ANNO XXXVIII -N. 3 MAGGIO -GIUGNO 1986 RASSEGNA -DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATC> ROMA 1987 ABBONAMENTI ANNO 1987 ANNO �� ;: � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � L. 40.000 UN NUMERO SEPARATO.. � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � 7.500 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966_ (8219113) Roma, 1987 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/' avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . . . pag. 223 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura dell'avv. Oscar Fiumara) . . � 245 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . � 257 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura dell'avvocato Anna Cenerini) � 264 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. (a cara degli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Polizzi) � 278 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato Carlo Bafile) � 283 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) � 303 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) > 326 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO QUESTIONI pag 87 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE )) 95 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE Avvocati Glauco NoRr, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Carlo BAFILE, L'Aquila; Nicar sio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI I. F. CARAMAZZA e G. MANGIA, Le misure cautelari nel processo amministrativo . . . . . . . . . . . ............. . II, 87 P. DI TARSIA, La sottoscrizione dei motivi di impugnazione � a pena di inammissibilit�? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 326 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE -Acque pubbliche -Acque sotterranee -Facolt� del proprietario di estrarre acque per usi domestici - Estensibne, 322. -Acque pubbliche -Acque sotterranee -Facolt� del proprietario di estrarre acque per usi domestici Estensione, 323. -Acque pubbliche -Derivazione e concessione -Licenza di attingimento -Concorrenza tra richiedente e utente di fatto -Non sussiste, 322. -Acque pubbliche -Derivazione e concessione -Licenza di attingimento -Per la derivazione di acque sotterranee -Concedibilit� -Cautele prevedute dall'art. 56 T.U. 1775 del 1933 -Da osservare in quanto compatibili, 321. APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Danni da ritardato pagamento -Decorrenza -Non anteriore alla data del provvedimento che accorda la revisione, 303. -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Positivo esercizio della facolt� di accordarla -Pretesa ad una maggior somma -Diritto soggettivo -Ritardo nel riconoscerla �dovuta -Inadeguamento di obbligazione pecuniaria -Responsabilit� per danni -Configurabilit�, 303. CAMBIO E VALUTA -Importazioni -Previo deposito vincolato infruttifero -Potere della p.a. -Decreto ministeriale -Natura - Libera circolazione delle merci -Misure di effetto equivalente -Contributi finanziari per l'acquist� di veicoli di produzione nazionale, 245. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione -Competenze delegate -Non defendibilit� mediante il conflitto, 224. GIURISDIZIONE CIVILE -Sentenza amministrativa declinatoria della giurisdizione -Vincolativit� nel successivo processo instaurato innanzi al giudice ordinario -Esclusione, 257. IMPIEGO PUBBLICO -Messi in conciliazione -Raffronto con gli ufficiali giudiziari -Diversit� di situazione oggettiva, 234. ISTRUZIONE E SCUOLE. -Lavoratrice madre -Supplenza -Retribuzione mesi estivi -Computo periodo astensione obbligatoria per maternit�, 280. -Lavoratrice madre -Supplenza Trattamento economico -80% della retribuzione, 280. -Universit� -Professore associato Giudizio di idoneit� -Medici interni, 237. -Universit� -Scuole di specializzazione e perfezionamento -Stabilizzazione degli incaricati, 238. Impugnabilit� -Giurisdizione amministrativa, 257. COMUNITA EUROPEE -Libera circolazione dei lavoratori - Medici -Numero chiuso nelle facolt� di medicina, 251. LAVORO -Rapporto di lavoro -Scala mobile - Sistema anomalo di determinazione nel settore creditizio alla data del 1 febbraio 1977 -Obbligo di adeguamento al settore industriale -Fiscalizzazione dell'eccedenza -Obbli - INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA go di corrispondere le somme al fondo speciale presso il ministero del tesoro, 269. POSTE E TELECOMUNICAZIONI -Radio e televisione -Potere di assegnazione delle frequenze -Effetti sentenza costituzionale 202-76, 278. -Radio e televisione -Poteri di poli� zia -Canali riservati alla P.A. -Frequenze utilizzate dal Ministero del� la Difesa, 278. PRESCRIZIONE E DECADENZA --Prestazioni dovute agli infortunati sul lavoro ed agli affetti da malattie professionali -Interruzione della prescrizione, 243. PROCEDIMENTO PENALE -Omissione della firma � Forme equipollenti � Ammissibilit� -Motivi di appello redatti da avvocato dello Stato siglati a margine -Ammissibilit�, con nota di P. DI TARSIA, 326. REGIONI -Paesaggio e �rbanistica � Autonomia delle valutazioni paesaggistiche -Dovere di cooperazione tra Regioni e Stato, 223. RESPONSABILITA' CIVILE Danni � Valutazione e liquidazione � Svalutazione monetaria -Risarci- inento automatico -Inammissibilit� � Prova mediante presunzioni, 303. TRENTINO-ALTO ADIGE -Provincia di Bolzano � Paesaggio e grandi derivazioni a scopo idroelettrico � Bilanciamento di interessi -diversi, 223. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta sui redditi di ricchezza mo� bile -Condono -Riparto delle perdite � Compatibilit�, 295. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Plusvalenza -Avviamento di azienda conferita in societ� -Si ve rifica, 298. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Plusvalenza -Imprenditore commerciale � Gestione di unico af� fare -Compatibilit�, 300. -Redditi esenti � Consorzi e societ� cooperative costituite per la manipolazione trasformazione e alienazione dei prodotti agricoli conferi� ti dai soci -Attivit� effettiva esercitata � Definizione statutaria � E' insufficiente, 283. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro � Riforma della sentenza sottoposta a registrazione, 234. - Pene pecuniarie � Fallimento -.Infrazioni commesse anteriormente alla sentenza di fallimento -Provvedi� mento sanzionatorio successivo Ammissibilit� al passivo fallimentare -Sussiste, 264. TRIBUTI IN GENERE -Contenzioso tributario -Giudizio di Cassazione � Nullit� del giudizio di primo grado ex art. 24 secondo comma e 29 secondo comma d.P .R. 26 ottobre 1972 n. 636 � Cassazione con rinvio alla Commissione di primo grado, 299. -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado � Ipotesi di rinvio -Notificazione dell'accertamento -Nul� lit� � Rinvio per provocare la sana� toria -Esclusione, 291. -Contenzioso tributario � Provvedimento impugnabile � Avviso di liquidazione � Decadenza per mancata impugnazione, 288. -Contenzioso tributario -Rimborsi pagamento a seguito di iscrizione a ruolo non impugnato -Sopravvenu� to diritto 'al rimborso -Legge inter� pretativa � Esclusione, 293. TRIBUTI LOCALI -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Valore iniziale � Valore definito per condono � E' vincolante, 285. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 1 aprile 1985, n. 94 . . . . . 15 novembre 1985, n. 285 (cam. cons.} 21 dicembre 1985, n. 359 . . . . . . 14 gennaio 1986, n. 1 (cam. cons.} 14 aprile 1986, n. 89 . 23 maggio 1986, n. 129 18 giugno 1986, n. 138 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE Sez. plen., 5 giugno 1986, nella cau~a 103/84 . . . . . . . Sez. III, 12 giugno 1986, nelle cause riunite 98, 162 e 258/85 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 11 marzo 1986, n. 1640 Sez. I, 15 marzo 1986, n. 1771 Sez. I, 4 aprile 1986, n. 2336 Sez. Un., 5 aprile 1986, n. 2368 Sez. I, 3 maggio 1986, n. 3012 Sez. I, 7 maggio 1986, n. 3059 Sez. I, 15 maggio 1986, n. � 3193 Sez. I, 15 maggio 1986, n..3198 Sez. I, 20 maggio 1986, n. 3340 Sez. I, 31 maggio 1986, n. 3690 Sez. l, 20 giugno 1986, n. 4104 . Sez. I, 27 giugno 1986, n. 4264 . Sez. Un., 27 giugno 1986, n. 4275 TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE . 27 gennaio 198~, n. 6 3 aprile 198(n. 20 . . . . . � . . . . . . . . . . . . . � , ., pag. 223 ,. 234 ,. 223 ,. 234 ,. 237 ,. 243 ,. 238 pag. 245 ,. 251 pag. 283 ,. 285 ,. 288 ,. 303 ,. . 291 ,. 293 ,. 295 � 298 ,. 299 ,. . 300 ,. 264 .,. 269 ,. 257 p~g~ 3~1 ... ; 323 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 9 giugno 1986, n. 423 pag. 278 Sez. VI, 9 giugno 1986, n. 428 � 280 Sez. VI, 19 giugno 1986, n. 445 . � 280 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. IV, 26 giugno 1986, n. 1392 ..................... pag. 326 PARTE SECONDA Questioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 87 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE PARTE SECONDA Questioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 87 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE I. � Norme dichiarate incostituzionali pag. 95 II. � Questioni dichiarate non fondate ,. 96 III. -Questioni proposte . . . ,. 98 PARTE PRIMA ! ~~ GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I CORTE COSTITUZIONALE, 1 aprile 1985, n. 94 -Pres. Elia -Rel. Malagugini -ENEL (avv. Conte) e Provincia di Bolzano (avv. De Matteo). Trentino-Alto Adige -Provincia di Bolzano -Paesaggio e grandi derivazioni a scopo idroelettrico -Bilanciamento di interessi diversi. (Statuto Trentino Alto Adige, artt. 9, 11 e 12; legge prov. Bolzano 26 luglio 1970, n. 16. artt. 12 e 15l. Il perseguimento del fine della tutela del paesaggio (e del patrimonio storico e artistico nazionale) � imposto alla Repubblica, vale a dire allo Stato-ordinamento e perci�, nell'ambito delle rispettive competenze istituzionali, a tutti i soggetti che vi operano. Detta tutela presuppone normalmente la comparazione ed il bilanciamento di interessi diversi. Il rilascio di concessioni di grande derivazione � attribuzione esclusiva dello Stato, e la Provincia di Bolzano non pu� interferire nella materia adducendo la propria competenza in tema di tutela del paesaggio (lJ. II CORTE COSTITUZIONALE, 21 dicembre 1985, n. 359 -Pres. Paladin -Rel. Corasaniti -Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Abruzzo (avv. Predieri), Regione Lombardia (avv. Steccanella) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). Regioni -Paesaggio e urbanistica � Autonomia delle valutazioni paesaggi� stiche � Dovere di cooperazione tra Regioni e Stato. (1-2) Le sentenze manifestano una viva sensibilit� per la tematica del paesaggio e pi� in generale dell'ambiente, ed opportunamente mantengono su piani distinti la environmental impact analysis (comprensiva della landskape analysis) e la pianificazione urbanistica ancorch� � allargata�. Come noto, la letteratura anche giuridica sull'ambiente e ,sui valori paesaggistici � ormai divenuta vastissima, specie negli Stati Uniti (dopo il National Environmental Policy Act del 1969) ed in Francia (dopo la legge sulla protezione della natura n. 76/629). 224 RASSEGNA .DELL:AVVOCATURA DELLO STATO � Corte Costituzionale . Conflitto di attribuzione � Competenze delegate � Non defendibllit� mediante il conflitto. La tutela del paesaggio non � assorbita nella materia � urbanistica �; anche una nozione allargata di questa non esclude la configurabilit�, in ordine al territorio, di valutazioni e discipline diverse. L'art. 9 Cost. impegna Stato e. Regioni a concorrere alla tutela ed alla promozione dei valori paesaggistici. La pi� elementare e generale espressione della cooperazione sta nel dovere di mutua informazione; spetta allo Stato chie� dere alle Regioni informazioni finalizzate alla tutela del paesaggio (2). Le attribuzioni solo delegate alla Regione non sono, in linea di principio, def endibili col rimedio del conflitto di attribuzione, rimedio dato per la tutela di competenze proprie della Regione; tanto meno lo sono attribuzioni delegate in modo attenuato, per la conservazione allo Stato di poteri concorrenti. (2). I (omissis) Il Consiglio di Stato, sezione VI giurisdizionale, dubita della legittimit� costituzionale degli artt. 12 e 15 della legge della Pro� vincia autonoma di Bolzano 26 luglio 1970, n. 16, prospettandone il contrasto con gli artt. 9, 11 e 12 dello Statuto speciale della Regione Trenti� no-Alto Adige, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 5 e successive modificazioni ed integrazioni. Specificatamente, della succitata legge provinciale n. 16/1970, vengono in considerazione: -il primo comma dell'art. 12, nella parte in cui dispone che � ��� la realizzazione di grandi derivazioni di acque... che siano progettate nell'ambito o in vista ovvero in prossimit� di zone sottoposte a vincolo paesistico... devono essere autorizzate dal presidente della giunta provinciale, su proposta dell'assessore competente, sentito il parere della sezione tutela del paesaggio�; -l'ultimo comma del medesimo art. 12, ai sensi del quale � le disposizioni del presente articolo non si applicano alle opere destinate alla difesa nazionale, di cui all'art. 822, primo comma, del codice civile� (donde si deduce l'applicabilit� delle disposizioni medesime alle grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico, come � confermato dal successivo art. 15, primo comma); -l'intero testo dell'art. 15, che fissa !!ambito di efficacia delle norme e misure a tutela del paesaggio . (primo comma); stabilisce, per le grandi opere di interesse nazionale, l'obbligo dell'assessore provinciale competente di esaminare, in concorso con Je amministrazioni interessate, che ne facciano (per�) richiesta �soluzioni che contemperino gli interessi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE del paesaggio con quelli rappresentati dalle amministrazioni stesse � (secondo comma); demanda, in caso di accordo, al presidente della giunta provinciale di autorizzare, con proprio decreto, sentita la sezione tutela del paesaggio, le grandi opere in discorso, � modificando, se occorre, il precedente vincolo� (terzo comma). (omissis) All'esame, nel merito, delle questioni sollevate dal Consiglio di Stato giova premettere alcune considerazioni di carattere generale. Il paesaggio, unitamente al patrimonio storico ed artistico della Nazione, costituisce un valore cui la Costituzione ha conferito straordinario rilievo, collocando la norma che fa carico alla Repubblica di tutelarlo tra i principii fondamentali dell'ordinamento (art. 9, secondo comma, Costituzione). Senza che qui occorra svolgere una compiuta esegesi del citato disposto costituzionale, basta rilevare come, in forza di esso, il persegui� mento del fine della tutela del paesaggio (e del patrimonio storico ed artistico nazionale) sia imposto alla Repubblica, vale a dire allo statoordinamento e perci�, nell'ambito delle rispettive competenze istituzionali, a tutti i soggetti che vi operano. Ed � di piana evidenza che cos� debba essere, volta che, in via generale, la tutela del paesaggio non pu� venire realisticamente concepita in termini statici, di assoluta immodificabi1it� dei valori. paesaggistici registrati in un momento dato, ma deve, invece, attuarsi dinamicamente e cio� tenendo conto delle esigenze poste dallo sviluppo socio-economico del paese per quanto la soddisfazione di esse pu� incidere sul territorio e sull'ambiente. Si vuol dire con ci� che, fermo il riparto delle competenze disposto da norme costituzionali e sulla base di esso, la tutela del paesaggio presuppone, normalmente, la comparazione ed il bilanciamento di interessi diversi, in particolare degli interessi pubblici rappresentati da una pluralit� di soggetti, la cui intesa � perci� necessario perseguire di volta in volta, se comune a tutti � il fine costituzionalmente imposto, appunto, della tutela del paesaggio. Lo statuto speciale di autonomia della Regione Trentino-Alto Adige, di cui alla legge costituzionale n. 5 del 1948 e su�cessive modificazioni e integrazioni -nell'ambito del quale vanno individuati i parametri cui pu� farsi riferimento nel presente giudizio -ripartendo le competenze tra lo Stato, la Regione e le Province, mantiene al primo il potere di assentire le concessioni di grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico, come si evince implicitamente ma inequivocabilmente dall'art. 9 della citata legge costituzionale n. 5 del 1948. Alla Regione (e successivamente, ex art. 10 della legge costituzionale n. 1 del 1971, alla Provincia) � attrJbuita soltanto la facolt� di intervenire nel !'elativo procedimento, mentre il Presidente della Giunta regionale o un suo delegato (e quindi ex art. 10 della citata legge costituzionale n. 1 del 1971 il presidente RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 226 della giunta provinciale territorialmente competente o un suo delegato) � invitato a partecipare, con voto consultivo,� alle riunioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici nelle quali sono esaminati i provvedimenti attinenti alla concessione in esame. Il disposto statutario non consente margini di dubbio per quanto concerne l'attribuzione allo Stato del potere esclusivo di rilasciare la concessione per le grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico, che vengono cos� sottratte anche alla competenza regionale, in tema di utilizzazione delle acque pubbliche, di cui all'art. 5 n. 5 dello statuto originario. Sul punto, con riferimento al medesimo parametro statutario, questa Corte ha gi� avuto occasione di pronunciarsi con la sentenza n. 20 del 1961, precisando, sulla scorta di una diffusa argomentazione, che � nel territorio del Trentino-Alto Adige, in base allo statuto regionale ed alle relative norme di attuazione, sono riservate ai poteri dello Stato le sole concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, mentre sono di competenza della Regione tutte le concessioni di piccole derivazioni e inoltre le concessioni di grandi derivazioni per utilizzazione diversa da quella idroelettrica�. Ora, poich�, in base alla vigente disciplina, la concessione di grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico riguarda tutte le opere la cui realizzazione � necessaria per il .conseguimento, appunto, dello scopo per il quale la concessione stessa viene assentita, non pu� dubitarsi che il riparto di competenze operato a livello statutario precluda qualsiasi intervento, normativo od esecutivo, della provincia che comporti menomazione o vanificazione del potere attribuito, in via esclusiva allo Stato. N� pu� addursi in contrario che la legge impugnata � stata emanata dalla provincia di Bolzano nell'esercizio della propria incontestabile competenza primaria in tema di tutela del paesaggio. Vale, al proposito, quanto questa Corte ebbe ad osservare, nella sentenza n. 46 del 1962, per cui �se fosse lecito� -in mancanza di apposite norme legislative statali -�far rientrare nelle competenze� (regionali e/o provinciali) � relative alle singole materie, tutte le altre ad esse connesse sulla base della loro attinenza a queste ultime, verrebbe meno la possibilit� di tracciare una linea precisa di demarcazione con le competenze statali �. La questione proposta dal Consiglio di Stato deve, quindi, dichiararsi fondata, una volta accertato che i disposti (artt. 12 e 15) della legge n. 16 del 1970 della provincia di Bolzano contrastano, per la parte concernente le grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico, con l'art. 9 dello statuto speciale di autonomia, approvato con la legge costituzionale n. 5 del 1948, restando assorbito ogni ulteriore motivo di censura. Vero � che, per quanto attiene alla tutela del paesaggio, pi� che mai stringente � la necessit� di predisporre strumenti normativi idonei PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE a realizzare un corretto bilanciamento degli interessi in gioco. Nella fattispecie esaminata, la nettezza del disposto statutario -che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva per le grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico -esclude che la provincia possa autonomamente intervenire e interferire nella materia. Vero �, ancora, che il medesimo art. 9 dello statuto originario conferiva alla Regione -ed ora alla provincia -determinate facolt� di intervento e di partecipazione, a titolo consultivo, nel procedimento amministrativo per il rilascio (o il diniego) della concessione, nel quale poteva, quindi, far valere, perch� venissero presi nella debita considerazione, gli interessi da essa rappresentati, ivi compreso, ovviamente, quello alla tutela del paesaggio. E rispetto a quest'ultimo neppure l'amministrazione dello Stato poteva -e pu� -assumere una posizione di indifferenza, quasi che la competenza primaria attribuita alla provincia valesse a scioglierla dell'obbligo di osservare il principio fondamentale posto dall'art. 9, secondo comma, Cost. Resta da osservare, conclusivamente, che la normativa sopravvenuta, se ribadisce -e in termini espliciti -la competenza esclusiva dello Stato per le grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico (art. 12 n. 9 dello statuto, nel . testo sostituito dall'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 1971; artt. 5, primo comma e 11 lettera f) del d.P.R. n. 381 del 1974), prevede, per�, ulteriori momenti di consultazione e di intesa con la provincia (artt. 9, ultimo comma, e 10 penultimo comma dello statuto nel testo sostituito rispettivamente dagli artt. 10 e 11 della legge costituzionale n. 1 del 1971; artt. 6, 9 e 11 d.P.R. n. 381 del 1974; art. 9 d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235). In questo quadro particolare rilievo sembra assumere il � piano generale per la utilizzazione delle acque pubbliche da parte dello Stato e della provincia nell'ambito delle rispettive competenze�, in quanto strumento destinato a registrare � l'intesa tra i rappresentanti dello Stato e della provincia, in seno ad un apposito comitato� (art. 17 ter, terzo comma dello statuto, introdotto con l'art. 16 della legge costituzionale n. 1 del 1971, ora art. 14 del testo unificato approvato con d.P.R. n. 670 del 1972; art. 8 d.P.R. 22 marzo 1974 n. 381). La presente decisione, quindi, si inserisce in un tessuto normativo che prevede una pluralit� di strumenti di coordinamento dell'attivit� dello Stato, della Regione e della provincia anche in tema di grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico e mentre attua il rispetto dei precetti statutari non intende, con ci�, sitabilire una gerarchia dei valori di rilievo costituzionale che vengono a confronto, dei quali spetta ai soggetti. pubblici cui ne � affidata la rappresentanza realizzare la composiizione. 128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO p.q.m. dichiara la illegittimit� costituzionale degli artt. 12 e 15 della legge 25 luglio 1970, n. 16 della provincia di Bolzano nelle parti in cui non escludono l'applicabilit� delle disposizioni in esse contenute alla realiz� zazione delle grandi derivazioni di acque a scopo idroelettrico. I II (omissis) � opportuno raggruppare i ricorsi avendo riguardo al contenuto degli atti statali con essi denunciati. Secondo l'indicato criterio una prima serie di atti pu� individuarsi nelle circolari rispettivamente della Presidenza del Consiglio in data 20 aprile 1982, cui si riferisce il ricorso n. 9/82 della Regione Emilia-Romagna, e del Ministero dei beni culturali e ambientali in data 30 marzo 1984, cui si riferiscono i ricorsi della stessa Regione Emilia-Romagna n. 21/84, della Regione Umbria n. 20/84 e della Regione Lombardia n. 22/84. Una seconda serie di atti pu� individuarsi nelle note del Ministero dei beni culturali e ambientali alla Regione Abruzzo, cui si riferiscono i ricorsi nn. 30/84, 31/84, 33/84, 34/84. Entrambe le serie di atti sono intese all'acquisizione di informa� zioni attinenti al tema, e preordinate al fine, della protezione del paesaggio. La circolare della Presidenza del Consiglio 20 aprile 1982, infatti, � rivolta in primo luogo alle amministrazioni. statali, e quindi alle Regioni e ad altre autorit� pubbliche, per sollecitare la trasmissione al Ministero dei beni culturali e ambientali dei progetti di tutte le opere pubbliche destinate ad essere realizzate su aree o zone protette ai sensi della legge n. 1089 del 1939 (sui beni d'interesse storico) e della legge n. 1497 del 1939 (sulle bellezze naturali): ci� (come si desume dal tenore della circolare e da quello della nota esplicativa 24 giugno 1982) al fine della eventuale prevenzione, per mezzo di provvedimenti inibitori, di lesioni irreversibili del patrimonio culturale e ambientale. Ed analogamente dispone la circolare del Ministero dei beni culturali e ambientali 30 marzo 1984, diretta a varie autorit� statali e regionali, la quale richiama la circolare della Presidenza del Consiglio suindicata, aggiungendo precisazioni circa le modalit� di trasmissione delle notizie. Le note del Ministero dei beni culturali alla Regione Abruzzo sono dirette a sollecitare la trasmissione di notizie circa date localit�, ai fini dell'eventuale esercj.zio del potere di integrazione degli elenchi delle behl.ezze naturali previsto dall'art. 82, comma secondo, lett. a), del d.P.R. n. 616 del 1977, in relazione alla legge n. 1497 del 1939. (omissis) PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Nel merito; la tesi di fondo delle Regioni ricorrenti � che la stessa richiesta di informazioni in cui le due serie di atti si concretano -in quanto preordinata, per la prima serie, all'assunzione di decisioni (autorizzative) circa opere atte ad incidere direttamente sull'interesse paesaggistico, e, per la seconda serie, all'individuazione di beni di interesse paesaggistico -costituisce invasione di competenze riservate alla Regione. Si sostiene al riguardo che le attribuzioni in materia di paesaggio sono interamente trasferite alle Regioni con l'art. 80 del d.P.R. n. 616 del 1977, per essere la detta materia ricompresa e assorbita in quella pi� ampia dell'urbanistica, o almeno interamente delegate alle Regioni stesse con l'art. 82 del decreto ora indicato, per essere tale seconda disposizione attributiva alle Regioni di tutti i poteri gi� spettanti in tema di bellezze naturali, secondo la legge n. 1497 del 1939, allo Stato (al Ministero per i beni culturali e ambientali, succeduto al Ministero della pubblica istruzione). Si sottolinea come alla Regione sia cos� affidato fra l'altro il potere di individuare le bellezze naturali formandone gli elenchi, di gestirle autorizzandone le modificazioni, di tutelarle con provvedimenti cautelari anche indipendentemente dalla loro inclusione negli elenchi: art. 82 cit., comma secondo, lett. a), b), e). Cosicch� allo Stato sarebbero ora conservati, oltre al potere di indirizzo e di coordinamento (art. 3 legge n. 382 del 1975), solo poteri residuali e sostitutivi, sostanzialmente riducibili a quello (art. 2 stessa legge) dato per ogni caso di delega: quali il potere di mera integrazione degli elenchi gi� formati, e il potere di inibire o sospendere, in via d'urgenza, e sempre nel presupposto dell'inerzia della Regione, lavori pregiudizievoli alle bellezze naturali anche indipendentemente dalla loro inclusione negli elenchi (art. 82 d.P.R. citato, comma secondo, lett. a), e comma ultimo). Anzitutto le conclusioni che per tal via le Regioni prospettano non tengono conto della disciplina costituzionale del paesaggio qual � stabilita nell'art. 9 Cost. Questo erige il valore estetico-culturale riferito (anche) alla forma del territorio a valore primario dell'ordinamento, e correlativamente impegna tutte le pubbliche istituzioni, e particolarmente lo Stato e la Regione, a concorrere alla tutela e alla promozione del valore. Gi� in questa prima generale prospettiva -cio� secondo le indicazioni desumibili dall'art. 9 Cost. -non pu� certamente ritenersi ingiustificata la pretesa dello Stato. di ottenere informazioni finalizzate alla protezione del paesaggio sia dalla Regione che da altri organi o soggetti pubblici (nei confronti di questi anche in concorrenza con la Regione): pretesa, il cui esercizio la Regione � tenuta a non ostacolare e anzi ad assecondare (cfr. l'art. 2 del d.P.R. n. 805 del 1975 sull'orga� nizzazione del Ministero dei beni culturali e ambientali, che, dispo 230 . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nendo espressamente al di l� della specifica normativa sulla devoluzione di competenze emanata o in via di emanazione, obbliga la Regione a collaborare con l'amministrazione statale nell'attivit� di tutela del valore). Ma -ed � quello che pi� importa -ci� trova immediato riscontro nel principio, sicuramente riguardante le competenze, di leale cooperazione reciproca nei rapporti fra i due enti: principio la cui pi� elementare e generale espressione sta nell'imposizione del dovere di mutua informazione (art. 3, u.c., legge. n. 382 del 1975). Mentre non � senza significato che tale dovere si trovi sancito nella normativa (anche sulle competenze: art. 6, u.c., legge n. 833 del 1978) concernente l'attuazione di un altro valore primario dell'ordinamento: quello della salute (art. 32 Cost.). N� mancano, quanto al principio di cooperazione nei rapporti fra Stato e Regione in tema di paesaggio, positive valutazioni nella giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 94 del 1985). Di fronte alle esposte considerazioni non sono rilevanti gli assunti delle ricorrenti circa l'esclusione, ex art. 80 d.P.R. n. 616, o circa l'estrema limitatezza, ex art. 82 stesso decreto, di attribuzioni il cui esercizio � prospettato, peraltro come meramente eventuale, negli atti impugnati. E ci� indipendentemente: a) dalle riserve sulla stessa tesi, implicita nell'argomentazione delle ricorrenti, secondo la quale, se i poteri dello Stato fossero riducibili a quelli dati in qualsi�si caso di delega (poteri di indirizzo e di coordinamento ex art. 3 legge n. 382 del 1975; sostitutivi ex art. 2 stessa legge; di direttiva ex art. 4, u.c., d.P.R. n. 616 del 1977), ci� escluderebbe la legittimit� della richiesta di informazioni: riserve alimentate dalla considerazione che queste potrebbero essere necessarie anche all'esercizio di detti poteri; b) dalle riserve sugli assunti delle ricorrenti circa la portata degli artt. 80 e 82 del d.P.R. n .. 616 del 1977: riserve alimentate dalla considerazione della stessa strutturazione della devoluzione alla Regione, ex art. 82, di funzioni in materia di paesaggio come delega, e per di pi� come delega caratterizzata dalla previsione in capo allo Stato di specifici poteri, in realt� difficilmente riducibili a quelli spettanti allo Stato stesso in q�alsiasi caso di delega. Rigettandosi i ricorsi finora esaminati, deve dunque dichiararsi che spetta allo Stato, cos� come, nell'ipotesi inversa, spetterebbe alle Regioni, far valere la pretesa ad informazioni finalizzate alla protezione del paesaggio, pretesa quale obiettivata con gli atti impugnati, nei confronti dei destinatari dei medesimi. PARTE I, SEZ. �I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Sempre secondo il criterio del contenuto, una ulteriore serie di atti pu� individuarsi: a) nel provvedimento del Ministero dei beni ctilturali e ambientali 20 giugno 1984, col quale si inibisce, ai sensi dell'art. 82, u.c., d.P.R. n. 616 del 1977, la costruzione di opere pubbliche (infrastrutture, opere di urbanizzazione) inerenti a una variante di piano regolatore adottata nel 1981 dal Comune di Serramonacesca per la localit� Passolanciano, e nel provvedimento dello stesso Ministero 25 gennaio 1985, col quale si inibisce la costruzione, in corso, di una diga per il contenimento delle acque del F�rma-Merse: provvedimenti cui si riferiscono rispettivamente il ricorso della Regione Abruzzo n. 32/84 e il ricorso della Regione Toscana n. 18/85; b) nel provvedimento dello stesso Ministero 14 luglio 1984, col quale � dichiarata di notevole interesse pubblico, ai sensi dell'art. 82, comma secondo, lett. a), d.P.R. n. 616 del 1977, la zona della Valle del Liri: provvedimento cui si riferisce il ricorso della Regione Abruzzo n. 38/84. In ordine a tali atti si fa questione di specifiche attribuzioni ripartite fra Stato e Regione, in materia di paesaggio, dal d.P.R. n. 616 del 1977. I cennati provvedimenti sono adottati, infatti, in riferimento all'art. 82 del detto decreto, che conserva allo Stato, nell'ultimo comma, di potere di inibire lavori contrari all'interesse paesaggistico, e, con il comma secondo, lett. a), il potere di integrare gli elenchi delle bellezze naturali. Affermano, ciononostante, le Regioni ricorrenti che i provvedimenti stessi costituiscono invasione di competenze ad esse costituzionalmente garantite. Si sostiene in particolare che quelli inibitori consistono nell'esercizio di un potere di decisione circa le opere destinate a sorgere in zone protette ai sensi della legge stille bellezze naturali, da ritenere trasferito alla Regione con l'art. 80 del d.P.R. n. 616 del 1977 in una con tutte le attribuzioni in tema di urbanistica, o a\meno delegato alla Regione stessa con l'art. 82, comma secondo, lett. b), del detto decreto (concernente l'autorizzazione alle modifiche, mediante opere, delle zone protette), Si sostiene altres� che, in ogni caso, gli stessi provvedimenti inibitori non trovano giustificazione nel limitato potere d'intervento conservato allo Stato dall'art. 82, comma ultimo, del d.P.R. n. 616 del 1977, perch� posti in essere in difetto dei loro presupposti: cio� dell'urgenza, dell'inerzia della Regione e della incidenza su zone non ancora sottoposte a vincolo paesaggistico. Si sostiene infine, quanto al provvedimento di dichiarazione di notevole interesse della zona del Liri (e quindi di imposizione di vincolo paesaggistico stilla medesima), che esso non trova giustificazione nel limitato potere di integrazione degli elenchi conservato allo Stato dall'art. 82, comma secondo, lett. a), del d.P.R. n. 616 232 �RASSl'lGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del 1977, perch� posto in essere in via autonoma, anzich� in via di integrazione degli elenchi, e attraverso un procedimento diverso� da quello prescritto dalla legge n. 1497 del 1939. Si ribadisce in tal modo anzitutto -ancorandola al presupposto dell'esercizio da parte dello Stato di un potere decisionale circa la costruzione di opere -la tesi, gi� posta a base dei ricorsi prima esaminati, dell'assorbimento della materia del paesaggio in quella dell'urbanistica, assunta questa nella pi� ampia eccezione, nella quale essa � trasferita alla Regione con l'art. 80 del d.P.R. n. 616 del 1977. Ma oltre a rilevare che il presupposto non ricorre, perch� il Ministero si limita a formulare un giudizio sfavorevole sulle opere programmate come esplicita motivazione dell'esercizio del potere inibitorio -il solo realmente esercitato -ed oltre a osservare che ci� implica anche l'inconferenza del richiamo all'�rt. 82, comma secondo, lett. b), deve replicarsi -sciogliendosi ora le riserve dianzi formulate -che la tesi non � fondata. Anzitutto essa non trova sostegno nella giurisprudenza di questa Corte la quale, dopo l'entrata in vigore del d.P.R. n. 616 del 1977, se non ha mostrato di ribadire una nozione ristretta dell'urbanistica quale assetto dei centri abitati -come enunciata, peraltro all� specifico fine di non ricomprendervi la materia delle bellezze naturali, nella sentenza n. 141 del 1972 (cfr. anche la sentenza n. 9 del 1973) -, ha pur mostrato, nella sentenza n. 239 del 1982, di non ritenere la nozione di paesaggio riducibile a quella di urbanistica. Quanto, poi, alla nozione allargata di urbanistica desumibile dalla lata formulazione dell'art. 80 del d.P.R. n. 616 del 1977 -nozione rispondente ad esigenze di considerazione integrale del territorio e di globale disciplina dell'uso e delle trasformazioni di questo -, va osservato che la nozione non esclude la configurabilit� in ordine al territorio di valutazioni e discipline diverse, neppure se improntate anche esse ad analoghe esigenze di integralit� e di globalit�. Si vuol dire che il territorio pu� ben essere da un lato punto di riferimento della pianificazione territoriale intesa come ordine complessivo, ai fini della reciproca compatibilit�, degli usi e delle trasformazioni del suolo nellia dimensione spaziale considerata e nei tempi ordinatori previsti: visuale, questa, che viene in considerazione nell'art. 80 d.P.R. n. 616 del 1977, che dispone il trasferimento alla Regione delle relative attribuzioni. E dall'altro lato essere punto di riferimento di una regolazione degli interventi orientata all'attuazione del valore paesaggistico come aspetto del valore estetico-culturale secondo scansioni diverse, perch� legate a scelte di civilt� di pi� ampio respiro: visuale, questa, che' viene in considerazione nell'art. 82 dello stesso decreto, che dispone la soia delega alla Regione delle relative attribuzioni. Ci� non � contriadtletto dall'impiego di speciali strumenti di pianificazione territoriale quali mezzi della protezione paesaggistica primaria (cfr. artt. 5 legge n~ 1497 del 1939 e 23 r.d. n. 1357 del 1940, concernente PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE la redazione, poi trasferita alle Regioni dall'art. 1, �comma terzo, d.P.R. n. 8 del 1972, di piani territoriali paesistici per le localit� incluse negli elenchi delle bellezze naturali) o dal perseguimento, nell'ambito della pia� nificazione territoriale generale, di fini di protezione paesaggistica ulteriore (cfr. artt. 3 e 5 della legge n. 765 del 1967, concernente attribuzioni trasferite alle Regioni dall'art. 1, comma secondo, d.P.R. n. 8 del 1972, e la stessa indicazione della � protezione ambientale � come contenuto dell'urbanistica secondo l'art. 80 d.P.R. n. 616 del 1977, ove non si ritenga di riferire l'indicazione stessa unicamente ad altre valenze ambientali). Nessuna deile due ipotesi consente di ritenere la disciplina paesaggistica primaria subordinata alla urbanistica o addirittura inclusa in essa. Del resto ipotesi del genere, se possono dar luogo a pi� frequenti e complessi problemi di coordinamento nell'esercizio di competenze relative a materie diverse e richiedere soluzioni procedimentali consensuali, non implicano per converso necessariamente, come si pretende, l'accorpamento delle materie e delle competenze anzidette. Resta cosi dimostrato che anche nell'ottica del d.P.R. n. 616 del 1977 urbanistica e paesaggio sono due distinte materie e che l'art. 80 si riferisce alla prima, mentre � l'art. 82 a riferirsi alla seconda. Ritenuto pertanto che � solo l'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977 a venire effettivamente in considerazione nei conflitti in esame, i quali nella sostanza postulano una demarcazione delle competenze e un sindacato sul corretto uso di esse all'interno dell'art. 82 citato, i conflitti stessi devono dichiararsi inammissibili. Le attribuzioni cui la detta disposizione si riferisce sono da essa devolute alla Regione con delega. Questa � per�. di pi� caratterizzata dalla conservazione allo Stato di poteri, che sono difficilmente riducibili, secondo quanto si � gi� accennato, ai normali poteri del delegante come definiti in via generale dalla legge n. 382 del 1975 (~tt. 2 e 3) e dal d.P.R. n. 616 del 1977 (art. 4 u.c.), ed anzi sono da ritenere -in considerazione della sostanziale identit� di oggetto e di contenuto che essi presentano rispetto ai poteri delegati e dell'inutilit� che la stessa specifica previsione da parte dell'art. 82 d.P.R. n. 616 del 1977 rivestirebbe nel caso di loro coincidenza con i normali poteri del delegante come sopra definiti poteri concorrenti. Orbene le attribuzioni soltanto delegate alla Regione non sono, in linea di principio, defendibili col rimedio del conflitto di attn'buzioni, rimedio dato per la tutela di competenze proprie della Regione. Tanto meno lo sono competenze delegate nel modo e con gli effetti suindicati, cio� attenuate dalla conservazione allo Stato di poteri concorrenti. In tal caso, infatti, la volont� della legge di consentire l'intervento concorrente dello Stato a fini di estensione (integrazione degli elenchi) e di effettivit� (inibitoria di opere pregiudizievoli) della tutela esclude la garanzia costituzionale delle competenze delegate . RASSEGNA DElL'AVVOCATURA DEU.O STATO 234 CORTE COSTITUZIONALE, .15 novembre 1985, n. 285 (cam. cons.) � Pres. Paladin � Rel. Ferrati. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Riforma della sentenza sottoposta a registrazione. Contrastano con gli artt. 3 e 53 Costituzione gli artt. 12 e 14 del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269 (approvazione del testo di legge del registro) nella parte in cui non prevedono, ai fini della restituzione dell'imposta graduale di registro, le ipotesi che sia stata dichiarata nulla o riformata la sentenza di condanna al. pagamento di una somma di denaro ovvero la sentenza con la quale era stato ordinato il rilascio e la attribuzione di un bene (1). CORTE COSTITUZIONALE, 14 gennaio 1986, n. 1 (cam. cons.) -Pres. Paladin � Rel. Greco. Impiego pubblico � Messi di conciliazione � Raffronto con gli ufficiali giudiziari � Diversit� di situazione oggettiva. (Cast., art. 3; d.l.Igt. 1 febbraio 1946 n. 122, art. 2, come modificato da legge 3 feb braio 1957, n. 16). La posizione giuridica dei messi di conciliazione, i quali negli uffici con scarso indice di lavoro possono -se non dipendenti comunali operare in piena autonomia, � diversa da quella degli ufficiali (e aiutanti ufficiali) giudiziari. Pertanto non contrasta con il principio di eguaglianza la non corresponsione ai messi di conciliazione della indennit� integrativa. (omissis) Invero, le due situazioni poste a raffronto, quella cio� dei messi di conciliazione e quella degli ufficiali giudiziari (e aiutanti ufficiali giudiziari), non sono n� �identfohe n� omogenee' per cui la diversit� di trattamento, fatto ai primi dal legislatore, non � irrazionale. L'ufficiale giudiziario e l'aiutante ufficiale giudiziario hanno uno status ben determinato e disciplinato da norme apposite e particolari (d.P.R. 28 dicembre 1959, n. 1229, e successive modifiche; legge 11 giugno 1962, n. 546; legge 12 luglio 1975, n. 339). Sono impiegati dello Stato; conseguono la qualifica e sono immessi in ruolo a seguito di pubblico concorso articolato su prove scritte ed orali e le operazioni �relative sono svolte da apposita Commissione nominata dal Ministro di Grazia (1) Analogamente Corte Costituzionale n. 200 del 1972 e n. 198 del 1976. PARTE l, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 235 e Giustizia e presieduta da un magistrato. Hanno un organico ben deter� minato e in maniera fissa (art. 101 del T.U. n. 1229/59). Accanto ai diritti hanno una serie di doveri. Sono sottoposti ad apposita Commissione di vigilanza e di disciplina (art. 49 del T.U. n. 1229/59 alla vd~lanza del P11esidente della Corte d'appello quello che operano nel distretto; del Presidente del Tribunale quelli che operano nel circondario e del Pretore quelli addetti all'ufficio di Pretura nonch� a quella dell'uff. icialJ.e gfodiziario dirigente. Sono soggetti a sanzioni disciplinari. (art. 60, T.U. n. 1229/59). Contraggono particolari responsabilit� per gli atti del loro ufficio. sita Commissione di vigilanza e di disciplina (art. 49 del T.U. n. 1229/59), e segg.) che utilizza i proventi costituit�i dai diritti che sono autorizzati ad esigere ed una percentuale sui crediti recuperati all'erario, sui campioni civili, penali ed amministrativi, sulle somine introitate dall'erario per la vendita dei corpi di reato. Le somme introitate ai suddetti titoli sono versate in una cassa comune e ripartite tra tutti gli ufficiali giudiziari, al netto delle detrazioni. Hanno diritto all'indennit� di trasferta per gli atti compiuti fuori dall'edificio ove l'ufficio giudiziario ha sede (art. 133, T.U. n. 1229/59). Hanno poi diritto ad una indennit� integrativa a carico dell'erario (art. 148, T.U. n. 1229/59) nel caso in cui, con la per� cezione dei diritti, al netto del due per cento delle spese di ufficio e del diieoi per cento per la tassa erariale, non vengano a percepire uno stipendio iniziale pari a quello previsto per il personale appartenente alla sesta qualifica funzionale. Tale importo � elevato in relazione all'anzianit� di servizio maturata dall'ufficiale giudiziario ed all'ammontare dello stipendio spettante ai detti dipei:;identi di pari anzianit� di servizio. Anche gli aiutanti ufficiali giudiziari (artt. 160 e segg. T.U. n. 1229/59) hanno uno status bene determinato. Sono anche essi impiegati dello Stato ed assunti in servizio a seguito di pubblico concorso su prove scritte ed orali, le cui operazioni sono svolte da una Commissione nominata dal Ministro di Grazia e Giustizia. (omissis) I messi di conciliazione, invece, sono nominati dal Presidente del Tribunale, sentito il Procuratore della Repubblica; sono scelti tra persone dipendenti dal Comune o tra altre persone che, residenti nel luogo, diano garanzie di capacit� e moralit� (art. 249, R.D. 28 dicembre 1924, n. 2271; art. 9, 1. 25 giugno 1940, n. 763; art. 28, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12). Svolgono la loro attivit� sotto la sorveglianza del conciliatore (artt. 256, 258 del R.D. n. 2771 del 1924 e art. 9, R.D. n. 12 del 1941). Per quanto riguarda l'onere economico e l'organizzazione del servi� zio, occorre rilevare che sono a carico dei comuni le spese obbligatorie per il funzionamento degli uffici di conciliazione (art. 91, T.U. com. e prov.); che le somme riscosse per i diritti di cancelleria, detratti i diritti spettanti ai cancellieri, sono devolute ai comuni e destinate al funziona� 111111111111r&11111111�~1111J:r1111tr111111r11111111:111r11,,111111111 236 RASSEGNA DELL'AVVOCA'tURA DELLO STA.TO mento degli uffici di conciliazione, ivi compreso il pagamento dei compensi ai messi. Per quanto riguarda lo status dei messi di conciliazione, nulla quae236 RASSEGNA DELL'AVVOCA'tURA DELLO STA.TO mento degli uffici di conciliazione, ivi compreso il pagamento dei compensi ai messi. Per quanto riguarda lo status dei messi di conciliazione, nulla quaestio per i dipendenti del Comune che sono gi� legati ad esso da un rapporto di lavoro o di impiego. Per i non dipendenti, invece, il rapporto che, in ogni caso, si instaura con il Comune -per cui trattasi di rapporto di impiego pubblico -in astratto pu� configurarsi come svolto tanto in regime di autonomia quanto in regime di subordinazione. E la qualificazione dipende dal suo concreto atteggiarsi. In via generale si ritiene che, negli uffici con scarso indice di lavoro, il messo svolge� attivit� lavorativa molto limitata, consistente nella notificazione di pochissimi atti, oltre la conseguente e scarsissima opera accessoria di registrazione. Egli, quindi, sar� impegnato saltuariamente ed occasionalmente; non potr� avere vincoli di rilievo ma godr� certamente di piena autonomia di organizzazione. Invece, negli uffici di maggiore dimensione, nei quali pu� accadere che vi sia una massa di atti da compiere, tali da richiedere un impegno quotidiano e continuativo, si rende necessario l'intervento di un capo al quale competer� la responsabilit� organizzativa e funzionale dell'ufficio con i correlativi poteri di distribuzione del lavoro e di emanazione di direttive vincolanti per il messo le cui energie lavorative attueranno, quindi, una collaborazione nell'ufficio di appartenenza e determineranno il suo inserimento nello stesso, onde la configurabilit� di rapporto di lavoro subordinato. Ma in nessuna delle situazioni che si possono verificare pu� dirsi che la posizione del messo sia identica od omogenea a quella dell'ufficiale giudiziario. Mentre l'ufficiale giudiziario non pu� compiere alcun altro lavoro, cos� come, di regola, qualunque altro impiegato dello Stato, il messo, se dipendente comunale, svolge il suo lavoro abituale al Comune e solo accessoriamente e saltuariamente quello di messo comunale e, comunque, sar� retribuito come impiegato comunale ed avr� come accessori, proventi, diritti ed indennit� di trasferta. Invece, se non dipendente comunale, potr� svolgere altro lavoro. In ogni caso ha una responsabilit� molto limitata che, generalmente, si fa risalire al Comune. Inoltre, per quanto riguarda l'entit� dei proventi e dei diritti, si deve anche considerare che essi sono percepiti nella totalit� dal solo messo di conciliazione, mentre per gli ufficiali giudiziari e gli aiutanti, per i quali normalmente costituiscono la retribuzione, sono divisi con i vari appartenenti all'ufficio e, per quanto riguarda il diritto di cronologico; anche con i coadiutori. Trova quindi ragionevole giustificazione ed � razionale il diverso trattamento fatto ai messi di conciliazione rispetto agli ufficiali giudiziari per quanto riguarda i diritti di cronologico e di notificazione, mentre PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 237 i diritti di trasferta sono ridotti proprio perch� essi si svolgono in spazi molto limitati e non certo a . notevole distanza. Per quanto riguarda l'indennit� integrativa, essa viene corrisposta solo se le somme costituenti la retribuzione sono di entit� inferiore allo stipendio rispettivamente del sesto livello funzionale per gli ufficiali giudiziari e del quarto livello funzionale per gli aiutanti. Ed in ogni caso � corrisposta per la differenza tra le somme percepite come diritti e sti� pendio pari alle suddette qualifiche funzionali. Quindi, non irrazio:p.almente il legislatore non ha previsto la corresponsione anche al messo di conciliazione della indennit� integrativa stante il diverso status professionale e lo speciale sistema retributivo previsto solo per gli ufficiali giudiziari e gli aiutanti. Va anche notato che, in base alle vigenti disposizioni, le notificazioma mezzo posta, regolate di recente da nuove disposizioni di Jegge (Legge 20 novembre 1982, n. 890), costituiscono il mezzo ordinado e generale di notificazione, mentre quelle a mezzo ufficiale giudiziario o aiutante o messo' di conciliazione costituiscono ormai un mezzo eccezionale. (omissis) I CORTE COSTITUZIONALE, 14 aprile 1986, n. 89 � Pres. Paladin � Rel. Pescatore � Presidente Consiglio dei Ministri (avv. D'Amico). Istruzione e scuole � Universit� � Professore assoclat'o � Giudizio di idoneit� � Medici interni. (Cost. art. 3; legge 21 febbraio 1980 n. 28, art. 5; d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, art. 50). L'esclusione dal giudizio di idoneit� dei medici interni (assistenti ed aiuti) risulta priva di qualsiasi razionalit� e determina, se raffrontata con quella dei tecnici laureati, un ingiustificato diverso trattamento di una categoria, rispetto alla quale ricorrono -quanto meno -gli stessi requisiti che condussero ad attribuire il beneficio alla categoria di comparazione (1). (1) La sentenza -che ha determinato un cospicuo aggravio per la finanza statale -suscita perplessit� per tre considerazioni: I) non � stato tenuto conto del criterio indicato dall'art. 97, primo comma, Cost. (�... si accede mediante concorso... �), II) a tertium comparationis � stata promossa una disposizione oltremodo particolare, anzi persino marginale (e tutt'altro che �universale�), quale appunto quella concernente la ristretta categoria dei � tecnici laureati � (al limite, sarebbe stato pi� lineare pervenire ad una esclu� sione anche di costoro), e III) � stato �saltato� l'art. 9 della legge 9 dicem� bre 1985 n. 705, ius superveniens che avrebbe imposto una restituzione degli atti al giudice a quo e comunque la prospettazione di una diversa e nuova questione di legittimit� costituzionale. Quest'ultimo aspetto potrebbe dar luogo, ove l'episodio avesse a ripetersi, a qualche difficolt� nel rapporto istituzionale tra Parlamento e Corte. 