RASSEGNA PUBBLICAZIONE
DELL'AVVOCATURA DELLO STATO DI SERVIZIO
ANNO xv - N. 7-8-g LUGLIO-AGOSTO-SETTEMBRE I963
LA CORTE COSTITUZIONALE
NEI PRIMI SETTE ANNI DELLA SUA ATTIVITÀ
Discorso pronunciato dal Presidente della Corte Gaspare Ambrosini
il 22 gennaio 1963 alla presenza del Presidente della Repubblica Antonio Segni
SOMMARIO. - I - Genesi della Corte e varietà delle controversie trattate. - II- Contenuto della
giurisprudenza della Corte con riferimento agli argomenti seguenti: ·Competenza della Corte ed
instaurazione dei giudizi - Interpretazione - Diritti e doveri - Il principio d'uguaglianza e gli
altri prin!:lipi delle " Disposizioni fondamentali » della Costituzione - I diritti tradizionali di
libertà (libertà personale, di circolazione, di riunione ed associazione, di manifestazione del pensiero,
di agire e di difendersi in giudizio, ecc.) - Il lavoro e la tutela del lavoratori- Contratti
collettivi di lavoro e diritto di sciopero - Iniziativa economica, proprietà privata, finalità sociali,
espropriazione ed indennizzo - L'esercizio della funzione legislativa ed interpretazione autentica
delle leggi - L'esercizio della giurisdizione - L'unità della giurisdizione costituzionale - Caratteristiche
di taluni dispositivi delle sentenze - Come è applicato dalla Corte il principio collegiale. -
III - La necessità della Corte per la vita ed il progresso dell'ordinamento costituzionale.
I - Genesi della Corte
e varietà delle controversie trattate
Il sistema del controllo di legittimità costituzionale
delle leggi è strettamente collegato col
sistema della Costituzione rigida, la cui ragione
di essere discende dall'esigenza di una realizzazione
più completa del valore superiore delle norme della
Carta fondamentale rispetto a quelle delle leggi
ordinarie. E ciò allo scopo di dare una maggiore
garanzia ai diritti dei cittadini e di assicurare che
l'attività degli stessi poteri sovrani venga esercitata
nei limiti formali e sostanziali stabiliti dalla
Costituzione.
Si tratta di un'esigenza che era già stata avvertita
dai Padri della Costituzione americana, e specialmente
da Alex:;t,nder Hamilton, il quale sostenne
che, essendo il Costituente il potere superiore dal
quale il Legislativo ha attribuite funzioni e facoltà
determinate, non può questo, cioè il potere legislativo,
esercitarle al di là dei limiti od in senso contrario
a quello stabilito dal Costituente nella Carta
fondamentale, e che in conseguenza non può essere
ritenuta valida una legge che contrasti con la Costituzione.
Il principio venne poi in concreto applicato dalla
Corte Suprema, a cominciare dalla celebre sentenza
resa nel1803 per il caso Marbury v. Madison,
nella quale la Corte presieduta da J ohn Marshall
affermò che « un atto legislativo contrario alla
Costituzione non è legge n.
In verità l'affermazione del potere della Corte
Suprema di sindacare le leggi approvate dal Congresso
non avvenne senza resistenze e senza riserve
e critiche mosse anche da grandi personalità della
storia americana, a cominciare da J e:fferson ed a
finire ai due Roosevelt.
Ma ogni opposizione fu superata per la logica
del sistema della Costituzione rigida che era stato
adottato dalla Convenzione di Filadelfia, per la
sapienza e l'alto senso di responsabilità dei giudici
e per la sensibilità del popolo americano, che, pur
tra tanti contrasti, ha sempre visto nella Corte
Suprema l'organo di garanzia dei principi di libertà
e di democrazia.
* * *
In Italia l'esigenza di dare la garanzia massima
ai diritti dei cittadini e di evitare che rappresentanti
degli organi sovrani travalichino i limiti della
loro competenza istituzionale e di garantire, inoltre,
l'attuazione del nuovo ordinamento regionale
fu sentita, dopo la seconda guerra mondiale, non
da ristretti gruppi politici, ma da larghe correnti
del Paese, ed in modo determinante dalla maggio~
ranza dei deputati dell'Assemblea costituente, ·che
adottò il sistema della costituzione rigida o
il sistema del controllo di costituzionalità, affidandolo
ad un organo apposito, la Corte costituzionale.
-106-
La formazione della Corte costituzionale doveva
perciò avvenire de plano, giacchè, a differenza della
costituzione americana, che non fa alcuna specificazione
in proposito (ragione per la quale era stata
perfino messa in dubbio la stessa legittimità del
suddetto potere di controllo sulle leggi da parte
della Corte Suprema), la Costituzione italiana non
solo dispone espressamente l'istituzione di tale
organo particolare, ma ne indica in modo specifico
i compiti.
Senonchè quei motivi di opposizione e di diffidenza,
che erano stati addotti nei riguardi della
Corte Suprema degli Stati Uniti, o motivi simili,
od altri motivi dovuti alle particolari condizioni
politiche del nostro Paese, e fors'anche il ricordo
del fallimento della Corte costituzionale istituita
in Germania dopo la prima guerra mondiale secondo
il disposto della Costituzione di W eimar
del 1919, influirono nell'ostacolare la formazione
della Corte.
E particolarmente, forse, influì il rilievo~ che il
sistema di controllo della Corte costituzionale contrasterebbe
(siccome sottolineò Vittorio Emanuele
Orlando alla Costituente ed ancora dopo, in uno
scritto del 1951 sulla forma di governo in Italia}
col sistema del regime parlamentare.
È da ricordare inoltre che taluni, anche in buona
fede, dicevano che la Corte avrebbe avuto poco da
fare, e che l'ufficio di giudice costituzionale sarebbe
stato una sinecura.
Per varie ragioni adunque passarono quasi otto
anni dalla entrata in vigore della Costituzione,
prima che la Corte costituzionale venisse costituita.
Il 15 dicembre 1955 i Giudici prestarono giuramento,
al Quirinale, nelle mani del Presidente
Gronchi, il quale, in un alto e nobile discorso rivolto
ai Giudici ed al Paese, disse, tra l'altro, che la Corte
si inserisce nel complesso sistema di separazione
ed equilibrio tra i vari poteri, « come elemento
lliei nello stesso tempo moderatore e, per taluni
rispetti, anche propulsore delle attività legislative
ed esecutive ».
Subito dopo il giuramento, i Giudici si riunirono
al Palazzo della Consulta, e procedettero all'elezione
del primo Presidente, l'antico parlamentare
ed ex Capo provvisorio dello Stato e primo Presidente
della Repubblica, Enrico De Nicola.
Nei primi tre mesi del 1956 la Corte provvide
alla propria organizzazione interna ed all'emanazione
delle N orme integrative per lo svolgimento
dei giudizi intesi alla decisione delle questioni di
legittimità costituzionale delle leggi e degli atti
aventi forza di legge, e dei conflitti di attribUzione
tra i poteri dello Stato e tra Stato e Regioni.
* * *
Il 23 aprile 1956, alla presenza del Presidente
della Repubblica, ebbe luogo la prima udienza inaugurale
con un memorabile discorso pronunciato dal
Presidente De Nicola.
Da allora Ja Corte ha svolto la sua alacre e feconda
attività con i risultati che passerò ad esporre.
Diversi problemi attinenti al funzionamento della
Corte sono stati in questo periodo di tempo risolti;
altri però ne restano, pure di carattere fondamentale
che siamo certi saranno anch'essi presto risolti,
come quello attinente alla continuità di vita della
Corte alla scadenza del dodicennio dalla sua fondazione,
come l'altro della posizione, anche formale,
della Corte nell'ambito degli organi costituzionali
dello Stato, e l'altro ancora del necessario coordinamento
dell'attività della Corte con quella degli
altri supremi organi costituzionali nella formazione
ed esecuzione delle leggi.
* * *
Nel discorso inaugurale prounziato il 23 aprile
1956, alla presenza del Capo dello Stato, il Presidente
De Nicola credette opportuno enunciare gli
intendimenti con i quali la Corte si accingeva. ad
adempiere la sua missione.
«Spetta a me - egli disse - di dire a Voi qui
ed al popolo italiano fuori di qui, con semplicità e
chiarezza, senza opulenza verbali, con quali intendimenti
ci accingiamo ad adempiere l'alta missione
che ci è s.,_tata affidata nel regime democratico che
si' fonda sul saggio equilibrio delle forze in perenne
ed inevitabile contrasto ».
E dopo varie considerazioni aggiunse: << Noi
abbiamo questo dono necessario per l'adempimento
dei nostri compiti: la fede, accompagnata da
una infrangibile fermezza che non ha nulla da vedere
con l'arbitrio. Non avremo bisogno nè di sprone
nè di freni per la nostra opera non effimera ma duratura
attraverso una nuova giurisprudenza, che
avrà uno straordinario impulso sulla vita nazionale
».
Sia consentito oggi a me, che pur ho tanta minore
autorità. del Presidente De Nicola, ma tuttavia non
minore fede, di dire a Voi, qui, ed al popolo italiano,
fuori di qui, come la Corte ha assolto la sua missione
nei primi sette anni della sua attività, e di sottolineare
il contributo che ha dato con la sua giurisprudenza
allo svolgimento ed alla applicazione di
molte disposizioni della Costituzione e degli Statuti
delle Regioni (Sicilia, Sardegna, Valle d'Aosta
e Trentino-.A.lto .Adige).
* * *
Non mi dissimulo che sette anni di attività possono
sembrare pochi per giudicare un istituto, che
non aveva precedenti nel passato ordinamento,
rispetto al quale costituisce anzi una innovazione
profonda, ma si tratta dei primi sette anni di attività,
che per le difficoltà stesse del passaggio dal
vecchio al nuovo ordinamento e per la gravità, delicatezza
ed urgenza dei compiti affidati al nuovo
ip,tituto, rappresentano un vero ciclo storico.
È infatti in questo primo periodo di tempo che
la Corte costituzionale ha preso sempre più nettamente
forma e vitalità quale custodé·e ·garante d~ll~
legge fondamentale. ·
Le cifre sulle controversie proposte davanti alla
Corte e sulle decisioni emanate basterebbero già
a dimostrare quale è stata l'entità del suo lavoro.
-101
Se si raffronta il numero dei casi esaminati dalla
Corte italiana con quelli della Corte Suprema degli
Stati Uniti d'America, che fu istituita nel 1790 e
che ha perciò 172 an]li di vita, si vede quanto più
accentuato sia in questo campo il volume di
attivit.1 della Corte italiana.
Secondo i calcoli del Corwin, in più di un secolo
e mezzo di vita, la Corte Suprema americana
ha deciso più di 4000 casi di controversie costituzionali;
la Corte italiana in sette anni ne ha deciso
proporzionalmente un numero molto superiore.
Certamente è difficile dare a tale differenza di
cifre un concreto valore, anche ed anzitutto perchè
i presupposti e la portata dell'attività delle due
Corti sono diversi; ma, comunque, è fuori dubbio
che l'entità del lavoro della Corte italiana è imponente.
* * *
Dall'inizio della sua attività, cioè dal 1956 a
tutto il dicembre 1962, sono pervenuti alla Corte
gli atti introduttivi di 1364 giudizi, dei quali: 1165
relativi a questioni di legittimità costituzionale di
leggi o atti aventi forza di legge proposti in via
incidentale con ordinanze dei giudici delle cause
principali, 124 relativi a giudizi di legittimità costituzionale
proposti in via principale con ricorsi
dello Stato e delle Regioni, e 75 relativi a giudizi
per conflitti di attribuzione proposti con ricorsi
dello Stato e delle Regioni e della provincia di
Bolzano.
N el settennio trascorso non è stato proposto alla
Corte alcun giudizio per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato, nè si è fatto luogo - e speriamo
che non si farà mai luogo - a giudizi su
atti di accusa.
Non si è fatto e non avrebbe potuto nemmeno
farsi luogo, dato lo stato della legislazione, a giudizi
sull'ammissibilità di referendum abrogativo.
Quanto ai giudizi di legittimità costituzionale
proposti in via principale, in tutto 124, è da rilevare
che 83 furono proposti dallo Stato contro leggi
delle quattro Regioni a statuto speciale e della
provincia di Bolzano, e 35 dalle suddette Regioni
e Provincia contro leggi statali. Si debbono aggiungere
6 ricorsi proposti dalla provincia di Bolzano
contro leggi della Regione Trentino-Alto .Adige.
In tema di conflitti di attribuzione furono proposti,
sempre dal1956 al1962: 32 ricorsi dello Stato
contro atti delle quattro Regioni e della provincia
di Bolzano, 41 da queste contro atti statali; e 2
dalla provincia di Bolzano contro atti della Regione.
La provincia di Trento figura in questo quadro
soltanto per un ricorso proposto nei riguardi dello
Stato. In tutto adunque furono proposti 75 ricorsi
Le sentenze e le ordinanze emanate dalla Corte
ammontano rispettivamente a 397 e 199, in
tutto 596.
Con tali decisioni sono stati però, in realtà, risolti,
per effetto di pronuncie ·èmanate con unica sentenza
od ordinanza su controversie aventi oggetto
simile o strettamente connesso, 1183 giudizi, dei
èJ.uali 994 giudizi di legittimità costituzionale proposti
in via incidentale, 117 giudizi proposti in via
principale e 72 conflitti di attribuzione.
2
È da notare che delle 994 questioni di legittimità
costituzionale proposte in via incidentale, 416 vennero
giudicate fondate con conseguente dichiarazione
di illegittimità costituzionale delle norme
impugnate, mentre 578 vennero dichiarate non
fondate. -
Dei 117 ricorsi per questioni di legittimità proposte
in via principale, vennero accolti, con conseguente
pronuncia di illegittimità delle norme impugnate,
64 ricorsi, dei quali: 51 dello Stato contro
leggi delle quattro Regioni e della provincia di Bolzano,
11 di dette Regioni contro leggi statali, e 2
della provincia di Bolzano contro leggi della Regione.
N e vennero invece respinti 40, dei quali 13
dello Stato contro leggi regionali, 24 delle Regioni
contro leggi statali, e 3 della provincia di Bolzano
contro leggi della Regione.
Venne pronunciata inoltre l'estinzione di 13
giudizi.
Nessun ricorso fu presentato dalla provincia di
Trento, nè contro di essa.
Dei 72 ricorsi per conflitti di attribuzione, ne
vennero accolti in tutto 33, dei quali 22 presentati
dallo Stato contro atti delle quattro Regioni e della,
provincia di Bolzano, lO dalle suddette Regioni e
provincia contro atti dello Stato, ed uno dalla provincia
di Bolzano nei riguardi della Regione. Vennero
invece respinti 35 ricorsi, dei quali: 5 dello
Stato, 29 delle Regioni e provincie di Bolzano e di
Trento contro atti dello Stato, ed uno della provincia
di Bolzano rispetto alla Regione.
Quattro giudizi furono dichiarati estinti.
* * *
Non mi soffermo sui raffronti e sulle considerazioni
cui possono dar luogo le cifre che sono venuto
esponendo; qui mi basta averle indicate
per mostrare quanto notevole sia stata l'attività
svolta dalla Corte nei primi sette anni della sua
vita.
Rilevo soltanto che il numero delle questioni
proposte con ordinanze emesse dai giudici della
causa principale non è diminuito, siccome taluni
ritenevano dovesse avvenire.
N el1962 infatti il numero dei giudizi di legittimità
costituzionale proposti in via incidentale è stato
di 210, maggiore quindi rispetto alla media di 169
dei precedenti sei anni. È da notare, d'altra parte,
che è diminuito il numero degli atti introduttivi
dei giudizi di legittimità costituzionale in via principale
e dei conflitti di attribuzione; il che può indicare
che da parte dello Stato e delle Regioni si tiene
conto dei principi affermati dalla Corte nelle sentenze
degli anni precedenti.
N ello stesso decorso anno il numero delle questioni
di legittimità proposte in via incidentale
decise dalla Corte è salito a 238, con un notevole
aumento rispetto alla media degli anni precedenti,
dal 1957 al 1961, che era 126.
Nei primi venti giorni del corrente mese di gen~·
naio sono già pervenute alla Cancelleria della Corte
ben 24 ordinanze di proposizione di questioni di
legittimità in via incidentale.
108-
II - Contenuto della Giurisprudenza della Corte
Competenza della Corte ed instaurazione dei giudizi
Passo ad occuparmi della giurisprudenza della
Corte, cominciando dalla parte attinente alla sua
competenza ed alla instaurazione dei giudizi dinanzi
ad essa, particolarmente per il sindacato di legittimità
costituzionale delle leggi e degli atti aventi
forza di legge.
Giova premettere che nel nostro sistema la Corte
non ha potere di iniziativa, e che, d'altra parte,
nè i cittadini nè altri soggetti dell'ordinamento
possono adirla direttamente, giacchè soltanto allo
Stato ed alle Regioni è riconosciuto il diritto di
impugnare direttamente in via cosidetta principale,
l'uno le leggi delle seconde, e viceversa.
.Ai cittadini ed agli altri soggetti, come al Pubblico
Ministero, è riconosciuta la facoltà di sollevare
la questione di legittimità costituzionale soltanto
in via cosidetta incidentale, cioè nel corso
di un giudizio pendente avanti un organo giurisdizionale
al quale poi spetta la potestà di decidere
sulla richiesta, ed anche di proporre la questione
di ufficio.
Orbene, in relazione specialmente ai giudizi proposti
in via incidentale, che hanno costituito e
costituiscono la maggior parte del contenzioso di
legittimità costituzionale, va rilevato che l'interpretazione
data dalla Corte alle norme attinenti
alla sua competenza ed alle forme e condizioni di
introduzione dei giudizi ha facilitato agli interessati
la possibilità di arrivare, sia pure in via incidentale,
a sottoporre all'esame di essa il maggior
numero di questioni.
* * *
ai decreti che hanno. forza di legge in virtù di una
legge di delegazione, ma che non contengono norme
giuridiche, sibbene provvedimenti pa,rticolari (sent.
n. 59 del 1957).
La Corte ha inoltre affrontato il problema del
sindacato sulle norme di attuazione degli statuti
regionali approvati con legge costituzionale, risolvendolo
nel senso che anche a tali norme si estende
il giudizio di legittimità, per la ragione che esse
non possono considerarsi come norme di mera esecuzione
degli statuti regionali (sent. n. 20 del 1956,
e nn. 14, 67, 83 del 1962).
* * *
Quanto al concetto di autorità giurisdizionale
legittimata, siccome si è detto, a proporre, su
istanza di parte o di ufficio, la questione di legittimità
costituzionale, la Corte, intendendo il concetto
stesso in senso ampio ed estensivo, ha compreso
tra i suddetti organi non solo il giudice ordinario
in sede di volontaria giurisdizione, ma altresì:
l) i Consigli comunali nella materia del contenzioso
elettorale (sent. n. 42 del 1961);
2) le Commissioni tributarie (sent. n. 12 del
1961);
3) il Commissario liquidatore degli usi civici
(sent. n. 78 del 1961);
4) la Commissiòne dei ricorsi in materia di
brevetti (sent. n. 4 del 1958);
5) i Comandanti la Capitaneria di porto (sent.
n. 41 del ·1960).
N a tura del tutto particolare, a questo riguardo,
presenta la facoltà che la Corte ha dovuto riconoscere
a se stessa, di proporre, nel corso di un giudizio
dinnanzi ad essa pendente, una questione di
legittimità in via incidentale, quando la risoluzione
di questa avesse carattere strumentale ai fini della
Nella sua prima sentenza (la n. l del 1956) la definizione del giudizio già instaurato. E ciò in
Corte ha respinto l'assunto che il giudizio di legit- quanto non può « ritenersi che proprio la Corte, che
timità costituzionale si riferisse soltanto alle leggi è il solo organo competente a decidere delle queposteriori
alla Costituzione, ed ha affermato invece stioni di costituzionalità delle leggi, sia tenuta ad
che si estende anche alle leggi anteriori, sia perchè, applicare leggi incostituzionali >> (ord. n. 22 del
dal lato testuale, l'art. 134 della Costituzione e 1960).
l'art. l della legge costituzionale 9 febbraio 1948, Parimenti favorevole all'esperimento dei procen.
l, non fanno alcuna distinzione, sia perchè, dal dimenti di legittimità è stata l'interpretazione
lato logico, << è innegabile che il rapporto tra leggi della Corte relativamente alla constatazione che
ordinarie e leggi costituzionali ed il grado che ad nell'ordinanza di proposizione della questione di
esse rispettivamente spetta nella gerarchia delle legittimità il giudice a quo deve fare, a norma del-
. fonti non mutano affatto, siano le leggi ordinarie l'art. 23 della legge n. 87 del 1953, circa la non
anteriori, siano posteriori a quelle costituzionali n. manifesta infondatezza della questione e circa la
Riguardo ai decreti legislativi delegati, il cui rilevanza di questa ai fini della decisione della causa
contrasto con le leggi di delegazione era pur stato principale.
prospettato nello stesso giudizio come contrasto La Corte ha ritenuto:
tra leggi ordinarie non sottoponibili come tali al a) per quanto si riferisce alla non manifesta
sindacato di legittimità costituzionale, la Corte ha infondatezza della questione, che sia bastevole la
ritenuto che anche questi decreti possono essere menzione nell'ordinanza del dubbio che ha in prooggetto
di sindacato, per la considerazione che nella posito il giudice a quo;
violazione, che si riscontri in essi, dei criteri e limiti b) per quanto attiene al requisito della rilestabiliti
nella legge delegante si sostanzia altresì vanza della questione stessa ai fini della risoluzione
una violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione della causa principale, che il giudizio·sulla rilevanza
(sent. n. 3 del 1957). · è di competenza del giudice a quo, e che il controllo
In base agli stessi criteri, la Corte ha ritenuto della Corte è in materia limitato soltanto all'accerche
il giudizio di legittimità costituzionale si estende .. i tamento che tale giudizio sia stato compiutò e sia
anche alle cosiddette leggi-provvedimento, cioè }!_;''sufficientemente motivato. .
t IT
- 109 -
Nè la Corte ha ritenuto di sindacare, rispetto
alla causa principale, la competenza del giudice
che ha emesso l'ordinanza di proposizione della
questione di legittimità, purchè tale ordinanza
provenga da un'autorità giurisdizionale.
Rilevando che il giudizio di legittimità costituzionale
si svolge non nell'interesse privato ma pubblico,
e che ha perciò caratteristiche proprie che lo
differenziano da qualsiasi altro procedimento, la
Corte ha stabilito che il processo di costituzionalità
non è suscettibile di essere influenzato dalle vicende
del processo principale dal quale ha ricevuto impulso:
non trovano perciò applicazione nel processo
costituzionale le norme sulla sospensione, interruzione
ed estinzione del processo ordinario (sent.
n. 50 del1957). Avuto una volta ingresso con l'ordinanza
di rinvio, il giudizio di costituzionalità
diventa autonomo, assolutamente indipendente dal
giudizio principale che lo ha occasionato (sent.
n. 57 del 1961).
* * *
Vengo ora a parlare del contenuto sostanziale
della giurisprudenza della Corte, che si esplica nella
interpretazione sia delle leggi ordinarie impugnate
che delle riorme della Costituzione addotte come
violate da tali leggi.
Sarebbe oltremodo interessante, se il tempo a
disposizione lo consentisse, esaminare anzitutto i
criteri di interpretazione adottati.
In proposito basti dire che la Corte non ha seguito
criteri rigidi, ma ha fatto ricorso, secondo la particolarità
dei casi ed il carattere speciale delle norme
e degli istituti sottoposti al sno esame, ai vari metodi
e criteri di interpretazione. Ricorderò soltanto,
per il rilievo che ha avuto in tante sentenze, quello
evolutivo, del quale la Corte si è avvalsa fin dalla
prime sentenze (nn. 3 e 8 del1956), affermando che
« non può non tenere il debito conto di una costante
interpretazione giurisprudenziale che conferisce
al precetto legislativo il suo effettivo valore nella
vita giuridica, se è vero, come è vero, che le norme
sono non quali appaiono proposte in astratto, ma
quali sono applicate nella quotidiana opera del
giudice, intesa a renderle concrete ed efficaci n,
ed interpretando cosi la norma in esame « non nel
sistema in cui essa storicamente ebbe nascimento,
bensi nell'attuale sistema nel quale vive».
E ricorderò altresi il metodo logico-sistematico,
per il quale basta citare la sentenza n. 121 del1957,
nella quale la Corte ha fatto esplicitamente richiamo
al principio « che le norme della Costituzione non
van:p.o considerate isolatamente, bensi coordinate
fra di loro, onde ricavarne lo spirito al quale la
Costituzione si è informata e secondo il quale deve.
essere interpretata ».
Questo metodo logico-sistematico, che naturalmente
vale per la interpretazione di tutte le norme
giuridiche, assume maggior rilievo per le norme
della Costituzione, non soltanto per la particolare
natura di queste ultime, ma anche per il fatto che
la Costituzione, avendo carattere composito, afferma
principi che potrebbero apparire divergenti se
non addirittura contrastanti (come il principio
della solidarietà sociale rispetto a quello dei diritti
individuali), e che la Corte, nella sua interpretazione,
deve coordinare ed armonizzare nel quadro
unitario dell'ordinamento costituzionale.
Credo opportuno indicare, rispetto all'interpretazione
delle leggi ordinarie, un altro principio
affermato dalla Corte.
Quando la disposizione di legge impugnata dà
adito a varie interpretazioni, taluna in senso non
contrastante e taluna in senso contrastante con
la norma costituzionale addotta come violata, la
Corte si è ispirata al criterio che debba prevalere
l'interpretazione conforme alla Costituzione (sentenze
nn. 3, 8 del 1956; 26 del 1961).
* * *
Non m1 e possibile, in questa sede, per ovvie
ragioni di tempo, dare neanche la semplice indicazione
delle leggi ed atti aventi forza di legge
impugnati, attinenti alle materie più disparate, su
cui la Corte ha portato il suo esame, nè tanto meno
mi è possibile accennare al contenuto di alcuna
pronuncia.
Credo invece che non posso omettere di fare
menzione, sia pur sommaria, della giurisprudenza
della Corte in ordine alle norme costituzionali che
nei vari e numerosi giudizi sono state assunte come
violate, e sulle quali perciò la Corte ha dovuto
egualmente portare il suo esame.
Al quale proposito è opportuno notare che l'interpretazione
delle norme costituzionali è più delicata
ed impegnativa di quella delle leggi ordinarie, sia
per la interdipendenza e la complessità, cui ho
dianzi accennato, delle disposizioni della Costituzione,
sia per il carattere naturalmente più ampio
e generico proprio di tanti articoli di essa, e sia
ancora, e maggiormente, per gli effetti e le ripercussioni
che l'interpretazione delle norme della Carta
fondamentale determina non soltanto nei casi
di dichiarazione di illegittimità costituzionale delle
norme ordinarie impugnate che cessano di avere
efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione
della decisione, ma anche, data l'autorità morale
di tali pronunce, nei casi nei quali le questioni sottoposte
al giudizio della Corte vengono dichiarate
infondate.
Ciò non toglie in questa seconda ipotesi, dato
che le sentenze della Corte non hanno, come nella
prima, carattere di definitività ed irrevocabilità,
che le questioni con esse decise possano nuovamente
venire sottoposte all'esame della Corte stessa
(sent. n. 21 del 1959).
* * *
Mi limiterò ad accennare, sia pur in modo inadeguato
ed inevitabilmente lacunoso, ad alcuni
principi affermati dalla Corte che, per la loro vasta
portata, possono considerarsi più caratteristici e
fondamentali.
Va anzitutto considerato il sistema di quéi diritti
dell'uomo, che provengono dalle Dichiarazionia mericana
e francese, ma che assumono una portata
più ampia nelle Costituzioni attuali, e specie in
quella italiana.
-110-
N ella Costituzione italiana, infatti, vi ha non
soltanto l'innovazione, comune alle altre costituzioni,
dell'estensione dei diritti dal tradizionale
campo strettamente giuridico a quello economicosociale,
ma una innovazione maggiore, in quanto
la Costituzione considera l'uomo, siccome dice
l'art. 2, << sia come singolo, sia nelle formazioni
sociali nelle quali si svolge la sua personalità »,
ed in quanto, dopo la proclamazione dei diritti,
afferma, altresì, l'esigenza dell'(( adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà politica, economica
e sociale ».
Già nella sua prima sentenza la Corte affrontò
il problema della coesistenza e del contemperamento
dei diritti e dei doveri, affermando che la
disciplina dell'esercizio di un diritto non importa
di per sè violazione o negazione di esso, e che, << se
pure si pensasse che dalla disciplina dell'esercizio
può derivare indirettamente un certo limite del
diritto stesso, bisognerebbe ricordare che il concetto
di limite è insito nel concetto di diritto e che nello
ambito dell'ordinamento le varie sfere giuridiche
devono di necessità limitarsi reciprocamente, perchè
possano coesistere nell'ordinata coesistenza
civile».
Ribadendo in altre sentenze questo principio
generale, la Corte ha altresì affermato che l'intervento
del legislatore nel dettare una tale disciplina
dell'esercizio dei diritti deve ritenersi ammissibile
non soltanto quando la stessa Costituzione
faccia in proposito un espresso rinvio alla legge ordinaria
(come negli artt. 14, 16, 21, 39, ecc.), ma anche
in mancanza di un tale espresso rinvio.
La Corte, d'altra parte, ha nel contempo affermato:
l) che tale intervento del legislatore incontra
anzitutto un confine insuperabile nella necessità
che il diritto di cui si regola l'esercizio <<non ne
rimanga snaturato attraverso una compressione
o una riduzione del proprio ambito»;
2) e che, in ogni caso, quando per tale disciplina
il legislatore conferisca dei poteri ad altra
autorità, occorre che tali poteri siano adeguatamente
specificati e delimitati in modo da evitare
che il loro esercizio possa degenerare in arbitrio
(vedi, per tutte, le sentenze n. 36 del 1958 e n. l
del 1960).
* * *
Per i riflessi di ordine generale sulla delimitazione
della sfera dei diritti di libertà in funzione
dei poteri attribuiti all'autorità, degna di particolare
rilievo è la sentenza n. 19 dell'8 marzo 1962,
con la quale la Corte ha ritenuto che <<l'esigenza
dell'ordine pubblico, per quanto altrimenti ispirata.
rispetto agli ordinamenti autoritari, non è affatto
estranea agli ordinamenti democratici e !egalitari,
nè è incompatibile con essi ».
Con la detta sentenza, in particolare, la Corte ha
altresì ritenuto che <<al regime democratico e !egalitario
consacrato nella Costituzione vigente, e basato
sull'appartenenza della sovranità al popolo (art. 1),
sull'eguaglianza dei cittadini (art. 3) e sull'impero
della legge (artt. 54, 76, 79, 97, 98, 101, ecc.), è
connaturale un sistema giuridico in cui gli obbiettivi
consentiti ai consociati e alle formazioni sociali
non possono essere realizzati se non con gli strumenti
e attraverso i procedimenti previsti dalle
leggi, e non è dato per contro pretendere di introdurvi
modificazioni o deroghe attraverso forme di
coazione o addirittura di violenza ».
* * *
Fondamentale importanza ha assunto, nella
giurisprudenza della Corte, l'interpretazione dell'art.
3, riguardante il principio di uguaglianza.
Questo principio non può essere inteso in senso
<< meccanicamente livellatore ».
N o n è infatti << concepibile - ha affermato la
Corte - che il principio di eguaglianza dei cittadini
davanti alla legge, debba intendersi nel senso
che il legislatore non possa dettare norme diverse,
per regolare situazioni che esso considera diverse,
adeguando cosi la disciplina giuridica agli svariati
aspetti della vita sociale anche al fine di conseguire
i risultati additati dal secondo comma dello stesso
art. 3 >> (sent. n. 28 del 1957).
D'altra parte, da questa stessa interpretazione
consegne che non è neppure ammissibile che a
situazioni diverse sia imposta una identica disciplina
legislativa.
<<Senza dubbio - ha detto la Corte nella sentenza
n. 53 dell958 - la valutazione delle diverse
situazioni è riservata al potere discrezionale del
legislatore. Non contraddice però a questa affermazione,
nè si compiono valutazioni di natura politica
se si dichiara che il principio di eguaglianza è violato
quando vengano assoggettate ad una indiscriminata
disciplina situazioni che lo stesso legislatore
considera diverse>> (sent. n. 53 del 1958).
.A questi principi generali discendenti dalla
<< disposizione fondamentale » dell'art. 3, la Corte
si è costantemente orientata nell'interpretare molte
disposizioni di altri articoli della Costituzione e degli
statuti delle Regioni (sentenze nn. 53, 56 del
1958; 5, 12, 15, 33 dell960; 42, 64 dell961; 5, 7,
8, 29, 48, 65 del 1962).
* * *
Lo stesso è a dirsi per i principi generali affermati
nelle successive << disposizioni fondamentali ».
Riguardo all'art. 4, ai sensi del quale << la Republica
riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e
promuove le condizioni che rendano effettivo questo
diritto », la Corte ha detto, nella sentenza n. 3 del
1957, che << trattasi di un'affermazione sul piano
costituzionale della importanza sociale del lavoro,
che costituisce un invito al legislatore a che sia favorito
il massimo impiego delle attiVità libere nei
rapposti economici »; e nella sentenza n. 5:f dello-stesso
anno ha affermato che <<è appunto nell'ambito
di questa generale direttiva (art. 4) >> che deve
mantenersi il legislatore.
111-
* * *
.Al lume dei principi affermati nell'altra « disposizione
fondamentale » dell'art. 5 sono state emanate
n~merose sentenze, specie, siccome dirò appresso,
;per la decisione delle controversie riguardanti
l'ordinamento regionale.
.Al principio affermato dal successivo art. 6 circa
la tutela delle minoranze linguistiche si ricollegano
le pronunce con le quali sono state decise questioni
relative all'uso della lingua nelle Regioni mistilingui
.Alto-Adige e Valle d'Aosta (sent. nn. 32 del
1960 e 116 del 1961).
* * *
Del sistema degli artt. 7 e 8 la Corte ha precisato
i lineamenti nella sentenza n. 125 del1957:
« N egli artt. 7 e 8 - ha affermato la Corte -
il Costituente ha dettato, rispettivamente per la
Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose,
norme esplicite, le quali non ne stabiliscono la
1c parità », ma ne differenziano invece la situazione
.giuridica, che è, sì, di eguale libertà (come dice
l'art. 8, primo comma), ma non di identità di regolamento
dei rapporti con lo Stato. Infatti, mentre
l'art. 7, primo comma, dichiara che lo Stato e la
Chiesa cattolica sono, ognuno nel proprio ordine,
indipendenti e sovrani », l'art. 8, secondo comma,
:detta che « le confessioni religiose diverse dalla
cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo
i propri statuti, in quanto non contrastino con lo
ordinamento giuridico italiano».
* * *
È opportuno infine notare che la Corte ha avuto
l'occasione di occuparsi del principio sancito nello
.art. 10, per cui l'ordinamento giuridico italiano si
conforma alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute.
A questo proposito mi sia concesso rilevare che
nel nuovo clima di cooperazione mondiale, che è
stato rafforzato anche dagli eventi del Concilio
ecumenico, i principi di libertà e di democrazia
costituiscono ormai un linguaggio comune, talchè,
.anche se diverse sono le vie che conducono alla
loro realizzazione e quindi varie le procedure e le
modalità della loro garanzia, quella favella comune
avvicina ed affratella gli individui e i popoli e
·quindi coloro che, come noi, sono chiamati ad
interpretarne gli ordinamenti; dico, come noi,
Giudici delle Corti costituzionali. Sotto questo
.aspetto particolarmente proficui, ritengo, sono stati
i contatti che la Corte italiana ha avuto con quella
della Germania federale, specie nelle riunioni di studio
tenute a Roma e a · Karlsruhe e con le Corti
degli altri Paesi.
Oggi mi è pertanto gradito rivolgere un parti
·colare saluto alla Corte Suprema degli Stati Uniti
d'America, che per prima affermò il principio del
()Ontrollo di legittimità costituzionale delle leggi,
e che compie ora 172 anni di vita. Ed un caro saluto
3
rivolgo ai colleghi della Corte della Germania di
Bonn, nata quasi contemporaneamente alla nostra,
ed a quelli del lontano Giappone, delle Filippine,
con i quali si sono avuti rapporti diretti, ed alle
Corti di tutti i Paesi che, si può be:Q. dJr~, costituiscono
supreme assise del diritto, fondamento
degli Stati e presto, speriamo, anche della Comunità
internazionale .
* * *
Dopo questi brevi cenni sulle suindicate « disposizioni
fondamentali » della Costituzione, vengo a
parlare della giurisprudenza della Corte su alcuni
dei tradizionali diritti di libertà contemplati nel
titolo 1° della parte prima, riguardante i cc rapporti
civili)).
Rispetto al diritto di libertà personale, di cui
all'art. 13, la Corte ha affermato che la disposizione
di tale articolo non va intesa cc quale garanzia
di indiscriminata libertà di condotta d!el cittadino
» o quale cc illimitato potere di disposizione
della propria personalità fisica, bensì come diritto
a che l'opposto potere di coazione· personale, di
cui lo Stato è titolare, non sia esercitato se non in
determinate circostanze e col rispetto di talune
forme ». Si tratta del riconoscimento dei tradizio·
nali diritti di habeas corpus.
cc La libertà personale si presenta pertanto come
diritto soggettivo perfetto nella misura in clù la
Costituzione impedisce alle autorità p1;1.bbli,che
l'esercizio della potestà coercitiva personale)) (sentenze
nn. 2 e 11 del 1956).
La Corte ha d'altra pa,rte escluso che, in base
.all'art. 13, il cittadino possa pretendere di essere
esente dagli obblighi imposti dalla solidarietà
sociale, come, ad esempio, quelli segnati dell'art. 652
prima parte, del Codice penale (sent. n. 49 del1959).
Riguardo all'art. 16, che afferma la libertà di
circolazione sul territorio nazionale salvo le limitazioni
che la legge stabilisce cc per motivi di sanità
e di sicurezza », la Corte, mentre ha recisamente
esclusa qualsiasi restrizione determinata da ragioni
politiche, ha precisato che ai cc motivi di sanità
e di sicurezza )) possono ricondursi anche i motivi
di cc ordine, sicurezza pubblica e pubblica moralità».
La Corte ha respinto la tesi che il termine cc sicurezza
)) riguardi solo l'incolumità fisica, affermando
che cc sembra razionale e conforme allo spirito della
Costituzione dare alla parola cc sicurezza)) il signicato
di cc situazione nella quale sia assicurato ai
cittadini, per quanto è possibile, ·il pacifico esercizio
di quei diritti di libertà che la Costituzione
garantisce con tanta forza ».
Quanto alla cc moralità », la Corte ha escluso che
si possa tenere conto delle convinzioni intime del
cittadino di per se stesse incoercibili, nonchè delle
teorie in materia di moralità. Ha però, d'altra
parte, nettamente affermato che cc i cittadini hanno
diritto di non essere turbati ed offesi da manifestazioni
immorali, quando queste risultino pi'egiudizievoli
anche alla sanità o creino situazioni ambien--·
tali favorevoli allo sviluppo della delinquenza
comune » (sent. n. 2 del 1956 e, da ultimo, sent.
n. 126 del 1962).
- 112
Riguardo alla libertà di riunione, di cui allo
art. 17, la Corte ha, tra l'altro, affermato che le
norme di tale articolo valgono per ogni specie di
riunione (comprese quelle di carattere religioso),
osservando che esse norme si ispirano « a così elevate
e fondamentali esigenze della vita sociale da
assumere necessariamente una portata ed efficacia
generalissime, tali da non consentire la possibilità
di regimi speciali» (sent. n. 45 del 1957).
Circa il diritto di associazione, di cui all'art. 18,
la Corte ha ritenuto che esso debba essere garantito
non soltanto nell'aspetto positivo, ma anche in
quello negativo, cioè nella libertà di non associarsi.
È da rilevare che nell'interpretare in questo
senso l'art. 18, la Corte ha fatto ricorso, come già
in una delle prime sentenze (la n. 4 del1956, relativa
all'istituto del « maso chiuso » proprio della
provincia di Bolzano), al criterio storico, affermando
che il precetto dell'art. 18 deve essere interpretato
« nel contesto storico che lo ha visto nascere,
e che porta a considerare quella libertà non
soltanto sotto l'aspetto che è stato definito positivo,
ma anche sotto l'altro, negativo, che si risolve
nella libertà di non associarsi» (sent. n. 69 del1962).
* * *
Numerose sono le sentenze della Corte sulla
libertà di manifestazione del pensiero di cui allo
art. 21. N e richiamo solo alcune:
la prima (la n. l del 1956), nella quale si respinge
la tesi che la Costituzione importi una
distinzione tra (( marufestazione )) e (( divulgazione ))
del pensiero, e si afferma il principio per cui la stampa
non può essere assoggettata ad autorizzazione,
escludendo tuttavia che << con la enunciazione del diritto
di libera manifestazione del pensiero la Costituzione
abbia consentito attività le quali turbino la
tranquillità pubblica, ovvero abbia sottratta alla
polizia di sicurezza la funzione di prevenzione dei
reati;
le sentenze nn. 31 e 115 del 1957, nelle quali,
in base ai principi già enunciati nella suddetta
sentenza, si afferma che deve distinguersi in materia
di stampa tra << autorizzazione >> non ammessa e
semplice << registrazione >> che è invece ammissibile;
la sentenza n. 33 del1957, che tale distinzione
applica nei confronti dell'art. 121 del testo unico
leggi di P. S., relativo ai vari mestieri girovaghi,
tra cui quello di venditore e distributore di scritti,
disegni o stampati;
la sentenza n. 121 del1957 in materia di spettacoli
teatrali e cinematografici, dove si precisa
la distinzione tra il controllo sul contenuto delle
opere da rappresentare, che non è ammesso, e quello
che può chiamarsi << polizia dello spettacolo >> che è
ammesso;
la sentenza n. 44 del1960, nella quale si esclude
che sotto il termine << censura » (vietata per la
stampa dall'art. 21) possa comprendersi il controllo
che il direttore del giornale è tenuto a compiere
sotto la sua responsabilità su quanto nel
giornale stesso si pubblica;
la sentenza n. 38 del1961 nella quale si precisa
che per << stampa » deve intendersi, ai sensi dello
art. 21, la manifestazione del pensiero a mezzo
della stampa e. su stampati, e non anche l'attività.
materiale che ne perm()tte la. rinroduzione.
Alle sentenze riguardanti la libera manifestazione
del pensiero possono ricollegarsi quelle sulla
libertà di insegnamento e sulla scuola in genere, di
cui agli artt. 33 e 34.
* * *
Degne di particolare rilievo, anche per le immediate
ripercussioni di ordine economico, sono le
numerose decisioni riguardanti il principio, che
storicamente diede luogo all'avvento della rappresentanza
politica e che è ora enunciato nell'art. 23,
per cui nessuna prestazione personale o patrimonìale
può essere imposta se non in base alla legge.
La Corte ha precisato anzitutto che il !termine
<<prestazione patrimoniale »assume un'ampia significazione
<< comprensiva di ogni prestazione imposta
senza che la volontà dell'obbligato vi abbia concorso,
e quale che ne sia la denominazione (corrispettivo,
sconto obbligatorio, ecc.) (sentenze nn. 4~
30, 47, 122 del1957, ecc.); col che si è riconosciuta
la maggiore ampiezza della garanzia posta dallo
art. 23.
Per altro, il principio della riserva legislativa
affermato in questo articolo non va inteso nel senso
che la istituzione del tributo debba avvenire <<per
legge », << cioè che tutti i presupposti e gli elementi
della prestazione ricavino dalla legge la loro determinazione
», ma va inteso nel senso che avvenga
<< in base alla legge », di talchè è consentito << che sia.
rinviata a provvedimenti amministrativi la determinazione
degli elementi o presupposti della prestazione
>>. Resta però ben fermo, anche in questi
casi, il principio generale che il legislatore deve, al
fine della effettiva garanzia della libertà e proprietà
individuale, fissare i criteri idonei a limitare
la discrezionalità delle autorità, sì da evitare ogni
eventuale loro arbitrio nella determinazione della
prestazione (si vedano, per tutte, la sent. n. 4 7
del 1957 e la n. 48 del 1961).
