PUBBLICAZIONE RASSEGNA DI SERVIZIO DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ANNO XIII -N. 7 a I2 LUGLIO-DICEMBRE I96I . RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE COSTITUZIONE -: Ordinanze prefettizie di urgenza Testo unico di P.S. art. 2 -Illegittimit� costituzionale. (Corte Costituzionale, Sentenza n. 26 del 27 maggio 1961 -Pres.: Cappi; Rel.: Papaldo). L'art. 2 Testo unico delle leggi di P.S. 18 giugno 1931, n. 773 � costituzionalmente illegittimo soltanto nei limiti in cui esso� attribuisce ai Prefetti il potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico. Riportiamo integralmente la motivazione della sentenza: 1. Si pu� decidere con un'unica sentenza sulle questioni proposte con le quattro ordinanze del Pretore di Livorno, identico essendo l'oggetto delle questioni sollevate con le dette ordinanze. 2. Con la sentenza 20 giugno 1956, n. 8, la Corte afferm� che, ai fini della pronuncia sulla legittimit� costituzionale dell'art. 2 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, dovesse aversi riguardo non gi� al significato rivestito dalla norma nel sistema che le dette vita, bens� a quello acquistato sulla base della interpretazione che, in conformit� alla Costituzione, ne era stata data dalla giurisprudenza. Secondo tale interpretazione, la Corte ritenne che si pCitesse dichiarare infondata la questione relativa alla legittimit� costituzionale di quella norma, in considerazione che i provvedimenti del genere hanno il carattere di atti amministrativi adottati dal Prefetto nell'esercizio dei compiti del suo ufficio, strettamente limitati nel tempo in relazione ai dettami della necessit� e della urgenza e vincolati ai principii dell'ordinamento giuridico. La Corte, non nascondendosi che Ja forma dell'art. 2, nella sua ampia dizione, avrebbe potuto dare adito ad arbitrarie applicazioni .se si fossero affermate interpretazioni diverse da quella rilevata dalla Corte stessa, avvert� che in tal caso la questione sarebbe stata riesaminata. La Cor~e, infine, auspic� che, nell'intento di porre l'art. 2 al riparo da ogni interpretazione con traria allo spirito della Costituzione, il legislatore provvedesse ad inserire nel testo della disposizione l'espressa' enunciazione dei detti canoni, ai . quali i provvedimenti dovessero conformarsi, auspicando, altres�, che, nella nuova formulazione, sl enunciasse l'obbligo della motivazione ed anche quello della pubblicazione nel caso in cui il provvedimento non avesse carattere individuale. Nel tempo che � . trascorso da quella sentenza il testo legislativo � rimasto inalterato e, come si rileva dalle-numerose copie deposit�te nel presente giudizio, molti Prefetti hanno emesso provvedimenti che, a parte il loro contenuto, tendono ad avere carattere di permanenza. �, inoltre, sopraggiunta qualche pronuncia giurisprudenziale che non sembra conforme all'indirizzo della giurisprudenza della magistratura ordinaria e di quella amministrativa su cui si bas� la sentenza del 1956 per dare all'art. 2 l'interpretazione sopra richiamata. � Essendo stata ora risollevata la questione, la Corte ritiene che debba essere compiuto quel riesame di cui fu fatta espressa riserva in detta sentenza. 3. In ordine alla sentenza stessa occorre procedere ad una precisazione. Da qualche parte, nel giudizio attuale, � stato detto che secondo quella sentenza sarebbe possibile emanare provvedimenti in.base all'art. 2 della legge di pubblica sicurezza destinati a menomare l'esercizio� dei diritti dei cittadini, �nch� se garantiti dalla Costituzione. Si � aggi11nto che la Corte avrebbe dichiarato che non sussisterebbe contrasto tra lo stesso art. 2 e l'art. 21 della Costituzione. Ma non si � tenuto . conto che quella sentenza, dopo avere affermato il principio che le ordinanze in questione non possano in nessun caso violare i principii dell'ordinamento giuridico, prospett� l'ipotesi che i provvedimenti prefettizi toccassero campi nei quali si esercitano i diritti dei cittadini garantiti dall� Costituzione: la sentenza afferm� . che in tali ipotesi spetta al giudic� competente di accertare se nei singoli casi sussista la violazione di quei diritti. Ed in particolare la sentenza fece -70 la stessa affermazione in ordine alla dedotta viola zione dell'art. 21 della Costituzione. . �, dunque, da escludere che la precedente sentenza abbia dichiarato che le ordinanze prefettizie potessero menomare l'esercizio dei diritti garantiti dalla Costituzione: dichiarazione che sarebbe stata in netto contras.to con l'affermazione ch� quelle � ordinanze debbono essere vincolate ai principii dell;ordinamenfo giuridico. " ' ... . . _,.� 4. L'art. 2 conferisce al Prefetto poteri che non posson_o in nessun modo considerarsi di carattere legislativo, quanto alla loro forma e quanto ai loro effetti. Quanto al loro contenuto, i relativi provvedimenti, finch� si mantengano nei limiti dei principii dell'ordin'llimento giuridico, non possono mai esser tali da invadere il campo riservato all'attivit� degli organi legislativi n� a quella di altri organi costituzionali dello Stato: il rispetto di quei limiti impedisce ogni possibile violazione degli artt. 70, 76 e. 77 e dell'art.1, secondo comma, della Costituzione. Difatti, anche a volerli con.siderare in ogni caso come aventi carattere normativo, i provvedimenti prefettizi ex art. 2, ove, non ~ontrastino con i principii dell'ordinamento, restano legittimamente nella sfera dell'attivit� spettante agli organi amministrativi: essi sono legittimi quando siano emanati in base ai presupposti, nei limiti, con le caratteristiche, le forme e le garanzie, secondo le indicazioni �esposte fin dalla precedente sentenza. �� Non sar� del tutto superfluo soggiungere che l'art. 77 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige richiama espressamente la applicazione dell'art. 2 della legge di pubblica sicurezza; dal ch� pu� dedursi che l'Assemblea Costituente ritenne che l'istituto non fosse in contrasto con la Costituzione. 5. Dai ripetuti richiami fatti 'ai principii dell'ordinamento giuridico si rileva che questo � il punto fondamentale della questione. Su di esso bisogna pi� diffusamente soffermarsi. �, in primo luogo, da riaffermare che i provve dimenti prefettizi non possono mai essere in con trasto con i detti principii, dovunque tali principii siano espressi o comunque essi .risultino, e preci puamente non possono essere in contrasto con quei 'precetti della Costituzione che, rappresen tando gli elementi cardinali 'dell'ordinamento, non consentono alcuna possibilit� di deroga nemmeno ad opera della legge ordinaria. �, infatti, ovvio che l'art. 2 della legge di pubblica sicurezza non potrebbe disporre che, in un campo in cui il pre cetto costituzionale � inderogabile anche di fronte al legislatore ordinario, intervengano provvedi menti amministrativi in senso difforme. Per quel che si riferisce a�le riServe d:L legge, la Corte ritiene che si debba distinguere. Nei casi in cui la Costituzione stabilisce che la legge provveda direttamente a disciplinare una determinata materia (p�r esemp,io, art. 13, terzo comma), non pu� concepirsi' che nella materia stessa l'art. 2 permetta la emanazione� di atti amministra;tivi che dispongano in difformit� alla legge prevista dalla Costituzione. Per quanto riguarda quei campi'rispetto ai quali la Costituzione ha stabilito una rfserva adoperando la formula �in base alla legge� o altra di eguale sig.if�cato, giova. ricordare che� la costante giurisprudenza di ,questo Collegio, formatasi principalmente nei riguardi dell'art. 23 della Carta costituzionale, ha ritenuto ammissibile che la legge ordinaria attribuisca all'autorit� amministrativa l'emanazione di atti anche normativi, purch� la legge indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalit� dell'organo a cui il potere � stato attribuito. E, pertanto, nulla vieta che, nelle materie �ora indicate, una disposizione di legge ordinaria conferisca al Prefetto il potere di emettere ordinanze di necessit� ed urgenza, ma occorre che risultino adeguati limiti all'esercizio di tale potere. � Si pu� concludere che la omessa prescrizione, nel testo dell'art. 2, �del rispetto dei principii dell'ordinamento giuridico renderebbe possibile -ed in realt� ha reso, di recente, possibile -una applicazione della norma, tale da violare i diritti dei cittadini e diii menomarne la tutela giurisdizio nale. �, dunque, da ritenere che l'illegittimit� del l'art. 2, sussiste soltanto nei limiti in � cui esso attribuisce ai Prefetti il potere di emettere ordi nanze senza il rispetto dei principii dell'ordina mento giuridico, intesa questa espressione nei sensi sopra indicatii PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE pronunziando sopra i quattro procedimenti riuniti di cui in epigrafe, dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 2 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R. D. 18 giugno 1931, n. 773, nei sensi e nei limiti ind�cati nell� motivazione. In relazione alla precedente sentenza n. 8 del 1956 emessa dalla Oorte Oostituzionale sulla stessa que stione, si veda quanto abbiamo pubblicato nella Rela zione per gli anni 1956-1960, nn. 35 e 98. Si veda, altres�, la sentenza della Oorte di Oassazione a Sezioni Unite n. 2068/58, annotata in questa Rassegna, 1958, 87. Oon la presente sentenza, in sostanza, la Oorte Oostituzionale esercita, sia pur con conclusion�e formalmente opposta, lo stesso potere di interpreta zione della legge ordinaria, sulla base del quale aveva ritenuto� con la precedente sentenza n. 8 del 1956 di dichiarare infondata la questione di legit timit� costituzionale dell'art. 2 del Testo unico delle leggi di P. S. .. . ~ _ _ Oerto � che, qualunque sia l'estensione che si voglia dare all'attuale pronunzia della Oort�, essa, tenuto conto della peculiarit� del dispositivo, in relazione alla .motivazione, non sembra che possa essere inter-� -71 pretata nel senso che abbia definitivamente cancellata . dall'ordinamento giuridfoo italiano la norma contenuta nel citato art. 2, sulla base del quale i Prefetti, nei casi di assoluta necessit� ed urgenza, dispongono dei poteri d'ordinanza indispensabili per la tutela della esistenza stessa della collettivit� nazionale nei limiti del territorio di loro giurisdizione. Tuttavia non pu� non rilevarsi come �appaia indispensabile, per evitare pericolose confusioni di idee e carenza di poteri in momenti cruciali, che si� formulata una nuova norma legislativa la quale sostituisca quella dell'art. 2 per renderla, nei limiti del possibile, aderente al pensiero della Oo.rte. COS'f'ITUZIONE-CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE - Regione Trentino-Alto Adige -Reqpisizicme di_ alloggi costruiti dall'Istituto Autonomo Case Popo� lari. (Corte Cosbituzionale, 30 dicembre 1961, n. 72 - Pres.~ Cappi; Rel.: Manca -Presidente Regione Trentino- Alto Adige c. Presidente del Consiglio dei Ministri). La ripartizione della competenza fra organi dello stesso ufficio (Commissario e. vice Commissario del Governo) non d� luogo a questione di rilevanza costituzionale. Il potere di disporre, per un pubblico interesse, in via di urgenza, della propriet� privata, mobiliare ed immobiliare, previsto in via generale dall'art. 7 legge 20 marzo 1865, allegato E, spetta esclusivamente agli� organi dello Stato. La requisizione, per motivi di urgenza e per un periodo di tempo liinitato, di alloggi costruiti dall'I.A.O.P. non rappresenta un'assegnazione a carattere cont.inuativo di case popolari e non invade, -. perci�, la sfera di competenza della Provincia. 1) Deve ritenersi fondata l'eccezione di inammis . sibilit� dedotta dall'Avvocatura dello Stato circa il terzo motivo del ricorso, nel quale la difesa della Regione prospetta l'incompetenza del vicecommissario del Governo ad emanare il decreto di requisizione, in quanto, trattandosi di provvedimento demandato dalla legge ai prefetti, rientrerebbe nella competenza esclusiva del commissario, ai sensi dell'art. 76, n. 3 dello Statuto speciale, senza possibilit� di delega ad altro organo. � peraltro da obiettare che se anche fosse esatto l'assunto della Regione, il vizio denunciato riguarderebbe la� ripartizione della competenza fra organi dello stesso ufficio, e eh~ non pu� dar luogo perci� a questione di rilevanza costituzionale da esaminarsi in questa sede. 2) Nel primo:e nel secondo motivo si. prospettano due questioni�. . La prima se�il decreto di requisizione, emesso in base all'art. 7 della legge 20 marzo 1865, allegato E sul contenzioso amministrativo, abbia invaso la sfera di competenzl:li spettante alle autorit� regionali e provinciali nella materja dell'espropriazione per pubblica utilit� non riguardante opere a carico dello Stato, ai sensi dell'art. 4, n. 4, 13 e 46 dello Statuto speciale, ed all'art. 56 della legge regionale 17 maggio 1956, n. 7, riguardante appunto le espropriazioni. � La seconda, di carattere particolare, se,_ in ogni modo, la illegittimit� del provvedimento di requisizione debba essere dichiarata, in quanto, avendo per oggetto alloggi costruiti dall'Istituto autonomo per. le case popolari, tutti i poteri, nella� materia, sarebbero stati trasferiti, alle Provincie di Trento e di Bolzano, in virt� dell'art. 11, n. 11 e 13 dello Statuto speciale, e delle norme di attuazione contenute nel decreto legislati.Vo del 26 gennaio 1959, n. 28. Circa la prima�questione la difesa della Regione muove dal presupposto che la disposizione conte nuta nel ricordato art. 7 sia applicabile nei casi di urgente necessit�, � non espressamente regolati da altre norme legislative. Rileva peraltro che, trattandosi nella specie di occupazione di urgenza, ricompresa nella prima parte del primo comma dell'art. 71 a.ella legge sul1e espropriazioni per pubblica utilit� (28 giugno 1865, n. 2359, modifi cato dalla legge 18 dicembre 1879, n. 5188), ed essendo l'art. 71 trasfuso nell'art. 56 dell:;i, ricor data legge regionale del 1956, il potere di adottare il provvedimento in qu~stione non spetterebbe agli organi statali, bens� al ;presidente della Giunta provinciale. La tesi, ad avviso della Corte, non pu� ritenersi fondata. l.i'occupazione di urgenza di immobili cui si riferisce il primo comma dell'art. 71 della legge sulle espropriazioni, di poco posteriore a quella sul contenzioso amministrativo~ costituisce, com'� g~neralmente ritenuto, applicazione della regola generale racchiusa nell'art. 7 di quest'ultima legge, regola che legittima gli atti di disposizione della propriet� privata immobiliare e mobiliare, quando urgenti necessit� di interesse pubblico ci� richie dono. Come del pari sono da considerare specifi cazioni della predetta regola le numerose leggi sulle requisizioni in propriet� per i mo\>ili ed in uso per gli immobili, emanate, al :fine di discipli narne con� norme particolari la procedura e gli effetti, per le. esigenze belliche e post-belliche, e quelle vigenti circa le requisizioni in tempo di p:;i,ce per le esigenze militari e per il'pronto soccorso in caso di disastri tellurici ed ~Itri del genere. Ma dal collegamento della �l.isposizione dell'art. 7 con la legge del 30 novembre 1950, n. 996, che attribuisce carattere definitivo .ai provvedimenti eman~ti dai prefetti nell'esercizio dei poteri con feriti da .detto articolo, risulta chiarito come l'ac cennata disposizione sia altres�, per se stessa, attributiva. agli organi dello Stato di poteri da eser citarsi nei casi di urgente necessit�, non espressa mente preveduti da altre norme legislative. � vero quindi che le occupazioni di urgenza . antori.zzate dal citato art. 71 possono anche equipararsi, nella sostanza, a requisizioni in us� �ana-__ loghe a qu\3lle prevedute dalla legge sul contenzioso, con le quali vengono ad avere in comune il pJ.'.esupposto, cio� l'urgente necessit�., a differenza delle occupazioni temporanee di immobili colle� -72 gate alla esecuzione di una opera di pubbli�a utilit�. Non � altrettanto esatto per� che, nelle accennate occupazioni d'urgenza, si comprendano, come si vuol sostenere, tuttj i casi di disposizione, della propriet� privata, in guisa da precludere l'applicabilit� dell'art. 7. Difatti, per quanto largamente interpretata, la norma dell'art. 71 della legge sulle espropriazioni deve ritenersi tuttavia operante, per logico coordinament� del sistema, nell'ambito espressamente delimitato. La quale norma autorizza la occupazione temporanea dei beni immobili, per un fine determinato, in quanto cio� sia necessaria per l'esecuzione delle opere (in largo senso), occ_orrenti nei casi di pubbliche calamit�, negli altri casi di forza maggiore e di assoluta urgenza. Ne deriva che l'art. 7 della.legge sul contenzioso amministrativo ha un campo di applicazione pi� vasto, e, nell'ordinamento,� funziona come norma di carattere generale e fondamentale, che completa il sistema legislativo nella materia delle requisizioni; ed � applicabile, come si � accennato, qualora, per un pubblico interesse si debba, in via di urgenza, disporre della propriet� privata mobiliare ed immobiliare. Posto ci� � chiaro �che il potere derivante dall'art. 7 spetta esclusivamente agli organi dello Stato, e che non pu� ritenersi trasferito alle autorit� regionali e provinciali, anche se si ammette, secondo quanto rileva la difesa dello Stato, che queste possano emanare provvedimenti� relativi all'occupazione temporanea della propriet� privata, per l'esecuzione di opere pubbliche o nei casi di calamit� naturali, sulla base e nei limiti dell'art. 4, n. 4 e dell'art. 11 n. 14 dello Statuto speciale. � perci� infondata la con.elusione cui peryiene la difesa della Regione nel senso che tutti i provvedimenti di urgenza, nella Regione � Trentino- Alto Adige, sarebbero di competenza delle autorit� locali e non pi� del Governo, in relazione anche all'art. 46 dello Statuto, che attribuisce al Presidente della Giunta provinciale la competenza ad emanare provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di igiene e di sicurezza pubblica. Questa disposizione si ricollega infatti all'art. 55 del Testo unico della legge comunale e provinciale (3 marzo 1934, n. 383); ed � preordinata, secondo una costante interpretazione, alla tutela della pubblica incolumit�. Sotto l'aspetto finora esaminato pertanto il provvedimento impugnato deve ritenersi legittimo. 