PUBBLICAZIONE

RASSEGNA 

DI SERVIZIO

DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ANNO XIV -N. 7-9 Luglio-Settembre 1962 

NOMINA DELL'AVV. GIOVANNI ZAPPAL� 
AD AVVOCATO GENERALE DELLO STATO 

Con decreto del Presidente della Repubblica del 9 giugno 1962, su 
proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei 
Ministri, il Vice .Avvocato Generale dello Stato Giovanni Zappal� � stato 
nominato .Avvocato Generale dello Stato. 

L'avv. Giovanni Zappal�, nato il 9 novembre 1906 a Trecastagni 
(Catania), � entrato a far parte dell'Avvocatura dello Stato nel 1930 con la 
nomina di .Aggiunto procuratore. Nel 1934, in seguito a concorso per esami, 
venne nominato sostituto avvocato e nel 1938 sostituto segretario generale. 
Nel 1940 gli furono conferite le funzioni di segretario generale che ha esercitato 
fino al 1955, quando venne promosso vice avvocato generale. Dal 1958 
ha esercitato le funzioni di vice avvocato generale vicario. 

L'avv. Zappal�, chiamato a partecipare alla direzione dell'Istituto 
dall'avvocato generale Scavonetti, � stato da.11940 il pi� immediato e diretto 
collaboratore, prima dell'avvocato generale Giaquinto e poi, durante sedici 
anni, dell'avvocato generale Scoca. Durante la sua. lunga carriera, l'avv. Zappal� 
ha partecipato a numerose commissioni di studio e collegi amministrativi, 
tra cui la commissione per la riforma della Pubblica .Amministrazione 
e della legge sulla contabilit� generale dello Stato ed il Consiglio di amministrazione 
delle Poste e Telecomunicazioni. 

I 

redattori e collaboratori della Rassegna mentre partecipano alla soddisfazione 
comune per la nomina di Giovanni Zappal� ad .Avvocato Generale, 
degno coronamento d'una appassionata attivit� dedicata per oltre trent'anni 
al' nostro Istituto, salutano con particolare gioia colui che della Rassegna � stato 
ed � l'ispiratore e la guida illuminata e inflessibile. 


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I 

IL NUOVO CAPITOLATO GENERALE n~APPALTO ! 

Oon decreto del Presidente della Repubblica 
del 10 luglio 1962, n. 1063 (pubblicato sulla Gazzetta 
Ufficiale n. 198 del 7 agosto 1962) � stato 
approvato il nuovo capitolato generale d'appalto 
per le opere di competenza del Ministero dei Lavori 
Pubblici, di cui appresso pubblichiamo il testo. 

Si conclude, cos�, una lunga vicenda, che ha 
avuto momenti di particolare intensit� le cui fasi 
sono ben note ai lettori di questa Rassegna (v. 1955, 

p. 177 e segg.; 1958, p. 4, 46, 73 e 116). 
Sembra utile richiamare ora gli aspetti pi� salienti 
per chiarire le ragioni e la portata delle principali 
innovazioni di particolare interesse, attinenti 
alla materia della risoluzione delle controversie. 


Oom'� noto i principi fondamentali in materia 
nel vecchio capitolato generale erano: 1) l'obbligatoriet� 
dell'arbitrato; 2) la non impugnabilit� del 
lodo per violazione delle regole di diritto; 3) la composizione 
del collegio esclusivamente con arbitri di 
nomina eteronoma; 4) l'obbligo del deposito anticipato 
di una somma a garanzia delle spese ed onorari 
degli arbitri. 

Nel nuovo capitolato generale questi principi 
sono stati decisamente abbandonati. 

Infatti: 1) l'llirbitrato non � pi� obbligatorio, 
essendo consentito alla parte attrice di adire, invece 
degli arbitri, il giudice ordinario ed alla parte 
convenuta in sede arbitrale di declinare la competenza 
degli arbitri obbligando l'attore ad adire il 
giudice ordinar!o; 2) il lodo � impugnabile con tutti 
i mezzi consentiti dal Oodice di procedura civile, 
compresa, quindi, l'azione di nullit� per violazione 
delle regole di diritto alla cui osservanza gli arbitri 
sono vincolati; 3) dei cinque arbitri che compongono 
il collegio, tre sono di nomina eteronoma, 
due, invece, sono nominati dalle parti; 4) � soppresso 
l'obbligo del deposito anticipato delle spese 
arbitrali. 

Per rendersi conto della portata di questa radi


cale trasformazione dell'istituto � necessario ricor


dare le ragioni che sono state addotte in passato 

a sostegno degli opposti principi gli uni accolti 

dal vecchio capitolato, gli altri dal nuovo. 

Era dato cogliere in passato il punto di contrasto 

fondamentale sopratutto nella diversa soluzione 

data dai sostenitori delle opposte tesi al quesito 

che costituisce la premessa logica e giuridica di 

tutto il problema della sistemazione normativa 

dell'istituto della definizione delle controversie atti


nenti al contratto di appalto di opere pubbliche 

reputando gli uni che le norme del capitolato 

avessero natura di clausole contrattuali, ritenendo 

gli altri all'opposto che si trattasse d'un atto che 

pone norme di diritto oggettivo. 

I sostenitori della tesi secondo la quale il capitolato 
avrebbe avuta natura contrattuale ne facevano 
derivare la conseguenza che le sue clausole 
in quanto traenti la loro forza obbligatoria dalla 
volont� comune delle parti, potrebbero derogare a 

norme di legge di carattere dispositivo, come quella 
dell'art. 829 O. p. c. che stabilisce l'impugnabilit� 
del lodo arbitrale per violazione delle regole di 
diritto (la facolt� di deroga � ammessa nello stesso 
articolo); inoltre poich�, secondo la tesi contrattualistica, 
le clausole del capitolato dovrebbero considerarsi 
inserite nei singoli contratti d'appalto come 
clausole di questi, � chiaro che tutti gli articoli 
relativi alla risoluzione delle controversie si dovrebbero 
considerare alla stregua d'una clausola 
compromissoria che, concernendo materia com promettibile, 
vincolerebbe le parti anche per quanto 
riguarda l'obbligatoriet� dell'arbitrato, il modo di 
nomina degli arbitri, il loro numero, i loro poteri, 
l'obbligo del deposito anticipato delle spese e, 
come s'� detto, la non impugnabilit� del lodo per 

violazione di legge. 

Gli argomenti che sono stati in passato avanzati 
a sostegno della tesi contrattualistica possono 
cos� riassumersi: 

1) la legge sui lavori pubblici del 1865 (n. 2248 
allegato F del 20 marzo) mentre agli artt. 346 
e 364 prevede l'emanazione di un regolamento 
per determinare la disciplina da osservarsi in ordine 
alla esecuzione dei lavori ed al modo di regolarne 
la contabilit� e la liquidazione, nonch� in ordine 
alla procedura di collaudazione e alla verifica dell'esatto 
adempimento degli obblighi assunti (regolamento 
poi approvato con regio de�reto 25 maggio 
1895, n. 350), stabilisce all'art. 323 che ogni 
progetto dev'essere corredato di un capitolato di 
appalto che descriva esattamente il lavoro da eseguirsi 
e determini gli obblighi speciali che si impongono 
all'imprenditore. Nessuna menzione, �, 
invece, contenuta nella citata legge fondamentale 
della emanazione di capitolati generali. Di questi 
si parla solo nell'art. 50 del regolamento contabilit� 
generale 4 maggio 1885, n. 3074 (sostituito negli 
stessi termini dall'art. 45 del regolamento vigente 
approvato con regio decreto 23 maggio 1924, 

n. 827) il quale stabilisce che �i capitolati d'oneri 
per ogni genere di contratto possono dividersi 
ove sia necessario in generali e speciali e sono approvati 
da ciascun ministero�. 
Da ci� si vorrebbe desumere che il legislatore 
ha posto sullo stesso piano capitolati generali e 
speciali e come questi ultimi non contengono 
certo norme di diritto obiettivo cos� non ne possono 
contenere quelli, tanto pi� che per la emanazione 
di capitolati generali mancherebbe una delega 
legislativa analoga a quella sulla cui base � 
stato emanato il citato regolamento del 1895 
sulla contabilit�, direzione e collaudazione dei 
lavori; 

2) le norme del capitolato generale possono 
essere, sia pure eccezionalmente, derogate:-qu-esta 
possibilit� � riconosciuta implicitamente dall'art. 7 
della legge di contabilit� ed esplicitamente dagli 
artt. 107, �108 e 1-09 del relativo regolamento; i 
quali, peraltro, prescrivono che sia sentito il parere 


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del Oonsiglio di Stato sulla convenienza delle modifiche 
e che, comunque, il decreto di approvazione 
del contratto emani sempre dal Ministero (e non 
dall'autorit� delegata) e sia motivato. 

Ora, la deroga alle norme del capitolato non 
sarebbe ammissibile se esso avesse na;tura regolamentare; 


3) l'art. 99 del regolamento per la contabilit� 
generale dello Stato prescrive che nei contratti 
dell'Amministrazione dev'essere fatta menzione 
dei capitolati generali d'oneri, il che rende palese 
che questi non sono da considerarsi norme giuridiche 
giacch� -se cos� fosse -dovrebbe prescindersi 
da ogni richiamo delle parti contraenti. 

A sostegno della tesi suesposta � stata richiamata 
una isolata sentenza della Oorte Suprema, 

n. 448 del 1945, nella quale, si legge testualmente 
che: �Il regolamento contrattuale preparato ed 
imposto all'Amministrazione viene ad avere applicazione 
nel caso concreto in virt� della conclusione 
del contratto, che ha luogo sulla accettazione 
dei patti prestabiliti dall'Amministrazione stessa, i 
quali -per l'interesse pubblico che prevale -segnano 
i limiti della autonomia della volont� dei 
contraenti �. 
Agli argomenti sopra enumerati, sono state 
contrapposte le seguenti osservazioni: 

1) Appare anzitutto irrilevante l'argomento 
fondato sulla derogabilit� delle norme del capitolato 
generale, dal quale si vorrebbe inferire la loro natura 
contrattuale. Invero la inderogabilit� non costituisce 
una caratteristica essenziale delle norme di 
diritto obiettivo e, in materia contrattuale la 
derogabilit� pu� dirsi che costituisca la regola. 
D'altronde, se si tien conto di quali cautele la 
legge circondi la possibilit� di deroga apparir� 
subito chiaro come questo argomento, non che 
appoggiare la tesi contrattualista ne costituisce 
ulteriore smentita. 

2) L'argomento secondo il quale sarebbe incompatibile 
con la natura normativa del capitolato la 
disposizione dell'art. 99 del regolamento della 
contabilit� generale il quale stabilisce che di tali 
capitolati debba essere fatta menzione nei contratti, 
prova troppo, in quanto nello stesso articolo 
� detto che basta far menzione �degli atti amministrativi 
approvati con decreti reali o ministeriali 
e contenenti norme di carattere regolamentare o 
capitolati generali di oneri�. Non si comprende, 
invero, come potrebbe farsi alle norme di capitolato 
generale, in base al citato articolo, un trattamento 
diverso da quello delle norme regolamentari che 
proprio da tale norma sono considerate sullo stesso 
1Jiano. E poich� non vi � dubbio che la obbligatoriet� 
delle norme regolamentari non riposa, di 
certo, sulla volont� dei contraenti, altrettanto 
deve dirsi delle norme del Capitolato generale che 
l'art. 99 accomuna a quelle. 

3) L'argomento che si pretende di trarre dalla 
sentenza n. 448 del 1945 della Oorte di Oassazione, 
a prescindere dalla considerazione che, come si 
� detto, si � trattato di una isolata manifestazione 
giurisprudenziale, nemmeno appare del tutto idoneo 
a puntellare la tesi contrattualista, in quanto, 
come risulta dal brano che abbiamo sopra riportato, 

la Oorte Suprema riconosce espressamente che i 
patti prestabiliti dall'Amministrazione -per l'interesse 
pubblico che prevale -segnano i limiti dell'autonomia 
della volont� dei contraenti, sono, 
cio�, norme che trovano il loro fondame'flto in un 
principio -l'interesse pubblico -che non pu� 
fondarsi sulla autonomia contrattuale. 

I sostenitori della testi normativistica deducono 
dalla natura regolamentare delle norme del capitolato 
generale la conseguenza che queste da un 
lato non possono derogare alle leggi, e dall'altro 
vincolano l'Amministrazione alla loro osservanza 
nei singoli contratti i quali non possono derogarsi, 
come abbiamo visto, se non in via eccezionale. 

Gli argomenti a favore della tesi normativistica 
possono cos� riassumersi: 

1) sia il capitolato generale del 1895 sia il 
nuovo contengono disposizioni che non possono in 
alcun modo aver carattere contrattuale perch� 
regolano fasi e procedimenti anteriori alla stipulazione 
del contratto (ad esempio: condizioni di 
ammissibilit� alla gara, cauzione provvisoria, modalit� 
e termini per la stipulazione ed approvazione 
del contratto, ritiro dell'offerta nel caso di cottimo 
fiduciario ecc.); 

2) nel capitolato sono contenute disposizioni 
che possono avere solo carattere di norme obiettive 
in quanto hanno per destinatari soggetti che, sicuramente, 
non sono parti nel contratto di appalto: 
si tratta delle norme dettate per la costituzione 
ed il funzionamento del collegio arbitrale, ehe stabiliscono 
poteri ed obblighi per i magistrati e i 
funzionari che debbono rispettivamente nominare 
ed essere nominati arbitri; 

3) una volta stabilito che nel capitolato generale 
sono contenute disposizioni la cui forza vincolante 
non pu� basarsi sul consenso delle parti, � 
evidente che esse debbono trarre tale forza dal 
potere normativo spettante alla Pubblica .Amministrazione 
in virt� o d'una specifica norma di 
legge che glielo attribuisca o dal principio generale 
secondo il quale spetta al potere esecutivo emanare 
norme giuridiche nell'ambito dei poteri attribuitigli 
dalla Oostituzione e dalle altre leggi fondamentali 
dello Stato. 

Escluso che una specifica delega legislativa possa 
riscontrarsi nell'art. 323 della legge sui lavori 
pubblici, il quale si riferisce chiaramente ai capitolati 
speciali, pu� ben ritenersi che gli art. 346 
e 364 della stessa legge possono essere interpretati 
nel senso che costituiscono delega specifica non solo 
alla emanazione del regolamento approvato con 
regio decreto n. 350 del 25 maggio 1895 sulla direzione, 
contabilit� e c~llaudazione dei lavori dello 
Stato, ma anche all'emanazione delle norme contenute 
nel capitolato generale: sta di fatto, invero, 
che l'art. 346 parla di disciplina da osservarsi 
in ordine alla esecuzione dei lavori e al modo di 
regolarne la contabilit� e la liquidazione, mentre 
l'art. 364 si riferisce oltre che alla procedura di 
collaudo anche alle norme per la risoluzione delle contestazioni 
tra Amministrazione _ appaltante e 
impresa. 

Si tratta, cio�, proprio di quelle norme che sono 
contenute nel capitolato generale; del che � riprova 


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la constatazione che talune disposizioni del capitolato 
riproducono norme del citato regolamento n. 350 
del 1895 o a questo espressamente si riferiscono. 

D'altronde anche se non ci fosse una specifica 
attribuzione legislativa di competenza non per 
questo farebbe difetto il potere dell'Amministrazione 
ad emanare norme regolamentari quali 
quelle contenute nel capitolato generale. 

Oom'� noto, infatti, in forza di un principio 
generale codificato nella legge 31 gennaio 1926, 

n. 100, che, per questa parte, non pu� certo dirsi 
in contrasto con la Costituzione, il potere esecutivo 
ha la facolt� di emanare norme giuridiche di grado 
inferiore alla legge per regolare l'uso delle facolt� 
ad esso spettanti; ed ha, altres�, il potere di emanare 
norme giuridiche la cui obbligatoriet� riposa, 
non tanto sul principio di supremazia generale dello 
Stato nei confronti di tutti i cittadini, quanto sul 
principio di supremazia speciale nei confronti di 
coloro che entrano con l'Amministrazione in rapporti 
particolari. 
Al lume di tali principi deve riconoscersi che le 
norme del Capitolato gener~le partecipano della 
natura sia dell'una che dell'altra categoria sopra 
indicate; e deve, del pari, riconoscersi che per 
quanto concerne le norme del Capitolato la cui 
obbligatoriet� presuppone la stipulazione del contratto 
di appalto, questo non ne costituisce il fondamento, 
ma solo la premessa storico-giuridica. 

La tesi normativistica di cui si sono delineati 
i tratti salienti, � accolta dalla giurisprudenza 
costante della Corte Suprema di Cassazione, della 
quale citiamo le sentenze pi� importanti: Cassazione 
di Roma, 23 febbraio 1918, in Giur. It., 
1918, I, 1, 426; Cassazione, 5 aprile 1933, n. 1163, 
9 marzo 1936, n. 809, 27 aprile 1936, n. 1407, 
29 luglio 1941, n. 2402, 19 febbraio 1946, n: 171, 5 
luglio 1951, n. 1761, 19 giugno 1952, n. 1808, 31 
gennaio 1954, n. 260, 16 ottobre 1954, n. 3759, 9 
marzo 1955, n. 715, 14 giugno 1955, n. 1806, 23 
giugno 1958, n. 2219, 27 gennaio 1961, n. 143, 23 
marzo 1961, n. 659, e, da ultimo la sentenza, 

n. 1478 del 14 giugno 1962. 
Merita di essere qui ricordata la parte centrale 
della motivazione della sentenza n. 2219 del 1958, 
sia per la sua chiarezza, sia perch� � stata resa in 
un momento in cui si erano sollevati da parte di 
alcuni scrittori dubbi sulla saldezza giuridica della 
tesi normativistica. 

Dice la Corte: � Come � noto, la giurisprudenza 
di questo Supremo Collegio ha abbandonato la 
tesi secondo la quale le disposizioni del detto capitolato 
avrebbero natura legislativa, in quanto ha 
escluso l'esistenza di una delegazione legislativa 
nella legge del 1895 sui lavori pubblici, ma ha attribuito 
alle medesime disposizioni carattere regolamentare, 
e pi� precisamente di regolamento di 
organizzazione, sempre che si tratti di contratti 
interessanti lo Stato, mentre per i contratti posti 
in essere da privati o da enti pubblici diversi dallo 
Stato ha riconosciuto che quelle disposizioni hanno 
invece valore contrattuale, in quanto solo di fronte 
allo Stato il contraente � in rapporto di subordinazione, 
che giustifica la sua sottoposizione a norme 
regolamentari obbligatorie. 

�Di conseguenza nei contratti con lo Stato le 
norme del capitolato generale sono senz'altro vincolanti, 
mentre nei contratti con altri possono 
esserlo solo se sono richiamate nel contratto, e, 
qualora si tratti delle clausole previste dall'art. 1342 
cpv. O.e. in quanto queste siano specificamente 
approvate per iscritto, ai sensi del medesimo 
articolo (sentenze 20 marzo 1958, n. 923; 4 febbraio 
1957, n. 413; 24 marzo 1955, n. 870; 2 marzo 1955, 

n. 715; 30 settembre 1954, n. 3174). 
� Riconosciuto nei limiti anzidetti, il carattere 
regolamentare delle norme in oggetto, si giustifica 
la deroga alla competenza del giudice ordinario, 
ancorch� non sia attuata in virt� di legge o di atto 
avente forza di legge. . 

<< Poich� lo Stato non pu� concludere contratti 
se non osservando certe determinate norme e, 
d'altro canto, i privati che entrino in rapporti con 
lo Stato sono soggetti alle norme regolamentari 
da questo emanate, essi devono sottostare alla 
deroga della competenza stabilita con le norme 
medesime, a prescindere da un'apposita manifestazione 
di volont� contrattuale �. 

A favore della tesi normativistica si � espressamente 
e con ampia motivazione pronunziata anche 
la Corte dei Conti che nella risoluzione del 25 
ottobre 1956 resa dalla Sezione di Controllo che 
negando la registrazione del decreto ministeriale 
col quale si intendeva approvare il testo del nuovo 
capitolato, ha esplicitamente affermato che essa 
�non esita a pronunziarsi per il carattere normativo
�, deducendone l'obbligo di provvedere alla 
sua emanazione per mezzo di un decreto del Presidente 
della Repubblica, ai sensi dell'art. 87 della 
Costituzione. 

A favore di tale tesi si � pronunziato, infine, lo 
stesso Consiglio di Stato che nel parere reso nell'Adunanza 
generale il 27 dicembre 1951, n. 600, 
ha esplicitamente affermato che �tali capitolati 
hanno valore di norme obiettive di carattere dispositivo
�. 

La tesi normativistica � prevalsa presso le autorit� 
governative competenti e il nuovo capitolato 
� stato approvato con decreto del Presidente della 
Repubblica in applicazione dell'art. 87 della Costituzione 
che riserva (sia pure non in via esclusiva) 
al Capo dello Stato il potere di emanare i regolamenti. 


Risolto in tal senso il problema -presupposto 
della natura giuridica del capitolato, le innovazioni 
introdotte in materia di definizione delle controversie 
ne sono la rigorosa conseguenza. 

Ed infatti:. 

1) Non appare legittimo statuire con norma 
regolamentare l'obbligo per l'Amministrazione 
di affidare al giudizio degli arbitri le controversie 
attinenti alla interpretazione ed esecuzione di 
tutti i contratti di appalto di opere pubbliche. 
Una tale norma, infatti, che � in contrasto con 
la norma generale secondo la qu..ale spetta al 
giudice ordinario giudicare sulle liti aventi pel'-oggetto 
diritti soggettivi, non pu� fondarsi sull'art. 
806 del C.p.c. la quale prevede la possibilit� 
di compromettere in arbitri solo liti specifiche 
gi� sorte, n� sull'art. 808 che prevede la possibilit� 


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di far decidere da arbitri solo le liti che nascano 
da un determinato contratto (e ci� a prescindere 
�dalla considerazione che � molto dubbio se i due 
citati articoli, applicabili alle liti tra privati, possano 
applicarsi anche all'amministrazione dello 

Stato). 

S'� voluto vedere il fondamento della legittimit� 

della clausola che sancisce l'obbligatoriet� dell'ar


bitrato in materia di appalti di opere pubbliche 

nell'art. 349 della legge sui lavori pubblici (20 

marzo 1865, n. 2248 allegat9 F) il quale dispone: 

�Nei capitoli di appalto potr� prestabilirsi che 

le questioni tra l'Amministrazione e gli appalta


tori siano decise da arbitri�. Basta la semplice 

lettura di questa norma, messa in relazione coi 

precedenti artt. 323 e 324 per convincersi che i 

�capitoli di appalto� sono i capitolati speciali, si 

che l'art. 349 finisce proprio col confermare l'opi


nione che l'affidamento agli arbitri della decisione 

delle controversie � rimesso alla volont� di entrambe 

le parti da manifestarsi caso per caso. 

Il sistema adottato dal nuovo capitolato per 

attuare, nei sensi sopra precisati, il disposto del


l'art. 349 ci sembra ineccepibile. 

Entrambe le parti contraenti, infatti, hanno 

facolt'� di adire il giudice ordinario invece degli 

arbitri:'Se la parte attrice intende affidare la lite 

agli arbitri, la parte convenuta pu� declinare la 

competenza arbitrale, obbligando cos� l'altra parte, 

se intenda proseguire il giudizio, a rivolgersi al 

giudice ordinario. 

Questo sistema �, sostanzialmente, analogo a 

quello gi� in vigore da tempo per gli appalti del


1'Amministrazione ferroviaria e per quelli della 

Cassa del Mezzogiorno ed � collaudato da lunga 

e favorevole esperienza. 

2) Ugualmente illegittima sarebbe una nor


ma regolamentare che stabilisce la non impu


gnabilit� del lodo per violazione delle regole di 

diritto. 

Invero, con una tale disposizione, si ammette


rebbe la possibilit� che possa esistere nel nostro 

ordinamento una pronuncia giurisdizionale (tale 

diventa la pronuncia arbitrale con il visto di ese


cutivit� del Pretore) contro la quale non sia dato 

mai ricorrere alla Corte Suprema di Cassazione 

per violazione di legge. In altri termini, si creerebbe, 

con una norma regolamentare una eccezione al 

primo capo-verso dell'art. 111 della Costituzione, 

pretendendo di vietare alla Suprema Corte di eser


citare i suoi poteri istituzionali in conformit� delle 

norme costituzionali (v. in proposito in questa 

Rassegna 1962, pag. 47). 

3) Per quanto riguarda la comp�sizione del Col


legio, una volta ricondotto l'arbitrato in esame nel 

quadro generale dell'istituto arbitrale, quale � rego


lato dal codice di procedura civile, non si vede la 

ragione per la quale non si sarebbe dovuto accet


tare il principio di attribuire, almeno parzialmente, 

la nomina degli arbitri alle parti in causa, acco


gliendo anche le ripetute istanze degli imprenditori 

di opere pubbliche. 

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4) Infine non sarebbe stato pi� possibile mantenere 
la norma secondo la quale la parte che richiede 
ilgiudizio arbitrale doveva depositare anticipatamente 
una somma (spesso notevole) a garanzia 
delle spese ed onorari degli arbitri. 

Questa norma �, infatti, in evidente contrasto 
con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, secondo l'interpretazione 
che di tali articoli � stata data dalla 
Corte Costituzionale con la sentenza n. 67 del 
1960 che ha dichiarato la illegittimit� costituzionale 
dell'art. 98 del C.p.c. che stabiliva l'obbligo 
per la parte di prestare, su ordine del giudice, cauzione 
per le spese, come condizione di proseguibilit� 
del giudizio. 

Tale indirizzo giurisprudenziale che la Corte Costituzionale 
ha confermato, com'� noto, con la 
sentenza n. 21 del 1961 (che ha dichiarato l'illegittimit� 
costituzionale dell'art. 6 legge 20 marzo 
1865, n. 2248 allegato E, istitutivo della c.d. regola 
del solve et repete), porta a ritenere l'incostituzionalit� 
di tutte le norme che violino il principio 
dell'uguaglianza fra tutti i cittadini, abbienti o 
non abbienti, per quanto concerne la possibilit� 
di chiedere ed ottenere la tutela giurisdizionale. 

Il citato D.P.R.. 10 luglio 1962, n. 1063 ha fissato 
al 1� settembre 1962 la data di entrata in 
vigore del testo del nuovo capitolato (1). 

Non sembra che possano sorgere questioni di 
difficile soluzione in ordine alla applicabilit� delle 
norme del nuovo capitolato ai contratti di appalto 
di opere pubbliche in corso alla predetta data del 
1 o settembre. 

Pare, infatti, evidente che per quanto riguarda 
le norme di carattere sostanziale (quelle cio� che 
stabiliscono i reciproci obblighi e diritti delle parti) 
debba applicarsi nei riguardi dei contratti stipulati 
prima del 1� settembre 1962, il vecchio capitolato, 
mentre per quanto riguarda le situazioni 
giuridiche di carattere processuale o, comunque, 
di ordine pubblico, le norme del nuovo capitolato 
debbano trovare immediatamente applicazione anche 
ai contratti precedenti. 

Pertanto, il sistema di definizione delle controversie 
tra impresa e Amministrazione appaltante 
deve ritenersi regolato a decorrere dal 1� settembre 
1962 dalle nuove disposizioni. 

N� �sembra possibile fare eccezione a questo 
principio per quanto riguarda gli arbitrati in corso. 
Assumendo, infatti, com'� noto, il lodo arbitrale 
caratte_re di pronuncia giurisdizionale solo con il 
visto del pretore, � alla data di questo visto che 
deve farsi riferimento per stabilire se il collegio 
arbitrale sia validamente composto. 

In altri termini, non pu� vigere a nostro avviso, 
per i collegi arbitrali il principio della perpetuatio 
jurisditionis, in quanto eesi non sono organi giurisdizionali. 


(1) � praticamente irrilevante la questione se si possa 
con una norma regolamentare stabilire una vacatio legis 
diversa da quella generale di 15 giorni disposta.. iri via 
generale dall'art. 73 della Costituzione. 

CORTE DEI CONTI E QUESTIONE DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONAlE 


L'art. 134 Cost. dispone che la Corte Costituzionale 
giudica, fra l'altro, sulle controversie relative 
alla legittimit� costituzionale delle leggi e degli 
atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni. 
La legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 in 
attuazione della riserva, di cui al primo comma 
dell'art. 137 Cost., prevede due forme di proponibilit� 
del giudizio di legittimit� costituzionale: . 
una, in via principale, mediante ricorso del Presidente 
del Consiglio o della Giunta regionale 
(art. 2); altra, in via incidentale, per effetto di rimessione 
da parte di un giudice nel corso di un 
giudizio (art. 1). 

L'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87 dispone, a 

proposito di quest'ultima, che l'autorit� giurisdi


zionale, davanti alla quale verte il giudizio, la 

definizione del quale dipenda dalla risoluzione della 

questione di legittimit� costituzionale, pu�, su 

istanza di una delle parti o del P.M. ovvero d'uf


ficio, sollevarla, promuovendo il giudizio di costi


tuzionalit� innanzi alla Corte Costituzionale. 

.Alla stregua di quest'ultima disposizione, in 

modo particolare, � stato ritenuto che il presuppo


sto per l'esercizio del potere-dovere di promuovere, 

da parte dell'autorit� giurisdizionale, la questione 

di legittimit� costituzionale sia la pendenza di un 

procedimento 'di natura giurisdizionale, conten


ziosa. 

Con sentenza n. 4 del 1956, n. 5, 40 e 129 del 

1957, n. 24 del 1958 la Corte Costituzionale ha, 

viceversa, affermato che anche un procedimento 

di giurisdizione volontaria � sede idonea per pro


porre ed elevare una questione di legittimit� costi


tuzionale. 

Gli argomenti, su cui la Corte ha fondato il proprio 
convincimento, sono essenzialmente tre: che 
anche in questo caso si tratta di attivit� giurisdizionale; 
che l'art. 1 legge costituzionale 9 febbraio 
1948, n. 1 e l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87 
usano la formula �nel corso di un giudizio �in senso 
generico ed ampio; che un giudice, quale che sia 
la funzione attribuitagli dalla legge, non pu� 
essere costretto ad applicare una legge, della 
cui legittimit� costituzionale abbia motivo di 
dubitare. 

L'Esposito, in nota alla sentenza n. 129 (in Giur. 
Oost. 1957, 1230) ha prospettato seri dubbi sulla 
esattezza della soluzione adottata, tanto pi� se 
si esclude, come ritiene di dover escludere, la natura 
giurisdizionale dell'attivit� esplicata dal giudice 
in sede di volontaria giurisdizione. 

L'.Andrioli (in Giur. Oost. 1958, p. 398), pur ritenendo 
che la legge si riferisca, nella forma e nella 
intenzione dei conditores, ai soli procedimenti contenziosi, 
aderisce alla soluzione adottata dalla 
Corte, sopratutto in considerazione del fatto che 
il giudice, ai sensi dell'art. 101 Cost. � soggetto 
solo alla legge e che, ai sensi dell'art. 1 legge costituzionale 
9 febbraio 1948, n. 1 deve rilevare d'ufficio 
la questione di legittimit� costituzionale e 

rimetterla alla Corte Oostituzfonale, onde, unifi


cando le due proposizioni, pu� affermarsi che il 

giudice � soggetto solo alla legge conforme alla 

Costituzione. 

.Anzi, dalla considerazione che il giudice, in 

definitiva, � soggetto solo alla legge conforme alla 

Costituzione e che, appunto in relazione a questa 

premeEsa, gli � attribuito il potere-dovere di ri


mettere alla Corte Costituzionale la questione di 

costituzionalit� insorta in procedimenti conten


ziosi e non, l'Autore trae ulteriore argomento a 

favore della tesi della giurisdizionalit� di tutte le 

funzioni attribuite ai giudici. 

La soluzione accolta dalla Corte Costituzionale, 

la quale, nella sentenza, n. 52 del 1962, ha espressa


mente dato atto di avere interpretato 'largamente 

le suaccennate disposizioni di legge, ci induce ad 

esaminare la questione, che ci siamo proposti, 

se, cio�, possa la Corte dei conti sollevare la que


stione di legittimit� costituzionale di una legge o 

di un atto avente forza di legge, dello Stato o delle 

Regioni, in sede di controllo, ovvio essendo che 

possa farlo nella esplicazione dell'attivit� giuri


sdizionale ad essa attribuita. 

La risoluzione della prospettata questione impone, 
a nostro avviso, un'indagine sulla natura 
della Corte dei conti e sulla sua origine storica, 
al fine di accertare se essa sia un organo giurisdizionale, 
cui siano state attribuite, appunto in relazione 
alla sua natura, le funzioni di controllo o se, 
invece, non debba ritenersi un organo di diversa 
natura, amministrativo-costituzionale, cui sianc~ 
state occasionalmente attribuite alcune funzioni 
giurisdizionali. In questa ultima ipotesi, infatti, 
secondo l'insegnamento della Corte (vedasi in particolare 
la gi� citata sentenza n. 52 del 1962), � 
indispensabile l'accertamento sulla effettiva natura 
giurisdizionale delle funzioni esercitate e sulla. 
regolare instaurazione del processo. 

La Corte dei conti, com'� noto, � stata istituita. 
con legge 14 agosto 1862, n. 800. Essa fu solennemente 
insediata il 1� ottobre 1862 da Quintino. 
Sella, Commissario del re, il quale pose in evidenza. 
la circostanza che la Corte era il primo 1nagistrato. 
civile, che estendesse la sua giurisdizione su tutta 
l'Italia. 

L'ordinamento del 1862 ricalca in gran parte 
quello della Corte dei conti del regno di Sardegna~ 
istituita nel 1859, a seguito della soppressione del 
magistrato della Camera dei conti, dell'Ufficio 
del procuratore generale del re e del Controllore. 
generale. 

Fin dalla sua costituzione la Corte dei conti fu 
considerata una magistratura speciale, cui era attribuita 
la potest� di giudicare o dar giudizio sui 
conti pubblici. Si ritenne, cio�, c-he-offrisse maggiori 
guarantigie di pi� giusto sindacato-questo. 
giudizio affidato ad un magistrato. Ci� anche in 
vista dell'inscindibile connessione fra controllo dei 
conti e accertamento della� responsabilit� indivi



-69


duale (Tango, in Digesto it., 1889; Ugo, La Corte 
dei conti, 1882). 

D'altra parte la Camera dei conti piemontese, 
da cui in certo qual modo la Corte prendeva vita, 
decideva tutte le liti, in cui era interessato il regio 
patrimonio, giudicava le cause civili e criminali 
delle regie gabelle, i delitti di peculato e le contravvenzioni 
commesse da ufficiali e delegati in 
ragione delle loro funzioni. 

N� diverse funzioni avevano le Corti dei conti 

di Napoli e di Sicilia,istituite nel 1807 dai francesi 

e riordinate nel 1817-18 dai Borboni. Esse si occu


pavano della revisione dei conti, del contenzioso 

amministrativo e delle pensioni. 

Le attribuzioni della Oorte dei conti furono, 

quindi, fin dalla sua costituzione, di controllo e 

tutela giuridica e giurisdizionale. La Oorte attua, 

mediante la registrazioner il controllo continuo 

sugli atti di Governo nonch� su tutte le entrate e 

le spese pubbliche e giudica, con giurisdizione con


tenziosa, i conti dei contabili dello Stato, sia in 

denaro, sia in materia nonch� della responsabilit� 

degli agenti dello Stato. Il giudizio sui conti e quelli 

di responsabilit� sono l'obietto principale e la 

base delle attribuzioni della Corte; ma essi sono 

inscindibilmente connessi con il riscontro :finanziario 

preventivo. Pu�, anzi, dirsi che questo abbia una 

duplice natura, assolva, cio�, contemporaneamente 

a due funzioni: una, politico-costituzionale, che 

consente al Parlamento il sindacato sull'attivit� 

del Governo; l'altra, pre-giurisdizionale, istruttoria, 

che pone in grado la Oorte stessa di esercitare la 

giurisdizione contabile e amministrativa. 

Questa duplicit� di funzioni, intimamente con


nesse, si evince chiaramente dalla Oostituzione, 

la quale, dopo aver posto la Oorte dei conti fra gli 

organi ausiliari del Governo (art. 100) nell'esercizio 

del controllo preventivo di legittimit� sugli atti 

e successivo sulla gestione del bilancio dello Stato, 

la considera espressamente fra gli organi giurisdi


zionali (artt. 103 e 111) e la inquadra, quale giu


dice in materia di contabilit� pubblica, nel Potere 

giudiziario. 

Se si pon mente a questa circostanza ed al fatto 
che alla Oorte � attribuita, altres�, la giurisdizione 
sulle pensioni e sul rapporto d'impiego dei suoi 
dipendenti, non pu� negarsi che essa sia e debba 
essere considerato organo sostanzialmentff e principalmente 
di giurisdizione, cui � stato attribuito 
il controllo sugli atti di Governo e sulla contabilit� 
dello Stato proprio in vista ed in funzione della 
sua natura giurisdizionale. 

Questo controllo, che si esplica con un giudizio 
sulla legittimit� dell'atto e della spesa, � stato 
affidato alla Oorte proprio perch�, quale magistrato, 
organo di giurisdizione, dava maggiori garanzie 
di obiettivit� e di indipendente autorevolezza 
(1). 

Riteniamo, perci�, senza volere affrontare la 
questione se anche la funzione di controllo, specialmente 
quella esercitata, in caso di controversia, 
dalla Sezione di Oontrollo (2), sia in definitiva una 
funzione giurisdizionale, che, essendo la Corte 
organo di giurisdizione e, come tale, soggetta solo 
alla legge conforme alla Oostituzione, possa e 
debba, anche nella esplicazione della funzione di 
controllo, sollevare e promuovere la questione di 
legittimit� costituzionale delle leggi e degli atti 
aventi f011za di legge, dello Stato e delle Regioni, 
che essa � chiamata ad applicare. La questione, a 
nostro avviso, dovrebbe essere promossa, per�, dalla 
Sezione di controllo, cui � demandato il giudizio 
definitivo sulla ammissione dell'atto a registrazione, 
e non dal Consigliere delegato. � 

G. GUGLIELMI 
(1) In questi sensi si erano esplicitamente pronunziati 
il Cavour, fin dal 1852, il Ba~togi, nella ralazione al disegno 
di legge della Corte del Regno d'Italia, presentato 
il 21 novembre 1861, il Sella, Commissario del re, nel 
discorso inaugurale pronunciato il io ot.tobre 1861. 
(2) Le Camere dei conti di Chamb�ry e Torino si 
presentavano come magistrature esterne e svolgevano controllo 
in forma giw�isdizionale, discutendo le controversie 
concernenti il fisco e il patrimonio ducale. 

NOTE D I DOTTRINA 


-----------------------------------------------------------------------------------------� 

F. OuccIA : Lineamenti di tina bibliografia sulla 
" 
disciplina giuridica della urbanistica (Ed. Giu:ffr�, 
Milano, 1962). 

r Francesco Cuccia, oggi Consigliere di Stato, fu 
per molti anni Direttore generale dell'Urbanistica 
presso il Ministero dei Lavori Pubblici, �d � senza 
dubbio, per riconosciuta preparazione e matura 
esperienza amministrativa, uno dei cultori della 
materia pi� competenti a commentare quanto il 
legislatore ha elaborato dal 1942 ad oggi sulla 
materia che concerne la pianificazione territoriale 
ed urbana ai suoi vari livelli. 

Il lavoro presenta un accurato ordinamento sia 
dei testi inerenti a problemi pi� generali della pianificazione 
urbana sia delle opere riguardanti la 
materia in senso pi� specifico, non trascurando nemmeno 
quanto cultori e tecnici hanno ritenuto di 
segnalare in questi anni su inconvenienti, lacune, 
proposte di modifiche o rimedi radicali. 

Lo studio appare cos� particolarmente utile a 
chi voglia orientarsi nella vasta materia tecnica 
e giuridica e valutare il lavoro che giuristi, funzionari 
delle .Amministrazioni centrali e locali, economisti, 
sociologi e tecnici hanno svolto in quasi 
vent'anni di dibattiti, di studi, di attivit� scolastica, 
scientifica e di operativit� amministrativa. 

Molto opportunamente l'autore non trascura di 
richiamare l'attenzione dello studioso sui legami 

che la materia urbanistica ha con geografia, economia, 
sociologia; e ci� allo scopo di estendere i 
confini della materia e di elevarla, secondo la pi� 
moderna tendenza, al livello di scienza politicoeconomica. 


Non si tralasciano nemmeno i problemi della 
pianificazione urbana in relazione ai pi� circoscritti 
aspetti della produttivit� edilizia e le esperienze 
concrete di applicazione del diritto nell'ambito delle 
.Amministrazioni locali. 

Politica delle aree e imposta sulle aree fabbricabili, 
piani territoriali di coordinamento e piani 
intercomunali, sono argomenti sviluppati con aggiornate 
ma essenziali citazioni bibliografiche; mentre 
i problemi pi� strettamente legati ai Piani 
Regolatori generali; ai piani particolareggiati e 
alle loro norme attuative trovano largo sviluppo 
fornendo allo studioso una materia ordinata ed 
esauriente. 

Un libro utile dunque, e particolarmente oggi, 
in quanto � in corso un vasto lavoro di revisione 
e di costruttiva critica alla legislazione che riguarda 
i problemi dei piani di sviluppo territoriale e di 
quelli urbani e rurali. 

In vista della preannunciata nuova legislazione 
urbanistica l'opera del Consigliere Cuccia potr� 
recare un contributo serio e circonstanziato al 
chiarimento dei problemi giuridici che il nuovo 
testo dovr� affrontare. 


.RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 


CORTE COSTITUZIONALE -CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 
-Ricorso proposto dal Presidente 
della Regione senza la pr�via deliberazione della 
Giunta -Inammissibilit�. (Corte Costituzionale, 10 
aprile 1962, n. 33 -� Pres.: Cappi; Rel.: Castelli 
Avolio). 

� inammissibile il ricorso per regolamento di 
competenza proposto dal Presidente della Regione 
siciliana senza la previa deliberazione della Giunta, 
a nulla rilevando che la Giunta fosse dimissionaria 
ovvero che non ebbe a deliberare per mancanza 
del numero legale o, infine, che la deliberazione 
del Presidente sia stata successivamente ratificata 
dalla Giunta. 