* * *
Circa il diritto di agire e di difendersi in giudizio~
di cui all'art. 24, la Corte ha affermato che tale
diritto, che è riconosciuto per tutti, non può essere
negato, nè il suo esercizio può avere limitazioni
per i cittadini meno abbienti. Ed in conseguenza
ha dichiarato illegittimo l'antico principio del
solve et repete (sent. n. 21 del 1961).
La Corte ha poi affermato che il diritto di difesa
spetta al cittadino non solo per i procedimenti
giudiziari, ma anche per quelli amministrativi e,
che requisito imprescindibile di tale diritto è,
tra gli altri, il << contraddittorio » "{sentenze n. 2
del 1956 e n. 59 del 1959). ·" ·
Circa le norme degli artt. 25 e 27 riguardanti
l'ordinamento giuridico penale, hanno trovato in
varie sentenze naturale precisazione i principi
-113-
fondamentali del giudice naturale precostituito per
legge, della legalità della pena e della tassatività
in genere della legge penale, della personalità,
della responsabilità penale, dell'irretroattività
della legge; principio quest'ultimo che, secondo la
Corte, la Costituzione ha accolto soltanto per le
leggi penali (sentenze n. 118 del 1957, n. 29 del
1958, n. 27 del 1961, nn. 15, 29, 88 del 1962).
Circa il principio della responsabilità civile dello
Stato, di cui all'art. 28, va richiamata la sentenza
n. l dell962, nella quale la Corte ha ritenuto che
tale responsabilità dello Stato sussiste anche verso
i suoi dipendenti; osservando che, « per quanto
ampia possa essere, in ipotesi, la sfera nella quale
il legislatore può regolare i rapporti tra lo Stato e
i suoi dipendenti anche agli effetti della responsabilità
verso di essi, non è lecito disconoscere che
s:trebbe in contrasto con il precetto fondamentale
contenuto nell'art. 28 della Costituzione una legge
che adottasse una disciplina tale da escludere
in tutto, più o meno manifestamente, la responsabilità)).
* * *
Rispetto alla materia del lavoro e della tutela
dei lavoratori specialmente contemplata negli
artt. 35, 36, 37 e 38 della Costituzione, la Corte
si è sempre orientata nelle sue decisioni ai principi
fondamentali dell'art. 1, che pone il lavoro a fondamento
della Repubblica democratica, dell'art. 3,
che dichiara essere compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei
cittadini, e dell'art. 4 che, dopo aver affermato il
diritto ed il dovere del lavoro, proclama che la
Repubblica « promuove le condizioni che rendano
effettivo questo diritto )).
Al lume di questi principi generali sono state
interpretate le disposizioni specifiche dei suaccennati
artt. 35-38 per la soluzione delle questioni
concernenti le condizioni e la tutela del lavoro, la
retribuzione ed il minimo di trattamento economico
.. dei lavoratori, la loro formazione professionale, le
garanzie per la donna lavoratrice, l'occupazione
dei mutilati ed invalidi di guerra e del lavoro, il
riposo settimanale, le ferie annuali retribuite, l'assistenza
e previdenza sociale, ecc. (sentenze nn. 52,
del 1957; 7, 30, 32, 66, 78 dell958; 30, 38, 70 del
1960; 55 del 1961; 41, 76 del 1962).
* * *
Particolarmente delicata si è presentata la soluzione
delle controversie riguardanti la effettiva
portata degli artt. 39 e 40; e ciò Jlrincipalmente
a causa della non ancora avvenuta emanazione
delle leggi sull'esercizio dei diritti contemplati in
questi articoli.
Quanto all'art. 39, che attribuisce ai sindacati
liberamente costituiti e registrati, la potestà di
stipulare contratti collettivi di lavoro aventi efficacia
obbligatoria per tutti gli appartenenti alla
categoria cui il contratto si riferisce, la Corte ha
affermato, in una recente sentenza (n. 106 del
1962), che «una legge la quale cercasse di conseguire
questo medesimo risultato in maniera diversa
da quella stabilita dal precetto costituzionale,
sarebbe palesemente illegittima ».
Considerando tuttavia che non è stata ancora
emanata la legge necessaria per regolaree le forme
ed il procedimento previsti dall'art. 39, la Corte
ha ritenuto che la legge impugnata del 14 luglio
1959, n. 741, contenente delega al Governo di
emanare norme giuridiche con l'obbligo di uniformarsi
alle clausole dei contratti collettivi stipfìlati
dalle associazioni sindacali prima dell'entrata in
vigore della legge stessa, potes~e considerarsi di
natura « transitoria, provvisoria ed eccezionale »,
e come tale non diretta ad attuare il sistema previsto
dall'art. 39 della Costituzione, e perciò con
esso non contrastante.
D'altra parte, secondo questo stesso criterio, la
Corte ha ritenuto viziata da illegittimità costituzionale
la legge successiva l o ottobre 1960, n. 1027,
per la ragione che essa legge conteneva una reiterazione
della delega disposta con la suddetta legge
n. 741 del 1959, e che pertanto, a differenza di
questa, non le si potevano riconoscere i suaccennati
Qaratteri di transitorietà ed eccezionalità.
* * *
Fronunciandosi sul disposto dell'art. 40, per cui
((il diritto di sciopero è esercitato nell'ambito delle
leggi che lo regolano », la Corte ha affermato, nella
recente sentenza n. 123 del 1962, che lo sciopero è
legittimo allorchè è rivolto a conseguire fini di
carattere economico; ha tuttavia chiarito che la
tutela concessa ai rapporti economici non rimane
circoscritta alle sole rivendicazioni di indole salariale,
ma che si estende a tutte quelle riguardanti
il complesso degli interessi dei lavoratori.
Il diritto di sciopero non può essere disconosciuto
nei confronti dei dipendenti di imprese di gestione
di servizi pubblici (come quelli svolti dai dipendenti
di una azienda tramviaria automobilistica municipale)
che non sono attinenti alla soddisfazione
di esigenze assolutamente essenziali alla vita della
collettività nazionale.
Nell'individuare, in mancanza della suddetta
regolamentazione legislativa prevista dall'art. 40,
i limiti in cui l'esercizio del diritto di sciopero può
ritenersi consentito, la Corte ha ritenuto che si
possono fare valere solo quelle limitazioni che si
desumono in modo necessario o dal concetto
stesso dello sciopero oppure dalla necessità di contemperare
le esigenze dell'autotutela di categoria
con le altre discendenti da interessi generali, i quali
trovano ugualmente diretta protezione in altri
principi consacrati nella Costituzione.
È pertanto da considerarsi legittimo lo sciopero
di solidarietà allorchè la sospensione del lavoro
venga effettuata in appoggio a rivendicazioni di
carattere economico cui si rivolga uno sciopero già
in via di svolgimento ad opera di lavoratori appartenenti
alla stessa categoria dei primi sciopèrant;,
e sia accertata l'affinità delle esigenze che motivano
l'agitazione degli uni e degli altri; ma non può
invece comprendersi nell'ambito del diritto riconosciuto
dall'art. 40 lo sciopero di carattere politico.
- 114-
Ribadendo i principi ge~erali ·enunciati in questa
sentenza n. 123, la Corte ha precisato nella successiva
sentenza ·(n. 124 del 1962) sullo sciopero
dei marittimi, che il diritto di sciopero, in via di
massima ad essi non disconoscibile, incontra un
limite invalicabile segnato dalla necessità di evitare
il pericolo di danni a beni e sopratutto a persone,
ed ha aggiunto che un pericolo di tal genere
è inerente << ad ogni sospensione o irregolarità
del:tff prestazione del lavoro. da parte dell'equipaggio
di una nave, dopo l'inizio del viaggio e durante
l'intero periodo della navigazione, fino al compimento
del medesimo>>.
* * *
Riguardo agli artt. 41 e 42, che riconoscono i
dirittieconomici (iniziativa economica e proprietà
priv,ata), sottoponendoli nel contempo, per fini
di utilità sociale, a vincoli e limiti da stabilirsi con
legge, ed in riguardo all'art. 43, in base al quale
ugualmente ai fini di utilità generale, la legge può
riservar.e originariamente o trasferire allo Stato o
ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di
utenti determinate imprese che si rìferiscano a
servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a
situazioni di monopolio, la Corte ha precisato, in
numerose sentenze, la portata delle norme di tali
articoli, considerandole nel loro sistema unitario,
in un quadro di insieme.
Molte di queste sentenze meriterebbero di essere
richiamate; ma, non essendomi qui possibile farlo,
ne indicherò solo qualcuna particolarmente interessante
in ordine alla disciplina dell'esercizio dei
poteri in materia attribuito al legislatore.
Mi riferisco principalmente alla precisazione di
quel principio della riserva di legge, che, come ho
già detto, è elemento essenziale della garanzia
della libertà in generale, e che i suddetti artt. 41,
42 e 43 riaffermano in ordine ai vari casi in essi
contemplati.
La Corte ha precisato che per l'adempimento
del detto principio non basta che la legge determini
i fini di interesse sociale da raggiungere, ma che
occorre altresì che essa contenga' la specificazione
di tali fini, la precisazione dei crite:H da seguire per
il raggiungimento dei fini stessi, l'indicazione dei
mezzi e la determinazione degli organi preposti
alla loro attuazione (vedi, tra le tante, la sentenza
n. 35 del 1961). .
È opportuno ricordare che tra i fini di utilità
sociale che giustificano i limiti costituzionali alla
libertà di iniziativa economica, la Corte ha compreso
l'esigenza dell'assunzione obbligatoria nelle
imprese private di mutilati e invalidi di guerra
e del lavoro (sent. n. 38 del 1960).
* * *
Per i riflessi sulla estensione della libertà di
iniziativa economica privata, sembra degna di
particolare menzione la sentenza n. 129 del 12
·dicembre 1957, con la quale la Corte ha affermato
che: << tra i fini sociali in funzione dei quali la
Costituzione consente di porre con legge ordinaria
limiti alla libera iniziativa economica. ed· allà proprietà
privata, preminente è assicurare l'adempimento
dell'obbligo tributario e la P!Ogressività
delle imposte, principi consacrati n~ll'art. 53 della
Costituzione, alla cui attuazione .. non è dnbbio
che la nominatività dei titoli azionari possa essere
diretta>>. ·
* * *
La Corte s1 e altresì occupata dei concetti di
espropriazione e di indennizzo, non accogliendo la
tesi che l'indennizzo debba necessariamente commisurarsi
al valore venale, ma contemporaneamente
affermando che, in ogni caso, «l'esigenza di
un indennizzo non può ritenersi soddisfatta con
disposizioni che vengano ad attuare un indennizzo
apparente o puramente simbolico » (sentenze nn. 61
e 118 del 1957; 46 e 47 del 1959; 5 del 1960).
Per la precisazione dei caratteri dei fini di utilità
generale e delle situazioni di monopolio di cui
all'art. 43, va particolarmente citata, anche per la
risonanza che ha avuto, la sentenza n. 59 del 1960
sui servizi della radiotelevisione.
.Alla norma dell'art. 44 si -riconnettono numerose
sentenze emanate dalla Corte in materia di riforma
fondiaria.
* * *
· Riguardo ai rapporti politici di cui al titolo 4
della parte prima, la Corte si è pronunziata, tra
l'altro, sul principio dell'eguaglianza del voto, sui
requisiti stabiliti dalla legge per l'accesso dei cittadini
a,lle carriere pubbliche, sul diritto dei cittadini
chiamati a funzioni pubbliche elettive a
conservare il loro posto di lavoro, ecc. (sentei)..Ze
n. 56 del 1958; n. 6 del 1960 e n. 43 del 1961).
* * *
Particolare rilievo meritano alcune sentenze che
in vario modo si riferiscono all'esercizio della funzione
legislativa.
Richiamo la sentenza n. 9 del 1959, nella quale
la Corte ha affermato che è costituzionalmente
sindacabile il procedimento di formazione delle
leggi anche rispetto alla cosiddetta procedura
decentrata prevista dall'art. 72, terzo comma. Non
sembra dubbio che « se la procedura cosi detta
decentrata fosse applicata per l'approvazione di
un disegno di legge rientrante tra quelli elencati
nell'ultimo comma dell'art. 72, si avrebbe un vizio
del procedimento di formazione della legge costituzionalmente
rilevante, perchè consistente in una
violazione della stessa Costituzione >>.
D'altra parte la Corte ha escluso «che l'art. 72,
deferendo al regolamento della Camera di stabilire
in quali casi e forme un disegno di legge può essere
assegnato a Commissioni in sede legislativa, abbia
posto una norma in bianco con la conseguenza che
le disposizioni inserite a tale riguardo da una
Camera nel suo regolamento assumano if valore
di norme costituzionali >>. Ed in conseguenza ha
ritenuto, che per ciò che riguarda l'interpretazione
dell'art. 40 del regolamento della Camera, che
-115
esclude la procedura decentrata per l'approvazione
dei progetti in materia tributaria, debba considerarsi
decisivo l'apprezzamento della Camera stessa,
e che non possa perciò farsi luogo al sindacato di
legittimità costituzionale.
N ella stessa sentenza la Corte ha affermato la
sindacabilità del procedimento di formazione della
legge anche in riguardo all'osservanza dell'art. 70,
per cui, essendo il potere legislativo esercitato dalle
due Camere collettivamente, occorre che il testo
approvato dall'una concordi con quello approvato
dall'altra, ed ha altesì precisato il senso dei termini
«votazione finale >> e « approvazione definitiva
>> adoperati nel primo e nel terzo comma
dell'art. 72.
La successiva sentenza n. 39 del 1959 contiene,
a sua volta, una notevole precisazione circa il
significato dell'espressione «tempo limitato n, la
cui determinazione da parte delle Camere e la cui
osservanza da parte del Governo costituiscono una
condizione prescritta dall'art. 76 per la legittimità
dell'esercizio del potere legislativo delegato da
parte del Governo.
La Corte, dopo avere rilevato che «funzione
legislativa n è quella che, secondo l'art. 70 della
Costituzione, è esercitata collettivamente dalle due
Camere, ha affermato che « il tempo limitato >> da
prestabilirsi nella legge di delegazione, << concerne
precisamente l'esercizio di tale funzione, e non comprende
invece adempimenti successivi a quell'esercizio,
che si è esaurito con l'emanazione del provvedimento
legislativo, posto che gli adempimenti
stessi competono ad altri organi di natura amministrativa>>.
<<D'altra parte (ha aggiunto) la pubblicazione
nei fogli ufficiali, diretta a rendere note
legalmente le disposizioni legislative, è condizione
di efficacia, non requisito di validità della legge,
cl:).e esiste validamente anche prima della sua pubblicazione
n.
Naturalmente, s'intende, da ciò non può dedursi
che i competenti organi dell'Esecutivo possano
dilazionare quegli adempimenti successivi all'emanazione
del provvedimento legislativo che sono
necessari per la sua entrata in vigore.
* * *
La Corte si è occupata altresì del problema della
legittimità costituzionale dell'interpretazione autentica
della legge. Pur in mancanza di una disposizione
espressa nella vigente Costituzione, ha
ritenuto che questa non esclude la possibilità di
legge interpretativa. E riferendosi al problema della
interferenza delle leggi interpretative nella sfera
del potere giudiziario, ha affermato che << il fatto
della emanazione di una legge interpretativa non
rappresenta, di per sè solo, una interferenza nella
sfera del potere giudiziario n, aggiungendo però
che, <<comunque, è certo che non può essere considerata
lesiva della sfera del potere giudiziario
una legge interpretativa che rispetti i giudicati e
non appaia mossa dall'intento di interferire nei
giudizi in corso>> (sentenze nn. 118 del 1957 e 9
del1959).
* * *
Per il contributo alla determinazione del concetto
di libertà ed indipendenza del giudice, degna
di menzione è la sentenza n. 8 del20 febbraio 1962,
con la quale la Corte ha stabilito che gli artt. 101,
102, 104 e 111 della Costituzione garantiscono la
libertà e l'indipendenza del giudice nel senso di
vincolare la sua attività alla legge e solo alla legge,
in modo che egli sia chiamato ad applicarla senza
interferenze ed interventi al di fuori di essa, che
possano influire sulla formazione del suo libero convincimento;
ma, d'altra parte, non escludono la
possibilità che il legislatore emani norme le quali,
senza incidere su tale principio, tendano a regolare
l'attività degli organi giurisdizionali dettando
disposizioni vincolanti per il giudice.
* * *
Uno dei problemi principali che la Corte ha dovuto
affrontare in riguardo all'ordinamento giurisdizionale
è stato quello della sopravvivenza delle
giurisdizioni speciali preesistenti alla Costituzione.
La Corte ha ritenuto che dal principio dell'unità
della giurisdizione, affermato dall'art. 102, sarebbe,
indubbiamente derivata la cessazione del funzio~
namento di tali giurisdizioni se altrimenti non fosse
stato disposto, e che perciò non alla automatica
soppressione di esse doveva addivenirsi, sibbene
alla <<loro revisione>> ad opera del legislatore ordinario.
Questa volontà del Costituente di procedere
gradualmente a tale revisione risulta indirettamente
dai successivi artt. 103 e 111, nei quali si fa
riferimento a giurisdizioni speciali diverse dal
Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti, e ancora
più espressamente dalla VI disposizione transitoria.
Circa quest'ultima norma, che stabilisce il
termine di cinque anni dall'entrata in vigore della
Costituzione per tale opera di revisione, la Corte
ha ritenuto che questo termine non ha carattere
perentorio. Ha, d'altra parte, precisato che anche
presso gli organi di tali giurisdizioni devono essere
garantiti sia il diritto di difesa, sia l'idoneità, l'indipendenza
e l'imparzialità del giudicante, osservando
che tale garanzia, prima ancora di essere
scritta in disposizioni particolari della Costituzione,
come l'art. 108, riposano nel complesso delle
norme costituzionali relative alla magistratura e
al diritto di difesa (sentenze nn. 12 e H del 1957
e 92 del 1962).
Quanto alle sezioni specializzate che possono
venire istituite presso gli organi giudiziari ordinari
in base all'art. 102, secondo comma, la Corte ha.
ritenuto che l'istituto delle sezioni specializzate va
configurato non come un tertium genns fra le giurisdizioni
speciali e la giurisdizione ordinaria, bensì
come species di questo ultimo. E mentre ha escluso
che sia motivo di illegittimità costituzionale la
prevalenza numerica nella composizione di talune
di queste sezioni degli «esperti>> rispetto ai giudici
togati, ha tuttavia ribadito che anche questi
esperti debbono avere quei requisiti di idoneità e_~
indipendenza ed imparzialità che, siccome si è
detto, sono necessari per tutti i giudici in genere
(sent. n. 108 del 1962).
-116
l.Ja Corte si è anche occupata delle disposizioni
della Costituzione riguardanti i Tribunali militari
(sentenze nn. 119 del1957 e 29 del1958).
Con riferimento all'art. 112, la sentenza n. 22
del 1959 ha affermato il principio dell'obbligo dell'esercizio
dell'azione penale da parte del Pubblico
Ministero, escludendo che tale esercizio possa
essere rimesso ad una valutazione discrezionale.
Il quale principio dell'obbligatorietà non impedisce,
peraltro, che la legge stabilisca in via generale
determinate condizioni perchè l'azione penale possa
essere promossa e proseguita.
* * *
r.,argamente impegnata è stata l'attività della
Corte nel campo dell'ordinamento regionale.
Nel risolvere le questioni sottoposte al suo esame
dallo Stato e dalle singole Regioni finora costituite,
sia in sede di sindacato di legittimità costituzionale
delle leggi statali o regionali, sia in sede di decisione
di conflitti di attribuzione per atti amministrativi
che lo Stato o le Regioni assumevano rientrare nella.
sfera della propria competenza, la Corte ha sempre
sentita ed affermata la necessità di coordinare ed
armonizzare i due principì fondamentali dell'unità
ed indivisibilità dello Stato, da un lato, e dell'autonomia
regionale, dall'altro, che sono stati contemporaneamente
posti_ a base del nuovo ordinamento
politico-territoriale dal disposto generale dell'art.
5 della Costituzione e dalle disposizioni specifiche
contenute nel titolo 5° della seconda parte di
essa, e negli statuti speciali delle Regioni: Sicilia,
Sardegna, Valle d'Aosta, Trentino-.Alto .Adige.
.A titolo puramente esemplificativo, richiamerò
talune sentenze nelle quali trovano particolari riconoscimenti,
a seconda della singolarità dei casi,
l'una o l'altra e.>igenza.
In riguardo alla prima esigenza va anzitutto
notato che la Corte ha fin dalle prime sentenze
affermato, ed in seguito costantemente ribadito,
che le Regioni, anche a statuto speciale, sono
tenute al rispetto di quei principi espressamente
enunciati dalla Costituzione od anche impliciti
necessariamente discendenti dal principio generalissimo
della unità ed indivisibilità della Repubblica,
che l'art. 5 pone come una delle basi fondamentali
del nostro Stato e che perciò costituisce
un limite insuperabile per le autonomie regionali.
.A questa prima esigenza possono ricondursi, per
esempio, le pronuncie della Corte nelle quali si
afferma:
l'unità della giurisdizione costituzionale (sentenza
n. 38 del 1957);
l'applicazione alle Regioni delle norme contenute
negli artt. 51, 81, 97, 120, ecc. della Costituzione
(sentenze nn. 6 del 1956; 105 del 1957; 13,
49 del 1961);
l'esclusione di una competenza regionale in
materia penale (sent. n. 6 del 1956) e nelle materie
regolate dal diritto privato ed in particolare
dal codice civile, salvo eccezioni nei rapporti intersubiettivi
privati giustificate da situazioni ambientali
particolari nelle singole Regioni, circoscritte
nel tempo (sent. n. 109 del 1957);
l'incompetenza delle Regioni a legiferare su
materie che non siano loro attribuite da esplicita
disposizione costituzionale (sent. nn. 124 del 1957
e 66 del 1961); l'impossibilità che si applichino in
via analogica istituti che non siano per esse previsti
nella Costituzione e negli· statutì régionali, quali la
decretazione di urgenza e la delegazione legislativa
(sentenze nn. 50 del 1959 e 32 del1961);
la necessità che il puro e semplice rinvio alla
« legge » fatto dalla Costituzione venga riferito
unicamente alla legge dello Stato (sent. n. 4 del
1956).
Quanto invece all'altra esigenza della garanzia
costituzionale delle autonomie regionali, indico,
sempre a titolo puramente esemplificativo, alcune
sentenze nelle quali si afferma:
che deve escludersi la facoltà del Governo
dello Stato di annullare di propria autorità gli
atti amministrativi del Governo regionale, in base
al potere generale di annullamento di atti illegittimi
che trova il suo fondamento nella legge comunale
e provinciale; e ciò per la ragione che, essendo
proponibile rispetto agli atti regionali che invadono
la competenza dello Stato il conflitto di attribuzione,
è esperibile da parte del Governo dello Stato
questo rimedio e non anche quello dell'annullamento
d'ufficio (sent. n. 38 del 1959);
che non è consentito l'assoggettamento della
Regione ad ordini o direttive dell'Amministrazione
statale in materie rientranti nella competenza
amministrativa della Regione, perchè ciò costituisce
violazione non solo della competenza di essa,
ma degli stessi principi fondamentali dell'autonomia
(sent. n. 15 del 1957);
che violano il principio dell'autonomia regionale
le norme delle leggi statali che pongano alla
Regione l'obbligo di «provvedere d'intesa>> con lo
Stato nell'esercizio di funzioni amministrative
demandate alla competenza della sola Regione,
nonchè quelle norme che prevedono l'impugnativa
in via amministrativa delle pronunce degli organi
di controllo, sugli atti degli enti locali costituiti
dalle Regioni (sentenze nn. 22 del 1956 e 73 del
1961).
.Accanto ai due suindicati gruppi di pronunce,
potrebbe configurarsene un terzo, nel quale la
competenza dello Stato e quella della Regione in
determinate materie sono considerate coesistenti.
Così, ad esempio, la sentenza n. 43 del 1958, che
dichiara spettare alla Regione siciliana la compe~
tenza a determinare le tariffe nei trasporti in concessione
regionali in Sicilia, nonchè ad autorizzare
mutamenti successivi di esse, e che nel contempo
afferma competere agli organi dello Stato il potere
di coordinamento generale dei prezzi;
la sentenza n. 40 del1961, nella quale si afferma
che il diritto allo scioglimento dei consigli dei
comuni e degli enti locali spetta alla Regione siciliana,
quando la causa del provvedimento sia la
persistente violazione della legge, e che spetta
invece allo Stato quando la causa -risieda nella
tutela dell'ordine pubblicJ, ecc.
Degno di menzione è il principio enunciato dalla
Corte che la legge dello Stato è operativa l.n tutto
il territorio della Repubblica anche per le materie
t&&&1&1& &fi1&M&&
117
di competenza esclusiva o primaria delle Regioni,
ma che non ha efficacia o cessa di averla qualora
nelle dette materie sia prima intervenuta o intervenga
dopo la legge regionale valida (sent. n. 7
del 1958).
Credo opportuno sottolineare inoltre che la Corte,
nell'affermare che l'effettivo trasferimento alle
Regioni di funzioni statali è condizionato dall'emanazione
di norme di attuazione da parte dello Stato,
ha posto in luce l'esigenza che si provveda a completare
la serie delle «norme di attuazione n degli
statuti regionali in modo da consentire alle Regioni
di esercitare in concreto la potestà di cui sono titolari
nel quadro del sistema della unità politica
dello Stato.
* * *
Per quanto attiene alla materia di cui alla sez. P
del titolo sesto riguardante la Corte costituzionale,
f\ da segnalare, oltre la suindicata sentenza n. p8
del1957, con la quale la Corte affermò l'unità della
giurisdizione costituzionale, la sentenza n. 13 del
1960, con la quale, dopo avere precisato la materia
fl la portata della sua funzione di controllo costituzionale,
ha messo in rilievo: « È pertanto da
respingere l'opinione che la Corte possa essere in-
clusa fra gli organi giudiziari, ordinari o speciali
(;he siano, tante sono, e tanto profonde, le differenze
tra il compito affidato alla prima, senza pre<
Jedenti nell'ordinamento italiano, e quelli ben noti
e storicamente consolidati degli organi giurisdizionali
n.
* * *
Hanno formato oggetto del giudizio della Corte
anche diverse disposizioni transitorie e finali, come
la VI, l'VIII, la IX, la XII, la XV (sentenze nn. 1,
32, 41, 119 del 1957; 40, 45, 58, 74 del 1958; 11,
30 del 1959; 41 del 1960; 22, 42, 49 del 1961; 14,
65, 83, 87 dell962).
* * *
Un cenno giova infine fare alla particolarità di
· taluni dispositivi delle decisioni della Corte.
Allo scopo di meglio adeguare le pronunce ai
casi concreti la Corte ha adottato talvolta varie
formule o tipi di dispositivo.
Così, ad esempio, quando per la dichiarazione di
illegittimità della disposizione impugnata ha adottato
la formula << in parte n o « per la parte in
cui n, e sopratutto quando ha adoperato l'altra
formula «illegittima in quanto n, ed ancora più
quando ha fatto riferimento alla motivazione con
la formula « ai sensi e nei limiti della motivazione ''·
Altra volta invece, come in una delle primissime
sentenze (la n. 3 dell956), nel dichiarare non fondata
la questione di legittimità sollevata contro
una norma (quella contenuta nell'art. 57, n. 1,
del Codice penale), la Corte, rendendosi interprete
della necessità di un intervento chiarificatore del
legislatore, ha nello stesso dispositivo aggiunto:
« salva la revisione del testo dell'art. 57, n. 1,
Codice penale, al fine di renderlo anche formalmente
più adeguato alla norma costituzionale n.
* * *
Per valutare appieno l'efficienza del lavoro della
Corte è bene tenere anche presente come tale lavoro
viene svolto.
Le grandi questioni, che nella giurisprudenza
della Corte tro.vano soluzione, sono dibattute non
nell'atmosfera accesa dei conflitti politici, ma nell'aria
serena propria di una Corte di giustizia, dopo
ampi approfonditi dibattiti condotti da eminenti
avvocati, sia dell'Avvocatura dello Stato che del
libero Foro, dei quali la Corte apprezza l'alto contributo,
e dopo approfondite discussioni dei Giudici
nella Camera di consiglio.
A quest'ultimo riguardo va notato che tali discussioni
non si limitano alla sola decisione della
controversia, ma si estendono alla motivazione ed
alla elaborazione dell'intero testo della sentenza,
cosicchè ne risulta di molto più oneroso il lavoro dei
Giudici, con indubbio vantaggio però per la ponderatezza
delle decisioni.
Per precisare ancora il modo con cui i Giudici
svolgono il proprio lavoro, giova aggiungere che,
a differenza del metodo comune alla decisione dei
giudizi da parte delle autorità giurisdizionali,
secondo il quale è sempre indicato il nome dell'estensore,
la Corte costituzionale ha adottato, con
le N orme integrative da essa stessa dettate, un
sistema per cui il nome dell'estensore non deve
essere indicato.
In tal modo il contenuto delle sentenze risulta
il prodotto di una attività ispirata all'applicazione
integrale del principio · della collegialità, con la
conseguenza che la personalità dell'estensore viene
assorbita e si trasfonde in quella unitaria del Collegio.
Ho creduto doveroso fare questi accenni perchè
possano anch'essi servire al futuro· storico della
Corte.
III - La necessità della Corte per la vita
ed il progresso dell'ordinamento costituzionale
Da questa, sia pur sommaria e necessariamente
incompleta esposizione dell'attività della Corte
costituzionale, mi pare risulti chiaramente che,
attraverso le sue pronunce, si è venuta formando
una somma di giurisprudenza costituzionale di
indubbia vasta portata.
L'evidente importanza di questa giurisprudenza
trova conferma tra l'altro, nel fatto che in molte
ordinanze, con le quali i giudici di merito propongono
alla Corte questioni di legittimità costituzionale,
si fa riferimento, oltre che alle disposizioni
della Costituzione, anche alle sentenze della
Corte, e trova altresì conferma nell'interesse teorico
e pratico con cui le sue decisioni sono attese e
quindi esaminate sia dai giuristi che dal_. grande
pubblico.
È opportuno, a questo punto, rilevare che, nel
suo compito di suprema interprete e garante della
Costituzione, la Corte costituzionale continua bensì,
in un certo senso, attraverso l'interpretazione,
LE :::ftFF&&
-118-
l'opera del Costituente, ma che non diventa per
ciò un organo superlegislativo, giacchè anche
quando prospetta, come ha fatto in parecchie
pronunce a cominciare da quella n. 3 del 1956
poc'anzi citata, l'esigenza obbiettiva di un intervento
del legislatore, non ne tocca la sfera di sua
esclusiva competenza, siccome è stato riaffermato
nella sentenza n. 64 del 1961 ed in quella più
recente n. 30 del 1962.
Con le sue sentenze la Corte costituzionale ha
apportato ed apporta un contributo essenziale alla
chiarificazione e talora anche all'integrazione stessa
dell'ordinamento costituzionale, ma sempre attraverso
l'interpretazione della Carta fondamentale.
* * *
Guardando, nel complesso, l'attività svolta dalla
Corte in questi primi sette anni formativi della
sua vita, che rappresentano, siccome ho detto, un
ciclo di importanza storica nell'attuarsi della Costituzione,
può adunque ben dirsi, senza tema di
esagerare, che ormai l'ordinamento costituzionale
italiano vigente non può essere integralmente conosciuto
ed inteso senza la conoscenza della giurisprudenza
della Corte costituzionale.
È quindi evidente che la vita ed il regolare funzionamento
dell'ordinamento costituzionale non
possono scompagnarsi dalla vita e dalla efficienza
della Corte costituzionale per la garanzia di quei
principi di rispetto della persona umana, di libertà,
di democrazia e di giustizia, che stanno a base della
Costituzione, e la cui integrale attuazione è indispensabile
per l'ordinato vivere dei cittadini ed il
pacifico progresso civile e sociale della N azione.
* * *
Chi non ha avuto la possibilità di essere presente
alla pubblica udienza del 22 gennaio scorso nella
quale l'illustre Presidente della Corte, on. prof. Gaspare
Ambrosini, alla presenza del Capo dello Stato,
ebbe a pronunciare un discorso di estremo interesse
sull'attività di quel supremo consesso nei primi sette
anni del suo funzionamento, sarà certamente lieto di
poter leggere il discorso stesso riportato nel nostro
periodico.
Discorso di estremo interesse sopratutto per la
sintesi mirabile con la · quale l'oratore è riuscito a
delineare, in una visione chiarissima, non solo la
genesi e le diverse competenze della Corte, ma anche
l'ampiezza del lavoro fin qui compiuto attraverso un
riassunto, sia pure per rapidi cenni, di tutta la giurisprudenza
della Corte. Arduo compito, invero, che
solo chi come il Presidente Ambrosini ha partecipato,
fin dall'inizio, quotidianamente, al lavoro della Corte
portandovi il contributo di una somma doUrina e diuna
profonda esperienza nel campo giuridico ed in
quello sociale e politico, ha potuto affrontare ed assolvere
con pieno successo.
Molto felicemente l'oratore ha voluto ricordare
le parole pronunziate il 23 aprile 1956 dal Presidente
della Corte De Nicola nel discorso inaugurale:
<< Noi abbiamo questo dono necessario per l'adempimento
dei nostri compiti: la fede, accompagnata da
una infrangile fermezza, che non ha nulla da vedere
con l'arbitrio. Non avremo bisogno nè di sprone nè
di freni per la nostra opera non effimera, ma duratura
attraverso una nuova giurisprudenza, che avrà
uno straordinario impulso sulla vita nazionale >>.
Noi che abbiamo seguito, non da semplici spettatori
ma da collaboratori, l'opera della Corte dando vita
a quel contraddittorio che la Corte stessa ha sottolineato
essere « il metodo considerato più idoneo dal
legislatore costituente per ottenere la collaborazivne
dei soggetti e degli organi meglio informati e più
sensibili rispetto alle questioni da risolvere ed alle
conseguenze della decisione n (sent. n. 13 del 1960)
constatiamo, quotidianamente, come essa abbia mantenuto
fermamente e puntualmente l'impegno assunto.
-Il Presidente A mbrosini ha nel suo discorso anche
tenuto giustamente a sottolineare come il lavoro della
Corte viene svolto, rilevando che « le grandi questioni,
che nellq, giurisprudenza della Corte trovano soluzione
sono dibattute non nell'atmosfera accesa dei conflitti
politici, ma nell'aria serena propria di una Corte di
giustizia dopo ampi approfonditi dibattiti, condotti
da eminenti avvocati sia dell'Avvocatura dello Stato
che del libero Foro, dei quali la Corte apprezza l'alto
contributo, e dopo approfondite discussioni dei Giudici
nella Camera di Consiglio »,
Siamo vivamente grati al Presidente ed alla Corte
dell'alto apprezzamento dimostrato nei riguardi dell'opera,
fin qui svolta, dagli Avvocati dell'Avvocatura
Generale dello Stato i quali hanno sempre posto,
e porranno anche in futuro, il massimo impegno
nell'esercizio delle funzioni loro affidate dal legislatore,
ben consapevoli che la collaborazione prestata
alla Corte nella soluzione di problemi costituzionali
di grande importanza per l'incidenza che la soluzione
stessa ha sull'ordinato sviluppo della vita del Paese,
qualifica ed eleva, su un piano del tutto nuovo e particolare,
l'attività che essi svolgono nell'interesse
della collettività nazionale.
NOTE D I
MARco J ANNI : Riflessi processuali del trasferimento
all'E.N.E.L. delle Aziende elettriche (in << Riv. dir.
proc. >>, 1963, p. 273.
L'A. si propone il quesito se ai rapporti processuali
pendenti che la legge 6 dicembre 1962, n. 1643
trasferisce all'E.N.E.L., si applichi l'art. 110 o il
successivo art. 111 del Codice di rito e perviene alla
· conclusione che l'ipotesi rientra integralmente
nella fattispecie contemplata dall'art. 111 C.p.c.
Nella specie, infatti, secondo l'A., non si verifica
una successione a titolo universale dell'Ente sia
perchè, almeno nella maggior parte dei casi, il
precedente titolare del rapporto non si estingue, sia
perchè, comunque, l'estinzione sarebbe successiva
al trasferimento, che, invece, nella successione a
titolo universale trova e deve trovare la sua causa
nell'estinzione del titolare. In definitiva l'A. ravvisa
nelll'!dpE>tesi legislativa un trasferimento di azienda,
che, peraltro, esclude si verifichi a titolo originario
e per effetto di un provvedimento espropriativo.
La soluzione accolta non ci convince. A nostro
avviso essa contrasta non solo con l'insegnamento
della giurisprudenza (Cass., 6 luglio 1942, I, 1, 483,
con nota adesiva di Di Blasi), la quale à escluso che
l'art. 111 C.p.c. si applichi all'ipotesi di vendita
forzata immobiliare, cioè, di trasferimento coatto
del diritto controverso, quanto con la chiara ed
inequivoca volontà del legislatore, che, peraltro,
s'inquadra in un ben preciso, recente indirizzo di
politica legislativa. Nè poteva trascurarsi la considerazione,
di per sè assorbente, che l'art. 111 C.p.c.
regola l'ipotesi di successione per atto tra vivi a
titolo particolare, cioè, di acquisto derivativo
negoziale del diritto, non del debito.
Pertanto, se si esclude l'ipotesi della successione
a titolo universale e, quindi, l'applicazione dell'art.
110 C.p.c. non può che darsi atto di una lacuna
della legge processuale, la quale, peraltro non
poteva disciplinare ex-professo una fattispecie eccezionale,
quale è la nazionalizzazione delle aziende
elettriche, tanto più che, com'è stato già affermato
dalla giurisprudenza. essa non disciplina direttamente
neppure l'ipotesi del trasferimento coattivo
del diritto controverso.
Nè può dubitarsi della natura espropriativa del
provvedimento, che trasferisce le imprese elettriche
all'E.N.E.L., e, conseguentemente, della nrutura
originaria, non derivativa dell'acquisto da parte
di questo ente. L'art. 43 Cost., che espressamente
prevede la possibilità di trasferire, mediante espropriazione,
e salvo indennizzo allo Stato o ad altri
enti pubblici determinate imprese o categorie di
4
DOTTRINA
imprese, esclude ogni dubbio in proposito. Il trasferimento
ex lege delle imprese elettriche all'E.
N.E.L. è una vera e propria espropriazione,
espressamente prevista e come tale disciplinata,
sulla base della Costituzione, dalla legge 6 dicembre
1962, n. 1643.
Escluso che la fattispecie possa ritenersi direttamente
disciplinata dagli artt. 110 e 111 C.p.c.,
occorre aver riguardo, ai sensi dell'art. 12 delle
preleggi, alle disposizioni che regolano casi simili
o materie analoghe.
Naturalmente, nella ricerca delle norme da applicare
l'interprete deve tener nel massimo conto
la volontà del legislatore e deve in primo luogo
accertare se la legge 6 dicembre 1962, n. 1643
abbia inteso trasferire all'E.N.E.L., insieme con
le imprese, i debiti ed i crediti ad essa afferenti,
estraniando definitivamente dal rapporto l'originario
titolare dell'impresa debitore o creditore.
In questa indagine l'interprete non può, a nostro
avviso, trascurare alcune altre, recenti leggi
speciali, che hanno previsto e disciplinato il trasferimento
di debiti. La legge 4 dicembre 1956,
n. 1404 dispone in merito alla soppressione e liquidazione
degli enti superflui; la legge 18 marzo 1958,
n. 356, al fine di evitare che la pendenza di qualche
giudizio ritardasse la chiusura delle opemzioni di
liquidazione degli enti soppressi à autorizzato il
Ministro per il Tesoro a trasferire, con proprio
decreto, i debiti in contestazione da uno ad altro ,
ente. Ija predetta legge dispone che <<l'ente debitore
è liberato dell'obbligazione, anche senza adesione
del creditore, con effetto dalla data di pubblicazione
del decreto >>. In questo caso la volontà
del legislatore è esplicita: il trasferimento, disposto
al fine di chiudere le operazioni di liquidazione
dell'ente a quo, ne consente ed impone l'estinzione,
con la conseguenza che titolare del rapporto processuale
in corso diventa esclusivamente l'ente
ad quem. Verrebbe meno lo scopo del trasferimento
e si tradirebbe la lettera e, sopratutto, lo
spirito della legge se si ritenesse che il processo
possa proseguire nei confronti dell'ente liberato
dall'obbligazione in virtù dell'imminente sua estinzione
e che ha, perciò, fornito all'ente ad quem,
come prescrive la legge speciale, la provvista occorrente.
Altre due recenti leggi regolano fattispecie analoghe:
la legge 14 febbraio 1963, n. 60, che ha.istituito
la Gestione case per lavoratori (GESCAL), -
e la legge 15 febbraio 1963, n. 133, che à istituito
l'I.S.E.S. (Istituto per lo sviluppo dell'edilizia
sociale); le predette leggi dispongono (rispettiva
== =
-120-
mente agli artt. 35 e 2) che il nuovo ente assume,
con effetto dalla data di entrata in vigore della
legge, la titolarità. attiva e passiva di tutti i rapporti
processuali degli enti soppressi (Gestione
INA-Oasa, Oomitato UNRRA-Oasa). Qui la volontà
del legislatore è chiarissima anche perchè è disciplinata
direttamente la fattispecie processuale,
cioè, la successione nel processo.
Alle stesse conseguenze, deve, a nostro avviso,
pervenirsi per i debiti ed i crediti relativi alle imprese
trasferite all'E.N.E.L. La legge 6 dicembre
1962, n. 1463 dispone (art. 4, nn. l e 9) che
il trasferimento. ha ad oggetto <<il complesso dei
beni organizzati per l'esercizio delle attività. ed i
relativi rapporti giwridioi >> nonchè « con tutti gli,
obb~ighi e i diritfi, le concessioni ed autorizzazioni
amministrative in atto attinenti la produzione, il
trasporto, la trasformazione e la distribuzione
dell'energia >>. È chiaro, quindi, che la legge vuole
attuare, con effetto dalla data del provvedimento
di trasferimento, che potrà., non dovrà. individuare
anche i rapporti trasferiti all'E.N.E.L. (art. 4,
n. 10), una successione dell'E.N.E.L. in tutti i
diritti e gli obblighi relativi alle imprese elettriche
trasferite, con la immediata liberazione dell'originario
titolare dell'impresa.
Alcuni argomenti di contorno confortano questa
tesi: l'indennizzo, ai sensi dell'art. 5, è determinato
con riferimento alla media dei valori del capitale
delle società, quale risulta dai prezzi di compenso
delle azioni nel periodo l gennaio 1959-31
dicembre 1961; dalla data di entrata in vigore della
legge i legali rappresentanti delle società esercenti
le imprese soggette a trasferimento sono costituiti
custodi delle imprese stesse senza poteri di disposizione
(art. 12, primo comma); gli atti di disposizione
compiuti dopo il l& dicembre 1961 possono
essere dichiarati nulli su istanza dell'E.N.E.L.t
quando abbiano diminuito la consistenza patrimoniale
ed economica o l'efficacia produttiva e,
tecnica dell'impresa (art. 12, secondo comma). ,
Oiò significa, a nostro avviso, che l'originario
titolare dell'impresa, al quale già dalla data di
entrata in vigore della legge è negato ogni potere
di disposizione del debito, ne viene definitivamente
liberato con effetto dalla data del provvedimento
di trasferimento e non può ulteriormente
risponderne anche perchè l'indennizzo è per legge
determinato con riferimento alla posizione debitoria
e creditoria dell'impresa alla data del
31 dicembre 1961.