3. Oirca la se~onda questione � da premettere che non si discute fra le parti se, in� generale, gli alloggi costruiti, come nella specie, dagli istituti autonomi delle case popolari possa;no formare oggetto di requisizione, quando ricorra l'urgente necessit� di pubblico interesse preveduta dall'art. 7 della legge sul contenzioso amministrativo. Oon provvedimento cio� concernente beni che concorrono a formare il patrimonio degli istituti autonomi, da .assegnare in locazione, o, con patto di futura vendita, alle categorie di soggetti indicati dalla legge; .. i quali beni, nonostante il vincolo derivante dalla desthiazione ai fini assistenziali, restano di regola soggetti al regime della propriet� privata, nel cui ambito, sotto certi aspetti, sono ricondotti anche dalla legge che li riguarda, poich� consente, tra l'altro, che su di ~ssi, possano essere iscritte ipoteche. Secondo la difesa della Regione, invece il decreto del vice'Commissario avrebbe invaso la sfera di competenza, riservata alle autorit� provinciali nella.materia delle case popolari, in base all'art. 11, n. 11 dello Statuto speciale ed alle norme di attuazione �del 1959 sopra ricordate. In quanto cio� il provvedimento, nella sostanza, sarebbe stato preordinato all'assegnazi�ne delle case popolari, in conti: asto con le disposizioni legislative dalle quali tali assegnazioni sono regolate. � Ora, � vero che, in base alle citate norme statutarie e di attuazione, alle Provincie di Trento e di Bolzano � stata attribuita potest� normativa e amministrativa nella materia delle case popolari, con le limitazioni peraltro indicate nelle norme di attuazione, ritenute legittime con la sentenza n. 2/1960 di questa Oorte; e che sono state trasferite alle Provincie stesse anche le facolt� attribuite al ministero dei lavori pubblici dal Testo unico del 1938, compresa, ai sensi dell'art. 6 ultimo comma e dell'art. 7 delle ricordate norme di attuazione, la vigilanza per quanto riguarda l'attivit� edilizia degli enti autonomi e l'assegnazione delle case�da essi costruite. � d'altra parte pacifico, come risulta anche dal contenuto dell'accennato decreto che la requisizione, per la durata di un anno dalla �data del decreto impugnato (18 novembre 1960, periodo gi� scaduto), ha avuto per oggetto i tredici alloggi, in atto disponibili, costruiti dall'Istituto autonomo di Bolzano ai sensi della legge 2 luglio 1949, n. 408. Si desume inoltre, dalla motivazione e dai docuc � menti esibiti dall'Avvocatura dello Stato, che il provvedimento � stato adottato dal vicecommissario, in seguito a due lettere dell'8 e del 17 novembre 1960, con le quali il sindaco di Bolzano inf~rmava circa il pericolo di crollo delle abitazioni occupate da un gruppo di, famiglie nelle lettere stesse elencate, dava altres� notizia che erano state emesse dall'autorit� comunale ordinanze di sgombero e segnalava la necessit� di provvedere con urgenza per l'alloggio delle famiglie anzidette. Posto ci� e data la provvisoriet� del provvedimento, la cui efficacia, limitata come si � detto ad . un anno, deve ritenersi ormai definitivamente cessata, � da escludere, che nel provvedimento stesso, possa ravvisarsi un'assegnazione a carattere continuativo di case popolari, ai sensi e per gli effetti preveduti dalle leggi che disciplinano la materia. Non hanno d'altra parte rilevanzllt, in contrario, perch� attengono a.Ue modalit� di esecuzione, a garanzia dei diritti dell'Istituto autonomo di Bolzano, la misura dell'indennit� equiparata ai cano:o.i di affitto e il riferimento alla legge . .sulle case popolari per ci� che riguarda la disciplina dei rappor_ti fra l'Istituto e le persone, a favore delle quali gli alloggi sono stati requisiti. Restano pertanto assorbite le osservazioni mosse dalla difesa della Regione nel presupposto che si -73 tratti nella specie della predetta assegnazione; �ed � da aggiungere altres� che non possono formare oggetto di esame in questa sede i rilievi concern�nti asserite irregolarit� delle gi� menzionate ordinanze di sgombero, emanate dalle autorit�, comunali. J.Ja difesa della Regione, nella memoria, fa notare altres�, che l'invasione della sfera di competenza, riservata alle Provincie nella materia delle case popolari sussisterebbe anche perch� l'esercizio del potere da parte dell'organo dello Stato, avrebbe impedito di fatto agli organi locali di esplicare, nell'assegnazione delle case popolari, le attivit� statutariamente garantite. Anche tale rilievo non appare fondato. Non si contesta (e si desume anche dalla deli be-razione della Giunta provinciale di Bolzano prodotta fra gli atti della causa) che il provvedi mento del vicecommissario ha requisito alloggi tuttora disponibili, circa i quali. non risulta che i competenti organi abbiano neppure iniziato il procedimento per l'assegnazione, mentre nessun ostacolo avrebbe apportato al riguardo il provve dimento di requisizione. D'altra parte non � dimo strato che l'inattivit� dei predetti organi sia da ricollegare all'emanazione e all'attuazione del provvedimento impugnato. Per una pi� completa conoscenza delle questioni trattate, riportiamo integralmente la. memoria depositata dall'Avvocatura limitatamente alla parte relativa al potere di requisizione. �Gli artt. 4, n. 4 e 13 S.S.T.A.A. attribuiscono alla Regione competenza, legislativa ed ammfu.istrativa, in_matel'ia di� espropriazione per pubblica utilit� non riguardante opere a carico dello Stato �. Si assume dalla ricorrente Regione che la materia delle espropriazioni comprende anche le requisizioni in uso d'immobili, previste in tempo di pace dall'art. 7 legge 20 marzo, 1865 allegato E, n. 2248, promiscuamente all'art. 71 legge 25 giugno .1865, n. 2359; ma l'assunto �, a nostro avviso, infondato. Sono note alla Corte Ecc.ma le dispute dottri: nali ed il travaglio giurisprudenziale per la ricerca del criterio discriminativo fra espropriazione e requisizione in propriet�� da una parte, fra occupazione di urgenza e requisizione in uso d'iminobili, dall'altra. La prima questione, che per la verit� qui� non interessa, � stata agevolmente risolta perch�, almeno in via generale, l'espropriazione � prevista, per il soddisfacimento di interessi pubblici generali, solo relativamente a beni immobili e diritti reali immobiliari, mentre la requisizione, che pu� essere in uso in o propriet�, � limitata, nella seconda ipotesi, che sola presenta affinit� con l'espropriazione, ai beni mobili (R.D. 18 agosto 1940, n. 1741; T.U. 31 gennaio 1926, n. 452; legge 13 luglio 1939, n. 1159) ed � diretta al soddisfacimento di esigenze belliche o, in tempo di pace, militari. Pi� dibattuta � stata ed � l'altra questione, relativa alla distinzione concettuale fra occupazione d'urgenza e requisizione in uso d'immobili. Occorre, per�, subito dire che il problema non si � posto per le occupazioni di urgenza preordinate all'espropriazione, che si differenziano nettamente dalla requisizione in uso per la causa, ben. d~!J.nita e circoscritta, oltre che per il procedimento, in parte comune a quello espropriativo e che, come questo, inizia con la dichiarazione di pubblica� utilit� della opera da compiere;� ma per le occupazioni d'm;genza, che l'art. 71 legge 25 giugno 1865, n. 2359 autorizza nell'ipotesi di rottura di argini, rovesciamenti di ponti ed altre calamit� naturali e che, a nostro avviso, esorbitano dalla materia delle espropriazioni e non possono, perci�, ritenersi attribuite alla competenza, legislativa ed amministrativa, della Regione, ai sensi dell'art. 4, n. 4 S.S. Til. (onde il dubbio sulla legittimit� costituzionale dell'art. 56 legge regionale 17 maggio 1956, n. 7, che attrib;uisce il potere di autorizzare l'occupazione di urgenza di fondi, nell'ipotesi di gravi calamit� naturali, al Presidente della Giunta provinciale e al Sindaco, a meno che non si ritenga che in questi casi l'occupazione rientri nella materia delle. � opere di pronto soccorso per calamit� pubbliche �e nei provvedimenti contingibili e urgenti che gli artt. 11, n. 14 e 46 S.S.Til. attribuiscono alla competenza provinciale). � Il LUCIFREDf (Siti criteri differenziali fra occupazione d'urgenza e requisizione in uso d'immobili, in � Giur. It. �, 1943, III, 67) elenca i vari eriteri di discriminazione, da quello accolto in certa giurisprudenza, secondo il quale le requisizioni sarebbero sempre ordinate ed eseguite nell'interesse dello Stato, mentre le occupazioni d'urgenza sarebbero ordinate a favore di privati, a quello accolt~ dal Fori;i (Foro it. 1920, III, 14) ehe vede la nota tipica delle requisizioni nel carattere eminentemente temporaneo dell'uso della cosa e nella circostanza che chi dispone dell'immobile sia l'autorit� militare; dal criterio di un anonimo commentatore (Giur. it. 1919, III, 235), secondo .il quale si avrebbe requisizione se l'uso dell'immo-. bile � fine a se stesso, occupazione d'urgenza, invece, se tale uso � mezzo o preliminare di una futura espropriazione, a quello del Delle Donne che accenna ad una ben pi� ampia estensione, che presenterebbe la sfera di possibile azione delle requisizioni rispetto ai casi in cui pu� ordinarsi la occupazione di urgenza. L'Autore, dopo aver accennato alla tesi del Landi, che, sulle orme del Trentin e del Nina, afferma l'identit� concettuale dei d�e istituti, esamina le tesi -opposte -del Carugno e dello Zanobini (di cui si dir� in seguito) e conclude la sua acuta disamina negando una distinzione concettuale fra i due istituti; ma riconoscendo l'esistenza di due distinti poteri, esercitabili a mezzo di due distinti procedimenti, di cui in taluni casi l'autorit� pu� fare uso a sua scelta, essendo entrambi idonei al raggiungimento dello scopo. L'occupazione d'urgenza, secondo il citato Autore _ (vedasi anche: Le prestazioni di cose, p. 325), � un provvedimento sostanzialm~nte requisizionale, che la legge positiva regola in forma di occupazione temporanea. -:-74 La sentenza del Comitato giurisdizionale Cen-requisizioni, a differenza delle occupazioni d'urtrale per le controversie in materia di requisizioni genza, riguardino anche i mobili ed, infine, afferma (Pres. Romano; Est. Papaldo, Di Giovanni ~ che' il potere in esame, che l'art. 7 attribuisce Aeronautica, in Giur. it. 1942, III, 91 con nota), genericamente all'autorit� amministrativa, seche aveva dato occasione allo studio del Luci-condo l'opillione generalmente accolta spetta e fr()di, dopo un'ampia disam.lna dei vari criteri non pu� non spettare che alla autorit� statale, accolti dalla dottrina, ritenne d'individuare il �dato che il potere di porre in essere� atti necessictiterio di discriminazione fra 1i due istituti nella tati, in deroga al diritto comune, � proprio ed esclucausa del provvedimento cio�, nella concreta fina-sivo � dello Stato �. lit� di pubblico interesse che il provvedimento .Alla stregua della giurisprudenza (vedasi anche: tende a conseguire. Il Oonsiglio di Stato nel settennio 1951-1957, II, �In tempo di pace -afferma la sentenza -p. 853) e della dottrina, dianzi citate, riteniamo l'unico istituto dell'occupazione d'urgenza com-che non possa dubitarsi dell� differenza concettuale prende i due tipi di provvedimenti sopraindicati... fra occupazione d'urgenza e requisizione; ma; tuttavia, occupazione d'urgenza e requisizione in sopratutto, riteniamo che non. possa dubitarsi uso, pur avendo promiscua disciplina giuridica, della differenza causale e formale fra il potere di mostrano i loro caratteri distintivi�. autorizzare l'occupazione temporanea di fondi, Lo Zanobini (Oorso, IV p. 313 .e 322), che si in relazione ad un'opera pubblica o� a calamit� � diffusamente occl:tpato della ques.tione, afferma naturali, ed il potere di requisire in uso un immoche: �distinto dall'espropriazion� e dalle varie bile �per qualsivoglia ragione urgente d'interesse forme di occupazione fin qui esaminate (occupa-pubblico. Il primo, previsto dall'art. 71 legge zione temporanea e occupazione d'urgenza previste 25 giugno 1865, n. 2359, pu� considerarsi trasferito dalla legge generale o da leggi speciali) � l'istituto alla Regione, per quanto attiene alle opere pubdella requisizione. Esso, in primo. luogo, non ha per bliche non statali, dall'art. 4, n. 4 ed alla Provincia, 9ggetto soltanto sacrifici o limitazioni relativi ai per ci� che riguarda le calamit� naturali, dall'artibeni e al diritto di propriet�, ma anche obblighi colo 11, n. 14 in relazione anche all'art. 46 S.S.TAA.; di prestazioni di servizi e di attivit��. � il secondo, regolato in via generale dall'art 7 legge �Secondo noi -afferma l'Autore dopo una 20 marzo 1865, n. 2248 allegato E, � riservato acuta disamina dei vari criteri distintivi addotti -allo Stato, nessuna norma avendolo trasferito alla l� distinzione, in mancanza di elementi estrin-Regione. seci, deve basarsi sopra un dato esclusivamente Senza voler presumer.e di indicare nuovi criteri giuridico:. il carattere di atto costitutivo di diritti di discriminazione, riteniamo opportuno porre in reali, che � proprio dell'occupazione e che manca ev~denza due circostanze: l'occupazione di urgenza in qualunque forma di requisizione. Dalla requi-/ non preordinata all'espropriazione � un istituto a s� sizione immobiliare sorge per il proprietarto una stante; la requisizione in uso di immobili � un semplice obbligazione; quella di tenere l'immobile aspetto particolare di un istituto a contenuto a disposizione dell'autorit� e di consegnarlo a molto pi� ampio. Il fondo occupato d'urgenza richiesta perch� ne faccia uso per il tempo pura-per sopperire alle esigenze connesse a pubbliche mente necessario �. calamit� � destinato ad essere usato in diffor- L'.Alessi (Dir. Amm. It., 1960, p. 614), dopo mit� dalla sua naturale destinazione (deposito di lliver dat~ atto che controversa e dubbia � la siste-materiali, scavo di materiali, inondazione tempomazione giuridica di siffatti istituti, parte della ranea); l'immobile (fondo rustico o fabbricato dottrina collocandoli fra le f�rme di limitazione urbano) requisito � utilizzato, invece, in confordella propriet�, parte fra le, prestazioni obbliga-mit� della sua naturale destinazione. torie in natura, afferma che il criterio diff�renzia-In proposito, inoltre, non sar� inutile accennare a tore fra gli istituti della requisizione e della espro� quanto avemmo occasione di sostenere altra volta priazione va ricercato, quanto meno per il nostro a proposito della spettanza del potere generale diritto positivo, nella diversit� dei rispettivi pre-d'annullamento degli atti amministrativi illegitsupposti di legi~timit�. timi. I poteri pubblici si distinguono fra loro per la �L'espropriazione -secondo l'opinione espressa causa, il contenuto e la forma o procedimento; dal citato Autore -si pone come istituto normale poteri di contenuto uguale possono differire per la per provvedere alfe pubbliche esigenze, la requi-causa e spettar.e ad autorit� diverse. Cos� avviene sizione ha per presupposto� una urgenza vera del potere di annullamento, che l'ordinamento e propria di provvedere, ' trattandosi� di far attribuisce, come estrinsecazione di potest� ontofronte a bisogni impellenti, di carattere straor-logicamente diverse, oltre che alla giurisdizione dinario �. amministrativa, alla stessa autorit�, che ha ema- Della questione si � occupato anche recentemente nato il provvedimento illegittimo, al suo supeil Sandulli (Manuale, 1957, pp. 298 e 396; 1959, riore gerarchico o all'organo tutorio e, infine, al p. 419), il quale afferma che �a differenza della Governo. occupazione ex art. 71, la quale pu� essere disposta Lo stesso dovrebbe dirsi -ove volesse neg.ars.i soltanto al fine di esecuzione di opere di pubblica ogni distinzione concettuale fra loro -a proponecessit�, le requisizioni ex-art. 7 :riossono essere sito delle occupazioni d'urgenza e delle requisiadottate per. qualsivoglia ragione urgente d'inte-ziom m uso di immobili (aspetto' particolare, resse pubblico�. Pone in luce, poi, l'Autore come le peraltro, di un istituto di ben pi� ampio conte� -75 nuto). Il potere di autorizzare la occupazione � d'urgenza, che pu� ritenersi trasferito alla Regione ed alla Provincia, ha una causa ben definita e pu� e deve essere eserci~ato per il soddisfacimento di . specifici e ben determinati interessi pubblici. Il potere di requisire per qualsivoglia ragione d'interesse pubblico beni mobili, e immobili, aspetto particolare del pi� ampio potere di disporre della propriet�. privata, ha una causa pi� ampia e diversa che lo qualifica quale potere. eccezionale; In relazione. alla sua eccezionalit�., alla genericit�. dei bisogni pubblic~ da soddisfare ed alla indeterminatezza dei beni e dei modi di disposizione, questo potere non pu� che essere risei:vato allo Stato a cui, in linea di principio, si ritiene riservato il potere di ordinanza e di decretazione d'urgenza, che si attua sempre extra-legem quando non anche oontralegem (GALATERIA:� I provvedimenti di urgenza,p.104)'. Nessun argomento a nostro avviso, pu� trarsi dall'art. 46 S.S.TAA., ancorch�. si ponga in rela zione con ilprecedente art. 11, n. 4. Infatti l'art. 46, che attribuisce al Presidente della Giunta provin viale il potere di adottare i provvedimenti contin gibili ed urgenti !n materia di sicurezza e d'igiene pubblica nell'interesse delle popolazioni di due o pi� Comuni, resta nell'ambito di applicazione dell'art. 153 Testo unico leggi comunali e pro vinciali del 1915. A prescindere, quindi, dalla questione se, in queste ipotesi, anche il Presidente della Giunta, come il Sindaco, non agisca quale organo decentrato dello Stato, sta di fatto che il potere, di cui al citato art. 153, � stato sempre ritenuto distinto ed autonomo da quello previsto dall'art. 7 legge 20 marzo 1865, n. 2248 allegato E. Ci� anche dalla pi� recente giurisprudenza, citata dal Sandulli,. che, interpretrando estensiviiimente l'art. 7, ha ammesso che i provvedimenti da esso previsti potessero essere adottati anche dal Sin daco, oltre che dal Prefetto, com'era sfato finora ritenuto. � L.'autonomia del potere generale di disporre della propriet�. privata per qualunque grave esi genza pubblica esclude ch'esso possa ritenersi implicitamente trasferito alla Regione o alla Pro vincia insieme con altri analoghi, ma non generali, poteri d� disposizione. Il si!