Con questa sentenza la-Corte conferma l'inderogabilit� 
delle competenze stabilite dalle norme sul procedimento 
costituzionale. 

In considerazione del rilevante interesse, che presenta 
la questione, se ne riporta integralmente la 
motivazione. 

CONSIDERATO IN DIRITTO 

1) I tre giudizi, congiuntamente discussi alla 
udienza, possono essere decisi con unica sentenza: 
essi infatti. sono identici sia nei loro presupposti 
di fatto, sia nei motivi e nelle argomentazioni � 
difensive svolte dall'una e dall'altra parte in 
causa. 

2) Pregiudiziale � l'esame della prima questione 
sollevata in limine litis dall'Avvocatura dello 
Stato: la inammissibilit� dei ricorsi, che non sono 
stati preceduti da delibera della Giunta regionale. 
Il Presidente della Regione, infatti, propose i tre 
ricorsi senza che fosse intervenuta la previa deliberazione 
della Giunta, cos� com'� richiesto dallo 
art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che, in 
riferimento e in attuazione del disposto dell'art. 2 
della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 
espressamente stabilisce, nel terzo comma, che il 
ricorso per conflitto di attribuzione � proposto 
�per la Regione dal Presidente della Giunta regionale 
in seguito a deliberazione della Giunta stessa �. 

Tale omissione � stata giustificata dalla difesa 

della Regione con la inderogabile necessit� di assi


curare la tutel� dell'interesse della Regione alla 

integrit� della propria sfera di competenza ammi


nistrativa proponendo i ricorsi entro il termine di 

decorrenza previsto dall'art. 39, che scadeva pochi 

giorni dopo e con la impossibilit� di ottenere la 
deliberazione della Giunta, perch� dimissionaria. 
Ha poi comprovato, con la esibizione del verbale, 
che la Giunta, d'altra parte, fu convocata prima 
della scadenza del termine per produrre i ricorsi, 
ma non pot� legalmente riunirsi per mancanza 
del numero legale. In ogni modo, l'operato del 
Presidente venne approvato e ratificato dalla nuova 
Giunta. 

Ritiene, tuttavia, la Oorte che l'eccezione di 
inammissibilit� dei ricorsi, per il motivo sopra 
accennato, sia fondata. 

3) Oome ha osservato all'udienza la difesa dello 
Stato, la ricordata espressione del terzo comma 
dell'art. 39 della legge n. 87: il ricorso della Regione 
per conflitto di attribuzione � proposto... �in 
seguito a deliberazione della Giunta �, non � dissimile 
da quella adoperata negli :;i,rtt. 31 e 32, a proposito 
della prop~>Sizione dei ricorsi con i quali si 
faccia questione della legittimit� costituzionale di 
una legge di una Regione o dello Stato: �la que~ 
stione (della legittimit� costituzionale di una legge 
di una Regione) � sollevata, previa deliberazione 
del Consiglio dei Ministri dal Presidente del Consiglio 
mediante ricorso ecc.� (art. 31, comma 
secondo); �la questione (della legittimit� costituzionale 
di una legge o di un atto avente forza di 
legge dello Stato), previa deliberazione della Giunta 
regionale, � promossa dal Presidente della Giunta 
mediante ricorso ecc. � (art. 32, secondo comma). 
Ohe la proposizione del ricorso, in tali casi, debba 
essere preceduta da deliberazione, rispettivamente, 
del Consiglio dei Ministri o della Giunta regionale, 
� esigenza non soltanto formale, ma sostanziale. 
Il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Pre


sidente regionale sono gli organi rappresentativi 
del Governo dello Stato e, rispettivamente, della 
Regione, e attribuendosi ad essi la legittimazione 
attiva ad agire dinanzi alla Oorte costituzionale 
si adempie bens� ad una esigenza di natura formale, 
ma, sostanzialmente, occorre che sia preceduta dalla 
determinazione dei membri del Governo o dei 
componenti la Giunta regionale, e ci� per l'importanza 
dell'atto e per gli effetti costituzionali ed 
amministrativi che l'atto stesso pu� produrre. 


Infatti la conseguente pronuncia della Corte 
costituzionale pu� avere l'effetto di dichiarare la.�-�� 
inefficacia di una legge dello Stato o di una; Regione 
(art. 136 Oost.), e non minore importanza ha la 
pronuncia della Corte in materia di conflitti di 
attribuzione, in quanto la Oorte costituzionale 


BW+r::W 


-72


risolve il conflitto dichiarando il pote:i;e al quale 
spettano le attribuzioni in contestazione (art. 38 
della legge 11 marzo 1953, n. 87; art. 134 Cost.; 

v. sentenze della Corte 18 gennaio 1957, n. 11; 
19 gennaio 1957, n. 18; 26 giugno 1958, n. 44). 
La inderogabilit� di siffatta esigenza � confermata 
dal rilievo che ben poteva il legislatore, ove 
lo avesse voluto, stabilire, in via generale, nella 
legge n. 87 e, in via particolare, nello Statuto speciale 
per la Regione siciliana, intorno al quale si 
discute nel presente giudizio, una disposizione che 
avesse autorizzato quegli organi rappresentativi 
a produrre, nei casi di urgenza o comunque di contingenze 
eccezionali, ricorso, salvo convalida degli 
organi collegiali. Il non averlo fatto � indizio di 
volont� contraria; e lo si pu� argomentare anche 
dalla legge 10 febbraio 1953, n. 62, riguardante la 
costituzione e il funzionamento delle Regioni a 
statuto ordinario, nella quale il legislatore avrebbe 
ben potuto attribuire, qualora l'avesse ritenuto necessario, 
un potere sostitutorio della Giunta al 
Presidente delle Regioni, nei casi di urgenza, mentre 
nell'art. 25, determinando le attribuzioni del 
Presidente, si � limitato a dargli la facolt� di promuovere 
di propria iniziativa~ e salvo sempre a 
riferirne alla Giunta nella prima seduta, solo �i 
provvedimenti cautelativi e le azioni possessorie �, 
cio� soltanto quei provvedimenti e quelle azioni 
che si presentano cQme mezzi di tutela in relazione 
a situazioni di fatto urgenti che, per la loro peculiarit�, 
postulano interventi immediati, non compatibili 
con la pr�ventiva consultazione della Giunta 
regionale. 

Non vale, poi, richiamare la sentenza 13 aprile 
1957, n. 57, con la quale la Corte ritenne ammissibile 
il ricorso per la impugnazione di una legge 
regionale del Trentino-Alto Adige proposta in 
via di urgenza dalla Giunta provinciale anzich� 
dal Consiglio, perch�, come espressamente si rileva 
dalla relativa motivazione, la decisione rispecchia 
le particolari disposizioni dettate al riguardo dallo 
Statuto di quella Regione, e precisamente l'art. 48, 

n. 7, che consente tale potere sostitutorio. Si tratta 
quindi di una decisione basata sopra una espressa 
disposizione, non applicabile al caso in esame. 
Negli indicati casi speciali le disposizioni di legge 
sono quindi tassative, il che implica l'esclusione 
del Presidente dalla legittimazione ad agire, di 
sua iniziativa, negli altri casi. 

Deve dunque ritenersi imprescindibile l'esigenza 
della previa deliberazione della Giunta regionale, 
come prescrive l'art. 39 della legge 11 marzo 1953, 
confermandosi in tal sens.o, quanto gi� ebbe a 
decidere questa Corte con la sentenza 19 gennaio 
1957, n. 15, con la quale venne dichiarato inammissibile 
il ricorso presentato dalla Regione sarda 
senza la previa deliberazione della Giunta regionale. 

4) Non si pu� in contrario opporre, per quanto 
riguarda i casi di cui ora si discute, che la Giunta 
fu convocata, ma non pot� deliberare per mancanza 
del numero legale, e che, in ogni modo, la nuova 
Giunta ratific� l'operato del Presidente. 

L'avere convocato la Giunta, per quanto dimissionaria, 
per deliberare, fra le altre cose poste 
.all'ordine del giorno, la proposizione dei ricorsi 

per conflitto di attribuzione, significa riconoscere, 
senza possibilit� di equivoco, che venne ritenuta 
necessaria, e giustamente, anche in tale situazione 
del Governo della Regione, la necessit� della deliberazione 
della Giuntar il che vale negare il potere 
diretto e autonomo del Presidente a proporre i 
ricorsi. Dal fatto poi che fu determinata dai componenti 
la Giunta la mancanza del numero legale 
pu� anche inferirsi una volont� forse contraria 
a produrre i ricorsi. 

Non pu� poi valere, come si � sostenuto, la successiva 
ratifica della nuova Giunta. A parte il 
rilievo che essa, come risulta dal documento esi-' 
bito, ha tutto il carattere di una sanatoria generale 
dell'operato del Presidente, riferita a vari provvedimenti, 
res~a pur sempre la violazione della norma 
che impone, in via preventiva e in modo inderogabile, 
la deliberazione della Giunta. Dando valore 
ad una successiva ratifica potrebbe giungersi ad 
avallare il principio per cui, ad libitum del Presidente, 
la deliberazione della Giunta pu� seguire, 
invece che precedere, la proposizione del ricorso, 
in aperto contrasto con la ricordata norma dell'articolo 
2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, 

n. 1, e dell'art. 39 della legge n. 87 del 1953. 
5) Dovendosi, in base alle esposte considerazioni, 
dichiarare inammissibili i ricorsi, rimane assorbito 
l'esame di ogni altra questione e del merito dei 
ricorsi stessi. 

CORTE COSTITUZIONALE -CONFLITTO DI AT


TRIBUZIONE -Regicne Siciliana -Attivit� statale 

decentrata -Norme transitorie (d.l. C.P.S. 30 giu


gno 1947, n. 567) -Vigenza. (Corte Costituzionale, 

7 luglio 1962, n. 83 -Pres.: Ambrosini; Rel.: 

Branca -Presidente Regione siciliana -Presidente 

del Consiglio dei Ministri). 

Non sussiste conflitto di attribuzione costitu


zionale nell'ipotesi in cui la Regione rivendichi 

ai suoi organi l'esercizio di attivit� statale ad essi 

decentrata con legge ordinaria. 

Il D.L. C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567 ha proro


gato la situazione di decentramento organico cre


atasi con i decreti nn. 91 e 416 del 1944 e 50 del 

1945, conferendo i poteri, gi� spettanti all'Alto 

Commissariato ed alla Consulta regionale, non alla 

Regione, ma a due organi del Governo regionale, 

considerati quali organi di decentramento statale. 

* * * 

1) Nel primo motivo del ricorso la difesa regio


nale si richiama innanzi tutto agli artt. 14 lettera 

n e 20 dello Statuto speciale siciliano: il provvedi


mento impugnato violerebbe tali norme poich� 

� stato emesso da un organo dello Stato (Ministro 

della pubblica istruzione) in materia.che � di com


petenza esclusiva della Regione siciliana. 

Tale assunto non pu� trovare accoglimento. 

Non c'� dubbio che il decreto del Ministro della 

pubblica istruzione riguardi la tutela delle bellezze 

naturali e che questa sia oggetto di competenza 


-73


esclusiva della Regione siciliana. Senonch�, a dif. 
ferenza di quanto � avvenuto nel campo del turismo 
dove sono state gi� emanate le norme di 
attuazione, in materia di bellezze naturali la potest� 
am.miriistrativa, mancando ancora quelle 


norme, non � ancora passata alla Regione. 

N� si pu� dire che l'esercizio di tale potest� 

spetti alla Regione siciliana in virt� dell'art. 20, 

primo comma, seconda parte, dello Statuto regio


nale: infatti � vero che questa norma, come si 

deve ritenere secondo la giurisprudenza della Corte 

costituzionale, consente agli organi regionali di 

svolgere attivit� amministrativa statale anche in 

terreno di competenza esclusiva della Regione 

quando non si siano emanate le norme d'attuazione; 

ma, appunto, perch� ci� accada occorrono direttive 

del Governo nazionale, direttive che in questo 

caso sono mancate totalmente. 

Sotto tale profilo la Corte costituzionale, respin


gendo il ricorso della Regione siciliana, si uniforma 

alla propria costante giurisprudenza, che trae con


forto dall'art. 43 dello stesso Statuto regionale, 

oltrech� dalla disposizione VIII della Costituzione. 

2) La difesa regionale invoca anche i decreti 

legislativi 18 marzo 1944, n. 91; 28 dicembre 

1944, n. 416; 10 febbraio 1945, n. 50 e il D.L.C.P.S. 

30 giugno 1947, n. 567, il quale ultimo risulterebbe 

violato in quanto attribuisce agli organi della Re


gione l'esercizio di quella potest� amministrativa 

che, anche riguardo alla tutela delle bellezze na


turali, gli altri tre decreti avevano conferito al


l'Alto Commissario e alla Consulta regionale. 

Com'� noto, il D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, �allo 

scopo di evitare soluzioni di continuit� �, volle 

� assicurare nel territorio dell'Isola l'ulteriore svol


gim<:.into delle funzioni e dei servizi amministrativi � 

gi� svolti dall'Alto Commissario per la Sicilia: poi


ch�, a norma dell'art. 42 dello Statuto siciliano, 

l'Alto Commissario e la Consulta regionale doveva


no cessare con la prima elezione dell'Assemblea 

regionale siciliana, il che era avvenuto puntual


mente il 20 aprile 194 7, si volle conservare alla 

Regione, sotto nuova forma, quel sistema di decen


tramento di potest� amministrative statali che vi 

si era praticato prima dell'emanazione delle norme 

statutarie: in attesa che queste norme venissero 

integralmente attuate e mentre all'uopo si era 

provveduto alla nomina di una commissione pari


tetica, il D.L.C.P.S. n. 567 attribuiva al Presidente 

e alla Giunta regionale i poteri che gi� erano spetta


ti all'Alto Commissario e alla Consulta regionale. 

Ci� con l'intesa che tali poteri restassero a quegli 

organi regionali nei limiti in cui e� fino a quando 

la potest� amministrativa, nelle singole materie, 

non fosse passata alla Regione o riservata espres


samente allo Stato in virt� di speciali norme statu


tarie o di leggi ordinarie: cos�, infatti, deve essere 

inteso e cos� � stato inteso da precedenti sentenze 

di questa Corte (n. 18 del 1957 e n. 45 del 1958) 

l'inciso contenuto nello stesso art. 1 del predetto 

D.L.C.P.S., n. 567 del 1947 l� dove esso afferma 

che le disposizioni, con le quali si attribuiva com


petenza amministrativa all'Alto Commissario, pas


savano agli organi regionali solo �in quanto appli


cabili�. 

N� si pu� dire, come invece ha genericamente 
rilevato l'Avvocatura generale dello Stato, che 
tutto il complesso normativo dei decreti n. 91 e 
416 del 1944 e n. 50 del 1945 sia caduto perch� 
incompatibile con lo Statuto regionale. Illi0Jtti il 


D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, con cui si conservava 
l'efficacia di tali disposizioni, fu emesso proprio 
al fine di soddisfare un'esigenza che era stata 
temporaneamente provocata dalla pubblicazione 
e dalla prima attuazione dello Statuto regionale; 
dimodoch� quell'insieme di norme, essendo state 
mantenute in vigore con legge posteriore allo Statuto, 
non possono ritenersi abrogate da questo 
ultimo, mentre, essendo applicabili nelle sole materie 
in cui lo Statuto non ha avuto attuazione, 
non appaiono incompatibili con esso. Non per 
niente l'art. 1 D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, stabilendo, 
dopo la pubblicazione dello Statuto regionale, 
che esse continuano ad osservarsi � in quanto applicabili
�, presuppone che ne siano venute meno 
solo alcune. 
.Altrettanto infondato � il rilievo, che � stato 

fatto dall'Avvocatura dello Stato nella discus


sione orale e secondo il quale l'incompatibilit� 

delle disposizioni racchiuse in quei decreti sarebbe 

derivata dalla successiva costituzionalizzazione dello 

Statuto siciliano avvenuta con la legge 26 febbraio 

1948, n. 2. Questa legge infatti non ha avuto altro 

scopo ed altro oggetto che di immettere nel tessuto 

delle norme costituzionali della Repubblica anche 

quelle dello Statuto speciale siciliano: ha attribuito 

maggior vigore alle norme statutarie, ma non ha 

potuto ampliarne il contenuto n� alterare ilrapporto 

che intercorreva fra esse e le altre leggi, dimodoch� 

le disposizioni dei decreti in oggetto, se avevano 

avuto efficacia prima del 26febbraio1948, dovevano 

conservarla anche dopo quella data. 

3) In conclusione il D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, 

� una legge ordinaria tuttora vigente ed ha attri


buito al Presidente e alla Giunta i medesimi poteri 

che gi� spettavano all'Alto Commissario e alla 

Consulta regionale, organi dell'Amministrazione 
� dello Stato. 

La conseguenza � che, con ci�, si � venuta a pro


rogare la situazione di decentramento organico 

creatasi coi decreti n. 91 e 416 del 1944 e n. 50 del 

1945: infatti il D.L C.P.S. n. 567 del 1947, confe


riva quei poteri non alla Regione, ma a due 

organi del Governo regionale, il Presidente e la 

Giunta, considerati quali organi di decentramento 

statale. 

Col predetto D.L.C.P.S. n. 567 la competenza, 

in materia di tutela delle bellezze naturali e in altri 

campi, non � passata alla Regione come tale e 

pertanto non si � ancora realizzato quel decen


tramento istituzionale che solo apposite norme dello 

Stato possono attuare. 

Ci� significa che nel caso ora, sottoposto al giudizio 
della Corte costituzionale non � dato profilare 
un conflitto di attribuzioni fra Stato e .Regione 
siciliana: infatti dal D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, si 
pu� ricavare soltanto che la dichiarazione di 
notevole interesse pubblico della zona in localit� 
Disueri doveva essere emessa, invece che da un 
certo organo statale (Ministro della pubblica istru



-74 


zione), da un altro organo, decentrato dello Stato 
(Presidente o Giunta regionale). 

Con il che, nell'assenza d'un conflitto tra lo 
Stato e la Regione, deve dichiararsi inammissibile 
il ricorso in questa sede, salva la sua proponibilit� 
in altra sede. 

4) Quanto al secondo motivo del ricorso, la sua 
infondatezza si trae agevolmente dalla esatta interpretazione 
delle norme a cui esso si richiama. 

Infatti il concerto con l'Assessore al turiEmo � 
necessario quando il provvedimento interessi localit� 
�riconosciute stazioni di soggiorno, di cura, 
di turismo� (art. 13, terzo comma, legge n. 1497 
del 1939), riconoscimento che non risulta sia avvenuto 
in questo caso. 

N� era necessario il parere dell'Ufficio minerario 

distrettuale e il concerto con l'Assessore all'indu


stria: l'art. 30 R.D. n. 1357 del 1940 richiede l'uno 

e l'altro solo quando si emettano i provvedimenti 

speciali, a cui allude, in materia di cave e di mi


niere, l'art. 11 della citata legge n. 1497 del 1939 

e che non devono confondersi con la dichiarazione 

di notevole interesse pubblico contenuta nel de


creto del Ministro della pubblica istruzione: que


sto � anche il parere, varie volte espresso, del 

Consiglio di Stato. 

Infine � vero che tutti i provvedimenti relativi 

alla tutela delle bellezze naturali, se riguardano 

opere pubbliche, devono essere emessi di concerto 

con le singole amministrazioni interessate e per


ci�, se si tratta_di beni di cui sia titolare la Regione, 

con l'Assessore regionale alle opere pubbliche; ma 

sta di fatto che non apparisce provata, quanto alla 

zona sottoposta a vincolo, la presenza di opere 

pubbliche a cui si riferisca specialmente il provve


dimento impugnato. 

* * * 

La Corte, con questa sentenza, ha deciso, per la 
prima volta ex professo, la questione, di particolare 
importanza per i rapporti fra lo Stato e la Regione 
siciliana, della attuale vigenza e degli effetti del D.L. 

C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, col quale, come � 
noto, si disponeva che, fino a quando non fosse stato 
attuato completamente il passaggio degli uffici e del 
personale dello Stato alla Regione e non fossero state 
emanate tutte le norme occorrenti per l'attuazione 
dello Statuto, avrebbero continuato ad osservarsi le 
disposizioni del R.D.L. 18 marzo 1944, n. 91 (modificato 
con i decreti n. 416 del 1944 e n. 50 del 
1945) e le attribuzioni gi� conferite all'Alto Commissario 
per la Sicilia ed alla Consulta regionale 
sarebbero state esercitate (rispettivamente) dal Presidente 
e dalla Giunta regionale. 
La sentenza interessa esclusivamente i rapporti 
fra lo Stato e la Regione siciliana, perch� per nessuna 
altra Regione esiste analoga disposizione; l'art. 61 

D.L.P. 19 maggio 1949, n. 250, contenente norme 
di attuazione dello Statuto Speciale per la Sardegna, 
infatti, attribuiva provvisoriamente le funzioni, gi� 
esercitate dall'Alto Commissario per la Sardegna 
e dalla Giunta Regionale, al Rappresentante del Governo 
e non agli organi regionali. 
La predetta questione era stata altre volte esaminata, 
in via incidentale, dalla Corte, la quale, con 

le sentenze n. 18 del 1957 e n. 45 del 1958, 
dando maggior rilievo alle espressioni �in quanto 
applicabili � e, � in quanto occorra �, contenute 
nel D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, 
aveva mostrato di ritenere che �non tutte, almeno, 
le funzioni gi� esercitate dall'Alto Commissario e 
dalla Consulta regionale fossero state attribuite 
in via provvisoria al Presidente ed alla Giunta 
regionale. 

Con questa sentenza, invece, la Corte, in conformit� 
della giurisprudenza del Consiglio di Stato 
(vedasi in questa Rassegna, 1961, p. 109), ha affermato 
l'attuale integrale vigenza del sistema di decentramento, 
creato con il D.L.L. 18 marzo 1944, n. 91 
e successive sue modificazioni, ed ha, conseguentemente, 
ritenuto che tutte le funzioni gi� attribuite 
all'Alto Commissario ed alla Consulta regionale 
(ad eccezione, ovviamente, di quelle, che lo Statuto 
ha trasferito alla Regione e per le quali siano state 
emanate le norme di attuazione e siano stati trasferiti 
uffici e personale) debbono essere esercitate in 
Sicilia dal Presidente e dalla Giunta regionale, quali 
organi decentrati dello Stato. 

Trattandosi di funzioni attribuite ad organi regionali 
quali organi decentrati dello Stato e non, 
quindi, alla Regione, l'eventuale conflitto fra essi e gii 
organi centrali statali � un conflitto interorganico, 
non intersoggettivo, che non solo non integra un 
conflitto di attribuzione costituzionale, ma non d� 
luogo neppure a confiitto esterno, giuridicamente 
rilevante. Il difetto di competenza dell'organo centrale 
rispetto all'organo decentrato potr�, quindi, 
essere denunziato al Consiglio di Stato esclusivarnente 
dal privato interessato dall'atto e sempre che questo 
abbia leso un suo interesse legittimo. 

Alla stregua di queste considerazioni la Corte ha 
dichiarato inammissibile, in p�rte qua, il ricorso 
proposto dal Presidente della Regione. 

La soluzione data a questo ulteriore aspetto della 
questione, che potremmo definire processuale, non 
assurge, a nostro avviso, a principio di massima, 
applicabile in via generale a tutte le ipotesi di attivit� 
statale decentrata alle Regioni (artt. 118 e 121 
Cost., 6 e 49 S.S.Sa.; 20, p.c .. , u.p. S.S.Sic.; 13 e 
33 S.S.T.AA.; 4 e 44 S.S. V.A.); le due ipotesi, 
almen.o da un punto di vista formale, infatti, non 
sono identiche. 

Il decentramento amministrativo, attuato provvisoriamente 
in Sicilia dal D.L.L. 30 giugno 1947, 

n. 567, � fondato su legge ordinaria dello Stato, come 
non ha mancato di porre in luce la Corte nella sentenza, 
che si annota. A prescindere, quindi, dalla 
considerazione che lo Stato potrebbe sempre, con altra 
legge ordinaria, ridurlo o addirittura sopprimerlo, 
l'atto dell'organo statale, emanato in violazione del 
citato D.L.L., non invaderebbe mai la sfera di competenza 
assegnata dalla Costituzione all'organo regionale, 
la sfera, cio�, di competenza costituzionale 
della Regione. Il conflitto fra i due organi, perci�, 
anche se non fosse interno, interorganico, non sarebbe 
mai di ordine costituzionale e non integrerebb.e, 
anche per questo motivo, quel conflitto, che l'art. 134 
Cost. e gli artt. 39 e segg. l. 11 marzo 1953, n. 87, 
espressamente prevedono e devolvono alla cognizione 
della Corte costituzionale. 

-75 


Il decentramento di funzioni statali alla Regione, 
invece, oltre che essere� previsto in via permanente, 
� fon dato su disposizioni della Costituzione e delle 
altre leggi costituzionali, onde ben potrebbe parlarsi 
di sfera di competenza costituzionale. Inoltre, salve 
le espressioni usate dall'art. 20 S.S.Sic., il quale si 
riferisce espressamente al Presidente ed agli Assessori 
regionali, le altre disposizioni costituzionali 
citate parlano di delega di funzioni o dell'esercizio 
di funzioni statali alla Regione, (art. 118 Cost., 
art. 6 S.S.Sa., art. 13 S.S.TAA., art. 4 S.S.V.A.). 
E' vero che successive disposizioni (art. 121, 35 
S.S.T.A_.A., 44 S.S. V.A.) precisano che � il Pre7 
sidente della Regione a dirigere le funzioni amministrative 
delegate dallo Stato alla Regione e conformandosi 
alle istruzioni del Governo; ma queste norme, 
se valgono a superare le diversit� letterali delle disposizioni 
dianzi citate e ad unificare il concetto e la 
disciplina del decentramento di funzioni statali alle 
Regioni, non escludono che queste vengano in consi


derazione come portatrici di un interesse costituzionale 
al decentra�mento stesso. � 

La questione sotto questo particolare aspetto, � 
stata piu volte discussa e, a nostro avviso, � stata 
decisa ex-profe.oso con la sentenoo, n. 9 del 1-9&7, ove 
la Corte ritenne che potesse ipotizzarsi confiitto .di 
attribuzione costituzionale per effetto di un _atto 
emanato dall'Assessore regionale nell'esercizio della 
cos� detta attivit� statale decentrata, di cui all'articolo 
20 S.S.Sic., p.c., u.p. 

In conclusione riteniamo che l'annotata sentenza 
abbia affermato principi, sostanziali e processuali, 
che valgono solo per il decentramento amministrativo 
attuato provvisoriamente in Sicilia con il D.L.C.P.S. 
30 giugno 1947, n. 567, lasciando del tutto impregiudicata 
la questione, peraltro gi� decisa in 
senso positivo, se l'esercizio di attivit� statale .decentrata 
alle Regioni in base alle disposizioni dello 
Statuto dia luogo a confiitto di attribuzione costituzionale. 


G. G. 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLA COMUNIT� ECONOMICA EUROPEA 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLA COJYIUNITA' ECONOMICA 
EUROPEA -Procedimento avanti la 
Corte di Giustizia ex art. 169 del Trattato per constatazione 
di inadempimento da parte di uno Stato 
membro -Adempimento, in corso di causa dopo lo 
scadere del termine fissato -Cessazione della materia 
del contendere -Insussistenza -Prodotti consolidati 
ex art. 31 cpv. del Trattato -Misure restrittive 
dell'importazione a titolo di provvedimento di 
urgenza -Illegittimit�. (Corte di Giustizia delle 
Comunit� Europee -Pres.: Donner; Rel.: Delvaux 
-19 dicembre 1961). 

1) L'art. 169, 20 comma, del Trattato della 

O.E.E. attribuisce alla Commissione il diritto di 
rivolgersi alla Corte solo se lo Stato di cui trattasi 
non si conformi al parere nel termine fissato dalla 
Commissione, termine che permette quindi allo 
Stato interessato di regolarizzare la sua posizione 
al Trattato. 
Se per� entro il termine prefisso lo Stato membro 
non si sia conformato al parere della Commissione, 
questa non pu� essere privata del diritto di ottenere 
una pronuncia della Corte sulla violazione degli 
obblighi derivanti dal Trattato. La Commissione 
continua ad aver interesse a veder accertato in 
diritto se sia stata effettivamente,commessa una 
violazione del Trattato. 

2) L'obbligo di standstill (consolidamento) previsto 
dall'art. 31 del Trattato � assoluto, e non 
comporta alcuna eccezione sia pur parziale e temporanea, 
al di fuori dell'applicazione delle misure 
di salvaguardia previste dall'art. 226 del Trattato 
medesimo, sempre che tali misure siano state preventivamente 
richieste dallo Stato membro ed 
autorizzate dalla Commissione. Le restrizioni unilaterali 
al libero mercato, consentite dall'art. 36 
del Trattato, hanno tratto a situazioni di natura 
non economica. 

E' opportuno premettere qualche cenno di fatto. 
Nel giugno del 1960 il Governo Italiano, constatato 
che nonostante l'adozione di provvedimenti interni 
il mercato nazionale delle carni suine andava registrando 
un sempre pi�. crescente e preoccupante 
perturbamento, dovuto a fattori contingenti non esclusa 
anche l'infiuenza di operatori economici esterni, 
con vari decreti interministeriali decideva di sospendere 
per breve periodo l'importazione delle dette carni 
fresche e lavorate in provenienza da qualsiasi Paese. 
I provvedimenti vennero poi prorogati alle rispettive 
scadenze. La Commissicne della Comitnit� Economica 
Europea, ritenuto che tra i prodotti vietati all'importazione 
erano compresi anche taluni, la cui liberalizzazione 
era stata gi� consolidata tra i Paesi 
membri del M.E.C., e giudicando esser i provvedimenti 
in violazione dell'art. 31 del Trattato, che vieta 
l'introduzione di restrizioni al libero commercio dei 
prodotti gi� consolidati, mise in opera la procedura 
stabilita dall'art. 169 del Trattato per far constare 
la asserita inadempienza, rivolgendo prima contestazioni 
al Governo italiano e quindi emettendo il 
parere in detta norma previsto con fissazione di un 
termine per l'eliminazione delle misure restrittive 
introdotte. Trascorso l'assegnato termine, la Commissione 
della Comunit� Economica Europea adi la 
Corte di Giustizia ai sensi del sopracitato art. 169 
del Trattato. Peraltro nelle more della causa il Governo 
italiano ritenne superata la congiuntura, e giudic� 
potersi adeguare alla richiesta espressa dalla 

Commissione, ristabilendo l'importazione per taluni 
prodotti e fissando per gli altri un prezzo di importazione 
limite ed adeguato, in modo da evitare ulteriori 
perturbazioni di mercato, come consentito dall'art. 44 
del Trattato. 

In giudizio il convenuto Governo italiano con 

il patrocinio dell'Avvocatura Generale dello Stato, 

sostenne che in rito doveva esser dichiarata cessata 

la materia del contendere, e che nel merito la do



-76 


manda giudiziale della Commissione era infondata, 
essendosi trattato di provvedimenti di urgenza, esorbitanti 
dai limiti delle previsioni del Trattato. 

Con la sentenza annotata la Corte di Giustizia 
ha disatteso entrambe le eccezioni sollevate in rito 
e in merito, ed ha accolto la. domanda attrice, di


' chiarando l'avvenuta inadempienza. 
La sentenza della Corte induce per� ad alquante 
riflessioni, le quali non consentono di far piena 
adesione agl! argomenti che la sorreggono. 

1) IN RITO. -L'azione data all'Organo Comunitario 
dall'art. 169 cpv. del Trattato indubbiamente 
tende ad ottenere dalla Corte una pronuncia dichiarativa; 
ci� si evince aa un inciso del successivo 
art. 171, il quale specifica che, nell'ipotesi di accoglimento 
della domanda della Commissione, � lo Stato 
membro a dover prendere i provvedimenti per dar 
attuazione alla sentenza. La norma pertanto esclude 
l''!ventualit� che la Corte possa emanare una sentenza 
di condanna ad un facere. 

Risulta palese inoltre, a termini delle citate disposizioni, 
che presupposto processuale dell'azione � il 
motivato parere dell'Organo Comunitario; non seguito 
da un comportamento adesivo dello Stato membro 
interessato. Ci� � quanto dire che la controversia 
aperta davanti la Corte riguarda da un lato la 
legittimit� del parere dell'Organo Comunitario e 
dall'altro la esistenza di una mancata ottemperanza 
al parere da parte dello Stato membro convenuto. 

Nella specie la Commissione della O.E.E., sia 
nel parere che -nelle conclusioni rassegnate al Collegio 
aveva chiesto che la Corte dichiarasse che il 
convenuto con il sospendere le importazioni dei r1toti 
prodotti aveva mancato ad un proprio dovere comunitario, 
con il che la controversia aveva per oggetto 
l'esistenza di uno stato di sospensione delle dette 
importazioni. Ma tale stato era in corso di causa 
cessato, talch�, se di inadempienza poteva parlarsi, 
questa poteva riferirsi soltanto all'inosservanza del 
termine stabilito per l'adeguamento al parere, peraltro 
dalla stessa Commissione nel detto suo parere introduttivo 
definito ordinatorio, e non gi� in relazione 
ad un mancato adempimento de� parere medesimo, 
il quale adempimento in corso di causa si era 
viceversa verificato. 

La Corte di Giustizia, che pur aveva seguito il 
Governo convenuto sulla impostazione relativa al 
carattere dichiarativo della controversia, ha poi risolto 
la pregiudiziale questione sottopostale, osservando 
che, pur dopo l'adempimento, la Commissione 
continuava ad avere interesse a veder accertato 
in diritto se sia stata effettivamente commessa una 
violazione del Trattato. 

Il rilievo non ci sembra per� esauriente. Ci sembra 
infatti chiaro che, sia pur ammesso l'interesse dell'Organo 
Comunitario all'osservanza del termine assegnato, 
tale interesse non potesse esser coltivato nella 
instaurata causa perch� in ipotesi trattavasi di inadempimento 
diverso da quello per il quale la Commissione 
della O.E.E. aveva introdotto la sua do.
manda giudiziale. 

Probabilmente la Corte � rimasta sensibile alla 
esi difensiva dell'attrice, che aveva prospettato il 
pericolo di adempimenti fittizi in corso di causa per 

fini meramente processuali ed elusivi del Trattato, 
ma tali remote per vero ipotesi � palese che debbono 
esser ritenute irrealizzabili, dal momento che in caso 
di un adempimento, effettuato dopo la scadenza del 
termine assegnato, e pur in pres.enza di una. declaratoria 
di cessazione della materia del contendere sul 
merito, nulla impediva alla Commissione di rivolgere 
nuova e diversa contestazione allo Stato membro 
interessato per l'eliminazione, ove sussistenti, dei 
pregiudizi verificatisi per il ritardo, e quindi di 
adire di nuovo la Corte per far constare il ritcirdo 
stesso quale autonomo inadempimento. 

La conseguenza inevitabile della motivazione data 
dalla Corte, a tutto concedere, doveva essere una dichiarazione 
giudiziale di inosservanza del termine, 
che peraltro non sarebbe stata rituale, ostandovi la 
impossibilit� processuale di una mutatio libelli e 
l'inesistenza di una preventiva specifica procedura 
amministrativa ad hoc sugli effetti della mora (a 
termini sempre dell'art. 169 del Trattatoh non gi� 
una sentenza dichiarativa che in determinato periodo 

una violazione del Trattato era stato commessa. 

N � convince l'asserzione della Corte che il termin� 
prefisso allo Stato membro debba esser riguardato 
quale un mero mezzo per permettere alto Stato stesso 
di regolarizzare la sua posizione rispetto al Trattato. 
Nell'ipotesi infatti che lo Stato membro adempia al 
parere motivato della Commissione dopo la scadenza 
del termine, ma prima che la Commissione adisca 
la Corte, � ovvio che la controversia, che la Commissione 
stessa intendesse ugualmente di istaurare, dovrebbe 
avere per oggetto soltanto l'inosservanza del 
termine, o, in altre parole, la mora ad adempiere, 
previa nuova contestazione in via amministrativa 
e nuovo parere della Commissione stessa, possibile 
essendo che la mora non sussista o in ipotesi non sia 
colpevole. N � pu� prescindersi dalla citata preventiva 
procedura amministrativa sull'oggetto che poi 
sar� dedotto in giudizio, essendo l'esistenza di un 
parere in termini presupposto processuale dell'azione. 

2) NEL MERITO. -Mentre per quanto riguarda 

l'ultima parte della massima, che abbiamo estratto 

dalla sentenza annotata, nessun rilievo � da farsi 

ed acuta appare la distinzione, operata dalla Corte, 

tra le ipotesi dell'art. 226 e quelle dell'art. 36 del 

Trattato, sulla scorta dei motivi (economici i primi) 

e politici (i secondi), che possono sorreggere eventuali 

deroghe allo standstill dell'art. 31, la prima parte della 

massima ci appare non completamente convincente. 

E' noto che i Trattati istitutivi delle Gomimit� 

Europee (O.E.O.A. -O.E.E. -O.E.E.A.) sono stati 

dalla pi� accreditata dottrina in materia considerati 

quali attributivi da parte degli Stati membri agli 

Organi comunitari dell'esercizio di alcuni poteri 

spettanti ai primi. Necessit� quindi di considerare 

gli impegni, assunti nei relativi Trattati dagli Stati 

membri, in senso cautamente restrittivo, con l'effetto 

che, ove determinato potere o determinata facolt� 

non risultino espressamente devoluti: questi sono da 

intendersi rimasti nel libero ed esclusivo .esercizi_<> 

degli Stati membri, in ordine al quale non � configu


rabile un sindacato in sede comunitaria. 

Come era stato dedotto e provato in causa, nell'or


dinamento giuridico pubblico italiano, al pari di 



-==mzrcF&E?E -==mzrcF&E?E 
-77 


quanto del resto riscontrato negli ordinamenti degli 
altri Stati membri, accanto allo ordinario potere dispositivo 
della P.A. esiste il potere di emanare provvedimenti 
contingibili e di urgenza, e ci� anche nelle 
ipotesi di importazioni ed esportazioni a sensi delle 
leggi in materia, che appunto prevedono la formalit� 
del Decreto Interministeriale. 

Ben � vero che l'art. 226 del Trattato prevede la 
possibilit� di ottenere anche con procedura di urgenza 
misure di salvaguardia, ma riteniamo palese che 
vanamente l'art. 226 del Trattato possa essere considerato 
quale norma attributiva all'organo comunitario 
dei poteri di intervento statale in tema di provvedimenti 
contingibili e urgenti, non fosse� altro che 
per il rilievo che detto art. 226 � norma di applicazione 
temporanea ristretta quanto alla sua validit� al 
solo periodo transitorio di applicazione del Trattato. 

E' pertanto ben sostenibile che la materia dei provvedimenti 
di urgenza sia rimasta nell'orbita delle 
attribuzioni statali. N � potrebbe dirsi che lo standstill 
dell'art. 31 ne rimanga svuotato, giacch� spetter� 
sempre alla Commissione il potere di indagare in 
virt� dell'art. 155 del Trattato se in ipotesi un provvedimento 
di tal natura sia fittizio ed elusivo degli 
scopi del Trattato, adendo anche la Corte di Giustizia 
a termini dell'art. 169; ma questo � problema 
di merito, che non giustifica l'asserzione della soppressione 
in materia della facolt� degli stati membri 
di ricorrere ai propri poteri di apprezzare determinate 
situazioni sotto il profilo dell'urgenza e della contingibilit�, 
necessit� queste che possono invero sussistere 
anche al di fuori delle ipotesi previste dalla procedura 
comunitaria per l'ottenimento di misure di 
salvaguardia, o non consentire le remore della procedura 
stessa. 

N � � da trascurarsi che il convenuto, sia pur dopo 
l'adozione dei provvedimenti di urgenza, aveva poi . 
provveduto ad informarne la Commissione. 

La questione, di particolare interesse, si presenta 
peraltro ormai superata per effetto di quasi coeve 
decisioni del Consiglio dei Ministri delle Comiinit�, 
le quali decisioni, come � noto, in diritto comunitario 
hanno efficacia legislativa. 

Difatti nelle discussioni tenutesi nel dicembre 1961 
a Bruxelles per il passaggio alla seconda tappa, la 
questione dei provvedimenti di urgenza � stata ex 
professo in seno al Consiglio affrontata, disponendosi 
all'uopo che gli Stati membri possono prendere tali 
provvedimenti di urgenza nel caso in cui il mercato 
subisca o rischi di subire gravi perturbazioni. La 
procedura legislativamente fissata dal Consiglio � 
la seguente; lo Stato interessato � tenuto a notificare 
al piu presto alla Commissione ed agli altri Stati 
membri il provvedimento adottato, e la Commissione, 
sentito un Comitato di gestione, deve pronunciarsi 
in merito entro breve termine con possibilit� dello 
stato interessato, nel caso di diniego della Commissione, 
di investire il Consiglio della Comunit� che 
decide in via definitiva. E' ovviamente, nel caso, 
aperta allo Stato interessato la possibilit� di impugnare 
la decisione del Consiglio, che in tal caso ha 
natura di atto amministrativo, avanti la Corte di 
Giustizia a termini dell'art. 173 del Trattato con 
gli effetti di cui al successivo art. 176. 

La decisione del Constglio della Comunit� intervenuta, 
come sopra detto, quasi nello stesso torno 
di tempo della decisione della Corte, mentre esaurisce 
legislativamente sul piano comunitario l'importante 
questione agitatasi nella causa de quo, 
ribadisce invero l'opinione che il Trattato non vietasse 
agli Stati membri di adottare provvedimenti 
di urgenza, ed anzi che, non regolandoli, avesse 
inteso mantenerli nella sfera di attribuzione degli 
stessi, fermo il potere di vigilanza della Commissione 
a termini dell'art. 155 primo comma del 
Trattato. 

P. P. 
CORTE DI CASSAZIONE 


ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Costruzione 
alloggi per il personale ferroviario Costruzione 
ferroviaria -Legge 7 luglio 1907, n. 429 
-Applicabilit�. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Indennit� 
liquidata a seguito di giudizio di opposizione 
-Pagamento diretto allo espropriato -Inammissibilit�. 


ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Interessi 
sulla indennit� liquidata a seguito di giu� 
dizio di opposizione -Decorrenza. 

LITISCONSORZIO FACOLTATIVO -Impugnazione 
incidentale tassativa -Inammissibilit�. 

SENTENZA -Interpretazione della volont� di legge 
in concreto attuata -Dispositivo in relazione alle 
motivazioni. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 

n. 757, 21 dicembre 1961-18 aprile 1962 -Scheibler 
Elisaiin Zieleri e Ferrovie Cdello Stato e Societ� 
Uniorfas). 
1) La costruzione di fabbricati alloggi per il 
personale ferroviario, di servizio (Regol. n. 405 
del 1925) o economiche (T.U. 28 aprile 1938, 

n. 1165), rientra nel concetto unitario di costruzione 
ferroviaria posto dalla legge del 1907, quale 
che sia la distanza dagli impianti ferroviari" e� quali_ 
che siano le funzioni del personale che vi abita. 
Le espropriazioni, pertanto, occorrenti per dette 
costruzioni sono disciplinate, a norma dell'art. 77 
della legge citata, dalla legge di Napoli ovvero se 


-'j8 


pi� favorevole da quella relativa al luogo in cui 

sono eseguite. 

2) Dato che il procedimento da seguire per lo 

svincolo della indennit� depositata alla Cassa 

Depositi e prestiti � dall'art. 55 della legge sulla 

espropriazione per P.U. regolato in modo indero


g:abile anche a garanzia di eventuali diritti di. terzi, 

la maggiore indennit� liquidata dal giudice a fa


vore dell'espropriato, non si sottrae a detto depo


sito e per essa non pu� configurarsi una condanna 

dell'espropriante al pagamento diretto all'espro


priato. 

3) Con il deposito della indennit� alla Cassa 

Depositi e Prestiti l'espropriante � liberato dalla 

sua obbligazione. Sulle somme depositate, per


tanto, non sono dovuti interessi maggiori e diversi 

da quelli corrisposti dalla Cassa. Sulle maggiori 

somme liquidate con il giudizio di. opposizione, 

rimaste nella disponibilit� dell'espropriante sono 

dovuti gli interessi legali dalla data del decreto di 

espropriazione fino a quello in cui sar� effettuato 

il deposito supplementare. 

4) Nellitisconsorzio facoltativo la parte che abbia 

ricevuto notificazione della impugnazione princi


pale ai soli effetti della denuntiatio litis, non � 

abilitata alla impugnazione incidentale tardiva. 

Questa � ammessa soltanto a favore delle parti 

contro le quali la impugn�zione � proposta ed� a 

favore di quelle chiamate ad integrare il contrad


dittorio a norma dell'art. 331 del C.p.c. 

5) Al fine di d.eterminare la volont� concreta di 

legge attuata in sentenza il tenore e la portata del 

dispositivo vanno interpretati con quanto emerge 

dalla motivazione che ne costituisce il necessario 

presupposto. 

La parte motivo della sentenza � del seguente 
tenore: 

Deve essere anzitutto disposta la riunione dei 
pred..:itti ricorsi, principale ex incidentali, sotto 
il numero pi� antico di ruolo trattandosi di impugnative 
avverso la stessa sentenza. 

La ricorrente principale nei suoi primi due motivi 
del ricorso, che sono strettamep.te connessi e 
posRono quindi essere esaminati congiuntamente; 
si duole sostanzialmente della sentenza impugnata 
per avere la Corte del merito considerato il fabbricato 
costruito dalla Amministrazione ferroviaria 
sul terreno espropriatole c�me � costruzione ferroviaria
�, ai sensi dell'art. 77 della legge 7 luglio 
1907, n. 429, e quindi per averlo considerato valutabile 
mediante i criteri d.i atima indicati nel primo 
comma dell'art. 4 della legge 24 marzo 1932, n. 355, 
sul piano regolatore di Roma. E di ci� la medesima 
ricorrente si duole in quanto la Corte di Appello 
male avrebbe operato, ricorrendo all'applicazione 
dell'art. 33 del Regolamento 7 aprile 1925, n. 405 
e dell'art. 300 del R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, al 
fine di determinare, nella fattispecie, il concetto 
di costruzione ferroviaria di cui a detto articolo 
77 della legge del 1907, n. 429. 

La censura non ha fondamento. Il tribunale 
aveva negato il carattere di �costruzione ferroviaria
� al fabbricato costruito sul fondo espropriato 

alla Scheibler, oltre che per la lontananza degli 

impianti ferroviari, anche perch� destinato ad 

alloggi di personale investito di funzioni elevate 

e non quindi addetto 3Jgli impianti stessi, secondo 

la elencazione contenuta nell'art, 33 del regola


mento 7 aprile 1925, n. 405. 

La Corlie del merito si � posta l'unica questione 

che si trattava di decidere, se cio� la costruzione 

di alloggi per il peTsonale ferroviario rientrasse 

nella economia della legge 429 del 1907 (art. 77), 

di cui, come era pacifico, si faceva espresso riferi


mento nel testo del decreto di. espropriazione, ed 

entro tali limiti della contestazione ha ritenuto 

che in tale previsione di legge rientrasse la costru


zione di cui si discute. E tale interpretazione del 

precetto legislativo � esatta, perch� il concetto 

unitario di �costruzione ferroviaria �, quale deve 

desumersi dal complesso delle disposizioni vigenti, 

comprende sicuramente anche �la costruzione di 

fabbricati-alloggi per il personale ferroviario�, 

quale che sia la distanza di detta costruzione dagli 

impianti ferroviari e quali che siano le funzioni 

del personale che vi abita. 

Per vero � da tener presente che l'art. 33 dello 

allegato n. 2 del decreto 7 aprile 1925, n. 405 in


nanzi richiamato prevede espressamente, sia pure 

ai fini del pagamento di un canone per l'alloggio, 

che le cbstruzioni siano situate lontano dagli im


pianti, ditalch� � intuitivo che il criterio della 

distanza � irrilevante per la definizione di costruzio


ne ferroviaria di cui all'art. 77 della legge del 1907. 

L'art. 300 del T.U. 28 aprile 1938, n. 1165 (dettato 
per la disciplina dell'edilizia economica per i 
ferrovieri) stabilisce poi che la scelta della localit� 
nelle quali devono acquistarsi o costruirsi le �case 
per i ferrovieri � (epper� senza alcuna discriminazione 
delle funzioni di tale personale) � rimessa 
alla libera discrezionalit� del Ministero dei Trasporti; 
e sancisce inoltre testualmente che � le espropriazioni 
per le costruzioni ed opere da eseguirsi 
sono dichiarate di pubblica utilit� e sono regolate 
dalle norme legislative riguardanti quelle per 
lavori e impianti ferroviari �; ossia dalla legge 

n. 429 del 1907. 
Infine � da aggiungere che il D.L.C.P.S. 29 luglio 
1946, n. 95 (concernente la sovvenzione di 
somma per la costruzione o l'acquisto di case in 
conto patrimoniale per i ferrovieri) fa espresso 
riferimento, nella sua premeosa, alla richiamata 
legge n. 429 del 1907 di cui si discute. 

Le considerazioni che precedono non lasciano 
quindi alcun dubbio che la lettera e lo spirito 
dell'art. 77 della legge n. 429 del 1907 hanno capacit� 
di attrarre nell'orbita di questo precetto la 
costruzione di fabbricati-alloggi per i ferrovieri, 
siano essi alloggi servizio (secondo il decreto 7 aprile 
1925, n. 405) siano essi case economiche (secondo 
il T.U. 28 aprile 1938, n. 1165). 

Indiscusso pertanto in definitiva il presupposto 
(costruzione ferroviaria) per l'app~~c~bilit� dello 
art. 77 della legge del 1907, correttamente la_Co.rte_ 
di Appello -secondo le disposizioni della norma 
stessa, che consentono alla Amministrazione ferroviaria 
espropriante di avvalersi delle disposizioni 
speciali gi� favorevoli vigenti nei luoghi ove ven



-79 


gono eseguite tali espropriazioni -ha proceduto 
alla liquidazione dell'indennit� secondo il criterio 
di stima della legge 24 marzo 1932, n. 355 sul piauo 
regolatore di Roma (art. 4). 

Il terzo mezzo denuncia una pretesa violazione 
dell'art. 91 C.p.c. Si spiega che la Corte del merito, 
nel riformare la sentenza di primo grado, ha compensato 
un terzo delle spese ed onorari del giudizio 
di appello, e si formula la censura .nel senso che 
in caso di accoglimento del ricorso la pronuncia 
sulle spese dovrebbe essere riformata. Ma � evidente 
che se la stessa ricorrente riconosce che la 
pronuncia sulle spese � stata emessa in dipendenza 
della decisione adottata, la violazione dell'art. 91 
non sussiste e pertanto il relativo mezzo � del 
tutto infondato. 

Il ricorso principale deve essere perci� respinto. 

Ugualmente destituito di fondamento � il ricorso 
incidentale della Uniorias. La Corte del merito ha 
dichiarato inammisf'libile l'appello incidentale proposto 
da detta Societ�, che era intervenuta volontariamente 
in primo grado, per essere la stessa , 
decaduta dal diritto di impugnazione ai sensi degli 
artt. 325 e 344 C.p.c. 

Da ci� deriva che dei quattro motivi di annullamento 
dedotti l'unico assorbente � quello concernente 
l'affermata decadenza dell'impugnazione. 

Ora, in proposito, � agevole rilevare che la statuizione 
impugnata ha fatto buon governo della 
legge. Certo, come si diceva in narrativa, che la 
sentenza del Tribunale fu notificata dalla Scheibler 
alla Uniorias in data 17 settembre 1958, questa 
ultima avrebbe dovuto proporre il suo gravame nei 
termini di legge, non essendo ad essa consentita 
l'impugnazione incidentale tardiva, che � ammessa 
soltanto a favore delle parti contro le quali � stata 
proposta impugnazione e a favore di quelle chiamate 
a integrare il contraddittorio a norma dell'articolo 
331 C.p.c. (art. 334 C.p.c.). 

Ipotesi queste che non ricorrevano nel caso di 
specie, perch� dall'un canto l'Amministrazione delle 
Ferrovie aveva proposto appello avverso la sentenza 
del tribunale unicamente nei confronti della Scheibler 
e non della Uniorias e dall'altro canto si trattava 
di litis-consorzio facoltativo, essendo appunto 
la Uniorias divenuta partecipe del giudizio di 
prime cure in forza di intervento volontario. Ed � 
ben noto che quando si tratti di litiscon..~orzio facoltativo 
la parte che abbia riavuto notificazione 
della impugnazione principale, ai soli effetti della 
denunciatio litis, non � abilitata alla impugnazione 
tardiva (sent. 316/1958; 545, 993, 2052 e 3012/ 
1959; 1938-1960). 

D'altra parte � da aggiungere 'che il tribunale 

con la sua pronuncia aveva in sostanza, come gi� 

detto nell'esposizione di fatto, negato ogni legitti


mazione all'intervento spiegato dalla Uniorias, sul 

riflesso che la pretesa da quest'ultima fatta valere 

era del tutto estranea all'oggetto del giudizio 

vertente tra i soggetti del rappor~o espropriativo 

che erano in causa; di talch� appariva ovvio che, 

di fronte a tale accertamento, il quale escludeva 

in radice ogni vincolo, sia pure di connessione, tra 

la causa principale e quella proposta dall'inter


ventore volontario, rimaneva vieppi� confermato 

che la Uniorias avrebbe dovuto proporre il suo 
appello nel termine posto dall'art. 325 C.p.c. Il 
che non � avvenuto. 

Venendo a dire del ricorso incidentale della 
Amministrazione delle Ferrovie dello Stato osservano 
le Sezioni Unite che con l'unico meiz� detta 
Amministrazione, nel denunciare la violazione degii 
artt. 48, 54, 55 e 56 della legge 25 giugno 1865, 

n. 2359 e dell'art. 1 della legge 5 aprile 1926, 
n. 686, deduce che ha errato la Corte di appello nel 
condannare l'Amministrazione stessa al pagamento 
diretto della maggiore indennit� con gli interessi, 
fino all'effettivo pagamento, anzich� al deposito 
della somma presso la Cassa Depositi e Prestiti, per� 
ch� ildeposito � l'unico modo valido di adempimento 
della obbligazione che fa carico all'espropriante. 
La censura, ancorch� si richiami ad esatto principio 
giuridico, non pu� peraltro indurre all'annullamento, 
per questa parte, dell'impugnata sentenza. 

La Corte del merito se nel dispositivo ha pronunciato 
la condanna della Amministrazione delle 
Ferrovie dello Stato �a. corrispondere alla Scheibler 
la somma di lire 8.607.110, una agli interessi dal 
31 luglio 1946 sino all'effettivo pagamento, peraltro 
in motivazione ha precisato testualmente che �il 
disposto pagamento in favore dell'espropriato � una 
statuizione condizionata, essendo l'effettivo pagamento 
della somma subordinato all'accertamento 
della sussistenza degli estremi tutti previsti dalla 
legge 3 aprile 1926, n. 686 �. Sicch�, alla stregua 
del principio che il tenore e la portata del dispositivo 
vanno interpretati con q�anto emerge dalla 
motivazione che ne costituisce il necessario presupposto, 
al fine di�� determinare la volont� concreta 
di legge attuata in sentenza, nel caso appare ben 
manuesto che la statuizione della Corte di merito 
(stante l'esplicito avvertimento fatto in motivazione 
che la condanna al pagamento di quella 
somma non esimeva l'espropriato dall'espletamento 
della particolare procedura prevista dalla legge 

n. 686 del 1926) � venuta a risolversi necessariamente 
nell'ordine di deposito della somma medesima 
alla Cassa Depositi e Prestiti. 
Ci� precisato, rimane quindi osservato il principio 
di diritto posto a base della censura e della 
cui esattezza non � a dubitare. Invero, posto che 
l'art. 55 della legge 1865 sulla espropriazione per 
pubblica utilit� -modificato dalla legge n. 686 
del 1926 (sul trasferimento al giudice ordinario 
della competenza di disporre il pagamento della 
indennit� di espropriazione) -regola, in modo 
inderogabile, anche a garanzia di eventuali diritti 
di terzi, il procedimento da seguire per lo svincolo 
della indennit� depositata, consegue che anche 
nell'ipotesi del maggior supplemento di indennit� 
liquidato dal giudice a favore dell'espropriato, 
l'espropriante sia tenuto a quel deposito, e non � 
quindi configurabile una condanna dell'espropriante 
stesso al pagamento diretto verso l'espropriato. 

� ovvio che sulla maggior somma accertata come 
dovuta col giudizio sulla opposizione (somma che 
� rimasta nella disponibilit� dell'espropriante) sono--dovuti 
gli interessi legali dalla data del decreto 
di esproprio e fino all'effettivo deposito (come deve 
intendersi statuito nel caso concreto), deposito che 


-80 


� considerato equivalente al pagamento, ai fini il.ella 
liberazione del debitore espropriante, il quale perci�, 
relativamente alla somma depositata, non 
pu� essere ulteriormente tenuto a corrispondere 
alcunch� per interessi all'espropriato, creditore 
dell'indennit�, al quale competono, sulla somma 
depositata, soltanto gli interessi corrisposti dalla 
Cassa (cfr. sent. 3378/1958; 987 /1960). 

Le soluzioni adottate nella sentenza in esame 
8ono conformi alla impostazione prospettata nello 
interesse detl;Amministrazione per 'i vari punti 
controversi. Una particolare segnalazione meritano 
Ze massime relative al concetto di costruzione ferroviaria 
ed alle modalit� di pagamento delle indennit� 
liquidate nel giudizio di opposizione, per la man.�anza 
di precedenti in termini da parte della Corte 
di Cassazione. 

La corte di Appello di Roma gi� nella sentenza 
8 maggio 1956, D'Amico Fiory c/ ,Ministero dei 
Trasporti, riportata in questa Rassegna 1956; pagina 
181, aveva riconosciuto il �Carattere di costruzione 
ferroviaria alle case economiche costrtdte a norma 
del Testo unico 1165 del 1938, ma il Consiglio di 
Stato, per gli alloggi di servizio, in alcune decisioni 
(cfr. 16 novembre 1951, n. 431 in Foro .Amministrativo 
1952; 1; 3, 76) aveva ritenuto che per rimanere 
nell'ambito della costruzione ferroviaria la distanza 
dagli impianti avrebbe dovuto essere espressamente 
giustificata da particolari motivi di necessit� 
e convenienza. 

La costruzione �egli alloggi per il personale ferroviario 
sono compiute con spese a carico del Bilancio 
del. Ministero dei Trasporti, con un susseguirsi di 
leggi che vanno da quella del 14 luglio 1907, n. 553, 
del 19 giugno 1913, n. 641; del 27 novembre 1919, 

n. 2350; del 3 settembre 1925, n. 164 7, del 4 novembre 
1926, n. 2229; del 6 novembre 1930, n. 1954; 
del 18 giugno 1931, n. 920; del 3 dicembre 1932, 
n. 419 a quella del Testo unico 1938, n. 1165 (a.rticolo 
300) nella quale sono state tutte richiamate ed 
infine a q,uella del 29 luglio 1946, n. 95 pubblicata 
nella Gazzetta Ufficiale del 1946, n. 212. Per 
tali costruzioni, inoltre, la legge del '38 fa espresso 
riferimento alla legge n. 429 del 1907 di cui si 
discute e nella qtiale � posto l'art. 77. 
Il D.L.G.P.S., n. 95 del 1946, inoltre, tale espresso 
riferimento ha fatto nella premessa. 

E' quanto basta per ritenere che nelle previsioni 
del legislatore la costruzione degli alloggi per il personale 
ferroviario, siano essi alloggi di servizio 
(art. 33 Reg.) siano case economiche (art. 300 del 
Testo unico del 1938) -un tertium genus non 
esiste -costttuisce un'opera' del genere prevista nel 
l'art. 77 del Testo unico del 1907. 

Le ragioni sono di intuitiva evidenza; 

sia il Regolamento 7 aprile 1925, n. 405 che 
il Testo unico 28 aprile 1938, n. 1165, nel loro 
contenuto prevedono e disciplinano gli alloggi per 
il personale ferroviario -di ser1,izio o economici 
-e per tutti tali alloggi trovano applicazione le 
norme del particolare tipo di espropriazione; 

� il Regolamento 405 del 1925 all'art. 34 precisa 
che gli alloggi di seri1izio possono essere assegnati 

anche a quegli altri agenti che l'Amministrazione 
giudica opportuno, con la conseguenza che non 
soltanto il personale esecutivo indicato nel precedente 
art. 33, ma altresi il personale direttivo ed in genere 
qualsiasi categoria di personale . ferroviario pu� 
beneficiare della assegnazione; 

lo stesso Regolamento prevede e disciplina gli 
aspetti economici per coloro che godono di alloggio 

� di servizio situato lontano, con la conseguenza che 
nelle previsioni del legislatore detti alloggi, da costruirsi 
con il particolare tipo di espropriazione, 
possono essere ubicati anche in lontananza dagli 
impianti ferroviari, senza per ci� stesso, perdere 
la loro caratteristica funzionale; 
lo stesso Regolamento considera gli alloggi di 
servizio alla stessa stregua delle case economiche 
(art. 33 ultima parte) e l'art. 300 del Testo unico 
del 1938, nel disciplinare le case economiche in 
questione fa espresso riferimento al particolare tipo 
di espropriazione con richiamo alla legge 429 del 
1907 e non contiene limitazioni di distanza .. 
Da ci� � necessario dedurre che, mancando per la 
uti lizzazione dei fondi da impiegare ne.lla costruzione 
di alloggi per il personale ferroviario� un 
tertium genus oltre gli alloggi di servizio e le case 
economiche e contenendo la legge relativa ai fondi 
predetti (v. Testo unico del 1938 e legge n. 95 del 
1946) espresso riferimento alla legge 429 del 1907, il 
concetto di costruzione ferroviaria � un concetto unitario 
nel quale non possono non rientrare le costruzioni 
delle quali � cenno, siano esse di servizio o economiche, 
vicine o lontane dagli impianti ferroviari e 
quali che siano le funzioni del personale che vi abita. 
Quanto alle modalit� di pagamento delle indennit� 
di espropriazione l'affermazione delle Sezioni unite 
� di indubbio fondamento; 
Poich� il giudizio di opposizione ha natura di 
impugnazione della determinazione della indennit� 
e poich� l'art. 55 della legge sulle espropriazioni 
per P. U. -modificato dalla legge 3 aprile 1926, 

n. 686 -regola, in modo inderogabile, anche a 
garanzia di eventuali diritti di terzi, il procedimento 
da seguire per lo svincolo della indennit� depositata, 
per il caso di determinazione di indennit� maggiore 
di quella depositata, non � configurabile una condanna 
dello espropriante al pagamento diretto allo 
espropriato di alcuna somma. La condanna stessa 
dovr� necessarfomente risolversi nell'ordine di deposito 
della maggior somma alla Gassa Depositi e Prestiti. 
IMPIEGO PUBBLICO -Competenza -Ufficiale di 
complemento -Rapporto di pubblico impiego Mancanza 
-Controversie relative agli assegni di 
prigionia spettanti ad un ufficiale di complemento Giurisdizione 
esclusiva del Consiglio di Stato Esclusione 
-Competenza dell'A.G.O. (Corte di Cassazione, 
Sezioni Unite, Sentenza n. 2314/61 -Pres.: 
Verz�; Est.: Rapisarda; P.M.: Reale -Ministero Difesa 
c. Pascucci). 

Il servizio prestato dall'ufficiale di complemento 
non ha natura di pubblico impiego. 
Elementi caratteristici ed indispensabili per 
aversi un rapporto di pubblico impiego sono la 


-81


volontariet� e la professionalit�, che, invece, difettano 
totalmente nel servizio prestato dall'ufficiale 
di complemento. Questo, nonostante l'attribuzione 
del grado e delle funzioni ad esso relative, non 
fa che prestare, in una particolare posizione e 
funzione, il servizio militare cui � obbligato, non 
diversamente dagli arruolati di leva o dal cittadino 
richiamato alle armi per le particolari esigenze dello 
Stato. Il compenso che riceve non pu� essere confuso 
con la retribuzione dell'imp~ego perch� non 
trae la sua origine dall'istituzionale carattere lucrativo 
e professionale del rapporto di impiego. Difetta, 
soprattutto, nell'ufficiale di complemento, la professionalit�, 
a differenza degli ufficiali e sottufficiali 
in servizio permanente. 

Ai sensi d.ella legge 10 aprile 1954, n. 113, sullo 
stato degli ufficiali dell'esercito, che regola esclusivamente 
il rapporto di pubblico impiego degli ufficiali 
in servizio permanente, deve escludersi che 
un rapporto di impiego pubblico sussista in ordine 
agli ufficiali di complemento. 

Pertanto, sono devolute non alla giurisdizione 
esclusiva del Oonsiglio di Stato, ai sensi degli 
artt. 29 e 30 del Testo unico 26giugno1924, n. 1054, 
bens� alla giurisdizione ordinaria, le controversie 
relative agli assegni di prigionia spettanti ad un 
ufficiale di complemento. 

Confrontare �Corte dei conti �, 1959, III, 2, 122. 

IMPOSTA DI REGISTRO...:Quota fissa di abbonamento 
dovuta dalla Cassa per il Mezzogiorno a norma 
dell'art. 26, legge n. 646 del 1950 -Documentazione 
richiesta dall'art. 1 legge n. 1575, del 1951 -Carattere 
probatorio e non essenziale -Esibizione della 
predetta documentazione -Momento utile. 

IMPOSTA DI REGISTRO -Privilegi tributari -Subordinazione 
a determinati presupposti -Applicabilit� 
-Ambito -Limiti -Fattispecie. (Corte di Cassazione, 
Sezione I, Sentenza n. 376/62 -Pres.: Torrente; 
Est.: Favara; P.M.: Gentile (conf.) -Finanze c. Puleo). 

Allorquando l'art. 1 legge n. 1575 del 1951 
(poi trasfuso nell'art. 31 legge n. 634 del 1957) 
dispone che nella quota fissa di abbonamento 
corrisposta dalla Oassa per il Mezzogiorno, a 
norma d'lll'art. 26 legge n. 646 del 1950, sono comprese 
le tasse e le imposte indirette sugli affari 
dovute sui contratti di appalto stipulati dalle 
amministrazioni e dagli enti cui all'art. 8 della 
ricordata legge, relativi a lavori la cui esecuzione 
sia stata affidata, o concessa, agl' enti anzidetti 
dalla Oassa e che, per conseguire il trattamento 
cos� concesso, i contratti di appalto debbono contenere 
la contestuale dichiarazione che essi sono 
stati stipulati ai fini di detta legge ed essere, altres�, 
corredati, da una copia dell'atto di affidamento, 

o concessione, effettuata dalla Oassa per il Mezzogiorno, 
ovvero da analoga certificazione rilasciata 
dalla Oassa stessa, la documentazione cos� voluta 
daUa legge ha carattere probatorio e non essenziale 
in ordine alla effettiva sussistenza dei requisiti 
oggettivi cui soltanto � subordinato il diritto al 
trattamento stesso per l'atto sottoposto a registrazione, 
tanto che non � comminata alcuna decadenza 
dal beneficio anzidetto per il caso in cui 
l'Ufficio, senza richiedere il contestuale deposito 
della documentazione insieme all'atto, lo abbia 
ugualmente registrato a tassa fissa, nella . .ritenut.a 
sussistenza dei requisiti necessari alla concessione 
del predetto beneficio fiscale, per il contestuale 
richiamo contenuto a tale fine nell'atto cos� sotto-� 
posto a registrazione. 

In tale ipotesi, pertanto, bene pu� il contribuente, 
a richiesta dell'Ufficio esibire la documentazione 
a corr�do dell'atto anche in epoca successiva 
e, occorrendo, anche in sede giudiziale, a 
sostegno dell'opposizione all'ingiunzione fiscale intimata 
dall'Ufficio, in seguito ad ispezione degli 
atti registrati ed a confutazione dell'analogo rilievo 
elevato sulla dedotta mancanza del contemporaneo 
deposito da parte del contribuente della prevista 
documentazione al momento della sottoposizione 
dell'atto alla registrazione. 

I privilegi tributari subordinati a determinati 
presupposti sono, in generale, applicabili in quanto 
i presupposti stessi oggettivamente sussistano al 
momento della stipulazione dell'atto a cui vanno 
applicati, salvo che la legge non disponga diversamente 
col prevedere, ad esempio, la decadenza dal 
beneficio per l'inutile decorso dei previsti termini, 
compreso quello prescrizionale, o per il verificarsi 
di determinati eventi dalla legge stessa specificati. 

Nella specie, l'art. 1 legge n. 1575 del 1951 non 
prevede decadenza alcuna dal trattamento fiscale 
concesso, per l'ipotesi in cui si ometta di corredare 
contestualmente alla registrazione l'atto sottoposto 
a tale formalit�, n� alcuna potrebbe, per ci�, aggiungerne 
l'interprete, tanto pi� quanto, in realt�, 
non si tratta di un'esenzione fiscale in senso proprio 
ma, come nel caso specifico, di una mera 
modalit� di pagamento dovuta in abbonamento 
anzich� per ogni singolo atto. 

Trascriviamo la motivazione della sentenza. La 
sentenza � conforme alla precedente n. 1710 del 1961 
in Foro It. 1961, I, 1443 con nota. 

Ool primo mezzo, nel denunziare la violazione 
e falsa applicazione dell'art. 1 della legge 22 dicembre 
1951, n. 1575 e dell'art. 26 della legge 10 
agosto 1950, n. 686, anche in relazione agli art. 12 
e 14 delle disposizioni sulla legge in generale ed 
agli art. 3, 76, 88 e 110 della legge di registro, 

n. 3269 del 1923 ed 8 del Regolamento 23 dicembre 
1897, n. 549, nonch� il vizio di omessa ed 
insufficiente motivazione (art. 360 n. 3 e 5 O.p.c.), 
l'Amministrazione finanziaria censura la sentenza 
della Corte di Palermo per avere a torto disattesa la 
tesi di essa ricorrente, secondo cui non poteva 
attribuirsi rilevanza alla produzione tardiva della 
copia dell'atto di concessione della Oassa per il 
Mezzogiorno, richiesta dalla legge speciale per 
farsi luogo all'agevolazione tributaria. Av��nao il 
legislatore imposto al contribuente l'onere della 
presentazione dei documenti al momento della 
registrazione dell'atto, non sarebbe pi� consentito, 
ad avviso della ricorrente, il completamento 

-82 


della doeumentazione in alcun momento successivo, 
non bastando la semplice inserzione della dichiarazione 
contestuale nel contratto di appalto per ottenere 
la concernione del beneficio tributario, qualora 
essa non sia accompagnata dalla contemporanea 
esibizione della copia dell'atto di concessione, o 
del certificato della Cassa del Mezzogiorno. La 
ricorrente .Amministrazione denunzia, perci�, la 
inesattezza dell'avviso della Corte di merito, secondo 
la cui sentenza la documentazione avrebbe 
funzione invece meramente probatoria, sul presupposto 
inesatto che sia, invece, sufficiente la mera 
esibizione di tale documento, mentre la legge tributaria 
impone l'onere della contestuale presenzione 
alla registrazione del contratto e della relativa 
documentazione, senza che presenti alcun 
riliev:o neppure, in senso contrario, la circostanza 

che la legge non prevede alcuna decadenza espressa 
dall'applicazl.one del beneficio fiscale per il caso dr 
mancata presentazione congiunta dell'atto e della 
richiesta documentazione. 

Le censure del mezzo in esame sono prive di 
giuridico fondamento. 

.Allorquando, infatti, l'art. 1 della legge 22 
dicembre 1951, n. 1575 (poi trasfuso nell'art. 31 
della legge 29 luglio 1957, n. 634) dispone che nella 
quota fissa di abbonamento corrisposta dalla Cassa 
per il Mezzogiorno, ai sensi dell'art. 26 della 
legge 10 agosto 1950, n. 646, sono comprese le 
tasse e le imposte indirette sugli affari dovute sui 
contratti di appalto stipulati dalle amministrazioni 
e dagli enti di -cui all'art. 8 della ricordata legge, 
relativi a lavori la cui esecuzione sia stata affidata, 

o concessa, agli enti anzidetti dalla Cassa e che, 
per conseguire il trattamento cos� concesso, i contratti 
di appalto debbono contenere la contestuale 
dichiarazione che essi sono stati stipulati ai fini 
di detta legge ed essere, altres� corredati da una 
copia dell'atto di affidamento, o concessione, effettuata 
dalla Cassa per il mezzogiorno, ovvero 
da analoga certificazione rilasciata dalla Cassa 
stessa; la documentazione cos� voluta dalla legge ha 
carattere probatorio e non essenziale in ordine alla 
effettiva sussistenza dei requisiti oggettivi cui soltanto 
� subordinato il diritto al trattamento stesso 
per l'atto sottoposto a registrazione, tanto che non 
� comminata alcuna .decadenza dal beneficio anzidetto 
per il caso in cui l'Ufficio, senza richiedere 
il contestuale deposito della documentazione, insieme 
all'atto, lo abbia ugualmente registrato a 
tassa fissa, nella ritenuta sussistenza dei requisiti 
necessari alla concessione dell'anziriferito beneficio 
fiscale, per il contestuale richiamo contenuto a 
tale fine nell'atto cos� sottoposto a registrazione. 
In tale ipotesi, pertanto, bene pu� il contribuente, 
a richiesta dell'Ufficio, esibire la documentazione a 
corredo dell'atto anche in epoca successiva e, 
occorrendo anche in sede giudiziale, a sostegno 
della opposizione alla ingiunzione fiscale intimata 
dall'Ufficio, in seguito ad ispezione degli atti registrati, 
ed a confutazione dell'analogo rilievo elevato 
sulla dedotta mancanza del contemporaneo 
deposito da parte del contribuente della prevista 
documentazione al momento della sottoposizione 
dell'atto alla registrazione. 
Va ricordato, d'altro canto, che i privilegi 
tributari subordinati a determinati presupposti 
sono, in generale, applicabili in quanto i presupposti 
stessi oggettivamente sussistono al momento 
della stipulazione dell'atto a cui. vanno applicati, 
salvo che la legge non dispong�" d�versamente, col 
prevedere, ad esempio, la decadenza dal beneficio 
per l'inutile decorso dei previsti termini (compreso 
quello prescrizionale) o per il verificarsi di determinati 
eventi dalla legge stessa specificati 
(cfr. su ci� Cassazione, 14 luglio 1961, n. 1710; 
Cassazione, 7 febbraio 1961, n. 254 e Cassazione 
25 febbraio 1960, n. 334 e 335). Ora, l'art. 1 della 
legge n. 1575 del 1951 non prevede decade.nza 
alcuna dal trattamento fiscale concesso, per l'ipotesi 
in cui si ometta di corredare contestualmente 
alla registrazione l'atto sottoposto a tale formalit�, 
n� alcuna potrebbe, perci�, aggiungerne l'interprete, 
tanto pi� quanto in realt�, non si tratta di una 
esenzione fiscale in senso proprio, ma come nella 
specie, di una mera modalit� di pagamento dell'imposta 
dovuta, in abbonamento, anzich� per 
ogni singolo atto, cos� come previsto, appunto, dal 
l'art. 26 della legge 10 agosto 1950, n. 646 per la 
Cassa del Mezzogiorno, poi estesa anche agli atti 
di esecuzione indiretta neceESaTi al raggiungimento 
dei f�ni pubblicistici perseguiti dalla Cassa 
stessa, con l'art. 1 della ricordata legge n. 1575 
del 1951. 

Non si contesta dall'.Amministrazione finanziaria 
ricorrente che, nel caso in esame, i requisiti 
oggettivi per la concessione del trattamento fiscale 
previsto sussistevano fin dal momento della stipulazione 
dell'atto, senza mai essere venuti meno successivamente, 
neppure si nega che dall'atto stesso 
risultava la contestuale dichiarazione di riferimento 
della stipulazione al raggiungimento dei 
fini voluti dalla legge, cos� come richiesto dall'articolo 
1 della legge 22 dicembre 1951, n. 1575, 
cosicch� la tesi dell'.Amministrazione si riduce nel 
sostenere che la circostanza della mancata unione 
della copia dell'atto di affidamento a quello da 
registrare implicava, per ci� solo, la decadenza dal 
trattamento concesso: ora la tesi � evidentemente 
insostenibile non solo perch� aggiungerebbe alla 
legge una causa di decadenza che l'interprete non 
sarebbe sicuramente autorizzato ad inserire nel 
testo legislativo, ma anche perch� si risolverebbe, 
oltre tutto, in un duplice pagamento della tassa di 
registrazione, una volta corrisposta in abbonamento 
ed una seconda volta pagata, poi, sul singolo 
atto che pure si riconosce ricompreso tra. quelli 
che oggettivamente erano gi� stati tassati in abbonamento, 
e ci� solo perch� l'atto sottoposto 
a registrazione non era stato contestualmente corredato 
dalla certificazione voluta dalla legge, ma 
dalla quale lo stesso Ufficio aveva ritenuto di 
potere inizialmente prescindere, registrando l'atto 
a tassa fissa senza il corredo della documentazione, 
nella convinzione (del tutto esatta) della 
esistenza oggettiva dei presupposti �di legge__ per 
la concessione del trattamento in questione, �e 
del gi� seguito pagamento della tassa in abbonamento. 
La mancanza della contestuale documentazione 
poteva, al pi�, importare che l'Ufficio poteva 


-83 


richiedere tale adempimento di carattere probatorio 
al contribuente, in qualsiasi momento iniziale, 

o successivo; ma in nessun caso ci� poteva importare, 
invece, la decadenza dal trattamento quando, 
oltre tutto, rientrando l'atto oggettivamente (come 
non si discute) tra quelli per cui la tassa era 
gi� stata corrisposta in abbonamento, non si sa 
perch� l'Ufficio ne potrebbe richiedere una seconda 
volta il pagamento al contribuente, quasi che 
la tassa -per la sola circostanza della mancata 
esibizione contestuale della documentazione probatoria 
-non fosse gi� stata da tempo liquidata 
e percepita in via di abbonamento cumulativo, ai 
sensi dell'art. 26 della legge 10 agosto 1950, n. 646, 
anche per l'atto in questione, insieme a tutti 
quelli per i quali l'abbonamento era oggettivamente 
valido ed esteso. Comunque riguardato, perci�, 
il motivo in esame si rivela del tutto privo di 
fondamento giuridico ed il suo rigetto travolge 
anche il secondo mezzo col quale, nel rinnovare la 
denunzia di violazione delle disposizioni di legge 
sopra ricordate, l'Amministrazione si duole perch� 
la sentenza avrebbe, a torto, ritenuta valida l'esibizione 
della documentazione fatta dal contribuente 
solo in sede giudiziale, anzich� davanti 
all'Ufficio. .Ancora una volta; infatti, VA.mministrazione 
sostiene, senza fondamento, che la mancata 
presentazione della documentazione all'atto 
stesso della registrazione avrebbe importata la 
decadenza del contribuente dal trattamento tributario 
in esame, mentre -come si � visto .
una tale decadenza non sussiste, almeno nella 
formulazione chiarissima della legge al riguardo, 
o, comunque, nel sistema della legge tributaria 
nel registro cui invano la ricorrente Amministrazione 
fa pure richiamo. In realt�, la documentazione 
richiesta ha un carattere meramente probatorio 
e non essenziale, rivolto come � solo a dimostrare 
la computabilit� del singolo atto in concreto 
fra quelli per i quali la tassa viene corrisposta 
all'erario globalmente, sotto forma di abbonamento, 
dalla Cassa per il Mezzogiorno, ai sensi 
dell'art. 26 della legge n. 646 del 1950. Una volta 
raggiunta tale prova � chiaro che l'atto non pu� 
essere tassato una seconda volta, senza convertire 
tale secondo pagamento in definitiva in una forma 
di ammenda per la mancata contestuale documentazione, 
(neppure, si noti, richiesta nella specie 
dall'Ufficio al momento della registrazione) che, 
ancora una volta, l'interprete non � in modo alcuno 
autorizzato ad aggiungere al chiaro testo di legge, 
che regola il caso in esame, con giusto contemperamento 
delle esigenze del contribuente e di quelle 
dell'Ufficio, e senza il ricorso a forma di penalizzazione, 
decadenza, o altra sanzione, quale in 
sostanza -l'interpretazione proposta dalla 
Amministrazione ricorrente verrebbe a stabilire, 
ponendo come termine finale per la facolt� di documentazione 
ora il momento della registrazione, 
ed ora quello della opposizione giudiziale alla 
ingiunzione fiscale, con una incertezza del tutto 
spiegabile perch�, in realt�, l'interpretazione proposta 
aggiunge alla legge e non si limita, come 
invece dovrebbe, a spiegarla negli effetti realmente 
e solamente voluti. 

IMPOSTA DI REGISTRO -Societ� -Scadenza del 

termine -Deliberazione di proroga della durata 


-Non d� luogo alla costituziane di un nuovo ente 


Tassa proporzionale di registro -Inapplicabilit�. 

(Corte di Cassazione, Sezione :r, Sent(:lm;~ ,595/62 -

Pres.: Torrente; Est.: Malfitano; P.M.: Cutrupia 

(conf.) -Ticozzi c. Amministrazione delle Finanze(. 

La deliberazione di proroga del termine di 
durata della societ� adottata dopo la scadenza 
di ew;o, con la quale i soci, manifestando la volont� 
che l'ente sociale debba continuare ad esistere 
senza soluzione di continuit�, eliminano la causa 
di scioglimento e revocano la liquidazione intrapresa, 
non d� luogo alla costituzione di un nuovo 
ente separato o distinto dal precedente, ma determina 
la ripresa della normale attivit� della societ� 
e il ritorno di questa allo stato antecedente al 
verificarsi della causa di scioglimento; tale deliberazione 
non �, pertanto, soggetta alla imposta 
proporzionale di registro prevista dall'art. 81 della 
tariffa allegato A del R.D. 30 dicembre 1923, 

n. 3269, per gli atti di costituzione o di fusione di 
societ� con conferimento di beni di varia natura. 
Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza, 
e una nota del collega Adriano Rossi. 

Con i due motivi del ricorso, strettamente connessi 
denunciandosi la violazione degli articoli 
2448 del codice civile e 81 della tariffa A allegata 
alla legge di registro del 30 dicembre 1923, n. 3269, 
si sostiene che la Corte di merito, pur avendo esattamente 
affermato che il verificarsi delle cause 
di scioglimento della societ� non ne produce 
l'estinzione, ha erroneamente ritenuto che la deliberazione 
di proroga del termine di durata della 
societ� a r.l. �La Giulia �, adottata dopo la scadenza 
di esso, importi l'annullamento degli effetti 
dello scioglimento e dia luogo alla costituzione 
di un nuovo ente sociale e, conseguentemente, renda 
applicabile a tale deliberazione l'imposta proporzionale 
di registro prevista dal citato articolo per 
gli atti di costituzione e fusione di societ�. Si 
aggiunge che non essendovi stati nuovi conferimenti 
di beni alla societ�, n� atti di assegnazione 
di beni sociali ai soci non poteva, comunque, 
essere applicata la menzionata imposta la quale 
colpisce i trasferimenti di ricchezza. 

La censura � fondata. 

La deliberazione di proroga del termine di 
durata della societ� presa dall'assemblea dei soci 
dopo la scadenza di esso non comporta la costituzione 
di un nuovo ente sociale, e, pertanto, non 
� soggetta alla imposta proporzionale di registro 
dovuta, a norma dell'art. 81 della tariffa allegato 
A del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, per 
gli atti di costituzione o di fusione di societ� con 
conferimenti di beni di varia natura. 