Il trasferimento dell'impresa, con i crediti e i
debiti relativi, all'E.N.E.L. fa, perciò venir meno
la legittimazione sostanziale e processuale dell'originario
titolare dell'impresa e del rapporto processuale,
ponendo in essere una fattispecie analoga a.
quella regolata dagli artt. 110, 299 e 230 O.p.c.,.
con la conseguenza che il processo deve essere dichiarato
interrotto, salvo che l'E.N.E.L. si costituisca
volontariamente o l'altra parte provveda,
a citarlo in riassunzione.
G.G,.
RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA
CORTE COSTITUZIONALE
COSTITUZIONE- Leggi regionali- Assunzioni a pubblici
impieghi- Obbligo dell'osservanza art. 51 Costituzione.
(Corte Costituzionale, Sentenza, 25 maggio-8
giugno 1963, n. 86- Pres.: Ambrosini; Rel.: Branca -
Presidenza del Consiglio dei Ministri c. Regione Trentino
Alto Adige.
a) Contrasta con gli artt. 120, 51 e 3 della Costituzione
il disegno di legge 6 novembre 1962 della
Regione Trentino .Alto .Adige che limita la partecipazione
ai concorsi per sanitario condotto nei
comuni delle provincie di Trento e di Bolzano di
sanitari che, alla data del bando, figurino iscritti
negli albi professionali delle rispettive provincie;
b) Il legislatore regionale è regolarmente vincolato
all'osservanza dei divieti posti dall'art. 120
della Costituzione, divieti che comprendono anche
la ipotesi che ha speciale disciplina nell'art. 51,
primo comma della Costituzione.
Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza:
La Presidenza del Consiglio sostiene che la legge
regionale, ammettendo ai concorsi indetti per
medici, veterinari ed ostetriche solo i professionisti
iscritti nell'albo della provincia, entro cui è bandito
il concorso, contrasta con gli artt. 3, 51 e
120 della Costituzione.
La questione è fondata.
, La legge impugnata ha l'effetto, per non dire lo
scopo, di escludere dai concorsi per i suddetti
uffici pubblici i professionisti iscritti in albi diversi
da quelli di ciascuna provincia altoatesina; esclude
cioè, nella sostanza, coloro i quali risiedono nelle
altre provincie dello Stato. Ciò si concreta in una
discriminazione che per un verso non trova adeguata
giustificazione, per l'altro verso rivela una
tendenza non scevra di pericoli, a lungo andare,
per la stessa unità e indivisibilità dello Stato.
Non trova giustificazione poichè l'iscrizione nell'albo
di una provincia piuttosto che d'un'altra,
lungi dall'essere un requisito attitudinale, non ha
alcuna particolare attinenza con le funzioni che
sono chiamati a svolgere i sanitari nelle provincie
del Trentino-.Alto .Adige, funzioni analoghe a quelle
che si svolgono in ogni altra parte del territorio
nazionale; nè per assolverle in quella regione è
necessaria, a differenza che altrove, una particolare
conoscenza dell'ambiente. Tanto è vero che una
tale disciplina è assolutamente ignota e contrastante
alle leggi vigenti in ogni altra parte dello
Stato (il che s'è già detto, per un caso analogo e
con ampia motivazione, nella sentenza n. 104
del 1957).
La legge impugnata, inoltre, riserbando gli impieghi
sanitari ai soli residenti, pone una barriera,
fra provincia e provincia e rispetto al resto del territorio
nazionale, che tutt'al più potrebbe essere
consentita alla legislazione statale; infatti questo
sistema di escludere dagli uffici i non residenti, se
si estendesse, finirebbe per minacciare quell'unità
dello Stato che trova il suo riconoscimento, fra
l'altro, nell'art. 5 della Costituzione e la sua difesa
contro arbitri regionali nell'art. 120 della stessa
Costituzione. Il quale ultimo è stato a ragione
invocato dalla Presidenza del Consiglio poichè il
suo significato va oltre le singole ipotesi che vi
sono espressamente contemplate ed abbraccia anche
il caso che ha speciale disciplina dello art. 51 primo
comma.
La Corte, così pronunciando, non fa che confermare
la propria giurisprudenza. Le sentenze n. 15
del 1960 e n. 68 del 1961 non ne costituiscono una
deviazione, ma si spiegano, perchè vi si giudicava,
nella prima, d'una legge statale e, in tutte e due, di
situazioni assolutamente particolari e contingenti
disciplinate con metro particolare e contingente.
Il caso deciso nella sentenza che annotiamo è il
seguente:
Con disegno di legge impropriamente intitolato :
N orma transitoria per i concorsi a posto di sanitario
condotto, La Regione Trentina-Alto .Adige
aveva disposto la limitazione della partecipazione di
concorsi stessi ai << sanitari che, alla data del bando
di concorso, figurano regolarmente iscritti negli albi
professionali delle rispettive provincie >>.
Il Governo aveva rinviato il disegno di legge al
Consiglio regionale, ai sensi ed agli effetti dell'art. 49
dello Statuto speciale approvato con legge costituzionale
20 febbraio 1948, n. 5, perchè l'anzidetta
limitazione doveva ritenersi in contrasto con gli articoli
51 e 120 della Costituzione.
Il Consiglio regionale riapprovava il disegno di
legge nell'identico schema che era stato censurato e
rinviato dal Governo, anzi riproducendo con carattere
pe1·manente la norma precedentemente-· prevista
solo in via transitoria.
Da qui il ricorso del Governo, ai sensi dell'art. 49,
2° comma dello stesso statuto speciale, col quale
veniva sollevata la questione di legittimità costitu-
122-
zionale della anzidetta legge regionale, in relazione
agli artt. 120, 51 e 3 della Costituzione, nonchè allo
art. 4 n. 12 dello Statuto speciale della Regione
Trentino-Alto Adige.
La Corte Costituzionale ha accolto integralmente il
ricorso ravvisando nella limitazione introdotta con la
proposta di legge una discriminazione ingiustificata
sotto il profilo dei c. d. requisiti attitudinali ed escludendo
che la legge regionale possa riserva1·e gli impieghi
pubblici ai soli residenti nella Regione, in
base al principio fondamentale della unità dello
Stato sancito nell'art. 5 della Costituzione.
Vale la pena di segnalare l'una e l'altra massima,
per la loro importanza che trascende i limiti del
caso concreto.
* * *
I n ordine alla prima, rileviamo:
La Regione Trentino-Alto Adige ha competenza
legislativa primaria in materia di assistenza sanitaria
ed ospedaliera >> in forza dell'art. 4 n. 12 dello
Statuto speciale approvato con legge costituzionale
26 febbraio 1948, n. 5.
Peraltro, la suddetta competenza è limitata dal
1·ispetto della Costituzione, dei principi dell'ordinamento
giuridico dello Stato e degli interessi nazionali,
nonchè delle norme fondamentali delle riforme economico-
sociali della Repubblica.
Adunque, al pari del legislatore statale, il legislatore
regionale è vincolato al rispetto del principio
fondamentale della eguaglianza dei cittadini sancito
nell'art. 3 della Costituzione e del principio, da esso
derivato, circa l'eguale diritto dei cittadini nei
riguardi dell'accesso ai pubblici uffici (art. 51,
comma 1o della Costituzione); anzi, come si vedrà
a proposito della seconda massima, il legislatore
regionale resta ancora piu speoifioamente vincolato
dall'art. 120 della Costituzione nonchè dalle altre
fondamentali norme delle leggi costituzionali che,
in sede di approvazione degli statuti delle regioni
a statuti speciali, abbiano posto limiti invalicabili
per la legislazione 1·egionale anohe primaria, com'è
pm· eswmpio, del limite del rispetto dei << principi
dell'ordinamento giuridico dello Stato>> (l) stabilito
nall'art. 4, primo comma dello Statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige.
Pertanto, la 'f;alidità di una legge regionale la quale
restringa l'accesso ad impieghi o ad uffici locali ai
cittadini nati o, come avviene nella specie, residenti
nella regione si prestava ad essere sindacata, così
come è stata sindacata, alla stregua delle fonda,mentali
disposizioni, sopra richiamate, degli artt. 3,
51 e 120 della Costituzione in relazione all'art. 4
dello Statuto speciale T.A.A. Sotto il profilo del
contrasto con i principi sanciti negli artt. 3 e 51
della Costituzione, intesi nella loro connessione, è
~l) Com'è noto, questi princ1pn m relazione ed ai
fìni degli artt. 4 e 11 dello Statuto speciale TrentinoAlto
Adige sono stati definiti dalla Corte Costituzionale
con Ja, sentenza n. 6 del 1956.
da ricordare, anzitutto, che l'orientamento giurisprudenziale
della Ecc.ma Corte, affermato sia in
tema di interpretazione dell'art. 3 considerato da
solo che in connessione con l'art. 51, è nel senso
che il principio della eguaglianza, come limite alla
legge, se importa il divietò di adòzii:Yné di cause discriminatrici
di capacità del tipo di quelle espressamente
elencate nel primo comma dell'art. 3 (sesso,
razza, lingua, eco.), consente, peraltro, che in sede
di determinazione concreta dei << requisiti >> per questo
o per quello uffioio, il legislatore possa adottare
una disoiplina differenziata in base a quelle stesse
cause o ad altre non espressamente menzionate
nell'art. 3 considerate non piu come condizioni
(astratte) di capaoità, bensì come requisiti attitudinali,
dei quali il legislatore dovrebbe dare espressamente
oonto e che sono, comunque, soggetti, quanto
alla differenziazione con essi operata, al controllo
della Corte Costit1tzionale, sotto il profilo della loro
sufficienza e giustificatezza e della loro ragionevolezza.
Si puo vedere, al riguardo, tutta la giurisprudenza
della Corte, ormai costante, in tema di interpretazione
del principio di eguaglia.nza in genere
(a partire dalle sentenze 26 gennaio 1957, 14 luglio
1958 n. 53 a venire alle sentenze 15 luglio 1959
n. 46, e così via via fino alle sentenze nn. 7 e 8
del 27 febbraio 1962); nonchè in tema eguaglianza
nell'aocesso ai pubblici uffici (sentenza n. 56 del 3
ottobre 1958; sentenza n. 15 dei 28 marzo 1960;
Folie contro Commissario Governo Regione
Trentino-Alto .Adige; sentenza n. 33 del 18 maggio
1960: Oliva contro Presidenza del Consiglio
dei Ministri).
Si tratta, quindi, di valutare, caso per caso, se la
differenziazione adottata in ragione del sesso, della
razza, della lingua ecc. si possa ritenere adeguatamente
giustifioata come requisito attitudinario t·imesso,
entro i sopra indicati limiti, alla valutazione del lfjgislatore
o se, invece, si tratti di discriminazioni non
giustificate; peggio, poi, se adottate in via generale
e senza aloun apprezzabile connessione e riferimento
con situazioni particolari e locali.
Il controllo della ratio e del contenuto di questa
disciplina differenziata è non solo ammissibile, ma
anche necessario da parte della Corte Costituzionale;
proprio a garanzia certa e completa del rispetto
del principio della eguaglianza da parte sia del
legislatore statale che di quello regionale, giacchè,
altrimenti, sarebbe aperta la via all'eventuale arbitrio
da parte del legislatore in materia di disciplina
differenziata, con manifesta violazione del principio
della eguaglianza.
E, come è stato esattamente osservato anche in
dottrina (2), non dovrebbero esservi preoccupazioni
oirca il controllo dell'uso della c. d. discrezionalità
legislativa (non ammesso, com'è noto, dalla Corte
Costituzionale); giacchè si tratta di controlli di genere
e contenuto diversi, dei quali quello sulla sussistenza
di un giustificato motivo di differenziazione è non
(2) Cfr. PALADIN: Una questione di eguaglianza nello
accesso a pubblici u(fic1:, in « Giurisprudenza Costituzionale
"• 1960 p. 149.
-123-
solo pienamente ammissibile, ma altresì doveroso,
giusta qua.nto si è già rilevato (3).
"a Corte ha, quindi, ammesso questo controllo e
lo ha esercitato positivamente, ai fini della dichiarazione
di illegittimità costit~tzionale del disegno di
legge impugnato col ricorso.
La soluzione appare, ineccepibile, sotto ogni profilo.
Non v'è dubbio che il disegno di legge impugnato
attuasse ed, anzi, si proponesse addirittura lo scopo
di attua1·e, come esattamente ha detto la Corte, una
disciplina differenziatrice tm i cittadini della Repubblica
per quanto attiene alle condizioni di ammissibilità
ad un particolare impiego od ufficio pubblico
quale è quello per i posti di medico, veterinario ed
ostetrica condotti nei Comuni delle Provincie dell'Alto
Adige.
Invero, era sufficiente leggere il testo del disegno
di legge per convincersi che ai concorsi indetti
per i suddetti posti possono partecipare soltanto i
sanitari che, alla data del bando di concorso, figurassero
regolarmente iscritti negli albi professionali
delle <<rispettive >> province.
Il che significa, se non andiamo errati, che mentre
per tutto il resto del territorio nazionale i concorsi
a posti di sanitario condotto sono aperti a tutti i
cittadini aventi i normali requisiti per partecipare
ai concorsi del genere e residenti in qualunque
parte dello stesso territorio, in una parte della
Regione T.A.A. (e neanche in tutta la Regione) la
partecipazione ai suddetti concorst veniva limitata
ai sanitari iscritti, alla data dei bandi, negli albi
professionali delle due provincie; con l'ulteriore specificazione
che, essendo la tenuta degli albi professionali
delle professioni sanitarie organizzata su base
provinciale (artt. 3, 7 ed 8 del D.L.C.P.S. 13 settembre
1946, n. 233), ai concorsi indetti per la provincia
di Bolzano non avrebbero potuto partecipare
neanche i sanitari iscritti nell'albo professionale della
provincia di Trento e viceversa.
La memoria difensiva della Regione - non certo
il disegno di legge, che non dava alcuna ragione od
accenno di ragione di tale disciplina differenziata
- spiegò al riguardo, che si sarebbe inteso assumere
a << requisito attitudinale >> per l'accesso ai concorsi
di sanitario condotto nelle due provincie la residenza
in ciascuna delle provincie stesse, per quanto indirettamente,
cioè attraverso la iscrizione nell'albo professionale.
Senonchè, anche se considerata come <<requisito
attitudinario >> la limitazione non poteva sfuggire alla
censura d'una assoluta e manifesta arbitrarietà -
sotto il profilo della violazione· del principio della
eguaglianza - conclamata da un complesso di evidenti
ragioni.
N ella memoria della Regione si tentò di integmre
le deficien.ze del provvedirnento e di sottrarlo alla
censura di arbitrarietà e, comunque, di non giustificata
discriminazione, asserendosi che la giustifi-
(3} Appare, al riguardo, del tutto convincente ·n
parallelo con l'orientamento giurisprudenziale della Corte
Costituzionale della Germania occidentale la quale,
mentre si è rifiutata di sindacare il merito delle leggi,
si è sempre ritenuta competente a sindacare l'arbitrio
del legislatore in materia di eguaglianza.
cazione sarebbe stata n~lla esigenza che i sanitari
abbiano quella conoscenza dei problemi locali che
può ad essi venire dal vivere a contatto con la popolazione,
ed invocandosi, a pi1't riprese, il « precedente
>> che sarebbe costituito dalla decisione della.
Corte Costituzionale n. 15 del 28 marzo 1960.
Ma, l'autorità di questo <<precedente>> è stata
dalla Corte rettamente esclusa nel caso in esame,
sia perchè si trattava di specie del tutto particolare
e diversa (legge statale che limitava agli << oriundi >>
la frequenza dei corsi di preparazione per i concorsi
a segretario comunale nei ruoli provinciali di Bolzano),
sia perchè nella stessa sentenza n. 15 del 1960
è detto espressamente che la decisione è stata dettata
dalle considerazioni particolarissime del caso di
specie (posti di segretario di piccoli comuni alpestri
in zone di confine) non escludendosi, neanche
nella stessa particolare materia, che << per altre zone
del territorio nazionale e per altri uffici della stessa
provincia di Bolzano una norma di questo genere
non sarebbe o potrebbe non essere giustificata ... »;
ed è anche detto che, se invece di legge statale si fosse
trattato di legge regionalE>, la decisione sarebbe stata
esattamente opposta, in considerazione dei limiti derivanti
al legislatore regionale dall' aTt. 120 della Costituzione,
limiti che la Corte ha ritenuto invalicabili e
che, invece, risultamno disinvc ltamente trasgrediti
nel caso in esame.
Tornando alla << giustificazioni >> (delle quali non
è traccia nella legge) del trattamento differenziato dei
cittadini in ordine all'accesso ai concorsi in questione,
era evidente che esse non avessero fondamento.
I nvero, per i concorsi dei sanitari condotti n è la
residenza e anche la nascita in una determinata
località del territorio nazionale possono indurTe una
ragionevole presunzione che i residenti od i nativi
esercitino la funzione sanitaria meglio in quella
località che nelle restanti parti del territorio e, quindi,
possono mai concretare << requisito attitudinario >>Questo
preteso requisito non sarebbe stato in alcuna
rela,zione col fatto della residenza (e, tanto meno~
col fatto della nascita), residenza che, oltre tutto, poteva
essere, anche in base al disegno di legge impugnato·,
meramente occasionale ed accidentale ed anche dt:
recentiseima acquisizione (in tesi, un giorno prima
dalla data del bando!).
Comunque, non vi era, nè poteva essere dimostrata,
alcuna seria e ragionevole correlazione tra l'esplicazione
delle funzioni proprie del sanitario condotto e la
iscrizione agli albi professionali nelle provincie di
Trento o di Bolzano o con la residenza dalla iscrizione
stessa presupposta: anzi, la comune esperienza
in materia doveva insegnare che spesso proprio i
sanitari già esercenti in loco la libera professione
possono essere portati a trascurare, sotto vari aspetti,
le funzioni dell'ufficio pubblico (condotta) al quale
vengano assunti. E poi, non vi era, nè vi poteva
essere alcuna prova che i sanitari iscritti agli albi
professionali delle due provincie conoscessero i problemi
e le condizioni locali (quali ? ) meglio di quelli
che avessero, ad es. esercitato per anni la pròfèssione
localmente e si fossero in seguito trasferiti altrove r
Quindi, il « requisito >> doveva, se mai, vertere su
altre << attitudini >>, non sulla semplice e non meglio
definita iscrizione negli albi professionali delle due
provincie, non senza rilevare che la limitazione del---
124 -
l'accesso all'ufficio di sanitq,rio condotto ai residenti
ed iscritti negli albt delle due provincie localizzava
e circoscriveva agli iscritti a questi albi, con una
specie di ritorno al passato addirittura..... medievale,
la partecipazione ad un concorso che doveva essere,
invece, aperta a tutti gli iscritti agli albi tenuti da
tutti gli Ordini e Collegi provinciali d'Italia. La
giustificazione della difierenziazione diveniva, infine,
assurda ove si fosse considerato che, in base al disegno
di legge, il sanitario iscritto all'albo professionale dei
·medici di Bolzano non poteva neanche concorrere ai
posti di medico condotto bandito per la provincia di
Trento e viceversa !
La soluzione negati-va data dalla Corte a questo
aspetto di legislazione ·regionale merita, quindi, il
piu ampio consenso.
* * *
Importantissima è, poi, l'affermazione di principio
ribadita, con la seconda massima, in tema di limiti
alla legislazione regionale in genere, cioè compresct
quella a statuto speciale.
La Corte Costituzionale ha riatfermato la interpretazione
dell'art. 120 della Costituzione, data già con
la sentenza n. 15 del 28 marzo 1960, nel senso che i
limiti in esso contenuti sono assoluti ed inderogabili
per il legislatore .regiona.le, mentre è consentito solo
al legislatore statale di valutare ed identificare particolari
settori di ter1·itm·io o di popolazione al fine di
dettare per essi una disciplina diffm·enziata, nel
quadro dell'interesse generale della collettività nazionale.
Questa valutazione- ha ribadito l'attuale sentenza
- non può essere fatta, a seni dell'art. 120 dal legislatore
regionale, in quanto andrebbe contro << la
stessa unità ed indivisibilità dello Stato >> che la
Costituzione, pur prevedendo l'<< ordinamento regionale
>> ha inteso garantire con le fondamentali disposiziòni
degli artt. 5 e 120.
La sentenza ha soggiunto che l'a.rt. 120 ha tm
significato ed una portata che va olt1·e le singole
ipotesi che vi sono espressamente contemplate ed
abbraccia anche il caso che ha speciale disciplina
nell'art. 51, primo comma della Costituzione ..
La riaffermazione del principio è tanto piu importante,
in quanto essa segue alla opinione nettamente
opposta o manifestata da parte della dottr2na,
in ordine alla questione stessa, subito dopo la p1.tbblicazione
della senttnza 28 marzo 1960, n. 15 (4).
LUCIANO TRACANN .A
COSTITUZIONE - Nomina dei giudici da parte della
suprema magistratura artt. 135 e 137, legge 11 marzo
1953, n. 87, artt. 1 e 2. (Corte Costituzionale, sentenza
27 giugno-3 luglio 1963, n. 111- Pres.: Ambro·
sini; Rei.: Cassandro.
1) Rimessa ritualmente, mediante il procedi
mento incidentale all'uopo previsto, una questione
di legittimità costituzionale all'esame della Corte,
questa non può procedere alla indagine sulla com-
(4) Cfr. PALADIN: Una qu.estione, ecc., p. 152,
petenza del Giudice che ha ·emesso la ordinanza di
rinvio, così come non può esaminare qùestioni atti-·
nenti alla giurisdizione, nè alla regolarità della
costituzione del rapporto proeessuale presso questo
Giudice.
2) L'art. 2, lettera e) della legge 11 marzo 1953,
n. 87 sulla composizione dello speciale collegio
elettorale presso la Corte dei C~:mti per la elezione
del Giudice costituzionale da parte di quella Magi_.
stratura, non è in contrasto con l'art. 135 della
Costituzione.
Per una completa informazione delle gravi e nuove
questioni trattate, riteniamo opportuno trascrivere
integralmente la sentenza, nella esposizione di fatto
e nella motivazione di diritto.
RITENUTO IN FATTO
l. Con ricorso notificato il 26 febbraio 1963 e
depositato il 28 dello stesso mese, il dott. Pasquale
Paone ed altri 37 primi referendari e referendari
della Corte dei conti chiesero alle Sezioni riunite
che fosse annullato, o quantomeno dichiarato illegittimo
e illecito, il decreto 15 febbraio 1963,
n. 12, con il quale il Presidente della Corte dei conti
aveva convocato il collegio per l'elezione del giudice
costituzionale riservata a detta Corte; e che
la stessa dichiarazione si dovesse fare, unitamente
o disgiuntamente, del comportamento del medec
simo Presidente.
I ricorrenti desumevano i motivi del ricorso dal
fatto che il citato decreto dichiarava che del collegio
elettorale dovessero far parte soltanto il
presidente, i presidenti di Sezione, il procuratore
generale, i consiglieri e i vice procuratori generali
(tranne coloro tra essi che fossero in posizione di
aspettativa o di fuori ruolo per esercitare funzioni
non d'istituto); e ciò in violazione dell'art. 135
della Costituzione che, parlando dei giudici costituzionali
da nominarsi dalle << supreme magistrature
ordinaria e amministrative n, ha certamente
ricompreso tra queste la Corte dei conti e tra i
magistrati di questa anche i primi referendari e i
referendari. N ello stesso tempo i ricorrenti sollevavano,
come necessariamente pregiudiziale, la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 2,
lettera e, della legge 11 marzo 1953, n. 87, che,
determinando la composizione del collegio elettorale
nel modo sopraesposto e puntualmente osservato
nel decreto del Presidente della Corte dei
conti, avrebbe violato il richiamato art. 135 della
Costituzione.
Le Sezioni riunite hanno preliminarmente affermato
che il decreto denunciato ben poteva essere
enucleato dal complesso procedimento, che si conclude
con la proclamazione del giudice costituzionale,
e autonomamente impugnato, in quanto
esso comporta il disconoscimento del preteso diritto
di voto dei primi referendari e referendari, -nonchè
dell'esercizio di codesto diritto. In conseguenza
esso opera la violazione di un diritto soggettivo
perfetto e fa sorgere un interesse attuale al ricorso,
interesse che permane, permanendo la lesione, nella
-125-
sua attualità, anche dopo la conclusione del procedimento.
In secondo luogo affermavano che non
può essere messa in dubbio la giurisdizione-competenza
delle Sezioni riunite a conoscere della controversia,
giurisdizione-competenza che risulta dal-
' l'art. 65 del T. U. 12 luglio 1934, n. 1214, sul
contenzioso d'impiego della Corte dei conti, che
assegna a questa la competenza a pronunziare sui
reclami dei propri dipendenti, riguardino essi diritti
soggettivi o interessi legittimi. E poichè non potrebbe
negarsi che il preteso diritto al voto per
.l'elezione del giudice costituzionale sia un diritto
soggettivo di ordine funzionale, ricompreso tra gli
attributi che costituiscono lo status dei magistrati
della Corte dei conti, se ne deve trarre la conseguenza
che la controversia è di quelle devolute alla
giurisdizione-competenza di detta Corte.
Sul merito della questione la Corte, ricordato
che le parti hanno richiamato a sostegno della
loro tesi i lavori parlamentari relativi alla legge
n. 87 del 1953, riconosce che questi offrono uno
scarso ausilio per l'interpretazione della formula
adoperata nella Costituzione « supreme magistrature
ordinaria e amministrative n, ma aggiunge che
essi forniscono, tuttavia, cc apprezzabili ragioni di
dubbio in ordine alla rispondenza delle norme di
legge ordinaria al precetto costituzionale». In conseguenza
ha ritenuto la questione, a suo avviso
.. di evidente rilevanza ai fini del giudizio principale,
non manifestamente infondata e, con ordinanza
25 aprile 1963, ha sospeso il giudizio e trasmesso
gli atti a questa Corte.
L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti e
al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata
ai Presidenti dei due rami del Parlamento, è
stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 132
del 18 maggio 1963.
2. Nel presente giudizio si sono costituiti i
dott. Pasquale Paone, Giuseppe Mareddu e Ugo
D'Orso, rappresentati e difesi dagli avvocati Carlo
Fornario e Massimo Severo Giannini. Nelle deduzioni,
depositate il 31 maggio 1963, la difesa sostiene
la. tesi che l'art. 135 della Costituzione, laddove
parla di supreme magistrature amministrative, intende
fare riferimento a tutti i magistrati che concorrono
a costituirlo, non già a coloro che rivestono
i gradi gerarchici più elevati. La soluzione
adottata dalla legge 11 marzo 1953, n. 87, che si
potrebbe definire dei cc supremi magistrati delle
supreme magistrature n, sarebbe una soluzione restrittiva
del disposto costituzionale.
I primi referendari, i referendari e i sostituti
procur.;1tori generali, come risulta dalla legislazione
relativa alla Corte dei conti, hanno sempre fatto
parte del gruppo che la difesa chiama cc di magistratura
n, contrapponendolo a quello cc non di magistratura
». Vero è che i vice referendari e gli
aiuto referendari facevano un tempo parte del
personale di concetto della Corte dei conti, ma è
altrettanto vero che la legge 21 marzo 1953,·n. 161,
soppresse questo gruppo e creò un unico ruolo di
magistratura del quale fanno parte i primi referendari
e i referendari, i quali, pertanto, concorrono
a costituire la suprema magistratura amministrativa
di cui parla l'art. 135 della Costituzione. Del
che sarebbe conferma il fatto che i ricordati magistrati
della Corte dei conti, come si evince anche
dal sistema, svolgono funzioni cc oggettivamente e
soggettivamente » proprie dei tre uffici principali
della Corte dei conti: di controllo, gìur1sdizionale
e della procura generale, e non diverse, perciò, da
quelle dei consiglieri e dei vice procuratori generali,
insieme con i quali sono addetti a sezioni giurisdizionali
o ad attività di controllo.
Conclude chiedendo che la Corte dichiari l'illegittimità
costituzionale dell'art. 2, lettera c, della
legge ll·marzo 1953, n. 87, in riferimento all'art. 135
primo comma, ultima parte, della Costituzione.
3. È intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato.
La tesi dell'Avvocatura, quale risulta dall'atto
di intervento depositato il 30 maggio scorso, si
articola su , tre punti, due pregiudiziali e uno di
merito.
I) Il rapporto processuale di merito, il provvedimento
di rimessione e, di conseguenza, il rapporto
processuale in questa sede sarebbero viziati dal
fatto che la Corte dei conti non ha considerato, ai
fini dell'ammissibilità del ricorso e della sussistenza
dei presupposti per un valido instaurarsi del giudizio
davanti alla Corte costituzionale, la posizione di
colui che fu proclamato eletto, cc unico controinteressato
al ricorso» e comunque legittimato a
contraddire anche in ordine alla sollevata questione
di costituzionalità, nè quella dei magistrati che
fanno parte del collegio elettorale, anch'essi senza
dubbio controinteressati all'impugnativa del decreto
de quo.
Il) La questione sarebbe inammissibile perchè,
riferendosi essa alla validità della nomina di un
giudice costituzionale, rientrerebbe nell'ambito della
competenza-prerogativa di questa Corte, esclusiva
di ogni altra giurisdizione generale o speciale, e tale
da estendersi ad ogni atto del procedimento di
nomina, sia questo atto preparatorio, o terminale
e conclusivo . .Avrebbe qui vigore il principio costituzionale,
che si applica ai giudizi sui titoli di ammissione
dei componenti delle due Camere (art. 66
della Costituzione), sulla base dell'assoluta autonomia
e indipendenza della Corte ·costituzionale.
La quale, nell'esercitare questa sua competenzaprerogativa,
potrebbe decidere, secondo l'Avvocatura,
ogni questione pregiudiziale circa la costitu- ·
zionalità delle norme cc che regolano la formazione
del titolo )).
III) La questione è infondata nel merito, perchè
nello stabilire quali siano i requisiti per la
nomina dei giudici costituzionali riservata alle
supreme magistrature, si deve tener conto della
situazione qual' era al momento in cui il Costituente
dispose mediante un rinvio recettizio sostanziale -a
una norma di grado inferiore, non già ai sopravvenuti
mutamenti che comporterebbero una modifica
della norma costituzionale ad opera della legge
lQ&&miì
T :m;
-126-
ordinaria. Deve perciò intendersi per membro o
componente della suprema magistratura chi riveste
in effetti la quali:fica e ne esercita la relativa funzione
«con partecipazione necessaria ed incondizionata
e con le relative garanzie n, non già chi
aspira alla prima ed esercita la seconda soltanto a
titolo semipieno o suppletivo, come avveniva per
gli aiuto referendari al momento dell'entrata in
vigore della Costituzione e come avviene tuttora
per i referendari, che hanno funzioni limitate nel
tempo e per il contenuto.
L'Avvocatura riprende, infine, un accenno che
si legge nell'ordinanza di rinvio circa la particolare
« forzà >> e natura della legge 11 marzo 1953, n. 87,
rimettendosi alla Corte per quanto attiene, nei
riguardi di questa legge, ai limiti del controllo
di costituzionalità della Corte stessa.
4. In un'ampia memoria depositata questo 7 di
giugno, la difesa dei ricorrenti respinge le eccezioni
pregiudiziali dell'Avvocatura. La sua tesi è che
occorre distinguere tra questioni relative al ·diritto
elettorale e questioni relative alle operazioni elettorali
e che danno luogo a un giudizio di convalida,
il quale sarebbe un giudizio amministrativo contenzioso,
ossia un giudizio non giurisdizionale. Le
questioni del primo tipo, quando si tratti, come
nel caso, di elezione-nomina, non sono mai di competenza
del giudice della convalida o dell'elettorato
passivo. E poichè il ricorso contro il decreto del
Presidente della Corte dei conti è un ricorso avente
ad oggetto un diritto di elettorato attivo di rilevanza
costituzionale, ne dovrebbe conseguire:
l) che non si possa parlare di controinteressati,
ma, se mai, di autorità resistente;
2) che non sussiste la. pretesa competenza
assoluta ed esclusiva di questa corte, giudice,
viceversa, della « convalida n.
Nè il fatto che la controversia, trattandosi di
un collegio elettorale di formazione automatica,
in quanto la qualità di membro è legata al possesso
di uno status giuridico, possa sorgere soltanto
quando sia convocato il collegio, è circostanza
sufficiente a trasformare la controversia in una
controversia relativa alle operazioni elettorali.
N el merito, la difesa, distinte le funzioni della
Corte dei conti in funzioni di pubblico ministero
e funzioni di decisione (a loro volta distinguibili in
giurisdizionali e di controllo), sostiene che i primi
referendari e i referendari assolvono alle medesime
funzioni dei consiglieri con qualche differenza,
che è « del tipo di quelle che si ascrivono alle esigenze
tecnico-funzionali >>, differenze che poi nelle
funzioni di pubblico ministero non esisterebbero
punto.
Replicando poi alla tesi della mancanza di pienezza
di garanzie di cui soffrirebbero referendari
e primi referendari, con particolare riferimento alla
guarantigia di inamovibilità dalla quale quelli
sarebbero esclusi ai sensi dell'art. 8 del T. U.
12 luglio 1934, n. 1214, la difesa asserisce che tale
norma deve intendersi tacitamente abrogata dalla
legge 21 marzo 1953, n. 161, e, nel caso ciò non si
ritenesse, formula espressa domanda giudiziale perchè
la Corte sollevi direttamente dinanzi a se
stessa, secondo le norme di rito, la relativa questione
di legittimità costituzionale.
Quanto, infine,· alla competenza della Corte a
sindacare la legittimità costituzionale della legge
11 marzo 1953, n. 87, la difesa-sostiene che, quale
che sia la categoria nella quale questa legge debba
essere iscritta, sarebbe certo il suo carattere di
legge non costituzionale e quindi la sua assoggettabilità
all'esame di questa Corte.
5. Anche l'Avvocatura in una non meno ampia
memoria del 7 scorso ripropone le sue tesi, ribadendole
con copiosi richiami ai lavori preparatori
e alle leggi che hanno regolato e regolano la Corte
dei conti.
Ai fini di una migliore precisazione dei termini
della controversia è sufficiente richiamare i seguenti
punti:
l) la competenza esclusiva della Corte costituzionale,
che deriva dal principio della divisione
dei poteri, sarebbe giustificata anche dal fatto che,
nei collegi previsti dalla legge per l'elezione dei.
giudici costituzionali da parte delle superme magistrature,
l'elettorato attivo coinciderebbe con
quello passivo, sicchè ogni questione relativa alla
partecipazione a quei collegi diventerebbe insieme
questione relativa alla capacità di essere eletto e,
come tale, necessariamente devoluta a una <<competenza
unitaria n, qual'è quella spettante a questa
Corte in sede di verifica dei titoli. r~a quale competenza
sarebbe diversa da quella normalmente attribuita
dall'art. 134 della Costituzione nel senso
che essa si eserciterebbe indipendentemente dalle
condizioni e dai presupposti stabiliti nei casi ordinari
dalla legge, potendo la Corte conoscere << sovranamente
ed esclusivamente >> di tutte le questioni
che attengano alla << validità del titolo n e, ove
necessario, risolvere direttamente e di ufficio le
eventuali questioni di legittimità costituzionale.
I singoli interessati e gli organi giurisdizionali e non
giurisdizionali che si trovassero di fronte a questioni
relative alla validità del titolo, potrebbero avvalersi
della facoltà di farne denuncia alla Corte
costituzionale, al solo fine di eccitarne << il potere
sovrano ed esclusivo di decisione in materia n;
2) conferma della tesi che la norma di attuazione
impugnata non contrasti con l'art. 135, si
trarrebbe da questo medesimo articolo, laddove
stabilisce la nomina dei cinque giudici riservata
alle supreme magistrature ordinaria e amministrative
senza riferirsi ai magistrati << tutti >> dì
tali magistrature, e laddove indica, come requisiti
dei giudici costituzionali in genere, la particolare
qualifica di magistrati anche a riposo delle"giurisdizioni
superiori, di professori universitari e di
avvocati. Tale indicazione deve necessariamente
riflettersi, sostiene l'Avvocatura, sulla composizione
dei collegi, stante la circostanza già messa
in rilievo che coloro i quali sono chiamati a far
parte dei collegi, sono anche quelli __ cl). e possono
essere eletti.
3) la partecipazione all'esercizio dell'attività
giurisdizionale non è per i primi referendari e i
referendari necessaria e incondizionata, ma eventuale
e subordinata al verificarsi di determinati pre-
127-
supposti, collegati in sostanza a una valutazione
discrezionale del superiore gerarchico (nomina a
relatore, incarico di sostituzione). Primi referendari
e referendari sono in conseguenza gli unici magi-
. strati della Corte a non godere della cosiddetta
· « inamovibilità perfetta >>.
Infine, l'art. 105 del Testo unico del 1934,
richiamato e mantenuto in vigore anche dalla più·
recente legge sull'ordinamento della Corte dei conti
(20 dicembre. 1961, n. 1345, art. 11) stabilisce che
il numero complessivo dei primi refererendari e dei
referendari non può essere superiore a due nelle
singole sezioni e a quattro nelle. sezioni riunite,
assicurando cosi sempre la prevalenza della volontà
dei magistrati delle categoria qualificate, cioè di
quelli che rivestono la qualifica ed esercitino la
funzione propria di magistrato della Corte dei
eonti.
6. All'udienza dell4 giugno 1963, le parti hanno
illustrato i punti salienti delle rispettive tesi e
hanno insistito nelle loro conclusioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
l. In primo luogo deve essere respinta l'eccezione
pregiudiziale dell'Avvocatura dello Stato, giusta
la quale la Corte dei conti sarebbe incompetente a
conoscere la questione oggetto del ricorso davanti
alle Sezioni riunite.
La tesi della difesa del Presidente del Consiglio
che, trattandosi di una questione relativa alla validità
della nomina di un giudice costituzionale,
sussisterebbe una competenza esclusiva ed assoluta
di questa Corte, non può trovare ingresso in questa
sede. La Corte è stata, infatti, chiamata a giudicare
della legittimità costituzionale di una norma
di legge e non può procedere all'indagine sulla competenza
del giudice che ha emesso l'ordinanza di
rinvio, come non può esaminare e risolvere questioni
attinenti alla giurisdizione. Su questi punti
la giurisprudenza della Corte è costante e ferma
(cfr. da ultimo la sentenza n. 65 del 7 giugno 1962).
Alla Corte spetta soltanto di.accertare che la questione
provenga da un'autorità giurisdizionale, sia
sorta nel corso di un giudizio e ne sia sufficienteménte
dimostrata la rilevanza ai fini della decisione
del giudizio principale. Tutte e tre queste
èon:dizioni si verificano nel caso presente, non
potendosi porre in dubbio il carattere giurisdizionale
dell'organo che ha proposto la questione, nè
che l'ordinanza sia stata pronunciata nel èorso
di un giudizio; e non essendo stata affacciata nemmeno
dall'Avvocatura la tesi che la questione non
fosse in rapporto di pregiudizialità col giudizio
principale.
Tutto quanto precede non tocca la questione,
affatto diversa, dell'estensione· dei poteri della
{)orte in tema di giudizio sulla validità dei titoli
dei suoi membri o dei titoli di ammissione dei
suoi componenti, che norme costituzionali riservano
ad essa sola (art. 3 ·legg!'l costituzionale 9 febbraiq
1948, n. 1, e art. 3 legge costituzionale 11 marzo
1953, .n .. 1).
5
Le eventuali questioni che sorgessero a questo
proposito devono rimanere pertanto affatto impregiudicate.
2. Le medesime ragioni valgono a fortiori nei
confronti dell'altra eccezione di inammissibilità,
fondata sul fatto che non sarebbero stati presenti
nel giudizio a quo coloro che l'Avvocatura ritiene
necessari controinteressati (il presidente di sezione
eletto giudice costituzionale e gli appartenenti al
collegio elettorale convocato dal Presidente della
Corte dei conti). Questa infatti è una eccezione
che riguarda il legittimo instaurarsi del rapporto
processuale davanti al giudice a quo, sul quale
ancora meno può portarsi il giudizio di questa
Corte, che deve, in conseguznza, procedere ad esaminare
nel merito la questione di legittimità dello
art. 2 lettera c della legge .11 marzo 1953, n. 87.
3. Le parti hanno a lungo discusso sullo status
dei primi referendari e dei referendari per trarne
sostegno alle loro opposte tesi. La difesa dei ricorrenti
non ha negato che qualche differenza esista
tra essi e i consiglieri della Corte dei conti, ma ha
qualificato codeste differenze « del tipo di quelle
che si ascrivono alle esigenze tecnico-fp.nzionali n.
Viceversa, l'Avvocatura ha insistito sulla circostanza
che la partecipazione all'esercizio dell'attività
giurisdizionale da parte dei primi referendari
e dei referendari non è necessaria e incondizionata,
ma eventuale e subordinata al verificarsi di pre~;~
upposti collegati, in sostanza, a una valutazione
discrezionale di altri organi, e che essi, pertanto,
esercitano la funzione che è propria dei consiglieri
soltanto a titolo semiproprio o suppletivo. Detto
diversamente, primi referendari e referendari svolgerebbero
le funzioni giurisdizionali e anche quelle
di pubblico ministero non già istituzionalmente,
sul fondamento diretto della legge, che organizza
e regola l'attività della Corte dei conti, ma, in ogni
caso, per il tramite di un atto di preposizione allo
ufficio del Presidente della Corte o del Presidente
del Consiglio dei Ministri (art. 2 R. D. 13 agosto
1933, n. 1038; art. 5 del T. U. 12 luglio 1934,
n. 1214; art. lllegge 20 dicembre 1961, n. 1345).
4. Tuttavia. la Cor~e, pur rendendosi conto del
peso e dell'importanza degli argomenti addotti
dall'Avvocatura, ritiene che il sistema creato dalla
Cost~tuzione e dalle leggi che per questa parte la
integrano e la attuano, offra elementi sufficienti per
dichiarare non fondata la sollevata questione di
costituzionalità.
L'art. 135 della Costituzione stabilisce che un
terzo dei giudici della Corte siano eletti dalle
~< supreme p:1agistrature ordinaria e amministrative
n. Si tratta, come è chiaro, di un precetto che
ha bisogno di essere integrato e specificato, come
lo stesso Costituente riconosce (e non soltanto in
relazione a questa specifica norma), quando rinvia
nel successivo art. 137 a una legge costituzionale
per quel che attiene alle condizioni, le forme e i·termini
di proponibilità dei giudizi di legittimità
costituzionale e alle garanzie di indipendenza dei
giudici della Corte (primo comma); e alla legge
-128-
ordinaria per le « altre norme necessarie per la
costituzione e il funzionamento della Corte ». Il
che trova conferma nell'art. l della legge costituzionale
11 marzo 1953, n. 1, che ribadisce il rapporto
sistematico che intercorre tra earta costituzionale,
leggi costituzionali e legge ordinaria, la quale ultima
definisce come « emanata per la prima attuazione
delle predette norme costituzionali ».
Da ciò non può dedursi, come qualche cenno
dell'ordinanza di rimessione e i più aperti assunti
della difesa del Presidente del Consiglio potrebbero
far ritenere, che questa legge si ponga a un grado
diverso da quello della legge ordinaria nella gerarchia
delle fonti, con conseguenze che si rifletterebbero
perfino sul controllo di costituzionalità; ma
se ne può ricavare soltanto che ad essa è lasciato
dal precetto costituzionale, più che non aecada
nel caso di altri rinvii alla legge cosi frequenti nella
Costituzione, uno spazio più ampio, e che le è
assegnato, per la funzione che deve svolgere, un
carattere che potrebbe consentire di accostarla
alle norme di attuazione degli Statuti regionali,
sulla natura, i limiti e l'efficacia delle quali la Corte
ha già avuto, del resto, occasione di manifestare
il proprio pensiero (sentenza n. 14 del 15 giugno
1956; sentenza n. 20 del 29 giugno 1956).
