. �I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Sempre secondo il criterio del contenuto, una ulteriore serie di atti 
pu� individuarsi: 
a) nel provvedimento del Ministero dei beni ctilturali e ambientali 
20 giugno 1984, col quale si inibisce, ai sensi dell'art. 82, u.c., d.P.R. 

n. 616 del 1977, la costruzione di opere pubbliche (infrastrutture, opere 
di urbanizzazione) inerenti a una variante di piano regolatore adottata 
nel 1981 dal Comune di Serramonacesca per la localit� Passolanciano, 
e nel provvedimento dello stesso Ministero 25 gennaio 1985, col quale 
si inibisce la costruzione, in corso, di una diga per il contenimento delle 
acque del F�rma-Merse: provvedimenti cui si riferiscono rispettivamente 
il ricorso della Regione Abruzzo n. 32/84 e il ricorso della Regione 
Toscana n. 18/85; 
b) nel provvedimento dello stesso Ministero 14 luglio 1984, col 
quale � dichiarata di notevole interesse pubblico, ai sensi dell'art. 82, 
comma secondo, lett. a), d.P.R. n. 616 del 1977, la zona della Valle del 
Liri: provvedimento cui si riferisce il ricorso della Regione Abruzzo 

n. 38/84. 
In ordine a tali atti si fa questione di specifiche attribuzioni ripartite 
fra Stato e Regione, in materia di paesaggio, dal d.P.R. n. 616 
del 1977. 

I cennati provvedimenti sono adottati, infatti, in riferimento all'art. 82 
del detto decreto, che conserva allo Stato, nell'ultimo comma, di potere 
di inibire lavori contrari all'interesse paesaggistico, e, con il comma 
secondo, lett. a), il potere di integrare gli elenchi delle bellezze naturali. 

Affermano, ciononostante, le Regioni ricorrenti che i provvedimenti 
stessi costituiscono invasione di competenze ad esse costituzionalmente 
garantite. Si sostiene in particolare che quelli inibitori consistono nell'esercizio 
di un potere di decisione circa le opere destinate a sorgere 
in zone protette ai sensi della legge stille bellezze naturali, da ritenere 
trasferito alla Regione con l'art. 80 del d.P.R. n. 616 del 1977 in una con 
tutte le attribuzioni in tema di urbanistica, o a\meno delegato alla Regione 
stessa con l'art. 82, comma secondo, lett. b), del detto decreto 
(concernente l'autorizzazione alle modifiche, mediante opere, delle zone 
protette), Si sostiene altres� che, in ogni caso, gli stessi provvedimenti 
inibitori non trovano giustificazione nel limitato potere d'intervento conservato 
allo Stato dall'art. 82, comma ultimo, del d.P.R. n. 616 del 1977, 
perch� posti in essere in difetto dei loro presupposti: cio� dell'urgenza, 
dell'inerzia della Regione e della incidenza su zone non ancora sottoposte 
a vincolo paesaggistico. Si sostiene infine, quanto al provvedimento di 
dichiarazione di notevole interesse della zona del Liri (e quindi di imposizione 
di vincolo paesaggistico stilla medesima), che esso non trova 
giustificazione nel limitato potere di integrazione degli elenchi conservato 
allo Stato dall'art. 82, comma secondo, lett. a), del d.P.R. n. 616 


232 �RASSl'lGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

del 1977, perch� posto in essere in via autonoma, anzich� in via di integrazione 
degli elenchi, e attraverso un procedimento diverso� da quello 
prescritto dalla legge n. 1497 del 1939. 

Si ribadisce in tal modo anzitutto -ancorandola al presupposto 

dell'esercizio da parte dello Stato di un potere decisionale circa la costruzione 
di opere -la tesi, gi� posta a base dei ricorsi prima esaminati, 
dell'assorbimento della materia del paesaggio in quella dell'urbanistica, 
assunta questa nella pi� ampia eccezione, nella quale essa � trasferita 
alla Regione con l'art. 80 del d.P.R. n. 616 del 1977. Ma oltre a rilevare che 
il presupposto non ricorre, perch� il Ministero si limita a formulare un 
giudizio sfavorevole sulle opere programmate come esplicita motivazione 
dell'esercizio del potere inibitorio -il solo realmente esercitato -ed oltre 

a osservare che ci� implica anche l'inconferenza del richiamo all'�rt. 82, 
comma secondo, lett. b), deve replicarsi -sciogliendosi ora le riserve 
dianzi formulate -che la tesi non � fondata. 

Anzitutto essa non trova sostegno nella giurisprudenza di questa 
Corte la quale, dopo l'entrata in vigore del d.P.R. n. 616 del 1977, se 
non ha mostrato di ribadire una nozione ristretta dell'urbanistica quale 
assetto dei centri abitati -come enunciata, peraltro all� specifico fine 
di non ricomprendervi la materia delle bellezze naturali, nella sentenza 

n. 141 del 1972 (cfr. anche la sentenza n. 9 del 1973) -, ha pur mostrato, 
nella sentenza n. 239 del 1982, di non ritenere la nozione di paesaggio 
riducibile a quella di urbanistica. 
Quanto, poi, alla nozione allargata di urbanistica desumibile dalla 
lata formulazione dell'art. 80 del d.P.R. n. 616 del 1977 -nozione rispondente 
ad esigenze di considerazione integrale del territorio e di globale 
disciplina dell'uso e delle trasformazioni di questo -, va osservato che la 
nozione non esclude la configurabilit� in ordine al territorio di valutazioni 
e discipline diverse, neppure se improntate anche esse ad analoghe esigenze 
di integralit� e di globalit�. Si vuol dire che il territorio pu� ben 
essere da un lato punto di riferimento della pianificazione territoriale intesa 
come ordine complessivo, ai fini della reciproca compatibilit�, degli 
usi e delle trasformazioni del suolo nellia dimensione spaziale considerata 
e nei tempi ordinatori previsti: visuale, questa, che viene in considerazione 
nell'art. 80 d.P.R. n. 616 del 1977, che dispone il trasferimento 
alla Regione delle relative attribuzioni. E dall'altro lato essere punto di 
riferimento di una regolazione degli interventi orientata all'attuazione del 
valore paesaggistico come aspetto del valore estetico-culturale secondo 

scansioni diverse, perch� legate a scelte di civilt� di pi� ampio respiro: 
visuale, questa, che' viene in considerazione nell'art. 82 dello stesso decreto, 
che dispone la soia delega alla Regione delle relative attribuzioni. 

Ci� non � contriadtletto dall'impiego di speciali strumenti di pianificazione 
territoriale quali mezzi della protezione paesaggistica primaria 
(cfr. artt. 5 legge n~ 1497 del 1939 e 23 r.d. n. 1357 del 1940, concernente 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

la redazione, poi trasferita alle Regioni dall'art. 1, �comma terzo, d.P.R. 

n. 8 del 1972, di piani territoriali paesistici per le localit� incluse negli 
elenchi delle bellezze naturali) o dal perseguimento, nell'ambito della pia� 
nificazione territoriale generale, di fini di protezione paesaggistica ulteriore 
(cfr. artt. 3 e 5 della legge n. 765 del 1967, concernente attribuzioni 
trasferite alle Regioni dall'art. 1, comma secondo, d.P.R. n. 8 del 1972, 
e la stessa indicazione della � protezione ambientale � come contenuto 
dell'urbanistica secondo l'art. 80 d.P.R. n. 616 del 1977, ove non si ritenga 
di riferire l'indicazione stessa unicamente ad altre valenze ambientali). 
Nessuna deile due ipotesi consente di ritenere la disciplina paesaggistica 
primaria subordinata alla urbanistica o addirittura inclusa in essa. Del 
resto ipotesi del genere, se possono dar luogo a pi� frequenti e complessi 
problemi di coordinamento nell'esercizio di competenze relative 
a materie diverse e richiedere soluzioni procedimentali consensuali, non 
implicano per converso necessariamente, come si pretende, l'accorpamento 
delle materie e delle competenze anzidette. 
Resta cosi dimostrato che anche nell'ottica del d.P.R. n. 616 del 1977 
urbanistica e paesaggio sono due distinte materie e che l'art. 80 si riferisce 
alla prima, mentre � l'art. 82 a riferirsi alla seconda. 

Ritenuto pertanto che � solo l'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977 a 
venire effettivamente in considerazione nei conflitti in esame, i quali nella 
sostanza postulano una demarcazione delle competenze e un sindacato 
sul corretto uso di esse all'interno dell'art. 82 citato, i conflitti stessi 
devono dichiararsi inammissibili. 

Le attribuzioni cui la detta disposizione si riferisce sono da essa devolute 
alla Regione con delega. Questa � per�. di pi� caratterizzata dalla 
conservazione allo Stato di poteri, che sono difficilmente riducibili, secondo 
quanto si � gi� accennato, ai normali poteri del delegante come definiti 
in via generale dalla legge n. 382 del 1975 (~tt. 2 e 3) e dal d.P.R. 

n. 616 del 1977 (art. 4 u.c.), ed anzi sono da ritenere -in considerazione 
della sostanziale identit� di oggetto e di contenuto che essi presentano rispetto 
ai poteri delegati e dell'inutilit� che la stessa specifica previsione 
da parte dell'art. 82 d.P.R. n. 616 del 1977 rivestirebbe nel caso di loro 
coincidenza con i normali poteri del delegante come sopra definiti 
poteri concorrenti. 
Orbene le attribuzioni soltanto delegate alla Regione non sono, in 
linea di principio, defendibili col rimedio del conflitto di attn'buzioni, 
rimedio dato per la tutela di competenze proprie della Regione. Tanto 
meno lo sono competenze delegate nel modo e con gli effetti suindicati, 
cio� attenuate dalla conservazione allo Stato di poteri concorrenti. 

In tal caso, infatti, la volont� della legge di consentire l'intervento 
concorrente dello Stato a fini di estensione (integrazione degli elenchi) 
e di effettivit� (inibitoria di opere pregiudizievoli) della tutela esclude 
la garanzia costituzionale delle competenze delegate . 


RASSEGNA DElL'AVVOCATURA DEU.O STATO

234 

CORTE COSTITUZIONALE, .15 novembre 1985, n. 285 (cam. cons.) � Pres. 
Paladin � Rel. Ferrati. 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Riforma della sentenza 
sottoposta a registrazione. 

Contrastano con gli artt. 3 e 53 Costituzione gli artt. 12 e 14 del r.d. 
30 dicembre 1923 n. 3269 (approvazione del testo di legge del registro) 
nella parte in cui non prevedono, ai fini della restituzione dell'imposta 
graduale di registro, le ipotesi che sia stata dichiarata nulla o riformata 
la sentenza di condanna al. pagamento di una somma di denaro ovvero 
la sentenza con la quale era stato ordinato il rilascio e la attribuzione di 
un bene (1). 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 gennaio 1986, n. 1 (cam. cons.) -Pres. 
Paladin � Rel. Greco. 

Impiego pubblico � Messi di conciliazione � Raffronto con gli ufficiali giudiziari 
� Diversit� di situazione oggettiva. 
(Cast., art. 3; d.l.Igt. 1 febbraio 1946 n. 122, art. 2, come modificato da legge 3 feb


braio 1957, n. 16). 

La posizione giuridica dei messi di conciliazione, i quali negli uffici 
con scarso indice di lavoro possono -se non dipendenti comunali operare 
in piena autonomia, � diversa da quella degli ufficiali (e aiutanti 
ufficiali) giudiziari. Pertanto non contrasta con il principio di eguaglianza 
la non corresponsione ai messi di conciliazione della indennit� 
integrativa. 

(omissis) Invero, le due situazioni poste a raffronto, quella cio� dei 
messi di conciliazione e quella degli ufficiali giudiziari (e aiutanti ufficiali 
giudiziari), non sono n� �identfohe n� omogenee' per cui la diversit� di 
trattamento, fatto ai primi dal legislatore, non � irrazionale. 

L'ufficiale giudiziario e l'aiutante ufficiale giudiziario hanno uno 
status ben determinato e disciplinato da norme apposite e particolari 

(d.P.R. 28 dicembre 1959, n. 1229, e successive modifiche; legge 11 giugno 
1962, n. 546; legge 12 luglio 1975, n. 339). Sono impiegati dello Stato; 
conseguono la qualifica e sono immessi in ruolo a seguito di pubblico 
concorso articolato su prove scritte ed orali e le operazioni �relative 
sono svolte da apposita Commissione nominata dal Ministro di Grazia 
(1) Analogamente Corte Costituzionale n. 200 del 1972 e n. 198 del 1976. 

PARTE l, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 235 

e Giustizia e presieduta da un magistrato. Hanno un organico ben deter� 
minato e in maniera fissa (art. 101 del T.U. n. 1229/59). 

Accanto ai diritti hanno una serie di doveri. Sono sottoposti ad apposita 
Commissione di vigilanza e di disciplina (art. 49 del T.U. n. 1229/59 
alla vd~lanza del P11esidente della Corte d'appello quello che operano 
nel distretto; del Presidente del Tribunale quelli che operano nel circondario 
e del Pretore quelli addetti all'ufficio di Pretura nonch� a quella dell'uff.
icialJ.e gfodiziario dirigente. Sono soggetti a sanzioni disciplinari. (art. 60, 

T.U. n. 1229/59). Contraggono particolari responsabilit� per gli atti del loro 
ufficio. 
sita Commissione di vigilanza e di disciplina (art. 49 del T.U. n. 1229/59), 
e segg.) che utilizza i proventi costituit�i dai diritti che sono autorizzati 
ad esigere ed una percentuale sui crediti recuperati all'erario, sui campioni 
civili, penali ed amministrativi, sulle somine introitate dall'erario 
per la vendita dei corpi di reato. Le somme introitate ai suddetti titoli 
sono versate in una cassa comune e ripartite tra tutti gli ufficiali giudiziari, 
al netto delle detrazioni. Hanno diritto all'indennit� di trasferta 
per gli atti compiuti fuori dall'edificio ove l'ufficio giudiziario ha sede 
(art. 133, T.U. n. 1229/59). Hanno poi diritto ad una indennit� integrativa 
a carico dell'erario (art. 148, T.U. n. 1229/59) nel caso in cui, con la per� 
cezione dei diritti, al netto del due per cento delle spese di ufficio e del 
diieoi per cento per la tassa erariale, non vengano a percepire uno stipendio 
iniziale pari a quello previsto per il personale appartenente alla sesta 
qualifica funzionale. Tale importo � elevato in relazione all'anzianit� di 
servizio maturata dall'ufficiale giudiziario ed all'ammontare dello stipendio 
spettante ai detti dipei:;identi di pari anzianit� di servizio. 
Anche gli aiutanti ufficiali giudiziari (artt. 160 e segg. T.U. n. 1229/59) 
hanno uno status bene determinato. Sono anche essi impiegati dello Stato 
ed assunti in servizio a seguito di pubblico concorso su prove scritte ed 
orali, le cui operazioni sono svolte da una Commissione nominata dal 
Ministro di Grazia e Giustizia. (omissis) 

I messi di conciliazione, invece, sono nominati dal Presidente del 
Tribunale, sentito il Procuratore della Repubblica; sono scelti tra persone 
dipendenti dal Comune o tra altre persone che, residenti nel luogo, 
diano garanzie di capacit� e moralit� (art. 249, R.D. 28 dicembre 1924, 

n. 2271; art. 9, 1. 25 giugno 1940, n. 763; art. 28, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12). 
Svolgono la loro attivit� sotto la sorveglianza del conciliatore (artt. 256, 
258 del R.D. n. 2771 del 1924 e art. 9, R.D. n. 12 del 1941). 
Per quanto riguarda l'onere economico e l'organizzazione del servi� 
zio, occorre rilevare che sono a carico dei comuni le spese obbligatorie 
per il funzionamento degli uffici di conciliazione (art. 91, T.U. com. e 
prov.); che le somme riscosse per i diritti di cancelleria, detratti i diritti 
spettanti ai cancellieri, sono devolute ai comuni e destinate al funziona� 

111111111111r&11111111�~1111J:r1111tr111111r11111111:111r11,,111111111 



236 RASSEGNA DELL'AVVOCA'tURA DELLO STA.TO 
mento degli uffici di conciliazione, ivi compreso il pagamento dei compensi 
ai messi. 
Per quanto riguarda lo status dei messi di conciliazione, nulla quae236 
RASSEGNA DELL'AVVOCA'tURA DELLO STA.TO 
mento degli uffici di conciliazione, ivi compreso il pagamento dei compensi 
ai messi. 
Per quanto riguarda lo status dei messi di conciliazione, nulla quaestio 
per i dipendenti del Comune che sono gi� legati ad esso da un rapporto 
di lavoro o di impiego. 

Per i non dipendenti, invece, il rapporto che, in ogni caso, si instaura 
con il Comune -per cui trattasi di rapporto di impiego pubblico -in 
astratto pu� configurarsi come svolto tanto in regime di autonomia 
quanto in regime di subordinazione. E la qualificazione dipende dal suo 
concreto atteggiarsi. In via generale si ritiene che, negli uffici con scarso 
indice di lavoro, il messo svolge� attivit� lavorativa molto limitata, consistente 
nella notificazione di pochissimi atti, oltre la conseguente e scarsissima 
opera accessoria di registrazione. Egli, quindi, sar� impegnato 
saltuariamente ed occasionalmente; non potr� avere vincoli di rilievo 
ma godr� certamente di piena autonomia di organizzazione. Invece, negli 
uffici di maggiore dimensione, nei quali pu� accadere che vi sia una 
massa di atti da compiere, tali da richiedere un impegno quotidiano e 
continuativo, si rende necessario l'intervento di un capo al quale competer� 
la responsabilit� organizzativa e funzionale dell'ufficio con i correlativi 
poteri di distribuzione del lavoro e di emanazione di direttive vincolanti 
per il messo le cui energie lavorative attueranno, quindi, una collaborazione 
nell'ufficio di appartenenza e determineranno il suo inserimento 
nello stesso, onde la configurabilit� di rapporto di lavoro subordinato. 


Ma in nessuna delle situazioni che si possono verificare pu� dirsi che 
la posizione del messo sia identica od omogenea a quella dell'ufficiale 
giudiziario. 

Mentre l'ufficiale giudiziario non pu� compiere alcun altro lavoro, 
cos� come, di regola, qualunque altro impiegato dello Stato, il messo, 
se dipendente comunale, svolge il suo lavoro abituale al Comune e solo 
accessoriamente e saltuariamente quello di messo comunale e, comunque, 
sar� retribuito come impiegato comunale ed avr� come accessori, 
proventi, diritti ed indennit� di trasferta. Invece, se non dipendente comunale, 
potr� svolgere altro lavoro. In ogni caso ha una responsabilit� molto 
limitata che, generalmente, si fa risalire al Comune. 

Inoltre, per quanto riguarda l'entit� dei proventi e dei diritti, si 
deve anche considerare che essi sono percepiti nella totalit� dal solo 
messo di conciliazione, mentre per gli ufficiali giudiziari e gli aiutanti, 
per i quali normalmente costituiscono la retribuzione, sono divisi con i 
vari appartenenti all'ufficio e, per quanto riguarda il diritto di cronologico; 
anche con i coadiutori. 

Trova quindi ragionevole giustificazione ed � razionale il diverso 
trattamento fatto ai messi di conciliazione rispetto agli ufficiali giudiziari 
per quanto riguarda i diritti di cronologico e di notificazione, mentre 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 237 

i diritti di trasferta sono ridotti proprio perch� essi si svolgono in spazi 
molto limitati e non certo a . notevole distanza. 

Per quanto riguarda l'indennit� integrativa, essa viene corrisposta 
solo se le somme costituenti la retribuzione sono di entit� inferiore allo 
stipendio rispettivamente del sesto livello funzionale per gli ufficiali 
giudiziari e del quarto livello funzionale per gli aiutanti. Ed in ogni caso 
� corrisposta per la differenza tra le somme percepite come diritti e sti� 
pendio pari alle suddette qualifiche funzionali. 

Quindi, non irrazio:p.almente il legislatore non ha previsto la corresponsione 
anche al messo di conciliazione della indennit� integrativa 
stante il diverso status professionale e lo speciale sistema retributivo 
previsto solo per gli ufficiali giudiziari e gli aiutanti. 

Va anche notato che, in base alle vigenti disposizioni, le notificazioma 
mezzo posta, regolate di recente da nuove disposizioni di Jegge (Legge 
20 novembre 1982, n. 890), costituiscono il mezzo ordinado e generale di 
notificazione, mentre quelle a mezzo ufficiale giudiziario o aiutante o 
messo' di conciliazione costituiscono ormai un mezzo eccezionale. (omissis) 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 aprile 1986, n. 89 � Pres. Paladin � Rel. 
Pescatore � Presidente Consiglio dei Ministri (avv. D'Amico). 

Istruzione e scuole � Universit� � Professore assoclat'o � Giudizio di idoneit� 
� Medici interni. 
(Cost. art. 3; legge 21 febbraio 1980 n. 28, art. 5; d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, art. 50). 

L'esclusione dal giudizio di idoneit� dei medici interni (assistenti 
ed aiuti) risulta priva di qualsiasi razionalit� e determina, se raffrontata 
con quella dei tecnici laureati, un ingiustificato diverso trattamento 
di una categoria, rispetto alla quale ricorrono -quanto meno -gli 
stessi requisiti che condussero ad attribuire il beneficio alla categoria 
di comparazione (1). 

(1) La sentenza -che ha determinato un cospicuo aggravio per la finanza 
statale -suscita perplessit� per tre considerazioni: I) non � stato tenuto 
conto del criterio indicato dall'art. 97, primo comma, Cost. (�... si accede 
mediante concorso... �), II) a tertium comparationis � stata promossa una 
disposizione oltremodo particolare, anzi persino marginale (e tutt'altro che 
�universale�), quale appunto quella concernente la ristretta categoria dei 
� tecnici laureati � (al limite, sarebbe stato pi� lineare pervenire ad una esclu� 
sione anche di costoro), e III) � stato �saltato� l'art. 9 della legge 9 dicem� 
bre 1985 n. 705, ius superveniens che avrebbe imposto una restituzione degli atti 
al giudice a quo e comunque la prospettazione di una diversa e nuova questione 
di legittimit� costituzionale. Quest'ultimo aspetto potrebbe dar luogo, ove 
l'episodio avesse a ripetersi, a qualche difficolt� nel rapporto istituzionale tra 
Parlamento e Corte. 



238 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

II I

CORTE COSTITUZIONALE, 18 giugno 1986, n. 138 � Pres. Paladin � Rel. 

~

Gallo � Fusaro (n.p.), Universit� di Padova e Presidente Consiglio 
dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). fil :� 


Istruzione e scuole � Universit� � Scuole di specializzazione e perfezio


namento � Stabilizzazione degli incaricati. 

(Cost. artt 3, 51 e 97 della Cost.; d.l. 23 dicembre 1978 n. 817, art. unico, convertito 

nella legge 19 febbraio 1979 n. 54). 

La situazione giuridica dei prof es sori incaricati delle scuole di specializzazione 
e perfezionamento di cui alle lettere b) e c) dell'art. 20 del 
testo unico 31 agosto 1933 n. 1592 � diversa da quella dei professori incaricati 
nei corsi ufficiali di laurea; questi ultimi soltanto dipendono dallo 
Stato. 

I 

(omissis) La questione prospettata nelle ordinanze consiste nello stabilire 
se l'art. SO, n. 3 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 e l'art. S, terzo 
comma, n. 3, della legge 21 febbraio 1980, n. 28 contrastino con l'art. 3 
della Costituzione, in quanto non contemplano, tra le qualifiche da ammettere, 
in via transitoria, ai giudizi d'idoneit� a professore �associato, 
gli aiuti e gli assistenti dei policlinici e delle cliniche universitarie, che 
di fatto abbiano svolto attivit� triennale di ricerca e di didattica. Ci� per 
la differenza di trattamento di dette categorie rispetto a quella dei tecnici 
laureati (che abbiano svolto per pari periodo attivit� di ricerca e didattica), 
i quali sono ammessi ai giudizi d'idoneit� a professore associato. 

In particolare, le fattispecie sottoposte all'esame del Tribunale amministrativo 
regionale per la Sicilia, sezione di Catania (eccettuate quelle 
relative ai giudizi iscritti sub i numeri 377, 379 e 380/8S), erano state 
determinate dalla esclusione di medici interni, aiuti e assistenti di quel 
policlinico e della clinica universitaria di neurologia, dalla partecipazione 
alla seconda tornata del giudizio di idoneit� a professore universitario ' 
di ruolo, fascia degli associati, bandita con dd.mm. 26 aprile e 10 ottobre 
1983. 

Sulla prospettazione (e sulla sostanza) della questione non incide 
l'art. 9 della legge 9 dicembre 198S, n. 70S, che, interpretando autenticamente 
l'art. SO del d.P.R. n. 382 del 1980, dcihiara la tassativit� del'indicazione 
di coloro che possono essere inquadrati, a domanda, previo giudizio 
di idoneit�, nel ruolo dei professori associati e pone il divieto dell'assimilazione 
o dell'equiparazione di altre categorie. 

Questo precetto non altera, n� modifica, infatti, i termini. della que� 
stione di costituzionalit�, sollevata dal Tribunale amministrativo regio



PARTE I, SEZ. I, GIURISP,RUDENZA COSTITUZIONALE 239 

nale; anzi, li rafforza. Prescrivendo la non estensibilit� delle categorie 
ammesse ai giudizi di idoneit� a professore associato, esso d� alla formulazione 
ipotetica dei motivi di incostituzionalit� del giudice a quo 
il crisma della valutazione conforme della legge. 

Non sorge, quindi, problema di restituzione degli atti a tale giudice 
per un nuovo esame della rilevanza della questione in relazione alla legge 
sopravvenuta. (omissis) 

Questa Corte ha gi� avuto occasione di toccare il tema della natura 
e della consistenza della categoria dei medici interni universitari, anteriormente 
alla normativa posta dalla L. n. 28 e dal d.P.R. n. 382 cit., che, 
rispettivamente nell'art. 7 lett. h) e nell'art. 58, comma primo, lett. i), 
ne hanno previsto l'inquadramento, previo giudizio di idoneit�, nella 
fascia dei ricercatori universitari. Nella sentenza 22 febbraio 1985, n. 46, 
� stato individuato nell' � autodeterminazione discrezionale delle singole 
universit� � il fondamento della disciplina delle diverse modalit� di reclutamento 
degli appartenenti a questa categoria, verificatesi nella prassi di 
taluni atenei (delibera del consiglio di amministrazione dell'Universit� 

o del consiglio di facolt�, ovvero pubblico concorso, talora con l'intervento 
del consiglio di amministrazione). 
Le carenze normative ed amministrative del settore, alle quali gi� 
si � fatto cenno, e le conseguenti disfunzioni dell'apparato dettero luogo, 
tra l'altro, anche a gravi deficienze di personale medico qualificato, sopratutto 
a seguito della soppressione dell'assistentato (1973), senza la 
contestuale previsione (ed attuazione) di una alternativa fonte di provvista. 
Questa ed altre cause di disfunzione del sistema, in bilico tra vecchio 
e nuovo, -che ebbero larga eco nelle sedi governativa e parlamentare, 
in occasione dell'esame del ricordato progetto di riordinamento 
della docenza -indussero le autorit� universitarie a misure organizzative 
e funzionali di emergenza, sviando i tecnici laureati verso attivit� 
ad essi non proprie e delineando la figura del medico interno (assistente 

o aiuto). Connotato qualificante di tale figura � l'attitudine ad esplicare 
(accanto all'attivit� di diagnosi e cura) attivit� scientifica e didattica proprio 
in base alla qualifica di aiuto od assistente, conseguita per pubblico 
concorso da molti dei medici ricorrenti avanti al Tribunale a:mlministrativo 
regionale siciliano. 
Tale figura, che, come si � detto, fu incrementata da ragioni contingenti, 
fin� con l'inserirsi nella struttura, determinando talora situazioni 
aberranti, come si rileva in taluni dei giudizi che hanno dato luogo alle 
ordinanze di rimessione: cos�, nel caso di un medico interno, aiuto per 
concorso, che non fu ammesso al giudizio di idoneit� per professore associato, 
al quale invece parteciparono assistenti (appartenenti al ruolo 
ad esaurimento), da lui diretti e coordinati. 

1r1�.a11�11111111111111r111111r111111111111111r111111�111111111 



240 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Riportando il discorso nei suoi termini generali, appare chiaro che 
nella presenza delle circostanze del superamento del concorso e dello 
svolgimento, entro l'anno accademico 1979-80, del triennio di attivit� 
scientifica e didattica, l'esclusione dal giudizio di idoneit� dei medici interni 
(assistenti ed aiuti) risulta priva di qualsiasi razionalit� e determina, 
se raffrontata con quella dei tecnici laureati, un ingiustificato diverso 
trattamento di una categoria, rispetto alla quale ricorrono -quanto 
meno -gli stessi requisiti che condussero ad attribuire il beneficio alla 
categoria di comparazione. 

La Corte, pur consapevole che la ratio, giustificatrice del precetto 
che consenti l'ammissione dei tecnici laureati al giudizio di idoneit�, 
non pu� cessare di esplicarsi fino a quando non abbia espresso tutta la 
sua energia operativa, esclude nella specie -come bene ha fatto il 
giudice rimettente -l'applicazione estensiva od analogica della normati� 
va. Si tratta, infatti, di precetti tassativi, riferibili a specifiche categorie, 
appositamente individuate ed enumerate (nn. 3 degli artt. 50 d.P.R. 

n. 382 e 5, terzo comma, I. n. 28 del 1980), distinte per particolari elementi 
propri di ciascuna di esse. Tale tassativit�, ispirata a ragioni di 
garanzia e certezza, resa palese dalla struttura e dal contenuto della 
norma, espressamente dichiarata dal legislatore (art. 9 I. 9 dicembre 1985, 
n. 705 cit.: cfr. n. 6), non rende applicabili per analogia ai medici interni 
le norme che regolano la situazione dei tecnici laureati, pur nel concorso 
dell'eadem ratio. Necessita, di conseguenza, per riparare all'ingiustificata 
sperequazione, la dichiarazione di incostituzionalit� delle disposizioni 
sospettate dal giudice a quo. (omissis) 
p.q.m. 
dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 5, terzo comma, n. 3 
della legge 21 febbraio 1980, n. 28 e dell'art. 50, n. 3 del d.P.R. 11 luglio 
1980, n. 382, nella parte in cui non contemplano tra le qualifiche da 
ammettere ai giudizi di idoneit� gli aiuti e gli assistenti dei policlinici 
e delle cliniche universitarie, nominati in base a pubblico concorso, che, 
entro l'anno accademico 1979-80, abbiano svolto per un triennio attivit� 
didattica e scientifica, quest'ultima comprovata da pubblicazioni edite 
documentate dal preside della facolt� in base ad atti risalenti al periodo 
di svolgimento delle attivit� medesime;... 

II 

Con ordinanza 22 ottobre 1982, il Tribunale amministrativo regionale 
per il Veneto sollevava questione di legittimit� costituzionale dell'art. 4, 
primo comma, del decreto legge 1� ottobre 1973, n. 580, convertito con 
modificazioni, nella legge 30 novembre 1973, n. 766, nonch� dell'articolo 


PARm I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

unico, sedicesimo (rectius, quindicesimo) comma, del decreto-legge 23 di� 
cembre 1978, n. 817, convertito con modificazioni, nella legge 19 feb� 
braio 1979, n. 54, nella parte in cui, in violazione degli artt. 3, 51 e 97 
della Costituzione, non ammettono alla stabilizzazione gli incaricati nelle 
scuole di specializzazione e perfezionamento di cui alle lettere b) e e) 
dell'art. 20 T.U. 31 agosto 1933, n. 1592. (omissis) 

Secondo l'ordinanza di rimessione, la violazione dell'art. 3 Cost. 
si fonderebbe su di un duplice ordine di motivi, innanzitutto perch� 
ambo le situazioni in esame, e cio� sia quella concernente gli incaricati 
nelle scuole di specializzazione o di perfezionamento, avevano carattere 
di precariet�.� In secondo luogo perch�, una volta disposta la prima proroga 
degli incarichi a semplice domanda, anche per quelli delle scuole di 
perfezionamento e specializzazione, non esisteva alcuna ragione per 
escludere questi ultimi dalle proroghe successive e quindi poi dalla sta� 
bilizzazione. Specie se si considera che la ratio dell'istituto della stabiliz� 
zazione era quella di cristallizzare le situazioni precarie fino alla riforma 
che avrebbe dovuto avviarle a soluzione definitiva. 

Ma nessuna di queste ragioni ha consistenza. Che ambo le situazioni 
fossero di precariato non implica necessariamente che esse dovessero 
trovare nella legge identico trattamento, visto che, dal docente uni� 
versitario all'operaio, numerosissime erano e sono le categorie in situa~ 
zione di precariet�. Ma proprio per questo � conforme a ragionevolezza 
che il legislatore non debba essere tenuto a risolverle tutte nello 
stesso modo, giacch� l'elemento che accomuna le situazioni, agli effetti 
dell'art. 3 Cost., non pu� essere ravvisato in qualche carattere genera� 
lissimo, bens� in peculiari caratteristiche che le renda omogenee in ter� 
mini di natura giuridica, di finalit� specifiche. 

Ora, � proprio all'interno stesso della categoria dei docenti precari 
di livello universitario che le due situazioni, di cui si va parlando, 
mostrano invece la loro decisa diversit�. Gi� la legge fondamentale, 
infatti, il T.U. 31 agosto 1933 n. 1592, tiene nettamente distinte all'art. 20 
le Facolt� dalle scuole dirette a fini speciali, e da quelle di perfezio� 
namento, cos� come da ambo le predette distingue i Corsi di integra� 
zione e di cultura: e tutta la successiva legislazione, fino al d.P.R. 10 mar� 
zo 1982 n. 162 che ha riordinato completamente quelle Scuole, soppri� 
mendo quelle di perfezionamento, si � rigorosamente ispirata a tale 
precisa distinzione. 

Cos�, mentre per le Facolt� la fonte primaria di ogni organizza� 
zione � la legge, per cui � soltanto il legislatore a disciplinare organici, 
ruoli, reclutamento, stato giuridico e trattamento economico dei profes� 
sori, al contrario costituzione, funzionamento e ordinamento anche del 
personale delle Scuole sono lasciati all'autonomia degli Atenei che organizzano 
e disciplinano le Scuole, mediante gli statuti e i regolamenti, 
presso le singole Facolt� o anche attraverso intese interfacolt�. Nelle 


RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO

242 

Facolt�, invece, anche quando Statuti e regolamenti dispongano dell'interna 
organizzazione, si tratta sempre di semplice funzione esecutiva 
od integrativa della legge. 

In particolare, il trattamento economico dei professori incaricati 
nei corsi ufficiali delle Facolt� gravava -come quello dei professori 
straordinari ed ordinari -sul bilancio dello Stato, mentre quello degli 
incaricati nelle scuole era a carico del bilancio dell'Universit�. 

Da tutto ci�, risulta evidente che i professori incaricati nei corsi 
ufficiali di laurea erano dipendenti precari dello Stato, e che i professori 
incaricati nelle scuole erano invece dipendenti delle Universit�. La 
stessa possibilit� di esistenza di questi ultimi era, per�i�, soltanto 
eventuale, perch� condizionata all'istituzione dell'una o dell'altra scuola 
che l'Universit� era libera di decidere a proprio insindacabile giudizio: 
al contrario, la presenza degl'incaricati nei corsi ufficiali della Facolt� 
era obbligatoria in caso di mancanza del titolare della cattedra ed era 
rigorosamente disciplinata per legge. 

Si tratta, perci�, di situazioni giuridiche sostanzialmente diverse, 
che il legislatore � libero di disciplinare, nell'ambito del suo discrezionale 
potere, secondo differenti criteri, in tutto o in parte. Pur riconoscendo 
che la ratio che presiedeva all'istituto della stabilizzazione ben 
poteva essere quella indicata dall'ordinanza, ci� non poteva comportare 
che tutte indistintamente le situazioni di precariato dovessero avere lo 
stesso trattamento, parificando categorie e aspettative fra loro non 
sempre comparabili in un giudizio di legittimit� costituzionale. 

N� pu� avere rilevanza che una tantum, in occasione del rinnovo 

dell'incarico a semplice domanda per il primo anno, le due categorie 

in esame abbiano avuto la stessa disciplina. Questa Corte ha affermato 

in pi� occasioni che soltanto una lunga, inequivoca ed ininterrotta uni


formit� di disciplina pu� consentire, nel contesto di altri eventuali favo


revoli elementi, una ragionevole opinione di sostanziali affinit� fra due 

situazioni giuridiche. (Cfr. da ultimo, Sent. n. 212 del 1985). 

Per tutte le stesse indicate ragioni non pu� ritenersi vulnerato il 

principio di imparzialit� della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), e 

tantomeno quello di uguaglianza dei cittadini nell'accesso agli uffici 

pubblici a parit� di requisiti di attitudine (art. 51 Cost.). A proposito 

del quale ultimo principio � soltanto suggestivo l'argomento che sostiene 

l'esigenza di pi� elevata preparazione per i docenti delle scuole di spe


cializzazione, in quanto dirigono il loro insegnamento a chi � gi� edotto 

della disciplina (assistenti universitari od ospedalieri), a fronte di coloro 

che impartiscono nozioni istituzionali a studenti in fase di apprendi


mento. In realt�, il docente dei corsi ufficial1. della Facolt�, proprio 

perch� deve introdurre lo studente in discipline a lui affatto scono


sciute, deve possedere una vasta preparazione di base e una grande 

esperienza didattica che, pur se desiderabile anche nello specializzatore, 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 243 

non � tuttavia strumento immediato e imprescindibile in chi deve soltanto 
affinare o approfondire un singolo particolare ramo di una certa 
disciplina: finalit� per la quale si richiede, invece, soprattutto esperienza 
specifica nel ramo. 

La questione proposta non �, pertanto, fondata. 

CORT COSTITUZIONALE, 23 maggio 1986, n. 129 -Pres. Paladin -Rel. 
Andrioli -Simonetti e Righetti (avv. Agostini) e INAIL (avv. Catania). 


Prescrizione e decadenza -Prestazioni dovute agli infortunati sul lavoro 
ed agli affetti da malattie professionali -Interruzione della prescrizione. 
(Cost. artt. 3 e 38; d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112). 

Contrasta con il principio di eguaglianza l'art. 112 comma primo 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui non prevede che il 
termine triennale di prescrizione dell'azione per conseguire le prestazioni 
assicurative sia interrotto a far tempo dalla data del deposito 
del ricorso introduttivo della controversia, effettuato nella cancelleria 
dell'adito pretore, e seguito dalla notificazione del ricorso e del decreto 
pretorile di fissazione dell'udienza di discussione (1). 
(omissis) La giurisprudenza dell'organo giudiziario, cui nel campo 
delle norme sottordinate compete il magistero della nomofilachia, ha a 
chiare note rescritto che il tema della prescrizione dell'azione diretta 
a conseguire le prestazioni assicurative dovute per infortuni sul lavoro 
e malattie professionali � dominato dal solo art. 112 comma primo e 
pertanto non residua spazio per l'art. 2943 comma primo e quarto e.e., 
per modo che infortunati sul lavoro e affetti da malattie professionali 
possono interrompere il corso della prescrizione sol con domanda giu-. 
diziale di esercizio dell'azione e non anche con ogni altro atto che valga 
a costituire in mora il debitore. 

(1) La sentenza merita di essere segnalata principalmente perch� afferma 
e trattasi di affermazione di portata generale -che la esclusione della 
�utilizzazione dei mezzi stragiudiziali previsti nell'art. 2943 commi primo e 
quarto cod. civ.� pu�, se ingiustificata, dar luogo a violazione del principio 
di eguaglianza. La disposizione legislativa censurata prevede un termine denominato 
di prescrizione (�l'azione si prescrive ... �); peraltro, la affermazione 
fatta dalla Corte potrebbe forse operare anche per alcuni termini qualificati 
di decadenza. Cosi ad esempio per il termine per l'iscrizione a ruolo delle 
imposte risultanti dalle dichiarazioni dei redditi; come noto, per detta iscrizione 
� previsto senza alcuna ragione un termine di decadenza relativamentc:1 
breve. 

a 



244 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Le possibilit� in minor misura riservate a infortunati e affetti 
da malattie professionali rispetto ai creditori per altri titoli non costituiscono 
di per s� violazione del principio di eguaglianza perch� l'esigenza 
di non ritardare oltre il triennio l'accesso alla giustizia � giustificata 
dalla necessit� di non rendere pi� ardua, se non impossibile, la 
ricerca dei fatti e la ricostruzione delle situazioni nelle quali si sostanziano 
infortuni sul lavoro e malattie professionali: peculiarit� che non 
si riscontrano nella generalit� dei rapporti credito-debitori. 

Ma se violazione del principio di eguaglianza non era lecito ipotizzare 
nei primi anni di applicazione del testo unico del 1965, in cui ben 
sarebbesi potuto replicare all'infortunato sul lavoro e all'affetto da malattia 
professionale che lasciasse tooscorrere n triennio senza proporre 
domanda giudiziale � chi � causa del suo mal pianga se stesso �, il rito 
speciale del lavoro introdotto dalla l. 11 agosto 1973, n. 533, con separare 
l'imploratio iudicis offici dalla vocatio in ius e con subordinare 
la notificazione al convenuto del ricorso introduttivo del giudizio alla 
prolazione del decreto pretorile di fissazione dell'udienza di discussione 
-separazione non svuotata di pratico contenuto per l'impossibilit� 
di anticipare con gli strumenti interpretativi previsti nell'art. 12 

d. prel. e.e. al primo elemento della fattispecie a formazione successiva 
nella quale s'inquadra la domanda giudiziale descritta nel rito speciale 
del lavoro -vieta di addossare all'infortunato sul lavoro e all'af. 
fetto da malattia professionale i tempi della prolazione del decreto preI 


torile di fissazione dell'udienza di discussione, in difetto del quale non si 
pu� effettuare la vocatio in ius. 

I 

Niun dubbio che, se questa Corte non sancisse la parziale incostituzionalit� 
dell'art. 112 comma primo nei termini del dispositivo che va 
a dettare, il trattamento riservato agli infortunati sul lavoro e agli 
affetti da malattie professionali sarebbe in notevole grado deteriore ri


I

spetto a quello della comune dei creditori: da un lato sarebbe ad essi 

m 

I ~ 

preclusa la utilizzazione dei mezzi stragiudiziali previsti nell'art. 2943 
comma primo e quarto e.e. e dall'altro lato sarebbero astretti ad integrare 
la propria iniziativa giudiziale con la fissazione, da parte dell'ad�to 
pretore, della udienza di discussione tra la quale -dispone 
il novellato art. 415 comma quarto c.p.c. -e la notificazione del ricorso 
al convenuto � non devono decorrere pi� di sessanta giorni �. 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sez. plen., 5 giugno 
1986, nella causa 103/84 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. 
Lenz -Commissione delle C.E. (ag. Campogrande e van Rijn) c. Repubblica 
italiana (avv. Stato Ferri). 

Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Misure di effetto 
equivalente -Contributi finanziari per l'acquisto di veicoli di produzione 
nazionale. 
(Trattato CEE, artt. 30 e 36; legge 29 maggio 1982, n. 308, art. 13). 

Costituisce misura equivalente a restrizione quantitativa all'importazione, 
vietata dall'art. 30 del trattato CEE, il subordinare la concessione 
di contributi finanziari in favore di aziende municipalizzate che 
acquistino veicoli a trazione elettrica alla condizione che questi siano 
di produzione nazionale. N� tale condizione pu� ritenersi giustificata ai 
sensi dell'art. 36 del Trattato CEE, in quanto questo non si riferisce a 
provvedimenti di natura economica, quali quelli che perseguono scopi 
di politica energetica o di politica di ricerca e di sviluppo (1). 

(omissis) 1. -Co~ atto introduttivo depositato nella cancelleria 
della Corte il 13 aprile 1984, la Commissione delle Comunit� Europee 
ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso inteso a 
far dichiarare che la Repubblica italiana, esigendo che le aziende municipalizzate 
che gestiscono servizi di trasporto pubblico acquistino veicoli 
di produzione nazionale per fruire dei contributi finanziari contemplati 
dall'art. 13 della legge 29 maggio 1982, n. 308, � venuta meno 
agli obblighi impostile dall'art. 30 del Trattato CEE. 

2. -Emerge dal fascicolo che la legge 29 maggio 1982, n. 308, pubblicata 
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 154 del 7 giugno 
1982, contempla, nell'art. 13, la spesa di 6 miliardi di lire, in ra(
1) La sentenza ribadisce princ�pi consolidati nella giurisprudenza della 
Corte in materia: per le pronunzie pi� recenti si veda FIUMARA, La libera cir� 
colazione delle merci nell'ultimo quinquennio di giurisprudenza della Corte di 
giustizia delle Comunit� europee (maggio 1980-luglio 1985), in questa Rassegna, 
supra, Il, pag. 1. 

246 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

gione di 2 miliardi di lire per il 1982 e di 4 miliardi di lire per il 1983, 
per la concessione di un contributo finanziario nella misura del 20 % 
del costo del veicolo e dell'impianto di trazione elettrica alle aziende 
municipalizzate che gestiscono servizi di trasporto pubblico nei comuni 
con popolazione superiore ai 300.000 abitanti nel caso in cui dette aziende 
acquistino veicoli per uso urbano a trazione elettrica o mista fabbricati 
in Italia. 

3. -Dopo aver ricevuto un reclamo dell'� Unione Nazionale Rappresentanti 
Autoveicoli Esteri�, con sede in Roma, relativamente alla 
citata disposizione, la Commissione, con lettera 29 novembre 1982, intimava 
al Governo italiano di presentare le sue osservazioni in merito 
al provvedimento criticato. Essa riteneva infatti che la condizione alla 
quale la legge precitata subordi;nava la concessione dei contributi previsti 
contravvenisse all'art. 30 del Trattato CEE. 
4. -Il Governo italiano rispondeva, con lettera 10 febbraio 1983 
della Rappresentanza permanente d'Italia presso le Comunit� Europee, 
che la legge n. 308 perseguiva scopi in materia 9-i politica energetica 
ed in materia di ricerca e di sviluppo. La legge avrebbe avuto lo scopo 
di aiutare le aziende municipalizzate ad acquistare veicoli a basso consumo 
di energia e di orientare in tal modo i costruttori italiani verso la 
fabbricazione di veicoli di questo tipo. Inoltre, il Governo italiano negava 
che l'art. 13 della legge suddetta costituisse una misura di effetto equivalente 
ad Ul1a restrizione quantitativa, sostenendo che detto articolo 
non aveva lo scopo di realizzare il rinnovamento totale del parco dei 
veicoli di trasporto pubblico. 
5. -La Commissione, ritenendo di non poter modificare il suo punto 
di vista sulla scorta delle osservazioni presentate dal Governo italiano, 
emetteva il 2 agosto 1983 un parere motivato in cui invitava la Repubblica 
italiana ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a 
detto parere entro un mese dalla notifica dello stesso. Il parere motivato 
non riceveva risposta. Tuttavia, nel corso delle riunioni che si 
svolgevano tra le autorit� italiane ed i rappresentanti della Commissione 
nel luglio e nell'ottobre 1983, le autm�.t� italiane si .impegnavano a sopprimere 
nella normativa italiana la condizione relativa alla � nazionalit� 
� dei veicoli destinati ai trasporti pubblici. Tuttavia, la Commissione, 
non avendo ricevuto notizia alcuna della modifica formale della disposizione 
criticata, proponeva il presente ricorso. 
Sulla ricevibilit� 

6. -Secondo il Governo italiano, nella fattispecie fa difetto l'interesse 
ad agire della Commissione ed il ricorso si deve pertanto consi

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 247 

derare irricevibile. Esso sostiene che l'art. 13 della legge n. 308 aveva 
efficacia solamente temporanea e che l'autorizzazione di spesa era valida 
solo per due anni, cio� per il 1982 ed il 1983. Durante questo periodo 
nessun contributo sarebbe stato erogato, n� sarebbe possibile erogarne 
dopo la scadenza del periodo di efficacia della legge, di modo che si 
potrebbe affermare che la legge � rimasta praticamente inoperante. 
Peraltro, per il periodo successivo sarebbe stato approntato un nuovo 
disegno di legge che non contiene pi� la disposizione criticata. Si dovrebbe 
pertanto escludere che il provvedimento venga rinnovato. 