Questa Corte Suprema ha altre volte affermato 
che lo scioglimento e la messa in liquidazi�rie dell~ _ 
societ�, da qualunque causa siano determinati, 
non producono la estinzione dell'ente sociale 
perch� questo, durante la fase di liquidazione 
continua ad esistere sebbene nsuo scopo sia modifi



:::

mr-mw-ncw& 


-84


cato e ristretto, in quanto esso tende non pi� 
all'esercizio dell'attivit� imprenditrice oggetto del 
patto sociale, ma alla definizione dei rapporti in 
corso sorti nella fase precedente, al pagamento 
delle passivit� e alla ripartizione degli utili tra i 
soci e ha, altres�, ritenuto che verificatasi la causa 
di scioglimento l'assemblea dei soci pu�, all'unanimit�, 
eliminare gli effetti revocando la liquidazione 
(v. sent. 2068 del 60, 299 del 1961 e 2365 
del 1961). 

Ora, se durante la fase di liquidazione la societ� 
� ancora in vita, la deliberazione di proroga del 
termine di durata della societ� adottata dopo la 
scadenza di esso, con la quale i soci, manifestano 
la volont�, che l'ente sociale debba continuare ad 
esistere senza soluzione di continuit�, eliminano 
la causa di scioglimento e revocano la deliberazione 
intrapresa, non d� luogo alla costituzione 
di un nuovo ente separato e distinto dal precedente, 
ma determina la ripresa della normale 
attivit� della societ� e il ritorno di questa allo 
stato antecedente al verificarsi della causa di 
scioglimento. 

La sopravvivenza della societ� durante lo stato 
di liquidazione � inconciliabile con la sua ricostituzione 
la quale, presuppone l'esaurimento del 
procedimento di liquidazione e richiede la stipulazione 
di un nuovo contratto con l'osservanza 
delle forme all'uopo richieste. 

Escluso che la deliberazione di proroga del 
termine di durat,11 della societ� intervenuta dopo 
la scadenza di esso, importi la costituzione di 
un nuovo ente sociale, ne deriva la inapplicabilit� 
ad essa della imposta proporzionale di registro 
dovuta per gli atti di costituzione o di fusione 
delle societ�. A conferma di tale conclusione va 
rilevato che la imposta medesima, essendo dovuta 
per gli �atti di costituzione o di fusione di societ� 
con conferimento di danaro o di beni mobili, di 
contratti di locazione di cose o di opere di stabilimenti 
industriali o di altri immobili�, colpisce gli 
atti medesimi in quanto con essi si attua un trasferimento 
di ricchezza. 
� Ora, la deliberazione con la quale dopo la scadenza 
del termine di durata della societ� si provvede 
puramente e. semplicemente alla proroga di 
esso non attua alcun trasferimento di ricchezza, 
perch�, essendo diretta a far riprendere alla societ� 
la attivit� esercitata prima del verifi�arsi della 
causa di scioglimento, non stabilisce alcun conferimento 
di beni. 

Nella specie la Oorte di merito non si � uniformata 
ai suesposti principi .perch� ha ritenuto che 
la deliberazione con la quale l'assemblea straordinaria 
della societ� a responsabilit� limitata 
�La Giulia� prorog� il termine di durata di essa 
dopo la scadenza importasse la ricostituzione 
dell'ente disciolto, e, pertanto, fosse soggetta alla 
imposta proporzionale prevista dall'art. 81 della 
tariffa allegato A della legge di registro, anzich� 
alla imposta fissa prevista dall'art. 86 della tariffa 
medesima per �le dichiarazioni di proroga 
della societ� e le modificazioni di statuto �. 

Oonsegue che si deve accogliere il ricorso, cassare 
la sentenza impugnata in relazione ai motivi 

accolti e rinviare la causa per nuovo esame ad 
altra Corte di appello che si uniformer� al seguente 
principio: �La deliberazione di semplice proroga 
del termine di durata della societ�, intervenuta 
dopo la scadenza di esso, non importa la costituzione 
di un nuovo ente sociale, e, pertanto, non 
� soggetta alla imposta proporzionale prevista 
dall'art. 81 della tariffa allegato A della legge di 
registro per gli atti di costituzione o di fusione 
di societ� �. 

REVOCA DELLO STATO DI LIQUIDAZIONE DI UNA 
SOCIET� DI CAPITALE E L'IMPOSTA DI REGISTRO. 

1) Una recente decisione del Supremo Oollegio 
ha riproposto all'attenzione di tutti coloro che si 
interessano di problemi societari, la delicata questione 
circa la tassa applicabile alla deliberazione 
di revoca dello stato di liquidazione di una societ� 
di capitale. Il problema, come � noto, nasce dal 
fatto che la legge di registro regola con distinti articoli 
della tariffa allegato � la diversa situazione 
della costituzione e della proroga di una societ�, 
(per l'art. 81 la costituzione o fusione di una societ� 
di qualunque specie � assoggettabile alla tassa 
proporzionale di cui all'art. 1 della tariffa, per 
l'art. 86 invece la delibera di proroga � soggetta alla 
sola tassa fissa), mentre nulla dispone circa la delibera 
di revoca della liquidazione. 

Il problema, come risulta chiaro, consiste nello 
stabilire quale dei due articoli della tariffa sia applicabile 
alla delibera di revoca, dato che la legge tributaria 
non ha risolto espressamente il caso. Oonseguentemente 
in conformit� all'art. 8 della legge di 
registro il compito dell'interprete � quello di stabilire 
la natura della delibera di revoca dello stato di liquidazione 
tenendone in considerazione soprattutto gli 
effetti. 

La soluzione accolta dal Supremo Collegio nella 

gi� richiamata decisione � conforme ad un suo 

ormai lontano precedente e all'opinione della dot


trina dominante. Ha ritenuto la Oassazione che la 

deliberazione di proroga nel termine di durata della 

societ�, intervenuta dopo la sua scadenza, non im


porta la costituzione del nuovo ente sociale, e, per


tanto, non � soggetta alla imposta proporzionale 

prevista dall'art. 81 della tariffa allegato A della 

legge di registro per gli atti di costituzione o fusione 

di societ�. 

Di diverso avviso � invece la prevalente giurispru


denza della Oommissione Oentrale delle imposte 

che ha sempre affermato che la delibera di revoca 

dello stato di liquidazione deve essere assog


gettata all'imposta prevista dall'art. 81 della tariffa 

allegato A. 

La disparit� di opinioni � tuttora viva, e rite


niamo pertanto non inopportuno svolgere alcune 

considerazioni che, a nostro parere, possono por


tare qualche utile contributo nella ricerca di una 

soluzione appagante. 

Nelle osservazioni che svolgeremo, affronteremo.. ii


problema in relazione al verificarsi di una qual


siasi causa di scioglimento e in tale indagine sa


ranno utilizzati i risultati a cui � giunta la dottrina 

commercialistica sul punto, perch�, pensiamo, che 


-85


solo una esatta impostazione in termini commercialistici 
della questione possa portare ad una soluzione 
soddisfacente. La pi� autorevole dottrina e la giurisprudenza 
della Oorte di Oassazione insegnano, infatti, 
che ove la norma tributaria non disponga direttamente, 
in tal modo affermando la sua autonomia dal 
sistema del diritto privato, ritorni applicabile questo 
ultimo ordinamento per cui ad esso bisogna rifarsi 
per una retta interpretazione della norma tributaria. 

Nell'esame del problema postoci riteniamo che 
occorra procedere per gradi esaminando prima le 
conseguenze del verificarsi di una causa di scioglimento 
della societ�, passando quindi all'esame degli 
effetti che derivano dallo scioglimento e infine alla 
ammissibilit� della revoca e alle sue conseguenze. 

2) Il primo punto su cui dobbiamo fermare la 
nostra attenzione �, pertanto, quello che riguarda 
gli effetti che si producono al verificarsi di una 
causa di scioglimento della societ�. Si ritiene da 
parte della dottrina e dalla giurisprudenza delle 
Oommissioni tributarie che al verificarsi di una 
causa di scioglimento la societ� si estingue, traendo 
da ci� l'ulteriore conseguenza che la deliberazione 
di revoca determina la costituzione di un nuovo ente 
sociale. 

Tale affermazione viene sostenuta con vari argomenti. 
Oon un primo argomento si afferma che venendo 
a cessare a seguito dello scioglimento della 
societ�, lo scopo sociale, cessa la titolarit� dell'ente sul 
suo patrimonio, subentrandovi quella dei singoli soci. 

Oon un secondo argonwnto si fa leva sulla volont� 
dei soci al momento della costituzione. Si afferma 
che se la volont� dei soci ha stabilito che per una 
certa ragione (ad esempio scadenza del termine) la 
societ� si sciolga, i soci hanno inteso che al verificarsi 
della causa da essi prevista la societ� cessi 
di esistere. Tale teoria, che riprende soluzioni 
accolte, sempre con scarsa fortuna, anche sotto il 
vigore dell'abrogato Oodice di commercio, pu� essere 
superata, e infatti � stata superata con argomentazioni 
del tutto convincenti. 

Si � fatto giustamente richiamo alla lettera della 
legge (arg. art. 2456 O.O.) e si � osservato che poich� 
il legislatore ha ritenuto idoneo strumento per il 
conseguimento di dati fini la concessione deUa personalit� 
giuridica, occorrerebbe dimostrare che al 
verificarsi di una causa di scioglimento verrebbero 
meno le ragioni per il permanere della personalit�, 
mediante una espressione non equivoca dello stesso 
legislatore. Ora, si rileva ancora, non solo non esistono 
norme contenenti detta prescrizione, ma, anzi, 
sussistono affermazioni non equivoche che lasciano 
ritenere il contrario. 

Si � ancora osservato, sul piano logico, che i due 
argomenti addotti dai sostenitori della teorica contrastata 
sono inconsistenti. Non � vero, infatti, che a 
seguito del verificarsi di una causa di scioglimento 
del vincolo sociale cessi lo scopo della societ�; al pi� 
si � detto, potr� verificarsi una modifica dello scopo 
sociale (passandosi da uno scopo di lucro ottenuto 
attraverso l'esercizio di una attivit�, ad uno scopo 
di lucro ottenuto attraverso la liquidazione del patrimonio) 
ma mai il venir meno dello scopo sociale. 

Infine l'argomento tratto dal preteso richiamo 
alla volont� sociale pu� facilmente superarsi argo


mentando dal fatto che essendo la personalit� giuridica 
un effetto dell'ordinamento e non della volont� 
ben pu� la volont� venir meno e permanere la persona 
giuridica anche se a scopi pi� limitati. 

3) Ritenuto che il verificarsi di unar-causa di 
scioglimento non determina l'estinzione della persona 
giuridica, occorre esaminare quali altri effetti pu� 
determinare lo stesso evento. 

La dottrina dominante ritiene che il verificarsi 
di una causa di scioglimento apra, ipso jure, la 
tase di liquidazione. Tale affermtt~ne � stata recenfemente 
contrastata. 

Si � sostenuto che il verificarsi di una causa di 
scioglimento prevista dall'art. 2448 O. O. non deter.
minerebbe l'apertura della fase iJJ liquidazione del� 
l'ente sociale, ma solo farebbe sorgere negli amministratori 
della societ� l'obbligo di astenersi da nuove 
operazioni e di convocare l'assemblea; mentre a 
quest'ultima spetterebbe la facolt� di decidere se 
aprire lo stato di liquidazione o continuare l'esercizio 
dell'attivit� sociale eliminando con una modifica 
dello statuto, eventualmente necessaria, il fatto produttivo 
dello scioglimento. Pertanto secondo l'autore di 
cui stiamo riportando le conclusioni, il verificarsi 
di una delle situazioni di cui all'art. 2448 O.O. avrebbe 
come conseguenza di far sorgere nell'assemblea, che 
deve a tal fine essere necessariamente convocata 
dagli amministratori, il potere di scegliere tra lo 
scioglimento della societ� o l'eliminazione della causa 
di scioglimento e la prosecuzione dell'attivit� sociale. 
La tesi di cui trattasi si basa su una serie di considerazioni. 
L'argomento principale tuttavia � tratto 
dall'esame dei lavori preparatori alla riforma del 
vigente Oodice civile soprattutto dall'art. 309 del progetto 
Asquini e dalla relazione del Guardasigilli, 
nella quale ultima si afferma che al verificarsi di una 
causa di scioglimento gli amministratori debbono 
promuovere una deliberazione dell'assemblea, alla 
quale � demandata anch.e la facolt� di reintegrare 
l'elemento dell'atto costitutivo venuto meno e disporre 
la continuazione della societ�. Da tale premessa 
l'autore trae la conseguenza che il determinarsi di 
una causa di scioglimento non fa sorgere alcun 
diritta individuale del socio e che nessun diritto pu� 
vantare il socio alla cessazione del vincolo sociale. 

La tesi che abbiamo esposto, si basa su argomenti 
a nostro parere facilmerite superabili e pertanto 
riteniamo non possa es8ere seguita. 

Abbiamo gi� osservato infatti che l'argomento principale 
a sostegno dell'opinione che stiamo commentando 
l'autore lo ricava dall'esame dei lavori preparatori. 
Ora � ri8aputo che la opinione dei compilatori 
della legge, intanto ha valore in quanto trovi il suo 
fondamento nella lettera e nel sistema della stessa. 
Nella specie, l'esame del dato normativo (argomenta 
art. 2448 e 2449 O.O.) consente di escludere una 
qualunque convalida all'opinione sopra riportata; 
l'art. 2448 infatti espressamente dichiara che �la 
societ� si scioglie � per una delle cause di cui ai numeri 
1, 2, 3, 4, 5 e 6; e l'art. 2449 a chia_r:e_lettere 
parla di �fatto che determina lo scioglimento della,_ 
societ� � il che sembra espressione troppo evidente 
per consentire opinioni diverse. D'altra parte tutte 
le argomentazioni che si basano sull'opinione di 
coloro che .hanno partecipato alla elaborazione della 


-86 


legge si prestano, se non trovano fondamento su solide 
basi letterali, a motivo di facile ritorsione. Sembra 
infatti facile obiettare che se i principi accolti nei 
vari progetti di riforma possono essere stati abbandonati 
nella relazione definitiva del testo legislativo, 
come dimostrerebbe il fatto che la lettera della legge non 
offre nessun appiglio alla interpretazione proposta. 

Ma a parte le osservazioni che precedono, sembra 
che le obiezioni mosse dalla opinione che si critica 
alla dottrina dominante non siano assolutamente 
insperabili, e da ci� pertanto si pu� trarre l'ulteriore 
e definitivo motivo di convincimento circa la bont� 
della tesi seguita dalla maggioranza della dottrina. 

Obietta infatti l'autore che stiamo commentando 
che affermare l'esistenza di un diritto individuale 
del socio allo scioglimento della societ� � una petizione 
di principio. Ci� � esatto solo se si parte dalla 
premessa che il verificarsi di una causa di scioglimento 
non determina l'apertura della fase di liquidazione. 


Se si accoglie l'opinione opposta deve invece ritenersi 
che per effetto del verificarsi della causa di 
scioglimento W3lla societ� il socio venga a trovarsi 
titolare di una particolare situazione soggettiva. N � 
maggior. pregio ha l'affermazione che consentendo 
all'assemblea di eliminare la causa di scioglimento 
il legislatore ha voluto garantire ai soci nel loro 
interesse e in quello della collettivit� il potere di rimettere 
la societ� nella sua piena attivit� per mezzo 
di una modifica statutaria; la lettera della legge 
al contrario � chiaramente orientata nel senso di 
garantire l'interesse del socio a che il vincolo da lui 
contratto abbia un certo termine. 

Respinta pertanto l'opinione che abbiamo sopra 

riportata si deve ritenere, secondo l'opinione domi


nante che il verificarsi di una causa di scioglimento 

apra la fase di liquidazione della societ� essendo 

rimesso solo all'assemblea il potere di accertare, 

con solo effetto dichiarativo, se il fatto ritenuto dalla 

legge causa di scioglimento si sia verificato o meno, 

nei casi in cui il verificarsi di una causa di sciogli


mento possa dar luogo a dubbi. 

4) Proseguendo nelle indagini circa gli effetti pro


dottisi dal verificarsi di uno dei fatti previsti dallo 

art. 2448 C. c. e stabilito che al loro accadere si deter


mina di diritto il passaggio della societ� nella fase 

di liquidazione, occorre chiederci quali conseguenze 

si operano nella societ� per effetto dell'avverarsi W3lla 

causa di scioglimento. Bisogna in altre parole accer


tare quali siano gli effetti dello scioglimento. 

La lettera della legge non offre sicuri elementi 

per la risoluzione di tutti i problemi che sono stati 

posti e si pongono in questo, delicato momento nella 

vita della societ�. L'art. 2449 C. c. si limita a dire 

che gli amministratori non possono compiere nuove 

operazioni e che devono convocare entro trenta giorni 

dal verificarsi Ml fatto l'assemblea per le deliberazioni 

relative alla liquidazione; mentre l'art. 2451 c. c. san


cisce il principio che le norme sull'assemblea e sull'or


gano di controllo si applicano anche durante la liqui


dazione, purch� compatibili con la liquidazione stessa. 

Sulla base del dettato legislativo dottrina e giuri


sprudenza si sono affannate nella ricerca di una 

soluzione al problema postaci. Due comunque sono 

le tesi che trovano maggior credito. Per una corrente 

dottrinaria, seguita da alcune decisioni delle magistrature 
di merito e da una decisione del Supremo 
Collegio, il verificarsi di una causa di scioglimento 
determina una modifica nella struttura della organizzazione 
sociale. 

La seconda corrente invece seguita dalla giurisprudenza 
prevalente del Supremo Collegi oritiene che 
la causa di scioglimento determini lo scioglimento 
del contratto sociale. 

La prima tesi, a sua volta, si sdoppia in due opinioni 
contrastanti: per l'una la modificazione intervenuta 
col verificarsi della causa di scioglimento 
nell'organizzazione sociale non determina alcuna 
conseguenza a favore dei soci, mentre per l'altra 
il verificarsi di una causa di scioglimento determina 
nel socio la titolarit� del diritto alla quota di liquidazione. 


Diciamo subito che a parer nostro quest'ultima 
opinione, se pure autorevolmente sostenuta, non 
sembra possa trovare accoglimento. 

Da pi� parti infatti � stato osservato che l'affermazione 
che al verificarsi di una causa di scioglimento 
sorge il diritto del socio alla quota di liquidazione 
significa dare per dimostrato quello che dimostrato 
non �, e cio� che al verificarsi della causa di 
scioglimento pur rimanendo integra la base contrattuale 
della societ� sorga un diritto rinunziabile del 
socio alla quota di liquidazione. E' ben vero che riconoscendo 
al socio il diritto alla quota di liquidazione 
viene riconosciuto un limite al vincolo di partecipazione 
del socio e quindi si viene a tutelare l'interesse 
del socio nei confronti della societ�, ma ci� che bisogna 
dimostrare � appunto che il sistema legislativo 
protegga tale diritto del socio. 

Tale dimostrazione sembra difficile raggiungere 
se si riconosce, come l'opinione che stiamo esponendo 
riconosce, che la causa di scioglimento opera solo 
una modifica nell'organizzazione sociale. Se infatti 
tale � la conseguenza del verificarsi di una causa 
di scioglimento non si comprende perch� debba intervenire 
una deliberazione unanime e non una semplice 
delibera maggioritaria perch� siano eliminati 
gli effetti della causa di scioglimento. 

L'alternativa posta dall'art. 2451 C. c. � una sola e 

non duplice; o l'assemblea pu� revocare lo stato di 

liquidazione, perch� tale stato non � incompatibile 

con la continuazione delle operazioni sociali, oppure 

la revoca della liquidazione � incompatibile con la 

liquidazione stessa e allora non si comprende come 

l'assemblea possa revocare tale stato sia a maggio


ranza che all'unanimit�. In altre parole non � la 

natura maggioritaria o unanime della delibera che 

determina la possibilit� di far cessare la liquidazione, 

ma solo il fatto che la legge ritenga tale delibera am


missibile e quindi giuridicamente produttiva di effetti. 

Se le considerazioni che precedono sono esatte, ci 

sembra che il problema centrale della questione che 

stiamo esaminando stia nella risoluzione della alter


nativa tra modifica dell'organizzazione della societ� 

e scioglimento del contratto sociale come -conseguenza 

del verificarsi di una causa di scioglimento. -�


Le argomentazioni prospettate dalla dottrina a 

favore dell'una o dell'altra tesi sono cosi varie che il 

riportarle, anche succintamente, ci porterebbe troppo 

distante ed esorbiterebbe dai limiti che ci siamo imposti. 


-87


Riteniamo pertanto opportuno esporre quella che 
secondo noi � la soluzione da adottare, senza tuttavia 
nasconderci la delicatezza dell'argomento. 

5) Alla luce dei principi accolti, ritenuto cio� che 
il verificarsi della causa di scioglimento provoca 
l'aprirsi di diritto della fase di liquidazione della 
societ� e che durante la fase di liquidazione la persona 
giuridica non si estingue, ci sembra di poter 
affermare che il verificarsi di uno dei fatti previsti 
dall'art. 2448 O. c. incida sul vincolo contrattuale 
su cui poggia la societ� e determini l'esaurimento 
dei suoi effetti tipici. 

Oi� secondo noi si ricava dall'esame delle singole 
cause di scioglimento previste dall'art. 2448 O. c., in 
relazione alla volont� dei soci al momento della 
conclusione del contratto di societ�. Non ci sembra 
dubbio infatti che la scadonza del termine (n. 1) o 
il verificarsi di un fatto a cui i soci abbiano ricollegato 
lo scioglimento della societ� (n. 6) si ricolleghi 
alla volont� dei soci di por termine al vincolo sociale. 
Ma lo stesso effetto deve ricollegarsi anche alle cause 
di scioglimento di cui ai nn. 2, 3, 4 e 5 dell'articolo 
2448. E' la legge qui che ad integrazione della 
volont� delle parti (art. 1364) stabilisce che il conseguimento 
dell'oggetto sociale o l'impossibilit� di conseguirlo, 
l'inattivit� continuata o l'impossibilit� di 
funzionamento dell'assemblea, la riduzione del capitale 
al di sotto del minimo legale senza reintegra ed 
infine la deliberazione dell'assemblea determinino 
l'esaurimento degli effetti tipici del contratto sociale. 

Una prima obiezione p, tale ragionamento potrebbe 
discendere dal rilievo che se � rimesso ad una deliberazione 
dell'assemblea, la quale decide naturalmente 
a maggioranza, produrre l'effetto dello scioglimento 
della societ�, vuol dire che lo scioglimento opera solo 
sull'organizzazione sociale e non sul contratto. Ma 
l'obiezione � superabile. Sembra infatti facile rispondere 
che essendo il legislatore libero di diporre come 
ritiene piu opportuno nell'interesse generale ben pu� 
rimettere alla valutazione della maggioranza il verificarsi 
di una causa di scioglimento. D'altronde 
non ci sembra che sul piano logico alcun ostacolo si 
opponga ad ammettere che durante la vita del eontratto 
sociale sia rimesso alla maggioranza valutare 
l'opportunit� di sciogliere la societ�. Quello che 
invece non ci sembra ammissibile � che il legislatore 
ritenga che la maggioranza possa far continuare il 
contratto quando questo ha esaurito i suoi effetti. 

La soluzione accolta � stata sottoposta a serrate 
critiche. 

Si � osservato che se fosse vero che il verificarsi 
di una causa di scioglimento determina lo scioglimento 
del contratto sociale non si potrebbero spiegare 
gli obblighi dei soci durante la fase di liquidazione. 

L'osservazione � frutto di un equivoco. Non si 
dice infatti che a seguito del verificarsi di una causa 
di scioglimento il contratto sociale non produce pi� 
alcun effetto; si � detto invece che esso non produce 
pi� i suoi effetti tipici e cio� l'obbligo dei soci di 
proseguire l'esercizio in comune di una attivit� economica 
allo scopo di dividerne gli utili. Oi� � quanto 
dire che al verificarsi di una causa di scioglimento 
non si estinguono tutti gli effetti contrattuali ma 
cessano solo gli effetti tipici permanendo il vincolo 
contrattuale ai soli fini della defini~ione dei rapporti 

in corso. Accade in sostanza quanto avviene in alcuni 
contratti di durata, si pensi ad esempio all'apertura 
di credito e al contratto di conto corrente. Nell'apertura 
di credito la scadenza del termine non fa venire meno 
l'obbligo dell'accreditato di rimborsare le somme utilizzate 
e di pagare gli interessi e le provvigioni nel 
frattempo maturate. Lo stesso dicasi per il contratto 
di conto corrente dove la scadenza del termine produce 
l'obbligo della liquidazione del saldo, che non � 
un effetto tipico del contratto ma una conseguenza 
del suo esaurirsi. Per altra via si � cercato di dimostrare 
che le cause di scioglimento incidono sulla 
organizzazione sociale e non sul contratto. 

Si � osservato che le cause di scioglimento variano 
secondo i vari tipi di organizzazione sociale alla 
quale il contratto ha dato vita, mentre la nozione 
di contratto di societ� � identica per ogni tipo sociale. 
Da ci� si � tratta la conseguenza che se diverse sono 
le cause di scioglimento, vuol dire che le cause di 
scioglimento attengono all'organizzazione e non al 
contratto. 

Anche tale osservazione �, come � evidente, frutto 
di un equivoco. E' ben vero infatti che la nozione 
di contratto di societ� � identica per ogni tipo di organizzazione 
ma � altresi vero che ogni contratto che 
costituisce una certa organizzazione sociale fa sorgere 
un tipo di contratto, dell'ampia categoria dei 
contratti di societ�. I contratti di societ� hanno tutti 
le medesime caratteristiche generali ma essi si diversificano 
in concreto a seconda della organizzazione 
di cui costituiscono la base. In altre parole esiste una 
categoria generale contratto di societ� (art. 2247 

O. c.) ed esistono vari tipi di contratti sociali a se� 
conda dell'organizzazione a cui danno vita. Ragionando 
diversamente si finirebbe col dire che � l'organizzazione 
che d� vita al contratto e non viceversa, 
il che � palesamente assurdo. 
Si � infine osservato che se la personalit� giuridica 
della societ� continua a permanere durante la fase 
di liquidazione non � consentito distinguere tra atti 
dei soci e atti della societ�. 

Il rilievo non sembra apprezzabile in quanto 
irascura una osservazione gi� fatta che sono atti 
della societ� quelli che attengono alla liquidazione 
ma che non possono considerarsi atti sociali quelli 
che alla liquidazione non attengono perch� il contratto 
sociale ha esaurito ogni altro effetto salvo per quanto 
riguarda la procedura di liquidazione dei rapporti 
pendenti. 

6) Sembra ora possibile passare all'esame della 
natura della cosidetta delibera di revoca dello stato 
di liquidazione. 

Se le considerazioni sinora svolte sono esatte, ci 
sembra non possa discendere altra conseguenza da 
quanto sinora detto se non che la cosiddetta delibera 
di revoca della liquidazione non � atto imputabile 
alla societ�, perch� i soci non sono piu legati dal 
vincolo contrattuale che col verificarsi della causa 
di scioglimento � cessato. Conseguentemente la cosiddetta 
delibera di revoca ha natura di contratto con cui 
i soci decidono la �reviviscenza � della soci�t�. ormai 
in via di estinguersi. 

Tale ultima conclusione � stata fieramente avversata 
da pi� parti, con considerazioni che possonq 
in breve <Josi sinteti~~arsi, 


-88


Si � detto che la deliberazione di revoca � pur sempre 
un atto della societ� e non un atto dei soci perch� 
altrimenti la delibera di revoca, poich� manca delle 
formalit� richieste dalla legge, non potrebbe in alcun 
modo produrrP; l'effetto di ricostituire una nuova 
societ�. Si � aggiunto che, comunque, una ricostituzione 
della societ� in pendenza della liquidazione 
non � possibile perch� durante il periodo di liquidazione 
la vecchia societ� continua la sua esistenza. 

Le osservazioni che precedono sembrano anch'esse 
frutto di un eq'l!>ioooo. Ci pare infatti che non si sia 
rettamente inteso quale sia, secondo noi, l'effetto della 

c.d. delibera di rer�oca della liquidazione. Con essa 
non si ricostituisce una nuova societ� ma si utilizza 
l'organizzazione della precedente non ancora estinta 
infondendogli nuova linfa e attribuendogli nuova 
vita. In atre parole i soci si accordano per utilizzare 
l'organizzazione sociale gi� esistente, cio� l'ente sociale, 
e attraverso un nuovo contratto ricostituiscono 
quel substrato contrattuale di cui la societ� in liquidazione 
ormai manca. 
Non quindi nuova organizzazione, ma nuovo contratto 
di societ� che utilizza la vecchia organizzazione, 
la quale pertanto si presuppone esistente. 

Ma se cos� �, poich� si costituisce solo un nuovo 
contratto, non sono necessarie tutte le formalit� 
richieste per la costituzione di un nuovo ente sociale 
essendo sufficiente la forma pubblica che la deliberazione 
di revoca indubbiamente possiede. In tal 
senso ci sembra debba intendersi l'espressione �riviviscenza 
� della societ� usata da autorevole dottrina 
per indicare gli effetti della cosiddetta delibera dello 
stato di liquidazione. 

7) Possiamo ora esaminare quali siano gli effetti 
dello scioglimento della societ� sulla posizione del socio. 

Se � vero che il verificarsi di una causa di scioglimento 
sociale cessa di produrre i suoi effetti tipici e 
limita i suoi effetti alla definizione dei rapporti 
con terzi attuata mediante le operazioni di liquidazione, 
si deve conseguentemente ritenere che in tal 
momento i soci diventano titolari del diritto alla 
quota, in ragione della partecipazione di ciascuno 
alla societ�, di quanto rimane dedotte le passivit� 
del patrimonio sociale. Si tratta cio� di un diritto 
di credito che il socio ha nei confronti della societ� 
che � subordinato, quanto al valore, al fatto che l'attivo 
sociale sia superiore al passivo, e, quanto al 
tempo in cui diventer� esigibile, alla definizione dei 
rapporti con terzi e all'approvazione del bilancio 
finale di liquidazione. 

N � varrebbe obiettare contro la precedente conclusione 
che permanendo durante la liquidazione la 
personalit� giuridica della soci.et�, conservando questa 
la titolarit� del patrimonio sociale, non si potrebbe 
parlare di un diritto del socio. 

La societ� durante la liquidazione � solo uno strumento 
a tutela dei terzi creditori e a tal fine conserva 
la personalit� giuridica, tutto ci� non esclude 
tuttavia, anzi consente, il sorgere del diritto del. socio 
alla quota di liquidazione, inteso questo come diritto 
di credito nei confronti della societ�. La riprova 
di quanto veniamo dicendo ci sembra si ricavi dall'art. 
2483 C. c. secondo il quale i soci non soddisfatti 
del piano di ripartizione devono proporre entro 
ire m<Jsi dal S'/!>O deposito, opposizione contro la so


ciet�. Il che ci sembra dimostri con evidenza la sussistenza 
di un diritto del socio alla quota di liquidazione 
nei confronti della societ� anche prima del riparto 
finale. 

Da quanto sopra consegue ulteri1>rmente che nel easo 
in cui i soci attraverso la cosiddetta delibera di revoca 
operino la reviviscenza della societ�, essi 
implicitamente rinuncino a favore della stessa ad 
esigere la quota di liquidazione. 

Si potrebbe obiettare che in realt� i soci con la 
delibera di revoca non rinunciano a mtlla, essi vogliono 
solo che la societ� riprenda la sua attivit� 
produttiva destinando a tale attivit� il patrimonio 
che prima era destinato alla liquidazione. 

L'obiezione prescinde, ci sembra, dal considerare 
che se � vero che col verificarsi della causa di scioglimento 
la societ� entra in liquidazione e sorge il 
diritto del socio alla quota di liquidazione, il contratto 
con cui i soci dispongono del patrimonio sociale 
destinato alla liquidazione per intraprendere una 
nuova attivit� importa anche la rinuncia ad esigere 
la quota di liquidazione. In sostanza la societ� in 
liquidazione � destinata ad estinguersi ed � pertanto 
debitrice dei soci i quali hanno diritto a ricevere il 
residuo attivo dopo pagati i creditori sociali. La 
riviviscenza della societ� esclude l'estinzione e importa 
la destinazione del patrimonio a nuove attivit� 
con rinuncia dei soci a quel diritto maturatosi per 
effetto del sorgere della causa di scioglimento. 

8) A questo punto ci sembra si possano tirare le 
fila del nostro discorso di valutare a quali conseguenze 
portino le conclusioni accolte nelle pagine 
che precedono nella interpretazione degli artt. 81 
e 86 della tariffa allegato A.. della legge di registro. 

La Cassazione nella sentenza che ha dato spunto 
a queste pagine ha affermato il seguente principio 
di diritto; 

�La deliberazione di semplice proroga del termine 
di durata di una societ�, intervenuta dopo la 
scadenza di esso non importa la costituzione di un 
nuovo ente sociale, e, pertanto, non � soggetta alla 
imposta proporzionale prevista dall'art. 81 tariffa 
allegato A.. della legge di Registro per gli atti di costituzione 
o fusione di societ� �. 

Il Supremo Collegio � pervenuto a tale affermazione 
sulla base delle seguenti considerazioni; 1) durante 
la fase di liquidazione la societ� conserva 
la persona giuridica e pertanto la delibera di revoca 
non importa costituzione di un nuovo ente; 2) la 
delibera di revoca essendo solo destinata ad eliminare 
una causa di scioglimento, non opera alcun trasferimento 
di ricchezza. 

Se le considerazioni che abbiamo sopra sviluppato 
sono esatte, se � vero cio�, che il verificarsi di una 
causa di scioglimento non determina l'estinzione 
dell'ente sociale e determina invece lo scioglimento del 
contratto e il sorgere del diritto del socio alla quota 
di liquidazione, la soluzione accolta dal Supremo Collegio 
lascia perplessi. 

La cosiddetta delibera di revoca �.. un contratto 

che determina la riviviscenza della societ� e im.porm _ 

la rinuncia del socio alla quota di liquidazione. 

Non � esatto pertanto quanto afferma la decisione 

che si commenta che la delibera di revoca non determi


ma alcun trasferimento di ricchezza. Quanto stiamo 


-89 

dicendo trova maggior conforto proprio nelle decisioni 
richiamate dalla stessa sentenza nelle quali si 
afferma che la revoca dello stato di liquidazione non 
� ammissibile se non � presa all'unanimit� dei 
soci. Oi� rende evidente che la stessa Suprema Oorte 
riconosce l'esistenza di un diritto alla quota di liquidazione. 
E' pertanto contraddittorio da un lato 
affermare l'esistenza di un diritto del socio alla quota 
di liquidazione e dall'altro negare un trasferimento 
di ricchezza nel caso di rinuncia ad esso. Oi sembra 
infatti che costituisca arricchimento per un soggetto 
tanto l'acquisto di un diritto che la liberazione da 
un debito. 

La riprova di quanto veniamo dicendo si ha nella 
prassi quotidiana delle societ� in cui viene considerato. 
conferimento tanto la cessione di un credito 
alla societ� quanto la liberazione di un debito da 
parte del socio a favore della societ�. 

Se dunque l'effetto della cosiddetta delibera di 
revoca dello stato di liquidazione � quello di costituire 
il nuovo contratto sociale che vincoler� i soci per tutta 
la sua durata, e se la stessa delibera produce la rinuncia 
dei soci alla quota di liquidazione non sembra 
che tale atto possa considerarsi semplice atto di 
proroga di societ�. La proroga di un rapporto � 
ammissibile finch� questo non � sciolto. Avvenuto 
lo scioglimento non piU di proroga si deve parlare 
ma di ricostruzione del rapporto. Esattamente la 
legge del registro distingue tra proroga e costituzione; 
l'una presuppone un rapporto produttivo di effetti 
l'altra invece la forma~ione di un nuovo rapporto, 
sottoponendo i due atti a due tassazioni diverse. La 
proroga di un rapporto non determina alcun trasf erimento 
di ricchezza mentre la, costituzione produce un 
nuovo vincolo tra i soci o quindi nuovi conferimenti. 

Se ci� � vero, le conseguenze di quanto siamo venuti 
dicendo ci sembrano ovvie. 

La cosiddetta delibera di revoca la quale determina 
non la proroga di un contratto ormai esaurito ma 
la ricostituzione di un nuovo contratto anche se non 
la costituzione di una nuova societ� non pu� essere 
ricompresa tra gli atti soggetti ad imposta prevista 
dall'art. 86 della tariffa allegato A della legge di registro 
ma, deve ricomprendersi tra quelli soggetti allo 
art. 81 della stessa tariffa. 

N� si dica che facendo la lettera dell'art. 81 riferimento 
agli atti di �costituzione di societ� �, non agli 
atti di ricostituzione del contratto sociale, la soluzione 
accolta urterebbe contro la lettera della legge. 

A parte l'osservazione che se anche l'art. 81 fa 
riferimento alla costituzione di societ� l'atto tassato � 
in realt� un contratto sociale con cui i soci operano un 
conferimento, la soluzione proposta sembra esatta anche 
in applicazione dell'art. 8 della legge di registro. 

Non sembra possibile contestare infatti che il contratto 
con cui i soci rinunciano ad esigere la quota di 
liquidazione e si obbligano ad utilizzare l'organizzazione 
della societ� in via di esaurimento per lo sviluppo 
di una nuova attivit�, sia molto piu vicino, 
quanto agli effetti, alla costituzione di una nuova 
societ� che alla semplice proroga. 

9) Ritenuto applicabile alla cosiddettade libera di 
revoca dello stato di liquidazione l'art. 81 della tariffa 
allegato A della legge di registro sorge un ulteriore 
problema che merita di essere puntuaUzzato. 

E' noto come la Finanza ritenga la delibera di 
revoca un atto di costituzione di nuova societ� e 
pertanto consideri come trasferito alla nuova societ� 
il patrimonio lordo della societ� in liquidazione. 
Oonseguenza del criterio adott.ato � che. iL'Qalore .del 
patrirnonio lordo della societ� viene tassato con aliquote 
differenziate a seconda che nel patrimonio 
stesso siano ricompresi immobili oppure beni mobili 

o crediti. 
La soluzione della Finanza non pu� accogliersi, 
pm�ch�, come abbiamo gi� so-pra dimostrato, e sul 
punto � concorde l'assoluta maggioranza della dottrina 
e giurisprudenza della Suprema Oorte, la 
permanenza dell'ente sociale durante la liquidazione 
esclude la possibilit� della costituzione di una nuova 
societ�. . 

Se si accolgono invece le conclusioni da noi proposte, 
la delibera di revoca deve essere tassata con 
l'aliquota proporzionale dell'l % sul valore netto 
del patrimonio della societ�. 

Riassumendo infatti le conclusioni a cui siamo 
giunti si pu� dire che la cosiddetta delibera di revoca 
� un contratto con cui i soci rinnovano il vincolo 
sociale utilizzando l'organizzazione gi� esistente e 
rinunciando a favm e di essa alla quota di liquidazione. 


La quota di liquidazione � un credito del socio 
nei confronti della societ� il cui valore � determinato 
dalla differenza tra patrimonio della societ� e le 
passivit� della stessa, e cio� dal patrimonio netto. 

E poich� il conferimento di crediti in societ� � 
tassato con l'aliquota dell'l %, la delibera di revoca 
che importa la rinuncia di tutti i soci alla quota di 
liquidazione deve essere tassata con la stessa aliquota 
sul valore netto del patrimonio sociale in liquidazione. 

Non ci sembra il caso di spendere parola per dimostrare 
la natura del diritto di credito che ha la quota 
di liquidazione spettante al socio, sembrandoci sufficiente 
al riguardo quanto sopra abbiamo gi� esposto 
e il rinvio che facciamo all'opinione della dottrina 
pi� autorevole. 

.ADRIANO ROSSI 
PROCURATORE DELLO STATO 

IMPOSTE E TASSE-Addizionale E.C.A. -Maggfo


razione -Art. 1 legge n. 1 del 1952 -Periodo 

cui si riferisce. (Cassazione, Sezione I, Sentenze 

n. 1558/61 -Pres.: Di Pilato; Est.: Passanisi; P.M.: 
Pedote (conf.) -Amministrazione Finanze c. Soc. 
Montecatini). 
L'art. 1 della legge 2 gennaio 1952, n. 1, che 
eleva l'addizionale E.O.A. per il periodo 10 gennaio 
31 dicembre 1952, va interpretato nel senso che 
per tale periodo deve intendersi quello di competenza 
e non di riscossione, e cio� che la maggiorazione 
� dovuta sui carichi di competenza e non su 
quelli riscossi. 

Si trascrive la motivazione in diritto deila sentenza. 


L'Amministrazione ricorrente lamenta la violazione 
e la falsa applicazione degli artt. 11 e 
12 delle disposizioni st�la legge in generalei l'airt. l . 


-90 


legge 2 gennaio 1952, n. 1, 111 della Oostituzione 
della Repubblica; 360 nn. 3 e 5 O.p.c., e censura 
la sentenza impugnata per avere, anche senza 
alcuna motivazione o quanto meno con motivazione 
insufficiente o contraddittoria, affermato che 
l'art. 1 della legge del 1952 gi� citata, che elevava 
l'addizionale EOA per il periodo 1� gennaio-31 
dicembre 1952, va interpretato nel senso che tale 
periodo deve ritenersi riferito a quello di competenza 
e non di riscossione, e cio� che la maggiorazione 
� dovuta sui carichi di competenza e non su 
quelli riscossi 

La censura � priva di fondamento. 
L'Amministrazione ricorrente sostiene preliminarmente 
che la formulazione del citato art. 1 non 
� chiara ma equivoca e potrebbe essere interpretata 
nei due sensi contrari e conformi ai due contrastanti 
assunti .delle parti. Il citato art. 1 della 
legge 2 gennaio 1952, n. 1 dispone: �L'addizionale 
istituita con decreto-legge 30 novembre 1937, numero 
2145, convertito nella legge 25 aprile 1938, 
614, ed elevata a centesimi 5 per ogni lira di 
vari tributi erariali, comunali e provinciali, con 

D.L. 18 febbraio 1946, n. 100, � ulteriormente 
elevata per il periodo 1o gennaio-31 dicembre 
1952 a centesimi 10 �. 
�Il maggiore provento dipendente dall'aumento 
di cui al comma precedente � riservato all'Erario 
e sar�. versato in apposito capitolo dello stato di 
previsione dell'entrata�. 