5. Ora, nel dettare la norma dell'art. 2 lettera c,
che è quella impugnata, il legislatore ordinario
non ha travalicato i limiti impliciti nel rinvio
alla legge di attuazione, che, ovviamente, sono
quelli di non contrastare con le norme costituzionali,
nell'integrare ed attuare il sistema, le cui basi
sono poste dalla Costituzione, e segnatamente
dall'art. 135. Vero è che questo articolo parla di
« supreme magistrature ordinaria e amministrative
», od è anche vero che qui << magistrature »
non sta al luogo di « magistrati », ma è altrettanto
vero che il richiamo è fatto alle magistrature, non
già nella loro composizione ordinaria, ma ad esse
in quanto speciali collegi elettorali, investiti dall'alto
compito di designare un terzo dei componenti
della Corte costituzionale, l'organo a cui è affidato
il compito di controllare la costituzionalità delle
leggi e l'ordinata ed equilibrata convivenza degli
organi costituzionali, tra i quali si suddivide l'esercizio
della sovranità statale. Sicchè, limitando la
composizione del collegio ai consiglieri, ai presidenti
di sezione, ai vice procuratori generali, al
procuratore generale e al presidente della Corte
dei conti, la legge non ha violato alcuna norma
costituzionale, ma piuttosto ha attuato l'intento
del Costituente, affidando compito cosi grave a
collegi, che, sotto ogni aspetto, ha considerato
supremi. Del che è conferma la norma contenuta
nel secondo comma del medesimo art. 135 Cost.,
strettamente collegata col primo, al quale dà o
dal quale riceve luce, che, ispirata al medesimo
intento, limita l'eleggibilità ai magistrati anche a
riposo delle giurisdizioni superiori, ai professori
ordinari di università in materie giuridiche e agli
avvocati dopo venti anni di esercizio: categorie,
per prestigio ed esperienza, omogenee tra loro e
con quelle che concorrono a costituire i collegi
elettorali. E, infine, integra il sistema, in conformità
col precetto costituzionale, rivolta com'è al
fine di rendere rigorosa e meditata la scelta, la
norma dell'art. 3 della stessa legge, che, ponendo
quelle che un tempo si dicevano « strettezzze »1
stabilisce che i giudici nominati dal Parlamento
devono essere eletti da questo· in·· séduta comune
delle due Camere, a scrutinio segreto e con maggioranza
di tre quindi dell'Assemblea nel primo scritinio,
e dei tre quinti dei votanti negli scrutini
successivi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione sollevata dalle
Sezioni riunite della Corte dei conti, sulla legittimità
costituzionale dell'art. 2 lettera c, della legge
11 marzo 1953, n. 87, in riferimento all'art. 135,
primo comma ultima parte, della Costituzione.
l) Con la motivazione contenuta nella prima massima,
la Corte Costituzionale ha ritenuto di non potersi
occupare delle due questioni pregiudiziali sollevate
dalla Avvocatura, relative: a) la prima, alla
competenza esclusiva della Corte a giudicare della
validità dei titoli di immissione dei suoi componenti,
ai sensi dell'art. 3 della legge costituzionale 9 febbraio
1948, n. 10 e dell'art. 3 dell'altra legge costituzionale
11 marzo 1953, n. l, come competenza- prerogativa
esclusiva ed assorbente, per il particolare obbietto,
di quella di qualsiasi altra giurisdizione del nostro
ordinamento, sia essa generale o speciale; b) la seconda,
al difetto di contraddittorio nel giudizio di merito
in quanto si traduceva necessariamente in un difetto
di contraddittorio del giudizio costituzionale.
La Corte non ha esaminato nè l'una nè l'altra questione,
richiamandosi alla propria giurisprudenza in
materia di preyiudizialità della questione di giurisdizione
o di competenza del Giudice a quo sulla questione
di legittimità costituzionale (da ultimo, sent.
n. 65 del 7 giugno 1962). Senonchè è da osservare
che le due questioni sollevate erano, questa volta, essenzialmente
diverse da quelle obbietto delle precedenti
pronuncie della Corte.
I nvero, quanto alla prima, si trattava di affermare
o di negare, in ordine alla materia in controversia,
la competenza-prerogativa della Corte a giudicare
della validità della nomina dei propri componenti
ed, in particolare, il contenuto ed i limiti di
questa competenza.
La Corte Costituzionale era, quindi, chiamata
questa volta a giudicare, non della competenza o
giurisdizione del Giudice a quo, bensì della propria
competenza a decidere della quistione sollevata in
sede di esame della validità dei titoli dei propri componenti
neo nominati, ai sensi delle citate norme
costituzionali; il che avrebbe escluso la possibilità
alla stessa Corte di occuparsene in altra sede e precisamente
nella normale sede dei giudizi incidentali.
Si trattava, cioè, di stabilire se la· Gorte potesse,
nel caso in esame, esercitare la sua ordinMia-·
competenza di cui all'art. 134 dellq, Costituzione
od,. invece, come era sostenuto dalla Avvocatura,
se tale competenza non fosse esclusa dalla di:..
-129-
versa competenza circa la validità dei titoli, competenza
che si esercita direttamente, cioè indipendentemente
dalle condizioni e dai presupposti stabiliti
per l'esercizio della prima (in particolare, dalla
insorgenza della questione in via incidentale) e con
assoluta pienezza di 'Valutazione anche di merito.
Nell'esercizio di questa speciale attribuzione costituzionale,
la Corte ha il potere di risolvere direttamente
e d'ufficio le eventuali questioni di legittimità
costituzionale.
Le cose stavano in termini pressochè analoghi per
quanto riguarda l'altra questione circa la regolarità
del contraddittorio.
Partendo dal principio, ribadito anche da una
recentissima sentenza della Corte Costituzionale (sent.
44 del 9 aprile 1963) secondo cui il procedimento di
rimessione è regolato dalla legge (11 marzo 1953,
n. 87) in modo completo ed autonomo dalle ordinarie
norme del codice di rito civile, era sembrato e sembra
alla Avvocatura che quel procedimento, considerato,
appunto nella stta autonomia, abbia un necessario
ed inderogabile presupposto: quello del rispetto del
principio del contraddittorio (art. 101 C.p.c.) nella
fase di questo procedimento che si svolge dinanzi al
giudice di merito.
Il rispetto di tale principio non ha, se ben si
osserva, soltanto valore e rilevanza di ordine processuale
ordinario, ma valore e rilevanza di ordine
costituzionale, cioè direttamente influenti sulla validità
del processo costituzionale che, se nasce viziato
in quella fase iniziale, trasferisce necessariamente
il vizio di origine anche nella fase di decisione della
questione innanzi alla Corte.
È sufficiente, al riguardo, osservare, che l'anzidetto
procedimento di introduzione del giudizio costituzionale
dà a ciascuna delle parti il potere di istanza
in ordine al promuovimento della questione di legittimità
costituzionale (art. 23 della n. 87 del 1953),
così come dà a ciascuna delle parti il potere di costituirsi
innanzi alla Corte e di presentare memorie
difensive e di partecipare alla discussione orale.
Il controllo, quindi, di tale presupposto, che è
presupposto di validità anche per la instaurazione
del processo innanzi alla Corte, dovrebbe essere fatto
da quest'ultima.
2) N el merito, la sentenza ha accolto integralmente
le argomentazioni dell'Avvocatura, sia di ordine gene·
rale, relative cioè alla interpretazione dell'art. 135
della Costituzione in relazione al carattere, al contenuto
ed alla portata della legge ordinaria 11 marzo 1953,
n. 87, cioè della legge di prima attuazione, sotto
il profilo della composizione della Corte, dell'art. 135
della Costituzione; sia di ordine particolare, relative
cioè, alla posizione organica dei primi referendari
e de~ referendari della Corte dei conti nell'ordinamento
della Corte stessa, in relazione alle funzioni giurisdizionali
ad essi attribuite.
Per una completa informazione dei lettori riportiamo
la parte di merito della memoria dell'A vvocatura.
III) Sulla infondatezza della questione di illegitimità
costituzionale nel merito. - La questione
sarebbe, comunque, infondata nel merito, apparendo
evidente la insussistenza dell'asserito contrasto
tra l'art. 2 lettera c) della legge di prima
attuazione delle norme costituzionali sulla composizione
e sul funzionamento della Corte e l'art. 135
della Costituzione.
A) Interpretazione dell'art. 135, primo e secondo
comma della costituzione. - È opportuno, anzitutto,
intendere il contenuto precettivo dell'art. 135,
primo e secondo comma della Costituzione, col
quale deve essere confrontato l'art. 2 della legge
ordinaria di prima attuazione, ai fini dell'anzidetto,
asserito contrasto.
Com'è noto, la Costituzione, all'art. 135, traccia
le linee generali del sistema di nomina dei componenti
della Corte Costituzionale, avendo cura di
attribuire in misura eguale la nomina dei diversi
poteri, sì che la Corte risulti nel suo complesso
formata in modo che sia la espressione dei vari
poteri e di nessuno di essi: cinque Giudici sono di
nomina del Presidente della Repubblica, altri
cinque delle Camere ed, infine, altri cinque « delle
supreme magistrature ordinaria ed amministrativa))
(art. 135, primo comma).
Premessa questa ripartizione, la Costituzione
fissa, sempre in via generale, la qualità o, se si
vuole il livello, che deve essere raggiunto con la
nomina dei componenti della Corte, limitando la
possibilità di scelta a categorie di persone ritenute
particolarmente idonee, come quelle di magistrati
(anche a riposo) delle giurisdizioni superiori ordinaria
ed amministrativa, dei professori ordinari di
università in materia giuridica e degli avvocati
dopo venti anni di esercizio (art. 135, secondo
comma).
Com'è anche noto. l'art. 137 della Costituzione
stabilisce, al secondo comma, che con legge ordinaria
dovevano essere poste «le altre norme necessarie
per la costituzione ed il funzionamento della Corte n,
oltre alle norme sulle condizioni, le forme, i termini
di proponibilità dei giudici e le garanzie dei giudici,
riservate alla legge costituzionale.
La previsione della legge ordinaria, in tema di
costituzione e funzionamento della Corte venne
ribadita dalla legge costituzionale 11 marzo 1953,
n. 1, art. 1, laddove la legge ordinaria viene indicata
come: << ••• emanata per la prima attuazione
delle predette norme costituzionali n.
B) I lavori preparatori della legge 11 marzo 1953,
n. 87. -La legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87
ebbe un lunghissimo e meditato iter legislativo,
come risulta dai lavori preparatori (2), nel quale
furono posti e discussi tutti i problemi concer-
(2) Cfr. Relazione DE GASPERI; in «Atti Senato,
doc. n. 3 "; I a Relazione PERSICO per la seconda Commissione
del Senato, in «Atti Senato, doc. n. 23-A ";
1a Relazione TESAURO per la Oommissione speciale della
Oamera, in «Atti Camera doc. n. 469-A l>; 2a "Relazione
PERSICo per la Commissione del Senato,· in « Atti Senato, ...
doc. 23-0 "; 21 Relazione TESAURO per la Oommissione
speciale della Oamera, in «Atti Camera doc. n. 469:(7 ";
riportati ne La legislazione ltaliana 1954, pp. 364-435 ..
-130-
nenti l'attuazione delle anzidette norme costituzionali
sulla composizione e sul funzionamento
della Corte.
Si lavorò, in sostanza, su due disegni di legge
predisposti rispettivamente, dalla seconda Commissione
del fSenato e della Commissione speciale
della Camera, i quali furono più volte modificati e,
comunque, discussi articolo per articolo.
Per quanto concerne più da vicino la questione
della nomina dei Giudici, si stabilì fin da principio,
che il sistema di nomina doveva essere quello della
elezione (3) e che questa dovesse avvenire in tre
distinti Collegi, uno per ogni «magistratura suprema
».
Per ciò che concerne la partecipazione ai Collegi,
si delineò subito una divergenza tra orientamento
del Senato e quello della Camera dei Deputati,
giacchè mentre il primo intendeva per « supreme
magistrature » i tre organi di giurisdizione superiore
(Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei
Conti), la Commissione speciale della Camera propendeva
per la interpretazione del termine nel
senso che esso comprendesse « i magistrati dei gradi
più alti n indipendentemente dalla natura dell'organo
presso il quale essi esercitano le loro
funzioni ( 4).
Secondo questo orientamento, e quindi secondo
il progetto della Commissione speciale della Camera,
dei tre Collegi elettorali potevano far parte
(ed essere eletti) anche i presidenti di Corte d'Appello
ed i procuratori generali, mentre ne venivano
esclusi i consiglieri di Corte d'appello addetti alla
Cassazione.
Peraltro, l'anzidetta soluzione del « grado » rivestito
dal magistrato veniva accolta, in questa fase,
in forma dubitativa, soggiungendosi che sarebbe
spettato all' .Assemblea stabilire, in definitiva, se
la cerchia degli elettori dovesse estendersi fino a
comprendere tutti i magistrati di cassazione ovunque
esercitassero le funzioni, o se, invece, dovessero
da essa escludersi anche i primi presidenti ed i
procuratori generali di co1·te d'appello. La stessa
riserva per la discussione in aula veniva fatta a
proposito dei referendari del Consiglio di Stato
e della Corte dei Conti, i quali ultimi erano
stati esclusi dal testo del Senato ed inclusi in
quello della Commissione, sempre ·con anzidetta
riserva.
Quando il disegno di legge fu disc:usso innanzi
alla Camera dei deputati nella seduta del l 0 febbraio
1951, ( 5) vi erano due emendamenti presentati
l'uno dall'on. Costa e l'altro dall'on. Colitto che
davano corpo a concretezza al dubbio ed alla riserva
espressi dalla Commissione, nel senso che la partecipazione
ai Collegi dovesse essere limitata ai Con-·
siglieri di Cassazione ed ai Magistrati di grado
superiore della Stessa Corte effettivamente addetti
(3) Cfr. 1a Relazione PERinoo, in . «Atti Senato,
doc. 23-A n. ·
(4) Ofr~ la èitata Relazione TESATRO, riportata in
La legiBlazione italiana; 1954 pag. 612.
(5) Cfr. Atti parlamentai; Òa~era dei Deputati,
seduta l febbraio 1951, p. 252817.
alle funzioni di Cassazione, ed ai Consiglieri di
Stato e della Corte dei Conti escludendosi i referendari.
Nella discussione che seguì, (6) sia il relatore
Tesauro che il rappresentante d~l Governo ebbero
modo di chiarire, senza possibilità di equivoci,
il concetto ispiratore dell'emendamento Costa che
fu approvato sia dalla Camera che dal Senato
e passò, quindi, come testo di legge.
C) Confronto tra il contenuto normativo dell'art. 2
della legge 11 marzo 9153, n. 87 e l'art. 135 della
Costituzione. - Premesso l'anzidetto excursus sui
lavori preparatori della legge ed, in particolare,
dell'art. 2, si può fondatamente affermare che questo
articolo sia in contrasto con l'art. 135 della
Costituzione, per quanto attiene particolarmente
alla composizione del Collegio speciale elettorale
della Corte dei Conti Y La risposta negativa a
noi non pare dubbia. Diciamo subito che ci sembra
del tutto vano lo sforzo col quale i ricorrenti hanno
cercato di dimostrare nel giudizio di merito (cfr. la
loro Memoria inanzi la Corte dei Conti, pagg. 7
e segg.) la pretesa oscurità e la pretesa incoerenza
con le quali da parte della Camera dei deputati
si sarebbe preceduto alla approvazione dell'emendamento
Costa, nelle circostanze sopra riferite.
I ricorrenti hanno tacciato questo emendamento
di illogicità e di incoerenza, asserendo che con esso
si sarebbe venuto ad operare, nelle magistrature
superiori, un « taglio » diverso a seconda che si
trattasse della Corte di Cassazione o del Consiglio
di Stato e della Corte dei Conti.
.A.:ffidandosi a questa argomentazione (che probabilmente
sarà ripetuta anche nella loro memoria
nell'attuale Sede) i ricorrenti dimenticano che
l'emendamento Costa fu approvato a seguito di
discussione nella quale tutti si trovarono d'accordo,
e dimenticano altresì i concetti ed i principii che
erano a base dell'emendamento e della discussione,
quali si erano venuti delineando già nelle precedenti
discussioni sui disegni di legge del Senato
e della Commissione della Camera.
È bene quindi, fermare alcuni punti fondamentali.
L'organo legislativo ordinario doveva, in sede
di prima attuazione dell'art. 135 della Costituzione,
porre norme sulla composizione e sul funzionamento
della Corte Costituzionale, norme
espressamente previste dall'art. 137 della Costituzione
e dell'art. l della legge 11 marzo 1953, n. l.
Non vogliamo, neanche in questa Sede, prendere
posizione nei riguardi della tesi, sostenuta in
dottrina, circa la << forza n o la natura delle norme
della legge ordinaria espressamente prevista, sia
pure come tale, da norme costituzionali concernenti
l'organizzazione ·ed il funzionamento della
Corte .
.A.i fini del nostro problema, è sufficiente rilevare
che, per espressa disposizione delle citate norme
costituzionali, le norme emanate con·tà legge ordi-
(6) Ofr. Atti parlamentari, cit. p. 252818
-131-
naria 11 marzo 1953 n. 87 sono norme di attuazione,
e precisamente di prima attuazlone delle predette
norme costituzionali.
Esse si trovano, quindi, quanto meno, nei riguardi
di queste ultime, in posizione analoga a quella
delle norme di attuazione degli Statuti speciali
regionali: il che significa che esse non debbono
andare contra Constitutionem, ma possono bene
attuare ed anche integrare la regolamentazione
tracciata solo a grandi linee dalla Costituzione, ove
non ne vengano a menomare i principi fondamentali
informatori della regolamentazione stessa (7}.
Un primo problema che, entro gli anzidetti
limiti, il legislatore ordinario doveva risolvere in
questa materia era quello del sistemo o modo di
nomina: e lo ha risolto adottando il sistema della
elezione, che non si può dire in contrasto con la
Costituzione, anche se non espressamnete previsto
per la nomina dei Giudici costituzionali da parte
delle supreme magistrature.
.Altro problema era quello se alla elezione-nomina
da parte della « suprema magistratura » dovesse
provvedersi da un Collegio unico o da tre Collegi
distinti: ed il legislatore ha accolto questa ultima
_soluzione, per le ragioni che diffusamente si leggono
nei citati lavori preparatori.
Vi era, poi, il terzo problema relativo alla campo-
sizione de'i tre speciali Collegi elettorali, per il
_quale problema, come risulta dagli stessi lavori
preparatori, il legislatore ordinario si trovava di
fronte a questi termini fondamentali:
a) l'elemento costituito dalla norma costituzionale
dell'art. 135 che, al primo comma, stabilisce
la nomina di 5 Giudici « dalle supreme magistrature
ordinaria ed amministrativa >> senza neanche riferirsi
ai magistrati tutti di tali magistrature; mentre,
al secondo comma, in tema di requisiti dei Giudici
costituzionali in genere, indica le particolari qualifiche
(magistrati superiori, professori, avvocati), e
la indicazione deve necessariamente riflettersi anche
nei riguardi della composizione dei collegi, cioè
dell'elettorato attivo, in quanto nella specie è
pacifico che coloro che sono chiamati a far parte
del Collegio possono da esso anche essere eletti;
b) la possibilità di interpretare la espressione
costituzionale << Supreme Magistrature ordinaria ed
amministrativa» con riferimento al corpus o complesso
di magistrati che, al momento della elezione
compongono ciascuna suprema magistratul'a ed
in essa esercitano funzioni, pur rivestendo qualifiche
diverse ed eventualmente inferiori a quelle proprie
delle funzioni esercitate (ad esempio i consiglieri
di appello addetti alla Cassazione), ovvero esercitino
anche funzioni meno piene di quelle proprie
della << magistratura suprema » (caso dei referendari
del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti).
c) la possibilità, invece, di interpretare la
norma costituzionale con riferimento esclusivo al
corpus dei magistrati che rivestano, nel contempo,
la qualifica propria del magistrato supremo (consigliere
di Cassazione ed equiparati) ed esercitino
(7) Cfr. per le norme di attuazione degli statuti speciali:
della Oorte Costituzionale n. 20 del 1956.
effettivamente la funzione corrispondente alla qualifica
con carattere di attualità riferito al momento
della elezione.
In base a questa interpretazione, vengono esclusi
dal Collegio elettorale (e dalla possibilità di essere
eletti) sia i magistrati che, pur rivestendo (come
grado) la qualifica, non esercitano attualmente
presso le giurisdizioni superiori (magistrati di Cassazione
nominati presidenti di Corte d'Appello o di
Tribunale) sia, all'inverso, i magistrati inferiori che
svolgono attualmente le funzioni superiori ma non
/ ne hanno la qualifica (consiglieri di appello addetti
alla Cassazione).
N e sono, per altro verso, esclusi i magistrati che
non hanno la qualifica propria delle magistrature
superiori e che esercitano le funzioni, peraltro in
maniera affievolita, cioè semipiena ed adventicia,
per le particolari limitazioni che la legge stessa
pone all'esercizio delle funzioni. E questo è il problema
particolare dei referendari (}_el Consiglio di
Stato e della Corte dei Conti, problema che è stato
ben presente ed è stato discusso, come si è visto, in
sede di formazione della legge in questione.
Questa, partendo dalla considerazione del dato
costituzionale (sub a), ha deliberatamente e meditatamente
adottato la interpretazione (sub c) come
la più rispondente alla lettera ed alla ratio del precetto
costituzionale.
Perciò, non può seriamente parlarsi di pretesa
incoerenza e di illogicità del legislatore, facendosi
leva su di una elemento che è altrettanto ovvio
quanto irrilevante ai fini della questione di costituzionalità,
e cioè la diversità, peraltro non sostan-
ziale, con la quale il problema si presentava, in
termini pratici, nei riguardi della Corte di Cassazione
e del Consiglio di Stato e della Corte dei
Conti.
Il problema è stato, a nostro avviso, bene impostato
e bene risolto dal legislatore ordinario con la
norma attualmente in vigore che è stata, nel recente
passato, applicata senza dar luogo a contestazioni
di sorta, in ciascuno dei tre Collegi che hanno proceduto
alla nomina.
D) Sulla funzione dei referendari in base all'ordinamento
della Corte dei Conti. - La nostra convinzione
riceve conferma, oltre che dalle considerazioni
fino ad ora esposte, dall'esame delle
vigenti norme sull'ordinamento della Corte dei
Conti, per quanto, come si è detto nelle deduzioni
di intervento, occorrerebbe considerare solo
l'ordinamento vigente all'entrata in vigore della
Cosittuzione.
Comunque, in base alle norme attualmente
vigenti i magistrati della Corte si distinguono,
secondo le funzioni, in varie categorie (art. 10
della legge 20 dicembre 1961, n. 1345 ). Già questa
distinzione, nella stessa magistratura superiore, di
magistrati (ivi compresi i referendari) secondo le
funzioni, è sintomatica e significativa, ai fini che
qui interessano: giacchè, com'è noto, tHl~ distinzione
del genere non si riscontra nell'ambito della
Corte di Cassazione in cui i magistrati che rivestono
la qualifica propria esercitano tutti la stessa
funzione, quella di <<magistrato di Cassazione».
La sola differenziazione che tra essi si riscontra
deriva dalla preposizione di alcuni ad uffici direttivi,
ma ciò non importa, ovviamente, alcuna diversità
nei riguardi della pienezza della funzione giurisdizionale
propria del magistrato di Cassazione.
Invece, e proprio nei riguardi della funzione
giurisdizionale di magistrato superiore, le cose non
stanno esattamente allo stesso modo per i primi
réferendari ed i referendari della Corte dei Conti.
Si evince, infatti, dall'art. 11 della citata legge
20 dicembre 1961, n. 1345 che le funzioni giurisdizionali
dei primi referendari e dei referendari sono
meno piene ed affievolite nei confronti delle funzioni
proprie dei magistrati della Corte dei Conti.
Invero i referendari, che normalmente coadiuvano
i primi referendari negli uffici di controllo,
intervengono nelle sezioni giurisdizionali con voto
deliberativo soltanto per « gli affari dei quali sono
relatori n. I primi referendari hanno, inoltre, riconosciuta
a differenza dei referendari, una funzione vicaria
nel senso che nelle sezioni giurisdizionali possono
essere chiamati dal Presidente della Corte a supplire
- ed in questo caso hanno voto deliberativo -
i consiglieri assenti ed impediti.
Come si vede, quindi, mentre la partecipazione
di tutti gli altri magistrati della Corte (presidente,
presidenti di Sezione, procuratore generale, consiglieri
e vice procuratori generali) all'esercizio dell'attività
giurisdizionale è partecipazione necessaria
ed incondizionata (come per tutti i magistrati
d.i Cassazione), quella degli appartenenti alle due
predette categorie risulta soltanto eventuale, ed è,
subordinata al verificarsi di determinati presupposti,
che si ricollegano sostanzialmente ad una valutazione
discrezionale del superiore gerarchico (nomina
a relatore, incarico di sostituzione).
Correlativamente a questa capacità giurisdizionale
adventioia e minus plena l'ordinamento
vigente non riconosce ai primi referendari ed ai
referendari le particolari garanzie di inamovibilità
che, previste in un primo tempo dall'art. 8 del
testo unico del 1934 solo per il Presidente ed i
Consiglieri, vennero poi estese dall'art. 4, u. p. del
D. L. 5 maggio 1948, n. 589 anche nei confronti
del procuratore generale e dei vice procuratori
generali. I primi referendari ed i referendari sono
gli unici magistrati della Corte a non fruire della
cosiddetta << inamovibilità perfetta n, la quale, come
è risaputo, intende tutelare la funzione esercitata,
in vista della sua particolare importanza.
Ma un elemento ancora più significativo può
desumersi dalla disposizione contenuta nel secondo
comma dell'art. 5 del Testo unico del 1934, espressamente
richiamato e mantenuto in vigore anche
dalla più recente legge sull'ordinamento della Corte
dei Conti (20 dicembre 1961, n. 1345 art. 11).
Secondo tale norma, il numero complessivo dei
primi referendari e dei referendari non può essere
superiore a due nelle singole sezioni nè maggiore
di quattro nelle Sezioni Riunite. Tenendo presente
che ciascuna Sezione giudica con l'intervento di
cinque votanti, i quali nelle Sezioni Riunite sono
in numero di 11 (art. 2legge 21 marzo 1953, n. 161)~
risulta evidente la ratio della disposizione intesa
ad assicurare umpre la prevalenza alla volontà dei
magistrati delle categorie qualificate, cioè dei magistrati
che rivestono la qualifica e esercitano le
funzioni proprie di magistrato della Corte dei Conti.
Ora, invece, ad un criterio completamente opposto
si sarebbe ispirato. il legislato~e. ordinario, se
avesse ammesso la partecipazione dei primi referendari
e dei referendari alle operazioni di voto per
l'elezione dei Giudici costituzionali: infatti, secondo
l'ultimo ruolo organico, allegato alla legge citata
del 1961, i magistrati di tali categorie assommano
complessivamente a 433 (203 primi referendari e
230 referendari), mentre il numero di tutti gli altri
magistrati della Corte è appena di 96: e, deve rilevarsi,
tale sproporzione numerica, se pure un pò
meno accentuata, già esisteva nei ruoli abrogati.
Ne conseguirebbe, pertanto, che nelle elezioni i
voti delle due categorie anzidette assumerebbero un
peso preponderante: e questo non può certo riconoscersi
come intenzione del Costituente allorchè
ha parlato di nomina delle << Supreme Magistrature n,
con la possibilità che ciascuno degli elettori sia
anche eletto !
IV) Concludendo, la norma di attuazione ha
accolto una soluzione che, nel silenzio della Costituzione
circa la composizione dei collegi che debbano
eleggere i Giudici di nomina delle « Supreme
Magistrature n, nel mentre ha corrisposto alla finalità
propria dell'attuazione delle norme costituzionali,
non può ritenersi in contrasto con alcuna
norma o principio inderogabile della Costituzione
stessa.
Anzi, a seguito della disamina di tutti gli aspetti
della controversia, sembra potersi ritenere che la
genericità usata nella norma costituzionale, che non
si riferisce esplicitamente e direttamente ai magistrati
tutti delle « Supreme JYJ agistrature )) ma solo e
genericamente a queste ultime, sia stata anche
voluta, sia perchè il Costituente non poteva ignorare,
da un lato, che in alcune delle magistrature
considerate esistono profonde differenziazioni in
ordine alla capacità funzionale dei componenti,
sia perchè non può in ogni caso ammettersi che
il Costituente stesso intendesse annullare determinati
principi propri dell'ordinamento interno di
alcuni corpi giurisdizionali e, nel nostro caso, della
Corte dei Conti, fino a rendere possibile la prevalenza
numerica delle categorie con funzioni giurisdizionali
affievolite, quando queste stesse categorie
sono mantenute dalla legge di organizzazione
in condizioni di numerica inferiorità proprio nell'
esercizio della funzione giurisdizionale ed a causa
delle limitazioni di questa funzione.
CORTE COSTITUZIONALE - Procedimento - Limiti
del giudizio di costituzionalità - Foro dello Stato -
Legittimità costituzionale. (Corte Costituzionale, 9
luglio 1963, n. 119- Pres.: Ambrosini; Rel.: Chiarelli 'Società,
immobiliare Gilpa e Società Sugherificio italiano
c. Comune di Olbia e Regione sarda:
La Corte può esaminare la questione di legittimità
costituzionale solo entro i limiti nei quali
risulta formulata nell'ordinanza di rinvio.
~rmw?E ''FP'TW +
-133
L'art. 25 C.p.c. e l'art. 55 D. P. 19 maggio 1949,
n. 250, che estende alla Regione autonoma della
Sardegna il principio del foro dello Stato, sono
costituzionalmente legittimi e non contrastano con
l'art. 25 della Costituzione.
Data l'importanza della questione riteniamo opportuno
riportare integralmente la motivazione della
sentenza, con la quale la Oorte, accogliendo la tesi
sostenuta dall'Avvocatura, ha dichiarato costituzionalmente
legittimo non solo il principio del foro
dello Stato e la sua estensione alle Regioni, ma anche
il principio - ritenuto conseguenziale - dell'obbligatorietà
della notificazione degli atti giudiziari presso
gli uffici della Avvocatura dello Stato competente
per territorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
lJa sola questione di cui questa Corte è investita
nel presente giudizio, a termini dell'ordinanza di
rimessione, riguarda la legittimità costituzionale
dell'art. 55 D. P. R. 19 maggio 1949, n. 250, in
riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione.
Nè potrebbe la Corte esaminare detta
questione oltre i limiti nei quali risulta formulata
dall'ordinanza stessa, dovendo essa tener conto,
secondo la sua costante giurisprudenza, delle deduzioni
difensive solo in quanto sviluppino ed illustrino
il contenuto delle ordinanze, e non in quanto
sollevino questioni nuove (sent. n. 48 del 1961
e n. 65 del 1962).
In relazione alla questione dedotta, va premesso
che l'art. 55 del citato decreto, estendendo le funzioni
dell'Avvocatura dello Stato all'Amministrazione
regionale sarda, stabilisce nel capoverso che
nei confronti della detta Amministrazione si applicano
gli artt. 25 (foro della P. A.) e 144 (notificazioni
alle Amministrazioni dello Stato) C. p. c.
Secondo la tesi delle Società Gilpa e Sugherificio
italiano, ritenuta non manifestamente infondata
dal Tribunale di Tempio Pausania, le ricordate
disposizioni sarebbero incostituzionali, in quanto
attribuiscono alla Regione sarda un giudice diverso
da quello che il legislatore ha istituito con criterio
generale nell'art. 20 O. p. c., con la conseguenza
che il privato che intenda convenire in giudizio la
Regione si trova nella necessità di far ricorso al
giudice del cosiddetto foro della P. A., anzichè al
giudice che sarebbe competente a norma del predetto
art. 20.
Ritiene la Corte che la questione non è fondata.
Va innanzi tutto rilevato che l'art. 20 O. p. c.
indica un foro facoltativo, concorrente col foro
generale delle persone fisiche e delle persone giuri-
. diche, di cui ai precedenti artt. 18 e 19. Inoltre,
lo stesso foro generale è stabilito da questi ultimi
articoli con salvezza che la legge disponga altrimenti.
Da quanto precede deriva che l'art. 20 C. p. c.
non enuncia un criterio generale, inderogabile,
come è stato sostenuto dalla difesa delle due Società.
Esso, al pari dell'art. 25 dello stesso codice, fa
parte di quel sistema di norme regolatrici della
competenza nel processo civile, le quaili, preordinate,
come sono, all'insorgere delle singole controversie,
non contràstano col precetto costituzionale
del rispetto del giudice naturale.
Questa Corte ha avuto ripetutamente occasione
di affermare che la nozione di <<giudice naturale ,>
corrisponde a quella di giudice istituito in base
a criteri generali fissati in anticipo e non in vista
di singole controversie, in modo che sia data al
cittadino la certezza circa il giudice che lo deve
giudicare (sentenze n. 29 del1958, n. 22 del1959,
n. 88 del1962).
Nel caso in esame, tanto l'art. 55 D. P. R.
19 maggio 1949, quanto l'art. 25 O. p. c., stabiliscono
la competenza del cosidetto foro della P. A.
in maniera generale, per tutte le categorie di controversie
in cui è parte la Regione o la Pubblica Amministrazione.
Le disposizioni in essi contenute non
ammettono alcuna possibilità che la competenza
venga determinata in relazione a una controversia
già insorta, e danno al cittadino la previa certezza
del giudice che dovrà conoscere delle sua causa.
Alla stregua dei criteri ricordati, può ben dirsi
che il giudice la cui competenza è determinata,
per il richiamo contenuto nell'art. 55 citato, dalla
legge sulla ,rappresentanza e difesa in giudizio
dello Stato e dall'art. 25 O. p. c., è esso stesso un
giudice naturale precostituito per legge. Nessuna
illegittimità costituzionale è dato, pertanto, scorgere
nella indicata norma legislativa che deferisce ad
esso le controversie in cui è parte la Regione sarda,
e nella norma conseguenziale che regola le notificazioni
alla Regione secondo le disposizioni dello
art. 144 O. p. c.
COSTITUZIONE - Regione siciliana - Presidente -
Funzioni statali decentrate - Modo di esercizio -
Mantenimento dell'ordine pubblico. (Corte Costituzionale,
13 luglio 1963, n. 131 - Pres.: Ambrosini;
Rel.: Chiarelli - Presidente del Consiglio c. Regione
Siciliana).
Il mantenimento dell'ordine pubblico nel territorio
della Regione siciliana è attribuito al Presidente
della Regione nella qualità di organo dello
Stato. Egli non può esercitare questa funzione
mediante uffici od organi della Regione, ma deve
esercitarla esclusivamente a mezzo della polizia
dello Stato.
Riportiamo integralmente la motivazione della sentenza,
che, a nostro avviso, trascende il caso di specie,
espressamenw regolato dall'art. 31 S.S.Sic.
I principi affermati dalla Oorte, infatti, sono
applicabili a tutte le ipotesi di esercizio di attività
statali decentrate ad organi individuali della Regione
(art. 20 P.c., u.p. S.S.Sic. e art. l D.L.O.P.S. 30
giugno 1947, n. 567, art. 44 P.c. S.S. V A).
Solo nelle ipotesi, in cui l'esercizio di funzioni
statali sia delegato all'Ente-Regione (art. 6 u.p., articolo
47 O.c. e art. 49 S.S.Sa., art. 35 S.S.T.A., -
art. 44, II c. S.S. V A.), gli organi di questa pot1·anno
perciò, servirsi degli uffici e della organizzazione
regionale. Nella prima ipotesi, invece, l'esercizio
- 134
delle funzioni statali decentrate dovrà essere effettuato
dal Presidente e dagli .Assessori esclusivamente a
mezzo degli Uffici e della organizzazione statale.
CONSIDERATO IliO DIRITTO
Il riéorso del Commissario dello Stato investe
gli artt. 2 e 7 della legge sull'ordinamento del
governo e dell'amministrazione centrale della Regione
siciliana, approvata dall'Assemblea regionale
il 20 novembre 1962, in quanto l'art. 2 lettera q,
richiamandosi all'art. 31 dello Statuto, comprende
tra le attribuzioni del Presidente ivi elencate il
mantenimento dell'ordine pubblico, e l'art. 7 comprende
tra gli uffici, mediante i quali il Presidente
della Regione esplica le attribuzioni di sua competenza,
un Ispettorato regionale di polizia.
Il ricorso è fondato.
È fuori dubbio, e non forma oggetto di discussione
tra le parti, che la funzione di provvedere
al mantenimento dell'ordine pubblico nel territorio
· della Regione è attribuita dall'art. 31 Statuto
. sicilìano al Presidente della Regione nella qualità
di organo dello Stato. Ma può ritenersi ugualmente
certo che il Presidente non può esercitare
questa funzione mediante uffici ed organi della
Regione.
Se, infatti, è vero che, comè rileva la difesa
della Regione; il Presidente di questa è investito
di funzioni statali non come persona fisica, ma in
quanto copre l'ufficio di Presidente della Regione,
(si ha, cioè, una specie di unione reale e non personale),
resta tuttavia distinta la figura della presidenza
della Regione, come organo di quest'ultima
da quella del Presidente della Regione, come ufficio
pubblico con distinte funzioni, di organo regionale
e di organo statale; o, in altre parole, come organo
di due enti diversi, ciascuno con proprio ordinamento
e con propria organizzazione.
Certo, anche la Presidenza della Regione può
avere una propria organizzazione di uffici ausiliari;
ma attraverso questa organizzazione non possono
· essere trasferite ad uffici e ad agenti dipendenti
dalla Regione funzioni che sono del Presidente
come organo dello Stato. Diverso è il caso dell'ente
che agisce come organo di un altro ente, e che non
può non servirsi della propria organizzazione e
del proprio apparato: il Presidente della Regione
non è un ente che, come tale, non .può agire se
non attraverso una propria organizzazione e un
proprio apparato, ma è, come si è detto, un ufficio
che, essendo investito di funzioni regionali e di
funzioni statali, è distintamente incardinato nello
ordinamento dell'ente Stato e dell'ente Regione,
senza la possibilità che nella sua figura vengano a
confondersi o a sovrapporsi le rispettive organizzazioni
di questi due enti.
Nè vale il dire. che, nella specie, le funzioni
attribuite all'Ispettorato regionale di polizia dall'art.
7 si esauriscano nella organizzazione interna
della Presidenza della Regione. A parte il fatto
che non si vede come l'esercizio di funzioni di polizia
sia pure in collaborazione con l'attività del Presdente,
possa esaurirsi nell'ambito interno dell'Amministrazione,
è lo Statuto ad impedire che il
Presidente possa svolgere la funzione di provvedere
al mantenimento dell'ordine pubblico mediante
OJ'gani regionali.
L'art. 31 di esso, infatti, dispone che << al manteni-
-mento dell'ordine pubblico provvede il Presidente
regionale a mezzo della polizia dello Stato, la qua-le
nella Regione dipende disciplinarmente, per l'impiego
e l'utilizzazione, dal Governo regionale )). Il
Governo della Regione, dunque, può disporre dell'impiego
e dell'utilizzazione della polizia statale,
servendosi dei poteri che lo Statuto gli attribuisce;
ma è escluso che al mantenimento dell'ordine pubblico
si possa provvedere a mezzo di una polizia
diversa dalla statale. È chiaro, pertanto, il contrasto
tra la riportata norma dell'art. 31 e la formula
adottata nell'art. 7 della legge de qua; << Ispettorato
regionale di polizia - Collaborazione alla
attività del Presidente per quanto concerne l'esercizio
delle funzioni indicate nella lettera q dello
art. 2 - Polizia amministrativa )).
Altrettento evidente è la violazione delle norme
- statutarie sulla competenza legislativa dellll> Regione.
Dall'art. 31 dello Statuto siciliano diseende
che solo una legge costituzionale potrebbe stabilire,
in sede di revisione, che il Presidente regionale
possa servirsi di organi non appartenenti alla
. polizia statale; e, d'altra parte, solo una legge della
. Repubblica può stabilire l'ordinamento degli organi
di polizia, di cui il Presidente e il Governo della
· Regione possono disporre. Con le impugnate norme
la Regione ha, per tanto, travalicato i limiti della
competenza legislativa fissati dagli artt. 14 e 17
dello Statuto siciliano, i quali, coerentemente con
l'art. 31, non comprendono la materia dell'ordinamento
della polizia.
Anche per quanto riguarda la polizia amministrativa
deve dichiararsi illegittima la impugnata
disposizione dell'art. 7, perchè, in attuazione
dell'ultimo capoverso dell'art. 31 dello Statuto
siciliano, si sarebbe potuto prevedere la organizzazione
di corpi speciali, destinati alla tutela di
particolari servizi ed interessi, ma non poteya
farsi una generica attribuzione delle funzioni di
polizia amministrativa all'Ispettorato regionale.
Va ugualmente dichiarata l'illegittimità dell'articolo
2, lettera q, che si richiama all'art. 31 dello
Statuto siciliano, perchè nel sistema della legge
l'art. 2, lettera q e l'art. 7, parte impugnata, sono
tra loro collegati, insieme esorbitando dalla competenza
regionale.
~ "Jilmi&& ME = m rz rwwrr
-135-
CORTE DI CASSAZIONE
COMPETENZA - Concessione in uso di bene demaniale
-Imposizione di un canone- Controversia relativa
alla legittimità dell'imposizione - Competenza
del giudice amministrativo. (Corte di Cassazione,
Sezioni Unite, Sentenza n. 1666/63 - Pres.: Lonardo;
Est.: Pece; P. M.: Criscuoli - Soc. Sogene c. Ministero
dei Lavori Pubblici).
Nel caso in cui il privato, che ha ottenuto dalla
Pubblica .Amministrazione la concessione in uso di
un bene demaniale contesti la legittimità. dell'imposizione
di un canone relativo alla concessione
stessa, la controversia, investendo la maniera con
la quale la Pubblica .Amministrazione ha esercitato-
in concreto il proprio potere discrezionale,
rientra nella competenza del giudice amministrativo
e non già in quella del giudice ordinario.
Oon questa sentenza la Oorte conferma i criteri
- ormai consolidati - di discriminazione fra giurisdizione
ordinaria e amministrativa in materia
di concessioni, precisando che rientrano nella prima
tutte e sole le controversie, le quali abbiano ad oggetto
l'interpretazione e l'adempimento di una clausola
inerente al regolamento · convenzionale conseguente
alla concessione e con questa connesso (concessione
contratto) mentre sono devolute alla giurisdizione
amministrativa quelle, che riguardino il contenuto,
intrinsecamente unitario ed inscindibile, dell'atto
amministrativo di concessione.
Nella specie non si trattava d'interpretare una
clausola del disciplinare, che costituisce il regolamento
convenzionale conseguente alla concessione; ma
di accertare la legittimità dell'atto amministrativo,
con il quale la Pubblica Amministrazione, nell'esercizio
del suo potere discrezionale, aveva ritenuto di
concedere l'uso eccezionale di un bene demaniale
elo~usivamente previo pagamento di un canone, commisurato
all'utilità, che dalle concessioni il privato
avrebbe tratto.
L~intrinseca unità ed .inscindibilità dell'atto amministrativo
e del suo contenuto non consentiva altra
soluzione, essendo evidente che il pagamento del
canone era la causa o, quanto meno, una delle cause
dell'atto amministrativo, che, il giudice ordinario
non poteva modificare senza interferire - contro
il divieto posto dall'art. 4 legge 20 marzo 1865,
n. 2248, allegato E - nell'esercizio dell'attività
discrezionale riservata alla Pubblica Amministrazione,
ponendo, con la sentenza, l'equipollente di un
diverso atto di concessione.
Trascriviamo la motivazione della sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Società ricorrente ha dedotto che nella specie
doveva essere ritenuta la giurisdizione ordinaria
perchè veniva in contestazione il potere o meno,
nella Pubblica .Amministrazione, di imporre il pagamento
di un canone, quale corrispettivo per il
godimento in concessione di un bene demaniale.
La censura è infondata.
È esatto che ripetutamente queste Sezioni Unite
hanno affermato il concorso della gimisdizione
ordinaria quando il privato contesti, nei confronti
della Pubblica .Amministrazione, la stessa esistenza
di un potere discrezionale; il richiamo a tale indirizzo
giurisprudenziale non è, però, rilevante nel
caso in esame.