238 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO I II I CORTE COSTITUZIONALE, 18 giugno 1986, n. 138 � Pres. Paladin � Rel. ~ Gallo � Fusaro (n.p.), Universit� di Padova e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). fil :� Istruzione e scuole � Universit� � Scuole di specializzazione e perfezio namento � Stabilizzazione degli incaricati. (Cost. artt 3, 51 e 97 della Cost.; d.l. 23 dicembre 1978 n. 817, art. unico, convertito nella legge 19 febbraio 1979 n. 54). La situazione giuridica dei prof es sori incaricati delle scuole di specializzazione e perfezionamento di cui alle lettere b) e c) dell'art. 20 del testo unico 31 agosto 1933 n. 1592 � diversa da quella dei professori incaricati nei corsi ufficiali di laurea; questi ultimi soltanto dipendono dallo Stato. I (omissis) La questione prospettata nelle ordinanze consiste nello stabilire se l'art. SO, n. 3 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 e l'art. S, terzo comma, n. 3, della legge 21 febbraio 1980, n. 28 contrastino con l'art. 3 della Costituzione, in quanto non contemplano, tra le qualifiche da ammettere, in via transitoria, ai giudizi d'idoneit� a professore �associato, gli aiuti e gli assistenti dei policlinici e delle cliniche universitarie, che di fatto abbiano svolto attivit� triennale di ricerca e di didattica. Ci� per la differenza di trattamento di dette categorie rispetto a quella dei tecnici laureati (che abbiano svolto per pari periodo attivit� di ricerca e didattica), i quali sono ammessi ai giudizi d'idoneit� a professore associato. In particolare, le fattispecie sottoposte all'esame del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione di Catania (eccettuate quelle relative ai giudizi iscritti sub i numeri 377, 379 e 380/8S), erano state determinate dalla esclusione di medici interni, aiuti e assistenti di quel policlinico e della clinica universitaria di neurologia, dalla partecipazione alla seconda tornata del giudizio di idoneit� a professore universitario ' di ruolo, fascia degli associati, bandita con dd.mm. 26 aprile e 10 ottobre 1983. Sulla prospettazione (e sulla sostanza) della questione non incide l'art. 9 della legge 9 dicembre 198S, n. 70S, che, interpretando autenticamente l'art. SO del d.P.R. n. 382 del 1980, dcihiara la tassativit� del'indicazione di coloro che possono essere inquadrati, a domanda, previo giudizio di idoneit�, nel ruolo dei professori associati e pone il divieto dell'assimilazione o dell'equiparazione di altre categorie. Questo precetto non altera, n� modifica, infatti, i termini. della que� stione di costituzionalit�, sollevata dal Tribunale amministrativo regio PARTE I, SEZ. I, GIURISP,RUDENZA COSTITUZIONALE 239 nale; anzi, li rafforza. Prescrivendo la non estensibilit� delle categorie ammesse ai giudizi di idoneit� a professore associato, esso d� alla formulazione ipotetica dei motivi di incostituzionalit� del giudice a quo il crisma della valutazione conforme della legge. Non sorge, quindi, problema di restituzione degli atti a tale giudice per un nuovo esame della rilevanza della questione in relazione alla legge sopravvenuta. (omissis) Questa Corte ha gi� avuto occasione di toccare il tema della natura e della consistenza della categoria dei medici interni universitari, anteriormente alla normativa posta dalla L. n. 28 e dal d.P.R. n. 382 cit., che, rispettivamente nell'art. 7 lett. h) e nell'art. 58, comma primo, lett. i), ne hanno previsto l'inquadramento, previo giudizio di idoneit�, nella fascia dei ricercatori universitari. Nella sentenza 22 febbraio 1985, n. 46, � stato individuato nell' � autodeterminazione discrezionale delle singole universit� � il fondamento della disciplina delle diverse modalit� di reclutamento degli appartenenti a questa categoria, verificatesi nella prassi di taluni atenei (delibera del consiglio di amministrazione dell'Universit� o del consiglio di facolt�, ovvero pubblico concorso, talora con l'intervento del consiglio di amministrazione). Le carenze normative ed amministrative del settore, alle quali gi� si � fatto cenno, e le conseguenti disfunzioni dell'apparato dettero luogo, tra l'altro, anche a gravi deficienze di personale medico qualificato, sopratutto a seguito della soppressione dell'assistentato (1973), senza la contestuale previsione (ed attuazione) di una alternativa fonte di provvista. Questa ed altre cause di disfunzione del sistema, in bilico tra vecchio e nuovo, -che ebbero larga eco nelle sedi governativa e parlamentare, in occasione dell'esame del ricordato progetto di riordinamento della docenza -indussero le autorit� universitarie a misure organizzative e funzionali di emergenza, sviando i tecnici laureati verso attivit� ad essi non proprie e delineando la figura del medico interno (assistente o aiuto). Connotato qualificante di tale figura � l'attitudine ad esplicare (accanto all'attivit� di diagnosi e cura) attivit� scientifica e didattica proprio in base alla qualifica di aiuto od assistente, conseguita per pubblico concorso da molti dei medici ricorrenti avanti al Tribunale a:mlministrativo regionale siciliano. Tale figura, che, come si � detto, fu incrementata da ragioni contingenti, fin� con l'inserirsi nella struttura, determinando talora situazioni aberranti, come si rileva in taluni dei giudizi che hanno dato luogo alle ordinanze di rimessione: cos�, nel caso di un medico interno, aiuto per concorso, che non fu ammesso al giudizio di idoneit� per professore associato, al quale invece parteciparono assistenti (appartenenti al ruolo ad esaurimento), da lui diretti e coordinati. 1r1�.a11�11111111111111r111111r111111111111111r111111�111111111 240 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Riportando il discorso nei suoi termini generali, appare chiaro che nella presenza delle circostanze del superamento del concorso e dello svolgimento, entro l'anno accademico 1979-80, del triennio di attivit� scientifica e didattica, l'esclusione dal giudizio di idoneit� dei medici interni (assistenti ed aiuti) risulta priva di qualsiasi razionalit� e determina, se raffrontata con quella dei tecnici laureati, un ingiustificato diverso trattamento di una categoria, rispetto alla quale ricorrono -quanto meno -gli stessi requisiti che condussero ad attribuire il beneficio alla categoria di comparazione. La Corte, pur consapevole che la ratio, giustificatrice del precetto che consenti l'ammissione dei tecnici laureati al giudizio di idoneit�, non pu� cessare di esplicarsi fino a quando non abbia espresso tutta la sua energia operativa, esclude nella specie -come bene ha fatto il giudice rimettente -l'applicazione estensiva od analogica della normati� va. Si tratta, infatti, di precetti tassativi, riferibili a specifiche categorie, appositamente individuate ed enumerate (nn. 3 degli artt. 50 d.P.R. n. 382 e 5, terzo comma, I. n. 28 del 1980), distinte per particolari elementi propri di ciascuna di esse. Tale tassativit�, ispirata a ragioni di garanzia e certezza, resa palese dalla struttura e dal contenuto della norma, espressamente dichiarata dal legislatore (art. 9 I. 9 dicembre 1985, n. 705 cit.: cfr. n. 6), non rende applicabili per analogia ai medici interni le norme che regolano la situazione dei tecnici laureati, pur nel concorso dell'eadem ratio. Necessita, di conseguenza, per riparare all'ingiustificata sperequazione, la dichiarazione di incostituzionalit� delle disposizioni sospettate dal giudice a quo. (omissis) p.q.m. dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 5, terzo comma, n. 3 della legge 21 febbraio 1980, n. 28 e dell'art. 50, n. 3 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, nella parte in cui non contemplano tra le qualifiche da ammettere ai giudizi di idoneit� gli aiuti e gli assistenti dei policlinici e delle cliniche universitarie, nominati in base a pubblico concorso, che, entro l'anno accademico 1979-80, abbiano svolto per un triennio attivit� didattica e scientifica, quest'ultima comprovata da pubblicazioni edite documentate dal preside della facolt� in base ad atti risalenti al periodo di svolgimento delle attivit� medesime;... II Con ordinanza 22 ottobre 1982, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto sollevava questione di legittimit� costituzionale dell'art. 4, primo comma, del decreto legge 1� ottobre 1973, n. 580, convertito con modificazioni, nella legge 30 novembre 1973, n. 766, nonch� dell'articolo PARm I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE unico, sedicesimo (rectius, quindicesimo) comma, del decreto-legge 23 di� cembre 1978, n. 817, convertito con modificazioni, nella legge 19 feb� braio 1979, n. 54, nella parte in cui, in violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, non ammettono alla stabilizzazione gli incaricati nelle scuole di specializzazione e perfezionamento di cui alle lettere b) e e) dell'art. 20 T.U. 31 agosto 1933, n. 1592. (omissis) Secondo l'ordinanza di rimessione, la violazione dell'art. 3 Cost. si fonderebbe su di un duplice ordine di motivi, innanzitutto perch� ambo le situazioni in esame, e cio� sia quella concernente gli incaricati nelle scuole di specializzazione o di perfezionamento, avevano carattere di precariet�.� In secondo luogo perch�, una volta disposta la prima proroga degli incarichi a semplice domanda, anche per quelli delle scuole di perfezionamento e specializzazione, non esisteva alcuna ragione per escludere questi ultimi dalle proroghe successive e quindi poi dalla sta� bilizzazione. Specie se si considera che la ratio dell'istituto della stabiliz� zazione era quella di cristallizzare le situazioni precarie fino alla riforma che avrebbe dovuto avviarle a soluzione definitiva. Ma nessuna di queste ragioni ha consistenza. Che ambo le situazioni fossero di precariato non implica necessariamente che esse dovessero trovare nella legge identico trattamento, visto che, dal docente uni� versitario all'operaio, numerosissime erano e sono le categorie in situa~ zione di precariet�. Ma proprio per questo � conforme a ragionevolezza che il legislatore non debba essere tenuto a risolverle tutte nello stesso modo, giacch� l'elemento che accomuna le situazioni, agli effetti dell'art. 3 Cost., non pu� essere ravvisato in qualche carattere genera� lissimo, bens� in peculiari caratteristiche che le renda omogenee in ter� mini di natura giuridica, di finalit� specifiche. Ora, � proprio all'interno stesso della categoria dei docenti precari di livello universitario che le due situazioni, di cui si va parlando, mostrano invece la loro decisa diversit�. Gi� la legge fondamentale, infatti, il T.U. 31 agosto 1933 n. 1592, tiene nettamente distinte all'art. 20 le Facolt� dalle scuole dirette a fini speciali, e da quelle di perfezio� namento, cos� come da ambo le predette distingue i Corsi di integra� zione e di cultura: e tutta la successiva legislazione, fino al d.P.R. 10 mar� zo 1982 n. 162 che ha riordinato completamente quelle Scuole, soppri� mendo quelle di perfezionamento, si � rigorosamente ispirata a tale precisa distinzione. Cos�, mentre per le Facolt� la fonte primaria di ogni organizza� zione � la legge, per cui � soltanto il legislatore a disciplinare organici, ruoli, reclutamento, stato giuridico e trattamento economico dei profes� sori, al contrario costituzione, funzionamento e ordinamento anche del personale delle Scuole sono lasciati all'autonomia degli Atenei che organizzano e disciplinano le Scuole, mediante gli statuti e i regolamenti, presso le singole Facolt� o anche attraverso intese interfacolt�. Nelle RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO 242 Facolt�, invece, anche quando Statuti e regolamenti dispongano dell'interna organizzazione, si tratta sempre di semplice funzione esecutiva od integrativa della legge. In particolare, il trattamento economico dei professori incaricati nei corsi ufficiali delle Facolt� gravava -come quello dei professori straordinari ed ordinari -sul bilancio dello Stato, mentre quello degli incaricati nelle scuole era a carico del bilancio dell'Universit�. Da tutto ci�, risulta evidente che i professori incaricati nei corsi ufficiali di laurea erano dipendenti precari dello Stato, e che i professori incaricati nelle scuole erano invece dipendenti delle Universit�. La stessa possibilit� di esistenza di questi ultimi era, per�i�, soltanto eventuale, perch� condizionata all'istituzione dell'una o dell'altra scuola che l'Universit� era libera di decidere a proprio insindacabile giudizio: al contrario, la presenza degl'incaricati nei corsi ufficiali della Facolt� era obbligatoria in caso di mancanza del titolare della cattedra ed era rigorosamente disciplinata per legge. Si tratta, perci�, di situazioni giuridiche sostanzialmente diverse, che il legislatore � libero di disciplinare, nell'ambito del suo discrezionale potere, secondo differenti criteri, in tutto o in parte. Pur riconoscendo che la ratio che presiedeva all'istituto della stabilizzazione ben poteva essere quella indicata dall'ordinanza, ci� non poteva comportare che tutte indistintamente le situazioni di precariato dovessero avere lo stesso trattamento, parificando categorie e aspettative fra loro non sempre comparabili in un giudizio di legittimit� costituzionale. N� pu� avere rilevanza che una tantum, in occasione del rinnovo dell'incarico a semplice domanda per il primo anno, le due categorie in esame abbiano avuto la stessa disciplina. Questa Corte ha affermato in pi� occasioni che soltanto una lunga, inequivoca ed ininterrotta uni formit� di disciplina pu� consentire, nel contesto di altri eventuali favo revoli elementi, una ragionevole opinione di sostanziali affinit� fra due situazioni giuridiche. (Cfr. da ultimo, Sent. n. 212 del 1985). Per tutte le stesse indicate ragioni non pu� ritenersi vulnerato il principio di imparzialit� della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), e tantomeno quello di uguaglianza dei cittadini nell'accesso agli uffici pubblici a parit� di requisiti di attitudine (art. 51 Cost.). A proposito del quale ultimo principio � soltanto suggestivo l'argomento che sostiene l'esigenza di pi� elevata preparazione per i docenti delle scuole di spe cializzazione, in quanto dirigono il loro insegnamento a chi � gi� edotto della disciplina (assistenti universitari od ospedalieri), a fronte di coloro che impartiscono nozioni istituzionali a studenti in fase di apprendi mento. In realt�, il docente dei corsi ufficial1. della Facolt�, proprio perch� deve introdurre lo studente in discipline a lui affatto scono sciute, deve possedere una vasta preparazione di base e una grande esperienza didattica che, pur se desiderabile anche nello specializzatore, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 243 non � tuttavia strumento immediato e imprescindibile in chi deve soltanto affinare o approfondire un singolo particolare ramo di una certa disciplina: finalit� per la quale si richiede, invece, soprattutto esperienza specifica nel ramo. La questione proposta non �, pertanto, fondata. CORT COSTITUZIONALE, 23 maggio 1986, n. 129 -Pres. Paladin -Rel. Andrioli -Simonetti e Righetti (avv. Agostini) e INAIL (avv. Catania). Prescrizione e decadenza -Prestazioni dovute agli infortunati sul lavoro ed agli affetti da malattie professionali -Interruzione della prescrizione. (Cost. artt. 3 e 38; d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112). Contrasta con il principio di eguaglianza l'art. 112 comma primo d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui non prevede che il termine triennale di prescrizione dell'azione per conseguire le prestazioni assicurative sia interrotto a far tempo dalla data del deposito del ricorso introduttivo della controversia, effettuato nella cancelleria dell'adito pretore, e seguito dalla notificazione del ricorso e del decreto pretorile di fissazione dell'udienza di discussione (1). (omissis) La giurisprudenza dell'organo giudiziario, cui nel campo delle norme sottordinate compete il magistero della nomofilachia, ha a chiare note rescritto che il tema della prescrizione dell'azione diretta a conseguire le prestazioni assicurative dovute per infortuni sul lavoro e malattie professionali � dominato dal solo art. 112 comma primo e pertanto non residua spazio per l'art. 2943 comma primo e quarto e.e., per modo che infortunati sul lavoro e affetti da malattie professionali possono interrompere il corso della prescrizione sol con domanda giu-. diziale di esercizio dell'azione e non anche con ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore. (1) La sentenza merita di essere segnalata principalmente perch� afferma e trattasi di affermazione di portata generale -che la esclusione della �utilizzazione dei mezzi stragiudiziali previsti nell'art. 2943 commi primo e quarto cod. civ.� pu�, se ingiustificata, dar luogo a violazione del principio di eguaglianza. La disposizione legislativa censurata prevede un termine denominato di prescrizione (�l'azione si prescrive ... �); peraltro, la affermazione fatta dalla Corte potrebbe forse operare anche per alcuni termini qualificati di decadenza. Cosi ad esempio per il termine per l'iscrizione a ruolo delle imposte risultanti dalle dichiarazioni dei redditi; come noto, per detta iscrizione � previsto senza alcuna ragione un termine di decadenza relativamentc:1 breve. a 244 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Le possibilit� in minor misura riservate a infortunati e affetti da malattie professionali rispetto ai creditori per altri titoli non costituiscono di per s� violazione del principio di eguaglianza perch� l'esigenza di non ritardare oltre il triennio l'accesso alla giustizia � giustificata dalla necessit� di non rendere pi� ardua, se non impossibile, la ricerca dei fatti e la ricostruzione delle situazioni nelle quali si sostanziano infortuni sul lavoro e malattie professionali: peculiarit� che non si riscontrano nella generalit� dei rapporti credito-debitori. Ma se violazione del principio di eguaglianza non era lecito ipotizzare nei primi anni di applicazione del testo unico del 1965, in cui ben sarebbesi potuto replicare all'infortunato sul lavoro e all'affetto da malattia professionale che lasciasse tooscorrere n triennio senza proporre domanda giudiziale � chi � causa del suo mal pianga se stesso �, il rito speciale del lavoro introdotto dalla l. 11 agosto 1973, n. 533, con separare l'imploratio iudicis offici dalla vocatio in ius e con subordinare la notificazione al convenuto del ricorso introduttivo del giudizio alla prolazione del decreto pretorile di fissazione dell'udienza di discussione -separazione non svuotata di pratico contenuto per l'impossibilit� di anticipare con gli strumenti interpretativi previsti nell'art. 12 d. prel. e.e. al primo elemento della fattispecie a formazione successiva nella quale s'inquadra la domanda giudiziale descritta nel rito speciale del lavoro -vieta di addossare all'infortunato sul lavoro e all'af. fetto da malattia professionale i tempi della prolazione del decreto preI torile di fissazione dell'udienza di discussione, in difetto del quale non si pu� effettuare la vocatio in ius. I Niun dubbio che, se questa Corte non sancisse la parziale incostituzionalit� dell'art. 112 comma primo nei termini del dispositivo che va a dettare, il trattamento riservato agli infortunati sul lavoro e agli affetti da malattie professionali sarebbe in notevole grado deteriore ri I spetto a quello della comune dei creditori: da un lato sarebbe ad essi m I ~ preclusa la utilizzazione dei mezzi stragiudiziali previsti nell'art. 2943 comma primo e quarto e.e. e dall'altro lato sarebbero astretti ad integrare la propria iniziativa giudiziale con la fissazione, da parte dell'ad�to pretore, della udienza di discussione tra la quale -dispone il novellato art. 415 comma quarto c.p.c. -e la notificazione del ricorso al convenuto � non devono decorrere pi� di sessanta giorni �. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sez. plen., 5 giugno 1986, nella causa 103/84 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Lenz -Commissione delle C.E. (ag. Campogrande e van Rijn) c. Repubblica italiana (avv. Stato Ferri). Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Misure di effetto equivalente -Contributi finanziari per l'acquisto di veicoli di produzione nazionale. (Trattato CEE, artt. 30 e 36; legge 29 maggio 1982, n. 308, art. 13). Costituisce misura equivalente a restrizione quantitativa all'importazione, vietata dall'art. 30 del trattato CEE, il subordinare la concessione di contributi finanziari in favore di aziende municipalizzate che acquistino veicoli a trazione elettrica alla condizione che questi siano di produzione nazionale. N� tale condizione pu� ritenersi giustificata ai sensi dell'art. 36 del Trattato CEE, in quanto questo non si riferisce a provvedimenti di natura economica, quali quelli che perseguono scopi di politica energetica o di politica di ricerca e di sviluppo (1). (omissis) 1. -Co~ atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 13 aprile 1984, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso inteso a far dichiarare che la Repubblica italiana, esigendo che le aziende municipalizzate che gestiscono servizi di trasporto pubblico acquistino veicoli di produzione nazionale per fruire dei contributi finanziari contemplati dall'art. 13 della legge 29 maggio 1982, n. 308, � venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 30 del Trattato CEE. 2. -Emerge dal fascicolo che la legge 29 maggio 1982, n. 308, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 154 del 7 giugno 1982, contempla, nell'art. 13, la spesa di 6 miliardi di lire, in ra( 1) La sentenza ribadisce princ�pi consolidati nella giurisprudenza della Corte in materia: per le pronunzie pi� recenti si veda FIUMARA, La libera cir� colazione delle merci nell'ultimo quinquennio di giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunit� europee (maggio 1980-luglio 1985), in questa Rassegna, supra, Il, pag. 1. 246 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gione di 2 miliardi di lire per il 1982 e di 4 miliardi di lire per il 1983, per la concessione di un contributo finanziario nella misura del 20 % del costo del veicolo e dell'impianto di trazione elettrica alle aziende municipalizzate che gestiscono servizi di trasporto pubblico nei comuni con popolazione superiore ai 300.000 abitanti nel caso in cui dette aziende acquistino veicoli per uso urbano a trazione elettrica o mista fabbricati in Italia. 3. -Dopo aver ricevuto un reclamo dell'� Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri�, con sede in Roma, relativamente alla citata disposizione, la Commissione, con lettera 29 novembre 1982, intimava al Governo italiano di presentare le sue osservazioni in merito al provvedimento criticato. Essa riteneva infatti che la condizione alla quale la legge precitata subordi;nava la concessione dei contributi previsti contravvenisse all'art. 30 del Trattato CEE. 4. -Il Governo italiano rispondeva, con lettera 10 febbraio 1983 della Rappresentanza permanente d'Italia presso le Comunit� Europee, che la legge n. 308 perseguiva scopi in materia 9-i politica energetica ed in materia di ricerca e di sviluppo. La legge avrebbe avuto lo scopo di aiutare le aziende municipalizzate ad acquistare veicoli a basso consumo di energia e di orientare in tal modo i costruttori italiani verso la fabbricazione di veicoli di questo tipo. Inoltre, il Governo italiano negava che l'art. 13 della legge suddetta costituisse una misura di effetto equivalente ad Ul1a restrizione quantitativa, sostenendo che detto articolo non aveva lo scopo di realizzare il rinnovamento totale del parco dei veicoli di trasporto pubblico. 5. -La Commissione, ritenendo di non poter modificare il suo punto di vista sulla scorta delle osservazioni presentate dal Governo italiano, emetteva il 2 agosto 1983 un parere motivato in cui invitava la Repubblica italiana ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a detto parere entro un mese dalla notifica dello stesso. Il parere motivato non riceveva risposta. Tuttavia, nel corso delle riunioni che si svolgevano tra le autorit� italiane ed i rappresentanti della Commissione nel luglio e nell'ottobre 1983, le autm�.t� italiane si .impegnavano a sopprimere nella normativa italiana la condizione relativa alla � nazionalit� � dei veicoli destinati ai trasporti pubblici. Tuttavia, la Commissione, non avendo ricevuto notizia alcuna della modifica formale della disposizione criticata, proponeva il presente ricorso. Sulla ricevibilit� 6. -Secondo il Governo italiano, nella fattispecie fa difetto l'interesse ad agire della Commissione ed il ricorso si deve pertanto consi PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 247 derare irricevibile. Esso sostiene che l'art. 13 della legge n. 308 aveva efficacia solamente temporanea e che l'autorizzazione di spesa era valida solo per due anni, cio� per il 1982 ed il 1983. Durante questo periodo nessun contributo sarebbe stato erogato, n� sarebbe possibile erogarne dopo la scadenza del periodo di efficacia della legge, di modo che si potrebbe affermare che la legge � rimasta praticamente inoperante. Peraltro, per il periodo successivo sarebbe stato approntato un nuovo disegno di legge che non contiene pi� la disposizione criticata. Si dovrebbe pertanto escludere che il provvedimento venga rinnovato. 7. -La Commissione osserva come non sia assodato che l'art. 13 della legge n. 308 abbia veramente esaurito tutti i suoi effetti. Non sarebbe escluso che, in base a detto articolo, possano essere ancora erogati contributi in relazione a domande presentate nel 1982 o nel 1983. 8. -L'argomento del Governo italiano non pu� essere accolto. Infatti, occorre in primo luogo constatare che il parere motivato � stato emesso durante il periodo cui si riferiva l'art. 13 della legge n. 308 e che il Governo italiano non ha adottato provvedimenti per conformarsi ad esso nel termine fissato. Il periodo di tempo trascorso tra la fine del periodo cui si riferiva detta legge ed il presente ricorso non pu� indurre a considerare che la Commissione non abbia pi� un interesse attuale a ricorrere. Come emerge dalla sentenza della Corte 7 febbraio 1973 (causa 39/72, Commissione c. Repubblica italiana, Racc. pag. 101), l'oggetto del ricorso proposto a norma dell'art. 169 � determinato dal parere motivato della Commissione e, pure nel caso in cui l'inosservanza sia stata sanata dopo la scadenza del termine stabilito a norma del 2� comma dello stesso articolo, sussiste l'interesse alla prosecuzione del giudizio. 9. -In secondo luogo, non � possibile affermare che la legge n. 308 rester� inoperante. Il Governo italiano dichiara nelle risposte ai quesiti della Corte che, delle undici domande di accesso al contributo di cui all'art. 13 della legge n. 308 che sono state presentate, nove erano formulate come pure dichiarazioni di intenzione ad acquistare i veicoli, e non hanno avuto seguito, mentre le altre due devono essere considerate � archiviate � poich� non si � provveduto a completare la documentazione richiesta per la concessione del contributo. Tuttavia, alla udienza, il Governo italiano non ha potuto escludere che l'art. 13 possa ancora produrre effetti per quanto riguarda queste due ultime domande, le quali, pertanto, non si possono ancora considerare respinte. Di conseguenza, non si pu� concludere che la legge n. 308 non avr� alcun effetto e l'interesse alla declaratoria della sua incompatibilit� col Trattato sussiste quindi anche sotto tale profilo. Come risulta dalla giurisprudenza della Corte, questo interesse pu� consistere nello stabi RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO lire il fondamento di una responsabilit� eventualmente incombente allo Stato membro, a causa dell'inadempimento, nei confronti, in particolare, di coloro che facciano valere dei diritti in conseguenza di detto ina� dempimento (sentenze 7 febbraio 1973, precitata, e 20 febbraio 1986, causa 309/84, Commissione c. Repubblica italiana, non ancora pubblicata). 10. -L'eccezione sollevata dalla convenuta deve pertanto essere respinta. Nel merito 11. -La Commissione sostiene che l'art. 13 della legge n. 308 deve essere considerato misura di effetto equivalente ad una restrizione quan� titativa in quanto incita all'acquisto di veicoli di produzione nazionale. Infatti, le aziende che gestiscono servizi di trasporto pubblico di inte� resse regionale potrebbero fruire del contributo solo acquistando veicoli fabbricati in Italia. In tal modo, i veicoli d'origine straniera sarebbero discriminati. Inoltre, la Commissione ricorda in questo contesto la di� rettiva 22 dicembre 1969, n. 70/50 (G. U. 1970, n. L 13, pag. 29), che nel� l'art. 2, n. 3, lett. k), qualifica misure di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa le disposizioni �che impediscono l'acquisto da parte dei privati dei soli prodotti importati, o incitano all'acquisto dei soli prodotti nazionali o impong�mo tale acquisto oppure gli accordano una preferenza �, e, nel secondo punto del preambolo, precisa che � per incitamento s'intende ogni atto posto in essere da un'autorit� pubblica, il quale, pur non vincolando giuridicamente i destinatari, ne determina un dato comportamento�. 12. -La Commissione aggiunge che la condizione cui � subordinata l'erogazione dei contributi non � necessaria n� allo scopo n� al fun. zionamento dei contributi stessi. Osserva che lo scopo consistente nella costituzione di un parco-veicoli a minor consumo di energia pu� essere raggiunto senza che sia necessario subordinare la fruizione del contri� buto all'acquisto di veicoli di fabbricazione nazionale. Nemmeno il se� condo scopo, cio� lo sviluppo della fabbricazione da parte delle case costruttrici italiane di veicoli a minor consumo di energia, renderebbe necessaria la predetta condizione. Infatti, qualora venisse offerta alle imprese di trasporto la possibilit� di acquistare, alle stesse condizioni di finanziamento, anche veicoli fabbricati in altri Stati membri, ci� non potrebbe che indurre i costruttori italiani a sviluppare la fabbricazione di veicoli in grado di competere con la produzione estera. 13. -Durante la fase orale del procedimento il Governo italiano ha svolto vari argomenti a sua difesa. ! 1 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTER."<AZIONALE 249 14. -In primo luog�, esso sostiene che i destinatari del provvedimento di incentivazione costituiscono una categoria ristretta di opera� tori e che gli acquisti da incentivare non riguardano merci esistenti sul mercato, ma prodotti sperimentali. L'entit� complessiva del finanziamento dimostrerebbe che i contributi non mirano al rinnovamento del parco-veicoli delle aziende di trasporto municipalizzate, bens� alla realizzazione, da parte delle imprese costruttrici, su commessa delle aziende di trasporto, di veri e propri prototipi di veicoli. 15. -In secondo luogo, il Governo italiano deduce che le condizioni cui � subordinato l'acquisto di prototipi di veicoli nazionali posseggono di per s� le caratteristiche oggettive di un aiuto, il che implicherebbe una valutazione con riguardo agli artt. 92 e 93 del Trattato e non alla luce dell'art. 30 del Trattato. 16. � Infine, il Governo italiano sostiene che il precitato art. 2, n. 3, lett. k), della direttiva 22 dicembre 1969, invocato dalla Commissione, si riferisce esclusivamente ai privati ed implica che tutti gli operatori del mercato siano interessati. Detta disposizione non sarebbe quindi pertinente nella fattispecie in quanto, in primo luogo, i destinatari del provvedimento di cui trattasi sarebbero venti al massimo, cio� soltanto le aziende di trasporto pubblico urbano che esercitano la loro attivit� nelle citt� con popolazione superiore ai 300.000 abitanti, e, in secondo luogo, i prodotti interessati sarebbero prodotti sperimentali e non merci esistenti sul mercato. 17. -A proposito di questi argomenti occorre osservare quanto segue. 18. -Il primo argomento, che si risolve essenzialmente nel sostenere che il provvedimento nazionale di cui trattasi ha una portata econo� mica relativamente ridotta e pertanto non costituisce in realt� un ostacolo per la libera circolazione delle merci, non pu� essere accolto. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, ogni normativa �commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indi� rettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari dev'essere considerata misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative. Anche se l'art. 13 della legge n. 308 potesse essere considerato come un provvedimento di importanza economica relativamente scarsa -il che � da escludere, dato che il contributo � concesso nella misura del 20 �0i del prezzo d'acquisto di un veicolo e pu� incidere sugli scambi tra gli Stati membri tenuto conto delle cospicue somme disponibili -occorre invero ricordare che, come la Corte ha affermato pi� volte, un provvedimento nazionale non � sottratto al divieto di cui all'art. 30 per il solo fatto che l'ostacolo frapposto all'importazione � di poco conto e che esistono altre possibilit� di smerciare i prodotti importati (sen11111111111,11111111r~: r11Pt11111111111111111J1111�l1��1��� RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 250 tenze 5 aprile 1984, cause riunite 177 e 178/82, van de Haar ed altri, Racc. pag. 1797, e 14 marzo 1985, causa 269/83, Commissione c. Repubblica francese, non ancora pubblicata). 19. -Quanto a stabilire se i contributi contemplati dalla legge n. 308 possano eventualmente essere considerati come un aiuto ai sensi dell'art. 92 del Trattato, si deve rilevare, in primo luogo, che detto provvedimento non � stato mai notificato alla Commissione come aiuto. In secondo luogo, come la Corte ha sottolineato nella sentenza 7 maggio 1985 (causa 18/84, Commissione c. Repubblica francese, non ancora pubblicata), l'art. 92 non pu� in nessun caso servire ad eludere le norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci. Emerge dalla costante giurisprudenza della Corte che le norme relative. alla libera circolazione delle merci e quelle relative agli aiuti perseguono uno scopo comune, quello di garantire la libera circolazione delle merci fra Stati membri in condizioni normali di concorrenza (sentenze 22 marzo 1977, causa 74/76, Iai:melli & Volpi, Racc. pag. 557, e 7 maggio 1985, sopra citata). Pertanto, come la Corte precisa ancora in quest'ultima sentenza, il fatto che un provvedimento nazionale possa essere eventualmente qualificato aiuto ai sensi dell'art. 92 non costituisce un motivo sufficiente per sottrarlo al divieto di cui all'art. 30. Di conseguenza, l'argomento che la Repubblica italiana desume dalla normativa comunitaria in materia di aiuti non pu� essere accolto. 20. -Quanto all'applicabilit� dei criteri stabiliti dalla direttiva n. 70/50, occorre rilevare che, come emerge gi� dalla lettera dell'art. 2, n. 3, della direttiva, le misure di effetto equivalente ivi elencate sono menzionate� con valore esemplificativo. Inoltre, la direttiva n. 70/50 deve essere interpretata alla luce dell'art. 30 del Trattato e non pu� essere invocata per eludere lo scopo enunciato da detto articolo e alla cui realizzazione mira anch'essa. L'argomento della Repubblica italiana fondato sulla direttiva 22 dicembre 1969 dev'essere pertanto disatteso. 21. -Per quanto riguarda l'eventuale applicabilit� dell'art. 36 del Trattato, la Commissione osserva -e la Repubblica italiana non lo contesta, pur rilevando che, a suo avviso, il sistema di erogazione dei contributi di cui trattasi dev'essere giudicato innanzitutto con riguardo all'art. 92 del Trattato -che l'art. 36 non pu� essere invocato nella fattispecie per giustificare il criticato provvedimento mediante argomenti di politica energetica o di politica di ricerca e di sviluppo poich� detto articolo si r.iferisce a provvedimenti di natura non economica. 22. -Su questo punto, occorre ricordare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, innanzitutto l'art. 36 del Trattato dev'essere interpretato restrittivamente e le eccezioni da esso enumerate non possono essere estese a casi diversi da quelli limitativamente contem PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 251 plati, e, inoltre, il predetto articolo contempla ipotesi di natura non eoonomica (sentenze 19 dicembre 1961, causa 7 /61, Commissione c. Repubblica italiana, Racc. pag. 619, e 7 febbraio 1984, causa 238/82, Duphar c. Stato olandese, Racc. pag. 523). 23. -Orbene, secondo le spiegazioni fornite dalla Repubblica italiana nel corso del procedimento dinanzi alla Corte, l'art. 13 della legge n. 308 persegue due scopi di natura economica, tanto in materia di politica energetica quanto in materia di politica di ricerca e sviluppo. Pertanto, l'art. 36 del Trattato non pu� trovare applicazione. 24. -In base a quanto sopra considerato, e sulla scorta della giurisprudenza della Corte, in particolare della sentenza 11 dicembre 1985 (causa 192/84, Commissione c. Repubblica ellenica, non ancora pubblicata), il provvedimento italiano di cui trattasi, poich� incita all'acquisto di veicoli di produzione nazionale, dev'essere qualificato misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa vietata dall'art. 30 del Trattato. 25. -Si deve pertanto constatare che la Repubblica italiana, esigendo che le aziende municipalizzate che gestiscono servizi di trasporto pubblico acquistino veicoli di produzione nazionale per fruire dei contributi finanziari contemplati dall'art. 13 della legge 29 maggio 1982, n. 308, � venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 30 del Trattato CEE. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sez. III, 12 giugno 1986, nelle cause riunite 98, 162 e 258/85 -Pres. Everling -Avv. Gen. Mischo -Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Pretore di Roma nelle cause M. Bertini ed altri. c. Regione Lazio e Unit� sanitarie locali R.M. � 30 ed altre -Interv.: Governi italiano (av. Stato Conti) e belga (avv. Herbert) e Commissione della C.E. (ag. Berardis e Pieri). Comwtit� europee -Libera circolazione dei lavoratori -Medici -Numero chiuso nelle facolt� di medicina. (Trattato CEE, artt. 3 e 57). Nessuna norma del diritto comunitario impone .agli Stati membri l'obbligo di limitare il numero degli studenti ammessi alle facolt� di medicina mediante l'istituzione del sistema del numero chiuso (1). (1) L'art. 177 del Trattato affida alla Corte il compito, non di esprimere semplici pareri su questioni generali o ipotetiche, ma di contribuire alla amministrazione della giustizia negli Stati membri, risolvendo problemi di 252 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) 1. -Con tre ordinanze, in data 2 aprile, 9 maggio e 13 giugno 1985, pervenute in cancelleria rispettivamente il 16 aprile, il 29 maggio e il 20 agosto 1985, il Pretore di Roma ha sottoposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiu diziale vertente sull'interpretazione degli artt. 3, lett. e), e 57, n. 3, del Trattato CEE, nonch� delle direttive comunitarie sulla libera circolazione dei medici, al fine di stabilire se dette norme impongano agli Stati membri l'obbligo di limitare il numero degli studenti ammessi alle facolt� di medicina tramite l'adozione del sistema del numero chiuso. 2. -Detta questione � stata sollevata nell'ambito di controversie tra alcuni medici, che hanno lavo:rato per pi� anni in qualit� di medici convenzionati nel servizio di guardia medica, ed i loro datori di lavoro, cio� la Regione Lazio e varie Unit� Sanitarie Locali. Le controversie vertono sulla risoluzione dei contratti di lavoro di detti medici. 3. -Il Pretore di Roma ha provvisoriamente sospeso le decisioni di risoluzione dei contratti adottate nei confronti dei medici ricorrenti nella causa principale, nell'attesa che la Corte si pronunzi sulla seguente questione sottopostale: � �Se l'art. 3, lett. c), e l'art 57, n. 3, del Trattato di Roma istitutivo della Comunit� Economica Europea comportino per tutti gli Stati mem diritto comunitario effettivamente e necessariamente pregiudiziali alla definizione di una concreta controversia. �, quindi, indispensabile che il giudice nazionale, al fine di consentire alla Corte di verificare la propria competenza e di evitare ogni indebita utilizzazione del procedimento ex art. 177 a fini diversi da quelli che gli sono propri, chiarisca adeguatamente i motivi per i quali ritiene necessaria alla definizione della controversia la soluzione della questione proposta. Cfr., in particolare::, la sentenza 16 dicembre 1981, nella causa 244/80, FOGLIA c. NOVELLO, citata nella motivazione della sentenza annotata, e pubblicata in questa Rassegna, 1982, I, 61; nonch� le sentenze 11 marzo 1980, nella causa 104/79, FOGLIA c. NOVELLO, ibidem, 1980, I, 521, con nota di MARZANO, L'art. 177 del trattato CEE e la �competenza� della Corte di giustizia della C.E., e 16 giugno .1981, nella causa 126/80, SOLONIA, in Racc., 1981, 1563. Orbene, nel caso di specie, nessun chiarimento era stato fornito dal Pretore di Roma circa i motivi che avrebbero reso necessaria la soluzione del quesito proposto. N�, certo, tali motivi risultavano per implicito dal contesto dell'ordinanza, ch� anzi, al contrario, risultava evidente l'assenza di qualunque relazione fra la pronuncia richiesta (sulle condizioni di accesso alle facolt� mediche) e il vero oggetto della causa principale (concernente medici gi� abilitati all'esercizio della professione). La Corte ha ritenuto, cionondimeno, ricevibile la domanda . pregiudiziale per ragioni di economia processuale, non mancando per� di sottolineare l'incongruit� della motivazione e le perplessit� sulla pertinenza, rispetto alla causa principale, dei quesiti posti nell'ordinanza di rinvio. Quanto al merito, la Corte ha affermato -nel senso proposto dai Gover1.1i intervenuti e dalla Commissione -che nessuna norma o principio di diritto PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E IN�'ERNAZIONALE 253 bri l'obbligo cli predeterminare condizioni di accesso agli studi universitari cli meclieina che garantiscano: -un livello di formazione corrispondente ai criteri di qualit� fissati dalle Direttive Comunitarie ed a quelli indicati dal Comitato consultivo per la formazione professionale; -il corretto svolgimento dell'esercizio professionale nell'ambito delle regole della deontologia a garanzia delle quali � necessario che i medici disponibili siano adeguati al fabbisogno. Se, in particolare, la Corte di giustizia ritenga conforme e compatibile con le clausole e gli obiettivi del Trattato di Roma e delle Direttive Comunitarie sulla libera circolazione dei medici l'assenza di qualsiasi predeterminazione o programmazione del numero degli studenti ammissibili alle Facolt� di Medicina rispetto alle capacit� didattiche delle Facolt� medesime. Se pertanto la generalizzazione a tutti i Paesi membri del numero programmato -gi� esistente in 8 su 10 Paesi membri -non costituisca una misura indispensabile e quindi un obbligo degli Stati membri per l'applicazione del Trattato e delle Direttive per la libera circolazione �. comunitario impone agli Stati membri di limitare il numero degli studenti ammessi alla facolt� di medicina mediante l'istituzione del sistema del numerus clausus. Invero -era stato puntualizzato nelle osservazioni scritte presentate <lal Governo italiano alla Corte -l'art. 3, lett. e) del Trattato CEE pone alla Comunit� l'obiettivo della eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e dei servizi. Tra tali ostacoli non pu� certo annoverarsi la libert� di accesso ai vari corsi di formazione professionale. L'art. 57, d'altra parte, allo scopo di attuare il principio fissato dall'art. 3, lett. e), prevede il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli, nonch� il coordinamento delle disposizioni relative all'accesso alle attivit� non salariate e all'esercizio di queste (par. 1 e 2). Aggiunge, poi, al paragrafo 3, che � per quanto riguarda le professioni mediche, paramediche e farmaceutiche, la graduale soppressione delle restrizioni sar� subordinata al coordinamento delle condizioni richieste per il loro esercizio nei singoli Stati membri �. � chiaro, quindi, che l'art. 57 non pone direttamente alcuna norma e principio rilevante in tema di accesso alle facolt� mediche. Esso si limita a richiedere il coordinamento delle condizioni richieste per l'esercizio, tra l'altro, della professione di medico, ma � evidente che da ci� non potrebbe desumersi alcun vincolo per gli Stati membri in materia di ordinamento e disciplina degli studi univ~rsitari. Quanto, poi, alle direttive adottate in materia dal Consiglio, il loro esame conferma l'assenza di qualunque disposizione concernente le condizioni di accesso ai corsi universitari di medicina. La direttiva del 16 giugno 1975, n. 75/363/CEE (in G. U. C. E. n. L 167 del 30 giugno 1975, pag. 14) attua il coordinamento delle disposizioni concernenti RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 254 4. -Emerge dal fascicolo che le cause principali si collocano in un contesto generale caratterizzato, da un lato, dal numero elevato in Italia di giovani medici in cerca di lavoro e dalle possibilit� limitate, per loro, di esercitare la professione e, dall'altro, dall'assenza di una limitazione del numero degli studenti di medicina ammessi alle universit� italiane. 5. -L'Unit� Sanitaria Locale RM (Roma) 11, i Governi italiano e belga e la Commissione hanno formulato dubbi sulla competenza di questa Corte a risolvere la questione sottopostale, richiamandosi alla sentenza 16 dicembre 1981 (causa 244/80, Fog1ia c. Novello, Racc. pag. 3045). Essi hanno sostenuto che le condizioni di accesso degli studenti alle facolt� di medicina non possono, sotto alcun profilo, essere pertinenti alle cause principali che vertono sui rapporti contrattuali tra taluni medici ed i loro datori di lavoro. A loro avviso, non si pu� ammettere che la Corte sia chiamata a pronunziarsi su questioni puramente ipotetiche per le quali la causa principale costituisce unicamente un artificioso pretesto. 6. -A questo proposito occorre innanzitutto ricordare che, com'� stato dichiarato nella menzionata sentenza 16 dicembre 1981, al fine di consentire alla Corte di espletare la sua funzione in conformit� al Trattato, � indispensabile che i giudici nazionali chiariscano, nel caso in cui non� risultino inequivocabilmente dal fascicolo, . i motivi per i quali le attivit� di medico. :t> particolarmente significativo il primo � considerando � delle premesse, nel quale si legge che � l'analogia delle formazioni negli Stati membri consente di limitare il coordinamento in questo campo all'esigenza dell'osservanza di norme minime, lasciando, per �il resto, agli Stati membri la libert� di organizzare il proprio insl!gnamento �. Coerentemente con tale indirizzo, la direttiva si limita a richiedere elle l'accesso alle attivit� di medico e l'esercizio di dette attivit� sia subordinato al possesso di un diploma, certificato o altro titolo comprovante l'acquisizione di adeguate conoscenze ed esperienze (art. 1, par. 11); che il ciclo di formazione medica abbia una durata minima di sei anni (art. 1, par. 2); che la ammissione a detto ciclo sia subordinata al possesso di un diploma o certificato che dia accesso agli istituti universitari (art. 1, par. 3). Nessun cenno viene, invece, fatto a limiti numerici per l'ammissione al ciclo. Altre disposizioni, poi, riguardano la formazione dei medici specialisti, e anch'esse non contemplano in alcun modo la fissazione di limiti numerici per l'ammissione ai corsi. N� a diverse conclusioni pu� portare l'esame della direttiva del 16 giugno 1975, n. 75/362/CEE, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi (in G. U. C. E. n. L 167 del 3 giugno 1975, pag. 1). Essa, infatti, concerne esclusivamente coloro che gi� abbiano conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione medica e dalle sue disposizioni nessun vincolo pu� derivare rispetto ad esigenze ed opportunit� del tutto diverse, qual'� quella prospettata nell'ordinanza del Pretore di Roma. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE essi ritengono necessaria alla definizione della controversia la soluzione delle questioni da loro proposte. 7. -� pertanto spiacevole che il giudice nazionale non abbia motivato affatto le sue ordinanze di rinvio, tanto pi� che n� i fascicoli n6 gli antefatti delle oause consentono. di comprendere l'utilit� delle questioni per le sentenze che esso deve emettere. Tuttavia, la Corte ritiene che, nelle circostanze del caso di specie, sarebbe contrario all'economia processuale non rispondere, per questa sola ragione, alle questioni sollevate dal giudice nazionale. 8. -Inoltre, secondo la costante giurisprudenza della Corte, confermata dalla citata sentenza 16 dicembre 1981, � compito del giudice nazionale valutare, alla luce dei fatti di causa, la necessit� di far risolvere una questione pregiudiziale ai fini della decisione finale della controversia. Siffatta valutazione deve essere rispettata anche se, come nella fattispecie, � difficile vedere come le soluzioni chieste alla Corte pos� sano influire sulla decisione delle cause principali. Infine, nulla attesta che dette cause abbiano la natura di uno schema processuale preco stituito. 9. -Quanto al merito delle questioni sollevate dal giudice nazionale, i medici ricorrenti nelle cause principali sostengono che l'instaurazione della libera circolazione per i medici comporta la necessit� di garantire in tutti gli Stati membri una formazione medica di un determinato livello qualitativo e di evitare le discriminazioni e le distorsioni che deriverebbero da una migrazione artificiosa di studenti e di medici. A tale scopo, l'adozione del numero chiuso per l'accesso alle facolt� di medicina, come esistente in quasi tutti gli Stati membri, sarebbe indispensabile. 