La limitazione dell'aumento dell'aliquota dell'addizionale 
EOK �al periodo 10 gennaio-31 dicembre 
1952 �, espressamente specificata nel testo 
della norma riportata senz'altra aggiunta o qualificazione, 
come ha esattamente osservato la decisione 
impugnata, rende palesemente chiaro il riferimento 
unicamente al periodo di imposta, cio� 
all'anno di competenza, che � quello al quale normalmente 
e di solito tutte le disposizioni che stabiliscono 
le aJiqu�te dovute si riferiscono. Solo in 
casi �ccezionali le aliquote o le addizionali sono 
imposte con riferimento all'anno di riscossione e 
ci� sempre risulta espressamente od � agevole desumerlo 
dal complesso delle norme del provvedimento 
legislativo stesso o dalla ratio che le norme ha 
ispirate. Tale riferimento deve essere chiaro e 
sicuro, in quanto la maggiorazione delle aliquote 
prec�dentemente stabilite se riferite non al periodo 
di imposta ma all'anno di riscossione, cio� a tutte 
le somme dovute dai contribuenti all'esattore, si 
risolve in una nuova imposta o in una maggiore 
aliquota non prevista o stabilita per le imposte 
dovute per gli anni anteriori .al periodo al quale la 
maggiorazione s~ riferisce, in quanto colpisce non 
soltanto le imposte dell'anno di competenza, ma 
anche tutte le somme dovute dai contribuenti 
all'esattore per imposte relative ad anni diversi 
da quelli di riscossione, imposte ed anui per i 
quali o non era prevista l'addizionale o era sta


bilita questa e l'aliquota in misura diversa, di 
solito inferiore. 

L'esattezza delle considerazioni che precedono, 
ispirate ai corretti principi in materia, �, se ve 
ne fosse bisogno, confermata proprio dalle leggi 
27 dicembre 19531 n, 938 e 26 novembre 1955, 

n. 1177 che l'Amministrazione ha creduto di ricordare 
a sostegno della sua infondata tesi. In entrambe 
le leggi (emanate per provvidenze urgenti 
a favore della Oalabria e con le quali, fra l'altro, 
venivano istituite addizionali . del .. 5 %) specie 
per le espressioni usate rispettivamente negli 
artt. 33 e 18 e la ratio che le ha ispirate, � chiaro 
ed espresso il riferimento all'anno di riscossione, 
come � agevole accertare dalla semplice lettura. 
Tutta la formulazione degli art. 33 e 18 delle due 
leggi citate � ben diversa da quella dell'art. 1 della 
legge 2 gennaio 1952, n. 1, nel quale manca il 
minimo cenno o riferimento all'anno di riscossione, 
n� ci� risulta dalla ratio legis, n� dai lavori preparatori. 


La dimostrata esattezza dell'interpretazione adot


tata dalla decisione impugnata dispensa da ogni 

altra considerazione, che sarebbe ultronea, per 

confutare le altre argomentazioni della ricorrente. 

Il ricorso va, quindi, rigettato con le conseguenze 
di legge in ordine alle spese di questo 
giudizio. 

IMPOSTE E TASSE -Commissioni -Procedura am


ministrativa -Presenza, durante la decisione del 

ricorso, del procuratore delle imposte o del contri


buente -Art. 50, comma terzo, legge n. 1 del 1956 


Violazione -Nullit� della decisione. (Corte di Cas


sazione, Sezione ia, Sentenza n. 113/62 -Pres.: Verzi; 

Est. Bianchi d'Espinosa; P.M.: Gedda (conf.) -Rocco 

di Torrepadula c. Finanze). 

La violazione, da parte di una comm1ss10ne 
per le imposte, dell'art. 50, comma terzo, della 
legge 5 agosto 1956, n. 1, secondo cui, dopo la 
discussione il contribuente ed il procuratore delle 
imposte devono ritirarsi dall'aula, senza poter 
assistere alla deliberazione, � causa di nullit� della 
decisione. 

Trascriviamo la motivazione in diritto di questa 
sentenza. 

Il principio in essa affermato ci sembra accettabile 
ed � opportuno che le commissioni tributarie, una 
volta divenuta indiscutibile la loro natura di organi 
giudiziari, vi si adeguino. 

La questione, che si prospetta per la prima 
volta a questa Oorte Suprema, consiste nello stabilire 
se l'inosservanza da parte delle Oommissioni 
tributarie, della norma introdotta dall'art. 50 
terzo comma della legge 5 gennaio 1956, n. 1, 
per la quale, dopo la discussione innanzi alla 
Oommissione, <1 il contribuente e il procuratore 
delle imposte si ritirano dall'aula�, e solo dopo la 
Oommissione decide .sul ricorso, sia causa o meno 
della nullit� della deliberazione. 

La decisione impugnata ha dato al quesito risposta 
negativa; ma essa ha erroneamente applicato .. 
norme di diritto, e deve essere quindi annullata. 

La Oommissione Oentrale, infatti, ha riconosciuto 
(n� poteva fare diversamente) che la disposizione 
ora ricordata, contenuta fra le norme iute



-91 


grative della legge di perequazione tributaria, ha 
inteso innovare il sistema precedente, secondo il 
quale (art. 29, comma secondo, regio decreto 7 
luglio 1937, n. 1616) dopo la chiusura della discussione, 
il procuratore delle imposte era ammesso ad 
assistere alla votazione ed alla deliberazione, 
anche senza facolt� di interloquire; ma ha ritenuto 
che, non essendo comminata espressamente dalla 
legge la sanzione di nullit� per l'inosservanza 
della disposizione ora in vigore, l'inosservanza 
stessa non incida sulla legittimit� della decisione 
presa alla presenza del procuratore delle imposte, 
trattandosi di una norma �di carattere meramente 
formale�. Il ricorrente afferma che la nullit� deriverebbe 
�da vizi relativi alla costituzione del 
giudice o all'intervento del P.M. � (art. 158 del 
codice di rito civile), poich� il procuratore delle 
imposte dovrebbe essere assimilato, nel procedimento 
innanzi alle Commissioni tributarie, al 
Pubblico Ministero; ma l'osservazione non � esatta, 
dal momento che -poich� le Commissioni tributarie 
sono organi giurisdizionali, come � ormai pacificamente 
stabilito -il procuratore delle imposte 
rappresenta una delle parti (la .Amministrazione 
finanziaria), nel giudizio contenzioso che 
si svolge innanzi alle ripetute Commissioni. 

.Ammesso ci�, ne deriva che la nullit� della deliberazione 
presa -in violazione dell'art. 50 della 
legge n. 1 del 1956 -alla presenza del procuratore 
delle Imposte, deriva, se non da una esplicita disposizione 
di legge, dalla viQlazione di uno dei principi 
fondamentali su cui regge il nostro processo civile, 
il principio del contraddittorio, formulato nell'articolo 
101 C.p.c. 

Come � noto, tale principio (che � chiamato anche 
principio dell'uguaglianza delle parti) � rispettato 
solo quando � data a tutte le parti nel processo uguale 
possibilit� di difendersi: esso � l'attuazione di una 
fondamentale garanzia di. giustizia, consacrata 
oggi anche nella Costituzione (art. 24, secondo 
comma). � evidente che non � garantita alla controparte 
(cio� al contribuente) pari possibilit� 
di difesa nella fase decisoria del giudizio della 
Commissione, se viene consentito solo ad una 
parte (l'Amministrazione delle Finanze) la possibilit� 
di assistere alla deliberazione della controversia, 
e di esporre quindi eventualmente ai membri 
del collegio giudicante ulteriori ragioni, alle 
quali il contribuente non � in condizioni di replicare. 
La legge del 1956, che con le norme contenute 
negli artt. 47 e seguenti, ha inteso accentuare 
il carattere giurisdizionale del processo 
innanzi alle Commissioni tributarie, nel quadro 
di tale scopo ha soppresso la disposizione dell'articolo 
29 del decreto n. 1516 del 1937, che faceva 
al procuratore delle imposte una ingiustificata 
condizione di favore nei confronti del contribuente, 
consentendo solo al primo, e non al secondo, di 
assistere alla deliberazione. L'art. 50 della nuova 
legge, in definitiva, ha su questo punto disposto 
in conformit� di quanto, per il procedimento ordinario, 
dispone l'art. 276, primo comma, del 
codice di rito: che la decisione � deliberata in segreto 
in Camera di Consiglio, con la partecipazione 
dei soli giudici che hanno assistito alla discus


sione. E, come non pu� dubitarsi che la inosservanza 
di quest'ultima norma (nel caso, ad esempio, 
che sia ammesso ad assistere alla deliberazione 
in Camera di Consiglio il procuratore di una delle 
parti) importi nullit� della sentenza: uguale sanzione 
di nullit� deve ritenersi comminata per la 
inosservanz� della norma analoga, ora in esame, 
riguardante il processo tributario. Quantunque una 
esplicita sanzione di nullit� non � sia comminata 
espressamente dalla legge, n� nel caso dello 
art. 276 C.p.c., n� nel caso dell'art. 50 legge 5 
gennaio 1956, n. 1, nell'una e nell'altra ipotesi 
l'inosservanza della disposizione si traduce nella 
violazione di uno dei principi fondamentali, che costituisce 
elementare garanzia di giustizia, ed � uno 
dei cardini su cui fonda la regolarit� del processo. 

La decisione impugnata deve essere quindi annullata, 
col rinvio della controversia alla Commissione 
Centrale delle Imposte: la quale, nella 
sua decisione, dovr� attenersi al seguente principio 
di diritto: 

�La violazione, da parte di una Commissione 
per le imposte, dell'art. 50, comma terzo, della 
legge 5 gennaio 1956, n. 1, secondo cui dopo la 
discussione il contribuente ed il procuratore delle 
imposte devono ritirarsi dall'aula, senza poter 
assistere alla deliberazione, � causa di nullit� 
della decisione �. 

IMPOSTE E TASSE -Competenza amministrativa 

e giudiziaria -Giudicato di estimazione semplice o 

complessa -Art. 29 r.d.l. 7 agosto 1936, n. 16$9 


Inapplicabilit� alle controversie in materia d'imposte 

dirette. (Corte di Cassazione, Sentenza, n. 345/62 -

Pres.: Lorizio Est.: Gentile; P.M.: Pepe (conf.) 


Iorio c. Amministrazione delle Finanze). 

In tema d'imposte dirette, le controversie di 
semplice estimazione dei redditi, le quali, .ai sensi 
dell'art. 22 R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, sono 
sottratte alla giurisdizione del giudice ordinario, 
sono tutte quelle in cui, al fine dell'accertamento 
della sussistenza, dell'entit� e della natura del 
reddito imponibile, si deve procedere alla determinazione 
in base a criteri empirici, di dati o di elementi 
di puro fatto, senza che sia necessario risolvere 
alcuna questione giuridica. Costituiscono, invece, 
controversie di estimazione complessa, attribuite 
alla cognizione del giudice ordinario, quelle 
in cui l'accertamento della sussistenza, dell'entit� 

o della natura del reddito importa la necessit�. di 
risolvere questioni non solo di fatto, ma anche di 
diritto. 
La disposizione dell'art. 29 del R.D.L. 7 agosto 
1936, n. 1639, la quale, in materia d'�nposte indirette 
sui trasferimenti della ricchezza, ammette, 
contro il giudizio delle commissioni provinciali in 
ordine alla determinazione del valore imp_o:r;i.ibile, 
il ricorso all'autorit� giudiziaria per grave ed evi-_ 
dente errore di apprezzamento ovvero per mancanza 
o insufficienza di calcolo, ha carattere eccezionale, 
e non � applicabile nelle controversie 
in materia d'imposte dirette. 


-92 -


Trasoriviamo la motivazione in diritto della sentenza: 


L'unico mezzo del proposto ricorso si articola 
in due distinte censure. Con la prima di esse il 
ricorrente sostiene che nella specie, contrariamente 
a quanto ritenuto dalla sentenza denunziata, 
si trattava di estimazione complessa e non 
gi� di estimazione semplice, in quanto si era 
richiesto al giudice ordinario di interpretare il 
contratto di vendita del carbone al Bardoni, allo 
scopo di stabilire se il prezzo era stato convenuto 
a corpo, nella somma indicata dal contribuente, 
ovvero a misura nella misura di L. 980 per quintale 
accertata dalla Commissione provinciale. 

Con la seconda censura, poi, il ricorrente deduce 
che ad ogni modo il giudice ordinario �era 
anche competente per il gravissimo errore di calcolo 
commesso dall'Ufficio e dalla commissione 
provinciale, soprattutto perch� non sono assolutamente 
ricavabili gli elementi di fatto sui quali � 
stato impostato il calcolo, sicch� � reso impossibile 
seguire l'iter logico-giuridico seguito dall'Ufficio 
e dalla commissione provinciale. 

L� prima censura � infondata. 

La giurisprudenza di questa Corte � costante 
prima nel senso che, in tema di imposte dirette, 
le controversie di semplice estimazione di redditi, 
le quali, ai sensi dell'art. 22, terzo comma, R.D.L. 
7 agosto 1936, n. 1639, sono sottratte alla giurisdizione 
del giudice ordinario, sono tutte quelle 
in cui al fine dell'accertamento della sussistenza, 
dell'entit�, o della natura del reddito imponibile, 
si deve procedere soltanto alla determinazione, in 
base a criteri empirici, di dati o di elementi di puro 
fatto, senza che sia necessario risolvere alcuna questione 
giuridica. Costituiscono, invece, controversie 
di estimazione complessaj attribuite alla cognizione 
del giudice ordinario quelle in cui l'accertamento 
dalla sussistenza, dell'entit� o della natura 
del reddito importa la necessit� di risolvere questioni 
non solo di fatto, ma anche di diritto. 

In particolare in tutti quei casi in cui per l'estimazione 
del reddito, sia necessario procedere alla 
determinazione del contenuto di un negozio giuridico, 
si ha giudizio di estimazione semplice allorch� 
la determinazione di tale contenuto non implichi 
alcuna indagine di natura giuridica, e si ha 
invece giudizio di estimazione complessa nel caso 
contrario. 

Ora, nella specie, la controversia sottoposta 
dall'attuale ricorrente all'esame del Tribunale di 
Potenza con la citazione in~roduttiva del giudizio 
aveva per oggetto la determinazione del guadagno 
che Domenico e Giuseppe Iorio avevano realizzato 
da una operazione commerciale da loro compiuta 
(acquisto di una partita di carbone e successiva 
rivendita). 

La Commissione provinciale aveva anzitutto 
accertato in fatto che gli Iorio avevano acquistato 
dalla .Amministrazione forestale una partita di 

q.li 6500 di carbone per il prezzo complessivo 
di L. 2.410.000; e contro questa prima parte 
dell'accertamento l'attuale ricorrente non aveva 
proposto a,lcuna, impugua.izione davanti a.il giudice 
ordinario, riconoscendo che essa era da questo 
insindacabile. 

La stessa Commissione provinciale aveva poi 
accertato che gli Iorio avevano in seguito venduto 
la predetta partita di .carbone a__ Francesco Bordoni 
per il prezzo di L. 980 per quintale, e quindi 
per il prezzo complessivo di L. 6.370.000, realizzando 
cos� un guadagno netto, tassabile con l'imposta. 
di ricchezza mobile, di L. 3.960.000 (6.370.000 
meno 2.410.000). 

L'attuale ricorrente era insorto davanti al giudice 
ordinario contro quest'altra parte dell'accertam�nto, 
sostenendo che dovevasi invece ritenere 
che la partita di carbone era stata venduta 
al Bardoni non a misura, come affermato dalla 
Commissione, ma a corpo, per il prezzo globale di 

L. 2.900.000, e chiedendo prova testimoniale di 
tale assunto. 
Ma � di assoluta evidenza che la controversia 
cos� proposta davanti al giudice ordinario era di 
estimazione semplice, perch�, per deciderla, non 
occorreva procedere ad alcuna indagine giuridica, 
non si doveva risolvere invece soltanto la questione, 
di mero fatto, relativa all'importo del prezzo della 
vendita conclusa dagli Iorio con il Bardoni, e, 
in particolare, se tale importo fosse stato di Lire 
6.370.000, come sostenuto dall'attore. Onde la 
cognizione di una siffatta controversia esulava 
senz'altro dalla giurisdizione del giudice ordinario. 

Del pari, infatti, il ricorrente sostiene che gli 
accertamenti tributari in materia di imposte dirette 
e le relative decisioni delle commissioni amministrative 
siano impugnabili davanti all'autorit� 
giudiziaria ordinaria per gravi errori di calcolo o 
per mancanza di calcolo nella determinazione del 
reddito imponibile. 

Ma tale assunto � del tutto erroneo, giacch�, in 
materia di imposte dirette, i predetti errori o 
mancanze di calcolo, incidendo, di per s�, soltanto 
sulla semplice ~stimazione dei redditi, non 
sono autonomamente denunziabili all'autorit� giudiziaria 
ordinaria, alla giurisdizione dalla quale, 
come si � visto, la legge sottrae, nella cennata materia, 
le controversie di semplice estimazione. 

Il ricorrente � evidentemente caduto in errore 

ritenendo che sia applicabile alla materia deJle 

imposte dirette la disposizione del terzo comma 

dell'art. 29 del R.D.L. 7 agosto 1936, n. 1639, la 

quale, in materia di imposte indirette sui tra


sferimenti della ricchezza, ammette, contro il giu


dizio delle commissioni provinciali in ordine alla 

determinazione del valore imponibile, il ricorso 

all'autorit� giudiziaria per grave ed evidente errore 

di apprezzamento ovvero per mancanza o insuffi


cienza di calcolo. 

Ma tale disposizione (il cui carattere eccezionale 
� stato del resto gi� affermato da questa Corte 
con la sentenza n. 1361 del 1954) � dettata esclusivamente 
per le controversie in materia di imposte 
indirette sui trasferimenti della ric_�h_ezza, e non 
pu� certo trovare applicazione per le ben djve_rse__ 
controversie in materia di imposte dirette, per l� 
quali provvede il precedente art. 22 dello stesso 
decreto legge n. 1639 del 1936, il cui contenuto, 
per quanto riguarda l'esclusione delle controversie 


-93 


di semplice estimazione di redditi dalla giurisdi" 
zione dell'autorit� giudiziaria, � stato dianzi sufficientemente 
precisato. 

Ed il ricorrente, appunto, anche con le deduzioni 
a cui si riferisce la seconda censura, non fa che 
sollevare una controversia di semplice estimazione. 
Con dette deduzioni egli infatti si limita 
a sostenere che la commissione provinciale, nel 
ritenere che la vendita al Bordoni fosse stata 
conclusa per il prezzo di L. 6.370.000, non abbia 
dato sufficiente ragione degli elementi di fatto sui 
quali ebbe ad impostare il proprio calcolo e sia 
incorsa in un gravissimo (e peraltro non meglio 
specificato) errore di calcolo. Ed � pienamente 
manifesto che le questioni cos� sollevate, le quali 
non richiedono lo svolgimento di alcuna indagine 
giuridica, attengono soltanto alla semplice estimazione 
del reddito di cui trattasi. 

IMPOSTE E TASSE -Imposta di negoziazione Titoli 
azionari -Decisione della sezione speciale 
della Commissione provinciale -Ricorso alla Commissione 
centrale -Inammissibilit�. (Corte di Cassazione, 
Sezioni Unite, Sentenza n. 2225/61 -Pres.: 
Verzi; Est.: Caporaso; P.M. Pepe (conf.) -Soc. Immobiliare 
Vigo c. Finanze). 

Oontro le pronunzie della Sezione speciale della 
Oommissione Provinciale delle Imposte, istituita 
per la risoluzione, in secondo grado delle controversie 
in materia di impost2, di negoziazione di 
titoli azionari avverso le decisioni del Oomitato 
direttivo degli agenti di borsa, non � dato ricorrere 
alla Oommissione Oentrale, trattandosi di decisioni 
definitive, passibili soltanto di ricorso per 
cassazione a norma dell'art. 111 della Costituzione. 


Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza; 


Con la memoria aggiunta l'.Amministrazione Finanze 
dello Stato nega la giurisdizione della Oommissione 
Oentrale nelle controversie in materia 
di imposte di negoziazione di titoli azionari decise, 
in secondo grado, dalla Sezione Speciale 
presso la Oommissione Provinciale. 

Trattandosi di questione rilevabile di ufficio e 
in ogni stato e grado del processo, deve la Corte 
proporsi il quesito come sopra enunciato e risolvere, 
in via preliminare, il problema della giurisdizione 
della Oommissione Centrale delle Imposte. 

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con 
decisione del 12 ottobre 1960, n. 2689, ha gi� ritenuto 
ed affermato che contro le decisioni della 
Sezione Speciale della Commissione Provinciale 
delle Imposte non � dato ricorrere alla Oommissione 
Oentrale, trattandosi di decisioni definitive, 
passibili soltanto di ricorso per cassazione ai sensi 
dell'art. 111 della Oostituzione. 

In effetti, il procedimento per la valutazione 
dei titoli azionari, diversamente da quello per 

l'accertamento del tributo in questione, � tuttora 
regolato dal R.D.L. 15 dicembre 1938, n. 1975. Il 
quale devolve ai Comitati Direttivi (o sottocomitati) 
degli .Agenti di Cambio, in primo grado, e 
ad un Collegio peritale, con sede in Roma, .. in secondo 
grado, la risoluzione delle controversie insorte 
in materia di estimazione dei titoli azionari. 
Oontro la decisione d'appello dell'anzidetto Collegio 
peritale non �, consentito alcun gravame, n� in 
sede amministrativa, n� in sede giudiziaria (articoli 
4, 9, e 10 del citato decreto legge, n. 1975). 
Tale regolamentazione del procedimento non � 
stata modificata dai successivi provvedimenti 
legislativi in materia (D.L.L. 25 maggio 1945, 

n. 301; legge 10 dicembre 1948, n. 1469; legge 6 
agosto 1954, n. 603); con i quali alla competenza 
del Collegio dei periti � subentrata quella della 
Sezione Speciale, appositamente istituita presso la 
Commissione Provinciale delle Imposte, del luogo 
dove ha sede la borsa valori pi� vicina alla sede 
della societ� tassata. Di modo che, come non erano 
impugnabili le pronunzie del menzionato Collegio 
peritale (art. 10 R.D. n. 1975 del 1938); cos� non 
sono del pari impugnabili davanti alla Commissione 
Centrale delle Imposte le decisioni adottate 
dalle Sezioni Speciali, le quali, per quanto detto 
innanzi, sono succedute, in toto e con le medesime 
modalit� di legge, ai summenzionati Oollegi peritali. 
Naturalmente, con l'entrata in vigore dell'art. 
111 della Oostituzione, deve ritenersi ammissibile 
per dette decisioni delle Sezioni Speciali 
Provinciali, nonostante il contrario disposto di legge, 
il ricorso immediato alla Oorte di Cassazione, 
per violazione di legge. � per� in ogni caso escluso 
il ricorso alla Oommissione Oentrale. 
.Applicando tale principio al caso in esame, ne 
deriva che, contro la decisione della Sezione Speciale 
la Immobiliare Vigo avrebbe dovuto, per 
qualsiasi vizio di legittimit�, ricorrere direttamente 
in Cassazione e non gi� alla Commissione 
Centrale, la quale, per le ragioni sopra esposte, 
non ha giurisdizione nelle controversie in oggetto. 


N� vale osservare, come si � fatto in udienza, 

che nella specie la Sezione Speciale, oltre a deci


dere su questioni di valutazione dei titoli azionari 

della societ� ricorrente, aveva pure respinta una 

eccezione di prescrizione relativa ad una delle 

annualit� dell'imposta in controversia, giudicando 

cos� su di una questione non di mera estimazione 

dei titoli, e quindi non di sua competenza. 

� chiaro che questo sconfinamento della Sezione 
Speciale non pu� dar luogo a legittimare la 
impugnazione alla Oommissione Centrale, che, per 
quanto riguarda le decisioni della Sezione medesima, 
la legge non consente. Il fatto che la Sezione 
Speciale ha esorbitato dai limiti delle proprie 
attribuzioni costituisce pur sempre un vizio di 
legittimit� della decisione anzidetta, da far valere 
mediante ricorso in Oassazione, ai sensi d~ll:articolo 
111 della Oostituzione. 

A vendo, viceversa, la Commissione Centrale 
delle Imposte ritenuta la propria giurisdizione, 
devesi cassare senza rinvio la decisione da essa 
adottata. 


IMPOSTE E TASSE -Imposta di ricchezza mobile Societ� 
-Rettifica del reddito dichiarato -Avviso 
di accertamento -Indicazione dei motivi -Fattispecie. 


IMPOSTE E TASSE -Accertamenti -Nullit� per 
mancata specificazione e contestazione dei fatti 
indici -Sanatoria nel corso del procedimento di 
merito innanzi alle Commissioni. 

IMPOSTE E TASSE -Imposta di ricchezza mobile Accertamento 
-Bilancio -Bilancio non attendibile 
-Determinazione in via induttiva. (Cassazione, Sezione 
I, Sentenza, n. 1577/61; Pres.: Di Pilato; Est.: 
Favara; P.M.: Tavolaro (conf.); -Societ� Apeco Sud 

c. Amministrazione delle Finanze). 
L'art. 20 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, 
esige solo che, ai fini dell'esatta determinazione 
dei redditi propri delle societ� e degli enti indicati 
negli artt. 11 e 13 della legge stessa, ove l'Ufficio 
intenda procedere alla rettifica delle impostazioni 
di bilancio e del reddito tassabile dichiarato dal 
contribuente ed anche se le impostazioni di bilancio 
risultano inattendibili per fondata presunzione 
di frode fiscale debba1 nell'avviso di accertamento, 
indicare i motivi in base ai quali ha 
proceduto alla rettifica ed al maggiore accertamento. 


Deve, pertanto, considerarsi valido l'avviso di 
accertamento nel quale l'Ufficio dichiari di aver 
dovuto procedere alla determinazione del reddito 
in via induttiva perch� il bilancio presentato risultaV'a 
corredato da allegati eccessivamente sintetici 
ed insufficienti alla verifica analitica dei dati 
relativi e perch� nel bilancio stesso non figuravano 
numerose operazioni commerciali compiute dalla 
societ�, che aveva altresi omesso di presentare la 
prescritta dichiarazione e di fornire i dati richiesti, 
necessari per la determinazione del reddito in via 
analitica. 

La nullit� dell'accertamento tributario per essere 
mancata la specificazione e la contestazione dei 
fatti indici su cui si fonda la valutazione induttiva 
del reddito imponibile pu� essere sanata nel corso 
del . procedimento di merito dinanzi alle Commissioni 
tributarie, ove i dati stessi vengano comunicati, 
posto che le disposizioni degli artt. 25 e 41 
del R.D. 8 luglio 1937, n. 1516, conferiscono a 
dette Commissioni gli stessi poteri di indagine, 
di richiesta di dati e di raccolta di prova attribuiti 
all'Ufficio, con pienezza di contraddittorio, e perci� 
con ogni garanzia di difesa del contribuente. 

Tale principio vale anche, in tema di imposta di 
ricchezza mobile; per la quale la Commissione 
distrettuale ha persino il potere sostitutivo e di 
aumento dei redditi. 

A norma dell'art. 25 della legge 25 agosto 1877, 

n. 4021, nonch� degli artt. 8 e 20 della legge 8 
giugno 1936, n. 1231, il bilancio di una societ� 
commerciale rappresenta la base normale per la 
determinazione degli utili netti sui quali deve 
gravare l'imposta di ricchezza mobile; ma quando 
il bilancio non � attendibile perch� parte delle 
operazioni sociali non risultano contabilizzate o 
ci � fondato motivo di ritenere che il bilancio stesso 
94 


non rispecchi, perci�, la reale situazione economica 
dell'azienda e l'intero reddito conseguito, l'Ufficio 
pu�, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 20 della 
legge 8 giugno 1936, n.. 1231, procedere in via induttiva 
alla determinazione delreddito tassabile. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: 


Col primo mezzo, la Societ� ricorrente -nel 
denunziare la violazione dell'art. 20 della legge 8 
giugno 1936, n. 1231 nella parte concernente l'�b~ 
bligo di motivazione dell'aecertamento ed il vizio 
di insufficiente e contraddittoria motivazione sostiene 
cbe l'avviso di accertamento � nullo perch�, 
pure ritenendosi legittimato l'Ufficio all'accertamento 
induttivo, anzich� a quello analitico, esso 
avrebbe dovuto indicare spe~ificamente i motivi 
in base ai quali aveva proceduto allo accertamento 
nella maggiore misura di cui agli atti e gli elementi 
concreti di fatto posti a fondamento dell'accertamento 
medesimo. L'omessa indicazione dei motivi, 
aveva, invece, impedito al contripuente di difendersi 
validamente in base ai dati che si sarebbero 
dovuti comunicare nell'avviso di accertamento. 
Rileva ancora la Societ� ricorrente che la Com missione 
Centrale avrebbe altres� errato nel ritenere 
che la doglianza proposta al riguardo dal contribuente 
riguardasse, invece, solo la legittimit� 
del ricorso al sistema dell'accertamento induttivo 
e non si sarebbe avveduta della contraddizione 
in cui era caduta con l'accertare, da un canto, che 
l'Ufficio aveva indicato i concreti motivi solo nelle 
proprie deduzioni davanti alla Commissione tributaria 
e lo stabilire, dall'altro, che in tale modo 
l'accertamento aveva posto il contribuente in 
grado di difendersi validamente per contrastare 
le deduzioni dell'Ufficio. 

Le doglianze del mezzo sono infondate. 
Infatti, l'art. 20 della legge 8 giugno 1936, 


n. 1231 esige solo che, ai fini della esatta determinazione 
dei redditi propri delle societ� e degli 
enti indicati negli art. 11 e 13 della legge stessa, 
ove l'Ufficio intenda di procedere alla rettifica 
delle impostazioni di bilancio risultino inattendibili 
per fondata presunzione di frode fiscale; debba -� 
nell'avviso di accertamento -indicare i motivi 
in base ai quali ha proceduto alla rettifica ed al 
maggiore accertamento. 
Deve, pertanto, considerarsi valido l'avviso di 
accertamento nel quale l'Ufficio dichiari di avere 
dovuto precedere alla determinazione del reddito 
in via induttiva perch� il bilancio presentato risulta 
corredato da allegati eccessivamente sintetici 
ed insufficienti alla verifica analitica dei dati 
relativi e perch� nel bilancio stesso non figuravano 
numerose operazioni commerciali compiute dalla 
Societ�, che aveva altres� omesso di presentare 
la prescritta dichiarazione e di fornire i dati richiesti, 
necessari per la determinazioJJ.e del reddito 
in via analitica. -~ --_ 

L'Ufficio aveva, cio�, indicato le ragioni dello 
accertamento in via induttiva per. l'esistenza di 
una fondata presunzione di esistenza di una frode 
fiscale, qual risultante dall'omessa ed incompiuta 


-9{) 


espos1z10ne in bilancio dei fatti economici dell'azienda, 
dalla mancanza della dichiarazione e dalla 
insufficienza degli allegati, oltre che all'esistenza 
di operazioni che, bench� note all'Ufficio, non risultavano 
contabilizzate in bilancio. La ricorrente 
Societ� non contesta che la presunzione di frode 
fiscale eventualmente nascente dai dati suindicati, 
dava, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 20 della 
legge 8 giugno 1936, n. 1231, facolt� all'Ufficio 
di procedere ad accertamento in via induttiva, 
anzich� in via analitica, ma sostiene che l'Ufficio 
avrebbe dovuto, insieme all'accertamento, notificare 
i fatti e dati concreti in suo possesso relativi 
ai singoli redditi omessi ed alle operazioni non 
contabilizzate, cos� da mettere il contribuente in 
grado di difendersi in rapporto ai dati cos� esposti, 
e non limitarsi -invece -come ha fatto, ad 
ad indicare solo le ragioni dell'accertamento, contestando, 
poi, solo innanzi alla Commissione i 
dati concreti in suo possesso relativi alle operazioni 
occultate nel bilancio e mai esposte nelle 
contabilit� sociali per evadere1a relativa imposta. 

Ora l'art. 20 della legge 20 giugno 1936, n. 1231 
(a differenza dell'art. 37 del Testo unico approvato 
con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 che vuole 
che l'avviso di accertamento sia analiticamente 
motivato, a pena di nullit� peraltro sanabile) esige 
solo che l'avviso di accertamento indichi i motivi 
in base ai quali l'Ufficio ha proceduto alla rettifica 
delle risultanze di bilancio e tale indicazione dei 
motivi esige, altresi, nel caso di inattendibilit� del 
bilancio per fondata presunzione di frode fiscale, 
ipotizzato dall'ultimo comma dell'art. 20 stesso. 

Sia pure che i motivi non debbono essere generici, 
ma specifici, indicando i fatti in base ai quali 
l'Ufficio ha ritenuto di discostarsi dall'accertamento 
analitico per l'esistenza di una frode fiscale, non 
pu� esservi dubbio che, nella specie, tali fatti sono 
stati anche indicati nell'avviso di accertamento, 
attraverso la contestata omissione della presentazione 
della prescritta dichiarazione, e le ulteriori 
contestazioni relative all'insufficienza degli allegati 
al bilancio, all'omissione di fornire gli ulteriori 
dati richiesti e necessari per una tassazione analitica 
ed alle informazioni in possesso dell'Ufficio 
circa la esistenza di numerose altre operazioni 
sociali, non contabilizzate in bilancio, cosi da 
porre in essere q"Q.ella fondata presunzione di frode 
fiscale che legittimava l'Ufficio a procedere a valutazione 
in via induttiva e sintetica, anzich� in via 
analitica. 

Vi era, dunque, una specifica indicazione degli 
elementi in base ai quali l'Ufficio era giunto alla 
conclusione dell'esistenza di una fondata presunzione 
di frode fiscale e del motivo che, cosi, legittimava 
l'Ufficio a procedere all'accertamento induttivo 
in luogo di quello analitico, in base allo 
ultimo comma dell'art. 20 del Testo unico del 1936. 

Con ci�, il voto della legge poteva considerarsi 

adempiuto dall'ufficio senza che fosse, altres�, ne


cessario indicare nell'avviso di accertamento le 

singole partite che risultavano all'Ufficio occultate 

dalla Societ� nei propri bilanci, cos� come questa 

sostiene, trattandosi non di mera rettifica delle 

appostazioni delle scritture e del reddito di bilancio, 

ma di un bilancio incompleto ed inesatto e, come 
tale, affetto da frode fiscale, perch� redatto in 
modo da non fornire all'Ufficio il dovuto specchio 
esatto e fedele della vita economica della Societ�, 
con i documenti giustificativi e gli allegati richiesti, 
cos� come ritenuto anche dalle Commissioni tributarie 
in via di valutazione di merito circa la 
sussistenza dell'incompletezza del bilancio, che la 
stessa ricorrente ammette quando riconosce che, 
in base ad essa l'Ufficio era legittimato alla ricerca 
induttiva del reddito, pure soggiungendo che 
sarebbe, per�, stata necessaria la indicazione delle 
singole partite omesse, da notificarsi con l'accertamento, 
a pena di nullit� di quest'ultimo. Del resto, 
come ha rilevato la Commissione Centrale, i fatti 
specifici e gli elementi e motivi relativi vennero, 
in ogni caso, resi noti al contribuente davanti alla 
Commissione tributaria con le deduzioni dell'Ufficio, 
cos� come la ricorrente pure riconosce. Ora, 
questa Suprema Corte ha gi� altre volte avuto 
occasione di affermare il principio secondo il 
quale la nullit� dell'accertamento tributario, per 
essere mancata, od omessa la specificazione e la 
contestazione dei fatti indici su cui si fonda la 
valutazione induttiva del reddito imponibile, pu� 
essere sanata nel corso del procedimento di merito 
ove i dati stessi vengano comunicati dinanzi alle 
Commissioni tributarie, e ci� in forza delle disposizioni 
di cui agli artt. 25 e 41 del R.D. 8 luglio 
1937, n. 1516 che conferiscono a dette Commissioni 
gli stessi poteri di indagine, di richiesta di dati e 
di raccolta di prove attribuiti all'Ufficio, con pienezza 
di contraddittorio e, perci�, con ogni garanzia 
di difesa per il contribuente (cfr. sentenze 30 
gennaio 1961, n. 172, cass. 16 ottobre 1959, n. 2787 
e 3 aprile 1941, n. 947). Tale principio non pu� 
non essere valido anche in tema di imposta di 
ricchezza mobile per la quale (in forza dell'art. 43 
della legge 24 agosto 1877, n. 4021 richiamato 
dall'art. 31 del regio decreto, n. 1516 del 1937) 
la Commissione distrettuale ha persino il potere 
sostitutivo di accertamento e di aumento dei 
redditi, cosicch� anche la seconda censura del 
mezzo si rivela priva di qualsiasi pregio giuridico 
e da rigettare. 

Col secondo mezzo, poi, nel denunziare la violazione 
dell'art. 25 del Testo unico 24 agosto 1877, 

n. 4021 e degli artt. 12 e 20 della legge 8 giugno 
1936, n. 1231, la Societ� ricorrente sostiene che 
pu� passarsi dall'accertamento analitico a quello 
induttivo solo se le impostazioni del bilancio risultino 
inficiate da frode :fiscale, ipotesi -questa che 
non ricorreva, invece, nella specie, cosicch�, 
l'Ufficio non avrebbe dovuto ricorrere all'accertamento 
in via analitica . 
.Anche questo ulteriore motivo � infondato. 

A. norma infatti, dell'art. 25 della legge 24 
agosto 1877, n. 4021, non meno che degli artt. 8 e 
20 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, il bilancio di 
una societ� commerciale rappresenta la base normale 
per la determinazione degli utili netti sui 
quali deve gravare l'imposta di ricchezza mobile, 
ma quando il bilancio non � attendibile, perch� 
parte delle operazioni sociali non risultano contabilizzate 
e vi � fondato motivo di ritenere che 

-96 


il bilancio stesso non rispecchi, perci�, la reale 
situazione economica dell'azienda e l'intero reddito 
conseguito, l'Ufficio pu�; ai sensi dell'ultimo comma 
dell'art. 20 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, 
procedere in via induttiva alla determinazione del 
reddito tassabile. 

Nella specie, le Commissioni tributarie adite 
hanno, in sede di merito, ritenuta la sussistenza 
di operazioni non contabilizzate, dichiarando perci� 
legittimo il ricorso fatto dall'Ufficio all'accertamento 
induttivo ed a nulla rileva se, in fatto, 
taluna delle operazioni indicate dall'Ufficio come 
occultate non siano risultate tali; una volta che, 
sia pure in parte, i rilievi dell'Ufficio sono stati; 
in sede di valutazione di merito, ritenuti esatti; 
con ci� stesso, come ha osservato esattamente la 
Commissione Centrale della sentenza denunziata, 
i bilanci potevano dirsi essere stati compilati in 
modo infedele ed incompleto tale da legittimare 
il ricorso all'accertamento induttivo, anche perch� 
i dati forniti nei bilanci stessi e negli allegati non 
erano sufficienti per l'accertamento in via analitica 
ed erano, comunque, incompleti. 

La ricorrente Societ�, contesta invano il ricorso 
al metodo induttivo quando essa medesima riconosce 
che, sia pure in parte, i rilievi dell'Ufficio 
circa la mancata contabilizzazione di parte delle 
operazioni sono stati ritenuti esatti, trattandosi 
sempre di un occultamento del reddito e non di una 
semplice rettifica di partite dichiarate all'Ufficio, 
con tutti i dati richiesti dalla legge al fine di metterlo 
in grado di valutare esattamente la loro 
portata economica e l'eventuale utile attraverso 
esse ricavato dal contribuente e tassabile come 
reddito effettivamente conseguito. 

Il ricorso va, pertanto, rigettato, con la conseguente 
condanna della Societ� ricorrente alla perdita 
del deposito ed alle spese. 

IMPOSTE E TASSE -Imposte indirette -Questioni 
di diritto -Rapporti fra il procedimento avanti le 
Commissioni tributarie e quello avanti l'autorit� 
giudiziaria. (Corte di, Cassazione, I Sezione, Sentenza 
n. 2125/61 -Pres.: Celentano; Est.: Del Conte; 
P.M.: Toro (conf.) -Cantone c. Finanze). 

La legge ammette il concorso ed il contemporaneo 
svolgimento dei due processi, l'uno davanti 
alle Commissioni tributarie e l'altro davanti al 
giudice ordinario, e, pertanto, deve escludersi che 
l'un processo debba sospendersi in attesa della decisione 
dell'altro; le due azioni sono del tutto 
autonome, senza alcun rapporto di dipendenza 
fra loro, e possono coesistere fino a quando si sia 
formato il giudicato nel processo davanti al giudice 
ordinario, ovvero sino a quando non sia stato presentato 
il ricorso per cassazione contro la decisione 
della Commissione centrale. 

La prima parte della massima sopra riferita � 
di intuitiva 6videnza; la affermata possibilit� del contemporaneo 
svolgimento in materia di imposte indi


rette del procedimento avanti le Oommissioni tributarie 
e di quello avanti l'autorit� giudiziaria sul 
qual punto costante � ormai la giurisprudenza 
della Oorte Suprema -esclude di per s� e per il 
principio di contraddizione che l1un processo debba 
sospendersi in attesa della decisione dell'altro, perch� 
ci� starebbe a significare che i due procedimenti 
non sono autonomi, e che l'un di essi si pone in 
posizione subordinata rispetto all'altro. 

Di particolare interesse si presenta, invece, la 
seconda parte della massima, pure attinente ai 
rapporti fra i due procedimenti ed alla coesistenza. 


Nella motivazione di precedente sentenza, avente 
oggetto non dissimile da quello in rassegna, la Corte 
Suprema -12 aprile 1958, n. 1194, Impresa Girola 
c. Finanze, in Riv. leg. fisc. 1958, 1476 -aveva 
affermato che �le due azioni sono perfettamente 
autonome e possono coesistere senza reciproca 
interferenza sino a che non si sia formato il giudicato 
in uno dei due giudizi�. 