7. -La Commissione osserva come non sia assodato che l'art. 13 
della legge n. 308 abbia veramente esaurito tutti i suoi effetti. Non 
sarebbe escluso che, in base a detto articolo, possano essere ancora 
erogati contributi in relazione a domande presentate nel 1982 o nel 1983. 
8. -L'argomento del Governo italiano non pu� essere accolto. Infatti, 
occorre in primo luogo constatare che il parere motivato � stato 
emesso durante il periodo cui si riferiva l'art. 13 della legge n. 308 
e che il Governo italiano non ha adottato provvedimenti per conformarsi 
ad esso nel termine fissato. Il periodo di tempo trascorso tra la fine 
del periodo cui si riferiva detta legge ed il presente ricorso non pu� 
indurre a considerare che la Commissione non abbia pi� un interesse 
attuale a ricorrere. Come emerge dalla sentenza della Corte 7 febbraio 
1973 (causa 39/72, Commissione c. Repubblica italiana, Racc. 
pag. 101), l'oggetto del ricorso proposto a norma dell'art. 169 � determinato 
dal parere motivato della Commissione e, pure nel caso in cui 
l'inosservanza sia stata sanata dopo la scadenza del termine stabilito 
a norma del 2� comma dello stesso articolo, sussiste l'interesse alla 
prosecuzione del giudizio. 
9. -In secondo luogo, non � possibile affermare che la legge n. 308 
rester� inoperante. Il Governo italiano dichiara nelle risposte ai quesiti 
della Corte che, delle undici domande di accesso al contributo di 
cui all'art. 13 della legge n. 308 che sono state presentate, nove erano 
formulate come pure dichiarazioni di intenzione ad acquistare i veicoli, 
e non hanno avuto seguito, mentre le altre due devono essere considerate 
� archiviate � poich� non si � provveduto a completare la documentazione 
richiesta per la concessione del contributo. Tuttavia, alla 
udienza, il Governo italiano non ha potuto escludere che l'art. 13 possa 
ancora produrre effetti per quanto riguarda queste due ultime domande, 
le quali, pertanto, non si possono ancora considerare respinte. 
Di conseguenza, non si pu� concludere che la legge n. 308 non avr� 
alcun effetto e l'interesse alla declaratoria della sua incompatibilit� col 
Trattato sussiste quindi anche sotto tale profilo. Come risulta dalla 
giurisprudenza della Corte, questo interesse pu� consistere nello stabi

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 

lire il fondamento di una responsabilit� eventualmente incombente allo 
Stato membro, a causa dell'inadempimento, nei confronti, in particolare, 
di coloro che facciano valere dei diritti in conseguenza di detto ina� 
dempimento (sentenze 7 febbraio 1973, precitata, e 20 febbraio 1986, 
causa 309/84, Commissione c. Repubblica italiana, non ancora pubblicata). 

10. -L'eccezione sollevata dalla convenuta deve pertanto essere 
respinta. 
Nel merito 

11. -La Commissione sostiene che l'art. 13 della legge n. 308 deve 
essere considerato misura di effetto equivalente ad una restrizione quan� 
titativa in quanto incita all'acquisto di veicoli di produzione nazionale. 
Infatti, le aziende che gestiscono servizi di trasporto pubblico di inte� 
resse regionale potrebbero fruire del contributo solo acquistando veicoli 
fabbricati in Italia. In tal modo, i veicoli d'origine straniera sarebbero 
discriminati. Inoltre, la Commissione ricorda in questo contesto la di� 
rettiva 22 dicembre 1969, n. 70/50 (G. U. 1970, n. L 13, pag. 29), che nel� 
l'art. 2, n. 3, lett. k), qualifica misure di effetto equivalente ad una 
restrizione quantitativa le disposizioni �che impediscono l'acquisto da 
parte dei privati dei soli prodotti importati, o incitano all'acquisto dei 
soli prodotti nazionali o impong�mo tale acquisto oppure gli accordano 
una preferenza �, e, nel secondo punto del preambolo, precisa che � per 
incitamento s'intende ogni atto posto in essere da un'autorit� pubblica, 
il quale, pur non vincolando giuridicamente i destinatari, ne determina 
un dato comportamento�. 
12. -La Commissione aggiunge che la condizione cui � subordinata 
l'erogazione dei contributi non � necessaria n� allo scopo n� al fun. 
zionamento dei contributi stessi. Osserva che lo scopo consistente nella 
costituzione di un parco-veicoli a minor consumo di energia pu� essere 
raggiunto senza che sia necessario subordinare la fruizione del contri� 
buto all'acquisto di veicoli di fabbricazione nazionale. Nemmeno il se� 
condo scopo, cio� lo sviluppo della fabbricazione da parte delle case 
costruttrici italiane di veicoli a minor consumo di energia, renderebbe 
necessaria la predetta condizione. Infatti, qualora venisse offerta alle 
imprese di trasporto la possibilit� di acquistare, alle stesse condizioni 
di finanziamento, anche veicoli fabbricati in altri Stati membri, ci� non 
potrebbe che indurre i costruttori italiani a sviluppare la fabbricazione 
di veicoli in grado di competere con la produzione estera. 
13. -Durante la fase orale del procedimento il Governo italiano 
ha svolto vari argomenti a sua difesa. 
! 1 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTER."<AZIONALE 249 

14. -In primo luog�, esso sostiene che i destinatari del provvedimento 
di incentivazione costituiscono una categoria ristretta di opera� 
tori e che gli acquisti da incentivare non riguardano merci esistenti 
sul mercato, ma prodotti sperimentali. L'entit� complessiva del finanziamento 
dimostrerebbe che i contributi non mirano al rinnovamento 
del parco-veicoli delle aziende di trasporto municipalizzate, bens� alla 
realizzazione, da parte delle imprese costruttrici, su commessa delle 
aziende di trasporto, di veri e propri prototipi di veicoli. 
15. -In secondo luogo, il Governo italiano deduce che le condizioni 
cui � subordinato l'acquisto di prototipi di veicoli nazionali posseggono 
di per s� le caratteristiche oggettive di un aiuto, il che implicherebbe una 
valutazione con riguardo agli artt. 92 e 93 del Trattato e non alla luce 
dell'art. 30 del Trattato. 
16. � Infine, il Governo italiano sostiene che il precitato art. 2, 
n. 3, lett. k), della direttiva 22 dicembre 1969, invocato dalla Commissione, 
si riferisce esclusivamente ai privati ed implica che tutti gli 
operatori del mercato siano interessati. Detta disposizione non sarebbe 
quindi pertinente nella fattispecie in quanto, in primo luogo, i destinatari 
del provvedimento di cui trattasi sarebbero venti al massimo, cio� 
soltanto le aziende di trasporto pubblico urbano che esercitano la loro 
attivit� nelle citt� con popolazione superiore ai 300.000 abitanti, e, in 
secondo luogo, i prodotti interessati sarebbero prodotti sperimentali e 
non merci esistenti sul mercato. 
17. -A proposito di questi argomenti occorre osservare quanto 
segue. 
18. -Il primo argomento, che si risolve essenzialmente nel sostenere 
che il provvedimento nazionale di cui trattasi ha una portata econo� 
mica relativamente ridotta e pertanto non costituisce in realt� un ostacolo 
per la libera circolazione delle merci, non pu� essere accolto. 
Secondo la costante giurisprudenza della Corte, ogni normativa �commerciale 
degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indi� 
rettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari dev'essere 
considerata misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative. Anche 
se l'art. 13 della legge n. 308 potesse essere considerato come un 
provvedimento di importanza economica relativamente scarsa -il che 
� da escludere, dato che il contributo � concesso nella misura del 20 �0i 
del prezzo d'acquisto di un veicolo e pu� incidere sugli scambi tra gli 
Stati membri tenuto conto delle cospicue somme disponibili -occorre 
invero ricordare che, come la Corte ha affermato pi� volte, un provvedimento 
nazionale non � sottratto al divieto di cui all'art. 30 per il 
solo fatto che l'ostacolo frapposto all'importazione � di poco conto 
e che esistono altre possibilit� di smerciare i prodotti importati (sen11111111111,11111111r~:
r11Pt11111111111111111J1111�l1��1��� 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

250 

tenze 5 aprile 1984, cause riunite 177 e 178/82, van de Haar ed altri, 
Racc. pag. 1797, e 14 marzo 1985, causa 269/83, Commissione c. Repubblica 
francese, non ancora pubblicata). 

19. -Quanto a stabilire se i contributi contemplati dalla legge 
n. 308 possano eventualmente essere considerati come un aiuto ai sensi 
dell'art. 92 del Trattato, si deve rilevare, in primo luogo, che detto 
provvedimento non � stato mai notificato alla Commissione come aiuto. 
In secondo luogo, come la Corte ha sottolineato nella sentenza 7 maggio 
1985 (causa 18/84, Commissione c. Repubblica francese, non ancora 
pubblicata), l'art. 92 non pu� in nessun caso servire ad eludere le 
norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci. Emerge 
dalla costante giurisprudenza della Corte che le norme relative. alla 
libera circolazione delle merci e quelle relative agli aiuti perseguono 
uno scopo comune, quello di garantire la libera circolazione delle merci 
fra Stati membri in condizioni normali di concorrenza (sentenze 22 marzo 
1977, causa 74/76, Iai:melli & Volpi, Racc. pag. 557, e 7 maggio 1985, 
sopra citata). Pertanto, come la Corte precisa ancora in quest'ultima 
sentenza, il fatto che un provvedimento nazionale possa essere eventualmente 
qualificato aiuto ai sensi dell'art. 92 non costituisce un motivo 
sufficiente per sottrarlo al divieto di cui all'art. 30. Di conseguenza, 
l'argomento che la Repubblica italiana desume dalla normativa comunitaria 
in materia di aiuti non pu� essere accolto. 
20. -Quanto all'applicabilit� dei criteri stabiliti dalla direttiva 
n. 70/50, occorre rilevare che, come emerge gi� dalla lettera dell'art. 2, 
n. 3, della direttiva, le misure di effetto equivalente ivi elencate sono 
menzionate� con valore esemplificativo. Inoltre, la direttiva n. 70/50 deve 
essere interpretata alla luce dell'art. 30 del Trattato e non pu� essere 
invocata per eludere lo scopo enunciato da detto articolo e alla cui 
realizzazione mira anch'essa. L'argomento della Repubblica italiana fondato 
sulla direttiva 22 dicembre 1969 dev'essere pertanto disatteso. 
21. -Per quanto riguarda l'eventuale applicabilit� dell'art. 36 del 
Trattato, la Commissione osserva -e la Repubblica italiana non lo 
contesta, pur rilevando che, a suo avviso, il sistema di erogazione dei 
contributi di cui trattasi dev'essere giudicato innanzitutto con riguardo 
all'art. 92 del Trattato -che l'art. 36 non pu� essere invocato nella fattispecie 
per giustificare il criticato provvedimento mediante argomenti 
di politica energetica o di politica di ricerca e di sviluppo poich� detto 
articolo si r.iferisce a provvedimenti di natura non economica. 
22. -Su questo punto, occorre ricordare che, secondo la costante 
giurisprudenza della Corte, innanzitutto l'art. 36 del Trattato dev'essere 
interpretato restrittivamente e le eccezioni da esso enumerate non 
possono essere estese a casi diversi da quelli limitativamente contem

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 251 

plati, e, inoltre, il predetto articolo contempla ipotesi di natura non 
eoonomica (sentenze 19 dicembre 1961, causa 7 /61, Commissione c. Repubblica 
italiana, Racc. pag. 619, e 7 febbraio 1984, causa 238/82, Duphar 

c. Stato olandese, Racc. pag. 523). 
23. -Orbene, secondo le spiegazioni fornite dalla Repubblica italiana 
nel corso del procedimento dinanzi alla Corte, l'art. 13 della legge 
n. 308 persegue due scopi di natura economica, tanto in materia di politica 
energetica quanto in materia di politica di ricerca e sviluppo. Pertanto, 
l'art. 36 del Trattato non pu� trovare applicazione. 
24. -In base a quanto sopra considerato, e sulla scorta della giurisprudenza 
della Corte, in particolare della sentenza 11 dicembre 1985 
(causa 192/84, Commissione c. Repubblica ellenica, non ancora pubblicata), 
il provvedimento italiano di cui trattasi, poich� incita all'acquisto 
di veicoli di produzione nazionale, dev'essere qualificato misura 
di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa vietata dall'art. 30 
del Trattato. 
25. -Si deve pertanto constatare che la Repubblica italiana, esigendo 
che le aziende municipalizzate che gestiscono servizi di trasporto 
pubblico acquistino veicoli di produzione nazionale per fruire dei contributi 
finanziari contemplati dall'art. 13 della legge 29 maggio 1982, n. 308, 
� venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 30 del Trattato CEE. 
(omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sez. III, 12 giugno 
1986, nelle cause riunite 98, 162 e 258/85 -Pres. Everling -Avv. 
Gen. Mischo -Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Pretore 
di Roma nelle cause M. Bertini ed altri. c. Regione Lazio e Unit� 
sanitarie locali R.M. � 30 ed altre -Interv.: Governi italiano (av. Stato 
Conti) e belga (avv. Herbert) e Commissione della C.E. (ag. Berardis 
e Pieri). 

Comwtit� europee -Libera circolazione dei lavoratori -Medici -Numero 
chiuso nelle facolt� di medicina. 
(Trattato CEE, artt. 3 e 57). 

Nessuna norma del diritto comunitario impone .agli Stati membri 
l'obbligo di limitare il numero degli studenti ammessi alle facolt� di 
medicina mediante l'istituzione del sistema del numero chiuso (1). 

(1) L'art. 177 del Trattato affida alla Corte il compito, non di esprimere 
semplici pareri su questioni generali o ipotetiche, ma di contribuire alla 
amministrazione della giustizia negli Stati membri, risolvendo problemi di 

252 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) 1. -Con tre ordinanze, in data 2 aprile, 9 maggio e 
13 giugno 1985, pervenute in cancelleria rispettivamente il 16 aprile, il 
29 maggio e il 20 agosto 1985, il Pretore di Roma ha sottoposto a questa 
Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiu


diziale vertente sull'interpretazione degli artt. 3, lett. e), e 57, n. 3, del 
Trattato CEE, nonch� delle direttive comunitarie sulla libera circolazione 
dei medici, al fine di stabilire se dette norme impongano agli Stati 
membri l'obbligo di limitare il numero degli studenti ammessi alle 
facolt� di medicina tramite l'adozione del sistema del numero chiuso. 

2. -Detta questione � stata sollevata nell'ambito di controversie 
tra alcuni medici, che hanno lavo:rato per pi� anni in qualit� di medici 
convenzionati nel servizio di guardia medica, ed i loro datori di lavoro, 
cio� la Regione Lazio e varie Unit� Sanitarie Locali. Le controversie 
vertono sulla risoluzione dei contratti di lavoro di detti medici. 
3. -Il Pretore di Roma ha provvisoriamente sospeso le decisioni di 
risoluzione dei contratti adottate nei confronti dei medici ricorrenti nella 
causa principale, nell'attesa che la Corte si pronunzi sulla seguente 
questione sottopostale: � 
�Se l'art. 3, lett. c), e l'art 57, n. 3, del Trattato di Roma istitutivo 
della Comunit� Economica Europea comportino per tutti gli Stati mem 

diritto comunitario effettivamente e necessariamente pregiudiziali alla definizione 
di una concreta controversia. �, quindi, indispensabile che il giudice 
nazionale, al fine di consentire alla Corte di verificare la propria competenza 
e di evitare ogni indebita utilizzazione del procedimento ex art. 177 a fini 
diversi da quelli che gli sono propri, chiarisca adeguatamente i motivi per 
i quali ritiene necessaria alla definizione della controversia la soluzione della 

questione proposta. Cfr., in particolare::, la sentenza 16 dicembre 1981, nella 
causa 244/80, FOGLIA c. NOVELLO, citata nella motivazione della sentenza annotata, 
e pubblicata in questa Rassegna, 1982, I, 61; nonch� le sentenze 11 marzo 
1980, nella causa 104/79, FOGLIA c. NOVELLO, ibidem, 1980, I, 521, con nota di 
MARZANO, L'art. 177 del trattato CEE e la �competenza� della Corte di giustizia 
della C.E., e 16 giugno .1981, nella causa 126/80, SOLONIA, in Racc., 1981, 1563. 

Orbene, nel caso di specie, nessun chiarimento era stato fornito dal Pretore 
di Roma circa i motivi che avrebbero reso necessaria la soluzione del 
quesito proposto. N�, certo, tali motivi risultavano per implicito dal contesto 
dell'ordinanza, ch� anzi, al contrario, risultava evidente l'assenza di qualunque 
relazione fra la pronuncia richiesta (sulle condizioni di accesso alle 
facolt� mediche) e il vero oggetto della causa principale (concernente medici 
gi� abilitati all'esercizio della professione). 

La Corte ha ritenuto, cionondimeno, ricevibile la domanda . pregiudiziale 
per ragioni di economia processuale, non mancando per� di sottolineare l'incongruit� 
della motivazione e le perplessit� sulla pertinenza, rispetto alla causa 
principale, dei quesiti posti nell'ordinanza di rinvio. 

Quanto al merito, la Corte ha affermato -nel senso proposto dai Gover1.1i 
intervenuti e dalla Commissione -che nessuna norma o principio di diritto 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E IN�'ERNAZIONALE 253 

bri l'obbligo cli predeterminare condizioni di accesso agli studi universitari 
cli meclieina che garantiscano: 

-un livello di formazione corrispondente ai criteri di qualit� fissati 
dalle Direttive Comunitarie ed a quelli indicati dal Comitato consultivo 
per la formazione professionale; 

-il corretto svolgimento dell'esercizio professionale nell'ambito 
delle regole della deontologia a garanzia delle quali � necessario che i 
medici disponibili siano adeguati al fabbisogno. 

Se, in particolare, la Corte di giustizia ritenga conforme e compatibile 
con le clausole e gli obiettivi del Trattato di Roma e delle Direttive 
Comunitarie sulla libera circolazione dei medici l'assenza di qualsiasi 
predeterminazione o programmazione del numero degli studenti 
ammissibili alle Facolt� di Medicina rispetto alle capacit� didattiche delle 
Facolt� medesime. 

Se pertanto la generalizzazione a tutti i Paesi membri del numero 
programmato -gi� esistente in 8 su 10 Paesi membri -non costituisca 
una misura indispensabile e quindi un obbligo degli Stati membri per 
l'applicazione del Trattato e delle Direttive per la libera circolazione �. 

comunitario impone agli Stati membri di limitare il numero degli studenti 
ammessi alla facolt� di medicina mediante l'istituzione del sistema del numerus 
clausus. 

Invero -era stato puntualizzato nelle osservazioni scritte presentate 
<lal Governo italiano alla Corte -l'art. 3, lett. e) del Trattato CEE pone alla 
Comunit� l'obiettivo della eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione 
delle persone e dei servizi. Tra tali ostacoli non pu� certo annoverarsi la 
libert� di accesso ai vari corsi di formazione professionale. 

L'art. 57, d'altra parte, allo scopo di attuare il principio fissato dall'art. 3, 
lett. e), prevede il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri 
titoli, nonch� il coordinamento delle disposizioni relative all'accesso alle attivit� 
non salariate e all'esercizio di queste (par. 1 e 2). Aggiunge, poi, al paragrafo 
3, che � per quanto riguarda le professioni mediche, paramediche e farmaceutiche, 
la graduale soppressione delle restrizioni sar� subordinata al 
coordinamento delle condizioni richieste per il loro esercizio nei singoli Stati 
membri �. � chiaro, quindi, che l'art. 57 non pone direttamente alcuna norma 
e principio rilevante in tema di accesso alle facolt� mediche. Esso si limita 
a richiedere il coordinamento delle condizioni richieste per l'esercizio, tra 
l'altro, della professione di medico, ma � evidente che da ci� non potrebbe 
desumersi alcun vincolo per gli Stati membri in materia di ordinamento e 
disciplina degli studi univ~rsitari. 

Quanto, poi, alle direttive adottate in materia dal Consiglio, il loro esame 

conferma l'assenza di qualunque disposizione concernente le condizioni di 

accesso ai corsi universitari di medicina. 

La direttiva del 16 giugno 1975, n. 75/363/CEE (in G. U. C. E. n. L 167 del 

30 giugno 1975, pag. 14) attua il coordinamento delle disposizioni concernenti 



RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO

254 

4. -Emerge dal fascicolo che le cause principali si collocano in un 
contesto generale caratterizzato, da un lato, dal numero elevato in Italia 
di giovani medici in cerca di lavoro e dalle possibilit� limitate, per 
loro, di esercitare la professione e, dall'altro, dall'assenza di una limitazione 
del numero degli studenti di medicina ammessi alle universit� 
italiane. 
5. -L'Unit� Sanitaria Locale RM (Roma) 11, i Governi italiano e 
belga e la Commissione hanno formulato dubbi sulla competenza di 
questa Corte a risolvere la questione sottopostale, richiamandosi alla 
sentenza 16 dicembre 1981 (causa 244/80, Fog1ia c. Novello, Racc. pag. 3045). 
Essi hanno sostenuto che le condizioni di accesso degli studenti alle facolt� 
di medicina non possono, sotto alcun profilo, essere pertinenti alle 
cause principali che vertono sui rapporti contrattuali tra taluni medici 
ed i loro datori di lavoro. A loro avviso, non si pu� ammettere che 
la Corte sia chiamata a pronunziarsi su questioni puramente ipotetiche 
per le quali la causa principale costituisce unicamente un artificioso 
pretesto. 
6. -A questo proposito occorre innanzitutto ricordare che, com'� 
stato dichiarato nella menzionata sentenza 16 dicembre 1981, al fine 
di consentire alla Corte di espletare la sua funzione in conformit� al 
Trattato, � indispensabile che i giudici nazionali chiariscano, nel caso 
in cui non� risultino inequivocabilmente dal fascicolo, . i motivi per i quali 
le attivit� di medico. :t> particolarmente significativo il primo � considerando � 
delle premesse, nel quale si legge che � l'analogia delle formazioni negli 
Stati membri consente di limitare il coordinamento in questo campo all'esigenza 
dell'osservanza di norme minime, lasciando, per �il resto, agli Stati membri 
la libert� di organizzare il proprio insl!gnamento �. Coerentemente con 
tale indirizzo, la direttiva si limita a richiedere elle l'accesso alle attivit� 
di medico e l'esercizio di dette attivit� sia subordinato al possesso di un 
diploma, certificato o altro titolo comprovante l'acquisizione di adeguate conoscenze 
ed esperienze (art. 1, par. 11); che il ciclo di formazione medica abbia 
una durata minima di sei anni (art. 1, par. 2); che la ammissione a detto 
ciclo sia subordinata al possesso di un diploma o certificato che dia accesso 
agli istituti universitari (art. 1, par. 3). Nessun cenno viene, invece, fatto a 
limiti numerici per l'ammissione al ciclo. Altre disposizioni, poi, riguardano 
la formazione dei medici specialisti, e anch'esse non contemplano in alcun 
modo la fissazione di limiti numerici per l'ammissione ai corsi. 

N� a diverse conclusioni pu� portare l'esame della direttiva del 16 giugno 
1975, n. 75/362/CEE, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi (in 

G. U. C. E. n. L 167 del 3 giugno 1975, pag. 1). Essa, infatti, concerne esclusivamente 
coloro che gi� abbiano conseguito l'abilitazione all'esercizio della 
professione medica e dalle sue disposizioni nessun vincolo pu� derivare rispetto 
ad esigenze ed opportunit� del tutto diverse, qual'� quella prospettata 
nell'ordinanza del Pretore di Roma. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

essi ritengono necessaria alla definizione della controversia la soluzione 
delle questioni da loro proposte. 

7. -� pertanto spiacevole che il giudice nazionale non abbia motivato 
affatto le sue ordinanze di rinvio, tanto pi� che n� i fascicoli n6 
gli antefatti delle oause consentono. di comprendere l'utilit� delle questioni 
per le sentenze che esso deve emettere. Tuttavia, la Corte ritiene 
che, nelle circostanze del caso di specie, sarebbe contrario all'economia 
processuale non rispondere, per questa sola ragione, alle questioni sollevate 
dal giudice nazionale. 
8. -Inoltre, secondo la costante giurisprudenza della Corte, confermata 
dalla citata sentenza 16 dicembre 1981, � compito del giudice nazionale 
valutare, alla luce dei fatti di causa, la necessit� di far risolvere 
una questione pregiudiziale ai fini della decisione finale della controversia. 
Siffatta valutazione deve essere rispettata anche se, come nella 
fattispecie, � difficile vedere come le soluzioni chieste alla Corte pos� 
sano influire sulla decisione delle cause principali. Infine, nulla attesta 
che dette cause abbiano la natura di uno schema processuale preco 
stituito. 
9. -Quanto al merito delle questioni sollevate dal giudice nazionale, 
i medici ricorrenti nelle cause principali sostengono che l'instaurazione 
della libera circolazione per i medici comporta la necessit� di 
garantire in tutti gli Stati membri una formazione medica di un determinato 
livello qualitativo e di evitare le discriminazioni e le distorsioni 
che deriverebbero da una migrazione artificiosa di studenti e di medici. 
A tale scopo, l'adozione del numero chiuso per l'accesso alle facolt� di 
medicina, come esistente in quasi tutti gli Stati membri, sarebbe indispensabile. 
10. -I Governi italiano e belga e 1a Commissione sottolineano che 
nella normativa comunitaria in materia non esiste alcuna disposizione 
relativa alla limitazione dell'accesso alle facolt� �di medicina e che gli 
Stati membri sono liberi di disciplinare detto accesso nell'ambito delle 
proprie competenze. L'assenza di limitazione del numero degli studenti 
ammessi alle universit� non potrebbe ostacolare la libera circolazione 
dei medici. 
11. -A questo proposito, � sufficiente rilevare che n� l'art. 3, lett. e), 
n� l'art. 57, n. 3, del Trattato CEE cui si richiama il giudice nazionale 
obbligano gli Stati membri a modificare le normative vigenti nel loro 
ternitorio per i propri cittadini per quanto attiene all'esercizio delle 
professioni mediche o alla formazione che vi d� accesso. Obblighi in 
questo senso potrebbero derivare unicamente da direttive adottate dal 

256 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLW STATO 

Consiglio e intese a coordinare le normative nazionali in materia. 
Orbene, nessuna norma emanata a tale scopo dal Consiglio riguarda la 
limitazione del numero di studenti ammessi alle facolt� di medicina 

12. -Occorre pertanto rispondere alla questione sollevata dal Pretore 
di Roma nel senso che nessuna norma del diritto comunitario 
impone agli Stati membri l'obbligo di limitare il numero degli studenti 
ammessi alle facolt� di medicina mediante l'istituzione del sistema del 
numero chiuso. 
Sulle spese 

13. -Le spese sostenute dai Governi della Repubblica � italiana e 
del Regno del Belgio, nonch� dalla Commissione delle Comunit� Europee, 
che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo 
a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente 
procedimento ha il carattere di un incidente sollevato dinanzi al giudice 
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. (omissis} 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 giugno 1986, n. 4275 -Pres. Brancaccio 
-Rel. Caturani -P. M. Minetti -Soc. Victoria Caff� (avv. Lucisano 
e Esposito) c. Min. Commercio Estero, Finanze, Bilancio e 
programmazione economica e Tesoro (avv. Stato Vittoria). 

Giurisdizione civile � Sentenza amministrativa declinatoria della giurisdizione 
� Vincolativit� nel successivo processo instaurato innanzi 
al giudice ordinario -Esclusione. 

Cambio e valuta -Importazioni -Previo deposito vincolato infruttifero Potere 
della p.a. -Decreto ministeriale -Natura -Impugnabilit� Giurisdizione 
amministrativa. 

La pronuncia, con la quale il giudice amministrativo abbia declinato 
la propria giurisdizione, non vincola il giudice ordinario, nel caso 
in cui la stessa controversia sia successivamente proposta davanti a lui. 
N� lo stesso giudice ordinario pu� vincolare, dichiarando il proprio difetto 
di giurisdizione, il giudice amministrativo successivamente adito 
dalle stesse parti per la decisione della stessa controversia (1). 

Nella materia del commercio con l'estero, il potere dell'autorit� amministrativa 
di porre a carico degli operatori economici un deposito 
vincolato infruttifero, in percentuale del valore di merci importate, � 
posto a tutela di esigenze generali di carattere economico, politico-sociale 
e valutario; quindi, non � configurabile, in tal caso, l'imposizione 
di una prestazione patrimoniale, coperta da riserva di legge ex art. 23 
Cost. (2), 

Il decreto ministeriale, con cui viene introdotto l'obbligo di previo 
deposito vincolato infruttifero, costituisce atto di esercizio di potest� 
amministrativa discrezionale e, nel caso vi sia su di esso controversia 
tra le parti, la giurisdizione � del giudice amministrativo (3). 

(1) In tema di efficacia delle pronunce dei giudici di merito sulla giurisdizione, 
vedi, oltre le sentenze richiamate in motivazione, in senso conforme 
alla sentenza in esame, Cass. 30 maggio 1958 n. 1820; Cass. 115 marzo 1960 
n. 527; Cass. 2 maggio 1983 n. 3006, in Foro it. 1983, I, 1852 e, da ultimo, 
Cass., Sez. Un., 23 ottobre 1986 n. 6221, in Foro it. 1986, I, 3008, con nota di 
richiami e osservazioni di A. PROTO PISANI. 
(2-3) La Suprema Corte, con i princ�pi enunciati, ha ribadito la propria 
puntuale, seppur non recente giurisprudenza: vedi Cass., Sez. Un., 5 maggio 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Con i primi due motivi, denunziando violazione delle norme 
sul giudicato (art. 2909 e art. 324 c.p.c.) in relazione all'art. 360 n. 3 
c.p.c., il ricorrente si duole che la Corte d'appello di Napoli, avendo 
deciso che la controversia de qua non rientra nella giurisdizione del giudice 
ordinario, non abbia tenuto presente che -avendo il TAR del 
Lazio con decisione 2 febbraio 1976, declinato la propria giurisdizione 
sul rilievo che il decreto ministeriale 2 maggio 1974 fu emesso in 
carenza di potere e quindi in violazione di diritti soggettivi -la statuizione 
relativa al difetto di giurisdizione del giudice ordinario era preclusa 
dal giudicato ormai formatosi sia sulla giurisdizione dell'a.g.o. che sul 
merito della controversia. 

Le riassunte censure non sono fondate. 

Le sezioni unite hanno gi� avuto occasione di precisare che ove 
il giudice amministrativo abbia declinato la giurisdizione, la relativa pronuncia 
non vincola il giudice ordinario ove la stessa controversia sia poi 
proposta davanti a lui (sent. nn. 284/65; 2930/62); n� inversamente il 
giudice ordinario dichiarando il proprio difetto di giurisdizione pu� vinr: 
colare con una pronuncia in funzione meramente processuale il giudice 
amministrativo successivamente adito dalle stesse parti per la decisione 1 
della stessa controversia (sent. nn. 527/60; 1820/58); deve, pertanto, ~ 

I ~

escludersi che nel caso in esame il giudice ordinario successivamente 

adito dalla parte privata in seguito alla pronuncia declinatoria della 

I ~

giurisdizione da parte del giudice amministrativo trovasse alcun ostacolo 
ad esaminare la questione di giurisdizione nella precedente pronuncia 
del T.A.R. del Lazio. Anzi pu� osservarsi che in seguito alle difformi 
pronunce del giudice ordinario e del giudice amministrativo, si sono 
precostituite le premesse della denunzia del conflitto negativo di giuri� 

I 

sdizione, prevista dall'art. 362 comma 2 n. 1 c.p.c. (sent. 2287/82; 4097/79; 

I

350/78). ff 
Con il terzo, il quarto ed il quinto motivo, denunziando violazione r

'i 

dell'art. 23 della Costituzione, del decreto luogotenenziale 16 gennaio 1946 

i 

n. 12, della legge 22 luglio 1952 n. 1126 si sostiene che la Corte d'appello, i 
I I

incorrendo anche in difetto di motivazione circa un punto decisivo della 
controversia, � caduta in errore di diritto allorch� ha negato che la 
controversia insorta tra le parti involgesse la tutela di diritti soggettivi 
pur trattandosi di provvedimento negativo di prestazioni patrimoniali, 
senza tener presente che la legge n. 1126/52 stabilisce i limiti entro i 
quali l'amministrazione pu� imporre all'importatore degli oneri econo-

I 

! i

1962 n. 902, in Foro it. 1962, I, 896; Cass., Sez. Un., 8 febbraio 1966 n. 406, in 

Foro it. 1966, I, 1969. I 

In materia, vedi poi l'importante sentenza 5 febbraio 1986 n. 34 della 

f 

Corte Costituzionale, in Foro it. 1986, I, 608. i 

I

I

i 

I 

I 


�PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONI! 259 

miei che non possono essere separati senza una specifica disposizione 
legislativa. 
Le suddette censure sono infondate in base alle seguenti considerazioni. 


Deve anzitutto escludersi che la impugnata sentenza possa essere 
sottoposta a critica in questa sede sotto il profilo del difetto di motivazione, 
il quale, com'� noto, pu� farsi valere, ai sensi dell'art. 360 n. 5 
c.p.c., come mezzo per la cassazione della pronuncia che si impugna 
solo per quanto attiene all'accertamento ed alla valutazione dei fatti 
rilevanti per la decisione e non anche per quanto riguarda l'interpretazione 
e l'applicazione di norme di diritto e la soluzione di questioni 
giuridiche, rispetto alle quali il sindacato di legittimit� si esaurisce nel 
controllo della conformit� al diritto della decisione impugnata. 

Ci� premesso, non si contesta dalla ricorrente che, in linea di 
principio, le norme relative all'intervento dello Stato negli scambi privati 
con l'estero, le quali fissano i criteri e le modalit� dell'intervento, 
non sono poste a protezione diretta e immediata degli operatori nell'intercambio 
ma nell'interesse generale, per esigenze prevalentemente valutarie 
dell'economia nazionale mediante il controllo degli scambi che si 
attua in forme varie attraverso compensazioni private, scambi bilanciati, 
affari di reciprocit�, compensazioni generali (alearing) e scambi compensati, 
onde evitare fuoruscita di valuta pregiata a saldo delle bilance 
commerciali e assicurare sufficienza di mezzi di pagamento in divise 
estere a profitto di altre scelte economiche ritenute essenziali e urgenti. 
L'operatore pu� pertanto, da tali norme trarre solo una protezione indiretta 
e occasionale che si configura come interesse legittimo (sentenze 
nn. 902/62; 406/66; 84/68 di cui le prime due rese a Sezioni unite). 

Si afferma tuttavia dalla ricorrente, riecheggiando una tesi gi� sostenuta 
senza successo in sede di merito, che il decreto, emanato il 2 maggio 
1974 dal ministro per il commercio con l'estero, di concerto con i 
ministri per le finanze, per il bilancio e la programmazione economica 
e per il tesoro, con il quale fu istituito l'obbligo del previo deposito 
vincolato infruttifero per il periodo di 180 giorni presso la Banca d'Italia 
di somme pari al SO per cento del valore CIF delle merci importate 
a carico degli operatori economici, � stato emesso in carenza 
assoluta di potere; quindi deve essere ritenuto lesivo di un diritto 
soggettivo e come tale va disapplicato dal giudice ordinario. 

Nella divergenza delle soluzioni che al problema suddetto si � dato 
in sede di merito (atto emesso in carenza assoluta di potere, per il 
giudice amministrativo; atto emesso nell'esercizio di un potere, per il 
giudice ordinario), le Sezioni unite, nel comporre il conseguente conflitto 
negativo reale di giurisdizione, esprimono il giudizio che ha colto 
con esattezza il decisum la pronunzia della Corte d'appello allorch� ha 
escluso che il provvedimento de quo sia stato emesso dal Ministro del 


260 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

commercio con l'estero in carenza assoluta di potere, difformemente 
dal giudizio espresso al riguardo dal T.A.R. del Lazio. 

La relativa statuizione deve essere tuttavia confermata in questa 
sede in base ad una serie di considerazioni che non sono coincidenti 
con l'iter logico seguito dalla Corte d'appello. 

Deve in primo luogo convenirsi con le valutazioni dei giudici del 
merito allorch� hanno escluso che il decreto ministeriale di cui si 
discute possa ricomprendersi tra gli atti politici ai sensi dell'art. 31 del 

T.U. 26 giugno 1924 n. 1054 e come tale non sarebbe suscettibile di 
sindacato in sede giurisdizionale. Il provvedimento in questione, pur 
incidendo, come si vedr�, su molteplici interessi di carattere pubblico 
non attiene, invero alla tutela dell'interesse complessivo dello Stato nella 
sua unit�, ma riguarda in modo specifico il settore del commercio con 
l'estero (cfr. sulla rtozione di atto politico le sentenze delle Sezioni 
unite nn. 3608/84; 7072/83). 
Escluso che si tratti� di atto politico, prima di porsi nella logica 
della impugnata sentenza che, pur riconoscendo che il deposito previo 
rientr.i tra le prestazioni imposte ex art. 23 Cost. ed � quindi rientrante 
nella riserva di legge ivi prevista, ha affermato che il decreto ministeriale 
de quo, imponendo il previo deposito all'importazione di talune 
merci tra cui il caff�, non ha sconfinato dall'ambito dei poteri che 
all'autorit� amministrativa sono stati attribuiti dalle leggi in materia, 
� necessario pregiudizialmente stabilire se in realt� possa ritenersi conforme 
al sistema giuridico, il principio, implicitamente accolto dalla 
Corte d'appello, secondo cui il deposito previo di cui al decreto ministeriale 
2 maggio 1974 rientra nella nozione di �prestazione patrimoniale 
imposta � ex art. 23 Cost. ed in quanto tale � coperto da riserva 
di legge. 

Vero � che la giurisprudenza della Corte costituzionale, in r�ferimento 
all'art. 23 Costituzione, adotta una interpretazione estensiva alla 
cui stregua si afferma che la norma si riferisce non soltanto alle imposte 
e alle tasse in� senso proprio, ma anche alle altre prestazioni 
obbligatorie istituite da un atto della pubblica autorit�. Si � pertanto 
ritenuto che ricadono sotto il vigore dell'art. 23 il cosiddetto �diritto 
di contratto � a favore dell'Ente risi (sent. n. 4 del 1957); le tasse di 
occupazione di suolo pubblico (sent. n. 2 del 1962); i contributi a favore 
dei consorzi di bonifica sotto il profilo che l'obbligo del contributo 
deriva dalla legge e non da un impegno di carattere contrattuale associativo 
assunto dai proprietari interessati alla bonifica (sent. n. 55 del 
1963); la determinazione delle tariffe telefoniche (sent. n. 72 del 1969), 
sul riflesso che se l'obbligo di pagare il corrispettivo del servizio presuppone 
la volont� dell'utente che stipuli il relativo contratto, tale cir-� 
costanza non giuoca, dal punto di vista in esame, un ruolo determinante, 
trattandosi di una libert� meramente formale. 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 261 

Tuttavia, lo spunto per escludere che il previo deposito alla importazione 
rientri nella nozione di � prestazione imposta � ex art. 23 Cost. 
si rinviene proprio in una successiva sentenza della Corte costituzionale, 
la 19 giugno 1973 n. 86, allorch� nel porsi il problema della legittimit� 
dell'art. 11 d.l. n. 1351/64 conv. in 1. n. 28/65, in materia dj 
depositi cauzionali alla importazione, in riferimento all'art. 23 Cost., ha 
mostrato di non ritenere affatto pacifica la inclusione della cauzione 
nell'area dell'art. 23 e non ha affrontato il relativo problema soltanto 
perch� -come ha rilevato nella motivazione -anche a voler ritenere 
che la cauzione di che trattasi rientri tra le prestazioni imposte, la 
questione di costituzionalit� non appariva fondata, per avere in quella 
circostanza la legge primaria, anche se integrata dai regolamenti comunitari, 
comunque compiutamente disciplinato il potere amministrativo. 

Sviluppando lo spunto contenuto nella menzionata sentenza, va considerato 
che la tutela di carattere costituzionale che l'art. 23 ha inteso 
garantire 1alla sfera giuridica individuale nei confronti dell'esercizio dei 
pubblici poteri trova i limiti della sua estensione nel suo stesso fondamento 
giuridico, il quale se � molto ampio non pu� estendersi fino 
a negare spazio ad attivit� pubbliche previste dalla legislazione primaria, 
non dirette per la stessa conformazione giuridica ad imporre 
alcunch� alla parte privata, ma volte invece a realizzare scopi di interesse 
pubblico che per essere perseguiti non possono eventualmente 
prescindere da un dato onere economico per l'amministrato. 

Ora il decreto luogotenenziale 16 gennaio 1946 n. 12 attribuisce al 
Ministro del commercio con l'estero poteri molto ampi per quanto 
concerne: 

a) il coordinamento, la esecuzione dei programmi di importazione 
e di esportazione e la disciplina delle operazioni relative (art. 1 lett. a); 

b) la disciplina dei movimenti valutari concernenti le importazioni 
e le esportazioni di merci (art. 1 lett. b). Questi poteri non sono limitati, 
come afferma la ricorrente, dal fatto che la successiva legge 23 luglio 
1~52 n. 1126 abbia specificamente previsto la cauzione alla importazione 
per i pagamenti anticipati di merce importata. La norma, invero, 
ha una sua logica nel quadro della finalit� preventiva che ha voluto 
conseguire per quanto concerne l'effettivo utilizzo delle somme anticipate 
per il pagamento del prezzo della merce importata. Essa comunque 
non pu� di per s� costituire impedimento alcuno ad intendere la 
legge generale anzidetta secondo il suo contenuto molto ampio, specie 
ove la relativa disciplina la si coordini con il d.l. 6 giugno 1956 n. 476 
conv. in 1. 25 luglio 1956 n. 786, che attribuisce allo stesso Ministro il 
potere amplissii:.o di concedere (e quindi negare) le autorizzazioni per 
le esportazioni e le imp�rtazioni di merci a fini valutari. 


262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Trattasi di un potere amministrativo di ampissime proporzioni il cui 
esercizio d� vita a provvedimenti nei quali confluiscono molteplici interessi 
pubblici di carattere economico, politico, sociale e valutario, tutti 
di primaria importanza per il regolare assetto della vita collettiva del 
Paese�. 

L'attribuzione di poteri molto ampi alla autorit� amministrativa nel 
settore del commercio con l'estero � d'altra parte coerente con la particolare 
delicatezza dei compiti che il potere esecutivo svolge in materia: 
spesso si tratta di far fronte con atti di normazione secondaria a situazioni 
le pi� diverse, difficilmente prevedibili tutte con atti di legislazione 
primaria. Ed � proprio nel provvedere alle concrete esigenze che 
il commercio con l'estero richiede, che non pu� escludersi a priori la 
possibilit� che la manovra economica, ritenuta utile e necessaria nell'interesse 
generale, presenti un aspetto di carattere pecuniario nel senso 
che l'amministrato, per condurre a termine la operazione programmata, 
� soggetto ad un determinato onere economico, che� vale come limite 
all'iniziativa economica privata per l'utilit� sociale (art. 41 comma 2 Cost.). 
Se la p.a. in materia di commercio con l'estero, ove le condizioni del 
mercato lo impongono, ha il potere di negare la importazione di date 
merci a fini di garanzia valutaria (art. 2 del d.l. n. 476 del 1956), � perfettamente 
logico e coerente interpretare la legge nel senso che la 
manovra economica pu� svolgersi anche in un senso meno gravoso per 
l'amministrato, concedendogli cio� la possibilit� di importare la merce 
prescelta, sottoponendosi ad un determinato onere economico, di norma 
di entit� molto modesta, come � accaduto nel caso del decreto ministeriale 
2 maggio 1974 (il deposito va infatti restituito all'importatore 
dopo 180 giorni). 

Deve, pertanto, affermarsi che, ai fini della ricorrenza della riserva 
di legge di cui all'art. 23 Cost. � necessario che sussista un atto di 

I

imposizione, vale a dire un atto della pubblica autorit� che sia emanato 
per prelevare unilateralmente dal patrimonio del singolo una certa 
quantit� di ricchezza e trasferirla cos� alla mano pubblica: di fronte 
ad un atto del soggetto pubblico che pretende come finalit� propria 
della sua emanazione di imporre al destinatario una prestazione pa


I 

trimoniale, si comprende l'esigenza insopprimibile che sia l'atto di legi! 
slazione primaria a dettare e precisare l'an e (in alcuni limiti) anche il ! 
quantum del dovuto. 

Il fondamento giuridico dell"art. 23� -come si diceva all'inizio 

I 

della esposizione -non pu� tuttavia ritenersi senza limiti; esso neI 
cessariamente deve cadere nelle fattispecie in cui per superiori esigenze � 
di carattere politico-valutario il legislatore non � in grado di intervenire 

I ' 

tempestivamente con norme generali e astratte, ma molto � rimesso 
alla sensibilit� dell'organo amministrativo agente (al vertice del potere I 
esecutivo), onde la necessit� logico-giuridica che nell'ampiezza delle attri


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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

buzioni che la legge gli conferisce rientrino altres� le misure economiche 
ritenute necessarie per orientare in un certo senso il mercato degli 
scambi con l'estero. 

Si tratta invero -per quanto concerne il deposito previo -di una 
restrizione di natura commerciale avente non gi� la finalit� di far 
affluire, sia pure temporaneamente, nelle casse dello Stato date somme 
di danaro, ma di porre un freno alle importazioni ed al loro aumento 
indiscriminato a tutela di complesse esigenze economiche, politiche e 
valutarie del Paese. 

D'altra parte, anche per quanto concerne il profilo dell'onere economico 
per l'importatore, il provvedimento non si .sottrae al controllo 
del giudice amministrativo ove non si adegui ai canoni della logicit� e 
della coerenza che devono sempre caratterizzare l'azione amministrativa 
in special modo quando l'atto della pubblica autorit� incide per le sue 
finalit� sul patrimoni� dell'amministrato. 

� significativo, infine, per i fini considerati nel presente giudizio, che 
il decreto ministeriale in questione, adottato in un primo tempo in base 
all'art. 109 del trattato di Roma, � stato portato all'esame degli organi 
della e.E.E. e la Commissione, con decisione dell'S maggio 1974, ha autorizzato 
lo Stato italiano ad adottare la accennata misura di salvaguardia 
al fine di riequilibrare i nostri conti con l'estero e di ridurre le importazioni. 
Alla stregua di quanto precede, deve quindi concludersi nel 
senso che il decreto ministeriale di cui si contende inipinge in materie 
(quella del commercio con l'estero intimamente connessa con quella valutaria) 
nelle quali amplissimi sono i poteri devoluti all'autorit� amministrativa 
in forza del decreto luogotenenziale n. 12 del 1946 e del 

d.l. n. 476 del 1956, e tra questi poteri rientra la misura di salvaguardia 
consistente nel previo deposito temporaneo alla importazione. 
Il decreto ministeriale 2 maggio 1974 � stato pertanto emanato nell'esercizio 
di un potere. che la legge attribuisce alla autorit� amministrativa 
onde la controversia insorta tra le parti rientra nella giurisdizione 
del giudice amministrativo, come rettamente ritenuto dalla impugnata 
sentenza. 


SEZIONE QUARTA 
GIURISPRUDENZA CIVILE 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 giugno 1986, n. 4104 -Pres. Bologna 
� Rel. Di Salvo � P. M. Minetti (conf.) -Finanze (avv. Stato Laporta) 
c. Fallimento Marazzi. 
Tributi erariali indiretti -Pene pecuniarie -Fallimento -Infrazioni com� 
messe anteriormente alla sentenza di fallimento -Provvedimento 
sanzionatorio successivo -Ammissibilit� al passivo fallimentare Sussiste. 


(L. 7 gennaio 1929 n. 4, art. 3; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 21 e 41). 
Il provvedimento con il quale l'Amministrazione finanziaria irroga 
la sanzione pecuniaria per violazioni alla legge sull'IVA (d.P.R. 26 otto� 
bre 1972 n. 633) ha natura dichiarativa e non costitutiva in quanto con 
esso la P.A. si limita ad evidenziare l'esistenza di presupposti gi� verificatisi 
e non esercita alcun potere discrezionale. Ne consegue che i cre� 
diti tributari per pene pecuniarie accertati successivamente alla dichia� 
razione di fallimento, ma per fatti commessi anteriormente alla stessa, 
possono essere ammessi al passivo fallimentare (1). 