\tema costituzionale, peraltro, esclude che lo Stato possa rinunziare ad �n cos� generale potere d'intervento, che dev'essere ad esso riservato, ancorch� concorra con analoghi particolari poteri, trasferiti agli Enti minori. COSTITUZIONE -CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE -Decisione di ricorso� gerarchico avverso le deci� sioni della Giunta provinciale -Inammissibilit�. (Corte Costituzionale, 30 dicembre 1961, n. 73 -Pres.: Cappi; Rel.: Chiarelli -Presidente della Giunta Pro vinciale di Bolzano c. Presidente Regione Trentino . Alto Adige). Gli atti, con i quali le Pr�vincie di Trento e di Bolzano esercitano, in senso positivo o negativo, i poteri di controllo sui Comuni e sugli altri enti locali, sono definitivi e non sono, quindi, soggetti a ricorso gerarehieo improvrio alla Giunta regio nale. Il ricorso della Provincia di Bolzano pone la questione se contro un atto della Giunta provinciale di Trento o di Bolzano, ehe neghi l'approvazion� al provvedimento di un ente soggetto alla sua vigi lanza e tutela ai sensi dell'art. 48, n. 5 Statuto speciale, sia ammesso ricorso gerarchico improprio alla Giunta regionale, in applicazione dell'art. 343, secondo comma, Testo unico legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383, successivamente modificato. � Osserva la Corte che l'ordinamento regionale, previsto dalla Costituzione e instaurato dagli Statuti per le regioni a ordinamento speciale, ha dato luogo a un sistema di autonomie e ili decentramento, che comprende la disciplina dei controli sugli atti delle provincie, dei comuni e degli altri enti locali. Tale disciplina, basata sull'art. 130 Cost., � contenuta in norme dei singoli Statuti e, in maniera organica, nella legge 10 febbraio 1953, n. 62, sulle Regioni a statuto ordinario. Una applicazione del principio di autonomia, su cui si fonda il sistema, e del criterio di decentramento; secondo cui la Costituzione vuole sia esercitato il controllo sugli enti locali (art. 130 cit.), consiste nel carattere definitivo delle pronuncie degli organi a cui � affidato il detto controllo. La impugnabilit�. di esse in via amministrativa, infatti, implicherebbe una posizione di subordinazione gerarchica di tali organi, quanto meno impropria, che contrasterebbe con l'autonomia dell'ente a cui essi appartengono. � noto, del resto, che la definitivit�. degli atti di controllo, nel campo dell'ordinamento regionale, � enunciata nell'art. 63 della citata legge n. 62 del 1953; e questa Corte ha gi�. avuto occasione di affermare che, pur riferendosi tale legge alle regioni a statuto ordinario, da essa� possono desumersi i principi delle leggi dello Stato, a cui si richiamano gli Statuti delle regioni a ordinamento speciale. � vero che tali principi possono dedursi anche da altre norme statali sui controlli amministrativi, ma solo in quanto si inquadrino nel sistemfli dell'ordinamento regionale e nei suoi principi fondamentali, costituzionalmente garantiti. Non � questo il caso, a giudizio della Corte, della disposizione dell'art. 343, secondo comma, legge comu-. nale e provinciale 1934, giacch� detta disposizione introdurrebbe nell'ordinamento regionale una figura di ricorso gerarchico improprio, in antitesi coi �richiamati principi di .autonomia. Pu� aggiungersi che, se si fosse voluto riprodurre in tale ordinamento q.ella eccezione al generale principio della definitivit�. degli atti 'degli enti autarchici, che � rappresentata dal secondo comma dell'art. 343, lo si sarebbe detto esplicitamente nel ricordato. art. 63 della legge 10 febbraio 1953, n. 62: avendo, invece, detto articolo stabilita indiscriminatamente la definitivit�. degli atti di controllo per le regioni a statuto ordinario, si � portati a riconoscere a maggior ragione tale carattere negli atti di controllo . compresi negli statuti speciali, che attribuiscono una pi� ampia e penetrante autonomia alle rispettive regioni, 76 Le esposte considerazioni vanno riferite al caso in oggetto. Lo Statuto speciale per. il Trentino-Alto .Adige, nell'art. 48, n. 5, ha assegnato alle Giunte provin ciali quei poteri di controllo sui comuni e gli enti locali, che gli altri Statuti speciali hanno affidato ad organi della Regione (art. 46 Statuto sardo, art, 43 Statuto Valle d'Aosta). � questo un aspetto della particolare autonomia che si � inteso attri buire alle provincie di Trento e di Bolzano. In applicazione dei principi inn.anzi esposti, deve ritenersi che gli atti di controllo compiuti dalle dette provincie abbiano quel carattere di defini tivit� che � proprio, nell'ordinamento regionale, delle pronuncie di controllo sugli atti degli enti locali.� N� lo Statuto speciale per il Trentino-Alto .Adige contiene elementi da cui possa desumersi una deroga all'enunciato principio. Secondo la tesi della Regione si dovrebbe confi gurare, come si � detto, un ricorso gerarchico impro prio alla Giuntfl, regionale contro i cosiddetti atti di controllo negativi emessi dalla Giunta provin ciale. Se non che va osservato in proposito che � ormai pacifico in giurisprudenza e in dottrina che il ricorso gerarchico improprio � un rimedio eccezio nale, che deve essere espressamente previsto dalla legge. Nella specie, non solo non � contemplato dallo Statuto, ma l'ammissibilit� di esso non si pu� neanche desumere dai richiami in questo contenuti alle potest� e alle leggi dello Stato, n� si inquadra nei rapporti tra provincia e regione, quali sono garantiti dallo stesso Statuto. .A dimo strarlo � sufficiente una breve analisi delle norme su cui si � imperniata la discussione tra le parti. L'art. 5 Stat�to speciale attribuisce alla potest� legislativa secondaria della Regione l'� ordinamento dei comulli e delle provincie �. Prescindendo dalla questione se tale indicazione comprende la materia dei controlli e se la Regione, nell'esercizio della detta competenza, possa attribuire a se stessa dei poteri in questa materia, � rilevante la considerazione che la competenza legislativa regionale di cui al detto art. 5 trova un limite nei � principi stabiliti dalle leggi dello Stato �. Ora se -come si � visto � -la definitivit� degli atti di controllo � un principio stabilito dalla legge dello Stato in relazione all'ordinamento regionale, e deriva, per di pi�, dai principi costituzionali di autonomia e di decentramento, ne consegue che in nessun caso la Regio:tle potrebbe derogare, con una propria legge, al detto principio. .A parte il fatto che una tale legge non � stata, nella specie, em11inata dalla Regione. Ulteriore conseguenza � che non vale a dimostrar. e l'ammissibilit� del ricorso in questione far riferimento all'art. 13 dello stesso Statuto. Tale articolo attribuisce, rispettivamente, alla Regione e alla Provincia le potest� amministrative gi� dello Stato, nelle materie e nei limiti in cui Regione .e Provincia hanno competenza legislativa; ma, se la competenza legislativa della Regione ha un limite nella inderogabilit� del principio della definitivit� degli atti di controllo, manca il presupposto perch� la Regione possa essere considerata titolare di una potest� amministrativa di conoscere della impugnativa contro i detti atti. Risulta invece chiaramente dallo Statuto che la potest� di controllo sugli atti' dei comuni e degli altri enti locali, gi� esercitata da organi statali, � stata interamente trasferita alla provincia, senza possibilit� di ulteriori gravami. � vero che la disposizione dell'art. 48, n. 5, Statuti speciali, richiede l'integrazione di altre norme, relative ai casi, ai modi e ai procedimenti di vigilanza e di tutela, e che, in mancanza di leggi regionali o provinciali, per l'art. 92 Statuto si applicano le leggi dello Stato; ma tali leggi si applicano nell'ambito delle competenze attribuite alla Regione o alla Provincia e non si pu�, attraverso il riferimento ad esse, riconoscere alla Regione una competenza che non le sia stata gi� attribuita dallo Statuto. � N� vale richiamarsi all'art. 38, n. 1, Statuto speciale, che attribuisce alla Giunta regionale l'� attivit� amministrativa per gli affari di interesse regionale �; in primo luogo, � chiaro che la norma intende far riferimento all'amministrazione cosiddetta attiva; .in secondo luogo,� la decisione di ricorsi, anche in materia di pura legittimit�,. non pu� considerarsi affare di interesse regionale e, quando anche la Regione potesse essere ritenuta titolare di un interesse alla legittimit� degli �atti delle provincie, da ci� non deriverebbe un suo potere di decidere ricorsi contro tali atti. Maggior pregio non ha la considerazione che la Regione ha una sfera di interessi pi� ampia di quell21 della Provincia. .A parte il fatto, per se stesso decisivo, che la maggior ampiezza di interessi non basta a determinare un rapporto . di gerarchia impropria, che -come si � visto -solo la legge pu�, eccezionalmente ed esplicitamente, stabilire tra enti autonomi, va riconosciuto che lo Statuto del Trentino-Alto .Adige ha compiuto una precisa e del tutto particolare distribuzione di competenze tra Regione e Provincie, che non pu� essere alterata dalla indubbia esigenza che l'attivit� delle provincie si svolga in armonia con gli interessi della Regione, nel quadro dell'unitario ordinamento dello Stato. In senso difforme si era pron:unziato il Oonsiglio di Btato in .Adunanza generale con il parere n. 1822 del 16 novembre 1951, il quale, ovviamente, non poteva aver tenuto conto del principio generale enunciato nell'art. 63 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 sulle Regioni a Statuto ordinario, che qualifica definitivi gli atti. di controllo delle RegiOni. La tesi della Regione contrastata; peraltro, anche dalla lettera e dallo spirito dell'art. 48, n. S.S.TA.A., si affidava, perci�, quasi esclusivamente. ad argomenti di �carattere generale e, sopratutto, alla particolare natura delle due Provincie, ij,i .Trento e di Bolzano, le quali, sotto certi aspetti, possono .. co'fLsi-. derarsi inserite e assunte nella R'3gione Trentino-Alto Adige, la quale rappresenta, anche nei processi costituzionali, gl'interessi di tutta la regione unitariamente considerata. -77 COSTITUZIONE -R�SPONSABiLiTA; DELLA P.A. per danni subiti dagli impiegati dello Stato -Impro ponibdit� della domanda -D.Lgt. 21 ottobre 1915, n. 1558 e R.D.L. 6 febbraio 1936, n. 313. Corte Costituzionale, 30 gertrtaio 1962, n. 1. -Pres.: Ambrosini; Rel.: Papaldo -Tempestini Velia, De Scalzi Ugo c. Minis~ero Difesa-Esercito e FF. SS.). Il D. Lt. 21 ottobre 1915, n. 1558 ed il R.D.L. 6 �febbraio 1936, n. 313 sono costituzionalmente illegittimi per contrasto con gli artt. 3 e 28 Oost., perch� escludono ogni risarcimento od offrono una mera apparenza d'indennizzo ed, inoltre, perch� pongono in essere una grave ed ingiustificata sperequ�a.zione fra il privato ed il dipendente statale, vittime entrambe dello stesso fatto colposo. 1) Le tre cause, congiuntamente discusse, possono essere definite con unica sentenza, unica essendo la questione da decidere. 2) In relazione ai precedenti g�urisprudenziali della Corte baster� ricordare che l'avvenuta �brogazione delle leggi qni denunziate (decreto luogotenziale 21 ottobre 1915, n. 1558, avente forza di legge in virt� della legge 22 maggio 1915, n. 671, e R.D.L. 6 febbraio 1936, n. 313, 'convertito nella legge 28 maggio 1936, n. 1126) non pu� formare ostacolo all'esercizio del sindacato di legittimit� costituzionale delle leggi stesse. 3) Secondo l'Avvocatura dello Stato, le norme denunziate poggerebbero s�l rapporto interno di organizzazione dello Stato e sulle relazioni fra lo Stato .ed i propri dipendenti, regolate dallo statuto dei pubblici dipendenti, mentre l'art. 28 della Costituzione disciplinerebbe i rapporti fra lo Stato, che agisce a mezzo d�i propri dipendenti, ed i terzi. JJe parti attrici, invece, sostengono che l'art. 28 non ammetterebbe, nei confronti dello Stato, alcuna disciplina particolare della materia, in quanto quella norma avrebbe sancito l'obbligo dell'intero risarcimento del danno in proporzione all'entit� del danno stesso. Di fronte a queste opposte tesi � sufficiente rilevare che"nell'attuale controversia non si tratta di vedere se le leggi denunziate abbiano, � 1egittll:namente o non, regolato, agli effetti della responsabilit� dello Stato, un aspetto del rapporto di impiego fra lo Stato ed i suoi dipendenti, ma si tratta di giudicare se le leggi stesse abbiano adottato un� sistema che si risolva nella esclusione di ogni responsabilit�. � Un primo esame, per dir cos�, esterno delle disposizioni del decreto legge del 1936 mos.tra. chiaramente come almeno in due casi quelle disposizioni esimano totalmente da ogni responsabilit�.� Quando l'impiegato abbia riportato una invalidit� tale da consentire la continuazione del servizio, il trattamento di attivit� di servizio esclude qualsiasi indennizzo. Cos� pure quando l'impiegato avesse titolo, in base al servizio prestato o per effetto di altri benefici, ad una pensione che, nel suo ammontare, non si discostasse da quella privilegiata, con la concessione di una pensione di privi legio, disposta per effetto dell'evento lesivo, hotl si realizzerebbe neppure una forma di risarcimento. Altra esenzione assoluta da responsabilit� � quelll'li che deriva dalla norma dello stesso decreto che esclude ogni azione di danni �da parte �ar chlmique altro �, togliendo cos� qualsiasi possibilit� di indennizzo a favore di chi, pur avendo risentito un danno risarcibile a causa della inabilit� o della morte del dipendenti statale, non abbia diritto alla pensione privilegiata. Ma la situazione non presenta sostanziali diversit� anche quando la pensione privilegiata sia colicessa solo in vista dell'invalidit� o della morte del dipendente, anche quando, cio�, non sussistendo altri titoli per la concessione, la pensione privilegiata pqssa apparire una forma di risarcimento del danno. Anche in tali casi il diritto alla pensione privilegiata non nasce per effetto della responsabilit� �dell'Amministrazione dalla quale anzi prescinde, ma scaiturisce dal fatto stesso che l'impiegato sia stato vittima di un evento lesivo in circostanze e per cause previste dalla legge. E la concessione si basa sopra elementi che, rigidamente ancorati alla posizione dell'impiegato, possono � non coincidere con quelli che dovrebber� valere rispetto alla responsabilit�. In conclusione il sistema adottato da quelle leggi esclude, in alcuni casi, ogni risarcimento ed in altri offre un trattamento che pu� rappresentare � una mera apparenza di� indennizzo. � � Stando cos� le cose, � chiaro che non � necessario, �i fini del presente giudizio, risolvere tutte le numerose e delicate questioni circa l'interpretazione dell'art. 28 della Costituzione, essendo sufficiente mettere in rilievo come, per quanto ampia possa � essere, in ipotesi, la sfera nella quale il legisfatore pu� regolare i rapporti tra lo Stato ed i suoi dipendenti anche agli effetti della responsabilit� verso di essi, non � lecito disconoscere che sarebbe in contrasto con il precetto fondamentale contenuto nell'art. 28 della Costituzione una legge che, come quelle ora in esame, adottasse una disciplina tale da escludere in tutto, pi� o meno manifestamente, la responsabilit� stessa. � 4) Le osservazioni che preced�no sarebbero bastevoli a far ritenere illegittime le leggi denunziate, rendendo superfluo l'esame di esse in riferimento al�e altre norme costituzionali 'indicate nelle ordinanze di rinvio: artt. 3, 24 e 113. IJa Corte, tuttavia, ritiene che non sia inutile un raffronto con l'art. 3. Ohe una disparit� di trattamento sussista � cosa certa e manifesta: quelle leggi cre!:).no una grave sperequazione . tra ,il privato vittima di un fatto colposo e il dipendente statale vittima dello stesso fatto. N� ricorre l'applicazione del principio, costante nelia giurisprudenza della Corte, secondo cui la disparit� di trattamento � giustificata tutte le volte che il legislatore accerti, nella sua: 'd:lscrezionalit�, una situazione diversa richiedente una particolare disciplina: dalle disposizioni in esame si evince chiaramente che il legislatore non volle attuare una particolare disciplina in vista di una -7S particolare situazione, ma volle togliere ad una categpria di cittadini quei diritti che, quando lo Stato incorra in responsabilit�, spettano a tutti gli altri; e volle toglierli, fondamentalmente, per ragioni di economia e di protezione degli interessi dello Stato, come risulta anche dai lavori preparatori della conversione in legge del decreto del 1936: La dichiarazione di illegittimit� costituzionale del decreto legge del 1936 e della relativa legge di conversione comprende anche l'altro testo legislativo denunziato con una delle tre ordinanze in esame e cio� il decreto luogotenenziale del 1915, che del decreto del 1936 costituisce la base ed il presupposto. CORTE DI AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Atto amministrativo -Revoca -Discrezionalit� -Limiti alla revoca Fattispecie in tema di licenza d'importazione -Risarcimento del danno in seguito alla revoca -Insussistenza. (Cassazione, Sezioni Unite n. 932-61 -Pres.: Lombardo; Est.: Di Maio; P. M.: Pepe (conf.) -Ministero delle Finanze c. Laureti). La Pubblica amministri;i.zione pu� sempre revocare, con effetto ex nunc un atto emanato nello esercizio di un potere discrezionale (nella specie, licenza d'importazione) ove siano venute meno le ragioni di convenienza e di opportunit� che determinarono l'emanazione dell'atto stesso ormai non pi� rispondente al pubbl�co interesse; la revoca non � possibile soltanto quando l'atto abbia creato nell'interessato un diritto perfetto non soggetto al fluttuare del pubblico interesse. N�, in caso di revoca (o di sospensione) della licenza, ia Pubblica .Amministrazione � tenuta ad indennizzare il beneficiario della licenza che, a seguito del sopravvenuto provvedimento amministrativo, venga a subire un danno patrimoniale. Si trascrive la motivazione in diritto della sentenza. Con il secondo mezzo d�l suo ricorso incidentale il Laureti. denuncia _la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 della legge 20 marzo 1865 allegato E e 42 e 113 della Costituzione. Premesso che le autorizzazioni amministrative rimuovono un ostacolo all'esercizio del diritto soggettivo (il cui esercizio viene subordinato ad un preventivo controllo che l'Amministrazione svolge a salvaguardia del pubblico interesse), rileva il ricorrente che, una volta autorizzato l'esercizio del diritto, la pubblica autorit� non potrebbe pi� sospendere o revocare la concessa autorizzazione, ove dal singolo siano osservate le norme che regolano l'esercizio del diritto. L'autorit� giudiziaria sarebbe, pertanto, competente a sindacare se le dette norme siano state o .meno violate e se il privato abbia o meno diritto al risarcimento dei danni sofferti in conseguenza della revoca dell'autorizzazione. Le norme, della cui legittimit� eostituzionale si discuteva, ormai anacronistiche, erano gi� state abrogate con la legge 6 marzo 1950, n. 114, a cui la giurisprudenza aveva disconosciuto efficacia retroattiva. � � La questione interessa, perci�, pochi casi concreti, per i quali era ancora pendente giudizio, dovendo ritenersi clie ogni altra ipotesi sia ormai coperta dalla prescrizione. Sulla questione dei limiti dei risarcimento per danni subiti da dipendenti statali in occasione di servizio ad opera di agenti dell' ammini~trazione ci sembra opportuno segnalare l'attegg�;tmento della giurisprudenza francese quale risulta dal Recueil Dalloz. 