Questa opinione � stata ora modificata e rettificata; 
se i due procedimenti sono attivati contemporaneamente, 
non si verifica mai il passaggio in giudicato 
della decisione emessa dalla Commissione tributaria, 
nel senso che la mancata impugnazione in 
cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., ovvero il 
mancato successivo ricorso al Tribunale nei termini 
e nei modi previsti dalle leggi tributarie, non ha 
alcun effetto preclusivo sul procedimento gi� in 
corso avanti il giudice ordinario. E la ragione di 
questa decisione � evidente: .se dell'esame del fondamento 
o meno di quella certa (unica) pretesa tributaria, 
il giudice ordinario � gi� investito, sarebbe 
fuor di luogo obbligare la parte rimasta soccombente 
nel processo svolto avanti le Commissioni a 
rivolgersi allo (stesso) giudice ordinario per chiedergli 
di giudicare sul fondamento di quella stessa 
(unica) pretesa tributaria; il che, pure, occorrerebbe 
fare se al mancato ricorso al giudice ordinario si 
riconoscesse effetto preclusivo rispetto al processo in 
corso. E, insomma, posto che il giudice ordinario 
sia gi� investito dell'esame di quella lite, superfluo 
sarebbe il volerlo o doverlo investire di nuovo dell'esame 
della stessa lite. 

Di tutta evidenza appare, almeno parzialmente, 

la portata dell'ultima parte della massima. Se contro 

la decisiono della Commissione Centrale per le im


poste � proposto ricorso per cassazione a sensi dello 

art . .111 Cost., ricorso che si pone come impugnativa 

di quella decisione, s� che possono in questa sede 

denunciarsi sia vizi in indicando sia vizi in pro


cedendo, � chiaro che di coesistenza non � piu a 

parlare. 

Ed � anche pacifico che, proposto quel .ricorso 

per cassazione non � possibile instaurare autonomo 

giudizio avanti il Tribunale (v. Il Cont. dello Stato, 

1956-60, vol. II, n. 129). 

Un punto resta, per�, ancora da chiarire: se contro 
la decisione della Commissione centrg,le-viene proposto 
ricorso per Cassazione a sensi dell'art; 111 .Cost., 
quale sorte � riservata al processo gi� da 
prima, per effetto della autonomia dei due procedimenti, 
in corso avanti il Tribunale, o la Corte di 
Appello, per la stessa questionef 


-97 


Si potrebbe essere tratti a pensare che, investita 
oi�mai della questione la Oorte Suprema di Cassazione, 
non vi sia pi� margine per l'esercizio della 
giurisdizione da parte di altro organo giurisdizionale, 
ma d'altro canf,o non si pu� non rilevare come 
alla Oorte Suprema sia pur sempre riservato un 
giudizio di mera legittimit�, a differenza di quanto 

CONSIGLIO 

DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per 
effetto del Trattato di pace -Legge n. 1050 del 1954 Determinazione 
dell'indennizzo -Accordo con la 
Jugoslavia -Irrilevanza. 

ATTO AMMINISTRATIVO -Motivazione -Omessa 
comunicazione -Irrilevanza -Effetti. 

ATTO AMMINISTRATIVO -Controllo -Corte dei 
Conti -Rilievi -Facolt� dell'Amministrazicine. 

DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per 
effetto del Trattato di pace -Procedimento -Contrad� 
dittorio -Nomina consulente tecnico -Non sono 
prescritti. (Consiglip di Stato, Sezione IV, decisione 

n. 204 del 1962 -Wres.: Bozzi; Est.: Potenza -
Soc. per azioni Compagnia di Antivari c. Ministero 
Tesoro). 
.Ai fini della liquidazione degli indennizzi da 
corrispondere per i beni perduti all'estero in applicazione 
del Trattato di pace, ai sensi della legge 
20 ottobre 1954, n. 1054, � irrilevante l'accordo 
intervenuto con lo Stato jugoslavo per la valutazione 
complessiva dei beni stessi. 

La comunicazione successiva dei motivi di un 

provvedimento non vizia il provvedimento, poich� 

attiene a fase successiva alla sua perfezione, ma 

consente all'interessato di dedurre motivi aggiun


ti ove l'atto sia stato impugnato. 

Le Amministrazioni dello Stato hanno facolt� 

di riesaminare i propri provvedimenti, per le 

definitive determinazioni, a seguito di rilievi mossi 

dalla Oorte dei Oonti in sede di controllo di legitti


mit�; pertanto, legittimamente modificano tali 

provvedimenti facendo proprie le considerazioni 

svolte dalla Oorte. 

Il procedimento di liquidazione per indennizzo 

di beni perduti all'estero in applicazione del 

Trattato di pace � un procedimento amministra


tivo, disciplinato dalla legge, che non prevede 

n� il contraddittorio n� la nomina di consulenti 

tecnici. 

La lucida motivazione della decisione (che ap


presso trascriviamo) dispensa da ogni commento. 

Segnaliamo per la sua importanza, che trascende 

la speciale materia degli indennizzi per danni di 

guerra, il punto della decisione che chiarisce il pro


blema dei rapporti tra l'attivit� deZl'organo �di con-

accade per i giudici di primo e secondo grado, che 
estendono la loro giurisdizione anche al merito attraverso 
un autonomo accertamento dei fatti, necessario 
per la retta soluzione delle questioni di diritto. 

E', questo; un punto ancora oscuro; ed �augurabiw 
che anche esso possa al pi� presto essere chiarito in 
modo soddisfacente dalla Suprema Oorte Regolatrice. 

(n. g.). 
DI STATO 

trollo e dell'amministrazione attiva in quella fase 
del controllo che si esplica attraverso i c.d. rilievi 
senza giungere al rifiuto di visto. 

Va disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe, 
inaicati, stante la loro connessione. 
I~}.All'udienza di discussione la difesa della ricorrente 
ha sostenuto di poter chiarire che il difetto 
di motivazione denunciato con il ricorso consisterebbe 
nel fatto che l'Amministrazione non ha 
tenuto conto dei valori attribuiti negli accordi 
intervenuti fra lo stato italiano e lo Stato confiscante 
per la determinazione del valore complessivo 
dei beni confiscati. 

� da rilevare che siffatta censura � ben diversa 

da quella dedotta in ricorso e che pertanto la 

doglianza, non notificata; � inammissibile. 

Giova comunque ricordare che, come gi� � 

stato rilevato dalla giurisprudenza di questo Ool


legio, tali accordi internazionali rimangono estra


nei al nostro ordinamento interno, e comunque 

concernono i rapporti fra gli Stati e non sono rile


vanti ai fini della liquidazione degli indennizzi 

concessi ai cittadini che hanno sofferto la perdita 

dei beni in applicazione del Trattato di pace. Oc


corre infatti non confondere l'accordo intervenuto 

per la valutazione complessiva dei beni confiscati 

con gli accordi considerati dall'art. 1 della legge 20 

ottobre 1954, n. 1050. In ordine a questi accordi 

la Amministrazione ha precisato con la nota del 17 

luglio 1961, esibita in atti, che nessun accordo � 

stato stipulato fra l'Italia e la Jugoslavia per i 

beni italiani siti nel vecchio territorio jugoslavo 

e, pertanto, trova applicazione l'art. 2 della legge. 

Venendo ai motivi contenuti nel ricorso, pur 

dando atto che essi sono stati dedotti in maniera 

generica e talora non chiara, pu� individuarsi 

in essi in primo luogo una censura di motivazione, 

ma occorre subito rilevare che il denunciato difetto 

di motivazione non sussiste. Il provvedimento � 

motivato con l'espresso richiamo ai rilievi solle


vati dalla Oorte dei Oonti e fatti propri dall'Ammi


nistrazione. Ohe il contenuto di tali rilievi e cio� 

di tale motivazione per relationem non sia stato 

comunicato alla ricorrente, come gi� pi�� volte 

� stato ritenuto dalla costante giurisprudenza-


del Collegio, non inficia l'atto. 

La comunicazione successiva dei motivi di un 

provvedimento non vizia il provvedimento, poich� 

attiene a fase successiva alla sua perfezione, ma 


-98 


consente all'interessato di dedurre motivi ag' 
giunti ove l'atto non sia stato impugnato. 

In ordine al preteso vizio di incompetenza de


dotto in sede di ricorso deve riconoscersi che la 

doglianza � talmente generica che non consente 

un esame di tale censura. Ohe se la ricorrente 

avesse inteso -come sembra -dolersi del fatto che 

l'organo di controllo ha riesaminati i presupposti 

di liquidazione dell'indennizzo � chiaro che tale 

riesame rientrava nell'ambito della competenza 

riconosciutagli e diretta a constatare la legittimit� 

del provvedimento. 

N� al Ministero era preclusa la facolt� di riesa


minare il provvedimento dopo i rilievi della Corte 

dei Conti per le sue definitive determinazioni. A 

ci� ha legittimamente provveduto, facendo proprie 

le considerazioni svolte dalla Corte dopo aver nuo


vamente sentito la competente Commissione. 

Venendo all'esame dei vizi denunciati con i 

motivi aggiunti, palesemente infondata � la pre


tesa nomina di un consulente tecnico di parte. 

Il procedimento di liquidazione dell'indennizzo � 

un procedimento amministrativo, disciplinato dalla 

legge, che non prevede n� il contraddittorio n� 

la nomina di consulenti tecnici. 

Quanto poi alla pretesa illogicit� dei criteri 

adottati dall'Ufficio tecnico erariale, cui la Com


missione ha, nella sua discrezionalit�, commesso 

di adempiere alle valutazioni estimative dei beni 

da indennizzare, essa non sussiste. 

Pi� precisamente per quantO concerne il diverso 

valore monetario da dare ai beni alla data di 

scadenza della concessione e cio� al 1970 � da 

osservare che se arn3he l'U.T.E. avesse inteso 

tener conto della svalutazione a quella data e. 

cio� avesse indicato i valori al 1970 secondo una 

presumibile svalutazione della moneta, nel deter


minare l'indennizzo, il quale va riferito ai valori 

del 1947, avrebbe dovuto procedere alla rivaluta


zione al 1947 e quindi il risultato sarebbe stato 

sempre il medesimo. 

Quanto all'ammontare delle percentuali di am


mortamento trattasi di valutazioni tecniche non 

sindacabili e d'altra parte la ricorrente si � limi


tata ad una generica doglianza di eccessivit�. 

Le valutazioni dell'U.T.E. indicano il processo 

logico seguito nella determinazione e ci� � suffi


ciente ai fini di motivare il giudizio tecnico-esti


mativo pronunciato. 

DANNI DI GUERRA -Beni italiani confiscati a sensi 
dell'art. 79 del Trattato di pace -Indennizzo ex 
lege n. 1050 del 1954 -Cessione~ Concentrazione di 
aziende. (Consiglio di Stato, IV Sezione, decisione 

n. 479 del 1962 -Pres.: Bozzi; Rel.: Trotta S.
A.C.I.E. c. Ministero del Tesoro). 
La pretesa all'indennizzo dovuto ai sensi della 
legge n. 1050 del 1954 e dell'art. 79 del Trattato 
di pace per la confisca di beni italiani all'estero 
pu� ben formare oggetto di cessione attuabile 
anche a mezzo di concentrazione di aziende. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della decisione: 


Con l'impugnato pro-irvedimento il Ministero del 
Tesoro, su conforme determin~ione espressa dalla 
Commissione istituita con legge 22 ottobre 1954, 

n. 1060, ha respinto l'istanza d'indennizzo prodotta 
dalla S.A. Costruzioni Edilizie, opponendo che legittimata 
a far valere la pretesa di risarcimento 
era la Societ� S.A.F.F.A. proprietaria al 6 novembre 
1947 dei beni confiscati in Etiopia. Nessuna 
giuridica rilevanza � stata a tal fine attribuita 
all'atto per notar Bernasconi del 30 settembre 
1949, in virt� del quale la Societ� richiedente � 
subentrata, a titolo di concentrazione aziendale, 
nella propriet� degli immobili confiscati, in quanto 
� stato rilevato che, a seguito della cessione 
delle attivit� e delle passivit� del ramo aziendale 
sussistono due societ� a personalit� nettamente 
distinta. 
Ne deriva -secondo l'Amministrazione -che 
�le titolariet� del diritto ad indennizzo per la 
liquidazione dei beni perduti in Etiopia permane 
nelle S.A.F.F.A. e non � passato alla S.A.C.I.E., 
poich� la cessione generica dell'indennizzo non pu� 
avere efficacia giuridica, in quanto esso riguarda 
non un bene determinato e neppure un diritto 
accertato, ma solo una spesa allo stato d'interesse 
che non pu� essere oggetto di concreta cessione 
fino alla sua realizzazione �. 

In via di principio pu� senz'altro convenirsi 
che, mentre con la concentrazione di societ� si 
determina la confusione dei patrimoni sociali, con 
la concentrazione di aziende nessuna delle societ� 
contraenti perde la propria individualit�, trattandosi 
in effetti di una permuta di attivit� patrimoniali 
(cessione di beni contro acquisto di azioni) 
che non implica assolutamente alcun fenomeno 
successorio nei debiti e nei crediti. 

Il fatto per� che ciascuna delle societ� contraenti 
continui a sopravvivere con distinta personalit� 
non ha giuridica rilevanza ai fini della �ontroversia 
da risolvere, dovendosi invece stabilire 
se con l'apporto dei beni costituenti il patrimonio 
aziendale possa o meno ritenersi trasferito cum 
omni causa qualsiasi diritto od azione che comunque 
si ricolleghi alla propriet� dei cespiti 
ceduti. 

Se qualche perplessit� pu� sorgere quando manchi 
apposita clausola, ogni dubbio � determinato a 
sparire quando con la cessione del bene � espressamente 
previsto il trasferimento di ogni relativa 
azione o ragione. In via di principio, infatti, la 
cessione dei crediti deve ritenersi sempre possibile, 
quando la posizione di creditore non sia inseparabilmente 
connessa a particolari requisiti subbiettivi. 


Nella fattispecie per l'atto notar Bernasconi 
del 30 settembre 1949, l'apporto della Societ� S.A. 

F.F.A. a titolo di concentrazione aziendale comprende 
�tutte le attivit� e passivit� costituenti il c001,_ 
plesso del proprio ramo aziendale immobili civili e 
costruzioni con pieno subingresso della S.A.C.I.E. 
in tutti i diritti crediti, ragioni, azioni, obblighi, 
oneri ~d impegni di qualsiasi natura spettanti od 

-99 


incombenti alla S.A.F.F.A. per l'azienda conferita 
anche se non espressamente contemplati�. 


Data l'ampiezza della clausola convenuta � 
chiaro che anche le azioni o ragioni riflettenti la 
riscossione di indennizzi relativi ai beni perduti in 
Etiopia, che sono espressamente individuati nell'atto, 
deve ritenersi compresa nella cessione, nessuna 
limitazione o riserva essendo stata al riguardo 
prevista. 

N� alcuna obbiettiva limitazione pu� farsi derivare 
dall'ordinamento vigente, mancando apposita 

. norma che per gli indennizzi ed in genere per i 
crediti verso lo Stato ponga divieti di trasferimento 
in deroga alle norme ed ai generali principi che 
regolano la cessione dei crediti. 

Va inoltre considerato che la corresponsione 
degli indennizzi dovuti per danni di guerra o relativi 
ai beni soggetti a confisca per effetto del 
trattato di pace, non � affatto connesso a particolari 
requisiti subbiettivi, dovendo invece ricollegarsi 
al fatto obbiettivo del danno subito senza che 
le condizioni. del precedente proprietario possano 
minimamente influire sulla conc�ssione o sulla 
determinazione del relativo ammontare. 

Nella materia riflettente gli indennizzi o contributi 
per danni di guerra regolati dalla legge 27 � 
dicembre 1953, n. 968 la possibilit� del trasferimento 
non soffre eccezione alcuna, potendo in 
virt� dell'art. 6 essere corrisposti � al danneggiato 
e ai suoi aventi causa a qualsiasi titolo�. Solo 
col secondo comma si introduce una norma di 
cautela nel senso che qualora nei contratti stipulati 
prima dell'entrata in vigore del D.L. 10 aprile 
1947, n. 261 non siano stati espressamente ceduti 
con le propriet� del cespite sinistrato anche il 
contributo o l'indennizzo statale, � necessario il 
consenso del cedente per la liquidazione del beneficio 
a favore dell'altro' contraente. La richiamata 
norma conferma cio� il principio che col trasferimento 
del cespite sinistrato � sempre possibile 
la cessione dell'indennizzo non sussistendo alcuna 
sostanziale differenza tra gli indennizzi stessi e gli 
altri diritti o ragioni di credito comunque connessi 
alla propriet� del cespite ceduto. Non vi � motivo 
per non accogliere lo stesso principio anche per gli 
indennizzi ralativi ai beni confiscati all'estero in 
esecuzione del trattato di pace, trattandosi di 
materia del tutto analoga anche se regolata da 
norme particolari. 

Nella memoria di difesa l'Avvocatura Generale 
dello Stato ha osservato che ogni negozio del genere 
posto in essere dopo l'entrata in vigore del 
trattato di pace deve ritenersi n_ullo,-non potendo 
commerciarsi beni che siano destinati a confisca 
a favore di una delle potenze alleate. 

Ritiene il Collegio che l'atto posto in essere 
debba invece considerarsi perfettamente valido, 
non potendo, in mancanza di apposita norma, 
ritenersi cessata la disponibilit� dei beni fino a 
quando perduri la semplice possibilit� di confisca 
in estratto prevista dalla norma del trattato. Le 
clausole convenute non sanzionano infatti ope 
legis la confisca immediata dei beni italiani siti 
all'estero, ma attribuiscono a ciascuna potenza 
alleata il diritto di procedere a tale misura stabi


lendo che possono utilizzarsene i proventi entro 
il limite delle domande di riparazione. La cessione 
deve pertanto ritenersi possibile, malgrado 
il vincolo esistente, potendo in ogni caso 
la confisca esperirsi contro qualsiasi t13_rzo, purch� 
riflettente beni che all'epoca dell'entrata 
in vigore del trattato di pace risultassero di 
appartenenza dello Stato italiano o di cittadini 
italiani. 

Ci� stante sulla validit� dell'atto Bernasconi 
del 1949 non possono sorgere dubbi in quanto per 
le clausole in esso contenute e per l'espresso riferimento 
a; beni siti in Etiopia, la cessione deve ri 
tenersi avvenuta cum omni causa, comprese le 
ragioni dell'indennizzo cb.e gi� le norme del trat 

-tato di pace, reso esecutivo in Italia col D. L. 

28novembre 1947, � n. 1430 espressamente preve


devano. � 

L'Amministrazione nega che la cessione abbia 
giuridico effetto, riguardando, secondo si afferma 
nell'impugnato provvedimento, non un bene determinato 
e neppure un diritto accertato ma solo una 
.spes allo stato d'interesse che non pu� essere 
oggetto di concreta cessione fino alla sua realizzazione. 


La tesi non pu� essere condivisa poich� essa 

non tiene conto che al momento in cui l'atto di ces


sione veniva stipulato sussistevano tutti i presup


posti per la realizzazione di una pretesa che una 

norma del trattato gi� reso esecutivo in Italia 

pienamente garentiva. 

In tema di danni di guerra un principio contra


rio a quello sostenuto dall'Amministrazione agevol


mente si desume dall'art. 6 della legge 27 dicembre 

1953, n. 968, ai sensi del quale il contributo e l'in


dennizzo sono concessi al danneggiato o ai suoi 

aventi causa, qualsiasi possa essere il titolo sulla 

cui base il trasferimento avviene. Ci� significa 

che per i principi accolti dal nostro ordinamento 

positivo la pretesa al risarcimento, anche se allo 

stato d'interesse, si trasferisce normalmente al 

nuovo proprietario, nei cui confronti l'Amministra


zione proceder� al pagamento una volta che ne 

accerti i presupposti dalla legge in astratto 

previsti. 

La decisione non convince. .A prescindere dalla 

impropriet� del termine �concentrazione d' aziende � 

per indicare la cessione d'una azienda da parte di 

una societ� ad altra societ�, sembra che il richiamo 

alla legge, n. 968 del 1953 non sia decisivo ove si 

rifletta che questa legge sembra che preveda la ces


sione dell'indennizzo solo come conseguenza del 

trasferimento del bene danneggiato dalla guerra, 

trasferimento che per quanto concerne beni confiscati 

all'estero appare inconcepibile. 

E' appena il caso di rilevare che le difficolt� 

che si oppongono all'ammissibilit� d'una cessione 

della pretesa all'indennizzo prima della liquida


zione di questo non hanno alcuna rilevanza nel caso 

di cessio.ne posteriore alla liquidazione, quanao cio� 

essendo divenuto definitivo il provvedimento am: 

ministrativo di concessione la pretesa ha tutte le 

caratteristiche del credito di somma liquida eil 

esigibile. 


E E 
-100 


ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Occupazione 
temporanea -Stabilimenti di lavora� 
zione di oli minerali e carburanti -Art. 19 R.D.L., 

n. 1741 del 1933 -Eccezione di incostituzionalit� Manifesta 
infondatezza. 
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Occupazione 
temporanea -Durata -Stabilimenti 
di lavorazione di oli minerali e carburanti -Con� 
formit� all'ordinamento giurid_ico. 

LEGGI E DECRETI -Interpretazione -Criteri -Pre� 
valenza di quelli conformi ai principi costituzionali. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Occupazione 
temporanea -Stabilimenti di lavorazione 
oli minerali e carburanti -Art. 19 R.D.L., n. 1741 
del 1933 -Limiti -Costituzione della Repubblica Art. 
3 -Interpretazione. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' 


Occupazione temporanea -Stabilimenti di lavorazio


ne oli minerali e carburanti -Art. 19 R.D.L., n. 1741 

del 1933 -Trasformazione definitiva del bene occu


pato -Illegittimit�. (Consiglio di Stato, Sezione IV, 

decisione Ii. 263/62 -Pres.: Bozzi; Est.: Meregatti; 

Rie.: Sanguinetti c. Ministero Industria e Commercio). 

� manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit� 
dell'art. 19 R.D.L. 2 novembre 1933, 

n. 17 41, convertito nella legge 8 febbraio 1934, 
n. 367, il quale prevede l'occupazione del suolo 
pubblico privato necessario per l'impianto di stabilimenti 
di lavorazione di oli minerali, di lubrificanti 
e di carburanti per tutta la durata della 
concessione, sotto i dedotti profili di contrasto con 
gli artt. 3, 24, 41 e 42 Cost. 
L'occupazione temporanea � istituto generalissimo 
del nostro ordinamento giuridico previsto 
in molte leggi speciali, anche all'infuori dell'ipotesi 
eontemplata dall'art. 64 della legge fondamentale 
25 giugno 1865, n. 2359, e, secondo le esigenze 
ehe l'occupazione � destinata a soddisfare, pu� 
variara la durata della sospensione o compressione 
del diritto dominicale. 

Di fronte ad una Costituzione non flessibile, i 
p:cincipi da essa posti investono l'intero ordinamento 
legislativo e funzionano come criteri di 
ermeneutica delle norme dettate dalle leggi ordinarie, 
di modo che, se una norma si presta a 
diverse interpretazioni, di cui ciascuna produce 
effetti di maggiore o minore ampiezza ed intensit�, 
l'interpretazione da scegliersi � quella pi� aderente 
al principio costituzionale. 

L'occupazione di suolo pr�vato consentita dall'art. 
19 R.D.L. 2 novembre 1933, n. 1741 non si 
estende al suolo necessario all'impianto di lavorazione 
di carburanti -o degli impianti per loro natura 
permanenti ed inamovibili, ma concerne 
soltanto stabilimenti in via provvisoria, manufatti 
ed accessori dello stabilimento ed in particolare 
depositi di combustibili liquidi, che non 
abbiano il carattere della permanenza e della inamovibilit�. 


L'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge 
non esclude che l'attivit� di alcuni di essi possa 

essere considerata con maggiore favore dal legislatore, 
in quanto meglio rispondente ai fini di interesse 
generale, di cui soprattutto deve preoccuparsi 
lo Stato; pertanto, questa suprema necessit� 
richiede, talvolta, nelle forme stabilite dalla stessa. 
Costituzione, il sacrificio -tuttavia debitamente 
remunerato -dell'interesse di un cittadino a favore 
di un altro, quando sia imposto dalle esigenze 
sociali ed economiche della collettivit�. 

Illegittimamente si procede all'occupazione di 
suolo privato, ai sensi dell'art. 19 R.D.L. 2 novembre 
1933, n. 1741, allorch� l'occupazione, ivi 
prevista come provvisoria, si debba attuare con 
la distruzione degli immobili che sorgano sul suolo 
occupato, sicch� non si abbia soltanto l'occupazione 
del suolo, ma anche la trasformazione stessa 
del bene. 

Si tratta d'wna decisione di notevole importanza 
pratica la cui portata, peraltro, non ci sembra possa 
essere estesa troppo oltre i limiti della fattispecie che 
presenta, indubbiamente, aspetti particolari i quali 
hanno determinato l'adozione di criteri interpretativi 
dell'art. 19 del decreto-legge n. 1741 del 1933 che 
si risolvono, in sostanza, in una critica al legislatore. 

Concordiamo pienamente col Consiglio di Stato 
sul punto della manifesta infondatezza della questione 
di�legittimit� costituzionale del citaJo art. 19 e riteniamo 
che ben possa il giudice a quo formulare il suo 
giudizio su tal,e infondatezza basandosi sulla interpretazione 
che egli dichiara di dover dare alla norma 
della quale si contesta la legittimit� (v. su questo 
punto in senso contrario V. Andrioli in Foro Italiano 
1962, II, 232). 

La decisione in rassegna � stata sostanzialmente 
criticata in un pregevole studio del Piga (in Rivista 
giur. degli idrocarburi, 1962, 89 e segg.), il 
quale ci sembra ponga giustamente in rilievo ia 
considerazione che i problemi derivanti dalla particolarit� 
della occupazione disciplinata dall'art. 19 
possono trovare soluzione adeguata in sede di applicazione 
dell'art. 68 legge generale sulle espropriazioni, 
che consente di stabilire l'indennit� per l'occupazione 
in misura tale da compensare tutti i pregiudizi 
che al proprietario del fondo sono cagionati 
dalla occupazione, per quanto ampia ne sia la 
portata. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: 


Con il primo mezzo di gravame i ricorrenti 
propongono in via principale la questione della 
incostituzionalit� dell'art. 19 del R.D.L. 2 novembre 
1933, n. 17 41 (convertito in legge 8 febbraio 
1934, n. 367) in relazione agli artt. 42, 41, 3 e 24 
della Costituzione. 

Sotto il primo profilo si deduce che l'art. 19 predetto 
-imponendo sui beni di propriet� privata 
un vincolo di indisponibilit� praticamente a tempo 
illimitato -consentirebbe in sostanza� una yerf!i 
e propria espropriazione dell'are~ senza l'osservanza 
delle formalit� e senza le garanzie del procedimento 
espropriativo, contro il disposto dell'art. 
42 della Costituzione. 



-101


Replicano le parti resistenti che la Costituzione 
riafferma e garantisce solennemente la propriet�, 
ma ne riconosce peraltro anche la possibilit� 
di espropriazione per motivi di interesse 
generale, nei casi preveduti d�lla legge e salvo 
indennizzo. 

Di fronte ad una norma cos� chiara e fondamentale, 
che ammette addirittura il trasferimento 
autoritativo e coattivo del bene da uno ad altro 
soggetto, per ragioni di pubblico interesse, il Collegio 
ritiene che debbono riconoscersi conformi 
al precetto costituzionale in base al tradizionale 
brocardo in eo, quod plus est, inest et minus, anche 
istituti intermedi di sospensione o di compressione 
limitata e temporanea, anzich� di soppressione 
totale e definitiva, del diritto del proprietario 
(occupazione temporanea, che non rappresenti 
atto incidentale del procedimento di espr:>priazione, 
imposizione di servit�, requisizione ecc.), 
i quali, in base al principio della elasticit�, consentono 
al bene stesso, una volta esaurita la destinazione 
pubblica, di riprendere la primitiva interezza, 
funzionalit� ed efficienza. 

E .si pu� convenire con i resistenti che l'occupazione 
temporanea, in particolare, � istituto generalissimo 
del nostro ordinamento giuridico, previsto 
in molte leggi speciali anche all'infuori della 
ipotesi contemplata dell'art. 64 della legge fondamentale 
25 giugno 1865, n. 2359; e che, secondo 
le esigenze che l'occupazione � destinata a soddisfare, 
pu� valere la durata della sospensione o 
compressione del diritto dominicale. La difesa 
della Societ� Garrone ricorda poi che il Consiglio 
di Stato, in una decisione dell'8 aprile 1941, numero 
236 della V Sezione, ha riconosciuto la conformit� 
del tipo di occupazione previsto dall'arti-' 
colo 19 del R.D.L. 2 novembre 1933, n 1741 
ai principi del nostro ordinamento. 

Il Collegio osserva per� che i ricorrenti non contestano 
la costituzionalit� dell'istituto della occupazione 
prevista dall'art. 19 del R.D.L. 2 novembre 
1933, n. 1741. E se nel 1941 il Consiglio di 
Stato ha riconosciuto che tale speciale forma di 
occupazione non contrastava con i principi fondamentali 
del nostro ordinamento giuridico, � da 
ricordare che a quel tempo una questione di incostituzionalit� 
di norme aventi valore di legge, come 
quella di cui trattasi, non si poneva neppure, non 
avendo lo statuto .Albertino, allora vigente, quel 
.carattere di rigidit� che � stato conferito alla 
attuale Costituzione repubblicana. 

Il problema si riduce quindi alla esatta interpretazione 
della norma contenuta nell'art. 19 del 
regio decreto-legge del 1933 n. 1i41 per stabilire 
.con precisione la facolt� che essa conferisce allo 
occupante ed i conseguenti limiti che possono 
-essere imposti al diritto del proprietario, tenendo 
tuttavia presente che, fin dove lo consentono la 
lettera e lo spirito della norma medesima, essa 
deve e>sere interpretata conformemente ai prineipi 
affermati nell'art. 42 della Costituzione. � 
noto, infatti, che di fronte ad una Costituzione 
non fle~sibile, i principii da essa posti investono 
l'intero ordinamento legislativo e funzionano come 
criteri di ermeneutica delle norme delle leggi or


dinarie, di modo che se una norma, per ipotesi, si 
presta a diverse interpretazioni, di cui ciascuna 
produce effetti di maggiore o minore empiezza ed 
intensit�, la interpretazione da scegliersi � quella 
pi� aderente al principio costituzionale, se ci� 
sia possibile senza violentare la parola e la volont� 
della legge, cio� senza far dire alla legge quello che 
non ha detto e non ha sicuramente inteso dire. 
E, senza aderire al noto metodo della interpretazione 
storico-evolutiva delle leggi, e pur certo 
che il canone ermeneutico sopra indicato vale 
anche per le leggi emanate anteriormente alla 
nuova Costituzione, per l'ovvio fenomeno di adattamento 
dell'ordinamento gi� in atto ai principi 
della nuova Carta costituzionale, di modo che, 
se una legge precedente consentiva un'interpretazione 
ed una applicazione pi� larghe, oggi queste 
devono circoscriversi in pi� rigorosi limiti fin dove 
-ripetesi -lo permetta la dizione del precetto 
legislativo, che altrimenti dovrebbe considerarsi 
incostituzionale. 

Una volta definita la portata della disposizione 
di legge nel quadro dei principii costituzionali, se 
si ritiene che la norma, dopo la precisazione del 
suo contenuto e dei suoi effetti, non contrasti con 
tali principii, il problema, evidentemente, si sposta 
dal piano legislativo a quello esecutivo e deve 
essere risolto nella sede competente non pi� mediante 
l'indagine l'accertamento della illegittimit� 
dell'atto amministrativo. 

Ci� premesso, � necessario aggiungere subito che 
la interpretazione pi� sicura di una norma � quella 
meglio rispondente al tipo di istituto che essa 
stessa contempla nella specie all'istituto della 
�occupazione �, che trova certamente posto nel 
nostro ordinamento costituzionale, ma che risponde 
a determinati requisiti �naturali�, tradizionalmente 
fissati dalla legge, individuati e delimitati 
dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Si 
distingue l'occupazione che ha soltanto funzione 
strumentale ed accessoria ai fini della esecuzione 
di un'opera dichiarata di pubblica utilit� (art. 64 
e seg. della legge 25 giugno 1865, n. 2359); l'occupazione 
d'urgenza nei casi di forza maggiore per 
imprescindibili ed indifferibili esigenze pubbliche 
(art. 71 e seg. della sterna legge del 1865) ed infine 
l'occupazione gi� inizialmente predisposta per la 
espropriazione definitiva del bene (contemplata in 
particolare dall'art. 73, comma 2�, della legge del 
1865; ma ormai numerose leggi speciali dichiarano 
urgenti ed indifferibili intere e determinate categorie 
di opere, consentendo una immediata occupazione 
dei beni altrui, in attesa del perfezionamento 
del procedimento di espropriazione). 

Carattere comune a tutte le specie di occupazione 
� la temporaneit�: il bene, per motivi di interesse 
generale o per ragioni di assoluta urgenza, viene 
sottratto al possesso ed al godimento del proprietario 
per un periodo che deve sempre essere determinato 
e salvo il diritto ad un congruo indennizzo. 

Nella specie, l'art. 19 del R.D.L. 2 novembre 
1933, n. 1741 dispone testualmente: 

�L'occupazione del suolo pubblico o privato 
necessario per l'impianto di stabilimenti di la.vorazione 
ovvero per il collocamento di serbatoi di olii 


-102 


minerali, di lubrificanti o di carburanti in genere, 

o di distributori automatici, � considerata di 
pubblica utilit� agli effetti dell'art. 64 della legge 
25 giugno 1865, n. 2359 per tutta la durata della 
concessione �. 
� da rilevare che viene dichiarata di pubblica 
utilit� non l'opera principale, cio� lo stabilimento 
di lavorazione ma� l'occupazione� temporanea (per 
la durata della concessione) del suolo necessario 
ai fini ed agli effetti ivi specificati. Per definire 
l'esatta portata della norma � fondamentale il 
riferimento esplicito che essa fa all'art. 64 della 
legge del 1865, n. 2359: riferimento che qualifica 
in modo inequivocabile l'occupazione prevista 
nell'M't. 19 predetto come appartenente alll); categoria 
delle occupazioni provvisorie, con carattere 
strumentale ed accessorio rispetto ad uno stabilimento 
di lavorazione di oli minerali e carburanti 
liquidi, sembra pertanto da escludeni che l'area 
occupata possa essere destinata all'impianto stesso 
dello stabilimento principale, che oltretutto alla 
fine della concessione, non potrebbe facilmente 
essere demolito o asportato; mentre l'area pu� 
servire come previsto dall'art. 64 della legge �del 
1865, per stabilirvi in via provvisoria manufatti 
accessori dello stabilimento ed in particolare depositi 
di combustibili liquidi, che non abbiano il 
carattere della permanenza e della inamovibilit� 
in modo che allo scadere della concessione, il proprietario 
possa essere reintegrato nel possesso del 
terreno senza che di questo sia irrimediabilmente 
mutata la natura e la destinazione. 

L'unica differenza dal tipo della occupazione 
temporanea previsto nell'art. 64 della legge fondamentale 
consiste nella eccezione ed abnorme durata 
di tale speciale occupazione; che non � limitata 
al periodo necessario alla costruzione ( � allo 
impianto �, come dice con una certa contraddizione 
la norma stessa) dello stabilimento, ma pu� essere 
protratta per tutta la durata della concessione. 

Non sembra, invero, che la lettera dell'art. � 19 
consenta di riferire la durata della concessione 
(normalmente ventennale, ma prorogabile) alla 
sola dichiarazione di pubblica utilit� e non alla 
� occupazione �; che sintatticamente � il soggetto 
della intera proposizione, a prescindere dall:;i, considerazione 
che perdurando la prima, la seconda pu� 
farsi sempre coincidere con essa ex lege. 

La durata dell'occupazione per l'intero periodo 
della concessione comporta che le opere da eseguire 
sull'area occupata, pur avendo carattere provvisorio, 
accessorio e strumentale, possano ritenersi 
necernarie non solo per l'impianto, ma anche per 
l'esercizio dello stabiliment'o di lavorazione. 

Ma appunto per l'eccezionale sacrificio che si 
richiede al proprietario occorre insistere sul carattere 
temporaneo e provvisorio delle opere: se 
invece queste consisterebbero in impianti per loro 
natura permanenti ed inamovibili 'e tali da sacrificare 
in maniera definitiva e totale il diritto del proprietario, 
� chiaro che allora il soggetto interernato 
dovrebbe ricorrere al procedimento dell'espropriazione 
e non potrebbe giovarsi dell'occupazione 
per fini che sono ad essa estranei istituzionalmente. 


Solo in questi limiti e con tali effetti l'art. 19 
del R.D.L. 2 novembre 1933, n. 1741 pu� ritenersi 
non difforme dal principio affermato nell'art. 42 
della Costituzione. Una diversa opinione, che non 
tenesse presente l'esplicito riferin;i,l'.lnto all'art. 64 
della legge del 1865 n. 2359, sarebbe contraria al 
dettato della legge e porrebbe veramente la questione 
della costituzionalit� della norma. D'altro 
canto, � logico ed � giusto che nella determinazione 
dell'indennizzo, come esplicitamente previsto nel 
secondo comma dell'art. 68 della medesima legge 
del 1865, sia tenuta nel debito conto l'eccezionale 
durata della occupazione, oltre che della perdita 
dei frutti e della diminuzione del valore del fondo. 

N� sussiste, ovviamente, alcuna antinomia tra 
l'art. � 19 predetto e l'art. 41 della Costituzione 
che garantisce la libert� dell'iniziativa privata: 
tale norma costituzionale deve essere posta in 
correlazione con il secondo e terzo comma dell'articolo 
42: ed � ovvio che ogni volta che la legge 
pone limiti alla propriet� privata per assicurarne 
la funzione sociale o ne consente addirittura la 
espropriazione per motivi di interesse generale (e 
si � visto che la costituzionalit� dell'istituto della 
espropriazione assume valore assorbente rispetto 
all'occupazione temporane\t avendo portata ed 
efficacia molto maggiore), l'iniziativa privata soffre 
una grave costrizione (che pu� portare sino al 
massimo sacrificio nel caso dell'esproprio) nel 
pubblico interesse. 

Uguale considerazione � da farsi circa il precetto 
contenuto nell'art. 3 della Costituzione: 
l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge non 
implica che l'attivit� di alcuni di essi non possa 
essere considerata con maggior favore dal legislatore, 
in quanto meglio rispondente ai fini di interesse 
generale, di cui soprattutto deve preoccuparsi 
lo Stato, e che pertanto questa suprema necessit� 
richieda talvolta, nelle forme stabilite dalla stessa 
Costituzione, il sacrificio -tuttavia debitamente 
remunerato -dell'intererne di un cittadino a 
favore di un altro, quando E.ia imposto dalle esigenze 
sociali ed economiche della collettivit�. 
Infine � salvo anche il principio stabilito nell'articolo 
24 della Costituzione, poich� l'art. 19 del 

R.D.L. 2 novembre 1933, n. 1741 non toglie al 
proprietario colpito dal provvedimento di occupazione, 
ivi previsto, la facolt� di tutelare i propri 
diritti ed intererni legittimi con tutti i mezzi che 
l'ordinamento gimidico pone a sua disposizione. 
Precisata la portata dell'art. 19 del regio decretolegge, 
n. 1741del1933, e ritenendosi, per le considerazioni 
sopra esposte, infondata la pretesa sua 
incostituzionalit�, � da osservare tuttavia che se 
esso permetterne veramente l'applicazione che ne 
� stata data dal decreto impugnato, il dubbio sulla 
sua costituzionalit� sussisterebbe con piena ragione, 
poich� ridunebbe a nulla pi� che un flatus 
vocis il diritto del proprietario, senza che questi 
poterne in alcun caso opporsi, e venendo compensato 
con un'indennit� del tutto fosufficiegte __ a 
riparare il suo sacrificio. 

Ma se, come si � detto, l'art. 19 deve interpretarsi 
secondo i criteri che la lettera e lo spirito della 
norma consentono a lume dei precetti costituzio



-103 

nali, � chiara la fondatezza del secondo motivo di 
ricorso, circa la illegittimit� del decreto ministeriale 
impugnato. 

Secondo l'art. 42 della Oostituzione, intangibilit� 
e garanzia della propriet� da un lato, indennit� 
(che non pu� non essere giusta, cio� commisurata 
al sacrificio imposto), dall'altro sono termini correlativi 
che si completano a vicenda. 

Occorre quindi compiere, sempre tenendo presente 
il precetto costituzionale, un processo di 
identificazione del potere esercitato dall'autorit� 
e dal sacrificio concretamente imposto al proprietario 
al fine di stabilire se il provvedimento dia 
luogo ad una semplice occupazione, anche se prolungata 
nel tempo ovvero si risolva nel massimo 
sacrificio e pertanto dia vita, in concreto ad una 
vera espropriazione, afftnch� si abbia una occupazione 
occorre, in altri termini, che il sacrificio 
del proprietario sia riconducibile ad uno dei possibili 
modi, nei quali soltanto il bene pu� essere 
utilizzato da altri senza che ne sia snaturata la 
essenza. 

Se cos� non fosse, allora bisognerebbe ricorrere 
all'istituto della espropriazione che rappresenta 
l'unico mezzo adeguato e consentito dalla norma 
costituzionale per la realizzazione del fine pubblico 
che richiede il sacrificio totale e permanente della 
propriet� privata. In questo senso ha effettiva 
validit� il precetto costituzionale che garantisce 
la propriet�: la garantisce, cio�, sotituendo alla 
perdita sostanziale del bene un giusto indennizzo, 
che � quello corrispondente all'espropriazione per 
motivi di pubblico interesse, secondo un particolare 
procedimento, che offre al proprietario i 
mezzi per difendere il proprio diritto e per prendere 
la piena reintegrazione patrimoniale del pregiudizio 
economico subito. 