Con l'unico motivo del ricorso l'Amministrazione delle finanze dello 
Stato denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della 1. n. 4 
del 1929, nonch� degli artt. 21 ss., in relazione agli artt. 41 ss. del d.P.R. 

n. 633 del 1972. Rileva che l'obbligazione di pagare allo Stato una somma 
a titolo di pena pecuniaria sorge, a carico del trasgressore, per effetto 
dell'infrazione e nel momento in cui questa � commessa e che, correla(
1) In senso conforme e relativamente a pene pecumane relative a tributi 
IV A Cass. 13 settembre 1983 n. 5552 citata in motivazione in questa Rassegna 
1983, I, 949, nonch� Cass. 29 maggio 1984 n. 3237 e Cass. 19 marzo 1984 n. 1867. 
La sentenza risulta pubblicata altres� su Foro it. 1986, I, 2760 e su Giuri� 
sprudenza delle Imposte, 1986, 880 con nota contraria di A. BERLIRI. 
Sull'ammissibilit� dell'insinuazione al passivo dei crediti per pene pecuniarie 
v. A. Rossi �L'ammissione nel passivo fallimentare dei crediti per imposte 
e sanzioni pecuniarie dopo la riforma tributaria � in Giurisprudenza commerciale 
1984, 343, nel quale l'autore, dopo aver aderito all'opinione che nega 
la natura discrezionale del provvedimento sanzionatorio, e quindi affermato 
l'opponibilit� del credito alla massa fallimentare, affronta il diverso problema 
dell'ammissibilit� nel passivo fallimentare di crediti per sanzioni pecuniarie 
non definitive, relative ad imposte dirette ed indirette, optando per la soluzione 
negativa. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

tivamente, il procedimento sanzionatorio ha natura dichiarativa e non 
costitutiva sicch� il momento della liquidit� e della esigibilit� della 
pena pecuniaria nulla ha a che vedere con il momento del sorgere 
della relativa infrazione. 

Il ricorso � fondato. 
Sulle questioni proposte questa Corte ha avuto gi� occasione di 
pronunciarsi in altre identiche controversie (Cass. 1983 n. 5552; 1984 

n. 3273; 1984 n. 1867). 
Le considerazioni che hanno condotto al rigetto delle tesi critiche 
(allora prospettate ed oggi riproposte dal fallimento resistente) sono pienamente 
condivise dal collegio, il quale nel farle proprie, ne ribadisce 
la validit�. Questa Corte ha gi� affermato il principio che anche in 
tema di violazione delle norme sull'IVA, il procedimento sanzionatorio 
ed il conseguente atto irrogativo della sanzione pecuniaria hanno la 
funzione di accertare nei suoi termini anche quantitativi una obbligazione 
pecuniaria collegata ad un fatto costitutivo precedente (costitutivo 
dell'illecito tributario) e che, se tale fatto � anteriore al fallimento 
dell'autore della violazione, il relativo credito dello Stato � ammissibile 
al concorso dei creditori nella procedura fallimentare. 

A tale conclusione si perviene, sia esaminando la natura dell'accertamento 
tributario, sia accertando la natura del provvedimento irrogativo 
della sanzione pecuniaria e del relativo credito. 

In ordine all'accertamento tributario la corte di merito afferma la 
natura costitutiva dello stesso argomentando da due sentenze di questa 
Corte (1963 n. 2293; 1973 n. 849) la cui estraneit� al tema in discussione 
� stata gi� posta in luce con la sentenza 1983 n. 5552 e sulla quale non 
occorre ulteriormente soffermarsi. L'accertamento tributario ha, quindi, 
natura dichiarativa perch� con esso l'Amministrazione finanziaria si limita 
ad evidenziare l'esistenza di presupposti gi� verificatisi al solo 
fine di precisare in term,ini quantitativi gli effetti giuridioi scaturiti 
da quei presupposti e da essa non modificabili trattandosi di materie 
sottratte alla sua disponibilit�. 

Inoltre � da porre in evidenza che nel regime instaurato con la 
riforma tributaria del 1972 e 1973, vige, anche per le imposte personali, 
le quali corrispondono a quelle che anteriormente erano qualificate � imposte 
con accertamento�, il sistema dell'autoaccertamento e dell'autotassazione, 
rispetto a cui il successivo eventuale accertamento dell'amministrazione 
ha, in definitiva, la funzione di verifica della regolarit� 
formale e sostanziale degli adempimenti imposti al contribuente, e, in 
caso di inadempimento da parte di quest'ultimo, di dichiarare gli effetti 
che la legge ricollega alla fattispecie assunta come presupposto dell'imposta. 
Non vi �, quindi, dubbio che, ove il problema dovesse essere 
risolto in base alla natura dell'accertamento tributario, la data di riferimento, 
ai fini del giudizio sull'anteriorit� del credito per la sanzione 


266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

pecumana rispetto al fallimento, dovrebbe essere quella dell'infrazione 
e non quella dell'irrogazione della sanzione. 

Ci� vale anche ai fini dell'IVA, in quanto il d.P.R. 633/1972 prevede 
specifiche forme di autoaccertamento ed autotassazione e prevede (ti� 
tolo IV) attribuzioni e poteri dell'ufficio in funzione di controllo delle 
dichiarazioni del contribuente. � 

In ordine al provvedimento irroga1livo della sanzione pecuniaria ed 
al credito nascente dalla violazione degli obblighi imposti dal citato 

d.P.R. n. 633 va posto in luce che, avendo riguardo a tali elementi e 
prescindendo dalla problematica relativa all'accertamento del tributo, 
si perviene all� stessa conclusione. 
Ai fini dell'indagine occorre preliminarmente richiamare il principio 
secondo cui un credito si considera anteriore al fallimento e, quindi, 
ammissibile al concorso dei creditori se il relativo fatto costitutivo 
(contratto, fatto illecito, atto o fatto idoneo a produrlo) si sia concretato 
prima della data della sentenza dichiarativa di fallimento e che 
a questi fini non ha alcuna rilevanza la circostanza che il credito sia, 

II 
~ 

prima di tale data, liquido ed esigibile. 

In base a tale prospettiva �risulta evidente che il credito erariale, 
derivante dalla sanzione pecuniaria inflitta, trova la propria origine in 
un comportamento commissivo ed omissivo del contribuente che diventa 
giuridicamente rilevante, come fatto costitutivo della ragione di credito, 
nello stesso momento in cui � stato posto in essere. 

L'art. 51 del d.P.R. 633 del 1972, infatti, attribuisce all'ufficio il 

' 

I 
.potere dovere d'irrogare la sanzione nell'ambito della predetta potest� 

I 

pubblica di controllo della dichiarazione del contribuente; di conseguenza, 
il provvedimento irrogativo della sanzione non � che la constatazione 
degli effetti di un comportamento anteriore e la determinazione 

ili

quantitativa delle conseguenze patrimoniali derivate a carico dell'autore 

�i;

della violazione. Soltanto a tale determinazione si riferisce il margine 
di discrezionalit� che l'art. 49 del d.P.R. 633/1972 attribuisce all'ufficio, 
mentre esso non attiene all'obbligazione in s�. 

Perde cos� ogni consistenza l'argomento principe addotto dalla impugnata 
sentenza a favore del carattere costitutivo del provvedimento 
che irroga la sanzione pecuniaria, il quale, come si � detto, fa leva 
su tale discrezionalit� asserendo che essa ha una latitudine molto ampia. 

L'argomento, non privo di suggestione, in quanto fa leva sulla 
originaria indeterminatezza della pena pecuniaria (la quale per questo 
suo carattere si differenzia dalla sopratassa che si concreta attraverso 
un calcolo matematico in una somma fissa) non � per� decisivo in 
quanto non tiene conto delle modalit� attraverso cui deve esplicarsi il 
potere sanzionatorio della P.A. 

L'esercizio di questo potere non implica in realt� alcuna discrezionalit� 
amministrativa, in quanto l'ufficio non gode di alcuna libert� 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

di scelta, non pu� determinare la sanzione secondo criteri di convenienza, 
n� pu� procedere ad alcuna ponderazione degli interessi coinvolti; 
la potest�-funzione deve, nel procedimento che porta alla irrogazione 
della sanzione, svolgersi secondo canoni precisi, essendo governata 
dal principio di legalit�. La situazione giuridica determinata dall'atto 
conclusivo del procedimento converge e si innesta necessariamente 
nella situ�zione giuridica preesistente in quanto l'atto irrogativo della 
sanzione produce i propri effetti solo in quanto la violazione dell'obbligo 
preesiste nella realt� giuridica; il provvedimento sanzionatorio si limita 
a dare attuazione alla volont� della legge specificandone soltanto il contenuto. 
La difesa del fallimento invoca, in contrario, la possibilit� di 
non irrogare la sanzione; anche questo argomento non � per� significativo 
perch� tale facolt� non � attribuita all'ufficio tributario, bens� 
agli organi giurisdizionali del contenzioso i quali, a norma dell'art. 48 
ultimo comma del d.P.R. 1972 n. 633, possono dichiarare non dovute 
le pene pecuniarie quando la violazione � giustificata da obiettive condizioni 
di incertezza sulla portata e sull'ambito d'applicazione delle 
disposizioni �alle quali si riferisce; tale facolt�, non conferita all'amministrazione, 
non si risolve in una valutazione di carattere discrezionale 
amministrativo. Il giudice tributario esercita soltanto un potere di 
accertamento sulla ricorrenza delle precise condizioni cui la legge ricollega 
l'effetto giuridico della non applicabilit� della sanzione (potere 

, esteso alle altre imposte dall'art. 39 bis del d.P.R. 1981 n. 739), mentre 
difetta qualsiasi scelta discrezionale circa l'opportunit� di applicare la 
pena; la relativa indagine si esaurisce, infatti, nel dichiarare se sussiste 
in concreto l'obiettiva condizione di incertezza sulla interpretazione 
della norma. 

Risulta, quindi, chiaro che l'Amministrazione finanziaria, nell'irrogare 
la sanzione, ha soltanto il potere di determinar.e in concreto la pena 
tra il .minimo ed il massimo previsto dalla legge con una statuizione 
che, in quanto attinente al merito amministrativo, � sindacabile solo 
dalle commissioni tributarie di I e II grado (artt. 16, 26, 29, 40 d.P.R. 

n. 636/1972) e non dal giudice ordinario (Cass. S.U. 1978 n. 928). Gli 
altri momenti del procedimento costituiscono atti di mero accertamento 
che, in quanto tali, si limitano a specificare il contenuto dell'obbligazione 
preesistente. 
Dalle precedenti considerazioni risulta che la struttura della fattispecie, 
che emerge dalla commissione di una violazione degli obblighi 
tributari, � caratterizzata dalla esistenza di un fatto idoneo a produrre 
l'obbligazione, il quale si risolve nella consumazione dell'illecito tributario 
nel momento in cui � avvenuta la lesione dell'interesse protetto 
con la sanzione pecuniaria. In tale momento sorge il diritto dello Stato 
ad ottenere il pagamento della sanzione ed il corrispondente obbligo 
del trasgressore; il procedimento amministrativo previsto ai fini del



268 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 

l'irrogazione della sanzione esplica solo la funzione di rendere liquido 
ed esigibile un credito gi� esistente. 

La tesi accolta � ulteriormente confortata dall'art. 17 della I. 7 gen� 
naio 1929 n. 4 richiamato dall'art. 75 del d.P.R. n. 633/1972 secondo cui 
il diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive 
in cinque anni decorrenti dalla data della commessa infrazione. La norma 
richiamata � espressione di un principio generale secondo cui il fatto 
costitutivo del diritto di credito derivante dalla irrogazione della sanzione 
pecuniaria sorge con il comportamento commissivo ed omissivo 
del contribuente il quale � assunto dalla legge come elemento costitutivo 
della fattispecie sanzionataria e come presupposto delle conseguenti 
obbligazioni patrimoniali. Una disciplina pi� specifica � contenuta nell'art. 
58 del d.P.R. 633/1972, il quale (III comma), con riferimento alle 
infrazioni che non danno luogo a rettifica o accertamento, fa decorrere 
il termine per la notifica del provvedimento d'irrogazione della sanzione 
dall'anno in cui � avvenuta la violazione; analogamente, per quanto 
riguarda le violazioni che danno luogo a rettifica o ad accertamento 
(art. 58, II comma coordinato con l'art. 57), si fa riferimento all'anno 

I 

in cui la dichiarazione del contribuente � stata o avrebbe dovuto j 
essere presentata. Tali norme, anche se prevedono una decorrenza piut


I 

tosto che una prescrizione del credito, indicano che il potere del" 


' 

i

l'Amministrazione d'irrogare la sanzione si risolve nella constatazione 

~ 

formale della rilevanza di un fatto anteriore e nella determinazione p 

i 

degli effetti che la legge vi ricollega. 
Un diverso argomento, valorizzato dalla sentenza impugnata e dalla 
difesa della resistente, per sostenere la natura costitutiva dell'atto 

I 

I i

d'irrogazione della pena pecuniaria � dedotto dall'art. 61 del d.P.R. n. 633 
del 1972 il quale disciplina il decorso degli interessi stabilendo che essi 
sono dovuti dal sessantesimo giorno successivo alla notificazione deli 


i

l'avviso, della sentenza o della decisione. Da tale disposizione si vuole 

II 

trarre la conseguenza che il legislatore ha voluto recidere ogni collegamento 
del credito con il momento dell'infrazione. 
L'argomento non � per� idoneo a smentire e superare tutte le 
considerazioni precedentemente svolte in ordine alla interpretazione delle 

I 

norme che regolano gli istituti intorno ai quali si controverte. La decorrenza 
degli interessi dal momento della irrogazione della sanzione, 
anzich� da quello della connessa infrazione, � frutto di una scelta di 
politica legislativa che non ha Voluto porre a carico del contribuente 
gli interessi relativi ad un periodo nel quale egli, non essendo stata 
determinata dall'ufficio la sanzione, non aveva la possibilit� di pagarla. 

Questa e non altra � la ratio della norma che ha voluto tener conto 
della addebitabilit� del ritardo per cui da essa non possono trarsi deduzioni 
su problemi estranei alla sua previsione. 

-



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 269 

La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata e la� causa deve 
essere rimessa ad altro giudice, che si designa in altra sezione della 
Corte d'appello di Bologna, il quale dovr� attenersi ai princ�pi sopra 
enunciati ed, in particolare, a quelli secondo cui anche in materia di 
IV A il procedimento sanzionatorio ed il conseguente provvedimento 
hanno la funzione d'accertare nei suoi termini anche quantitativi una 
obbligazione pecuniaria collegata ad un fatto costitutivo precedente e 
che se tale fatto � anteriore al fallimento dell'autore della violazione 
il relativo credito dello Stato � ammissibile al concorso. Il giudice di 
rnnvio provveder� anche in ordine alle spese di questo grado del 
giudizio. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 giugno 1986, n. 4264 -Pres. Cusani -
Rel. Cantillo -P. M. Amirante (concl. diff.) -Min. Tesoro (avv. Stato 
Fiengo) c. Cassa di risparmio (avv. Fazzalari e Giannini). 

Lavoro -Rapporto di lavoro � Scala mobile � Sistema anomalo di determinazione 
nel settore creditizio alla data dell'l febbraio 1977 -Obbligo 
di adeguamento al settore industriale -Fiscalizzazione dell'eccedenza 
� Obbligo di corrispondere le somme al fondo speciale presso 
il ministero del tesoro. 

Posto che al 1� febbraio 1977 i miglioramenti retributivi per effetto 
di variazione del costo della vita a favare di lavoratori dipendenti delle 
aziende di credito e finanziarie erano dovuti in forza del regime di scala 
mobile �anomala� previsto dall'accordo collettivo 22 maggio 1954, recepito 
nel d.P.R. n. 564/62, gli istituti datori di lavoro erano tenuti a versare 
al fondo speciale intestato al Ministero del lavoro di cui all'art. 1 

d.P.R. 384/77 le somme derivanti per l'anno 1977, dalla differenza tra 
il trattamento spettante ai lavoratori a titolo di adeguamento del salario 
al costo della vita, in forza dell'accordo del 1954, e quello derivante dall'applicazione 
del sistema di scala mobile meno favorevole in atto nel 
settore industriale (1). 
1. -Occorre premettere che sulla questione oggetto della controversia 
la Corte si � g.i� pronunziata con la sentenza di questa stessa Sezione 
del 12 marw 1984, n. 1690, concernente un :r.icorso del Ministero del Tesoro 
identico a quello in esame e relativo ad una sentenza della medesima 
(1) La sentenza riconferma,. approfondendo alcuni temi, quanto gi� enunciato 
in Cass. 1690 del 12 marzo 1984, citata espressamente in motivazione 
e pubblicata sul Foro it. 1984, I, 2530 con nota di O. MAZZOTTA, sulle c.d. scale 
mobili anomale. 

270 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Corte di appello di Roma del pari sostanzialmente uguale a quella ora 
impugnata. 
Con tale pronunzia � stato affermato che alla data del 1� febbraio 
1977 -in cui venne emanato ed entr� in vigore il decreto legge 

n. 12 del 1977, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1977, 
n. 91, di allineamento delle scale mobili anomale al sistema praticato 
nel settore industriale -le aziende di credito e finanziarie erano tenute 
a corrispondere ai propri dipendenti i miglioramenti retributivi stabiliti, 
in relazione alle variazioni del costo della vita, dai contratti collettivi 
del 30 dicembre 1950 e del 22 maggio 1954, efficaci erga omnes 
in forza del d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 564; e che, configurandosi in questo 
trattamento un regime di scala mobile anomalo o privilegiato, le 
aziende medesime erano obbligate a versare al fondo speciale previsto 
dall'art. 1 del d.P.R. 6 giugno 1977, n. 384, le somme derivanti, per 
l'anno 1977, dalla differenza fra il trattamento privilegiato suddetto e 
quello meno favorevole risultante dall'applicazione del sistema di scala 
mobile in atto nel settore industmale, dovuto in base al regime unico 
di contingenza imposto dall'art. 2 del cit. d.l. n. 12 del 1977. 
Ai fini della decisione del presente ricorso, quindi, occorre verificare 
se l'indirizzo debba essere tenuto fermo, anche in considerazione delle 
critiche ad esso mosse dalla resistente con la memoria e nella discus


II

sione orale. 

2. -Non � il caso di indugiare sulle questioni relative all'ammissi~ 
I ~ 

bilit� dell'azione di restituzione proposta daHa Cassa di Risparmio, giac


ch� gli argomenti contrari addotti dall'Amministrazione, con i primi 

due motivi di ricorso, ,si trovano puntualmente confutati nella sentenza 

suddetta, la quale ha ritenuto corretta la formulazione della domanda 

secondo il paradigma dell'indebito oggettivo previsto dall'art. 2033 cod. 

civ., affermando l'irrilevanza, sotto questo profilo, dell'eventuale errore 

del solvens all'atto della prestazione, per essere sufficiente a sperimenI 


tare la repetio indebiti l'allegazione di un'attribuzione patrimoniale che ~ 

si assuma oggettivamente� non dovuta. E poich� incombe all'attore in 

restituzione, secondo i princ�pi, dimostrare l'inesistenza della causa sol


vendi individuata al momento del pagamento, merita di essere condi


visa la sentenza impugnata nella parte in cui ha addossato alla banca 

l'onere di provare l'inesistenza del titolo con riferimento al quale era 

stato effettuato, sia pure con riserva, il versamento sull'apposito fondo 

presso il Ministero del tesoro e ha conseguentemente individuato il 

punto centrale della controversia nella vigenza, alla data del 1� feb


braio 1977, degli accordi collettivi sulla scala mobile nel settore bancario 

in base ai quali la medesima Cassa -come la gran parte degli istituti 

di credito -aveva dubitativamente ipotizzato l'esistenza dell'obbligo 

stabilito dal decreto legge n. 12 del 1977. 


PARTB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 

3. -L'esame della problematica che la questione implica, alla quale 
si riferiscono gli altri quattro motivi del ricorso, va condotto appunto 
muovendo dalla definizione del presupposto e del contenuto dell'obbligo 
scaturente per i datori di lavoro dal decreto suddetto e dal d.P.R. 6 giugno 
1977, n. 384 (emanato in attuazione della delega conferita con la 
legge 31 marzo 1977, n. 91, di conversione del medesimo decreto). 
Con il primo provve4imento fu stabilito che � a partire dal 1� febbraio 
1977 tutti i miglioramenti retributivi per effetto di variazioni del 
costo d�lla vita o di altre forme di indicizzazione � si sarebbero dovuti 
corrispondere �in misura non superiore e in applicazione dei criteri 
di calcolo, nonch� con la periodicit� stabilita dagli �ccordi interconfederali 
15 gennaio 1957 e 25 maggio 1975 �; ed altres� che �gli effetti 
delle variazioni del costo della vita o di altra forma di indicizzazione 
su qualsiasi elemento della retribu:mone � non si sarebbero potuti computare 
� in difformit� della normativa prevista dagli anzidetti accordi 
interconfederali e dai contratti collettivi del detto settore per i corrispondenti 
elementi retributivi e limitatamente a tali elementi � (art. 2, 
primo e secondo comma). 

Con il successivo d.P.R. n. 384 del 1977 si dispose che �le somme 
derivanti, per l'anno 1977, dalla differenza tra i trattamen~i discendenti 
dalle regolamentazioni modificate� con il d.l. n. 12 del 1977 (e relativa 
legge di conversione) e le minori somme dovute per effetto di tale normativa, 
dovessero versarsi �dai datoci di lavoro, entro quindici giorni 
dalla fine di ciascun trimestre, in un apposito conto corrente infruttifero, 
aperto presso la tesoreria centrale, intestato al Ministero del tesoro 
e denominato � Fondo speciale di cui all'art. 2 della legge 31 marzo 
1977, n. 91 � (prevedendosi altres� anche il termine per il primo 
versamento, relativo alle somme dovute dal 1� febbraio al 30 giugno 1977). 

Dal coordinamento delle disposizioni dei due provvedimenti chiaramente 
risulta che: l'obbligo di eseguire il versamento nasceva direttamente 
dalla legge nei confronti dei datori di lavoro che, in virt� di 
contratti o accordi collettivi della categoria di appartenenza, al momento 
dell'emanazione del decreto 12/77 fossero tenuti a corrispondere 
un trattamento di scala mobile c.d. anomalo; tali dovevano considerarsi 
quei regim~ di scala mobile che, per i criteri di calcolo adottati 
e/o la periodicit� con cui venivano corrisposti i miglioramenti retributivi, 
fossero difformi dal trattamento previsto per il settore dell'industria 
dagli accordi interconfederali menzionati nel decreto medesimo 
dando altres� luogo a miglioramenti superiori a quelli applicabili in detto 
settore; l'ammontare dell'obbligazione era commisurato appunto alla maggior 
somma che nell'anno 1977 ciascun datore di lavoro avrebbe dovuto 
corrispondere �ai dipendenti se la disciplina collettiva non fosse stata 
legislativamente modificata. 


272 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il presupposto della fattispecie costitutiva dell'obbligazione ex lege 
era dato, cio�, dalla esistenza di un� obbligo giuridico del datore di 
lavoro di applicare un sistema di scala mobile anomalo, nei sensi suddetti, 
in forza di una regolamentazione collettiva vigente alla data del 
1� febbraio 1977; ed era irrilevante, per converso, sia che tale trattamento 
non venisse in concreto corrisposto, sia che venisse elargito dal 
datore c:li lavoro senza esservi obbligato, per determinazione unilaterale 
dell'associazione di categoria. 

4. -La ricognizio;ne della disciplina vigente all'epoca nel settore 
creditizio, compiuta da questa Corte con la precedente sentenza, fa 
perno sugli accordi collettivi del 30 dicembre 1950 e del 22 maggio 1954, 
resi efficaci erga omnes con d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 564, le cui clausole, 
avendo cos� valore normativo, possono essere direttamente interpretate 
in sede di legittimit�, ancorch� utilizzando i criteri ermeneutici previsti 
dagli artt. 1362 ss. cod. civ., che vanno osservati in considerazione 
della fonte convenzionale della regolamentazione (c., fra le pi� recenti, 
sent. n. 2790 e 3639 del 1983; S.U. n. 2685 del 1982). 
Si � gi� accennato che con questi accordi (segnatamente con quello 

del 1950, prorogato dal successivo con alcune modifiche) -in attuazione 

del principio �di indicizzazione della retribuzione, stabilito dal contratto 

collettivo vigente all'epoca -fu adottato un sistema che per la sua stessa 

struttura assicurava un trattamento di scala mobile di gran lunga pi� 

favorevole rispetto ad ogni altro settore del lavoro pubblico e privato 

(ad eccezione di qualche settore, come quello assicurativo, per il quale 

vige'V'a un sistema analogo). 

Mentre per le altre categorie ad ogni punto di \llariazione dell'indice 
di aumento del costo della vita corrispondeva un importo fisso in lire 
che si aggiungeva alla retribuzione, nel settore creditizio il punto di 
variazione veniva asunto come parametro percentuale da applicare a 
tutte le voci della retribuzione per il ca:lcolo dell'inoremento: e ci� 
comportava che ad ogni variazione corrispondeva un aumento retributivo 
. commisurato ad una percentuale del trattamento economico in corso, 
comprensivo della contingenza maturata in precedenza con la conseguenza 
che veniva assicurata, in pratica, la continua rivalutazione del punto di 

contingenza. 

Si tratta di stabilire, nella specie, se l'obbligo giuridico di applicare 

questo sistema fosse legato alla permanenza del parametro scelto per 

la determinazione del punto percentuale; e ci� perch�, con il patto n. 1 

dell'accordo del 1950, si convenne �di applicare le variazioni percentuali 

riscontrate dai numeri indice del Comune di Milano, in quanto e fin 

tanto restino fermi gli attuali criteri di rilevazione ed e1aborazione �. 

Su questa clausola, come si � riferito, fa leva la sentenza impugnata 
per affermare che il regime di scala mobile ora descritto fosse 


PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

inscindibilmente correlato alla rilevazione del parametro da parte del 
Comune di Milano, sicch� gli accordi in questione sarebbero privi di 
diretto rilievo nella ricognizione del quadro normativo alla data del 
1� febbraio 1977, per essere rimasti interamente caducati gi� quando, 
nel 1966, l'elaborazione dei numeri indice venne avocata dall'Istat in 
esclusiva e su basi diverse; tesi, codesta, che si trova ulteriormente 
argomentata nella memoria difensiva della resistente, sostenendosi 
-sotto il profilo oggettivo -la necessaria complementarit� di quei 
criteri di rilevamento al meccanismo di variazione percentuale della 
retribuzione, e -sotto il profilo oggettivo -il carattere essenziale 
che le parti� stipulanti attribuirono al riferimento ai numeri indice, 
che sarebbe stato � il vero e proprio oggetto degli accordi collettivi 
in discorso�. 

Ma tali rilievi non valgono a scalfire l'opposta opinione cui questa 
Corte � pervenuta, con la sentenza n. 1690/84, alla stregua dell'esegesi 
logico-testuale della pattuizione. 

Intanto, l'espressione limitativa suddetta � contenuta nel patto n. 1, 
che specificamente regola l'individuazione del parametro relativo alla 
variazione del costo della vita, e non anche nel patto n. 3, che introduce 
il nuovo tipo di scala mobile, stabilendo che il punto di variazione 
deve essere utilizzato come percentuale di incremento della retribuzione. 
A voler stare alla lettem dell'enunciato, quindi, bisogna ritenere che 
l'inciso della prima clausola limitasse la possibilit� di utilizzare il parametro 
prescelto, che si prevedeva potesse venir meno in conseguenza 
della modificazione dei criteri o di altri eventi, ma non interferisse 
affatto con il precetto racchiuso nella seconda clausola, �io� sull'obbligo 
di osservare il peculiare sistema di scala mobile prescelto. E risulta 
conseguentemente legittimo delineare il coordinamento istituito in via 
definitiva (s'intende, nei termini di durata dell'accordo allora previsti), 
non subendo quell'obbligo alcun condizionamento, e che la scelta del 
parametro di indicizzazione era, invece, destinata ad essere (necessariamente) 
incisa dall'eliminazione o dalla modificazione del medesimo, sicch� 
il vincolo alla sua osservanza sarebbe durato � in quanto ed in 
tanto � fosse stato conservato con le medesime caratteristiche. Il che 
comportava, in pratica, al verificarsi di un siffatto evento, la necessit� 
per le associazioni stipulanti di reperire un diverso parametro o 
una diversa forma di acquisizione dello stesso, ma non travolgeva l'efficacia 
dell'accordo e, dunque, il carattere cogente del sistema di scala 
mobile. 

Se si pon mente, poi, al contenuto e alla funzione dei due patti, 
risulta appunto che essi stavano su piani diversi, in quanto il principio 
per cui il punto di variazione veniva assunto ed applicato in percentuale, 
costituiva -si � visto -il nucleo qualificante ed essenziale della regolamentazione, 
mentre il riferimento agli indici del Comune di Milano 


274 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

era meramente strumentale al funzionamento del meccanismo concordato, 
senza condizionarne in modo assoluto l'applicazione. Com'� stato efficacemente 
detto con il precedente arresto, quel riferimento rappresentava 
soltanto !'-adozione, fra i tanti possibili, di un determinato parametro 
da utilizzare in concreto per l'applicazione dell'accordo, giacch�, 
allo scopo di conoscere pyriodimente le variazioni percentuali del costo 
della vita, ben avrebbero potuto le parti dndividuare un'altra fonte 
estranea di rilevamento o, al limite, stabilire di procedervi consensualmente 
in modo diretto, �senza che ci� avesse comportato una modifica 
del congegno di scala mobile elaborato. 

Queste considerazioni non solo escludono, manifestamente, l'esistenza 
di un nesso oggettivo di necessaria complementarit�, ma pregiudicano 
anche l'assunto secondo cui l'inscindibilit� delle due disposizioni andrebbe 
affermata in base alla comune volont� delle associazioni stipulanti. 
Avuto riguardo agli interessi in gioco, non si rinviene alcuna 
valida ragione che potesse suggerire alle parti di legare la . sorte dell'intero 
accordo alla permanenza del parametro di riferimento, avendone 
prevista, per giunta, la possibilit� di caducazione e potendo il 
sistema adottato funzionare con altre procedure di rilevamento degli 
indici del costo della vita. 

Mentre � lecito presumere l'interesse delle organizzazioni sindacali 
dei dipendenti ad introdurre stabilmente il vantaggioso meccanismo di 
scala mobile conseguito e, per converso, l'importanza secondaria, nell'economia 
dell'accordo, del parametro di indicizzazione, la cui eventuale 
sostituzione non poteva essere apprezzata come motivo di sensibile 
turbamento nel concreto operare della scala mobile, quanto meno 
da parte degli imprenditori, posto che gli indici dei prezzi della piazza 
di Milano erano fra i pi� elevati d'Ita1ia. E a svalutare l'dncidenza della 
determinazione del parametro nella stipulazione dell'accordo concorrono 
anche le ragioni per cui venne adottato, che vanno individuate 
essenzialmente nell'efficienza del servizio di rilevazione dei dati del 
Comune di Milano, nel fatto che in quella citt� aveva una consistente 
parte del personale bancario e in un elemento di tradizione, perci� che 
fin dal periodo successivo alla prima guerra mondiale si soleva far 
riferimento, per il cosi detto �caro vita�, all'andamento dei prezzi di 
Milano. 

In definitiva, l'effettivo oggetto delraccordo fu l'istituzione del nuovo 

tipo di scala mobile, sicch� � irrazionale ritenere che le parti avessero 

voluto subordinarne l'efficacia ad un elemento estrinseco e variabile, 

qual'era quello costituito dalle modalit� di rilevazione dell'indice dei i

I

prezzi. E poich� questa conolusione � in armonia con le indicazioni 

I 

dell'esegesi testuale, si deve ribadire quanto affermato con la sentenza l 
I 

!

n. 1690 del 1984, cio� che, quando il Comune di Milano comunic� di 
I 
non poter pi� fornire i dati relativi alle variazioni del costo della vita, I 

j

I 

I 

I 

I 

I 
! 



PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVlLB 27S 

rimase fermo il precetto relativo al tipo di ,scala mobile -che aveva 
frattanto assunto consistenza normativa (con il d.P.R. n. 564 del 1962) con 
la conseguenza che le parti erano obbligate all'osservanza del sistema 
stabilito e a convenire altre modalit� di rilevazione del parametro 
adottato o a presciegliere un ailtro pammetro. 

5. -L'ulteriore problema che occorre risolvere � se questa normativa 
sia rimasta in vigore in seguito all'accordo oollettivo �dell'll gennaio 
1968, che le associazioni di categoria stipularono appunto per coJ... 
mare la lacuna che si era determinata per effutto della caducazione 
del parametro di riferimento' (nei due anni precedenti il rilevamento 
degli indici di Milano fu, in via eccezionale, eseguito dall'Istat). 
La questione non � stata affrontata dalla Corte di appello, la quale 
-avendo erroneamente ritenuto che l'intera disciplina degli accordi 
erga omnes fosse diventata inefficace per il venir meno dell'originario 
parametro -ha affermato. che con l'acoordo del 1968 si diede vita ad 
un nuovo sistema di scala mobile, del tutto distinto dal precedente e 
disciplinato in modo esclusivo dalla regolamentazione di diritto comune. 
Stante, invece, la perdurante vigenza, nei termini suesposti, degli accordi 
normativizzati, i giudici dii appello avirebbero dovuto� stabilire se gli 
accordi medesimi fossero stati interamente sostituiti ovvero soltanto 
parzialmente derogati dalla convenzione del 1968; ed in entrambe le 
ipotesi -per quel che sii dir� in ordine agli effetti della disdetta di 
tale accordo -avirebbero dovuto accertare se questo, globalmente considerato, 
fosse o non fosse pi� favorevole ai dipendenti. 

Cont11ariamente a quanto sostiene la resistente con la memoria, que


sta Corte pu� sopperire a1la carenza della prima indagine. 

Se � vero, infatti, che le parti stipulanti un contratto collettivo 

possono regolare ex novo il rapporto di lavom senza alcun vincolo 

derivante da una precedente normativa collettiva operante erga omnes, 

non � men vero che la s9stituzione di quest'ultima con la nuova si 

verifica in quanto le due discipline riguardino la stessa materia e siano 

tra loro incompatibili; e questa condizione non si realizza, manifesta


mente, quando la regolamentazione di diritto comune investa solo taluni 

aspetti dell'istituto regolato dall'accordo nonnativizzato e sia oggetti


vamente destinata ad inserirsi in tale disciplina, dando luogo ad una 

deroga parziale o ad un'integrazione della medesima, che resta valida 

per la parte non incisa. 

Se si considera, poi, che la Corte di Cassazione pu�, senza la mediazione 
dal giudizio di merito, interpretare i contratti collettivi recepiti 
rin decreti delegati e, prima ancora, controllarne la validit� e la vigenza, 
non v'� motivo per escludere che il giudice di legittimit�, nella successione 
tra un accordo collettivo efficace erga omnes e un accordo di 
diritto comune, possa accertare se e per quanta parte il primo non sia 

5 



276 �RASSEGN~ DELL'AVVOCATURA .J)ELLO :STATO 

pi� vigente perch� interamente o parzialmente sostituito dal nuovo 
accordo, sempre che, ovviamente, i.I contenuto di quest'ultimo sia stato 
compiutamente accertato dal giudice di merito e dunque non si richiedano, 
al riguardo, nuove indagini di fatto. 

Nel caso in esame, la Corte romana ha stabilito che, con l'accordo 
del 1968, venne recepita la disciplina della scala mobile relativa al settore 
dell'industria limitatamente alla serie dei numeri indice, alla determinazione 
dei punti di variazione e alla periodicit� di rilevazione ed 
applicazione, mentre nu1la fu innovato quanto al criterio di variazione 
percentuale di tutte le voci della retribuzione, rimanendo fermo, cio�, 
il sistema di non attribuire un valore monetario al punto di va:riiazione 
e di utilizzarlo, invece, come misura percentuale della variazione. 

L'ambito dell'accordo risulta circoscritto, in sostanza, alla sostituzione 
del parametro e della fonte di rilevazione degli indici all'interno 
del tipo di scala mobile cui le parti. erano obbligate e per il cui concreto 
funzionamento erano appunto impegnate a ricercare un nuovo parametro. 
Pertanto la convenzione, lungi dall'essere incompatibile con la 
disciplina allora v.igente dell'accordo del. 1954, deve considerarsi integrativo 
della medesima, in relazione alla funzione oggettivamente svolta; 
e ci� consente di affermare (con la sentenza n. 1690/84) che Ia normativa 
precedente, non derogata dall'accordo di diritto comune, rest� in 
vigore nella sua parte essenziale, quale fonte dell'obbligo degli istituti 
di credito di corrispondere il trattamento di scala mobile anomalo con 
essa istituito. 

L'altro quesito -se, cio�, l'accordo fosse o non fosse vantaggioso 
per i dipendenti -comporta un apprezzamento di merito precluso a 
questa Corte, che perci� non pu� ad esso direttamente rispondere. Ma 
ugualmente non � necessario demandarne l'esame al giudice di rinvio, 
giacch�, come subito si dir�, in relazione ad entramb� le ipotesi della 
alternativa va affermata la vigenza dell'obbligo degli istituti di credito 
alla data di entrata in vigore del decreto legge del 1977. 

6. -Si � in precedenza riferito che il 25 settembre 1975 l'Assicredito 
provvide a denunciare l'accordo dell'll gennaio 1968, tuttavia assicurandone 
unilateralmente l'applicazione fino al 31 dicembre 1976; e 
motiv� la disdetta con specifico riferimento all'anomalia della disciplina, 
segnalando la necessit� di adeguarla a quella dell'industria per 
le gravi distorsioni cui aveva dato luogo il meccanismo della variazione 
percentuale della retribuzione, anche in rapporto a:ll'entit� del 
deprezzamento monetario. 
La validit� e l'opponibilit� dell'atto sono contestate dall'Amministrazione, 
la quale censura sotto vari profili, con il quarto e il quinto 
motivo di ricorso, la motivazione sul punto della sentenza impugnata, 
che ha ritenuto pienamente efficace la disdetta medesima. E tali cri



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

tiche, analiticamente esaminate nella sentenza del 1984, vanno disattese 
per le ragioni ivi esposte, che non �. il caso di ripetere. 

Una volta accertato, per�, che l'accordo del 1968 lasci� in vita la 
normativa erga omnes in ordine all'anomalo trattamento di scala mobile, 
� agevole escludere che l'obbligo delle banche al riguardo sia 
venuto meno in conseguenza della disdetta. 

Intanto, poich� i trattamenti economici minimi previsti dai contratti 
ed accordi collettivi resi efficaci erga omnes sono derogabili da 
successiVi contratti o accordi collettivi solo se con essi sia stata adottata 
una disciplina che, valutata globalmente (almeno nell'ambito dei singoli 
istituti), risulti pi� favorevole ai lavoratori (art. 7, terzo comma, legge 
14 luglio 1959, n. 741), nella specie -al fine di accertare il significato 
della disdetta -occorrerebbe anzitutto verificare se un tale risultato 
produsse �l'a<:cordo del 1968; irn caso contrario, questo andrebbe considerato 
tamquam non esset e per questa ragione bisognerebbe prendere 
atto della perdurante vigenza deUa disciplina precedente anche nelle parti 
innovate. 

Tuttavia, come si � anticipato, � possibile prescindere da siffatto 
accertamento perch�, ammessa la validit� dell'accordo, la sua disdetta 
pot� produrre l'effetto di rendere inefficaci le innovazioni introdotte 
con l'accordo medesimo, ma non certo quello di caducare la normativa 
erga omnes che costituiva la fonte dell'obbligo di determinare l'indennit� 
di contingenza con il sistema anomalo in oggetto; il quale obbligo, 
previsto da norme aventi efficacia di legge, poteva essere eliminato solo 
da un successivo provvedimento legislativo, come, appunto, il d.l. n. 12 
del 1977. Pertanto gli istituti di credito anche dopo la disdetta continuarono 
ad essere giuridicamente vincolati al trattamento anomalo, sicch�, 
nello scegliere di osservarlo fino al 31 dicembre 1976, altro non 
fecero che dare esecuzione al precetto suddetto, utilizzando il parametro 
stabilito con l'accordo (indice Istat), che era l'unico possibile e 
che, in effetti, non era stato neppure posto in discussione con la disdetta, 
argomentata esclusivamente con riguardo all'anomalia del meccanismo 
di percentualizzazione del punto di contingenza. 

In definitiva, il principio affermato con la sent. n. 1690 del 1984 
deve essere confermato e pertanto -in accoglimento del terzo e del 
sesto motivo di ricorso -la sentenza impugnata va cassata con rinvio 
ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte di 
appello di Roma, la quale esaminer� nuovamente la domanda di restituzione 
proposta d�llla Cassa di Risparmio attenendosi al princ1p10 
suddetto e ai rilievi sopra svolti; provveder� altres� sulle spese di 
questo giudizio di cassazione. 


SEZIONE QUINTA 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 
SEZIONE QUINTA 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 9 giugno 1986, n. 423 -Pres. Buscema 


Est. Vacirca -Soc. T.E.R. Tele Emilia Romagna (avv. B�nomo e 

Galli) c. Ministero delle P�ste (avv. Stato Laporta). 

Poste e telecomunicazioni � Radio e televisione -Potere di assegnazione 
delle frequenze � Effetti sentenza costituzionale 202/76. 

(T.U. 29 marzo 1973 n. 156, art. 183). 
Poste e telecomunicazioni � Radio e televisione -Poteri di polizia -Canali 
riservati alla P.A. � Frequenze utilizzate dal Ministero della Difesa. 

(T.U. 29 marzo 1973 n 156, art. 240). 
Il potere di assegnazione delle frequenze radioelettriche su tutto 
il territorio dello Stato attribuito all'Amministrazione postale non � venuto 
meno a seguito della sentenza 202/76 della Corte costituzionale. 

l

� legittimo l'esercizio dei poteri di polizia ex art. 240 codice postale I 

I 
~ 

nei confronti delle emittenti che trasmettano su canali riservati ad am~ 

~ 

ministrazioni pubblic1ze per esigenze da soddisfare in qualunque momento 
come le bande di frequenza attribuite all'Amministrazione della 
Difesa, anche prescindendo dalla verificata sussistenza di disturbi alle 
trasmissioni. 

I

1. -Deve preliminarmente respingersi il quarto motivo di appello, 
col quale la Societ� appellante lamenta che il Giudice di primo grado 
I!

non abbia tenuto conto del nuovo piano nazionale delle radiofrequenze, 
adottato nelle more del giudizio. 
La legittimit� dell'ordine di disattivazione impugnato, infatti, va ve


I 

rificata alla stregua della disciplina vigente al momento in cui esso � 

Iistato emesso. N� il nuovo piano determina la cessazione della materia 
del contendere, atteso che esso sostituisce il precedente dal 31 geni 
naio 1983. [ 

2. -Col primo motivo la Societ� appeHante sostiene l'inapplicaI


bilit� del piano nazionale delle radiofrequenze, approvato con d.m. 3 dicembre 
1976, agli usi strettamente locali e lamenta che la doglianza I 
sia stata dichiarata inammissibile dal T.A.R. 

I 

Il motivo � infondato. 

L'Amministrazione, in base all'art. 183 t.u. 29 marzo 1973, n. 156, mo


I

dificato dall'art. 45 1. 14 aprile 1975, n. 

103, ha il potere di assegnazione 

I 

I 

I 

-1 

I

I 

I 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 279 

delle frequenze radioelettriche su tutto il territorio dello Stato. Tale 
potere non � venuto meno per effetto della dichiarazione di incostituzionalit� 
pronunciata con sentenza n. 202 del 28 luglio 1976 (Cons. 
Stato, sez. VI, 14 luglio 1982, n. 361; C. cost. 15 luglio 1985, n. 206). Di 
conseguenza gli atti generali con i quali si destinano le varie bande di 
frequenza ai diversi usi, non sono affetti dal vizio di incompetenza assoluta 
che la Societ� ricorrente deduce. 

3. -Col secondo motivo l'appellante sostiene la difformit� del d.m. 
3 dicembre 1976 (Piano nazionale delle radiofrequenze) rispetto al d.P.R. 
25 settembre 1967, n. 1525, e riispetto aHa legge 7 ottobre 1977, n. 790. 
Va confermata al riguardo la pronuncia di inammissibilit� del motivo 
emessa dal T.A.R., perch� eventuali vizi di legittimit� del predetto 
decreto avrebbero dovuto essere dedotti .nel giudizio amministrativo 
mediante impugnazione, mentre la Societ� appellante si � limitata a 
chiedere l'annullamento dell'ordine di disattivazione previa disapplicazione 
del Piano. 

4. -Col terzo motivo .si ripropone violazione. dell'art. 240 d.P.R. 
29 marzo 1973, n. 156, il quale attribuisce all'Amministrazione poteri di 
p�lizia nei confronti di chi trasgredisca il divieto di � arrecare disturbi 
o causare interferenze alle telecomunicazioni ed alle opere ad esse inerenti
�. 
Vero � che -come questa Sezione ha gi� avuto occasione di osservare 
con la decisione n. 361 del 1982 -tali poteri non sono. dati all'Amministrazione 
per impedire que11e trasmissioni che, seppure illegittime, 
non cagionino tuttavia interferenze. Di norma, quindi, l'esercizio dei 
poteri predetti presuppone l'accertamento dei concreti disturbi. 

Taluni canali, per�, sono riservati ad amministrazioni pubbliche per 
esigenze che postulano la loro disponibilit� in qualunque momento. 
� il caso delle bande di frequenza attribuite all'Amministrazione della 
difesa, rispetto alle quali � irrilevante un'indagine sul concreto uso che 
pu� essere saltuario da parte deH'Amministrazione e sulla effettiva sussistenza 
dei disturbi alle trasmissioni da parte di altri soggetti. 

La trasmissione non autorizzata su frequenze riservate in tutto il 
territorio nazionale integra, in simili fattispecie, il disturbo alle telecomunicazioni 
che giustifica l'esercizio del potere repressivo dell'Amministrazione, 
il quale sarebbe inefficace, se fosse subordinato al verificarsi 
di quelle situazioni di emergenza che richiedono la pronta disponibilit� 
di frequenze riservate. N� il conflitto fra l'utilizzazione pubblica, 
potenzialmente interessante l'intero territorio nazionale, di una 
banda di frequenza e l'utilizzazione in" sede locale della stessa banda 
pu� essere risolto con accorgimenti tecnici, giacch� questi presuppongono 
trasmissioni da effettuarsi in zone delimitate e distinte. 


280 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

J 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 9 giugno 1986, n. 428 -Pres. Caianiello Est. 
Luce -Ministero della pubblica istruzione (avv. Stato MasseHa) 

c. Giordano (avv. Salazar). 
Istruzione' e scuole -Lavoratrice madre -Supplenza -Retribuzione mesi 
estivi � Computo periodo astensione obbligatoria per maternit�. 

(L. 30 dicembre 1971 n. 1204 art. 6). 
Jl periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per maternit� SUC� 
cessivo all'accettazione della nomina per supplenza di insegnamento va 
computato anche nei limiti di durata della nomina anche ai fini della 
maturazione del diritto alla retribuzione durante le vacanze estive. 

II 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 giugno 1986, n. 445 -Pres. Laschena Est. 
Camera -Ministero Pubblica istruzione (avv. Stato Massella) c. 
Faroni (n. c.). 

Istruzione e scuole -Lavoratrice madre -Supplenza � Trattamento economico 
� 80% della retribuzione. 

All'insegnante supplente durante il periodo di astensione obbligatoria 
per maternit� � dovuta non l'intera retribuzione ma 1'80% del trattamento 
economico alla stregua dell'impiegata non di ruolo. 

I 

Diritto -1. -Con il primo motivo di impugnazione, l'Amministra21ione 
appellante deduce violazione e falsa ~nterpretazione di �legge, in 
particolare dell'art. 5 D.L. n. 539 del 1946, D.L. n. 1587 del 1947, art. 58, 

D.P.R. n. 417 del 1974, art. 6, legge n. 1204 del 1971. 
Secondo l'appellante, in base alla normativa anzidetta, il diritto alla 
retribuzione per il periodo estivo spetta al docente che abbia prestato 
servizio nel corso dell'anno per 180 giorni. 

Peraltro, nella specie, erroneamente, il T.A.R. avrebbe computato nel 
periodo di effettivo servizio anche quello trascorso in astensione obbli� 
gatoria dal lavoro ex legge n. 1204 del 1971. Soluzione, quella indicata, 
la quale contrasterebbe con la finalit� propria della legge anzidetta, che 
non avrebbe parificato a tutti gli effetti l'astensione obbligatoria dal 
servizio, tant'� vero che non avrebbe previsto il pagamento di una 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

retribuzione durante l'astensione, ma solo di un'indennit� pari all'80% 
della retribuzione medesima. La doglianza � infondata e va pertanto 
respinta. La stessa Amministrazione appellante ha, in pi� circostanze, 
espresso avviso diverso da quello sostenuto con la dedotta impugnazione. 

Tra l'altro, con nota prot. n. 31629 del 30 dicembre 1982, diretta al 
Provveditore agli Studi di Avellino, il Ministero della pubblioa istruzione, 
rispondendo a specifico quesito, ha precisato che � i periodi di astensione 
obbligatoria dal lavoro per maternit�, successivi all'accettazione 
della nomina di supplenza temporanea, sono da computarsi, nei limiti 
di durata della nomina stessa, nell'anzianit� di servizio a tutti gli effetti 
e quindi anche ai fini della maturazione del diritto alla retribuzione 
nelle vacanze estive �. 