Infatti, la stessa Sogene non contesta già che
rientri nel potere discrezionale della Amministra.
zione il concedere o meno in 1;1.so un bene demaniale,
ma nega che l' .Amministrazione possa condizionare
. tale uso al pagamento di un canone da parte del
privato concessionario. Poichè, però, la imposizione
del canone attiene, in realtà, al modo di utilizzazione
del bene concesso in uso, nel senso che si
risolve nella determinazione di un onere relativo
alla concessione, in realtà la contestazione ha per·
oggetto il modo che l'Amministrazione ha ritenuto
meglio rispòndente al pubblico interesse per·
la utilizzazione dello specifico bene demaniale dato
in concessione.
N e segue che la illegittimità. dedotta dalla Sogene
investe, in definitiva, la maniera con la quale la.
Pubblica .Amministrazione ha esercitato in concreto
il proprio potere discrezionale, sicchè l'accertare
la sussistenza o meno della dedotta illegittimità.
rientra nella competenza del giudice amministrativo
e non già in quella del giudiee ordinario.
D'altr~ parte, la censura della ricorrente vorrebbe
operare una inammissibile frattura nel contenuto,
intrinsecamente unitario ed inscindibile}
. dell'atto amministrativo in esame, non potendosi~
nella specie e contrariamente a quanto affermato.
dalla ricorrente, fare ricorso allo schema· giuridicodella
concessione-contratto.
Infatti, non sono venuti in discussione la interpretazione
o l'adempimento di una elausol~, inerente
ad un regolamento convenzionale conseguente
alla concessione, postochè nessun contrattoera
intervenuto tra la Pubblica .Amministrazione e
la Sogene. Al contrario, era in discussione solo un
atto autoritativo della Pubblica .Amministrazione~
del quale atto la Sogene, lungi dall'accettare il
contenuto, ha contestata la legittimità..
Ancora più chiaro è poi il difetto della giurisdizione
ordinaria in relazione alla domanda subordinata,
con la quale la Sogene aveva richiesta al
Tribunale la riduzione del canone di concessione,.
comechè eccessivo.
Tale riduzione, infatti, avrebbe importata quella
modifica dell'atto amministrativo che è, invece~
istituzionalmente sottratta al potere del giudice
ordinario.
Concludendo, deve essere affermata la giurisdizione
del giudice amministrativo e, per l'effetto, il
ricorso deve essere rigettato.
COMPETENZA E GIURISDIZIONE - Contratti di
locazione con la Pubblica Amministrazione - Rinnovazione
tacita - Questione di diritto soggettivo~
- 13G
AMMINISTRAZIONE PUBBLICA - Volontà implicita
della Pubblica Amministrazione -Inconfigurabilità
- Rinnovazione tacita del contratto di locazione -
Inammissibilità. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite,
Sentenza n. 1817/63 - Pres.: Lonardo; Est.: Jannelli;
P. M.: Criscuoli (conf.) -Rovegno c. Amministrazione
Finanze dello Stato).
l) È competente il giudice ordinario a decidere
della questione di rinnovaziune tacita del contratto
di locazione concluso tra il privato e la Pubblica
Amministrazione.
2) La volontà di obbligarsi della Pubblica Amministrazione
non può desumersi da facta concludentia,
ma deve essere espressa nelle forme di legge
e tra cui la forma scritta, richiesta ad sub-stantiam.
Pertanto, in caso di locazione di un immobile
di proprietà della Pubblica Amministrazione, non
può trovare applicazione l'istituto della rinnovazione
tacita del contratto, che viene posto in essere
con una manifestazione tacita di volontà di entrambe
le parti contraenti- desunta dal fatto che
il conduttore, alla scadenza del contratto, rimane
nella detenzione della cosa locata senza l'opposizione
del locatore - e che dà luogo a un negozio
giuridico nuovo.
La prima massima è di ovvia esattezza e non si
-comprende come la questione possa essere stata sollevata.
La seconda massima, accogliendo la tesi dell'Av"
Vocatura, conferma un indirizzo giurisprudtnziale
-che può ben dirsi ormai costante.
DANNI DI GUERRA - Contributo per riparazioni -
Recupero spese. Cassazione, I Sezione Civile, Sentenza)
14 marzo 1963, n. 644 - Pres.: Celentano; Est.: Stella
· Richter; P. M.: Cutrupia - Finanze c. Colella).
L'art. 55 della legge n. 968 del 1953, il quale
fa obbligo al Ministero del Tesoro di liquidare
d'ufficio i contributi per i danni di guerra a favore
di persone :fisiche o giuridiche i cui beni, danneggiati
o distrutti per fatto di guerra, siano stati
ripristinati direttamente dallo Stato o da enti
contròllati dallo Stato con :finanziamenti concessi
dallo Stato o dagli enti medesimi, demandando ad
un successivo decreto presidenziale di stabilire le
norme per il recupero della differenza tra gli esborsi
.anzidetti ed il contributo liquidato ove non vi
provvedano già le disposhdoni vigenti, non è
incompatibile con l'art. 40 del decreto legislalivo n.
261 del1947, che impone al proprietario dell'edificio
riparato dal genio civile di rimborsare i due terzi
della spesa per la riparazione, ma si limita a stabilire
il sistema di riscossione in dipendenza del
credito che il privato abbia nei confronti dell'Amministrazione,
nel senso che l'obbligo del proprietario
di rimborsare i due terzi della 13pesa sostenuta
Q.allo Stato è condizionato alla preventiva liquidazione
del contributo attribuito dalla legge del1953
ed è limitato quantitativamente per effetto della
detrazione dell'ammontare della speRa dell'importo
del contributo.
La sentfnza è cosi. motivata :
La tesi sostenuta dall'Àmministrazione ricorrente
puo così compendiarsi: l'art. 40 del D.L.O.P.S.
10 aprile 1947, n. 261 dispone cll._e i proprietari dei
fabbricati danneggiati per fatto di guerra, che siano
ripristinati di ufficio dal Genio Civile, sono tenuti
al rimborso delle spese di riparazione limitatamente
ai due terzi. Tale disposizione è perfettamente
compatibile con quella dell'art. 55, comma 3°
della legge 27 dicembre 1953; n. 968, secondo la
quale il Ministro del Tesoro provvede di ufficio
alla liquidazione dei contributi a favore di persone
i cui beni, danneggiati o distrutti per fatto di guerra
siano stati ripristinati direttamente dallo Stato o
mediante :finanziamenti concessi dallo Stato o per
suo conto. Da queste combinate norme risulta che i
proprietari, nell'indicata ipotesi, sono tenuti al
rimborso dei due terzi della spesa sostenuta dallo
Stato, salvo ad aver diritto ad un contributo,
che sarà liquidato tenendo conto dell'onere del
rimborso anzidetto.
La disposizione dell'art. 40 del decreto del1947,
è, invece, incompatibile con quella dell'ultimo
comma dell'art. 55 della legge del1953, secondo la
quale con decreto del Presidente della Repubblica
sarebbero state dettate le norme per il recupero,
a favore dello Stato, dalla differenza tra gli esborsi
per il ripristino dei beni e il contributo liquidato
(decreto poi emal).ato il 30 giugno 1959, n. 638.)
Ciò dimostra che l'ultimo comma dell'art. 55 della
legge del 1953 regola una materia diversa da
quella regolata dall'art. 40 del decreto del 1947,
come è fatto palese dall'inciso :finale << ove non provvedano
già le disposizioni vigenti,>. E la materia
sarebbe quella dei lavori di ripristino dei fabbricati
eseguiti ai sensi delle leggi 9 luglio 1940, n. 938 e
26 ottobre 1940, n. 1543, che non prevedevano
l'obbligo dei proprietari di rimborsare le spese, vale
a dire anteriormente alle leggi per il ricovero dei
senza tetto (D. L. L. 17 novembre 1944, n. 366;
D. L. L. 9 giugno 1945, n. 305 e D. L. O. P. S.
10 aprile 1947, n. 261). Quindi la norma in esame si
applica solo rispetto ai lavori di ripristino iniziati
prima del 31 agosto 1944, data di riferimento del
D. L. L. 17 novembre 1944, n. 366, che per primo
sancisce l'obbligo del rimborso delle spese.
In conclusione, qualora si tratti di lavori di riparazione
o ricostruzione eseguiti sotto l'impero
delle leggi per il ricovero di senza tetto, il proprietario
è tenuto al rimborso dei due terzi della spesa
sostenuta dallo Stato, senza poter invocare che
dal relativo importo sia detratto il contributo
spettantegli.
La tesi è infondata.
È da ricordare che la legge 26 ottobre 1940,
n. 1543, la quale prevedeva un risarcimento integrale
dei danni di guerra, ha avuto una limitatissima
applicazione, per la gravità dei danni e l'incertezza
della situazione bellica, nonchè per la mancata
iniziativa dei privati nella riparazione o ricostruzione
dei fabbricati. Ma, essendosi determinata la
mancanza di abitazioni, si sono dovute emanare
le disposizioni legislative del 1944, 1945 e 1947
sopra richiamate, in viriù delle quali lo Etr to p (v
- 137
vide al ripristino dei fabbricati, al fine di offrire
un ricovero ai senza tetto. Lo Stato non ritenne
:poi di poter sostenere l'onere del risarcimento integrale
dei danni di guerra, dato l'ammontare ingentissimo
di essi, ma di dover solo dare un indennizzo
':parziale o un contributo alle ricostruzioni o ripa:
razioni, e, in attesa di disciplinare tali sovvenzioni,
stabilì l'obbligo dei proprietari di rimborsare i due
terzi della spesa occorsa per il ripristino, calcolando
~he l'altro terzo potesse rappresentare l'indennizzo
·a titolo di risarcimento. E appunto per la man.
canza, in quel tempo, della disciplina del risarcimento,
fece rinvio ad un secondo tempo per il
·computo del dare e dell'avere: l'art. 87 del decreto
del 194 7, infatti stabilisce che l'ammontare della
spesa doveva essere comunicato all'intendente di
:finanza << ai fini di eventuali conguagli a favore
del propri~tario in sede di liquidazione di indennità
:per danni di guerra)} (analoga disposizione conteneva
l'art. 65 del D. L. L. 9 giugno 1945, n. 305).
La nuova legge del 1953 disciplina gli indennizzi
-e i contributi per i danni di guerra: nell'art. 27
J>One il criterio per la commisurazione dei contributi
-e nell'art. 55 scioglie la detta riserva. Il credito
da recuperare non è più quello indicato in via prov-
visoria nei due terzi della spesa, ma solo quello
dato dalla differenza tra l'importo della somma
~rogata nel ripristino e l'ammontare del contributo
dovuto secondo la nuova legge, e che non può
in alcun modo eccedere i due terzi di quella somma,
mentre di regola sarà minore.
Invero l'art. 55 stabilisce che il Ministero deve
provvedere di ufficio alla liquidazione dei contributi
a favore delle persone i cui beni, danneggiati
o distrutti per fatto di guerra, siano stati ripristinati
dallo Stato o con finanziamenti da esso concessi
ovvero da enti controllati dallo Stato o con
:finanziamenti dei medesimi. E demanda poi ad
un successivo provvedimento le norme per il
recupero della differenza fra i detti esborsi e il
contributo liquidato, ove già per tale recupero
non provvedano le disposizioni vigenti. In tali
sensi statuiscono gli ultimi tre commi dello
articolo, i quali non possono non essere considerati
intimamente connessi tra loro, tanto
-più che l'ultimo richiama esplicitamente gli
altri due.
Ora siffatto ultimo comma pone due principii,
l'uno è che il contributo per danni di guerra va
detratto all'ammontare degli esborsi effettuati per
il ripristino dei fabbricati, appunto perchè il contributo
è liquidato di ufficio, ai sensi dei commi
precedenti; l'altro è che le modalità per il recupero
della differenza saranno stabilite con decreto del
Presidente della Repubblica, salvo che siano già
stabilite dalle disposizioni vigenti.
Quest'ultimo inciso perciò si riferisce solo alle
modalità per il detto recupero, modalità in effetti
stabilite dal D. P. R. 30 giugno 1959, n. 638, che
riferendosi al 3° e 4° comma dell'art. 55 della legge
del 1953, prevede l'emanazione di decreto del
Ministero del Tesoro, determinativi delle somme, la
notificazione di essi, il pagamento in unica soluzione
o mediante ratizzazione, le impugnazioni e
l'esecuzione. -
Ne consegue che il primo dei due I!!'incipi enunciati,
vale a dire quello della detraibilità del contributo
dell'ammontare della spesa da rimborsare, si
applica in tutti i casi in cui il contributo spetta.
Esso quindi si pone come una norma limitativa
rispetto a quella dell'art. 40 della legge tlel 1947,
nel senso che l'obbligo del proprietario di rimborsare
i due terzi della spesa sostenuta dallo Stato è condizionato
alla preventiva liquidazione del contributo
attribuito dalla svccessiva legge del 1953 ed è
limitato quantitativamente per effetto della detrazione
dell'ammontare della spesa dell'importo del
contributo.
La esposta interpretazione non contrasta con la
natura di mero interesse legittimo riconosciuto pacificamente
dalla giurisprudenza di questo Supremo
Collegio e dalla dottrina all'aspettativa per il
risarcimento dei danni di guerra. In vero la liquidazione
del contributo resta rimessa all'amministrazione
senza possibilità di tutela avanti alla
autorità giudiziaria: se tale liquidazione non ha
luogo, l'interessato non può richiederla al giudice,
e così se essa non è adeguata, non può dolersene
avanti al giudice. Ma la liquidazione medesima,
essendo imposta all'amministrazione ed essendo
necessaria per la determinazione della somma che
il privato è tenuto a pagarle a titolo di rimborso
della spesa per la ricostruzione, si pone come condizione
per l'esercizio dell'azione, da parte dell'Amministrazione
medesima per il recupero della differenza
tra la sofi:lma erogata e l'ammontare del
contributo.
Per queste considerazioni il ricorso deve essere
respinto, con le conseguenze di legge in ordine
alle spese.
Con la sentenza sopra riportata la Corte Suprema
ha ritenuto illegittimo il comportamento fin qui
seguUo dall'Amministrazione, la quale aveva provveduto
a richiedere, ai proprietari degli immobili
riparati a spese dello Stato, il rimborso dei due terzi
delle spese di riparazione, prescindendo dalla liquidazione
del contributo per danni di guerra. Tale
comportamento aveva, peraltro, ottenuto il conforto,
sia pure implicito, di altra sentenza della stessa
Corte di Cassazione (Sent. 6 ottobre 1960, n. 2!)77,
in Giur. It., 1961, I, l, 9).
L'Amministrazione ha deciso di adeguarsi alla
ultima pronuncia del FJupremo Collegio.
DOMICILIO - RESIDENZA - Trasferimento residenza
all'estero- Opponibilità al terzo di buona fede- Formalit'à
da osservare. (Corte di Cassazione, Sezione I,
Sentenza n. 1921/63 - Pres.: Vistoso; Est.: D'Amico;
P. M.: Caldarera (conf.) - Salviati c. Amministrazione
Finanze dello Stato).
La doppia dichiarazione, fatta al Comune che
si abbandona e al Comune ove si fissa la nuova
residenza è richiesta per la validità del-trasferimento
nei confronti dei terzi di buona fede soloper
il trasferimento di residenza da un comune
all'altro nella Repubblica Italiana ma non è richiesta
per il trasferimento in un Comune di Stato
-138-
estero non potendo la legge italiana imporre
adempimenti agli uffici comunali esteri; in tale
fattispecie è sufficiente la sola dichiarazione del
comune che si abbandona, con la indicazione del
Comune dello Stato estero ove si trasferisce la
residenza.
L'omessa indicazione del Comune estero rende il
trasferimento inopponibile al terzo di buona fede
o immutata la residenza originaria.
Trascriviamo la motivazione in diritto della sen _
tenza:
Con il primo mezzo i ricorrenti, denunciando la
violazione degli artt. 142, 291 C.p.c. in relazione
all'art. 44 C.c., sostengono che nel giudizio ·di
appello doveva essere rilevata la nullità deUa
notifica dell'atto di riassunzione, notifica eseguita
in Roma, dopo la morte di Giacomo Salviati,
anche per gli eredi Agnese e Gherardo, mentre
risultava dai certificati anagrafici esibiti che avevano
trasferito la residenza, la prima in Francia
e il secondo nel Congo.
Risulta dagli atti di causa - l'indagine di
fatto è consentita a questa Corte, trattandosi di
errore in procedendo - che, nella prima udienza
. istruttoria del giudizio di appello, si costituì lo
avv. Pacifici per Maria Teresa Salviati, quale
erede di Giooomo Salviati, deceduto nel corso
del giudizio. Il Consigliere Istruttore dispose la,
integrazione nei confronti degli altri eredi. La
Amministrazione delle Finanze provvide all'integrazione
con atto del 25 marzo 1960, notificandolo
ad Agnese, Bona e Gherardo Salviati, figli di
Giacomo, e alla vedova Maria Immacolata Capece
Galeata; le copie furono consegnate, nel loro
domicilio in Roma, Lungotevere Arnaldo da Brescia,
n. 11, all'addetto al servizio Luigi Rossi,
nella loro precaria assenza.
Restarono contumaci Agnese e Gherardo Salviati
e la vedova Salviatì. Dai certificati anagrafici
del Comune di Roma, esibiti nel giudizio di appello,
risulta che Agnese Salviati, maritata con Guido
De Tulle di Villafranca, è emigrata in Thennisei
(Francia) il 6 luglio 1947, e che Gherardo Salviati
è emigrato nel Congo il 27 aprile 1959.
Ora, prendendo innanzitutto in esame la notifica
eseguita nei confronti di Agnese Salviati, non può
dubitarsi che essa doveva essere fatta a norma
dell'art. 142 C.p.c., come a persona non 1~esidente
nè dimorante nè domiciliata in Italia. Il trasferimento
della residente può essere opposto ai terzi
se è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge
(art. 44 C.c.), e cioè .con la doppia dichiarazione
fatta al comune che si abbandona e a quello dove
si intende fissare la dimora 11bituale: nella dichiarazione
fatta al comune che si abbandona deve
risultare il luogo in cui è fissata la nuova residenza
(art. 31 delle disposizioni per l'attuazione del Codice
civile). Se però si tratta di trasferimento
della residenza all'estero non è richiesta la doppia
dichiarazione: essa riguarda soltanto i trasferimenti
da un comune all'altro dello Stato, non
potendo la legge italiana imporre i correlativi
adempimenti agli uffici comunali esteri (Cass., 28
aprile 1949, n. 1014).
Agnese Salviati, indicando all'ufficio anagrafico
di Roma esattamente il luogo della sua nuova.
residenza (Comune di Thennisei in Francia) ha.
adempiuto gli obblighi di legge-. Nè può dirsi
che essa abbia conservato il domicilio in Italia;.
innanzitutto quando si trasferisce altrovè la residenza,
s'intende trasferito anche il domicilio, tranne
che nell'atto in cui è stato denunciato il trasferimento
della residenza si sia fatta una diversa.
dichiarazione (art. 44 C.c.); in secondo luogo la.
Salviati è coniugata e la moglie ha il domicilio del
marito (art. 45 C.c.). Nè vale apporre che nella
specie la prova della permanenza del domicilio e·
comunque della residenza in Roma è data dalla.
attestazione dell'ufficiale giudiziario che provvide
alla. notifica della riassunzione, consegnandola ·a
persona dipendente che dichiarò di riceverla nella
precaria assenza della destinataria. L'atto dello
ufficiale giudiziario fa fede fino a querela di falso·
di ciò che egli attesta compiuto da lui e alla sua.
presenza, ma non delle verità delle dichiarazioni
di chi riceve l'atto; la non rispondenza a verità,
di queste dichiarazioni può essere dimostrata da,
prova contraria, e nelle specie la · prova è stata.
data con l'esibizione del certificato anagrafico. ·
Deve ritenersi invece regolare la notifica eseguita.
nei confronti di Gherardo Salviati, che si era limitato
a denunciare all'ufficio anagrafico di Roma il
suo trasferimento nel Congo, omettendo di indicare
la precisa località, richiesta invece dall'articolo 31
delle disposizioni per l'attuazione del Codice civile;
in mancanza deve · ritenersi immutata la residenza
originaria per i terzi di buona fede (Cass.~
11 marzo 1958, n. 818; 13 aprile 1960, n. 872).
ESECUZIONE FISCALE - Entrate patrimoniali delli>
Stato - Procedimento ingiunzionale speciale - Art. 1
n. 639 del 1910 - Ambito di applicabilità. (Cortedi
Cassazione, Sezione l, Sentenza n. 1729/63- Pres.~
Torrente; Est.: Del Conte; P. M.: Trotta (conf.) -
Finanze c. C.R.A.L. di Cordignano).
Per l'ampio e generico riferimento all'entrata
patrimoniale, contenuto nell'art. l della legge n. 639
del 1910, lo Stato o gli altri enti pubblici ivi previsti
possono avvalersi dello speciale procedimentoingiunzionale
non solo per le entrate strettamente
di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto
privato.
Tale procedimento, tuttavia, per la natura sui
generis che cumula in sè le caratteristiche del
titolo esecutivo e del predetto, e per il suo fondamento
derivante dal potere di autoaccertamento
della Pubblica amministrazione non può estendersi
anche alle ipotesi in cui, come quella del
risarcimento dei danni per fatto illecito, mancano
i requisiti della certezza e della liquidità del credito
o sia la causa giuridica che la prova della sussistenza
e dell'ammontare del credito stesso, @Ssend,ocompletamente
al di fuori della sfera della Pubblica.
amministrazione, non possono essere apprèzzate
che dall'autorità giudiziaria.
-139-
ESECUZIONE FISCALE - Entrate patrimoniali dello
Sto.to - Ingiunzione di cui al T. U. 14 aprile 1910,
n. 639 - ApplicabilitàJl.er crediti liquidi, esigibili e
-certi - Inapplicabilità per crediti risarcitori. (Corte
di Cassazione, Sezion.e I, Sentenza n. 1950/63; Pres.:
·Celentano; Est.: Di Majo; P. 1\L: Silocchi (conf.) -.
Amministrazione Finanze Stato ·c. Soc. Cave Reno).
L'ingiunzione fiscale di cui al Testo unico 14
-aprile 1910, n. 639 ha per suo fondamentale presupposto
che il credit4 in base al quale viene
-emesso l'ordine di pagare la somma sia liquido,
.esigibile e quindi certo. Pertanto, la Pubblica
.Amministrazione non ha il potere di autotutelarsi
-con la speciale procedura coattiva di cui al detto
Testo unico in ordine alle sue pretese di soddisfazione
dell'obbligazione risarcitoria di terzi, trattandosi
di crediti che mancano dei requisiti di
liquidità, esigibilità e certezza.
Trascriviamo la motivazione in diritto della se.
conda sentenza.
. E' da ritenere che l'indirizzo della Corte Suprema
·nella materia debba considerarsi ormai consolidato.
Con i due motivi del ricorso, che sono strettamente
connessi, la .Amministrazione ricorrente, nel
denunciare la violazione e falsa applicazione delle
norme relative alle riscossioni delle entrate patrimoniali
dello Stato (T.U. 14 aprile 1910, n. 630),
-deduce che erroneamente i giudici del merito
hanno ritenuto di escludere il potere di auto.
accertamento della Pubblica Amministrazione, ai
sensi delle indicate norme, di un credito risarcìtorio
derivante dalla abusiva occupazione di un
bene demaniale.
La censura è infondata.
Non si dubita che l'ingiunzione fiscale di cui al
'Testo unico n. 639 del 1910 tenda alla sollecita
riscossione delle entrate patrimoniali e dei proventi
del demanio pubblico e dei pubblici servizi
dello Stato e degli altri enti pubblici indicati nello
.art. l di detto Testo unico, e che l'ingiunzione
medesima costituisca una estrinsecazione del potere
di supremazia dello Stato e di detti Enti in rela.
zione ai fini <1 i Lecessaria utilità generale perseguiti
dalla Pubb: . -~ Amministrazione (sent. 381/1959;
2125/1961).
Ma è agevole considerare, nel quadro del sistema
generale dell'ordinamento giuridico, che trattasi
pur sempre d'ingiunzione, la quale ha a suo fon-
damentale presupposto che il credito in base al
quale viene emesso l'ordine di pagare la S()mma
dovuta sia liquido, esigibile ·e quindi certo (sentenza
Sezioni Unite, n. 3156 dell936). Il che ov-
viamente non è configurabile per i crediti risarcitori
in genere che l'Amministrazione può vantare verso
terzi appunto perchè tali crediti mancano di quei
. requisiti di liquidità, esigibilità e certezza, che
-costituiscono condizione necessaria per il sorgere
di quel potere di supremazia estrinsecantesi nella
ingiunzione.
In relazione poi al. non discutibile principio che
di regola solo il giudice ordinario può assicurare
la .:tut0la -.dei. dil'itti -~ttivi. -~aFantitL dalla
norma giuridica, anche nei riguardi della Pubblica
.Amministrazione,· deve ritenersi che non è sicura- .
mente consentito all'Amministrazione stessa il
potere di autotutelarsi, con la speciale procedura
coattiva dell910, in ordine alle sùe pretese di sodisfazione
dell'obbligazione risarcìtoria di terzi (comé
quella di cui è causa), la quale obbligazione può
acquistare carattere di certezza, nei rapporti controversi,
soltanto, come si diceva, attraverso il
crisma del giudice •e nei modi ordinari.
IMPOSTA DI REGISTRO- Finanziamenti accordati
da Istituti di credito con contestuale rilascio di cambiali
- Assorbimento dell'imposta di registro dovuta
per il finanziamento in quella di bollo scontata
sulle cambiali. (Cassazione, Sezione I, 5 aprile-H
luglio 1963, n. 1873 - es.: Vistoso; Rei.: Caporaso; Pr.
M.: Cutrupia- Finanze. c. S.p.A. Ercole Marelli).
.".i.i.i
Sia secondo il Regio decreto 19 marzo 1936,
n. 2170 che secondo la legge 4 aprile 1953, n. 261,
con norme di favore per l'imposta di registro sui
finanziamenti accordati da Istituti di Credito in
relazione a cessioni di credito verso Pubbliche
Amministrazioni dipendenti da appalti o forniture,
l'imposta di registro dovuta per i finanziamenti è
surrogata, nel caso. di contestuale rilascio di cambiali,
dalla imposta di bollo scontata per queste
ultime anche se le cambiali, integralmente trascritte,
non siano rilasciate solvendi causa, ma con
mera funzione di garanzia.
I n diritto la sentenza è così motivata:
Con il primo motivo di ricorso l'Amministrazione
delle Finanze lamenta che la questione fiscale
di cui si tratta sia stata decisa in base alla legge
4 aprile 1953, n. 261, la quale è successiva al tassato
rogito Mossolin 11 giugno 1951: perciò non
è applicabile nella specie .
Senza dubbio la norma tributaria vigente alla
epoca della stipulazione dell'atto di finanziamento
concesso· dall~ Casse di Risparmio alla ditta Marelli
e garantito da cessioni di credito verso il Comune
di N a poli era quella contenuta nell'art. l del regio
decreto 19 dicembre 1936, n. 2170, esattamente
richiamato nella parte espositiva della sentenza
impugnata.
La quale però, nel precisare i termini della norma
di legge applicabile nella specie, si è esclusivamente
riferita alla « nota >> dell'art. 2 della citata legge
4 aprile 1953, n. 26 .. Ciò sul presupposto, del resto
pacifico fra le parti, che per le operazioni di finanziamento
da parte degli istituti di credito di cui
al decreto legge 12 marzo 1936, n. 375, con corrispettive
cessioni di credito verso la Pubblica Amministrazione,
l'esenzione fiscale prevista dalle due
successive norme di legge sia rimasta fondamentalmente
immutata. La stessa Amministrazione lliveva,
sia .nell'atto di appello sia nella comparsa conclu- ·sionale,
tes.tualmente premesso, che l'agevolazione
tributaria, prevista dall'art. l del Regio decreto
legge. 19 .. settem'bx.e -1936, n. 2170. coo:risp.Oildeva
- 140 --
esattamente a quella previ.;ta dalla nota dell'articolo
2 della legge 4 aprile 1953, n. 261 e proseguiva
affermando che per tale agevolazione la legge pone
due condizioni: a) èhe il fin:;tnziame;nto sia p9sto
in essere con le cambiali; b) che le cambiali si'àno
trascritte nell'atto.. L'Amministrazione poneva
quindi la questione, come tuttora la pone, negli
stessi termini e con le stesse argomentazioni già
svolte in fattispecie identiche, sicuramente regolate
dalla nuova. legge dell'aprile del 1953 (vedi,
da ultimo, Cass., 14 febbraio 1963, n. 321).
Ciò, del resto, si spiega agevolmente col fatto
che la lettera, il contenuto e la ratio delle due
norme si identificano in maniera evidente, poichè
l'una parla di « finanziamento posto in essere con
cambiali n e l'altra di « finanziamento posto in
essere· mediante cambiali >>.
La questione sorta in questo come altri precedenti
giudizi è dunque sempre la medesima, stabilire,
se, alla stregua dell'una e dell'altra norma
di legge, il beneficio sia dovuto solo se si tratti di
rapporto di credito posto in essere mediante rilascio
di cambiali solvendi causa (tesi dell'Amministrazione
Finanziaria), ovvero anche se si tratti di
finanziamento collegato ad un rapporto cambiario
accessorio, avente funzione di garanzia.
Di questo problema si occupa il secondo motivo
di ricorso.
Ma, come si è già accennato, la questione è stata
risolta da precedenti decisioni di questo stesso
Collegio il quale ha accolto la tesi che anche nel
caso in cui il rilascio di cambiali da parte del debitore
sia solo a garanzia del finanziamento concesso
dalla banca dietro cessione di crediti verso enti
pubblici per appalti di lavori e forniture di merci,
la tassa graduale di bollo scontata dalle cambiali
medesime assorbe quella proporzionale di registro
dovuta per l'atto di finanziamento (Sent. n. 1044
del 1961 e 321 del 1963).
Tale massima si fonda principalmente sul rilievo
che secondo la stessa previsione della legge deve
trattarsi di due diversi rapporti, di finanziamento
e cambiario, certamente collegati tra loro, ma non
fino al punto che le cambiali debbano necessariamente
essere rilasciate solvendi causa e non a scopo
di garanzia del finanziamento medesimo.. Il rapporto
cambiario può avere anche uno scopo semplicemente
sussidiario e strumentale, cioè concorrente
al più rapido e sicuro recupero della sovvenzione
accordata al soggetto passivo dell'operazione
di finanziamento. Pertanto, alla surrogazione della
imposta proporzionale di registro si ha diritto anche
nella ipotesi in cui le cambiali assolvono, come nel
caso concreto, una funzione di garanzia della
obbligazione assunta dal sovvenuto.
Con le precedenti decisioni di cui sopra questa
Corte ha altresi ritenuto che è irrilevante la presenza
di clausole contrattuali dirette a disciplinare
le modalità del finanziamento indipendentemente
dal rapporto cambiario, sempre per la medesima
ragione che trattasi di due distinti rapporti, sebbene
funzionalmente collegati. Per conseguenza
non ha fondamento neppure il terzo ed ultimo
motivo di ricorso con il quale si sostiene la tesi
contraria, facendosi richiamo alla giurisprudl.mza
relativa al t.rattamento tributario delle cambiali
ipotecarie. Ma è stato già rilevato che è diverso
il presupposto del regime tributario in materia di
cambiali ipotecarie, sicchè i principi stabiliti per
quella fattispecie non possono valere anche per
la diversa ipotesi disciplinata <ron l'art. l della
l3gge del 1936 e poi dall'art. 2 della legge del 1953.
.A) Con tale sentenza la Corte di Cassazione ha
confermato, anche per la legge 19 marzo 1936, numero
2170, quello che in ripetute occasioni (cfr. Sentenze
1044/61-1046/61 e 321/63) ha affermato, per
il regime agevolato, ai fini dell'imposta di registro,.
dei finanziamenti concessi dagli Istituti di credito,
contemplati dal decreto-legge 375 del 1936, in
relazione a cessioni, pro soluto o pro solvendo, di
crediti verso Pubbliche Amministrazioni dipendenti
da appalti, lavori o forniture di merci. La lettera,
il contenuto e lo spirito sia dell'una che dell'altra
norma di legge - precisa la Corte di Cassazione -
portano a ritenere che l'assorbimento delle imposte
di registro per il finanziamento in quelle di bollo
per le cambiali riceve applicazione non solo nel·
caso in cui le cambiali predette svolgono il ruolo di
titolo costitutivo e più precisamente di mezzo· di
attuazione del finanziamento, ma anche nel caso in
cui svolgono il ruolo di garanzia, di titolo parato
concorrente al più rapido e sicuro recupero della
sovvenzione. Alle argomentazioni in contrario addotte
sia con richiamo alla lettera della legge -
finanziamento posto in essere mediante cambiali -
che alla posizione, nei singoli atti, di clausole che
disciplinano, di solito, il finanziamento in modo diverso
dal rapporto cambiario, la Corte di Cassazione
ha opposto che nella stessa previsione legislativa si
contemplano due diversi rapporti - finanziamento
e cambiali - e che lo scopo del particolare trattamento
fiscale è quello di escludere il concorso delle
imposte graduali di bollo s'lille cambiali e delle
imposte proporzionali di registro sul finanziamentoDa
ciò la necessità di un collegamento fra finanziamento
e rapporto cambiario e non anche di una loro
compenetrazione.
Le ripetute pronunce, in tale senso, intervenute
nella particolare materia, costituiscono, ormai, giurisprudenza
costante, alla quale non resta che uniformarsi.
IMPOSTA DI REGISTRO- Pagamento dell'impostaPrivilegi
nei confronti del terzo acquirente - Termine
di decadenza di quattro anni. (Corte di Cassazione,
Sezione I, Civile 24 aprile 1963, n. 1086 -
Lucertoni c. Lunghi).
L'azione esecutiva del Fisco (o di chi gli si surroga)
per la riscossione del credito per imposta di
registro e il relativo privilegio nei confronti del terzo
acquirente dell'immobile sono soggetti al termine di
decadenza di quattro anni decorrente dalla data
di registrazione dell'atto di compravendita cui
si riferisce il tributo: tale termine, previsto -dal
2° comma dell'art. 97 della legge di registro, è di
decadenza e non di prescrizione e coi:ne tale non
è scrggetto a -s-ospensione nè ad intelTuz:ìone.
m zw-w EL??"?&aanc
-141-
Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza:
Con il quarto mezzo il ricorrente, denunciando
la violazione degli art. 97, u.c. e 98 regio decreto
30 dicembre 1923, n. 3269, in relazione all'art. 360
n. 3 C.p.c., assume che, contrariamente a quanto
ritenuto dalla Corte di merito, gli atti che interrompono
la prescrizione ai sensi dell'art. 141 legge
registro se esplicano la loro efficacia nei confronti
di tutti i condebitori solidali dell'imposta, non
spiegano alcun effetto nei confronti del terzo possessore,
il quale non è un condebitore solidale, ma
è invece un responsabile; con la conseguenza che
non può non verificarsi la prescrizione quando
nessun atto interruttivo venga posto in essere
direttamente contro il terzo possessore.
Questa censura è fondata.
La risoluzione della questione proposta col mezzo
postula ovviamente la risoluzione dell'altra circa
la natura del termine previsto dall'art. 97, ultimo
comma, della legge del registro, se cioè trattisi di
termine di prescrizione o di decadenza.
Come è ben noto, l'art. 97 cit., nello stabilire al
1 o comma che lo Stato ha privilegio, secondo le
norme stabilite dal Codice civile, per la riscossione
delle tasse di registro sui mobili ed immobili cui
la tassa si riferisce, privilegio che garantisce anche
la tassa di registro dovuta sul maggior valore accertato
nel giudizio di stima, detta poi nel 2° comma
che <<l'azione si estingue nei termini stabiliti dalla
presente legge per domandare il pagamento della
tassa o del suo supplemento ».
La Corte del merito ha ritenuto che tale termine
sia di prescrizione e non di decadenza facendo leva
sull'argomento che il cennato precetto fa esplicito
riferimento agli articoli contenuti nel titolo VI
capo I della legge di registro che tratta « delle
prescrizioni» e precisamente agli art. 136 e 137
(successivamente modificati dall'art. 1, n. l della
legge 25 giugno 1940, n. 799 che ha prolungato
di un anno .n termine di tre anni); si è detto al
riguardo che la legge ha voluto in sostanza misurare
la vita dell'azione reale contro il terzo possessore
sulla durata concreta dell'azione personale
nei riguardi del debitore d'imposta per evitare, che
con il passaggio dei beni, il privilegio potèsse estinguersi
prima e indipendentemente dal credito di
imposta e si è concluso che pertano gli atti interruttivi
che impediscono la prescrizione contro il
personalmente obbligato impediscono ugualmente
quella reale contro il terzo possessore (come si
era verificato nel caso di specie)
Ma questa interpretazione, come ha esattamente
osservato il Procuratore generale nella requisitoria
orale, non può essere condivisa. Il termine previsto
nell'art. 9.7, 2° comma legge di registro è
di decadenza e. non d,i prescrizione. L'argomento
addotto dai Giudici del merito non sembra efficiente.
a favore della tesi da essi adottata: che
anzi da esso si rilevano ragioni contrarie alla tesi
medesima.
Infatti, è agevole osservare che il richia1Ilo fatto
dall'art. 97 (collocato nel capo che si intitola «del
pagamento della tassa e dell'azione personale El
reale per la loro riscossione») agli artt. 136 e 137
(posto inveca nel capo «delle prescrizionin) sarebbe
stato del tutto inutile se si fosse trattato di termine
di prescriz:one, pere h è i diritti reali di garan~ia,
in cui sono attratti i privilegi speciali, non possono
che seguire, per la loro stessa struttura;-le sortì
del credito cui accedono. Una volta estinto il
credito principale è ovvio che quello di garanzia.
non può autonomamente rimanere in vita.
Escluso, per ragion di sistema, che il legislatore
abbia voluto enunciare con l'art. 97, 2° comma,
un precetto del tutto superfluo, indubbiamente il
precetto stesso deve avere altra ratio. E precisamente
quella che si identifica nella avvertita
necessità di porre un limite ben determinato alla.
durata del privilegio.
Posto infatti che tale garanzia reale (svincolata.
anche da ogni pubblicità immobiliare) consente
allo Stato creditore (o a chi ad esso si surroga)
di perseguire il bene anche quando questo è passato
dal patrimonio del debitore nelle mani di terzi,
estranei al debito d'imposta, si è ritenuto oppor~
tuno, per considerazioni di ordine pubblico, che
attengono al principio di certezza e tutela della.
proprietà immobiliare, di prefiggere appunto un
termine rigido entro il quale la azione privilegiata
possa essere esercitata. E la locuzione usata nella
norma in esame offre ulteriore argomento a conforto
della tesi qui sostenuta (e seguita in tal
senso dalla prevalente dottrina del diritto tributario
), giacchè nell'art. 97, 2° comma, della legge
di registro si dice che l'azione si estingue richiamandosi
così un concetto di eliminazione automatica
(ipso iure) del corrispondente diritto soggettivo.
Per vero il Codice civile abrogato, cui la
legge di registro è ovviamente adeguata, a proposito
della prescrizione, non parlava di estinzione,
ma diceva invece che « tutte le azioni tanto reali
quanto personali si prescrivono>> (art. 2135) e
l'art. 137 della legge cennato usa infatti la stessa.
espressione nel capo che regola le prescrizioni
(l'azione della Finanza ... si prescrive ... ) a differenza
del Codice vigente che, risolvendo l'antica.
questione se con la prescrizione si estingua il
diritto soggettivo materiale o l'azione, detta che
«ogni diritto si estingue per prescrizione» (articolo
2934).
Deve ritenersi perciò che il legislatore abbia.
voluto ancorare l'estinzione del privilegio unicamente
al fatto oggettivo della mancanza di esercizio
del relativo diritto nel tempo stabilito (che
coincide con quello della prescrizione del debito
d'impos.ta), e non già al fatto soggettivo della
inerzia del titolare protratta per il tempo medesimo.
E questo porta a concludere che trattasi di decadenza
e non di prescrizione con la necessaria.
conseguenza che la decadenza non tollera nè
sospensione, nè interruzioni (art. 2964).
Fermo in definitiva l'indirizzo segnàto da questa.
Corte Suprema a Sezioni Unite secondo cui il venditore
il quale abbia pagato per conto del.(lompratore
la tassa (principale o complementare) di regi--stro
ha diritto di rivalsa sull'immobile gravato dllJl
privilegio, a chiunque questo appartenga, giacQhè
la garanzia reale, per il diritto di seguito si tra-
142-
sferisce ai successivi acquirenti dell'immobile (sentenza
1468 del 1955, Foro It., 1956, I, 66), la
censura del mezzo deve essere accolto sul punto di
cui si è discorso con rinvio della causa ad altra
Sezione della stessa Oorte di appello che nel nuovo
-esame si atterrà al principio di diritto che qui viene
enunciato: «In conformità alle esigenze di sicul'ezza
nella circolazione dei beni, specie immobiliari,
il termine previsto dall'art. 97, 2o comma
della legge di r< gistro è di decadenza e non di
prescrizione e come tale non _subisce nè sospensioni
nè interruzioni, sicchè l'azione esecutiva del Fisco
<o di chi ad esso si surroga) per la riscossione del
eredito privilegiato sull'immobile oggetto del privilegio
si estingue col decorso di quattro anni che
~ecorrano dalla data di registraz:one dell'atto di
-compravendita cui si riferisce il tributo )),
A) L'azione esecutiva reale, per la riscossione
·del credito per imposta di registro, sui beni ai quali
:J-a imposta stessa si riferisce, si estingue nel termine
-di tre anni, indicato dal combinato disposto degli
artt. 97 e 136 della L.O.R. e non di quattro anni.
La legge 25 giugno 1940, n. 799, infatti, ebbe a
porre in via del tutto occasionale ed eccezionale, una
proroga ai termini di prescrizione e di decadenza
previsti dalla L.O.R. per ragioni connesse con lo
-stato di guerra. A simiglianza, invero, di quanto
-avvenuto per la guerra 1915-1918 per effetto del
·decreto legge 21 maggio 1916, n. 621; decreto legge
l 0 aprile 1917, n. 558; legge 11 agosto 1921, n. 1083;
·legge 6 dicembre 1923, n. 2696 e regio decreto legge
2 maggio 1925, n. 622, per la guerra 1940-45 la
-legge 25 giugno 1940, n. 799 prorogò i termini sud
·detti di un solo anno solare. Perdurando lo stato di
.guerra, alla scadenza di tale anno, avvenuta il
15 luglio 1941, intervenne la legge 4 luglio 1941,
n. 693 che prorogò, sempre in via eccezionale ed
occasionale, i termini stessi fino ad un anno dopo
.la dichiarazione della cessazione dello stato di guerra
e precisamente fino al 15 aprile 1947 (la cessazione
'{]ello stato di guerra fu dal D.L.L., n. 49 dell946
fissata al 15 aprile 1946).
Per ragioni connesse con il passaggio dalla legi-
slazione di guerra a quella di pace, tale ultimo
.:termine fu ulteriormente prorogato al 31 dicembre
1947 con il D.L.C.P.S. 16 novembre 1946, n. 476;
-al 31 dicembre 1949 con il D.L.C.P.S. 23 dicembre
1947, n. 1464 e per ultimo al 31 dicembre 1951
-con la legge 23 dicembre 1949, n. 926.
N ella sentenza annotata, intervenuta fra parti
private della proroga di un anno recata dalla legge
:25 giugno 1940, n. 799 è stato dato atto, senza, però,
che fosse affrontata e risolta la natura occasionale
·della stessa, le ragioni che l'hanno determinata ed
il carattere essenzialmente temporaneo, a chiare
note dimostrato dalle ricordate leggi successive e dai
richiami ai precedenti legislativi in esse contenuti.