10. -I Governi italiano e belga e 1a Commissione sottolineano che nella normativa comunitaria in materia non esiste alcuna disposizione relativa alla limitazione dell'accesso alle facolt� �di medicina e che gli Stati membri sono liberi di disciplinare detto accesso nell'ambito delle proprie competenze. L'assenza di limitazione del numero degli studenti ammessi alle universit� non potrebbe ostacolare la libera circolazione dei medici. 11. -A questo proposito, � sufficiente rilevare che n� l'art. 3, lett. e), n� l'art. 57, n. 3, del Trattato CEE cui si richiama il giudice nazionale obbligano gli Stati membri a modificare le normative vigenti nel loro ternitorio per i propri cittadini per quanto attiene all'esercizio delle professioni mediche o alla formazione che vi d� accesso. Obblighi in questo senso potrebbero derivare unicamente da direttive adottate dal 256 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLW STATO Consiglio e intese a coordinare le normative nazionali in materia. Orbene, nessuna norma emanata a tale scopo dal Consiglio riguarda la limitazione del numero di studenti ammessi alle facolt� di medicina 12. -Occorre pertanto rispondere alla questione sollevata dal Pretore di Roma nel senso che nessuna norma del diritto comunitario impone agli Stati membri l'obbligo di limitare il numero degli studenti ammessi alle facolt� di medicina mediante l'istituzione del sistema del numero chiuso. Sulle spese 13. -Le spese sostenute dai Governi della Repubblica � italiana e del Regno del Belgio, nonch� dalla Commissione delle Comunit� Europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento ha il carattere di un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. (omissis} SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 giugno 1986, n. 4275 -Pres. Brancaccio -Rel. Caturani -P. M. Minetti -Soc. Victoria Caff� (avv. Lucisano e Esposito) c. Min. Commercio Estero, Finanze, Bilancio e programmazione economica e Tesoro (avv. Stato Vittoria). Giurisdizione civile � Sentenza amministrativa declinatoria della giurisdizione � Vincolativit� nel successivo processo instaurato innanzi al giudice ordinario -Esclusione. Cambio e valuta -Importazioni -Previo deposito vincolato infruttifero Potere della p.a. -Decreto ministeriale -Natura -Impugnabilit� Giurisdizione amministrativa. La pronuncia, con la quale il giudice amministrativo abbia declinato la propria giurisdizione, non vincola il giudice ordinario, nel caso in cui la stessa controversia sia successivamente proposta davanti a lui. N� lo stesso giudice ordinario pu� vincolare, dichiarando il proprio difetto di giurisdizione, il giudice amministrativo successivamente adito dalle stesse parti per la decisione della stessa controversia (1). Nella materia del commercio con l'estero, il potere dell'autorit� amministrativa di porre a carico degli operatori economici un deposito vincolato infruttifero, in percentuale del valore di merci importate, � posto a tutela di esigenze generali di carattere economico, politico-sociale e valutario; quindi, non � configurabile, in tal caso, l'imposizione di una prestazione patrimoniale, coperta da riserva di legge ex art. 23 Cost. (2), Il decreto ministeriale, con cui viene introdotto l'obbligo di previo deposito vincolato infruttifero, costituisce atto di esercizio di potest� amministrativa discrezionale e, nel caso vi sia su di esso controversia tra le parti, la giurisdizione � del giudice amministrativo (3). (1) In tema di efficacia delle pronunce dei giudici di merito sulla giurisdizione, vedi, oltre le sentenze richiamate in motivazione, in senso conforme alla sentenza in esame, Cass. 30 maggio 1958 n. 1820; Cass. 115 marzo 1960 n. 527; Cass. 2 maggio 1983 n. 3006, in Foro it. 1983, I, 1852 e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 23 ottobre 1986 n. 6221, in Foro it. 1986, I, 3008, con nota di richiami e osservazioni di A. PROTO PISANI. (2-3) La Suprema Corte, con i princ�pi enunciati, ha ribadito la propria puntuale, seppur non recente giurisprudenza: vedi Cass., Sez. Un., 5 maggio RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con i primi due motivi, denunziando violazione delle norme sul giudicato (art. 2909 e art. 324 c.p.c.) in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente si duole che la Corte d'appello di Napoli, avendo deciso che la controversia de qua non rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, non abbia tenuto presente che -avendo il TAR del Lazio con decisione 2 febbraio 1976, declinato la propria giurisdizione sul rilievo che il decreto ministeriale 2 maggio 1974 fu emesso in carenza di potere e quindi in violazione di diritti soggettivi -la statuizione relativa al difetto di giurisdizione del giudice ordinario era preclusa dal giudicato ormai formatosi sia sulla giurisdizione dell'a.g.o. che sul merito della controversia. Le riassunte censure non sono fondate. Le sezioni unite hanno gi� avuto occasione di precisare che ove il giudice amministrativo abbia declinato la giurisdizione, la relativa pronuncia non vincola il giudice ordinario ove la stessa controversia sia poi proposta davanti a lui (sent. nn. 284/65; 2930/62); n� inversamente il giudice ordinario dichiarando il proprio difetto di giurisdizione pu� vinr: colare con una pronuncia in funzione meramente processuale il giudice amministrativo successivamente adito dalle stesse parti per la decisione 1 della stessa controversia (sent. nn. 527/60; 1820/58); deve, pertanto, ~ I ~ escludersi che nel caso in esame il giudice ordinario successivamente adito dalla parte privata in seguito alla pronuncia declinatoria della I ~ giurisdizione da parte del giudice amministrativo trovasse alcun ostacolo ad esaminare la questione di giurisdizione nella precedente pronuncia del T.A.R. del Lazio. Anzi pu� osservarsi che in seguito alle difformi pronunce del giudice ordinario e del giudice amministrativo, si sono precostituite le premesse della denunzia del conflitto negativo di giuri� I sdizione, prevista dall'art. 362 comma 2 n. 1 c.p.c. (sent. 2287/82; 4097/79; I 350/78). ff Con il terzo, il quarto ed il quinto motivo, denunziando violazione r 'i dell'art. 23 della Costituzione, del decreto luogotenenziale 16 gennaio 1946 i n. 12, della legge 22 luglio 1952 n. 1126 si sostiene che la Corte d'appello, i I I incorrendo anche in difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia, � caduta in errore di diritto allorch� ha negato che la controversia insorta tra le parti involgesse la tutela di diritti soggettivi pur trattandosi di provvedimento negativo di prestazioni patrimoniali, senza tener presente che la legge n. 1126/52 stabilisce i limiti entro i quali l'amministrazione pu� imporre all'importatore degli oneri econo- I ! i 1962 n. 902, in Foro it. 1962, I, 896; Cass., Sez. Un., 8 febbraio 1966 n. 406, in Foro it. 1966, I, 1969. I In materia, vedi poi l'importante sentenza 5 febbraio 1986 n. 34 della f Corte Costituzionale, in Foro it. 1986, I, 608. i I I i I I �PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONI! 259 miei che non possono essere separati senza una specifica disposizione legislativa. Le suddette censure sono infondate in base alle seguenti considerazioni. Deve anzitutto escludersi che la impugnata sentenza possa essere sottoposta a critica in questa sede sotto il profilo del difetto di motivazione, il quale, com'� noto, pu� farsi valere, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., come mezzo per la cassazione della pronuncia che si impugna solo per quanto attiene all'accertamento ed alla valutazione dei fatti rilevanti per la decisione e non anche per quanto riguarda l'interpretazione e l'applicazione di norme di diritto e la soluzione di questioni giuridiche, rispetto alle quali il sindacato di legittimit� si esaurisce nel controllo della conformit� al diritto della decisione impugnata. Ci� premesso, non si contesta dalla ricorrente che, in linea di principio, le norme relative all'intervento dello Stato negli scambi privati con l'estero, le quali fissano i criteri e le modalit� dell'intervento, non sono poste a protezione diretta e immediata degli operatori nell'intercambio ma nell'interesse generale, per esigenze prevalentemente valutarie dell'economia nazionale mediante il controllo degli scambi che si attua in forme varie attraverso compensazioni private, scambi bilanciati, affari di reciprocit�, compensazioni generali (alearing) e scambi compensati, onde evitare fuoruscita di valuta pregiata a saldo delle bilance commerciali e assicurare sufficienza di mezzi di pagamento in divise estere a profitto di altre scelte economiche ritenute essenziali e urgenti. L'operatore pu� pertanto, da tali norme trarre solo una protezione indiretta e occasionale che si configura come interesse legittimo (sentenze nn. 902/62; 406/66; 84/68 di cui le prime due rese a Sezioni unite). Si afferma tuttavia dalla ricorrente, riecheggiando una tesi gi� sostenuta senza successo in sede di merito, che il decreto, emanato il 2 maggio 1974 dal ministro per il commercio con l'estero, di concerto con i ministri per le finanze, per il bilancio e la programmazione economica e per il tesoro, con il quale fu istituito l'obbligo del previo deposito vincolato infruttifero per il periodo di 180 giorni presso la Banca d'Italia di somme pari al SO per cento del valore CIF delle merci importate a carico degli operatori economici, � stato emesso in carenza assoluta di potere; quindi deve essere ritenuto lesivo di un diritto soggettivo e come tale va disapplicato dal giudice ordinario. Nella divergenza delle soluzioni che al problema suddetto si � dato in sede di merito (atto emesso in carenza assoluta di potere, per il giudice amministrativo; atto emesso nell'esercizio di un potere, per il giudice ordinario), le Sezioni unite, nel comporre il conseguente conflitto negativo reale di giurisdizione, esprimono il giudizio che ha colto con esattezza il decisum la pronunzia della Corte d'appello allorch� ha escluso che il provvedimento de quo sia stato emesso dal Ministro del 260 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO commercio con l'estero in carenza assoluta di potere, difformemente dal giudizio espresso al riguardo dal T.A.R. del Lazio. La relativa statuizione deve essere tuttavia confermata in questa sede in base ad una serie di considerazioni che non sono coincidenti con l'iter logico seguito dalla Corte d'appello. Deve in primo luogo convenirsi con le valutazioni dei giudici del merito allorch� hanno escluso che il decreto ministeriale di cui si discute possa ricomprendersi tra gli atti politici ai sensi dell'art. 31 del T.U. 26 giugno 1924 n. 1054 e come tale non sarebbe suscettibile di sindacato in sede giurisdizionale. Il provvedimento in questione, pur incidendo, come si vedr�, su molteplici interessi di carattere pubblico non attiene, invero alla tutela dell'interesse complessivo dello Stato nella sua unit�, ma riguarda in modo specifico il settore del commercio con l'estero (cfr. sulla rtozione di atto politico le sentenze delle Sezioni unite nn. 3608/84; 7072/83). Escluso che si tratti� di atto politico, prima di porsi nella logica della impugnata sentenza che, pur riconoscendo che il deposito previo rientr.i tra le prestazioni imposte ex art. 23 Cost. ed � quindi rientrante nella riserva di legge ivi prevista, ha affermato che il decreto ministeriale de quo, imponendo il previo deposito all'importazione di talune merci tra cui il caff�, non ha sconfinato dall'ambito dei poteri che all'autorit� amministrativa sono stati attribuiti dalle leggi in materia, � necessario pregiudizialmente stabilire se in realt� possa ritenersi conforme al sistema giuridico, il principio, implicitamente accolto dalla Corte d'appello, secondo cui il deposito previo di cui al decreto ministeriale 2 maggio 1974 rientra nella nozione di �prestazione patrimoniale imposta � ex art. 23 Cost. ed in quanto tale � coperto da riserva di legge. Vero � che la giurisprudenza della Corte costituzionale, in r�ferimento all'art. 23 Costituzione, adotta una interpretazione estensiva alla cui stregua si afferma che la norma si riferisce non soltanto alle imposte e alle tasse in� senso proprio, ma anche alle altre prestazioni obbligatorie istituite da un atto della pubblica autorit�. Si � pertanto ritenuto che ricadono sotto il vigore dell'art. 23 il cosiddetto �diritto di contratto � a favore dell'Ente risi (sent. n. 4 del 1957); le tasse di occupazione di suolo pubblico (sent. n. 2 del 1962); i contributi a favore dei consorzi di bonifica sotto il profilo che l'obbligo del contributo deriva dalla legge e non da un impegno di carattere contrattuale associativo assunto dai proprietari interessati alla bonifica (sent. n. 55 del 1963); la determinazione delle tariffe telefoniche (sent. n. 72 del 1969), sul riflesso che se l'obbligo di pagare il corrispettivo del servizio presuppone la volont� dell'utente che stipuli il relativo contratto, tale cir-� costanza non giuoca, dal punto di vista in esame, un ruolo determinante, trattandosi di una libert� meramente formale. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 261 Tuttavia, lo spunto per escludere che il previo deposito alla importazione rientri nella nozione di � prestazione imposta � ex art. 23 Cost. si rinviene proprio in una successiva sentenza della Corte costituzionale, la 19 giugno 1973 n. 86, allorch� nel porsi il problema della legittimit� dell'art. 11 d.l. n. 1351/64 conv. in 1. n. 28/65, in materia dj depositi cauzionali alla importazione, in riferimento all'art. 23 Cost., ha mostrato di non ritenere affatto pacifica la inclusione della cauzione nell'area dell'art. 23 e non ha affrontato il relativo problema soltanto perch� -come ha rilevato nella motivazione -anche a voler ritenere che la cauzione di che trattasi rientri tra le prestazioni imposte, la questione di costituzionalit� non appariva fondata, per avere in quella circostanza la legge primaria, anche se integrata dai regolamenti comunitari, comunque compiutamente disciplinato il potere amministrativo. Sviluppando lo spunto contenuto nella menzionata sentenza, va considerato che la tutela di carattere costituzionale che l'art. 23 ha inteso garantire 1alla sfera giuridica individuale nei confronti dell'esercizio dei pubblici poteri trova i limiti della sua estensione nel suo stesso fondamento giuridico, il quale se � molto ampio non pu� estendersi fino a negare spazio ad attivit� pubbliche previste dalla legislazione primaria, non dirette per la stessa conformazione giuridica ad imporre alcunch� alla parte privata, ma volte invece a realizzare scopi di interesse pubblico che per essere perseguiti non possono eventualmente prescindere da un dato onere economico per l'amministrato. Ora il decreto luogotenenziale 16 gennaio 1946 n. 12 attribuisce al Ministro del commercio con l'estero poteri molto ampi per quanto concerne: a) il coordinamento, la esecuzione dei programmi di importazione e di esportazione e la disciplina delle operazioni relative (art. 1 lett. a); b) la disciplina dei movimenti valutari concernenti le importazioni e le esportazioni di merci (art. 1 lett. b). Questi poteri non sono limitati, come afferma la ricorrente, dal fatto che la successiva legge 23 luglio 1~52 n. 1126 abbia specificamente previsto la cauzione alla importazione per i pagamenti anticipati di merce importata. La norma, invero, ha una sua logica nel quadro della finalit� preventiva che ha voluto conseguire per quanto concerne l'effettivo utilizzo delle somme anticipate per il pagamento del prezzo della merce importata. Essa comunque non pu� di per s� costituire impedimento alcuno ad intendere la legge generale anzidetta secondo il suo contenuto molto ampio, specie ove la relativa disciplina la si coordini con il d.l. 6 giugno 1956 n. 476 conv. in 1. 25 luglio 1956 n. 786, che attribuisce allo stesso Ministro il potere amplissii:.o di concedere (e quindi negare) le autorizzazioni per le esportazioni e le imp�rtazioni di merci a fini valutari. 262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Trattasi di un potere amministrativo di ampissime proporzioni il cui esercizio d� vita a provvedimenti nei quali confluiscono molteplici interessi pubblici di carattere economico, politico, sociale e valutario, tutti di primaria importanza per il regolare assetto della vita collettiva del Paese�. L'attribuzione di poteri molto ampi alla autorit� amministrativa nel settore del commercio con l'estero � d'altra parte coerente con la particolare delicatezza dei compiti che il potere esecutivo svolge in materia: spesso si tratta di far fronte con atti di normazione secondaria a situazioni le pi� diverse, difficilmente prevedibili tutte con atti di legislazione primaria. Ed � proprio nel provvedere alle concrete esigenze che il commercio con l'estero richiede, che non pu� escludersi a priori la possibilit� che la manovra economica, ritenuta utile e necessaria nell'interesse generale, presenti un aspetto di carattere pecuniario nel senso che l'amministrato, per condurre a termine la operazione programmata, � soggetto ad un determinato onere economico, che� vale come limite all'iniziativa economica privata per l'utilit� sociale (art. 41 comma 2 Cost.). Se la p.a. in materia di commercio con l'estero, ove le condizioni del mercato lo impongono, ha il potere di negare la importazione di date merci a fini di garanzia valutaria (art. 2 del d.l. n. 476 del 1956), � perfettamente logico e coerente interpretare la legge nel senso che la manovra economica pu� svolgersi anche in un senso meno gravoso per l'amministrato, concedendogli cio� la possibilit� di importare la merce prescelta, sottoponendosi ad un determinato onere economico, di norma di entit� molto modesta, come � accaduto nel caso del decreto ministeriale 2 maggio 1974 (il deposito va infatti restituito all'importatore dopo 180 giorni). Deve, pertanto, affermarsi che, ai fini della ricorrenza della riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. � necessario che sussista un atto di I imposizione, vale a dire un atto della pubblica autorit� che sia emanato per prelevare unilateralmente dal patrimonio del singolo una certa quantit� di ricchezza e trasferirla cos� alla mano pubblica: di fronte ad un atto del soggetto pubblico che pretende come finalit� propria della sua emanazione di imporre al destinatario una prestazione pa I trimoniale, si comprende l'esigenza insopprimibile che sia l'atto di legi! slazione primaria a dettare e precisare l'an e (in alcuni limiti) anche il ! quantum del dovuto. Il fondamento giuridico dell"art. 23� -come si diceva all'inizio I della esposizione -non pu� tuttavia ritenersi senza limiti; esso neI cessariamente deve cadere nelle fattispecie in cui per superiori esigenze � di carattere politico-valutario il legislatore non � in grado di intervenire I ' tempestivamente con norme generali e astratte, ma molto � rimesso alla sensibilit� dell'organo amministrativo agente (al vertice del potere I esecutivo), onde la necessit� logico-giuridica che nell'ampiezza delle attri l I I ' I I \ I PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE buzioni che la legge gli conferisce rientrino altres� le misure economiche ritenute necessarie per orientare in un certo senso il mercato degli scambi con l'estero. Si tratta invero -per quanto concerne il deposito previo -di una restrizione di natura commerciale avente non gi� la finalit� di far affluire, sia pure temporaneamente, nelle casse dello Stato date somme di danaro, ma di porre un freno alle importazioni ed al loro aumento indiscriminato a tutela di complesse esigenze economiche, politiche e valutarie del Paese. D'altra parte, anche per quanto concerne il profilo dell'onere economico per l'importatore, il provvedimento non si .sottrae al controllo del giudice amministrativo ove non si adegui ai canoni della logicit� e della coerenza che devono sempre caratterizzare l'azione amministrativa in special modo quando l'atto della pubblica autorit� incide per le sue finalit� sul patrimoni� dell'amministrato. � significativo, infine, per i fini considerati nel presente giudizio, che il decreto ministeriale in questione, adottato in un primo tempo in base all'art. 109 del trattato di Roma, � stato portato all'esame degli organi della e.E.E. e la Commissione, con decisione dell'S maggio 1974, ha autorizzato lo Stato italiano ad adottare la accennata misura di salvaguardia al fine di riequilibrare i nostri conti con l'estero e di ridurre le importazioni. Alla stregua di quanto precede, deve quindi concludersi nel senso che il decreto ministeriale di cui si contende inipinge in materie (quella del commercio con l'estero intimamente connessa con quella valutaria) nelle quali amplissimi sono i poteri devoluti all'autorit� amministrativa in forza del decreto luogotenenziale n. 12 del 1946 e del d.l. n. 476 del 1956, e tra questi poteri rientra la misura di salvaguardia consistente nel previo deposito temporaneo alla importazione. Il decreto ministeriale 2 maggio 1974 � stato pertanto emanato nell'esercizio di un potere. che la legge attribuisce alla autorit� amministrativa onde la controversia insorta tra le parti rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, come rettamente ritenuto dalla impugnata sentenza. SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 giugno 1986, n. 4104 -Pres. Bologna � Rel. Di Salvo � P. M. Minetti (conf.) -Finanze (avv. Stato Laporta) c. Fallimento Marazzi. Tributi erariali indiretti -Pene pecuniarie -Fallimento -Infrazioni com� messe anteriormente alla sentenza di fallimento -Provvedimento sanzionatorio successivo -Ammissibilit� al passivo fallimentare Sussiste. (L. 7 gennaio 1929 n. 4, art. 3; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 21 e 41). Il provvedimento con il quale l'Amministrazione finanziaria irroga la sanzione pecuniaria per violazioni alla legge sull'IVA (d.P.R. 26 otto� bre 1972 n. 633) ha natura dichiarativa e non costitutiva in quanto con esso la P.A. si limita ad evidenziare l'esistenza di presupposti gi� verificatisi e non esercita alcun potere discrezionale. Ne consegue che i cre� diti tributari per pene pecuniarie accertati successivamente alla dichia� razione di fallimento, ma per fatti commessi anteriormente alla stessa, possono essere ammessi al passivo fallimentare (1). Con l'unico motivo del ricorso l'Amministrazione delle finanze dello Stato denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della 1. n. 4 del 1929, nonch� degli artt. 21 ss., in relazione agli artt. 41 ss. del d.P.R. n. 633 del 1972. Rileva che l'obbligazione di pagare allo Stato una somma a titolo di pena pecuniaria sorge, a carico del trasgressore, per effetto dell'infrazione e nel momento in cui questa � commessa e che, correla( 1) In senso conforme e relativamente a pene pecumane relative a tributi IV A Cass. 13 settembre 1983 n. 5552 citata in motivazione in questa Rassegna 1983, I, 949, nonch� Cass. 29 maggio 1984 n. 3237 e Cass. 19 marzo 1984 n. 1867. La sentenza risulta pubblicata altres� su Foro it. 1986, I, 2760 e su Giuri� sprudenza delle Imposte, 1986, 880 con nota contraria di A. BERLIRI. Sull'ammissibilit� dell'insinuazione al passivo dei crediti per pene pecuniarie v. A. Rossi �L'ammissione nel passivo fallimentare dei crediti per imposte e sanzioni pecuniarie dopo la riforma tributaria � in Giurisprudenza commerciale 1984, 343, nel quale l'autore, dopo aver aderito all'opinione che nega la natura discrezionale del provvedimento sanzionatorio, e quindi affermato l'opponibilit� del credito alla massa fallimentare, affronta il diverso problema dell'ammissibilit� nel passivo fallimentare di crediti per sanzioni pecuniarie non definitive, relative ad imposte dirette ed indirette, optando per la soluzione negativa. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE tivamente, il procedimento sanzionatorio ha natura dichiarativa e non costitutiva sicch� il momento della liquidit� e della esigibilit� della pena pecuniaria nulla ha a che vedere con il momento del sorgere della relativa infrazione. Il ricorso � fondato. Sulle questioni proposte questa Corte ha avuto gi� occasione di pronunciarsi in altre identiche controversie (Cass. 1983 n. 5552; 1984 n. 3273; 1984 n. 1867). Le considerazioni che hanno condotto al rigetto delle tesi critiche (allora prospettate ed oggi riproposte dal fallimento resistente) sono pienamente condivise dal collegio, il quale nel farle proprie, ne ribadisce la validit�. Questa Corte ha gi� affermato il principio che anche in tema di violazione delle norme sull'IVA, il procedimento sanzionatorio ed il conseguente atto irrogativo della sanzione pecuniaria hanno la funzione di accertare nei suoi termini anche quantitativi una obbligazione pecuniaria collegata ad un fatto costitutivo precedente (costitutivo dell'illecito tributario) e che, se tale fatto � anteriore al fallimento dell'autore della violazione, il relativo credito dello Stato � ammissibile al concorso dei creditori nella procedura fallimentare. A tale conclusione si perviene, sia esaminando la natura dell'accertamento tributario, sia accertando la natura del provvedimento irrogativo della sanzione pecuniaria e del relativo credito. In ordine all'accertamento tributario la corte di merito afferma la natura costitutiva dello stesso argomentando da due sentenze di questa Corte (1963 n. 2293; 1973 n. 849) la cui estraneit� al tema in discussione � stata gi� posta in luce con la sentenza 1983 n. 5552 e sulla quale non occorre ulteriormente soffermarsi. L'accertamento tributario ha, quindi, natura dichiarativa perch� con esso l'Amministrazione finanziaria si limita ad evidenziare l'esistenza di presupposti gi� verificatisi al solo fine di precisare in term,ini quantitativi gli effetti giuridioi scaturiti da quei presupposti e da essa non modificabili trattandosi di materie sottratte alla sua disponibilit�. Inoltre � da porre in evidenza che nel regime instaurato con la riforma tributaria del 1972 e 1973, vige, anche per le imposte personali, le quali corrispondono a quelle che anteriormente erano qualificate � imposte con accertamento�, il sistema dell'autoaccertamento e dell'autotassazione, rispetto a cui il successivo eventuale accertamento dell'amministrazione ha, in definitiva, la funzione di verifica della regolarit� formale e sostanziale degli adempimenti imposti al contribuente, e, in caso di inadempimento da parte di quest'ultimo, di dichiarare gli effetti che la legge ricollega alla fattispecie assunta come presupposto dell'imposta. Non vi �, quindi, dubbio che, ove il problema dovesse essere risolto in base alla natura dell'accertamento tributario, la data di riferimento, ai fini del giudizio sull'anteriorit� del credito per la sanzione 266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pecumana rispetto al fallimento, dovrebbe essere quella dell'infrazione e non quella dell'irrogazione della sanzione. Ci� vale anche ai fini dell'IVA, in quanto il d.P.R. 633/1972 prevede specifiche forme di autoaccertamento ed autotassazione e prevede (ti� tolo IV) attribuzioni e poteri dell'ufficio in funzione di controllo delle dichiarazioni del contribuente. � In ordine al provvedimento irroga1livo della sanzione pecuniaria ed al credito nascente dalla violazione degli obblighi imposti dal citato d.P.R. n. 633 va posto in luce che, avendo riguardo a tali elementi e prescindendo dalla problematica relativa all'accertamento del tributo, si perviene all� stessa conclusione. Ai fini dell'indagine occorre preliminarmente richiamare il principio secondo cui un credito si considera anteriore al fallimento e, quindi, ammissibile al concorso dei creditori se il relativo fatto costitutivo (contratto, fatto illecito, atto o fatto idoneo a produrlo) si sia concretato prima della data della sentenza dichiarativa di fallimento e che a questi fini non ha alcuna rilevanza la circostanza che il credito sia, II ~ prima di tale data, liquido ed esigibile. In base a tale prospettiva �risulta evidente che il credito erariale, derivante dalla sanzione pecuniaria inflitta, trova la propria origine in un comportamento commissivo ed omissivo del contribuente che diventa giuridicamente rilevante, come fatto costitutivo della ragione di credito, nello stesso momento in cui � stato posto in essere. L'art. 51 del d.P.R. 633 del 1972, infatti, attribuisce all'ufficio il ' I .potere dovere d'irrogare la sanzione nell'ambito della predetta potest� I pubblica di controllo della dichiarazione del contribuente; di conseguenza, il provvedimento irrogativo della sanzione non � che la constatazione degli effetti di un comportamento anteriore e la determinazione ili quantitativa delle conseguenze patrimoniali derivate a carico dell'autore �i; della violazione. Soltanto a tale determinazione si riferisce il margine di discrezionalit� che l'art. 49 del d.P.R. 633/1972 attribuisce all'ufficio, mentre esso non attiene all'obbligazione in s�. Perde cos� ogni consistenza l'argomento principe addotto dalla impugnata sentenza a favore del carattere costitutivo del provvedimento che irroga la sanzione pecuniaria, il quale, come si � detto, fa leva su tale discrezionalit� asserendo che essa ha una latitudine molto ampia. L'argomento, non privo di suggestione, in quanto fa leva sulla originaria indeterminatezza della pena pecuniaria (la quale per questo suo carattere si differenzia dalla sopratassa che si concreta attraverso un calcolo matematico in una somma fissa) non � per� decisivo in quanto non tiene conto delle modalit� attraverso cui deve esplicarsi il potere sanzionatorio della P.A. L'esercizio di questo potere non implica in realt� alcuna discrezionalit� amministrativa, in quanto l'ufficio non gode di alcuna libert� PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE di scelta, non pu� determinare la sanzione secondo criteri di convenienza, n� pu� procedere ad alcuna ponderazione degli interessi coinvolti; la potest�-funzione deve, nel procedimento che porta alla irrogazione della sanzione, svolgersi secondo canoni precisi, essendo governata dal principio di legalit�. La situazione giuridica determinata dall'atto conclusivo del procedimento converge e si innesta necessariamente nella situ�zione giuridica preesistente in quanto l'atto irrogativo della sanzione produce i propri effetti solo in quanto la violazione dell'obbligo preesiste nella realt� giuridica; il provvedimento sanzionatorio si limita a dare attuazione alla volont� della legge specificandone soltanto il contenuto. La difesa del fallimento invoca, in contrario, la possibilit� di non irrogare la sanzione; anche questo argomento non � per� significativo perch� tale facolt� non � attribuita all'ufficio tributario, bens� agli organi giurisdizionali del contenzioso i quali, a norma dell'art. 48 ultimo comma del d.P.R. 1972 n. 633, possono dichiarare non dovute le pene pecuniarie quando la violazione � giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito d'applicazione delle disposizioni �alle quali si riferisce; tale facolt�, non conferita all'amministrazione, non si risolve in una valutazione di carattere discrezionale amministrativo. Il giudice tributario esercita soltanto un potere di accertamento sulla ricorrenza delle precise condizioni cui la legge ricollega l'effetto giuridico della non applicabilit� della sanzione (potere , esteso alle altre imposte dall'art. 39 bis del d.P.R. 1981 n. 739), mentre difetta qualsiasi scelta discrezionale circa l'opportunit� di applicare la pena; la relativa indagine si esaurisce, infatti, nel dichiarare se sussiste in concreto l'obiettiva condizione di incertezza sulla interpretazione della norma. Risulta, quindi, chiaro che l'Amministrazione finanziaria, nell'irrogare la sanzione, ha soltanto il potere di determinar.e in concreto la pena tra il .minimo ed il massimo previsto dalla legge con una statuizione che, in quanto attinente al merito amministrativo, � sindacabile solo dalle commissioni tributarie di I e II grado (artt. 16, 26, 29, 40 d.P.R. n. 636/1972) e non dal giudice ordinario (Cass. S.U. 1978 n. 928). Gli altri momenti del procedimento costituiscono atti di mero accertamento che, in quanto tali, si limitano a specificare il contenuto dell'obbligazione preesistente. Dalle precedenti considerazioni risulta che la struttura della fattispecie, che emerge dalla commissione di una violazione degli obblighi tributari, � caratterizzata dalla esistenza di un fatto idoneo a produrre l'obbligazione, il quale si risolve nella consumazione dell'illecito tributario nel momento in cui � avvenuta la lesione dell'interesse protetto con la sanzione pecuniaria. In tale momento sorge il diritto dello Stato ad ottenere il pagamento della sanzione ed il corrispondente obbligo del trasgressore; il procedimento amministrativo previsto ai fini del 268 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO l'irrogazione della sanzione esplica solo la funzione di rendere liquido ed esigibile un credito gi� esistente. La tesi accolta � ulteriormente confortata dall'art. 17 della I. 7 gen� naio 1929 n. 4 richiamato dall'art. 75 del d.P.R. n. 633/1972 secondo cui il diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive in cinque anni decorrenti dalla data della commessa infrazione. La norma richiamata � espressione di un principio generale secondo cui il fatto costitutivo del diritto di credito derivante dalla irrogazione della sanzione pecuniaria sorge con il comportamento commissivo ed omissivo del contribuente il quale � assunto dalla legge come elemento costitutivo della fattispecie sanzionataria e come presupposto delle conseguenti obbligazioni patrimoniali. Una disciplina pi� specifica � contenuta nell'art. 58 del d.P.R. 633/1972, il quale (III comma), con riferimento alle infrazioni che non danno luogo a rettifica o accertamento, fa decorrere il termine per la notifica del provvedimento d'irrogazione della sanzione dall'anno in cui � avvenuta la violazione; analogamente, per quanto riguarda le violazioni che danno luogo a rettifica o ad accertamento (art. 58, II comma coordinato con l'art. 57), si fa riferimento all'anno I in cui la dichiarazione del contribuente � stata o avrebbe dovuto j essere presentata. Tali norme, anche se prevedono una decorrenza piut I tosto che una prescrizione del credito, indicano che il potere del" ' i l'Amministrazione d'irrogare la sanzione si risolve nella constatazione ~ formale della rilevanza di un fatto anteriore e nella determinazione p i degli effetti che la legge vi ricollega. Un diverso argomento, valorizzato dalla sentenza impugnata e dalla difesa della resistente, per sostenere la natura costitutiva dell'atto I I i d'irrogazione della pena pecuniaria � dedotto dall'art. 61 del d.P.R. n. 633 del 1972 il quale disciplina il decorso degli interessi stabilendo che essi sono dovuti dal sessantesimo giorno successivo alla notificazione deli i l'avviso, della sentenza o della decisione. Da tale disposizione si vuole II trarre la conseguenza che il legislatore ha voluto recidere ogni collegamento del credito con il momento dell'infrazione. L'argomento non � per� idoneo a smentire e superare tutte le considerazioni precedentemente svolte in ordine alla interpretazione delle I norme che regolano gli istituti intorno ai quali si controverte. La decorrenza degli interessi dal momento della irrogazione della sanzione, anzich� da quello della connessa infrazione, � frutto di una scelta di politica legislativa che non ha Voluto porre a carico del contribuente gli interessi relativi ad un periodo nel quale egli, non essendo stata determinata dall'ufficio la sanzione, non aveva la possibilit� di pagarla. Questa e non altra � la ratio della norma che ha voluto tener conto della addebitabilit� del ritardo per cui da essa non possono trarsi deduzioni su problemi estranei alla sua previsione. - PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 269 La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata e la� causa deve essere rimessa ad altro giudice, che si designa in altra sezione della Corte d'appello di Bologna, il quale dovr� attenersi ai princ�pi sopra enunciati ed, in particolare, a quelli secondo cui anche in materia di IV A il procedimento sanzionatorio ed il conseguente provvedimento hanno la funzione d'accertare nei suoi termini anche quantitativi una obbligazione pecuniaria collegata ad un fatto costitutivo precedente e che se tale fatto � anteriore al fallimento dell'autore della violazione il relativo credito dello Stato � ammissibile al concorso. Il giudice di rnnvio provveder� anche in ordine alle spese di questo grado del giudizio. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 giugno 1986, n. 4264 -Pres. Cusani - Rel. Cantillo -P. M. Amirante (concl. diff.) -Min. Tesoro (avv. Stato Fiengo) c. Cassa di risparmio (avv. Fazzalari e Giannini). Lavoro -Rapporto di lavoro � Scala mobile � Sistema anomalo di determinazione nel settore creditizio alla data dell'l febbraio 1977 -Obbligo di adeguamento al settore industriale -Fiscalizzazione dell'eccedenza � Obbligo di corrispondere le somme al fondo speciale presso il ministero del tesoro. Posto che al 1� febbraio 1977 i miglioramenti retributivi per effetto di variazione del costo della vita a favare di lavoratori dipendenti delle aziende di credito e finanziarie erano dovuti in forza del regime di scala mobile �anomala� previsto dall'accordo collettivo 22 maggio 1954, recepito nel d.P.R. n. 564/62, gli istituti datori di lavoro erano tenuti a versare al fondo speciale intestato al Ministero del lavoro di cui all'art. 1 d.P.R. 384/77 le somme derivanti per l'anno 1977, dalla differenza tra il trattamento spettante ai lavoratori a titolo di adeguamento del salario al costo della vita, in forza dell'accordo del 1954, e quello derivante dall'applicazione del sistema di scala mobile meno favorevole in atto nel settore industriale (1). 1. -Occorre premettere che sulla questione oggetto della controversia la Corte si � g.i� pronunziata con la sentenza di questa stessa Sezione del 12 marw 1984, n. 1690, concernente un :r.icorso del Ministero del Tesoro identico a quello in esame e relativo ad una sentenza della medesima (1) La sentenza riconferma,. approfondendo alcuni temi, quanto gi� enunciato in Cass. 1690 del 12 marzo 1984, citata espressamente in motivazione e pubblicata sul Foro it. 1984, I, 2530 con nota di O. MAZZOTTA, sulle c.d. scale mobili anomale. 270 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Corte di appello di Roma del pari sostanzialmente uguale a quella ora impugnata. Con tale pronunzia � stato affermato che alla data del 1� febbraio 1977 -in cui venne emanato ed entr� in vigore il decreto legge n. 12 del 1977, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1977, n. 91, di allineamento delle scale mobili anomale al sistema praticato nel settore industriale -le aziende di credito e finanziarie erano tenute a corrispondere ai propri dipendenti i miglioramenti retributivi stabiliti, in relazione alle variazioni del costo della vita, dai contratti collettivi del 30 dicembre 1950 e del 22 maggio 1954, efficaci erga omnes in forza del d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 564; e che, configurandosi in questo trattamento un regime di scala mobile anomalo o privilegiato, le aziende medesime erano obbligate a versare al fondo speciale previsto dall'art. 1 del d.P.R. 6 giugno 1977, n. 384, le somme derivanti, per l'anno 1977, dalla differenza fra il trattamento privilegiato suddetto e quello meno favorevole risultante dall'applicazione del sistema di scala mobile in atto nel settore industmale, dovuto in base al regime unico di contingenza imposto dall'art. 2 del cit. d.l. n. 12 del 1977. Ai fini della decisione del presente ricorso, quindi, occorre verificare se l'indirizzo debba essere tenuto fermo, anche in considerazione delle critiche ad esso mosse dalla resistente con la memoria e nella discus II sione orale. 2. -Non � il caso di indugiare sulle questioni relative all'ammissi~ I ~ bilit� dell'azione di restituzione proposta daHa Cassa di Risparmio, giac ch� gli argomenti contrari addotti dall'Amministrazione, con i primi due motivi di ricorso, ,si trovano puntualmente confutati nella sentenza suddetta, la quale ha ritenuto corretta la formulazione della domanda secondo il paradigma dell'indebito oggettivo previsto dall'art. 2033 cod. civ., affermando l'irrilevanza, sotto questo profilo, dell'eventuale errore del solvens all'atto della prestazione, per essere sufficiente a sperimenI tare la repetio indebiti l'allegazione di un'attribuzione patrimoniale che ~ si assuma oggettivamente� non dovuta. E poich� incombe all'attore in restituzione, secondo i princ�pi, dimostrare l'inesistenza della causa sol vendi individuata al momento del pagamento, merita di essere condi visa la sentenza impugnata nella parte in cui ha addossato alla banca l'onere di provare l'inesistenza del titolo con riferimento al quale era stato effettuato, sia pure con riserva, il versamento sull'apposito fondo presso il Ministero del tesoro e ha conseguentemente individuato il punto centrale della controversia nella vigenza, alla data del 1� feb braio 1977, degli accordi collettivi sulla scala mobile nel settore bancario in base ai quali la medesima Cassa -come la gran parte degli istituti di credito -aveva dubitativamente ipotizzato l'esistenza dell'obbligo stabilito dal decreto legge n. 12 del 1977. PARTB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 3. -L'esame della problematica che la questione implica, alla quale si riferiscono gli altri quattro motivi del ricorso, va condotto appunto muovendo dalla definizione del presupposto e del contenuto dell'obbligo scaturente per i datori di lavoro dal decreto suddetto e dal d.P.R. 6 giugno 1977, n. 384 (emanato in attuazione della delega conferita con la legge 31 marzo 1977, n. 91, di conversione del medesimo decreto). Con il primo provve4imento fu stabilito che � a partire dal 1� febbraio 1977 tutti i miglioramenti retributivi per effetto di variazioni del costo d�lla vita o di altre forme di indicizzazione � si sarebbero dovuti corrispondere �in misura non superiore e in applicazione dei criteri di calcolo, nonch� con la periodicit� stabilita dagli �ccordi interconfederali 15 gennaio 1957 e 25 maggio 1975 �; ed altres� che �gli effetti delle variazioni del costo della vita o di altra forma di indicizzazione su qualsiasi elemento della retribu:mone � non si sarebbero potuti computare � in difformit� della normativa prevista dagli anzidetti accordi interconfederali e dai contratti collettivi del detto settore per i corrispondenti elementi retributivi e limitatamente a tali elementi � (art. 2, primo e secondo comma). Con il successivo d.P.R. n. 384 del 1977 si dispose che �le somme derivanti, per l'anno 1977, dalla differenza tra i trattamen~i discendenti dalle regolamentazioni modificate� con il d.l. n. 12 del 1977 (e relativa legge di conversione) e le minori somme dovute per effetto di tale normativa, dovessero versarsi �dai datoci di lavoro, entro quindici giorni dalla fine di ciascun trimestre, in un apposito conto corrente infruttifero, aperto presso la tesoreria centrale, intestato al Ministero del tesoro e denominato � Fondo speciale di cui all'art. 2 della legge 31 marzo 1977, n. 91 � (prevedendosi altres� anche il termine per il primo versamento, relativo alle somme dovute dal 1� febbraio al 30 giugno 1977). Dal coordinamento delle disposizioni dei due provvedimenti chiaramente risulta che: l'obbligo di eseguire il versamento nasceva direttamente dalla legge nei confronti dei datori di lavoro che, in virt� di contratti o accordi collettivi della categoria di appartenenza, al momento dell'emanazione del decreto 12/77 fossero tenuti a corrispondere un trattamento di scala mobile c.d. anomalo; tali dovevano considerarsi quei regim~ di scala mobile che, per i criteri di calcolo adottati e/o la periodicit� con cui venivano corrisposti i miglioramenti retributivi, fossero difformi dal trattamento previsto per il settore dell'industria dagli accordi interconfederali menzionati nel decreto medesimo dando altres� luogo a miglioramenti superiori a quelli applicabili in detto settore; l'ammontare dell'obbligazione era commisurato appunto alla maggior somma che nell'anno 1977 ciascun datore di lavoro avrebbe dovuto corrispondere �ai dipendenti se la disciplina collettiva non fosse stata legislativamente modificata. 272 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il presupposto della fattispecie costitutiva dell'obbligazione ex lege era dato, cio�, dalla esistenza di un� obbligo giuridico del datore di lavoro di applicare un sistema di scala mobile anomalo, nei sensi suddetti, in forza di una regolamentazione collettiva vigente alla data del 1� febbraio 1977; ed era irrilevante, per converso, sia che tale trattamento non venisse in concreto corrisposto, sia che venisse elargito dal datore c:li lavoro senza esservi obbligato, per determinazione unilaterale dell'associazione di categoria. 4. -La ricognizio;ne della disciplina vigente all'epoca nel settore creditizio, compiuta da questa Corte con la precedente sentenza, fa perno sugli accordi collettivi del 30 dicembre 1950 e del 22 maggio 1954, resi efficaci erga omnes con d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 564, le cui clausole, avendo cos� valore normativo, possono essere direttamente interpretate in sede di legittimit�, ancorch� utilizzando i criteri ermeneutici previsti dagli artt. 1362 ss. cod. civ., che vanno osservati in considerazione della fonte convenzionale della regolamentazione (c., fra le pi� recenti, sent. n. 2790 e 3639 del 1983; S.U. n. 2685 del 1982). Si � gi� accennato che con questi accordi (segnatamente con quello del 1950, prorogato dal successivo con alcune modifiche) -in attuazione del principio �di indicizzazione della retribuzione, stabilito dal contratto collettivo vigente all'epoca -fu adottato un sistema che per la sua stessa struttura assicurava un trattamento di scala mobile di gran lunga pi� favorevole rispetto ad ogni altro settore del lavoro pubblico e privato (ad eccezione di qualche settore, come quello assicurativo, per il quale vige'V'a un sistema analogo). Mentre per le altre categorie ad ogni punto di \llariazione dell'indice di aumento del costo della vita corrispondeva un importo fisso in lire che si aggiungeva alla retribuzione, nel settore creditizio il punto di variazione veniva asunto come parametro percentuale da applicare a tutte le voci della retribuzione per il ca:lcolo dell'inoremento: e ci� comportava che ad ogni variazione corrispondeva un aumento retributivo . commisurato ad una percentuale del trattamento economico in corso, comprensivo della contingenza maturata in precedenza con la conseguenza che veniva assicurata, in pratica, la continua rivalutazione del punto di contingenza. Si tratta di stabilire, nella specie, se l'obbligo giuridico di applicare questo sistema fosse legato alla permanenza del parametro scelto per la determinazione del punto percentuale; e ci� perch�, con il patto n. 1 dell'accordo del 1950, si convenne �di applicare le variazioni percentuali riscontrate dai numeri indice del Comune di Milano, in quanto e fin tanto restino fermi gli attuali criteri di rilevazione ed e1aborazione �. Su questa clausola, come si � riferito, fa leva la sentenza impugnata per affermare che il regime di scala mobile ora descritto fosse PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE inscindibilmente correlato alla rilevazione del parametro da parte del Comune di Milano, sicch� gli accordi in questione sarebbero privi di diretto rilievo nella ricognizione del quadro normativo alla data del 1� febbraio 1977, per essere rimasti interamente caducati gi� quando, nel 1966, l'elaborazione dei numeri indice venne avocata dall'Istat in esclusiva e su basi diverse; tesi, codesta, che si trova ulteriormente argomentata nella memoria difensiva della resistente, sostenendosi -sotto il profilo oggettivo -la necessaria complementarit� di quei criteri di rilevamento al meccanismo di variazione percentuale della retribuzione, e -sotto il profilo oggettivo -il carattere essenziale che le parti� stipulanti attribuirono al riferimento ai numeri indice, che sarebbe stato � il vero e proprio oggetto degli accordi collettivi in discorso�. Ma tali rilievi non valgono a scalfire l'opposta opinione cui questa Corte � pervenuta, con la sentenza n. 1690/84, alla stregua dell'esegesi logico-testuale della pattuizione. Intanto, l'espressione limitativa suddetta � contenuta nel patto n. 1, che specificamente regola l'individuazione del parametro relativo alla variazione del costo della vita, e non anche nel patto n. 3, che introduce il nuovo tipo di scala mobile, stabilendo che il punto di variazione deve essere utilizzato come percentuale di incremento della retribuzione. A voler stare alla lettem dell'enunciato, quindi, bisogna ritenere che l'inciso della prima clausola limitasse la possibilit� di utilizzare il parametro prescelto, che si prevedeva potesse venir meno in conseguenza della modificazione dei criteri o di altri eventi, ma non interferisse affatto con il precetto racchiuso nella seconda clausola, �io� sull'obbligo di osservare il peculiare sistema di scala mobile prescelto. E risulta conseguentemente legittimo delineare il coordinamento istituito in via definitiva (s'intende, nei termini di durata dell'accordo allora previsti), non subendo quell'obbligo alcun condizionamento, e che la scelta del parametro di indicizzazione era, invece, destinata ad essere (necessariamente) incisa dall'eliminazione o dalla modificazione del medesimo, sicch� il vincolo alla sua osservanza sarebbe durato � in quanto ed in tanto � fosse stato conservato con le medesime caratteristiche. Il che comportava, in pratica, al verificarsi di un siffatto evento, la necessit� per le associazioni stipulanti di reperire un diverso parametro o una diversa forma di acquisizione dello stesso, ma non travolgeva l'efficacia dell'accordo e, dunque, il carattere cogente del sistema di scala mobile. Se si pon mente, poi, al contenuto e alla funzione dei due patti, risulta appunto che essi stavano su piani diversi, in quanto il principio per cui il punto di variazione veniva assunto ed applicato in percentuale, costituiva -si � visto -il nucleo qualificante ed essenziale della regolamentazione, mentre il riferimento agli indici del Comune di Milano 274 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO era meramente strumentale al funzionamento del meccanismo concordato, senza condizionarne in modo assoluto l'applicazione. Com'� stato efficacemente detto con il precedente arresto, quel riferimento rappresentava soltanto !'