Ed analogamente, nella circolare n. 34 del 23 febbraio 1972, lo stesso 
Ministero ha disposto che per il personale insegnante non di ruolo � il 
periodo predetto (di astensione obbligatoria) � interamente utile ai fini 
della matuTazione del diritto allo stipendio durante i mesi estivi �, ribadendo 
tale affermazione nelle successive ordinanze per il conferimento 
degli incarichi e supplenze per gli anni 1976 e 1977. 

D'altra parte, poi, a prescindere dalla ammissione della stessa Amministrazione, 
il principio in esame trova la sua incontestabile giustificazione 
nell'art. 6 della legge n. 1204 del 1971, secondo il quale �i periodi 
di astensione, obbligatoria dal lavoro devono computarsi nell'anzianit� di 
servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativ'i alla 13a mensilit� e alla 
gratifica natalizia e alJe ferie�. 

N� vale evidenziare come f� l'appellante, che per il periodo suddetto 
� dovuta alla lavoratrice madre un'indennit� pari ad una quota della 
retribuzione, dal momento che, a prescindere dalla natura retributiva dell'indennit� 
medesima la circostanza comunque non esclude la valutabilit� 
del servizio, attesa la formulazione cos� esplicata della norma da non 
consentire di attribuire alle espressioni impiegate (a tutti gli effetti) un 
significato diverso da quello reso palese dalle parole usate. 

II 

Diritto -Con sentenza n. 142 del 13 aprile 1983, il T.A.R. della Lombardia 
-Sezione di BTescia -ha accolto il ricorso della Prof.ssa Foroni 
Falceri, nominata nell'incarico d'insegnamento nel periodo di astensione 
obbligatoria dal lavoro per gravidanza, riconoscendole il diritto a percepire 
il trattamento economico dal momento della nomina, indipendentemente 
dall'effettiva assunzione del servizio, nonch� il diritto alla retribuzione 
delle ferie estive oltre la rivalutazione monetaria sulle somme 
dovute. 


282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'appellante Amministra2ione, dopo avere premesso che i giudici 
di primo grado non hanno specificato che il trattamento economico per 
il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro consiste nell'indennit� 
giornaliera pari all'80% della retribuzione, di cui all'art. 15 della legge 
30 dicembre 1971 n. 1204, assume in particolare che il principio della 
maturazione del diritto a percepire la retribuzione per il periodo estivo 
in costanza di astensione, previsto dall'art. 6 della citata legge n. 1204 
del 1971, non si applica alle insegnanti incaricate, in quanto, data la 
loro peculiare situazione, esse matuuano il diritto alle ferie retribuite 
soltanto qualora abbiano prestato effettivo servizio nel corso dell'anno 
per 180 giorni. 

La menzionata L. 30 dicembre 1971 n. 1204 sulla tutela delle lavoratrici 
madri, detta nuove norme sulla disciplina del trattamento giuridico 
ed economico. delle lavoratrici che prestano la loro opera alle dipendenze 
di privati datori di lavoro o alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni, 
in sostituzione de1le preesistenti disposizioni in materia, contenute 
nella L. 26 agosto 1950 n. 860 e successive modificazioni. 


I

Orbene, per quanto attiene specificatamente a:I settore del pubblico 
impiego, come � stato anche chiarito dai! Ministero del tesoro -Ragioneria 
genei:-ale dello Stato.,--con circolare n. 26 del 25 marzo 1972, durante 

I

l'astensione obbligatoria per maternit� e puerperio, l'impiegata di ruolo 
conserva il trattamento economico in godimento, con esclusione delle 

I

sole indennit� subordinate all'effettiva prestazione del servizio, mentre 
l'impiegata non di ruolo ha diritto all'80% del trattamento economico 
in godimento, con le limitazioni sopra specificate. 

I 

Ne consegue che all'insegnante supplente o ;incaricata, in quanto 
impiegata non di ruolo, compete durante l'astensione obbligatoria dal 
lavoro l'indennit� giornaliera pari all'80% della retribuzione, cos� come 
stabilita dall'art. 15 della legge n. li04, anche se, nominata, non abbia 

I 

I 
� 

potuto assumere servizio. ffi 

Va quindi accolto il rilievo de1l'appellante Amministrazione, ricono


scendo all'intimata insegnante, in quanto incaricata, soltanto il diritto 

a percepire l'indennit� pari all'80% della retribuzione ordinaria. 



SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 marzo 1986, n. 1640 -Pres. Granata � 

Est. Cantillo -P.M. Tridico (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato 

Salimei) c. Consorzio Allevatori Polli (avv. Carboni Corner). 

Tributi erariali diretti -Redditi esenti -Consorzi e societ� cooperative 
costituite per la manipolazione trasformazione e alienazione dei 
prodotti agricoli conferiti dai soci -Attivit� effettiva esercitata Definizione 
statutaria -� insufficiente. 

�(T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 84, lett. i); d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, art. 14). 
Ai fini dell'agevolazione per i consorzi e le societ� cooperative costituiti 
per la manipolazione, trasformazione e alienazione dei prodotti 
agricoli conferiti dai soci, la sussistenza dei presupposti di legge .deve 
essere accertata in base alla concreta attivit� e non soltanto attraverso 
le previsioni statutarie (1). 

(omissis) 2. -Con l'unico motivo del ricorso principale, denunziando 
la vio1<tUone dell'art. 84, lettera i), del testo unico delle imposte dirette 
29 gennaio 1958, n. 645, nonch� motivazione insufficiente, l'Amministrazione 
sostiene che la decisione impugnata, contrariamente a quanto stabilito 
con la sentenza di cassazione della precedente pronunzia della 
Commissione Tributaria Centrale, ha o:rp.esso di accertare in concreto 
l'esistenza dei presupposti dell'esenzione, affermando la natura agricola 
per connessione de11'attivit� svolta dal Consorzio soltanto in base alle 
previsioni statutarie. 

La censura � fondata. 

Questa Corte, con la suddetta sentenza n. 1487 del 5 marzo 1980, dopo 
avere precisato che la ratio dell'esenzione da11'imposta di ricchezza mob.
i1e -prevista dall'art. 84, 1ett. i), del t.u. n. 645 del 1958 a favore delle 
cooperative e dei consorzi agricoli -va individuata essenzialmente nella 
finalit� di evitare di sottoporre di nuovo a tassazione redditi che, sebbene 
formalmente imputabili a tali enti, risultano gi� assoggettati all'imposta 
sui redditi agrari dei conferenti, afferm� il principio che la spettanza, 
o meno, dell'esenzione va di volta in volta accertata ponendo a 

(1) Decisione di evidente esattezza che enuncia un prmc1p10 estensibile a 
tutte le situazioni in cui viene in evidenza la qualit� soggettiva di un organismo 
societario. 

284 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

raffronto l'attivit� della cooperativa o del consorzio con quella svolta 
dai singoli soci, in quanto occorre stabilire se e in quale misura quest'ultima, 
per la sua natura ed entit�, sia idonea a giustificare l'attivit� di 
manipolazione, trasformazione ed alienazione compiuta dall'ente collettivo, 
che pu� essere esentata dal tributo solo se corrispondente all'attivit� 
ausiliare dello stesso tipo che ciascun conferente avrebbe potuto 
svolgere da solo senza perdere la qualifica di !imprenditore agricolo. 

A questo criterio non si era attenuta la decisione allora impugnata, 
la quale aveva negato l'esenzione prendendo in considerazione solo l'attivit� 
propria del Consorzio, senza porla in rclazione con quella dei conferenti 
e perci� qualificandola commerciale. E per questa ragione, cassata la 
pronunoia, 1a controversfa fu rimessa all'esame della Commissione Tributaria, 
affinch�, avvalendosi dei poteri di indagine di fatto ad essa spet� 
tanti, accertasse: a) se ciascuno degli aMevatori associati rivestisse la 
qualifica di imprenditore agricolo, tenuto conto che la polilicoltura integra 
un'attivit� agricola quando sia connessa allo sfuuttamento di un 
fondo prevalentemente coltivato dal pollicoltore; b) se l'attivit� di manipolazione, 
trasformazione e vendita svolta dal Consorzio fosse corrispondente 
alla medesima attivit� che ciascun socio avrebbe potuto compiere, 
ai sensi della normativa civilistica, quale imprenditore agricolo. 

Indagine, codesta, che doveva essere condotta tanto con riguardo 
all'oggetto e .alle modalit� dell'attivit� prevista dallo Statuto del Consorzio, 
quanto con riguardo alJ.'attivit� in concreto svolta dal medesimo, 
essendo principio pacifico -espressamente sancito ora dall'art. 14 del 

d.P.R. n. 601 del 1973 -che le agevolazioni per la cooperazione e le altre 
forme associative in agricoltura spettano sempre che i presuppost.i sostanziali 
della disciplina di favore si ritrovino nell'attivit� effettivamente svolta 
dall'ente collettivo. 
3. -La decisione ora impugnata, invece, pur riportando in modo puntuale 
il decisum di questa Corte, se ne � discostata nell'applicarlo, in 
quanto ha affermato l'esistenza dei fatti costitutivi dell'esenzione soltanto 
in base all'esegesi dello statuto consortile. 
Essa ha sostanzialmente osservato -quanto all'indagine sub a) che 
possono far parte del Consorzio i produttori agricoli e zootecnici 
che siano agricoltori (secondo l'art. 6 dello Statuto), e -quanto all'indagine 
sub b) -che la finalit� del consorzio � di realizzare la cooperazione 
fra gli associati per � il miglioramento della produzione, il ritiro, 
il collocamento, la macellazione e la vendita del pollame�, fra l'altro 
acquistando mangimi, medicinali, attrezzi, etc. � per conto e limitata� 
mente al fabbisogno dei consorziati�. Da ci� ha desunto l'esercizio �da 
parte del Consorzio, di quella stessa attivit� che... ciascun conferente �l 
prodotto (pollame) avrebbe potuto svolgere da solo, senza perdere la 
qualifica di produttore agricolo �. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 285 

Alla stregua della motivazione esposta, per�, questa conclusione si 
pu� ritenere giustificata, al limite, se riferita all'astratta qualificazione 
delil'attivit� delineata ne1le clausole statutarie, mentre risulta del tutto 
apodittica con riguardo all'attivit� effettivamente svolta, negli anni di 
cui si discute, dall'ente consortile e dagli associati, non venendo addotto 
alcun concreto elemento n� quanto alle caratteristiche e alle dimensioni 
delll'impresa ausiliaria dell'ente n� quanto aLl'entit� dei conferimenti e alla 
loro congruit� rispetto alla potenzialit� produttiva dei fondi dei conferenti. 


Negligendo questi profili dell'indagine, la Commissione centrale ha 
nuovamente eluso, in pratica, l'accertamento del rapporto di accessoriet� 
e di complementariet� che, nei sensi innanzi precisati, deve sussistere 
-ai fini dell'esenzione -fra l'attivit� de1l'ente coHettivo e quella dei 
soci, per cui costoro debbono conferire esclusivamente i prodotti del 
loro fondo e il primo deve attendere alla manipolazione, alla trasformazione 
e alla vendita soltanto di tali prodotti. 

Il quale rapporto -che, si ripete, deve essere necessariamente accertato 
in concreto -condiziona Ja stessa possibilit� di annoverare tra gli 
imprenditori agricoli le cooperative e gli enti consortili che svolgano 
attivit� oggettivamente riconducibili nella previsione di cui al secondo 
comma dell'iart. 2135 cod. civ., posto che l'ente collettivo, titolare di una 
impresa distinta da quelle agricole degli associati, pu� nondimeno assumere 
la veste di imprenditore agricolo per l'ordinamento fiscale come per 
l'ordinaria disciplina civilistica, sempre che l'attivit� esercitata sia economicamente 
riferibile ai soci, costituendo la naturale conclusione del 
ciclo produttivo dei loro fondi secondo l'esercizio normale dell'agricoltura. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 marzo 1986, n. 1771 -Pres. Santosuosso 
-Est. Di Salvo -P.M. Iannelli (conf.). -Adriani (avv. Adriani) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). 
Tributi locali -~mposta sull'incremento di valore degli immobili -Valore 
iniziale � Valore definito per condono � ti. vincolante. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, art. 60). 
Ai fini dell'imposta INVIM il valore iniziale � sempre quello definito 
nel precedente trasferimento anche se per condono, fatta eccezione sol� 
tanto per le ipotesi di valutazione c.d. automatica (1). 

(1) Nello stesso senso Cass. 13 giugno 1984 n. 3531 in questa Rassegna, 
1984, I, 798; 15 gennaio 1985, n. 69, ivi, 1985, I, 318. 

286 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano mancata o 
errata applicazione del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 e� del D.L. 5 ottobre 
1973 n. 660. Sostengono che, poich� l'ufficio successioni aveva valutato 
l'immobile L. 19.400.000, non poteva successivamente considerarsi 
come valore iniziale ai fini dell'INVIM, il valore di L. 7.760.000 determinato 
per effetto del condono. 

Anche questo mezzo � infondato perch� questa Corte ha gi� affermato 
(Cass. 1985, n. 69 e n. 1107) che in tema di imposta sull'incremento 
di valore degli immobili, il valore iniziale � quello �definitivamente accertato 
�, indipendentemente dal modo dell'accertamento che pu� essere 
costituito sia dalla inutile scadenza dei termini stabi1iti per proporre 
il ricorso contro l'avviso di accertamento di maggior valore, sia dall'adesione 
del contribuente a1l'accertamento de1l'ufficio, sia della decisione 
non pi� impugnabile, sia della determinazione automatica conseguente 
all'applicazione di norme dettate per agevolare la definizione delle controversie 
tributarie quali quelle contenute nel d.P.R. 5 novembre 1973, 

n. 660. 
Infatti l'art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, dopo aver precisato 
nel primo comma che l'imponibile, ai fini dell'INVIM, � costituito daHa 
differenza tra il valore dell'immobile alla data nella quale sorge il debito 
di imposta ed il valore che l'immobile aveva alla data de1l'acquisto 
ovvero della precedente tassazione, soggiunge, nel secondo comma, che 
per la �determinazione della differenza si assumono, per gli immobili di 
cui all'art. 2, (e, cio� anche per quelH che, come nella fattispecie, sono 
stati trasferiti mortis causa), quale valore finale quello dichiarato o 
quello maggiore definitivamente accertato per il trasferimento del bene 
ai fini dell'imposta di registro o di successione e quale valore iniziale 
queMo � analogamente � dichiarato o accertato per il precedente acquisto. 
Viene assunto, invece, come valore iniziale, quello venale al momento 
dell'acquisto stesso solo nell'ipotesi, non ricorrente nella fattispecie, che 
il valore dell'immobile, agli effetti dell'imposta di registro o di successione, 
sia stato determinato ai sensi delle leggi 20 ottobre 1954, n. 1044 e 
27 maggio 1959, n. 355. Lo stesso secondo comma soggiunge che �per i 
trasferimenti non soggetti all'imposta proporzionale di registro o all'imposta 
di successione, si assumono quali valore iniziale e finale i valori 
venali determinati secondo le norme relative all'imposta di registro�. 

Da tali premesse pu�, quindi, desumersi che il riferimento al valore 
venale per la determinazione dell'imponibile, ai fini. dell'INVIM, pu� 
esser fatto soltanto nelle ipotesi che l'immobile non sia soggetto all'imposta 
proporzionale di registro, all'imposta di successione, aWimposta sul 
valore aggiunto, ovvero quando iJ. suo valore, per i precedenti acquisti, sia 
stato determinato con i criteri automatici stabiliti per i fondi rustici. 

Al di fuori di tali ipotesi -che trovano la loro ratio, quanto alle 
prime, nella circostanza che per tali immobili manca un valore assumi



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

bile come iniziale, e, quanto all'ultima nel carattere eccezionale della 
tassazione automatica che non � utilizzabile ai fini in esame -il valore 
iniziale non pu� mai essere determinato con riferimento ai! valore venale 
del bene prescindendo dal precedente valore dichiarato accertato o comunque 
definito ai fini dell'imposta di registro o di successione. Il valore 
definito ai sensi del d.P.R. 1973, n. 660 � quindi, vincolante ai fini della 
determinazione dell'INVIM dovuta per i successiivi trasferimenti perch� 
il predetto art. 6 consente il 11iferimento ai pi� favorevoli criteri agevolativi 
soltanto per i criteri di questa natura che stanno alla base della 
va:lutazione automatica dei fiondi rustici; trattandosi di norma di carattere 
eccezionale non � quindi consentita 1'app1icazione analogica (art. 14 
preleggi). Pu� ancora soggiungersi che l'avverbio �analogamente� usato 
nel secondo comma con riferimento alla determinazione del valore iniziale 
non pu� avere altro significato che quello di rinviare ai criteri di 
determinazione del valore finale precedentemente indicato e per il quale 
si era fatto riferimento al �valore dichiarato o a quello maggiore definitivamente 
accertato� nel quale ultimo certamente rientra quello definito 
mediante il c.d. condono tributario. 

Questa interpretazione trova puntuale conferma nella relazione ministeriale 
al decreto delegato istitutivo dell'INVIM nella quale si legge 
che � per gli immobili trasferiti debbono assumersi di norma, quali 
valori, finale ed iniziale, quelli dichiarati o quelli maggiori definitivamente 
accertati agli effetti dell'imposta di registro o di successione �. 

Come ha posto in rilievo la sentenza impugnata, la contraria interpretazione 
consentirebbe al contribuente di conseguire un duplice ingiustificato 
beneficio. Nel caso in esame, invero, egli, dopo aver usufruito 
della riduzione della imposta di successione per effetto del c.d. condono, 
verrebbe poi a usufruire -ove il valore precedentemente definito non 
dovesse esser considerato vincolante -di un ulteriore vantaggio, non previsto 
dalla legge, in sede di pagamento dell'INVIM dovuta per un successivo 
trasferimento del bene. 

N� pu� sostenersi che la regola affermata sarebbe ingiusta, perch� 
verrebbe a sovrapporsi alla volont� del soggetto; infatti, il beneficio 
della valutazione automatica, viene concesso a richiesta del contribuente 
e non ope legis per cui egli � libero di decidere se chiedere o meno di 
usufruirne, ma una volta adottata la scelta positiva, non pu� sceverare 
le conseguenze della sua manifestazione di volont� accettandone quelle 
a lui favorevoli e respingendone le altre. 

L'interpretazione adottata appare, dunque, come l'unica conforme ai 
pr,inc�pi dell'ordinamento tributario ed alla direttiva contenuta nell'art. 7 
della legge delega per la riforma n. 825/1971, secondo la quale occorreva 
realizzare l'unificazione e la semplificazione dei sistemi di determinazione 
dell'imponibile reLativo alLe imposte di registro, di successione ed all'INVIM. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Sarebbe, quindi, �incongruo determinare il valore imponibile dello 
stesso bene adottando di volta in volta criteri diversi e pervenendo cosl 
a due valori divergenti. 

Pu�, infine, sogwi.ungersi che tale interpretazione ha avuto autorevole 
conferma dallo stesso legislatore, che, pur non avendo dettato una norma 
interpretativa del provvedimento del 1973 (applicato nel caso in esame) 
ha adottato il criterio prima illustrato con il d.P.R. 7 agosto 1982, n. 516, 
il cui art. 31, comma secondo espressamente stabilisce che, nelle ipotesi 
in cui il contribuente abbia chiesto l'applicazione deHa riduzione automatica 
dell'imponibile, � si assume come valore iniziale per le successive 
applicazioni dell'INVIM quello accertato dall'ufficio agli effetti delle 
imposte di registro, sulle successioni e donazioni ridotto della met� o 
quello dichiarato dal contribuente aumentato del 20 % �. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 aprile 1986, n. 2336 -Pres. La Torre Est. 
Maltese -P. M. Amirante (conf.) -Soc. Alfa Sud c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato D'Amico). 

I 

Tributi in genere � Contenzioso t'ributario � Provvedimento impugnabile � 
Avviso di liquidazione � Decadenza per mancata impugnazione. 

I

f:
(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636: art. 16). 
i 
i
fil

Anche anteriormente alla novella introdotta con il d.P.R. 3 novembre 
1981 n. 739, l'avviso di liquidazione doveva ritenersi compreso nel


I .
l'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 fra gli atti contro i quali il ricorso 
deve essere proposto a pena di decadenza (1). 

fil 

(omissis) L'Amministrazione finanziaria, con l'unico motivo del ricorso 
incidentale, proposto in via subordinata, denuncia la violazione e If: 
la falsa applicazione degli artt. 16, 26, 53 e 54 d.P.R. 26 ottobre 1972, 

I 

n. 
634 e 16 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. ~ 
Sostiene che l'avviso di liquidazione, notificato il 20 aprile 1972, conI 
~ 

terrebbe l'accertamento di cui all'art. 16 d.P.R. 636. 

Pertanto la richiesta di rimborso sarebbe stata tardivamente inoltrata 
il 6 luglio 1977, dopo la scadenza del termine di sessanta giorni 
decorrente dalla notifioazione di detto avviso, e il ricorso sarebbe stato 
tardivamente proposto il 2 novembre 1977. 

Erroneamente, quindi, la Corte d'appello avrebbe respinto l'eccezione 
di improponibilit� della domanda della controprurte. 

Ritiene il Collegio che d ricorso incidentale, sicuramente pregiudiziale 
all'esame dei mezzi di censura enunciati nel Ticorso principale, 
sia pienamente fondato e debba essere accolto. 

(1) Un chiarimento opportuno di evidente esattezza. 
J 

~ 

' ~ 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Dispone l'art. 16 d.P.R. n. 636 del 1972: �Il termine per proporre il 
ricorso alfa Commissione di primo grado � di sessanta giorni e decorre 
dalla notificazione dell'avviso di accertamento, dell'ingiunzione, del ruolo, 
del provvedimento che irroga le sanzioni pecuniarie. Per notificazione 
del ruolo si intende la notificazione della cartella esattoriale. 

11 ricorso contro l'ingiunzione o il ruolo � ammesso soltanto se tali 
atti non sono stati preceduti dalla notificazione dell'avviso di accertamento 
o del provvedimento che irroga le sanzioni pecuniarie, ovvero 
per vizi loro propri. 

Nei casi in cui il pagamt>nto del tributo ha avuto luogo senza 
preventiva imposizione e nei casi in clli il contribuente afferma essere 
sopravvenuto il diritto al rimborso, si considera imposizione il rifiuto 
di restituzione della somma pagata, ovvero il silenzio dell'amministrazione 
per novanta giorni dalla intimazione a provvedere, notificata a 
mezzo di fottera raccomandata c0n ricevuta di ritorno, e il ricorso deve 
essere proposto, salve diverse disposizioni delle singole leggi di imposta, 
entro sessanta giorni dal rifiuto o dalla scadenza di novanta giorni �, 

Sostiene la Corte d'appello di Napoli che la norma dell'art. 16, comma 
1�, secondo cui � il termine per proporre ricorso alla Commissione 
di primo grado � di sessanta giorni a decorrere dalla notificazione dell'avviso 
di accertamento�, non sarebbe applicabile al caso in esame, 
in quanto nel sistema tributario vigente il termine � accertamento � sarebbe 
riservato all'atto o alfa serie di atti' necessari per la constatazione 
e la valutazione dei vari elementi costitutivi del debito di imposta, e 
non comprenderebbe, quindi, l'atto consistente in operazioni meramente 
aritmetiche per la determinazione della somma dovuta in base alle 
aliquote e al valore dell'imponibile dichiarato, come, appunto, quello 
che l'ufficio pone in essere per la liquidazione dell'imposta di registro. 

Si imporrebbe, quindi, secondo la Corte d'appello, un'interpretazione 
non estensiva delila norma eccezionale di decadenza contenuta nel 
citato art. 16, comma 1�, con riferimento al solo caso in essa previsto 
della notificazione dell'avviso di accertamento, rimanendone escluso il 
caso non previsto della notificazione dell'avviso di liquidazione, di cui 
soltanto il successivo d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 fa menzione nell'art. 
7, con intendimenti dichiaratamente correttivi del precedente decreto 
n. 636 del 1972. 

Nella specie, sarebbe dunque applicabile -prosegue la sentenza 
impugnata -la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 16, per la 
quale �nei casi in cui il pagamento del tributo ha avuto luogo senza 
preventiva imposizione ( ...) si considera imposizione il rifiuto di restituzione 
della somma pagata, ovvero il �Silenzio deH'Amministrazione, per 
novanta giorni dall'intimazione ( ...) �; e il ricorso dovrebbe essere, quindi, 
proposto entro sessanta giorni dalla scadenza del novantesimo giorno 
successivo alla richiesta di rimborso. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ritiene il Collegio che tale argomentazione sia priva di fondamento 
giuridico. 
Invero, � proprio Ia disposizione dell'ultimo comma dell'art. 16 a 
dare l'esatta misura della portata della norma contenuta nel primo. 

Essa -la disposizione dell'ultimo comma -presuppone la mancanza 
dell'imposizione ( � ... casi in cui il pagamento del tributo ha avuto luogo 
senza preventiva imposizione�), ovvero la sopravvenienza del diritto 
al rimborso ( � ... casi in cui il contribuente afferma essere sopravvenuto 
il diritto al rimborso�). N� l'una n� l'altra ipotesi ricorre nella specie: 
non la mancanza dell'imposizione,. che si ha, per esempio, nella ritenuta 
d'acconto e nelle varie figure di �tributi senza imposizione� (quelli che 
vengono assolti con l'annullamento di un valore bollato oppure con versamento 
alla tesoreria dell'ente creditore o all'esattore, senza una preventiva 
liquidazione); non l'oggettiva sopravvenienza del diritto al rim� 
borso, essendo contestata in radice l'originaria esistenza della obbligazione 
tributaria. 

Sussiste, per contro, il presupposto, comune ad ogni ipotesi della 
disposizione del primo comma, dell'imposizione tributaria, che, nel caso 
in argomento, avviene con la liquidazione dell'imposta di registro, al 
verificarsi della cond1zione della sottoscrizione dell'intero aumento del 
capitale sociale. 

Pertanto, in presenza dell'atto di imposizione, il dies a quo del 
termine di sessanta giorni per proporre il ricorso si identifica con la 
data di notificazione dell'atto che lo presuppone, cio�, nella specie, con 
il giorno della notificazione dell'avviso di liquidazione, per interpretazione 
meramente dichiarativa dell'espressione �notificazione dell'avviso 
di accertamento�, con cui il legislatore ha inteso riferirsi anche all'accertamento 
contenuto nell'atto di liquidazione e che poi il legislatore 
del 1981 ha voluto specificare, per ragioni di. chiarezza, con la previ� 
sione esplicita dell'avviso di liquidazione. 

D'altronde, attribuire alJa locuzione legislativa del '72 -come pretende 
la Corte d'appello -un significato ristretto all'avviso di accertamento, 
escludendo letteralmente l'avviso di liquidazione, significherebbe 
riconoscere che il legislatore di allora minus dixit quam voluit, e autorizzare, 
quindi, l'interpretazione estensiva, la qua�e, a differenza della 
interpretazione analogica, � consentita, come � ben noto, anche in presenza 
di norme speciali, fra cui le disposizioni, come quella dell'art. 16, 
che prevedono una decadenza. Sotto ogni aspetto, pertanto, il ricorso 
incidentale dell'amministrazione finanziaria appare fondato e deve essere 
accolto -essendo pacifico in causa il decorso del termine di sessanta 
giorni dalla notificazione dell'avviso di liquidazione -con la cassazione 
senza rinvio della sentenza impugnata, rimanendo assorbito il 
ricorso principale. (onussis) 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 291 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 maggio 1986, n. 3012 -Pres. Virgilio 


Est. Rossi -P. M. Iannelli (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 

Salimei) c. Soc. Rodano. 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Ipotesi 
di rinvio -Notificazione dell'accertamento -Nullit� -Rinvio per 
provocare la sanatoria -Esclusione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 21, 24, 29 e 40). 
Poich� il giudice di terzo grado pu� disporre il rinvio esclusivamente 
nelle ipotesi previste nell'art. 29 del d.P.R. n. 636/1972, quando viene 
pronunciata la nullit� della notifica dell'accertamento non pu� essere 
disposto il rinvio per ordinare la rinnovazione della notifica a norma dell'art. 
21 (1). 

(omissis) La ricorrente Amministrazione, deducendo la nullit� della 
sentenza per violazione degli artt. 40 e 29 del citato d.P.R. n. 636/1972, 
sostiene che la Corte milanese, nel pronunciare la riforma della decisione 
impugnata, non doveva considerare concluso il giudizio, ma doveva 
rinviarlo ad altra sezione della stessa Commissione Tributaria perch� 
questa disponesse la rinnovazione dehla notificazione e per ogni 
altro dovuto esame circa la fondatezza o meno de1le contestazioni del 
contribuente. 

Il ricorso � infondato. 

Il citato art. 40 dispone l'applicabilit� al giudizio innanzi alla Corte 
d'appello della norma dettata dal precedente art. 29 primo e secondo 
comma, sulle decisioni di rinvio della Commissione Tributaria Centrale. 

(1) La decisione non pu� essere condivisa. Innanzi tutto non pu� essere 
accolta la affermazione, in termini tanto assoluti, che il rinvio � da porre in 
relazione esclusivamente con le ipotesi previste nell'art. 29 D.P.R. n. 636/1972. 
Questa norma disciplina il particolare rinvio che segue una decisione di 
merito del giudice di terzo grado ma non esclude che, in base ai princ�pf 
generali, debbano ricercarsi altre ipotesi di vero e proprio rinvio nei casi 
in cui il giudice di terzo grado pronuncia una decisione di legittimit�, di 
solo annullamento, ed altre ipotesi di rimessione al primo o al secondo grado 
in situazioni anche diverse da quelle espressamente considerate nell'art. 29 
secondo comma (C. BAFILE, Rinvio e rimessione nel processo tributario, in 
Dir. pr.at. trib. 1984, II, 880). 

Nella controversia in esame la corte d'appello aveva dichiarato la nullit� 
della notifica dell'avviso di accertamento, escludendo che essa avesse raggiunto 
lo scopo, senza affatto preoccuparsi di fare applicazione dell'art. 24 
che fa obbligo alla commissione (di appello) di assegnazione di un termine 
per la rinnovazione della notifica (con effetto sanante), facendo ci� che la 
commissione di primo grado (art. 21) avrebbe dovuto fare e non ha fatto. 
Tutto ci� viene avallato dalla S. C. In sostanza si afferma che se la questione 
della nullit� della notifica non viene affrontata nel giudizio di primo e di 

6 



292 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ed in forza di tale richiamo la Corte d'appello deve disporre il rinvio 
in esclusiva relazione a due ordini di ipotesi: 

a) alla commissione tributaria di secondo grado, quando si renda 
necessario, in conseguenza dell'accoglimento del ricorso, rinnovare il 
giudizio SU questioni di valutazione estimativa O Telative alla misura 
delle pene pecuniarie (primo comma dell'art. 29); 

b) alla commissione tributaria di primo grado, nei casi indicati 
dall'art. 24 secondo comma: quando cio0 (anche nelle controversie su 
questioni di valutazione estimativa o <elative alla misura delle pene 
pecuniarie, di cui al primo comma dello stesso art. 29) si rilevi che 
nel giudizio di primo grado il contraddittorio non si � costituito regolarmente 
o che il collegio � stato composto in modo illegittimo (secondo 
comma dell'art. 29). 

I citati commi primo e secondo dell'art. 29 non prevedono quindi 
alcun'altra ipotesi di rinvio, sicch� nella disciplina sul rinvio cos� testualmente 
fissata per la Corte d'apvcllo non pu� farsi rientrare l'ipotesi 
-non richiamata -di cui all'art. 21 del medesimo d.P.R. n. 636 
del 1972: il quale impone alla commissione tributaria di primo grado, se 
rilevi un vizio che ai sensi dell'art. 160 c.p.c. importi la nuHit� della 
notificazione dell'atto dell'ufficio contro il quale � stato proposto il 
ricorso, e sempre che non si sia verificata sanatoria, di sospendere il 
giudizio e assegnare un termine per la rinnovazione della notificazione. 

La cognizione della Corte d'appello, sulla corretta interpretazione 
delle norme di diritto e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, non 

secondo grado pu� egualmente essere dedotta in terzo grado; ma in tal 
caso non opera pi� la sanatoria degli artt. 21 e 24. 

Potr� essere discutibile se il giudice di terzo grado che rileva per la prima 
volta la nullit� debba disporre il rinvio o ordinare esso stesso la rinnovazione, 
ma di certo non si pu� ammettere che la palese violazione degli 
artt. 21 e 24 non possa essere riparata in terzo grado. 

1l. vero che la sanatoria dell'art. 21 � espressamente affidata anche al giudice 
di appello (art. 24) e non pure al giudice di terzo grado (l'art. 29 richiama 
soltanto il secondo comma dell'art. 24); ma ci� ben si spiega perch�, 
ordinariamente, non � verosimile che una questfone di nullit� dell'accertamento 
venga esaminata per la prima volta in terzo grado. Ma ove ci� avvenga per 
una irregolarit� del processo (nel caso di specie omessa pronuncia su eccezione 
espressamente formulata) il giudice di terzo grado dovr� riparare a tutti 
i vizi del procedimento e fare anche quel che avrebbe dovuto fare il giudice 
di secondo grado. 

In base agli artt. 21 e 24, la Commissione deve d'ufficio ordinare la rinnovazione 
senza poter dichiarare la nullit� dell'avviso; ci� dovr� essere fatto 
anche in terzo grado, direttamente o per rinvio, se � ancora deducibile la 
nullit�. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ~93 

� estesa alle questioni relative 3 valutazione estimativa e alla misura 
delle pene pecuniarie. 

Nei quali casi l'impugnazione ex art. 40 del d.P.R. n. 636 del 1972 
non ha effetto totalmente devolutivo e la pronuncia della Corte, che 
pu� annullare ma non sostituire la decisione impugnata, deve comportare 
il rinvio alla commissione tributaria di secondo grado per la risoluzione 
di questione sottratta alla sua cognizione (diversa ed estranea al giudizio 
�, l'altra ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 24). 

Ma nella specie non ricorre Pessuno di tali casi, avendo il contribuente 
proposto .l'impugnazione soltanto per far valere la nullit� della 
notifica dell'avviso di accertamento (cfr. decisione denunziata in questa 
sede). 

Trattasi perci� di ipotesi che non rientra� tra quelle previste dall'art. 
29 primo e secondo comma del ripetuto d.P.R. n. 636 del 1972. 

Alla stregua di tale normativa correttamente la Corte d'appello ha 
limitato la propria pronuncia alla declaratoria di nullit� della notifica 
d�ll'atto di �ccertamento, considerando concluso il giudizio (e non adottando 
alcun altro provvedimento neppure ex art. 162 c.p.c., il cui 
scopo -di impedire che dalla nullit� di un atto processuale rimanga 
travolta la fase del processo che ne sia rimasta influenzata -non � 
certo quello di sanare attivit� anteriori al processo stesso e sulla cui 
validit� anzi il giudice � chiamato a pronunziarsi). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 maggio 1986, n. 3059 -Pres. Falcone Est. 
Tilocca -P. M. Di Renzo (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato D'Amico) c. Banca Popolare del Materano (avv. Adonnino). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Rimborsi -Pagamento a seguito 
di iscrizione a ruolo non impugnata -Sopravvenuto diritto 
al rimborso -Legge interpretativa -Esclusione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). 
Il pagamento dell'imposta eseguito a seguito di iscrizione a ruolo 
-non impugnata nel termine non pu� essere contestato attraverso la domanda 
di rimborso a meno che il diritto al rimborso non sia sorto 
successivamente per effetto di un evento modificativo. � da escludere che 
il diritto al rimborso possa essere successivamente sorto per effetto di 
una circolare o di una norma interpretativa che non innova sulla norma 
originaria (1). 

(1) Decisione da condividere pienamente. � innanzi tutto importante l'affermazione 
di principio che il ruolo come l'accertamento � capace di determinare 
in modo irretrattabile l'obbligazione; la mancata impugnazione del ruolo 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

294 


(omissis) L'Amministrazione ricorrente denuncia �la violazione e falsa 
applicazione dell'art. 16 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 nonch� dell'art. 3 

1. 23 febbraio 1978 n. 38 in relazione aill'art. 360, n. 3, c.p.c. � contestando 
che nella specie ricorra l'ipotesi della sopravvenienza del diritto al rimborso, 
prevista dal testo, allora in vigore, dell'anzidetto art. 16, comma 3, 
che in deroga alla regola della proponibilit� del ricorso alla Commissione 
entro il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale, 
faceva decorrere tale termine medesimo in .relazione al silenzio 
serbato dall'Amministrazione per novanta giorni sUJll'istanza di rimborso. 
Sostiene in particolare l'Amministrazione che �il diritto al rimborso 
non pu� sorgere da una circolare ministeriale, che si 1imita ad 
impartire direttive agli uffici dipendenti suggerendo che una certa norma 
venga interpretata in un certo senso �; n� pu� sorgere da una legge di 
interpretazione autentica, la quale � imponendo che ad una detenninata 
espressione della legge interpretata venga attribuito il significato in essa 
esposto, non modifica affatto l'effettivo e reale contenuto de1la leg~e 
anteriore �. 

Il ricorso va accolto. 

Nella specie, non si tratta di dpotesi nella quale successivamente 
all'acquisita definitivit� dell'iscrizione a ruolo del debito di imposta sia 
sorto il diritto al rimborso della somma versata in esecuzione dell'iscrizione 
medesima, bens� di iscrizione illegittima, fondata, cio�, sull'erronea 
interpretazione dell'art. 10 1. n. 823 del 1973, e del conseguente pagamento 
del debito di imposta. Perci� la Banca popolare del Materano poteva 
(e doveva) proporre ricorso entro il termine di sessanta giorni dalla 
notificazione della .cartella esattoriale. 

Non avendo essa osservato tale onere di tempestivit�, l'iscrizione a 
ruolo � divenuta definitiva ed inoppugnabile e pertanto la somma versata 
non � pi� ripetibile. Non � applicabile al riguardo la disciplina 
contenuta nel codice civile sulla ripetizione dell'indebito, essendo Ja 
materia del rimborso di importi indebitamente pagati interamente e 
compiutamente regolata dall'ordinamento legislativo tributario. 

L'affermazione della Commissione centrale, secondo la quale il diritto 
al rimborso � sorto per effetto de1la circolare ministeriale � confermata 
con la norma 'dell'art. 3 1. 23 febbraio 1978 n. 38 �, non pu� condividersi. 
La detta circolare non poteva avere altro valore che quello di una mera 
interpretazione amministrativa dell'art. 10 della legge n. 823 del 1973 e 
perci� inidonea a porsi come fonte di nuovi diritti ed obbligazioni, non 

produce la irrepetibilit� delle somme pagate. t> poi esattissimo che non pu� 
parlarsi di diritto sopravvenuto al rimborso (per un evento che esclude l'effetto 
preclusivo del ruolo) quando la norma, pur non esattamente applicata, 
sia rimasta immutata ed abbia solo ricevuto conferma. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 293 

contemplati gi� dalla norma legislativa. N� la circolare ministeriale pu� 
essere considerata atto di riconoscimento dell'obbJigazione di rimborso 
in quanto priva degli elementi soggettivi tipici dell'atto di riconoscimento: 
essa � stata indirizzata esclusivamente agli uffici �dipendenti, con valore 
interno all'amministrazione, e mirava a stabilirne una determin�ta linea 
di condotta uniforme nell'applicazione delJa predetta norma. 

Dal suo canto l'art. 3 della I. n. 38 del 1978 non ha inteso modificare 
l'ultimo comma dell'art. 10 della I. n. 823 del 1973, ma si � limitato a 
dare della norma un'interpretazione autentica disponendo che la maggiorazione 
dalla medesima prevista �deve intendersi commisurata all'ammontare 
dell'imposta iscrivibile a ruolo a seguito della definizione

1

della pendenza tributaria secondo le norme � del decreto di condono, 
� al netto della somma comunque precedentemente iscritta a ruolo per 
il medesimo titolo �. Perci� iii . rapporto d'imposta relativo a1la detta 
maggiorazione � rimasto regolato dalla norma originaria, seppure questa 
debba intendersi nel senso previsto dal pi� volte citato art. 3. Di conseguenza 
la norma interpretativa, non prevedendo nulla al riguardo, non 
consente di impugnare le iscrizioni a ruolo divenute gi� definitive ed 
inoppugnabili prima della sua entrata in vigore, ancorch� fondate su 
un'interpretazione diversa da quella da essa imposta circa la portata 
della norma precedente. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 maggio 1986, n. 3193 -Pres. Sandullii Est. 
Di Salvo -P. M. Nicita (conf.). Soc. Raffineria Padova (avv. Magnani) 
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). 

Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Condono 
� Riparto delle perdite -Compatibilit�. 

(d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 2). 
Poich� a tutti gli effetti, nelle ipotesi dell'art. 2 del d.l. 5 novembre 
1973 n. 660 il meccanismo automatico del condono fa riferimento all'imponibile 
dichiarato, se nella dichiarazione si � tenuto conto del 
riporto delle perdite � su questa base che vanno operate le riduzioni 
percentuali (1). 

(1) Nella richiamata sentenza 28 marzo 1984 n. 2045 (in questa Rassegna, 
1984, I, 545) era stata affermata la regola opposta che il contribuente non 
potesse riportare le perdite in detrazione dal reddito accertato. Ora si tenta 
di conciliare le due affermazioni nel senso che sia la dichiarazione che l'accertamento 
sono insuscettibili di modificazioni e sulla somma da essi portata 
vanno direttamente calcolate le riduzioni stabilite dalla legge. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

296 

(omissis) Con l'unico mezzo la ricorrente -deducendo violazione 
dell'art. 2 lett. a) e dell'art. 11 D.L. 5 novembre 1973, n. 660, convertito 
in L. 19 dicembre 1973, n. 823, nonch� falsa applicazione dell'aTt. 112 
del R.D. 29 gennaio 1958 n. 685, in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. -sostiene 
che la nozione di �imponibile dichiarato�, cui fa riferimento l'art. 2

1

della legge sul condono, si identifica in que1la grandezza o valore, al quale, 
se di segno positivo, viene applicata l'aliquota o tasso d'imposta e che, 
agli effetti dell'applicazione dell'imposta di R.M. cat. B, il � reddito netto �, 
quale parametro di commisurazione del tributo, si contrappone al � reddito 
imponibile�, che � costituito dalla differenza trn il reddito netto e le 
detrazioni stabilite dalla legge (perdite di esercizi precedenti, esenzioni, 
ecc.) in base al quale viene �calcolata l'imposta. Sostiene, quindi, che l'affermazione 
contenuta ne1la sentenza impugnata, secondo cui il reddito 
netto imponibile sarebbe costituito da � quello legalmente determinabile 
in base alla dichiarazione>>, � contraddittorio e, comunque destituito di 
fondamento normativo perch� in contrasto con il meccanismo di determinazione 
dell'imposta, ai fini del condono, che � ispirato a criteri di 
rigido automatismo. 

La censura � fondata. 

L'art. 2 lett. a) del DJ.,. 5 novembre 1973, n. 660, come modificato dalla 
legge di conversione 19 dicemblie 1973, n. 823, con rifevimento ai periodi di 
imposta in ordine ai quali, anteriormente al 31 dicembre 1973, sia stato 
notificato l'accertamento, stabLlisce, per l'ipotesi in cui alla detta data 
non sia stata notificata alcuna decisione in sede contenziosa, che ai fini 
della determinazione dell'imposta, l'imponibile accertato dall'ufficio deve 
essere ridotto di un importo pari al quaranta per cento della differenza 
tra l'imponibile stesso e quello dichiarato dal contribuente e di un ulteriore 
importo pari al venticinque per cento de11'imponibile dichiarato. 

La norma, che � espressione del criterio seguito da tutto il provvedimento 
legislativo, ha adottato il sistema di definizione automatica 
delle pendenze tributarie al fine di pervenire alla sollecita definizione 
delle controversie. Tale sistema comporta l'applicazione dei rigidi criteri 
fissati dal provvedimento ~egislativo per la liquidazione dell'imponibile, 
escludendo qualsiasi discrezionalit� del fisco, che per volont� della legge, 
ha rinunziato ad esigere i tributi secondo i consueti criteri stabiliti dal 
sistema tributario e dalle singole leggi d'imposta. Occorre infatti ricordare 
che � stata esclusa per il contribuente, una volta pr.esentata la domanda 
di condono .la possibilit� di sollevare contestazioni sul carico tributario, 
a seguito dell'applicazione degli indicati criteri -e senza che in ci� sia 
mvvisabi1e alcuna violazione dell'art. 53 Cost., dal momento che la normativa 
di cui al D.L. n. 660 del 1973 configura una transazione fra fisco e contribuente 
la quale non consente, sia per una parte che per l'altra, la pretesa 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

di ottenere l'applicazione di altre norme pi� favorevoli al richiedente � 
stata esclusa perch�, per effetto della richiesta di condono, il rapporto 
tributario deve essere definito secondo i criteri automatici previsti, in 
quanto tale meccanismo � insuscettibi~e di essere derogato od integrato 
con l'applicazione di altre norme tributarie che porterebbero ad una diversa 
imposizione. Tale possibilit� � stata gi� esclusa da questa Corte 
per il contribuente, in quanto si � rilevato che una volta che egli abbia 
manifestato la volont� di avvalersi del c.d. condono, non pu� pi� sollevare 
questioni sulla maggiore onerosit� del carico tributario. che gliene 
sia derivata o chiedere applicazione congiuntiva di altri benefici. Si � 
ritenuto, infatti, con riferimento alle pretese dei contribuenti di ottenere 
agevolazioni risultanti da altre norme tributarie, che queste non potessero 
essere conservate da coloro che avevano presentato domanda di definizione 
automatica (Cass. 1984, n. 1865; 1985, n. 2493) e tale regola � stata 
adottata anche con rifer.imento alla norma invocata dall'amministrazione 
finanziaria. Si � ritenuto in proposito che qualora il contribuente 
abbia presentato domanda di definizione agevolata del tributo dovuto, 
l'imposta determinata secondo gli artt. 2, 3 e 4 del decreto in esame non 
pu� subire alcun mutamento per effetto dell'art. 112 del T.U. n. 645/1958, 
in quanto l'applicabilit� di tale disposizione -comportando la modifica 
dell'imponibile automaticamente determinato -comporterebbe violazione 
dell'art. 11, comma 2 del decreto medesimo; si � cos� esclusa la 
possibilit� di compensare il reddito imponibile cos� come definito secondo 
i cr�.teri automatici, con le perdite accertate in esercizi precedenti (Cass. 
1984/2045). Lo stesso criterio deve essere adottato nella risoluzione della 
controversia in esame nella quale � l'amministrazione che pretende di 
disattendere i criteri di �definizione automatica per fare ricorso ai nor


mali criteri di liquidazione del tributo ed, in particolare, a quelli previsti 
dal predetto art. 112 (Cass. 1985/2880). 

Infatti .l'automatismo che preclude al contribuente, che abbia presentato 
la domanda di definizione agevolata, di avvalersi di altre norme 
tributarie a lui favorevoli, non pu� non operare, per un fondamentale 
principio di parit� di trattamento, che trova applicazione nella speciale 
normativa che discipli:ina il c.d. condono, anche nei confronti del fisco, 
il quale, per volont� del legislatore, � tenuto a riscuotere i tributi solo 
nella misura prevista dal predetto provvedimento, rinunciando ad ottenerli 
nella misura che sarebbe risultata dalla applicazione di altre leggi 
tributarie .e ci� -ove si voglia rinvenire il motivo del provvedimento, 
desumendolo dai lavori parlamentari -al fine di riscuotere con sollecitudine, 
senza attendere l'esito delle normali procedure amministrative 
e ponendo fine al pesante contenzioso esistente, sottraendosi, altres�, 
all'alea delle liti. (omj.ssis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

298 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 maggfo 1986, n. 3198 -Pres. La Torre 


Est. Maltese -P. M. Leo {conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stail:o 

Mari) c. Albani. 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza 
-Avviamento di azienda conferita in societ� -Si verifica. 

(T.V. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 100). 
La plusvalenza da avviamento di azienda individuale d� luogo a reddito 
imponibile anche quando si verifica mediante conferimento in societ� 
di persone, indipendentemente dalla percezione di un corrispettivo (1). 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso l'Amministrazione finanziaria 
denuncia la violazione dell'art. 100 t.u. n. 645 del 1958. 

Sostiene che la sentenza � viziata da un errore di fondo, consistente 
nel disconoscere l'esistenza di un corrispettivo del conferimento di quote 
aziendali in societ�, mentre il carattere oneroso dell'apporto sociale � 
affermato dalla dottrina unanime. 

Il ricorso � fondato per le ragioni che seguono. 