B) Il carattere di decadenza del termine in que-
stione contrasta con l'indirizzo giurisprudenziale formatosi
al riguardo con la sentenza 8 luglio 1920
·della stessa Corte di Cassazione e con le decisioni
6 maggio 1941, n. 40903; 18 febbraio 1943, n. 66798;
:26 maggio-1941, n. 90212 e 6-maggio 1931, n. 20902
della Commissione centrale delle Imposte. Oontr.asta
anche con autorevole Dottrina (Cfr. !AMMARINO:
Oommento alle Leggi di Registro, vol. II pag. 43;
RASTELLO: L'Imposta di Registro, pag. 961 e
segg.). Sia l'una che l'altra hanno, infatti, costantemente
ritenuto che il termine fò88é di prescrizione
e che l'interruzione validamente operata nei confronti
del soggetto passivo di imposta, spiegasse i propri
effetti anche nei confronti del terzo possessore. La
ragione è stata ravvisata nel fatto che l'azione reale
per la riscossione dell'imposta di registro ha la
stessa durata, per e~pressa norma di legge, di quella
personale e gli atti interruttivi di questa seconda
azione, notificati al soggetto passivo, hanno efficacia
interruttiva anche nei riguardi del terzo possessore
(contra cfr. BERLIRI: Legge di Registro 1952,
pag. 376 e segg.; UKMAR, III 136 e segg.; PERRICONE:
Trattato di Diritto Tributario di Registro, pag. 626).
La qual cosa, appare esatta dato che, la formulazione
stessa della norma contenuta nell'art. 97 della
L.O.R. porta a ritenere che la estinzione del privilegio
segue, come conseguenza necessitata, alla estinzione
del diritto di credito per avvenuta prescrizione.
Il principio della certezza e della tutela della proprietà
immobiliare non resta sacrificato. Poichè il
diritto di prelazione nasce al momento della registrazione,
il terzo possessore è in condizioni, al
momento dell'acquisto del bene, di accertàre se, giusto
quanto stabilisce l'art. 10 della legge 12 giugno
1930, n. 762, presso l'Ufficio del Registro competente,
vi siano accertamenti in corso.
IMPOSTA DI REGISTRO - Promessa di vendita -
Registrazione a tassa fissa - Promessa di vendita
costituente vera e propria vendita - Art. 5 Tariffa
all. A - Tassa proporzionale. (Corte di Cassazione,
Sezione I, Sentenza n. 11/63 - Pres.: Varallo; Est.:
Rossano; P. M.: Silocchi (conf.) - Amministrazione
delle Finanze dello Stato c. Baravelli)
La promessa bilaterale di vendita immobiliare
ha per oggetto non il trasferimento della proprietà
dell'immobile, ma l'obbligo di concludere il contratto
che attua tale trasferimento, ed è, pertanto,
soggetto alla tassa fissa e non a quella proporzionale
di registro; peraltro, qualora il contratto sia
qualificato dalle parti come promessa bilaterale di
vendita, ma costituisca una vera e propria vendita,
in quanto le parti abbiano voluto attuare il trasferimento
del dominio, è applicabile la tassa proporzionale
a norma dell'art. 5 della tariffa, allegato .A,
della legge 30 dicembre 1923, numero 3269.
Trascriviamo la motivazione della sentenza, che
conferma la giurisprudenza ormai costante della
Corte Suprema (in senso conforme sent. n. 1927
del 15 luglio 1963 in causa Cannavà o. Finanze.
L'Avvocatura dello Stato si adeguerà a tale indirizzo
giurisprudenziale.
Oon l'Unico motivo del ricorso principale denunciandosi
la violazione dell'art. 5 della tariffa
allegato A dell_a legge di registro 30 dicembre 1923,
-143-
tL 3269, si censura la sentenza impugnata per aver
ritenuto che per la registrazione degli atti conte.
nenti promesse bilaterali di vendita sia dovuta la
tassa fissa anzichè quella proporzionale.
.Al riguardo si deduce che tale interpretazione
sarebbe contraria al chiaro dettato della legge,
la quale stabilisce che è dovuta la tassa proporzionale
« per le promesse di vendita se esiste il
consenso delle parti sulla cosa e sul prezzo ».
La censura è infondata.
Come questa Corte ha più volte affermato,
(vedi da ultimo sentenza n. 1473 del1948) la promessa
bilaterale di vendita immobiliare, avendo per
oggetto non il trasferimento della proprietà dell'immobile,
ma l'obbligo di concludere il contratto
che attua tale trasferimento, è soggetta alla tassa
fissa e non a quella proporzionale di registro, la
qùale, a norma dell'art. 4 della legge di registro è
applicabile alle << trasmissioni a titolo oneros'o di
proprietà ».
È vero che l'art. 5 della tariffa allegato A di
detta legge assoggetta alla tassa proporzionale le
promesse di vendita di immobili, ma tale norma,
che si ricollega attraverso le precedenti tariffe
'del 1897, del 187 4, del 1866, del 1862 e del 1854
al Codice .Albertino, e, quindi, al Codice Napoleonico,
secondo il quale la promessa di vendita
equivale alla vendita se vi sia il consenso delle
parti sulla cosa e sul prezzo (art. 1589), fu
formulata in relazione a questa concezione, che
era dominante nel momento in cui la tariffa fu
compilata.
Ora, poichè per effetto della elaborazione dottrinale
e giurisdizionale la promessa bilaterale di
vendita è concepita non più come equivalente
alla vendita se sussistono i requisiti essenziali di
questo contratto, ma come rapporto sinallagmatico
avente per oggetto l'obbligo di concludere la vendita,
l'interpr!')tazione del citato articolo non può
prescindere da tale mutamento di concezione e,
pertanto, deve ritenersi che esso si riferisca a quei
contratti che, pur qualificati promesse bilaterali di
vendita, sono delle vere e proprie vendite, in
quanto con essi le parti abbiano voluto attuare il
trasferimento del dominio.
Tale interpretazione, peraltro, trova conferma
nel fatto che l'articolo è posto sotto la rubrica
Trasferimento a titolo oneroso.
È, quindi, estranea alla norma in esame la
fattispecie in cui il contratto comporta soltanto
l'obbligo di concludere una successiva convenzione
senza ancora produrre il trasferimento della proprietà
della cosa, la fattispecie, cioè, che la moderna
concezione, recepita nell'art. 1351 del Codice civile,
qualifica come contratto preliminare meramente
obbligatorio.
Nella specie, la Corte di merito si è puntualmente
uniformata a tale interpretazione perchè, accertato,
con incensurabile apprezzamento di fatto,
che con l'atto qualificato promessa di vendita le
parti non vollero trasferire la proprietà delle aree
edificabili, ma si obbligarono ad addivenire alla
vendita di esse in un momento successivo, ha ritenuto
che esso fosse soggetto alla tassa fissa di
registro.
IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE- Aziende e Istituti
di credito - Reddito di Categoria B - Pagamento imposta
per interessi passivi 'in sostituzione dei depositanti
- Rinunzia esercizio facoltà di rivalsa - Perdita
e non spesa - Indetraibilità. (Corte di Cassazione.:Sezione
I, Sentenza n. 1115/63 - Pres.: Vistoso; Est.,.
Malfitano; P. M.: Trotta (conf.) - Finanze c. Banca.
Popolare Milano).
li pagamento dell'imposta di Ricchezza Mobile
di categoria A eseguito dalle Aziende e dagli
Istituti di credito, in sostituzione dei depositanti,
sugli interessi da questi percepiti, non dà luogo ad
una spesa inerente alla produzione del reddito di
categoria B che tali aziende e istituti ritraggono
dall'esercizio della loro normale attività, ma fa.
sorgere a favore degli enti medesimi un credito
verso i depositanti fondato sul diritto alla rivalsa
della somma pagata, espressamente sancito dallo.
art. 22 della legge 8 giugno 1936, n. 1231.
La rinunzia all'esercizio di tale diritto di credito
si risolve in un onere di esercizio qualificabile come
« perdita >>.
La somma di denaro nella quale si sostanzia la
perdita è detraibile dal reddito di categoria B
delle aziende e degli istituti anzidetti soltanto nel
caso che la rinunzia sia imposta da cause del tutto
estranee alla volontà del creditore.
La Commissione Centrale aveva ritenuto - con
la decisione n. 32148 in data 12 ottobre 1960 della
Sezione I - che l'imposta di Ricchezza Mobile,
categoria A, corrisposta dagli istituti e dalle aziend&
di credito - con rinunzia all'esercizio del diritto.
di rivalsa previsto dall'art. 22 della legge 8 giugno
1936, n. 1231 - sugli interessi aventi natura di
redditi di capitale, riconosciuti a favore dei depositanti,
dovesse detrarsi, come spesa necessaria alla.
produzione del reddito (art. 32 T.U., 24 agosto
1877, n. 4021), dall'imponibile di Ricchezza Mobile,
categoria B determinato nei confronti degli istituti
e delle aziende medesime.
Siflatto carattere di spesa necessaria alla produzione
del reddito, ricoJ'I,osciuto dalla Commissione
Centrale al mancato esercizio della rivalsa d'imposta,
sarebbe derivato dal fatto che la rinunzia sarebb&
stata imposta dalle inderogabili condizioni di mercato
(usi, cartello bancario, ecc.).
L'Amministrazione delle Finanze, impugnando
con ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. tale·
decisione, rilevò che il pagamento dell'imposta di
categoria A in luogo dei depositanti non fa sorgere
- per gli effetti di cui al citato art. 32 del Testo
unico, n. 4021 - un costo o una spesa per le aziende
ed istituti di credito, ma determina più esattamente
il sorgere di un credito verso i reddituari, fondato
sul diritto, dichiarato dalla legge, all'esercizio della.
rivalsa. Solo successivamente, e cioè quando le
aziende rinunciano alla realizzazione del credito,
si manifesta un onere di esercizio qualifi~apile
come perdita per insussistenza di attivo. In altri
termini, trattandosi di un onere facente carico al
percipiente del reddito, non può parlarsi di « spesa »·
per le aziende ed istituti di credito, ma di « perdita>>.
- 144
Precisò l'Amministrazione che la definizione- giu
·ridica dell'onere assume notevole rilievo, in quanto,
mentre per le « spese » l'indagine diretta alla ricerca
del carattere d'inerenza, richiesto dalle disposizioni
in materia ai fini della detrazione, si arresta dinanzi
alla constatazione della relazione di causalità
economica esistente fra le spese ed il reddito da
assoggettare a tassazione, nel caso di << perdite » per
mancato realizzo di credito l'indagine supera tali
limiti e si estende alla ricerca della vokmtarietà o
meno della rinunzia al credito, in quanto l'onere
relativo può trovare considerazione tributaria, ai
sensi e per gli effetti di cui all'art. 31 del. Testo
unico, n. 4021, solo nel caso che, ferma restando la
relazione di afferenza o inerenza alla produzione del
reddito tassabile, la rinuncia sia imposta da situazioni
estranee alla volontà del creditore,. potendosi altrimenti
configurare un mero atto di liberalità o comunque
di rinunzia che non può incidere sul reddito da
acquisire alla tassazione, come ritiene la copiosa
giurisprudenza della stessa Commissione Centrale.
La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza
sopra massimata, ha accolto il ricorso deWAmministrazione,
così motivando nella parte essenziale:
Il pagamento dell'imposta di ricchezza mobile
di categoria A eseguito dalle aziende e istituti di
credito, in sostituzione dei depositanti, sugli interessi
da questi percepiti, non dà luogo a una spesa
inerente alla produzione del reddito, di categoria
B che tali aziende e istituti ritraggono dall'esercizio
della loro normale attività, ma fa s01:gere a favore
degli enti medesimi un credito verso i depositanti,
fondato sul diritto all'esercizio della rivalsa della
somma pagata, espressamente sancito dalla legge
(art. 22 della legge 8 giugno 1936, n. 1231).
Se, poi, le aziende o gli istituti non esercitano tale
diritto, il pagamento dell'imposta si risolve in un
onere di esercizio qualificabile come perdita.
Ora, mentre per le spese inerenti alla produzione
l'indagine diretta ad accertare tale inerenza,
richiesta dalla legge come condizione necessaria
per la loro detraibilità dal reddito medesimo, si
esaurisce di fronte alla constatazione dell'esistenza
del rapporto di causalità economica tra le spese e
il reddito, per la perdita dovuta alla rinunzia al
diritto di ottenere il soddisfacimento di un credito,
tale indagine si estende alla ricerca della volontarietà
o meno della rinunzia, in quanto la somma di
denaro nella quale si sostanzia la perdita, è detraibile
dal reddito soltanto nel caso che la rinunzia
sia imposta da cause del tutto estranee alla volontà
del creditore.
N ella specie, la Commissione Centrale non si è
uniformata a tali principi perchè ha ritenuto che
la somma pagata dalla Banca Popolare di Milano
per imposta di ricchezza mobile di categoria A
sugli interessi percepiti dai depositanti fosse una
spesa inerente alla produzione del reddito derivante
dalla sua normale attività e che tale somma fosse
detraibile da questo ai fini della determinazione
-dell'imponibile di ricchezza mobile di categoria B,
sebbene non fosse stato accertato che la rinuncia
da parte della Banca alla rivalsa della somma
:pagata non fosse volontaria.
N è . la volontariet(Ì, . della .rinun.zia potepa essere
esclusa dal fatto che le banche non esercitano il
diritto di rivalsa verso i depositanti per l'esistenza
di usi e accordi interbancari in tal senso, perchè
questi, invece, confermano tale vglontarietà.
I. G. E.- Ricostruzione di naviglio sinistrato per cause
di ifu«:r;ra - Esenzione - Pagamenti effettuati dai cantieri
per lavori rientranti nel quadro della ricostruzione
- Applicabilitd.
SPESE GIUDIZIALI - Onere - Azione per rimborso
I. G. E. oltre termine art. 47 legge n. 762 del 1940 -
Soccombenza Amministrazione- Esenzione.
RIMBORSO DI TRIBUTI NON DOVUTI- Interessi -
Decorrenza- Legge 26 gennaio 1961 n. 29- Applicabilità
ai rapporti pregressi non ancora esauriti.
(Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1114/63-
Pres.: Celentano; Est.: Caporaso; P. M.: Trotta (conf;)Finanze
c. Soc. O.T.O.).
L'esenzione dall'I.G.E., prevista dall'art. 9 del
decreto legislativo 29 giugno 1947, n. 779 è applicabile,
non soltanto ai· pagamenti effettuati dai committenti
proprietari od armatori ai cantieri incaricati
dell'esecuzione di lavori di costruzione, riparazione,
modificazione o trasformazioni navali, ma anche
agli acquisti di materiali e di macchinari effettuati
dai cantieri navali per eseguire lavori che rientrino
nel quadro della ricostruzione del naviglio sinistrato
dalla guerra, ed ai pagamenti effettuati dai
cantieri stessi per singole prestazioni.
La norma demanda al Ministero della Marina
Mercantile di certificare che il pagamento concerne
in concreto un contratto avente ad oggetto un
complesso di lavori eseguiti per una determinata
nave, corrispondenti alle finalità della ricostruzione
del naviglio e dell'attivazione dell'industria delle
costruzioni navali e dell'armamento.
L'art. 148 della legge di registro, secondo il
quale l'Amministrazione non è tenuta al pagamento
delle spese giudiziali quando il contribuente non
abbia prima sperimentato la via amministrativa,
ponendo in grado l'Amministrazione di adottare
essa direttamente il provvedimento di rimborso, è
espressione di un principio generale valevole anche
per le altre controversie in materia di tasse ed imposte
indirette, e quindi anche in materia di
I.G.E.
Nè l'art. 47 della legge sull'I.G.E., che commina
la decadenza dal rimborso in via amministrativa
dell'imposta indebitamente pagata, per la mancata
presentazione della relativa istanza entro
un anno, è d'ostacolo all'applicazione della regola
anzidetta, perchè la decadenza non determina
la inammissibilità, ma rende soltanto inevitabile
l'azione giudiziaria, nella quale però l'Amministrazione
è esente dall'onere delle spese del giudizio.
La legge 26 gennaio 1961, n. 29, la quale na
stabilito che sulle somme pagate per tasse ed imposte
indirette sugli affari, ritenute non dovute
a seguito di provvedimento in sede amministrativa
-145-
o giudiziaria, spettano al contribuente gli interessi
di mora dalla d.ata Q.e~la don:mn,da di rimborso, si
applica anche ai pagamenti indebiti effettuati
prima dell'entrata in vigore della legge stessa dei
·quali sia stata chiesta la restituzione senza che
sia stata definita la relativa controversia. In tale
ipotesi gli interessi decorrono dalla data di entrata
in ·vigore della legge.
La motivazione della sentenza della Oorte Suprema
:sulle questioni delle << spese git~diziali » · e degli « interessi
n è la seguente:
Devesi ora esaminare il ricorso incidentale della
O.T.O., anche esso basato su due distinte censure.
La seconda delle quali concerne la pronunzia in
'Ordine alle spese del giudizio, che la Corte di Appello
ha ritenuto di dover compensare in quanto
era mancata nella specie la preventiva domanda di
rimborso in via amministrativa.
. La sentenza impugnata pone a base della sua
tesi la norma contenuta nell'art. 148 della legge di
registro, considerandola come espressione di uri
principio generale, valevole anche per le altre controversie
in materia di tasse ed imposte indirette
·e quindi in materia di I.G.E.
. Questa Corte ritiene esatta la tesi, rilevando
.come non soltanto per la legge di registro, sibbene
.anche per l'imposta sulle successioni (art. 96 R.D. 30
dicembre 1923, n. 3270) vige il medesimo principio,
.che l'Amministrazione non è tenuta al pagamento
delli:l spese giudiziali qualora il contribuente non
abbia prima sperimentato la via amministrativa,
ponendo in grado l'Amministrazione di adottare
.essa, direttamente, il provvedimento di rimborso.
Nè l'art. 47 che commina la decadenza dal
Timborso in via amministrativa dell'I.G.E. indebitamente
pagata, è d'ostacolo all'applicazione della
regola di cni sopra.
La decadenza per il decorso di un anno senza pre.
sentazione della prescritta istanza di rimborso non
determina la inammissibilità, ma rende inevitabile
l'azione in via giudiziaria, nella quale però l'Ammi
·nistrazione è esente dall'onere delTte spese del giudizio.
Poichè la decisione impugnata è fondata sul
:principio di diritto sopra accennato, la censura
della O.T.O. non è accoglibile.
Resta, pertanto, da esaminare la prima censura
del ricorso incidentale, relativo agli interessi legali
.sulle somme dovute dall'Amministrazione a titolo
di rimborso. Sostiene la O.T.O. che detti interessi
dovrebbero decorrere quanto meno, dalla domanda
giudiziale e non mai dal passaggio in giudicato
.della sentenza che ordina il rimborso.
Anche su tale punto la impugnata decisione è
·esattamente conforme al principio di diritto impe:
rante al momento della decisione medesima. La
giurisprudenza era ormai ferma nel ritenere che
il diritto del contribuente alla percezione degli
· interessi moratori sorgeva al momento del passaggio
in giudicato della sentenza che dichiarava non
dovuta l'imposta pagata dal contribuente stesso e
ne ordinava la restituzione.
Ma, successivamente alla pronunzia d'appello, è
intervenuta la legge 26 gennaio 1961, n. 29, la
quale ha stabilito che sulle somme pagate per
tasse ed imposte indirette sugli affari, ritenute non
dovute a seguito di provvedimento in sede amministrativa
o giudiziaria, spettano al contribuente
gli interessi di mora dalla data della domanda di
rimborso (art. 5).
La legge ribadisce che l'obbligo della restituzione
è subordinato pur sempre all'esistenza di un provvedimento
amministrativo o giudiziario, il quale
riconosca non dovuto il tributo pagato, ma anticipa
la decorrenza degli interessi alla data della
istanza di restituzione.
In mancanza di disposizione transitoria, nasce il
dubbio sull'applicabilità della norma nuova (di
cui come ius superveniens, la Corte deve tener
conto) ai rapporti di tassa e d'imposta indiretta
sorti anteriormente, per i quali sia tuttora pendente
la controversia, non essendosi ancora formato
il giudicato nè sulla legittimità dell'effettuato pagamento
dei tributi nè sugli interessi nè sulla loro
decorrenza.
La tesi dell'Amministrazione appare fondata su
di una rigida ed astratta concezione della regola
della irretroattività contenuta nel citato art. 11
non considerando che nel caso di situazioni giuridiche
le quali non si esauriscono in un determinato
momento come quello in specie, detta regola lascia
pur sempre aperta la questione dell'applicabilità
della legge nuova alla situazione ancora in atto
ed agli effetti non ancora prodotti o tuttora pendenti
di un rapporto giuridico sorto anteriormente.
Sono note le diverse soluzioni proposte dalla
dottrina, ma la giurisprudenza (Cass., 5 agosto
1957, n. 3304), posta di fronte al problema, lo ha
praticamente risolto nel senso che la nuova norma
si applica allorquando concorrono le seguenti
condizioni: a) che il rapporto giuridico, sebbene
sorto anteriormente, non abbia ancora esaurito i
suoi effetti; b) che la norma innovatrice non sia
diretta a regolare il fatto o l'atto generatore del
rapporto, sibbene gli effetti di esso.
Con questi criteri sono stati risolti i conflitti di
norme tra codice vigente e codice abrogato, tra
cni quello relativo al risarcimento dell'ulteriore
danno, oltre gli interessi moratori, nell'ipotesi di
ritardato adempimento dell'obbligazione pecuniaria.
Si è a tal proposito parlato di una situazione di mora
che si rinnova de die in diem, onde non può dirsi
che essa si sia interamente verificata sotto l'impero
del vecchio Codice e per nulla sotto il nuovo.
Le medesime considerazioni ed il medesimo criterio
valgono dunque anche per il caso in esame,
nel quale l'obbligazione degli interessi a carico
dell'Erario sorge del pari dalla mora debendi.
Comunque, è certo che al momento dell'entrata
in vigore della legge del 1961, il rapporto avente
ad oggetto tanto il debito di restituzione dell'imposta
quanto il pagamento degli interessi moratori,
non si era affatto esaurito, dappoichè il pagamento
eseguito dal contribuente prima della legge
può costituire, se mai, il fatto generatore ·della
obbligazione, principale di rimborso (subordinata -
al provvedimento di riconoscimento dell'indebito)
ma, a tale fatto segue tutta una ulteriore situazione
(la mora del debitore) con gli effetti giuridici che
- 146-
vi sono connessi, situazione che la nuova legge
tributaria trova in atto ed in pieno svolgimento.
La quale legge, come si è già accennato, è certamente
diretta a regolare tali effetti, indipendentemente
e ferma la disciplina sul rimborso dei tributi
indebitamente percetti. L'art. 5 in modo particolare,
determina solamente ed esplicitamente il momento
da cui decorrono gli interessi a carico dell'Erario,
interessi che la giurisprudenza riconosceva dovuti
e che erano ugualmente condizionati all'esistenza
di un provvedimento definitivo che dichiarasse
non dovuta l'imposta pagata dal contribuente.
Fino a che tale provvedimento non sia stato emesso,
il rapporto, specialmente per quanto riguarda gli
interessi, non si è certamente esaurito e quindi, per
il principio sopra detto, è ad esso applicabile la
sopravvenuta disposizione del menzionato art. 5.
Per altro, se si guarda allo scopo della legge
entrata in vigore nel 1961 quale risulta anche dai
lavori preparatori ed in special modo dalla relazione
al Senato sul disegno di legge presentato dal Ministro
delle Finanze, si nota come essa sia diretta a porre
in armonia con le norme del diritto privato la disciplina
giuridica del ritardato adempimento così
della obbligazione del contribuente come della
obbligazione di rimborso della Pubblica Amministrazione
con il dichiarato intento di risolvere i
vari dubbi e di eliminare una situazione di disparità
di trattamento «in atto esistente». Cosicchè la stessa
ratio della disposizione di legge induce a ritenere
e sta a confermare che essa è diretta ad operare
anche nei confronti delle situazioni pendenti, cioè
nei confronti dei pagamenti d'imposta effettuati
prima dell'entrata in vigore della legge medesima
dei quali era stata chiesta la restituzione ma non
era stata ancora definita la relativa eontroversia.
L'atto introduttivo del procedimento, amministrativo
o giurisdizionale, tiene logicamente luogo
della « domanda di rimborso », richiesta dall'art. 5
ai fini della decorrenza degli interessi moratori
sulle somme da restituire al contribuente.
Da tutto quanto sopra deriva che concorrono
entrambe le condizioni necessarie, secondo la citata
giurisprudenza per l'applicabilità della norma nuova
ai rapporti pregressi non ancora esaUI"iti. Conseguentemente
deve ritenersi che l'art. 5 della legge
26 gennaio 1961, n. 29 spiega la sua efficacia anche
nei riguardi dei pagamenti indebiti anteriori alla
legge predetta, per i quali vi sia, al momento della
entrata in vigore della legge stessa, una contestazione
non ancora definita. In tale ipotesi, gli interessi
· decorrono dalla data di entrata in vigore della legge.
IMPOSTA SULL'ENTRATA - Corresponsione - Infrazione
- Pagamento - Solidarietà dei soggetti -
Sopratasse e pene pecuniarie- Pagamento- Onere.
(Corte di Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1937/63 -
Pres.: Varallo; Est.: Pece; P. M.: Tavolaro (conf.); Finanze
c. Soc. Montecatini).
In tema di corresponsione dell'imposta generale
sull'entrata, anche quando la relativa infrazione
sia imputabile ad uno solo dei soggetti dell'atto
economico generatore dell'imposta, i predetti soggetti
sono solidalmente obbligati, verso lo Stato,.
al pagamento dell'imposta stessa; al contrario,.
al pagamento delle tasse e delle sopratasse e delle,
pene pecuniarie è tenuto solo il soggetto al qual&
l'infrazione è imputabile.
Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza
che ha accolto la tesi dell'Avvocatura:
I primi due mezzi di ricorso possono essere esaminati
congiuntamente.
Con essi l'Amministrazione ricorrente denunzia:·
a) che l'art. 14 del D.L. 3 maggio 1948,.
p_. 799 avrebbe innovato, in tema di solidarietà
tra i soggetti debitori dell'imposta generale sulla
entrata, non solo in relazione al R.D.L. 3 giugno·
1943, n. 452, ma anche in relazione all'art. 11
della legge 7 gennaio 1929, n. 4 contenente le norme·
generali per la repreEsione delle violazioni sulle·
leggi finanziarie.
E cioè, secondo la ricorrente, nella materia della.
imposta generale sull'entrata, la solidarietà tra..
i vari soggetti obbligati all'imposta sarebbe insensibile
alla imputabilità della infrazione, non soloai
fini dell'imposta, ma anche ai fini della pena.
pecuniaria e della sopratassa, nel senso che, anche
se l'infrazione sia addebitabile ad uno solo dei
soggetti obbligati, questi ultimi risponderebberosempre
in solido, verso lo Stato, e per la tassa e·
per la sopratassa e per la pena pecuniaria.
b) che, in via subordinata, l'art. 14 del decretolegislativo
3 maggio 1948, n. 799 ha innovato all'art.
24 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452 in tema di SQlidarietà
per la imposta, nel senso che al pagamento.
di quest'ultima sono sempre obbligati in solido
entrambi i soggetti dell'atto economico, con l'unica.
eccezione della ipotesi in cui l'atto economico, nei
confronti di chi esegue il versamento dei compensi
e corrispettivi costituenti l'entrata, non sia comunque
connesso ad una attività industriale o
commerciale.
E cioè, all'infuori della ipotesi ultima, nella.
quale non sussiste solidarietà, in tutte le altre ipotesi
i soggetti dell'atto economico sono solidalmente.
obbligati, verso lo Stato, al versamento dell'I.G.E.,
anche se il mancato pagamento di tale imposta sia
imputabile ad uno solo dei predetti soggetti. Al
contrario, la solidarietà non sussiste, per quanto·
attiene alla sopratassa ed alla pena pecuniaria~
nella ipotesi in cui il mancato pagamento dell'I.G.E.
sia imputabile ad uno solo dei soggetti dell'atto
economico.
La censUI'a di cui alla lettera a) è infondata~
deve essere, invece, accolta la censura di cui alla
lettera b).
Poichè la prima parte del secondo comma dello
art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452, nella.
ipotesi di trasferimento di materie, merci e prodotti
fra commercianti ed industriali, sanciva esplicitamente
la solidarietà di entrambe le parti contrae:ntit.
non solo rispetto alle sopratasse ed alle pene pecuniarie,
ma anche rispetto al pagamento dell'imposta,
la conclusione di detta solidarietà (nella
ipotesi, contemplata nella seconda parte dello·
Rfffff'fF-1Bili &PfL-i &dilli W! ~~FF''FF=WSwrzeye
- 147
;stesso secondo comma, di imputabilità. della infrazione
ad una sola delle parti) si estendeva, oltre che
alle sopra;tasse ed alle pene pecuniarie, anche al
:pagamento della imposta.
Da ciò derivava, in materia di I.G.E., una
-eccezione al principio generalè, fissato nell'art. 11
della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (recante norme
generali per la repressione delle violazioni alle
leggi finanziarie), in virtù del quale principio,
nel caso in cui la violazione delle leggi finanziarie,
sia imputabile ad uno solo dei soggetti obbligati,
la solidarietà. tra costoro cessa in relazione· alla
-pena pecuniaria ed alle sopratasse, ma permane
-per la obbligazione dell'imposta.
L'art. 14 del decreto legislativo 3 maggio 1948,
·n. 799 (recante modifiche in materia di I.G.E.)
ba sostituita una nuova regolamentazione in tema
di ·solidarietà. Anzitutto, ha generalizzata quella
solidarietà. (rispetto al pagamento dell'imposta non
-corrisposta, della sopratassa e delle pene pecuniarie),
-che la prima parte del secondo comma dell'art. 24
-del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452 dettava solo per
l'I.G.E. riferibile ad atti economici fra commer
·cianti ed industriali ed ha sostituito una più
limitata eccezione di carattere oggettivo a tale soli-
darietà, escludendo quest'ultima nella ipotesi in
-cui l'atto economico (indipendentemente dalla qualità
dei soggetti tra i quali è intervenuto) non sia
·comunque connesso (nei riflessi di chi esegue il
-versamento dei compensi e corrispettivi costituenti
l'entrata) ad una attività. industriale o commerciale.
In secondo luogo, l'art. 14 del decreto legislativo
.3 maggio 1948, n. 799 non ha più disciplinata la
ipotesi nella quale risulti che l'infrazione è imputabile
ad una sola delle parti. E cioè ha soppresso
la seconda parte del secondo comma dell'art. 24
-del R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452.
La abrogazione dei primi due commi del decreto
legislativo, n. 799 del1948 risulta da due concorrenti
ragioni che integrano, rispettivamente, la prima e la
terza ipotesi di abrogazione ex art. 15 delle preleggi.
Infatti, statuendo: «In tali sensi restano modificate
le disposizioni di cui al primo ed al secondo
comma dell'art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1943,
n. 452 n, è lo stesso legislatore ad indicare che non
si tratta di mera modifica, ma di vera e propria
sostituzione di norme nel senso · che al p1}sto dei
commi primo e secondo, devono ritenersi inserite,
nell'art. 24 del R.D.L. 3 giugno 1963, n. 452, i
nuovi commi. Il che potrà anche intendersi come
modifica rispetto all'art. 24 predetto nella sua interezza,
ma non può non intendersi (ed è il punto
che interessa la causa) come sostituzione rispetto
ai due commi in discussione, che il legislatore del
1948 non si è limitato a ritoccare, ma ha formulato
ex novo per intero.
Tale abrogazione sostitutiva dei due commi in
discussione è confermata dal particolare che il
nuovo contenuto dei due commi ex art. 14 decreto
legilativo 3 maggio 1948, n. 799 regola completamente
la solidarietà per l'imposta principale, che
era già. regolata dai primi due commi ex art. 24
R.D.L. 3 giugno 1943, n. 452.
Da quanto sopradetto, però, non deriva la
conseguenza espressa dalla Amministrazione ricorrente
con la censura di cui alla lettera A. Non
deriva, cioè, che anche nella ipotesi in cui resti
accertato che la infrazione sia imputabile ad uno
solo dei soggetti, anche in tal caso i soggetti partecipi
all'atto economico generatore dell'imposta
restano obbligati solidalmente (verso l'Erario),
oltre che per il pagamento dell'imposta, anche per
le sopratasse e le pene pecuniarie.
Stante i suespressi principi, poichè, nella specie,
è in discussione la solidarietà solo per l' imposta
e non anche per le sopratasse e le pene
pecuniarie, resta assorbito il terzo mezzo del
ricorso con il quale l'Amministrazione ha denunziato
che la Corte di Trieste avrebbe errato
nell'escludere la responsabilità della Montecatini
in ordine al mancato versamento dell' I.G.E.
all'Erario.
CONSIGLIO DI STATO
CONSIGLIO DI STATO - Ricorso in sede giurisdi·
zionale - Effetti della dichiarazione di illegittimità
costituzionale della norma applicata dall'atto.
CONSIGLIO DI STATO - Ricorso in sede giurisdizionale
- Sopravvenuta dichiarazione di illegittimità
costituzionale di una norma attributiva di potestà
discrezionale della Pubblica Amministrazione - Effetti
sulla giurisdizione. (Consiglio di Stato, Adunanza
Plenaria, IO aprile 1963 - Compagnia Industrie Saccarifere
S. Eufemia Lamezia c. Ministero Agricoltura
e Foreste e Ministero Industria e Commercio).
Dichiarata la illegittimità costituzionale della
norma applicata da un atto amministrativo impugnato
avanti al Consiglio di Stato, il ricorso va
accolto con conseguente annullamento dello atto.
L'atto amministrativo emanato in virtù di potestà
discrezionale, conferita alla Pubblica Amministrazione
da una norma di cui sia dichiarata la
illegittimità costituzionale, costituisce esercizio non
di potere inesistente, bensì di potere viziato, per
riflesso del vizio di incostituzionalità che inficia
la norma, e conseguentemente la giurisdizione resta
radicata presso il giudice amministrativo.
Il testo della decisione è pubblicato nella rivista
<<Il Consiglio di Stato n 1963, 508 e segg.
La decisione interviene a risolvere un contrasto
giurisprudenziale: che ne è del ricorso giurisdi.zi.onale
per l'annullamento di un atto amministrativo, una _
volta che la Corte Costituzionale, investita della
questione di legittimità della norma applicata dallo
atto, si sia pronunciata per l'illegittimità della stessa.
-148
Le tesi, accolte da alcune. ?'ecenti decisioni del
Consiglio di Stato, richiamate nella pronuncia, della
Adunanza Plenaria, seno state: a) improcedibilità
del ricorso per inesistenza dell'atto impugnato. Si
argomenta: la deckratoria di flleggittimità cost:tuzionale
di una norma comporta che questa debba
ritenersi come non mai esistita nell'ordinamento
giuridico. E se la norma è inesistente, inesistenti sono
pure l'organo da quella norma istituito e gli atti
emanati in base ad essa; b) cessazione della materia
del contendere. Dalla pronuncia di incostituzionalità
deriverebbe per l'Amministmzione il dQVere
giuridico di considerare invalido l'atto che abbia
fatto applicazione della norma incostituzionale. Lo
atto, cioè, verrebbe automaticamente tolto di mezzo,
a seguito della pronuncia della Corte. Il Consiglio
di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana
ha, in propo8ito, rilevato (decisione n. 19 del 19
gennaio 1962, in Foro It., 1962, III, 150) che:
la illeggittimità costituzionale della norma, sulla
quale risulta fondato l'atto impugnato, costringe
la Pubblica Amministrazione a considera.re l'atto
stesso privato di ogni giuridica validità daLa stessa
data in cui la Costituzione dichiara cessata l'efficacia
della norma legislativa illeggittima, cioè dal
giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
Da quel giorno si ha un sostanziale ritiro dell'atto
che in precedenza, spiegando giuridica efficacia,
aveva potuto minacciare interi'Ssi iegittimi privati,
determinando per questo particolari impugnazioni
in sede giurisdizionale. Impugnazioni che successivamente
non hanno più efficacia di determinare
una decisione di illegittimità, in vista della già
avvenuta eliminazione dell'atto impugnato; c) accoglimento
del ricorso e conseguente annullamento
dell'atto. E' la soluzione cui è pervenuta p Adunanza
Plenaria, dopo la critica delle precedenti tesi. I nvero,
secondo la riportata decisione, non potrebbe accogliersi
la soluzione di cui sub a), perchè è da escludere che
la norma incostituzionale debba considerarsi inesistente,
dal momento che gli effetti irreversibili e definitivi
da essa prodotti non possono in alcun modo
eliminarsi. Proprio a causa di questa attitudine
della norma a produrre effetti ineliminabili, il vizio
di incostituzionalità comporterebbe annullabilità e
non inesistenza della norma. I n secondo luogo, pur
accogliendo la tesi dell'inesistenza della norma, dovrebbe
nondimeno riconoscersi che, attesa l'autonomia
dell'atto, espressione del potere esecutivo, rispetto alla
norma, espressione del potere legislativo, l'atto non
possa essere travolto eo ipso dalla cessazione d'efficacia
della norma.
Nemmeno la soluzione di cui sub b) sarebbe
valida, ad avviso della Adunanza Plenaria, giacchè
il ritiro sostanziale dell'atto (di cui è cenno nella
decisione del Oons. Giust. Amm. Reg. Sic.) non è
il ritiro formale, che si ottiene solo con l'annullamento
e che è il solo capace di assicurare una
effettiva tutela degli interessati. I quali, poi, ove la
Amministrazione non ritenesse di dover considerare
invalido l'atto, non avrebbero più alcuno strumento
di tutela, una volta consumato il potere di
impugnazione dell'atto nel giudizio conclusosi con
la dichiarazione di cessazione della materia del
contendere.
* * *
Dunque, secondo la riportata decisione, deve acco-,
gliersi il ricorso e pronu,nciarsi l'annu,llamento dell'atto
Senonchè l'annu,llabilità di un·utto è eonseguenza
di u,n vizio orginario, e non sopravvenu,to, dell'atti>
stesso e, nella specie, non pu,ò a nostro avviso sostenersi
che l'atto sia ab origine viziato, proprio per la.
ragione, sottolineata dalla sentenza, che, attesa la
au,tonomia tra momento .legislativo e momento amministrativo,
non pu,ò riferirsi qu,ello che è un viziodella
legge incostit-uzionale all'atto amministratiVI>
emanato in base a qu,ella legge. J,n altri termini,
l'atto - al momento della sua emanazione - nonpresenta
vizi tali da comprometterne la validità:
a) non pu,o, invero, parlarsi di violazione di legg.eperchè,
per ipotesi, l'atto costituisce proprio applicazione
della legge; b) neanche di incompetenza,
giacchè se tale vizio non concreta altro che violazione
di u,na norma relativa al soggetto investito del poteredi
emettere l'atto nale qu,anto detto prima; c) nè,
infine, pu,ò parlarsi di eccesso di potere, perchè
l'antorità amministrativa, nell'emanare l'atto tendeproprio
al persegu,imento degli scopi prefissa#
dalla norma.
Rimane, allora, solo una via per sostenere l'annullabilità
dell'atto: ritenerlo, cioè ab origine viziato
per effetto della dichiarazione di incostituzionalità,
che retroagisce ex tunc. Poichè dal giorno successivoalla
pubblicazione della decisione della Oorte, la
legge non ha più efficacia, non solo per quanto
rigu,arda la disciplina giuridica dei fatti futuri, ma
anche per qu,el che attiene alla valu,tazione dei fatti
passati, qu,esti u,ltimi, quando siano ancora sub
indice, sarebbero da giudicare come se la norma di
legge non fosse mai esistita. Il giu,dizio di legittimità
di un atto amministrativo dovrebbe, allora, fondarsi
su,ll'ordinamento giu,ridico qu,al'era al momento della
emanazione del provvedimento, senza considerare la
norma incostitu,zionale. Si prospetterebbe, cioè, il
problema dell'accoglimento del ricorso giurisdizionale
per un motivo che, tu,tt'al più, andrebbe considerato
solo come implicitamente dedotto dal ricorrente.
Accogliendo, peraltro, simile tesi, verrebbe a superarsi
il postu,lato di partenza, affermato nella decisione,
secondo cu,i momento legislativo e momento
amministrativo sono autonomi, anche se connessi: si
riferirebbe, infatti, il vizio originario della leggeall'atto.
Sembra, du,nque, che il concetto di annu,llabilità
non possa u,tilizzarsi in relazione all'atto amministrativo
emesso in base a una norma dichiarata
su,ccessivamente incostitu,zionale. Ed invero, il problema
della validità o invalidità di un atto giu,ridicc;
è sempre in rapporto alle norme vigenti al momento
del sorgere dell'atto, così come l'annu,llamento trova
il suo fondamento sempre in una cau,sa contemporanea
alla emissione dell'atto, con la consegu,enza
che il fenomeno non si verifica qu,ando l'invalidità
(se di invalidità possa parlarsi) .trae origine da
cause sopravvenute.
La materia offre, chiaramente, favorevole campc;
di indagine per i sostenitori della dottrina della
invalidità successiva. Ma sembra più opportu,nc;
W&llia ''' m W 7f 7 i ET 'fTI E Wi §=
-149-
ricorrere, · in simili ipotesi, al concetto di inutilità
sopravvenuta. Scrive il GIANNINI (voce Atto aromi.
nistrativo, in << Enc. dir. n) che in simili ipotesi
«l'atto non già si invalida, bensì diviene inidoneo a
produrre ulteriori effetti per l'avverarsi di un fatto
giuridico che non può neppure dirsi estintivo, ma
solo impeditivo, ossia agente sull'efficacia dell'atto,
e quindi sul rapporto, e non sull'atto medesimo n. E'
proprio questa, secondo noi, la sorte del provvedimento
amministrativo, una volta dichiarata l'incostituzionalità
della norma posta a base dell'atto, sorte che
si spiega in termini di efficacia-inefficacia e non di
validità-invalidità.
Si obietta che vi sono delle situazioni in cui, per
l'effettiva tutela degli interessi del ricorrente, si
rende necessaria una rimozione reale dell'atto, conseguibile
solo con l'annullamento, e si aggiunge che,
continuando l'atto amministrativo a vivere di vita
autonoma, pur dopo la declaratoria di incostituzionalità
della norma, -persiste l'interesse ad ottenere
l'annullamento. Il che è vero e risponde ad una
evidente esigenza di equità, quando però si ritenga
l'atto tuttora in grado di spiegare effetti. Ma non
è più vero, -una volta riconosciuta l'inettitudine del
provvedimento, ormai privato del suo stesso presupposto,
a spiegare ancora efficacia. Ove, poi, di
fatto, la situazione giuridica rimanesse tale quale
s'era determinata a seguito dell'emanazione dell'atto,
potrebbf! nondimeno l'interessato sollecitare presso la
Amministrazione l'emanazione di ulteriori provvedimenti
che, per ipotesi, si rendessero necessari a ripristinare
lo status quo, essendo evidente che l'eventuale
rifiuto di siffatti provvedimenti non potrebbe
sottrarsi al sindacato di legittimità.
La tesi dell'annullabilità dell'atto non appare,
insomma, sostenibile neppure sotto un generico profilo
di equità. Fondamentalmente, comunque, non
appare sostenibile una volta rilevata, come esattamente
ha fatto la sentenza, l'autonomia del momento
amministrativo rispetto a quello legislativo, in virtù
della quale il vizio di incostituzionalità della norma
non può reagire se non mediatamente sull'atto, privandolo
cioè di efficacia e non invalidandolo ab
origine. E che l'atto non possa ritenersi invalidamente
sorto, lo ammette la stessa decisione quando
afferma che, dichiarata la incostituzionalità di una
norma attributiva di potestà discrezionale alla Pubblica
Amministrazione, non può sostenersi che l'atto
sia stato emesso nell'esercizio di un potere inesistente
con la conseguenza che la giurisdizione resta radicata
presso il giudice amministrativo. Il che equivale a
dire che l'atto risulta validamente emanato.