1962, sommaires, 13. e 1958, 648 con nota. CASSAZIONE Si deduce, inoltre, che la sentenza impugnata, dopo aver affermato che il principio della responsabilit� dell'Amministrazione per i danni conseguenti dalla sua attivit� legittima� � stata sempre circoscritta in limiti ben precisati, e cio� in quelle ipotesi marginali in cui la revoca, sebbene sempre �ammissibile, costituisca una eventualit� del tutto anormale � ha poi erroneamente ritenuto che tale ultimo requisito non ricorrebbe nella fattispecie in . esame, in quanto la revoca di una licenza di importazione, oltre ad essere prevedibile, non sarebbe eccezionale . .Al riguardo osserva il ricorrente che la licenza di importare materie di prima necessit�, durante il periodo bellico, dovendo le relative operazioni essere eseguite nel breve giro di pochi mesi, � escludeva la possibilit� di una diversa valutazione del pubblico interesse o quanto meno doveva indurre a ritenere siccome eccezionale siffatta eventualit�, tanto pi� che ne sarebbe derivato per il Laureti la perdita del corrispettivo ad esso dovuto per la contropartita di merci da esportare in compensazione. Si assume, infine, che il sindacato dell'autorit� giudiziaria avrebbe dovuto ritenersi consentito, avendo l'amministrazione omesso di dimostrare la esisteilZa di validi motivi, idonei � giustificare la revoca della licenza. .Anche questa censura.non coglie nel segno. Non � inopportuno ricordare che, come. queste Sezioni Unite hanno avuto gi� occasione di precisare, la pubblica amministrazione pu� sempre revocare con effetto ex nunc un atto emanato nello esercfaio di un potere discrezionale ove siano venute meno le ragioni di convenienza e di opportunit� che determinarono la emanazione dell'atto stesso ormai pi� non rispondente al pubblico interesse, e che la revoca non � possibile soltanto quando l'atto abbia creato nell'interessato un diritto perfetto non soggetto al fluttuare del pubblico interesse �(sentenza 3357 del 1954) Questi principi sono stati richiamati dalla-Oortedel merito a sostegno della propria decisione, ed esattamente � stato ritenuto, per quanto attiene alla licenza d'importazione, che tale atto autoriz -79 zativo fa sorgere nel privato un diritto condizionato, in quanto tutto lo sv�lgimento del rapporto rimane sempre subordinato alla coincidenza con l'interesse pubblico, la cui valutazione discrezionale spetta alla pubblica amministrazione (cfr. sentenza 3678 del Hl56). Posto invero che in soggetta. materia� le norme sulle attribuzioni dell'ex Ministero degli scambi e valute (decreti 14 marzo 1938, n. 643 e 12 maggio 1938, n. 794) e quelle sulla repressione delle leggi valutarie (decreto 5 dicembre 1938, n. 1928) attribuiscono all'amministrazione un potere di vigilanza e di controllo sull'attivit� autorizzata che, deve essere sempre conforme ai presupposti di fatto che sono condizione necessaria per la costituzione e la sussistenza del rapporto, � conseguente ritenere che come spetta all'amministrazione medesima ilpotere discrezionale di rilasciare la licenza, cos� spetta ad essa il potere, per mutate condizioni di fatto o per nuove esigenze dell'interesse pubblico, di far cessare l'efficacia, gi� in via di svolgimento, del precedente atto autorizzato. N� potrebbe sotto altro aspetto validamente prospettarsi che, pur riconosciuto il legittimo potere della pubblica amministrazione di revocare (o sospendere) le licenze d'import~zione, essa sia tenuta a indennizzare il baneficiario della licenza che a seguito della effettuata revoca venga a subire un danno patrimoniale. Per quanto autorevole dottrina sia favorevole a questa tes�, le Sezioni Unite non ritengono di poterla condividere, in quanto il principio della responsabilit� per atti leciti della pubblica amministrazione pu� ammettersi soltanto l�. dove sia espressamente previsto dalle legge, come nell'articolo 46 della legge sulle espropriazioni per pubblica utilit�, cui sono state ricondotte con criterio di analogia, tutte le ipotesi di danno perma:q.ente alle private propriet� immobiliari collegate alla costruzione o alla manutenzione di opere pubbliche, esclusa quindi ogni altra ipotesi che a questa non sia riferibile. Sulla natura giuridica delle licenze di importazione e di esportazione si veda il recente studia del collega Adriano Rossi in Rivista di Diritto Commerciale, 1961, 360 e segg. con ampi richiami di dottrina e giurisprudenza. CONTABILITA' DELLO STATO -Credito nel con� fronti dello Stato -Rilascio di quietanza a saldo da parte del creditori! -Errore di liquidazione -Impugnabilit� della quietanza. (Cassazione Sezione 1"', Sentenza n. 72-61 -Pres.: Torrente; E11t.: Giannatta. sio, P. M.: Tavolaro (conf.) -Marcelli Fiori c. Amministrazione del Tesoro). Il rilascio, da parte del creditore dello Stato, della quietanza a saldo, richiesta dalle norme sulla contabilit� generale dello Stato, non � di ostacolo ad una successiva impugnazione della quietanza st~ssa per errore sostanziale di liquidazione. Si trascrive la motivazione in diritto della sentenza. Il ricorrente, denunciando la falsa applicazione dell'art. 426 R. D. 23 maggio 1924, n. 827, dello. art. 329 C.p.c. e degli art. 2966 e 2'967 C.c., in relazione all'art. 360 n. 3 C.p.c. assume che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito; la qufetanza in questione non aveva effetto liberatorio per lo Stato e non precludeva l'azione giudiziaria, dato che il Marcelli Flori aveva notiftcato, in tempo utile, al Ministero del Tesoro, un atto di signifi.cazione e riserva, e dato che l'incasso era avvenuto dopo esplicita verbalizzazione che la riscossione e la quietanza sarebbero state fatte senza pregiudizio per i rimedi di legge per le maggiori somme dovute. Sostiene in proposito il ricorrente che. presupponendo l'eccezione di decadenza una norma legislativa, che condizioni l'esistenza del diritto .all'esperimento dell'azione contro un certo termine, una tale norma non � contenuta n� nella legge sulla contabilit� generale dello Stato, n� nella legge 9 gennaio 1951, n. 10 sulle requisizioni alleate. L'Amministrazione resistente non nega, di fronte all'art. 113 della Costituzione, la proposizione, da parte dell'interessato,. di un giudizio ordinario per far valere i suoi diritti a seguito di un provvedimento amministrativo, ma si limita a sostenere che, avendo nella specie il ricorrente accettato la somma a suo favore liquidata a saldo, ha, in tal modo, manifestato una volont� incompatibile con quella rivolta ad una pi� favorevole liquidazione. La disciplina delle norme sulla contabilit� dello Stato -si assume -� attuata in modo da abilitare lo interessato a far valere le sue ragioni anteriormente alla ftrma della quietanza, per effetto della quale ogni ulteriore diritto di credito deve considerarsi estinto ed ogni ulteriore pretesa preclusa. Il ricorso � fondato. � fuori discussione che le disposizioni del R. D. 18 novembre 1923, n. 2440 sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilit�. generale dello Stato e quelle del regolamento 23 maggio 1924, n. 827 per la sua esecuzione sono non gi� norme interne ma norme di diritto obiettivo, vincolanti sia per l'Amministrazione che per i privati e che dette norme possono derogare alle regole ordinarie sul'adempimento e sugli effetti delle obbligazioni, normalmente applicabili anche ai debiti dello Stato; ma dal fatto che secondo l'art. 426 del ricordato regolamento �non si possono accettare quietanze sotto riserva o condizione � non pu� senz'altro flirgomentarsi che la ftrma di quietanza inibisca ulteriormente di far valere diritti inerenti al credito, che si sarebbe estinto. La decadenza, nella quale il creditore dello Stato, non interamente soddisfatto, .incorrerebbe, presuppone una norma legislativa che n� la legge sulla contabilit� dello Stato del 1923 n� la legge sulle requisizioni alleate del 1951 contempla, e ci� a differenza del R. D. 17 agosto 1940, fi. � 1741 sulle requisizioni di guera (art. 66) e del D.L:23 marzo 1948, n. 674 sulla sistemazione dei contratti di guerra (art. 8 e 9) che prevedono espressamente la preclusione dell'esercizio del diritto di -so impugnazione del provvedimento di liquidazione ove non sia esercitato entro un certo termine e l'acquiescenza al provvedimento di liquidazione consistente nella riscossione dell'indennit� nella misura liquidata" La riscossione della somma attribuita dall'Amministrazione a titolo di risarcimento dei danni da requisizione alleata e il rilascio della r�lativa quietanza non possono importare l'improcedibilit� sostenuta dalla sentenza impugnata, non soltanto perch� questa implicherebbe l'interpretazione, in modo estensivo, della citata norma regolamentare dell'art. 426, che non � consentita, ma anche perch� alla tesi accolta dalla corte di merito fa. contrasto la disposizione del successivo art. 435 del medesimo regolamento. Tale articolo, dopo aver enunciato il principio della definitivit� degl� effetti dei titoli di spesa, ossia degli atti con cui si ordina il pagamento, pagati nei modi prescritti, prevede espressamente la riparazione degli errori contenuti negli stessi titoli di spesa, sia a danno dell'.Am.ministrazione, che dei creditori di questa, prescrivendo che, in quest'ultimo caso, si provvede con emissione di altri titoli al pagamento delle somme ancora dovute. Oi� implica che il principio della definitivit� del titolo di spesa pagato nei modi prescritti non importa l'affermazione del .,distinto concetto di estinzione del debito, anche oltre i limiti della somma per cui il titolo di spesa � stato emesso e conduce a ritenere inaccettabile la tesi dell'Amministrazione resistente, secondo la quale al rilascio della quietanza di pagamento del debito, risultante dal titolo di spesa, sarebbe connessa la decadenza del creditore dal diritto di ottenere la correzione degli eventuali errori commessi in suo danno. L'art. 435 del Regolamento, d-el resto, corrisponde all'art. 453 del Regolamento 1884, il quale del pari disponeva che se i mandanti contenevano errori a pregiudizio dei creditori, si provvedeva con l'emission� di altri mandati al pagamento della somma dovuta. Sin d'allor<t la disposizione veniva interpretata nel senso che qualsiasi quietanza, �anche a saldo, non poteva essere opposta contro una domanda di correzione di errore nel quale si era incorsi e togliere il �diritto del creditore ad ottenere il soddisfacimento integrale del credito. Non si mancava di osservare -ed il rilievo � sempre valido -che mentre nei rapporti privati una ricevuta a saldo, pur non togliendo :la possibilit� della ripetizione di ci� che pu� rimanere dovuto, stabilisce una quietanza di estinzione totale, invece la quietanza che si fa sul mandato, appunto perch� per disposi'zione espressa di legge deve essere fatta senza riserve ed incondizionata, non stabilisce presunzione di �sorta. N� appare esatto che la tesi accolta dalla corte di merito trovi fondamento nell'art. 55 della legge di contabilit� e nell'art. 316 del relativo re' golamento, secondo i quali la consegna dell'assegno emesso dallo Stato in pagamento . del debito non pu� avvenire senza rilascio di ricevuta, la cui dichiarazione estingue il debito. Dette dhiposizioni (e lo stesso si dica per gli artt. 58 e 63 della legge, 314 e 321 del regolamento) richiam�ano un prin cipio generale.secondo cui il pagamento estingue il debito, principio che, "come gi� ha affermato questo Supremo Collegio (Cassazione 30 giugno .1959, n. 2056) non elide l'altro riguardante la riparabilit� degli errori commessi a pregiti.diZfo dei creditori, in rapporto ai quali � prevista llemissione di altri titoli, senza che la legge distingua tra errori commessi :nella materiale liquidazione o. nella stesura e compilazione dei titoli ed errori di valutazione, ovverosia di sostanza. Per quanto si riferisce, in particolare all'art. 55 della legge di contabilit�, v'� anche da rilevare che trattasi di disposizione relativa al pagamento, di certe spese dello Statq, con assegni a favore dei creditori, tratti sugli istituti bancari incaricati dal servizio di �tesoreria ovvero all'apertura.di credito�a mezzo di assegni a favore dei funzionari delegati aWespletamento di servizi speciali (art. 4 lettera a) e b), mentre nella specie trattasi invece di un pagamento effettuato mediante ordinativo diretto sulla Tesoreria dello Stato di Roma (art. 54 lettera d). La circostanza, poi, che la stessa le~ge 9 gennaio 1951, n. 10 sulle requisizioni alleate consenta, sia pure in via eccezionale, liquidazioni in acconto (facolt� di cui l'Amministrazione si � avvalsa, nel caso specifico) lungi dall'implicare che con la riscossione il rapporto debba considerarsi definitivamente chiuso, dimostra, al contrario, che l'incasso di somme da parte dei creditori dello Stato per danni da requisizioni alleate pu� avvenire in pi� momenti e quindi anche dopo fa corresponsione di somme con l'indicazione �a saldo�, sempre che sia dato dimostrare un errore che pregiudichi . il creditore. �Tutto ci� in armonia con quanto hanno gi� avuto occasione di ribadire �1e Sezioni Unite di questa Corte (Oassazione Sezioni Unite 3 maggio 195(), n. 1380) .e cio� che l'accettazione. di una somrp.a inferiore a quella pretesa, anche se effettuata senza riser'1'e, non costituis�e di per s� stessa un atto incompatibile con la volont� di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge contro la decisione che ha liquidato tale minor somma, perch�, in tali casi, non pu� ritenersi che vi sia stata acquiescenza alla decisione. CONTABILITA' DELLO STATO -Debito della Pubblica Amministrazione -Pagamento per mezzo di assegni sull'istituto incaricato del servizio di tesoreria -Efl�cacia liberatoria -Pagamento per� mezzo di'ordinativo sulla Tesol!eria -Liberazione dell'Amministrazione -Necessit� di dichiarazione liberatoria. OBBLIGAZIONI E CONTRATTI -Pagamento -Quitanza -Natura -eff�cacia liberatoria. (Cassazione, Sezione }a, Sentenza n. 2279-61 -Pres.: Torrente; Est.: Iannuzzi; P. M.: Tavolaro (conf.) -Messeni c. Ministero del Tesoro). Mentre il pagamento del debito della pubblica amministrazione eseguito mediante emissione di assegno . sull'istituto incaricato del servizio di teso -81 reria, � liberatorio, in quanto tale efficacia � imperativamente ed a.strattamente collegata alla ricevuta dell'assegno (artt. 55 legge 18 novembre 1923, n. 2440; 316 R. D. 23 maggio 1924, n. 287); il paga.mento effettuato per mezzo di ordinativo di pagamento sulla tesoreria ha la suddetta efficacia solo se venga rilasciata quietanza con dichiarazione liberatoria. La quietanza a saldo non pu�, inlinea di principi�, equipararsi ad una rinuncia a far valere una pretesa per un'ili prestazione maggiore del quantum che si attesta ricevuto, h� ad una transazione, e tale principio ai pagamenti effettuati dalla pubblica amministrazione, secondo le norme sulla� contabilit�. di Stato, le quali, inoltre, non rendono improponibile una successiva impugnazione per un errore sostanziale di liquidazione. Tuttavia ci� non esclude la possibilit�. di un'indagine del giudice di merito, diretta a ricercare se nel caso concreto la quietanza possa contenere anche una dichiarazione'liberatoria a favore dell'ente pubblico� o del privato debitore, tenendo conto della volont�. manifestata espressamente e implicitamente dalle parti ed in particolare dal creditore Trascriviamo la motivazione in diritto �dell,a: s.entenza. Oon il primo .motivo i ricorrenti denunciano la falsa applicazione degli artt. 55 della legge 18 novembre 1923, n. 2440 e 316 del relativo regolamento approvato con R.D. 23 maggio 1924, n. 827, nella parte in cui tali articoli dispongono che la dichiarazione di ricevuta di un assegno estingue il debito dell'amministrazione all'ipotesi, verificatasi nella specie, in cui la quietanza sia apposta ad un ordinativo di pagamento emesso su una tesoreria provinciale. Rilevano che i citati articoli dettano una disposizione di carattere eccezionale, la quale non � applicabile per analogia; che, conseguentemente, la .oor.te .del merito non! avrebbe potuto trarre elementi di convinzione sull'efficacia liberatoria della quietanza neanche dalle indicazioni riportate sull'ordinativo di pagamento in quanto esse sarebbero state identiche a quelle previste -per l'assegno, poich� tali indicazioni sono prescritte, anche per l'ordinativo dalla legge, la quale, pero, non collega alla quietanza relativa l'efficacia estintiva � del debito prevista per l'assegno. La censura non � fondata. La sentenza impugnata non � incorsa nell'e:r:rore che viene denunciato. Ha osservato, invero, che, se il pagamento fosse stato effettuato mediante assegno, in tal caso l'efficacia estintiva del debito della .Amministrazione ne sarebbe derivata, ope legis, in virt� della disposizione dei citati artt. 55 e 316; ma, poich� nella specie il pagamento era; avvenuto a mezzo di un ordinativo sulla Tesoreria provinciale di Bari, la disposizione stessa non era applicabile e pertanto l'Amministrazione si sarebbe potuta ritenere liberata da ogni obbligo soltanto se dall'esame della quietanza si fossero potuti desumere in concreto gli elementi di quella dichiarazione li beratoria che la legge imperativamente ed astrattamente collega alla ricevuta dell'assegno. Tale � il senso letterale e logico. dell'espressione contenuta nella sentenza, la quale, dopo avere rilevato che il Ministero non poteva essere ritenuto liberato in virt� degli articoli� predetti, ha �aggiunto che ci� sarebbe stato possibile ritenere �soltanto se la quietanza rilasciata dal procuratore dei Messeni Memagna racchiuda pur.e essa quella dichiarazione liberatoria di cui agli artt. 55 e 316, ove il Ministero avesse soddisfatto i Messeni N emagna a mezzo di assegno e non gi�. a mezzo di ordinativo di pagamento �; tan.to � vero che la Oorte ha proceduto all'esame della quietanza appunto per ricercare una dichiarazione liberatoria e per tale indagine si � avvalsa degli elementi risultanti in concreto dalla quietanza stessa nonch� della valutazione del comportamento degU istanti, senza dare alcun ulteriore riferimento alla disciplina dell'assegno. Con� il secondo motivo i ricorrenti, denunciando la falsa applicazione degli artt. 1362 O.e. e 360 n. 5 O.p.c., deducono che.la Oorte di appello avrebbe potuto. ravvisare .nella quietanza a saldo soltanto un atto certif�cativo del pagamento, e non anche una dichiarazione liberatoria dell' .Amministrazione da ogni obbligo inerente al risarcimento dei danni di guerra e tanto meno una manifestazione di volont�. transattiva, che non si sarebbe potuta desumere dalla sola firma per ricevuta dal pagamento, che � un atto equivoco.. I ricorrenti non contestano l'affermazione della sentenza impugnata, secondo cui !'