Solo con l'apporto dell'intera azienda alla societ�, non certamente 
col trasferimento di una parte di essa (1/100) ad altro soggetto (il figlio), 
l'Albano pot� realizzare il valore di avviamento. 

La formazione della plusvalenza, agli effetvi dell'imposta di r.m., 
cat. B, presupponeva, invero, il trasferimento dell'intera azienda ad un 
nuovo soggetto, la neoistituita societ� in nome collettivo. 

Questo risultato fu raggiunto con il conferimento di tutte le quote 
sociali. 

Come la giurisprudenza di questa Corte ha gi� avuto occasione di 
precisare, �la plusvalenza da avviamento realizzata dall'imprenditore individuale 
per effetto del trasferimento della propria azienda ad una 
societ� di persone, dotata di autonomia patrimoniale e di distinta soggettivit� 
tributaria, concorre a formare il reddito imponibile con l'imposta 
di ricchezza mobile, ai sensi e sotto il vigore dell'art. 100 del d.P.R. 29 gennaio 
1958 n. 645, a prescindere dalla percezione di un corrispettivo e, 
quindi, anche nel caso in cui quell'imprenditore divenga socio della 
societ� e ceda l'azienda a titolo di conferimento � (Cass. 12 maggio 1979 

n. 2739). 
(1) �> confermato l'orientamento di Cass. 12 maggio 1979 n. 2739 (in questa 
Rassegna, 1979, I, 763), bench� sia stata esclusa, sempre sotto il vigore del 
T. U. del 1958, la realizzazione di plusvalenza nel caso di permuta (9 ottobre 
1979 n. 5220, ivi, 1980, I, 184). 
La questione � oggi risolta testualmente nell'art. 54, d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 597. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 299 

Non � pertinente il riferimento del contribuente alla decisione di 
questa Corte a Sezioni Unite n. 5220 del 9 ottobre 1979, ohe riguarda soltanto 
l'ipotesi di una permuta posta in essere senza conguagli da una 
societ� soggetta alle regole del bilancio, con la conseguente preclusione, 
per la Finanza, della possibilit� di accertare l'eventuale maggior valore 
-tassabi1e quale plusvalenza -del primo dei beni permutati, contro le 
risultanze dell'iscrizione nel bilancio del costo del bene acquistato, pari 
al costo del bene ceduto: situazione evU:dentemente estranea al caso in 
esame. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIOAE, Sez. I, 20 maggio 1986, n. 3340 -Pres. Santosuosso 
-Est. Borruso -P. M. Martinel.li (diff.). Soc. Lostar c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Laporta). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giudizio di cassazoine -Nullit� 
del giudizio di primo grado ex art. 24 secondo comma e 29 
secondo comma d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 -Cassazione con rinvio 
alla Commissione di primo grado. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, artt. 24 e 29 c.p.c. art. 386). 
Quando la Corte di Cassazione accerta una nullit� del giudizio di 
primo grado (nella specie vizio di contraddittorio) per la quale il giudice 
di appello avrebbe dovuto rimettere al primo giudice (art. 24 secondo 
comma e 29 secondo comma d.P.R. n. 636/1972) annulla con rinvio alla 
commissione di primo grado a norma dell'art. 383 c.p.c. (1). 

(omissis) L'impugnata decisione, in cui di tutto ci� non � stato tenuto 
il minimo conto, deve, perci�, essere cassata e la causa deve essere rimessa, 
a norma dell'ultimo comma dell'art. 383 c.p.c. (essendosi riscontrata 
una nullit� del giudizio di primo grado per fa quale il giudice d'appello 
avrebbe dovuto rimettere le parti al primo giudice), alla Commissione 
Tributaria di I grado di Bergamo perch� -comunicata alla societ� ricorrente 
la data in cui sar� fissata l'udienza nei modi previsti dall'art. 32 
del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 cos� come modificato dall'art. 19 del 

d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 -, riprenda in esame il ricorso ad essa, a 
suo tempo, rivolto dalla societ� contribuente con <le integrazioni che 
quest'ultima eventualmente riterr� di fare, secondo quanto consentito 
dall'art. 19 bis del predetto decreto del 1981. (omissis) 
(1) La decisione apporta un importante chiarimento e merita adesione. 
Ovviamente il rinvio sar� disposto al secondo grado se in quella fase si � 
verificato il vizio importante di nullit� radicale per la quale il giudice di terzo 
grado avrebbe dovuto rinviare al secondo grado. 

300 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 31 maggio 1986, n. 3690 -Pres. Santosuosso 
-Est. Finocchiaro -P. M. Martinelli (conf.). Paolini c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Salimei). 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza 
-Imprenditore commerciale -Gestione di unico affare Compatibilit�. 


(T.U. 29 gennaio 1958, n. 645 art 100). 
Ai fini della imponibilit� della plusvalenza la qualit� di imprenditore 
commerciale, che rende superfluo l'accertamento dell'intento di speculazione, 
pu� essere riconosciuta anche in caso di gestione di unico affare 
quando comporti una organizzazione per la sua rilevanza economica e la 
molteplicit� delle operazioni (nella specie demolizione e ricostruzione di 
un edificio di notevoli dimensioni e vendita degli appartamenti) (1). 

(omissis) Tutto ci� premesso, rileva il Collegio che investendo i vari 
motivi due questioni fondamentali e precisamente la sussistenza dell'impresa 
e la prova dell'intento speculativo, occorre procedere all'esame 
delle varie censure raggruppandole in funzione della questione che 
propongono, prescindendo dall'ordine con il quale sono ~tate proposte. 

Vanno, a tal fine, innanzitutto esaminati il primo, il terzo ed il quarto 
motivo con i quali, contestandosi I.e qualit� di imprenditore del Paolini 
(primo motivo), si deduce violazione dell'art. 100 t.u. n. 645/1958 (terzo 
motivo) e dell'art. 91 stesso t.u. (quarto motivo) applicati malgrado 
l'inesistenza dell'impresa. 

Il primo motivo di ricorso � infondato. 

La Commissione Centrale ha applicato il princ1p10 costantemente 
seguito da questa Corte -ed al quale il Collegio ritiene di aderire secondo 
cui la qualifica di imprenditore pu� determinarsi anche da un 
solo affare in considerazione della sua rilevanza economica e delle operazioni 
che il suo svolgimento comporta (Cass. 20 gennaio 1973, n. 267; 
Cass. 12 maggio 1965 n. 907; Cass. 13 ap:riile 1964 n. 870; Cass. 29 maggio 
1954 n. 1791). Tale principio non � contraddetto -malgrado il 
contrario avviso espresso dai ricorrenti nella memoria -da Cass. 3 dicembre 
1981 n. 6395, secondo cui il requisito della professionalit�, necessario 
per l'acquisizione della qualifica di imprenditore commerciale, implica 
lo svolg.imento sistematico ed abituale di una .attivit� imprenditoriale 
e da Cass. 16 settembre 1983, n. 5589, per la quale, per la ricorrenza 
della figura dell'imprenditore commerciale, il requisito dell'organdzza� 
zione professionale postula una attivit� sistematica e continua, anche 

(1) Decisione di evidente esattezza. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

se con rudimentale e limitata predisposizione di documenti, densi.ro ed 
altro. 

Se infatti le due decisioni da ultimo citate si limitano a richiamare 
-in funzione delle fat1J1specie sottoposte a giudizio -i connotati della 
professionalit�, costituiti dalla abitualit�, stabilit�, continuit� e sistematicit� 
nello svolgimento dell'attivit� imprenditrice, le altre decisioni, alle 
quali si � implicitamente riferita la Commissione Centrale, precisano 
-in conformit� con pacifiche conclusioni dottrinali -che sistematicit�, 
abitualit� e continuit� non possono considerarsi sinonimi di perennit�, 
sicch�, come devono essere qualificati veri e propri imprenditori quelli 
che esercitano una attivit� naturalmente stagionale (cfr. Cass. 6 aprile 
1968 n. 1051), devono essere parimenti cons1derati imprenditori anche 
coloro che svolgono un solo affare, quando lo stesso presenti notevole 
rilevanza economica e comporti una molteplicit� di operazioni per la 
sua realizzazione. 

Sicch� correttamente la Commissione Centrale ha ravvisato la sussistenza 
della qualifica di imprenditore -nel concorso degli altri requisiti 
previsti dall'art. 2082 e.e. ed in ordine ai quali i ricorrenti non muovono 
particolari censure, salvo un cenno, contenuto nel sesto motivo, 
a:llo scopo di lucro -nell'attivit� di demolizione di un fabbricato e di 
costruzione, sull'area di risulta di mq. 1809, di altro immobile diviso in 
appartamenti, poi, concretamente venduti, a prescindere dai motivi per 
i quali a tale vendita si sia addivenuti (cfr., nello stesso senso, e proprio 
con riferimento ad una attivit� di costruzione di immobili, Cass. 29 gennaio 
1973 n. 267), atteso il carattere relativo e non assoluto dei termini 
abitualit�, continuit� e sistematicit� integranti il concetto di professionalit�. 


La reiezione del primo motivo e, quindi, �l'affermazione della legittimit� 
della qualifica di imprenditore commerciale attribuita ai contribuenti 
comporta, come logica conseguenza, l'assorbimento del .terzo e del 
quarto motivo formulati nel presupposto della inesistenza dell'impresa. 

Passando all'esame dei residui motivi di ricorso (secondo, quinto e 
sesto) con i quali si contesta la sussis1Jenza dell'intento speculativo, va 
rilevato che, a sostegno delle censure, i ricorrenti, che nel ricorso si sono 
riferiti ad una remota pronuncia della stessa Commissione Centrale 
(dee. 25 ottobre 1940 n. 31484 Giur. imp. dir. 1942, n. 7, col. 21), con la 
memoria hanno invocato la recente decisione delle S.U. di questa Corte 
(Cass. 9 maggio 1985, n. 2871) per la quale l'intento speculativo, quale 
requisito per l'assoggettamento della plusvalenza, realizzata mediante 
vendita di beni, ad imposta di ricchezza mobile non pu� essere supposto, 
ma va concretamente accertato, sia pure per mezzo di presunzioni, alla 
stregua delle specifiche modalit� e circostanze della singola operazione, 
richiamando altres� Cass. 13 ottobre 1983 n. 5960, sempre delle S. U., per 
la quale, ai fini dell'accertamento dell'intento speculativo, occorre tener 


302 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

conto che esso postula un co~portamento del venditore logicamente e 
cronologicamente precedente l'at\o di cessione e strumentale rispetto 

II

all'incremento di valore, che pu� �ssere insito nello stesso acquisto, se 
accompagnato dalla preordinazione al conseguimento della plusvalenza, 
ovvero in un'attivit� successiva, rivolta ad agevolare o potenziare l'inci


m 

denza di fattori incrementativi. 

Da queste premesse i ricorrenti traggono la conseguenza ohe, avendo 
la Commissione riconosciuto che l'originario progetto di costruzione di 
un immobile di sette piani, con appartamenti e negozi destinati ad essere 
affittati, non si era potuto realizzaire, e che, costruito un immobile di 
minore altezza, gli appartamenti erano stati venduti per coprire le passivit�, 
doveva escludersi la realizzazione dell'intento speculativo, con 
derivata contraddittoriet� di motivazione della decisione che tale intento 
aveva, ci� malgrado, affermato, nonch� commissione di motivazione sulla 
esistenza del fine di lucro in mancanza di una impresa. 

Anche i motivi secondo, quinto e sesto sono infondati. 

I principi richiamati sono applicabili in ipotesi di plusvalenza reaI.izzata 
da soggetto non imprenditore, mentre in tema di plusvalenza derivante 
da vendita immobiliare effettuata da persona fisica titolare di impresa 
commerciale -come SOlllO da considerare i contribuenti a seguito 
della reiezione del primo motivo di ricorso -tale plusvalen22a, secondo 
costante giurisprudenza, � tassabile con l'imposta di ricchezza mobile, 
ai sensi e sotto il vigore deU'art. 100 t.u. n. 645 del 1958, solo quando si 
deduca e S�i dimostri che il bene trasferito siia ��relativo all'impresa�, 
cio� costituisca oggetto, o risultato dell'attivit� imprenditoriale, ovvero 
strumento per la realizzazione dei suoi fini (Cass. 26 aprile 1981 n. 2554 e 
2555; Cass. 8 gennaio 1981 n. 139; Cass. 12 aprile 1979, n. 2166). 

Nella specie, pacifico che l'alienazione riguardava gli immobili oggetto 
dell'attivit� imprenditoriale, incentrandosi la contestazione sulla qualit� 
di imprenditore del contribuente, era irrilevante accertare, ai fini 
della tassabilit� della plusvalenza, la preoroinaziOllle al conseguimento 
della plu_svalenza stessa, sicch� non sussiste n� la dedotta contraddittoriet� 
di motivazione, ricavata dalla mancata realizzazione dello scopo originario 
(costruzione di un immobile di sette piani da destinare alla locazione), 
n� l'omissione della motiv.azione in ordine al fine di lucro, ritenuto 
sussiistente malgrado la non realizzazione dello scopo, attesa la non 
necessit� di .tale fine per la individuazione dell'imprenditore individuale. 

(omissis) 



SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 aprile 1986, n. 2368 -Pres. Tamburrino 
-Rel. Cantillo -P. M. V. Sgroi (concl. conf.) -Amministrazione 
dei LL.PP. (avv. Stato Vittoria) c. S.p.A. S.C.l.C. (avv. Carusi). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi . Positivo esercizio 
della facolt� di accordarla -Pretesa ad una maggior somma . 
Diritto soggettivo � Ritardo nel riconoscerla dovuta -Inadempimento 
di obbligazione pecuniaria � Responsabilit� per danni -Confi� 
gurabilit�. 

(O.Ivo C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501; cod. civ., artt. 1218 e 1224). 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Revisione dei prezzi -Danni da 
ritardato pagamento � Decorrenza -Non anteriore alla data del provvedimento 
che accorda la revisione. 
(O.Ivo C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 3; cod. civ., art. 1224). 

Responsabilit� civile -Danni -Valutazione e liquidazione -Svalutazione 
monetaria -Risarcimento automatico -Inammissibilit� � Prova mediante 
presunzioni. 

(Cod. civ., art. 1224). 

Dopo che la pubblica amministrazione abbia esercitato in senso positivo 
il potere di accordare la revisione del prezzo di appalto di un'opera 
pubblica, l'appaltatore � costituito in una posizione di diritto soggettivo 
alla corresponsione del compenso revisionale sull'ammontare risultante 
1dai parametri normativi e tecnici applicabili per la monetizzazione 
delle differenze di prezzo. In caso di ritardo nel pagamento della 
differenza tra la somma originariamente stabilita e quella poi accertata 
come dovuta, spettano all'appaltatore gli interessi nella misura prevista 
dalle leggi in materia e, in caso di colpa, il maggior danno ex art. 1224, 
comma 2, cod. civ. (1). 

(t) La decisione fa puntuale applicazione del pi� recente indirizzo giuri� 
sprudenziale in tema di rapporto tra facolt� dell'amministrazione di accor� 
dare la revisione dei prezzi ed interesse dell'appaltatore a veder eliso l'onere 
economico subito in conseguenza dell'aumento dei prezzi avutosi nel corso 
dell'esecuzione del contratto: sul punto cfr. Cass. 23 febbraio 1983 n. 1365, in 
Giust. civ. 1983, I, 3320 con nota di PIACENTINI, Nuovi orientamenti giurisprudenziali 
in tema di revisione dei prezzi e in Giur. it. 1983, I, l, 3 con nota di 
TARTAGLIA, � Revirement � in materia di competenza a giudicare sulla revisione 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

304 

Il risarcimento del maggior danno da colpevole ritardo nella liquidazione 
dell'esatto compenso revisionale non pu� essere dovuto da data 
anteriore a quella del provvedimento che, accordando la revisione del 
prezzo, anche se in misura inferiore a quella dovuta, costituisce in favore 
dell'appaltatore un diritto soggettivo (2). 

Con riguardo alle obbligazioni pecuniarie, il fenomeno inflattivo non 
consente un automatico adeguamento dell'ammontare del debito, n� costituisce 
di per s� un danno risarcibile, ma pu� implicare, in applicazione 
dell'art. 1224 comma 2 cod. civ., solo il riconoscimento in favore 
del creditore, oltre gli interessi, del maggior danno che sia derivato dall'impossibilit� 
di disporre della somma durante il periodo della mora, 
nei limiti in cui il creditore medesimo deduca e dimostri che un pagamento 
tempestivo lo avrebbe messo in grado di evitare o ridurre 
quegli effetti economici depauperativi che l'inflazione produce a carico 

dei prezzi negli appalti di opere pubbliche; Cass. 23 febbraio 1983 n. 1366, in 
questa Rassegna 1983, I, 403; Cass. 23 .febbraio 1983 n. 1363 e 1370, Arch. giur. 
op. pubbl. 1983, Il, 49 a 70; Cass. 14 giugno 1985 n. 3571, Arch. giur. op. pubbl. 
1985, 1085; Cass. 24 giugno 1985 n. 3790, ivi, 1985, 1089; Cass. 8 luglio 1985 n. 4088, 
ibidem 1985, 1479; Cass. 8 luglio 1985 n. 4089, Arch. giur. op. pubbl. 1985, 1486; 
Cass. 26 luglio 1985 n. 4341, ivi, 1985, 1491; Cass. 1 ottobre 1985 n. 4753, ibidem, 
1985, 1506. 

Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, nelle controversie in 
materia di revisione dei prezzi, la trasformazione della posizione dell'appaltatore 
da interesse legittimo a diritto soggettivo e perci� la competenza giurisdizionale 
del giudice ordinario a conoscere della controversia sussisterebbero 
sempre quando l'amministrazione appaltante abbia esercitato il potere con 
un provvedimento che abbia avuto a suo oggetto l'intero rapporto revisio. 
nale. Quando, invece, � sia mancata una determinazione dell'intero rapporto 
revisionale, la corresponsione di acconti � sufficiente a far ritenere consumato 
il potere dell'Amministrazione di accordare, oppur no, la revisione, non ricadendo 
tale corresponsione nella previsione dell'art. 4 del decreto n. 1501 del 
1947 (che prescrive il ricorso amministrativo sia contro il diniego sia contro 
la concessione parziale della revisione), a meno che non implichi un riconoscimento 
parziale o perch� sia limitato ad un determinato periodo di tempo, 
rispetto al quale stabilire le variazioni cui va raccordata la liquidazione del 
compenso o perch� il riconoscimento si riferisca ad una determinata partita 
di lavori�. 

In base alla prima delle regole enunciate dalla cassazione, nella giurispru


denza amministrativa � stata riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario 

in casi in cui si controverta sulle tabelle cui riferirsi per determinare gli 

aumenti dei prezzi avutisi (se quelle pubblicate nel corso dell'esecuzione dei 

lavori o altre pubblicate successivamente a correzione delle prime): cfr. T.A.R. 

Basilicata 25 luglio 1984 n. 141, 29 dicembre 1984 n. 419 e 11 maggio 1985 n. 75, 

in Arch. giur. op. pubbl. 1985, 253, 642 e 1246. 

In base alla seconda, la cassazione ha riconosciuto la giurisdizione del 
giudice amministrativo, in un caso in cui la revisione era stata accordata 
per talune opere, ma non per altre, considerate non inerire ad un contratto 
d'appalto, donde la configurabilit� d'una concessione parziale della revisione 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 305 

di tutti i possessori di denaro. Al fine dell'individuazione e quantificazione 
di tale danno, il ricorso ad elementi presuntivi ed ai fatti di comune 
esperienza non pu� tradursi nell'applicazione, in via generale, di parametri 
fissi, quali quelli evincibili dagli indici ISTAT o dal tasso corrente degli 
interessi bancari, n� pu� implicare l'esonero del suddetto onere di allegazione 
e prova, ma deve ritenersi consentito soltanto in stretta correlazione 
con le qualit� e condizioni della categoria cui appartiene il creditore 
(3). 

(omissis) 1. -Con il primo motivo di -ricorso, denunziando la violazione 
degli artt. 1218, 1223 e 2043 cod. civ., l'Amministrazione' critica la 
sent�nza impugnata perch�, dopo avere esattamente escluso che l'appaltatore 
di opera pubblica abbia un diritto soggettivo alla revisione del 
prezzo dell'appalto, ha tuttavia ritenuto in colpa l'amministrazione appaltante 
per essere incorsa in errore circa i criteri di calcolo della revisione 
medesima, perci� affermandone _la responsabilit� per il ritardo nel pagamento 
del compenso revisionale, laddove, proprio in considerazione della 

nei sensi di cui all'art. 4 del D.L.C.p.S. 1501 del 1947 (Cass. 14 giugno 1985 

n. 3571, cit.). 
Cons. St., Ap., 20 febbraio 1985 n. 3, in Arch. giur. op. pubbl. 1985, 174, 
dopo aver dichiarato di uniformarsi al pi� recente indirizzo della cassazione, ha 
qualificato come riconoscimento parziale, idoneo a radicare la giurisdizione 
amministrativa, un provvedimento con cui il compenso revisionale era stato 
calcolato utilizzando il criterio dell'andamento teorico anzich� quello dell'avanzamento 
effettivo, in conseguenza della negata rilevanza d'una proroga. 

Va avvertito che la pi� recente giurisprudenza della Corte di cassazione 
presenta un'esplicita riserva circa la portata dell'art. 17 della I. 10 dicembre 
1981 n. 741, sul rilievo che l'art. 1 della legge �fa espresso riferimento 
ai lavori da aggiudicarsi, affidarsi o concedersi dopo l'entrata in vigore d'essa>>, 
mentre i casi sin qui considerati traggono origine da appalti anteriori (cfr. 
Cass. 8 luglio 1985 n. 4088 e 4089, cit.). 

(2) Nel caso esaminato era incontroverso che, ratione temporis, si applicasse 
l'art. 3 del D.L.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, a norma del quale, sul 
compenso revisionale, sono dovuti interessi legali e non moratori, a decorrere 
da un anno dalla data di approvazione del collaudo, cio� da data che, 
in concreto, era precedente a quella del provvedimento che aveva per la 
prima volta liquidato il compenso. 
Sul problema dell'abrogazione dell'art. 3 del D.L.C.p.S. 6 dicembre 1947 

n. �1501 ad opera della legge 21 dicembre 1974 n. 700, cfr. Trib. Roma 9 dicembre 
1983 n. 12832, in questa Rassegna 1984, I, 401. 
(3) La decisione in rassegna � per questa parte annotata da TARTAGLIA, 
Il risarcimento non automatico del danno da svalutazione e le categorie creditorie, 
in Giust. civ. 1986, I, 1605; PERDOLESI, Le sezioni unite su debiti di valuta 
e inflazione: orgoglio (teorico) e pregiudizio (economico), in Foro it., 1986,. I, 
1265 e da AMATUCCI, Svalutazione monetaria, preoccupazioni della Cassazione 
e principi non ancora enunciati in materia di computo di interessi, ivi, 1986, 
I, 1273. 



306 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

consistenza di interesse legittimo della posizione dell'appaltatore, non si 
configurava un obbligo giuridico dell'appaltante, idoneo a dar luogo ad 
un illecito, n� quanto al riconoscimento della revisione n�, a fortiori, 
quanto alle modalit� di liquidazione della stessa. 

Il motivo non merita accoglimento, sebbene la motivazione della 
sentenza non sia conforme a diritto e debba essere perci� corretta, ai 
sensi dell'art. 384, secondo cornmia, cod. proc. civ. 

La Corte di appello, muovendo dalla premessa sistematica -conforme 
all'indirizzo giurisprudenziale in passato prevalente -secondo 
cui l'appaltatore di opera pubblica pu� vantare sempre e soltanto un 
interesse legittimo alla revisione, rimessa all'unilaterale valutazione della 

p.a. sia per l'an che per il quantum, non poteva poi ravvisare un illecito, 
sotto il profilo della violazione delle regole di correttezza e buona fede 
nell'esecuzione del contratto, nel riconoscimento di un compenso revisionale 
inferiore a quello domandato, posto che certamente non � configurabile 
un inadempimento contrattuad.e in relazione ad un atto di esercizio 
di un potere autoritativo discre~ionale, quale deve considerarsi -nelottica 
di detto indirizzo -anche quello che determina l'ammontare 
della revisione; n� il giudice ordinario potrebbe sindacare, manifestamente, 
fa legittimit� di un tale provvedimento, sicch� la sentenza in esame, 
,all'interno dell'opinione accoJta, non potrebbe essere condivisa 
neppure nella parte irn cui ha apprezzato la condotta dell'amministrazione 
I 

alla stregua degli ordilnari parametri dell'inadempimento delle obbli~ 
gazioni. 
Sennonch� queste Se:zfoni unite, con le pi� recenti pronunzie al ri


I

guardo, hanno precisato che la posizione dell'appaltatore ha natura e 
consistenza di interesse legittimo soltanto rispetto al provvedimento con


I

cessivo della revisione, nella fase, cio�, in cui l'amministrazione � chia


~ 

mata a stabilire se possa o non possa essere accoroata, giaoch� solo 
in relazione a questa determinazione si richiedono valutazioni discrezionali 
correlate a preminenti interessi di ordine pubblidstico, mentre, 
dopo che la scelta sia stata effettuata in senso positivo, il potere autoritativo 
deve ritenersi esaurito, e la posizione dell'appaltatore acquista, 
dunque, consistenza di diritto soggettivo, peroh� la concreta determinazione 
del quantum della revisione coinvolge solo l'applicazione di criteri 
e parametri liquidatori, la cui individuazione non lascia spazio a 
valutazioni discrezionad.i di interessi pubblid. Pertanto, quando l'Ammi-

I

nistrazione abbia stabilito di accettare la richiesta di revisione -la quale, 

decisione, per altro, non deve essere necessar.iamente manifestata con 

I 

un atto formale diretto a questo scopo, potendo risultare anche in 

I

maniera implicita, attraverso 
in ordine all'an dell~ revisione 
di diritto comune, in forza 

atti che postulano l'esercizio del potere 

I i 

-si costituisce un rapporto obbligatorio 
del quale l'amministrazione medesima � 

I 

I i 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 307 

tenuta a corrispondere il compenso revisionale nell'ammontare risultante 
dai parametri normativi e tecnici in concreto applicabi:li per la 
monetizzazione delle differenze di prezzo; e, conseguentemente, in caso 
di ritardo nel pagamento degli importi revisionaili, l'appaltatore non solo 
ha diritto agli interessi, nella misura prevista dalle leggi in materia, ma 
ove l'amministrazione vers:iin colpa, anche al risarcimento del maggior 
danno, ex art. 1224 secondo comma cod. civ. (v. sent. 1363, 1365 e 1366 
del 1983). 

Nella vicenda in esame, � pacifiro ohe il Ministero dei lavori pubbiici, 
con prowedimento del 25 marzo 1958, deliber� di accordare il 
compenso revisionale e tuttavia lo liquid� im. somma sensibi.ilmente 
inferiore a quella dovuta perch�, assumendo essersi perfezionato l'appaito 
in data diversa da quelila della stipulazione, ritenne di applicare 
i criteri previsti dal dil.ilgt. n. 1501 del 1947, in luogo di quelli -pi� 
favorevoli aWappaltatore -dettati dalla legge n. 1296 del 1938, espressamente 
richiamata in contl'.atto. 

Alla stregua del principio ora ricordato, la societ� appailtatrice consegu� 
il diritto ad ottenere la liquidazione del compenso revisionale, 
sec0111do i criteri previsti dailla normativa applicabile al rapporto, in 
virt� di detto provvedimento di riconoscimento della revisiO!lle; e da tale 
data -e non da quella dehla successiva pronunzia del Consiglio di 
Stato -Ll'Amministrazione appaltante era obbligiata a corrispondere la 
somma dovuta ai sensi della legge n. 1296 del 1938. 

Da un lato, quindi, n0111 ha ragiO!lle d'essere il dubbio, adombrato 
dalla ricorrente in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario, avendo 
la Soc. S.C.l.C. proposto domanda di risarcimento del danno da svalutazione 
in relaziO!lle al diritto di crediito suddetto; dall'altro, nO!llostante 
l'rerrore in cui � incorsa nell'individuazione della fonte del rapporto 
obbligatorio, deve essere condivisa la sentenza impugnata nella parte 
in cui ha valutato in termini di mora collpevole, secondo la disciplina 
civilistica, il rita:tdo nel pagamento della differenza del compenso revisionale, 
�originariamente oorrisposto in somma inferiore per fatto imputabile 
all'Amministrazione, che deliberatamente aveva disapplicato la 
normativa in base alla quale, anche in forza dell capitolato d'appalto, il 
compenso medesimo doveva essere liquidato. 

E poich� in questo comlportamento la Corte di appello -con motivazione 
congrua e, comU!llque, non specificamente censurata -ha ravvisato 
la collpa dell'Amministrazione, ristrlta corretta la statuizione con 
la quale la stessa � stata ritenuta responsabile dell danno (in ipotesi) 
subito dalla societ� per avere conseguito in ritardo la residua somma 
dovutale. 

Pertanto, corretta la motivazione nei sensi suesposti, la sentenza 
impugnata deve essere in parte qua tenuta ferma. 


308 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

3. -Con il secondo motiv� di ricorso, denunziando la violazione 
dell'art. 3 del d.l. C.p.S. n. 1501 del 1947 e dell'art. 1224, secondo comma, 
cod. civ., nonch� vizi del:la motivazione, l'Amministrazione muove 
alla sentenza impugnata tre distinte censure: a) ammesso che la societ� 
appaltatrice avesse acquisito il diritto al compenso revisionale con il 
provvedimento del 25 marzo 1958, con cui la revisione era stata accordata, 
una responsabilit� de1la appaltante per il ritardo nel pagamento 
poteva configurarsi solo da queJ:l'epoca e non gi� dal 5 agosto 1956, 
data di scadenza dell'anno dall'approvazione de'I collaudo (da cui decorrono, 
ex art. 3 cit., gli interessi legali); b) trattandosi di debito di valuta 
e non di valore, la Corte di appel;lo non poteva rivalutare automaticamente, 
secondo gli indici ISTAT, la somma dovuta qua1e differenza del 
compenso revisionale, giacch� nelle obblligazioni pecuniarie incombe al 
creditore la prova di aver subito, in concreto, un danno superiore a 
quello coperto dagli interessi legali, dimostrando che il tempestivo pagamento 
gli avrebbe consentito di evirtare gJi effetti dell'inflazio:ne, laddove 
la Soc. S.C.I.C. non aveva provato, e neppure allegato, elementi idonei a 
dimostrare un siffatto danno; e) anche a voler riconoscere -in contrasto 
con l'indirizzo giurisprudenziale di gran lunga prevalente -l'automatismo 
della rivalutazione, suhle somme liquidate a questo titolo non 
potevano �essere attribuiti gli inrteressi compensativi, in quanto il danno 
riferibile al deprezzamento della moneta duroote la mora comprende, 
per sua natura, quello forfettariamente risarcito coo gli interessi. 
Le prime due censure sono fondate. 

4. -Quella sub a) riposa sul princirpio, innanzi ricordato, secondo 
cui solo con il riconoscimento espresso o tacito delila revisione il rapporto 
fra l'amministrazione e l'appaltatore trasmigra dall'area del diriitto 
pubblico (contraddistinta dal potere discrezionale della prima) a quella 
del diritto privato, assumendo le cODJnotazioni dii un ordinario rapporto 
obbligatorio, nel quale la posizione reciproca dehle parti si configura in 
termini di diritto e di obbligo. Da quel momento sorge l'obbligazione 
della commnttente di pagare H compenso revisionale e il ritardo nella 
liquidazione pu� essere apprezzato come mora cdlpevole; con la conseguenza 
che, nella specie, la responsabi[it� del Ministero per il danno 
dedotto poteva essere affermata a decorrere dal provvedimento di � accet� 
tazione della revisione (25 marzo 1958), con riguardo, cio�, ai!. deprezzamento 
monetario verificatosi successivamente a tale data, e non dall'agosto 
1956, come ritenuto dalla Corte di appehlo (che ha erroneamente ipotizzato, 
come si � detto, un diritto alla rewsione scaturente direttamente 
dal contratto di appalto). 
5. -La censura sub b) assume rilievo centrale nelila trattazione, 
in relazione all'oggetto della controversia e perch� il presente ricorso e 
I ~ 

l f 
1 

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I 




PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 309 

altri discussi nella stessa udienza, che del pari ripropongono, sotto vari 
aspetti, il problema del risarcimento del danno da svalutazione monetaria 
nehle obbligazioni pecuniarie, �sono stati portati all'esame delle 
sezioni unite ~anche) allo scopo di verificare nuovamente la validit� 
dell'indirizzo espresso al riguardo con le note sentenze di queste stesse 
sezioni unite n. 3776 e 5572 del 1979, occorrendo comporre il contrasto 
che si � determinato nella succesisiva giuirisprudenza della Corte tanto 
�!ll ordine ai presuppos1li in base ai quali il dainno � stato ritenuto risarcibile 
da tali pronunzie, quanto in ordine ahl'appliicazione dei princ�pi 
con esse enunciati �ai fini della prova dell'esistenza e dell'ammontare del 
danno. 

A voler riassumere schematicamente i termini del dissenso riguardante 
il primo profilo, va detto che, mentre la maggior parte delle 
dedsioni � in linea con l'i!lldirizzo suddetto -per cui deve escludersi, 
perch� confliggente con iJl pri!llcipio nominalistico, ogni generalizzato 
automatismo risaircitorio in dipendenza del semplice fatto dehla svalutazione, 
che pu� assumere ri.J.ievo, invece, solo come fonte di danno ulteriore 
non coperto dagli interessi, ai sensi del secondo comma dell'art. 
1224 cod. civ. -da tale orientamento si sono motivatamente discostate 
tre sentenze, cio� la n. 123 del 1983 della terza sezione, la n. 651 
del 1984 della stessa sezione e la n. 3356 del 1985 della prima sezione. 

La sent. 123/83 -la pi� lontana, ne1ile premesse come neUe conseguenze, 
dall'indirizzo delJe Sezioni unite -sostanzialmente ripropone 
l'opinione secondo cui l'obbligazione pecuniaria, in seguito alla mora 
del debitore, si .trasforma da debito di valuta in debito di valore. In 
particolare, ~ondo questa pronunzia, gli interessi di cui al primo comma 
deJJ.'art. 1224, che 1a disposizione qualifica moratori, in realt� non hanno 
fun:llione risarcitoria, trovando causa ne1la normale redditivit� del denaro, 
mentre il risarcimento del danno derivante dalla mancata prestazione 
della valuta � regolato dal secondo comma della disposiziooe e 
non soggiace al principio nominalistico perch� va commisurato, come per 
l'inadempimento di ogni a:ltro debito al depauperamento economico sofferto 
dal creditore �in relazione al valore che aveva per lui l'adempimento 
tempestivo. E poich� il pagamento in moneta svalutata equivale 
ailla prestazione di cosa diminuita di vail.ore perch� deprezzata, la sva[
uta:lliooe monetaria -che ontolowi.oamente � un danno coHettivo, generalizzato 
ad ogni uso del denaro -per effetto dell'inadempimento si 
trasforma in un danno individuale che deve essere risarcito in ogni 
caso, quanto meno in misura pari all'entit� del deprezzamento mooetario 
risultante dagli indici ufficiali. 

La sent. 651/84, poi, nel richiamare gli argomenti della pronuncia 
ora ricordata, afferma che il danno da svail.utazione deve � riconoscersi 
in re ipsa, posto che qualunque impiego del danaro, anche il semplice 
deposito bancario e la svendita di beni di consumo, produce ricchezza 


310 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

riconducibile al valore delJ.a moneta �, con la conseguenza che spetta al 
debitore l'onere di provare il contrario �nei casi eocezionaii in cui tale 
previsione non debba operare �. 

Infine, la sent. 3356/85, che nella premessa presta formafo adesione 
ahl'indirizzo delle sezdoni U'.DI�.te, pernene aUe stesse conclusioni delle 
due sentenze suddette, cio� all'automatismo del danno da svalutazione, 
attraverso un discorso condotto princirpa:lmente sul piano dell'onere 
probatorio del maggior danno: si afferma che a questo scopo � sufficiente 
che il creditore deduca la svalutazione monetaria e ne chieda 
la liquidazione nella misura determinata swlla base degli indici ufficiali, 
salva la prova contraria da parte del debitore, tenuto a dimostrare che 
in concreto la svalutazione non ha prodotto danno o ha inciso in 
misura inferiore a quella costituita dal taisso di inflazione. 

6. -Queste pronU1I1Zie non possono essere condivise, venendo addotti 
argomenti che, nell'aillllosa e tormentata vicenda della rilevanza 
del c.d. danno da svalutarione, altre volte sono st�ti confutati dalle 
seziond unite. 
Alla premessa teonica che domina (sulle orme di un lontano precedente: 
n. 310 del 1965) la sentenza n. 123 del 1983, � agevole obiettare 
che qualsiasi tentativo di assimilare l'obbliigazione pecuniaria ad 

I

un debito di cose -per desumerne che la svailrutazione opera allo stesso 
modo di un parzia:le parimento del:l'oggetto dehla prestarione -� destinato 
a sicuro insuccesso, posto che il debito pecuniario si differenzia 

I

da ogni altro proprio perch� ha ad oggetto una somma di denaro 
e il principio nominaUstiico vige per i pagamenti puntuali e per quelli 
tardivi, rendendo indifferente la prestatlone pecuniaria alJ.e vicende 
monetarie intercorrenti dalla sua genesi alla sua estinzione; ci� che di


I

rettamente risulta, del resto, dall'art. 1277, il quale, nell'attribuire alla 

I ~ 

moneta avente corso legale efficacia liberatoria secondo il suo valo.re 
nominale, fa riferimento a:l tempo del pagamento, non a quello della 
scadenza del debito. 

Neppure ha pregio l'argomento che, sempre nell'intento di discriminare, 
sul piano della prestazione, l'adempimento puntuale da quello tardivo, 
fa perno suHa natura degli interessi di cui al primo comma dell'art. 
1224: la funzione. (anche) risarcitoria degli stessi, come indennizzo 
forfettario del danno da ritardo (coincidente anzitutto con gli interessi 
corrispettivi che il creditore avrebbe in ogni caso conseguito se avesse 
avuto la disponibilit� della somma), � attestata dalilo stesso enunciato 
normativo, in quanto il secondo comma della disposizione usa le espressioni 
� maggior danno � e � UJlteriore risarcimento � per designare quanto 
spetta al creditore oltre agli interessi (ed � uguaimente un'obbligazione 
di interessi finalizzata al risarcimento quehla costituita dalile parti che 
abbiano espressamente convenuto la misura degli interessi). 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 311 

N� ha bisogno di essere dimostrato l'errore consistente nel ritenere 
che il risarcimento del maggior danno implichi una concezione vailoristica 
del!la prestazione pecuniiaria inadempiuta, essendo evidente l'equivoco 
in cui incorre la sentenza laddove identifica il valore della m01Deta, che 
� sempre quello nominale, con il �valore � che il pagamento puntuale 
aveva per il creditore, cio� COIIl. ae utilit� che questi si riprometteva di 
trarre dalla prestazione, il quale pregiudizio forma oggetto, invece, della 
distinta obbligazione risarciitoria prevista dalla disposizione. 

Inf�ine, ravvisando nella svailutazione � un danno collettivo � che 
diventa automaticamente � danno individuale � in conseguenza dell'inadempimento, 
si ricade neillo stesso errore della sentenza n. 5670 del 1978, 
di considerare, oio�, la svalutazione l:in danno in sens� girt.llI'idico, risarcibile 
secondo gli indici ISTAT come danno emergente identico per tutti 
i creditori. 

Gli stessi rilievi valgono per la sent. n. 651 del 1984, che pu� dirsi 
motivata per relationem alfa precedente; e valgono, in definitiva, anche 
per la sentenza n. 3356 del 1985, che, pur ingegnandosi di conciliare l'indirizzo 
delile sezioni unite con quello delle due sentenze suddette, finisce 
con l'aderire a quest'u1timo non solo nel risultato (espressamente condiviso), 
ma anche nelle premesse concettuali, giacch� ammettere che la 
rivalutazione della somma secondo g1i Indici ISTAT spetta per il solo fatto 
che il creditore aiHeghi la svalutazione, �perch� non esiste alcun valido 
motivo per affermare un'incidenza della medesima sul patrimonio del 
creditore in misura diversa da quella ufficialmente accertata�, significa 
riconoscere altres� che in questi limiti il danno da svalutazione � in 
reipsa ed opera allo stesso modo per tutti i creditori, avendo scarso rilievo 
sistematico e pratico la facolt�, data al debitore, di dimostrare la 
concreta ininfiluenza del fenomeno 'inflattivo. 

7. -Si deve ancora una volta prendere atto, quindi, che la scadenza 
non pu� produrre alcuna diretta conseguenza sull'obb1igazione pecuniaria 
in quanto tale, rimanendo essa pur sempre assoggettata, fino al momento 
del pagamento, al principio nomin01listico e potendosi solo ipotizzare 
un'obbligazione aggiuntiva che sorge dall'inadempimento e che ha 
per oggetto il risarcimento del danno previsto dall'art. 1224; e deve 
pertanto essere confermata l'impostazione sistematica dell'orientamento 
delile sentenze del 1979, che -nel solco delLa pi� antica e consolidata 
traddzione giurisprudenziaJle -attribuisce indiretta rilevanza al deprezzamento 
della moneta quale fonte di danno ulteriore non ooperto dagli 
interessi e risarcibile ai sensi del secondo comma della disposizione 
suddetta. 
In particolare, va ribadito che: a) il danno da svalutazione non si 
identif�ica con il fenomeno inflattivo, cio� con l'inflaz�ione in s�, ma si 
configura in relazione alle conseguenze pregiudizievoli che dalla stessa 


312 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sono derivate al singolo creditore e che non si sarebbero prodotte se non 
ci fosse stato il ritardo ne1l'adempimento, sicch�. il danno medesimo 
consiste nella lesione patrimoniale in concreto subita dal creditore per 
non aver potuto disporre della somma nel tempo in cui avrebbe dovuto 
essere pagata; b) la svalutazione che assume rilievo � quella che Sii verifica 
dtrrant� la mora, nella quale va mdividuata la causa per cui ~l creditore 
si � trovato nell'impossibilit� di evdtare ,gH effetti della svalutazione; e) 
conseguentemente -esclusa la diretta incidenza del deprezzamento mo.. 
netar�o sulla prestazione pecU111iaria -il danno deve essere accertato 
in concreto, incombendo al creditore di dimostrare che il pagamento 
tempestivo lo avrebbe messo in graido di limitare o di evitare gli effetti 
economici depauperatori che l'wlazione produce per tutti i possessori di 
denaro. 

8. -Il problema centrale e pi� delicato di questo orientamento riguarda, 
com'� ben noto; appunto il profilo del � danno ulteriore �, occorrendo 
trovare una formula di v.alutazione che, da un lato, consenta di 
tutelare il pi� possibile la corretta realizzazione economica del rapporto 
obbligatorio, impedendo arricchimenti ingiustificati del debitore senza 
tuttavia ledere il principio nominalistico; e, dall'altro, fornisca criteri di 
determinazione del danno semplici ed agili, in armonia con l'esigenza 
della quantificazione forfettaria, che -come risulta, del resto, dallo 
stesso art. 1224 (primo e secondo comma) -� la pi� appropriata per le 
obbligazioni pecuniarie, stereotipe e di massa. 
Sono coerenti con quest'ultima finalit�, ma contrastano con le 
premesse sistematiche accolte, le soluzioni basate s.l mero .J:1�ferimento 
agli indici ISTAT o ad aitri parametri oggettivd pi� o meno arbitTariamente 
ritenuti validi per la generalit� e perci� assunti a prova presuntiva 
dell'an e del quantum del danno indiscriminatamente per tutti i 
creditori; come in precedenza si � accennato (ed � stato ampiamente dimostrato 
dalle sentenze del 1979), presumere un danno, sia pure con pTesunzione 
iuris tantum generalizzato e commisurato ad indici di carattere 
oggettivo relativi all'entit� del fenomeno monetario, in s� considerato, 
equivale a collegare direttamente la quantifica21ione deHa prestazione 
pecuniaria al potere di acquisto delfa moneta e a riconoscere, dunque, 
l'automatica rivalutazione della somma dovuta, in deroga al principio 
nominalistico. 

Per analoghe considerazioni sono da respingere anche le proposte 
-recentemente riprese con particolare vigore in dottrina (e spesso 
recepite dalla giurisprudenza di merito) -dirette a commisurare in ogni 
caso i.l danno da sva:lutazione a11o scarto esistente fra il tasso legale e il 
tasso di mercato del costo del denaro o, come pure � stato sostenuto, tra 
!interessi legali e tasso di sconto praticato dalla banca centrale (secondo 
il sistema adottato in talune legislazioni straniere). 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Queste soluzioni, inci:;ntrate sull'adeguamento dell'interesse monetario, 
in verit� salvatio iii prillloipio nominalistico, giacch� non comportano 
una rivalutazione automatica della somma dovuta; e non sembrano offellldere 
neppure il disposto del secondo comma dell'art. 1224, in quanto il 
� danno ulteriore � ben pu� consistere nella differenza dell'interesse ed 
essere risarcito allo stesso modo (come espressamente consente la 
norma). 

Ma � innegabile che in tal modo -riconoscendo sempre e in ogni 
oaso la differenza dell'interesse -si viene ad elevare, in pratica, il tasso 
legale degli interessi moratori, disconoscendone anche il carattere fisso, 
per modo che non si fa una operazione esegetica, ma normativa; e, di 
conseguenza, emerge anche la contraddizione con la disposizione suddetta, 
per cui l'unica via praticabile � quella dell'accertamento e della 
quantificazione soggettiva del maggior danno. 

Il merito delle sentenze del 1979 sta appunto nell'avere individuato 
una tecnica di accertamento del maggior danno che -semplificando 
l'onere dellla proVTa attraverso presunzioni e dati notori acquisiti dalla 
comune esperienza e desumibili dalle condizioni e qualit� del creditore 
-consente di pervenire ad una valutazione i~ pi� possibile soggettiva 
del danno medesimo, senza tuttavia rinunciare ail. ricorso a criteri gene� 
11ali tali da permetterne, ove possibile, la quantificazione forfettaria e da 
favorire la semplicit� e speditezza della liquidazione. 

In questo metodo � essenziale il riferimento a categorie economiche 
socialmente signifilcative di creditori, enucleate in relazione a qualit� professionali 
o a condizioni personali che li accomunano quanto a11.e conseguenze 
del fenomeno perch� notoriamente implicano sistematiche e ripetitive 
modalit� di impiego prevalente del denaro, uguali per l'intera 
categoria. 

L'inquadramento in una di esse permette di valorizzare elementi di 
presunzione che possono essere utilizzati, secondo criteri di normalit� 
e di possibilit�, tanto al fine di riscontrare l'esistenza di un pregiudizio 
imputabile alla mom, sul presupposto di un impiego del denaro conforme 
a quello normale per la categoria, quanto -e soprattutto -per la liquidazione 
del danno in base a parametri oggettivi afferenti a quell'impiego. 
Con la conseguenza che la quantificazione � coerente all'entit� e alle 
modailit� con cl.l!i incide sulle varie categorie, sotto questo particolare 
aspetto, il fenomeno inflattivo, che, com'� noto, determina conseguenze 
diverse per ciascuna di esse; il ql.l!ale ri1ievo di per s� 1rende avvertiti 
come il rfferimento agli indici ISTAT non sempre costituisca un parametro 
appropriatorio di commisurazione del danno ulteriore. 

9. -Questo aspetto centrale del giudizio personalizzato -per cui 
ad ogni figura socio-economica si attagliano criteri presuntivi diversi, 
correlati alle diverse forme di normale impiego de:I denaro e conseguente

314 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mente alle differenti utilit� che esso ha per il creditore -viene sottolineata 
dalla articolata esemplificazione di categorie ireditorie fatta nelle 
sentenze del 1979, che costituisce altres� un'utile traccia per individuare 
le presunzioni che possono essere ordinariamente fatte valere, nell'accertamento 
del danno e nella sua quantificazione forfettaria, dal creditore 
che lo alleghi in relazione al programJ:!lato impiego del denaro coerente 
con il dimostrato inquadramento in una di dette figure; le quali presunzioni 
possono trarsi talvolta da dati soggettivi inerenti al concreto svolgimento 
dell'attivit�, tal'altra da elementi e parametri oggettivi propri 
della categoria o del tipo di investimento. 