* * *
Dalla inettitudine del provvedimento a spiegare
ulteriori effetti consegue, a nostro avviso, il venir
meno dell'interesse al ricorso. Invero, deve riconoscersi
che - privato l'atto autoritativo di ogni efficacia
- le situazioni giuridiche soggettive che dallo
atto siano rimaste compresse riassumono il contenuto
e la latitudine originari, e la necessità di una
pronuncia giurisdizionale, che ripristini una situazione
conforme al diritto, viene meno. Nè è a dire
che il ricorrente conservi interesse a una pronunc-ia
dichiarativa che acc.erti il ripristino dello status quo
giacchè evìdentemente siffatto accertamento è di per
sè contenuto nella declaratoria di inammissibilità del
ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.· I n
una sola ipotesi, a nostro avvisor permane la. necessità
di una pronuncia giurisdizionale: nell'ipotesi,
più sopra accennata, in cui, restando esclusa dì
fatto la automaticità degli effetti della pronuncia della
Oorte Oostituzionale, ulteriori provvedimenti si rendessero
necessari a ripristinare la situazione giuridica
incil!a dall'atto. Ma l'interesse alla pronuncia.
sorgerebbe, in tal caso, solo di fronte alla constatata
inerzia della Pubblica Amministrazione, sollecitata
all'emanazione degli opportuni provvedimenti; e sarebbe,
comunque, un interesse rivolto a ben altro tipo
di pronuncia.
Oomunque, una volta accolta la tesi dell'annullabilità
dell'atto, una volta cioè affermato che l'attO.
emesso in virtù di una norma incostituzionale debba
ritenersi viziato fin dall'origine, suscita qualche perplessità
la soluzione accolta nella decisione in ordine
al problema della individuazione del giudice competente
a pronunziare. Sembra, in altri termini, che~
data quella premessa, le conseguenze non possano
essere quelle di cui alla p~onuncia della Adunanza
Plenaria.
Si è detto quale sia la soluzione prospettata dalla.
sentenza: dovendo l'atto amministrativo ritenersi emanato
non già nell'esercizio di un potere inesistente,
ma nell'esercizio di un potere viziato per riflesso del
vizio di costituzionalità, che inficia la norma attributiva,
le posizioni incise dal provvedimento restano
sempre di interesse legittimo e competente a conoscerne
è, quindi, il giudice amministrativo.
Mentre, dunque, la dichiarazione di incostituzionalità
della norma produrrebbe, per il caso sub
indice, l'effetto retroattivo di invalidare l'atto, esponendolo
ad annullamento come viziato ab origine,
per quanto attiene al problema della giurisdizione
siffatta retroattività non sarebbe più operante, daì
momento che il giudice dovrebbe pur sempre ritenere
esistente, anche se viziato, il potere discrezionale
esercitato con l'emanazione dell'atto. A nostro avviso,
però, una volta affermata l'annullabilità del provvedimento
e, quindi, una volta ritenuto che l'atto
emanato in base a norma incostituzionale debba
ritenersi viziato fin dall'origine, dovrebbe conseguentemente
ammettersi che l'incostituzionale attribuzione
di potere discrezionale reagisca, fin dall'origine,.
sull'atto, facendolo ritenere emesso nell' esercizio
di potere inesistente. Oon le conseguenze inevitabili
in ordine alla individuazione del giudice
competente.
Sul tema, com'è noto, si sono pronunciate anche
le Sezioni Unite della Oassazione, con la sentenza
1603 del 17 maggio 1958 (Foro It., 1958, I, 1108),
richiamata dalla riportata decisione. Qualora - ha
rilevato la Oassazione - uno specifico potere discrezionale
della Pubblica Amministrazione non residuasse
affatto a seguito della pronuncia di incostituzionalità,
tale pronuncia porterebbe · à - dover
considerare ex tunc con qualificazione di diritt~·soggettivi
le posizioni già dedotte in causa come
interessi legittimi.
- 150,-
E deve aggiungersi, inoltre, che una simile ipotesi
può inquaiJ,rarsi nel generico concetto di ius superveniens,
che trova automatica ed immediata applicazione
in tema di giurisdizione (Oass., 16 maggio
1958, n. 2066).
SERGIO L.A.PORT.A
PROCURATORE DELLO STA.TO
REGIONI- Conflitti di attribuzione - Stato e provincia
di Bolzano - Difetto di giurisdizione del Consiglio
di Sta.to. (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
Decisione n. 11/1963 - Pres.: Bozzi; Est.: DanileProvincia
di Bolzano c. Commissario del Governo
per la Regione Trentina-Alto Adige).
N el conflitto di attribuzione previsto dalla Co:
stituzione l'invasione nella sfera delle competenze
'Costituzionalmente garantite può essere denunziata
.solo da soggetti legittimati a proporre il giudizio
di costituzionalità in via principale. Se l'incompetenza
viene dedotta da altri soggetti si ha non
un conflitto di attribuzione, ma un comune vizio
di legittimità, della cui fondatezza può ben giudicare
il Consiglio di Stato.
La Provincia di Bolzano non può far valere
innanzi il Consiglio di Stato i vizi di un provvedimento,
col quale si è disposto di alcuni alloggi
dell'Istituto .Autonomo Case Popolari di Bolzano
perchè non ha poteri di disposizione degli alloggi
.stessi nè ha dichiarato di agire in sostituzione dello
Istituto ed in virtù del suo potere di controllo sugli
atti dello stesso.
Per una migliore comprensione della questione
riteniamo opportuno riportare integralmente la deci,
yiOne, nella sua esposizione in fatto e nella sua motivazione
in diritto.
FATTO
Il vice commissario del Governo della Regione
Trentino-.Alto .Adige con decreto, n. 12647 del
18 novembre 1960 requisiva tredici alloggi dello
Istituto autonomo delle Case popolari siti in Bolzano,
via Palermo e via Milano allo scopo di
assicurare alloggio a talune famiglie, che abitavano
in locali pericolanti e che erano state colpite da una
ordinanza di sgombero, emessa dal Sindaco di
Bolzano.
Con atto 18 gennaio 1961 la Regione Trentino.
Alto .Adige proponeva, in relazione al citato de'
Creto, ricorso per conflitto di attribuzioni avanti
alla Corte Costituzionale, ricorso che veniva dichiarato
infondato con sentenza 30 dicembre 1961,
n. 72.
.Avverso lo stesso decreto la Provincia di Bolzano
ha proposto ricorso a questo Consiglio deducendo
i seguenti motivi:
l) violazione degli artt. 4, 13 e 46 della legge
'Costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5 in relazione
all'art. 56 della legge regionale 17 maggio 1956,
n. 7; incompetenza. Sostiene la ricorrente che il
provvedimento impugnato avrebbe invaso la sfera
di competenza della Provincia in quando i provvedimenti
d'urgenza, nella Regione Trentino-.Alto .Adige
spetterebbero al Presidente della Giunta provinciale
c non già agli organi dello Stato;
2) violazione degli artt. 11 e 13 legge costituzionale
26 febbraio 1948, n. 5 in relazione agli
artt 1, 6 e 7 segg. D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 8.
In base allo Statuto la competenza in materia di
case popolari spetta alla Provincia. Il provvedimento
impugnato disponendo in sostanza di case
popolari ha posto in essere un' assegnazione di
case, che era riservata alla competenza della
Provincia;
3) violazione dell'art. 7 legge ,20 marzo 1885,
n. 2248, allegato E; eccesso di potere per mancanza
di. presupposto e per vizio di causa ed illogicità
sotto forma di sviamento e di difetto di
motivazione. La falsità della causa risiede in ciò
che il motivo dedotto (pericolo per l'incolumità
pubblica) vale a giustificare l'ordinanza di sgombero,
ma non il decreto di requisizione, che ha la
sua causa nell'assegnazione dell'alloggio agli sfrattati.
Il difetto di motivazione si concreta nella
mancata indicazione dei motivi per i quali sono
stati scelti gli .Alloggi dell'Istituto anzichè altri
alloggi disponibili, mentre la falsità della causa
sarebbe costituita dall'intendimento di pervenire,
attraverso un provvedimento di requisizione, alla
assegnazione degli alloggi, senza l'osservanza delle
norme all'uopo applicabili;
4) Violazione dell'art. 76 dello Statuto Trentino-.
Alto .Adige in relazione all'art. 16 del D.P.R.
12 dicembre 1948, n. 14-14. Il potere d'ordinanza
non rientrava fra i poteri delegabili; pertanto esso
doveva essere esercitato dal Commissario e non
dal vice Commissario;
5) eccesso di potere per errore, inesistenza
di causa, difetto di motivazione. Non sussiste il
presupposto del pericolo di crollo, dedotto dalla
ordinanza sindacale; tale pericolo è stato affermato
sulla base di cause imprecisate; il che sta anche
a concretare un difetto di motivazione.
L'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi
in difesa dello Stato, ha controdedotto:
l) i primi due motivi attengono a diritti
soggettivi epperò in ordine ad essi va dichiarata
la carenza di giurisdizione del Consiglio di Stato;
nei riguardi degli altri motivi la Provincia ha
solo un interesse di fatto non tutelato neppure in
via indiretta;
2) nel merito il ricorso è infondato: i due
provvedimenti dello sgombero e della requisizione
sono fra loro collegati come causa ed effetto e
pertanto non possono essere presi isolatamente e
valutati indipendentemente l'uno dall'altro;
3) è esatto che la requisizione non può essere
adottata per interessi privati ed il reperimento di
un alloggio di regola costituisca un fatto di privato
interesse. Ma nella specie il provvedimento è
motivato con l'esigenza di evitare il pericolo di
disgrazia alle persone;
4) non esistano norme che impediscano al
Commissario di delegare al Vicecom:riiissario !_pqter!
che gli sono stati riconosciuti dallo Stato; ·
5) il pericolo di crollo è stato accertato nella
competente sede dagli organi tecnici.
m TE E m m
-151-
Conclude pertanto l'Avvocatura per il rigetto
del ricorso con le conseguenze di legge.
La ricorrente Provincia ha depositato memorie
contestando le eccezioni dell' .Avvocatura sulla.
base della decisione della Sezione IV, 24 ottobre
1962, n. 524 ed insistendo sui motivi di ricorso.
Con ordinanza 17 ottob:J:_e 1962 la Sezione IV, ha
rimesso il ricorso alla decisione di quest'Adunanza
Plenaria.
DIRITTO
Esattamente, nella discussione orale, è stato
posto in rilievo dalle parti che l'interesse alla
impugnativa del decreto del Vicecommissario, deve
essere valutato in diverso modo, in relazione ai
primi due e altri motivi di ricorso.
Con i primi due motivi, la Provincia ricorrente
censura il provvedimento impugnato, in quanto
con esso il Vice-commissario avrebbe invaso la
sfera di competenza riservata alla Provincia dallo
Statuto Trentina-.Alto Adige.
In astratto deve riconoscersi àlla Provincia
l'interesse a dedurre la violazione di norme che
le attribuiscano un potere; in tali casi si ha la
violazione del c.d. diritto di autarchia che, come
bene pone in luce la ricorrente, è un interesse
legittimo, poichè le norme che lo riconoscono sono
dirette in via diretta e principale a tutelare un
pubblico generale interesse.
Ma nella specie è da esaminare se, in deroga
ai principi generali, la tutela dell'interesse sia
stata affidata ad altro soggetto e ad un giudice
diverso da quello normalmente competente.
La risposta affermativa a tale quesito è stata già
data dalla Corte Costituzionale con la sentenza
30 dicembre 1961, n. 72, emanata in relazione allo
stesso provvedimento, ora impugnato.
La citata sentenza ha posto in rilievo che i
conflitti di attribuzione fra le Provincie della Regione
Trentino-.Alto .Adige e lo Stato vanno decisi
dalla Corte Costituzionale su ricorso della Regione,
legittimata ad agire anche nell'interesse delle Provincie.
La decisione della Corte Costituzionale
circa la spettanza del potere, non può quindi
non fàre stato anche nei riguardi della Provincia.
Ciò è stato anche ritenuto dalla Corte Costituzionale
con sentenza 26 gennaio 1957, n. 22 nella quale si
legge che la pronunzia della Corte sul ricorso della
Regione, sola legittimata ad agire, « ha uguali
effetti per entrambe le Provincie, giacchè la causa
e i motivi di essa sono inscindibili. Si ha, riguardo
a questi effetti, una posizione analoga al litisconsorzio
necessario, con la differenza che, nel caso in
esame, la legittimazione attiva spetta unicamente
alla Regione, che rappresenta entrambe le Provincie
e ne tutela gli interessi, e quindi non si fa
luogo alla rappresentanza in giudizio di ciascuna
di esse ... ».
Vero è che, come la giurisprudenza di questo
Consiglio ha più volte affermato (Sez. IV, 9 giugno
1959, n. 663; Sez. VI, 17 ottobre 1956, n. 697,
10 dicembre 1958, n. 919, 30 dicembre 1959,
n. 1049; 30 novembre 1960, n. 995, 7 dicembre
1960, n. 1051), deve farsi distinzione fra la denunzia
di incompetenza avanzata davanti al giudice
amministrativo e quella di conflitto di attribuzione,.
proposta dinanzi alla Corte Costituzionale. N el
« conflitto di attribuzione » previsto dalla Costituzione,
l'invasione della sfera delle competenze.
costituzionalmente garantite, pùò essere -d(munziata
solo da soggetti legittimati a proporre il
giudiz.io di costituzionalità, in via principale.
Se l'incompetenza viene dedotta da altri soggetti
si ha non un conflitto di attribuzioni, ma un
comune vizio di legittimità, della cui fondatezza.
può bene giudicare il Consiglio di Stato.
Ma è da avvertire che, nel caso in esame, non
si tratta di valutare la legittimità dell'atto, viziato.
di incompetenza, in relazione alla lesione dell'interesse
di un soggetto, estraneo al giudizio di costituzionalità.
Invero, nella specie, la questione della spettanza
o non del po~ere alla Provincia è stata esaminata
e decisa dalla Corte Costituzionale, in relazione
al medesimo atto ora impugnato, con una
sentenza che, come si è detto, non può non fare
stato anche verso la Provincia.
La tesi della ricorrente (accolta dalla decisione
della Sezione IV, 24 ottobre 1962, n. 517) che
afferma la competenza del Consiglio a pronunziarsi
sulla medesima questione ed in relazione.
allo stesso atto, comporta non solo un inammissibile
bis in idem, ma anche la sostanziale inutilità.
del giudicato della Corte Costituzionale che (plll"
essendosi pronunziata sulla spettanza o meno del
potere alla Provincia) sarebbe stato solo fra Regione
e Stato e non fra la Provincia (che è il soggetto
direttamente interessato) e lo Stato.
Ritiene quindi il Collegio che la questione, già.
decisa dalla Corte Costituzionale della legittimità.
dell'impugnato decreto del vice commissario, sotto.
il riflesso che il potere di requisizione di cui allo.
art. 7 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E
spetta allo Stato e non alla Provincia, non sia
proponibile dalla ricorrente in questa sede, per la
preclusione che discende dal giudicato.
Nei riguardi degli altri motivi del ricorso la,
questione dell'interesse si presenta in modo diverso.
Con detti motivi non si fa più questione della.
spettanza o meno del potere alla Provincia ma si
contesta la legittimità del provvedimento di requisizione
per inosservanza di disposizioni di legge e
per eccesso di potere.
Eccepisce l' .Avvocatura generale dello Stato, in
relazione a tali motivi, il difetto di interesse della.
Provincia, in quanto sarebbero soggetti, legittimati
a ricorrere, solo !;Istituto, proprietario dei beni, e
i privati aventi titolo all'assegnazione degli alloggi.
Oppone la ricorrente Provincia che il bene
leso dal provvedimento impugnato sarebbe costituito
dal « complesso dei suoi poteri giuridici
connessi alll'edilizia popolare»: la Provincia dispone
invero di poteri di vigilanza e di direttiva sugli
istituti delle case popolari e di tale potere; nella,
specie essa si era già avvalso impartendo direttive
con atto 10 novembre 1960; cosicchè l'atto impugnato
avrebbe praticamente tolto efficacia a tale
atto della Provincia.
wc cm TE
- IG2 -
Il Collegio non ritiene che sia necessaril'l soffer- .
marsi a considerare se, quando l'atto impugnato
non neghi all'ente pubblico il potere di esercitare
una determinata funzione la disponga di beni sui
quali la funzione possa essere esercitata (se, cioè,
quando l'atto interferisca non nella sfera giuridica
dell'ente bens0 incida solo sulla possibilità di fatto
di esercitare il potere sulla cosa, resa indisponibile)
-esista quel collegamento diretto fra. l'interesse leso
e la norma violata che, in base alla giurisprudenza
causa di legittimazione al ricorso.
Invero basta qui considerare che la Provincia
non ha, nella specie, poteri di disposizione degli
.alloggi degli Istituti delle Case popolari. Come
ha ritenuto la Corte Costituzionale (sentenza 26
gennaio 1960, n. 2) la competenza a nominare gli
organi amministrativi straordinari degli istituti
autonomi delle case popolari nella Regione Trentino-
A.lto Adige spetta allo Stato; sicchè non è
pensabile neppure ad un potere di sostituzione
della Provincia all'istituto.
Ma, anche a voler concedere che tale potere sussistesse,
certo è che in concreto la Provincia non
ha dichiarato di volerlo esercitare; poichè, come
bene ha rilevato l'Avvocatura generale dello Stato,
nel presente giudizio la Provincia non si è presentata
quale sostituto degli organi dell'istituto.
Infine, all'osservazione che, in seguito al provvedimento
di requisizione, resterebbe privo di
-effetti l'atto di direttiva 10 novembre 1960, è da
rilevare che trattasi di un interesse di mero fatto,
non tutelabile in questa sede.
Con questa decisione l'Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, modificando l'indirizzo giurisprudenziale
della IV Sezione, ha in parte accolto le
tesi sostenute dall'Avvocatura, declinando la propria
giurisdizione, anche in considerazione della circo.
stanza che sullo stesso atto e per gli stessi motivi si
era gia pronunziata la Oorte Costituzionale (la
sentenza è pubblicata . in questa Rassegna, 1961, J••.t. pag. 71). . ,
La motivazione, Zaddove afferma che ci sarebbe
stata giurisdizione se u ricorso fos86 stato proposto,
per gli stessi motivi, da soggetto non legittimato a
proporre il giudizio di costituzionalita, è evidentemente
errata, non potendo la giurisdizione affermarsi
o negarsi esclusivamente con riguardo ai soggetti,
senza tener alcun conto dell'oggetto del giudizio (vedasi
in questa Rassegna: 1960, p. 65; 1961, p. 109;
1962, p. 72; 1963, p. 28). Il conflitto di attribuzione
costituzionale con il suo specifico oggetto, cioè, la
appartenenza di un potere allo Stato o alla Regione,
resta sempre tale anche se chi lo faccia valere è un
soggetto non legittimato a proporre l'azione di costituzionalita.
Esso è in ogni caso· devoluto alla esclusiva
cognizione della Corte Costituzionale e la circostanza
che il privato non sia legittimato a proporre,
nè in via principale nè in via incidentale, l'azione
di costituzionalita sta a significare che non è titolare
di un interesse legittimo (costituzionale), non gia
che possa adire altro giudice, privo di giurisdizione
sulla questione.
Anche la seconda massima, sostanzialmente conforme
alle conclusioni dell'Avvocatura, contiene delle
riserve, che non possono condividersi. La Provincia
di Bolzano, come la stessa decisione riconosce, non
ha competenza a nominare gli organi straordinari
dell'Istituto; ma, ancorchè l'avesse avuta, si sarebbe
dovuto pur sempre negare una sua legittimazione al
ricorso. Il potere di controllo sostitutivo sull'ente,
infatti, non autorizza mai a proporre azioni o ricorsi
in vece dell'ente stesso, ma solo eventualmente -
ed anche su questo nutriamo forti dubbi - a nominare
un Commissario straordinario per il compimento
di questa attivita.
GIUSEPPE GUGLIELMI
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
DELLE CORTI DI MERITO
:IMPOSTA DI SUCCESSIONE - Inventario form<Qlmente
valido - Omissione di un bene ereditario -
Accertamento presuntivo - Inammissibilità. (Corte
di Appello di Milano, 4 dicembre 1962- Mutti Liliana
c. Amministrazione Finanziaria).
l} La sussistenza di un inventario dei beni di
eredità beneficiata formalmente valido fa venir
meno la facoltà degli uffici finanziari di ricorrere
all'accertamento presuntivo previsto dall'art. 31
della legge sulla imposta di successione.
2) L'omissione non maliziosa di un bene ereditario
in uno degli inventario previsto dall'art. 31
citato non rende l'atto inefficiente a vincere la
presunzione legale di cui alla prima parte dello
stesso articolo.
Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza:
Con unico mezzo gli appellanti deducono che
i primi giudici sono pervenuti alla reiezione della
domanda in base all'erronea premessa che l'articolo
31 della legge organica sulla imposta di suc-
cessione (R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270), ai
fini di escludere l'accertamento presuntivo della
-esistenza di gioielli, denaro e mobilia, non faccia
.riferimento agli inventari in quanto tali, ma in
quanto atti pubblici che fanno piena prova dei
:fatti verificatisi in presenza del pubblico ufficiale
o da lui compiuti (art. 2700 C.c.), e da tale premessa
hanno altrettanto erroneamente ritenuto
che l'efficacia probatoria, ai fini fiscali, dell'inventario,
resti vulnerata allorchè la corrispondenza
dell'inventario medesimo alla realtà risulti smentita
dai fatti o dalle successive dichiarazioni dello
stesso erede (caso in esame).
Sostengono in contrario che l'inventario dei
beni di eredità beneficiata, valido ed efficace ai
fini civili, lo è ugualmente ai fini tributari e che,
non contenendo la legge tributaria alcuna limitazione,
il richiamo all'istituto civilistico della eredità
beneficiata vale a rendere applicabile anche la
disposizione dell'art. 494 C.c., per cui l'inventario
_perde la sua efficacia solo quando l'omissione dei
beni sia stata operata in mala fede.
L'appello è fondato, ma non tutte le ragioni che
lo sorreggono possono essere condivise.
L'art. 31 della legge organica, dopo avere stabilito
la presunzione legale dell'esistenza di gioielli,
denaro, mobilia, in determinate percentuali calcolate
sul valore lordo del compendio ereditario,
aggiunge che al cennato criterio presuntivo non
si ricorre quando da inventario di tutela o di eredità
beneficiata, o fallimentare, o da apposizione di
sigilli, risulti un valore inferiore o anche 'l'inesistenza
di gioielli, denaro, mobilia. Si tratta di
una presunzione juris tantum che trova la sua ragion
d'essere nella necessità di fornire agli uffici fiscali
un mezzo di accertamento di beni che, per la loro
natura, sono difficilmente accertabili in quanto si
prestano a facili occultamenti rendendo pressochè
impossibile per la finanza non soltanto la prova
della quantità di essi, ma addirittura quella della
loro esistenza. La presunzione ammette la prova
contraria, ma la situazione di sospetto che la
suddetta natura dei beni ingenera, ha indotto il
l'egislatore a limitare si:ffatta · prova agli inventari
di tutela, di eredità beneficiata, fallimentari, o
compilati in seguito di apposizione di sigilli, cioè
a quegli atti che, redatti in adempimento di specifici
obblighi disposti dalla legge, sono inoltre collegati
a controllo e responsabilità che rendono affidanti
i relativi accertamenti, sicchè, sulla base di
essi possa l'organo finanziario fondatamente ritenere
acquistata l'individuazione dell'intero compendio
ereditario. In tali sensi eloquente è la evoluzione
storica della disposizione in esame, evoluzione
alla quale i primi giudici hanno attinto per affermare
che mentre la prova contraria poteva, ai
sensi dell'art. 52 del Testo unico 20 maggio 1897,
n. 217, esser data con<< inventari legalmente attendibili,
ed anche con atti di notorietà, i numerosi
abusi riscontrati in sede di applicazione della
norma, inducessero il legislatore a limitare (articolo
2 R.D. 27 agosto 1916, n. 1058; art. 3 legge
24 maggio 1920, n. 1300; art. 31 R.D. 30 dicembre
1923, n. 3270) solo agli inventari sopracennati
la prova in questione. Non ricorre dubbio, che
nella categoria degli inventari siano stati scelti
dal legislatore quelli che, siccome redatti da pubblico
ufficiale, hanno l'efficacia probatoria degli
atti pubblici. Non è, quindi, che gli atti menzionati
nell'art. 31 della legge tributaria non vengono
in considerazione come inventari, e pertanto non
come atti disciplinati dagli artt. 769 e segg. Codice
civile, ma è che ad essi la legge affida la capacità
di vincere la presunzione stabilita nella prima
parte della norma proprio perchè essi sono redatti
con le formalità e le garanzie dell'atto pubblico.
E poichè deve ammettersi che ove la legge tributaria
manchi di una disciplina specifica di determinati
fatti o rapporti, è consentito far ricorso ai concetti
ZZFZTF >~:~&~.Li
-154-
ed agli istituti di diritto civile per la nozione e la
qualificazione di tali fatti o rapporti, se ne desume
che è alle norme generali in tema d'inventario,
nonchè a quelle particolari che disciplinano le
singole specie menzionate nell'art. 31 che occorre
far ricorso ai fini dell'accertamento della validità
formale dell'atto. In questi sensi deve convenir11i
che l'inventario, valido ed efficace ai fini civili, è
ugualmente valido ed efficace ai fini tributari.
Ma non è qui questione di validità formale
dell'inventario che gli odierni appellanti oppongono
alla pretesa di accertamento presuntivo della
finanza. Si tratta, invece, di stabilire se l'omissione
di un bene ereditario in uno degli inventari indicati
nell'art. 31, renda l'atto inefficiente a vincere la
presunzione legale prevista dalla prima parte
della stessa norma, come i primi giudici han ritenuto,
o se, invece, debba il quesito risolversi sulla
base del richiamo alle disposizioni che disciplinano
gli istituti nell'ambito dei quali operano gli inventari
in questione e, nel caso in esame, alla norma dello
art. 494 C.c. che regola le omissioni e le infedeltà
nell'inventario e la conseguente decadenza dal
beneficio.
L'art. 31 della legge sull'imposta di successione
non prevede e non disciplina con norme particolari
il caso in cui nell'inventario si riscontrino omissioni
o infedeltà. La soluzione propugnata dagli odierni
appellanti, ed a volte condivisa dalla Commissione
Centrale, procede dall'affermazione che, per risolvere
il problema, si debba far ricorso ai principi
che regolano l'eredità beneficiata, ed in particolare
a quello posto dall'art. 494 O.c.
Già si è rilevato che, in via di principio, è lecito
far ricorso ai concetti ed agli istituti del diritto
civile allorchè la norma tributaria manchi di una
disciplina specifica di determinati fatti o rapporti.
Ma va considerato che è la stessa legge tributaria
con le proprie norme e le finalità cui esse tendono
a segnare il limite del rinvio. Orbene, se gli inventari
vengono in considerazione perchè la legge tributaria
attribuisce loro la particolare efficienza di
prova contraria alla presunzione legale, ed in
vista della forza probante che il legislatore ha ritenuto
tranquillante al fine indicato, non è ragione
alcuna per estendere il rinvio alle regole della
eredità beneficiata, nell'ambito del quale istituto
l'inventario opera nel campo civilistico. Quel che
interessa ai fini fiscali non è già la regolamentazione
del beneficio d'inventario, sibbene è l'inventario
come documento redatto nel quadro degli incombenti
volti a realizzare quel particolare istituto,
che la legge considera quale atto idoneo alla rilevazione
della consistenza dell'asse ereditario, e
sono, invece, indifferenti la funzione che ad esso
assegna la legge civile ed i particolari effetti che
in quell'istituto giuridico l'inventario stesso può
conseguire. Non è contestabile, infatti, che un
inventario escluda la presunzione di cui all'art. 31
pure se, ad esempio, nel frattempo l'erede abbia
rinunciato al beneficio, pure se il fallimento sia
stato revocato, e ciò perchè il suo valore tributario
è del tutto insensibile alle vicende dei rapporti
civilistici nei quali esso opera. E per converso, è
ben possibile che permangano gli effetti del beneficio
d'inventario, della dichiarazione di fallimento,.
della tutela, e la finanza lo disattenda provando·
che esistono denaro, gioielli e mobilia che l'inventario
aveva escluso.
Ora, la norma dell'art. 494 O.c. regola senza.
dubbio le omissioni e le ilifedeltà nell'inventario,
ma al fine specifico della decadenza dal beneficio,
vale a dire di quegli effetti che la legge (art. 490·
C.c.) riconnette all'istituto, i quali effetti non
hanno alcun rilievo per la legge tributaria che si
appaga della validità formale del documento~
Tanto ciò è vero che altri, oltre quello ora considerato,
sono i casi di decadenza previsti dalla legge,
e non può, certo, fondatamente sostenersi che le
ipotesi di cui all'art. 505 O.c. importino l'invalidità
ai fini fiscali dell'inventario. D'altra parte il minore
che non osserva ·l'obbligo della formazione delloinventario
non potrà vincere la presunzione dello·
art. 31 per difetto del documento prescritto dalla
norma, ma non decade dal beneficio se non quando
dopo un anno dal compimento della maggiore età"
non abbia provveduto a formare l'inventario.
Il quesito, quindi, non può trovare soluzione
con l'inammissibile richiamo a norma dettata per·
tutt'altro fine. In sostanza la presunzione legale
posta dall'art. 31 più volte citato opera solo nei
casi tassativamente indicati nel terzo comma~
sicchè, ove sussista la validità formale dell'inventario,
cade la facoltà degli uffici finanziari di ricorrere
all'accertamento presuntivo. Nel caso in
esame - già si è detto - la validità formale del
documento non viene in discussione, ma l'Amministrazione
finanziaria sostiene che la certezza che
l'inventario non comprendeva tutti i beni è circostanza
efficiente ad abilitarla a ricorrere allo
accertamento presuntivo; il che pone in diversi
limiti il problema, e cioè se un fatto accertatÙ"
successivamente ·alla formazione del documento.
possa rendere quest'ultimo invalido ai fini fiscali.
Or, se si tiene presente la finalità che la legge ha
inteso perseguire allorchè ha limitato la prova.
contraria alla presunzione di cui all'art. 31, cioè
quella di evitare, con l'occultamento della ricchezza~
le frodi fiscali, e si tiene conto, altresì, che gli
inventari indicati sono dalla legge considerati efficienti
a dare l'esatta rilevazione dei beni ereditari~
si deve ritenere che il fatto posteriormente accertatÙ"
deve essere di tale natura da vulnerare sia detta
finalità, sia la rilevazione che il documento è
destinato ad offrire. Tale è senza dubbio l'omissione
maliziosa nell'inventario di alcuni beni. Ma.
allorchè tale omissione non è da ascriversi a mala
fede, e risulta, anzi, come nel caso esame, che essa
è addebitabile ad ignoranza sulla esistenza dei
beni omessi, e dei quali, per di più, l'erede si è
affrettato a denunciare l'esistenza agli organi tributari,
non può affermarsi che l'inventario abbia.
perduto ogni idoneità a contrastare l'accertamento.
presuntivo. In definitiva l'amministrazione finanziaria,
per negare la validità probatoria dell'inventario
ed affermare la legittimità.. dell'accertamento·
in via presuntiva, si vale, a ben rifletterer· a -Sua,
volta di un elemento presuntivo consistente nel
fatto che l'inventario non contiene menzione delle
162 azioni della Sez. Tritone, ed argomenta che se
- 155
·quel bene fu omesso, se ne deve dedurre che lo
inventario non contiene la rilevazione della insussistenza
del denaro, dei gioielli,.;,della mobilia. Ma
l'elemento presuntivo non è efficiente a disconoscere
la validità sostanziale dell'inventario quando risulta
che l'omissione fu, come nel caso in esame, incolpevole,
e quando gli eredi hanno subito portato a
conoscenza degli organi tributari l'esistenza di
dette azioni.
Illegittimo è pertanto l'accertamento operato in
via presuntiva dall'Ufficio e conseguentemente gli
appellanti hanno diritto al rimborso dell'imposta
:pagata.
La questione, ampiamente trattata dalla Corte di
Appello nella sentenza che si annota, non è nuova
.alle Commissioni Tributarie e, quel che più conta,
"nOn è pacificamente risolta (1).
Com'è noto, l'art. 31 della legge sull'imposta di
. successione sancisce la presunzione dell'esistenza
di gioielli, denari, mobilio ecc ... per un valore in
ragione di una determinata percentuale sull' ammontare
globale del compendio ereditario. Detta presunzione
è di applicazione generale; si ammette, peraltro,
la prova contraria, ma in modo restrittivo e con mezzi
<tassativi. Questi mezzi sono esclusivamente gli inventari
di tutela e di eredità beneficiata o fallimentare
o fatti a seguito di apposizioni di suggelli ecc.
Poichè la norma nulla detta sulla nozione degli in
ventari riferiti, si impone la necessità di ricercare il
loro giuridico significato ricorrendo a norme, anche di
natura diversa da quella tributaria, che contengano
gli estremi per una corrispondente qualificazione.
I n altri termini, ciò che è necessario per la vitalità
della disposizione in parola è unicamente l'esatta conoscenza
giuridica di quei fatti che vanno sotto il
nome di inventario di tutela, di eredità beneficiata.
Questa sola è un dato essenziale, ed estraneo al contempo,
alle norme tributarie,.mentre la regolamentazione
di quei fatti, cioè il loro svolgimento, gli effetti, la
loro funzione, si deduce chiaramente dalla ratio stessa
della norma tributaria, contenuta nello articolo citato.
Di qui discende il richiamo alle norme civili
unicamente per la qualificazione giuridica del fatto
·« inventario n, come esattamente osserva la Corte di
Appello, e non per la sua regolamentazione. Rinvio,
,(J,unque, alla legge civile per la determinazione dello
inventario come fatto giuridico e, in modo particolare,
:Come documento redatto con specifici requisiti di forma
e di sostanza per la rilevazione. della consistenza dello
asse ereditario.
Ogni altro rinvio alla legge civile che,. sia pure
marginalmente, attenga alla disciplina dell'inventario
nell'ambito dell'istituto civilistico di cui fa parte,
deve respingersi. Data veste giuridica al fatto
« inventario ))' nulla manca perchè il disposto dello
:art. 31 possa venir applicato.
Il come e il quando applicarlo è questione che
afferisce alla interpretazione dell'articolo e per cui
,non è necessario alcun ulteriore richiamo a disposizioni
di diritto civile.
(l) V. Comm. Centr. 26 ottobre 1945, n. 6496, in
Riv. leg. fise., .1951, 1033; Comm. Centr. 12 novembre
1954, n. 65400; idem, 1955, 708; Comm. Centr. 19 dicembre
1960, n. 35655; idem, 1962, 134.
Se ciò è vero, (e, almeno in parte, ci sembra concordi
la Corte di Milano) non è possibile poi affermare
che l'inventario, valido ed efficace ai fini civili,
è ugualmente valido ed efficace ai fini tributari.
Validità ed efficacia sono termini di valore sostanziale,
che afferiscono non all'esistenza, ma alla vitalità e
capacità (si intende giuridica) di un fatto o rapporto.
La validità e l'efficacia di un atto sono determinate
da una o più norme che regolano l'atto stesso in
relazione alle finalità volute dal legislatore. Non è
possibile rinviare ad altre norme la determinazione
dell'invalidità e dell'inefficacia di un fatto senza,
nel contempo, ammettere che, per quel fatto, sono
state applicate norme dettate per una situazione
diversa. Se proprio si vuole fare una equiparazione,
l'unica consentita è questa: l'inventario giuridicamente
esisternte ai fini civili è giuridicamente esistente
ai fini tributari .
Posta la necessità di richiamarsi ad altre norme,
unicamente per la determinazione e cognizione giuridica
di un atto, ci sembra ovvio che il richiamo
debba essere fatto a quelle norme che determinano e
qualificano l'atto nella sua tipicità e perfezione e
non nei suoi aspetti atipici o patologici.
L'inventario è un atto-documento, con certi requisiti
di forma e di sostanza, che accerta e certifica l'esistenza
e l'entità di tutti i beni di· un patrimonio. Un
inventario, che ometta l'indicazione di taluni beni
effettivamente esistenti in un patrimonio, è un
inventario imperfetto, che potrà, o non; avere effetti
a seconda della norma che lo considera. Ma non è
naturale estendere il richiamo alle norme che debbono
dare la qualificazione giuridica di un atto tipico e
perfetto anche alle norme che disciplinano lo stesso
atto nel suo aspetto atipico e imperfetto.
Da queste premesse ci sembra potersi concludere
che, di fronte ad un inventario incompleto (cioè
imperfetto), non sia lecito richiamarsi alle norme del
Codice civile (alla buona o mala fede che ha determinato
l'omissione), per stabilirne l'efficacia in una
sede così strutturalmente e. funzionalmente diversa
come è quella tributaria, ma sia doveroso mantenersi
esclusivamente nell'ambito dell'art. 31 citato. In
questo ambito dovrà procedersi ad una normale
operazione interpretativa, cioè stabilire se tf,n fatto,
non perfettamente corrispondente a quello inteso
dalla norma, possa o no produrre i suoi effetti.
· A noi pare che, se solo si vuole considerare con
un poco di attenzione, al. di là delle mere espressioni,
la funzione dell'articolo, inserito dinamicamente nel
complesso delle norme che regolano l'imposta di
successione, il carattere generale della presunzione
da esso posto, la tassatività dei mezzi atti a vincere
la presunzione stessa, la peculiarità di tutte le norme
tributarie, che è quella di garantirsi da ogni possibile
frode, non può non riconoscersi che, con l'attribuire
efficacia (quella particolare efficacia) ad un inventario
incompleto, si verrebbe a frustrare lo scopo della
norma, e ciò per mezzo di uno strumento che dovrebbe
costituire, dato il suo carattere pubblico e fidefacente,
la migliore garanzia per la norma stessa. · · ·
GIANCARLO FERRERO
PROCl-'RATORE DELLO STATO
- 156-
IMPOSTE E TASSE - Agevolazioni tributarie - Attestazioni
di organi non fiscali - Potere di controllo
dell' Amministra:a:ione Finanziaria - Sussiste.
IMPOSTA DI REGISTRO - Aumento di capitale di
società per azioni connesso a fusione - Tassa fissa -
Limiti di applicazione. (Corte di Appello di Torino,
16 novembre-31 dicembre 1962- Pres.: Casoli; Est.:
Malinverni - Soc. Genepesca c. Finanze.
L'accertamento delle condizioni di applicabilità
delle agevolazioni fiscali di cui all'art. 41 della
legge 11 gennaio 1959, n. 25, demandato al Ministro,
dell'Industria e del Commercio non elimina nè
rende superfluo l'accertamento dei requisiti sostanziali
per la concessione del beneficio tributario,
attribuito all' .Amministrazione Finanziaria dalle
disposizioni di legge precedenti.
Il beneficio della tassa fissa di registro previsto
dall'art. 3 decreto-legge 7 maggio 1948, n. 1057
spetta solo nel caso in cui tra l'aumento di capitale
e l'atto di fusione vi sia un rapporto direttamente
causale.
* * *
La sentenza della Corte torinese, passata in giudicato,
ha fatto buon governo delle norme che concedono
agevolazioni fiscali « agli aumenti di capitale deliberati
per facilitare le fusioni e le concentrazioni di
società e, in occasione di queste », respingendo una
interpretazione estensiva di tali norme accolta talvolta
dalla giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale Genova,
16 gennaio 1957 in Rep. F.I. 1957, Registro,
n. 297) e, ancora recentemente, dalla Corte di Cassazione
(Sent. 10 agosto 1962, n. 2521 in Foro It.,
1963, I, 1008; interpretando l'analoga legge 6 agosto
1954, n. 603 art. 29).
La prima massima è pacifica in giurisprudenza
(cfr. Appello Roma, 17 luglio 1959 in Giur. It., 1960,
1, 2, 626 e Comm. Centr. Sez. VII, 11 luglio 1958
in Riv. Leg. fisc., 1959, 797). Esattamente ha
osservato in proposito la Corte torinese: La legge,
n. 1057 del 1948 aveva ammesso, tra l'altro, al
beneficio dell'imposta fissa di registro gli atti di
fusione delle società per azioni, e i contemporanei
aumenti di capitali, deliberati nell'occasione delle
fusioni al fine di facilitarle. La legge, n. 25 del
1951, con l'art. 41, prorogò il termine delle accennate
agevolazioni, purchè queste ultime fossero
state autorizzate dal Ministero della Industria e
del Commercio, sentito quello del Tesoro. Pertanto,
trattandosi di una legge di proroga, non può intendersi
la portata di una disposizione da essa introdotta,
ai fini dell'agevolazione stessa, senza ulteriori
limitazioni riferite all'intrinseco della norma
agevolatrice, prorogata, se non in senso restrittivo,
e particolarmente relativo alla finalità cui logicamente
dovette essere diretta la specifica limitazione,
finalità di ordine economico, e di convenienza nel
campo produttivo e commerciale, finalità, infine,
la considerazione delle quali è attributo esclusivo,
per la particolare competenza onde è investita,
dell'Amministrazione preposta all'industria e al
commercio, e cui è estranea, perchè non esperta,
l'Amministrazione fina.nziaria. In altre parole, la
proroga fu condizionata a una preventiva autorizzazione,
da concedersi previo l'accertamento di
quei requisiti, che fossero stati ritenuti dal Ministero
competente (quello, ovviamente, della industria
e del commercio} necessarLp,er dare vita, col
mezzo della fusione, a un organismo economicamente
solido e vitale.
Ma il detto accertamento, cui fu condizionata la
proroga, non deve intendersi preclusivo dalle
normali indagini, cui è tenuta l'Amministrazione
delle Finanze per constatare la ricorrenza, oppure
no, degli altri requisiti, consistenti nella contemporaneità
della destinazione del detto aumento al
fine di facilital'e la fusione nell'occasione della
quale l'aumento stesso è stato deliberato - requisiti-
ripetesi- il cui accertamento fu dalla legge
del 1948, n. 1057 affidato agli uffici finanziari, e ai
quali non potè, come non può, essere sottratto
senza una specifica disposizione, tale non potendosi
ritenere quella, di cui all'art. 41 della legge 7 maggio
1948, n. 1057, subordinante la proroga del beneficio
ammesso con la legge precedente, a un altro accertamento,
costituente pertanto, quest'ultimo, una
condizione necessaria, e non sufficiente. Infatti
l'autorizzazione del Ministero dell'Industria e Commercio,
ha posto essenzialmente il punto sulla efficienza
del nuovo organismo che sarebbe derivato
dalla fusione, come si evince dal contenuto del
nulla osta, dato perchè l'operazione risponde a un
fine economico, in quanto riguarda tre società
complementari, per cui dalla loro fusione risulta
un organismo più razionale ed efficiente con una
conseguente semplificazione amministrativa ed economica
di gestione nell'esercizio dell'attività delle
dette imprese.
E invero non tanto l'autorizzazione ministeriale
investe le agevolazioni finanziarie, direttamente,
quanto le fusioni stesse e i contemporanei aumenti
di capitali, deliberati in quelle occasioni per facilitare
l'attuazione, onde la portata della detta autorizzazione
è, in sostanza, quella di un nulla osta
all'atto di fusione, e all'aumento del capitale
sociale in funzione della fusione stessa, e pertanto
di un nulla osta, che apra la via degli accertamenti
richiesti dalla legge 1057 del 1948 ai fini della
agevolazione tributaria.
La seconda massima è molto più interessante
fissando essa limiti di applicabilità di un beneficio
che, da parte dei contribuenti, si tende ad allargare
oltre le previsioni legislative.
La fattispecie era in breve la seguente: in occasione
della fusione delle società Pescoatlantica e FrigoIndustriale
con la Genepesca quest'ultima aveva
deliberato due aumenti di capitali, in uno stesso atto,
uno corrispondente alla somma dei capitali delle
società che si fondevano e un altro, di importo superiore,
diretto a facilitare, senza meglio specificare, la
fusione stessa.