-adozione, fra i tanti possibili, di un determinato parametro da utilizzare in concreto per l'applicazione dell'accordo, giacch�, allo scopo di conoscere pyriodimente le variazioni percentuali del costo della vita, ben avrebbero potuto le parti dndividuare un'altra fonte estranea di rilevamento o, al limite, stabilire di procedervi consensualmente in modo diretto, �senza che ci� avesse comportato una modifica del congegno di scala mobile elaborato. Queste considerazioni non solo escludono, manifestamente, l'esistenza di un nesso oggettivo di necessaria complementarit�, ma pregiudicano anche l'assunto secondo cui l'inscindibilit� delle due disposizioni andrebbe affermata in base alla comune volont� delle associazioni stipulanti. Avuto riguardo agli interessi in gioco, non si rinviene alcuna valida ragione che potesse suggerire alle parti di legare la . sorte dell'intero accordo alla permanenza del parametro di riferimento, avendone prevista, per giunta, la possibilit� di caducazione e potendo il sistema adottato funzionare con altre procedure di rilevamento degli indici del costo della vita. Mentre � lecito presumere l'interesse delle organizzazioni sindacali dei dipendenti ad introdurre stabilmente il vantaggioso meccanismo di scala mobile conseguito e, per converso, l'importanza secondaria, nell'economia dell'accordo, del parametro di indicizzazione, la cui eventuale sostituzione non poteva essere apprezzata come motivo di sensibile turbamento nel concreto operare della scala mobile, quanto meno da parte degli imprenditori, posto che gli indici dei prezzi della piazza di Milano erano fra i pi� elevati d'Ita1ia. E a svalutare l'dncidenza della determinazione del parametro nella stipulazione dell'accordo concorrono anche le ragioni per cui venne adottato, che vanno individuate essenzialmente nell'efficienza del servizio di rilevazione dei dati del Comune di Milano, nel fatto che in quella citt� aveva una consistente parte del personale bancario e in un elemento di tradizione, perci� che fin dal periodo successivo alla prima guerra mondiale si soleva far riferimento, per il cosi detto �caro vita�, all'andamento dei prezzi di Milano. In definitiva, l'effettivo oggetto delraccordo fu l'istituzione del nuovo tipo di scala mobile, sicch� � irrazionale ritenere che le parti avessero voluto subordinarne l'efficacia ad un elemento estrinseco e variabile, qual'era quello costituito dalle modalit� di rilevazione dell'indice dei i I prezzi. E poich� questa conolusione � in armonia con le indicazioni I dell'esegesi testuale, si deve ribadire quanto affermato con la sentenza l I ! n. 1690 del 1984, cio� che, quando il Comune di Milano comunic� di I non poter pi� fornire i dati relativi alle variazioni del costo della vita, I j I I I I I ! PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVlLB 27S rimase fermo il precetto relativo al tipo di ,scala mobile -che aveva frattanto assunto consistenza normativa (con il d.P.R. n. 564 del 1962) con la conseguenza che le parti erano obbligate all'osservanza del sistema stabilito e a convenire altre modalit� di rilevazione del parametro adottato o a presciegliere un ailtro pammetro. 5. -L'ulteriore problema che occorre risolvere � se questa normativa sia rimasta in vigore in seguito all'accordo oollettivo �dell'll gennaio 1968, che le associazioni di categoria stipularono appunto per coJ... mare la lacuna che si era determinata per effutto della caducazione del parametro di riferimento' (nei due anni precedenti il rilevamento degli indici di Milano fu, in via eccezionale, eseguito dall'Istat). La questione non � stata affrontata dalla Corte di appello, la quale -avendo erroneamente ritenuto che l'intera disciplina degli accordi erga omnes fosse diventata inefficace per il venir meno dell'originario parametro -ha affermato. che con l'acoordo del 1968 si diede vita ad un nuovo sistema di scala mobile, del tutto distinto dal precedente e disciplinato in modo esclusivo dalla regolamentazione di diritto comune. Stante, invece, la perdurante vigenza, nei termini suesposti, degli accordi normativizzati, i giudici dii appello avirebbero dovuto� stabilire se gli accordi medesimi fossero stati interamente sostituiti ovvero soltanto parzialmente derogati dalla convenzione del 1968; ed in entrambe le ipotesi -per quel che sii dir� in ordine agli effetti della disdetta di tale accordo -avirebbero dovuto accertare se questo, globalmente considerato, fosse o non fosse pi� favorevole ai dipendenti. Cont11ariamente a quanto sostiene la resistente con la memoria, que sta Corte pu� sopperire a1la carenza della prima indagine. Se � vero, infatti, che le parti stipulanti un contratto collettivo possono regolare ex novo il rapporto di lavom senza alcun vincolo derivante da una precedente normativa collettiva operante erga omnes, non � men vero che la s9stituzione di quest'ultima con la nuova si verifica in quanto le due discipline riguardino la stessa materia e siano tra loro incompatibili; e questa condizione non si realizza, manifesta mente, quando la regolamentazione di diritto comune investa solo taluni aspetti dell'istituto regolato dall'accordo nonnativizzato e sia oggetti vamente destinata ad inserirsi in tale disciplina, dando luogo ad una deroga parziale o ad un'integrazione della medesima, che resta valida per la parte non incisa. Se si considera, poi, che la Corte di Cassazione pu�, senza la mediazione dal giudizio di merito, interpretare i contratti collettivi recepiti rin decreti delegati e, prima ancora, controllarne la validit� e la vigenza, non v'� motivo per escludere che il giudice di legittimit�, nella successione tra un accordo collettivo efficace erga omnes e un accordo di diritto comune, possa accertare se e per quanta parte il primo non sia 5 276 �RASSEGN~ DELL'AVVOCATURA .J)ELLO :STATO pi� vigente perch� interamente o parzialmente sostituito dal nuovo accordo, sempre che, ovviamente, i.I contenuto di quest'ultimo sia stato compiutamente accertato dal giudice di merito e dunque non si richiedano, al riguardo, nuove indagini di fatto. Nel caso in esame, la Corte romana ha stabilito che, con l'accordo del 1968, venne recepita la disciplina della scala mobile relativa al settore dell'industria limitatamente alla serie dei numeri indice, alla determinazione dei punti di variazione e alla periodicit� di rilevazione ed applicazione, mentre nu1la fu innovato quanto al criterio di variazione percentuale di tutte le voci della retribuzione, rimanendo fermo, cio�, il sistema di non attribuire un valore monetario al punto di va:riiazione e di utilizzarlo, invece, come misura percentuale della variazione. L'ambito dell'accordo risulta circoscritto, in sostanza, alla sostituzione del parametro e della fonte di rilevazione degli indici all'interno del tipo di scala mobile cui le parti. erano obbligate e per il cui concreto funzionamento erano appunto impegnate a ricercare un nuovo parametro. Pertanto la convenzione, lungi dall'essere incompatibile con la disciplina allora v.igente dell'accordo del. 1954, deve considerarsi integrativo della medesima, in relazione alla funzione oggettivamente svolta; e ci� consente di affermare (con la sentenza n. 1690/84) che Ia normativa precedente, non derogata dall'accordo di diritto comune, rest� in vigore nella sua parte essenziale, quale fonte dell'obbligo degli istituti di credito di corrispondere il trattamento di scala mobile anomalo con essa istituito. L'altro quesito -se, cio�, l'accordo fosse o non fosse vantaggioso per i dipendenti -comporta un apprezzamento di merito precluso a questa Corte, che perci� non pu� ad esso direttamente rispondere. Ma ugualmente non � necessario demandarne l'esame al giudice di rinvio, giacch�, come subito si dir�, in relazione ad entramb� le ipotesi della alternativa va affermata la vigenza dell'obbligo degli istituti di credito alla data di entrata in vigore del decreto legge del 1977. 6. -Si � in precedenza riferito che il 25 settembre 1975 l'Assicredito provvide a denunciare l'accordo dell'll gennaio 1968, tuttavia assicurandone unilateralmente l'applicazione fino al 31 dicembre 1976; e motiv� la disdetta con specifico riferimento all'anomalia della disciplina, segnalando la necessit� di adeguarla a quella dell'industria per le gravi distorsioni cui aveva dato luogo il meccanismo della variazione percentuale della retribuzione, anche in rapporto a:ll'entit� del deprezzamento monetario. La validit� e l'opponibilit� dell'atto sono contestate dall'Amministrazione, la quale censura sotto vari profili, con il quarto e il quinto motivo di ricorso, la motivazione sul punto della sentenza impugnata, che ha ritenuto pienamente efficace la disdetta medesima. E tali cri PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE tiche, analiticamente esaminate nella sentenza del 1984, vanno disattese per le ragioni ivi esposte, che non �. il caso di ripetere. Una volta accertato, per�, che l'accordo del 1968 lasci� in vita la normativa erga omnes in ordine all'anomalo trattamento di scala mobile, � agevole escludere che l'obbligo delle banche al riguardo sia venuto meno in conseguenza della disdetta. Intanto, poich� i trattamenti economici minimi previsti dai contratti ed accordi collettivi resi efficaci erga omnes sono derogabili da successiVi contratti o accordi collettivi solo se con essi sia stata adottata una disciplina che, valutata globalmente (almeno nell'ambito dei singoli istituti), risulti pi� favorevole ai lavoratori (art. 7, terzo comma, legge 14 luglio 1959, n. 741), nella specie -al fine di accertare il significato della disdetta -occorrerebbe anzitutto verificare se un tale risultato produsse �l'a<:cordo del 1968; irn caso contrario, questo andrebbe considerato tamquam non esset e per questa ragione bisognerebbe prendere atto della perdurante vigenza deUa disciplina precedente anche nelle parti innovate. Tuttavia, come si � anticipato, � possibile prescindere da siffatto accertamento perch�, ammessa la validit� dell'accordo, la sua disdetta pot� produrre l'effetto di rendere inefficaci le innovazioni introdotte con l'accordo medesimo, ma non certo quello di caducare la normativa erga omnes che costituiva la fonte dell'obbligo di determinare l'indennit� di contingenza con il sistema anomalo in oggetto; il quale obbligo, previsto da norme aventi efficacia di legge, poteva essere eliminato solo da un successivo provvedimento legislativo, come, appunto, il d.l. n. 12 del 1977. Pertanto gli istituti di credito anche dopo la disdetta continuarono ad essere giuridicamente vincolati al trattamento anomalo, sicch�, nello scegliere di osservarlo fino al 31 dicembre 1976, altro non fecero che dare esecuzione al precetto suddetto, utilizzando il parametro stabilito con l'accordo (indice Istat), che era l'unico possibile e che, in effetti, non era stato neppure posto in discussione con la disdetta, argomentata esclusivamente con riguardo all'anomalia del meccanismo di percentualizzazione del punto di contingenza. In definitiva, il principio affermato con la sent. n. 1690 del 1984 deve essere confermato e pertanto -in accoglimento del terzo e del sesto motivo di ricorso -la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte di appello di Roma, la quale esaminer� nuovamente la domanda di restituzione proposta d�llla Cassa di Risparmio attenendosi al princ1p10 suddetto e ai rilievi sopra svolti; provveder� altres� sulle spese di questo giudizio di cassazione. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 9 giugno 1986, n. 423 -Pres. Buscema Est. Vacirca -Soc. T.E.R. Tele Emilia Romagna (avv. B�nomo e Galli) c. Ministero delle P�ste (avv. Stato Laporta). Poste e telecomunicazioni � Radio e televisione -Potere di assegnazione delle frequenze � Effetti sentenza costituzionale 202/76. (T.U. 29 marzo 1973 n. 156, art. 183). Poste e telecomunicazioni � Radio e televisione -Poteri di polizia -Canali riservati alla P.A. � Frequenze utilizzate dal Ministero della Difesa. (T.U. 29 marzo 1973 n 156, art. 240). Il potere di assegnazione delle frequenze radioelettriche su tutto il territorio dello Stato attribuito all'Amministrazione postale non � venuto meno a seguito della sentenza 202/76 della Corte costituzionale. l � legittimo l'esercizio dei poteri di polizia ex art. 240 codice postale I I ~ nei confronti delle emittenti che trasmettano su canali riservati ad am~ ~ ministrazioni pubblic1ze per esigenze da soddisfare in qualunque momento come le bande di frequenza attribuite all'Amministrazione della Difesa, anche prescindendo dalla verificata sussistenza di disturbi alle trasmissioni. I 1. -Deve preliminarmente respingersi il quarto motivo di appello, col quale la Societ� appellante lamenta che il Giudice di primo grado I! non abbia tenuto conto del nuovo piano nazionale delle radiofrequenze, adottato nelle more del giudizio. La legittimit� dell'ordine di disattivazione impugnato, infatti, va ve I rificata alla stregua della disciplina vigente al momento in cui esso � Iistato emesso. N� il nuovo piano determina la cessazione della materia del contendere, atteso che esso sostituisce il precedente dal 31 geni naio 1983. [ 2. -Col primo motivo la Societ� appeHante sostiene l'inapplicaI bilit� del piano nazionale delle radiofrequenze, approvato con d.m. 3 dicembre 1976, agli usi strettamente locali e lamenta che la doglianza I sia stata dichiarata inammissibile dal T.A.R. I Il motivo � infondato. L'Amministrazione, in base all'art. 183 t.u. 29 marzo 1973, n. 156, mo I dificato dall'art. 45 1. 14 aprile 1975, n. 103, ha il potere di assegnazione I I I -1 I I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 279 delle frequenze radioelettriche su tutto il territorio dello Stato. Tale potere non � venuto meno per effetto della dichiarazione di incostituzionalit� pronunciata con sentenza n. 202 del 28 luglio 1976 (Cons. Stato, sez. VI, 14 luglio 1982, n. 361; C. cost. 15 luglio 1985, n. 206). Di conseguenza gli atti generali con i quali si destinano le varie bande di frequenza ai diversi usi, non sono affetti dal vizio di incompetenza assoluta che la Societ� ricorrente deduce. 3. -Col secondo motivo l'appellante sostiene la difformit� del d.m. 3 dicembre 1976 (Piano nazionale delle radiofrequenze) rispetto al d.P.R. 25 settembre 1967, n. 1525, e riispetto aHa legge 7 ottobre 1977, n. 790. Va confermata al riguardo la pronuncia di inammissibilit� del motivo emessa dal T.A.R., perch� eventuali vizi di legittimit� del predetto decreto avrebbero dovuto essere dedotti .nel giudizio amministrativo mediante impugnazione, mentre la Societ� appellante si � limitata a chiedere l'annullamento dell'ordine di disattivazione previa disapplicazione del Piano. 4. -Col terzo motivo .si ripropone violazione. dell'art. 240 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, il quale attribuisce all'Amministrazione poteri di p�lizia nei confronti di chi trasgredisca il divieto di � arrecare disturbi o causare interferenze alle telecomunicazioni ed alle opere ad esse inerenti �. Vero � che -come questa Sezione ha gi� avuto occasione di osservare con la decisione n. 361 del 1982 -tali poteri non sono. dati all'Amministrazione per impedire que11e trasmissioni che, seppure illegittime, non cagionino tuttavia interferenze. Di norma, quindi, l'esercizio dei poteri predetti presuppone l'accertamento dei concreti disturbi. Taluni canali, per�, sono riservati ad amministrazioni pubbliche per esigenze che postulano la loro disponibilit� in qualunque momento. � il caso delle bande di frequenza attribuite all'Amministrazione della difesa, rispetto alle quali � irrilevante un'indagine sul concreto uso che pu� essere saltuario da parte deH'Amministrazione e sulla effettiva sussistenza dei disturbi alle trasmissioni da parte di altri soggetti. La trasmissione non autorizzata su frequenze riservate in tutto il territorio nazionale integra, in simili fattispecie, il disturbo alle telecomunicazioni che giustifica l'esercizio del potere repressivo dell'Amministrazione, il quale sarebbe inefficace, se fosse subordinato al verificarsi di quelle situazioni di emergenza che richiedono la pronta disponibilit� di frequenze riservate. N� il conflitto fra l'utilizzazione pubblica, potenzialmente interessante l'intero territorio nazionale, di una banda di frequenza e l'utilizzazione in" sede locale della stessa banda pu� essere risolto con accorgimenti tecnici, giacch� questi presuppongono trasmissioni da effettuarsi in zone delimitate e distinte. 280 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO J CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 9 giugno 1986, n. 428 -Pres. Caianiello Est. Luce -Ministero della pubblica istruzione (avv. Stato MasseHa) c. Giordano (avv. Salazar). Istruzione' e scuole -Lavoratrice madre -Supplenza -Retribuzione mesi estivi � Computo periodo astensione obbligatoria per maternit�. (L. 30 dicembre 1971 n. 1204 art. 6). Jl periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per maternit� SUC� cessivo all'accettazione della nomina per supplenza di insegnamento va computato anche nei limiti di durata della nomina anche ai fini della maturazione del diritto alla retribuzione durante le vacanze estive. II CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 giugno 1986, n. 445 -Pres. Laschena Est. Camera -Ministero Pubblica istruzione (avv. Stato Massella) c. Faroni (n. c.). Istruzione e scuole -Lavoratrice madre -Supplenza � Trattamento economico � 80% della retribuzione. All'insegnante supplente durante il periodo di astensione obbligatoria per maternit� � dovuta non l'intera retribuzione ma 1'80% del trattamento economico alla stregua dell'impiegata non di ruolo. I Diritto -1. -Con il primo motivo di impugnazione, l'Amministra21ione appellante deduce violazione e falsa ~nterpretazione di �legge, in particolare dell'art. 5 D.L. n. 539 del 1946, D.L. n. 1587 del 1947, art. 58, D.P.R. n. 417 del 1974, art. 6, legge n. 1204 del 1971. Secondo l'appellante, in base alla normativa anzidetta, il diritto alla retribuzione per il periodo estivo spetta al docente che abbia prestato servizio nel corso dell'anno per 180 giorni. Peraltro, nella specie, erroneamente, il T.A.R. avrebbe computato nel periodo di effettivo servizio anche quello trascorso in astensione obbli� gatoria dal lavoro ex legge n. 1204 del 1971. Soluzione, quella indicata, la quale contrasterebbe con la finalit� propria della legge anzidetta, che non avrebbe parificato a tutti gli effetti l'astensione obbligatoria dal servizio, tant'� vero che non avrebbe previsto il pagamento di una PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA retribuzione durante l'astensione, ma solo di un'indennit� pari all'80% della retribuzione medesima. La doglianza � infondata e va pertanto respinta. La stessa Amministrazione appellante ha, in pi� circostanze, espresso avviso diverso da quello sostenuto con la dedotta impugnazione. Tra l'altro, con nota prot. n. 31629 del 30 dicembre 1982, diretta al Provveditore agli Studi di Avellino, il Ministero della pubblioa istruzione, rispondendo a specifico quesito, ha precisato che � i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternit�, successivi all'accettazione della nomina di supplenza temporanea, sono da computarsi, nei limiti di durata della nomina stessa, nell'anzianit� di servizio a tutti gli effetti e quindi anche ai fini della maturazione del diritto alla retribuzione nelle vacanze estive �. Ed analogamente, nella circolare n. 34 del 23 febbraio 1972, lo stesso Ministero ha disposto che per il personale insegnante non di ruolo � il periodo predetto (di astensione obbligatoria) � interamente utile ai fini della matuTazione del diritto allo stipendio durante i mesi estivi �, ribadendo tale affermazione nelle successive ordinanze per il conferimento degli incarichi e supplenze per gli anni 1976 e 1977. D'altra parte, poi, a prescindere dalla ammissione della stessa Amministrazione, il principio in esame trova la sua incontestabile giustificazione nell'art. 6 della legge n. 1204 del 1971, secondo il quale �i periodi di astensione, obbligatoria dal lavoro devono computarsi nell'anzianit� di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativ'i alla 13a mensilit� e alla gratifica natalizia e alJe ferie�. N� vale evidenziare come f� l'appellante, che per il periodo suddetto � dovuta alla lavoratrice madre un'indennit� pari ad una quota della retribuzione, dal momento che, a prescindere dalla natura retributiva dell'indennit� medesima la circostanza comunque non esclude la valutabilit� del servizio, attesa la formulazione cos� esplicata della norma da non consentire di attribuire alle espressioni impiegate (a tutti gli effetti) un significato diverso da quello reso palese dalle parole usate. II Diritto -Con sentenza n. 142 del 13 aprile 1983, il T.A.R. della Lombardia -Sezione di BTescia -ha accolto il ricorso della Prof.ssa Foroni Falceri, nominata nell'incarico d'insegnamento nel periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza, riconoscendole il diritto a percepire il trattamento economico dal momento della nomina, indipendentemente dall'effettiva assunzione del servizio, nonch� il diritto alla retribuzione delle ferie estive oltre la rivalutazione monetaria sulle somme dovute. 282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'appellante Amministra2ione, dopo avere premesso che i giudici di primo grado non hanno specificato che il trattamento economico per il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro consiste nell'indennit� giornaliera pari all'80% della retribuzione, di cui all'art. 15 della legge 30 dicembre 1971 n. 1204, assume in particolare che il principio della maturazione del diritto a percepire la retribuzione per il periodo estivo in costanza di astensione, previsto dall'art. 6 della citata legge n. 1204 del 1971, non si applica alle insegnanti incaricate, in quanto, data la loro peculiare situazione, esse matuuano il diritto alle ferie retribuite soltanto qualora abbiano prestato effettivo servizio nel corso dell'anno per 180 giorni. La menzionata L. 30 dicembre 1971 n. 1204 sulla tutela delle lavoratrici madri, detta nuove norme sulla disciplina del trattamento giuridico ed economico. delle lavoratrici che prestano la loro opera alle dipendenze di privati datori di lavoro o alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni, in sostituzione de1le preesistenti disposizioni in materia, contenute nella L. 26 agosto 1950 n. 860 e successive modificazioni. I Orbene, per quanto attiene specificatamente a:I settore del pubblico impiego, come � stato anche chiarito dai! Ministero del tesoro -Ragioneria genei:-ale dello Stato.,--con circolare n. 26 del 25 marzo 1972, durante I l'astensione obbligatoria per maternit� e puerperio, l'impiegata di ruolo conserva il trattamento economico in godimento, con esclusione delle I sole indennit� subordinate all'effettiva prestazione del servizio, mentre l'impiegata non di ruolo ha diritto all'80% del trattamento economico in godimento, con le limitazioni sopra specificate. I Ne consegue che all'insegnante supplente o ;incaricata, in quanto impiegata non di ruolo, compete durante l'astensione obbligatoria dal lavoro l'indennit� giornaliera pari all'80% della retribuzione, cos� come stabilita dall'art. 15 della legge n. li04, anche se, nominata, non abbia I I � potuto assumere servizio. ffi Va quindi accolto il rilievo de1l'appellante Amministrazione, ricono scendo all'intimata insegnante, in quanto incaricata, soltanto il diritto a percepire l'indennit� pari all'80% della retribuzione ordinaria. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 marzo 1986, n. 1640 -Pres. Granata � Est. Cantillo -P.M. Tridico (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei) c. Consorzio Allevatori Polli (avv. Carboni Corner). Tributi erariali diretti -Redditi esenti -Consorzi e societ� cooperative costituite per la manipolazione trasformazione e alienazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci -Attivit� effettiva esercitata Definizione statutaria -� insufficiente. �(T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 84, lett. i); d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, art. 14). Ai fini dell'agevolazione per i consorzi e le societ� cooperative costituiti per la manipolazione, trasformazione e alienazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci, la sussistenza dei presupposti di legge .deve essere accertata in base alla concreta attivit� e non soltanto attraverso le previsioni statutarie (1). (omissis) 2. -Con l'unico motivo del ricorso principale, denunziando la vio1<tUone dell'art. 84, lettera i), del testo unico delle imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645, nonch� motivazione insufficiente, l'Amministrazione sostiene che la decisione impugnata, contrariamente a quanto stabilito con la sentenza di cassazione della precedente pronunzia della Commissione Tributaria Centrale, ha o:rp.esso di accertare in concreto l'esistenza dei presupposti dell'esenzione, affermando la natura agricola per connessione de11'attivit� svolta dal Consorzio soltanto in base alle previsioni statutarie. La censura � fondata. Questa Corte, con la suddetta sentenza n. 1487 del 5 marzo 1980, dopo avere precisato che la ratio dell'esenzione da11'imposta di ricchezza mob. i1e -prevista dall'art. 84, 1ett. i), del t.u. n. 645 del 1958 a favore delle cooperative e dei consorzi agricoli -va individuata essenzialmente nella finalit� di evitare di sottoporre di nuovo a tassazione redditi che, sebbene formalmente imputabili a tali enti, risultano gi� assoggettati all'imposta sui redditi agrari dei conferenti, afferm� il principio che la spettanza, o meno, dell'esenzione va di volta in volta accertata ponendo a (1) Decisione di evidente esattezza che enuncia un prmc1p10 estensibile a tutte le situazioni in cui viene in evidenza la qualit� soggettiva di un organismo societario. 284 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO raffronto l'attivit� della cooperativa o del consorzio con quella svolta dai singoli soci, in quanto occorre stabilire se e in quale misura quest'ultima, per la sua natura ed entit�, sia idonea a giustificare l'attivit� di manipolazione, trasformazione ed alienazione compiuta dall'ente collettivo, che pu� essere esentata dal tributo solo se corrispondente all'attivit� ausiliare dello stesso tipo che ciascun conferente avrebbe potuto svolgere da solo senza perdere la qualifica di !imprenditore agricolo. A questo criterio non si era attenuta la decisione allora impugnata, la quale aveva negato l'esenzione prendendo in considerazione solo l'attivit� propria del Consorzio, senza porla in rclazione con quella dei conferenti e perci� qualificandola commerciale. E per questa ragione, cassata la pronunoia, 1a controversfa fu rimessa all'esame della Commissione Tributaria, affinch�, avvalendosi dei poteri di indagine di fatto ad essa spet� tanti, accertasse: a) se ciascuno degli aMevatori associati rivestisse la qualifica di imprenditore agricolo, tenuto conto che la polilicoltura integra un'attivit� agricola quando sia connessa allo sfuuttamento di un fondo prevalentemente coltivato dal pollicoltore; b) se l'attivit� di manipolazione, trasformazione e vendita svolta dal Consorzio fosse corrispondente alla medesima attivit� che ciascun socio avrebbe potuto compiere, ai sensi della normativa civilistica, quale imprenditore agricolo. Indagine, codesta, che doveva essere condotta tanto con riguardo all'oggetto e .alle modalit� dell'attivit� prevista dallo Statuto del Consorzio, quanto con riguardo alJ.'attivit� in concreto svolta dal medesimo, essendo principio pacifico -espressamente sancito ora dall'art. 14 del d.P.R. n. 601 del 1973 -che le agevolazioni per la cooperazione e le altre forme associative in agricoltura spettano sempre che i presuppost.i sostanziali della disciplina di favore si ritrovino nell'attivit� effettivamente svolta dall'ente collettivo. 3. -La decisione ora impugnata, invece, pur riportando in modo puntuale il decisum di questa Corte, se ne � discostata nell'applicarlo, in quanto ha affermato l'esistenza dei fatti costitutivi dell'esenzione soltanto in base all'esegesi dello statuto consortile. Essa ha sostanzialmente osservato -quanto all'indagine sub a) che possono far parte del Consorzio i produttori agricoli e zootecnici che siano agricoltori (secondo l'art. 6 dello Statuto), e -quanto all'indagine sub b) -che la finalit� del consorzio � di realizzare la cooperazione fra gli associati per � il miglioramento della produzione, il ritiro, il collocamento, la macellazione e la vendita del pollame�, fra l'altro acquistando mangimi, medicinali, attrezzi, etc. � per conto e limitata� mente al fabbisogno dei consorziati�. Da ci� ha desunto l'esercizio �da parte del Consorzio, di quella stessa attivit� che... ciascun conferente �l prodotto (pollame) avrebbe potuto svolgere da solo, senza perdere la qualifica di produttore agricolo �. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 285 Alla stregua della motivazione esposta, per�, questa conclusione si pu� ritenere giustificata, al limite, se riferita all'astratta qualificazione delil'attivit� delineata ne1le clausole statutarie, mentre risulta del tutto apodittica con riguardo all'attivit� effettivamente svolta, negli anni di cui si discute, dall'ente consortile e dagli associati, non venendo addotto alcun concreto elemento n� quanto alle caratteristiche e alle dimensioni delll'impresa ausiliaria dell'ente n� quanto aLl'entit� dei conferimenti e alla loro congruit� rispetto alla potenzialit� produttiva dei fondi dei conferenti. Negligendo questi profili dell'indagine, la Commissione centrale ha nuovamente eluso, in pratica, l'accertamento del rapporto di accessoriet� e di complementariet� che, nei sensi innanzi precisati, deve sussistere -ai fini dell'esenzione -fra l'attivit� de1l'ente coHettivo e quella dei soci, per cui costoro debbono conferire esclusivamente i prodotti del loro fondo e il primo deve attendere alla manipolazione, alla trasformazione e alla vendita soltanto di tali prodotti. Il quale rapporto -che, si ripete, deve essere necessariamente accertato in concreto -condiziona Ja stessa possibilit� di annoverare tra gli imprenditori agricoli le cooperative e gli enti consortili che svolgano attivit� oggettivamente riconducibili nella previsione di cui al secondo comma dell'iart. 2135 cod. civ., posto che l'ente collettivo, titolare di una impresa distinta da quelle agricole degli associati, pu� nondimeno assumere la veste di imprenditore agricolo per l'ordinamento fiscale come per l'ordinaria disciplina civilistica, sempre che l'attivit� esercitata sia economicamente riferibile ai soci, costituendo la naturale conclusione del ciclo produttivo dei loro fondi secondo l'esercizio normale dell'agricoltura. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 marzo 1986, n. 1771 -Pres. Santosuosso -Est. Di Salvo -P.M. Iannelli (conf.). -Adriani (avv. Adriani) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi locali -~mposta sull'incremento di valore degli immobili -Valore iniziale � Valore definito per condono � ti. vincolante. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, art. 60). Ai fini dell'imposta INVIM il valore iniziale � sempre quello definito nel precedente trasferimento anche se per condono, fatta eccezione sol� tanto per le ipotesi di valutazione c.d. automatica (1). (1) Nello stesso senso Cass. 13 giugno 1984 n. 3531 in questa Rassegna, 1984, I, 798; 15 gennaio 1985, n. 69, ivi, 1985, I, 318. 286 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano mancata o errata applicazione del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 e� del D.L. 5 ottobre 1973 n. 660. Sostengono che, poich� l'ufficio successioni aveva valutato l'immobile L. 19.400.000, non poteva successivamente considerarsi come valore iniziale ai fini dell'INVIM, il valore di L. 7.760.000 determinato per effetto del condono. Anche questo mezzo � infondato perch� questa Corte ha gi� affermato (Cass. 1985, n. 69 e n. 1107) che in tema di imposta sull'incremento di valore degli immobili, il valore iniziale � quello �definitivamente accertato �, indipendentemente dal modo dell'accertamento che pu� essere costituito sia dalla inutile scadenza dei termini stabi1iti per proporre il ricorso contro l'avviso di accertamento di maggior valore, sia dall'adesione del contribuente a1l'accertamento de1l'ufficio, sia della decisione non pi� impugnabile, sia della determinazione automatica conseguente all'applicazione di norme dettate per agevolare la definizione delle controversie tributarie quali quelle contenute nel d.P.R. 5 novembre 1973, n. 660. Infatti l'art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, dopo aver precisato nel primo comma che l'imponibile, ai fini dell'INVIM, � costituito daHa differenza tra il valore dell'immobile alla data nella quale sorge il debito di imposta ed il valore che l'immobile aveva alla data de1l'acquisto ovvero della precedente tassazione, soggiunge, nel secondo comma, che per la �determinazione della differenza si assumono, per gli immobili di cui all'art. 2, (e, cio� anche per quelH che, come nella fattispecie, sono stati trasferiti mortis causa), quale valore finale quello dichiarato o quello maggiore definitivamente accertato per il trasferimento del bene ai fini dell'imposta di registro o di successione e quale valore iniziale queMo � analogamente � dichiarato o accertato per il precedente acquisto. Viene assunto, invece, come valore iniziale, quello venale al momento dell'acquisto stesso solo nell'ipotesi, non ricorrente nella fattispecie, che il valore dell'immobile, agli effetti dell'imposta di registro o di successione, sia stato determinato ai sensi delle leggi 20 ottobre 1954, n. 1044 e 27 maggio 1959, n. 355. Lo stesso secondo comma soggiunge che �per i trasferimenti non soggetti all'imposta proporzionale di registro o all'imposta di successione, si assumono quali valore iniziale e finale i valori venali determinati secondo le norme relative all'imposta di registro�. Da tali premesse pu�, quindi, desumersi che il riferimento al valore venale per la determinazione dell'imponibile, ai fini. dell'INVIM, pu� esser fatto soltanto nelle ipotesi che l'immobile non sia soggetto all'imposta proporzionale di registro, all'imposta di successione, aWimposta sul valore aggiunto, ovvero quando iJ. suo valore, per i precedenti acquisti, sia stato determinato con i criteri automatici stabiliti per i fondi rustici. Al di fuori di tali ipotesi -che trovano la loro ratio, quanto alle prime, nella circostanza che per tali immobili manca un valore assumi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA bile come iniziale, e, quanto all'ultima nel carattere eccezionale della tassazione automatica che non � utilizzabile ai fini in esame -il valore iniziale non pu� mai essere determinato con riferimento ai! valore venale del bene prescindendo dal precedente valore dichiarato accertato o comunque definito ai fini dell'imposta di registro o di successione. Il valore definito ai sensi del d.P.R. 1973, n. 660 � quindi, vincolante ai fini della determinazione dell'INVIM dovuta per i successiivi trasferimenti perch� il predetto art. 6 consente il 11iferimento ai pi� favorevoli criteri agevolativi soltanto per i criteri di questa natura che stanno alla base della va:lutazione automatica dei fiondi rustici; trattandosi di norma di carattere eccezionale non � quindi consentita 1'app1icazione analogica (art. 14 preleggi). Pu� ancora soggiungersi che l'avverbio �analogamente� usato nel secondo comma con riferimento alla determinazione del valore iniziale non pu� avere altro significato che quello di rinviare ai criteri di determinazione del valore finale precedentemente indicato e per il quale si era fatto riferimento al �valore dichiarato o a quello maggiore definitivamente accertato� nel quale ultimo certamente rientra quello definito mediante il c.d. condono tributario. Questa interpretazione trova puntuale conferma nella relazione ministeriale al decreto delegato istitutivo dell'INVIM nella quale si legge che � per gli immobili trasferiti debbono assumersi di norma, quali valori, finale ed iniziale, quelli dichiarati o quelli maggiori definitivamente accertati agli effetti dell'imposta di registro o di successione �. Come ha posto in rilievo la sentenza impugnata, la contraria interpretazione consentirebbe al contribuente di conseguire un duplice ingiustificato beneficio. Nel caso in esame, invero, egli, dopo aver usufruito della riduzione della imposta di successione per effetto del c.d. condono, verrebbe poi a usufruire -ove il valore precedentemente definito non dovesse esser considerato vincolante -di un ulteriore vantaggio, non previsto dalla legge, in sede di pagamento dell'INVIM dovuta per un successivo trasferimento del bene. N� pu� sostenersi che la regola affermata sarebbe ingiusta, perch� verrebbe a sovrapporsi alla volont� del soggetto; infatti, il beneficio della valutazione automatica, viene concesso a richiesta del contribuente e non ope legis per cui egli � libero di decidere se chiedere o meno di usufruirne, ma una volta adottata la scelta positiva, non pu� sceverare le conseguenze della sua manifestazione di volont� accettandone quelle a lui favorevoli e respingendone le altre. L'interpretazione adottata appare, dunque, come l'unica conforme ai pr,inc�pi dell'ordinamento tributario ed alla direttiva contenuta nell'art. 7 della legge delega per la riforma n. 825/1971, secondo la quale occorreva realizzare l'unificazione e la semplificazione dei sistemi di determinazione dell'imponibile reLativo alLe imposte di registro, di successione ed all'INVIM. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sarebbe, quindi, �incongruo determinare il valore imponibile dello stesso bene adottando di volta in volta criteri diversi e pervenendo cosl a due valori divergenti. Pu�, infine, sogwi.ungersi che tale interpretazione ha avuto autorevole conferma dallo stesso legislatore, che, pur non avendo dettato una norma interpretativa del provvedimento del 1973 (applicato nel caso in esame) ha adottato il criterio prima illustrato con il d.P.R. 7 agosto 1982, n. 516, il cui art. 31, comma secondo espressamente stabilisce che, nelle ipotesi in cui il contribuente abbia chiesto l'applicazione deHa riduzione automatica dell'imponibile, � si assume come valore iniziale per le successive applicazioni dell'INVIM quello accertato dall'ufficio agli effetti delle imposte di registro, sulle successioni e donazioni ridotto della met� o quello dichiarato dal contribuente aumentato del 20 % �. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 aprile 1986, n. 2336 -Pres. La Torre Est. Maltese -P. M. Amirante (conf.) -Soc. Alfa Sud c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico). I Tributi in genere � Contenzioso t'ributario � Provvedimento impugnabile � Avviso di liquidazione � Decadenza per mancata impugnazione. I f: (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636: art. 16). i i fil Anche anteriormente alla novella introdotta con il d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, l'avviso di liquidazione doveva ritenersi compreso nel I . l'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 fra gli atti contro i quali il ricorso deve essere proposto a pena di decadenza (1). fil (omissis) L'Amministrazione finanziaria, con l'unico motivo del ricorso incidentale, proposto in via subordinata, denuncia la violazione e If: la falsa applicazione degli artt. 16, 26, 53 e 54 d.P.R. 26 ottobre 1972, I n. 634 e 16 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. ~ Sostiene che l'avviso di liquidazione, notificato il 20 aprile 1972, conI ~ terrebbe l'accertamento di cui all'art. 16 d.P.R. 636. Pertanto la richiesta di rimborso sarebbe stata tardivamente inoltrata il 6 luglio 1977, dopo la scadenza del termine di sessanta giorni decorrente dalla notifioazione di detto avviso, e il ricorso sarebbe stato tardivamente proposto il 2 novembre 1977. Erroneamente, quindi, la Corte d'appello avrebbe respinto l'eccezione di improponibilit� della domanda della controprurte. Ritiene il Collegio che d ricorso incidentale, sicuramente pregiudiziale all'esame dei mezzi di censura enunciati nel Ticorso principale, sia pienamente fondato e debba essere accolto. (1) Un chiarimento opportuno di evidente esattezza. J ~ ' ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Dispone l'art. 16 d.P.R. n. 636 del 1972: �Il termine per proporre il ricorso alfa Commissione di primo grado � di sessanta giorni e decorre dalla notificazione dell'avviso di accertamento, dell'ingiunzione, del ruolo, del provvedimento che irroga le sanzioni pecuniarie. Per notificazione del ruolo si intende la notificazione della cartella esattoriale. 11 ricorso contro l'ingiunzione o il ruolo � ammesso soltanto se tali atti non sono stati preceduti dalla notificazione dell'avviso di accertamento o del provvedimento che irroga le sanzioni pecuniarie, ovvero per vizi loro propri. Nei casi in cui il pagamt>nto del tributo ha avuto luogo senza preventiva imposizione e nei casi in clli il contribuente afferma essere sopravvenuto il diritto al rimborso, si considera imposizione il rifiuto di restituzione della somma pagata, ovvero il silenzio dell'amministrazione per novanta giorni dalla intimazione a provvedere, notificata a mezzo di fottera raccomandata c0n ricevuta di ritorno, e il ricorso deve essere proposto, salve diverse disposizioni delle singole leggi di imposta, entro sessanta giorni dal rifiuto o dalla scadenza di novanta giorni �, Sostiene la Corte d'appello di Napoli che la norma dell'art. 16, comma 1�, secondo cui � il termine per proporre ricorso alla Commissione di primo grado � di sessanta giorni a decorrere dalla notificazione dell'avviso di accertamento�, non sarebbe applicabile al caso in esame, in quanto nel sistema tributario vigente il termine � accertamento � sarebbe riservato all'atto o alfa serie di atti' necessari per la constatazione e la valutazione dei vari elementi costitutivi del debito di imposta, e non comprenderebbe, quindi, l'atto consistente in operazioni meramente aritmetiche per la determinazione della somma dovuta in base alle aliquote e al valore dell'imponibile dichiarato, come, appunto, quello che l'ufficio pone in essere per la liquidazione dell'imposta di registro. Si imporrebbe, quindi, secondo la Corte d'appello, un'interpretazione non estensiva delila norma eccezionale di decadenza contenuta nel citato art. 16, comma 1�, con riferimento al solo caso in essa previsto della notificazione dell'avviso di accertamento, rimanendone escluso il caso non previsto della notificazione dell'avviso di liquidazione, di cui soltanto il successivo d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 fa menzione nell'art. 7, con intendimenti dichiaratamente correttivi del precedente decreto n. 636 del 1972. Nella specie, sarebbe dunque applicabile -prosegue la sentenza impugnata -la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 16, per la quale �nei casi in cui il pagamento del tributo ha avuto luogo senza preventiva imposizione ( ...) si considera imposizione il rifiuto di restituzione della somma pagata, ovvero il �Silenzio deH'Amministrazione, per novanta giorni dall'intimazione ( ...) �; e il ricorso dovrebbe essere, quindi, proposto entro sessanta giorni dalla scadenza del novantesimo giorno successivo alla richiesta di rimborso. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ritiene il Collegio che tale argomentazione sia priva di fondamento giuridico. Invero, � proprio Ia disposizione dell'ultimo comma dell'art. 16 a dare l'esatta misura della portata della norma contenuta nel primo. Essa -la disposizione dell'ultimo comma -presuppone la mancanza dell'imposizione ( � ... casi in cui il pagamento del tributo ha avuto luogo senza preventiva imposizione�), ovvero la sopravvenienza del diritto al rimborso ( � ... casi in cui il contribuente afferma essere sopravvenuto il diritto al rimborso�). N� l'una n� l'altra ipotesi ricorre nella specie: non la mancanza dell'imposizione,. che si ha, per esempio, nella ritenuta d'acconto e nelle varie figure di �tributi senza imposizione� (quelli che vengono assolti con l'annullamento di un valore bollato oppure con versamento alla tesoreria dell'ente creditore o all'esattore, senza una preventiva liquidazione); non l'oggettiva sopravvenienza del diritto al rim� borso, essendo contestata in radice l'originaria esistenza della obbligazione tributaria. Sussiste, per contro, il presupposto, comune ad ogni ipotesi della disposizione del primo comma, dell'imposizione tributaria, che, nel caso in argomento, avviene con la liquidazione dell'imposta di registro, al verificarsi della cond1zione della sottoscrizione dell'intero aumento del capitale sociale. Pertanto, in presenza dell'atto di imposizione, il dies a quo del termine di sessanta giorni per proporre il ricorso si identifica con la data di notificazione dell'atto che lo presuppone, cio�, nella specie, con il giorno della notificazione dell'avviso di liquidazione, per interpretazione meramente dichiarativa dell'espressione �notificazione dell'avviso di accertamento�, con cui il legislatore ha inteso riferirsi anche all'accertamento contenuto nell'atto di liquidazione e che poi il legislatore del 1981 ha voluto specificare, per ragioni di. chiarezza, con la previ� sione esplicita dell'avviso di liquidazione. D'altronde, attribuire alJa locuzione legislativa del '72 -come pretende la Corte d'appello -un significato ristretto all'avviso di accertamento, escludendo letteralmente l'avviso di liquidazione, significherebbe riconoscere che il legislatore di allora minus dixit quam voluit, e autorizzare, quindi, l'interpretazione estensiva, la qua�e, a differenza della interpretazione analogica, � consentita, come � ben noto, anche in presenza di norme speciali, fra cui le disposizioni, come quella dell'art. 16, che prevedono una decadenza. Sotto ogni aspetto, pertanto, il ricorso incidentale dell'amministrazione finanziaria appare fondato e deve essere accolto -essendo pacifico in causa il decorso del termine di sessanta giorni dalla notificazione dell'avviso di liquidazione -con la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, rimanendo assorbito il ricorso principale. (onussis) l I I ____._,~...x.u.�'-�'-,��t@.x�. � , .. % �_=' 8:'8-====::o:;;:,~==~=-=======�~� , . �.*-. -� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 291 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 maggio 1986, n. 3012 -Pres. Virgilio Est. Rossi -P. M. Iannelli (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei) c. Soc. Rodano. Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Ipotesi di rinvio -Notificazione dell'accertamento -Nullit� -Rinvio per provocare la sanatoria -Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 21, 24, 29 e 40). Poich� il giudice di terzo grado pu� disporre il rinvio esclusivamente nelle ipotesi previste nell'art. 29 del d.P.R. n. 636/1972, quando viene pronunciata la nullit� della notifica dell'accertamento non pu� essere disposto il rinvio per ordinare la rinnovazione della notifica a norma dell'art. 21 (1). (omissis) La ricorrente Amministrazione, deducendo la nullit� della sentenza per violazione degli artt. 40 e 29 del citato d.P.R. n. 636/1972, sostiene che la Corte milanese, nel pronunciare la riforma della decisione impugnata, non doveva considerare concluso il giudizio, ma doveva rinviarlo ad altra sezione della stessa Commissione Tributaria perch� questa disponesse la rinnovazione dehla notificazione e per ogni altro dovuto esame circa la fondatezza o meno de1le contestazioni del contribuente. Il ricorso � infondato. Il citato art. 40 dispone l'applicabilit� al giudizio innanzi alla Corte d'appello della norma dettata dal precedente art. 29 primo e secondo comma, sulle decisioni di rinvio della Commissione Tributaria Centrale. (1) La decisione non pu� essere condivisa. Innanzi tutto non pu� essere accolta la affermazione, in termini tanto assoluti, che il rinvio � da porre in relazione esclusivamente con le ipotesi previste nell'art. 29 D.P.R. n. 636/1972. Questa norma disciplina il particolare rinvio che segue una decisione di merito del giudice di terzo grado ma non esclude che, in base ai princ�pf generali, debbano ricercarsi altre ipotesi di vero e proprio rinvio nei casi in cui il giudice di terzo grado pronuncia una decisione di legittimit�, di solo annullamento, ed altre ipotesi di rimessione al primo o al secondo grado in situazioni anche diverse da quelle espressamente considerate nell'art. 29 secondo comma (C. BAFILE, Rinvio e rimessione nel processo tributario, in Dir. pr.at. trib. 1984, II, 880). Nella controversia in esame la corte d'appello aveva dichiarato la nullit� della notifica dell'avviso di accertamento, escludendo che essa avesse raggiunto lo scopo, senza affatto preoccuparsi di fare applicazione dell'art. 24 che fa obbligo alla commissione (di appello) di assegnazione di un termine per la rinnovazione della notifica (con effetto sanante), facendo ci� che la commissione di primo grado (art. 21) avrebbe dovuto fare e non ha fatto. Tutto ci� viene avallato dalla S. C. In sostanza si afferma che se la questione della nullit� della notifica non viene affrontata nel giudizio di primo e di 6 292 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ed in forza di tale richiamo la Corte d'appello deve disporre il rinvio in esclusiva relazione a due ordini di ipotesi: a) alla commissione tributaria di secondo grado, quando si renda necessario, in conseguenza dell'accoglimento del ricorso, rinnovare il giudizio SU questioni di valutazione estimativa O Telative alla misura delle pene pecuniarie (primo comma dell'art. 29); b) alla commissione tributaria di primo grado, nei casi indicati dall'art. 24 secondo comma: quando cio0 (anche nelle controversie su questioni di valutazione estimativa o <elative alla misura delle pene pecuniarie, di cui al primo comma dello stesso art. 29) si rilevi che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non si � costituito regolarmente o che il collegio � stato composto in modo illegittimo (secondo comma dell'art. 29). I citati commi primo e secondo dell'art. 29 non prevedono quindi alcun'altra ipotesi di rinvio, sicch� nella disciplina sul rinvio cos� testualmente fissata per la Corte d'apvcllo non pu� farsi rientrare l'ipotesi -non richiamata -di cui all'art. 21 del medesimo d.P.R. n. 636 del 1972: il quale impone alla commissione tributaria di primo grado, se rilevi un vizio che ai sensi dell'art. 160 c.p.c. importi la nuHit� della notificazione dell'atto dell'ufficio contro il quale � stato proposto il ricorso, e sempre che non si sia verificata sanatoria, di sospendere il giudizio e assegnare un termine per la rinnovazione della notificazione. La cognizione della Corte d'appello, sulla corretta interpretazione delle norme di diritto e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, non secondo grado pu� egualmente essere dedotta in terzo grado; ma in tal caso non opera pi� la sanatoria degli artt. 21 e 24. Potr� essere discutibile se il giudice di terzo grado che rileva per la prima volta la nullit� debba disporre il rinvio o ordinare esso stesso la rinnovazione, ma di certo non si pu� ammettere che la palese violazione degli artt. 21 e 24 non possa essere riparata in terzo grado. 