Cos�, in relazione al creditore esercente un'attivit� imprenditoriale 
possono essere fatte valere presunzioni, iJ. pi� dehle vo1te giustificate anche 
dalle ragioni del credito, connesse con il normale impiego del denaro 
nel ciclo produttivo (qua:le autofinanziamento o copertura endogena di 
capitale), per cui l'esistenza e l'ammontare approssimativo del danno 
possono essere desunti o facendo riferimento -come suggeriscono le 
sentenze del 1979 al risultato medio deU'attivit� in un certo periodo, 

dal quale � possibile inferire la redditivit� (marginale) media dell'investimento 
e, dunque, il mancato guadagno, oppure -occorre qui aggiungere 
-con riferimento rul costo del denaro, precisamente allo scarto 
fra interesse legale e tasso di mercato dell'interesse praticato dalle 
banche alla migHore clientela per il credito a breve (prime rate), sulla 
piazza del creditore e nel periodo della mora. 

Questo criterio attinente al danno emergente, riveste, anzi, carattere 
primario perch�, oltre ad essere inerente, come l'altro, alla destinazione 
del denaro all'attivit� produttiva -in relazione alla quale � ragionevole 
ritenere il ricorso del creditore al mercato bancario per ottenere il 
contante di cui � stato temporaneamente privato, per ripristinare, cio�, 
la complessiva copertura di capitale prevista al momento in cui il debito 
avrebbe dovuto essere pagato (tenuto conto pure della nota propensione 
delle imprese al finanziamento bancario, non essendo esse, di solito, 
dotate di autosufficienza finanziaria) -� altres� ancorato ad un parametro 
certo di facile rilevazione e, soprattutto, � l'unico possibile per 
un'azienda che non produca utile, ma sia in pareggio o in perdita, non 
essendovi allora un guadagno oui commisurare la presumibi.Ie redditivit� 
della somma mancata. 
~ 

Pertanto l'altro criterio risulta applicabile. solo quando l'imprenditore 
espress~mente deduca il mancato guadagno. 

I

Un danno da mancato investimento � lecito presumere, poi, per il 
1r.isparmiatore abituale, cio� per colui che sistematicamente mveste in 

I 

impieghi di risparmio il residuo personale non assorbito dai consumi, t 
nel qual caso -incombendo al creditore l'onere di allegare e dimo


l' 

strare anche la qualit� degli mvestimenti abitualmente operati -la prova 
presuntiva riguarda l'uguale destinazione che iil creditore avrebbe dato 

I 

1� 
---% 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

alla somma non pagata e l'ammontare del mancato reddito (interessi 
di titolJ di Stato, rendimento di aziorn, etc.). E per il c.d. creditore occasionale 
-espressione che designa il beneficiario una tantum di un credito 
di un certo rilievo (pu� essere un'indennit� di assicurazione, una liquidazione 
di fine rapporto, etc.), il quale non possa vantare una forma abituale 
di investimento del denaro perch� normalmente lo destina al consumo si 
pu� presumere l'impiego alternativo pi� probabile, cio� il deposito presso 
istituti di credito, e commisurare il danno alla remunerazione media 
dei depositi nel periodo, sempre che, appunto, l'entit� della somma dovuta 
e la situazione del creditore siano tali da non rendere probabile, 
invece, l'erogazione immediata per fil consumo. 

Con le sentenze del 1979 si � dato rilievo, infine, alla figum del �modesto 
consumatore�, cio�, appunto -di colui che abitualmente spende 
il denaro per Msogni personali e familiari, con ci� riconoscendosi -in 
antitesi ad una tradizione giurisprudenziale contraria -che anche la spesa 
per beni consumabili costituisce un'utilizzazione del denaro sottratta 
agli effetti della svailutazione. E il principio va ribadito, non essendo possibile 
sostenere che un danno sia configurabile per il mancato acquisto 
di un bene di investimento e non si possa configurare, invece, in relazione 
all'impossibilit� di acquistare beni di consumo (immediato o durevole); 
anche in questo caso il creditore, se avesse tempestivamente speso 
ia somma dovutagli, avrebbe realizzato la moneta nel suo valore attuale 
e conseguito, con il godimento dei beni e dei servizi procuratisi, quel vantaggio 
economico che gli � precluso, invece, a sel?Jllito del deprezzamento 
monetario avvenuto durante la mora. 

10. -Riguardano proprio la figura del modesto consumatore talune 
delle critiche di maggior peso rivolte in dottrina aM'indirizzo delle sezioni 
unite. 
tl stato osservato che essa occupa un rilievo centrale ed assorbente 
nel sistema elaborato, in quanto tutti i creditori, anche quehli inquadrabili 
in una delle altre categorie (imprenditori, risparmiatori, ecc.), si 
trovano in realt� nella condizione di essere (anche) consumatori di beni 

o fruitori di servizi rientranti nelle comuni esigenze di vita, con la conseguenza 
che nella figura suddetta confluiscono, in definitiva, pure le altre 
categorie. Anche attribuendo ad esso rilievo soltanto probatorio, non 
si pu� negare che quando non sia dedotto o provato un danno commisurab:
hle al normale reddito di un'attivit� professionale o di una peculiare 
modalit� di impiego del denaro, il creditore ha sempre diritto al risarcimento 
nella veste di consumatore, dovendosi presumere quanto meno 
la destinazione al consumo; la quale presunzione -� stato osservato � 
insita nella logica dell'orientamento in questione, giacch�, una volta 
riconosciuta l'anormalit� dehla conservazione dcl. denaro presso il detentor\!, 
la mancata prova della sua destinazione ad investimenti produttivi 

316 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

o al risparmio impone di presumere l'impiego nell'acquisto di beni di 
consumo (sia pure con presunzione apparentemente iuris tantum). 
Si � pertanto affermato che il riferimento agli indici ufficiali dei 
prezzi al consumo risulta essere, cos�, il criterio veramente generale per 
la determinazione forfettaria del danno, appilicabfile in ogni caso, rispetto 
al quale diventano marginali i restanti criteri, relativi alle altre specifiche 
categorie creditizie, dn quanto nulla impedisce al creditore di ,invocare gli 
indici Istat allorch� il danno presumibile in relazione alla sua quatlit� 
professionale sia minore (come frequentemende accade). Da ci� conclusivamente 
desumendosi che la difesa del principio nominalistico � soltanto 
apparente, perch� le sezioni unite, consapevolmente o inconsapevolmente, 
sono pervenute -ancorch� con una diversa impostazione sistematica 
-allo stesso risultato deMa sentenza deil 1978 della terza sezione, a 
riconoscere, cio�, l'automatismo del risarcimento del danno da inflazione 
secondo gli indici ISTAT, tale essendo la oonseguenza pratica di una 
presunzione collegata al mero consumo, perci� cos� ampia e generale da 
esser utilizzabile come prova del danno in tutte le fattispecie creditorie. 

11. -La critica non � fondata, essendo il frutto di una non corretta 
�lettura� delle sentenze del 1979. 
L'equivoco che l'inficia sta nel ritenere riferibile a qualsiasi creditore, 
per il solo fatto di essere acquirente di beni o utente di servizi usuali, 
la figura di � modesto consumatore �, laddove questa designa, ai fini 
dell'esistenza di un danno quantificabile Jn base agli indici ISTAT, il creditore 
che non si inquadra in alcuna delle restanti categorie (operatore 
economico, risparmiatore, etc.), e che, per le modeste condizioni economiche, 
normalmente consuma tutto il suo reddito per gli ordinari bisogni 
di vita personali e della famiglia, sicch� � legittimo presumere che uguale 
destinazione avrebbe dato alla somma non pagatagli alla scadenza. 

Come la qualit� di imprenditore commerciale costituisce elemento 
presuntivo idoneo a ritenere che verosimilmente la somma, se pagata 
nel termine, sarebbe stata immediatamente reinvestita nella attivit� produttiva, 
evitando, quindi gli effetti dannosi della svalutazione, cos� la 
condizione di mero consumatore, e, dunque, di soggetto che n� risparmia 
n� fa investimenti di alcun genere, consente di presumere l'esistenza di 
un danno inerente all'impiego del denaro per il consumo e perci� verosimilmente 
corrispondente ail maggior costo (in espressione monetaria) 
dei beni di consumo il cui acquisto al tempo della scadenza dell'obbligazione 
ugualmente avvebbe sottratto la somma agli effetti dell'inflazione. 

La presunzione inerente alla figura del modesto consumatore non � 
correlata, quindi, al fatto soggettivo che il denaro non investito in attivit� 
produttive o in operazioni di risparmio viene normalmente destinato 
al consumo (nel qual caso effettivamente la categoria avrebbe portata 
generale), bens� ha una valenza sociale sufficientemente precisa, in 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

quanto indica la condizione di colui che, a motivo della sua qualit� professionale 
(operaio, contadino, impiegato, etc.) e/o della modestia delle 
sue risorse economiche, secondo l'id quod plerumque accidit � abitualmente 
soltanto acquirente di beni di consumo; e per questa categoria di 
creditori � del tutto appropriato, nella determinazione forfettaria del 
danno, il riferimento agli indici ISTAT, riguardanti appunto le variazioni 
dei prezzi in relazione al consumo delle famiglie di operai ed impiegati 
(le sentenze del 1979 indicano questo criterio come il pi� attendibile 
per detta categoria di creditori). 

Risulta evidente, allora, che il creditore -imprenditore non pu� 
mai essere considerato � modesto consumatore � agli effetti della prova 
presuntiva del danno da svalutazione: quella qualit� professionale consente 
di presumere e quantificare il danno in relazione al reinvestimento 
della somma nell'impresa, che � l'impiego normale coerente con l'attivit� 
esercitata, ma per ci� stesso esclude che possa trovare ingresso una 
presunzione di danno fondata sulla costante destinazione al consumo, 
come impiego normalmente esclusivo del denaro. Anzi, � addirittura irrazionale 
supporre che l'indisponibilit� della somma abbia inciso sul consumo 
per i bisogni essenziali, che vengono prioritariamente soddisfatti, 
e non sull'attivit� commerciale, cui di solito H credito si riferisce; e se 
l'imprenditore lamenta un danno inerente al mancato acquisto di beni c.d. 
di consumo o, comunque, un danno diverso da quello relativo all'attivit� 
produttiva, deve specificatamente dimostrarlo. 

H principio vige, ovviamente, anche per le altre figure creditorie, che 
sono rilevanti, come si � visto, proprio perch� denotano univocamente 
un determinato impiego del denaro: ad es., colui che deduca (e dimostri) 
di investire abitualmente il denaro nell'acquisto di titoli o di depositarlo 
in banca, si pu� giovare delle presunzioni che si desumono dall'abitualit� 
di tale investimento e non di altre relative ad un impiego diverso, 
la cui allegazione di per s� verrebbe a rendere incerta la normalit� del 
primo; peritanto quel creditore non potr� invocare contemporaneamente 
la destinazione al consumo per ottenere in via presuntiva il risarcimento 
secondo gli indici ISTAT. 

In conclusione, la figura del �modesto consumatore�, lungi dal 
costituire una categoria di carattere generale, comprensiva delle altre, 
� con queste incompatibile, in quanto solo in relazione ad essa � possibile 
presumere, sia pure iuris tantum, la destinazione del denaro al 
consumo. 

11. -Risulta in tal modo confermato il significato del riferimento alle 
categorie ereditarie, come mezzo di facilitazione della prova e di liquidazione 
forfettaria del danno di cui fruisce il creditore che, avendo la qualit� 
o trovandosi nella condizione che caratterizza lia categoria, possa vantare 
un impiego normale e prevalente del denaro in forme socialmente gene

318 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ralizzate e giovarsi perci� di presunzioni coerenti con tali modalit� 
(e solo di queste); 

Non ha pregio, di conseguenza, la critica -che pure affiora in dottrina 
-secondo cui in tal modo si disconosce che nella realt� il tipo 
medio di creditore usa del denaro contemporaneamente in modi diversi, 
perch� pratica il risparmio, depositato in banca, compra beni di investimento, 
etc. Sembra agevole rispondere, anzitutto, che proprio la molteplicit� 
degli ampieghi del denaro impedisce di desumere la destinazti.one al 
consumo dal solo fatto che non � accadimento normale la conservazione 
del denaro presso il detentore: ci� consente di presumere la spendita 
della somma, non gi� la sua destinazione al consumo, 1al quale scopo occorre 
allegare e dimostrare l'abi1tua1it� di tale impiego. 

Inoltre, la classificazione in categorie ha finalit� probatorie ed implica, 
ovviamente, non gi� il carattere esclusivo dell'impiego, ma la normalit� 
(rispetto alla categoria) e la prevalenza o la notoria priorit� (rispetto 
al singolo creditore) dall'impiego medesimo, che solo a queste condizioni 
pu� costituire il fondamento di presunzioni inerenti al danno; con l'ulteriore 
corollario che verrebbe meno lo stesso presupposto deil:Ia prova 
presuntiva, e dunque il danno andrebbe dimostrato e quantificato nei 
modi consueti, se non fosse possibile (in ipotesi astratta) oppure non 
fosse dedotto e dimostrato (come non di rado concretamente capita) 
l'inquadramento in una delle categorie suddette o in altre enucleabili in 
relazione a pi� particolari modalit� d'impiego del denaro. 

Neppure hanno consistenza le critiche con le quali si sostiene che 
il sistema delle presunzioni diversificate sia causa di un trattamento ingiustificato 
diverso anche per i debitori, i quali, nonostante J'identit� del 
fenomeno inflattivo, vedono apprezzata diversamente la loro responsabilit�; 
e dia luogo altres� ad incertezze nella aestimatio perch� consente 
eccessivo spazio a valutazioni equitative del giudice (autorizzando perci� 
una oorta di �diritto pretorio�). 

Quanto al primo argomento, va detto che la diversit� costituisce inevitabile 
e razionale corohlario dell'inquadramento normativo della svalutazione 
sub specie di danno ulteriore, essendo evidente che il risarcimento 
del danno, in quanto mira al ristoro del concreto pregiudizio 
subito dal singolo creditore, espone il debitore a conseguenze diverse a 
seconda della persona del danneggiato. Tale effetto, anzi, � attenuato dall'uso 
di criteri uniformi validi per un'intera categoria o classe di creditori; 
e, del resto, gli interventi legislativi settoriali succedutisi in materia 
sono appunto nel senso di differenziare le conseguenze dell'inadempimento 
per categorie e tipi di credito, in quanto sono stati dettati parametri 
diversi per il risarcimento forfettario del danno: talvolta elevando 
il tasso degli interessi (si veda, al riguardo, l'elenco contenuto nella sentenza 
n. 3776/79), altre volte facendo riferimento al tasso di sconto (ad 
es., la legge n. 397 del 1974 per i mutui fondiari e la legge n. 10 del 1977 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

per l'indennit� di espropriazione) oppure -per i crediti di lavoro dipendente, 
tipicamente destinati al consumo fami'liare -disponendone la rivalutazione 
secondo gli inc:Uci ISTAT (art. 429 cod. proc. civ.). 

Quanto all'altra critica, poi, va osservato che le difficolt� di stima 
del danno per l'inadempimento di obbligazioni pecuniarie sono esaltate 
dal modo di operare de1l'inffazione, sicch� -trattandosi di situazioni 
che recano in s� stesse i1 germe dell'inevitabile approssimazione della statuizione 
giudiziale -il ricorso alla liquidazione equitativa � pienamente 
�legittimo (v., al riguardo, le sentenze 1979); e, d'altra parte, il riferimento 
alle categorie creditizie il pi� delle volte consente di ancorare il 
risarcimento del danno (presunto) a parametri certi (costo deM'indebitamento 
bancario, per l'operatore economico; indici ISTAT, per il modesto 
consumatore; tasso dell'interesse sui depositi bancari, per il creditore 
occasionale, etc.). 

12. -I precedenti rilievi sembrano sufficienti a superare talune 
incertezze che -come si � avvertito all'inizio -si sono manifestate nella 
giurisprudenza di questa Corte nell'applicazione dei principi fissati 
dalle se2lioni unite, segnatamente in ordine ai limiti .in cui � possibile 
utilizzare, ai fini della prova del danno da svalutazione, il notorio e le 
presunzioni correlate a qualit� e condizfoni del creditore. 
a) Sul piano generale, alcune sentenze valorizzano la distinzione fra 
lucro cessante e danno emergente, talvolta affermando che le agevolazioni 
probatorie sono ammissibili solo per H normale lucro cessante 
(inteso oome maggiore u1li1it� che il creditore avrebbe ricavato dalla 
somma se avesse potuto disporne tempestivamente), mentre deve essere 
specificamente provato il danno emergente (v. sent. n. 4380�e 5246 del 1983; 

n. 6626 del 1984), altre volte ritenendo, invece, che solo quest'ultimo possa 
risultare illico et immediato dalla notoriet� e generalit� dell'avvenimento 
pregiooizievole (v. ad es., sent. n. 4455 del 1981). 
Sennonch� lucro cessante e danno emergente vengono entrambi in rilievo, 
e debbono essere indennizzati, per l'integrale ristoro del danno da 
sva:lutazione, che � debito di valore al pari di ogni altra obbligazione 
risarcitoria; e conseguentemente, in conformit� all'indirizzo prevalente, 
va ribadito che le presunzioni sono utilizzabili per la prova dell'uno e 
del'l'altro tipo di danno. 

b) Con riguardo alla figura del creditore-imprenditore, poi, alcune 
sentenze sembrano limitare l'onere di prova a tale qualit�, data la normale 
inddenza della svalutazione sull'ordinario svolgimento dell'attivit� 
imprenditoriale (sent. n. 586 del 1985; n. 4788 del 1984), mentre altre 
pronunzie richiedono una specifica dimostrazione del danno, con riferimento 
agli investimenti programmati e non potuti effettuare, a1la ne



320 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cessit� di ricorrere al credito, etc. (sent. n. 5246 del 1983; n. 5981 del 1981; 

n. 1384 del 1980). 
In proposito, ribadito che l'imprenditore deve, al pari di ogni altro 
creditore, specificamente allegare e dimostrare i presupposti delle presunzioni 
utilizzabili in ordine all'an e a:l quantum del danno, va precisato 
che l'impegno probatorio, pur non potendosi arrestare alla qualit� professionale, 
si atteggia diversamente per ciascuno dei due criteri ritenuti 
pi� appropriati per questa figura: in relazione al criterio del maggior 
costo del denaro, il creditore deve dimostrare di trovarsi in condizioni 
atte a presumere, secondo la normale gestione finanziaria dell'impresa, 
il ricorso al mercato del credito; in relazione al criterio del mancato 
guadagno, invece, � tenuto a fornire gli elementi necessari a stabilire 
la redditivit� del denaro investito nell'impr.esa, sicch� la prova -basata 

I 

in grian parte su vicende proprie della singola .impresa -spesso presenta 
maggiore complessit�. 

I 

e) Infine, in tema di crediti per prestazioni prev�idenziali esolusi dalla 
rivalutazione automatica ex art. 429 cod. proc. civ., da al<:une pronunzie 
la qualit� di pensionato � stata ritenuta suffidente ad accogliere la do


Imanda risarcitoria, mentre con numerose altre si � imposto al pensionato 
l'onere di dimostrare che, per far fronte ai propri bisogni di vita, � stato 
costretto a far ricorso al credito a condizioni onerose o ad alienare beni ~ 
idonei a salvaguardarlo dalla svalutazione oppure di non aver potuto '~ 
investire le somme dovute in modo da conseguire questo stesso risul


I

tato (v., ad es., sent. n. 4269 del 1984). 

Quest'ultima opinione non pu� essere condivisa perch� il pensionato, 
quando abitualmente destina tutte le sue risorse al consumo personale 
e familiare, va qualificato �modesto consumatore�; pertanto si pu� 

I

giovare della presunzione inerente a questa figura ed ottenere il maggior 

~ 

danno secondo gli indici Istat, tranne che la somma liquidata sia molto 
rilevante, nel qual caso deve considerarsi un �creditore occasionale � e 
il danno pu� essere risarcite in relazione all'impiego in deposito bancario, 
alle condizioni innanzi accennate. 

In definitiva, con le precisazioni e i chiarimenti di cui sopra, deve 
essere confermato l'indirizzo delle sentenze del 1979, il quale, com'� stato 
sottolineato anche dalla Corte Costituzionale (con la sent. n. 76 del 1981), 
nell'attuale quadro normativo � il pi� idoneo a determinare con sufficiente 
approssimazione, attraverso i criteri personalizzati di normalit�, f 

I 

�l'effettiva incidenza dell'inadempimento sul patrimonio del singolo cre


i 

ditore in relazione alla svalutazione monetaria �. 

25. -Nel caso in esame va ricordato che la Corte di appello, accertata 
la colpa dell'Amministrazione per il grave ritardo nel pagamento 
dell'importo revisionale, ha accolto la domanda della S.C.l.C. in quanto 
I 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 321 

ha ravvisato il danno direttamente nella svalutazione verificatasi nel lungo 
periodo della mora e ha ritenuto altres� di com.misurarlo agli indici 

ISTAT, liquidandolo� equamente� in duecento milioni. 

La censura mossa a questa statuizione � ammissibile e, come si � 
anticipato, anche fondata. 

L'ammissibilit� viene negata dalla resistente per il motivo che la 
questione sarebbe nuova, perch� nelle fasi di merito l'Amministrazione 
non avrebbe mosso alcuna contestazione in ordine all'esistenza del pregiudizio; 
ma l'affermazione non � esatta giacch� -come si � riferito 
nell'esporre le vicende del processo -sia in primo grado che in appello 
l'attuale ricorrente aveva dedotto che il danno dovesse essere specificamente 
dimostrato, quanto meno in base a circostanze idonee a presu� 
merne l'esistenza e l'ammontare. 

� evidente, poi, l'errore in cui � incorsa la Corte di appello per avere 
ritenuto esistente il danno senza affatto considerare le conseguenze 
della svalutazione specificamente nel patrimonio della creditrice, negligendo, 
cos�, i principi come sopra stabiliti da queste Sezioni Unite; e per 
avere provveduto a liquidare il danno in base (a quanto sembra) agli indici 
ISTAT, i quali, invece, come pure si � avvertito, non possono essere 
utilizzati ove non venga allegata e dimostrata l'abituale destinazione del 
denaro al consumo (laddove nella specie la liquidazione sembra essere 
avvenuta tenendo conto della qualit� di imprenditore commerciale della 
societ�). 

26. -L'accoglimento delle censure precedenti comporta l'assorbimento 
di quella sub c), riguardante il computo degli interessi sulla 
somma liquidata a titolo di svalutazione. 
Pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione 
alle censure suddette e la causa rinviata ad altro giudice, che si designa in 
una diversa sezione della Corte di appello di Milano, la quale proceder� 
a nuovo esame della contrpversia attenendosi ai rilievi e ai princ1p1 di 
diritto sopra svolti; provveder� anche sulle spese di questo giudizio di 
cassazione. (omissis) 

I 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE, 27 gennaio 1986, n. 6 -
Pres. Pratis -Rel. Vacirca -Laudano (avv. Mormino) c. Assessorato 
ai Lavori pubblici regione siciliana (avv. Stato Del Greco, Carbone 
e Russo). 

Acque � Acque pubbliche � Derivazione e concessione � Licenza di attin� 
gimento � Per la derivazione di acque sotterranee -Concedibilit� � 
Cautele prevedute dall'art. 56 T.U. 1775 del 1933 -Da osservare in 
quanto compatibili. 

(T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 56 e 92). 

322 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Acque -Acque pubbliche -Acque sotterranee � Facolt� del proprietario 

'.

di estrarre acque per usi domestici � Estensione. 

(T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 93). 
Il 

Acque � Acque pubbliche � Derivazione e concessione � Licenza di attingimento 
-Concorrenza tra richiedente e utente di fatto � Non sussiste. 

(T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 9). 
I 

In base all'art. 92 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, anche le acque 

iI sotterranee possono costituire oggetto della licenza di attingimento preveduta 
dall'art. 56. Le cautele dettate .da questa disposizione, in quanto 
si riferiscono all'attingimento di acque superficiali vanno osservate in 
quanto compatibili. Nel caso di acque sotterranee, l'attingimento con 
impianti fissi non d� .luogo al rischio di indebolimento degli argini e dunque 
costituisce una legittima modalit� della licenza (1). 

L'art. 93 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775 riconosce al proprietario 
la facolt� di estrarre e utilizzare liberamente .le acque sotterranee per 
usi domestici, nei quali non rientra l'irrigazione di agrumeti, la cui 
produzione sia destinata alla vendita e non ai bisogni della famiglia del 
proprietario (2). 

L'art. 9 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, che disciplina la scelta tra 
pi� domande di concessione concorrenti, non � applicabile ad ipotesi di 
adozione di licenze di attingimento concernenti acque gi� utilizzate di 
fatto da privati (3). 

(1 e 3) Non constano precedenti in termini. 

(2 e 4) Nel senso che gli usi irrigui per l'agricoltura non rientrino negli 
usi domestici consentiti dall'art. 93, comma 1, del T.U. 1775 del 1933, cfr. Trib. 
Sup. Acque �15 febbraio 1984 n. 2, Cons. Stato 1984, Il, 316. 

In tema di' acque sotterranee, nella pi� recente giurisprudenza, cfr. Trib. 
Sup. Acque 28 agosto 1985 n. 57, Cons. Stato 1985, Il, 1182, che ha ritenuto 
legittimo il diniego di autorizzazione a ricerche di acque sotterranee se, in 
seguito ad abusiva captazione, le acque siano ~merse ed abbiano acquistato 
il carattere di acque superficiali. Donde da un lato l'individuazione del limite 
all'applicazione della disciplina delle acque sotterranee rappresentato dal fatto 
che siano in qualunque modo emerse, dall'altro l'affermazione del necessario 
collegamento della protezione dell'interesse dello scopritore attuata dall'art. 103 
del testo unico, con la previa autorizzazione alla ricerca; Cass. 15 novembre 
1982 n. 6093, in questa Rassegna 1982, I, 991, Trib. Sup. Acque 5 dicembre 
1981 n. 45, ivi, 1981, I, 867 e Trib. Sup. Acque 10 novembre 1975 n. 25, 
ibidem, 1976, I, 158, che hanno affermato l'applicabilit� alle acque sotterranee 
dell'art. 1 del testo unico, desumendone che le acque sotterranee sono pubbliche 
quando presentano attitudine ad usi di pubblico generale interesse, 
che la condizione di pubblicit� dell'acqua � effetto legale di uno stato di fatto 
sicch� non rileva la mancanza di iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche, 
che per converso la condizione di pubblicit� non � ricollegabile al 
trovarsi le acque in comprensori soggetti a tutela; Trib. Sup. Acque 10 luglio 
1975 n. 18, in questa Rassegna 1976, I, 628, che ha riconosciuto la legittimazione 
dello scopritore che abbia chiesto la concessione dell'acqua scoperta 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUB ED APPALTI PUBBLICI 323 

II 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE, 3 aprile 1986, n. 20 � 
Pres. Moscone -R�l. Vacirca -S.n.co11. Fratelli Di Gregorio (avv. Mor� 
mino) c. Ufficio Genio Civile. di Palermo e Assessorato LL.PP. Regione 
siciliana (avv. Stato Imponente). 

Acque � Acque pubbliche � Acque sotterranee � Facolt� del proprietario 
di estrarre acque per usi domestici � Estensione. 

(T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 93). 
L'ordine di cessare di ,prelevare acqua per l'irrigazione di un agrumeto, 
il cui prodotto sia destinato alla vendita, non � in contrasto con 
l'art. 93 .del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, che attribuisce al proprietario 
del fondo la facolt� di estrarre acque sotterranee per gli usi domestici, 
giacch� l'ordine non interferisce su tale facolt�, che d'altra parte non 
autorizza il tipo di prelievo vietato con l'ordine (4). 

I 

(omissis) 7. Col primo motivo i ricorrenti sostengono che non ricorrano 
nel caso in esame i presupposti previsti dall'art. 56 t.u. 11 dicembre 
1933, n. 1775, per il rilascio di licenze di attingimento, e ci� in quanto 
si utilizzano impianti fissi e si prevedono alterazioni delle condizioni del 
corso d'acqua. 

La doglianza � infondata. Le cautele previste da1la norma citata si 
riferiscono alle licenze di attingimento di acque scorrenti in superficie, 
onde � stabilito che gl'impianti siano posti sulle sponde e a cavaliere 
degli argini e si pone la condizione che non siano alterate le condizioni 
del. corso d'acqua. 

La stessa disposizione va applicata all'utilizzazione delle acque sotterranee 
(in virt� del richiamo contenuto nell'art. 92 del t.u. cit.) tenendo 
conto delle peculiarit� di queste ed in particolare della inconfigurabilit� 
di rischi (indebolimento degli argini) derivanti dall'installazione di im� 
pianti fissi. Rispetto alle acque sotterranee, quindi, il limite rappresen� 
tato dal carattere e dal tipo di installazione delle pompe non trova appli� 
cazione. Per quanto concerne l'alterazione delle condizioni del corso 
d'�cqua, non pu� dirsi che l'amministrazione stessa l'abbia prevista come 

ad impugnare un provvedimento che autorizzava altri al suo temporaneo prelievo 
in pendenza del procedimento di concessione. 

Il capo di decisione �riassunto nella quarta massima contiene un accenno 
al problema se, quando le acque sotterranee siano riconosciute per pubbliche, 
l'esercizio della facolt� preveduta dall'art. 93 del testo unico richieda, in 
applicazione degli artt. 1 e ss., la concessione. 

In argomento, cfr. Cass., sez. Ili, 14 febbraio 1985, Buffa, in Cass. pen. 

1986, 344 e Cass., sez. Il, 14 febbraio 1985, Glorioso, in Cons. Stato 1985, Il, 1576. 

I 



probabile solo perch� nei provvedimenti impugnati � stabilito che il 

Sindaco di Palermo sia direttamente ..resp_onsabile di eventuali , dalll).L e 

d~bb� sbspendere l'edui:l~ne fu caso di 'sensibile v~l:-i~ione dell~ cai-a�e


dstid�e chimiche dell'aequ~'. ,, ..: . . . . .. .. : . . ..' .'. �.� l 

Si tratta ar una clauso1~ c~ute1ativa, giusimcab�e ~eh~ in !>~~senza 
di una possibilit� remota di danno. �� ' � � '� '� �� � 

~-� .: 8; -Col secondo motivo i� ricofrel;lti deducono viol�Zion�aeI�'art. 9B t~u. 
11 dicembre 1933, n. 1775, �nonch� edcesso di potere sottq, H'profilo dell'incompatibilit� 
dei provvedimenti impugnati con gli usi agricoli del� 
l'acqua. 

La doglianza � infondata. L'�rt. 93 dt. riconosce al' �pr�prietario del 
fond� fa facolt� di estrarre� e utilizzare liberamente Ie acque' sotterranee 
del suo fondo pei' gli' �si domestici, �nei quali sono compresFI'innafl�amenfo 
di giardini 'e orti inservienti direttamente al proJ.:)rietario . e �alla 
sua famiglia e l'abbeveraggio del best'iame. In tale nozione non rientra 
l'irrigazione di agrumeti, la cui produzione � destinata alla vendita e 
non ai bisogni della famiglia del proprietario. 


9. Col terzo. niotivo i ricorrenti contestano.. la sussistenza delle rag~
oni di P.ubb~ico. int~r�sse poste _a f~ndf�:mento ~ei provv~im~nti JmI 
pugnati, e sostengono che l'andamento dtille piogg~. negli a.on.i .immedia~~
J:lte precedenti. la lor~ a,d9zio~e � .si~ risultat? .� ;particoiarmente 
favorevole. La doglianza � inammissibile, in quanto attiirne . ;alle s�:elte 

I 

di . oppor~it� ri~ervate i;�l'Autorit� amministrativa. N�~ d'altra parte, 

tali scelte risultano effettuate esclusivamente sulla base di considera-

I 

zio:p.i attinenti all'~damento delle ;piogge. 

I

10. Privo di fondamento � il quarto mcitivo, con cui si deduce ' violazione 
di una norma (l'art. 47 t.u. n. 1775 del 1933); inapplic�bile nelle fil 
~ 

fattispecie in esaine, in quanto diretta a regolare la� coesistenza di nuove ~ 
ooneessfoni con le pteesistenti mentre i ricorrenti non risultano� titolari 

I

di alcuna concessione.�: ' 

_, .. lL Deve .altres� dicltjararsi. infondato-: il quinto JI10tivo ..di ricorso, 
co. cui si invoca up.a disposizione� {l'art. 9 t.u. n. 1775 del 1933) che 
discip4na la scelta. tra pi� qomande di concessione concorrenti, . ina,ppli
�Cabile ad. ipot~si di adoziol,le .. �c:\i. lice:r.;e per t=ttt~ngimento concerne:pti 
acque gi� utilizzate di fatto da privati. 

li. Col sesto motivo i ricorrenti 'lamentano � che l'.Am~inistr32'.ione 
I ~ 

.abbia rimesso al concessionari.a e ai proprietari dei pozzi la determina.
zione di modalit� di prelievo idonee ad evitare danni alle colt'ure nel 

periodo '1� maggio" 31 ottobre. 

I 
!

La doglianza � inanunl:ss"ibile per difetto d'interesse, La clausola f. 
in questione\ configl,lra g� ,a�cordi (fra ,�om:u,ne e propril'!~~i;:i) sulle.mo-

I 

.~ 

I 

. i ~ 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 325 

dalit� di prelievo come � condizioni 1k onde subordina al loro raggiungimento 
l'efficacia delle licenze di attingimento. Della mancata diretta 
determinazione: delle' modalit� dL :�>~elie~~ .ck: p~rtJ �,dell'Autorit� emanante 
avrebbe ragioni di dolersi il Comune, il quale, nel caso di mancato 
raggiungimento dell'accordo con ciascun proprietario sarebbe costretto 
a richiedere mJ,ovi provvedimenti .all'As.sessorato regionale .. Ncm 
h~nno, 'invece, ip.teresse a d�durre la censur�. �1�p~qprl.ei:ari dei po~zi, 
ci�scurl6 'dei quali, ;ove non fitenga: soddi�enti '1e rriod~iit� di prelievo 
offerte dal Comune, pu� rifiutarsi di concludefJ . l'accordo, inducendo 
l'AmministrazJ.one ad adottare direttamente le occorrenti determinazioni, 

� ',' �' � f ,�"' ' F' !.' � .{:
la cui mancanza qui si lamenta. � � � � � � � � � � � 

\, ; I "' 

13. I cinque ricorsi devono, pertanto, esssere respinti. Sussistono, tutvia, 
giusti motivi per. dichiarare compensate tra� 1e parti le spese giudiziali. 
(omissis) 
;,, . 

II 

(omissis) 2 .. Col primo moUvo i ricorrenti de�.ucono violazione del-
l'art. 93 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 ed eccesso cli pet~e. �� 

La doglil;lllza. � infondata. Il� dip.iego di concessione 1non interferisce 
con la faqolt� ricoJ:l.QSciuta dall'i;irt�. 93 cit. '.al� proprieta.rio .del fondo, 
n� l'ordine di ..c;essi.:ione di prelievi �di acqua per� .uso. irriguo, che i 
ricorrenti stessi dichiarano di avere utilizzato per la coltivazione di 
diversi ettari di agrumento, �. in contrasto con la ..norma che consente 
dd estrarre acque sotterranee per usd domestici. . . , 

. In �tali usi sono coinpresi, infatti, l'innaffiamento di� giardini ~d 
orti e l'abbeveraggio del bestiame; p�rch� � inservient.i direttamente . al 
proprietario ed alla� sua famiglia�, non gi� l'�rrigazione ..di. frutteti il chi 
prodotto sia destinato alla vendita. . ' 

3. Infondato � anche il secondo motivo con cui si deduce violazione 
dell'art. 47 e dell'art. 103 t.u. n. 1775 del 1933, nonch� eccesso di potere 
sotto diversi profili. 
Per quanto concerne il primo profilo, � sufficiente osservare che i 
ricorrenti non hanno veste di concessionari, onde ad essi non� si applica 
ta norma (art. 47 cit.) che regola i rapporti frfl utenz� preesistenti e 
nuove concessioni. 

Quanto all'art. 103 cit., esso prevede rimborsi e premi a favore dello 
scopritore e a carico del concessionario, da determinarsi nell'atto di 
concessione. Poich� l'atto impugnato non � un� pro\rvedimento di con� 
cessione, legittimamente l'Amministrazione ha omesso .�di provvedere a

1

,tale determinazione. 

4. Il :ricorso va, pertanto, respin~o. Le spese Segudno la soccOrn.benza 
e si liq~idano in complessive lire ottocentomila. (omissi~) 

SEZIONE OTTAVA 

I

GIURISPRUDENZA PENALE 

I

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. IV, 26 giugno 1986, n. 1392 � Pres. Trofa -
Rel. Troncelliti -P.G. Vitale (conf.) -rie. Speranza Alessio (avv. Stato 
Di Tarsia di Belmonte). 

I 

Procedimento penale -Omissione della firma -Forme equipollenti � AID� 

I

missibilit� � Motivi d'appello redatti da avvocato dello Stato siglati 
a margine � Ammissibilit�. 
(Artt. 139, 201, 2fll, c.p.p.; art. 44 R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611). 


L'art. 201 c.p.p. richiede la sottoscrizione dei motivi di impugnazione 
al fine di assicurare che gli stessi siano stati redatti da chi � portator1 
del relativo diritto, sicch� sono ammissibili forme equipollenti che consentano 
comunque di garantire la genuin#� della volont� del titolare 
dell'impugnazione (1). 

Sono ammissibili i motivi di impugnazione presentati da un avvocato 
dello Stato personalmente al Cancelliere su carta intestata dell'Avvocatura 
Generale dello Stato anche solo siglati a margine (2). 

Con fonogramma del 10 gennaio 1979 il Commissariato di P.S. di 
Roma-Centocelle informava l'A.G. che alle ore 18,15 di quel giorno il 
M.llo di P.S. Romiti Mariano a bordo di un'auto Fiat 128, condotta. dall'appuntato 
Speranza Alessio, in servizio di vigilanza per la tutela dell'ordine 
pubblico, era intervenuto su segnalazione della Sala Operativa 
della Questura in via dei Narcisi, dove un gruppo di giovani stava assaltando 
la locale sezione della D.C. 

Raggiunta rapidamente detta via, gli agenti notavano un gruppo 
di circa cinquanta giovani, alcuni dei quali travisati con passamontagna 

(1-2) La sottoscrizione di motivi di impugnazione � a pena di inammissibilit�? 

Il fatto, che � stato esaminato dalla Corte Suprema con questa esatta 
sentenza a correzione di una insostenibile affermazione cui era pervenuta la 
Corte d'Appello, � richiamato in motivazione: i motivi di appello contro una 
sentenza di condanna non firmati, ma siglati a margine, erano stati presentati 
dall'avvocato dello Stato, difensore dell'imputato a norma dell'art. 44 R.D. 
30 ottobre 1933, personalmente in Cancelleria su carta intestata dell'Avvocatura 
Generale dello Stato. 

La Corte d'Appello, su eccezione delle parti civili, aveva affermato che 
ci� comportava inammissibilit� dell'impugnazione, sostenendo che secondo 
l'art. 201 c.p.p. i motivi di impugnazione devono venire presentati -a pena 
di inammissibilit� -con atto � sottoscritto � da chi propose l'impugna




--
PARTB I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALI! 327 

che, provenienti da piazza dei Mirti, correvano in via delle Robinie, 
mentre altri stavano tentando di rovesciare un'auto in via dei Narcisi, e 
venivano esplosi alcuni colpi di arma da fuoco. 

Gli agenti, in abito civile, si qualificavano ad alta voce ed ottenevano 
l'effetto :di far desistere dall'azione i giovani che si allontanavano 
di corsa: uno di essi, identificato poi per Vocini Massimo, veniva bloccato 
e custodito nell'auto di servizio. 

Contemporaneamente l'appuntato Speranza si poneva all'inseguimento 
di un giovane travisato con un passamontagna, il quale, vistosi 
raggiunto, a 4-5 metri di distanza dall'inseguitore, si girava di scatto 
impugnando una pistola e cercando di mirare allo Speranza, quest'ultimo 
per� -proseguiva il Fano -estraeva la pistola d'ordinanza ed 
esplodeva un colpo che attingeva il giovane al �Capo. 

Tale giovane, identificato poi per Giaquinto Alberto crollava a terra, 
abbandonando l'arma e, prontam�nte soccorso, veniva trasportato con 
ambulanza all'ospedale Sah Giovanni, ove a seguito di ferita d'arma 
da .fuoco con foro d'entrata nella regione occipitale destra e foro 
d'uscita in regione parieto-occipitale sinistra, decedeva alle ore 20,30. 
Con provvedimento del 9 febbraio 1980 il giudice istruttore, in relazione 

zione o comunque, dal difensore. Il riferimento testuale alla � sottoscrizione � 
-e, cio�, all'atto d'apporre la propria firma a chiusura -(quale sigillo di 
provenienza) -del documento -di per s� escluderebbe atti equipollenti. 
E, tantomeno, quello di apporre la propria � sigla � a margine del documento 
stesso: laddove, peraltro -come nella specie -detto margine viene normalmente 
coperto attraverso la fascicolazione ai fini dell'inoltro agli uffici 
giudiziari. Del resto -affermava il giudice d'appello -ben diversa sarebbe 
la finalit� della sigla che viene apposta dall'avvocato dello Stato, in sede di 
dotazione dei fogli intestati, e prima che gli stessi vengano adoperati dal 
medesimo (sic!). N� pu� dirsi che la natura di organo impersonale -investito 
per legge della difesa dei dipendenti statali -esimerebbe l'Avvocatura dello 
Stato dall'onere della sottoscrizione da parte del sostituto incaricato della 
causa. a, infatti, costante l'insegnamento giurisprudenziale nel senso cii affermare 
che le norme riguardanti la rappresentanza in giudizio degli impiegati e 
degli agenti alle dipendenze dello Stato, non incidono sulla disciplina del 
processo penale: n�, in alcun modo, esonerano gli avvocati dello Stato incaricati 
dell'osservanza delle norme vigenti per gli avvocati del libero foro 
(Cass., Sez. IV 3 giugno 1983 Bordignon; 11 marzo 1974 Mercuri; 26 marzo 1976 
Caruso). N� poteva replicarsi, sempre secondo la Corte di merito, che, nella 
specie, l'atto -comunque -sarebbe stato sanato attraverso la indicazione 
della provenienza dei motivi certificata dal cancelliere nel registro delle 
impugnazioni. 

La tesi sostenuta dal giudice di secondo grado, a prescindere dalla fantasiosa 
affermazione di fogli siglati in bianco in sede di... dotazione degli 
stessi (!), era evidentemente semplicistica, n� faceva corretto richiamo alla 
giurisprudenza della Corte Suprema. 

Era pacifico in fatto, come si � premesso, che i motivi d'appello nell'interesse 
cJeWimputato contro la sentenza di condanna del Tribunale, erano 



aHa.r.requisiforia 1"4:�on":cuf �:RrP~M. avevi:i '-chiest�:: il: >prosci�glifuentO: dell� ,~ 
Speranza>ex:~;arllf�395 c;p.pi; pe:t "a11e11�Tagente fatto uso\"}�gittimo dell�� 
armi, disponeva che l'istrattoria� proseguisse�. colJ. ritl!'>' �forrilal�. � � � � ' � 
, 

. 

�:11~:All'esito ..deH'istr.utt�ria �.form-lil�; �10 Speranza verliva' rinviato a giudbtio 
avanti' al : Trili>una:Ie~� di Roma .per: risjJOridere del delitto' di cui � fil:�aU1aT.t. �589 'c.p.' in:''tel�zioli� agli' artt.: 53 e 55 <i.p. p�r ecces�so c�lposo 
nell'uso legittimo dell'arma. � ., 1 ' � � .. ) 

�.-Si costituivano parte. civile Giaiquinto Teoddro, �Giaquinto -Lucia, 
Giaquinto1.0rtensiq�.~:e�;Paoluzzi Maria Luisa in Gia:quinto; : �: 

', �Con sentenza in data 11 ott�bre .1984 -lo Speranza \reniva �ondan:nato 
.con la concessione. delle. attenuanti generiche e dei benefici di"legge 
a::�mesi :sei di reclusione. ed� al: r.isarcimento dei �danni da liquidarsi in 
separata sede, con assegna:lri:one di provvision-a,li in favore delle� �os�ti~ 1 
tuite _parti civilii, Giaciuinto Teodoro;' Giaquinto Lucia~ Giaquinto Ortensio 
e Paoluzzi. Maria :I:.uisa.' � � , . 

,, � Proponevano appello� l'imputato : difeso dall'Avvocatura .. dello� Stato � 
e� �le predette parti civilb� 

\' Deduceva l'imputa'to� che egli: avrebbe doV�to essere assolto perch� 
non punibile, avendo agito� in statti di legittima difesa a oorma dell'art. 
52 c.p. Si dolevano le parti civili che il Tribunale non avesse dkhia


.,,, (1 < 

stati 'redatti -dall'avvocato� dello Stato che aveva dif�so' H1 primo>gra'd� l'imputato 
e"ci� ai: sensi~ �e -P�r' 'gli� �ffetti dell'art.. 44 'del' R.D~ 36 ottobre. 1933 � 

n. .1611. Era altrettanto pacifico che i suddetti� �motivi d'app�llo �t'a�li.�1 stati� 
presentati al Cancelliere del Tribunale dal � suddetto aW�cat� e ch�' essi reca� � 
vano la� data del d~posito ' e la firma: del, Cancelliet'e�� nella stess�� ultima: p�� 
gina sulla quale era stata app�sta la: sigla dell'avvocato, anche se non l'aveva 
posta, sotto il �suo nome e la ,sua . qualifica. dattiloscritti. 
i .., Era 'infine pacifico che ':i motivi d'appello erano ' stati scritti su fogli , 
singoli intestati' , � Avvocatura Generale�. dello Stat���, suocessivamertte � fascieolati 
�con una �semicop�rtina �intestata "'Avvocatura Generale �dello Stato�>>, che 
la:Icucitura era: rappresentata dai tre punti metallid e i che la >siglai-<!lei.l'avvocato 
era . agevolmente leggibile sotto� il �lembo� della semicopertina di� prima pagina 
e all'.estremit� 'inferiore. sinistra deHlultima pagina. 

Ci�� premesso1 �a prescindere dalla stranezza e: singolarit� (ii quella �he 
appariva ictu dculi tlna duplice distrazione -del difensore che non� aveva� fh'I.� 
mato in calce al suo� nome �dattiloscritto e del cancelliere che, apponendo� �l 
timbro e � firmando nella stessa pagina a' fianco �del nome del difensore che 
aveva personalmente<presentato i motivi, non �aveva rilevato l'omissione ~�correva 
l'obbligo di esamililare quali fossero' le� conseguenze della mancanza di 
sottoscrizione e ci� beninteso nell'ipotesi . che si �potesse ritenere effettiva� 
mente e totalmente sprovvisto di segni di riferibilit� grafica all'autorei dei 
motivi, l'atto-. in questione. L'atto,� infatti, non recava �ia firma. per esteso in 
calce al nome �dattiloscritto del difensore, ma il primo e l'ultimo foglio ree~ 
vano la sigla dell'avvocato; .apposta evidentemente pl:lima della cucitura e del' 
l'apposizione della semi copertina, secondo una :prassi consueta in Avvocatura: 
Tale sigla, era un' segno grafico�i con' caratteristiche certamente p�:rsonali ed 
era" idoneo.� adr�c�dendficave ..-. con l~ausili� di� altri elementi. desumibili dal� . 


--
raitll1 'la'. prop1ria <incompetenza ai; ;sensi', degli -�rtt. 3�., '.l:):.1477 q~;:p;:: coli la 
trasmissione degli atti al P.M., essendo in dibattimento il fatto contes~�to> 
all? ,Sp~ran,:z.a ~~sj.fltato ,'.d~vevso e Pt. gi;-~ve .~!, qu~.,o enu~si~t,? nell'or


dilianz� di rinvi~ i{giudizio. -" " � � ��� � " �� ' 

� � � � � � -. ' � , �'' , � . ' � � �1 r�, ,.. � , � �� � 1r� ��� � ' ~ � �. � � �� ' .' ��: r " ' f 
Cori' sentenza del 22 febbrai.o 1986 la. Corte d'AP�>ello di Roma, ritenuto 
che in mancanza di sottoscrizione dei. ~odvi� .d'impugnaz�6ne d~ 
parte ciel :,difensor� delrimpuiato, :tion e~sendo -au\�.6~o -�sufficiente 
l'apposizione di sigla'.' ~a� margine del documento, e rilev�to ~he lb part� 
ci\i�li :~i er�no iim�.tate achied�re 'la renilssi6ne degli atti al .P~M. estl~sivamente 
al fine della reformatio 1�in pejus dell'accusa' penale, dichiar�:
fa inanim�ssibill.' gli appelli � cobdatinava l'imputato 'i:tn� l:ifusidi:le delle 
sp�s'e1 1sost�ii.iil!e dalle parti civili in �quclfa fase. Avv�rso "tale sentenz~ 
propcfoe\ii:irlo ricorse( p~r cassazione il� difensore deU'irttpu1:ato, il P.G. 
e la parte civile Giaquinto Teodoro. � ���� ��� 

MOTIVI DELLA 'DECISIONE 

.. ' 

,, '�� 

Va preliminarmente rilevato che la parte civile succitata non ha 
provveduto n� alla notifica dell'impugnazione alle altre parti ex art. 202 
c.p.p., n� alla :presentazione dei motivi. .1 

' .!'\le l(;ieri:v.a1 la declaratoria diinammissibilit� del ricorso conde conseguenze 
di legge. ., � 

l'atto -l'avvocato estensore e sostanzialmente firmatario (v. Cass. Il 26. 1972 
in. Cass;;;� :pen. Mass, an:n. '1973, 584, �rt: 704) cos� corri� ha correttamente sta: 

1

tuito la �sentenza , che si annota. � � "� 

Tomando: al problema della�. S�ttoserizione/ va premesso che ' esso �doveva 
essere esaminato con riferimento non s�lo al taso di spede; I'na soprattutto 
tenendo conto che si trattava di una difesa assunta, con le ~�aratteristich� 
peculiari che la .disciplinano, :�daU'Avvocatura Generale�' dello Stato a norma 
dell'art. 44 del � R:;D. 30 ottobre 1933 n.. 1611, esame cui non si � sottratta la 
Corte di legittimit� che al problema �ha. dedicato un� significativo riferin'.l�nto. 