Si è sostenuto dalla Genepesca che «l'aumento di
capitale corrispondente alla somma dei capitali delle
società che si fondono deve considerarsi non !Jià,un
aumento « deliberato per facilitare la fusione »1 bensì;
più esattamente, una conseguenza necessaria della
operazione di fusione per incorporazione e per tale
motivD già esentato in virtù dell'art. l del decreto-legge
-157-
7 maggio 1948, n. 1054, «trattandosi di una operazione
costitutiva della fusione stessa e con essa
. inscindibilmente connessa n. Quindi il beneficio di
cui all'art. 3 non avrebbe potuto che riferirsi ad un
aumento di capitale diverso da quello suaccennato.
La tesi è erronea nelle due premesse e quindi nella
conseguenza.
La prima premessa errata è che l'aumento corrispondente
alla somma dei capitali delle società che
si fondono è una operazione costitutiva della fusione
stessa. ·
Il BRUNETTI (Trattato del diritto delle società,
Giuffrè 1948, vol. II, pag. 647) afferma che «la
fusione per incorporazione produce una alterazione
nello stato giuridico della società consistendo in un
incremento patrimoniale ed, eventualmente, ma non
necessariamente, nell'aumento di capitale sociale
dello incorporante n e più oltre afferma che, « il
codice nulla dice riguardo all'assegnazione di azioni,
o di quote, del soc. incorporante ai soci di quella
incorporata >> che possono essere anche tacitati in
denaro. ·
Il GRECO (Le società, Giappichelli, 1959, pagina
464) afferma che l'aumento di capitale della società
incorporante può non essere necessario, così nel
caso che questa possedesse già l'intero pacchetto
azionario della società incorporata, o che abbia in
portafogli un numero sufficiente di proprie azioni
da attribuire a tutti i soci di detta società n, e cita
l'opinione del VIVANTE (Trattato, II, n. 766, del
FERRARA: Impr. e Soc., pag. 423 e del VrsENTINI
in Riv. Dir. Oomm., 1942, II, 294).
La seconda premessa è che l'aumento di capitale
corrispondente alla somma dei capitali sociali delle
Società sia già esentato in virtù dell'art. l del regiodecreto
7 maggio 1948, n. 1057, il che è puramente
gratuito perchè l'art. l esenta gli atti di fusione
e non parla affatto dei contemporanei aumenti di
capitale; ora, come abbiamo visto, l'aumento di capitale
può essere una modalità del procedimento di
fusione ma non è la fusione stessa come è di tutta
evidenza.
La conseguenza errata è che l'aumento di capitale
di cui all'art. 3 debba essere diverso da quello strettamente
necessario per l'operazione di fusione.
E' invece da rilevare al contrario che, appunto
perchè trattasi di operazioni distinte sia pure dello
stesso procedimento, non si sarebbe potuto applicare
l'esenzione fiscale agli aumenti di capitale, quantunque
connessi con l'operazione di fusione, se non
con una esplicita disposizione legislativa, e a tal fine
è stato emanato l'art. 3 (cfr. PERRICONE: .Aziende e
Società nell'imposta di registro, Giuffrè 1950, pagina
288).
D'altro canto se il solo aumento di capitale inscindibilmente
connesso con la fusione è quello corrispondente
alla somma dei due capitali sociali, come
si giustificherebbe, in armonia con la ratio legis
che è quella di facilitare le fusioni, una agevolazione
per un aumento di capitale non connesso con la fusione
stessa.'!
Che la ratio legis fosse quella di facilitare, con la
riduzione dei costi fiscali che tali operazioni comportano,
il ridimensionamento delle aziende sociali
per rafforzare, attraverso la fusione di aziende minori,
l'economia nazionale è indubbio (cfr. RoMANO~
.Agevolazioni tributarie agli effetti dell'imposta di
registro e concentrazioni d'azienda in « Riv. Trim .
Dir. Proc. Civ. n, 1959, 711 e .A.NTONINI: Considerazioni
intorno ad alcuni aspetti tributari delle·
concentrazioni aziendali in « Gius. It. n, 1960, IV
pag. 57 e segg.).
E se, l'aumento di capitale superiore alla somma
dei capitali sociali delle società che si fondono non
è « inscindibilmente connesso n, con la fusione, per
quale motivo il legislatore avrebbe dovuto concedere
le agevolazioni fiscali'! Ma, si è obiettato, se così fosse,
la considerazione di contemporaneità imposta dallo
art. 3 sarebbe superflua in quanto l'aumento dì
capitale corrispondente all'importo dei capitali delle
società incorporate è necessariamente contemporaneoalla
fusione. Se anche l'obiezione fosse fondata non
proverebbe granchè in quanto le leggi sono pienedi
pleonasmi, specie quelle tributarie che sono tutt'altro
che tecnicamente ineccepibili. M a, in realtà, il
requisito, della contemporaneità non era affatto
superfluo in quanto, come abbiamo visto, la fusione
non importa necessariamente un aumento di capitale;
per collegare l'aumento alla fusione ed estendere al
primo gli stessi benefici della seconda è quindi
necessaria la contemporaneità cronologica, senza che
però questa sia sufficiente essendo esplicitamenterichiesto
anche l'altro requisito della strumentalità
dell'aumento di capitale, che deve essere diretto a
facilitare la fusione.
Sulla portata di tale ultimo requisito la Genepesca}
giocando sulla elasticità lessicale della parola « facilitare
n ha sostenuto che il secondo aumento « era
destinato a consentire la più efficiente organizzazioneimposta
dalla deliberata fusione e, quindi, in definitiva,
a facilitare la fusione stessa nelle sue proprie·
finalità n.
È stato facile obiettare che il risultato di facilitare·
la fusione sarebbe in tal caso secondario, indiretto e
mediato, mentre immediato, diretto e principale &
lo scopo di consentire una più efficiente organizzazione
aziendale. Ora, tenendo presenti i criteri interpretativi
in tema di agevolazioni tributarie (cfr. Oont.
dello Stato per gli anni 1942-50, vol. I, pag. 475,
n. 344) sintetizzati nella formula secondo cui è
necessaria« la connessione diretta dell'oggetto del ne-.
gozio per il quale si discute dell'applicabilità dell'agevolazione
con l'ipotesi di riduzione delle leggi previste
n, è evidente che non può consentirsi un tale
allargamento della portata della normà di favore. La
circolare ministeriale 18 agosto 1948, n. 117855 ha
precisato, proprio in previsione di una tale situazione
di fatto che: « si deve ritenere compreso nelle agevolazioni
di cui sopra esclusivamente l'aumento di
capitale che sia strettamente collegato alla fusione
sociale mentre è da considerarsi escluso quello rivolto
al potenziamento della società ».
La Commissione Centrale ha chiarito che l'agevolazione
« non può riferirsi che agli aumenti di capitale
resi necessari dall'operazione di fusione e concentrazio'fbe
e per la parte corrispondente all'ammontare
delle aziende o stabilimenti conferiti o al capitale ·delle
società incorporate n, aggiungendo che «è insufficiente
ai fini della concessione dell'esenzione tributaria,
la circostanza che il menzionato conferimento
-158-
forma un presuppQsto inderogabile della fusione,
giacchè essa, se ha rilievo in rapporto alle cause che
la determinano, non costituisce un elemento essenziale
dell'operazione (Comm. Centr., 10 marzo 1950,
numero 11065 in Riv. Leg. Fisc., 1950, 1008 e, per
qualche riferimento, Comm. Centr. 26 maggio 1954,
n. 61747 in Riv. Leg. Fisc. 1954, 1511).
Se si escludesse la connessione diretta tra l'aumento
-di capitale e la fusione, il « rapporto direttamente
-causale» per usare l'espressione della Corte torinese,
ne deriverebbe che qualsiasi aumento di capitale
-deliberato in occasione di una fusione potrebbe
genericamente essere considerato come diretto a faciUtarla.
E' ovvio che in ogni caso un'aumentata disponibilità
di capitali facilita lo sviluppo e la riorganiz.
zazione dell'azienda: se davvero il legislatore avesse
voluto uno scopo così amp·io era sufficiente che si
:Umitasse a richiedere il solo requisito della contemporaneità
dell'aumento di capitale con la fusione,
essendo evidente che, nel senso voluto dai contribuenti,
tutti gli aumenti di capitale facilitano indirettamente
:Za fusione potenziando l'azienda incorporante.
· Se il legislatore ha voluto oltre al requisito della
-eontemporaneità anche quello della connessione diretta
-dell'aumento con la fusione è perchè non tutti gli
aumenti di capitale (che certo facilitano e non osta-
colano la fusione) possono essere esenti dall'imposta
.bensì solo quelli che hanno per scopo immediato, per
causa effettiva, per oggetto diretto la fusione e non
anche il potenziamento dell'azienda incorporante che
.solo indirettamente finisce con il facilitare anche la
j~tsione.
Onde a noi sembra che esattamente la Corte di
Torino ha concluso la pregevole motivazione della
sua sentenza affermando che: va ritenuto, pertanto,
che l'esigenza di un rapporto direttamente causale
tra l'aumento di capitale societario e l'atto di fusione
si evince chiaramente dalla lettera della legge,
onde collegando la menzionata finalità agevolatrice
della fusione con la pur menzionata condizione
che l'aumento debba essere deliberato contemporaneamente
alla fusione e nell'occasione di essa,
si trae la conseguenza che la legge abbia preteso,
.all'effetto del beneficio fiscale, un vero e proprio
collegamento diretto tra la deliberazione maggiorativa
del capitale stesso e la deliberazione di fondere
(o concentrare) due o più società.
GIOVANNI FIERRO
ESPROPRIAZIONE PER P. U. - Retrocessione -
Relitti - Determinazione del giusto prezzo, in mancanza
di amichevole pattuizione - La preventiva
perizia di cui agli articoli 32 e 33 della legge è condizione
di ammissibilità della domanda giudiziale.
(Tribunale Potenza 12 marzo 1963, n. 121/63 -
Est.: Nesti - Appio c. Finanze).
In analogia a quanto è disposto per la determinazione
dell'indennità di espropriazione, l'azione
.giudiziaria per la determinazione del giusto prezzo
di retrocessione di un relitto va intesa come mezzo
di impugnazione di una precedente stima eseguita
in fase non contenziosa. Pertanto, anche rispetto
a tale azione, la perizia prevista dagli artt. 32 e 33
della legge si pone come un prius logico, che
condiziona l'ammissibilità della relativa domanda.
Co'Ji, la sentenza che si segn'a.la, il Tribunale di
Potenza - oltre a decidere (nel senso di cui sopra e
.rtecondo la tesi dell'Avvocatura) la questione di ammissibilità
della domanda di determinazione giudiziale
del prezzo d'un relitto - ha cercato di fissare,
sullo stesso argomento, alcuni principi, che sembrano
interessanti, per la rarità di precedenti.
I n particolare, dopo aver premesso che il prezzo
dei fondi oggetto di retrocessione, ove non sia amichevolmente
pattuito, viene stabilito giudizialmente,
in seguito a perizia da eseguirsi a norma degli articoli
32 e 33 della legge, il Tribunale ha precisato:
Il mezzo per la determinazione del prezzo dei
beni non è quindi diverso da quello stabilito per
la determinazione dell'indennità di espropriazione.
La stima deve, di conseguenza, essere eseguita da
un perito nominato dal Tribunale territorialmente
competente, entro il termine fissato col decreto di
nomina.
Per quanto, poi, riguarda il soggetto, ad impulso del
quale - in caso di disaccordo - debba richiedersi
la nomina del perito, avvertita la carenza di una
esplicita indicazione legislativa (in quanto l'art. 60
si limita a richiamare i precedenti artt. 32 e 33),
il Tribunale stesso ha espresso l'avviso che (a differenza
di quanto avviene nel caso d'indennità di
.espropriazione, in cui tale iniziativa compete al
Prefetto), nella ipotesi in questione, in caso di
disaccordo, una qualsiasi· delle parti possa dare
impulso al procedimento per la determinazione del
prezzo di retrocessione, mediante istanza o richiesta
al Tribunale territorialmente competente, per la
nomina del perito.
Infine, circa i termini per la impugnativa di tale
stima, il Tribunale ha ritenuto che la relativa azione
giudiziaria sia svincolata dall'osservanza di termini
di decadenza, a differenza di quanto dispone l'art. 51
della legge per il caso d'indennità di esproprio.
GIUSEPPE ADOBBATI
RESPONSABILITA CIVILE- Danno subito da dipen·
dente in servizio - Prescrizione. (Tribunale di Firenze,
Io luglio 1963 - Pres.: Est.: Cerrini Feroni- Galardi
c. FF.SS.).
Il diritto del dipendente statale al risarcimento
del danno, che abbia subito, per colpa dell'Amministrazione,
in servizio ed a causa di servizio, si
prescrive in 5 anni, che, per i fatti avvenuti anteriormente
alla data di entrata in vigore della
Costituzione (e, quindi, anteriormente anche alla
legge 6 marzo 1950, n. 104), decorre da questa e
non dalla data della sentenza, con la quale la
Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo il R.D.L. 6 fe-bbraio 1936, numero
313 (30 gennaio 1962) .
La sentenza, che ha accolto in pieno le tesi sostenute
dall'Avvocatura, così motiva al riguardo:
Wr E 77 7777"1 777WWT%?-
- 159 -
-Vatto di citazione introduttivo di questo giudizio
è stato, infatti, notificato il giorno 16 dicembre
.1962. A tale data erano già maturati i termini
di prescrizione preveduti rispettivamente dagli
artt. 294 7 e 2951 C.c. poichè erano già trascorsi
più di cinque anni, e perciò a maggior ragione più
di un anno, dal giorno in cui il diritto oggi vantato
dal Galardi poteva essere f.atto valere (articolo
2935 C.c.).
Ed invero, ad avviso del Collegio come non
v'è dubbio che al Galardi era precluso in passato,
cioè all'epoca in cui si verificò il fatto dannoso
ed anche successivamente, l'esercizio del diritto
di richiedere all'Amministrazione delle Ferrovie
dello Stato l'integrale ristoro del danno sofferto
per effetto della legislazione speciale allora vigente
(D.L.G. 21 ottobre 1915, n. 1558 e R.D.L. 6 febbraio
1936, n. 313 convertito nella legge 28 maggio
1936, n. 1126) che escludeva l'azione risarcitoria
dell'impiegato infortunato nei confronti della Pubblica
Amministrazione, così sembra altrettanto
certo che tale preclusione venne a cessare al momento
dell'entrata in vigore della nuova Costituzione
dello Stato o quantomeno al momento in cui
trovò effettiva attuaziùne la legge 11 marzo 1953,
ì1. 87 (cioè nel 1956).
In altri termini, a prescindere dal fatto della
sopravvivenza della legge abrogativa 6 marzo
1950, n. l04 alla quale le parti hanno fatto solamente
un accenno e dalla quale potrebbero sorgere
questioni di dubbia risoluzione, la preclusione dello
esercizio del diritto all'intero ristoro del danno
invocato dal Galardi, per effetto della nuova
costituzione e perciò ancora prima che intervenisse
la sentenza della Corte Costituzionale 30 gennaio
1962, n. l non era, come rileva la convenuta, di
carattere assoluto ma relativo in modo da consentire
allo stesso attore di esercitare il diritto solo
attualmente fatto valere.
La illegittimità della abrogata legislazione preclusiva
dell'azione riparatrice del danno, è derivata
infatti, da contrasto con i principi dell'art. 28 della
Costituzione. N e deriva come logica conseguenza
che questo motivo di illegittimità poteva essere
sollevato inizialmente dinanzi all'autorità giudiziaria
ordinaria, poi dinanzi al Giudice Costituzionale,
facendosi contemporaneamente valere il
diritto risarcitorio, senza che perciò quest'ultimo
trovasse più quella preclusione assoluta ad essere
azionato che invece valeva per il passato. ···
Questa soluzione, secondo il parere del Tribunale
trova il suo sostegno nel principio che le sentenze
della Corte Costituzionale le quali accertano la
illegittimità di una legge non fanno che rilevare
la nullità (per difformità ai principi costituzionali)
della legge stessa; tale servizio peraltro esiste fin
dal momento in cui si verificò l'anzidetta difformità,
ossia dal momento in cui la legge o, se questa è
anteriore alla Costituzione, (come nel caso in esame)
dal momento dell'entrata in vigore di questa
ultima.
Conseguentemente è a tale momento che deve
farsi risalire il giorno iniziale· della relativa decorrenza
secondo il principio dell'art. 2935 C.c. Infatti,
era da quel momento che il Galardi avrebbe
potuto esercitare il proprio diritto verso la Pubblica
Amministrazione, sollevando contemporaneamente
ai fini delle relative declaratorie giudiziali
la questione di illegittimità delle leggi ordinarie,
che fino allora gli aveva precluso ogni azione, per
il vizio consistente nella difformità con i principi
dell'art. 28 della nuova Carta Costituzionale.
Nè può essere presa in considerazione l'ultima
obiezione sollevata dall'attore, secondo il quale il
corso della prescrizione opposta dalle Ferrovie dello
Stato si sarebbe interrotto per effetto del risarcimento
del debito da parte della stessa Amministrazione
(art. 2944 C.c.). Infatti le manifestazioni
provenienti dalla convenuta ed a tal fine
indicate dal Galardi, cioè a dire fornitura di un
arto artificiale fino al 1956, sollecitazione dello
I.N.A.I.L. perchè venisse corrisposta all'infortunato
una rendita mensile, ed infine concessione di uno
speciale distintivo di onore, non sono idonei a interrompere
la prescrizione. Essi, non rappresentano
manifestazioni espresse dal risarcimento del diritto
patrimoniale dedotto in giudizio, ma espressioni
di solidarietà sociale e di comprensione.
..
INDICE SISTEMATICO
D E L L E C O N S U L T A Z--I O N I
C,.tl. FORMUL.tl.ZIONE DEL QUESI_TO NON RIFLETTE IN .tJ.LOUN MODO L.;t SOLUZIONE OHE NE È STATA DATA
ACQUE PUBBLICHE
REGIONE TRENTINO-ALTO ADIGE.
Se in seguito all'entrata in vigore della legge 6 dicembre
1962, n. 1643 istitutiva dell'Ente Nazionale per la
Energia Elettrica conservi efficacia la norma di cui allo
art. IO dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige
in base alla quale a detta Regione spetta un diritto di
preferenza a parità d i condizioni nelle concessioni di
grande derivazione a scopo idroelettrico (n. 75).
APPALTO
FALLIMENTO - pAGAMENTI.
Se le ritenute operate dall'Amministrazione appaltante
a garanzia dei versamenti di legge agli istituti previdenziali
e assicurativi debbano, intervenuto il fallimento
dell'appaltatore, essere versate al curatore o agli istituti
stessi (n. 268).
AUTOVEICOLI E AUTOLINEE
MANUTENZIONE - RESPONSABILITÀ.
Se il periodico controllo degli organi meccamc1 e
l'assidua manutenzione dell'autoveicolo sia sufficiente
ad esonerare il proprietario dalla responsabilità di cui
al 4° comma dell'art. 2054 C.c. (n. 65).
CIRCOLAZIONE STRADALE
CARICHI SPORGENTI.
Se le norme contenute nell'art. 119 e 32 del Codice
della Strada tutelino interessi diversi ed abbiano un
diverso ambito di applicazione (n. 5).
CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO
PROCURA ffiREVOCABILE ALL'INCASSO - pAGAMENTO AL
TITOLARE DEL CREDITO.
Se, in presenza di una procura irrevocabile per incasso,
il pagamento fatto al dominus abbia piena efficacia
liberatoria (n. 190).
COMUNI E PROVINCIE
TASSA PER OCCUPAZIONE DI SUOLO PUBBLICO - SPAZI
DEMANIALI.
Se sia applicabikl la tassa comunale di occupazione di
arae pubbliche alle concessioni di spazi demaniali marittimi
(n, 103).
DANNI DI GUERRA
CITTADINI TEDESCHI.
l) Se l'accordo di reciprocità italo-germanico ratificato
il 26 ottobre 1942 e reso esecutivo con legge 7 dicembre
1942, n. 1855 in virtù del quale i cittadini tedeschi
avevano diritto al risarcimento dei danni di guerra dii{
parte dello Stato Italiano, debba considerarsi estinto alla
data di inizio delle ostilità tra la Germania e il Regnd
d'Italia essendo in conseguenza illegittimi e ripetibili
i pagamenti fatti in virtù di detto trattato dall'Ammini"
strazione delle Finanze nel corso delle ostilità medesime
(n. 112).
2) Se in base alla legge 27 dicembre 1953, n. 968
possa accogliersi la domanda di risarcimento di danni
di guerra presentata da una Società italiana il cui pacchetto
azionario al momento del verificarsi del danno
apparteneva interamente a cittadini tedeschi e che pertanto
ai sensi della precedente legge sui danni di guerra
26 ottobre 1940, n. 1543 doveva" considerarsi" straniera
e quindi esclusa dal risarcimento (n. 112).
DAZI DOGANALI
AziONE DI RIMBORSO - PRESCRIZIONE.
l) Se l'azione di rimborso di diritti doganali indebitamente
pagati fuori dei casi previsti dall'art. 29 legge
25 settembre 1940, n. 1424 sia soggetta a prescrizione
ordinaria (n. 22).
2) Se sia sottoposta a tale prescrizione l'azione di
rimborso dell'imposta di conguaglio, istituitft con l'articolo
l secondo comma legge 31 luglio 1954, n. 570,
pagata in più del dovuto in dipendenza dell'applicazione
di criterio di calcolo del valore diverso da quello
stabilito nell'art. 18 legge 19 giugno 1940, n. 762 (numero
22).
DEMANIO
DEMANIO LACUALE- DISTANZE DELLE COSTRUZIONI.
l) Se il proprietario di un terreno attiguo al demanio
lacuale possa costruire in adiacenza al confine relativo,
oppure se debba tenersi a distanza non inferiore a metri
tre da esso confine (n. 174).
SPAZI DEMANIALI MARITTIMI - TASSA' COMUNALE PER
OCCUPAZIONE DI SUOLO PUBBLICO.
2) Se sia applicabile la tassa comunale di occupazione
di aree pubbliche alle concessioni di spazi demaniali
marittimi (n. 175).
161-
EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE
. ALLOGGI INA-CASA- A11!ENAZIONE ALLOGGI A RISCATTO.
l) Se l'art. 15 della legge 28 febbraio 1948, n. 43
che prevede per gli alloggi a riscatto INA-Casa un
divieto di cessione per un termine di 5 anni sia ancora
applicabile dopo l'entrata in vigore della legge 14 febbraio
1963, n. 60 il cui art. 29 dispone il divieto di alienazione
per un periodo di dieci anni per gli alloggi assegnati
immediatamente in proprietà con pagamento
rateale e garanzie ipotecarie (n. 134).
ALLOGGI POPOLARI - CESSIONE IN PROPRIETÀ.
2) Se all'acquirente con patto di riservato dominio
di un alloggio di tipo popolare ed economico ai sensi
del decreto presidenziale 17 gennaio 1959, n. 2, spetti la
qualifica ed i diritti del condominio anche prima del
pagamento integrale del prezzo (n. 135).
GESTIONE INA-CASA - UTILIZZAZIONI PARTI COMUNI.
3) Se la modificazione o l'utilizzazione particolare delle
parti comuni di un edificio dell'INA-casa sia condizionata
al consenso degli assegnatari (n. 136).
ALLOGGI POPOLARI - ALmNAZIONE.
4) Se per l'apponibilità ai terzi del divieto di alienazione
degli alloggi a tipo popolare, realizzati col contributo
dello Stato, sia indispensabile la trascrizione
(n. 137).
5) In particolare, se - nelle provincie soggette al
regime dei libri fondiari - sia praticamente eludibile il
divieto di alienazione di detti alloggi (n. 137).
CooPERATIVE EDILizm.
6) Quali siano i criteri per giudicare dell'adeguatezza
di un alloggio posseduto da un socio di cooperativa
edilizia ai fini della sua esclusione dalla stessa (n. 138).
ELEZIONI
LISTE ELETTORALI.
Se, a norma dell'art. 53 D.P.R. 16 maggio 1960,
n. 570, debba ritenersi nulla la votazione nell'ipotesi in
cui le liste elettorali siano state sottoscritte solamente
da due scrutatori (n. 5).
ELETTRICITA' ED ELETTRODOTTI
LINEE ELETTRICHE - NORME TECNICHE.
l) Se le Norme Esplicative che sono riportate in
relazione a ciascun articolo del regio-decreto, n. 1969
del 1940, contenente norme per l'esecuzione delle linee
elettriche stesse, abbiano efficacia modificatrice delle
norme dettate dal suddetto regio-decreto (n. 8).
2) Se, nel calcolo dei sostegni delle linee elettriche,
lo sforzo uguale a 1/3 del maggiore dei tiri laterali
esercitati dai conduttori (art. 7, comma 2° e .4° regiodecreto,
n. 1969 del 1940) vada calcolato in corrispondenza
della mensola situata al vertice del palo di sostegno
o di quella situata al centro (n. 8).
3) Se la disposizione contenuta nel quart'ultimo
comma del regio-decreto n. 1969 del 1940, come modificato
dall'art. 5 delle Varianti approvate con D.P.R .
l febbraio 1948, n. 63, sia applicabile, nel caso di conduttori
fissati ai sostegni mediante catene di sospensione,
oltre che al morsetto che collega il conduttore alle
catene, al complesso del dispositivo di isolamento (numero
9).
ESECUZIONE FISCALE
EsECUZIONE PRESSO TERZI.
l) Se, nell'ipotesi di imposte suppletive di successione,
il privilegio reale spettante all'Erario ex articolo
2772 C.c. possa essere esercitato in danno dei terzi
acquirenti gli immobili caduti in successione (n. 63).
2) Quali siano le modalità da osservare nell'esecuzione
fiscale immobiliare a danno del terzo proprietario
del bene gravato da privilegio reale (n. 63).
PIGNORAMENTO - OGGETTI D'ORO.
3) Sull'ambito di applicazione degli artt. 539 C.p.c. e
11 regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 64).
4) In quale ipotesi un oggetto pignorato debba considerarsi
«d'oro" agli effetti di. cui agli artt. 539 C.p.c.
e 11 regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 64).
ESECUZIONE FORZATA
ESECUZIONE PRESSO TERZI.
l) Se il debitore assoggettato a espropriazione forzata
presso terzi possa efficacemente autorizzare il terzo
pignorato a versare le •somme vincolate in favore del
creditore procedente (n. 32).
ESTINZIONE DEL PROCEDIMENTO.
2) Se l'art. 627 (che disciplina la riassunzione del
processo esecutivo dopo la definizione giudiziale del
procedimento di opposizione) sia applicabile anche
quando il procedimento di opposizione si estingua per
inattività delle parti (n. 33).
PIGNORAMENTO - MORTE DEL DEBITORE.
3) Se in caso di morte del debitore dopo il pignoramento
sia necessario riassumere la procedura esecutiva
nei confronti degli eredi (n. 34).
PIGNORAMENTO - REATI DEL CUSTODE.
4) Se il custode di beni pignorati che sia costretto a
seguito di sfratto eseguito con l'assistenza della forza
pubblica ad abbandonare i locali in cui sono depositati
i beni pignorati sia responsabile di omissione di atti di
ufficio per mancata consegna dei beni al momento della
vendita (n. 35).
5) Se la nullità degli atti esecutivi escluda la sussistenza
dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e 335 C.p.
(n. 35).
6) Sugli effetti che la sanatoria delle nullità proces- -suali
dell'esecuzione forzata determ.ina in ordine alla
configurabilità dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e
335 C.p. (n. 35).
-162-
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA'
DECRETI DI ESPROPRIAZIONE - IDENTIFICAZIONE DEI
PROPRIETARI ESPROPRIATI.
l) Se nei provvedimenti di espropriazione e, conseguentemente,
nelle note di trascrizione dei medesimi sia
obbligatorio individuare gli interessati con la sola indicazione
della data e del luogo di nascita, ai sensi della
legge 21 dicembre 1955, n. 1064 (n. 177).
INDENNITÀ - OPPOSIZIONE AL PAGAMENTO.
2) Se sia ammissibile Òpporsi al pagamento della
indennità di espropriazione per ragioni di credito derivanti
da obbligazione estranee al rapporto di espropriazione
(n. 178).
ENFITEUSI.
3) Stùla disciplina dei rapporti tra concedente ed
enfiteuta in ipotesi di espropriazione per pubblica
utilità dell'immobile concesso enfiteusi (n. 178).
FALLIMENTO
APPALTO- PAGAMENTI.
l) Se le ritenute operate dall'Amministrazione appaltante
a garanzia dei versamenti di legge agli istituti
previdenziali e assicurativi debbano, intervenuto il
fallimento dell'appaltatore, essere versate al curatore o
agli istituti stessi (n. 76).
STATO PASSIVO - INSINUAZIONE TARDIVA.
2) Quali siano le modalità richieste per la costituzione
in giudizio del creditore che ha proposto ricorso
per insinuazione ta1'diva nel passivo fallimentare agli
effetti di impedirne la decadenza prevista dall'art. 98
della legge sul fallimento (n. 77).
FERROVIE
PERSONALE FERROVIARIO - ART. 3 LEGGE, N. 304
DEL 1963.
TUTELA DEL LAVORO.
3) Se sia legittimo, nel settore del pubblico impiego,
l'intervento dell'Ispettore del lavoro per la tutela della
legge sul lavoro e sulla previdenza sociale (n. 550).
IMPOSTA DI CONSUMO
MATERIALI DA COSTRUZIONE.
Se la leggè 19 luglio 1961, n. 659 che estende agli
edifici contemplati dall'art. 2 regio-decreto 21 giugno
1938, n. 1094 l'esenzione dall'imposta di consumo per
i materiali da costruzione disposta dall'art. 16 legge 2
luglio 1949, n. 408 faccia riferimento a quest'ultima legge
anche per quanto concerne il limite di tempo entro il
quale deve essere iniziata la costruzione perchè vi sia
titolo all'esenzione (n. 13).
IMPOSTA DI REGI~TRO
TRASFERIMENTO SIMULTANEO DI MOBILI ED IMMOBILI.
Se l'art. 46 della legge di registro (a sensi del quale
al trasferimento simultaneo di mobili ed immobili, ove
sia stato pattuito un prezzo unico complessivo, si applica
l'aliquota per i trasferimenti immobiliari) contenga
una norma di carattere eccezionale che non. consente
estensione a casi diversi da quello dalla stessa legge
espressamente previsto (n.. 193).
I.G.E.
INTERESSI SULL'l.G.E. EVASA.
Se gli interessi da corrispondersi prima dell'entrata
in vigore della legge 26 gennaio 1961, n. 29 sulle somme
dovute per I.G.E. evasa, sopratassa e pena pecuniaria
decorrano dal giorno in cui s'è verificato il presupposto
tributario o piuttosto dalla data dell'ingiunzione di
pagamento del tributo e della sopratassa ovvero dal
decreto che abbia inflitto la pena pecuniaria (n. 102).
Se per la determinazione degli stipendi dovuti dal IMPOSTA DI SUCCESSIONE
1° ottobre 1961, in applicazione dell'art. 3 della legge,
n. 304 del 1963, si debba tener conto, con. la ricostru- PRIVILEGI.
zione economica della carriera dell'interessato, dei
benefici economici già attribuiti in virtù degli artt. 20 e
21 della legge 8 dicembre 1961, n.. 1165 (n. 344).
IMPIEGO PUBBLICO
IMPIEGATI SOGGETTI ALLA LEGGE SULL'IMPIEGO PRIVATO
- LICENZIAMENTO.
l) Se il licenziamento di pubblico impiegato soggetto
alla legge sull'impiego privato possa essere disposto in
relazione a fatti di rilevanza disciplinare senza il rispetto
della garanzia del contraddittorio (n. 548).
PERSONALE FERROVIARIO- ART. 3 LEGGE, 304 DEL 1963.
2) Se per la determinazione degli stipendi dovuti dal
1° ottobre 1961, in applicazione dell'art. 3 della legge
n. 304 dell963, si debba tener conto, con la ricostruzione
economica della carriera dell'interessato, dei benefici
economici già attribuiti in virtù degli artt. 20 e 21 della
legge 8 dicembre 1961, n. 1265 (n. 549).
Se, nell'ipotesi di imposta suppletiva di successione,
il privilegio reale spettante all'Erario ex art. 2772
c:c. possa essere esercitato in danno dei terzi acquirenti
gli immobili caduti in successione (n. 34).
Quali siano le modalità da osservare nell'esecuzione
fiscale immobiliare a danno del terzo proprietario del
bene gravato da privilegio reale (n. 34).
IMPOSTE E TASSE
IMPOSTA CEDOLARE.
l) Se la delibera assembleare di una società per
azioni che approvando il bilancio disponga il passaggio
degli utili a riserve e la distribuzione agli azionisti di
somme prelevate dal fondo sovrapre·zzo azionario dia
luogo agli effetti fiscali, che prescindono dalle divel'sità
di forma e di denominazione, ad una distribuzione di
utili da assoggettarsi all'imposta cedolare di cu:i alla
legge 29 dicembre 1962, n. 1745 (n. 356).
-163
2) Se nei confronti della Società che abbia omesso il
versamento dell'imposta nel termine prescritto l'Ufficio
· Tributario possa procedere all'accertamento d'ufficio
ed irrogare le sanzioni previste dalla citata legge senza
attendere anche la vana decorrenza del termine previsto
per la dichiarazione degli utili conseguiti nell'anno
in corso, quando già da documenti ufficiali risulti la
dichiarazione degli utili stessi e quindi l'avvenuta
violazione della legge (n. 356).
IMPOSTE COMUNALI- RICORSI.
3) Se il termine previsto per la presentazione dei
ricorsi in materia di finanza locale debba essere inteso
con riferimento alla data di spedizione o a quella di
ricezione dei ricorsi stessi (n. 357).
IPOTECHE
CAUSE DI SOSPENSIONE DIPENDENTI DALLO STATO DI
GUERRA.
l) Se il termine di efficacia delle iscrizioni ipotecarie
sia stato sospeso per il periodo previsto nel R.D.L.
3 gennaio 1944, n. l e nel R.L.L. 24 dicembre 1944,
n. 392, contenenti norme per la sospensione del corso
delle prescrizioni dei termini di decadenza e dei termini
processuali in dipendenza dello stato di guerra (n. 16).
2) Se le stesse cause dì sospensione siano applicabili
in tema di usucapione ventennale di diritti immobiliari,
nei confronti del terzo possessore (n. 16).
LOCAZIONI
AUMENTI DI CANONE - DECORRENZA.
l) Quale sia il termine iniziale di decorrenza per gli
aumenti del canone previsti dalla legislazione vincolistica
in tema di locazione (n. 116).
RINNOVO TACITO.
2) Se il contratto di locazione a tempo determinato
debba intendersi tacitamente rinnovato quando il locatario
conservi il godimento della cosa oltre il termine
di scadenza (n. 117).
3) Se sia ipotizzabile la tacita riconduzione nei confronti
della Pubblica Amministrazione (n. 117).
LOTTO E LOTTERIE
CONCORSI A PREMI.
l) Se l'aggiunta di premi, da estrarsi a sorte, alle
obbligazioni emesse dall'I.R.F.I.S. costituisca un concorso
a premi, a sensi dell'art. 43 della legge sul lotto
(n. 18).
2) Se fra i « titoli di prestiti pubblici e privati» -
i quali a norma dell'art. 51 della legge sul lotto non
possono costituire premi di lotterie - debbano ritenersi
compresi anche i libretti di risparmio al portatore
(n. 18).
3) Se l'imposta annua di aboonamento, dovuta,
secondo l'art. l legge 27 luglio 1962, n. 1228, dallo
I.R.F.I.S. e. dagli istituti similari sia sostitutiva anche
della c.d. tassa di lotteria (n. 18).
PENSIONI
PENSIONI DI GUERRA- TRATTENUTE PER DEBITI VERSO
LO STATO.
Se sia possibile recuperare un credito erariale· a ·mezzo
di ritenute sulla pensione di guerra (n. 107).
PIGNORAMENTO
OGGETTI D'ORO.
l) Sull'ambito di applicazione degli artt. 539 C.p.c.
e il regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 5).
2) In quali ipotesi un oggetto pignorato debba considerarsi
«d'oro » agli effetti di cui agli artt. 539 C.p.c. e
11 regio-decreto 14 aprile 1910, n. 639 (n. 5).
MORTE DEL DEBITORE.'
3) Se in caso di morte del debitore dopo il pignoramento
sia necessario riassumere la procedura esecutiva
nei confronti degli eredi (n. 6).
REATI DEL CUSTODE.
4) Se il custode di beni pignorati che sia costretto
a seguito di sfratto eseguito con l'assistenza della forza
pubblica ad abbandonare i locali in cui sono depositati
i beni pignorati sia responsabile di omissione di atti di
ufficio per mancata consegna dei beni al momento della
vendita (n. 7).
5) Se la nullità degli atti esecutivi escluda la sussistenza
dei reati previsti dagli artt. . 328, 334 e 335
C.p. (n. 7).
3) Sugli effetti che la sanatoria delle nullità processuali
dell'esecuzione forzata determina in ordine alla
configurabilità dei reati previsti dagli artt. 328, 334 e
335 C.p. (n. 7).
POSTE E TELECOMUNICAZIONI
INCETTA DI CORRISPONDENZA.
l) Se possa configurarsi il reato di incetta previsto
nell'art. 35 del Codice Postale anche nell'ipotesi prevista
dall'art. 37, lettera b) dello stesso Codice, e cioè nella
ipotesi di trasporto e del recapito di corrispondenze
epistolari per le quali sia stato soddisfatto il diritto
postale, nei modi di cui all'art. 20, n. l del Regolamento
18 aprile 1940, n. 689 (n. 96).
PUBBLICITÀ POSTALE.
2) Se, a seguito dell'emanazione del D.M. 1° dicembre
1961, sia tuttora consentito all'Amministrazione PP.'IT.
svolgere attività pubblicitaria a favore di enti ed Istituti
non aventi fini di lucro e se - ed in quali casi -
sia possibile consentire che gli utenti di macchine affrancatrici
apportino variazioni alle dimensioni ed al contenuto
delle targhette-leggenda (n. 97).
PROCEDIMENTO CIVILE
GIURISDIZIONE VOLONTARIA - PROVVEDIMENTI DI AUTO• •.
RITÀ STRANmRE.
l) Sull'efficacia in Italia dei provvedimenti stranieri
di volontaria giurisdizione (n. 30).
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2) In quali ipotesi l'efficacia in Italia dei provvedimenti
stranieri di volontaria giurisdizione siano condizionati
al procedimento di delibazione previsto dallo
art. 801 del codice di procedura civile (n. 30).
3) In particolare, se sia necessaria la delibazione per
le deliberazioni rese dal Consiglio di famiglia previsto
dagli artt. 405 e seguenti del Codice civile francese (numero
30).
PROPR1ETA'
CONDOMINIO- ASSUNZIONE PERSONALE.
l) Se l'assunzione del personale di custodia da parte
dell'Amministratore del condominio sia condizionata
alla preventiva deliberazione dell'Assemblea dei condomini
(n. 34).
PIANTAGIONI AI BORDI DELLE STRADE PUBBLICHE.
2) Se l'Ente proprietario di una strada pubblica
che intenda piantare alberi ai bordi della strada sia
tenuto al rispetto delle istanze legali dalle proprietà
limitrofe (n. 35).
3) Se possa competere al privato proprietario di
fondo confinante con strada pubblica il diritto della
autotutela di cui all'art. 896 C.c. per la recisione dei
rami protesi e delle radici che si insinuassero nel suo
fondo (n. 35).
PROPRIETÀ CONFINANTI COL DEMANIO LACUALE.
4) Se il proprietario di un terreno attiguo al demanio
lacuale possa costruire in adiacenza al confine relativo,
oppure se debba tenersi a ·distanza non inferiore a metri
tre da detto confine (n. 36).
PROPRIETÀ INTELLETTUALE
BREVETTO - ESPROPRIAZIONE DA PARTE DELLO STATO.
I) Se l'espropriazione di un brevetto da parte dello
Stato, limitato al diritto di uso, lasci al titolare del
brevetto la facoltà di disporre dell'invenzione salvo che
nei confronti dello Stato espropriante (n. 21).
2) Se sia legittimo, nel decreto di espropriazione del
diritto di uso di un brevetto, l'inserimento dell'obbligo
- senza limiti temporali - di mantenere le invenzioni
segrete (n. 21).
REGIONI
REGIONE TRENTINO-ALTO ADIGE - AcQUE PUBBLICHE.
Se in seguito all'entrata in vigore della legge 6 dicembre
1962, n. 1643 istitutiva dell'Ente Nazionale per
l'Energia Elettrica conservi efficacia la norma di cui
all'art. IO dello Statuto della Regione Trentino-Alto
Adige in base alla quale a detta Regione spetta un
diritto di preferenza a parità di condizioni nelle concessioni
di grande derivazione a scopo idroelettrico n. 108).
RESPONSABILITA' CIVILE
AUTOVEICOLI - OMESSA MANUTENZIONE.
Se il periodico controllo degli organi meccamCI e
l'assidua manutenzione dell'autoveicolo sia sufficiente
ad esonerare il proprietario dalla responsabilità di cui
al 40 comma dell'art. 2054 C.c. (n. 202).
RICORSI AMMINISTRATIVI
RICORSO GERARCHICO.
Se il termine previsto per la presentazione dei ricorsi
in materia di finanza locale debba essel'e inteso con
riferimento alla data di spedizione o a quella di ricezione
dei ricorsi stessi (n. 9).
SERVITU'
SERVITÙ « AMOENITATIS CAUSA "·
Se sia ammissibile la costituzione di tma servitù
amoenitatis causa comportante per il proprietario del
fondo servente l'obbligo di conservare le alberature esistenti
e di metterne a dimora nuove (n. 35).
SOCIETA'
IMPOSTA CEDOLARE.
l) Se la delibera assembleare di una società per
azioni che approvando il bilancio disponga il passaggio
degli utili a riserva e la distribuzione agli azionisti di
somme prelevate dal fondo sovraprezzo azionario dia
luogo agli effetti fiscali, che prescindono dalla diversità
di forma e di denominazione, ad una distribuzione di
utili da assoggettarsi all'imposta cedolare di cui alla
legge 29 dicembre 1962, n. 1745 (n. 103).
2) Se nei confronti della Società che abbia omesso il
versamento dell'imposta nel termine prescritto l'Ufficio
Tributario debba procedere all'accertamento d'ufficio
ed irrogare le sanzioni previste dalla citata legge senza
attendere anche la vana decorrenza del termine previsto
per la dichiarazione degli utili conseguiti nell'anno in
corso, quando già da documenti ufficiali risulti la dichiarazione
degli utili stessi e quindi l'avvenuta violazione
della legge (n. 103).
STATO CIVILE
DECRETI DI ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ.
Se nei provvedimenti di espropriazione e, conseguentemente,
nelle note di trascrizione dei medesimi sia
obbligatorio individuare gli interessati con la sola indicazione
della data e del luogo di nascita, ai sensi della
legge 21 ottobre 1955, n. 1064 (n. 6).
STRADE
PIANTAGIONI AI BORDI DELLE STRADE PUBBLICHE.
I) Se l'Ente proprietario di una strada pubblica che
. intenda piantare alberi ai bordi della strada sia tenuto
al rispetto delle distanze legali dalle proprietà limitrofe
(n. 48).
2) Se possa competere al privato proprietario di fondo
confinante con strada pubblica il diritto all'autotutela
di cui all'art. 896 C.c. per la recisione dei rami e delle
radici che si insinuassero nel suo fondo (n. 48).
TELEFONI
CONCESSIONI TELEFONICHE - AUMENTO DEI CANONI.
Quale sia l'interpretazione dell'art. 52 delle convenzioni
riguardanti le concessioni telefoniche alle Soceità
S.T.I.P.E.L. e T.E.T.I. (n. 23).