1l. vero che la sanatoria dell'art. 21 � espressamente affidata anche al giudice di appello (art. 24) e non pure al giudice di terzo grado (l'art. 29 richiama soltanto il secondo comma dell'art. 24); ma ci� ben si spiega perch�, ordinariamente, non � verosimile che una questfone di nullit� dell'accertamento venga esaminata per la prima volta in terzo grado. Ma ove ci� avvenga per una irregolarit� del processo (nel caso di specie omessa pronuncia su eccezione espressamente formulata) il giudice di terzo grado dovr� riparare a tutti i vizi del procedimento e fare anche quel che avrebbe dovuto fare il giudice di secondo grado. In base agli artt. 21 e 24, la Commissione deve d'ufficio ordinare la rinnovazione senza poter dichiarare la nullit� dell'avviso; ci� dovr� essere fatto anche in terzo grado, direttamente o per rinvio, se � ancora deducibile la nullit�. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ~93 � estesa alle questioni relative 3 valutazione estimativa e alla misura delle pene pecuniarie. Nei quali casi l'impugnazione ex art. 40 del d.P.R. n. 636 del 1972 non ha effetto totalmente devolutivo e la pronuncia della Corte, che pu� annullare ma non sostituire la decisione impugnata, deve comportare il rinvio alla commissione tributaria di secondo grado per la risoluzione di questione sottratta alla sua cognizione (diversa ed estranea al giudizio �, l'altra ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 24). Ma nella specie non ricorre Pessuno di tali casi, avendo il contribuente proposto .l'impugnazione soltanto per far valere la nullit� della notifica dell'avviso di accertamento (cfr. decisione denunziata in questa sede). Trattasi perci� di ipotesi che non rientra� tra quelle previste dall'art. 29 primo e secondo comma del ripetuto d.P.R. n. 636 del 1972. Alla stregua di tale normativa correttamente la Corte d'appello ha limitato la propria pronuncia alla declaratoria di nullit� della notifica d�ll'atto di �ccertamento, considerando concluso il giudizio (e non adottando alcun altro provvedimento neppure ex art. 162 c.p.c., il cui scopo -di impedire che dalla nullit� di un atto processuale rimanga travolta la fase del processo che ne sia rimasta influenzata -non � certo quello di sanare attivit� anteriori al processo stesso e sulla cui validit� anzi il giudice � chiamato a pronunziarsi). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 maggio 1986, n. 3059 -Pres. Falcone Est. Tilocca -P. M. Di Renzo (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico) c. Banca Popolare del Materano (avv. Adonnino). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Rimborsi -Pagamento a seguito di iscrizione a ruolo non impugnata -Sopravvenuto diritto al rimborso -Legge interpretativa -Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). Il pagamento dell'imposta eseguito a seguito di iscrizione a ruolo -non impugnata nel termine non pu� essere contestato attraverso la domanda di rimborso a meno che il diritto al rimborso non sia sorto successivamente per effetto di un evento modificativo. � da escludere che il diritto al rimborso possa essere successivamente sorto per effetto di una circolare o di una norma interpretativa che non innova sulla norma originaria (1). (1) Decisione da condividere pienamente. � innanzi tutto importante l'affermazione di principio che il ruolo come l'accertamento � capace di determinare in modo irretrattabile l'obbligazione; la mancata impugnazione del ruolo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 294 (omissis) L'Amministrazione ricorrente denuncia �la violazione e falsa applicazione dell'art. 16 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 nonch� dell'art. 3 1. 23 febbraio 1978 n. 38 in relazione aill'art. 360, n. 3, c.p.c. � contestando che nella specie ricorra l'ipotesi della sopravvenienza del diritto al rimborso, prevista dal testo, allora in vigore, dell'anzidetto art. 16, comma 3, che in deroga alla regola della proponibilit� del ricorso alla Commissione entro il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale, faceva decorrere tale termine medesimo in .relazione al silenzio serbato dall'Amministrazione per novanta giorni sUJll'istanza di rimborso. Sostiene in particolare l'Amministrazione che �il diritto al rimborso non pu� sorgere da una circolare ministeriale, che si 1imita ad impartire direttive agli uffici dipendenti suggerendo che una certa norma venga interpretata in un certo senso �; n� pu� sorgere da una legge di interpretazione autentica, la quale � imponendo che ad una detenninata espressione della legge interpretata venga attribuito il significato in essa esposto, non modifica affatto l'effettivo e reale contenuto de1la leg~e anteriore �. Il ricorso va accolto. Nella specie, non si tratta di dpotesi nella quale successivamente all'acquisita definitivit� dell'iscrizione a ruolo del debito di imposta sia sorto il diritto al rimborso della somma versata in esecuzione dell'iscrizione medesima, bens� di iscrizione illegittima, fondata, cio�, sull'erronea interpretazione dell'art. 10 1. n. 823 del 1973, e del conseguente pagamento del debito di imposta. Perci� la Banca popolare del Materano poteva (e doveva) proporre ricorso entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione della .cartella esattoriale. Non avendo essa osservato tale onere di tempestivit�, l'iscrizione a ruolo � divenuta definitiva ed inoppugnabile e pertanto la somma versata non � pi� ripetibile. Non � applicabile al riguardo la disciplina contenuta nel codice civile sulla ripetizione dell'indebito, essendo Ja materia del rimborso di importi indebitamente pagati interamente e compiutamente regolata dall'ordinamento legislativo tributario. L'affermazione della Commissione centrale, secondo la quale il diritto al rimborso � sorto per effetto de1la circolare ministeriale � confermata con la norma 'dell'art. 3 1. 23 febbraio 1978 n. 38 �, non pu� condividersi. La detta circolare non poteva avere altro valore che quello di una mera interpretazione amministrativa dell'art. 10 della legge n. 823 del 1973 e perci� inidonea a porsi come fonte di nuovi diritti ed obbligazioni, non produce la irrepetibilit� delle somme pagate. t> poi esattissimo che non pu� parlarsi di diritto sopravvenuto al rimborso (per un evento che esclude l'effetto preclusivo del ruolo) quando la norma, pur non esattamente applicata, sia rimasta immutata ed abbia solo ricevuto conferma. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 293 contemplati gi� dalla norma legislativa. N� la circolare ministeriale pu� essere considerata atto di riconoscimento dell'obbJigazione di rimborso in quanto priva degli elementi soggettivi tipici dell'atto di riconoscimento: essa � stata indirizzata esclusivamente agli uffici �dipendenti, con valore interno all'amministrazione, e mirava a stabilirne una determin�ta linea di condotta uniforme nell'applicazione delJa predetta norma. Dal suo canto l'art. 3 della I. n. 38 del 1978 non ha inteso modificare l'ultimo comma dell'art. 10 della I. n. 823 del 1973, ma si � limitato a dare della norma un'interpretazione autentica disponendo che la maggiorazione dalla medesima prevista �deve intendersi commisurata all'ammontare dell'imposta iscrivibile a ruolo a seguito della definizione 1 della pendenza tributaria secondo le norme � del decreto di condono, � al netto della somma comunque precedentemente iscritta a ruolo per il medesimo titolo �. Perci� iii . rapporto d'imposta relativo a1la detta maggiorazione � rimasto regolato dalla norma originaria, seppure questa debba intendersi nel senso previsto dal pi� volte citato art. 3. Di conseguenza la norma interpretativa, non prevedendo nulla al riguardo, non consente di impugnare le iscrizioni a ruolo divenute gi� definitive ed inoppugnabili prima della sua entrata in vigore, ancorch� fondate su un'interpretazione diversa da quella da essa imposta circa la portata della norma precedente. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 maggio 1986, n. 3193 -Pres. Sandullii Est. Di Salvo -P. M. Nicita (conf.). Soc. Raffineria Padova (avv. Magnani) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Condono � Riparto delle perdite -Compatibilit�. (d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 2). Poich� a tutti gli effetti, nelle ipotesi dell'art. 2 del d.l. 5 novembre 1973 n. 660 il meccanismo automatico del condono fa riferimento all'imponibile dichiarato, se nella dichiarazione si � tenuto conto del riporto delle perdite � su questa base che vanno operate le riduzioni percentuali (1). (1) Nella richiamata sentenza 28 marzo 1984 n. 2045 (in questa Rassegna, 1984, I, 545) era stata affermata la regola opposta che il contribuente non potesse riportare le perdite in detrazione dal reddito accertato. Ora si tenta di conciliare le due affermazioni nel senso che sia la dichiarazione che l'accertamento sono insuscettibili di modificazioni e sulla somma da essi portata vanno direttamente calcolate le riduzioni stabilite dalla legge. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 296 (omissis) Con l'unico mezzo la ricorrente -deducendo violazione dell'art. 2 lett. a) e dell'art. 11 D.L. 5 novembre 1973, n. 660, convertito in L. 19 dicembre 1973, n. 823, nonch� falsa applicazione dell'aTt. 112 del R.D. 29 gennaio 1958 n. 685, in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. -sostiene che la nozione di �imponibile dichiarato�, cui fa riferimento l'art. 2 1 della legge sul condono, si identifica in que1la grandezza o valore, al quale, se di segno positivo, viene applicata l'aliquota o tasso d'imposta e che, agli effetti dell'applicazione dell'imposta di R.M. cat. B, il � reddito netto �, quale parametro di commisurazione del tributo, si contrappone al � reddito imponibile�, che � costituito dalla differenza trn il reddito netto e le detrazioni stabilite dalla legge (perdite di esercizi precedenti, esenzioni, ecc.) in base al quale viene �calcolata l'imposta. Sostiene, quindi, che l'affermazione contenuta ne1la sentenza impugnata, secondo cui il reddito netto imponibile sarebbe costituito da � quello legalmente determinabile in base alla dichiarazione>>, � contraddittorio e, comunque destituito di fondamento normativo perch� in contrasto con il meccanismo di determinazione dell'imposta, ai fini del condono, che � ispirato a criteri di rigido automatismo. La censura � fondata. L'art. 2 lett. a) del DJ.,. 5 novembre 1973, n. 660, come modificato dalla legge di conversione 19 dicemblie 1973, n. 823, con rifevimento ai periodi di imposta in ordine ai quali, anteriormente al 31 dicembre 1973, sia stato notificato l'accertamento, stabLlisce, per l'ipotesi in cui alla detta data non sia stata notificata alcuna decisione in sede contenziosa, che ai fini della determinazione dell'imposta, l'imponibile accertato dall'ufficio deve essere ridotto di un importo pari al quaranta per cento della differenza tra l'imponibile stesso e quello dichiarato dal contribuente e di un ulteriore importo pari al venticinque per cento de11'imponibile dichiarato. La norma, che � espressione del criterio seguito da tutto il provvedimento legislativo, ha adottato il sistema di definizione automatica delle pendenze tributarie al fine di pervenire alla sollecita definizione delle controversie. Tale sistema comporta l'applicazione dei rigidi criteri fissati dal provvedimento ~egislativo per la liquidazione dell'imponibile, escludendo qualsiasi discrezionalit� del fisco, che per volont� della legge, ha rinunziato ad esigere i tributi secondo i consueti criteri stabiliti dal sistema tributario e dalle singole leggi d'imposta. Occorre infatti ricordare che � stata esclusa per il contribuente, una volta pr.esentata la domanda di condono .la possibilit� di sollevare contestazioni sul carico tributario, a seguito dell'applicazione degli indicati criteri -e senza che in ci� sia mvvisabi1e alcuna violazione dell'art. 53 Cost., dal momento che la normativa di cui al D.L. n. 660 del 1973 configura una transazione fra fisco e contribuente la quale non consente, sia per una parte che per l'altra, la pretesa PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA di ottenere l'applicazione di altre norme pi� favorevoli al richiedente � stata esclusa perch�, per effetto della richiesta di condono, il rapporto tributario deve essere definito secondo i criteri automatici previsti, in quanto tale meccanismo � insuscettibi~e di essere derogato od integrato con l'applicazione di altre norme tributarie che porterebbero ad una diversa imposizione. Tale possibilit� � stata gi� esclusa da questa Corte per il contribuente, in quanto si � rilevato che una volta che egli abbia manifestato la volont� di avvalersi del c.d. condono, non pu� pi� sollevare questioni sulla maggiore onerosit� del carico tributario. che gliene sia derivata o chiedere applicazione congiuntiva di altri benefici. Si � ritenuto, infatti, con riferimento alle pretese dei contribuenti di ottenere agevolazioni risultanti da altre norme tributarie, che queste non potessero essere conservate da coloro che avevano presentato domanda di definizione automatica (Cass. 1984, n. 1865; 1985, n. 2493) e tale regola � stata adottata anche con rifer.imento alla norma invocata dall'amministrazione finanziaria. Si � ritenuto in proposito che qualora il contribuente abbia presentato domanda di definizione agevolata del tributo dovuto, l'imposta determinata secondo gli artt. 2, 3 e 4 del decreto in esame non pu� subire alcun mutamento per effetto dell'art. 112 del T.U. n. 645/1958, in quanto l'applicabilit� di tale disposizione -comportando la modifica dell'imponibile automaticamente determinato -comporterebbe violazione dell'art. 11, comma 2 del decreto medesimo; si � cos� esclusa la possibilit� di compensare il reddito imponibile cos� come definito secondo i cr�.teri automatici, con le perdite accertate in esercizi precedenti (Cass. 1984/2045). Lo stesso criterio deve essere adottato nella risoluzione della controversia in esame nella quale � l'amministrazione che pretende di disattendere i criteri di �definizione automatica per fare ricorso ai nor mali criteri di liquidazione del tributo ed, in particolare, a quelli previsti dal predetto art. 112 (Cass. 1985/2880). Infatti .l'automatismo che preclude al contribuente, che abbia presentato la domanda di definizione agevolata, di avvalersi di altre norme tributarie a lui favorevoli, non pu� non operare, per un fondamentale principio di parit� di trattamento, che trova applicazione nella speciale normativa che discipli:ina il c.d. condono, anche nei confronti del fisco, il quale, per volont� del legislatore, � tenuto a riscuotere i tributi solo nella misura prevista dal predetto provvedimento, rinunciando ad ottenerli nella misura che sarebbe risultata dalla applicazione di altre leggi tributarie .e ci� -ove si voglia rinvenire il motivo del provvedimento, desumendolo dai lavori parlamentari -al fine di riscuotere con sollecitudine, senza attendere l'esito delle normali procedure amministrative e ponendo fine al pesante contenzioso esistente, sottraendosi, altres�, all'alea delle liti. (omj.ssis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 298 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 maggfo 1986, n. 3198 -Pres. La Torre Est. Maltese -P. M. Leo {conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stail:o Mari) c. Albani. Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Avviamento di azienda conferita in societ� -Si verifica. (T.V. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 100). La plusvalenza da avviamento di azienda individuale d� luogo a reddito imponibile anche quando si verifica mediante conferimento in societ� di persone, indipendentemente dalla percezione di un corrispettivo (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso l'Amministrazione finanziaria denuncia la violazione dell'art. 100 t.u. n. 645 del 1958. Sostiene che la sentenza � viziata da un errore di fondo, consistente nel disconoscere l'esistenza di un corrispettivo del conferimento di quote aziendali in societ�, mentre il carattere oneroso dell'apporto sociale � affermato dalla dottrina unanime. Il ricorso � fondato per le ragioni che seguono. Solo con l'apporto dell'intera azienda alla societ�, non certamente col trasferimento di una parte di essa (1/100) ad altro soggetto (il figlio), l'Albano pot� realizzare il valore di avviamento. La formazione della plusvalenza, agli effetvi dell'imposta di r.m., cat. B, presupponeva, invero, il trasferimento dell'intera azienda ad un nuovo soggetto, la neoistituita societ� in nome collettivo. Questo risultato fu raggiunto con il conferimento di tutte le quote sociali. Come la giurisprudenza di questa Corte ha gi� avuto occasione di precisare, �la plusvalenza da avviamento realizzata dall'imprenditore individuale per effetto del trasferimento della propria azienda ad una societ� di persone, dotata di autonomia patrimoniale e di distinta soggettivit� tributaria, concorre a formare il reddito imponibile con l'imposta di ricchezza mobile, ai sensi e sotto il vigore dell'art. 100 del d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, a prescindere dalla percezione di un corrispettivo e, quindi, anche nel caso in cui quell'imprenditore divenga socio della societ� e ceda l'azienda a titolo di conferimento � (Cass. 12 maggio 1979 n. 2739). (1) �> confermato l'orientamento di Cass. 12 maggio 1979 n. 2739 (in questa Rassegna, 1979, I, 763), bench� sia stata esclusa, sempre sotto il vigore del T. U. del 1958, la realizzazione di plusvalenza nel caso di permuta (9 ottobre 1979 n. 5220, ivi, 1980, I, 184). La questione � oggi risolta testualmente nell'art. 54, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 299 Non � pertinente il riferimento del contribuente alla decisione di questa Corte a Sezioni Unite n. 5220 del 9 ottobre 1979, ohe riguarda soltanto l'ipotesi di una permuta posta in essere senza conguagli da una societ� soggetta alle regole del bilancio, con la conseguente preclusione, per la Finanza, della possibilit� di accertare l'eventuale maggior valore -tassabi1e quale plusvalenza -del primo dei beni permutati, contro le risultanze dell'iscrizione nel bilancio del costo del bene acquistato, pari al costo del bene ceduto: situazione evU:dentemente estranea al caso in esame. (omissis) CORTE DI CASSAZIOAE, Sez. I, 20 maggio 1986, n. 3340 -Pres. Santosuosso -Est. Borruso -P. M. Martinel.li (diff.). Soc. Lostar c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giudizio di cassazoine -Nullit� del giudizio di primo grado ex art. 24 secondo comma e 29 secondo comma d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 -Cassazione con rinvio alla Commissione di primo grado. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, artt. 24 e 29 c.p.c. art. 386). Quando la Corte di Cassazione accerta una nullit� del giudizio di primo grado (nella specie vizio di contraddittorio) per la quale il giudice di appello avrebbe dovuto rimettere al primo giudice (art. 24 secondo comma e 29 secondo comma d.P.R. n. 636/1972) annulla con rinvio alla commissione di primo grado a norma dell'art. 383 c.p.c. (1). (omissis) L'impugnata decisione, in cui di tutto ci� non � stato tenuto il minimo conto, deve, perci�, essere cassata e la causa deve essere rimessa, a norma dell'ultimo comma dell'art. 383 c.p.c. (essendosi riscontrata una nullit� del giudizio di primo grado per fa quale il giudice d'appello avrebbe dovuto rimettere le parti al primo giudice), alla Commissione Tributaria di I grado di Bergamo perch� -comunicata alla societ� ricorrente la data in cui sar� fissata l'udienza nei modi previsti dall'art. 32 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 cos� come modificato dall'art. 19 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 -, riprenda in esame il ricorso ad essa, a suo tempo, rivolto dalla societ� contribuente con <le integrazioni che quest'ultima eventualmente riterr� di fare, secondo quanto consentito dall'art. 19 bis del predetto decreto del 1981. (omissis) (1) La decisione apporta un importante chiarimento e merita adesione. Ovviamente il rinvio sar� disposto al secondo grado se in quella fase si � verificato il vizio importante di nullit� radicale per la quale il giudice di terzo grado avrebbe dovuto rinviare al secondo grado. 300 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 31 maggio 1986, n. 3690 -Pres. Santosuosso -Est. Finocchiaro -P. M. Martinelli (conf.). Paolini c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Imprenditore commerciale -Gestione di unico affare Compatibilit�. (T.U. 29 gennaio 1958, n. 645 art 100). Ai fini della imponibilit� della plusvalenza la qualit� di imprenditore commerciale, che rende superfluo l'accertamento dell'intento di speculazione, pu� essere riconosciuta anche in caso di gestione di unico affare quando comporti una organizzazione per la sua rilevanza economica e la molteplicit� delle operazioni (nella specie demolizione e ricostruzione di un edificio di notevoli dimensioni e vendita degli appartamenti) (1). (omissis) Tutto ci� premesso, rileva il Collegio che investendo i vari motivi due questioni fondamentali e precisamente la sussistenza dell'impresa e la prova dell'intento speculativo, occorre procedere all'esame delle varie censure raggruppandole in funzione della questione che propongono, prescindendo dall'ordine con il quale sono ~tate proposte. Vanno, a tal fine, innanzitutto esaminati il primo, il terzo ed il quarto motivo con i quali, contestandosi I.e qualit� di imprenditore del Paolini (primo motivo), si deduce violazione dell'art. 100 t.u. n. 645/1958 (terzo motivo) e dell'art. 91 stesso t.u. (quarto motivo) applicati malgrado l'inesistenza dell'impresa. Il primo motivo di ricorso � infondato. La Commissione Centrale ha applicato il princ1p10 costantemente seguito da questa Corte -ed al quale il Collegio ritiene di aderire secondo cui la qualifica di imprenditore pu� determinarsi anche da un solo affare in considerazione della sua rilevanza economica e delle operazioni che il suo svolgimento comporta (Cass. 20 gennaio 1973, n. 267; Cass. 12 maggio 1965 n. 907; Cass. 13 ap:riile 1964 n. 870; Cass. 29 maggio 1954 n. 1791). Tale principio non � contraddetto -malgrado il contrario avviso espresso dai ricorrenti nella memoria -da Cass. 3 dicembre 1981 n. 6395, secondo cui il requisito della professionalit�, necessario per l'acquisizione della qualifica di imprenditore commerciale, implica lo svolg.imento sistematico ed abituale di una .attivit� imprenditoriale e da Cass. 16 settembre 1983, n. 5589, per la quale, per la ricorrenza della figura dell'imprenditore commerciale, il requisito dell'organdzza� zione professionale postula una attivit� sistematica e continua, anche (1) Decisione di evidente esattezza. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA se con rudimentale e limitata predisposizione di documenti, densi.ro ed altro. Se infatti le due decisioni da ultimo citate si limitano a richiamare -in funzione delle fat1J1specie sottoposte a giudizio -i connotati della professionalit�, costituiti dalla abitualit�, stabilit�, continuit� e sistematicit� nello svolgimento dell'attivit� imprenditrice, le altre decisioni, alle quali si � implicitamente riferita la Commissione Centrale, precisano -in conformit� con pacifiche conclusioni dottrinali -che sistematicit�, abitualit� e continuit� non possono considerarsi sinonimi di perennit�, sicch�, come devono essere qualificati veri e propri imprenditori quelli che esercitano una attivit� naturalmente stagionale (cfr. Cass. 6 aprile 1968 n. 1051), devono essere parimenti cons1derati imprenditori anche coloro che svolgono un solo affare, quando lo stesso presenti notevole rilevanza economica e comporti una molteplicit� di operazioni per la sua realizzazione. Sicch� correttamente la Commissione Centrale ha ravvisato la sussistenza della qualifica di imprenditore -nel concorso degli altri requisiti previsti dall'art. 2082 e.e. ed in ordine ai quali i ricorrenti non muovono particolari censure, salvo un cenno, contenuto nel sesto motivo, a:llo scopo di lucro -nell'attivit� di demolizione di un fabbricato e di costruzione, sull'area di risulta di mq. 1809, di altro immobile diviso in appartamenti, poi, concretamente venduti, a prescindere dai motivi per i quali a tale vendita si sia addivenuti (cfr., nello stesso senso, e proprio con riferimento ad una attivit� di costruzione di immobili, Cass. 29 gennaio 1973 n. 267), atteso il carattere relativo e non assoluto dei termini abitualit�, continuit� e sistematicit� integranti il concetto di professionalit�. La reiezione del primo motivo e, quindi, �l'affermazione della legittimit� della qualifica di imprenditore commerciale attribuita ai contribuenti comporta, come logica conseguenza, l'assorbimento del .terzo e del quarto motivo formulati nel presupposto della inesistenza dell'impresa. Passando all'esame dei residui motivi di ricorso (secondo, quinto e sesto) con i quali si contesta la sussis1Jenza dell'intento speculativo, va rilevato che, a sostegno delle censure, i ricorrenti, che nel ricorso si sono riferiti ad una remota pronuncia della stessa Commissione Centrale (dee. 25 ottobre 1940 n. 31484 Giur. imp. dir. 1942, n. 7, col. 21), con la memoria hanno invocato la recente decisione delle S.U. di questa Corte (Cass. 9 maggio 1985, n. 2871) per la quale l'intento speculativo, quale requisito per l'assoggettamento della plusvalenza, realizzata mediante vendita di beni, ad imposta di ricchezza mobile non pu� essere supposto, ma va concretamente accertato, sia pure per mezzo di presunzioni, alla stregua delle specifiche modalit� e circostanze della singola operazione, richiamando altres� Cass. 13 ottobre 1983 n. 5960, sempre delle S. U., per la quale, ai fini dell'accertamento dell'intento speculativo, occorre tener 302 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO conto che esso postula un co~portamento del venditore logicamente e cronologicamente precedente l'at\o di cessione e strumentale rispetto II all'incremento di valore, che pu� �ssere insito nello stesso acquisto, se accompagnato dalla preordinazione al conseguimento della plusvalenza, ovvero in un'attivit� successiva, rivolta ad agevolare o potenziare l'inci m denza di fattori incrementativi. Da queste premesse i ricorrenti traggono la conseguenza ohe, avendo la Commissione riconosciuto che l'originario progetto di costruzione di un immobile di sette piani, con appartamenti e negozi destinati ad essere affittati, non si era potuto realizzaire, e che, costruito un immobile di minore altezza, gli appartamenti erano stati venduti per coprire le passivit�, doveva escludersi la realizzazione dell'intento speculativo, con derivata contraddittoriet� di motivazione della decisione che tale intento aveva, ci� malgrado, affermato, nonch� commissione di motivazione sulla esistenza del fine di lucro in mancanza di una impresa. Anche i motivi secondo, quinto e sesto sono infondati. I principi richiamati sono applicabili in ipotesi di plusvalenza reaI.izzata da soggetto non imprenditore, mentre in tema di plusvalenza derivante da vendita immobiliare effettuata da persona fisica titolare di impresa commerciale -come SOlllO da considerare i contribuenti a seguito della reiezione del primo motivo di ricorso -tale plusvalen22a, secondo costante giurisprudenza, � tassabile con l'imposta di ricchezza mobile, ai sensi e sotto il vigore deU'art. 100 t.u. n. 645 del 1958, solo quando si deduca e S�i dimostri che il bene trasferito siia ��relativo all'impresa�, cio� costituisca oggetto, o risultato dell'attivit� imprenditoriale, ovvero strumento per la realizzazione dei suoi fini (Cass. 26 aprile 1981 n. 2554 e 2555; Cass. 8 gennaio 1981 n. 139; Cass. 12 aprile 1979, n. 2166). Nella specie, pacifico che l'alienazione riguardava gli immobili oggetto dell'attivit� imprenditoriale, incentrandosi la contestazione sulla qualit� di imprenditore del contribuente, era irrilevante accertare, ai fini della tassabilit� della plusvalenza, la preoroinaziOllle al conseguimento della plu_svalenza stessa, sicch� non sussiste n� la dedotta contraddittoriet� di motivazione, ricavata dalla mancata realizzazione dello scopo originario (costruzione di un immobile di sette piani da destinare alla locazione), n� l'omissione della motiv.azione in ordine al fine di lucro, ritenuto sussiistente malgrado la non realizzazione dello scopo, attesa la non necessit� di .tale fine per la individuazione dell'imprenditore individuale. (omissis) SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 aprile 1986, n. 2368 -Pres. Tamburrino -Rel. Cantillo -P. M. V. Sgroi (concl. conf.) -Amministrazione dei LL.PP. (avv. Stato Vittoria) c. S.p.A. S.C.l.C. (avv. Carusi). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi . Positivo esercizio della facolt� di accordarla -Pretesa ad una maggior somma . Diritto soggettivo � Ritardo nel riconoscerla dovuta -Inadempimento di obbligazione pecuniaria � Responsabilit� per danni -Confi� gurabilit�. (O.Ivo C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501; cod. civ., artt. 1218 e 1224). Appalto � Appalto di opere pubbliche � Revisione dei prezzi -Danni da ritardato pagamento � Decorrenza -Non anteriore alla data del provvedimento che accorda la revisione. (O.Ivo C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 3; cod. civ., art. 1224). Responsabilit� civile -Danni -Valutazione e liquidazione -Svalutazione monetaria -Risarcimento automatico -Inammissibilit� � Prova mediante presunzioni. (Cod. civ., art. 1224). Dopo che la pubblica amministrazione abbia esercitato in senso positivo il potere di accordare la revisione del prezzo di appalto di un'opera pubblica, l'appaltatore � costituito in una posizione di diritto soggettivo alla corresponsione del compenso revisionale sull'ammontare risultante 1dai parametri normativi e tecnici applicabili per la monetizzazione delle differenze di prezzo. In caso di ritardo nel pagamento della differenza tra la somma originariamente stabilita e quella poi accertata come dovuta, spettano all'appaltatore gli interessi nella misura prevista dalle leggi in materia e, in caso di colpa, il maggior danno ex art. 1224, comma 2, cod. civ. (1). (t) La decisione fa puntuale applicazione del pi� recente indirizzo giuri� sprudenziale in tema di rapporto tra facolt� dell'amministrazione di accor� dare la revisione dei prezzi ed interesse dell'appaltatore a veder eliso l'onere economico subito in conseguenza dell'aumento dei prezzi avutosi nel corso dell'esecuzione del contratto: sul punto cfr. Cass. 23 febbraio 1983 n. 1365, in Giust. civ. 1983, I, 3320 con nota di PIACENTINI, Nuovi orientamenti giurisprudenziali in tema di revisione dei prezzi e in Giur. it. 1983, I, l, 3 con nota di TARTAGLIA, � Revirement � in materia di competenza a giudicare sulla revisione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 304 Il risarcimento del maggior danno da colpevole ritardo nella liquidazione dell'esatto compenso revisionale non pu� essere dovuto da data anteriore a quella del provvedimento che, accordando la revisione del prezzo, anche se in misura inferiore a quella dovuta, costituisce in favore dell'appaltatore un diritto soggettivo (2). Con riguardo alle obbligazioni pecuniarie, il fenomeno inflattivo non consente un automatico adeguamento dell'ammontare del debito, n� costituisce di per s� un danno risarcibile, ma pu� implicare, in applicazione dell'art. 1224 comma 2 cod. civ., solo il riconoscimento in favore del creditore, oltre gli interessi, del maggior danno che sia derivato dall'impossibilit� di disporre della somma durante il periodo della mora, nei limiti in cui il creditore medesimo deduca e dimostri che un pagamento tempestivo lo avrebbe messo in grado di evitare o ridurre quegli effetti economici depauperativi che l'inflazione produce a carico dei prezzi negli appalti di opere pubbliche; Cass. 23 febbraio 1983 n. 1366, in questa Rassegna 1983, I, 403; Cass. 23 .febbraio 1983 n. 1363 e 1370, Arch. giur. op. pubbl. 1983, Il, 49 a 70; Cass. 14 giugno 1985 n. 3571, Arch. giur. op. pubbl. 1985, 1085; Cass. 24 giugno 1985 n. 3790, ivi, 1985, 1089; Cass. 8 luglio 1985 n. 4088, ibidem 1985, 1479; Cass. 8 luglio 1985 n. 4089, Arch. giur. op. pubbl. 1985, 1486; Cass. 26 luglio 1985 n. 4341, ivi, 1985, 1491; Cass. 1 ottobre 1985 n. 4753, ibidem, 1985, 1506. Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, nelle controversie in materia di revisione dei prezzi, la trasformazione della posizione dell'appaltatore da interesse legittimo a diritto soggettivo e perci� la competenza giurisdizionale del giudice ordinario a conoscere della controversia sussisterebbero sempre quando l'amministrazione appaltante abbia esercitato il potere con un provvedimento che abbia avuto a suo oggetto l'intero rapporto revisio. nale. Quando, invece, � sia mancata una determinazione dell'intero rapporto revisionale, la corresponsione di acconti � sufficiente a far ritenere consumato il potere dell'Amministrazione di accordare, oppur no, la revisione, non ricadendo tale corresponsione nella previsione dell'art. 4 del decreto n. 1501 del 1947 (che prescrive il ricorso amministrativo sia contro il diniego sia contro la concessione parziale della revisione), a meno che non implichi un riconoscimento parziale o perch� sia limitato ad un determinato periodo di tempo, rispetto al quale stabilire le variazioni cui va raccordata la liquidazione del compenso o perch� il riconoscimento si riferisca ad una determinata partita di lavori�. In base alla prima delle regole enunciate dalla cassazione, nella giurispru denza amministrativa � stata riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario in casi in cui si controverta sulle tabelle cui riferirsi per determinare gli aumenti dei prezzi avutisi (se quelle pubblicate nel corso dell'esecuzione dei lavori o altre pubblicate successivamente a correzione delle prime): cfr. T.A.R. Basilicata 25 luglio 1984 n. 141, 29 dicembre 1984 n. 419 e 11 maggio 1985 n. 75, in Arch. giur. op. pubbl. 1985, 253, 642 e 1246. In base alla seconda, la cassazione ha riconosciuto la giurisdizione del giudice amministrativo, in un caso in cui la revisione era stata accordata per talune opere, ma non per altre, considerate non inerire ad un contratto d'appalto, donde la configurabilit� d'una concessione parziale della revisione PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 305 di tutti i possessori di denaro. Al fine dell'individuazione e quantificazione di tale danno, il ricorso ad elementi presuntivi ed ai fatti di comune esperienza non pu� tradursi nell'applicazione, in via generale, di parametri fissi, quali quelli evincibili dagli indici ISTAT o dal tasso corrente degli interessi bancari, n� pu� implicare l'esonero del suddetto onere di allegazione e prova, ma deve ritenersi consentito soltanto in stretta correlazione con le qualit� e condizioni della categoria cui appartiene il creditore (3). (omissis) 1. -Con il primo motivo di -ricorso, denunziando la violazione degli artt. 1218, 1223 e 2043 cod. civ., l'Amministrazione' critica la sent�nza impugnata perch�, dopo avere esattamente escluso che l'appaltatore di opera pubblica abbia un diritto soggettivo alla revisione del prezzo dell'appalto, ha tuttavia ritenuto in colpa l'amministrazione appaltante per essere incorsa in errore circa i criteri di calcolo della revisione medesima, perci� affermandone _la responsabilit� per il ritardo nel pagamento del compenso revisionale, laddove, proprio in considerazione della nei sensi di cui all'art. 4 del D.L.C.p.S. 1501 del 1947 (Cass. 14 giugno 1985 n. 3571, cit.). Cons. St., Ap., 20 febbraio 1985 n. 3, in Arch. giur. op. pubbl. 1985, 174, dopo aver dichiarato di uniformarsi al pi� recente indirizzo della cassazione, ha qualificato come riconoscimento parziale, idoneo a radicare la giurisdizione amministrativa, un provvedimento con cui il compenso revisionale era stato calcolato utilizzando il criterio dell'andamento teorico anzich� quello dell'avanzamento effettivo, in conseguenza della negata rilevanza d'una proroga. Va avvertito che la pi� recente giurisprudenza della Corte di cassazione presenta un'esplicita riserva circa la portata dell'art. 17 della I. 10 dicembre 1981 n. 741, sul rilievo che l'art. 1 della legge �fa espresso riferimento ai lavori da aggiudicarsi, affidarsi o concedersi dopo l'entrata in vigore d'essa>>, mentre i casi sin qui considerati traggono origine da appalti anteriori (cfr. Cass. 8 luglio 1985 n. 4088 e 4089, cit.). (2) Nel caso esaminato era incontroverso che, ratione temporis, si applicasse l'art. 3 del D.L.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, a norma del quale, sul compenso revisionale, sono dovuti interessi legali e non moratori, a decorrere da un anno dalla data di approvazione del collaudo, cio� da data che, in concreto, era precedente a quella del provvedimento che aveva per la prima volta liquidato il compenso. Sul problema dell'abrogazione dell'art. 3 del D.L.C.p.S. 6 dicembre 1947 n. �1501 ad opera della legge 21 dicembre 1974 n. 700, cfr. Trib. Roma 9 dicembre 1983 n. 12832, in questa Rassegna 1984, I, 401. (3) La decisione in rassegna � per questa parte annotata da TARTAGLIA, Il risarcimento non automatico del danno da svalutazione e le categorie creditorie, in Giust. civ. 1986, I, 1605; PERDOLESI, Le sezioni unite su debiti di valuta e inflazione: orgoglio (teorico) e pregiudizio (economico), in Foro it., 1986,. I, 1265 e da AMATUCCI, Svalutazione monetaria, preoccupazioni della Cassazione e principi non ancora enunciati in materia di computo di interessi, ivi, 1986, I, 1273. 306 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO consistenza di interesse legittimo della posizione dell'appaltatore, non si configurava un obbligo giuridico dell'appaltante, idoneo a dar luogo ad un illecito, n� quanto al riconoscimento della revisione n�, a fortiori, quanto alle modalit� di liquidazione della stessa. Il motivo non merita accoglimento, sebbene la motivazione della sentenza non sia conforme a diritto e debba essere perci� corretta, ai sensi dell'art. 384, secondo cornmia, cod. proc. civ. La Corte di appello, muovendo dalla premessa sistematica -conforme all'indirizzo giurisprudenziale in passato prevalente -secondo cui l'appaltatore di opera pubblica pu� vantare sempre e soltanto un interesse legittimo alla revisione, rimessa all'unilaterale valutazione della p.a. sia per l'an che per il quantum, non poteva poi ravvisare un illecito, sotto il profilo della violazione delle regole di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, nel riconoscimento di un compenso revisionale inferiore a quello domandato, posto che certamente non � configurabile un inadempimento contrattuad.e in relazione ad un atto di esercizio di un potere autoritativo discre~ionale, quale deve considerarsi -nelottica di detto indirizzo -anche quello che determina l'ammontare della revisione; n� il giudice ordinario potrebbe sindacare, manifestamente, fa legittimit� di un tale provvedimento, sicch� la sentenza in esame, ,all'interno dell'opinione accoJta, non potrebbe essere condivisa neppure nella parte irn cui ha apprezzato la condotta dell'amministrazione I alla stregua degli ordilnari parametri dell'inadempimento delle obbli~ gazioni. Sennonch� queste Se:zfoni unite, con le pi� recenti pronunzie al ri I guardo, hanno precisato che la posizione dell'appaltatore ha natura e consistenza di interesse legittimo soltanto rispetto al provvedimento con I cessivo della revisione, nella fase, cio�, in cui l'amministrazione � chia ~ mata a stabilire se possa o non possa essere accoroata, giaoch� solo in relazione a questa determinazione si richiedono valutazioni discrezionali correlate a preminenti interessi di ordine pubblidstico, mentre, dopo che la scelta sia stata effettuata in senso positivo, il potere autoritativo deve ritenersi esaurito, e la posizione dell'appaltatore acquista, dunque, consistenza di diritto soggettivo, peroh� la concreta determinazione del quantum della revisione coinvolge solo l'applicazione di criteri e parametri liquidatori, la cui individuazione non lascia spazio a valutazioni discrezionad.i di interessi pubblid. Pertanto, quando l'Ammi- I nistrazione abbia stabilito di accettare la richiesta di revisione -la quale, decisione, per altro, non deve essere necessar.iamente manifestata con I un atto formale diretto a questo scopo, potendo risultare anche in I maniera implicita, attraverso in ordine all'an dell~ revisione di diritto comune, in forza atti che postulano l'esercizio del potere I i -si costituisce un rapporto obbligatorio del quale l'amministrazione medesima � I I i PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 307 tenuta a corrispondere il compenso revisionale nell'ammontare risultante dai parametri normativi e tecnici in concreto applicabi:li per la monetizzazione delle differenze di prezzo; e, conseguentemente, in caso di ritardo nel pagamento degli importi revisionaili, l'appaltatore non solo ha diritto agli interessi, nella misura prevista dalle leggi in materia, ma ove l'amministrazione vers:iin colpa, anche al risarcimento del maggior danno, ex art. 1224 secondo comma cod. civ. (v. sent. 1363, 1365 e 1366 del 1983). Nella vicenda in esame, � pacifiro ohe il Ministero dei lavori pubbiici, con prowedimento del 25 marzo 1958, deliber� di accordare il compenso revisionale e tuttavia lo liquid� im. somma sensibi.ilmente inferiore a quella dovuta perch�, assumendo essersi perfezionato l'appaito in data diversa da quelila della stipulazione, ritenne di applicare i criteri previsti dal dil.ilgt. n. 1501 del 1947, in luogo di quelli -pi� favorevoli aWappaltatore -dettati dalla legge n. 1296 del 1938, espressamente richiamata in contl'.atto. Alla stregua del principio ora ricordato, la societ� appailtatrice consegu� il diritto ad ottenere la liquidazione del compenso revisionale, sec0111do i criteri previsti dailla normativa applicabile al rapporto, in virt� di detto provvedimento di riconoscimento della revisiO!lle; e da tale data -e non da quella dehla successiva pronunzia del Consiglio di Stato -Ll'Amministrazione appaltante era obbligiata a corrispondere la somma dovuta ai sensi della legge n. 1296 del 1938. Da un lato, quindi, n0111 ha ragiO!lle d'essere il dubbio, adombrato dalla ricorrente in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario, avendo la Soc. S.C.l.C. proposto domanda di risarcimento del danno da svalutazione in relaziO!lle al diritto di crediito suddetto; dall'altro, nO!llostante l'rerrore in cui � incorsa nell'individuazione della fonte del rapporto obbligatorio, deve essere condivisa la sentenza impugnata nella parte in cui ha valutato in termini di mora collpevole, secondo la disciplina civilistica, il rita:tdo nel pagamento della differenza del compenso revisionale, �originariamente oorrisposto in somma inferiore per fatto imputabile all'Amministrazione, che deliberatamente aveva disapplicato la normativa in base alla quale, anche in forza dell capitolato d'appalto, il compenso medesimo doveva essere liquidato. E poich� in questo comlportamento la Corte di appello -con motivazione congrua e, comU!llque, non specificamente censurata -ha ravvisato la collpa dell'Amministrazione, ristrlta corretta la statuizione con la quale la stessa � stata ritenuta responsabile dell danno (in ipotesi) subito dalla societ� per avere conseguito in ritardo la residua somma dovutale. Pertanto, corretta la motivazione nei sensi suesposti, la sentenza impugnata deve essere in parte qua tenuta ferma. 308 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 3. -Con il secondo motiv� di ricorso, denunziando la violazione dell'art. 3 del d.l. C.p.S. n. 1501 del 1947 e dell'art. 1224, secondo comma, cod. civ., nonch� vizi del:la motivazione, l'Amministrazione muove alla sentenza impugnata tre distinte censure: a) ammesso che la societ� appaltatrice avesse acquisito il diritto al compenso revisionale con il provvedimento del 25 marzo 1958, con cui la revisione era stata accordata, una responsabilit� de1la appaltante per il ritardo nel pagamento poteva configurarsi solo da queJ:l'epoca e non gi� dal 5 agosto 1956, data di scadenza dell'anno dall'approvazione de'I collaudo (da cui decorrono, ex art. 3 cit., gli interessi legali); b) trattandosi di debito di valuta e non di valore, la Corte di appel;lo non poteva rivalutare automaticamente, secondo gli indici ISTAT, la somma dovuta qua1e differenza del compenso revisionale, giacch� nelle obblligazioni pecuniarie incombe al creditore la prova di aver subito, in concreto, un danno superiore a quello coperto dagli interessi legali, dimostrando che il tempestivo pagamento gli avrebbe consentito di evirtare gJi effetti dell'inflazio:ne, laddove la Soc. S.C.I.C. non aveva provato, e neppure allegato, elementi idonei a dimostrare un siffatto danno; e) anche a voler riconoscere -in contrasto con l'indirizzo giurisprudenziale di gran lunga prevalente -l'automatismo della rivalutazione, suhle somme liquidate a questo titolo non potevano �essere attribuiti gli inrteressi compensativi, in quanto il danno riferibile al deprezzamento della moneta duroote la mora comprende, per sua natura, quello forfettariamente risarcito coo gli interessi. Le prime due censure sono fondate. 4. -Quella sub a) riposa sul princirpio, innanzi ricordato, secondo cui solo con il riconoscimento espresso o tacito delila revisione il rapporto fra l'amministrazione e l'appaltatore trasmigra dall'area del diriitto pubblico (contraddistinta dal potere discrezionale della prima) a quella del diritto privato, assumendo le cODJnotazioni dii un ordinario rapporto obbligatorio, nel quale la posizione reciproca dehle parti si configura in termini di diritto e di obbligo. Da quel momento sorge l'obbligazione della commnttente di pagare H compenso revisionale e il ritardo nella liquidazione pu� essere apprezzato come mora cdlpevole; con la conseguenza che, nella specie, la responsabi[it� del Ministero per il danno dedotto poteva essere affermata a decorrere dal provvedimento di � accet� tazione della revisione (25 marzo 1958), con riguardo, cio�, ai!. deprezzamento monetario verificatosi successivamente a tale data, e non dall'agosto 1956, come ritenuto dalla Corte di appehlo (che ha erroneamente ipotizzato, come si � detto, un diritto alla rewsione scaturente direttamente dal contratto di appalto). 5. -La censura sub b) assume rilievo centrale nelila trattazione, in relazione all'oggetto della controversia e perch� il presente ricorso e I ~ l f 1 I I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 309 altri discussi nella stessa udienza, che del pari ripropongono, sotto vari aspetti, il problema del risarcimento del danno da svalutazione monetaria nehle obbligazioni pecuniarie, �sono stati portati all'esame delle sezioni unite ~anche) allo scopo di verificare nuovamente la validit� dell'indirizzo espresso al riguardo con le note sentenze di queste stesse sezioni unite n. 3776 e 5572 del 1979, occorrendo comporre il contrasto che si � determinato nella succesisiva giuirisprudenza della Corte tanto �!ll ordine ai presuppos1li in base ai quali il dainno � stato ritenuto risarcibile da tali pronunzie, quanto in ordine ahl'appliicazione dei princ�pi con esse enunciati �ai fini della prova dell'esistenza e dell'ammontare del danno. A voler riassumere schematicamente i termini del dissenso riguardante il primo profilo, va detto che, mentre la maggior parte delle dedsioni � in linea con l'i!lldirizzo suddetto -per cui deve escludersi, perch� confliggente con iJl pri!llcipio nominalistico, ogni generalizzato automatismo risaircitorio in dipendenza del semplice fatto dehla svalutazione, che pu� assumere ri.J.ievo, invece, solo come fonte di danno ulteriore non coperto dagli interessi, ai sensi del secondo comma dell'art. 1224 cod. civ. -da tale orientamento si sono motivatamente discostate tre sentenze, cio� la n. 123 del 1983 della terza sezione, la n. 651 del 1984 della stessa sezione e la n. 3356 del 1985 della prima sezione. La sent. 123/83 -la pi� lontana, ne1ile premesse come neUe conseguenze, dall'indirizzo delJe Sezioni unite -sostanzialmente ripropone l'opinione secondo cui l'obbligazione pecuniaria, in seguito alla mora del debitore, si .trasforma da debito di valuta in debito di valore. In particolare, ~ondo questa pronunzia, gli interessi di cui al primo comma deJJ.'art. 1224, che 1a disposizione qualifica moratori, in realt� non hanno fun:llione risarcitoria, trovando causa ne1la normale redditivit� del denaro, mentre il risarcimento del danno derivante dalla mancata prestazione della valuta � regolato dal secondo comma della disposiziooe e non soggiace al principio nominalistico perch� va commisurato, come per l'inadempimento di ogni a:ltro debito al depauperamento economico sofferto dal creditore �in relazione al valore che aveva per lui l'adempimento tempestivo. E poich� il pagamento in moneta svalutata equivale ailla prestazione di cosa diminuita di vail.ore perch� deprezzata, la sva[ uta:lliooe monetaria -che ontolowi.oamente � un danno coHettivo, generalizzato ad ogni uso del denaro -per effetto dell'inadempimento si trasforma in un danno individuale che deve essere risarcito in ogni caso, quanto meno in misura pari all'entit� del deprezzamento mooetario risultante dagli indici ufficiali. La sent. 651/84, poi, nel richiamare gli argomenti della pronuncia ora ricordata, afferma che il danno da svail.utazione deve � riconoscersi in re ipsa, posto che qualunque impiego del danaro, anche il semplice deposito bancario e la svendita di beni di consumo, produce ricchezza 310 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO riconducibile al valore delJ.a moneta �, con la conseguenza che spetta al debitore l'onere di provare il contrario �nei casi eocezionaii in cui tale previsione non debba operare �. Infine, la sent. 3356/85, che nella premessa presta formafo adesione ahl'indirizzo delle sezdoni U'.DI�.te, pernene aUe stesse conclusioni delle due sentenze suddette, cio� all'automatismo del danno da svalutazione, attraverso un discorso condotto princirpa:lmente sul piano dell'onere probatorio del maggior danno: si afferma che a questo scopo � sufficiente che il creditore deduca la svalutazione monetaria e ne chieda la liquidazione nella misura determinata swlla base degli indici ufficiali, salva la prova contraria da parte del debitore, tenuto a dimostrare che in concreto la svalutazione non ha prodotto danno o ha inciso in misura inferiore a quella costituita dal taisso di inflazione. 