.Amministrazione intendeva liberarsi, con il pagamento, da ogni obbligo inerente alla liquidazione dei danni di guerra� ed i creditori. erano consapevoli o dovevano riscontrare tale intendimento da parte dell'.A.mmi7 nistrazione stessa; rilevano. che, tuttavia, ci� non sarebbe stato� sufficiente a far ritenere esistente una comune volont�. delle parti diretta a concludere un negozio liberato.rio o transattivo, poich� la quietanza � un atto unilaterale che contiene soltanto il riconoscimento del pagamento effettuato dal debitore e pertanto una manifestazione di volont�. intesa a creare effetti pi� ampi e diversi non si pu� desumere dalla quietanza stessa. Neanche tale censura � fondata. � vero che la quietanza a saldo, essendo un atto unilaterale contenente ilriconoscimento di un pagamento effettuato. dal debltore, non pu�, in via di principio, equivalere ad una rinunzia a far valere una pretesa per una prestazione maggiore del quantum che si attesta ricevuto, n� ad una transazione, che � un negozio bilaterale il quale presuppone il concorso di altri requisiti (sentenze,n. 2298 del 27 giugno 1958; n. 1751 del 23 maggio 1958 e n. 994 del 25 marzo 1958), ed � vero, altres�, che tale principio .trova applicazione anche-relativamente ai pagamenti della Pubblica amministrazione specialmente se effettuati mediante ordinativi, secondo le norme sulla contabilit�. generale dello �--Stato, le quali inoltre non rendono improponibile una successiva impugnazione della quietanza per un errore sostanziale di liquidazione (sentenze n. 72 � del 19 gennaio 1961 e n. 2056 d.el 30 giugno 1959); -82 tuttavia ci� non esclude, secondo le citate decisioni di questa Oorte Suprema, la possibilit� di una indagine del giudice di merito diretta a ricercare se nel caso concreto la quietanza possa contenere anche una dichiarazione liberatoria a favore dell'ente pubblico o del privato debitore, tenendo conto delh volont� manifestata espressamente o implioitnimente dalle parti, ed in particolare dal creditore- Tale indagine � stata compiuta dalla Oorte del merito, la quale ha riscontrato nella quietanza a saldo una duplice manifestazione di volont� dei ricorrenti, l'una oertifioativa del ricevuto pagamento e l'altra di liberazione dell'Amministrazione da ogni obbligo inerente alla liquidazione dei danni di guerra, in base alle seguenti considerazioni: che l'ordinativo di pagamento conteneva la indicazione di tutti gli estremi della obbligazione ohe con il pagamento si intendeva estinguere; ohe i ricorrenti erano consapevoli dell'intento dell'Amministrazione, di corrispondere la somma indicata nel mandato di pagamento per la liquidazione completa e. definitiva di ogni spettanza dei danneggiati, e sottoscrissero, la quietanza senza avere manifestato preventivamente alcuna riserva in ordine alla liquidazione stessa; che, pertanto, tale sottoscrizione presupponeva necessariamente l'accettazione della liquidazione e l'adesione dei ricorrenti al proposito liberatorio da ogni ulteriore obbligazione, ohe l'Amministrazione ricollegava al pagamento, anche perch� essi non avevano addotto alcun errore idoneo ad in:ficiar� una manifestazione di volont� cos� intesa. Pertanto la Oorte di appello ha riscontrato nella specie quella convenzione liberatoria connessa al pagamento, che i ricorrenti intendevano negare, desumendo una loro manifestazione di volont� in tal senso non soltanto dal tenore della quietanza a saldo; ma anche dagli altri elementi suddetti, peraltro non contestati, che corredarono la ricezione. della somma ed il rilascio. della quietanza. Per tale ragione non sussiste il denunciato vizio di insufficiente motivazione; n� la presente decisione contrasta con quella sopra citata del 19 gennaio 1961, n. 72, ohe, nell'affermare la proponibilit�� della impugnativa della quietanza per errore sostanziale di liquidazione, !~sciava salva ed impregiudicata, per il giudice di merito, l'indagine diretta ad accertare se anche in quel caso -in cui la quie. tanza era stata preceduta da un atto di ~igni:fioazione e di riserva del creditore -vi fosse stata o meno una convenzione liberatoria. Al rigetto del ricorso segue condanna dei ricorrenti nelle spese, in ragione della soccombenza. Ci sembra evidente ohe la sentenza n. 2279/61 sia rivelativa di un indirizzo giurisprudenziale. tendente a precisare i limiti delle affermazioni, mani/estamente eccessive contenute n-ella precedente sentenza � n. 72 del 1961.. In altri termini, la Corte Suprema respinge sia la tesi della efficacia preclusiva assoluta della quietan::: a rUasciata dai creditori dello Stato ai sensi dell'art. 426 del regolamento di contabilit�, sia la opposta tesi della insussistenza, in ogni caso, di tale etfioaoia preclusi�va, affermando ohe la questione deve risolversi caso per oaso. Inoltre, la Corte Suprema sembra orientata nel , senso di rioonoseere efficacia preclus.iva alle.quietanze rilasciate in relazione a pagamenti effettuati con assegni di conto corrente. � DEMANIO -Uso di strada militare -Concessiqne Convenzione relativa -Incompetenza dell'Organo rappresentante della ,P.A. -Omissione-di controlli. Difetto di approvazione. Irrilevanza ai fini del recupero dei canoni demaniali. (Cassazione, I Sezione Civile, 9 ottobre 1961, n, 2058 -Pres.: Lonardo; Est.: Del Conte; P. M. Silocchi (di:ff.) -S.I.P. (Soc. Idroelettrica Piemonte c. Ministero Finanze). Per la conclusione dei contratti dell'Amministrazione dello Stato � sufficiente ilconsenso espresso dal rappresentante dell'Amministrazione ohe abbia un potere, sia pure limitato, all'ordinaria amministrazione. Il vizio di incompetenza dell'organo cui spetta la rappresentanza dell'Amministrazione � motivo di nullit� soltanto quando sia cos� rilevante da. assumere i caratteri di un vero e proprio straripamento di potere, cio� uno sconfinamento di un organo in un altro ordine di poteri ovvero uso di potere ohe non gli compete in parte. In ogni altro caso, al di fuori di questi limiti, la incompetenza comporta soltanto l'illegittimit� dell'atto. Il consenso espresso dal rappresentante dell'Amministrazione Militare, (anzioh� dall'Intendente di Finanza) nella convenzione per l'uso di una strada militare (e perci� amministrata� in via ordinaria dal predetto organo), determina vizio di mera incompetenza e pertanto annullabilit� della concessione stessa, ohe pu� essere fatta valere soltanto dalla P.A. quale soggetto ohe la. norma tutela, e non dall'altro contraente. Il difetto di parere del Consiglio di Stato, prescritto per la conclusione dei contratti della P . .A. non pu� essere fatto valere dal privato contraente in quanto gli atti ohe devono precedere la stipulazione dei contratti, da parte della P. A., ove siano mancati, inducono nei rapporti tra i contraenti l'annullabilit� del contratto, deducibile solo dalla P. A. nel cui interesse gli atti stessi sono stabiliti. La. registrazione della Corte dei Conti, al pari della approvazione, non attiene alla formazione ed all'esistenza del contratto, ma alla sua efficacia, e differisce dall'approvazione, soltanto, pero.h� costituisce un controllo di mera legittimit�, laddove la approvazione estende il proprio sindacato anche al merito e cio� all'opportunit� dell'atto. L'approvazione del competente Ministro, cui sono soggetti i contratti stipulati dalla P . .A., costituisce una condizione (eondicio iuris) della~,effioacia del contratto, la quale, mentre vincola il privato, appena abbia manifestato la sua volont�, non viii.cela . l'ente sino a quando non sia intervenuta la approvazione. Soltanto l'Ente e non il privato pu� . dedurre l'annullabilit� del contratto per la mancanza di approvaziOne, in quanto tale atto di con 83 trollo � stabilito� nell'interesse del prinio e non del secondo. Peraltro, in mancanza dell'approvazione, nessuna delle parti pu� essere costretta ad eseguire il contratto. Tuttavia quando la P.A. � abbia eseguito la sua prestazione ed il privato l'abbia �accettata, fruendone volontariamente, quest'ultimo non pu� pi� invocare la interdipendenza delle due prestazioni, ed �, pertanto tenuto ad eseguire la propria. La soluzione adottata dalla Suprema Oorte, sul terreno della disciplina dei negozi della P.A., ha superato l'impostazione che, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, sembrava pi�. aderente alla fattispecie. Le questioni che venivano all'esame della Suprema Oorte riguardavano la natura e gli effetti di un atto di concessione in uso di una strada militare (b,ene del demanio militare), alle cui conseguenze la societ� concessionaria intendeva sottrarsi, negando il pagamento dei� canoni previsti nell'atto di sottomissione da essa sottoscritto, alligando la pretesa mancata perfezione di una �concessione-contratto �, per difetto di sottoscrizione e per incompetenza dell'organo che aveva manifestato il consenso. In effetti, l'Amministrazione Militare aveva ricevuto uno schema sottoscritto dalla concessionaria, e aveva successivamente inviato nota di assentimento con invito a redigere l'atto definitivo presso l'Intendenza di Finanza. In relazione a tale fattispecie, la difesa dello Stato aveva dedotto: � a) La strada di che trattasi� � strada militare, a sensi e per gli effetti dell'art. 10 lettera d) Legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F (sul Demanio militare, cfr. PASTORE: Il regime amministrativo dei beni d'interesse militare, 1949, p. 15; SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 1959, pag. 350 e 351). b) Le strade militari possono ritenersi classificabili tra quelle statali (e precisamente nella quinta categoria, a' sensi del R.D. 15 novembre 1923, n. 2526, art; 1, lettera E modificata dal R.D.L. 23 otfobre 1924, n. 1944 e dal D.Lgs. 17 aprile 1948, n. 547) soltanto quando siano aperte al pubblico transito. L'art. 11Legge12febbraio1958; n. 126 prevede, ora, strade militari di �uso pubblico �. Ma, sia per le une che per le altre, si distinguono atti di �autorizzazione �, per l'uso consentito ai privati, dagli atti di �concessione � per l'uso eccezionale consentito per l'utilit� di un soggetto determinato (PASTORE, op. cit. p. 96). c) La domanda di concessione andava diretta all'Amministrazione militare, in relazione alla sua competenza istituzionale, e al disposto dell'art. 1 L. cont. gen. d) Il rapporto che corre tra l'ente proprietario del bene pubblico e i singoli, ammessi all'uso particGlare del medesimo, ha sempre un sostrat9 pubblicistico: esso ha sempre alla sua '!)~se un atto di concessione (FORTI: N atiwa giuridica delle concessioni. amministrative, in �Studi di diritto pub blico �, 1937, I). � da tale rnpporto che il soggetto concessionario acquista diritti in ordine al bene. Si hanno cos� le cosidette concessioni costitutive (SANDULLI: Manuale cit.,.pag. 362). �Il rapporto si ini;itaura solitamente, per quanto �riguarda i beni demaniali, mediante un provvedimento amministrativo: cos� � a dire per la generalit� delle concessioni relative al demanio. stradale (art. 5 R.D.L. 8 dicembre 1933, n. 1740 cit.), per quelle relative al demanio idrico (artt. 2, 7 Testo unico Acque), per quelle relative al demanio marittimo e aeronautico (art. 36 e segg., 694 e segg. O. Nav.) � (SANDULLI: Manuale cit., pp. 362-363). Nel caso in esame, non si trattava certo di questo secondo tipo di rapporto, che presenta diversa struttura e che trova applicazione qu:;iindo si contempla l'assunzione di obbligazioni da parte del privato, diverse dalla semplice concessione di un �canone � 'per l'uso del bene demaniale. Caratteristica di detto secondo tipo negoziale � la stipula di un vero e proprio contratto, sia pure in forma di �disciplinare �, alla formazione del . quale concorre la negoziazione, �fra . le parti, la precisazione di condizioni, termini, modi, la stipulazione del prezzo, la riversibilit� degli impianti e cos� via. Nulla di tutto ci� n�lla �concessione �in uso di una strada militare. e) Il procedimento di concessione s'inizia con la presentazione di una domanda, in forma di atto di sottomissione. Questo era l'atto sottoscritto dalla concessionaria, e non uno �schema . di convenzione �. L'atto di sottomissione � trasmesso alla superiore autorit�, la quale, con la stessa autorizzazione a tradurre in atto formale .quello di sottomissione, d� la concessione amministrativa. f) Non pu� ritenersi applicabile alla �concessione � la regola di diritto privato, secondo cui i contratti, fra persone lontane, si hanno per conclusi quando l'accettazione, conforme alla proposta, giunge a notizia del proponente che non l'abpia precedentemente revocata. � La concessione � atto unilaterale, per s�, costitutiva dei diritti di cui all'atto di sottomissione. Dalla comunicazione della concessione, deriva soltanto l'esecutivit� dell?atto amministrativo, la cui efficacia, peraltro opera ex tunc, soprattutto rispetto all'obbligazione del privato di corrispondere il canone, se l'uso sia stato iniziato anteriormente. � g) Per la stipula formale, trattandosi di concessione pura e semplice, la quale non necessitava di un disciplinare a contenuto contrattuale, � ovvio che dovesse provvedere, per la �concessione �, l'Amministrazione militare, e per la disciplina degli effetti patrimoniali, la Amministrazione Finanziaria, scopo unico della stipula formale essendo la necessit� di garantire la riscossione dei ..c::i.noni, attraverso il ben noto procedimento della riscos-sione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639. Lungi, quindi, dal rappresentare un argomento in contrasto con la tesi della P.A., il rinvio della -84 risposta dell'Amministrazione militare, alla Intendenza di Finanza, per la traduzione in atto formale dell'atto di sottomissione, costituisce una prova lampante -alla luce dei principi che guidano, secondo la tecnica giuridica, a siffatti rapporti tra P . .A. e privati -che si trattava di un'atto di ooncessione amministrativa (e non di concessione contratto) alla cui struttura era, del tutto, estranea la questione circa l'incontro dei consensi. h) Nel caso, la competenza dell'Intendenza di Finanza, derivava non, gi�, dalla suaistituzionale attribuzione di amministrazione dei beni demaniali, ma dalla legislazione che all' .Amministrazione :finanziaria demanda l'aggiornamento dei canoni, corp.unque, riflettenti la concessione dei beni demaniali.,(RR. DD. 21 ottobre1923, n. 2367; 30 dicembre 1923, n. 2836; R.D.L. 25 febbraio 1924, n. 456). * * * In ordine alla questione relativa agli effetti ricollegabili all'esecuzione -da parte della P. A. -di contratti non ancora approrati, la Suprema Corte ha cos� motivato: �N� pu� dirsi che ci� contrasti con l'altro principio, pi� volte' affermato da questo Supremo Collegio, che anche quando il contratto abbia av�to per qualche tempo esecuzione da parte della P . .A., tale comportamento non pu� sostituire l'approvazione perch�, nella specie, la possibilit� di costringere il privato all'esecuzione non deriva da una presunzione o :finzione di approvazione, ma dal fatto che il privato non pu� opporre n� l'annullabilit� del contratto per mancata approvazione, deducibile solo dalla P . .A., n�, per la intervenuta esecuzione delle prestazioni da parte di quest'ultima e per l'accettazione della stessa da parte di esso privato, la corrispettivit�, delle sue prestazioni. Il suddetto principio spiega invece la sua piena efficacia nel caso in cui sia il privato a chiedere l'esecuzione, in quanto la P . .A. pu� sempre dedurre la nullit� del contratto per la mancanza di approvazione e l'inizio che la stessa abbia dato all'esecuzione non pu� sostituire Patto formale di controllo, che, come tale, non ammette equipollenti, n� la possibilit� di considerarsi avverato per :finzione �. Non si opponeva all'azione della P.A. la mancata approvazione,, poich�, nei confronti. dcl. privato, il contratto era perfetto; mentre, la P.A. avrebbe potuto scegliere: o invocare l'inefficacia del contratto per chiedere (se le parti si fossero invertite) l'annulla' ffl,Cnto (ma, anche questo, limitatamente alla parte non eseguita -(Sezioni Unite 20 giugno 1955, n. 1909; Oassazione III, 4 febbraio 1958, n. 317-; I, 10 marzo 1958, n. 796; II, 18 maggio 1958, n. 1427; I, 25 ottobre 1958, n. 3475, ecc. ecc.) ovvero per valersi dell'azione di arricchimento sine causa; oppure >< invocare �d 3tta inefficacia, anche per il periodo della gi� avvenuta esecuzione, ovviamente per astringere il privato, in base alla responsabilit� ex contractu, essendo ius receptum: �se l'amministrazione (comunale) non invochi la inefficacia del contratto anche per ilperiodo della gi� avvenuta esecuzione provvisoria, � le prestazioni � avvenute provvisoriamente da parte dell'impresa, prima del diniego del visto, conservano carattere contrattuale, onde in tal caso non � data all'impresa l'azione di, arricchimento, nemmeno a� norma dell'art. 3~7, secondo comma della legge del 1865 sui LL. PP. � (Cassazione I, 25 maggio 1956, n. 1778). D. FOLIGNO ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' Occupazione di urgenza -Occupazione protratta oltre il biennio -Diritto del proprietario alla indennit� di esproprio, alla indennit� per occupazione legittima e al� risarcimento dei danni. Criterio da seguire. per la liquidazione dei danni. ,Corte tli Cassazione, Sezioni Unite, 17 maggio 1961, n. 1164 - Pxes.: Verz�; Est.: Rossano; P. M.: Colli (diff.) -'Fer rovie dello Stato c. Passaniti�. Qualora il decreto di espropriazione di un immobile sia stato preceduto dalla occupazione dell'immobile stessG protratta oltre il biennio, al proprietario espropriato compete, oltre alla indennit� di espropriazione, altra congrua indennit�, distinta dalla prima, per il periodo di occupazione legittima, e il risarcimento dei danni conseguiti alla occupazione abusiva fino e non oltre la data del decreto di esproprio. Detti danni .consistono nel reddito che il proprietario avrebbe potuto ottenere dal bene o anche nel maggior pregiudizio che egli in concreto dimostri di aver subito. Le Sezioni Unite della Corte _Suprema con la sentenza in esame, accogliendo sostanzialmente la tesi sempre sostenuta dall'Avvocq,tura, hanno ribadito le affermazioni di principio contenute nelle precedenti sentenze 22 luglio 1960, n. 2087 (Giust. civ. 1960, T, 1927); 24 ottobre 1960, n. 2892 (Foro it. 1960, I, 1702) e 19 �aprile 1961, rii, 862. La Corte Suprema, ripudiando in tal modo un precedente indirizzo giurisprudenziale la c,ui ultima manifestazione si era ,avuta con la sentenza 30 ottobre 1959, n. 3204 (Giust. civ. 1960, I, 39) � .anche uscita da un impasse, di ordine non soltanto pratico ma giuridico: posto che la protrazione della occupazione oltre il biennio avrebbe dato � al proprietario, secondo tale indirizzo, il diritto di ottenere il risarcimento del danno nella misura corrispondente all'integrale valors venale dell'immobile, del quale sarebbe rimasto, pur tuttavia, legittimo proprietario; e posto che d'altra parte la procedura espropriativa avrebbe potuto esser legittimamente portata a termine, non si riusciva a. comprendere, n� la-Corte_ era mai riuscita a chiarire, in qual modo potessero esser regolati i rapporti .fra espropriante ed espro� . priato relativamente alla indennit� di esproprio, giacch� .da un lato non vi pu� essere espropriazione senza indennit�, dall'altro il valore del bene sarebbe gi� stato corrisposto�, sia pure ad altro titolo, dalla espropriante all'espropriato. La sentenza in esame -che ha sviluppato awuni 'principi gi� posti nella motivazione delle sentenz� 13 gennaio 1959, n. 66, su ricorso Gerini c. E. U.R., e 24 settembre 1959, n. 2603, su ricorso Gestione INA-Gasa c. Fonte -� sul punto cruciale della questione cos� motivata: �Con il secondo motivo del ricorso l'Amministrazione denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 48, 49, 50, 71, 72 e 73 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 in relazione all'art. 2043 e.e. e all'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 Allegato E, nonch� dei principi generali sul procedimento di espropriazione e sui rapporti tra detto procedimento e quello di occupazione temporanea preordinata all'espropriazione; la violazione degli artt. 77 della legge 7 luglio 1907, n. 429 e 12 e 13 della legge 15 gennaio 