Ora, quando, come nel caso concreto, l'immobile 
viene occupato per venti anni (e certamente 
oltre, per effetto delle immancabili proroghe della 
concessione) e viene utilizzato, snaturandone l'attuale 
fisionomia e destinazione. (ville padronali 
con parco annesso che, per esplicita ammissione 
della Pubblica Autorit�, debbono essere totalmente 
distrutte per far posto all'ampliamento dello 
stabilimento della Soc. Garrone) la norma applicata 
(art. 19 del R.D.L., n. 1741 del 1933) non � 
quella idonea, in quanto non di semplice occupazione 
di suolo si tratta, ma di trasformazione totale 
del bene; il quale perde le sue fondamentali, essenziali 
caratteristiche e la sua attuale funzione economica. 
La durata dell'occupazione, anche se corrispondente 
a quella della concessione, pu� non alterare 
la fisionomia del bene; ma se attraverso la 
distruzione di opere esistenti, il bene viene ad 
assolvere una funzione economica completamente 
diversa, -funzione che non potrebbe pi� risorgere 
nel momento della restituzione al proprietario, allora 
si � fuori della ipotesi dell'occupazione. 

N� vale richiamarsi all'ampio concetto di cc suolo n 
dato dalla giurisprudenza anteriore alla Oostituzione; 
se � vero, infatti, che l'espressione non va 
limitata al puro e semplice terreno, ma � comprensiva 
dei beni che su di esso insistono e, altres�, 
vero che quando il bene non soltanto viene cc occupato
�, ma, attraverso l'occupazione, viene totalmente 
trasformato, si ha non pi� una occupazione, 
ma un cambiamento totale e definitivo della natura 
del bene; in tal caso si viene a realizzare, 
attraverso l'occupazione, un fine amministrativo 
che, proprio in base al principio costituzionale della 
garanzia della propriet�, deve essere perseguito 
soltanto mediante il procedimento espropriativo, 
previa dichiarazione di pubblica utilit� dell'opera. 


ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI 
D E L L E C O R T I D I M E. R I T O 


ESECUZIONE FORZATA -Pignoramento presso 

terzi -Quote l.G.E. dovute ai Comuni -lmpigno


rabilit�. (Tribunale di Catania, 30 maggio 1962 


Est.:-~ Alessi; S.I.F.A.C. -Finanze -Comune di 

Ramacca). 

La mancata o contestata dichiarazione del terzo 
pignorato determina l'insorgere, nel processo esecutivo, 
di un processo di cognizione, al quale partecipano, 
quali litisconsorti necessari, il terzo pignorato, 
il creditore e il debitore di costui. 

L'Amministrazione delle finanze, terza pignorata, 
� legittimata ad eccepire l'impignorabilit� 
del credito. 

Le quote I.G.E. dovute ai Comuni hanno carattere 
di entrate tributarie, originariamente destinate 
al soddisfacimento dei fini pubblici dell'ente 
impositore, e per_c:ii� sono impignorabili. 

Riportiamo integralmente la chiara motivazione 
della sentenza, non mancando di rilevare, per�, che, 
a nostro avviso, mancavano i presupposti del pignoramento, 
perch� non sussisteva un credito, inteso 
in senso civilistico, del Comune verso lo Stato. Una 
parte del provento dell'I.G.E., da versare ai Comuni, 
ai sensi della legge 2 luglio 1952, n. 703, � 
ripartito, infatti, fra i Comuni che eccedono il primo 
limite delle sovrimposte fondiarie, proporzionalmente 
alla popolazione residente. Come e,sattamente osserva 
il Tribunale di Catania, la legge 2 luglio 1952, 

n. 703 ha modificato il sistema di partecipazione 
dei Comuni all'I.G.E. riscossa nei rispettivi territori, 
sostituendo al criterio strettamente territoriale 
un criterio fondato sulle caratteristiche economiche 
dei Comuni. Nell'effettuazione del riparto non pu� 
negarsi un potere discrezionale attribuito al Ministero 
delle Finanze, i provvedimenti del quale, comunque, 
hanno natura costitutiva. Per queste considerazioni 
non pu�, a nostro avviso, affermarsi che 
il Comune abbia, quanto meno prima del provvedimento 
di determinazione della quota, un diritto 
soggettivo di credito verso lo Stato, con la ulteriore 
conseguenza che, mancando il debito, inteso civilisticamente, 
manca il presupposto per il pignoramento 
presso terzi. 
Nell'ordine logico � preliminare ad ogni altra 
la questione relativa alla chiesta revoca dell'ordinanza 
collegiale 17 luglio 1961, con la quale venne 
ordinata l'integrazione del contraddittorio mediante 
citazione in giudizio del Comune di Ramacca, 
debitore escusso. 

Tale istanza della societ� �SIFA.O �, la quale 
sostiene che, nella specie, non si versi in una 
ipotesi di litisconsorzio necessario, � priva di 
consistenza giuridica e, pertanto, devesi rigettare. 

� noto, come concorde dottrina e giurisprudenza 
insegnano, che si ha litisconsorzio necessario non 
solo quando tale necessit� � prevista da una �spressa 
disposizione di legge, ma anche in tutte quelle ipotesi 
connesse a particolari situazioni di diritto 
sostanziale (rapporto giuridico inscindibilmente comune 
a pi� persone) o processuale, che richiedono 
unica decisione con effetti giuridici per tutte le 
parti, si ch� la sentenza sarebbe inutiliter data 
se non venisse pronunziata nei confronti di tutti i 
soggetti interessati. 

Il litisconsorzio necessario persegue, infatti, il 
triplice fine di evitare giudicati contraddittori, 
attuare l'economia dei giudizi ed adeguare il processo 
alle caratteristiche del rapporto sostanziale 
comune a pi� soggetti e quindi inscindibile. 

Alla stregua di detti criteri, non v'ha dubbio che, 
nella specie, si versi in una ipotesi di litisconsorzio 
necessario per il creditore pignorante, il 
terzo pignorato ed il debitore escusso. 

Invero il pignoramento presso terzi si esegue 
con atto notificato personalmente al terzo e al 
debitore, atto che deve contenere, tra l'altro la 
citazione dei due soggetti a' comparire davanti al 
pretore del luogo di residenza del terzo a:ffinch� 
questi faccia la dichiarazione (artt. 543, 547 C.p.c). 

La citazione non instaura, per�, un giudizio nei 
confronti del terzo, il quale viene citato a comparire 
non quale soggetto passivo in una domanda, 
ma soltanto per specificare di quali cose e di quali 
somme sia debitore e si trovi in possesso; e pertanto 
duplice � la :finalit� del processo, quella che si realizza 
immediatamente con la nomina del terzo a 
sequestratario, e quell_a di provocare la dichiarazione 
che pu� essere positiva o mancare del tutto 

o esser contestata. Nel primo caso non sorge alcuna 
necessit� di accertare giudizialmente l'esistenza di 
credito o delle cose del debitore, perch� il terzo 
medesimo ne ammette l'esistenza, e ci� consente 
l'acquisizione del credito e del bene oggetto della 
esecuzione ai fini dell'assegnazione o della vendita 
per l'assegnazione della somma ricevuta (artt. 552, 
553 0.p.c.). Nel caso invece di ma:ra.cata o contestata 
dichiarazione viene ad inserirsi nel precessoesecutivo 
un giudizio di cognizione circa la sussistenza 
del debito pignorato o la detenzione di 
cose pignorate, al quale partecipano, come litisconsorzi 
necessari, il terzo pignorato, il creditore pro

-105 


cedente ed il debitore di costui (v. Cassazione 
31 luglio 1958, n. 2797). Non bisogna dimenticare, 
infatti che con la notificazione dell'atto iniziale di 
pignoramento tanto il terzo quanto il debitore 
esecutato hanno perduto il diritto di disporre del 
credito pignorato e che il giudizio di cognizione, 
incidente nella esecuzione, tende ad una pronuncia 
giurisdizionale di accertamento (art. 549 C.p.c.). 

Scendendo all'indagine di merito, sostiene anzitutto 
la �SIFAC � che l'amministrazione finanziaria 
non sia legittimata a proporre l'eccezione di 
impignorabilit� delle somme dovute al Comune 
di Ramacca a titolo di quote I.G.E., e ci� sotto il 
profilo della mancanza di interesse. 

Tale tesi, per�, � priva di fondamento giuridico. 

� comunemente ammesso in dottrina e in giurisprudenza 
che le contestazioni che pu� sollevare la 
dichiarazione del terzo possono essere di forma 
e di merito e che fra esse rientrano indubbiamente 
le questioni che si pongono intorno all'applicazione 
degli artt. 514-515, 516 e 545 C.p.c., relative cio� 
alla pignorabilit� o meno dei beni. 

Orbene, nella specie, l'Amministrazione finan


ziaria nel rendere la dichiarazione di terzo, ha 

dedotto la impignorabilit� delle somme, dando vita 

con tale sua contestazione ad uno dei giudizi di 

opposizione, cui si riferisce l'art. 615 C.p.c. 

Detto articolo, invero, se al comma 1, definisce 

l'opposizione all'esecuzione come quel rimedio con 

cui si contesta il diritto della parte istante a pro


cedere ad esecuzione fo.rzata (diretta od indiretta), 

al comma 2, pone sullo stesso piano della opposi


zione cos� definita quella relativa alla pignorabilit� 

dei beni, la quale non attinge alle condizioni di 

esistenza dell'azione esecutiva propriamente detta, 

sebbene alle condizioni dell'azione espropriativa. 

Avendo, quindi, l'Amministrazione proposto una 

opposizione all'esecuzione in senso proprio, disci


plinata dall'art. 615 O.p.c., non vale sostenere (come 

fa la �SIFAC � nella comparsa conclusionale) che 

l'eccezione della impignorabilit� dei beni pu� es


sere dedotta soltanto dal Comune di Ramacca, 

debitore escusso: invero come �dottrina e giuri


sprudenza concorde insegnano, attivamente legit


timato ad opporsi all'esecuzione non � semplice


mente il debitore, ma anche il terzo pignorato 

nell'espropriazione mobiliare o il terzo proprieta


rio, e cio� chiunque � tenuto a subire l'esecuzione 

in virt� del titolo esecutivo. 

Superate tali questioni di carattere pregiudi


ziale deve adesso il Collegio portare il suo esame 

sulla eccezione sollevata dall'Amministrazione fi


nanziaria, relativa alla impignorabilit� dei pro


venti tributari degli enti pubblici. 

Sostiene l'Amministrazione finanziaria l'impossi


bilit� di sottoporre ad esecuzione forzata beni della 

pubblica amministrazione, mobili e immobili, com


preso il denaro, destinato a soddisfare un pubblico 

esercizio, perch� ci� equivarrebbe a modificare gli 

atti della pubblica amministrazione volti alla uti


lizzazione e destinazione di quei beni al soddisfa


cimento del pubblico interesse. 

La tesi appare fondata. Ed invero, pur non po


tendosi affermare n� l'assoluta libert� dell'esecu


zione forzata sulle somme che si trovano nelle 

casse delle amministrazioni dello Stato e degli 
enti pubblici minori, n� l'assoluta immunit� delle 
ste~se dall'esecuzione forzata, l'impignorabilit� del 
denaro deriva dalla destinazione concreta ad un 
pubblico servizio. Con la destinazioM, infatti, 
vengono in conflitto gli interessi generali, cio� 
istituzionali dell'ente pubblico, con quello dei 
privati, ed il conflitto deve essere risolto con la 
prevalenza dei primi (v. Cassazione 20 maggio 
1952, n. 755). 

Il giudice ordinario non pu�, in base alle norme 
fondamentali contenute nella legge abolitiva 
del contenzioso amministrativo (art. 4, legge 20 
marzo 1865, n. 2248 allegato E), sindacare il merito 
degli atti della pubblica amministrazione 
od in nessun caso revocarli o modificarli. E perci� 
da tale principio discende che i beni destinati dalla 
pubblica amministrazione alla esecuzione di pubblici 
servizi non possono essere sottoposti a pignoramento, 
in quanto l'esecuzione forzata verrebbe 
a modificare la destinazione data al bene, che cos� 
sarebbe impiegato per la soddisfazione dei creditori 
anzich� per le esigenze del servizio pubblico. 

Alla luce dei richiamati principi, non vi pu� 

essere quindi dubbio sulla impignorabilit� delle 

somme dovute dall' amministrazione finanziaria 

dello Stato al Comune di Ramacca a titolo di 

quote I.G.E. 

Le quote I.G.E., infatti, hanno carattere di en


trate tributarie, e per queste, la destinazione ai 

fini essenzialmente pubblici dell'ente impositore � 

originaria, e costituisce la ragione precipua della 

loro imposizione, legittimata appunto dalla ne


cessit� di provvedere ai servizi, che l'ordinamento 

amministrativo affida all'ente pubblico. E se ori


ginaria e connaturale alle relative entrate � la 

finalit�, non occorre evidentemente un ulteriore 

atto di destinazione specifica ad un determinato 

servizio pubblico, per renderle indisponibili (v. Cas


sazione 7 marzo 1960, Foro It., I, 483; Cassazione 

20 marzo 1952 n. 2087, Giur. completa; Cassazione 

Civ. 1952, III). 

N� vale opporre, in contrario, come si sostiene 

dalla �SIFAC �ne1h comparsa conclusionale, che 

le quote I.G.E. dovute al Comune, �rappresen


tano una entrata ordinaria completamente al di 

fuori della attivit� tributaria dell'ente locale�, e 

che, come tali, non sono sottratte all'esecuzione 

forzata. 

Invero, le norme sulle quote I.G.E. da versarsi 

ai Comuni sono contenute nella legge 2 luglio 

1952, n. 703, avente quale titolo Disposizioni in 

materia di finanza locale. Con gli artt. 1, 2 e 3 di 

detta legge si modific� il sistema di partecipazione 

dei Comuni ai proventi dell'I.G.E. riscossa nei 

rispettivi territori, sostituendo al criterio stretta


mente territoriale un criterio fondato sulle caratte


ristiche economiche del Comune, e adottando all'uo


po un sistema di partecipazione su scala nazionale.~ 

con l'art. 6 si autorizzarono i Comuni ai. i:t:nporre 

particolari tributi sulle acque gassate e con l'art. 7.. 

si stabil� la devoluzione ai Comuni del gettito dei 

proventi erariali sugli spettacoli localmente riscossi, 

infine, con l'art. 20 vennero emanate altre norme 

per le imposte di consum�, ecc. 


-106 


Dal complesso di tali disposizioni � di tutta evidenza 
che la legge 1952, n. 703 si riferisce e disciplina 
le entrate tributarie dei Comuni, in alcuni casi 
consentendo l'imposizione diretta (artt. 6 e 20), 
in altri casi stabilendo la � devoluzione � al comune 
nel cui territorio l'imposta � riscossa (art. 7), in 
alcuni altri, infine, stabilendo una partecipazione 
al tributo svincolata dal criterio territoriale della 
riscossione. Ma sia che un tributo venga esatto dal 
Comune, sia che il ricavato venga ad esso interamente 
devoluto; sia che il Comune partecipi al 
provento della riscossione, si tratta, sempre, in 
ogni caso, di entrate aventi natura tributaria, in 
quanto effetto d9ll'asercizio, da parte dello Stato e 
dell'Ente pubblico, del potere pubblico di impero. 

Non � quindi che lo Stato sia soggetto passivo di 
una imposizione tributaria comunale relativamente 
alle quote I.G.E. in questione: � invece che la 
entrata tributaria non muta la sua natura se essa 
venga riscossa nei confronti dei privati dallo Stato, 
e poi parzialmente ripartita fra i comuni aventi 
diritto. 

Ma anche a negare in ipotesi la natura tributaria 
della somma assegnata ai Comuni per quote I.G.E., 
sta di fatto che detti versamenti hanno il loro titolo 
in un rapporto di diritto pubblico sono qualificate 
pubbliche le entrate, avuto riguardo unicamente al 
loro soggetto -e come tali sono impignorabili. 
Infatti i crediti derivanti da un rapporto di diritto 
pubblico, devono essere assimilati nece0 sariamente 
a quei beni che gli enti pubblici possiedono in tale 
loro veste (beni demaniali, pa,trimoniali indisponibili) 
e che non possono essere distolti dalla destinazione 
loro impressa per legge. 

In base alle esposte considerazioni, devesi quindi 
ritenere che le somme dovute dall'Amministrazione 
finanziaria al Comune di Ramacca a titolo di 
quote I.G.E. sono impignorabili. 

IMPOSTA DI REGISTRO -Agevolazioni fiscali Art. 
17 legge 2 luglio 1949, n. 408 -Costituzior.e 
di usufrutto -Applicabilit�. (Corte di Appello di 
Roma, Sezione I, Sentenza 20 maggio-16 giugno 

1961 -Finanze c. Tafano). 

Le agevolazioni fiscali previste dall'art. 17 legge 
2 luglio 1949, n. 408 sono applicabili non solo agli 
atti di compravendita delle case costruite ai sensi 
dell'art. 13, ma anche agli atti con i quali per tali 
case si costituisca usufrutto o se ne trasferisca la 
nuda propriet�. 

Contro la sentenza � stato proposto ricorso per 
cassazione, di cui si trascrive la motivazione in 
diritto; 

VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 17 
DELLA LEGGE 2 LUGLIO 1949, N. 408. 

Poich� la norma sopra indicata concede l'agevolazione 
fiscale ai trasferimenti di case la difesa 
della Amministrazione finanziaria aveva osservato 
che DAl linguaggio comune, giuridico e legislativo 

trasferire una cosa significa trasmettere la propriet�, 
n�n anche costituire o trasferire un diritto 
reale di godimento sulla cosa stessa. 

Da ci�, dato il noto principio secondo il quale 
i termini tecnico-giuridici usati d-alle-leggi tributarie 
vanno, di massima, intesi nello stesso significato 
proprio del diritto comune, l'Amministrazione delle 
Finanze faceva discendere la conseguenza che l'agevolazione 
in discorso fosse applicabile a quei soli 
contratti con i quali si opera il trasferimento della 
propriet� delle case. 

La Corte d'Appello ha riconosciuto che nel linguaggio 
comune �trasferire una cosa � significa 
trasferirne la propriet�, ha per� negato che tale 
espressione abbia il medesimo significato nel linguagg10 
tecnico giuridico. 

Tale affermazi�ne non sembra esatta. 

Invero il diritto di propriet� � il diritto reale 
massimo, dal contenuto pi� ampio-, tale d.a non 
potersi ridurre ad una serie di elementi essenziali 
che attribuisce al titolare la piena signoria sulla 
cosa, onde indicandosi semplicemente la cosa pu� 
espr:merd e si esprime ellitticamente (ma non 
a tecnicamente) il passaggio del diritto di propriet� 
su una cosa. Altrettanto, per�, non pu� dirsi per 
gli altri diritti reali: questi hanno un contenuto 
pi� limitato, parziario e frazionario (perci� vengono 
detti diritti reali limitati su cosa altrui) onde 
non possono assolutamente identificarsi con la cosa 
che � oggetto dei diritti stessi. 

Perci� quando si parla di possesso, vendita, permuta 
o traEferimento di cosa si intende, e non 
soltanto nel linguaggio co111une, ma anche in quello 
rigorosamente tecnico giuridico, il posserno, la 
vendita, la permuta o il trasferimento del diritto 
di propriet� sulla cosa, non certo di un diritto 
reale limitato sulla cosa stessa. 

La te:minologia sopra ricordata che trova le 
sue radici nella concezione romanistica, secondo la 
quale si identificava il diritto di propriet� con il suo 
oggetto (v. ScIALOJA, Teoria della Propriet�, vol. I, 

p. 302), mentre non si operava la stessa identificazione 
tra il diritto reale limitato ed il suo oggetto, 
� usata dai nostri migliori giudici e giureconsulti 
e dal nostro legislatore i quali hanno perci� attribuito 
.ad essa pieno valore tecnico giuridico. 
Codesta Ecc.ma Corte di Cassazione, con la sentenza, 
n. 2264 del 22 luglio 1958 ha affermato che 
� le e3pressioni compravendite di appartamenti e 
trasferimento (degli stessi) hanno nel diritto tributario 
un preciso significato tecnico giuridico ed 
� chiaro che esse sono state adoperate in tale significato 
cio� per indicare i contratti tipid di compravendita 
aventi per oggetto il trasferimento di 
un diritto preesistente, in particolare il diritto di 
propriet� e non anche i negozi costitutivi di diritti 
reali di godimento �. 

Ed anche la Corte d'Appello di Roma, nella 
stessa sentenza che qui si impugna per contrapporre 
il termine �trasferimento di cose � a��quello � vendita 
di negozi � di cui allo stesso art. 17 della i:egge 
2 luglio 1949, n. 408 afferma che solo quest'ultimo 
deve intendersi avere per oggetto la propriet� del 
negozio. Or non � vero che la vendita abbia per 
oggetto soltanto la propriet� di una cosa; essa, per 


--107 


definizione (art. 1470 O.e.), pu� avere per oggetto 
�il trasferimento della propriet� di una cosa o 
il trasferimento di un altro diritto �; perci� la 
Corte di Appello per intendere il termine vendita 
di negozi nel senso del trasferimento di diritto 
di propriet� ha dovuto, contraddicendosi, operare 
quella stessa identificazione tra cosa e diritto di 
propriet� alla quale poco prima aveva negato 
qualsiasi validit� tecnico giuridica. 

Cos� pure i nostri migliori autori usano la stessa 
terminologia, come appare evidente da una indagine 
sia pure superficiale. 

Il BARASSI in Diritti reali e possesso, 1952, I, 
407 scrive, �ma in realt� alienare una cosa vuol 
dire alienarla nell'integrit� del suo alone giuridico
�. 

Il BARBERA in Sistema Istituzionale del Diritto 
Privato italiano, II ed., 1949, vol. I, pag. 212 
scrive: �alienare la cosa per l'intera propriet� si 
dice semplicemente alienare o vendere "la cosa"; 
alienarla per l'usufrutto si dice alienare o cedere 
"l'usufrutto"; ed a pag. 266 aggiunge: si parla di 
"possesso di cosa" e semplicemente "posserno" 
per indicare un possesso il cui contenuto di esercizio 
corrisponde al contenuto del diritto di propriet� 
e di "possesso di un diritto (come "possesso 
dell'usufrutto", possesso d'una servit� �, ecc.) per 
indicare un possesso il cui contenuto d'esercizio 
corrisponde al contenuto di un diritto d'usufrutto, 
di servit� o altro diritto minore della propriet�. 

Il 0ARIOTA FERRARA in Il negozio giuridico, p. 210: 
� se la tradizione non � in generale un negozio di 
Trasferimento delle cose mobili, lo � almeno nella 
vendita e nelle altre disposizioni aventi per oggetto 
un genus �. 

Il MEssINEO in Manuale di diritto civile e commerciale, 
vol. 2, tomo I, p. 310: �il contratto traslativo 
di cosa determinata... costituisce il titolo dello 
acquisto della propriet� �; vol. 2, tomo II, p. 491: 
�nei contratti che abbiano ad oggetto il trasferimento 
(del diritto di propriet�) di una cosa determinata, 
ovvero la costituzione o il trasferimento 
di un diritto reale � vol. 3, tomo I, p. 58: � oggetto 
della compravendita � una cosa; meno frequentemente 
� un diritto�; p. 160: �la permuta � un contratto 
affine alla vendita, dalla quale si distingue 
perch� in luogo di constare di uno scambio di 
cosa contro prezzo, consta di uno scambio (reciproco 
trasferimento della propriet�) di cosa contro 
cosa�. 

Il TORRENTE in Manuale di diritto privato, pagina 
420: �Le ragioni che si oppongono al Trasferimento 
delle cose fungibili mediante semplice 
consenso�. 

La stessa terminologia, che identifica il diritto di 
propriet� con la cosa che ne � oggetto � comunemente 
usata dal nostro legislatore. Frequentissimi 
ne sono gli esempi nello stesso codice civile: cos� 
gli artt. 923, 1376, 1377, 1378, 1472, 1520 e 1537. 

Agli stessi risultati si perviene se l'indagine si 
rivolge a leggi che concedono agevolazioni tributarie: 
cos� il D.L. 24 febbraio 1948, n. 114, art. 1, 
concede agevolazioni siffatte a �le compravendite 
di fondi rustici�, l'art. 10 della legge regionale 
siciliana 18 gennaio 1949, n. 2 �alle compravendite 

di appartamenti�; interpretando ambedue le norme 
codesta Ecc.ma Corte Suprema, con le sentenze 
12settembre1957, n. 3479 e 22 luglio 1958, n. 2664 
h� affermato che queste si riferiscono esclusivamente 
agli atti con i quali sia trasferito.-il diritto 
di propriet�. 

Non � invece possibile rinvenire sentenze, pubblicazioni 
giuridiche o testi legislativi nei quali il 
termine possesso, vendita, permuta o trasferimento, 
direttamente riferito alla cosa sia inteso nel senso 
di possesso, vendita, permuta o trasferimento di 
un diritto reale limitato. 

Se perci�, diversamente da quanto opinato dalla 
Corte d'Appello, non solo nel linguaggio comune, 
ma anche in quello pi� rigorosamente tecnico-giuridico, 
l'esprernione �trasferimento di cosa� significa 
trasferimento del diritto di propriet� sulla 
cosa stessa, anche l'art. 17 della legge 2 luglio 1949, 

n. 408 che concede agevolazioni tributarie �ai trasferimenti 
di case� deve essere interpretato (art. 12 
disp. sulla legge in generale) nel senso che le agevolazioni 
stesse sono conceEse agli atti con i quali 
si trasferisca il diritto di propriet� sulla casa, non 
anche un diritto reale limitato. 
Alla stessa conclusione porta, peraltro, l'applicazione 
di un altro elementare criterio di interprBtazione 
della legge indicato con il noto brocardo: 

lex ubi voluit dixit ubi noluit tacuit. 

Le ricordate leggi, nazionale 24 febbraio 1948, 

n. 114 e regionale 18 gennaio 1949, n. 2, furono 
successivamente modificate rispettivamente dalla 
legge nazionale 6 agosto 1954, n. 604 e regionale 
28aprile1954, n. 11. La prima estese le agevolazioni 
tributarie a favore della piccola propriet� contadina 
agli atti con i quali i coniugi ovvero i genitori e i 
figli acquistano separatamente ma contestualmente 
l'usufrutto o la nuda propriet�; la seconda (art. 6) 
dopo aver confermato l'agevolazione tributaria al 
�trasferimento di appartamenti� (comma primo) 
estende l'agevolazione stessa �all'attribuzione a 
diversi titolari della nuda propriet� e dell'usufrutto 
�. Simile espressa estensione non � invece 
contenuta n� nel testo stesso dell'art. 17 della 
legge 2 luglio 1949, n. 408, n� in successive modificazioni 
della norma. 
VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 9 
DELLA LEGGE DI REGISTRO (R.D. 30 DICEMBRE 
1923 N. 3269). 

La Corte d'Appello, peraltro, dopo aver, come 
si � visto, negato in astratto che il termine trasferimento 
di casa significhi il trasferimento del diritto 
di propriet� sulla casa stessa ha finito per 
contraddirsi perch� ha ritenuto applicabile l' agevolazione 
disposta con l'articolo 17 legge 2 luglio 
1949, n. 408 quando � con unico atto, come 
nella specie, o con atti contestuali, sono trasferiti 
la nuda propriet� e l'usufrutto, sia pure a persone 
diverse, poich� nuda propriet� e usufrutto. comprendono, 
insieme, tutto il complesso di diritti(
titolarit� ed esercizio) in che si compendia il 
diritto di propriet�� ci� perch� �l'atto, essendo 
contestuale, deve considerarsi nel suo complesso, 
per i fini, test� illustrati, della legge fiscale. Di



-108 


versa potrebbe essere la decisione, se il trasferimento 
della nuda propriet� e la costituzione di 
usufrutto avvenisse in tempi, e con atti, diversi�. 

La Corte d'Appello ha quindi ammesso che� le 
agevolazioni in parola si applicano soltanto quando 
la casa sia trasferita nella integrit� del suo alone 
giuridico, quando cio� ne sia trasferita la propriet�; 
ha per� ritenuto che i presupposti della agevolazione 
sussistono anche quando l'integrale trasferimento 
avvenga con pi� negozi, purch� contestuali 
o anche solo contemporanei, pur se taluno 
di questi negozi, da solo considerato, per non 
operare il trasferimento stesso, non sarebbe meritevole 
dell'agevolazione. 

Ed allora il vizio che inficia la sentenza impugnata, 
pi� che nella violazione dell'art. 17 della _ 
legge n. 408 del 1949, potrebbe individuarsi nella 
non meno palese violazione dell'art. 9 della legge 
di registro, per il quale �se in un atto sono comprese 
pi� disposizioni indipendenti o non derivanti 
necessariamente le une dalle altre, ciascuna di 
esse � sottoposta a tassa, come se formasse un 
atto distinto �. 

Che l'atto della cui registrazione si tratta contenga 
due disposizioni, quella relativa al trasferimento 
della propriet� ad una persona e quella 
relativa all'attribuzione dell'usufrutto a persona 
diversa, sembra evidente. Ohe si tratti di disposizioni 
indipendenti e non necessariamente derivanti 
l'una dall'altra � altrettanto palese posto che il 
trasferimento del!a propriet� ben pu� sussistere 
senza l'attribuzione dell'usufrutto ad altra persona 
n� questa attribuzione pu� ritenersi logica e 
necessaria conseguenza della disposizione con la 
quale si trasferisce la propriet�. 

Del resto codesta Ecc.ma Corte Suprema, con la 
sentenza n. 2664 del 22 luglio 1958 aveva chiaramente 
insegnato che � In tema di imposta di registro 
� principio generale che il contestuale trasferimento 
a titolo oneroso, a favore di due soggetti 
diversi della nuda propriet� e dell'usufrutto 
di uno stesso immobile, gi� appartenente ad un 

. unico titolare (pieno proprietario) o a due diversi 
titolari (nudo proprietario ed usufruttuario) deve 
considerarsi come duplice trasferimento di diritti 
reali immobiliari, cio� come atto contenente due 
disposizioni indipendenti, o meglio due negozi 
giuridici, ciascuno soggetto alla rispettiva imposta 
di registro come se formasse un atto distinto 
(art. 9 della legge di registro). Tale principio, generalmente 
ammesso, non pu� essere derogato se 
non da una norma che disponga diversamente �. 

La Corte d'Appello si � rifiutata di applicare lo 
stesso criterio al caso di specie rilevando che la 
sentenza sopra richiamata fu pronunziata in sede 
di interpretazione di una norma diversa (la legge 
regionale siciliana 18 gennaio 1949, n. 2); ma 
tale rilievo � inconferente posto che codesta Corte 
Ecc.ma aveva espressamente avvertito trattarsi 
di un � principio generale � che � tale proprio 
perch� trova applicazione anche al di l� dello specifico 
caso deciso; ancor meno convincente � l'argomentazione 
della Corte d'Appello quando ritiene 
di sottolineare una pretesa diversit� dei principi 
ispiratori della norma interpretata dalla Corte di 


Cassazione: perch� la legge regionale 18 gennaio 
1949, n. 2 fu dettata proprio per incrementare la 
costruzione di case di civile abitazione cosi come 
la legge nazionale 2 luglio 1949, n. 408 aveva lo 
lo scopo di incrementare la costruzione di case di 
abitazione non di lusso. 

SCAMBI E VALUTE-Violazioni in materia valutaria 
e di scambi con l'Estero -Procedimento sanzionatorio 
-Pena pecuniaria -Prescrizione del diritto alla 
riscossione -Processo verbale di accertamento Natura 
-Effetto interruttivo -Provvedimento di 
sospensione del procedimento per connessione con 
processo penale in corso -Natura -Effetto sospensivo 
-(Art. 3 R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928; arti� 
colo 17 legge 7 gennaio 1929, n. 4; art. 3 C.p.p.; 
art. 159 C.p.; art. 2943 e.e.) (Corte d'Appello 
di Roma, Sezione I -Pres.: Felici Est.: Mazzacane; 

n. 1047/62 -11 aprile 1962-25 maggio 1962 -Ministero 
del tesoro c. Pica Emanuele e Ceriani Adolfo). 
1) Il diritto alla riscossione della pena pecuniaria 
per infrazioni valutarie � fatto valere attraverso 
un procedimento (R.D.L. 12 maggio 1938, 

n. 794 e R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928) al 
quale partecipano vari organi che hanno il compito 
di accertare, dichiarare e soddisfare il diritto 
dello stato alla riscossione della pena pecuniaria. 
2) Il processo verbale di accertamento della 
violazione, notificato al trasgressore, costituisce 
atto interruttivo della prescrizione posta in materia 
dell'art. 17 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 
richiamato dall'art. 3 del R.D.L. 5 dicembre 
1938, n. 1928, perch� contiene la precisa manifestazione 
di volont� dell'Amministrazione di esercitare 
il diritto alla riscossione della pena pecuniaria, 
che il Ministero del Tesoro andr� a determinare, 
e porta a conoscenza della parte debitrice 
la pretesa creditoria sorta in dipendenza della 
trasgressione . 

3) Il provvedimento amministrativo di sospensione 
del procedimento sanzionatorio per connessione 
con un processo penale in corso, costituisce 
oggetto di valutazione riservata agli organi 
del procedimento sanzionatorio predetto e lo stesso 
sospende il corso della prescrizione anche se non 
notificato al trasgressore nelle forme di rito. 

La sentenza � cos� motivata in diritto; 

(omissis) 

Osserva il Collegio che per l'art. 17 della legge 7 
gennaio 1929, n. 4 (richiamato dall'articolo 3 del 

R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928) la titolarit� del 
diritto alla riscossione della pena pecuniaria per 
infrazioni valutarie spetta allo Stato ed.�-fatta valere 
attraverso un procedimento (R.D.L. 12 maggio :1:938, n. 
794 e R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928) al quale 
partecipano vari organi che hanno il compito di 
accertare, dichiarare e soddisfare il diritto dello 
Stato alla 1�iscossione della pena pecuniaria. 

-109 


Il procedimento ha natura penalistica, come si 
evince dalle modalit� di accertamento e di istruzione, 
dalle sanzioni previste (artt. 9 e 10 R.D.L. 5 dicembre 
1938, n. 1928), dalla irrogazione della pena, 
aggravata per circosttinze relative ai soggetti attivi 
delle infrazioni, dal riferimento al codice penale 
(art. 10 R.D.L. citato), dalla qualificazione della 
sanzione in �pena pecuniaria �. 

Deve rilevarsi inoltre che per il citato art. 17 della 
legge 7 gennaio 1929, nl 4 (richiamato dall'art. 3 

R.D.L. 5 dicembre 1938, n. 1928) il diritto dello Stato 
alla riscossione delle pene pecuniarie si prescrive 
con il decorso di anni cinque dalla commessa violazione. 
Oi� posto, osserva il Oollegio che le censure dell'appellante 
alla sentenza impugnata appaiono fondate. 


Non pu� dubitarsi, invero, che la prescrizione, 
il cui termine nel caso concreto cominci� a decorrere 
nell'ottobre 1947) (epoca della commessa violazione), 
fu interrotta dai verbali di accertamento 3 gennaio 
1950 e 16 dicembre 1950, regolarmente consegnati ai 
trasgressori per le loro deduzioni difensive. Il processo 
verbale di accertamento costit�uisce l'atto con 
il quale ha inizio il procedimento che, a norma delle 
disposizion~ ricordate, attraverso la notifica, le deduzioni, 
l'interrogatorio degli interessati e il parere della 
Oommissione Oonsultiva, porta al Decreto del Ministero 
del Tesoro che fissa la misura della pena. 
Esso costituisce quindi una precisa manifestazione 
di volont� dell'A.mministrq,zione diretta in modo non 
equivoco ad esercitare il diritto dello Stato per la 
riscossione della pena pecuniaria, portando a conoscenza 
della parte debitrice la pretesa creditO'ria sorta 
in dipendenza della infrazione. Oonsegue da ci� 
che dal 16 dicembre 1950 ha avuto inizio un nuovo 
termine di prescrizione quinquennale, il quale si 
sarebbe compiuto alla data di notifica (8 agosto 
1957) del decreto di condanna del Ministero del Tesoro, 
se esso non fosse stato sospeso. Infatti su parere 
della Oommissione Oonsultiva del 28 febbraio 1953, 
con provvedimento del Ministero del Tesoro del 18 
febbraio 1953, portato a conoscenza degli interessati 
con nota del 23 febbraio 1953, il procedimento fu 
sospeso per la pendenza del processo penale a carico 
dell'ex. Mons. Pretner Oippico. 

Non pu� dubitarsi, ad avviso del Oollegio, della 
efficacia sospensiva del predetto provvedimento, e 
per la prevalenza della giurisdizione penale (art. 3 
O.p.p.) e per il disposto, richiamato dalla Amministrazione 
appellante, dell'articolo 159 O.p. (che prevede 
la sospensione della prescrizione nei casi di 
quest�one deferita ad altro giudizio) �al quale � lecito 
fare riferimento stante la rilevata natura sanzionatoria 
del procedimento per violazione valutaria. L'effetto 
sospensivo � stato escluso dal Tribunale per il 
rilievo che non si sarebbe potuto ravvisare un rapporto 
di connessione fra il procedimento a carico del 
Oippico e le infrazioni valutarie addebitate al Pica 
ed al Oeriani, e perch� la sospensione non sarebbe 
stata disposta con decreto debitamente notificato agli 
interessati. Il primo rilievo non � esatto. 

Anzitutto la connessione risulta dal fatto che il 
Pica e il Oerioni commisero le infrazioni loro addebitate 
tramite il Oippico che si interess� del trasfe


riment<> all'estero di una parte dei dollari allo stesso 
consegnati (cfr. proc. verb. di accertamento) e dal 
fatto che fra le imputazioni a carico del O ippico vi 
era anche quella di truffa continuata in danno del 
Oeriani per il mancato accredita.mento .pre.sso una 
Banca estera di una parte dei dollari predetti. In 
secondo luogo l'esistenza della affermata connessione 
non pu� essere esclusa in questa sede poich� essa 
ha costituito oggetto di valutazione riservata agli 
organi del procedimento sanzionatorio. 

Inesatto, poi, � anche il secondo rilievo. 

Nessuna disposizione prevede la notifica del provvedimento 
di sospensione, mentre � certo che il decreto 
di sospensione del procedimento amministrativo 
fu comunicato regolarmente agli interessati con 
lettera 23 febbraio 1953 nella quale furono ripetuti 
tutti gli estremi del provvedimento stesso, compresa 
la motivazione. 

Pertanto, si ha che, sommando il periodo. intercorso 
fra la data del verbale 16 dicembre 1950 e 
quello della sospensione 23 febbraio 1953 con il periodo 
intercorso dalla sentenza 24 marzo 1956 (che ha 
definito il procedimento penale a carico del Oippico) 
al decreto ministeriale 8 agosto 1957, il periodo prescrizionale 
quinquennale previsto dall'art. 17 della 
citata legge n. 4 del 1929 deve ritenersi non compiuta. 


Per le esposte considerazioni l'appello deve essere 
accolto, �, in riforma della sentenza impugnata, 

deve essere rigettata l'opposizione proposta dal 
Oerioni e dal Pica. 
(Omissis) 

A) Le massime sono esatte. Le stesse sono suffragate 
da considerazioni di vario genere, sulle quali la 
sentenza non si � particolarmente soffermata. 

Le norme che regolano l'accertamento e la repressione 
delle violazioni in materia di valutazione e 
di scambi con l'Estero -R.D. 12 maggio 1938, 

n. 794 e 5 dicembre 1938, n. 1928 -affidano 
all'Istituto dei Oambi con l'Estero il compito di 
provvedere alla vigilanza ed ai controlli per la regolare 
osservanza delle disposizioni relative. 
Le stesse norme, inoltre, affidano alla Oommissione 
Oonsultiva, all'uopo istituita presso il Ministero 
del Tesoro, il compito di pronunciarsi in via consultiva 
sulle infrazioni accertate dall'Ufficio Italiano 
dei Oambi e da questo contestate ai trasgressori e 
quindi al Ministero del Tesoro il compito di determinare 
con proprio decreto,. udito il parere della 
Oommissione suddetta, la sanzione da applicare 
per le infrazioni accertate e contestate (art. 1 e 2, 
6 e 8 del R.D.L. 1 maggiofl938, n. 794). Detta sanzione 
� rappresentata da una pena pecuniaria (articolo 
2 legge 5 dicembre 1938, n. 1928) che secondo 
le norme stesse (art. 3, secondo comma della legge 
7 gennaio 1929, n. 4 richiamato dall'art. 3 della 
legge 3 dicembre 1938, n. 1928) determina una obbligazione 
civile a favore dello Stato. 

La repressione delle violazioni valutarie, pertanto, ._ 
si attua attraverso un procedimento amministrativo 
di carattere sanzionatorio, disciplinato in modo 
capillare, e si risolve nell'attuazione di un diritto di 
credito dello Stato il cui' accertamento e la cui realiz



mzc:a======= 

-110 


zazione � necessariamente caratterizzata da: 1) consegna 
agli interessati della copia dei processi verbali 
delle operazioni compiute; 2) presentazione da parte 
degli interessati di deduzioni scritte in un termine 
decorrente dalla consegna suddetta (art. 4 del decreto 
citato); 3) rimessione degli atti alla Commissione 
Consultiva da parte dell'Ufficio Cambi, con annessa 
relazione illustrativa (art. 5); 4) attivit� di detta 
Commissione ai fini della formulazione delle proposte 
sulla natura e sulla misura delle sanzioni applicabili 
da attuarsi attraverso l'esercizio dei poteri istruttori 
che vanno dalle integrazioni dell'accertamento 
all'audizione personale degli interessati; 5) attivit� 
del Ministero del Tesoro attraverso l'emanazione d�i 
un decreto che ha efficacia di titolo esecutivo; 6) esecuzione 
di detto decreto da parte della Intendenza di 
Finanza competente per territorio con la procedura 
ingiunzionale del Testo unico 14 aprile 1910, numero 
639 per la riscossione delle Entrate patrimoniali 
dello Stato (art. 7 e 11 del R.D. 5 dicembre 1938, 

n. 1928). 
Data, pertanto, la natu1'a civilistica della obbligazione 
di pagamento della pena pecuniaria, il diritto 
dello Stato si manifesta come un autentico diritto di 
credito e poich� tale diritto, per espressa e tassativa 
disposizione di legge, si ottiene attraverso un procedimento 
del tutto particolare nel q14ale il ricorso al 

G. O. � consentito soltanto in via di legittimit�, a 
seguito del decreto che, con forza di titolo esecutivo 
la pena pecuniaria ha determinato, ai fini della prescrizione 
due datj di fatto non possono essere revocati 
in dubbio: l'uno per il quale il diritto sorto con la 
perpetrazione della violazione valutaria, per la sua 
natura civilistica, partecipa della disciplina stabilita 
dall'art. 2935 del Codice civile per la quale la prescrizione 
decorre dal giorno in cui il diritto pu� 
essere fatto valere (actio nondum nata non praescribitur); 
l'altro per il qual6 l'attivit� svolta dai vari 
organi chiamati all'attuazione della procedura sanzionatoria 
� una attivit� diretta a conservare ed 
a esercitare il diritto stesso attraverso un procedimento 
prescritto dalla legge in modo obbligatorio e, come 
avviene per ogni altro diritto di credito, � idoneo, 
con i singoli atti in cui si manifesta, ad interrompere 
il decorso della prescrizione, (cfr. In termini 
Appello, Bologna 17 gennaio 1957, Oiocchini c. 
Amministrazione delle Finanze). 
� Il principio non � nuovo ed � stato piu volte affermato 
dalla Corte di Cassazione in casi affini. In 
particolare per i provvedimenti di istruzione preventiva 
regolati dagli artt. 692 e segg. del C.p.c. (confronta 
Cassazione, Sezione prima, 4 agosto 1950, 
n. 2376, in Giur. OompL, Cassazione 1951, 11, 
pagg. 389 e segg.; id. 17 giugno 1957, n. 2293, in 
Giust. Civ. 1957, 1, 1495 e segg.); per il caso del 
ricorso al gratuito patrocinio (cfr. Cassazione 10 
aprile 1956, d. 1043; id. 3 novembre 1959, n. 3249), 
richiedendosi soltanto che la parte sia resa edotta 
della pretesa del titolare del diritto di credito. 