6. -Queste pronU1I1Zie non possono essere condivise, venendo addotti argomenti che, nell'aillllosa e tormentata vicenda della rilevanza del c.d. danno da svalutarione, altre volte sono st�ti confutati dalle seziond unite. Alla premessa teonica che domina (sulle orme di un lontano precedente: n. 310 del 1965) la sentenza n. 123 del 1983, � agevole obiettare che qualsiasi tentativo di assimilare l'obbliigazione pecuniaria ad I un debito di cose -per desumerne che la svailrutazione opera allo stesso modo di un parzia:le parimento del:l'oggetto dehla prestarione -� destinato a sicuro insuccesso, posto che il debito pecuniario si differenzia I da ogni altro proprio perch� ha ad oggetto una somma di denaro e il principio nominaUstiico vige per i pagamenti puntuali e per quelli tardivi, rendendo indifferente la prestatlone pecuniaria alJ.e vicende monetarie intercorrenti dalla sua genesi alla sua estinzione; ci� che di I rettamente risulta, del resto, dall'art. 1277, il quale, nell'attribuire alla I ~ moneta avente corso legale efficacia liberatoria secondo il suo valo.re nominale, fa riferimento a:l tempo del pagamento, non a quello della scadenza del debito. Neppure ha pregio l'argomento che, sempre nell'intento di discriminare, sul piano della prestazione, l'adempimento puntuale da quello tardivo, fa perno suHa natura degli interessi di cui al primo comma dell'art. 1224: la funzione. (anche) risarcitoria degli stessi, come indennizzo forfettario del danno da ritardo (coincidente anzitutto con gli interessi corrispettivi che il creditore avrebbe in ogni caso conseguito se avesse avuto la disponibilit� della somma), � attestata dalilo stesso enunciato normativo, in quanto il secondo comma della disposizione usa le espressioni � maggior danno � e � UJlteriore risarcimento � per designare quanto spetta al creditore oltre agli interessi (ed � uguaimente un'obbligazione di interessi finalizzata al risarcimento quehla costituita dalile parti che abbiano espressamente convenuto la misura degli interessi). PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 311 N� ha bisogno di essere dimostrato l'errore consistente nel ritenere che il risarcimento del maggior danno implichi una concezione vailoristica del!la prestazione pecuniiaria inadempiuta, essendo evidente l'equivoco in cui incorre la sentenza laddove identifica il valore della m01Deta, che � sempre quello nominale, con il �valore � che il pagamento puntuale aveva per il creditore, cio� COIIl. ae utilit� che questi si riprometteva di trarre dalla prestazione, il quale pregiudizio forma oggetto, invece, della distinta obbligazione risarciitoria prevista dalla disposizione. Inf�ine, ravvisando nella svailutazione � un danno collettivo � che diventa automaticamente � danno individuale � in conseguenza dell'inadempimento, si ricade neillo stesso errore della sentenza n. 5670 del 1978, di considerare, oio�, la svalutazione l:in danno in sens� girt.llI'idico, risarcibile secondo gli indici ISTAT come danno emergente identico per tutti i creditori. Gli stessi rilievi valgono per la sent. n. 651 del 1984, che pu� dirsi motivata per relationem alfa precedente; e valgono, in definitiva, anche per la sentenza n. 3356 del 1985, che, pur ingegnandosi di conciliare l'indirizzo delile sezioni unite con quello delle due sentenze suddette, finisce con l'aderire a quest'u1timo non solo nel risultato (espressamente condiviso), ma anche nelle premesse concettuali, giacch� ammettere che la rivalutazione della somma secondo g1i Indici ISTAT spetta per il solo fatto che il creditore aiHeghi la svalutazione, �perch� non esiste alcun valido motivo per affermare un'incidenza della medesima sul patrimonio del creditore in misura diversa da quella ufficialmente accertata�, significa riconoscere altres� che in questi limiti il danno da svalutazione � in reipsa ed opera allo stesso modo per tutti i creditori, avendo scarso rilievo sistematico e pratico la facolt�, data al debitore, di dimostrare la concreta ininfiluenza del fenomeno 'inflattivo. 7. -Si deve ancora una volta prendere atto, quindi, che la scadenza non pu� produrre alcuna diretta conseguenza sull'obb1igazione pecuniaria in quanto tale, rimanendo essa pur sempre assoggettata, fino al momento del pagamento, al principio nomin01listico e potendosi solo ipotizzare un'obbligazione aggiuntiva che sorge dall'inadempimento e che ha per oggetto il risarcimento del danno previsto dall'art. 1224; e deve pertanto essere confermata l'impostazione sistematica dell'orientamento delile sentenze del 1979, che -nel solco delLa pi� antica e consolidata traddzione giurisprudenziaJle -attribuisce indiretta rilevanza al deprezzamento della moneta quale fonte di danno ulteriore non ooperto dagli interessi e risarcibile ai sensi del secondo comma della disposizione suddetta. In particolare, va ribadito che: a) il danno da svalutazione non si identif�ica con il fenomeno inflattivo, cio� con l'inflaz�ione in s�, ma si configura in relazione alle conseguenze pregiudizievoli che dalla stessa 312 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sono derivate al singolo creditore e che non si sarebbero prodotte se non ci fosse stato il ritardo ne1l'adempimento, sicch�. il danno medesimo consiste nella lesione patrimoniale in concreto subita dal creditore per non aver potuto disporre della somma nel tempo in cui avrebbe dovuto essere pagata; b) la svalutazione che assume rilievo � quella che Sii verifica dtrrant� la mora, nella quale va mdividuata la causa per cui ~l creditore si � trovato nell'impossibilit� di evdtare ,gH effetti della svalutazione; e) conseguentemente -esclusa la diretta incidenza del deprezzamento mo.. netar�o sulla prestazione pecU111iaria -il danno deve essere accertato in concreto, incombendo al creditore di dimostrare che il pagamento tempestivo lo avrebbe messo in graido di limitare o di evitare gli effetti economici depauperatori che l'wlazione produce per tutti i possessori di denaro. 8. -Il problema centrale e pi� delicato di questo orientamento riguarda, com'� ben noto; appunto il profilo del � danno ulteriore �, occorrendo trovare una formula di v.alutazione che, da un lato, consenta di tutelare il pi� possibile la corretta realizzazione economica del rapporto obbligatorio, impedendo arricchimenti ingiustificati del debitore senza tuttavia ledere il principio nominalistico; e, dall'altro, fornisca criteri di determinazione del danno semplici ed agili, in armonia con l'esigenza della quantificazione forfettaria, che -come risulta, del resto, dallo stesso art. 1224 (primo e secondo comma) -� la pi� appropriata per le obbligazioni pecuniarie, stereotipe e di massa. Sono coerenti con quest'ultima finalit�, ma contrastano con le premesse sistematiche accolte, le soluzioni basate s.l mero .J:1�ferimento agli indici ISTAT o ad aitri parametri oggettivd pi� o meno arbitTariamente ritenuti validi per la generalit� e perci� assunti a prova presuntiva dell'an e del quantum del danno indiscriminatamente per tutti i creditori; come in precedenza si � accennato (ed � stato ampiamente dimostrato dalle sentenze del 1979), presumere un danno, sia pure con pTesunzione iuris tantum generalizzato e commisurato ad indici di carattere oggettivo relativi all'entit� del fenomeno monetario, in s� considerato, equivale a collegare direttamente la quantifica21ione deHa prestazione pecuniaria al potere di acquisto delfa moneta e a riconoscere, dunque, l'automatica rivalutazione della somma dovuta, in deroga al principio nominalistico. Per analoghe considerazioni sono da respingere anche le proposte -recentemente riprese con particolare vigore in dottrina (e spesso recepite dalla giurisprudenza di merito) -dirette a commisurare in ogni caso i.l danno da sva:lutazione a11o scarto esistente fra il tasso legale e il tasso di mercato del costo del denaro o, come pure � stato sostenuto, tra !interessi legali e tasso di sconto praticato dalla banca centrale (secondo il sistema adottato in talune legislazioni straniere). PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Queste soluzioni, inci:;ntrate sull'adeguamento dell'interesse monetario, in verit� salvatio iii prillloipio nominalistico, giacch� non comportano una rivalutazione automatica della somma dovuta; e non sembrano offellldere neppure il disposto del secondo comma dell'art. 1224, in quanto il � danno ulteriore � ben pu� consistere nella differenza dell'interesse ed essere risarcito allo stesso modo (come espressamente consente la norma). Ma � innegabile che in tal modo -riconoscendo sempre e in ogni oaso la differenza dell'interesse -si viene ad elevare, in pratica, il tasso legale degli interessi moratori, disconoscendone anche il carattere fisso, per modo che non si fa una operazione esegetica, ma normativa; e, di conseguenza, emerge anche la contraddizione con la disposizione suddetta, per cui l'unica via praticabile � quella dell'accertamento e della quantificazione soggettiva del maggior danno. Il merito delle sentenze del 1979 sta appunto nell'avere individuato una tecnica di accertamento del maggior danno che -semplificando l'onere dellla proVTa attraverso presunzioni e dati notori acquisiti dalla comune esperienza e desumibili dalle condizioni e qualit� del creditore -consente di pervenire ad una valutazione i~ pi� possibile soggettiva del danno medesimo, senza tuttavia rinunciare ail. ricorso a criteri gene� 11ali tali da permetterne, ove possibile, la quantificazione forfettaria e da favorire la semplicit� e speditezza della liquidazione. In questo metodo � essenziale il riferimento a categorie economiche socialmente signifilcative di creditori, enucleate in relazione a qualit� professionali o a condizioni personali che li accomunano quanto a11.e conseguenze del fenomeno perch� notoriamente implicano sistematiche e ripetitive modalit� di impiego prevalente del denaro, uguali per l'intera categoria. L'inquadramento in una di esse permette di valorizzare elementi di presunzione che possono essere utilizzati, secondo criteri di normalit� e di possibilit�, tanto al fine di riscontrare l'esistenza di un pregiudizio imputabile alla mom, sul presupposto di un impiego del denaro conforme a quello normale per la categoria, quanto -e soprattutto -per la liquidazione del danno in base a parametri oggettivi afferenti a quell'impiego. Con la conseguenza che la quantificazione � coerente all'entit� e alle modailit� con cl.l!i incide sulle varie categorie, sotto questo particolare aspetto, il fenomeno inflattivo, che, com'� noto, determina conseguenze diverse per ciascuna di esse; il ql.l!ale ri1ievo di per s� 1rende avvertiti come il rfferimento agli indici ISTAT non sempre costituisca un parametro appropriatorio di commisurazione del danno ulteriore. 9. -Questo aspetto centrale del giudizio personalizzato -per cui ad ogni figura socio-economica si attagliano criteri presuntivi diversi, correlati alle diverse forme di normale impiego de:I denaro e conseguente 314 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mente alle differenti utilit� che esso ha per il creditore -viene sottolineata dalla articolata esemplificazione di categorie ireditorie fatta nelle sentenze del 1979, che costituisce altres� un'utile traccia per individuare le presunzioni che possono essere ordinariamente fatte valere, nell'accertamento del danno e nella sua quantificazione forfettaria, dal creditore che lo alleghi in relazione al programJ:!lato impiego del denaro coerente con il dimostrato inquadramento in una di dette figure; le quali presunzioni possono trarsi talvolta da dati soggettivi inerenti al concreto svolgimento dell'attivit�, tal'altra da elementi e parametri oggettivi propri della categoria o del tipo di investimento. Cos�, in relazione al creditore esercente un'attivit� imprenditoriale possono essere fatte valere presunzioni, iJ. pi� dehle vo1te giustificate anche dalle ragioni del credito, connesse con il normale impiego del denaro nel ciclo produttivo (qua:le autofinanziamento o copertura endogena di capitale), per cui l'esistenza e l'ammontare approssimativo del danno possono essere desunti o facendo riferimento -come suggeriscono le sentenze del 1979 al risultato medio deU'attivit� in un certo periodo, dal quale � possibile inferire la redditivit� (marginale) media dell'investimento e, dunque, il mancato guadagno, oppure -occorre qui aggiungere -con riferimento rul costo del denaro, precisamente allo scarto fra interesse legale e tasso di mercato dell'interesse praticato dalle banche alla migHore clientela per il credito a breve (prime rate), sulla piazza del creditore e nel periodo della mora. Questo criterio attinente al danno emergente, riveste, anzi, carattere primario perch�, oltre ad essere inerente, come l'altro, alla destinazione del denaro all'attivit� produttiva -in relazione alla quale � ragionevole ritenere il ricorso del creditore al mercato bancario per ottenere il contante di cui � stato temporaneamente privato, per ripristinare, cio�, la complessiva copertura di capitale prevista al momento in cui il debito avrebbe dovuto essere pagato (tenuto conto pure della nota propensione delle imprese al finanziamento bancario, non essendo esse, di solito, dotate di autosufficienza finanziaria) -� altres� ancorato ad un parametro certo di facile rilevazione e, soprattutto, � l'unico possibile per un'azienda che non produca utile, ma sia in pareggio o in perdita, non essendovi allora un guadagno oui commisurare la presumibi.Ie redditivit� della somma mancata. ~ Pertanto l'altro criterio risulta applicabile. solo quando l'imprenditore espress~mente deduca il mancato guadagno. I Un danno da mancato investimento � lecito presumere, poi, per il 1r.isparmiatore abituale, cio� per colui che sistematicamente mveste in I impieghi di risparmio il residuo personale non assorbito dai consumi, t nel qual caso -incombendo al creditore l'onere di allegare e dimo l' strare anche la qualit� degli mvestimenti abitualmente operati -la prova presuntiva riguarda l'uguale destinazione che iil creditore avrebbe dato I 1� ---% PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI alla somma non pagata e l'ammontare del mancato reddito (interessi di titolJ di Stato, rendimento di aziorn, etc.). E per il c.d. creditore occasionale -espressione che designa il beneficiario una tantum di un credito di un certo rilievo (pu� essere un'indennit� di assicurazione, una liquidazione di fine rapporto, etc.), il quale non possa vantare una forma abituale di investimento del denaro perch� normalmente lo destina al consumo si pu� presumere l'impiego alternativo pi� probabile, cio� il deposito presso istituti di credito, e commisurare il danno alla remunerazione media dei depositi nel periodo, sempre che, appunto, l'entit� della somma dovuta e la situazione del creditore siano tali da non rendere probabile, invece, l'erogazione immediata per fil consumo. Con le sentenze del 1979 si � dato rilievo, infine, alla figum del �modesto consumatore�, cio�, appunto -di colui che abitualmente spende il denaro per Msogni personali e familiari, con ci� riconoscendosi -in antitesi ad una tradizione giurisprudenziale contraria -che anche la spesa per beni consumabili costituisce un'utilizzazione del denaro sottratta agli effetti della svailutazione. E il principio va ribadito, non essendo possibile sostenere che un danno sia configurabile per il mancato acquisto di un bene di investimento e non si possa configurare, invece, in relazione all'impossibilit� di acquistare beni di consumo (immediato o durevole); anche in questo caso il creditore, se avesse tempestivamente speso ia somma dovutagli, avrebbe realizzato la moneta nel suo valore attuale e conseguito, con il godimento dei beni e dei servizi procuratisi, quel vantaggio economico che gli � precluso, invece, a sel?Jllito del deprezzamento monetario avvenuto durante la mora. 10. -Riguardano proprio la figura del modesto consumatore talune delle critiche di maggior peso rivolte in dottrina aM'indirizzo delle sezioni unite. tl stato osservato che essa occupa un rilievo centrale ed assorbente nel sistema elaborato, in quanto tutti i creditori, anche quehli inquadrabili in una delle altre categorie (imprenditori, risparmiatori, ecc.), si trovano in realt� nella condizione di essere (anche) consumatori di beni o fruitori di servizi rientranti nelle comuni esigenze di vita, con la conseguenza che nella figura suddetta confluiscono, in definitiva, pure le altre categorie. Anche attribuendo ad esso rilievo soltanto probatorio, non si pu� negare che quando non sia dedotto o provato un danno commisurab: hle al normale reddito di un'attivit� professionale o di una peculiare modalit� di impiego del denaro, il creditore ha sempre diritto al risarcimento nella veste di consumatore, dovendosi presumere quanto meno la destinazione al consumo; la quale presunzione -� stato osservato � insita nella logica dell'orientamento in questione, giacch�, una volta riconosciuta l'anormalit� dehla conservazione dcl. denaro presso il detentor\!, la mancata prova della sua destinazione ad investimenti produttivi 316 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO o al risparmio impone di presumere l'impiego nell'acquisto di beni di consumo (sia pure con presunzione apparentemente iuris tantum). Si � pertanto affermato che il riferimento agli indici ufficiali dei prezzi al consumo risulta essere, cos�, il criterio veramente generale per la determinazione forfettaria del danno, appilicabfile in ogni caso, rispetto al quale diventano marginali i restanti criteri, relativi alle altre specifiche categorie creditizie, dn quanto nulla impedisce al creditore di ,invocare gli indici Istat allorch� il danno presumibile in relazione alla sua quatlit� professionale sia minore (come frequentemende accade). Da ci� conclusivamente desumendosi che la difesa del principio nominalistico � soltanto apparente, perch� le sezioni unite, consapevolmente o inconsapevolmente, sono pervenute -ancorch� con una diversa impostazione sistematica -allo stesso risultato deMa sentenza deil 1978 della terza sezione, a riconoscere, cio�, l'automatismo del risarcimento del danno da inflazione secondo gli indici ISTAT, tale essendo la oonseguenza pratica di una presunzione collegata al mero consumo, perci� cos� ampia e generale da esser utilizzabile come prova del danno in tutte le fattispecie creditorie. 11. -La critica non � fondata, essendo il frutto di una non corretta �lettura� delle sentenze del 1979. L'equivoco che l'inficia sta nel ritenere riferibile a qualsiasi creditore, per il solo fatto di essere acquirente di beni o utente di servizi usuali, la figura di � modesto consumatore �, laddove questa designa, ai fini dell'esistenza di un danno quantificabile Jn base agli indici ISTAT, il creditore che non si inquadra in alcuna delle restanti categorie (operatore economico, risparmiatore, etc.), e che, per le modeste condizioni economiche, normalmente consuma tutto il suo reddito per gli ordinari bisogni di vita personali e della famiglia, sicch� � legittimo presumere che uguale destinazione avrebbe dato alla somma non pagatagli alla scadenza. Come la qualit� di imprenditore commerciale costituisce elemento presuntivo idoneo a ritenere che verosimilmente la somma, se pagata nel termine, sarebbe stata immediatamente reinvestita nella attivit� produttiva, evitando, quindi gli effetti dannosi della svalutazione, cos� la condizione di mero consumatore, e, dunque, di soggetto che n� risparmia n� fa investimenti di alcun genere, consente di presumere l'esistenza di un danno inerente all'impiego del denaro per il consumo e perci� verosimilmente corrispondente ail maggior costo (in espressione monetaria) dei beni di consumo il cui acquisto al tempo della scadenza dell'obbligazione ugualmente avvebbe sottratto la somma agli effetti dell'inflazione. La presunzione inerente alla figura del modesto consumatore non � correlata, quindi, al fatto soggettivo che il denaro non investito in attivit� produttive o in operazioni di risparmio viene normalmente destinato al consumo (nel qual caso effettivamente la categoria avrebbe portata generale), bens� ha una valenza sociale sufficientemente precisa, in PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI quanto indica la condizione di colui che, a motivo della sua qualit� professionale (operaio, contadino, impiegato, etc.) e/o della modestia delle sue risorse economiche, secondo l'id quod plerumque accidit � abitualmente soltanto acquirente di beni di consumo; e per questa categoria di creditori � del tutto appropriato, nella determinazione forfettaria del danno, il riferimento agli indici ISTAT, riguardanti appunto le variazioni dei prezzi in relazione al consumo delle famiglie di operai ed impiegati (le sentenze del 1979 indicano questo criterio come il pi� attendibile per detta categoria di creditori). Risulta evidente, allora, che il creditore -imprenditore non pu� mai essere considerato � modesto consumatore � agli effetti della prova presuntiva del danno da svalutazione: quella qualit� professionale consente di presumere e quantificare il danno in relazione al reinvestimento della somma nell'impresa, che � l'impiego normale coerente con l'attivit� esercitata, ma per ci� stesso esclude che possa trovare ingresso una presunzione di danno fondata sulla costante destinazione al consumo, come impiego normalmente esclusivo del denaro. Anzi, � addirittura irrazionale supporre che l'indisponibilit� della somma abbia inciso sul consumo per i bisogni essenziali, che vengono prioritariamente soddisfatti, e non sull'attivit� commerciale, cui di solito H credito si riferisce; e se l'imprenditore lamenta un danno inerente al mancato acquisto di beni c.d. di consumo o, comunque, un danno diverso da quello relativo all'attivit� produttiva, deve specificatamente dimostrarlo. H principio vige, ovviamente, anche per le altre figure creditorie, che sono rilevanti, come si � visto, proprio perch� denotano univocamente un determinato impiego del denaro: ad es., colui che deduca (e dimostri) di investire abitualmente il denaro nell'acquisto di titoli o di depositarlo in banca, si pu� giovare delle presunzioni che si desumono dall'abitualit� di tale investimento e non di altre relative ad un impiego diverso, la cui allegazione di per s� verrebbe a rendere incerta la normalit� del primo; peritanto quel creditore non potr� invocare contemporaneamente la destinazione al consumo per ottenere in via presuntiva il risarcimento secondo gli indici ISTAT. In conclusione, la figura del �modesto consumatore�, lungi dal costituire una categoria di carattere generale, comprensiva delle altre, � con queste incompatibile, in quanto solo in relazione ad essa � possibile presumere, sia pure iuris tantum, la destinazione del denaro al consumo. 11. -Risulta in tal modo confermato il significato del riferimento alle categorie ereditarie, come mezzo di facilitazione della prova e di liquidazione forfettaria del danno di cui fruisce il creditore che, avendo la qualit� o trovandosi nella condizione che caratterizza lia categoria, possa vantare un impiego normale e prevalente del denaro in forme socialmente gene 318 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ralizzate e giovarsi perci� di presunzioni coerenti con tali modalit� (e solo di queste); Non ha pregio, di conseguenza, la critica -che pure affiora in dottrina -secondo cui in tal modo si disconosce che nella realt� il tipo medio di creditore usa del denaro contemporaneamente in modi diversi, perch� pratica il risparmio, depositato in banca, compra beni di investimento, etc. Sembra agevole rispondere, anzitutto, che proprio la molteplicit� degli ampieghi del denaro impedisce di desumere la destinazti.one al consumo dal solo fatto che non � accadimento normale la conservazione del denaro presso il detentore: ci� consente di presumere la spendita della somma, non gi� la sua destinazione al consumo, 1al quale scopo occorre allegare e dimostrare l'abi1tua1it� di tale impiego. Inoltre, la classificazione in categorie ha finalit� probatorie ed implica, ovviamente, non gi� il carattere esclusivo dell'impiego, ma la normalit� (rispetto alla categoria) e la prevalenza o la notoria priorit� (rispetto al singolo creditore) dall'impiego medesimo, che solo a queste condizioni pu� costituire il fondamento di presunzioni inerenti al danno; con l'ulteriore corollario che verrebbe meno lo stesso presupposto deil:Ia prova presuntiva, e dunque il danno andrebbe dimostrato e quantificato nei modi consueti, se non fosse possibile (in ipotesi astratta) oppure non fosse dedotto e dimostrato (come non di rado concretamente capita) l'inquadramento in una delle categorie suddette o in altre enucleabili in relazione a pi� particolari modalit� d'impiego del denaro. Neppure hanno consistenza le critiche con le quali si sostiene che il sistema delle presunzioni diversificate sia causa di un trattamento ingiustificato diverso anche per i debitori, i quali, nonostante J'identit� del fenomeno inflattivo, vedono apprezzata diversamente la loro responsabilit�; e dia luogo altres� ad incertezze nella aestimatio perch� consente eccessivo spazio a valutazioni equitative del giudice (autorizzando perci� una oorta di �diritto pretorio�). Quanto al primo argomento, va detto che la diversit� costituisce inevitabile e razionale corohlario dell'inquadramento normativo della svalutazione sub specie di danno ulteriore, essendo evidente che il risarcimento del danno, in quanto mira al ristoro del concreto pregiudizio subito dal singolo creditore, espone il debitore a conseguenze diverse a seconda della persona del danneggiato. Tale effetto, anzi, � attenuato dall'uso di criteri uniformi validi per un'intera categoria o classe di creditori; e, del resto, gli interventi legislativi settoriali succedutisi in materia sono appunto nel senso di differenziare le conseguenze dell'inadempimento per categorie e tipi di credito, in quanto sono stati dettati parametri diversi per il risarcimento forfettario del danno: talvolta elevando il tasso degli interessi (si veda, al riguardo, l'elenco contenuto nella sentenza n. 3776/79), altre volte facendo riferimento al tasso di sconto (ad es., la legge n. 397 del 1974 per i mutui fondiari e la legge n. 10 del 1977 PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI per l'indennit� di espropriazione) oppure -per i crediti di lavoro dipendente, tipicamente destinati al consumo fami'liare -disponendone la rivalutazione secondo gli inc:Uci ISTAT (art. 429 cod. proc. civ.). Quanto all'altra critica, poi, va osservato che le difficolt� di stima del danno per l'inadempimento di obbligazioni pecuniarie sono esaltate dal modo di operare de1l'inffazione, sicch� -trattandosi di situazioni che recano in s� stesse i1 germe dell'inevitabile approssimazione della statuizione giudiziale -il ricorso alla liquidazione equitativa � pienamente �legittimo (v., al riguardo, le sentenze 1979); e, d'altra parte, il riferimento alle categorie creditizie il pi� delle volte consente di ancorare il risarcimento del danno (presunto) a parametri certi (costo deM'indebitamento bancario, per l'operatore economico; indici ISTAT, per il modesto consumatore; tasso dell'interesse sui depositi bancari, per il creditore occasionale, etc.). 12. -I precedenti rilievi sembrano sufficienti a superare talune incertezze che -come si � avvertito all'inizio -si sono manifestate nella giurisprudenza di questa Corte nell'applicazione dei principi fissati dalle se2lioni unite, segnatamente in ordine ai limiti .in cui � possibile utilizzare, ai fini della prova del danno da svalutazione, il notorio e le presunzioni correlate a qualit� e condizfoni del creditore. a) Sul piano generale, alcune sentenze valorizzano la distinzione fra lucro cessante e danno emergente, talvolta affermando che le agevolazioni probatorie sono ammissibili solo per H normale lucro cessante (inteso oome maggiore u1li1it� che il creditore avrebbe ricavato dalla somma se avesse potuto disporne tempestivamente), mentre deve essere specificamente provato il danno emergente (v. sent. n. 4380�e 5246 del 1983; n. 6626 del 1984), altre volte ritenendo, invece, che solo quest'ultimo possa risultare illico et immediato dalla notoriet� e generalit� dell'avvenimento pregiooizievole (v. ad es., sent. n. 4455 del 1981). Sennonch� lucro cessante e danno emergente vengono entrambi in rilievo, e debbono essere indennizzati, per l'integrale ristoro del danno da sva:lutazione, che � debito di valore al pari di ogni altra obbligazione risarcitoria; e conseguentemente, in conformit� all'indirizzo prevalente, va ribadito che le presunzioni sono utilizzabili per la prova dell'uno e del'l'altro tipo di danno. b) Con riguardo alla figura del creditore-imprenditore, poi, alcune sentenze sembrano limitare l'onere di prova a tale qualit�, data la normale inddenza della svalutazione sull'ordinario svolgimento dell'attivit� imprenditoriale (sent. n. 586 del 1985; n. 4788 del 1984), mentre altre pronunzie richiedono una specifica dimostrazione del danno, con riferimento agli investimenti programmati e non potuti effettuare, a1la ne 320 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cessit� di ricorrere al credito, etc. (sent. n. 5246 del 1983; n. 5981 del 1981; n. 1384 del 1980). In proposito, ribadito che l'imprenditore deve, al pari di ogni altro creditore, specificamente allegare e dimostrare i presupposti delle presunzioni utilizzabili in ordine all'an e a:l quantum del danno, va precisato che l'impegno probatorio, pur non potendosi arrestare alla qualit� professionale, si atteggia diversamente per ciascuno dei due criteri ritenuti pi� appropriati per questa figura: in relazione al criterio del maggior costo del denaro, il creditore deve dimostrare di trovarsi in condizioni atte a presumere, secondo la normale gestione finanziaria dell'impresa, il ricorso al mercato del credito; in relazione al criterio del mancato guadagno, invece, � tenuto a fornire gli elementi necessari a stabilire la redditivit� del denaro investito nell'impr.esa, sicch� la prova -basata I in grian parte su vicende proprie della singola .impresa -spesso presenta maggiore complessit�. I e) Infine, in tema di crediti per prestazioni prev�idenziali esolusi dalla rivalutazione automatica ex art. 429 cod. proc. civ., da al<:une pronunzie la qualit� di pensionato � stata ritenuta suffidente ad accogliere la do Imanda risarcitoria, mentre con numerose altre si � imposto al pensionato l'onere di dimostrare che, per far fronte ai propri bisogni di vita, � stato costretto a far ricorso al credito a condizioni onerose o ad alienare beni ~ idonei a salvaguardarlo dalla svalutazione oppure di non aver potuto '~ investire le somme dovute in modo da conseguire questo stesso risul I tato (v., ad es., sent. n. 4269 del 1984). Quest'ultima opinione non pu� essere condivisa perch� il pensionato, quando abitualmente destina tutte le sue risorse al consumo personale e familiare, va qualificato �modesto consumatore�; pertanto si pu� I giovare della presunzione inerente a questa figura ed ottenere il maggior ~ danno secondo gli indici Istat, tranne che la somma liquidata sia molto rilevante, nel qual caso deve considerarsi un �creditore occasionale � e il danno pu� essere risarcite in relazione all'impiego in deposito bancario, alle condizioni innanzi accennate. In definitiva, con le precisazioni e i chiarimenti di cui sopra, deve essere confermato l'indirizzo delle sentenze del 1979, il quale, com'� stato sottolineato anche dalla Corte Costituzionale (con la sent. n. 76 del 1981), nell'attuale quadro normativo � il pi� idoneo a determinare con sufficiente approssimazione, attraverso i criteri personalizzati di normalit�, f I �l'effettiva incidenza dell'inadempimento sul patrimonio del singolo cre i ditore in relazione alla svalutazione monetaria �. 25. -Nel caso in esame va ricordato che la Corte di appello, accertata la colpa dell'Amministrazione per il grave ritardo nel pagamento dell'importo revisionale, ha accolto la domanda della S.C.l.C. in quanto I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 321 ha ravvisato il danno direttamente nella svalutazione verificatasi nel lungo periodo della mora e ha ritenuto altres� di com.misurarlo agli indici ISTAT, liquidandolo� equamente� in duecento milioni. La censura mossa a questa statuizione � ammissibile e, come si � anticipato, anche fondata. L'ammissibilit� viene negata dalla resistente per il motivo che la questione sarebbe nuova, perch� nelle fasi di merito l'Amministrazione non avrebbe mosso alcuna contestazione in ordine all'esistenza del pregiudizio; ma l'affermazione non � esatta giacch� -come si � riferito nell'esporre le vicende del processo -sia in primo grado che in appello l'attuale ricorrente aveva dedotto che il danno dovesse essere specificamente dimostrato, quanto meno in base a circostanze idonee a presu� merne l'esistenza e l'ammontare. � evidente, poi, l'errore in cui � incorsa la Corte di appello per avere ritenuto esistente il danno senza affatto considerare le conseguenze della svalutazione specificamente nel patrimonio della creditrice, negligendo, cos�, i principi come sopra stabiliti da queste Sezioni Unite; e per avere provveduto a liquidare il danno in base (a quanto sembra) agli indici ISTAT, i quali, invece, come pure si � avvertito, non possono essere utilizzati ove non venga allegata e dimostrata l'abituale destinazione del denaro al consumo (laddove nella specie la liquidazione sembra essere avvenuta tenendo conto della qualit� di imprenditore commerciale della societ�). 26. -L'accoglimento delle censure precedenti comporta l'assorbimento di quella sub c), riguardante il computo degli interessi sulla somma liquidata a titolo di svalutazione. Pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle censure suddette e la causa rinviata ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte di appello di Milano, la quale proceder� a nuovo esame della contrpversia attenendosi ai rilievi e ai princ1p1 di diritto sopra svolti; provveder� anche sulle spese di questo giudizio di cassazione. (omissis) I TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE, 27 gennaio 1986, n. 6 - Pres. Pratis -Rel. Vacirca -Laudano (avv. Mormino) c. Assessorato ai Lavori pubblici regione siciliana (avv. Stato Del Greco, Carbone e Russo). Acque � Acque pubbliche � Derivazione e concessione � Licenza di attin� gimento � Per la derivazione di acque sotterranee -Concedibilit� � Cautele prevedute dall'art. 56 T.U. 1775 del 1933 -Da osservare in quanto compatibili. (T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 56 e 92). 322 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Acque -Acque pubbliche -Acque sotterranee � Facolt� del proprietario '. di estrarre acque per usi domestici � Estensione. (T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 93). Il Acque � Acque pubbliche � Derivazione e concessione � Licenza di attingimento -Concorrenza tra richiedente e utente di fatto � Non sussiste. (T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 9). I In base all'art. 92 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, anche le acque iI sotterranee possono costituire oggetto della licenza di attingimento preveduta dall'art. 56. Le cautele dettate .da questa disposizione, in quanto si riferiscono all'attingimento di acque superficiali vanno osservate in quanto compatibili. Nel caso di acque sotterranee, l'attingimento con impianti fissi non d� .luogo al rischio di indebolimento degli argini e dunque costituisce una legittima modalit� della licenza (1). L'art. 93 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775 riconosce al proprietario la facolt� di estrarre e utilizzare liberamente .le acque sotterranee per usi domestici, nei quali non rientra l'irrigazione di agrumeti, la cui produzione sia destinata alla vendita e non ai bisogni della famiglia del proprietario (2). L'art. 9 del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, che disciplina la scelta tra pi� domande di concessione concorrenti, non � applicabile ad ipotesi di adozione di licenze di attingimento concernenti acque gi� utilizzate di fatto da privati (3). (1 e 3) Non constano precedenti in termini. (2 e 4) Nel senso che gli usi irrigui per l'agricoltura non rientrino negli usi domestici consentiti dall'art. 93, comma 1, del T.U. 1775 del 1933, cfr. Trib. Sup. Acque �15 febbraio 1984 n. 2, Cons. Stato 1984, Il, 316. In tema di' acque sotterranee, nella pi� recente giurisprudenza, cfr. Trib. Sup. Acque 28 agosto 1985 n. 57, Cons. Stato 1985, Il, 1182, che ha ritenuto legittimo il diniego di autorizzazione a ricerche di acque sotterranee se, in seguito ad abusiva captazione, le acque siano ~merse ed abbiano acquistato il carattere di acque superficiali. Donde da un lato l'individuazione del limite all'applicazione della disciplina delle acque sotterranee rappresentato dal fatto che siano in qualunque modo emerse, dall'altro l'affermazione del necessario collegamento della protezione dell'interesse dello scopritore attuata dall'art. 103 del testo unico, con la previa autorizzazione alla ricerca; Cass. 15 novembre 1982 n. 6093, in questa Rassegna 1982, I, 991, Trib. Sup. Acque 5 dicembre 1981 n. 45, ivi, 1981, I, 867 e Trib. Sup. Acque 10 novembre 1975 n. 25, ibidem, 1976, I, 158, che hanno affermato l'applicabilit� alle acque sotterranee dell'art. 1 del testo unico, desumendone che le acque sotterranee sono pubbliche quando presentano attitudine ad usi di pubblico generale interesse, che la condizione di pubblicit� dell'acqua � effetto legale di uno stato di fatto sicch� non rileva la mancanza di iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche, che per converso la condizione di pubblicit� non � ricollegabile al trovarsi le acque in comprensori soggetti a tutela; Trib. Sup. Acque 10 luglio 1975 n. 18, in questa Rassegna 1976, I, 628, che ha riconosciuto la legittimazione dello scopritore che abbia chiesto la concessione dell'acqua scoperta PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUB ED APPALTI PUBBLICI 323 II TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE, 3 aprile 1986, n. 20 � Pres. Moscone -R�l. Vacirca -S.n.co11. Fratelli Di Gregorio (avv. Mor� mino) c. Ufficio Genio Civile. di Palermo e Assessorato LL.PP. Regione siciliana (avv. Stato Imponente). Acque � Acque pubbliche � Acque sotterranee � Facolt� del proprietario di estrarre acque per usi domestici � Estensione. (T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 93). L'ordine di cessare di ,prelevare acqua per l'irrigazione di un agrumeto, il cui prodotto sia destinato alla vendita, non � in contrasto con l'art. 93 .del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, che attribuisce al proprietario del fondo la facolt� di estrarre acque sotterranee per gli usi domestici, giacch� l'ordine non interferisce su tale facolt�, che d'altra parte non autorizza il tipo di prelievo vietato con l'ordine (4). I (omissis) 7. Col primo motivo i ricorrenti sostengono che non ricorrano nel caso in esame i presupposti previsti dall'art. 56 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, per il rilascio di licenze di attingimento, e ci� in quanto si utilizzano impianti fissi e si prevedono alterazioni delle condizioni del corso d'acqua. La doglianza � infondata. Le cautele previste da1la norma citata si riferiscono alle licenze di attingimento di acque scorrenti in superficie, onde � stabilito che gl'impianti siano posti sulle sponde e a cavaliere degli argini e si pone la condizione che non siano alterate le condizioni del. corso d'acqua. La stessa disposizione va applicata all'utilizzazione delle acque sotterranee (in virt� del richiamo contenuto nell'art. 92 del t.u. cit.) tenendo conto delle peculiarit� di queste ed in particolare della inconfigurabilit� di rischi (indebolimento degli argini) derivanti dall'installazione di im� pianti fissi. Rispetto alle acque sotterranee, quindi, il limite rappresen� tato dal carattere e dal tipo di installazione delle pompe non trova appli� cazione. Per quanto concerne l'alterazione delle condizioni del corso d'�cqua, non pu� dirsi che l'amministrazione stessa l'abbia prevista come ad impugnare un provvedimento che autorizzava altri al suo temporaneo prelievo in pendenza del procedimento di concessione. Il capo di decisione �riassunto nella quarta massima contiene un accenno al problema se, quando le acque sotterranee siano riconosciute per pubbliche, l'esercizio della facolt� preveduta dall'art. 93 del testo unico richieda, in applicazione degli artt. 1 e ss., la concessione. In argomento, cfr. Cass., sez. Ili, 14 febbraio 1985, Buffa, in Cass. pen. 1986, 344 e Cass., sez. Il, 14 febbraio 1985, Glorioso, in Cons. Stato 1985, Il, 1576. I probabile solo perch� nei provvedimenti impugnati � stabilito che il Sindaco di Palermo sia direttamente ..resp_onsabile di eventuali , dalll).L e d~bb� sbspendere l'edui:l~ne fu caso di 'sensibile v~l:-i~ione dell~ cai-a�e dstid�e chimiche dell'aequ~'. ,, ..: . . . . .. .. : . . ..' .'. �.� l Si tratta ar una clauso1~ c~ute1ativa, giusimcab�e ~eh~ in !>~~senza di una possibilit� remota di danno. �� ' � � '� '� �� � ~-� .: 8; -Col secondo motivo i� ricofrel;lti deducono viol�Zion�aeI�'art. 9B t~u. 11 dicembre 1933, n. 1775, �nonch� edcesso di potere sottq, H'profilo dell'incompatibilit� dei provvedimenti impugnati con gli usi agricoli del� l'acqua. La doglianza � infondata. L'�rt. 93 dt. riconosce al' �pr�prietario del fond� fa facolt� di estrarre� e utilizzare liberamente Ie acque' sotterranee del suo fondo pei' gli' �si domestici, �nei quali sono compresFI'innafl�amenfo di giardini 'e orti inservienti direttamente al proJ.:)rietario . e �alla sua famiglia e l'abbeveraggio del best'iame. In tale nozione non rientra l'irrigazione di agrumeti, la cui produzione � destinata alla vendita e non ai bisogni della famiglia del proprietario. 9. Col terzo. niotivo i ricorrenti contestano.. la sussistenza delle rag~ oni di P.ubb~ico. int~r�sse poste _a f~ndf�:mento ~ei provv~im~nti JmI pugnati, e sostengono che l'andamento dtille piogg~. negli a.on.i .immedia~~ J:lte precedenti. la lor~ a,d9zio~e � .si~ risultat? .� ;particoiarmente favorevole. La doglianza � inammissibile, in quanto attiirne . ;alle s�:elte I di . oppor~it� ri~ervate i;�l'Autorit� amministrativa. N�~ d'altra parte, tali scelte risultano effettuate esclusivamente sulla base di considera- I zio:p.i attinenti all'~damento delle ;piogge. I 10. Privo di fondamento � il quarto mcitivo, con cui si deduce ' violazione di una norma (l'art. 47 t.u. n. 1775 del 1933); inapplic�bile nelle fil ~ fattispecie in esaine, in quanto diretta a regolare la� coesistenza di nuove ~ ooneessfoni con le pteesistenti mentre i ricorrenti non risultano� titolari I di alcuna concessione.�: ' _, .. lL Deve .altres� dicltjararsi. infondato-: il quinto JI10tivo ..di ricorso, co. cui si invoca up.a disposizione� {l'art. 9 t.u. n. 1775 del 1933) che discip4na la scelta. tra pi� qomande di concessione concorrenti, . ina,ppli �Cabile ad. ipot~si di adoziol,le .. �c:\i. lice:r.;e per t=ttt~ngimento concerne:pti acque gi� utilizzate di fatto da privati. li. Col sesto motivo i ricorrenti 'lamentano � che l'.Am~inistr32'.ione I ~ .abbia rimesso al concessionari.a e ai proprietari dei pozzi la determina. zione di modalit� di prelievo idonee ad evitare danni alle colt'ure nel periodo '1� maggio" 31 ottobre. I ! La doglianza � inanunl:ss"ibile per difetto d'interesse, La clausola f. in questione\ configl,lra g� ,a�cordi (fra ,�om:u,ne e propril'!~~i;:i) sulle.mo- I .~ I . i ~ PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 325 dalit� di prelievo come � condizioni 1k onde subordina al loro raggiungimento l'efficacia delle licenze di attingimento. Della mancata diretta determinazione: delle' modalit� dL :�>~elie~~ .ck: p~rtJ �,dell'Autorit� emanante avrebbe ragioni di dolersi il Comune, il quale, nel caso di mancato raggiungimento dell'accordo con ciascun proprietario sarebbe costretto a richiedere mJ,ovi provvedimenti .all'As.sessorato regionale .. Ncm h~nno, 'invece, ip.teresse a d�durre la censur�. �1�p~qprl.ei:ari dei po~zi, ci�scurl6 'dei quali, ;ove non fitenga: soddi�enti '1e rriod~iit� di prelievo offerte dal Comune, pu� rifiutarsi di concludefJ . l'accordo, inducendo l'AmministrazJ.one ad adottare direttamente le occorrenti determinazioni, � ',' �' � f ,�"' ' F' !.' � .{: la cui mancanza qui si lamenta. � � � � � � � � � � � \, ; I "' 13. I cinque ricorsi devono, pertanto, esssere respinti. Sussistono, tutvia, giusti motivi per. dichiarare compensate tra� 1e parti le spese giudiziali. (omissis) ;,, . II (omissis) 2 .. Col primo moUvo i ricorrenti de�.ucono violazione del- l'art. 93 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 ed eccesso cli pet~e. �� La doglil;lllza. � infondata. Il� dip.iego di concessione 1non interferisce con la faqolt� ricoJ:l.QSciuta dall'i;irt�. 93 cit. '.al� proprieta.rio .del fondo, n� l'ordine di ..c;essi.:ione di prelievi �di acqua per� .uso. irriguo, che i ricorrenti stessi dichiarano di avere utilizzato per la coltivazione di diversi ettari di agrumento, �. in contrasto con la ..norma che consente dd estrarre acque sotterranee per usd domestici. . . , . In �tali usi sono coinpresi, infatti, l'innaffiamento di� giardini ~d orti e l'abbeveraggio del bestiame; p�rch� � inservient.i direttamente . al proprietario ed alla� sua famiglia�, non gi� l'�rrigazione ..di. frutteti il chi prodotto sia destinato alla vendita. . ' 3. Infondato � anche il secondo motivo con cui si deduce violazione dell'art. 47 e dell'art. 103 t.u. n. 1775 del 1933, nonch� eccesso di potere sotto diversi profili. Per quanto concerne il primo profilo, � sufficiente osservare che i ricorrenti non hanno veste di concessionari, onde ad essi non� si applica ta norma (art. 47 cit.) che regola i rapporti frfl utenz� preesistenti e nuove concessioni. Quanto all'art. 103 cit., esso prevede rimborsi e premi a favore dello scopritore e a carico del concessionario, da determinarsi nell'atto di concessione. Poich� l'atto impugnato non � un� pro\rvedimento di con� cessione, legittimamente l'Amministrazione ha omesso .�di provvedere a 1 ,tale determinazione. 4. Il :ricorso va, pertanto, respin~o. Le spese Segudno la soccOrn.benza e si liq~idano in complessive lire ottocentomila. (omissi~) SEZIONE OTTAVA I GIURISPRUDENZA PENALE I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. IV, 26 giugno 1986, n. 1392 � Pres. Trofa - Rel. Troncelliti -P.G. Vitale (conf.) -rie. Speranza Alessio (avv. Stato Di Tarsia di Belmonte). I Procedimento penale -Omissione della firma -Forme equipollenti � AID� I missibilit� � Motivi d'appello redatti da avvocato dello Stato siglati a margine � Ammissibilit�. (Artt. 139, 201, 2fll, c.p.p.; art. 44 R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611). L'art. 201 c.p.p. richiede la sottoscrizione dei motivi di impugnazione al fine di assicurare che gli stessi siano stati redatti da chi � portator1 del relativo diritto, sicch� sono ammissibili forme equipollenti che consentano comunque di garantire la genuin#� della volont� del titolare dell'impugnazione (1). Sono ammissibili i motivi di impugnazione presentati da un avvocato dello Stato personalmente al Cancelliere su carta intestata dell'Avvocatura Generale dello Stato anche solo siglati a margine (2). Con fonogramma del 10 gennaio 1979 il Commissariato di P.S. di Roma-Centocelle informava l'A.G. che alle ore 18,15 di quel giorno il M.llo di P.S. Romiti Mariano a bordo di un'auto Fiat 128, condotta. dall'appuntato Speranza Alessio, in servizio di vigilanza per la tutela dell'ordine pubblico, era intervenuto su segnalazione della Sala Operativa della Questura in via dei Narcisi, dove un gruppo di giovani stava assaltando la locale sezione della D.C. Raggiunta rapidamente detta via, gli agenti notavano un gruppo di circa cinquanta giovani, alcuni dei quali travisati con passamontagna (1-2) La sottoscrizione di motivi di impugnazione � a pena di inammissibilit�? Il fatto, che � stato esaminato dalla Corte Suprema con questa esatta sentenza a correzione di una insostenibile affermazione cui era pervenuta la Corte d'Appello, � richiamato in motivazione: i motivi di appello contro una sentenza di condanna non firmati, ma siglati a margine, erano stati presentati dall'avvocato dello Stato, difensore dell'imputato a norma dell'art. 44 R.D. 30 ottobre 1933, personalmente in Cancelleria su carta intestata dell'Avvocatura Generale dello Stato. La Corte d'Appello, su eccezione delle parti civili, aveva affermato che ci� comportava inammissibilit� dell'impugnazione, sostenendo che secondo l'art. 201 c.p.p. i motivi di impugnazione devono venire presentati -a pena di inammissibilit� -con atto � sottoscritto � da chi propose l'impugna -- PARTB I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALI! 327 che, provenienti da piazza dei Mirti, correvano in via delle Robinie, mentre altri stavano tentando di rovesciare un'auto in via dei Narcisi, e venivano esplosi alcuni colpi di arma da fuoco. Gli agenti, in abito civile, si qualificavano ad alta voce ed ottenevano l'effetto :di far desistere dall'azione i giovani che si allontanavano di corsa: uno di essi, identificato poi per Vocini Massimo, veniva bloccato e custodito nell'auto di servizio. Contemporaneamente l'appuntato Speranza si poneva all'inseguimento di un giovane travisato con un passamontagna, il quale, vistosi raggiunto, a 4-5 metri di distanza dall'inseguitore, si girava di scatto impugnando una pistola e cercando di mirare allo Speranza, quest'ultimo per� -proseguiva il Fano -estraeva la pistola d'ordinanza ed esplodeva un colpo che attingeva il giovane al �Capo. Tale giovane, identificato poi per Giaquinto Alberto crollava a terra, abbandonando l'arma e, prontam�nte soccorso, veniva trasportato con ambulanza all'ospedale Sah Giovanni, ove a seguito di ferita d'arma da .fuoco con foro d'entrata nella regione occipitale destra e foro d'uscita in regione parieto-occipitale sinistra, decedeva alle ore 20,30. Con provvedimento del 9 febbraio 1980 il giudice istruttore, in relazione zione o comunque, dal difensore. Il riferimento testuale alla � sottoscrizione � -e, cio�, all'atto d'apporre la propria firma a chiusura -(quale sigillo di provenienza) -del documento -di per s� escluderebbe atti equipollenti. E, tantomeno, quello di apporre la propria � sigla � a margine del documento stesso: laddove, peraltro -come nella specie -detto margine viene normalmente coperto attraverso la fascicolazione ai fini dell'inoltro agli uffici giudiziari. Del resto -affermava il giudice d'appello -ben diversa sarebbe la finalit� della sigla che viene apposta dall'avvocato dello Stato, in sede di dotazione dei fogli intestati, e prima che gli stessi vengano adoperati dal medesimo (sic!). N� pu� dirsi che la natura di organo impersonale -investito per legge della difesa dei dipendenti statali -esimerebbe l'Avvocatura dello Stato dall'onere della sottoscrizione da parte del sostituto incaricato della causa. a, infatti, costante l'insegnamento giurisprudenziale nel senso cii affermare che le norme riguardanti la rappresentanza in giudizio degli impiegati e degli agenti alle dipendenze dello Stato, non incidono sulla disciplina del processo penale: n�, in alcun modo, esonerano gli avvocati dello Stato incaricati dell'osservanza delle norme vigenti per gli avvocati del libero foro (Cass., Sez. IV 3 giugno 1983 Bordignon; 11 marzo 1974 Mercuri; 26 marzo 1976 Caruso). N� poteva replicarsi, sempre secondo la Corte di merito, che, nella specie, l'atto -comunque -sarebbe stato sanato attraverso la indicazione della provenienza dei motivi certificata dal cancelliere nel registro delle impugnazioni. La tesi sostenuta dal giudice di secondo grado, a prescindere dalla fantasiosa affermazione di fogli siglati in bianco in sede di... dotazione degli stessi (!), era evidentemente semplicistica, n� faceva corretto richiamo alla giurisprudenza della Corte Suprema. Era pacifico in fatto, come si � premesso, che i motivi d'appello nell'interesse cJeWimputato contro la sentenza di condanna del Tribunale, erano aHa.r.requisiforia 1"4:�on":cuf �:RrP~M. avevi:i '-chiest�:: il: >prosci�glifuentO: dell� ,~ Speranza>ex:~;arllf�395 c;p.pi; pe:t "a11e11�Tagente fatto uso\"}�gittimo dell�� armi, disponeva che l'istrattoria� proseguisse�. colJ. ritl!'