1885, n. 2892; il vizio di insufficiente motivazione su di un punto decisivo. Assume che la Corte di Appello, con erroneo riferimento alla giurisprudenza di questo Supremo Collegio, ha erroneamente ritenuto che se l'occupazione temporanea preordinata all'espropriazione � protratta oltre il biennio senza che sia stato emesso il decreto di �spropriazione e sul bene occupato sia stata costruita un'opera pubblica, il proprietario ha diritto al risarcimento del .danno in misura del valore venale del bene, anche se prima della condanna definitiva sia stato emesso il decreto di espropriazione; che invece i danni debbono essere liquidati in relazione al periodo di occupazione senza titolo e quindi consistono nel reddito che il proprietario avrebbe potuto ottenere dal bene o anche nel maggiore pregiudizio che egli in concreto dimostri di avere subito, come questo Supremo Collegio ha recentemente affermato. �La censura � fondata. �Queste Sezioni Unite, con le senten.ze del 24 ottobre 1960, n. 2892 e 22 luglio 1960, n. 2087, hanno affermato il principio richiamato dall'Amministrazione, gi� incidentalmente affermato con la sentenza di queste stesse Sezioni Unite del 24 settembre 1959, n. 2603, in contrasto peraltro con la sentenza. anche recente di queste Sezioni Unite del 30 ottobre 1959, n. 3204. �Riesaminata la questione, si ritiene che il mutamento di giurisprudenza debba essere riaffermato. �In vero, decorso il termine di due anni di occupazione temporanea del. b_ene senza che sia stata pronunciata l'espropriazione, l'occupante, data la previsione dell'art. 73 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, che esclude�� ogni possibilit� di proroga, detiene il bene senza titolo; in conseguenza il proprietario ha azione per ottenere la restituzione del bene e il risarcimento dei danni che gli siano stati causati dal protrarsi dell'illecita occupazione. Nel caso peraltro che sul bene sia stata costruita una opera pubblica, si � ritenuto da queste Sezioni Unite, con costante giurisprudenza, che ai sensi dell'art. 4 della legge sul contenzioso amministra85 tivo l'occupante non possa essere condannato a restituire il bene, ma soltanto al risarcimento del danno, in quanto nella costruzione del bene si � ravvisato un implicito atto amministr~tivo, che non. pu� essere revocato dal giudice ordinario; e si � ritenuto altres� che il danno risarcibile debba consistere nel valore venale del bene non ostante che il bene non s�a distrutto e sia rimasto di propriet� della persona alla quale non fu restituito. A tale conclusione si pervien~ considerando .che il risarcimento del danno con indennizzo in danaro � il mezzo previsto dall'ordinamento giuridico per procurare al soggetto leso dalla violazione della norma una somma di danaro che economicamente . sia misura del bene leso o della quantit� del bene leso; che il rifiuto dell'occupante di restituire il bene occupato con restituzione in pristino � accertato come Q.efinitivo sol.tanto con la sentenza definitiva, in quanto � la sentenza medesima che definisce la lite sui rispettivi diritti ed obblighi; che la perdita di utilizzazione del bene per fatto della convenuta � equiparabile al valore venale del bene secondo un criterio di valutazione economica, ritenuto rispondente alla ammessa definitivit� della perdita stessa. Il danno dunque Rella misura indicata �' liquidato con riferimento non soltanto alla situazione attuale ma a quella futura, quale si desume da un volontario illecito e persistente comportamento. Ora l'oggetto stesso di questa valutazione economica, in quanto concerne d�nni non soltanto verificati ma futuri, � p,reclusa dall'emissione del decreto di espropriazione prima della sentenza definitiva. Taie decreto, poich� � il titolo giuridi<;o che dalla sua data produce il trasferimento del � diritto all'espropriante (art. 50 legge 25 giugno 1865, n. 2359), attua cio� il trasfertmento .coattivo del bene, esclude dalla sua data ogni possibile valutazione di danni risarcibili e quindi l'unitaria valutazione ec�nomica dell'equivalente del bene per la perdita definitiva della sua utilizzazione. �.N� in contrario appare fondato l'argomento addotto nella precedente sentenza n. 3204 del 1959 di queste Sezioni Unite e ripetuto dal resi . stente, secondo cui il decreto di espropriazi�ne ha l'efficacia di legittimare il trasferimento del bene, ma non ha influenza sull'oggetto dell'obbligazione di risarcimento dei danni, sorta in conseguenza della mancata restituzione del bene e della costrnzione su di esso nell'opera pubblica senza la tempestiva emissione del decreto di espropriazione. �Le obbligazioni di risarcimento sorgono bens� dalla data in cui si verifica il danno, ma nella specie il danno consiste non nella distruzione del bene, s� che occorre accertare soltanto la somma di danaro che sia misura del suo valore, ma in una persistente perdita di utilizzazione di un bene mutato nella sua consistenza, il quale potrebbe essere restituito con riduzione. al pristino .stato. Pe.rtanto trasferito il bene per effetto del decreto di espro-priazione, non sussiste dalla data del trasferimento danno giuridicamente risarcibile, essendo venuta meno la tutela in favore dell'espropriato. In definitiva, liquidando il risarcimento del danno con il -M � criterio dell'equivaienz� �cortomica del bene non ostante l'emissione del decreto di espropriazione, si disapplica il decreto di espropriazione nella parte in cui � il titolo dell'indennit� nel presupposto che il bene non sia stato trasferito. Ma la disapplicazione dell'atto amministrativo da parte del giudice ordinario � ammessa dall'art. 5 della legge sul contenzioso amministrativo soltanto a tutela di un diritto soggettivo e dalla data del decreto di espropriazione sussiste un diritto all'indennit� ma non un diritto al risarcimento del danno per il potrarsi di una illec.ita occupazione. �Dalle esposte premesse consegue che il danno deve essere liquidato, conformemente al criterio precisato dalle su indicate sentenze di queste . Sezioni Unite del 24 ottobre 1960, n. 2982 e 22 luglio 1960, n. 2087, in relazione al periodo intercorso dalla data di scadenza del. biennio di occupazione del fondo alla data del decreto di espropriazione e con riguardo alla concreta fattispecie; quindi considerando gli utili che il proprietario avrebbepotuto ricavare e le perdite che egli dimostri di avere subite in tlonseguenza dell'illecita occupazione, come quelle di rotture di trattative per negozi concernenti il bene o quelle per mancata costruzione di un edificio sul bene alla scadenza del biennio �. �, peraltro, da �richiamare l'attenzione, sopratutto delle Amministrazioni esproprianti, sull'ultima parte della sopratrascritta motivazione, che dal punto di vista giuridico � ineccepibile. Se, come non � dubbio, per il periodo che va dalla scadenza del bennio d� occupazione di urgenza alla emissione del decreto di esproprio, periodo dwrante il quale l'espropriante detiene il bene senza alcun valido e legittimo titolo, � dovuto il risarcimento del danno, questo va commisurato al danno che �in concreto l'espropriante dimostri di avere ricevuto in quel periodo; e basta considerare le esemplificazioni che la se'!.itenza fa a questo riguardo per rendersi conto come in taluni casi questi danni possono esser valutati in misura notevolmente elevata. N � pu� esser passato sotto silenzio l'altra affermazione della Oorte, relatfoa alla indennit� dovuta per il "biennio di occupazione di urgenza, quando il � decreto di esproprio non venga emanato in t�ile periodo. Sul punto la sentenza ha cos� motivato: . �Il quarto motivo concerne la liquidazione dell'indennit� di occupazione temporanea. L'Amministrazione sostiene che essendo pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui l'indennit� dovuta per l'occupazione temporanea preordinata all'espropriazione deve essere commisurata agli interessi legali sull'indennit�� liquidata per l'espropriazione definitiva, la Corte di Appello avrebbe dovuto liquidare per detto titolo la somma nella misura degli interessi legali in relazione all'indennit� liquidata nel decreto di espropriazione secondo i criteri della legge sul risanamento della citt� di Napoli, e non invece sul valore dell'immobile all'epoca della liquidazione, determinato equitativamente in L. 5.000 a mq. �La censura non � fondata. �Questa Suprema Oorte, I Sezione, con sentenz� del 19 ottobre 1955, n. 3309 e a Sezioni Unite, con sentenza del 28 maggio 1954, n. 1702, dopo di avere affermato il principio, innanzi menzionato nel confutare il primo motivo di ricorso, secondo cui il termille di due anni previsto dall'art. 73 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 � applicabile anc>he alle occupazioni di urgenza preordinate all'espropriazione, previste da leggi speciali, affermarono anche, per il caso che il decreto di espropriazione non fosse stato emesso nel termine, che al proprietario, oltre ai danni causati dalla mancata restituzione del bene, dovesse essere corrisposto per i due anni di occupazione legittima �una congrua indennit��. Si ritenne che in questo caso l'omissione del decreto di espropriazione nel termine implicasse l'inapplicabilit� dell'altro principio, affermato in precedenza, secondo cui per le occupazioni di urgenza preordinate all'espropriazione non fosse dovuta un'indennit� distinta da quella di espropriazione ma dove dovessero corrispondersi soltanto gli interessi su quest'ultimo, in quanto dette occupazioni, per essere preordinate all 'espi:opriazione, dovevano considerarsi anticipate immissioni nel posse~so dell'immobile. Ora posto che l'omessa pronuncia del decreto di espropriazione nel. ter .. mine di due anni esclude il presupposto ritenuto da dette pronunce valevole a giustificare il principio dell'indennit� unica, in quanto dimostra. che l'occupazione anticipata dell'immobile non fu in realt� preordinata alla pronuncia dell'espropriazione nel termine, si che possa giustificarsi il diniego del �diritto del privato all'autonoma indennit� di occupazione, si deve ritenere, nell'attuale controversia in cui il decreto � stato emesso dopo la scadenza del termine di due anni, che la impugnata pronuncia sia immune da censura per avere liquidato l'indennit� di occupazione secondo un autonomo criterio. Non occorre pertanto soffermar.si sulla questione se le occupazioni preordinate alle espropriazioni effettivamente giustifichino per la loro funzione il diniego al diritto ad un'autonoma indennit�, riconosciuto per le occupazioni temporanee in genere dalla legge sulle espropriazioni per la pubblica utilit� �. Si possono, adunque, fissare i seguenti punti fermi nella giurisprudenza d_ella Oorte di Oassazione, per il caso che, occupato con la procedura di urgenza il bene da espropriare, il decreto di esproprio non venga emesso entro il biennio (termine questo non suscettibile di esser prorogato per alcuna ragione) e il bene non possa esser restituito perch� su di esso � gi� stata costruita l'opera pubblica: . 1) Il decreto di esproprio non viene emanato neanche in corso di ca1tsa, prima di una sentenza passata in giudicato: a) per il periodo biennale di occupazione legittima � dovuta una congrua indennit�;.. . b) per il periodo successivo � dovuto il risar{!i-. mento dei danni nella misura corrispondente al valore venale del bene, giacch� il proprietario � stato illegittimamente privato del godimento e della utilizzazione del bene. � -87 2) ll decreto di .f3.spi_oprio viene emanato prima che la questione venga. definita con sentenza passata in giudicato: a) per il period,orbiennale di occupazione legittima � dovuta una indennit� da determinare in modo autonomo, corrisp~ndente alla mancata utilizzazione del fondo da parte del proprietario; b) per il periodo intermedio di detenzione senza titolo � dovuto il risarcimento dei danni, da determinare con riferimento a quelli in concreto risentiti dal proprietario che � stato illegittimamente privato della utilizzazione del bene; c) per la espropriazione � dovuta una indennit� da determinare in relazione alle �norme legislativ~, generali o speciali, proprie dell'istituto della espro priazione per pubblica utilit�. Ed � appena il caso di considerare come, anche in.questa seconda ipotesi, le somme che l'espropriante dovr� pagare per le causali indicate sub a) e b) poss{)no essere particolarmente rilevanti; onde sarebbe sommamente opportuno cho,, in caso di occupazione di urgenza, le Amministrazioni esproprianti portassero a compimento la procedura di esproprio prima della scadenza del biennio, ad evitare pesanti conseguenze economiche. � GIURISDIZIONE -Stati str.anieri -Alienazione di b*'ni appresi per effetto del Trattato di pace -Atti� vit� privatistica -Legge di guerra -Sequestro Effetti -Beni tedeschi in Italia -Potere di disporne Mandato allo, Stato italiano. (Cassazione, Sezioni Unite Civili, 29 aprile 1961 -Pres.: Oggioni; Est.: Straniero; P.M. Pepe (difforme) -Ministero del Tesoro c. Soc. Ca~a S. Paolo � Pia Societ.� S. Paolo -Cisa Viscosa). Gli Stati stranieri, nella vendita dei propri beni, ancorch� acquisiti con atto d'imperio, agiscono iure privatorum e non sono, perci�, immuni dalla. giurisdizione italiana. Il provvedimento di sequestro dei beni appartenenti a persone di nazionalit� straniera, disposto ai sensi del R.D. 8 luglio 1938, n. 1415, pur essendo dettato da criteri di opportunit� politico-militare, ha effetti essenzialmente soltanto assicurativi e cautelari e differisce per struttura e funzione dai provvedimenti di apprensione e trasferimento contemplati dalla stessa legge . di guerra. I beni tedeschi in Italia furono appresi dalle Potenze, che occupavano �la Germania (legge del Consiglio di Controllo 30 ottobre 1945, n. 5) e il Governo italiano riconobbe tale apprensione con l'art. 77, n. 5 del Trattato di Pace, impegnandosi a prendere tutti i provvedimenti necessari per facilitare i trasferimenti, che sarebbero stati decisi dalle Potenze occupanti. Il Ministero del Tesoro e l'EGELI, qual.e suo incaricato, avendo proceduto all'alienazione quali mandatari delle Potenze occupanti, a cui sole spettava il potere di disposiz,i-one dei beni, non sono legittimati all'azione di annullamento . del contratto. La sentenza non convince al/atto. A prescinder� dalla prima massima, non rilevant.e ai fini della decisione, che non riteniamo, co1nunque, di poter condividere perch� non pu� qualificarsi attivit� privatistica quella posta in essere dalle Potenze occupanti per l'apprensione e l'alineazione dei beni della Potenza occupata, tanto pi� se esistenti fuori del suo territorio, la sentenza, a nostro avviso, � sostanzialmente errata. In primo luogo il sequestro di beni nemici, attuato in base alla legge di guerra, implica anche il potere di disposizione ed a nulla rileva, ai fini della sussistenza di tale potere, la circostanza che sarebbero state violate le norme della stessa legge di guerra sulle formalit� necessarie per procedere alla alienazione dei beni sequestrati. Questa circostanza poteva rappresentare un altro vizio del contratto, che certamente .il sequestratario venditore poteva far valere nell'interesse proprio e del proprietario, ch'esso rappresentava necessariamente. In secondo luogo, le Potenze, che occupavano la Germania, non erano divenute proprietarie dei beni tedeschi in Italia, perch� nessuna norma di diritto internazionale prevedeva una tale acquisizione di propriet�. Esse si erano attribuite il diritto di disporn.e e l'Italia, con 'l'art. 77, n. 5 T.P., si era impegnata a porre in essere gli atti necessari per favorire l'esercizio di questo potere di disposizio.ne; ma non pu� dirsi che ne fossero proprietarie secondo le leggi italiane. Appunto, perci�, il Ministero del Tesoro e l'EGELI avevano proceduto all'alienazione in nome proprio � ed in base ai poteri che, secondo le leggi interne, spettavano allo Stato italiano sui beni tedeschi in Italia. Configurare il rapporto fra il Governo italiano e le Potenze occupanti come un mandato di diritto privato significa, poi, degradare, profondamente alterandoli, rapporti internazionali di collaborazione fra Stati sovrani. Ma l'errore pi� grave. della sentenza � quello di aver trascurato del tutto la considerazione che di legittimazione attiva pote;oa parlarsi solo rispetto all'azione di annullamento, propo~ta in via subordinata, non con riguardo all'azione, proposta in via principale, diretta a far dichiarare� la nullit� del contratto ai sensi dell'art. 10 'legge 27 maggio 1929, n. 848. La dichiarazione di n�llit� pu� essere promossa, infatti, da chiunque vi abbia interesse e il Ministero del Tesoro aveva ampiamente dimostrato come avesse interesse alla dichiarazione di nullit� del contratto. Data la .particolare importanza,. �e non sol'o giuridica, delle questioni trattate, riteniamo opportuno riportare, per una pi� esatta e completa conoscenza della causa, la nostra memoria. FATTO La �Pia societ� S. Paolo �, associazione reli" --giosa con sede .in Roma, via di Grottaperfetta 58, riconosciuta agli effetti civili con D. P. 29 marzo 1952, ai sensi .dell'art. 4 legge 29 maggio 1929, n. 848, co)l istanze 10, 19 e 31 g~nnaio J949 a firma ""' dell1�conomo generaie P. Michelino Gagna, confermate in bollo il29 febbraio s. a., chiese di acquistare due immobili siti in Roma, via Savoia 13-15, gi� di propriet� dell'associazione scolastica germanica, Deutsch� Schulver�in in Rom. Nella predetta istanza (fase. II, foglio 5 e 14) era posta in evidenza l}attivit� assistenziale dello IstitUto e si precisava che l'acquisto verrebbe eventu�lmente effettuato dalla Societ� Casa di San �Paolo, collegata con �sso istituto. Una successiva lettera del 19 febbraio 1949 era diretta, sempre dal sac. Gagna nella predetta qualit� di e�oriomo generale della Casa generalizia della Pia societ� S. Paolo, al dott. !