�.. Dalla natura� dL org�no dello� Stato; :infatti, dell'Avv-0catura e dalla ratio 
e dal� tenore�detterale del citato articolo 44, si desume agevolmente che fa 
difesa non: � assunta individualmente da una persona fisica-avvocato, ma dal; 
l'Avvocatura: ' � questa .il difensore e con questa esclusivamente si stabilis�e 
il -rapporto giuridico, tant'� che non ha rilevanza chi materialmente esplica 
la� difesa ed il� singolo avvocato dello Stato pu� essere indifferentemente sostituito. 
Ha rilevanza cio� �l'organo1 non lo strumento di attuazione della 
sua volont�: Ci�1 non pu� non incidere sulla �univocit� della provenienza dei 
motivi, nel senso di attribuir maggior certezza e non gi�, come' assume �l� 
Corte d'Appello, per :affermare che gli avvocati dello Stato sono svin~olati dalle 
norme di procedura (vale qui l'avvertimento del cave a consequentiariisl). ' 

Dall'esame:.dei motivi d'impugnazione risultava che essi erano stati, indubbiamente; 
.redatti e presentati dall'Avvocatura Generale dello Stato che aveva 
assunto� la difesa .dello Speranza a norma �della succitata normativa speciale:. 
i motivi erano:� stati. �redatti su: carta' ufficiale dell'Avvocatura Generale � dello 
Sta'to, fascicolati con� oorrispondente: copertina, recavano nella prima �.pagina 



330 

. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

Denuncia la difesa dell'imputato, rappresentata dall'Avvocatura dello 
Stato: 

1) viol�zione degli artt. 139, 201 e 207 c.p.p. dell'art. 44 del R.D. 
10 ottobre 1933 n. 1611, non esistendo i presupposti per la dichiarazione 
d'inammissibilit� dell'appello. 

I motivi d'appello erano stati scritti su fogli singoli intestati � Avvocatura 
generale dello Stato� e la sigla dell'avvocato era agevolmente 
leggibile sotto il lembo della semicopertura di prima pagina ed all'estre� 
mit� inferiore sinistra dell'ultima pagina. 

E per consolidata giurisprudenza era consentito nella sottoscrizione 
degli atti anche l'uso di grafie indecifrabili o di sigle, purch� munite 
di un pre�iso carattere che consentisse di individuare la persona da cui 
l'atto provenisse. 

2) Violazione degli artt. 195, 202 e 489 c.p.p. in quanto l'imputato 
non avrebbe potuto essere condannato alle spese legali a favore delle 
parti dvili, le cui impugnazioni erano state dichiarate inammissibili. 

Il Procuratore Generale svolge sostanzialmente la stessa tesi sostenuta 
dalla difesa dell'imputato in relazione al primo motivo. 
Il primo motivo del ricorso dell'imputato e l'unico motivo di quello 
del P.G. appaiono fondati. 

in alto il numero che corrispondeva al numero di contenzioso della pratica esistente 
presso l'Avvocatura Generale dello Stato ed erano stati presentati dallo 
stesso Avvocato dello Stato che aveva materializzato in primo grado la 
difesa dell'Avvocatura ed il cui nome era dattiloscritto sull'ultima pagina 
dei motivi, 

Le annotazioni particolari sopra esposte vanno confrontate con le norme 
in materia poich� certamente, se esistesse una norma che ner caso di specie 
sancisse espressamente la nullit� o l'inammissibilit� dei motivi per Ja mancanza 
della firma, quanto sin qui premesso non potrebbe avere alcun sviluppo. 
Cosi ad esempio, di fronte alle norme tassative che stabiliscono la nullit� 
di atti sprovvisti di firma (sentenza istruttoria, sentenza dibattimentale, processi 
verbali, relazioni di notificazione: articoli 386, 475, 151, 179 c.p.p.) o di fronte 
alle norme, tassative altrettanto, che stabiliscono la inammissibilit� di atti per 
mancanza di taluni requisiti (mancata presentazione dei motivi d'impugna� 
zione per iscritto, o da chi non aveva proposto l'impugnazione o dal non-difen� 
sore o mancata specificazione degli stessi: art. 201 c.p.p.), ogni ulteriore discorso 
sarebbe precluso. 

La mancata apposizione della firma per� del difensore-persona fisica avvocato 
dello Stato non � prevista espressamente n� a pena di nullit�, n� a pena 
di inammissibilit�: laddove la norma (art. 201 c.p.p.) fa riferimento. alla sot� 
toscrizione, la fa esclusivamente per individuare il soggetto legittimato alla 
sottoscrizione, tant'� che la espressa previsione dell'inammissibilit� �, in quell'articolo, 
riferita solamente alla mancata specificazione dei . motivi e la giuri� 
sprudenza si � data carico. di questioni attinenti alla sottoscrizione con esclu



Ji'ARTB I, SBZ. VIII, GIURISPRUDBNZA PBNALB 331 

La Corte di merito, premesso che l'art. 201 c.p.p. impone che i 
motivi d'impugnazione debbano essere presentati con atto sottoscritto_ 
da chi propone la impugnazione o dal difensore, ha ritenuto che il riferimento 
testuale alla sottoscrizione e cio� all'apposizione della propria 
firma a chiusura del documento escluda il ricorso a forme equipollenti, 
quali l'apposizione della prppria sigla a margine del documento. 

Non ravvisa questa Corte di condividere tale decisione. 

Va, infatti, tenuto presente che scopo della norma di cui all'art. 201 
cip.p. � ,quello di accertare che i motivi dell'impugnazione siano stati 
redatti da colui che � portatore del relativo diritto e di impedire, quindi, 
l'illecita intromissione di persone non legittimate nella serie degli atti 
diretti a garantire la genuinit� della volont� del titolare dell'impu


gnazione. , 

~ stata cos� ritenuta ammissibile l'impugnazione quando i motivi 
d'appello, pur essendo privi della sottoscrizione, risultano presentati 
personalmente dal difensore designato dall'imputato, per attestazione del 
competente cancelliere redatta in calce alla suddetta scrittura, per la 
quale attestazione non pu� dubitarsi n� della genuinit� della volont� 
dell'appellante, n� della titolarit� del diritto di redazione dei motivi di 

sivo riguardo alla qualit� del sottoscrittore, per stabilirne la legittimazione 
all'atto. In tal senso, la decisione che si annota � perfettamente conforme 
al sistema. 

Il principio di tassativit� della nullit� e per estensione di ogni causa di 
inammissibilit� (ex art. 184 c.p.p.) preclude quindi limitatamente a questi 
aspetti la dichiarazione di inammissibilit� dei motivi d'impugnazione non 
firmati. 

V'� per� un altro aspetto da esaminare: pu� l'inammissibilit� farsi deri� 
vare dalla norma generica di cui all'art. 207 c.p.p.? La firma cio�, pu� essere 
ricompresa nell'inciso � presentati nella forma, nel tempo e nel luogo prescritti?
�. Non v'� dubbio che il tempo e il luogo nulla hanno a che vedere 
con l'apposizione della firma, cos� come � del resto pacifico, per quanto 
detto sopra in ordine alle modalit� di redazione e presentazione dei motivi 
d'impugnazione che non pu� parlarsi di �rinuncia all'impugnazione �: se non 
bastasse in proposito la specifica forma (questa s� che � tale!) voluta dal 
legislatore per la rinuncia alla impugnazione (art. 206 c.p.p.) per escludere 
che nel caso di specie la mera mancanza di firma possa intendersi come 
rinuncia, sovverrebbe la univoca manifestazione della volont� di impugnare, 
desumibile dagli anzidetti facta concludentia! 

Resta la �forma� quindi: la firma � forma dell'atto? Nel senso, benin


teso, di unico modo voluto dal legislatore processuale, di attestazione della 

manifestazione della volont�, tale da escludere equipollenti che, nel caso di 

specie, invece, come si � visto, abbondano? Se si escludono due recenti sen


tenze di Cassazione (l'una resa per un caso del tutto particolare: motivi 

olografi e privati!; l'altra, nel dissenso del Procuratore Generale, ma entrambe 

riferite a liberi professionisti, v. Cass. III 29 luglio 1983 n. 7121; Cass. III 

6 marzo 1982 n: 2281) la dottrina si � espressa in tutt'altro senso: v. infatti 



impugnazione della pers�na "dell'estensore� pl'esentatore (v. Cass. Sez. II 
10 ottobre .1964 '� Vdafora,..:�:in Cass~��pen. Mass:~1965;��'404k�';.. :.�: ~ r,: 

.. Si � anche�� afl:erma:to che �il requisito �xdella: .firma �richiesto-ida1~� 
l'art; 139 c.pip. ai fini della validit� degli atti' deve ritenersi .soddisfatto 
anche mediante 'l'a'.PPosizione di un segn0 -grafico non facilm�.nte deci� 
frabile, in quanto sia �idoneo "ad identificare��il� funzionairio o: l'ufficio' 'di 
appartenenza pev:il concorso di� altri elementi desumibili daH!atto st�sso, 
quali per .altro il timbro o la intestazilme �dell'ait:to. (V.: Cass. � Sez .. II 111 
aprile 1980 � Sileo in C�ss\ Pen.. Mass. 1982, 524� n."452 e Sez. V 27 no~ 
vembre 1985 -�Bressanini). . . . 

! Nella specie, .pur essendo �stata apposta �al margine .dell'ultima p�a� 
gina: dei . motivi d'appello 1:1lla sigla quasi, bnpercettibile. per la mwr0:scopicit� 
dei caratteri, l'identificazione del redattore e presentatore.. qei 
motivi di appe,llo nel difen,sore deH'imput~;o, rappresentato dall'Avvocatura 
Aello Stato nella persona di un avvocato dello. l)t,ato doveva. ;ritenersi 
t;i;i.ggiunta e ~ttraverso la presentazi9ne dei motivi al. <;an~eUiere 

�'�� ��� ��'' . � . � i� , . , . .. � I 

che e.l:>be .ad attest;are , H. deposit�i ed attraver$Q nntestazione 4ej fogli 
su �-pi. erfiliq, redatti i. .iotlvi. all'Avvo�a:tu,ra G�n~ral_e� dello Stato.� '� 

per la non essenzialit� della sottoscrizione e per la sanabilit� dell'atto con 
firma successiva e con efficacia ex tunc, in Noviss�mo Digesto �-italiano-vece 
sqttoscrizione n. 8 sottoscrizione nei . documenti pi;ocessuali. La� .giurisprudenza 
dai c�nUi s�o ha. costantemente affermatp la possibilit� di equipo�lenti del�a 
sottoscrizione: v. in Foro it. 1964, I, 1780 Cass. I� �civ. 24 luglio� 1964.. n, 1995 
con nota di. ~� Lener. . � " 

.D'altra parte la Suprema Corte. d� .C~ssazione in sede penale ha non solo 
pn;:visto la nossibiut� di equipollenti -sia .pur con riferiniento ~Ila. data .di 
presentazione �dei motivi (Cass. IV, 6 febb~aio �1979, n. 1273), m� attribuisce 
anche al Ca.celliere �1:accertar,nento della. provenienza . dei motivi dal titolar� 
del .'diritto di. indicarli quan�lo -come nel caso .-siano' presentati diretta, 
mente (Cass. V, 16 febbraio 1967. n. 0137). . � � 

�V'� infine da rilevare, con pi� specifico riferimento all'art. 139 c.p.p., � che 
la Suprema Corte �di Cassazione ha costantemente afferl:ri.ato. che, a.. norma 
del citato . articolo, la. sottoscrizione deg;li atti .non deve nece.ssariament� consistere 
nella trascrizione, con caratteri leggibili, del no:i;ne e del cognome ' di 
di chi firma, essendo anche consentito l'uso di grafie indecifrabili o di sigle, 
a con4izione che esse siano munite di un preciso carattere che consente di 
indiViduare,.Ia persona da cui l'atto prov�ene (Cass. V, 6 m.aggio 19~8; Il, 2 d.icem'bre 
1969 n. 2495; Il, 7 giugno 1972 n. 4023; Il, ~ novembre 1980 n. 12327; 
Il, 8 ger�naio 1981 n. 3215; I, 1.5 dicembre .1982 n. � 11947; .II, 2 geru:i.aio � 1961 

n. U353). L'indirizzo che cos�. si � affei;mato ha da i.in Iato riconosciuto la 
piena vaUdit� dell'atto dotato di mera sigla, quando con il concorso di �altri 
eJementi � de.sumibili dall'a�o stesso .si possa id�ntifi�are il fup..zionario � (avvocato 
d~o Stato) che .l'ha apposta e l'ufficio di sua appartenenza� (Avvocatura 
Generale dello Stato) e dall'.altro ha ,.espressamente stabilito , c)J.e l'atto no. 
per.de validit� se la firma . o sigla � apposta in tlila i:>,art~ diversa' del foglio 
che la contiene. ~ ( ,�~. ... 
PAOLO.DI� TARSIA 'DI BELMON)'E; 

i 

I' 

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! 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

Va, conseguentemente, annullata l'impugnata sentenza, limitatamente 
alla declaratoria d'inammissibilit� dell'appello dello Speranza, con rinvio 
alla stessa Corte d'Appello perch� proceda, come per legge, al giudizio 
di appello. 

Non pu� trovare accoglimento il secondo motivo del ricorso dello 
Speranza relativo alla condanna dello stesso al pagamento delle spese 
sostenute dalle parti civili in grado di appello, posto che queste -ritualmente 
intervenute a seguito del gravame dell'imputato -erano pur 
sempre legittimate a resistere all'impugnazione di costui. 


--


PARTE SECONDA 



I


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:.J� .. :.J� .. 
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'�'" 

J: . 
.�.LE MISURE CAUTELARI NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO(*) 

Sommario: 

1) J>remess~; 

2) 
La sentenza della Corte Costituzionale n. 190/85; 

3) 
Il processo cautelare in sede di giurisdizione generale di legittimit�: 
e~oluzion~ della giurisprudenza; 

~) 
Prospettive d?. iure condencfo. , 

1. -Il tema in rasseg~ .sembra evoqare quella che, par:afrasan;do 
una celebre definizione di Winston Churchill, potrebbe definirsi l'imma.
gi:ne di una e.risi nella c;risi di :LJna crisi . 
..La crisi della giustizia, innanzitutto~ questa grande. malata. della 
nostra .societ�, affetta -in tutte e tre le sue maggiori espressioni:, civile, 
penale e amministrativa -dal vizio di ritardo di risposta per eccesso 
di domanda (e troppe volte, � ben noto, ritardata giustizia equivale a denegata 
giustizia). 

Non occorre, .m proposito, ricorrere a raffinate analisi sociologiche 
per constatare come al giudice �italiano. toechi in sorte pagare il prezzo 
di .colpe non sue, l'eccesso di contenzioso .essendo dovuto ad una careP?:a 
.o ad un difetto -di funzionamento di 1quei meccanismi fisiologici <lella 
sooi~t� e delle istituzioni che dovrebbero ridurre a sparuta � eccezione 
i casi di 1 mancato spontaneo adeguamento dell'essere del fatto al dover 
essere della norma. 

Chiamato a porre rimedio alla preoccupante forbice che si va aprendq 
tra evolvere della realt� ed evolvere dell'ordinamento, il giudice 
italiano si � trovato ~ostretto -il pi� delle volte per necessit� e non 
per scelta protagonistica -ad esercitare una funzione di vera e propria 
supplenza. La via maestra imboccata � stata quella del ricorso alla 
misura cautelare: non potendo dare risposta definitiva in tempi ragion�voli, 
il nostro giudic� d� risposta provvisoria in tempi giusti, privilegiando 
l'effici~nza rispetto alla meditazione. Q.esto � vero sia in sede 
di giudizio civile, dove Fazzalari ha parlato di � settecentizzazione della 

(*) L'articolo in rassegna � tratto da una relazione presentata al Convegno 
di studi cos� intitolato e tenutosi ad iniziativa della Societ� Italiana 
degli Avvocati Amministrativi presso il Consiglio di Stato il 28 giugno 1986. 



88 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA; DELLO STATO 

giustizia � (1) con riferimento all'uso e all'abuso che il pretore fa dell'art. 
700 c.p.c. :a vero, purtroppo, nel processo penale, come annotava malinconicamente 
Andrioli {2), in cui �troppo spesso la vera pena non � quelia che 
segue alla condanna, ma � quella scontata dagli imputati in sede di custodia 
preventiva, colpevoli o innocenti che siano. :a vero, infine, nel processo 
amministrativo, dove la curva statistica della percentuale di sospensive 
si impenna a freccia, divaricandosi da quella, pur montante, dei ricorsi. 
Ed � vero in un processo che avendo, fra tutti, 'le �strutture pi� obsolete, 
contempla come unica misura cautelare quella sospensione dell'esecuzione 
dell'atto impugnato la cui disciplina legislativa � rimasta sostanzialmente 
immutata da quasi un secolo (3). 

Di qui una esigenza di rinnovamento del processo amministrativo 
che si � manifestata lungo le tre grandi direttrici del nostro sistema: 
l'evoluzione giurisprudenziale, l'iniziativa legislativa e, tra le due, l'intervento 
del giudice delle leggi, che in questa circostanza sembra aver 
decisamente ripudiato quel ruolo meramente negativo di kelseniana memoria 
cui lo si voleva originariamente conformato. 

Sembra, quindi, opportuno analizzare brevemente i tre aspetti evolutivi 
sopra accennati, nel rispetto, naturalmente, di quel � �gioco delle 
parti � che impone, in una sede quale la presente, di affrontare il problema 
dal punto di vista del difensore� istituzionale della�parte pubblica. 

2. -Ci� non comporta, naturalmente, il rifiuto di qualunque evoluzione 
in nome di un offiicioso misoneismo. Ben al contrario, l'apertura 
della Corte Costituzionale -che, con la sentenza 28 giugno 1985, n. 190 
ha introdotto la clausola generale dell'art. 700 c,p.c. nelle controversie 
patrimoniali in materia di pubblico impiego di competenza del giudice 
amministrativo -sembra meritevole di piena aipprovazione, in coerenza, 
d'altronde, con quanto gi� altre volte sostenuto in ordine alla opportunit� 
di un integrale trapianto del sistema processual-civilistico nel giudizio 
amministrativo in materia di pubblico impiego (4). Si verificherebbe, 
(1) G. MANZARI, La giustizia amministrativa oggi, in �Il Consiglio di Stato�, 
1984, 963. 
(2) V. ANDRIOLI, Relazione, in � Atti tavola rotonda romana �, 1982, 1688 cit. in 
M. E. ScHINAIA, Brevi note sul giudizio amministrativo cautelare, in � Riv. amm. '" 
1985, I, 591-604. 
(3) :!> noto, infatti, che il passaggio della formula normativa dalla locuzione 
� gravi ragioni � utilizzata dal legislatore del 1889 a quella � grave ed 
irreparabile pregiudizio � del legislatore del 1971, altro non � che la recezione di 
una giurisprudenza del Consiglio di Stato formatasi a partire dal 1890 e che 
interpretava la formula � gravi ragioni � proprio nel senso di � grave e irreparabile 
pregiudizio� (cfr. Cons. Stato, IV, 10 aprile 1890, in � Giust. Amm.va �, 
1890, 11). 
(4) I. F. CARAMAZZA, La riforma del processo amministrativo, Atti della 
tavola rotonda 19 aprile 1980, in � Riv. Amm. �, 1980. 

PARTE II, QUESTIONI 89 

altrimenti, una ingiustificata disparit� di trattamento di rapporti d'opera 
assai simili e che evolvono, oltretutto, da anni lungo linee convergenti. 

Benvenuto, dunque, l'art. 700 c.p.c. nelle controversie patrimoniali 
in materia di pubblico impiego e ben venga l'intero codice di procedura 
civile in tutte le materie di giurisdizione esclusiva, sia che ci� accada 
per effetto di evoluzione della giurisprudenza amministrativa, sia che 
ci� avvenga per effetto di ulteriori interventi della Corte Costituzionale. 
Il tutto oon l'aggiunta doverosa che l'augurio duplice vale a livello di 
dialogo dei massimi sistemi: altro e diverso problema � quello di concreta 
fattibilit� con gli organici dei magistrati amministrativi oggi esistenti. 


Il sistema di giurisdizione esclusiva, Jnfatti, se mi si perdona il riferimento 
ad una teoria che cominoia a mostrare segni di logoramento, � il 
sistema di una giurisdizione su rapporti e non su atti: vi �, dunque, una 
omogeneit� di oggetto con il giudizio ordinario, una omogeneit� di diritto 
sostanziale da applicare e, tutto sommato, anche quando vi � da incidere 
su di un atto autoritativo, non si pone alcun vero problema differenziale, 
in quanto la disapplicazione incidenter tantum da parte del giudice 
ordinario equivale, da un punto cli vista effettuale, all'annullamento del 
giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. 

Non sembrerebbe, invece, da condiVlidere, una (ipotetica) eventuale 
analoga pronuncia del giudice delle leggi in tema di giurisdizione generale 
di legittimit� e sembra, d'altronde, che la ratio che ha spinto la Corte 
Costituzionale a negare ingresso alla sospensione cautelare in materia 
tributaria (5) dovrebbe valere a negare, nel giudizio sull'atto, ampliamento 
a quella tutela cautelare amministrativa prevista in misura ridotta ma 
congruente -secondo una valutazione preventiva del legislatore -con 
il tipo di giudizio (cassatorio) cui inerisce. 

Piaccia o non piaccia, infatti, il giudwio di legittimit� del giudice amministrativo 
si risolve tuttora in un giudizio sull'atto (6); � quindi congruente 
con la sua natura la prevista limitazione del giudizio cautelare. 

3. -L'evoluzione della giurisprudenza amministrativa in tema di 
sospensiva (e in sede di giurisdizione generale di legittimit�) nell'ultimo 
decennio � troppo nota perch� vi si debba indugiare: � stata, infatti, 
affermata e sistematizzata la sospendibilit� di una se.rie di atti amminist~
ativi (quali dinieghi di ammissione, atti intermedi di procedimenti., atti 
negativi di controllo, etc.) esclusi dalla sospendibilit� secondo le teorie 
classiche perch� atti negativi. Oltretutto, il giudice amministrativo ha utilizzato 
con estrema duttilit� lo strumento cautelare, piegandolo, per 
(5) Corte Cost. 1 aprile 1982 n. 63, in � Foro It. � 1982, I, 1216. 
(6) M. NIGRO, Linea di una riforma necessaria e possibile del processo 
amministrativo, in � Riv. dir. Proc. � 1978, 249 ss. 
9 



90 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

esempio, a fini istruttori o mirandolo meglio al ~ine attraverso l'introduzione 
di elementi a�cessori come il termine o la condizione. Si � cos� 
giunti a soddisfare, in sede di sospensiva, non solo � interessi oppositivi �, 
ma anche �interessi pretensivi � (quanto meno quelli �a soddisfazione 
preregolata �) (7). 

Questa evoluzione, valutata da parte della dottrina come vera e 
propria � rivoluzione � (8), � stata da altra -e non meno autorevole corrente 
di pensiero giudicata come fisiologica ptesa di coscienza di una 
realt� normativa ed effettuale esistente fin dal 1889: la estensione al 
merito della competenza del giudice amministrativo in sede cautelare (9). 
Secondo tale corrente di pensiero competerebbe, dunque, al giudice amministrativo, 
in sede di cautela, tutta fa gamma di poteri sostitutivi ed 
ordinatori che gli sono propri in sede di ottemperanza e ci� dovrebbe 
trovare sanzione nella pi� recente giurisprudenza del Consiglio di Stato 
e della Cassazione (10). 

Occorre subito esprimere il pi� netto disaccordo con tale orientamento 
di pensiero: la recente giurisprudenza a cui si fa riferimento non 
dice, infatti, ci� che vi si vorrebbe leggere se non in frasi non univoche 
e comunque formulate in sede di obiter dieta. Vi � per�, in quell'd.ndirizzo 
dottrinario una precisa intuizione che si rivela soprattutto quando viene 
messo l'accento sul fatto che l'idea che spettino poteri �di merito� al 
giudice amministrativo in sede cautelare � pare serpeggiare in modo pi� 

o meno dichiarato� (11) sin dall'origine dell'istituto. La notazione � esatta, 
ma le conclusioni che se ne vorrebbero trarre sono viziate dalla circostanza 
che non si � tenuto conto di una non innocua eterogenesi lessicale. 
Sembra potersi qui toccare c001 mano un'altra di quelle singolari � ambiguit�
� (12) del nostro processo amministrativo, nato nell'amministrazione 
ed evolutosi nella giurisdizione per giudicare di un interesse legittimo 
,che � posizione sostanziale sino alle soglie del processo per sparire 
poi in esso in tale sua qualit�. In contrapposto ad esso come giudizio 

(7) F. FoLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tributari, 
Giuffr�, Milano, 1981, 148 ss. 
(8) A. CAVALLARI, La tutela cautelare nel giudizio amministrativo, in �Trib. 
Amm. Reg. �, 1984, II, 403 ss.;. G. SAPORITO, La sospensione dell'esecuzione del 
provvedimento impugnato nella giurisprudenza amministrativa, Jovene, Napoli, 
198, passim. 
(9) A. ROMANO, Tutela cautelare nel processo amministrativo e giurisdizione 
di merito, in �Foro it. >>, 1985, I, 2491 ed AA. ivi citati. 
(10) Vengono citati in proposito: Cons. Stato, A. P., ord. 8 ottobre 1982, 
n. 17, in � Cons. Stato�, 1982, 1197 ss.; A. P., ord. 1 giugno 1983, n. 14, in � Cons. 
Stato�, 1983, 623 ss.; Cass. SS.UU. sent, 26 luglio 1984, n. 4399, in �Foro it. �, 1984, 
2106 ss. (vedi paragrafo 10 della motivazione). 
(11) A. ROMANO, op. loc. cit. 
(12) M. NIGRO, Il giudice amministrativo oggi, in � Foro it. �, 1978, V, 161 ss. 

PARTE Il, QUESTIONI 91 

sull'atto, la fase cautelare appare, infatti, .incentrata sul rapporto, in 
quanto in essa la valutazione dell'interesse sostanziale tutelato condi� 
ziona non solo l'ammissibilit� del giudizio ma anche il merito della decisione 
(13) con specifica attenzione rivolta alla valutazione dei fatti. In 
tale situazione l'intuizione del giudizio cautelare come giudizio � esteso 
al merito � � esatta. � esatta, per�, nel senso che si attribuiva nel 1889 
(ed anche pi� tardi, fino al 1907) alla locuzione �giudizio di merito�. 
Cio� nel senso processual-civilistico della cognizione del giudice estesa 
al fatto e non nel senso amministrativistico -che doveva maturare decenni 
dopo -di U111 potere di giudizio diverso sulla base di un parametro 
di valutazione altro dalla norma giuridica, cio� del parametro della opportunit� 
e della convenienza (14). 

Il legislatore del 1889, infatti, quando istitu� la IV Sezione del Consiglio 
di Stato non intese insediare un nuovo giudice, ma istituire un 
organo amministrativo di vertice che si poneva, rispetto a quelli sottoordinati, 
nella stessa posizione in cui si pone nel giudizio civile la Cassazione 
rispetto ai giudici di merito. Logica, quindi, la previsione che i 
ricorsi al Consiglio di Stato non avessero effetto sospensivo (i:l che vale 
in genere per tutti i r.imedi di tipo cassatorio); logico anche che fosse 
prevista in via di eccezione una facolt� di sospensiva; meno logico che 
la relativa competenza fosse attribuita all'organo superiore invece che 
a quello inferiore competente per il merito. La soluzione di continuit� 
appare, per�, assai meno grave ove si rifletta a:lla natura amministra� 
tiva che il Consiglio di Stato era allora ritenuto rivestire: non a caso 
fino alla met� di questo secolo apprezzabile dottrina afferm� la perdurante 
natura amministrativa della decisione cautelare, nonostante l'ormai 
indiscussa natura giurisdizionale riconosciuta al Consiglio di Stato (15). 

Nell'ottica ottocentesca era, dunque, assolutamente esatto parlare 
di giudizio cautelare come di giudizio esteso al merito, perch� era un 
giudizio che comprendeva la cognizione del fatto, mentre era pacifica� 
mente ritenuto che il Consiglio di Stato fosse un giudice di p�ro diritto, 
tanto vero che ancora nel 1907 si distingueva fra competenza della IV e 
della V Sezione, a seconda che si ritenesse la cognizione estesa o meno 
al fatto (16). 

(13) E. FOLLIERI, op. cit., 46 ss. 
(14) U. PororscHNIG, Origini e prospettive del sindacato di merito nella giurisdizione 
amministrativa, in � La giurisdizione amministrativa di merito �, Firenze 
1969, 29 ss. 
(15) F. Rocco, La sospensione del'atto amministrativo dinanzi al Consiglio di 
Stato, in �Studi in onore di S. Romano�, Padova, 1940, Il, 526 ss.; R. LUCIFREDI, 
In tema di sospensione dei provvedimenti impugnati con ricorso al Consiglio di 
Stato, in � Rass. giurisprud. Roma�, 1945, III. Cfr. M. NIGRO, nota Cons. Stato 
5 agosto 1941 n. 516, in �Foro Amm. �, 1141, I, 2, 275. Vedasi ancora recentemente 
in tal senso P. BIAGI, I provvedimenti cautelari nel giudizio amministrativo, in 
� Trib. Amm. Reg. 1984 �, Il, 351 ss. e segnatamente 360. 

92 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Se quanto sopra � vero, pacifico essendo che si ritiene oggi estesa 
al fatto la giurisdizione generale di legittimit� e si distingue in sede di 
giudizio amministrativo fra legittimit� e merito alla stregua dei beni 
diversi parametri di rJferimento sopra ricordati, la originaria afferma� 
zione del giudizio cautelare come giudizio di merito non pu� pi� essere 
utilizzata nella mutata accezione odierna. ' 

Sembra quindi necessario tornare, per de1ineare l'esatta configura� 
zione dell'istituto cautelare, all'insegnamento del Chiovenda, in particolare 
all'affermazione del principio che � il tempo necessario ad aver 
ragione, non deve tornare a danno di chi ha ragione� (17). Se cos� �, 
la misura cautelare altro non pu� essere che l'anticipazione del risultato 
finale del processo: nessun maggiore risultato pu� essere, quindi, conse� 
guito e nessun potere maggiore pu� essere rivendicato dal giudice nella 
fase della cautela rispetto a quelli ottenibili dal ricorrente e posti a disposizione 
del giudice del giudizio finale (18). 

Tali principi sono stati, d'altronde, affermati con molta chiarezza (e 
in sede di ratio decidendi e non di obiter dieta) cos� dalla Cassazione come 
dal Consiglio di Stato. Si vedano, in particolare, le decisioni dell'A.P. 

n. 17/84 e la sentenza delle SS.UU. 5063/1983 (19). 
In tale ultima sentenza le Sezioni Unite, respingendo un ricorso per 
regolamento preventivo di giurisdizione in cui si affermava lo straripa� 
mento di poteri di un giudice amministrativo, accusato di aver adottato 
provvedimenti ordinatori e sostitutivi in sede cautelare, affermavano l'in� 
fondatezza del ricorso non perch� il giudice amministrativo avesse quei 
poteri, ma perch� quei poteri in concreto non erano stati esercitati in 
quanto, sotto le mentite spoglie di atti negativi, la sostanza dell'attivit� 
amministrativa si atteggiava, in realt�, con contenuto positivo di fronte 
al quale il ricorrente difendeva un proprio interesse oppositivo. 

Concludendo sul punto, sembra quindi di poter dissentire cos� da 
quella dottrina che vede nell'evoluzione giurisprudenziale in tema di provvedimenti 
cautelari una rivoluzione, come da quella che in essa riconosce 
la presa di coscienza di una realt� giuridica sempre esistita. Vi � stata, 
invece, pi� semplicemente, una evoluzione della giurisprudenza ammini� 
strativa secondo quelle che sono le migliori tradizioni del giudice amministrativo 
italiano, che sa adeguare le proprie decisioilli al continuo dive� 

(16) L. MIGLIO~INI, L'istruzione nel processo amministrativo di legittimit�, 
Cedam, Padova, 1977, 14, nota (18). 

(17) G. CHIOVENDA, nota a Cass. Roma 7 marzo 1921, in � Giur. Civ. e Comm. �, 
1921, 362 ss. 
(18) M. E. SCHINAIA, op. cit., 595; F. ZEVIANI PALLOTTA, Considerazioni sui 
possibili contenuti e limiti di operativit� delle pronuncie cautelari del giudice 
'amministrativo nel processo di primo grado, in � Cons. Stato �, 1980, 2, 949 ss. 
(19) Cass. SS.UU. sent. 22 luglio 1983, n. 5063, in Cons. Stato 1983, II, 1490 ss.; 
Cons. Stato A. P., dee. 5 settembre 1984, n. 17, in Foro it., 1985, III, 51 ss. 
I 
I 


I 

I 


PARTll 11, QUESTIONI 9J 

nire della realt�, con fantasia insieme e con pragmatismo, ma anche, comunque, 
con il ['igore giuridico che esige il rispetto della legge, al di l� 
del quale esistono soltanto pericolose fughe in avanti. 

Crediamo, d'altronde, che attribuire al giudice amministrativo com� 
petenze �di merito� (nel senso di sostitutive e ordinatorie) in sede cautelare 
significherebbe gravare la giustizia amministrativa del peso di 
una ulteriore funzione di supplenza, con conseguente esasperazione di 
quell'eccesso di domanda di cui si parlava all'inizio dei presenti appunti. 

4. -I disegni di legge da prendere in considerazione sono due: lii.o 
� quello approvato dalla Prima Commissione permanente della Camera 
dei Deputati, che ha unificato il disegno governativo di legge-delega 
n. 1353 e la proposta di legge 'ad iniziativa dell'on. Labriola ed altri 
n. 1803, l'altro � quello appena elaborato (o addirittura in corso di elaborazione) 
ad opera della Commissione presieduta dal Presidente Laschena 
e che, come pu� desumersi dalla relazione che lo a:ocompagna e che � 
gi� nota, si muove esattamente, in parte qua, sulle stesse linee del disegno 
governativo. 
Il nucleo 'centrale della proposta innovazione � l'introduzione di una 
� clausola generale di cautela � con concessione al giudice amministrativo, 
sulla falsariga dell'articolo 700 c.p.c., del potere di prendere tutte le 
misure utili a garantire l'effettivit� della decisione. La norma si accompagna 
alla previsione di una necessaria istanza di fissazione di udienza, 
ad una sua irretrattabilit� ed alla previsione che, quando la misura cautelare 
Stia concessa, la decisione del merito debba intervenire nei successivi 
sei mesi. La ~evisione � indubbiamente congruente con il tipo di 
processo previsto, che .non � pi� un giudizio sull'atto, ma un giudizio 
�sulla pretesa� (20). 

La fonte di ispirazione della nuova normativa cautelare � pacificamente 
e dichiaratamente il processo frances�, il che non pu� sorprendere, 
perch� il sistema di giustizia amministrativo italiano � largamente tributario 
della tradizione transalpina. 

Sembra, per�, da un lato, che la legislazione francese sia molto meno 

avanzata di quanto non . si ritenga quando ad essa si fa riferimento e, 

dall'altro, che il giudice amministrativo francese, nell'applicarla, adotti 

un metro di giudizio tutt'altro che concessivo. Sorge, allora, legittimo il 

dubbio se la normativa francese, applicata come lo � stata sinora in 

F.rancia, non rischi di dare un risultato meno avanzato di quello ottenuto 

fin qui in Italia, dove una normativa antiquata, limitata ed asfittica riceve 

una .interpretazione giurisprudenziale assai aperta e non di rado creativa. 

Nel sistema francese, infatti, i tipi di giudizio cautelare sono: il 
� sursis � execution �, che equivale alla nostra sospensiva, il � r�f�r� 

(20) R; LASCHENA, Profili innovatori della disciplina del processo amministrativo, 
in Diritto processuale amministrativo, I', 1986, 35. 

94 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA. DELLO STATO 

administratif �, che � la clausola generale di cautela e il � constat d'urgem::
e �. 

Il � sursds � execution � appare coprire un'area assai pi� ridotta rispetto 
a quella occupata dalla nostra sospensiva: in primo luogo, infatti, il 
Tribunale amministrativo francese pu� adottare la misura solo a titolo 
eccezionale, in secondo luogo l'elemento pi� importante da valutare non 
� il grave e irrepa~abile pregiudizio ma il fumus boni iuris (21). Un fumus 
boni iuris che v.iene soppesato con particolare attenzione da una giurisprudenza 
estremamente rigorosa, che ha visto un Consiglio di Stato 
-severo giudice d'appello -contrastare in maniera decisa ogni tentativo 
di ampliamento accennato dai Tribunali Amministrativi (22). Una 
tale cautela del giudice amministrativo nell'uso di poteri sostitutivi e ordinatori 
deve far riflettere, soprattutto quando si tratti di un giudice amministrativo 
quale quello francese che � sempre stato tutt'altro che timido 
nei confronti dell'Esecutivo (23). 

Il � r�f�r� administratif � ha, per definizione, portata assai pi� ristretta 
dell'analogo strumento previsto in sede civile. Le decisioni amministrative 
adottate, dice la legge, non possono in alcun modo pregiudicare 
l'esecuzione di alcuna decisione amministrativa (24). In ogni caso 
il procedimento non � ammissibile in materia di ordine pubblico e la 
prassi giurisprudenziale lo riduce quasi esclusivamente ad un processo 
di istruzione preventiva (24). 

Quanto al � constat d'urgence �, esso appare essere niente pi� che un 
accesso giudiziale per accertamenti istruttori di urgenza. 

Le ultime considerazioni ora svolte pare forniscano un argomento 
di meditazione in tema di � check and balance � tira giudiziario e legislativo. 
Probabilmente � fisiologico che, come acc�de in Italia, il giudice 
sia concessivo quando la legge � in ritardo sui tempi e altrettanto fisiologico 
� quanto accade in Francia dove, di fronte a normative evolute, il 
giudice si arrocca su posizioni pi� conservatrici. Probabilmente se i progetti 
attualmente all'esame del Parlamento diventeranno leggi dello 
Stato, il giudice amministrativo italiano, che finora ha dovuto forzare a1le 
esigenze nuove le dimensioni anguste di una legge antica, potr� adottare 
un opposto atteggiamento in presenza di una normativa cos� radicalmente 
innovatrice. Ma questa, come direbbe Kipling, � un'altra storia. 

I. F. CARAMAZZA -M. G. MANGIA 
(21) Decreto 63.766 del 30 luglio 1964. 
(22) J. RIVERO, Droit administratif, Dalloz, Parigi 1969, 204. 
(23) Cons. Stato francese 19 ottobre 1962, Canal Robin et Gaudot (A.), 1962, 
612 CHR DE LABAUDERE G. A. n. 105. 
(24) Legge 28 novembre 1955; Cons. Stato francese 12 maggio 1965, Soci�t� 
de Belly A.J. 1966, 126. 
(25) M. NIGRO, Trasformazioni dell'Amministrazione e tutela giurisdizionale 
differenziata, in La riforma del processo amministrativo, Giuffr�, Milano, 1980, 
211-212. 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


� 


QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, art. 9 (conv. in legge 6 luglio 1939, n. 1272) ed altre 
norme, nella parte in cui prevedono il conseguimento della pensione di vecchiaia 
e, quindi, il licenziamento della donna lavoratrice per detto motivo, al 
compimento del cinquantacinquesimo anno di et� anzich� al compimento del 
sessantesimo anno come per l'uomo. 
Sentenza 18 giugno 1986, n. 137, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 98, secondo comma, nella parte in cui non 
prevede nei confronti del creditore opponente la comunicazione, almeno quindici 
giorni prima dell'udienza di comparizione, del decreto ivi indicato, comunicazione 
dalla quale decorre il termine per la notificazione di esso al curatore. 
Sentenza 30 aprile 1986, n. 120, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 100, secondo comma, nella parte in cui non 
prevede nei confronti del creditore impugnante la comunicazione, almeno quindici 
giorni prima dell'udienza di comparizione, del decreto ivi indicato, comunicazione 
dalla quale decorre il termine per la notificazione di esso al curatore 
e ai creditori i cui crediti sono impugnati. 
Sentenza 30 aprile 1986, n. 120, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 

d.I.C.p.S. 16 luglio 1947, n. 708, art. 15 ed altre norme, nella parte in cui 
prevedono il conseguimento della pensione di vecchiaia e, quindi, il licenziamento 
della donna lavoratrice per detto motivo, al compimento del cinquantacinquesimo 
anno di et� anzich� al compimento del sessantesimo anno come 
per l'uomo. 
Sentenza 18 giugno 1986, n. 137, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. 

legge 4 dicembre 1956, n. 1450, art. 16 ed altre norme, nella parte in cui 
prevedono il conseguimento della pensione di vecchiaia e, quindi, il licenziamento 
della donna lavoratrice per detto motivo, al compimento del cinquantacinquesimo 
anno di et�, anzich� al compimento del sessantesimo anno come 
per l'uomo. 

Sentenza 18 giugno 1986, n. 137, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, quinto comma, nella parte in cui non 
consente che, ai fini dell'esercizio dell'azione da parte dell'infortunato, l'accertamento 
del fatto di reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel 
caso in cui, non essendo stata promossa l'azione penale nei confronti del datore 
di lavoro o di un suo dipendente, vi sia provvedimento di archiviazione. 
Sentenza 30 aprile 1986, n. 118, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 



96 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, quinto comma, nella parte in cui non 
consente che, ai .fini dell'esercizio dell'azione da parte dell'infortunato, l'accertamento 
del fatto di reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel 
caso in cui il procedimento penale, nei confronti del datore di lavoro o di un 
suo dipendente, si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria. 
Sentenza 30 aprile 1986, n. 118, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, primo comma, nella parte in cui non 
prevede che il termine triennale di prescrizione dell'azione per conseguire le 
prestazioni assicurative sia interrotto a far tempo dalla data del deposito del 
ricorso introduttivo della controversia, effettuato nella cancelleria dell'adito 
pretore, e seguito dalla notificazione del ricorso e del decreto pretorile di 
fissazione dell'udienza di discussione. 
Sentenza 23 maggio 1986, n. 129, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 

legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 11 ed altre norme, nella parte in cui prevedono 
il conseguimento della pensione di vecchiaia e, quindi, il licenziamento 
della donna lavoratrice per detto motivo, al compimento del cinquantacinque


simo anno di et~ anzich� al compimento del sessantesimo anno 
l'uomo. 

Sentenza 18 giugno 1986, n. 137, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. 

legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 12, limitatamente alle parole 
posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge '" 

Sentenza 30 aprile 1986, n. 117, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

come per 

I 

� deceduta 

' 

I

I

codice penale, artt. 163, 166 e 167 (artt. 3, 79 e 104 della Costituzione). 
Sentenza 9 giugno 1986, n. 131, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

~ 

codice penale, art. 697 (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). 

I

Sentenza 9 giugno 1986, n. 132, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 98, terzo comma (art. 24 della Costituzione). 
Sentenza 30 aprile 1986, n. 120, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 
legge 10 maggio 1964, n. 336, artt. 1 e 6 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 9 giugno 1986, n. 134, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 


d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art.. 112, primo comma (art. 38, secondo 
comma della Costituzione). 
Sentenza 23 maggio 1986, n. 129, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 



PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione,. 
Sentenza 9 giugno 1986, n. 132, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

legge 12 febbraio 1968, n. 132, art. 66 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 9 giugno 1986, n. 134, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 


d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, art. 60 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 9 giugno 1986, n. 134, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 
legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, secondo comma, n. 11 (art. 76 della 
Costituzione). 

Sentenza 23 maggio 1986, n. 128, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, quarto comma [nel testo modificato 
dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 30 aprile 1986, n. 116, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74-bis, secondo comma (artt. 76 e 87 della 
Costituzione). 
Sentenza 30 aprile 1986, n. 115, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47 (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 23 maggio 1986, n. 128, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 47 e 55 (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 23 maggio 1986, n. 128, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 92 e 95 (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 23 maggio 1986, n. 128, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 
legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). 
Sentenza 9 giugno 1986, n. 132, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). 


Sentenza 9 giugno 1986, n. 132, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 11 (artt. 3, 79 e 104 della Costituzione). 
Sentenza 9 giugno 1986, n. 131, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 53 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 9 giugno 1986, n. 134, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.l. 2 luglio 1982, n: 402, art. 5 [conv. in legge 3 settembre 1982, n. 627] (art. 3 
della Costituzione). 
Sentenza 9 giugno 1986, n. 134, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

codice civile, art. 156, sesto comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Catania, ordinanza 23 dicembre 1985, n. 174/86, G. U. 28 maggio 
1986, n. 24. 

codice civile, art. 600 (artt. 2, 3, 4, 24, 30, 32 e 38 della Costituzione). 

Corte d'appello di Palermo, ordinanza 22 novembre 1985, n. 116/86, G. U. 
28 maggio 1986, n. 24. 

codice civile, art. 1224 (artt. 3, 24, 36, 38, 97 e 113 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 marzo 1985, 

n. 340/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. 
codice civile, art. 1901, secondo e terzo comma (art. 41 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 10 giugno 1985, n. 872, G. U. 23 maggio 1986, 

n. 23. 
codice civile, art. 2195 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Macerata, ordinanze (due) 18 giugno 
1985, n. 880 e 24 settembre 1985, n. 881, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. 

codice di procedura civile, art. 38, terzo comma (artt. 24 e 25 della Costituzione). 


Pretore di Legnano, ordinanza 28 dicembre 1984, n. 99/86, G. U. 11 giugno 
1986, n. 27. 
Pretore di Legnano, ordinanza 28 dicembre 1984, n. 100/86, G. U. 25 giugno 
1986, n. 30. 

codice di procedura civile, art. 75, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Palma Montechiaro, ordinanza 11 novembre 1985, n. 108/86, G. V. 
28 maggio 1986, n. 24. 

codice di procedura civile, art. 150 disposizioni di attuazione (artt. 3, 24, 
36, 38, 97 e 113 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 marzo 1985, 

n. 340/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. 
1

1 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 99 

codice di procedura civile, art. 395, nn. 1 e 2 (artt. 3 e 24 della Costitu� 
zione). 

Pretore di Milano, ordinanza 7 maggio 1985, n. 168/86, G. U. 28 maggio 1986, 

n. 24. 
codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 3, 24, 36, 38, 97 e 113 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 marzo 1985, 

n. 340/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. 
codice di procedura civile, art. 444, primo comma (artt. 3, 24 e 25 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 23 ottobre 1985, n. 907, G. U. 21 maggio 1986, 

n. 22. 
codice penale, art. 81, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Velletri, ordinanza 5 settembre 1985, n. 908, G. U. 21 maggio 1986, 

n. 22. 
codice penale, art. 519, cpv., n. 1 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Caltagirone, ordinanza 30 ottobre 1985, n. 38/86, G. U. 4 giugno 
1986, n. 25. 

codice penale, art. 589 (artt. 3, 29 e 30 della Costituzione). 

Tribunale di Frosinone, ordinanze (due) 7 marzo 1985, nn. 160 e 161/86, G. U. 
25 giugno 1986, n. 30. 

codice penale, art. 597, secondo e terzo comma (artt. 3 e 24 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Sampierdarena, ordinanza 19 dicembre 1985, n. 172/86, G. U. 28 
maggio 1986, n. 24. 

codice penale, art. 628, primo e terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Trento, ordinanza 15 novembre 1985, n. 2/86, G. U. 14 maggio 
1986, n. 21. 

codice penale, art. 724 (artt. 7, 3 e 8 della Costituzione). 