>' �forrilal�. � � � � ' � , . �:11~:All'esito ..deH'istr.utt�ria �.form-lil�; �10 Speranza verliva' rinviato a giudbtio avanti' al : Trili>una:Ie~� di Roma .per: risjJOridere del delitto' di cui � fil:�aU1aT.t. �589 'c.p.' in:''tel�zioli� agli' artt.: 53 e 55 <i.p. p�r ecces�so c�lposo nell'uso legittimo dell'arma. � ., 1 ' � � .. ) �.-Si costituivano parte. civile Giaiquinto Teoddro, �Giaquinto -Lucia, Giaquinto1.0rtensiq�.~:e�;Paoluzzi Maria Luisa in Gia:quinto; : �: ', �Con sentenza in data 11 ott�bre .1984 -lo Speranza \reniva �ondan:nato .con la concessione. delle. attenuanti generiche e dei benefici di"legge a::�mesi :sei di reclusione. ed� al: r.isarcimento dei �danni da liquidarsi in separata sede, con assegna:lri:one di provvision-a,li in favore delle� �os�ti~ 1 tuite _parti civilii, Giaciuinto Teodoro;' Giaquinto Lucia~ Giaquinto Ortensio e Paoluzzi. Maria :I:.uisa.' � � , . ,, � Proponevano appello� l'imputato : difeso dall'Avvocatura .. dello� Stato � e� �le predette parti civilb� \' Deduceva l'imputa'to� che egli: avrebbe doV�to essere assolto perch� non punibile, avendo agito� in statti di legittima difesa a oorma dell'art. 52 c.p. Si dolevano le parti civili che il Tribunale non avesse dkhia .,,, (1 < stati 'redatti -dall'avvocato� dello Stato che aveva dif�so' H1 primo>gra'd� l'imputato e"ci� ai: sensi~ �e -P�r' 'gli� �ffetti dell'art.. 44 'del' R.D~ 36 ottobre. 1933 � n. .1611. Era altrettanto pacifico che i suddetti� �motivi d'app�llo �t'a�li.�1 stati� presentati al Cancelliere del Tribunale dal � suddetto aW�cat� e ch�' essi reca� � vano la� data del d~posito ' e la firma: del, Cancelliet'e�� nella stess�� ultima: p�� gina sulla quale era stata app�sta la: sigla dell'avvocato, anche se non l'aveva posta, sotto il �suo nome e la ,sua . qualifica. dattiloscritti. i .., Era 'infine pacifico che ':i motivi d'appello erano ' stati scritti su fogli , singoli intestati' , � Avvocatura Generale�. dello Stat���, suocessivamertte � fascieolati �con una �semicop�rtina �intestata "'Avvocatura Generale �dello Stato�>>, che la:Icucitura era: rappresentata dai tre punti metallid e i che la >siglai-<!lei.l'avvocato era . agevolmente leggibile sotto� il �lembo� della semicopertina di� prima pagina e all'.estremit� 'inferiore. sinistra deHlultima pagina. Ci�� premesso1 �a prescindere dalla stranezza e: singolarit� (ii quella �he appariva ictu dculi tlna duplice distrazione -del difensore che non� aveva� fh'I.� mato in calce al suo� nome �dattiloscritto e del cancelliere che, apponendo� �l timbro e � firmando nella stessa pagina a' fianco �del nome del difensore che aveva personalmente<presentato i motivi, non �aveva rilevato l'omissione ~�correva l'obbligo di esamililare quali fossero' le� conseguenze della mancanza di sottoscrizione e ci� beninteso nell'ipotesi . che si �potesse ritenere effettiva� mente e totalmente sprovvisto di segni di riferibilit� grafica all'autorei dei motivi, l'atto-. in questione. L'atto,� infatti, non recava �ia firma. per esteso in calce al nome �dattiloscritto del difensore, ma il primo e l'ultimo foglio ree~ vano la sigla dell'avvocato; .apposta evidentemente pl:lima della cucitura e del' l'apposizione della semi copertina, secondo una :prassi consueta in Avvocatura: Tale sigla, era un' segno grafico�i con' caratteristiche certamente p�:rsonali ed era" idoneo.� adr�c�dendficave ..-. con l~ausili� di� altri elementi. desumibili dal� . -- raitll1 'la'. prop1ria <incompetenza ai; ;sensi', degli -�rtt. 3�., '.l:):.1477 q~;:p;:: coli la trasmissione degli atti al P.M., essendo in dibattimento il fatto contes~�to> all? ,Sp~ran,:z.a ~~sj.fltato ,'.d~vevso e Pt. gi;-~ve .~!, qu~.,o enu~si~t,? nell'or dilianz� di rinvi~ i{giudizio. -" " � � ��� � " �� ' � � � � � � -. ' � , �'' , � . ' � � �1 r�, ,.. � , � �� � 1r� ��� � ' ~ � �. � � �� ' .' ��: r " ' f Cori' sentenza del 22 febbrai.o 1986 la. Corte d'AP�>ello di Roma, ritenuto che in mancanza di sottoscrizione dei. ~odvi� .d'impugnaz�6ne d~ parte ciel :,difensor� delrimpuiato, :tion e~sendo -au\�.6~o -�sufficiente l'apposizione di sigla'.' ~a� margine del documento, e rilev�to ~he lb part� ci\i�li :~i er�no iim�.tate achied�re 'la renilssi6ne degli atti al .P~M. estl~sivamente al fine della reformatio 1�in pejus dell'accusa' penale, dichiar�: fa inanim�ssibill.' gli appelli � cobdatinava l'imputato 'i:tn� l:ifusidi:le delle sp�s'e1 1sost�ii.iil!e dalle parti civili in �quclfa fase. Avv�rso "tale sentenz~ propcfoe\ii:irlo ricorse( p~r cassazione il� difensore deU'irttpu1:ato, il P.G. e la parte civile Giaquinto Teodoro. � ���� ��� MOTIVI DELLA 'DECISIONE .. ' ,, '�� Va preliminarmente rilevato che la parte civile succitata non ha provveduto n� alla notifica dell'impugnazione alle altre parti ex art. 202 c.p.p., n� alla :presentazione dei motivi. .1 ' .!'\le l(;ieri:v.a1 la declaratoria diinammissibilit� del ricorso conde conseguenze di legge. ., � l'atto -l'avvocato estensore e sostanzialmente firmatario (v. Cass. Il 26. 1972 in. Cass;;;� :pen. Mass, an:n. '1973, 584, �rt: 704) cos� corri� ha correttamente sta: 1 tuito la �sentenza , che si annota. � � "� Tomando: al problema della�. S�ttoserizione/ va premesso che ' esso �doveva essere esaminato con riferimento non s�lo al taso di spede; I'na soprattutto tenendo conto che si trattava di una difesa assunta, con le ~�aratteristich� peculiari che la .disciplinano, :�daU'Avvocatura Generale�' dello Stato a norma dell'art. 44 del � R:;D. 30 ottobre 1933 n.. 1611, esame cui non si � sottratta la Corte di legittimit� che al problema �ha. dedicato un� significativo riferin'.l�nto. �.. Dalla natura� dL org�no dello� Stato; :infatti, dell'Avv-0catura e dalla ratio e dal� tenore�detterale del citato articolo 44, si desume agevolmente che fa difesa non: � assunta individualmente da una persona fisica-avvocato, ma dal; l'Avvocatura: ' � questa .il difensore e con questa esclusivamente si stabilis�e il -rapporto giuridico, tant'� che non ha rilevanza chi materialmente esplica la� difesa ed il� singolo avvocato dello Stato pu� essere indifferentemente sostituito. Ha rilevanza cio� �l'organo1 non lo strumento di attuazione della sua volont�: Ci�1 non pu� non incidere sulla �univocit� della provenienza dei motivi, nel senso di attribuir maggior certezza e non gi�, come' assume �l� Corte d'Appello, per :affermare che gli avvocati dello Stato sono svin~olati dalle norme di procedura (vale qui l'avvertimento del cave a consequentiariisl). ' Dall'esame:.dei motivi d'impugnazione risultava che essi erano stati, indubbiamente; .redatti e presentati dall'Avvocatura Generale dello Stato che aveva assunto� la difesa .dello Speranza a norma �della succitata normativa speciale:. i motivi erano:� stati. �redatti su: carta' ufficiale dell'Avvocatura Generale � dello Sta'to, fascicolati con� oorrispondente: copertina, recavano nella prima �.pagina 330 . RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO Denuncia la difesa dell'imputato, rappresentata dall'Avvocatura dello Stato: 1) viol�zione degli artt. 139, 201 e 207 c.p.p. dell'art. 44 del R.D. 10 ottobre 1933 n. 1611, non esistendo i presupposti per la dichiarazione d'inammissibilit� dell'appello. I motivi d'appello erano stati scritti su fogli singoli intestati � Avvocatura generale dello Stato� e la sigla dell'avvocato era agevolmente leggibile sotto il lembo della semicopertura di prima pagina ed all'estre� mit� inferiore sinistra dell'ultima pagina. E per consolidata giurisprudenza era consentito nella sottoscrizione degli atti anche l'uso di grafie indecifrabili o di sigle, purch� munite di un pre�iso carattere che consentisse di individuare la persona da cui l'atto provenisse. 2) Violazione degli artt. 195, 202 e 489 c.p.p. in quanto l'imputato non avrebbe potuto essere condannato alle spese legali a favore delle parti dvili, le cui impugnazioni erano state dichiarate inammissibili. Il Procuratore Generale svolge sostanzialmente la stessa tesi sostenuta dalla difesa dell'imputato in relazione al primo motivo. Il primo motivo del ricorso dell'imputato e l'unico motivo di quello del P.G. appaiono fondati. in alto il numero che corrispondeva al numero di contenzioso della pratica esistente presso l'Avvocatura Generale dello Stato ed erano stati presentati dallo stesso Avvocato dello Stato che aveva materializzato in primo grado la difesa dell'Avvocatura ed il cui nome era dattiloscritto sull'ultima pagina dei motivi, Le annotazioni particolari sopra esposte vanno confrontate con le norme in materia poich� certamente, se esistesse una norma che ner caso di specie sancisse espressamente la nullit� o l'inammissibilit� dei motivi per Ja mancanza della firma, quanto sin qui premesso non potrebbe avere alcun sviluppo. Cosi ad esempio, di fronte alle norme tassative che stabiliscono la nullit� di atti sprovvisti di firma (sentenza istruttoria, sentenza dibattimentale, processi verbali, relazioni di notificazione: articoli 386, 475, 151, 179 c.p.p.) o di fronte alle norme, tassative altrettanto, che stabiliscono la inammissibilit� di atti per mancanza di taluni requisiti (mancata presentazione dei motivi d'impugna� zione per iscritto, o da chi non aveva proposto l'impugnazione o dal non-difen� sore o mancata specificazione degli stessi: art. 201 c.p.p.), ogni ulteriore discorso sarebbe precluso. La mancata apposizione della firma per� del difensore-persona fisica avvocato dello Stato non � prevista espressamente n� a pena di nullit�, n� a pena di inammissibilit�: laddove la norma (art. 201 c.p.p.) fa riferimento. alla sot� toscrizione, la fa esclusivamente per individuare il soggetto legittimato alla sottoscrizione, tant'� che la espressa previsione dell'inammissibilit� �, in quell'articolo, riferita solamente alla mancata specificazione dei . motivi e la giuri� sprudenza si � data carico. di questioni attinenti alla sottoscrizione con esclu Ji'ARTB I, SBZ. VIII, GIURISPRUDBNZA PBNALB 331 La Corte di merito, premesso che l'art. 201 c.p.p. impone che i motivi d'impugnazione debbano essere presentati con atto sottoscritto_ da chi propone la impugnazione o dal difensore, ha ritenuto che il riferimento testuale alla sottoscrizione e cio� all'apposizione della propria firma a chiusura del documento escluda il ricorso a forme equipollenti, quali l'apposizione della prppria sigla a margine del documento. Non ravvisa questa Corte di condividere tale decisione. Va, infatti, tenuto presente che scopo della norma di cui all'art. 201 cip.p. � ,quello di accertare che i motivi dell'impugnazione siano stati redatti da colui che � portatore del relativo diritto e di impedire, quindi, l'illecita intromissione di persone non legittimate nella serie degli atti diretti a garantire la genuinit� della volont� del titolare dell'impu gnazione. , ~ stata cos� ritenuta ammissibile l'impugnazione quando i motivi d'appello, pur essendo privi della sottoscrizione, risultano presentati personalmente dal difensore designato dall'imputato, per attestazione del competente cancelliere redatta in calce alla suddetta scrittura, per la quale attestazione non pu� dubitarsi n� della genuinit� della volont� dell'appellante, n� della titolarit� del diritto di redazione dei motivi di sivo riguardo alla qualit� del sottoscrittore, per stabilirne la legittimazione all'atto. In tal senso, la decisione che si annota � perfettamente conforme al sistema. Il principio di tassativit� della nullit� e per estensione di ogni causa di inammissibilit� (ex art. 184 c.p.p.) preclude quindi limitatamente a questi aspetti la dichiarazione di inammissibilit� dei motivi d'impugnazione non firmati. V'� per� un altro aspetto da esaminare: pu� l'inammissibilit� farsi deri� vare dalla norma generica di cui all'art. 207 c.p.p.? La firma cio�, pu� essere ricompresa nell'inciso � presentati nella forma, nel tempo e nel luogo prescritti? �. Non v'� dubbio che il tempo e il luogo nulla hanno a che vedere con l'apposizione della firma, cos� come � del resto pacifico, per quanto detto sopra in ordine alle modalit� di redazione e presentazione dei motivi d'impugnazione che non pu� parlarsi di �rinuncia all'impugnazione �: se non bastasse in proposito la specifica forma (questa s� che � tale!) voluta dal legislatore per la rinuncia alla impugnazione (art. 206 c.p.p.) per escludere che nel caso di specie la mera mancanza di firma possa intendersi come rinuncia, sovverrebbe la univoca manifestazione della volont� di impugnare, desumibile dagli anzidetti facta concludentia! Resta la �forma� quindi: la firma � forma dell'atto? Nel senso, benin teso, di unico modo voluto dal legislatore processuale, di attestazione della manifestazione della volont�, tale da escludere equipollenti che, nel caso di specie, invece, come si � visto, abbondano? Se si escludono due recenti sen tenze di Cassazione (l'una resa per un caso del tutto particolare: motivi olografi e privati!; l'altra, nel dissenso del Procuratore Generale, ma entrambe riferite a liberi professionisti, v. Cass. III 29 luglio 1983 n. 7121; Cass. III 6 marzo 1982 n: 2281) la dottrina si � espressa in tutt'altro senso: v. infatti impugnazione della pers�na "dell'estensore� pl'esentatore (v. Cass. Sez. II 10 ottobre .1964 '� Vdafora,..:�:in Cass~��pen. Mass:~1965;��'404k�';.. :.�: ~ r,: .. Si � anche�� afl:erma:to che �il requisito �xdella: .firma �richiesto-ida1~� l'art; 139 c.pip. ai fini della validit� degli atti' deve ritenersi .soddisfatto anche mediante 'l'a'.PPosizione di un segn0 -grafico non facilm�.nte deci� frabile, in quanto sia �idoneo "ad identificare��il� funzionairio o: l'ufficio' 'di appartenenza pev:il concorso di� altri elementi desumibili daH!atto st�sso, quali per .altro il timbro o la intestazilme �dell'ait:to. (V.: Cass. � Sez .. II 111 aprile 1980 � Sileo in C�ss\ Pen.. Mass. 1982, 524� n."452 e Sez. V 27 no~ vembre 1985 -�Bressanini). . . . ! Nella specie, .pur essendo �stata apposta �al margine .dell'ultima p�a� gina: dei . motivi d'appello 1:1lla sigla quasi, bnpercettibile. per la mwr0:scopicit� dei caratteri, l'identificazione del redattore e presentatore.. qei motivi di appe,llo nel difen,sore deH'imput~;o, rappresentato dall'Avvocatura Aello Stato nella persona di un avvocato dello. l)t,ato doveva. ;ritenersi t;i;i.ggiunta e ~ttraverso la presentazi9ne dei motivi al. <;an~eUiere �'�� ��� ��'' . � . � i� , . , . .. � I che e.l:>be .ad attest;are , H. deposit�i ed attraver$Q nntestazione 4ej fogli su �-pi. erfiliq, redatti i. .iotlvi. all'Avvo�a:tu,ra G�n~ral_e� dello Stato.� '� per la non essenzialit� della sottoscrizione e per la sanabilit� dell'atto con firma successiva e con efficacia ex tunc, in Noviss�mo Digesto �-italiano-vece sqttoscrizione n. 8 sottoscrizione nei . documenti pi;ocessuali. La� .giurisprudenza dai c�nUi s�o ha. costantemente affermatp la possibilit� di equipo�lenti del�a sottoscrizione: v. in Foro it. 1964, I, 1780 Cass. I� �civ. 24 luglio� 1964.. n, 1995 con nota di. ~� Lener. . � " .D'altra parte la Suprema Corte. d� .C~ssazione in sede penale ha non solo pn;:visto la nossibiut� di equipollenti -sia .pur con riferiniento ~Ila. data .di presentazione �dei motivi (Cass. IV, 6 febb~aio �1979, n. 1273), m� attribuisce anche al Ca.celliere �1:accertar,nento della. provenienza . dei motivi dal titolar� del .'diritto di. indicarli quan�lo -come nel caso .-siano' presentati diretta, mente (Cass. V, 16 febbraio 1967. n. 0137). . � � �V'� infine da rilevare, con pi� specifico riferimento all'art. 139 c.p.p., � che la Suprema Corte �di Cassazione ha costantemente afferl:ri.ato. che, a.. norma del citato . articolo, la. sottoscrizione deg;li atti .non deve nece.ssariament� consistere nella trascrizione, con caratteri leggibili, del no:i;ne e del cognome ' di di chi firma, essendo anche consentito l'uso di grafie indecifrabili o di sigle, a con4izione che esse siano munite di un preciso carattere che consente di indiViduare,.Ia persona da cui l'atto prov�ene (Cass. V, 6 m.aggio 19~8; Il, 2 d.icem'bre 1969 n. 2495; Il, 7 giugno 1972 n. 4023; Il, ~ novembre 1980 n. 12327; Il, 8 ger�naio 1981 n. 3215; I, 1.5 dicembre .1982 n. � 11947; .II, 2 geru:i.aio � 1961 n. U353). L'indirizzo che cos�. si � affei;mato ha da i.in Iato riconosciuto la piena vaUdit� dell'atto dotato di mera sigla, quando con il concorso di �altri eJementi � de.sumibili dall'a�o stesso .si possa id�ntifi�are il fup..zionario � (avvocato d~o Stato) che .l'ha apposta e l'ufficio di sua appartenenza� (Avvocatura Generale dello Stato) e dall'.altro ha ,.espressamente stabilito , c)J.e l'atto no. per.de validit� se la firma . o sigla � apposta in tlila i:>,art~ diversa' del foglio che la contiene. ~ ( ,�~. ... PAOLO.DI� TARSIA 'DI BELMON)'E; i I' � ! PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE Va, conseguentemente, annullata l'impugnata sentenza, limitatamente alla declaratoria d'inammissibilit� dell'appello dello Speranza, con rinvio alla stessa Corte d'Appello perch� proceda, come per legge, al giudizio di appello. Non pu� trovare accoglimento il secondo motivo del ricorso dello Speranza relativo alla condanna dello stesso al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili in grado di appello, posto che queste -ritualmente intervenute a seguito del gravame dell'imputato -erano pur sempre legittimate a resistere all'impugnazione di costui. -- PARTE SECONDA I I :.J� .. :.J� .. \ ��. '�'" J: . .�.LE MISURE CAUTELARI NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO(*) Sommario: 1) J>remess~; 2) La sentenza della Corte Costituzionale n. 190/85; 3) Il processo cautelare in sede di giurisdizione generale di legittimit�: e~oluzion~ della giurisprudenza; ~) Prospettive d?. iure condencfo. , 1. -Il tema in rasseg~ .sembra evoqare quella che, par:afrasan;do una celebre definizione di Winston Churchill, potrebbe definirsi l'imma. gi:ne di una e.risi nella c;risi di :LJna crisi . ..La crisi della giustizia, innanzitutto~ questa grande. malata. della nostra .societ�, affetta -in tutte e tre le sue maggiori espressioni:, civile, penale e amministrativa -dal vizio di ritardo di risposta per eccesso di domanda (e troppe volte, � ben noto, ritardata giustizia equivale a denegata giustizia). Non occorre, .m proposito, ricorrere a raffinate analisi sociologiche per constatare come al giudice �italiano. toechi in sorte pagare il prezzo di .colpe non sue, l'eccesso di contenzioso .essendo dovuto ad una careP?:a .o ad un difetto -di funzionamento di 1quei meccanismi fisiologici <lella sooi~t� e delle istituzioni che dovrebbero ridurre a sparuta � eccezione i casi di 1 mancato spontaneo adeguamento dell'essere del fatto al dover essere della norma. Chiamato a porre rimedio alla preoccupante forbice che si va aprendq tra evolvere della realt� ed evolvere dell'ordinamento, il giudice italiano si � trovato ~ostretto -il pi� delle volte per necessit� e non per scelta protagonistica -ad esercitare una funzione di vera e propria supplenza. La via maestra imboccata � stata quella del ricorso alla misura cautelare: non potendo dare risposta definitiva in tempi ragion�voli, il nostro giudic� d� risposta provvisoria in tempi giusti, privilegiando l'effici~nza rispetto alla meditazione. Q.esto � vero sia in sede di giudizio civile, dove Fazzalari ha parlato di � settecentizzazione della (*) L'articolo in rassegna � tratto da una relazione presentata al Convegno di studi cos� intitolato e tenutosi ad iniziativa della Societ� Italiana degli Avvocati Amministrativi presso il Consiglio di Stato il 28 giugno 1986. 88 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA; DELLO STATO giustizia � (1) con riferimento all'uso e all'abuso che il pretore fa dell'art. 700 c.p.c. :a vero, purtroppo, nel processo penale, come annotava malinconicamente Andrioli {2), in cui �troppo spesso la vera pena non � quelia che segue alla condanna, ma � quella scontata dagli imputati in sede di custodia preventiva, colpevoli o innocenti che siano. :a vero, infine, nel processo amministrativo, dove la curva statistica della percentuale di sospensive si impenna a freccia, divaricandosi da quella, pur montante, dei ricorsi. Ed � vero in un processo che avendo, fra tutti, 'le �strutture pi� obsolete, contempla come unica misura cautelare quella sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato la cui disciplina legislativa � rimasta sostanzialmente immutata da quasi un secolo (3). Di qui una esigenza di rinnovamento del processo amministrativo che si � manifestata lungo le tre grandi direttrici del nostro sistema: l'evoluzione giurisprudenziale, l'iniziativa legislativa e, tra le due, l'intervento del giudice delle leggi, che in questa circostanza sembra aver decisamente ripudiato quel ruolo meramente negativo di kelseniana memoria cui lo si voleva originariamente conformato. Sembra, quindi, opportuno analizzare brevemente i tre aspetti evolutivi sopra accennati, nel rispetto, naturalmente, di quel � �gioco delle parti � che impone, in una sede quale la presente, di affrontare il problema dal punto di vista del difensore� istituzionale della�parte pubblica. 2. -Ci� non comporta, naturalmente, il rifiuto di qualunque evoluzione in nome di un offiicioso misoneismo. Ben al contrario, l'apertura della Corte Costituzionale -che, con la sentenza 28 giugno 1985, n. 190 ha introdotto la clausola generale dell'art. 700 c,p.c. nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego di competenza del giudice amministrativo -sembra meritevole di piena aipprovazione, in coerenza, d'altronde, con quanto gi� altre volte sostenuto in ordine alla opportunit� di un integrale trapianto del sistema processual-civilistico nel giudizio amministrativo in materia di pubblico impiego (4). Si verificherebbe, (1) G. MANZARI, La giustizia amministrativa oggi, in �Il Consiglio di Stato�, 1984, 963. (2) V. ANDRIOLI, Relazione, in � Atti tavola rotonda romana �, 1982, 1688 cit. in M. E. ScHINAIA, Brevi note sul giudizio amministrativo cautelare, in � Riv. amm. '" 1985, I, 591-604. (3) :!> noto, infatti, che il passaggio della formula normativa dalla locuzione � gravi ragioni � utilizzata dal legislatore del 1889 a quella � grave ed irreparabile pregiudizio � del legislatore del 1971, altro non � che la recezione di una giurisprudenza del Consiglio di Stato formatasi a partire dal 1890 e che interpretava la formula � gravi ragioni � proprio nel senso di � grave e irreparabile pregiudizio� (cfr. Cons. Stato, IV, 10 aprile 1890, in � Giust. Amm.va �, 1890, 11). (4) I. F. CARAMAZZA, La riforma del processo amministrativo, Atti della tavola rotonda 19 aprile 1980, in � Riv. Amm. �, 1980. PARTE II, QUESTIONI 89 altrimenti, una ingiustificata disparit� di trattamento di rapporti d'opera assai simili e che evolvono, oltretutto, da anni lungo linee convergenti. Benvenuto, dunque, l'art. 700 c.p.c. nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego e ben venga l'intero codice di procedura civile in tutte le materie di giurisdizione esclusiva, sia che ci� accada per effetto di evoluzione della giurisprudenza amministrativa, sia che ci� avvenga per effetto di ulteriori interventi della Corte Costituzionale. Il tutto oon l'aggiunta doverosa che l'augurio duplice vale a livello di dialogo dei massimi sistemi: altro e diverso problema � quello di concreta fattibilit� con gli organici dei magistrati amministrativi oggi esistenti. Il sistema di giurisdizione esclusiva, Jnfatti, se mi si perdona il riferimento ad una teoria che cominoia a mostrare segni di logoramento, � il sistema di una giurisdizione su rapporti e non su atti: vi �, dunque, una omogeneit� di oggetto con il giudizio ordinario, una omogeneit� di diritto sostanziale da applicare e, tutto sommato, anche quando vi � da incidere su di un atto autoritativo, non si pone alcun vero problema differenziale, in quanto la disapplicazione incidenter tantum da parte del giudice ordinario equivale, da un punto cli vista effettuale, all'annullamento del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. Non sembrerebbe, invece, da condiVlidere, una (ipotetica) eventuale analoga pronuncia del giudice delle leggi in tema di giurisdizione generale di legittimit� e sembra, d'altronde, che la ratio che ha spinto la Corte Costituzionale a negare ingresso alla sospensione cautelare in materia tributaria (5) dovrebbe valere a negare, nel giudizio sull'atto, ampliamento a quella tutela cautelare amministrativa prevista in misura ridotta ma congruente -secondo una valutazione preventiva del legislatore -con il tipo di giudizio (cassatorio) cui inerisce. Piaccia o non piaccia, infatti, il giudwio di legittimit� del giudice amministrativo si risolve tuttora in un giudizio sull'atto (6); � quindi congruente con la sua natura la prevista limitazione del giudizio cautelare. 3. -L'evoluzione della giurisprudenza amministrativa in tema di sospensiva (e in sede di giurisdizione generale di legittimit�) nell'ultimo decennio � troppo nota perch� vi si debba indugiare: � stata, infatti, affermata e sistematizzata la sospendibilit� di una se.rie di atti amminist~ ativi (quali dinieghi di ammissione, atti intermedi di procedimenti., atti negativi di controllo, etc.) esclusi dalla sospendibilit� secondo le teorie classiche perch� atti negativi. Oltretutto, il giudice amministrativo ha utilizzato con estrema duttilit� lo strumento cautelare, piegandolo, per (5) Corte Cost. 1 aprile 1982 n. 63, in � Foro It. � 1982, I, 1216. (6) M. NIGRO, Linea di una riforma necessaria e possibile del processo amministrativo, in � Riv. dir. Proc. � 1978, 249 ss. 9 90 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO esempio, a fini istruttori o mirandolo meglio al ~ine attraverso l'introduzione di elementi a�cessori come il termine o la condizione. Si � cos� giunti a soddisfare, in sede di sospensiva, non solo � interessi oppositivi �, ma anche �interessi pretensivi � (quanto meno quelli �a soddisfazione preregolata �) (7). Questa evoluzione, valutata da parte della dottrina come vera e propria � rivoluzione � (8), � stata da altra -e non meno autorevole corrente di pensiero giudicata come fisiologica ptesa di coscienza di una realt� normativa ed effettuale esistente fin dal 1889: la estensione al merito della competenza del giudice amministrativo in sede cautelare (9). Secondo tale corrente di pensiero competerebbe, dunque, al giudice amministrativo, in sede di cautela, tutta fa gamma di poteri sostitutivi ed ordinatori che gli sono propri in sede di ottemperanza e ci� dovrebbe trovare sanzione nella pi� recente giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Cassazione (10). Occorre subito esprimere il pi� netto disaccordo con tale orientamento di pensiero: la recente giurisprudenza a cui si fa riferimento non dice, infatti, ci� che vi si vorrebbe leggere se non in frasi non univoche e comunque formulate in sede di obiter dieta. Vi � per�, in quell'd.ndirizzo dottrinario una precisa intuizione che si rivela soprattutto quando viene messo l'accento sul fatto che l'idea che spettino poteri �di merito� al giudice amministrativo in sede cautelare � pare serpeggiare in modo pi� o meno dichiarato� (11) sin dall'origine dell'istituto. La notazione � esatta, ma le conclusioni che se ne vorrebbero trarre sono viziate dalla circostanza che non si � tenuto conto di una non innocua eterogenesi lessicale. Sembra potersi qui toccare c001 mano un'altra di quelle singolari � ambiguit� � (12) del nostro processo amministrativo, nato nell'amministrazione ed evolutosi nella giurisdizione per giudicare di un interesse legittimo ,che � posizione sostanziale sino alle soglie del processo per sparire poi in esso in tale sua qualit�. In contrapposto ad esso come giudizio (7) F. FoLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tributari, Giuffr�, Milano, 1981, 148 ss. (8) A. CAVALLARI, La tutela cautelare nel giudizio amministrativo, in �Trib. Amm. Reg. �, 1984, II, 403 ss.;. G. SAPORITO, La sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato nella giurisprudenza amministrativa, Jovene, Napoli, 198, passim. (9) A. ROMANO, Tutela cautelare nel processo amministrativo e giurisdizione di merito, in �Foro it. >>, 1985, I, 2491 ed AA. ivi citati. (10) Vengono citati in proposito: Cons. Stato, A. P., ord. 8 ottobre 1982, n. 17, in � Cons. Stato�, 1982, 1197 ss.; A. P., ord. 1 giugno 1983, n. 14, in � Cons. Stato�, 1983, 623 ss.; Cass. SS.UU. sent, 26 luglio 1984, n. 4399, in �Foro it. �, 1984, 2106 ss. (vedi paragrafo 10 della motivazione). (11) A. ROMANO, op. loc. cit. (12) M. NIGRO, Il giudice amministrativo oggi, in � Foro it. �, 1978, V, 161 ss. PARTE Il, QUESTIONI 91 sull'atto, la fase cautelare appare, infatti, .incentrata sul rapporto, in quanto in essa la valutazione dell'interesse sostanziale tutelato condi� ziona non solo l'ammissibilit� del giudizio ma anche il merito della decisione (13) con specifica attenzione rivolta alla valutazione dei fatti. In tale situazione l'intuizione del giudizio cautelare come giudizio � esteso al merito � � esatta. � esatta, per�, nel senso che si attribuiva nel 1889 (ed anche pi� tardi, fino al 1907) alla locuzione �giudizio di merito�. Cio� nel senso processual-civilistico della cognizione del giudice estesa al fatto e non nel senso amministrativistico -che doveva maturare decenni dopo -di U111 potere di giudizio diverso sulla base di un parametro di valutazione altro dalla norma giuridica, cio� del parametro della opportunit� e della convenienza (14). Il legislatore del 1889, infatti, quando istitu� la IV Sezione del Consiglio di Stato non intese insediare un nuovo giudice, ma istituire un organo amministrativo di vertice che si poneva, rispetto a quelli sottoordinati, nella stessa posizione in cui si pone nel giudizio civile la Cassazione rispetto ai giudici di merito. Logica, quindi, la previsione che i ricorsi al Consiglio di Stato non avessero effetto sospensivo (i:l che vale in genere per tutti i r.imedi di tipo cassatorio); logico anche che fosse prevista in via di eccezione una facolt� di sospensiva; meno logico che la relativa competenza fosse attribuita all'organo superiore invece che a quello inferiore competente per il merito. La soluzione di continuit� appare, per�, assai meno grave ove si rifletta a:lla natura amministra� tiva che il Consiglio di Stato era allora ritenuto rivestire: non a caso fino alla met� di questo secolo apprezzabile dottrina afferm� la perdurante natura amministrativa della decisione cautelare, nonostante l'ormai indiscussa natura giurisdizionale riconosciuta al Consiglio di Stato (15). Nell'ottica ottocentesca era, dunque, assolutamente esatto parlare di giudizio cautelare come di giudizio esteso al merito, perch� era un giudizio che comprendeva la cognizione del fatto, mentre era pacifica� mente ritenuto che il Consiglio di Stato fosse un giudice di p�ro diritto, tanto vero che ancora nel 1907 si distingueva fra competenza della IV e della V Sezione, a seconda che si ritenesse la cognizione estesa o meno al fatto (16). (13) E. FOLLIERI, op. cit., 46 ss. (14) U. PororscHNIG, Origini e prospettive del sindacato di merito nella giurisdizione amministrativa, in � La giurisdizione amministrativa di merito �, Firenze 1969, 29 ss. (15) F. Rocco, La sospensione del'atto amministrativo dinanzi al Consiglio di Stato, in �Studi in onore di S. Romano�, Padova, 1940, Il, 526 ss.; R. LUCIFREDI, In tema di sospensione dei provvedimenti impugnati con ricorso al Consiglio di Stato, in � Rass. giurisprud. Roma�, 1945, III. Cfr. M. NIGRO, nota Cons. Stato 5 agosto 1941 n. 516, in �Foro Amm. �, 1141, I, 2, 275. Vedasi ancora recentemente in tal senso P. BIAGI, I provvedimenti cautelari nel giudizio amministrativo, in � Trib. Amm. Reg. 1984 �, Il, 351 ss. e segnatamente 360. 92 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Se quanto sopra � vero, pacifico essendo che si ritiene oggi estesa al fatto la giurisdizione generale di legittimit� e si distingue in sede di giudizio amministrativo fra legittimit� e merito alla stregua dei beni diversi parametri di rJferimento sopra ricordati, la originaria afferma� zione del giudizio cautelare come giudizio di merito non pu� pi� essere utilizzata nella mutata accezione odierna. ' Sembra quindi necessario tornare, per de1ineare l'esatta configura� zione dell'istituto cautelare, all'insegnamento del Chiovenda, in particolare all'affermazione del principio che � il tempo necessario ad aver ragione, non deve tornare a danno di chi ha ragione� (17). Se cos� �, la misura cautelare altro non pu� essere che l'anticipazione del risultato finale del processo: nessun maggiore risultato pu� essere, quindi, conse� guito e nessun potere maggiore pu� essere rivendicato dal giudice nella fase della cautela rispetto a quelli ottenibili dal ricorrente e posti a disposizione del giudice del giudizio finale (18). Tali principi sono stati, d'altronde, affermati con molta chiarezza (e in sede di ratio decidendi e non di obiter dieta) cos� dalla Cassazione come dal Consiglio di Stato. Si vedano, in particolare, le decisioni dell'A.P. n. 17/84 e la sentenza delle SS.UU. 5063/1983 (19). In tale ultima sentenza le Sezioni Unite, respingendo un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione in cui si affermava lo straripa� mento di poteri di un giudice amministrativo, accusato di aver adottato provvedimenti ordinatori e sostitutivi in sede cautelare, affermavano l'in� fondatezza del ricorso non perch� il giudice amministrativo avesse quei poteri, ma perch� quei poteri in concreto non erano stati esercitati in quanto, sotto le mentite spoglie di atti negativi, la sostanza dell'attivit� amministrativa si atteggiava, in realt�, con contenuto positivo di fronte al quale il ricorrente difendeva un proprio interesse oppositivo. Concludendo sul punto, sembra quindi di poter dissentire cos� da quella dottrina che vede nell'evoluzione giurisprudenziale in tema di provvedimenti cautelari una rivoluzione, come da quella che in essa riconosce la presa di coscienza di una realt� giuridica sempre esistita. Vi � stata, invece, pi� semplicemente, una evoluzione della giurisprudenza ammini� strativa secondo quelle che sono le migliori tradizioni del giudice amministrativo italiano, che sa adeguare le proprie decisioilli al continuo dive� (16) L. MIGLIO~INI, L'istruzione nel processo amministrativo di legittimit�, Cedam, Padova, 1977, 14, nota (18). (17) G. CHIOVENDA, nota a Cass. Roma 7 marzo 1921, in � Giur. Civ. e Comm. �, 1921, 362 ss. (18) M. E. SCHINAIA, op. cit., 595; F. ZEVIANI PALLOTTA, Considerazioni sui possibili contenuti e limiti di operativit� delle pronuncie cautelari del giudice 'amministrativo nel processo di primo grado, in � Cons. Stato �, 1980, 2, 949 ss. (19) Cass. SS.UU. sent. 22 luglio 1983, n. 5063, in Cons. Stato 1983, II, 1490 ss.; Cons. Stato A. P., dee. 5 settembre 1984, n. 17, in Foro it., 1985, III, 51 ss. I I I I PARTll 11, QUESTIONI 9J nire della realt�, con fantasia insieme e con pragmatismo, ma anche, comunque, con il ['igore giuridico che esige il rispetto della legge, al di l� del quale esistono soltanto pericolose fughe in avanti. Crediamo, d'altronde, che attribuire al giudice amministrativo com� petenze �di merito� (nel senso di sostitutive e ordinatorie) in sede cautelare significherebbe gravare la giustizia amministrativa del peso di una ulteriore funzione di supplenza, con conseguente esasperazione di quell'eccesso di domanda di cui si parlava all'inizio dei presenti appunti. 4. -I disegni di legge da prendere in considerazione sono due: lii.o � quello approvato dalla Prima Commissione permanente della Camera dei Deputati, che ha unificato il disegno governativo di legge-delega n. 1353 e la proposta di legge 'ad iniziativa dell'on. Labriola ed altri n. 1803, l'altro � quello appena elaborato (o addirittura in corso di elaborazione) ad opera della Commissione presieduta dal Presidente Laschena e che, come pu� desumersi dalla relazione che lo a:ocompagna e che � gi� nota, si muove esattamente, in parte qua, sulle stesse linee del disegno governativo. Il nucleo 'centrale della proposta innovazione � l'introduzione di una � clausola generale di cautela � con concessione al giudice amministrativo, sulla falsariga dell'articolo 700 c.p.c., del potere di prendere tutte le misure utili a garantire l'effettivit� della decisione. La norma si accompagna alla previsione di una necessaria istanza di fissazione di udienza, ad una sua irretrattabilit� ed alla previsione che, quando la misura cautelare Stia concessa, la decisione del merito debba intervenire nei successivi sei mesi. La ~evisione � indubbiamente congruente con il tipo di processo previsto, che .non � pi� un giudizio sull'atto, ma un giudizio �sulla pretesa� (20). La fonte di ispirazione della nuova normativa cautelare � pacificamente e dichiaratamente il processo frances�, il che non pu� sorprendere, perch� il sistema di giustizia amministrativo italiano � largamente tributario della tradizione transalpina. Sembra, per�, da un lato, che la legislazione francese sia molto meno avanzata di quanto non . si ritenga quando ad essa si fa riferimento e, dall'altro, che il giudice amministrativo francese, nell'applicarla, adotti un metro di giudizio tutt'altro che concessivo. Sorge, allora, legittimo il dubbio se la normativa francese, applicata come lo � stata sinora in F.rancia, non rischi di dare un risultato meno avanzato di quello ottenuto fin qui in Italia, dove una normativa antiquata, limitata ed asfittica riceve una .interpretazione giurisprudenziale assai aperta e non di rado creativa. Nel sistema francese, infatti, i tipi di giudizio cautelare sono: il � sursis � execution �, che equivale alla nostra sospensiva, il � r�f�r� (20) R; LASCHENA, Profili innovatori della disciplina del processo amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, I', 1986, 35. 94 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA. DELLO STATO administratif �, che � la clausola generale di cautela e il � constat d'urgem:: e �. Il � sursds � execution � appare coprire un'area assai pi� ridotta rispetto a quella occupata dalla nostra sospensiva: in primo luogo, infatti, il Tribunale amministrativo francese pu� adottare la misura solo a titolo eccezionale, in secondo luogo l'elemento pi� importante da valutare non � il grave e irrepa~abile pregiudizio ma il fumus boni iuris (21). Un fumus boni iuris che v.iene soppesato con particolare attenzione da una giurisprudenza estremamente rigorosa, che ha visto un Consiglio di Stato -severo giudice d'appello -contrastare in maniera decisa ogni tentativo di ampliamento accennato dai Tribunali Amministrativi (22). Una tale cautela del giudice amministrativo nell'uso di poteri sostitutivi e ordinatori deve far riflettere, soprattutto quando si tratti di un giudice amministrativo quale quello francese che � sempre stato tutt'altro che timido nei confronti dell'Esecutivo (23). Il � r�f�r� administratif � ha, per definizione, portata assai pi� ristretta dell'analogo strumento previsto in sede civile. Le decisioni amministrative adottate, dice la legge, non possono in alcun modo pregiudicare l'esecuzione di alcuna decisione amministrativa (24). In ogni caso il procedimento non � ammissibile in materia di ordine pubblico e la prassi giurisprudenziale lo riduce quasi esclusivamente ad un processo di istruzione preventiva (24). Quanto al � constat d'urgence �, esso appare essere niente pi� che un accesso giudiziale per accertamenti istruttori di urgenza. Le ultime considerazioni ora svolte pare forniscano un argomento di meditazione in tema di � check and balance � tira giudiziario e legislativo. Probabilmente � fisiologico che, come acc�de in Italia, il giudice sia concessivo quando la legge � in ritardo sui tempi e altrettanto fisiologico � quanto accade in Francia dove, di fronte a normative evolute, il giudice si arrocca su posizioni pi� conservatrici. Probabilmente se i progetti attualmente all'esame del Parlamento diventeranno leggi dello Stato, il giudice amministrativo italiano, che finora ha dovuto forzare a1le esigenze nuove le dimensioni anguste di una legge antica, potr� adottare un opposto atteggiamento in presenza di una normativa cos� radicalmente innovatrice. Ma questa, come direbbe Kipling, � un'altra storia. I. F. CARAMAZZA -M. G. MANGIA (21) Decreto 63.766 del 30 luglio 1964. (22) J. RIVERO, Droit administratif, Dalloz, Parigi 1969, 204. (23) Cons. Stato francese 19 ottobre 1962, Canal Robin et Gaudot (A.), 1962, 612 CHR DE LABAUDERE G. A. n. 105. (24) Legge 28 novembre 1955; Cons. Stato francese 12 maggio 1965, Soci�t� de Belly A.J. 1966, 126. (25) M. NIGRO, Trasformazioni dell'Amministrazione e tutela giurisdizionale differenziata, in La riforma del processo amministrativo, Giuffr�, Milano, 1980, 211-212. RASSEGNA DI LEGISLAZIONE � QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, art. 9 (conv. in legge 6 luglio 1939, n. 1272) ed altre norme, nella parte in cui prevedono il conseguimento della pensione di vecchiaia e, quindi, il licenziamento della donna lavoratrice per detto motivo, al compimento del cinquantacinquesimo anno di et� anzich� al compimento del sessantesimo anno come per l'uomo. Sentenza 18 giugno 1986, n. 137, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 98, secondo comma, nella parte in cui non prevede nei confronti del creditore opponente la comunicazione, almeno quindici giorni prima dell'udienza di comparizione, del decreto ivi indicato, comunicazione dalla quale decorre il termine per la notificazione di esso al curatore. Sentenza 30 aprile 1986, n. 120, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 100, secondo comma, nella parte in cui non prevede nei confronti del creditore impugnante la comunicazione, almeno quindici giorni prima dell'udienza di comparizione, del decreto ivi indicato, comunicazione dalla quale decorre il termine per la notificazione di esso al curatore e ai creditori i cui crediti sono impugnati. Sentenza 30 aprile 1986, n. 120, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. d.I.C.p.S. 16 luglio 1947, n. 708, art. 15 ed altre norme, nella parte in cui prevedono il conseguimento della pensione di vecchiaia e, quindi, il licenziamento della donna lavoratrice per detto motivo, al compimento del cinquantacinquesimo anno di et� anzich� al compimento del sessantesimo anno come per l'uomo. Sentenza 18 giugno 1986, n. 137, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. legge 4 dicembre 1956, n. 1450, art. 16 ed altre norme, nella parte in cui prevedono il conseguimento della pensione di vecchiaia e, quindi, il licenziamento della donna lavoratrice per detto motivo, al compimento del cinquantacinquesimo anno di et�, anzich� al compimento del sessantesimo anno come per l'uomo. Sentenza 18 giugno 1986, n. 137, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, quinto comma, nella parte in cui non consente che, ai fini dell'esercizio dell'azione da parte dell'infortunato, l'accertamento del fatto di reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in cui, non essendo stata promossa l'azione penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente, vi sia provvedimento di archiviazione. Sentenza 30 aprile 1986, n. 118, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. 96 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, quinto comma, nella parte in cui non consente che, ai .fini dell'esercizio dell'azione da parte dell'infortunato, l'accertamento del fatto di reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in cui il procedimento penale, nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente, si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria. Sentenza 30 aprile 1986, n. 118, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, primo comma, nella parte in cui non prevede che il termine triennale di prescrizione dell'azione per conseguire le prestazioni assicurative sia interrotto a far tempo dalla data del deposito del ricorso introduttivo della controversia, effettuato nella cancelleria dell'adito pretore, e seguito dalla notificazione del ricorso e del decreto pretorile di fissazione dell'udienza di discussione. Sentenza 23 maggio 1986, n. 129, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 11 ed altre norme, nella parte in cui prevedono il conseguimento della pensione di vecchiaia e, quindi, il licenziamento della donna lavoratrice per detto motivo, al compimento del cinquantacinque simo anno di et~ anzich� al compimento del sessantesimo anno l'uomo. Sentenza 18 giugno 1986, n. 137, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 12, limitatamente alle parole posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge '" Sentenza 30 aprile 1986, n. 117, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE come per I � deceduta ' I I codice penale, artt. 163, 166 e 167 (artt. 3, 79 e 104 della Costituzione). Sentenza 9 giugno 1986, n. 131, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. ~ codice penale, art. 697 (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). I Sentenza 9 giugno 1986, n. 132, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 98, terzo comma (art. 24 della Costituzione). Sentenza 30 aprile 1986, n. 120, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. legge 10 maggio 1964, n. 336, artt. 1 e 6 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 9 giugno 1986, n. 134, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art.. 112, primo comma (art. 38, secondo comma della Costituzione). Sentenza 23 maggio 1986, n. 129, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione,. Sentenza 9 giugno 1986, n. 132, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 12 febbraio 1968, n. 132, art. 66 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 9 giugno 1986, n. 134, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, art. 60 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 9 giugno 1986, n. 134, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, secondo comma, n. 11 (art. 76 della Costituzione). Sentenza 23 maggio 1986, n. 128, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, quarto comma [nel testo modificato dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 30 aprile 1986, n. 116, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74-bis, secondo comma (artt. 76 e 87 della Costituzione). Sentenza 30 aprile 1986, n. 115, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47 (art. 76 della Costituzione). Sentenza 23 maggio 1986, n. 128, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 47 e 55 (art. 76 della Costituzione). Sentenza 23 maggio 1986, n. 128, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 92 e 95 (art. 76 della Costituzione). Sentenza 23 maggio 1986, n. 128, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). Sentenza 9 giugno 1986, n. 132, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). Sentenza 9 giugno 1986, n. 132, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 11 (artt. 3, 79 e 104 della Costituzione). Sentenza 9 giugno 1986, n. 131, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 53 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 9 giugno 1986, n. 134, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.l. 2 luglio 1982, n: 402, art. 5 [conv. in legge 3 settembre 1982, n. 627] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 9 giugno 1986, n. 134, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. III -QUESTIONI PROPOSTE codice civile, art. 156, sesto comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 23 dicembre 1985, n. 174/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. codice civile, art. 600 (artt. 2, 3, 4, 24, 30, 32 e 38 della Costituzione). Corte d'appello di Palermo, ordinanza 22 novembre 1985, n. 116/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. codice civile, art. 1224 (artt. 3, 24, 36, 38, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 marzo 1985, n. 340/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. codice civile, art. 1901, secondo e terzo comma (art. 41 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 10 giugno 1985, n. 872, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. codice civile, art. 2195 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Macerata, ordinanze (due) 18 giugno 1985, n. 880 e 24 settembre 1985, n. 881, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. codice di procedura civile, art. 38, terzo comma (artt. 24 e 25 della Costituzione). Pretore di Legnano, ordinanza 28 dicembre 1984, n. 99/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. Pretore di Legnano, ordinanza 28 dicembre 1984, n. 100/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. codice di procedura civile, art. 75, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Palma Montechiaro, ordinanza 11 novembre 1985, n. 108/86, G. V. 28 maggio 1986, n. 24. codice di procedura civile, art. 150 disposizioni di attuazione (artt. 3, 24, 36, 38, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 marzo 1985, n. 340/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. 