>adone, rappresentante italiano nel Comitato per la liquidazione dei beni tedeschi iri ttMia, perch� appoggiasse la domanda �della Pia istituzione in vista degli scopi umanitari da essa perseguiti�. Nella stessa si faceva, altr'es�, menzione di analogo interessamentc presso gli altri membri del Comitato e presso il Ministero del tesoro. ' Con deliberazione 9 marzo e 24 giugno 1949 il Comitato, sempre in vista degli scopi perseguiti dall'associazione religiosa, autorizz� la vendita degli immobili alla Pia societ� di S. Paolo. Con istanza 24 marzo 1949 la Pia societ� di S'. Paolo, nel ringraziare il Ministero del tesoro ed i membri del Comitato della favorevole decisione, migliorava l'offerta, confermando le :finalit� altamente umanitarie da essa perseguite. �Con nota n. 401841 del 16 luglio 1949 (fase. III, � foglio 11) il Minist�l'o del Tesoro autorizzava la vendita a favore della Pia societ� di S. Paolo, che aveva designato per la stipula del relativo atto la collegata societ� � Casa di S. Paol.o � con sede in via di Grottaperfetta 58, cio� presso la Casa generalizia dell'associazione religiosa. Con successiva nota del 18 agosto 1949 (fase. III, foglio 11) il Ministero del tesoro richiamava l'attenzione dello EGELI sulla necessit� ch� nel contratto si pon�sse in luce la circostanza che l'alienazione era effettuata a favore della Pia Societ� di S. Paolo e per essa alla Societ� Casa d� S. Paolo. Il 1� dicembre 1949 era stipulato l'atto di compr11� vendita (fase. I, foglio 1) fra l'EGELI e la S.r.l. Casa S. Paolo. Nelle sue premesse di legge (n. 5) � che la Pia Societ� di S. Paolo ha fatto domanda di acquistare a trattativa privata i due villini, faMndo presenti gli scopi religiosi sociali ed umanitari; che essa persegue .... ; (n. 6) �che il Comitato ..... ha accolto la domanda presentata dalla Pia Opera.. e che il Ministero del tesoro ha autorizzato l'alienazione a trattativa privata a favore della predetta Opera e per ess.a dalla Societ� Uasa �S. Paolo .... �. Nell'atto si pattu�, inoltre, il diviet� di vendita, anche parziale, degli immobili compra-venduti per la durata di cinque anni. Dell'atto faceva parte integrante ed era ad ess� materialmente allegata la autorizzazione ministeriale, di cui alla nota numero 401841 del 16 luglio 1949 dianzi menzionata. Il predetto contratto di compra-vendita fu approvato con decreto ministeriale 10 �dicembre 1949, nel quale era espressamente. e nuovamente menzionata, sia nelle premesse che hel dispmiitivo, . la deliberazione del Comitato interministeriaie per ia liquidazione dei beni tedeschi in Italia ed era confermato che la vendita veniva effettuata a favore della Pia Societ� di S. Paolo � pe:r essa� alla Societ� Casa S. Paolo. Con nota 15 febbraio 1951 l'istituto religioso Pia societ� di San P.aolo chiedeva la revoca del pattuito divieto di alienare, che, a suo dire, impediva l'assunzione di mutui ipotecari (il divieto, ovviamente, comprendeva anche l'accensi.one di ipoteche) ed il Ministero del tesoro, con nota n. 403314 del 17 aprile 1951 diret_ta alla Pia Societ� di San Paolo, dichiarav~ di considerare caducata e inefficace la clausola, appunto� per consentire alla Pia Societ� di ottenere i finanziamenti necessari allo svolgimento della sua attivit�. Il 30 maggio 1951 il sac. Michelino Gagna, che il 20 novembre 1949, cio�, nella imminenza della stipulazione del contratto di compra-vendita aveva acquistato tutte le quote sociali della S.r.l. �Case S. Paolo � rivendendone due al sac . .Antonio Spaziale, amministratore unico della predetta societ�, trasferiva tutte le quote sociali alla societ� immo. biliare Villa .Albani. Successivamente le quote della Societ� S. Paolo sorta nel luglio 1929 e fino all'acquisto collegata all'associazione religiosa, di cui portava il nome e presso cui aveva sede, erano vendute alla Cassa del Mezzogiorno per la somma di L. 550.000.000. Il venditore, �ome doveva essere avvenuto per i precedenti trasferimenti, garantfva la esistenza degli immobili nel patrimonio sociale, per cui l'al�enazione delle quote non pu� non equivalere alla alienazione degli immobili. Ci� non riguarda la presente causa, ma� rappresenta indubbiamente, uno dei motivi dell'azione: l'alienazione fu consentita e il prezzo di particolare favore, fu esclusivamente determinato in vista dei fiui altamente educativi, che la Pia Societ� S. Paolo si proponeva, e non perch� se ne facesse una odiosa ed illecita speculazione. Con atto di citazione 10-12 luglio 1954, trascritto il 24 novembre 1954 al n. 52078, il Ministero del tesoro e l'EGELI convenivano, pertanto, avanti il triOunale di Roma sia la Pia societa S. Paolo che la S.r.l. �Casa S. Paolo� per sentir dichiarare la nullit� della compra-vend�ta, non preceduta dalla autorizzazione governativa, prescritta dall'art. 10 della legge 29 maggio 1929, n. 848. Si costituiva in giudizio la sola Pia Societ�, la quale deduceva la sua assoluta estrarteit� al contratt�. Le amministrazioni attrici, conseguentemente, modificavano in via subordinata la domanda e, autorizzati dal G.. I., notificavano le nuove conclusioni alla contumace S.r.l. �Casa S. Paolo� il 5 gennaio 1955 (fase. III). Per evidenti fini tutioristici le anzidette conclusioni subordinate erano inserite in un autonomo atto di citazione, notificato sia alla Pia Societ� S. Paolo che alla S.r.l. �Casa�s. Paolo� il 26 nov-embre 1954 ~-tra-� scritto il 30 novembre 1954 al n:. 53370. Nel giudizio intervenne la � C.I.S . .A. Viscosa �, acquirente e alienante delle quote della S.r.l. � Casa S. Paolo �, e la causa, con le favorevoli -89 conclusioni del P.M., fu rimessa al Collegio; ma il Tribunale di Roma, con sentenza 15 giugno-11 luglio 1956 respinse le domande. Avverso la predetta sentenza proposero appello il Ministero del Tesoro e l'EGELI, nelle more messo in liqn.idazione, con atto 9 luglio 1957. Nel giudizio di appello intervenne la S.r.l. �Casa S. Paolo� la quale, dopo aver proposto un generico appello, incidentale, non precis� le sue definitive conclusio~i, ed intervenne l'Associazione scolastica tedesc� (Deutsche Schulverein in Rom) che pure, successivamente, abbandon� la causa. Nelle more del giudizio di appello interveniva il Memorandum di i.tesa 29 marzo 1957, che, concludendo lunghe e laboriose tr�ttativ:e, disponeva la soppressione del Comitato per i beni tedeschi in Italia, costituito in applicazione del Memorandum d'intesa 14 agosto 1947, devolvendone le funzioni al governo� italiano. Esso trasferiva, altres�, al governo italiano i restanti beni tedeschi di qualunque , natura, nonch� i proventi della vendita dei beni tedeschi gi� liquidati o in . corso di liquidazione. Con sentenza 13 maggio-5 giugno 1959 la Corte di Appello di Roma respingeva sia l'appello principale sia gli appelli incidentali, dichiarando inammissibile l'fotervento dell'Associazione scola. stica tedesca. Per la cassazione della predetta sentenza ha proposto ricorso il Ministero del Tesoro; la societ� �Cisa-Viscosa � ha proposto ricorso incidentale. Tanto premesso, si osserva in J)IRITTO l. La �Cisa-Viscosa � col ricorso incidentale e l'Ente congregatizio � Opera pia societa di San Paolo� col controricorso hanno riproposto le questioni, disattese dalla sentenza impugnata, del difetto di giurisdizione dell'autorit� giudiziaria italiana e del difetto di legittimazione� attiva delle ricorrenti. Amministrazioni. L'Opera pia si duole, altres�, dell'omessa integrazione del contradittorio, che si sarebbe dovuto estendere al Comitato internazionale, peraltro soppresso col Memorandum d'intesa del 1957; mentre la Cisa-Viscosa insiste perch� sia dichiarata cessata la .materia del contendere a seguito della cessione delle quote della societ� a responsabilit� limitata Casa San Paolo da parte della Cassa per il Mezzogiorno all'Associazione scolastica tedesca in Roma, gi� proprietaria del compendio immobiliare de quo. Le censure non hanno consistenza e sono state ben a ragione disattese dalla Corte d'Appello con motivazione congrua e scevra di vizi logici. Come si ebbe occasione di scrivere nella nota di replica innanzi la Corte d'Appello, l'immobile de quo era stato sequestrato dal Governo italiano nell'interesse e in nome propri�, con decreto del Prefetto di Roma 16 aprile 1945 e l'EGELI n� era s~ato nominato sequestratario. �, d'altra p1rte, racifico e ncn � mai stato oggetto di discussione che il contratto fu stipulato, emparte venditoris, dall'EGELI quale sequestratario nello interesse del Governo italiano, e dal Minhitero del tesoro in proprio. Nelle premesse del rogito Marroni si d� atto di una deliberazione del Comitato interJ:!.azionale, che aveva autorizzato la vendit� all'Opera; Pia Casa San Paolo; ma non si accenna affatto ad alcun mandato a vedere. L'atto, c.io�, fu stipulato dal Ministero del Tesoro e dall'EGELI, in proprio, non quali mandatari di un terzo proprietario. N� ha senso 11 preteso mandato da parte del Comitato internazionale che del bene non era proprietario. Risulta, altre.s�, che il prezzo fu pagato all'EGELI, sequestratario, mediante versamento della somma di �ure cinquanta milioni su conto corrente intestato all'EGELI stesso. � pacifico, infine, che il contratto fu approvato dal Ministero del tesoro e che fu questo ad esonerare la societ� acquirente (rectius; l'Opera pia) dal rispetto del patto, che vietava la rivendita dello immobile. Occorre, �infine, precisare Ghe era da tempo cessata l'occupaizione bellica, per cui non poteva sussistere pi� alcuna diretta potest� (J.ell'occupante sui beni esistenti nel territorio occupato in base a~ principi del diritto internazionale di guerra.. � In questa situazione, di fatto e di diritto, chiaramente posta in luce nella sentenza impugnata, non riusciamo a comprendere l'ostinazione, con cui da parte avversa s'insiste, anche in questa sede, sul difetto di .giurisdizione dell'autorit� giudiziaria italiana e sul difetto di legittimazione attiva e di interesse ad agire delle �mministrazioni v-enditrici. � Oggetto del giudizio � la nullit� e, in via sul;>ordinata, l'annullamento di un contratto di diritto privator un comune contratto di compravendita, chiesta da quelle stesse parti, che stipularono il contratto. Questo contratto, stipulato in Italia, da persone ed enti soggetti alla �sovranit� dello Stato italiano, avente ad oggetto beni situati in Italia, � regolato unicamente dalle norme dell'ordinamento giuridico interno. L'azione di nullit� e, pertanto, soggetta alla giurisdizione italiana. . Nessuna nor:rna dell'ordiuamento interno e, in verit�, neppure alcuna norma dell'ordinamento internazionale attribuiva alle Potenze vincitrici lll! propriet� del bene, presupposto del potere di trasferirla ad altri. Sul piano dell'ordinamento interno, e nell'ambito di questo 13sclusivamente la S.r.l. Ca13a San Paolo ha acquistato e poteva acquistare. L'immobile era di propriet� della Deutsch� Schulverein in Rom, societ� germanica, sottoposto a sequestro dallo Stato italiano in forza della legge di guerra ed in base ad un concreto atto di sequestro (revocato con D.P. 8 giugno 1954, n.. 740/19, ai sensi del R.D. 8 luglio 1938, n. 1415, solo dopo e per effetto dell'avvenuta alienazione alla Casa San Paolo) che attribuiva al Ministero del tesoro e, nel suo. interesse, all'EGELI, sequestratario, il potere di disporre del bene sequestrato. In effetti questi due enti ne hanno diSp�sto, ip. __ nome e nell'interesse proprio, e la S.r.l. �Casa S. Paolo�, se ha acquistato la propriet� dell'immobile, l'ha acquistata dal Ministero del tesoro e dall'EGELI suoi danti causa, non dalle Potenze ...,..;... 90 firmatarie del Trattato di pace, che mai ne avevano acquistato la propriet�, ed in base al ~iritto interno, n� in base al diritto internazionale. 2. Il Trattato di Pace, le Leggi del Supremo Consiglio di Controllo Alleato, come i successivi Memorandum d'intesa, sono� convenzioni internazionali che, secondo la prevalente dottrina e la consolidata giurisprudenza (vedasi, fra le altre, Sezioni Unite, n. 235/53, Romano-Tesoro, Pres., Azara; Est., Torrente), producono -effetti solo fra le Parti contraenti e non attribuiscono diritti, n� impongono doveri ai singoli, che non sono dotati di soggettivit� giuridica nella sfera del diritto internazionale. Essi, pertanto, non possono esplicare alcun effetto diretto sul negozio della cui esistenza e validit� si discute, n� sulla propriet� dell'immobile. Ma ancorch� si volesse prescindere da . questa considerazione, di per s� assorbente, occorre considerare che in concreto nessuna norma del Trattato di pace, n� dei successivi Memorandum di intesa attribuiva direttamente alle Potenze vincitrici il diritto di propriet� sui beni tedeschi in Italia, n� privava di .~fficacia gli atti di seq"\lestro posti in essere legittimamente daJlo Stato italiano, ih base alla legge di guerra. Queste norme di diritto internazionale imponevano allo Stato italiano degli obblighi, internazionali, ed attribuivano alle Potenze vincitrici delle pretese, pur esse internazionali; creavano, cio�,. fra lo Stato italiano e le predette alle Potenze un rapporto� giuridic� internazionale, di natura obbligatoria, in forzlji del quale lo Stato italiano era obbligato, verso le Potenze firmatarie delle� Convenzioni e sempre ed esclusivamente sul piano internazionale, ad un comportamento. La violazione �di questi obblighi avrebbe costituito un illecito internazionale ed avrebbe potuto dar luogo ad una controversia internazionale, sempre ed esclusivamente fra i soggetti della Convenzione, ma non avrebbe mai potuto avere dirette conseguenze sulla validit�, considerata sul piano dell'ordinamento giuridico interno, degli atti corilpinti dallo Stato italiano in violazione di obblighi internazionali. L'art. 77, n. 5 del Trattato di Pace e l'art. 2 del primo .Memorandum d'intesa imponevano allo Stato italiano, ma nei confronti delle Potenze firmatarie, l'obbligo di adottare provvedimenti per �effettuare la sollecita vendita dei beni tedeschi in Italia ed effettuare la vendita a determinatf enti o persone; ci� conferma che il potere di vendere spettava esclusivamente allo Stato italiano. � Da queste premesse consegue, a nostro avviso incontestabilmente, che parti del contratto e quali portatori di interessi propri, non altrui, erano esclusivamente il Ministero del Tesoro e l'EGELI, onde l'ulteriore incontestabile conseguenza della giurisdizione italiana e della legittimazione attiva delle amministrazioni appellanti. Il contratto de quo, di natura squisitamente ed esclusivamente privata, stipulato in Italia fra persone soggette alla giurisdizione italiana e avente ad oggetto beni siti in Italia, � regolato, per quanto attiene ai suoi presupposti ed ai .i;uoi requisiti, di forma e di sostanza; subiettivi ed obbiettivi, dallo ordinamento giuridico interno eJe azioni, tendenti all'accertamento della sua nullit� o al suo annulla mento, sono soggette esclusivanierite alla giurisdi zione italiana, come esattamente ha affermato la Corte. Dalle suesposte premesse deriva, altres�, come conseguenza necessaria e connessa alla precedente, la legittimazione attiva delle amministrazioni stipulanti. � Come si sia potuto ravvisare nella .deliberazione del Comitato un �mandato a vendere, riesce davvero incomprensibile. Questa deliberazione, adottata alla stregua di norme inter:.azionali, era destinata ad agire, esclusivamente sul piano internazionale, nell'ambito di quel rapporto giuridico internazionale, che, come s'� detto, impegnava lo Stato italiano verso le Potenze firmatarie della Convenzione, a vendere, solle�itamente e con esclusione di determinati acquirenti, i beni tedeschi in Italia, da esso sequestrati e che, perci�, rientravano sul piano ed alla stregua dell'ordinamento giuridico interno, che solo disciplinava il contratto di compravendita, nella sua esclusiva disponibilit�. D'altra parte, il Comitato non e:ra, in base aU'ordinamento internazionale e, tanto meno, in forza dell'ordinamento interno italiano, proprietario dei beni tedeschi in Italia ed �, perci� inconcepibile, per non dire altro, un mandato a vendere di chi proprietario del bene da vendere non �. Il Ministero del tesoro, in forza della legge di guerra, aveva il potere di disporre della propriet� tedesca in Ital_ia e ne disponeva, in base a queste norme, in proprio nome e nef proprio interesse. N� il Trattato di pace, n� il memorandum d'intesa, posto che lo avessero potuto con efficacia immediata nell'ordinamento giuridico interno, lo avevano privato di questo potere, che anzi da quelle con� venzioni era presupposto e confermato. D'altra parte, se pur potesse dubitarsi della legittimazione attiva, diretta, del Ministero del tesoro, � incontestabile tale legittimazione in capo allo :EGELI. � giurisprudenza consolidata, infatti, che il sequestrario sia "l'unico soggetto legittimato ad agire in tutte le azioni �nascenti dalla custodia e dall'amministrazione, tipicamente quelle nascenti dai contratti da lui stipulati, nell'ambito dei suoi poteri ed aventi ad oggetto la cosa in custodia (Cassazione, 16 gennaio 1950, n. 138). Questo principio vrule per qualunque sequestro, mutando solo l'ambito dei poteri attribuiti al sequestratario, e non pu�, pertanto; non essere applicato Il!',llla specie all'EGELI, che, quale sequestratario, e:ra legittimato a vendere ed a proporre tutte le a~ioni derivanti dai contratti di vendita, dei qu�li esso � tenuto a rispondere sul piano interno e� lo Stato italiano, nell'interesse del quale l'EGELI agisce, su q~ello internazionale. 3. Ma tutto ci� vale per l'azione contrattuale di annullamento; non per l'azione principale di nullit�, che, ai sensi dell'art. 10 legge 27 maggio 1929, n. 848, e, in via generale, dell'art. 1421 O.e., pu� -91 essere proposta in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse. � evidente che questa azione prescinde df1 una le,;ittimazione sostanziale. Trattasi, infatti, di nullit� assoluta,. d'ordine pubblico, sanzionata dall'attribuzione dell'azione al P. M. e a qualunque cittadino abbia interesse alla dichiarazione di uullit� non soltanto a chi affermi di essere proprietario del bene (Cassazione 30 ottobre 1959, n. 3212, in F<Yro . It. 1960, I, 234). . Il concetto di legittimazione attiva qui si fonde con quello di interesse ad agire, in merito al quale converr� spendere qualche parola, anche per precisare il nostro punto di vista sulla natura e sugli � effetti del M emoran�um d'intesa 29 marzo 1957. � pacifico che l'interesse ad agire sussiste quando l'attore intenda conseguire con l'attivit� processuale un risultato giuridicamente apprezzabile, anche se consistente in un vantaggio non immediato (Cassazione, 24 ottobre 1956, n. 3872, in Foro It., � I-; 1791; Tribunale di Te!ni 28 dicembre 1954, in Riv. giur. umbro-abbruzz., 1955, 209) o di natura non economica. L'interesse dell'EGELI, sequestratario, � innegabile, essendo esso responsabile della amministrazione e liquidazione dei beni sequestrati verso il Ministero del Tesoro, nell'interesse del quale esso agiva. L'interesse di questo, poi, era altrettanto incontestabile, sul piano interno, perch� in base alla legge di guerra la vendita era effettuata nel suo interesse, e sul piano. internazionale, potendo sempre essere chiamato a rispondere della amministrazione dei beni sottoposti a sequestro 'e, nella specie, della vendtta a prezzo irrisorio di un bene di ingente valore. Questo interesse non veniva mano, anzi era rafforzato dal fatto che, secondo il primo Memorandum. d'intesa, gli introiti della liquidazione dovevano affluire ad uno speciale conto, da istituire nell'interesse dei beneficiari. Ma noi avevamo affermato pi� volte, nel corso del giudizio di primo grado, che erano in corso trattative per devolvere definitivamente a favore dello Stato italiano i predetti introiti. Onde un ulteriore, personale e diretto interesse del Ministero del Tesoro alla dichiarazione di nullit� del contratto ed al ripristino dello status quo ante, che, oltre tutto, avrebbe consentito �llo Stato di disporre, in sede di trattative economiche con la Germania, ove lo avesse ritenuto di suo vantaggio, dell'immobile gia di propriet� e insi"stentemente richiesto dalla Deutsche Schulverein in Rom. Il Memorandum dal 1957 ha concluso quelle trattative ed ha reso evidente e immediato il vantaggio, che il Ministero del tesoro tende a conseguire con la :presente azione. Questa � l'unica conseguenza che noi in questa sede gli attribuiamo; evidenziare e rendere immediato il vantaggio, che noi avevamo prospettato come futuro, ma non perci� meno idoneo e costituire un inte:i;esse attuale ad agire (per quanto riguarda gli effetti della sopravvenuta legittimazione ad agire, vedasi Cassazione 4 maggio 1957, n. 1507, Rossi-Dolfi). � La circostanza, infine, che il Ministero del tesoro -e l'EGELI non fossero mai stati �proprietari � del bene compravenduto -come, peralto, non lo sarebbe stato il Comitato internazionale -se fosse mmtta, non importerebbe come conseguenza il loro difetto di legittimazione ad agire per l'annullamento del contratto da essi. stipulato, ma qualificherebbe quest'ultimo come vendita di cosa altrui, pufettamente valida, anPhe se di contenuto obbligatoFio. In tale ipotesi � ancor pi� evidente come il venditore ~ia legittimato ad agire per l'annullamento del contratto a prescindere dalla propriet� del bene ed al fine di sottrarsi agli obblighi, che dl,li esso gli derivano. 