Dal che l'indubbio carattere interruttivo del processo 
verbale di accertamento. 

Esso infatti; 1) contiene una precisa manifestazione 
di volont� della Amministrazione di accertare 
e conservare il diritto dello Stato alla conservazione 
della pena pecuniaria rendendo edotta la 
parte debitrice della pretesa creditoria sorta in dipendenza 
della infrazione; 2) determina la previsione 
della pena pecuniaria sia pure nei limiti stabiliti 
dall'art. 2 del R.D.L., 5 dicembre 1938, numero 
1928. 

B) Il provvedimento con il quale gli organi preposti 
al procedimento sanzionatorio delle violazioni 
valutarie, sospendono il procedimento stesso fino 
all'esito di un prooesso penale in corso del quale 
sia stata ritenuta la connessione con la violazione 
da sanzionare, � la resultante della valutazione che 
gli organi preposti al procedimento predetto sono 
stati dalla legge chiamati ad eseguire in via esclusiva. 
Esso, pertanto, costituisce una estrinsecazione di 
attivit� amministrativa che, ai fini del Sindacato 
dell'A.G.O. � regolata dai principi che regolano la 
determinazione di attribuzione e di competenza fra 

P.A. e A.G.O. 
Il provvedimento stesso, per il principio della 
prevalenza della giurisdizione penale su quella civile, 
amministrativa e, per la materia in esame, amministrativa-
sanzionatoria, posto in via generale e di 
principio dell'art. 3 del C.p.p., si ripercuote sul decorso 
della prescrizione, determinandone la sospensione. 


La Corte di Cassazione nella sentenza 31 marzo 
1939 in Giustizia Penale 1940, IV, 89, n. 7, ha 
precisato infatti che �l'art. 3 C.p.p. il quale stabilisce 
che il giudizio civile � sospeso se viene iniziata 
l'azione penale e nel caso che la cognizione del reato 
infuisca sulla decisione della controversia civile, 
rappresenta un caso di sospensione legale della 
prescrizione, nei giudizi civili, sempre che il procedimento 
venga in realt� sospeso. 

Di tale provvedimento va data notizia al trasgressore, 
ma non necessariamente sotto forma di 
notificazione. >> Nella procedura sanzionatoria delle 
trasgressioni valutarie disciplinata in maniera capillare, 
l'unico atto da emettersi in forma di decreto 
e da notificarsi alle parti, � quello con il quale il 
Ministero del Tesoro fissa la misura della pena 
pecuniaria. Da ci� consegue che, in mancanza di 
espresse disposizioni in contrario, spiega efficacia il 
principio fondamentale della libert� di forma delle 
relative manifestazioni di volont� ed in pm�ticolare 
degli atti amministrativi all'uopo emessi. 

L. OORREALE 

INDICE SISTEMATICO 
DELLE CONSULTAZIONI 


LA FOR!t!ULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE E' STATA DATA 

ACQUE PUBBLICHE 

CONCESSIONI DI ACQUE PUBBLICHE � DISCIPLINARE. 

Se una societ� che abbia firmato un disciplinare di 
concessione di acque pubbliche accettando anche la 
clausola concernente il passaggio allo Stato al termine 
della concessione. dei fabbricati della centrale (passaggio 
non previsto dall'art. 25 T.U. sulle AA.PP.), possa 
richiedere un provvedimento di rettifica degli atti di 
concessione con la esclusione dei predetti fabbricati 
dall'oggetto della devoluzione (n. 69). 

AERONAUTICA 'E AEROMOBILI 

AERO CLUB LOCALI. 

Se gli Aero Club locali siano da considerarsi enti 
pubblici ovvero persone giuridiche private (n. 10). 

AGRICOLTURA E FORESTE 

CONCESSIONI. 

I) Quali siano le modifiche apportate ,con la legge 
12 dicembre 1960, n. 1596 al R.D.L. 18 giugno 1936, 

n. 1338 relativo alla concessione delle pertinenze idrauliche 
da adibire alla coltivazione del pioppo o di altre 
essenze arboree (n. 27). 
CONSORZI AGRARI. 

2) Quale sia l'int.erpretazione dell'art. 30 D.L. 7 mag


gio 1948, n. 1235 in relazione all'art. 1 dello stesso D.L. 
ed all'art. 2405 O.e. in ordine alla facolt� dei Sindaci 
dei Consorzi Agrari Provinciali di partecipare alle riunioni 
dei Comitati Esecutivi (n. 28). � 
MINIMA UNIT� CULTURALE � DETERMINAZIONE. 


3) Se siano applicabili le norme degli artt. 846 e 847 

e.e. per la determinazione della minima unit� culturale 
(n. 29). 
AMMINISTRAZIONE PUBBLICA 

COMITATO NAZIONALE PER LA CELEBRAZIONE lO 0ENTE� 
NARIO DELL'UNIT� D'ITALIA. 

1) Se e quale indennit� spetti, al momento della 
cessazione dall'impiego, al personale assunto diretta


mente con contratto a tempo determinato (cio� fino 
al termine delle manifestazioni celebrative) dal Comitato 
Nazionale per la Celebrazione 1� Centenario del, 
l'Unit� d'Italia (n. 260). 

COMITA'l'O NAZIONALE PER LA PRODUTTIVIT�. 

2) Quale sia la natura giuridica del Comitato Nazionale 
per la Produttivit� e come sia regolato il rapporto 
di impiego con i suoi dipendenti (n. 261). 

GESTORE GOVERNATIVO DELLE TERME DI SALSOMAG� 
GIORE. 

3) Se possa ravvisarsi un rapporto di impiego fra 
l'Amministrazione dello Stato e il gestore governativo 
delle Terme di Salsomaggiore (n. 262). 

4) Se i gestori governativi cessati dall'incarico possano 
ottenere la corresponsione della indennit� di anzianit� 
relativa al periodo di servizio prestato (n. 262). 

U.l.C. -PERSONALE � BENEFICI AI COMBATTENTI. 
5) Se, ai sensi della legge 1� luglio 1955, n. 565 possano 
essere estesi ai dipendenti dell'Ufficio Italiano 
Cambi i benefici di natura combattentistica previsti 
dall'art. 207 dello Statuto degli impiegati civili dello 
Stato, anche per le promozioni a vice capo ufficio e 
vice-ispettore (n. 263). 

ANTICHITA E BELLE ARTI 
VINCOLI. 

Se, in base all'ultimo comma dell'art. 3 della legge 
29 giugno 1939, n. 1497, il Ministro della Pubblica 
Istruzione abbia il potere di ampliare l'elenco delle 
localit� proposte per il vincolo da parte delle competenti 
commissioni (n. 47). 

APPALTO 

LAVORI DEL GENIO MILITARE. 

Quale sia l'interpretazione dell'art. 47 delle Condi� 
zioni Generali per l'appalto dei lavori del Genio Militare 
(n. 263). 



-112 


AUTOVEICOLI E AUTOLINEE 

CIRCOLAZIONE STRADALE -PROVENTI CONTRAVVENZIO� 
NALI. 

1) Se la norma di cui all'art. 119 del R.D.L. 1740 
del 1933 relativa alla devoluzione dei proventi contravvenzionali 
debba considerarsi abrogata e sostituita 
dalla norma di cui all'art. 139 D.P.R. n. 393 del 1959 

(n. 63). 
2) Se, conseguentemente, la devoluzione dei detti 
proventi contravvenzionali debba essere attribuita 
all'ANAS ovvero direttamente al pubblico erario (n. 63). 

PERSONALE DIPENDENTE DA AUTOLINEE EXTRAURBANE. 

3) Se, ai sensi dell'art. 36 del contratto collettivo 
di lavoro 1961 per il personale operaio di aziende private 
esercenti autoservizi in concessione, nel caso di 
cessione di linee da una ad altra azienda, il rapporto 
di lavoro continua con il nuovo titolare (n. 64). 

4) Nel caso affermativo, se al personale trasferito 
debbano essere applicate le norme che impongono un 
periodo di prova (n. 64). 

AVVOCATI E PROCURATORI 

ONERI DI SPEDALIT�. 

1) Se le Prefetture debbano costituirsi nei giudizi 
innanzi al Consiglio di Stato instaurati dagli enti mutualistici 
avverso decreti prefettizi concernent.i oneri di 
spedalit� (n. 56). 

BORSA 

AGENTI D.I CAMBIO -PROFUGHI. 

Se possa essere accolta la richiesta avanzata da un 
cittadino italiano gi� residente in Alessandria d'Egitto, 
tendente ad ottenere l'iscrizione nel ruolo degli agenti 
di cambio della Borsa Valori di Roma ai sensi dello 
art. 28 della legge 4 marzo 1952, n. 137 (n. 18). 

CACCIA E PESCA 

DIVIETO DI CACCIA .IN ZONE MILITARI. 

1) Quale sia la procedura da seguire in ordine alla 
applicazione del divieto all'esercizio venatorio,, previsto 
dall'art. 28 del T.U. sulla caccia, nelle localit� 
interessanti le difese dello Stato o dove, comunque, 
il divieto stesso sia richiesto da esigenze milit.ari (n. 20). 

REATI IN MATERIA DI CACCIA. 

2) Se la inosservanza al decreto prefettizio che stabilisca 
il divieto temporaneo di caccia nelle zone della 
Provincia, possa concretare contravvenzioni in materia 
di caccia ai sensi dell'art. 12 del T.U. 5 giugno 1939, 

n. 1016 (n. 21). � 
3) Se, conseguentemente, i cacciatori contravvenzionati 
possano presentare domanda di oblazione ai sensi 
dell'art. 77 del T.U. sulla caccia (n. 21). 

CAMBIALI 

IMPOSTA DI BOLLO. 

Quale sia il criterio per calcolare, ai fini della imposta 
di bollo, la durata di una cambiale emessa l'ultimo 
giorno di un mese di 30 o 28 o 29 giorni e con scadenza, 
a giorno fisso, nell'ultimo giorno di un mese di 31 giorni 

(n. 6). 
CIRCOLAZIONE STRADALE 

CIRCOLAZIONE STRADALE -PROVENTI CONTRAVVENZIONALI. 


1) Se la norma di cui all'art. 119 del R.D. 1740 del 
1933 relativa alla devoluzione dei proventi contravvenzionali 
debba considerarsi abrogata e sostituita dalla 
norma di cui all'art. 139 D.P.R. n. 393 del 1959 (n. 4). 

2) Se, conseguentemente, la devoluzione dei detti 
proventi contravvenzionali debba essere attribuita 
all'A.N.A.S. ovvero direttamente al pubblico erario 

(n. 4). 
COMPETENZA E GIURISDIZIONE 

ADEGUAMENTO F.ITTO ALLOGGI CASE POPOLARI. 

Quale sia la competenza del giudice ordinario in 
merito ai provvedimenti di adeguamento e perequazione 
dei canoni per le case economiche e popolari (numero 
21). 

COMUNI E PROVINCIE 

APPALTATORI DELLE Il.CC. -RAPPORT.I CONTRATTUALI. 

1) Se la delibera comunale relativa all'accordo con 
l'appaltatore delle II.CC., in ordine a variazioni dell'aggio 
del canone fisso, nei casi previsti dall'art. 80 

T.U. F.L., debba essere assoggettata alla approvazione 
prescritta per gli atti di transazione, ai sensi 
dell'art. 98, n. 5, T.U. 3 marzo 1934, n. 383 ovvero 
allo speciale controllo prefettizio di merito di cui allo 
art. 285 Regolamento riscossione II.CC. (n. 96). 
INDENNIT� DI MORA SUI RITARDATI VERSAMENTI. 

2) Se i Comuni che hanno accettato il ritardato versamento 
delle rate del canone di appalto della riscossione 
delle imposte di consumo, senza richiedere il 
contestuale pagamento dell'indennit� di mora prevista 
dall'art. 82 del T.U. della Finanza locale, possano 
ritenersi decaduti dal diritto di pretendere l'indennit.
� stessa (n. 97). 

ONERI DI SPEDALIT�. 

3) Se le Prefetture debbano costituirsi nei giudizi 
innanzi al Consigli� di Stato instaurati dagli enti mutualistici 
avverso decreti prefettizi concernenti oneri di 
spedalit� (n. 98). 

CONCESSIONI AMMINISTRATIVE 

CONCESSIONI DI ACQUE PUBBLICHE -DISCIPLINAREL .


1) Se una societ� che abbia firmato un disciplinare 
di concessione di acque pubbliche accettando anche 
la clausola concernente il passaggio allo Stato, al Ter




-113 


mine della concessione, dei fabbricati della centrale 
(passaggio non previsto dall'art. 25 T.U. sulle acque 
pubbliche) possa richiedere un provvedimento di rettifica 
degli atti di concessione con la esclusione dei predetti 
fabbricati dall'oggetto della devoluzione (n. 67)� 

CONCESSIONI PERTINENZE IDRAULICHE PER PIOPPICOL� 

TURA. 

2) Quali siano le modifiche apportate con la legge 
12 dicembre 1960, n. 1596 al R.D.L. 18 giugno 1936, 

n. 1338 relativo alla concessione delle pertinenze idrauliche 
da adibire alla coltivazione del pioppo o di altre 
essenze arboree (n. 68). 
CONCORSI 

ASSEGNAZIONE ED ESECUZIONE DI OPERE D'ARTE. 

Se la legge 3 marzo 1960, n. 237, riguardante i concorsi 
nazionali per la assegnazione e l'esecuzione di 
opere d'arte, stabilisca che l'artista il cui progetto � 
vincitore del concorso debba eseguire l'opera stessa 

(n. 6). 
CONTABILITA GENERALE DELLO STATO 

U.C.E.F.A.P. 
Se un atto di transazione stipulato tra il Commissario 
liquidatore dell'Ucefap e l'Azienda dei Servizi 
Annonari del Comune di Roma a definizione dei rapporti 
intercorsi fra i due Enti debba essere assoggettato 
al controllo preventivo previsto dalle norme sulla 
contabilit� generale dello Stato (n. 186). 

CONTRABBANDO 

CONTRABBANDO TABACCHI IMMESSI AL CONSUMO. 

Quali siano i criteri da seguire per la determinazione 
dell'ammontare dei diritti evasi nel caso di contrabbando 
di tabacchi gi� immessi al consumo sia di produzione 
nazionale sia di produzione estera (n. 36). 

CONTRATTI DI GUERRA 

CAUZIONE -RESTITUZIONE. 

Se il diritto alla restituzione della cauzione relativa 
ad un contratto di guerra non denunciato nei termini 
di cui all'art. IO del D.L. 25 marzo 1948, n. 674, sia 
colpito dalla decadenza prevista dall'art. 11 della legge 
stessa (n. 24). 

COSTITUZIONE 

PORTO DI NAPOLI -TASSE PER IMBARCO E SBARCO DI 
MERCI. 

Se p:>ssa farsi questione di legittimit� costituzionale, 
per contrasto con l'art. 23 della Costituzione, dei decreti 
ministeriali in forza dei quali i Ministri per la 

Marina Mercantile e per il Tesoro procedono, ai fini 
del pagamento delle tasse per imbarchi e sbarchi di 
merci, alla classificazione dei porti in una o altra categoria 
(n. 12). 

DEMANIO 

FABBRICATI EX CONVENTUALI -ACQUISTO A NON DOMINO. 

I) Se i fabbricati ex conventuali soppressi nel Regno 
di Napoli con la legge 7 agosto 1809 siano a suo tempo 
passati in propriet� dello Stato (n. 169). 

2) Se l'acquisto a non domino fatto dagli aventi 
causa dal Comune (al quale era stato trasferito il solo 
uso dei fabbricati ex conventuali per pubblici servizi) 
abbia determinato, con il trascorso del tempo, l'usucapione 
a favore dei possessori e la conseguente estinzione 
del dominio dello Stato (n. 169). 

3) Se la chiesa annessa agli ex fabbricati aperta 
al pubblico possa rientrare nella previsione dell'art. 29, 
lett. a) del Concordato con la Santa Sede e pertanto 
possa provvedersi al riconoscimento della sua personalit� 
giuridica (n. 169). 

EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE 

ADEGUAMENTO FITTI ALLOGGI CASE POPOLARI. 

I) Quale sia la competenza del giudice ordinario in 
merito ai provvedimenti di adeguamento e perequazione 
dei canoni per le case economiche e popolari (n. 122). 


AGEVOLAZIONI FISCALI -LEGGE N. 659 DEL 1961. 

2) Se, ai sensi del secondo comma dell'art. 1 della 
legge 19 luglio 1961, n. 659 sulle agevolazioni fiscali 
in materia di edilizia, la estensione delle agevolazioni 
riguardi soltanto gli ampliamenti di edifici la cui costruzione 
venne iniziata dopo la data di entrata in vigore 
della legge 2 luglio 1949, n. 408 (18 luglio 1949) ovvero 
concerna anche gli ampliamenti di edifici preesistenti 
a tale data (n. 123). 

CASE ECONOMICHE PER TERREMOTATI. 

3) Se le ditte, dichiarate decadute dal diritto a contributo 
statale concesso per i fabbricati distrutti dal 
terremoto, abbiano titolo per ottenere l'assegnazione 
in propriet� di un alloggio per terremotati, giusta lo 
art. 255 T.U. sull'edilizia popolare ed economica 28 aprile 
1938, n. 1165 (n. 124). 

CESSIONI IN PROPRIET� DEGLI ALLOGGI � UTILIZZAZIONE 
DELLE SOMME. 

4) Se l'art. 21 del D.P. 17 gennaio 1959, n. 2 che 

disciplina la utilizzazione delle somme ricavate dalla 

cessione in propriet� degli alloggi e dei locali di tipo 

popolare ed economico, detti disposizioni diverse a 

seconda che si tratti di costruzioni effettuate a totale 

carico dello Stato, dai Comuni e dalle Provincie con il 

concorso dello Stato ovvero da altri enti autorizzati 

sempre con il concorso dello Stato (n. 125). 

5) Se l'art. 21 sia stato modificato dall'art...I� della__ 

legge 27 aprile� 1962 nel senso di abolire l'autorizza. 

zione ministeriale per il prelievo delle somme versate 

nei conti correnti speciali aperti presso la Cassa DD.PP. 

(n. 125). 

-114 


ENTE GESTIONE SERVIZIO SOCIALE CASE PER LAVO� 
RATORI. 

6) Quale sia la natura giuridica dell'Ente Gestione 
Servizio Sociale Case per lavoratori avente per scopo 
di promuovera e organizzare il servizio di assistenza 
sociale in favore delle famiglie dei lavoratori assegnatarie 
degli alloggi INA-Casa (n. 126), 

ELETTRODOTTI 

SPOSTAMENTO. 

Se l'Amministrazione Militare sia tenuta ad indennizzare 
l'esercente un elettrodotto per lo spostamento 
della conduttura a questi imposto per esigenze di carattere 
militare (n. 10). 

ENTI E BENI ECCLESIASTICI 

FABBRICATI EX CONVENTUALI� ACQUISTO A NON DOMINO, 

1) Se i fabbricati ex conventuali soppressi nel Re


gno di Napoli con la legge 7 agosto 1809 siano a suo 

tempo passati in propriet� dello Stato (n. 37). 

2) Se l'acquisto a non domino fatto dagli aventi 
causa dal Comune (al quale era stato trasferito il solo 
uso dei fabbricati ex conventuali per pubblici servizi) 
abbia determinato, con il trascorso del tempo l'usucapione 
a favore dei possessori e la conseguente estinzione 
del dominio dello Stato (n. 37). 

3) Se la chiesa -annessa agJi ex fabbricati aperta 
al pubblico possa rientrare nella previsione dell'art. 29, 
lett. a) del Concordato con la Santa Sede e pertanto 
p::issa provvedersi al riconoscimento della sua persomJit� 
giuridica (n. 37). 

ESECUZIONE FISCALE 

INGIUNZIONI AMMINISTRATIVE. 

Se ed in quali limibi l'ingiunzione amministrath a 
vada equiparata al precetto e, come tale, divenga inefficace, 
se non si procede ad atti esecutivi nel termine di 
novanta giorni (n. 61). 

ESECUZIONE FORZATA 

ISTITUTI DI VENDITA GIUDIZIARIA. 

Quali siano i casi nei quali di applica l'art. 38 del 
Regolamento unico per gli Istituti di vendita giudiziaria 
(n. 28). 

ESPROPRIAZIONE PER P. U. 

DEPOSITI PER INDENNIT� DI ESPROPRIAZIONE � SVIN� 
COLO. 

1) Se la Cassa DD.PP. sia obbligata a dare esecuzione 
al decreto di svincolo del deposito della inden�. 
nib� di espropriazione emesso dall'Autorit� giudizia. 
ria a seguito di accordi intervenuti fra espropriato ed 
espropriante (n. 171). 

PIANI DI RICOSTRUZIONE �ESECUZIONE DA PARTE DELLO 
STATO PER CONTO DEL COMUNE. 

2) Se gli Enti concessionari dei piani di ricostruzicne 

di cui all'art. 15 legge 27 ottobre 1951, n. 1402 siano 

legittimati passivamente nei giudizi �relativi �a provve


dimenti di occupazione o di esproprio (n. 172). 

3) Se il Ministero dei Lavori Pubblici abbia intererne 

ad intervenire in tali giudizi (n. 172). 

FALLIMENTO 

CREDITI PRIVILEGIATI � INTERESSI. 

Se i crediti privilegiati continuino a produrre interessi 
anche dopo che sia intervenuta la dichiarazione 
di fallimento (n. 66). 

FERROVIE 

INVALIDI DI GUERRA � COLLOCAMENTO AL LAVORO. 

1) Se possano essere assunti presso le F.S. gli ima


lidi di guerra che all'atto della domanda di assunziore 

non avevano ancora compiuto gli anni 45 quando il 

provvedimento di assunzione debba essere emam:to 

dopo il compimento di quell'et� n. (334). 

2) Se debbano escludersi dal beneficio della assun� 
zione in servizio quegli invalidi che, provvisti di asrn� 
gno rinnovabile al momento della presentazione della 
domanda, abbiano cessato di godere di tale assegno 
nelle.more della prolungata istruttoria (n. 334). 

SOTTOPASSAGGI CON UTILIZZAZIONE PROMISCUA. 

2) Quali siano i criteri che debbono regolare la responsabilit� 
dell'Amministrazione ferroviaria per l'uso 
dei sottopassaggi destinati ad uso promiscuo (n. 335). 

IMPIEGO PUBBLICO 

ASSEGNI FAMILIARI. 

1) Se l'art. 4 della legge 10 novembre 1954, n. 1142 
vada interpretato nel senso che la maggiorazione del 
4 % per ogni figlio a carico spetti solo ai coniugati e 
non anche ai vedovi (n. 532). 

DIPENDENTI ENTI PUBBLICI � INCIDENTI AUTOMOBI� 
LISTIOI. 

2) Quale sia la responsabilit� dell'Amministrazione 
nel caso di incidenti stradali occorsi a dipendenti di 
un ente pubblico autorizzati dall'ente a servirsi di 
autovetture di loro propriet� per ragioni di servizio 

(n. 533). 
GESTORE GOVERNATIVO DELLE TERME DI SALSOMAG� 
GIORE. 

3) Se possa ravvisarsi un rapporto di impiego fra 
la Amministrazione dello Stato e il gestor� goveJ.'.!latLvo 
delle Terme di Salsomaggiore (n. 534). 

4) Se i gestori governativi cessati dall'incarico possano 
ottenere la corresponsione della indennitl), di anzianit� 
relativa al periodo di servizio prestato (n. 534). 


-115 


IMPIEGATI CIVILI -DEPOSIZIONE QUALE TESTIMONIO INDENNIT� 
DI MISSIONE. 

5) Se l'art. 1 del R.D. 4459 del 1878 autorizzi la 
corresponsione dell'indennit� di missione e di soggiorno 
nell'ipotesi in cui gli impiegati civili siano chiamati a 
testimoniare in giudizio sopra fatti relativi all'esercizio 
delle loro funzioni (n. 535). 

6) Se tale indennit� spetti ad un impiegato civile 
chiamato a deporre quale teste in un procedimento 
penale in ralazione a fatti inerenti all'esercizio delle sue 
funzioni di. ex appartenente all'Arma dei Carabinieri 

(n. 535). 
IMPIEGATI MILITARI -PIGNORAMENTI ALIMENTARI. 

7) Se la ritenuta per pignoramenti alimentari a carico 
degli impiegati e pensionati militari dello Stato 
debba essere effettuata fino a concorrenza di un terzo 

o di un quinto dello stipendio (n. 536). 
IMPIEGATO DISTACCATO PRESSO ALTRA AMMINISTRAZIONE 
-PROCEDIMENTO DISCIPLINARE. 

8) Se il procedimento disciplinare contro un impiegato 
cc distaccato � presso altra Amministrazione, relativo 
ad infrazioni commesse durante il servizio cc distaccato>>, 
debba essere promosso dall'Amministrazione di 
appartenenza o da quella presso la quale egli presta 
servizio (n. 537). 

PERSONALE ADDETTO AL S,ERVIZIO DEI FARI E SEGNALAMENTI 
l)l:ARITTIMI. 

9) Se dall'art. 68 dello Statuto degli impiegati dello 
Stato possa derivarsi l'abrogazione delle disposizioni 
che dispongono l'assicurazione contro gli infortuni di 
una parte del personale statale (n. 538). 

10) Se permanendo l'obbligo dell'assicurazione sia 
ammissibile il cumulo dei due trattamenti (n. 538). 

UFFICI DI COLLOCAMENTO -PERSONALE NON DI RUOLO INVALIDIT�. 


11) Se il D.L. 15 aprile 1948, n. 381 e la successiva 
legge 6 febbraio 1951, n. 127 sul trattamento per il 
personale non di ruolo degli uffici di collocamento 'prevedano 
delle distinzioni tra l'infermit� per causa di 
servizio e quella dovuta ad altre cause (n. 539). 

u.r.c. -PERSONALE -BENEFICI AI COMBATTENTI. 
12) Se, ai sensi della legge 1� luglio 1955, n. 565 possano 
essere estesi ai dipendenti dell'Ufficio Italiano 
Cambi i benefici di natura combattentistica previsti 
dall'art. 207 dello Statuto degli impiegati civili dello 
Stato, anche per le promozioni a vice capo ufficio e 
vice ispettore (n. 540). 

IMPOSTA DI BOLLO 

CAMBIALI. 

Quale sia. il criterio per calcolare, ai fini dell'imposta 
di bollo, la durata d'una cambiale emessa l'ultimo 
giorno di un mese di 30 o 28 o 29 giorni e con scadenza, 
a giorno fisso, nell'ultimo giorno di un mese di 31 giorni 

(n. 21). 
IMPOSTA DI CONSUMO 

INDENNIT� DI MORA SUI RITARDATI VERSAMENTI. 

Se i Comuni che hanno accettato il ritardato versamento 
delle rate del canone di appalto. d�ila riscossione 
delle imposte di consumo, senza richiedere il 
contestuale pagamento dell'indennit� di mora prevista 
dall'art. 82 del T.U. sulla finanza locale, possano 
ritenersi decaduti dal diritto di pretendere l'indennit� 
stessa (n. 11). 

IMPOSTA DI REGISTRO 

AGEVOLAZIONI FISCALI -REGIONI. 

1) Se la legge nazionale 2 luglio 1949, n. 408, contenente 
benefici tributari per l'edilizia, debba applicarsi 
nella Regione Siciliana laddove questa abbia disciplinato 
con proprie leggi successive tutta la materia delle 
agevolazioni fiscali per le nuove costruzioni edilizie 

(n. 181). 
TRATTAMENTO TRIBUTARIO DEI DECRETI INGIUNTIVI. 

2) Se la registrazione dei decreti ingiuntivi per i 
quali l'opposizione venga abbandonata ed il relativo 
giudizio cancellato dal ruolo, debba avvenire nei venti 
giorni dall'ordinanza di cancellazione oppure nei venti 
giorni successivi all'infruttuoso decorso dell'anno utile 
per la eventuale riassunzione del processo (n. 182). 

IMPOSTA SULL'ENTRATA 

ESTIMAZIONE SEMPLICE E COMPLESSA. 

1) Se al fine di affermare o negare la giurisdizione 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria possa applicarsi la 
distinzione fra estimazione semplice ed estimazione 
complessa nelle azioni in materia di I.G.E. (n. 98). 

2) Se l'esame dei presupposti relativi alle condizioni 
soggettive del (presunto) debitore d'imposta possa 
considerarsi giudizio di estimazione semplice (n. 98). 

IMPOSTE E TASSE 

AGEVOLAZIONI FISCALI -LEGGE N. 408 DEL 1949. 

1) Se le agevolazioni fiscali previste con la legge 
2 febbraio 1960, n. 35 sulle nuove costruzioni che abbiano 
inizio entro il 31 dicembre 1967 possano essere 
estese anche alle costruzioni effettuate sulla porzione 
di terreno che eccede il doppio di quella in un primo 
moment.o ricoperta (n. 349). 

PENE PECUNIARIE -CONDONO. 

2) Se, ai sensi della legge 30 luglio 1959, n. 559, anche 
il condono delle pene pecuniarie dovute da amministratori 
di societ� sia subordinato al pagamento del 
tributo dovuto dalla Societ� (n. 350). 

PORTO DI NAPOLI -TASSE PER IMBARCHI E SBARCHI 
DI MERCI. 

3) Se possa farsi questione di legittimit� costituzionale, 
per contrasto con l'art. 23 della Costituzione, 
dei decreti ministeriali in forza dei quali i Ministri per 


-,.,... 116 


la Marina Mercantile e per il Tesoro procedono, ai fini 
del pagamento delle tasse per imbarchi e sbarchi di 
merci, alla classificazione dei porti in una o altra categoria 
(n. 351). 

SPETTACOLI -DIRITTI ERARIALI. 

4) Se -vigendo il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3276 
-le contribuzioni in denaro erogate dai Comuni ad 
Enti o Societ� private per l'organizzazione e l'esecuzione 
degli spettacoli indicati negli artt. 1 -4 del R.D. 

n. 3276 del 1923, costituiscono introiti lordi sul cui 
ammontare vanno liquidati i diritti erariali (n. 352). 
INFORTUNI SUL LAVORO 

PERSONALE ADDETTO AL SERVIZIO DEI FARI E SEGNALAMENTI 
MARITTIMI. 

1) Se dall'art. 68 dello Statuto degli Impiegati dello 
Stato possa derivarsi l'abrogazione delle disposizioni 
che dispongono l'assicurazione contro gli infortuni di 
una parte del personale statale (n. 44). 

2) Se permanendo l'obbligo dell'assicurazione sia 
ammissibile il cumulo dei due trattamenti (n. 44). 

INVALIDI DI GUERRA 

COLLOCAMENTO AL LAVORO. 

1) Se possano �ssere assunti presso le F.S. gli invalidi 
di guerra che all'atto della domanda di assunzione 
non avevano ancora compiuto gli anni 45 quando il 
provvedimento di assunzione debba essere emanato 
1d,opo il compimento di quell'et� (n. 16). 

2) Se debbono escludersi al beneficio della assunzione 
in servizio quegli invalidi che, provvisti di assegno 
rinnovabile al momento della presentazione della 
domanda, abbiano .cessato di god�re di tale assegno 
nelle more della prolungata istruttoria (n. 16). 

LAVORO 

PERSONALE DIPENDENTE DA AUTOLINEE EXTRAURBANE. 

1) Se, ai sensi dell'art. 36 del contratto collettivo 

di lavoro 1961 per il personale operaio di aziende pri


vate esercenti autoservizi in concessione, nel caso di 

cessione di linee da una ad altra azienda, il rapporto 

di lavoro .continua con il. nuovo titolare (n.. 33). 

2) Nel caso affermativo se al personale trasferito 

debbano essere applicate le norme che impongono un 

periodo di prova (n. 33). 

LOCAZIONI 

SPESE PER SERVIZI ACCESSORI. 

Come � disciplinata la ripartizione dell'onere delle 
spese per i servizi accessori inerenti alle locazioni di 
immobili urbani in regime di libera contrattazione, ove 
manchi una espressa clausola che regoli nel contratto 
I 'onere delle spese stesse (n. 115). 

MILITARI 

DI LEVA � INCIDENTI AUTOMOBILISTICI. 

1) Se il Ministero della Difesa possa chiedere la rivalsa 
delle spese mediche di cti.r��-�0 degenza, erogate 
a favore di un militare di leva rimasto infortunato in 
seguito ad incidente stradale, al responsabile dell'incidente 
stesso (n. 15). 

IMPIEGATI MILITARI -PIGNORAMENTI ALIMENTARI. 

2) Se la ritenuta per pignoramenti alimentari a carico 
degli impiegati e pensionati militari dello Stato 
debba essere effettuata fino a concorrenza di un terzo 

o di un quinto dello stipendio (n. 16). 
MONOPOLI 

TABACCHI GREGGI. 

Quali siano le innovazioni portate dalla legge 21 aprile 
1961, n. 342 e del regolamento 7 novembre 1961 nella 
materia concernente le controversie economiche (valutazione 
del prezzo del tabacco allo stato sciolto e delle 
tare per umidit�) fra concessionari e coltivatori di 
tabacchi (n. 38). 

NOBILTA' ORDINI CAVALLERESCHI 
ED ONORIFICENZE 


CONSULTA ARALDICA. 

Se, in mancanza del provvedimento legislativo previsto 
dalla disposizione transitoria XIV della Costituzione 
per la soppressione della Consulta Araldica, residui 
ancora la competenza dell'Ufficio Araldico nella 

c. d. � cognomizzazione " (n. 12). 
NOTIFICAZIONE 
ART. 140 C.P.C. 

1) Quali siano i presupposti per l'applicazione al 
procedimento tributario dell'art. 140 C.p.c. che regola 
la notificazione in caso di irreperibilit�, incapacit� o 
rifiuto del destinatario o delle persone cui per legge 
pu� essere consegnata la copia (n. 20). 

NOTIFICA PRESSO UFFICIO PUBBLICO. 

2) Se debba considerarsi nulla la notifica di un decreto 
ingiuntivo effettuata nei confronti di un pubblico 
impiegato presso il Ministero dove esplica il suo lavoro 

(n. 21). 
3) Se colui che ha richiesto la notifica possa avanzare 
delle pretese nei confronti del �Ministero che ha 
omesso di consegnare l'atto all'interessato (n. 21).1 

PROCEDIMENTO PENALE 

INCIDENTI AUTOMOBILISTICI -ISTRUTTORIA PR_ATI9HE_. 

Se il segreto istruttorio, previsto dall'art. 230 C.p.p., 
copra anche gli atti compiuti in relazione ad incidenti 
automobilistici quando si tratti di incidenti costituenti 
reato (n. 7). 


--
-117 -


PROPRimTA. INDUSTRIALE 

CONCESSIONE DI BREVETTO. 

Se una societ� che in un contratto di fornitura di 
cucine mobili campali al Ministero della Difesa abbia 
rinunziato, con apposita clausola, all'esercizio di qualsiasi 
diritto di privativa industriale del brevetto, possa 
richiedere al Ministero Industria e Conunercio la brevettazione 
delle suddette cucine mobili (n. 5). 

REGIONI 

REGIONE SICILIANA -AGEVOLAZIONI FISCALI. 

Se la legge nazionale 2 luglio 1949, n. 408, contenente 
benefici tributari per l'edilizia, debba applicarsi 
nella Regione Siciliana laddove questa abbia disciplinato 
con proprie leggi successive tutta la materia delle 
agevolazioni fiscali per le nuove costruzioni edilizie 

(n. 99). 
RESPONSABILITA' CIVILE 

DIPENDENTI PUBBLICI -INCIDENTI AUTOMOBILISTICI. 

1) Quale sia la responsabilit� dell'Amministrazione 
nel caso di incidenti stradali occorsi a dipendenti di 
un ente pubblico autorizzati dall'ente a servirsi di 
autovetture di loro propriet� per ragioni di servizio 

(n. 198). 
INCIDENTI AUTOMOBILISTICI -ISTRUTTORIA PRATICHE. 

2) Se il segreto istruttorio, previsto dall'art. 230 
C.p.p., copra anche gli atti compiuti in relazione ad 
incidenti automobilistici quando si tratti di incidenti 
costituenti reato (n. 199). 

MILITARI DI LEVA -RIMBORSO SPESE CURE MEDICHE. 

3) Se il Ministero della Difesa possa chiedere la rivalsa 
delle spese mediche di cura e degenza, erogate 
a favore di un militare di leva rimasto infortunato in 
seguito ad incidente stradale, al responsabile dell'incidente 
stesso (n. 200). 

RICOSTRUZIONE 

ESPROPRIAZIONE PER P.U. -ESECUZIONE DA PARTE 
DELL� STATO PER CONTO DEL COMUNE. 

1) Se gli enti concessionari dei piani di ricostruzione 

di cui all'art. 15 legge 27 ottobre 1951, n. 1402 siano 

legittimati passivamente nei giudizi Felativi a provve


dimenti di occupazione o di esproprio (n. 13). 

2) Se il Ministero dei Lavori Pubblici abbia inte


resse ad intervenire in tali giudizi (n. 13). 

SOCIET� 

CONSORZI AGRARI. 

Quale sia l'interpretazione dell'art. 30 D.L. 7 maggio 
1948, n. 1235 in relazione all'art. 1 dello stesso D.L. 
ed all'art. 2405 C.c. in ordine alla facolt� dei Sindaci 
dei Consorzi agrari provinciali di partecipare alle riunioni_::
dei Comitati esecutivi (n. 97). 

STRADE 

DISTANZE -VARIANTI STRADALI. 

1) Se l'A.N.A.S. possa imporre ai proprietari di terreni 
vincoli di inedificabilit� ai sensi dell'art; l, T.U. 
8 dicembre 1933, n. 1740 in relazione a varianti stradali 
da costruire in applicazione della legge 7 febbraio 
1961, n. 59 (n. 40). 

PROVENTI CONTRAVVENZIONALI. 

2) Se la norma di cui all'art. 119 del'R.D. 1740 del 
1933 relativa alla devoluzione dei proventi contravvenzionali 
debba considerarsi abrogata e sostituita dalla 
norma di cui all'art. 139 D.P.R. n. 393 del 1959 (n. 41). 

3) Se, conseguentemente, la devoluzione dei detti 
proventi debba essere attribuita all'A.N.A.S. ovvero 
direttamente al pubblico erario (n. 41). 

RIPE -OPERE DI SOSTEGNO. 

4) Se l'A.N.A.S. proprietario della strada dopo aver 
adempiuto con esecuzione di ufficio, ai sensi dell'art. 20 
del T.U. sulla circolazione, alle opportune opere di 
sostegno di una ripa rocciosa fiancheggiante la strada 
statale, abbia il diritto di ripetere le somme, erogate 
per i lavori eseguiti, dal proprietario della ripa stessa 

(n. 42). 
TERREMOTI 

CASE ECONOMICHE PER TERREMOTATI. 

1) Se i privati danneggiati in seguito a terremoto i 
quali abbiano acquistato il diritto al contributo diretto 
o al sussidio governativo oppure al concorsp dello 
Stato nel mutuo di favore per l'acquisto di un alloggio 
economico, possano in cambio del contributo, sussidio 

o concorso dello Stato, acquistare le case costruite ai 
sensi dell'art. 26 T.U. 28 aprile 1938, n. 1165 (n. 17). 
2) Se la propriet� di altro alloggio nel comune colpito 
da terremoto, alloggio del quale il danneggiato non 
abbia la disponibilit� giuridica, sia ostativa all'esercizio 
del diritto ad acquistare una delle case costruite 
dallo Stato (n. 17). 

3) Se per i privati danneggiati dal terremoto devesi 
far riferimento per il requisito del domicilio a quello 
attuale del danneggiato o a quello che costui aveva 
all'epoca del terremoto (n. 17). 


DECADENZA DAL DIRITTO A CONTRIBUTO STATALE. 

4) Se le ditte, dichiarate decadute dal diritto a contributo 
statale concesso per i fabbricati distrutti dal 
terremoto, abbiano titolo per ottenere l'assegnazione 
in propriet� di un alloggio per terremotati giusta lo 
art. 255 T.U. sull'edilizia popolare ed economica 28 
aprile 1938, n. 1165 (n. 18). 


TRANSAZIONI 
U.C.E.FA.P. 


Se un atto di transazione stipulato tra il Commissario 
Liquidatore dell'Ucefap e l'Azienda dei Servizi Annonari 
del Comune di Roma a definizione dei rapporti 
intercorsi tra i due Enti debba essere assoggettato 
al controllo preventivo previsto dalle norme sulla 
Contabilit� generale dello Stato (n. 8).