1 1 PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 99 codice di procedura civile, art. 395, nn. 1 e 2 (artt. 3 e 24 della Costitu� zione). Pretore di Milano, ordinanza 7 maggio 1985, n. 168/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 3, 24, 36, 38, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 28 marzo 1985, n. 340/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. codice di procedura civile, art. 444, primo comma (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 23 ottobre 1985, n. 907, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. codice penale, art. 81, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Velletri, ordinanza 5 settembre 1985, n. 908, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. codice penale, art. 519, cpv., n. 1 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Caltagirone, ordinanza 30 ottobre 1985, n. 38/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. codice penale, art. 589 (artt. 3, 29 e 30 della Costituzione). Tribunale di Frosinone, ordinanze (due) 7 marzo 1985, nn. 160 e 161/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. codice penale, art. 597, secondo e terzo comma (artt. 3 e 24 della Costi� tuzione). Pretore di Sampierdarena, ordinanza 19 dicembre 1985, n. 172/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. codice penale, art. 628, primo e terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Trento, ordinanza 15 novembre 1985, n. 2/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. codice penale, art. 724 (artt. 7, 3 e 8 della Costituzione). Pretore di Trento, ordinanza 26 novembre, 1985, n. 41/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. codice di procedura penale, art. 31, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Urbino, ordinanza 26 ottobre 1985, n. 865, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. codice di procedura penale, art. 128, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Lanusei, ordinanze (otto) 29 marzo 1985, nn. 178-185/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. :1.00 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codi<:(! di procedura penale, artt. 224-bis, secondo comma, e 238; secondo comma (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale di Trieste, ordinanza 3 ottobre 1985, n. 110/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. codice di procedura penale, art. 263, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 3 maggio 1985, n. 815, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Corte di cassazione, ordinanza 26 giugno 1985, n. 855, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. Tribunale di Roma, ordinanza 22 luglio 1983, n. 187/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. codice di procedura penale, art. 263-bis, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 27 giugno 1983, n. 13/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. codice di procedura penale, art. 343-bis, ultimo comma (artt. 25 e 111 della Costituzione). Pretore di Bergamo, ordinanza 22 ottobre 1985, n. 66/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. codice di procedura penale, art. 389, terzo comma (art. 25 della Costituzione). Giudice istruttore presso. Tribunale di Roma, ordinanza 26 febbraio 1986, n. 219, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. codice di procedura penale, art. 665, secondo comma (art. 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 22 luglio 1985, n. 209/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. codice penale militare di pace, art. 180, secondo comma (artt. 2, 3, 21 e 52 della Costituzione). Tribunale militare di Bari, ordinanza 31 ottobre 1985, n. 98/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. codice penale militare di pace, artt. 223 e 260 (art. 3 della Costituzione). Corte militare d'appello, sezione distaccata in Verona, ordinanza 29 novembre 1985, n. 151/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. r.d. 4 maggio 1925, n. 653, art. 10 (artt. 3 e 34 della Costituzione). Pretore di Castiglione del. Lago, ordinanza 27 dicembre 1985, n. 134/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. ....................... ............................... . PARTE II, l!ASSEGNA DI LEGISLAZIONE r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Lanusei, ordinanze (otto) 29 marzo 1985, n. 178-185/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 247 (artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 7 giugno 1985, n. 162/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 247 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 12 luglio 1985, n. 201/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. d.l. 28 febbraio 1939, n. 334, art. 23, primo comma [conv. in legge 2 giugno 1939, n. 739] (art. 53 della Costituzione). Tribunale di Brescia, ordinanze (tre) 29 maggio 1985, nn. 851, 856 e 857, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge 1 giugno 1939, n. 1089, art. 66, primo e secondo comma (artt. 3, 24 e 27 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 25 maggio 1985, n. 129/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. legge 25 settembre 1940, n. 1424, art. 116, primo comma (artt. 3, 24 e 27 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 25 maggio 1985, n. 129/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 9 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 4 luglio 1985, n. 808, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. legge 19 marzo 1955, n. 160, artt. 9, 10 e 15 (artt. 3, 32 e 38 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanze (due) 11 aplile 1985, nn. 806 e 807, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (artt. 3, 24 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 3 aprile 1985, n. 885, G. U. 23 maggio 1986, n; 23. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85, lett. a), parte seconda (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 24 gennaio 1985, n. 69/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. 102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art, 112, secondo comma, prima parte (art. 24 I della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 31 maggio 1984, n. 1/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis (art. 3 della Costituzione). I Pretore di Empoli, ordinanza 29 ottobre 1985, n. 906, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. legge 18 aprile 1962, n. 167, art. 9 (artt. 3, 42 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 22 novembre 1984, n. 190/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Sorrento, ordinanza 30 settembre 1985, n. 37/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. I legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 (artt. 3 e 38 della Costituzione). I ~ Pretore di Messina, ordinanza 19 luglio 1985, n. 171/86, G. U. 6 giugno 1986, ~ n. 26. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). ~ Ifil Pretore di Ancona, ordinanza 14 novembre 1985, n. 6/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. Pretore di L'Aquila, ordinanza 20 maggio 1985, n. 203/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 38 della Costituzione). I Pretore di Bologna, ordinanza 21 agosto 1985, n. 812, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. I Pretore di Siracusa, ordinanza 29 novembre 1985, n. 36/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. Pretore di Trani, ordinanza 2 aprile 1985, n. 144/86, G. U. 25 giugno 1986, I n. 30. Corte di cassazione, ordinanza 12 luglio 1985, n. n. 30. legge 22 dicembre 1962, n. 1646, art. 6, secondo tuzione). Corte dei conti, ordinanza 14 gennaio 1985, n. n.21. legge 22 dicembre 1962, n. 1646, art. 6, terzo Costituzione). � 154/86, G. U. 25 giugno 1986, comma (art. 3 della Costi21/ 86, G. U. 14 maggio 1986, I ~ I comma (artt. 3 e 29 della I Corte dei conti, ordinanza 19 aprile 1985, n. 20/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. f f f I! f Ii PARTE Il, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 10J legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Mantova, ordinanza 7 novembre 1985, n. 11/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. legge 10 maggio 1964, n. 336, artt. 1 e 6 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 24 ottobre 1985, n. 152/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. ' Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, ordinanza 4 dicembre 1985, n. 194/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 10 maggio 1964, n. 336, art. 6 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 7 giugno 1985, n. 813, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, primo e quarto comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Cagliari, ordinanza 17 dicembre 1985, n. 123/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 1 e 4 (artt. 3, 35 e 36 della Costituzione). Tribunale di Modena, ordinanza 20 novembre 1985, n. 61/86, G. V. 4 giugno 1986, n. 25. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 211 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 1 agosto 1985, n. 818, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. legge 21 luglio 1965, n. 903, art. 22 (artt. 3. e 38 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 21 agosto 1985, n. 812, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Corte di cassazione, ordinanza 12 luglio 1985, n. 154/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. legge 12 febbraio 1968, n. 132, art. 66 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 24 ottobre 1985, n. 152/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, ordinanza 4 dicembre 1985, n. 194/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3 (artt. 3 e 37 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 19 aprile 1985, n. 24/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. legge 12 marzo 1968, n. 334, art. 8, primo comma (artt. 3, 41, 42 e 44 della Costituzione). Pretore di Galatina, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 836, G. U. 7 maggio 1986, Il. 20. Pretore di Galatina, ordinanza 21 settembre 1985, n. 835, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. 104 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 2 aprile 1968, n. 475, art. 17 (art. 3 della Costituzione). -~ �:� Tribunale di Bergamo, ordinanza 7 novembre 1985, n. 214/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma (artt. 36 e 53 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 5 luglio 1985, n. 140/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 21 agosto 1985, n. 812, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Corte di cassazione, ordinanza 12 luglio 1985, n. 154/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. legge 30 marzo 1971, n. 118, art. 28 [di conversione del dJ. 30 gennaio 1971, n. S] (artt. 3, 30, 31 e 34 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 novembre 1984, n. 197/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. d.l. 5 luglio 1971, n. 429, art. 1 [conv. in legge 4 agosto 1971, n. 589] (art. 81 della Costituzione). Pretore di Catania, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 890, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 3 e 81 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 27 giugno 1985, n. 891, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (art. 81 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 21 maggio 1985, n. 817, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 81 e 119 della Costituzione). Pretore di Lucca, ordinanze (due) 15 giugno 1985, nn. 781 e 782, G. U. 7 mag� gio 1986, n. 20. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 11, primo e ultimo comma (artt. 3, 42 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 22 novembre 1984, n. 190/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Palermo, ordinanza 20 feb� braio 1978, n. 102/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. PARTB II, RASSEGNA DI L'EGISLAZIONB 101 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 15 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Napoli, ordinanze (due) 9 maggio 1980, nn. 124 e 125/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23 (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verona, ordinanza 11 novembre 1985, n. 63/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 28 (artt. 3, 24, 53 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Pavia, ordinanza 24 novembre 1985, n. 130/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1, 183 e 195 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 25 febbraio 1985, n. 27/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 195 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Carinola, ordinanza 23 ottobre 1985, n. 47/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, primo comma e 195, primo comma, n. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Mistretta, ordinanza 17 aprile 1985, n. 76/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Regalbuto, ordinanza 29 settembre 1985, n. 101/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (artt. 3 e 25 della Costi� tuzione). Pretore di Avola, ordinanze (tre) 22 novembre 1985, nn. 105-107/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Mirabella Belano, ordinanza 21 dicembre 1985, n. 173/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 (artt. 3 e 21 della Costituzione). Tribunale di Prato, ordinanza 24 settembre 1985, n. 5/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195, primo comma, n. 2 (art. 76 della Costituzione). Pretore di Poppi, ordinanza 5 novembre 1985, n. 34/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. 10 II 106 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 4, 5, 10 e 15 (artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione). ~: Commissione tributaria di secondo grado di Alessandria, ordinanza 1 giugno 1985, n. 109/86, G. V. 28 maggio 1986, n. 24. t d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. i) (artt. 3 e 32 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 14 marzo 1985, n. 816, G. V. 7 maggio 1986, n. 20. I d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, Iett. e), 14 e 46 (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Perugia, ordinanze (due) 21 marzo 1985, nn. 198 e 199/86, G. V. 18 giugno 1986, n. 28. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 28 e 51 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Macerata, ordinanze (due) 18 giugno 1985, n. 880 e 24 settembre n. 881, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 49 e 51 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 23 ottobre 1985, n. 72/86, G. V. 4 giugno 1986, n. 25. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 51 (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 3 ottobre 1983, n. 834/85, G. V. 7 maggio 1986, n. 20. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 76, secondo e terzo comma (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Treviso, ordinanza 15 maggio 1985, n. 165/86, G. V. 18 giugno 1986, n. 28. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3 e 35 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 13 dicembre 1984, n. 901/85, G. V. 23 maggio 1986, n. 23. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 3 ottobre 1983, n. 834/85, G. V. 7 maggio 1986, n. 20. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Macerata, ordinanze (due) 18 giugno 1985, n. 880 e 24 settembre n. 881, G. V. 23 maggio 1986, n. 23. Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 23 ottobre 1985, n. 72/86, G. V. 4 giugno 1986, n. 25. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 9, ultimo comma, seconda parte, e 47, primo comma (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria: di primo grado di Torino, ordinanza 14 gennaio 1985, n. 155/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis (artt. 24 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Pescara, ordinanza 8 giugno 1985, n. 7/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. dP.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Cosenza, ordinanza 25 giugno 1985, n. 135/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Bergamo, ordinanza 20 maggio 1985, n. 12/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 54 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 29 ottobre 1985, n. 892, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 14, primo comma, lett. h) (ari:. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 7 giugno 1985, n. 167/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 38 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 3 aprile 1985, n. 56/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. Tribunale amministrativo regionale del La:zio, ordinanza 28 novembre 1984, n. 57/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, terzo comma (a:rt. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 14 gennaio 1985, n. 21/86, G. U. 14 maggio 1986, n.21. d.I. 8 aprile 1974, n. 95, art. 17, settimo comma [convertito in legge 7 giugno 1974, n. 216] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanze (trenta) 28 maggio 1985, nn. 220-:249/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. d.I. 2 maggio 1974, n. 110, art. 1 (artt. 3, 42 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ord.ianza 22 novembre 1984, n. 190/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Emilia-Romagna 24 marzo 1975, il. 18, art. 8 (art. 128 della Costi� tuzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna 7 febbraio 1985, n. 867, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, secondo capoverso (art. 3 della Costi� tuzione). Tribunale di Spoleto, ordinanza 21 novembre 1985, n. 200/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della Costi� tuzione). Pretore di Chiavenna, ordinanza 25 giugno 1985, n. 814, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Latisana, ordinanza 10 dicembre 1985, n. 62/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. Pretore di Tirano, ordinanza 16 novembre 1985, n. 71/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 (artt. 3 e 13 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanza 18 ottobre 1985, n. 864, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9 (artt. 3 e 36 della �costituzione). Tribunale di Brescia, ordinanza 24 ottobre 1985, n. 175/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. legge reg. Friuli-Venezia Giulia 15 marzo 1976, n. 2, art. 1 (art. 4 statuto reg. Friuli-Venezia Giulia). Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 18 luglio 1985, n. 17/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. legge 2 maggio 1976, n. 183, art. 22, ultimo comma (art. 81 della Costi� tuzione). Pretore di Catania, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 890, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, art. 5 [convertito in legge 26 febbraio 1977, n. 39] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 22 gennaio 1986, n. 192, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 19 (artt. 3, 42 e 97 della Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, novembre 1984, n. 190/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. i \ \ l Costituzione). i 'i ordinanza 22 I I [ l !I PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 109 d.l. 10 febbraio 1977, n. 19, art. 8, ultimo comma [convertito in legge 6 aprile 1977, n. 106] (art. 42 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 21 maggio 1985, n. 42/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 22, 23 e 25 (artt. 76. 110, 117 e 118 della Costituzione). Tribunale di Salerno, ordinanza 29 luglio 1985, n. 19/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 4, secondo comma (artt. 3, 4 e 37 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 2 aprile 1985, n. 153/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 59 (art. 81 della Costituzione). Pretore di Catania, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 890, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69 [sostituito dall'art. 1, comma 9-bis, legge 5 aprile 1985, n. 118] (art. 42 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 15 ottobre 1985, n. 883, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Tribunale di Monza, ordinanza 8 ottobre 1985, n. 894, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Sestri Ponente, ordinanza 13 novembre 1985, n. 31/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Sestri Ponente, ordinanza 24 gennaio 1986, n. 202, G. U. 14 mag� gio 1986, n. 21. Tribunale di Genova, ordinanza 29 giugno 1985, n. 279/86, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. legge 5 agosto 1978, n. 457, art. 51 (artt. 3, 42 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 22 no� vembre 1984, n. 190/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. legge prov. di Bolzano 21 agosto 1978, n. 46, art. 30, terzo comma (art. 24 della Costituzione). Pretore di Bolzano, ordinanza 18 dicembre 1985, n. 186/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge reg. Sardegna 23 ottobre 1978, n. 62, art. 22 (artt. 3, 4 e 5 dello statuto reg. sardo in relaz. all'art. 128 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, ordinanza 24 aprile 1985, n. 148/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 11 1.10 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 57 e 63 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 24 gennaio 1986, n. 291, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. Pretore di Pisa, ordinanza 17 dicembre 1985, n. 292/86, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 57 e 63 (artt. 3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione). Pretore di Lamezia Terme, ordinanza 5 dicembre 1985, n. 103/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 57 e 63 (artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 57, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 4 febbraio 1986, n. 257, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. legge reg. Lazio 28 novembre 1979, n. 79, art. 4 (art. 119 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze (tre) 22 novembre 1985, nn. 216-218/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 57 (artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 17 luglio 1985, n. 274/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. legge 24 dicembre 1979, n. 650, artt. 6 e 17 u.p. (artt. 25 �e 77 della Costituzione). Pretore di Saluzzo, ordinanza 4 giugno 1985, n. 22/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. d.I. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3 [conv. nella legge 29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanze (quattro) 21 ottobre 1985, nn. 868-871, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. Pretore di Bologna, ordinanza 26 novembre 1985, n. 67/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3 [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. PARTE Il. RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 111 dJ. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3, lett. b) [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Tortona, ordinanza 31 ottobre 1985, n. 903, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. dl. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3, primo comma, lett. h) [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 9 aprile 1985, n. 48/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 12 marzo 1985, n. 790, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Vigevano, ordinanza 21 dicembre 1985, n. 170/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Brescia, ordinanza 29 maggio 1985, n. 65/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. legge 2 aprile 1980, n. 127, art. 3, sesto e settimo comma (art. 38 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 26 ottobre 1985, n. 82/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. legge reg. Lombardia 7 giugno 1980, n. 93, art. 3 (artt. 3, 44 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 5 luglio 1985, n. 164/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 3 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Terni, ordinanza 18 giugno 1985, n. 789, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Roma, ordinanza 25 settembre 1985, n. 854, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. Pretore di Roma, ordinanza 27 dicembre 1985, n. 196/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 3 (art. 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 5 giugno 1985, n. 210/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538 (artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, art. 1 (artt. 3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione). Pretore di Lamezia Terme, ordinanza 5 dicembre 1985, n. 103/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. 112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 16 ottobre 1985, n. 115/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Vigevano, ordinanza 21 dicembre 1985, n. 170/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, art. 1 (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 9 aprile 1985, n. 48/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, artt. 1 e 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Tortona, ordinanza 31 ottobre 1985, n. 903, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, artt. 1 e 2 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 12 marzo 1985, n. 790, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Brescia, ordinanza 29 maggio 1985, n. 65/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 51, secondo comma (artt. 3, 76 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 29 maggio 1985, n. 131/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. legge 29 luglio 1980, n. 576, art. 7, quarto comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Siracusa, ordinanza 18 ottobre 1985, n. 849, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge prov. cli Bolzano 24 novembre 1980, n. 34, art. 2 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quarta, ordinanza 26.. giugno 1984, n. 771/85, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. legge prov. cli Bolzano 24 novembre 1980, n. 34, art. 74 (artt. 4 e 8 dello statuto del Trentino). Consiglio di Stato, sezione quarta, ordinanza 26 giugno 1984, n. 771/85, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. d.I. 28 febbraio 1981, n. 36, art. 1, terzo comma [convertito in legge 29 aprile 1981, n. 163,] (art. 81 della Costituzione). Pretore di Catania, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 890, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE tH legge 23 aprile 1981, n. 155, art. 19 (artt. 3, 35, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Vigevano, ordinanza 2 dicembre 1985, n. 46/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. legge 23 aprile 1981, n. 155, art. 19 (artt. 36 e 53 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 5 luglio 1985, n. 140/86, G. U. 6 giugno, 1986, n. 26. d.I. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 12 marzo 1985, n. 790, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Roma, ordinanza 30 aprile 1985, n. 840, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. Pretore di Bologna, ordinanze (quattro) 21 ottobre 1985, nn. 868-871, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. Pretore di Messina, ordin�nza 16 ottobre 1985, n. 115/86, G.U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Vigevano, ordinanza 21 dicembre 1985, n. 170/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Brescia, ordinanza 29 maggio 1985, n. 65/86, G.U. 11 giugno 1986, n. 27. Pretore di Bologna, ordinanza 26 novembre 1985, n. 67/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. Pretore di Pistoia, ordinanze (tre) 4 febbraio 1986, nn. 256-258, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. dJ. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] (artt. 3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione). Pretore di Lamezia Terme, ordinanza 5 dicembre 1985, n. 103/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. d.I. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] (artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. d.I. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 9 aprile 1985, n. 48/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. d.l. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12, settimo comma [conv. in legge 26 settem� bre 1981, n. 537] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Tortona, ordinanza 31 ottobre 1985, n. 903, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. 114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 9 (art. 3 della Costituzione). Giudice istruttore tribunale di Agrigento, ordinanza 5 ottobre 1985, n. 882, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 21, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Cerignola, ordinanza 4 dicembre 1985, n. 147/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Oristano, ordinanza 14 gennaio 1985, n. 169/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Oristano, ordinanza 19 novembre 1985, n. 73/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Aversa, ordinanza 13 gennaio 1986, n. 215, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 22, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Monza, ordinanze (due) 30 ottobre 1985, nn. 145 e 146/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 62, primo comma (art. 25 della Costituzione). Pretore di Menaggio, ordinanza 18 novembre 1985, n. 16/86, G. U. 21 mag� gio 1986, n. 22. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 22 maggio 1984, n. 15/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. Pretore di Pordenone, ordinanze (due) 5 luglio 1985, nn. 138 e 139/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Asolo, ordinanza 8 marzo 1985, n. 166/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Pergine Valsugana, ordinanze (due) 16 novembre 1985, nn. 112 e 113/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Arezzo, ordinanza 5 dicembre 1985, n. 114/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Tribunale di Pisa, ordinanza 4 dicembre 1985, n. 126/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 101 della Costituzione). Tribunale di Pisa, ordinanza 11 ottobre 1985, n. 889, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 91 (art. 3 della Costituzione). Corte militare d'appello, sezione distaccata in Verona, ordinanza 29 novembre 1985, n. 151/86, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. PARTE II, RASSEGNA. DI LEGISLAZIONE 1.1..f dJ. 26 novembre 1981, n. 679, art. 1, secondo comma [convertito in legge 26 gennaio 1982, n. 13] (art. 81 della Costituzione). Pretore di Catania, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 890, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 14, quinto comma, lett. b) [conv. in legge 25 mar� zo 1982, n. 94] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 15 aprile 1985, n. 75/86, G. U. 11 giugno 1986, n. Xl. legge reg. Lombardia 8 febbraio 1982, n. 12, art. 26, primo comma (artt. 97 e 130 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 6 novem� bre 1985, n. 163/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 26 aprile 1982, n. 181, �art. 14 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 24 gennaio 1986, n. 291, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. Pretore di Pisa, ordinanza 17 dicembre 1985, n. 292/86, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione). Pretore di Lamezia Terme, ordinanza 5 dicembre 1985, n. 103/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della Costi� tuzione). Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 12 marzo 1985, n. 790, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Roma, ordinanza 30 aprile 1985, n. 840, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. Pretore di Bologna, ordinanze (quattro) 21 ottobre 1985, nn. 868-871, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. Pretore di Messina, ordinanza 16 ottobre 1985, n. 115/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Vigevano, ordinanza 21 dicembre 1985, n. 170/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Brescia, ordinanza 29 maggio 1985, n. 65/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. Pretore di Pistoia, ordinanze (due) 4 febbraio 1986, nn. 256 e 258, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. 11.6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Tortona, ordinanza 31 ottobre 1985, n. 903, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, quarto comma (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 9 aprile 1985, n. 48/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, comma 13 (artt. 3, 35, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di . Vigevano, ordinanza 2 dicembre 1985, n. 46/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. cl.I. 2 luglio 1982, n. 402, art. 5 [nel testo modif. dalla legge di conversione 3 settembre 1982, n. 627] (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 7 giugno 1985, n. 813, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. � Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 24 gennaio 1985, n. 803, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 24 gennaio 1985, n. 861, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 24 ottobre 1985, n. 152/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, ordinanza 4 dicembre 1985, n. 194/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 16 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Latina, ordinanza 10 ottobre 1985, n. 70/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. legge 7 agosto 1982, n. 516, artt. 16 e 19 (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Isernia, ordinanza 11 dicembre 1985, n. 211/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 30..bis [conv. in legge 26 aprile 1983, n. 131] (art. 81 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 22 ottobre 1985, n. 60/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-bis (artt. 3 e 81 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 27 giugno 1985, n. 891, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-bis (art. 81 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 11 ottobre 1985, n. 18/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-bis (artt. 81 e 119 della Costituzione). Pretore di Lucca, ordinanze (due) 15 giugno 1985, nn. 781 e 782, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. legge 4 maggio 1983, n. 184, artt. 45, primo e secondo comma, 56, secondo comma e 57 (artt. 2, 3 e 30 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 22 ottobre 1985, n. 4/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. d.m. 21 luglio 1983, art. 3 (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanza 9 maggio 1985, n. 886, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. d.m. 21 luglio 1983, artt. 3 e 4, primo comma (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanza 4 aprile 1985, n. 887, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge 12 settembre 1983, n. 463, artt. 4 e 14 [conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638] (artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 4, quarto comma [conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638] (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 9 aprile 1985, n. 48/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. d.l. 12 settembre 1983, n. 463, artt. 4, quarto comma, e 14, primo e secondo comma [convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanze (due) 4 febbraio 1986, nn. 256 e 257, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 14 [conv. nella legge 11 novembre 1983, n. 638] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanze (quattro) 21 ottobre 1985, nn. 868-871, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 24 [convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638] (artt. 21, 25, 101, 102 e 104 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 11 ottobre 1984, n. 158/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. 118 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 3 e 53 della CostituzioneJ. Pretore di Brescia, ordinanza 12 marzo 1985, n. 790, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Brescia, ordinanza 29 maggio 1985, n. 65/86, G. U. 11 giugno 1986, n. 27. legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 53 e 101 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 24 gennaio 1986, n. 291, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. Pretore di Pisa, ordinanza 17 dicembre 1985, n. 292/86, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3, 23, 56, 76, 97 e 101 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 794, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Pretore di Roma, ordinanza 18 luglio 1985, n. 35/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 27 settembre 1985, n. 23/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. Pretore di Napoli, ordinanza 26 settembre 1985, n. 32/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. Pretore di Messina, ordinanza 16 ottobre 1985, n. 115/86, G.U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Napoli, ordinanza 13 dicembre 1985, n. 156/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Vigevano, ordinanza 21 dicembre 1985, n. 170/86, G. U. 6 giugno 1986, n. 26. Pretore di Pistoia, ordinanze (tre) 4 febbraio 1986, nn. 256-258, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 9 aprile 1985, n. 48/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. legge 9 maggio 1984, n. 118, articolo unico (artt. 101 e 104 della Costituzione). Pretore dell'Aquila, ordinanze (cinque) 17 maggio 1985, nn. 204-208/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. Pretore di Oristano, ordinanza 17 gennaio 1986, n. 133, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 3 (art. 38 della Costituzione). Pretore di Pavia, ordinanza 25 ottobre 1985, n. 905, G. L'.� 21 maggio 1986, n. 22. PARTE Il, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB legge 6 agosto 1984, n. 425, artt. 1, primo e secondo comma, 2 e 10, secondo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale ammfnistrativo regionale della Liguria, ordinanza 29 novembre 1984, n. 805/85, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, ordinanze (due) 12 marzo 1985, nn. 119 e 120/86, G. V. 11 giugno 1986, n. TI. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 10, primo comma (artt. 24, 25, 101, 102, 103, 113, 134 136 e 137 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 27 novembre 1985, n. 195/86, G. U. 18 giugno 1986, n. 28. legge 6 agosto 1984 n. 425, art. 10, primo comma (artt. 24 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 29 novembre 1984, n. 805/85, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, ordinanze (due) 12 mar-. zo 1985, nn. 119 e 120/86, G. U. 11 giugno 1986, n. TI. legge 31 luglio 1984, n. 400, art. 1 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Gravina di Puglia, ordinanza 30 novembre 1985, n. 28/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. legge reg. Sicilia 21 agosto 1984, n. 55, art. 6 (art. 17, lett. f) dello statuto reg. Sicilia). Pretore di Vittoria, ordinanze (due) 9 maggio e 16 luglio 1985, nn. 58 e 59/86, G. U. 28 maggio 1986, n. 24. legge reg. Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, artt. 35 e 47 (artt. 3, 51. 81 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 9 maggio 1985, n. 33/86, G. U. 21 maggio 1986, n. 22. legge 22 dicembre 1984, n. 887, art. 10 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanze (tre) 4 febbraio 1986, nn. 256-258, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis [come inserito dalla legge 5 aprile 1985, n. 118] (artt. 3, 24, 41, 42, 101 e 102 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 20 settembre 1985, n. 80/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. d.I. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis [convertito in legge S aprile 1985, n. 118] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanze (due) 26 giugno 1985, nn. 850 e 876, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. 120 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DEI.LO STATO Pretore di Milano, ordinanze (due) 27 giugno 1985, nn. 863 e 878, G. U. 2 maggio 1986, n. 18, Pretore di Milano, ordinanze (due) 30 settembre 1985, nn. 895 e 896, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. � Pretore di Milano, ordinanza 18 ottobre 1985, n. 29/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Bari, ordinanza 24 ottobre 1985, n. 30/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Milano, ordinanza 23 dicembre 1985, n. 261/86, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis [convertito in legge 5 aprile 1985, n. 118] (art. 42 della Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanza 4 ottobre 1985, n. 14/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Tribunale di Monza, ordinanze (due) 8 ottobre e 19 settembre 1985, nn. 25 e 26/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Tribunale di Catania, ordinanza 4 luglio 1985, n. 44/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Tribunale di Monza, ordinanza 15 ottobre 1985, n. 74/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Corte di cassazione, ordinanza 11 ottobre 1985, n. 128/86, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis, I alinea [come introdotto dall'art. 1 legge 5 aprile 1985, n. 118] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 27 giugno 1985, n. 81/86, G. U. 2 ma;ggio 1986, n. 18. d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis/1 [convertito in legge 5 aprile 1985, n. 118] (art. 22 della Costituzione). Pretore di Potenza, ordinanza 13 gennaio 1986, n. 177, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9-bis/1 [convertito in legge 5 aprile 1985, n. 118] (art. 42 della Costituzione). Pretore di Potenza, ordinanze (due) 16 novembre e 20 maggio 1985, nn. 117 e 118/86, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. d.I. 7 febbraio 0 1985, n. 12, art. 1, commi 9-bis, ter e quater [convertito in legge 5 aprile 1985, n. 118] (art. 42 della Costituzione). Pretore di Firenze,� ordinanze (tre) 28 ottobre 1985, nn. 49-51/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, commi 9-bis e quater [conv. in legge 5 aprile 1985, n. 118] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 22 maggio 1985, n. 272/86, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE. 121 d.I. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, commi 9-bis, quater e quinquies [convertito in legge 5 aprile 1985, n. 118] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 30 ottobre 1985, n. 111/86, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 34, 35, 38 e 44 (art. 3 della' Costituzione). Tribunale di Lucera, ordinanza 26 novembre 1985, n. 10/86, G.U. 21 maggio 1986, n. 22. Tribunale di Lucera, ordinanza 14 novembre 1085, n. 899, G. U. 23 maggio 1986, I).. 23. Tribunale di Lucera, ordinanza 31 ottobre 1985, n. 866, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. Tribunale di Lucera, ordinanza 16 gennaio 1986, n. 176, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. Tribunale di Lucera, ordinanza 23 gennaio 1986, n. 132, G. U. 25 giugno 1986, n. 30. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 38, quinto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 14 ottobre 1985, n. 888, G. U. 23 maggio 1986, n. 23. legge 27 marzo 1985, n. 103, art. 6 (artt. 101 e 104 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 2 dicembre 1985, n. 64/86, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanze (due) 9 dicembre 1985, nn. 282 e 283/86, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Verbania, ordinanza 26 settembre 1985, n. 879, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Rimini, ordinanza 5 novembre 1985, n. 54/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Piacenza, ordinanza 6 novembre 1985, n. 68/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Roma, ordinanza 15 ottobre 1985, n. 862, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Lecce, ordinanza 4 novembre 1985, n. 873, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Tribunale di Roma, ordinanza 18 giugno 1985, n. 83/86, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. Pretore di Roma, ordinanza 15 ottobre 1985, n. 143/86, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. Pretore di Foggia, ordinanza 15 gennaio 1986, n. 191, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. 122 RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis (artt. 41 e 42 della Costi Ituzione). Tribunale di Siena, ordinanza 4 marzo 1986, n. 293, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. I legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis (art. 42 della Costituzione). ~ Pretore di Milano, ordinanza 4 luglio 1985, n. 877, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Milano, ordinanza 4 luglio 1985, n. 122/86, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. Tribunale di Ravenna, ordinanza 19 dicembre 1985, n. 213/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, ter e quater (artt. 3, 24, 42, 101 e 113 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 20 luglio 1985, n. 188/86, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, ter, quater e quinquies (artt. 3, 24, 41 e 42 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 24 ottobre 1985, n. 79/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, ter, quater e quinquies (artt. 3, 24, 42, 101, 102 e 103 della Costituzione). Pretore di Monza, ordinanza 1 febbraio 1986, n. 264, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. legge 5 aprile 1985 n. 118, art. 1, commi 9-bis, 9-ter e 9-quinquies (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Salerno, ordinanza 18 febbraio 1986, n. 273, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis e quater (artt. 3, 24, 42, 101 e 102 della Costituzione). Pretore di Scicli, ordinanza 8 ottobre 1985, n. 104/86, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis e quater (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Manfredonia, ordinanza 19 ottobre 1985, n. 3/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Ferrara, ordinanza 8 novembre 1985, n. 45/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Brescia, ordinanza 4 febbraio 1986, n. 212, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bls, quater e qulnqules (artt. 3, 24, 41 e 42 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 16 novembre 1985, n. 193/86, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, quater e qulnqules (artt. 3, 24, 41, 42, 101, 102 e 103 della Costituzione). Tribunale di Vallo della Lucania, ordinanza 27 gennaio 1986, n. 159, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. Tribunale di Roma, ordinanza 16 novembre 1985, n. 189/86, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. legge 5 aprile 1985 n. 118, art. 1, commi 9-bis, quater e quinqules (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 8 novembre 1985, n. 121/86, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comm1 9-bis, quater e qulnqules (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 25 settembre 1985, n. 902, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Tribunale di Catania, ordinanza 2 ottobre 1985, n. 43/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis, I alinea (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 5 novembre 1985, n. 893, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Napoli, ordinanze (due) 18 settembre 1985, nn. 149 e 150/86, G. U. 5 maggio 1986, n. 19. Pretore di Roma, ordinanza 2 luglio 1985, n. 793, G. U. 7 maggio 1986, n. 20. Tribunale di Como, ordinanza 3 dicembre 1985, n. 281/86, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. legge 5 aprile 1985, n. 118; art. 1, comma 9-bis, I alinea (art. 42 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanze (due) 31 ottobre e 12 novembre 1985, nn. 39 e 40/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Pretore di Finale Ligure, ordinanza 3 dicembre 1985, n. 53/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. Tribunale di Torino, ordinanze (due) 19 novembre 1985, n. 262/86 e 13 gennaio 1986, n. 263, G. U. 20 giugno 1986, n. 29. legge 5 -aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, primo alinea, e 9-quater (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 31 gennaio 1986, n. 259, G. U. 20 giugno 1986, Il. 29. 1.24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, commi 9-bis, I alinea, 4� cpv., e 9-quater (art. 42 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 15 ottobre 1985, n. 52/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-quater (artt. 24 e 104 della Costituzione). Pretore di Cassano d'Adda, ordinanza 29 novembre 1985, n. 77/86, G. U. 2 maggio 1986, n. 18. legge 26 marzo 1986, n. 86 (art. 10 della Costituzione e artt. 89, 100 e 107 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 7 maggio 1986, n. 16, G. U. 4 giugno 1986, n. 25. disegno di legge approvato dall'assemblea regionale siciliana il 2 aprile 1986 (art. 14, lett. f), dello statuto reg. Sicilia). Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 16 aprile 1986, n. 13, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. disegno di legge regione Sicilia approvato il 2 aprile 1986, artt. 16 e 17 (art. 14,. lett. f) dello statuto reg. Sicilia). Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 16 aprile 1986, n. 14, G. U. 14 maggio 1986, n. 21. disegno di legge reg. Sicilia approv. il 23 aprile 1986, art. 20 (art. 51 della Costituzione). Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 5 maggio 1986, n. 15, G. U. 4 giugno 1986, n. 25.