Pretore di Trento, ordinanza 26 novembre, 1985, n. 41/86, G. U. 21 maggio 
1986, n. 22. 

codice di procedura penale, art. 31, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Urbino, ordinanza 26 ottobre 1985, n. 865, G. U. 23 maggio 1986, 

n. 23. 
codice di procedura penale, art. 128, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Tribunale di Lanusei, ordinanze (otto) 29 marzo 1985, nn. 178-185/86, G. U. 
25 giugno 1986, n. 30. 



:1.00 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

codi<:(! di procedura penale, artt. 224-bis, secondo comma, e 238; secondo 
comma (artt. 3 e 25 della Costituzione). 

Tribunale di Trieste, ordinanza 3 ottobre 1985, n. 110/86, G. U. 11 giugno 
1986, n. 27. 

codice di procedura penale, art. 263, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 3 maggio 1985, n. 815, G. U. 7 maggio 1986, 

n. 
20. 
Corte di cassazione, ordinanza 26 giugno 1985, n. 855, G. U. 23 maggio 
1986, 
n. 23. 
Tribunale di Roma, ordinanza 22 luglio 1983, n. 187/86, G. U. 6 giugno 1986, 

n. 26. 
codice di procedura penale, art. 263-bis, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 27 giugno 1983, n. 13/86, G. U. 21 maggio 
1986, n. 22. 

codice di procedura penale, art. 343-bis, ultimo comma (artt. 25 e 111 della 
Costituzione). 

Pretore di Bergamo, ordinanza 22 ottobre 1985, n. 66/86, G. U. 28 maggio 
1986, n. 24. 

codice di procedura penale, art. 389, terzo comma (art. 25 della Costituzione). 


Giudice istruttore presso. Tribunale di Roma, ordinanza 26 febbraio 1986, 

n. 219, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 
codice di procedura penale, art. 665, secondo comma (art. 24 della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanza 22 luglio 1985, n. 209/86, G. U. 28 maggio 
1986, n. 24. 

codice penale militare di pace, art. 180, secondo comma (artt. 2, 3, 21 e 
52 della Costituzione). 

Tribunale militare di Bari, ordinanza 31 ottobre 1985, n. 98/86, G. U. 21 maggio 
1986, n. 22. 

codice penale militare di pace, artt. 223 e 260 (art. 3 della Costituzione). 

Corte militare d'appello, sezione distaccata in Verona, ordinanza 29 novembre 
1985, n. 151/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. 

r.d. 4 maggio 1925, n. 653, art. 10 (artt. 3 e 34 della Costituzione). 
Pretore di Castiglione del. Lago, ordinanza 27 dicembre 1985, n. 134/86, 

G. U. 21 maggio 1986, n. 22. 
....................... ............................... 
. 



PARTE II, l!ASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Lanusei, ordinanze (otto) 29 marzo 1985, n. 178-185/86, G. U. 
25 giugno 1986, n. 30. 

r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 247 (artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 7 giugno 
1985, n. 162/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. 

r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 247 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 12 luglio 
1985, n. 201/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

d.l. 28 febbraio 1939, n. 334, art. 23, primo comma [conv. in legge 2 giugno 
1939, n. 739] (art. 53 della Costituzione). 
Tribunale di Brescia, ordinanze (tre) 29 maggio 1985, nn. 851, 856 e 857, G. U. 
23 maggio 1986, n. 23. 

legge 1 giugno 1939, n. 1089, art. 66, primo e secondo comma (artt. 3, 24 
e 27 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 25 maggio 1985, n. 129/86, G. U. 28 maggio 1986, 

n. 24. 
legge 25 settembre 1940, n. 1424, art. 116, primo comma (artt. 3, 24 e 27 
della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 25 maggio 1985, n. 129/86, G. U. 28 maggio 
1986, n. 24. 

legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 9 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Catania, ordinanza 4 luglio 1985, n. 808, G. U. 14 maggio 1986, 

n. 21. 
legge 19 marzo 1955, n. 160, artt. 9, 10 e 15 (artt. 3, 32 e 38 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanze (due) 11 aplile 
1985, nn. 806 e 807, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 

d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (artt. 3, 24 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 3 aprile 
1985, n. 885, G. U. 23 maggio 1986, n; 23. 

d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85, lett. a), parte seconda (artt. 3 e 97 
della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 24 gennaio 
1985, n. 69/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. 


102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art, 112, secondo comma, prima parte (art. 24 
I

della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 31 maggio 
1984, n. 1/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis (art. 3 della Costituzione). 
I

Pretore di Empoli, ordinanza 29 ottobre 1985, n. 906, G. U. 21 maggio 1986, 

n. 22. 
legge 18 aprile 1962, n. 167, art. 9 (artt. 3, 42 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 22 novembre 
1984, n. 190/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 

legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Sorrento, ordinanza 30 settembre 1985, n. 37/86, G. U. 21 maggio 
1986, n. 22. 

I

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

I 
~ 

Pretore di Messina, ordinanza 19 luglio 1985, n. 171/86, G. U. 6 giugno 1986, ~ 

n. 26. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della 
Costituzione). ~ 

Ifil

Pretore di Ancona, ordinanza 14 novembre 1985, n. 6/86, G. U. 14 maggio 
1986, n. 21. 
Pretore di L'Aquila, ordinanza 20 maggio 1985, n. 203/86, G. U. 18 giugno 
1986, n. 28. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 38 
della Costituzione). 

I 

Pretore di Bologna, ordinanza 21 agosto 1985, n. 812, G. U. 7 maggio 1986, 

n. 20. 
I 

Pretore di Siracusa, ordinanza 29 novembre 1985, n. 36/86, G. U. 28 maggio 
1986, n. 24. 
Pretore di Trani, ordinanza 2 aprile 1985, n. 144/86, G. U. 25 giugno 1986, 

I

n. 30. 
Corte di cassazione, ordinanza 12 luglio 1985, n. 

n. 30. 
legge 22 dicembre 1962, n. 1646, art. 6, secondo 
tuzione). 

Corte dei conti, ordinanza 14 gennaio 1985, n. 

n.21. 
legge 22 dicembre 1962, n. 1646, art. 6, terzo 
Costituzione). � 

154/86, G. U. 25 giugno 1986, 
comma (art. 3 della Costi21/
86, G. U. 14 maggio 1986, I 

~ 

I 

comma (artt. 3 e 29 della 

I

Corte dei conti, ordinanza 19 aprile 1985, n. 20/86, G. U. 21 maggio 1986, 

n. 22. f 
f 
f 

I! 
f 

Ii 


PARTE Il, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 10J 

legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Mantova, ordinanza 7 novembre 1985, n. 11/86, G. U. 14 maggio 
1986, n. 21. 

legge 10 maggio 1964, n. 336, artt. 1 e 6 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 24 ottobre 
1985, n. 152/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. ' 
Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, ordinanza 4 dicembre 
1985, n. 194/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

legge 10 maggio 1964, n. 336, art. 6 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 7 giugno 
1985, n. 813, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, primo e quarto comma (artt. 3 e 38 
della Costituzione). 
Pretore di Cagliari, ordinanza 17 dicembre 1985, n. 123/86, G. U. 11 giugno 
1986, n. 27. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 1 e 4 (artt. 3, 35 e 36 della Costituzione). 
Tribunale di Modena, ordinanza 20 novembre 1985, n. 61/86, G. V. 4 giugno 
1986, n. 25. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 211 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Bari, ordinanza 1 agosto 1985, n. 818, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 

legge 21 luglio 1965, n. 903, art. 22 (artt. 3. e 38 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 21 agosto 1985, n. 812, G. U. 7 maggio 1986, 

n. 20. 
Corte di cassazione, ordinanza 12 luglio 1985, n. 154/86, G. U. 25 giugno 
1986, n. 30. 

legge 12 febbraio 1968, n. 132, art. 66 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 24 ottobre 
1985, n. 152/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. 
Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, ordinanza 4 dicembre 
1985, n. 194/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3 (artt. 3 e 37 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanza 19 aprile 1985, n. 24/86, G. U. 21 maggio 1986, 

n. 22. 
legge 12 marzo 1968, n. 334, art. 8, primo comma (artt. 3, 41, 42 e 44 della 
Costituzione). 

Pretore di Galatina, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 836, G. U. 7 maggio 1986, 
Il. 20. 
Pretore di Galatina, ordinanza 21 settembre 1985, n. 835, G. U. 14 maggio 
1986, n. 21. 



104 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 2 aprile 1968, n. 475, art. 17 (art. 3 della Costituzione). -~ 

�:� 

Tribunale di Bergamo, ordinanza 7 novembre 1985, n. 214/86, G. U. 18 giugno 
1986, n. 28. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma (artt. 36 e 53 della 
Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 5 luglio 1985, n. 140/86, G. U. 6 giugno 1986, 

n. 26. 
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanza 21 agosto 1985, n. 812, G. U. 7 maggio 1986, 

n. 20. 
Corte di cassazione, ordinanza 12 luglio 1985, n. 154/86, G. U. 25 giugno 1986, 

n. 30. 
legge 30 marzo 1971, n. 118, art. 28 [di conversione del dJ. 30 gennaio 1971, 

n. S] (artt. 3, 30, 31 e 34 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 novembre 1984, 

n. 197/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 
d.l. 5 luglio 1971, n. 429, art. 1 [conv. in legge 4 agosto 1971, n. 589] (art. 81 
della Costituzione). 
Pretore di Catania, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 890, G. U. 23 maggio 1986, 

n. 23. 
legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 3 e 81 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanza 27 giugno 1985, n. 891, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (art. 81 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 21 maggio 1985, n. 817, G. U. 7 maggio 1986, 

n. 20. 
legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 81 e 119 della Costituzione). 

Pretore di Lucca, ordinanze (due) 15 giugno 1985, nn. 781 e 782, G. U. 7 mag� 
gio 1986, n. 20. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 11, primo e ultimo comma (artt. 3, 42 e 97 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 22 novembre 
1984, n. 190/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Palermo, ordinanza 20 feb� 
braio 1978, n. 102/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. 



PARTB II, RASSEGNA DI L'EGISLAZIONB 101 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 15 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Napoli, ordinanze (due) 9 maggio 
1980, nn. 124 e 125/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23 (art. 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Verona, ordinanza 11 novembre 
1985, n. 63/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 28 (artt. 3, 24, 53 e 113 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Pavia, ordinanza 24 novembre 1985, 

n. 130/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1, 183 e 195 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 25 febbraio 1985, n. 27/86, G. U. 21 maggio 
1986, n. 22. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 195 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Carinola, ordinanza 23 ottobre 1985, n. 47/86, G. U. 4 giugno 1986, 

n. 25. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, primo comma e 195, primo comma, 
n. 2 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Mistretta, ordinanza 17 aprile 1985, n. 76/86, G. U. 6 giugno 
1986, n. 26. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Regalbuto, ordinanza 29 settembre 1985, n. 101/86, G. U. 6 giugno 
1986, n. 26. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (artt. 3 e 25 della Costi� 
tuzione). 
Pretore di Avola, ordinanze (tre) 22 novembre 1985, nn. 105-107/86, G. U. 
6 giugno 1986, n. 26. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 (art. 3 
della Costituzione). 
Pretore di Mirabella Belano, ordinanza 21 dicembre 1985, n. 173/86, G. U. 
6 giugno 1986, n. 26. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 (artt. 3 e 21 della Costituzione). 
Tribunale di Prato, ordinanza 24 settembre 1985, n. 5/86, G. U. 14 maggio 
1986, n. 21. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195, primo comma, n. 2 (art. 76 della 
Costituzione). 
Pretore di Poppi, ordinanza 5 novembre 1985, n. 34/86, G. U. 21 maggio 
1986, n. 22. 

10 



II

106 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 4, 5, 10 e 15 (artt. 3, 29, 30 e 31 della 
Costituzione). 

~: 

Commissione tributaria di secondo grado di Alessandria, ordinanza 1 giugno 
1985, n. 109/86, G. V. 28 maggio 1986, n. 24. 

t 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. i) (artt. 3 e 32 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 14 marzo 
1985, n. 816, G. V. 7 maggio 1986, n. 20. 

I

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, Iett. e), 14 e 46 (artt. 3, 53 e 76 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Perugia, ordinanze (due) 21 marzo 
1985, nn. 198 e 199/86, G. V. 18 giugno 1986, n. 28. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 28 e 51 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Macerata, ordinanze (due) 18 giugno 
1985, n. 880 e 24 settembre n. 881, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 49 e 51 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 23 ottobre 
1985, n. 72/86, G. V. 4 giugno 1986, n. 25. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 51 (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 3 ottobre 1983, 

n. 834/85, G. V. 7 maggio 1986, n. 20. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 76, secondo e terzo comma (artt. 3, 53 
e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Treviso, ordinanza 15 maggio 
1985, n. 165/86, G. V. 18 giugno 1986, n. 28. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3 e 35 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 13 dicembre 
1984, n. 901/85, G. V. 23 maggio 1986, n. 23. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 3 ottobre 1983, 

n. 834/85, G. V. 7 maggio 1986, n. 20. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Macerata, ordinanze (due) 18 giugno 
1985, n. 880 e 24 settembre n. 881, G. V. 23 maggio 1986, n. 23. 
Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 23 ottobre 
1985, n. 72/86, G. V. 4 giugno 1986, n. 25. 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 9, ultimo comma, seconda parte, e 
47, primo comma (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria: di primo grado di Torino, ordinanza 14 gennaio 
1985, n. 155/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis (artt. 24 e 113 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Pescara, ordinanza 8 giugno 
1985, n. 7/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 

dP.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (art. 3 della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Cosenza, ordinanza 25 giugno 
1985, n. 135/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Bergamo, ordinanza 20 maggio 
1985, n. 12/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 54 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 
Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 29 ottobre 1985, n. 892, G. U. 23 maggio 
1986, n. 23. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 14, primo comma, lett. h) (ari:. 3 della 
Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 7 giugno 1985, n. 167/86, G. U. 28 maggio 1986, 

n. 24. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 38 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 3 aprile 1985, 

n. 56/86, 
G. U. 4 giugno 1986, n. 25. 
Tribunale amministrativo regionale del La:zio, ordinanza 28 novembre 1984, 
n. 57/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, terzo comma (a:rt. 3 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 14 gennaio 1985, n. 21/86, G. U. 14 maggio 1986, 

n.21. 
d.I. 8 aprile 1974, n. 95, art. 17, settimo comma [convertito in legge 7 giugno 
1974, n. 216] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanze (trenta) 28 maggio 1985, nn. 220-:249/86, G. U. 
28 maggio 1986, n. 24. 

d.I. 2 maggio 1974, n. 110, art. 1 (artt. 3, 42 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ord.ianza 22 novembre 
1984, n. 190/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge reg. Emilia-Romagna 24 marzo 1975, il. 18, art. 8 (art. 128 della Costi� 
tuzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna 7 febbraio 1985, 

n. 867, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. 
legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, secondo capoverso (art. 3 della Costi� 
tuzione). 

Tribunale di Spoleto, ordinanza 21 novembre 1985, n. 200/86, G. U. 18 giugno 
1986, n. 28. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Chiavenna, ordinanza 25 giugno 1985, n. 814, G. U. 7 maggio 1986, 

n. 20. 
Pretore di Latisana, ordinanza 10 dicembre 1985, n. 62/86, G. U. 28 maggio 
1986, n. 24. 
Pretore di Tirano, ordinanza 16 novembre 1985, n. 71/86, G. U. 4 giugno 1986, 

n. 25. 
legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 (artt. 3 e 13 della Costituzione). 

Tribunale di Como, ordinanza 18 ottobre 1985, n. 864, G. U. 23 maggio 
1986, n. 23. 

legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9 (artt. 3 e 36 della �costituzione). 

Tribunale di Brescia, ordinanza 24 ottobre 1985, n. 175/86, G. U. 25 giugno 
1986, n. 30. 

legge reg. Friuli-Venezia Giulia 15 marzo 1976, n. 2, art. 1 (art. 4 statuto 
reg. Friuli-Venezia Giulia). 

Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 18 
luglio 1985, n. 17/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. 

legge 2 maggio 1976, n. 183, art. 22, ultimo comma (art. 81 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Catania, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 890, G. U. 23 maggio 1986, 

n. 23. 
d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, art. 5 [convertito in legge 26 febbraio 1977, n. 39] 
(artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Genova, ordinanza 22 gennaio 1986, n. 192, G. U. 28 maggio 

1986, n. 24. 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 19 (artt. 3, 42 e 97 della 
Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, 
novembre 1984, n. 190/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 

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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
109 

d.l. 10 febbraio 1977, n. 19, art. 8, ultimo comma [convertito in legge 6 aprile 
1977, n. 106] (art. 42 della Costituzione). 
Corte d'appello di Roma, ordinanza 21 maggio 1985, n. 42/86, G. U. 21 maggio 
1986, n. 22. 

d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 22, 23 e 25 (artt. 76. 110, 117 e 118 della 
Costituzione). 
Tribunale di Salerno, ordinanza 29 luglio 1985, n. 19/86, G. U. 21 maggio 
1986, n. 22. 

legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 4, secondo comma (artt. 3, 4 e 37 della 
Costituzione). 

Corte di Cassazione, ordinanza 2 aprile 1985, n. 153/86, G. U. 25 giugno 
1986, n. 30. 

d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 59 (art. 81 della Costituzione). 
Pretore di Catania, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 890, G. U. 23 maggio 1986, 

n. 23. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69 [sostituito dall'art. 1, comma 9-bis, legge 
5 aprile 1985, n. 118] (art. 42 della Costituzione). 

Pretore di Genova, ordinanza 15 ottobre 1985, n. 883, G. U. 2 maggio 1986, 

n. 
18. 
Tribunale di Monza, ordinanza 8 ottobre 1985, n. 894, G. U. 2 maggio 1986, 
n. 
18. 
Pretore di Sestri Ponente, ordinanza 13 novembre 1985, n. 31/86, G. U. 
2 maggio 1986, n. 18. 
Pretore di Sestri Ponente, ordinanza 24 gennaio 1986, n. 202, G. U. 14 mag� 
gio 1986, n. 21. 
Tribunale di Genova, ordinanza 29 giugno 1985, n. 279/86, G. U. 20 giugno 
1986, n. 29. 

legge 5 agosto 1978, n. 457, art. 51 (artt. 3, 42 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 22 no� 
vembre 1984, n. 190/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 

legge prov. di Bolzano 21 agosto 1978, n. 46, art. 30, terzo comma (art. 24 
della Costituzione). 

Pretore di Bolzano, ordinanza 18 dicembre 1985, n. 186/86, G. U. 18 giugno 
1986, n. 28. 

legge reg. Sardegna 23 ottobre 1978, n. 62, art. 22 (artt. 3, 4 e 5 dello statuto 
reg. sardo in relaz. all'art. 128 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, ordinanza 24 aprile 1985, 

n. 148/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 
11 



1.10 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 57 e 63 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanza 24 gennaio 1986, n. 291, G. U. 20 giugno 1986, 

n. 29. 
Pretore di Pisa, ordinanza 17 dicembre 1985, n. 292/86, G. U. 20 giugno 1986, 

n. 29. 
legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 57 e 63 (artt. 3, 23, 53, 76 e 77 della 
Costituzione). 

Pretore di Lamezia Terme, ordinanza 5 dicembre 1985, n. 103/86, G. U. 
6 giugno 1986, n. 26. 

legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 57 e 63 (artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 
Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, 

n. 22. 
legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 57, secondo comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 

Pretore di Pistoia, ordinanza 4 febbraio 1986, n. 257, G. U. 20 giugno 1986, 

n. 29. 
legge reg. Lazio 28 novembre 1979, n. 79, art. 4 (art. 119 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanze (tre) 22 novembre 1985, nn. 216-218/86, G. U. 
18 giugno 1986, n. 28. 

d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 57 (artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 17 
luglio 1985, n. 274/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. 

legge 24 dicembre 1979, n. 650, artt. 6 e 17 u.p. (artt. 25 �e 77 della Costituzione). 


Pretore di Saluzzo, ordinanza 4 giugno 1985, n. 22/86, G. U. 21 maggio 1986, 

n. 22. 
d.I. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3 [conv. nella legge 29 febbraio 1980, n. 33] 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanze (quattro) 21 ottobre 1985, nn. 868-871, G. U. 
23 maggio 1986, n. 23. 

Pretore di Bologna, ordinanza 26 novembre 1985, n. 67/86, G. U. 11 giugno 
1986, n. 27. 

d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3 [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33] 
(artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 
Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. 



PARTE Il. RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 111 

dJ. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3, lett. b) [conv. in legge 29 febbraio 1980, 

n. 33] (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Tortona, ordinanza 31 ottobre 1985, n. 903, G. U. 23 maggio 
1986, n. 23. 

dl. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3, primo comma, lett. h) [conv. in legge 
29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 9 aprile 1985, n. 48/86, G. U. 4 giugno 1986, 

n. 25. 
legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 12 marzo 1985, n. 790, G. U. 7 maggio 1986, 

n. 20. 
Pretore di Vigevano, ordinanza 21 dicembre 1985, n. 170/86, G. U. 6 giugno 
1986, n. 26. 
Pretore di Brescia, ordinanza 29 maggio 1985, n. 65/86, G. U. 11 giugno 
1986, n. 27. 

legge 2 aprile 1980, n. 127, art. 3, sesto e settimo comma (art. 38 della Costituzione). 


Pretore di Lecce, ordinanza 26 ottobre 1985, n. 82/86, G. U. 21 maggio 1986, 

n. 22. 
legge reg. Lombardia 7 giugno 1980, n. 93, art. 3 (artt. 3, 44 e 117 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 5 luglio 
1985, n. 164/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 3 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Terni, ordinanza 18 giugno 1985, n. 789, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 
Pretore di Roma, ordinanza 25 settembre 1985, n. 854, G. U. 23 maggio 
1986, n. 23. 
Pretore di Roma, ordinanza 27 dicembre 1985, n. 196/86, G. U. 18 giugno 
1986, n. 28. 

legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 3 (art. 38 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 5 giugno 1985, n. 210/86, G. U. 18 giugno 1986, 

n. 28. 
d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538 (artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 
Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. 

d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, art. 1 (artt. 3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione). 
Pretore di Lamezia Terme, ordinanza 5 dicembre 1985, n. 103/86, G. U. 6 giugno 
1986, n. 26. 



112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Messina, ordinanza 16 ottobre 1985, n. 115/86, G. U. 6 giugno 
1986, n. 26. 
Pretore di Vigevano, ordinanza 21 dicembre 1985, n. 170/86, G. U. 6 giugno 
1986, n. 26. 

d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, art. 1 (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 9 aprile 1985, n. 48/86, G. U. 4 giugno 1986, 

n. 25. 
d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, artt. 1 e 2 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Tortona, ordinanza 31 ottobre 1985, n. 903, G. U. 23 maggio 
1986, n. 23. 

d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, artt. 1 e 2 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Brescia, ordinanza 12 marzo 1985, n. 790, G. U. 7 maggio 1986, 

n. 20. 
Pretore di Brescia, ordinanza 29 maggio 1985, n. 65/86, G. U. 11 giugno 
1986, n. 27. 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 51, secondo comma (artt. 3, 76 e 97 della 
Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 29 maggio 1985, 

n. 131/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 
legge 29 luglio 1980, n. 576, art. 7, quarto comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). 


Pretore di Siracusa, ordinanza 18 ottobre 1985, n. 849, G. U. 23 maggio 1986, 

n. 23. 
legge prov. cli Bolzano 24 novembre 1980, n. 34, art. 2 (artt. 3 e 42 della 
Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quarta, ordinanza 26.. giugno 1984, n. 771/85, G. U. 
7 maggio 1986, n. 20. 

legge prov. cli Bolzano 24 novembre 1980, n. 34, art. 74 (artt. 4 e 8 dello 
statuto del Trentino). 

Consiglio di Stato, sezione quarta, ordinanza 26 giugno 1984, n. 771/85, G. U. 
7 maggio 1986, n. 20. 

d.I. 28 febbraio 1981, n. 36, art. 1, terzo comma [convertito in legge 29 aprile 
1981, n. 163,] (art. 81 della Costituzione). 
Pretore di Catania, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 890, G. U. 23 maggio 1986, 

n. 23. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE tH 

legge 23 aprile 1981, n. 155, art. 19 (artt. 3, 35, 38 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Vigevano, ordinanza 2 dicembre 1985, n. 46/86, G. U. 4 giugno 
1986, n. 25. 

legge 23 aprile 1981, n. 155, art. 19 (artt. 36 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 5 luglio 1985, n. 140/86, G. U. 6 giugno, 1986, 

n. 26. 

d.I. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 12 marzo 1985, n. 790, G. U. 7 maggio 1986, 

n. 20. 
Pretore di Roma, ordinanza 30 aprile 1985, n. 840, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 
Pretore di Bologna, ordinanze (quattro) 21 ottobre 1985, nn. 868-871, G. U. 
23 maggio 1986, n. 23. 
Pretore di Messina, ordin�nza 16 ottobre 1985, n. 115/86, G.U. 6 giugno 
1986, n. 26. 
Pretore di Vigevano, ordinanza 21 dicembre 1985, n. 170/86, G. U. 6 giugno 
1986, n. 26. 
Pretore di Brescia, ordinanza 29 maggio 1985, n. 65/86, G.U. 11 giugno 
1986, n. 27. 
Pretore di Bologna, ordinanza 26 novembre 1985, n. 67/86, G. U. 11 giugno 
1986, n. 27. 
Pretore di Pistoia, ordinanze (tre) 4 febbraio 1986, nn. 256-258, G. U. 20 giugno 
1986, n. 29. 

dJ. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] 
(artt. 3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione). 

Pretore di Lamezia Terme, ordinanza 5 dicembre 1985, n. 103/86, G. U. 
6 giugno 1986, n. 26. 

d.I. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] 
(artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 
Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, 

n. 22. 

d.I. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] 
(artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 9 aprile 1985, n. 48/86, G. U. 4 giugno 1986, 

n. 25. 

d.l. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12, settimo comma [conv. in legge 26 settem� 
bre 1981, n. 537] (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Tortona, ordinanza 31 ottobre 1985, n. 903, G. U. 23 maggio 
1986, n. 23. 


114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 9 (art. 3 della Costituzione). 

Giudice istruttore tribunale di Agrigento, ordinanza 5 ottobre 1985, n. 882, 

G. U. 23 maggio 1986, n. 23. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 21, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Cerignola, ordinanza 4 dicembre 1985, n. 147/86, G. U. 6 giugno 
1986, n. 26. 
Pretore di Oristano, ordinanza 14 gennaio 1985, n. 169/86, G. U. 6 giugno 
1986, n. 26. 
Pretore di Oristano, ordinanza 19 novembre 1985, n. 73/86, G. U. 6 giugno 
1986, n. 26. 
Pretore di Aversa, ordinanza 13 gennaio 1986, n. 215, G. U. 18 giugno 1986, 

n. 28. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 22, terzo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Pretore di Monza, ordinanze (due) 30 ottobre 1985, nn. 145 e 146/86, G. U. 
28 maggio 1986, n. 24. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 62, primo comma (art. 25 della Costituzione). 
Pretore di Menaggio, ordinanza 18 novembre 1985, n. 16/86, G. U. 21 mag� 
gio 1986, n. 22. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 22 maggio 1984, n. 15/86, G. U. 14 maggio 
1986, n. 21. 
Pretore di Pordenone, ordinanze (due) 5 luglio 1985, nn. 138 e 139/86, G. U. 
6 giugno 1986, n. 26. 
Pretore di Asolo, ordinanza 8 marzo 1985, n. 166/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. 
Pretore di Pergine Valsugana, ordinanze (due) 16 novembre 1985, nn. 112 e 
113/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. 
Pretore di Arezzo, ordinanza 5 dicembre 1985, n. 114/86, G. U. 6 giugno 1986, 

n. 26. 
Tribunale di Pisa, ordinanza 4 dicembre 1985, n. 126/86, G. U. 6 giugno 
1986, n. 26. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 101 della Costituzione). 

Tribunale di Pisa, ordinanza 11 ottobre 1985, n. 889, G. U. 23 maggio 1986, 

n. 23. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 91 (art. 3 della Costituzione). 

Corte militare d'appello, sezione distaccata in Verona, ordinanza 29 novembre 
1985, n. 151/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. 


PARTE II, RASSEGNA. DI LEGISLAZIONE 
1.1..f 

dJ. 26 novembre 1981, n. 679, art. 1, secondo comma [convertito in legge 
26 gennaio 1982, n. 13] (art. 81 della Costituzione). 

Pretore di Catania, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 890, G. U. 23 maggio 1986, 

n. 23. 
d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 14, quinto comma, lett. b) [conv. in legge 25 mar� 
zo 1982, n. 94] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 15 aprile 1985, n. 75/86, G. U. 11 giugno 1986, 

n. Xl. 
legge reg. Lombardia 8 febbraio 1982, n. 12, art. 26, primo comma (artt. 97 
e 130 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 6 novem� 
bre 1985, n. 163/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

legge 26 aprile 1982, n. 181, �art. 14 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanza 24 gennaio 1986, n. 291, G. U. 20 giugno 1986, 

n. 29. 
Pretore di Pisa, ordinanza 17 dicembre 1985, n. 292/86, G. U. 20 giugno 1986, 
n. 29. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione). 

Pretore di Lamezia Terme, ordinanza 5 dicembre 1985, n. 103/86, G. U. 
6 giugno 1986, n. 26. 

legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 
Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, 

n. 22. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 12 marzo 1985, n. 790, G. U. 7 maggio 1986, 

n. 20. 
Pretore di Roma, ordinanza 30 aprile 1985, n. 840, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 
Pretore di Bologna, ordinanze (quattro) 21 ottobre 1985, nn. 868-871, G. U. 
23 
maggio 1986, n. 23. 
Pretore di Messina, ordinanza 16 ottobre 1985, n. 115/86, G. U. 6 giugno 1986, 

n. 26. 
Pretore di Vigevano, ordinanza 21 dicembre 1985, n. 170/86, G. U. 6 giugno 
1986, 
n. 26. 
Pretore di Brescia, ordinanza 29 maggio 1985, n. 65/86, G. U. 11 giugno 1986, 

n. 27. 
Pretore di Pistoia, ordinanze (due) 4 febbraio 1986, nn. 256 e 258, G. U. 
20 giugno 1986, n. 29. 



11.6 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, quarto comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Tortona, ordinanza 31 ottobre 1985, n. 903, G. U. 23 maggio 1986, 

n. 23. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, quarto comma (artt. 3, 53 e 97 della 
Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 9 aprile 1985, n. 48/86, G. U. 4 giugno 1986, 

n. 25. 
legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, comma 13 (artt. 3, 35, 38 e 53 della 
Costituzione). 

Pretore di . Vigevano, ordinanza 2 dicembre 1985, n. 46/86, G. U. 4 giugno 
1986, n. 25. 

cl.I. 2 luglio 1982, n. 402, art. 5 [nel testo modif. dalla legge di conversione 
3 settembre 1982, n. 627] (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 7 giugno 
1985, n. 813, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. � 
Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 24 gennaio 1985, 

n. 
803, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 
Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 24 gennaio 1985, 
n. 
861, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. 
Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 24 ottobre 1985, 
n. 
152/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. 
Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, ordinanza 4 dicembre 1985, 
n. 194/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 
legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 16 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Latina, ordinanza 10 ottobre 
1985, n. 70/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. 

legge 7 agosto 1982, n. 516, artt. 16 e 19 (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Isernia, ordinanza 11 dicembre 
1985, n. 211/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 30..bis [conv. in legge 26 aprile 1983, n. 131] 
(art. 81 della Costituzione). 
Pretore di Pistoia, ordinanza 22 ottobre 1985, n. 60/86, G. U. 4 giugno 1986, 

n. 25. 
legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-bis (artt. 3 e 81 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanza 27 giugno 1985, n. 891, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. 

legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-bis (art. 81 della Costituzione). 

Pretore di Genova, ordinanza 11 ottobre 1985, n. 18/86, G. U. 21 maggio 
1986, n. 22. 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-bis (artt. 81 e 119 della Costituzione). 

Pretore di Lucca, ordinanze (due) 15 giugno 1985, nn. 781 e 782, G. U. 
7 maggio 1986, n. 20. 

legge 4 maggio 1983, n. 184, artt. 45, primo e secondo comma, 56, secondo 
comma e 57 (artt. 2, 3 e 30 della Costituzione). 

Corte d'appello di Torino, ordinanza 22 ottobre 1985, n. 4/86, G. U. 14 maggio 
1986, n. 21. 

d.m. 21 luglio 1983, art. 3 (art. 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanza 9 maggio 1985, 

n. 886, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. 
d.m. 21 luglio 1983, artt. 3 e 4, primo comma (art. 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanza 4 aprile 1985, 

n. 887, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. 
legge 12 settembre 1983, n. 463, artt. 4 e 14 [conv. in legge 11 novembre 1983, 

n. 638] (artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 
Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, 

n. 22. 
d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 4, quarto comma [conv. in legge 11 novembre 
1983, n. 638] (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 9 aprile 1985, n. 48/86, G. U. 4 giugno 1986, 

n. 25. 
d.l. 12 settembre 1983, n. 463, artt. 4, quarto comma, e 14, primo e secondo 
comma [convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Pistoia, ordinanze (due) 4 febbraio 1986, nn. 256 e 257, G. U. 
20 giugno 1986, n. 29. 

d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 14 [conv. nella legge 11 novembre 1983, 
n. 638] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanze (quattro) 21 ottobre 1985, nn. 868-871, G. U. 
23 maggio 1986, n. 23. 

d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 24 [convertito in legge 11 novembre 1983, 
n. 638] (artt. 21, 25, 101, 102 e 104 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 11 ottobre 1984, n. 158/86, G. U. 18 giugno 1986, 

n. 28. 

118 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 3 e 53 della CostituzioneJ. 

Pretore di Brescia, ordinanza 12 marzo 1985, n. 790, G. U. 7 maggio 1986, 

n. 
20. 
Pretore di Brescia, ordinanza 29 maggio 1985, n. 65/86, G. U. 11 giugno 1986, 
n. 27. 
legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 53 e 101 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanza 24 gennaio 1986, n. 291, G. U. 20 giugno 1986, 

n. 29. 
Pretore di Pisa, ordinanza 17 dicembre 1985, n. 292/86, G. U. 20 giugno 1986, 
n. 29. 
legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 

Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, 

n. 22. 
legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanza 27 settembre 1985, n. 23/86, G. U. 21 maggio 
1986, n. 22. 
Pretore di Napoli, ordinanza 26 settembre 1985, n. 32/86, G. U. 21 maggio 
1986, n. 22. 
Pretore di Messina, ordinanza 16 ottobre 1985, n. 115/86, G.U. 6 giugno 
1986, n. 26. 
Pretore di Napoli, ordinanza 13 dicembre 1985, n. 156/86, G. U. 6 giugno 1986, 

n. 26. 
Pretore di Vigevano, ordinanza 21 dicembre 1985, n. 170/86, G. U. 6 giugno 
1986, n. 26. 
Pretore di Pistoia, ordinanze (tre) 4 febbraio 1986, nn. 256-258, G. U. 20 giugno 
1986, n. 29. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 9 aprile 1985, n. 48/86, G. U. 4 giugno 1986, 

n. 25. 
legge 9 maggio 1984, n. 118, articolo unico (artt. 101 e 104 della Costituzione). 

Pretore dell'Aquila, ordinanze (cinque) 17 maggio 1985, nn. 204-208/86, G. U. 
18 giugno 1986, n. 28. 
Pretore di Oristano, ordinanza 17 gennaio 1986, n. 133, G. U. 25 giugno 1986, 

n. 30. 
legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 3 (art. 38 della Costituzione). 

Pretore di Pavia, ordinanza 25 ottobre 1985, n. 905, G. L'.� 21 maggio 1986, 

n. 22. 

PARTE Il, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB 

legge 6 agosto 1984, n. 425, artt. 1, primo e secondo comma, 2 e 10, secondo 
comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Tribunale ammfnistrativo regionale della Liguria, ordinanza 29 novembre 
1984, n. 805/85, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 
Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, ordinanze (due) 12 marzo 
1985, nn. 119 e 120/86, G. V. 11 giugno 1986, n. TI. 

legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 10, primo comma (artt. 24, 25, 101, 102, 103, 
113, 134 136 e 137 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 27 novembre 
1985, n. 195/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 

legge 6 agosto 1984 n. 425, art. 10, primo comma (artt. 24 e 113 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 29 novembre 
1984, n. 805/85, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 
Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, ordinanze (due) 12 mar-. 
zo 1985, nn. 119 e 120/86, G. U. 11 giugno 1986, n. TI. 

legge 31 luglio 1984, n. 400, art. 1 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Gravina di Puglia, ordinanza 30 novembre 1985, n. 28/86, G. U. 
21 maggio 1986, n. 22. 

legge reg. Sicilia 21 agosto 1984, n. 55, art. 6 (art. 17, lett. f) dello statuto 
reg. Sicilia). 

Pretore di Vittoria, ordinanze (due) 9 maggio e 16 luglio 1985, nn. 58 e 59/86, 

G. U. 28 maggio 1986, n. 24. 
legge reg. Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, artt. 35 e 47 (artt. 3, 51. 81 
e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 9 maggio 
1985, n. 33/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. 

legge 22 dicembre 1984, n. 887, art. 10 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Pistoia, ordinanze (tre) 4 febbraio 1986, nn. 256-258, G. U. 20 giugno 
1986, n. 29. 

d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis [come inserito dalla legge 
5 aprile 1985, n. 118] (artt. 3, 24, 41, 42, 101 e 102 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 20 settembre 1985, n. 80/86, G. U. 2 maggio 
1986, n. 18. 

d.I. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis [convertito in legge S aprile 
1985, n. 118] (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanze (due) 26 giugno 1985, nn. 850 e 876, G. U. 
2 maggio 1986, n. 18. 


120 

RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DEI.LO STATO 

Pretore di Milano, ordinanze (due) 27 giugno 1985, nn. 863 e 878, G. U. 
2 maggio 1986, n. 18, 
Pretore di Milano, ordinanze (due) 30 settembre 1985, nn. 895 e 896, G. U. 
2 maggio 1986, n. 18. � 

Pretore di Milano, ordinanza 18 ottobre 1985, n. 29/86, G. U. 2 maggio 1986, 

n. 
18. 
Pretore di Bari, ordinanza 24 ottobre 1985, n. 30/86, G. U. 2 maggio 1986, 
n. 18. 
Pretore di Milano, ordinanza 23 dicembre 1985, n. 261/86, G. U. 20 giugno 
1986, n. 29. 

d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis [convertito in legge 5 aprile 
1985, n. 118] (art. 42 della Costituzione). 
Corte d'appello di Bologna, ordinanza 4 ottobre 1985, n. 14/86, G. U. 2 maggio 
1986, n. 18. 
Tribunale di Monza, ordinanze (due) 8 ottobre e 19 settembre 1985, nn. 25 e 
26/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. 
Tribunale di Catania, ordinanza 4 luglio 1985, n. 44/86, G. U. 2 maggio 1986, 

n. 
18. 
Tribunale di Monza, ordinanza 15 ottobre 1985, n. 74/86, G. U. 2 maggio 1986, 
n. 18. 
Corte di cassazione, ordinanza 11 ottobre 1985, n. 128/86, G. U. 5 maggio 
1986, n. 19. 

d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis, I alinea [come introdotto 
dall'art. 1 legge 5 aprile 1985, n. 118] (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 27 giugno 1985, n. 81/86, G. U. 2 ma;ggio 1986, 

n. 18. 
d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis/1 [convertito in legge 5 aprile 
1985, n. 118] (art. 22 della Costituzione). 
Pretore di Potenza, ordinanza 13 gennaio 1986, n. 177, G. U. 5 maggio 1986, 

n. 19. 
d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis/1 [convertito in legge 5 aprile 
1985, n. 118] (art. 42 della Costituzione). 
Pretore di Potenza, ordinanze (due) 16 novembre e 20 maggio 1985, nn. 117 e 
118/86, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. 

d.I. 7 febbraio 0 1985, n. 12, art. 1, commi 9-bis, ter e quater [convertito in 
legge 5 aprile 1985, n. 118] (art. 42 della Costituzione). 
Pretore di Firenze,� ordinanze (tre) 28 ottobre 1985, nn. 49-51/86, G. U. 
2 maggio 1986, n. 18. 

d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, commi 9-bis e quater [conv. in legge 
5 aprile 1985, n. 118] (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 22 maggio 1985, n. 272/86, G. U. 20 giugno 
1986, n. 29. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE. 
121 

d.I. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, commi 9-bis, quater e quinquies [convertito 
in legge 5 aprile 1985, n. 118] (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Tribunale di Napoli, ordinanza 30 ottobre 1985, n. 111/86, G. U. 5 maggio 
1986, n. 19. 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 34, 35, 38 e 44 (art. 3 della' Costituzione). 

Tribunale di Lucera, ordinanza 26 novembre 1985, n. 10/86, G.U. 21 maggio 
1986, n. 22. 

Tribunale di Lucera, ordinanza 14 novembre 1085, n. 899, G. U. 23 maggio 
1986, I).. 23. 

Tribunale di Lucera, ordinanza 31 ottobre 1985, n. 866, G. U. 23 maggio 1986, 

n. 23. 
Tribunale di Lucera, ordinanza 16 gennaio 1986, n. 176, G. U. 25 giugno 
1986, 
n. 30. 
Tribunale di Lucera, ordinanza 23 gennaio 1986, n. 132, G. U. 25 giugno 1986, 

n. 30. 
legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 38, quinto comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Roma, ordinanza 14 ottobre 1985, n. 888, G. U. 23 maggio 1986, 

n. 23. 
legge 27 marzo 1985, n. 103, art. 6 (artt. 101 e 104 della Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 2 dicembre 1985, n. 64/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. 

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis (artt. 3, 41 e 42 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanze (due) 9 dicembre 1985, nn. 282 e 283/86, G. U. 
20 giugno 1986, n. 29. 

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis (artt. 3 e 42 della Costituzione). 


Tribunale di Verbania, ordinanza 26 settembre 1985, n. 879, G. U. 2 maggio 
1986, n. 18. 

Pretore di Rimini, ordinanza 5 novembre 1985, n. 54/86, G. U. 2 maggio 1986, 

n. 
18. 
Pretore di Piacenza, ordinanza 6 novembre 1985, n. 68/86, G. U. 2 maggio 
1986, 
n. 18. 
Pretore di Roma, ordinanza 15 ottobre 1985, n. 862, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. 
Pretore di Lecce, ordinanza 4 novembre 1985, n. 873, G. U. 2 maggio 1986, 

n. 
18. 
Tribunale di Roma, ordinanza 18 giugno 1985, n. 83/86, G. U. 5 maggio 1986, 
n. 
19. 
Pretore di Roma, ordinanza 15 ottobre 1985, n. 143/86, G. U. 5 maggio 1986, 
n. 
19. 
Pretore di Foggia, ordinanza 15 gennaio 1986, n. 191, G. U. 5 maggio 1986, 
n. 19. 

122 
RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis (artt. 41 e 42 della Costi


Ituzione). 

Tribunale di Siena, ordinanza 4 marzo 1986, n. 293, G. U. 20 giugno 1986, 

n. 29. 
I

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis (art. 42 della Costituzione). ~ 

Pretore di Milano, ordinanza 4 luglio 1985, n. 877, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. 

Pretore di Milano, ordinanza 4 luglio 1985, n. 122/86, G. U. 5 maggio 1986, 

n. 19. 
Tribunale di Ravenna, ordinanza 19 dicembre 1985, n. 213/86, G. U. 14 maggio 
1986, n. 21. 

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, ter e quater (artt. 3, 24, 42, 
101 e 113 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 20 luglio 1985, n. 188/86, G. U. 5 maggio 1986, 

n. 19. 
legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, ter, quater e quinquies (artt. 3, 
24, 41 e 42 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 24 ottobre 1985, n. 79/86, G. U. 2 maggio 1986, 

n. 18. 
legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, ter, quater e quinquies (artt. 3, 
24, 42, 101, 102 e 103 della Costituzione). 

Pretore di Monza, ordinanza 1 febbraio 1986, n. 264, G. U. 20 giugno 1986, 

n. 29. 
legge 5 aprile 1985 n. 118, art. 1, commi 9-bis, 9-ter e 9-quinquies (artt. 3 e 
42 della Costituzione). 

Pretore di Salerno, ordinanza 18 febbraio 1986, n. 273, G. U. 20 giugno 1986, 

n. 29. 
legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis e quater (artt. 3, 24, 42, 101 e 
102 della Costituzione). 

Pretore di Scicli, ordinanza 8 ottobre 1985, n. 104/86, G. U. 5 maggio 1986, 

n. 19. 
legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis e quater (artt. 3 e 42 della 
Costituzione). 

Pretore di Manfredonia, ordinanza 19 ottobre 1985, n. 3/86, G. U. 2 maggio 
1986, n. 18. 
Pretore di Ferrara, ordinanza 8 novembre 1985, n. 45/86, G. U. 2 maggio 1986, 

n. 
18. 
Pretore di Brescia, ordinanza 4 febbraio 1986, n. 212, G. U. 14 maggio 1986, 
n. 21. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bls, quater e qulnqules (artt. 3, 
24, 41 e 42 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 16 novembre 1985, n. 193/86, G. U. 14 maggio 
1986, n. 21. 

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, quater e qulnqules (artt. 3, 
24, 41, 42, 101, 102 e 103 della Costituzione). 

Tribunale di Vallo della Lucania, ordinanza 27 gennaio 1986, n. 159, G. U. 
5 maggio 1986, n. 19. 

Tribunale di Roma, ordinanza 16 novembre 1985, n. 189/86, G. U. 5 maggio 
1986, n. 19. 

legge 5 aprile 1985 n. 118, art. 1, commi 9-bis, quater e quinqules (artt. 3, 
41 e 42 della Costituzione). 

Tribunale di Napoli, ordinanza 8 novembre 1985, n. 121/86, G. U. 5 maggio 
1986, n. 19. 

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comm1 9-bis, quater e qulnqules (artt. 3 e 
42 della Costituzione). 

Tribunale di Catania, ordinanza 25 settembre 1985, n. 902, G. U. 2 maggio 
1986, n. 18. 

Tribunale di Catania, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 43/86, G. U. 2 maggio 1986, 

n. 18. 
legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis, I alinea (artt. 3 e 42 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 5 novembre 1985, n. 893, G. U. 2 maggio 1986, 

n. 
18. 
Pretore di Napoli, ordinanze (due) 18 settembre 1985, nn. 149 e 150/86, G. U. 
5 maggio 1986, n. 19. 
Pretore di Roma, ordinanza 2 luglio 1985, n. 793, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 
Tribunale di Como, ordinanza 3 dicembre 1985, n. 281/86, G. U. 20 giugno 

1986, n. 29. 

legge 5 aprile 1985, n. 118; art. 1, comma 9-bis, I alinea (art. 42 della 
Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanze (due) 31 ottobre e 12 novembre 1985, nn. 39 e 
40/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. 
Pretore di Finale Ligure, ordinanza 3 dicembre 1985, n. 53/86, G. U. 2 maggio 
1986, n. 18. 
Tribunale di Torino, ordinanze (due) 19 novembre 1985, n. 262/86 e 13 gennaio 
1986, n. 263, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. 

legge 5 -aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, primo alinea, e 9-quater 
(artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 31 gennaio 1986, n. 259, G. U. 20 giugno 1986, 
Il. 29. 



1.24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, I alinea, 4� cpv., e 9-quater 
(art. 42 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 15 ottobre 1985, n. 52/86, G. U. 2 maggio 1986, 

n. 18. 
legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-quater (artt. 24 e 104 della 
Costituzione). 

Pretore di Cassano d'Adda, ordinanza 29 novembre 1985, n. 77/86, G. U. 
2 maggio 1986, n. 18. 

legge 26 marzo 1986, n. 86 (art. 10 della Costituzione e artt. 89, 100 e 107 
dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). 

Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 7 maggio 1986, n. 16, G. U. 4 giugno 
1986, n. 25. 

disegno di legge approvato dall'assemblea regionale siciliana il 2 aprile 1986 
(art. 14, lett. f), dello statuto reg. Sicilia). 

Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 16 aprile 1986, n. 13, 

G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 
disegno di legge regione Sicilia approvato il 2 aprile 1986, artt. 16 e 17 
(art. 14,. lett. f) dello statuto reg. Sicilia). 

Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 16 aprile 1986, n. 14, 

G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 
disegno di legge reg. Sicilia approv. il 23 aprile 1986, art. 20 (art. 51 della 
Costituzione). 

Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 5 maggio 1986, 

n. 15, G. U. 4 giugno 1986, n. 25.