4. Ancor pi� infondate E!Ono le critiche mosse alla impugnata sentenza per quanto attiene alla giurisdizione ed alla necessit�, di integrare il contradittorio con la chiamata in causa del Comitato internazionale per la liquidazione dei beni tedeschi in Italia, soppresso nel 1957 ed i poteri del quale da tale data sono passati aJ Governo italiano e, per esso, al Ministero del tesoro. Come esattamente oss�rva in proposito la. sentenza, oggetto del giudizio � esclusivamente "l'esistenza e la validit� di un contratto di compravendita, negozio di diritto privato, stupulato in Italia da enti e societ� italiane, per cui la controversia rient.ra certamente nella giurisdizione dell'autorit�, giudiziaria ordinaria, a n~lla rilevando la circostanza che il contratto fu preceduto -sul piano dei rapporti fra Stati -da un atto di organo internazionale,. che non intervenne nel contratto e deve escludersi possa essere considerato parte contraente. Il Memorandum d'intesa, stipulato a Washington il 14 agosto 1947 e reso esecutivo con D.L. 3 febbraio 1948, n. 177, attribuiva al Governo italiano il potere di liqqidare i beni tedeschi in Italia, salvo intese col Comitato internazionale, che, come la Corte Ecc.ma riconobbe nella sentenza ex adverso citata, .aveva il compito di dare istruzioni e diret~ tive ed esaminare, antecedentemente alla loro effettuazione, le vendite al fine precipuo di evitare che i beni tornassero in propriet� di enti e di cittadini tedeschi. L'azione del Comitato, quindi, si esauriva prima e ;fuori del contratto di cui il Comitato stesso non era parte. Cio, d'altronde, risulta per tabulas dall'attivit� in concreto esplicata dal Comitato e dalla quale non riteniamo possa prescindere. Nel verbale della seduta del 24 giugno 1949, n. 61 (foglio 12) si legge: �Il Comitato, preso atto che il Governo italiano si .� manifestato favorevole a riconoscere, ai sensi dello articolo 5 del Memorandum d'intesa 14 agosto 1947, l'esistenza di un interesse nazionale per scopi umanitari e assistenziali a che la vendita venga effettuata alla Pia Societ� di San Paolo in Roma, conviene di autorizzare la ve�dita a favore della nominata Pia Societ� di San Paolo � N� si pone in discussione la legittimit� di questa deliberazione, che, anzi, � preiiupposta. Si s�stiene, se mai, la non conformit� del contratto alla deli-berazione, la quale riguarda l'Opera Pia e non la omonima societ� a responsabilit� limitata �Casa San Paolo�. 92 Nessun valore ha il precedente invocato ex adverso, se non si vuole in esso riscontrare una conferma del principio da noi sostenuto, secondo il quale legittimato alle azioni contrattuali e precontrattuali era �sempre e solo il Ministero del tesoro e non il Comitato. � Nella causa Giulini-Tesoro, ex adverso citata, si discuteva della legittimit� del rifiuto di aggiudicare un ben$3, messo in vendita con il sistema dell'incanto con l'offerta in busta chiusa. Il Giulini assumeva di � aver diritto alla aggiudicazione ai semi degli artt. 132.6 e 1336 O.O.; ma la Corte, premesso che l'attivit� della P.A. volta al compimento di negozi di diritto privato pu� essere considerata, per ci� �che attiene al processo formativo del. negozio, attivit� di diritto pubblico, neg� che il Giulini avesse un diritto perfetto alla aggiudicazione. Il bene era stato messo all'incanto nelle forme e col procedimento previsti _dalle norme all'uopo dettate dal Comitato in base all'art. 5 del Memorandum d'intesa. Queste norme riservavano l'aggiudicazione al potere discrezionale dell'Amministrazione venditrice e, pertanto, l'interesse del maggior'offerente all'aggiudicazione �non aveva la consistenza del diritto soggettivo, ma dell'interesse legittimo, con il conseguente difetto di giurisdizione della autorit� giudiziaria ordinaria. Il difetto di giurisdizione fu, quindi, pronunziato in base ai comuni principi, che discriminano quella ordinaria d!tlla giurisdizione speciale, cio�, alla stregua della consistenza dell'interesse fatto valere; non perch� il rapporto oggetto del giudizio esorbitasse dal potere giurisdizionale italiano. Poche. parole merita l'eccezione di cessata materia del contendere, che la Corte d'Appello non ha neppure preso in specifico esame. Oggetto del giudizio era ed � la esistenza e validit� di un contratto intercorso fra il Ministero del tesoro, l'EGELI, la Societ� r.l. �Casa San Paolo� e l'ente congregatizio Opera pia societ� di San Paolo. Ogni mutamento di titolarit� delle quote della Societ� r.l. � Casa San Paolo �, � pertanto, del tutto irrilevante ai fini del presente giudizio. N� i soci della predetta societ� sono legittimati in proprio alla causa, come, peraltro, ha ritenuto la Corte, dichiarando inammi'lsibile l'intervento in appello dell'associazione scolastica tedesca. 5. Ci� premesso sulle questioni pregiudiziali, disattese dalla Corte d'Appello e riproposte dai nostri contradittori, passiamo ad illustrare brevemente il nostro primo motivo di ricorso, che ben a ragione abbiamo definito assorbente, essendo irrilevante, ai sensi e per gli effetti degli artt. 9 e 10 legge 29 maggio 1929, n. 848, ogni distinzione fra interposizione reale o fiduciaria e fittizia o simulatoria. Preliminarmente osserviamo che siamo pienamente d'accordo coi �nostri contradittori quando a.ffermano che sulla questione, da noi prospettata col primo motivo di ricorso, non constano precedenti specifici post-concordatari. Siamo, altres�, d'accordo sulla considerazione, peraltro gi� fatta, ma a tutt'altro fine e con tut t'altro intendimento, dalla Corte di OitHsazione con la sentenza 23 febbraio 1932,� n. 648, in causa Pieri-Stefano, che lo stato di diritto attuale � di verso da quello pre-concordatari�i; ma ci� per effetto del Concordato e della legge 29 maggio 1929, n. 848, non nel nuovo Codice civile. Non concordiamo, invece, coi nostri contradittori e con la sentenza impugnata, sulla rilevanza dello art. 17 O.e. e delle altre norme contenute nel vigente O.e. e sugli effetti, quanto meno, interpretativi di queste norme rispetto a que~le, di cui agli artt. 4, 9 e 10 legge 29 maggio 1929, n. 848, che, a nostro avviso, regolano compiutamente ed eschisiva} Ilente la materia dell'acquisto di immobili da parte d'istituti, enti ed associazioni ecclesiastiche. Ci� tanto pi� in quanto le predette norme speciali �sono state dettate in esecuzione dei Patti Lateranens~, che l'art. 7 della Costituzione ha sussunti �nell'ordinamento costituzionale dello Stato. La questione delle c.d. frodi. pie -e nell'espret:� sione, ormai tradizionale, non deve riscontrarsi, come insinuano i nostri contradittori, alcun intento malizioso -deve, perci�, essere risolta esclusiva mente alla stregua delle norme speciali dianzi citate e degli artt. 29 lettera b).e 30 del concordato, che quelle intesero attuare. Nella comparsa conclusionale d'appello indicam mo la dottrina pre-concordataria favorevole alla tesi da noi sostenuta (MORTARA, in Foro It., 1908, I, 401; ScHIAPPOLr, in Manuale di diritto eccl., II, . 187-189, n. 59;. ASCOLI, in Riv. Dir. Civ., 1909, 251) e quella contraria (GAB;BA, OOVIELLO, FERRARA e JEMOLo); precisammo che fino alla sentenza 23 marzo 1908 era stata favorevole la Corte di Cassazione, la q�ale mut� giurisprudenza con la sentenza 19 dicembre 1928 (in Giur. It., 1929, I, 1959), ma avvert�, con la gi� citata sentenza 23 febbraio 1932, n. 648, che il Concordato e la legge 29 maggio 1929, n. 848 avevano mutato lo stato di diritto. Segna�ammo, altres�, nella predetta comparsa l'unico precedente giurisprudenziale post-concordatario (App. Roma 13 luglio 1942, in Arch. Dir. Eccl., 1943, p. 271), peraltro, favorevole alla tesi della nullit�, e la dottrina; anch'essa nei sensi da noi sostenuti (SCADUTO, in Giur. It., 1930, III e 1931, I, 2, 336 e IV, 175; FALco, in Corso di Dir. Eccl., p. 212; ScHIAPPOLI, in Foro It., 1933, II e� in Corso di Dir. Eccl., 1938, II, 294) nonch� la dottrina eontraria. L'impugnata sentenza in proposito ha affermato due principi: � argomentando dall'art. 4 legge 29 maggio 1929, n. 848 ha escluso che le associazioni religiose non riconosciute possono acquistare e possedere immobili; � interpretando l'art. 10 legge 29 maggio 1929, n. 848 alla stregua degli artt. 829 cpv. 00. 1865, 28 legge 19 giugno 1873, 627, terzo commai, 599 e 17 O.e. 1942, ha ritenuto, confermando la gimisprudenza pre-concordataria, che la..n�rma �_i applichi solo alle associazioni, che abbiano ottenuto il riconoscimento ex art. 4. In sintesi la Corte d'Appello ha ritenuto legittimo l'acquisto per interposta persona senza autoriz -93 zazione � governativa perch� l'associazione, non avendo ancora ottenuto il riconoscimento, non poteva acquistare. La contradditoriet� del ragionamento, che involge una evidente petizione di principio, non ha bisogno di commento. La sentenza impugnata ha, altres�, trascurato del tutto la pi� recente .evoluzione giurisprudenziale (Cassazione 3 luglio 1949, n. 2119, MongolaSorce), confortata dalla pi� autorevole dottrina, sulla quasi-personalit�, sulla organizzazione e, comunque, sulla rilevanza giuridica delle associazioni non ri�onosciute, le quali sono titolari di diritti propri, che non spettano ai singoli associati pr�indiviso, come avviene, invece, nelle comunioni. Se ci� non avesse fatto, non sarebbe pervenuta alla conseguenza dell'assoluta irrilevanza nel mondo del diritto dell'Opera pia Casa di San Paolo prima del suo riconoscimento e della sua erezione in ente ecclesiastico e della non applicabilit� degli artt. 9 e 10 legge 29 maggio 1929, n. "848 agli acquisti fatti dalle associazioni religios� non ricon�sci�te. 6. Come riteniamo di aver dimostrato nel ricorso, la sentenza impugnata ha dato un'errone� interpretazione delle norme contenute negli articoli 627, terzo comma, 599, 600 e 786 O.e. Da queste norme e, soprattutto, dai �principi in esse enunciati o che da esse si ricavano pu� trarsi. la disciplina civilistica dei negozi in frode a condizione, p�r�, che si facci� astrazione dalla specifica materia da esse regol~ta, al fine di id~ntificare il principio generale di diritto, applicabile anc:.e ai �casi analoghi. Questo principio generale, a nostro avviso, sanziona la nullit� assoluta del negozio in frode, simul~ to o indiretto, ancorch� fatto in favore di soggetti non forniti di personalit� giuridica piena. L'art. 599 O.e., come � noto, dispone �che sono nulle, anche se fatte per interposta persona, le disposizioni testamentarie a vantaggio delle persone indicate negli artt. 592 (figli naturali), 593 (figli adulterini o incestuosi), 595 (coniuge del binubo), 596 (tutore e protutore), 597 (notaio) e 598 (redattore del testamento). L'art. 627 O.e. tezo comma, esclude l'azione per l'accertamento della disposizione testamentaria fiduciaria, salva l'ipotesi di disposizione fatta per interposta persona a favore d'incapaci a ricev()re. L'impugnata sentenza ha ritenuto che con l'espressione �incapaci �le due norme dianzi citate si riferiscono solo alle persone fisiche o giuridiche esistenti. L'errore � evidente, essendosi trascurato del tutto di considerare le norme, di cui agli artt. 462 e 600 Codice civile. L'art. 462 O.e., come � noto, dichiara che sono capaci di succedere tutti coloro che� sono nati o concepiti al tempo dell'apertura della successione. Ci� chiaramente dimostra che sono ritenute �incapaci � di succedere anche le persone non ancora nate, tanto � vero che il terzo comma pone un'eccezione per i figli nascituri (non concepiti) di persona vivente. � A prescindere, quindi, dalla considerazione che l'articolo 462 O.e. cori.tempia solo le persone fisiche, non pure le entit� giuridiche diverse dall'uomo, che indubbiamente possono ricevere eredit� e legati, sta di fatto ch'esso definisce � incapaci �proprio le persone inesistenti con la eccezione dei figli nascituri di persona vivente, onde la conseguenza che la capacit� o l'incapacit� a ricevere sono determinate prescindendo dalla esistenza o meno della persona fisica. D'altra parte, l'art. 600 O.e. prevede espressamente che possano ricevere per testamento gli enti non riconosciuti; fra cui occorre ricomprendere anche le associazioni e i comitati, che dovranno provvedere al formale riconoscimento come condizione per l'efficacia dell'acquisto, ma che non sono dalla legge considerati incapa'Ci. Non � esatta, quindi, l'interpretazione data dalla sentenza impugnata agli artt. 599 e 627 O.e. Ma l'errore pi� grave sta nel non aver considerato che da quelle norme occorreva trarre un principio generale. Si doveva, quindi, prescindere dalla particolarit� del caso da esse regolato (successione testamentaria) � Dalle predette norme, cio�, si doveva trarre il ' principio generale, valido anche e soprattutto fuori dello specifi.co divieto dell'art. 599 O.e. relativo alla nullit� degli atti compiuti in fraudem legis, fatti, .cio�, a mezzo di interposta persona per superare un divieto categor.ico posto dalla legge a carico di determinate persone, ri.on il principio generale sulla capacit� a ricevere per testamento, che non interessava la causa. Sotto quest'ultimo aspetto ben altra considerazione meritavano gli artt. 600 e 768 O;c., relativi alle disposizioni testamentari� ed �lle donazioni a favore di enti non riconosciuti, i quali non . sono inesistenti per mancanz3! del soggetto, accipiente, come dovrebbe dedursi, applicando il principio di diritto affermato dalla sentenz�, che la legge dichiara inefficaci finch� l'ente non sia formalmente riconosciuto, onde la ulteriore illazione che il nostro ordinamento vieta l'acquisto, astrattamente possibile, per testamento o per donazione � favore di enti non riconosciuti; che possono, invece, liberamente acquistare per atto a titolo oneroso. In conclusione, a noi pare che dalle norme . dianzi a�cennate si tragga il principio, applicabile ad ogni altro caso analogo, che la legge, quando vieta con norme di ordine pubblico che una determinata categoria di persone o di entit� (fisicamente o giuridicamente non ancora esistenti) possa acquistare \'leterminati beni o, in genere, compiere determinati negozi, sanziona la nullit� assoluta dell'atto fatto per interposta persona al fine di super�re ildivieto categorico. 7. L'altro e pi� grave errore della sentenza impugnata sta nell'aver preteso di interpr~taire l'articolo ],O legge 29 maggio 1929, n. 848 alla stregua dell'art. 17 O.e., qualificando identiche le due fattispecie normative. Cos� facendo, ha del tutto tra~ scurato di considerare che gli articoli 4, 9 e 10 legge 29 maggio 1929, n. 84$, regolano, in esecu~ -94 zione del Concordato, intera~ente la materia e la regolerebbero, salvo espressa e specifica abrogazione, ancorch�. fossero sostanzialmente modificate� le norme del codice civile sugli acquisti da parte delle persone giuridiche private e delle associazioni laiche. Se, interpretando restrittivamente l'art. 17 O.e. e argomentando esclusivamente dall'espressione in esso usata (persona giuridica), pu� pervenirsi alla soluzione accolta dalla sentenza impugnata; alla stessa soluzione non pu� pervenirsi in base agli artt. 9 e 10 legge 29 maggio 1929, n. 848. Questi (sia il 4 che il 9) parlano di associazioni religiose, di istituti ecclesiastici e di enti di culto di qualsiasi natura, senz'alcun riferimento all'acquisita personalit� giuridica e neppura all'erezione canonica. L'assenza di un espresso riferimento alla personalit� giuridica e l'inciso �di qualsiasi natura� inducono a ritenere, sen'za che sia possibile alcundubbio, che la norma abbia inteso riferirsi a tutti gli enti ed' associazioni religiose, aventi o non personalit� giuridica. Tale interpretazione � confortata dalla considerazione che il Concordato e le sue norme di attuazione avevano inteso, fra l'altro, por fine al fenomeno delle c.d. frodi pie, espediente resosi necessario per la conservazione, sia pure parziale, del patrimonio della Chiesa durante il vigore . delle, leggi eversive. Cessate queste di aver vigore, cessava, altres�, ogni giustificazione dell'acquisto indiretto e ma scherato. La lettera delle norme da noi citate � conforme a que3to spirito. Dal combinato disposto degli arti coli 29 lettera b), 30 del Concordato si evince, inoltre che le Alte Parti Contraenti intesero sanare, entro termini perentori, le frodi pie, agevolando anche focalmente l'eliminazione della persona interposta; ma vollero con altrettanta decisione vietare che in seguito esse si verificassero nuovamente e ci� nell'interesse .e dello Stato e della Chiesa. In relazione a questi principi l'articolo 4 legge 29 maggio 1929, n. 848 prevede una particolare forma di riconoscimento agli effetti civili delle as sociazioni ed istituti religiosi in possesso di deter minati requisiti e consente di acquistare e posse dere solo a quelli in tale forma riconosciuti. La citata norma vieta che sia� attribuita la per sonalit� giuridica ad associazioni religose, ad isti tuti ecclesiastici e ad enti di culto, che, fra l'altro, non abbiano gi� ottenuto l'erezione in ente morale da parte delle competenti autorit� dell'ordinamento canonico; essa pone, altres�, implicitamente, ma chiaramente, come peraltro ha riconosciuto l'im pugnata sentenza, il categorico divieto di acqui stare e possedere anche per.interposta persona, alle associazioni religiose non riconosciute agli effetti civili e, quindi, previamente non eretti in enti ecclesiastici. L'associazione religiosa non riconosciuta e, tanto .pi�, quella non riconoscibile non � irrilevante per l'ordinamento giuridico interno. Essa pur avendo un'organizzazione ed l.].na quasi personalit�, che secondo la citata recente evoluzione giurisprudenziale, astrattamente le permetterebbero di acquistare e possedere, � incapace di acquistare non solo direttamente, ma .anche per int<;1rposta pers�na, trattisi d'interpretazione fittizia (negozip simulato) o reale (negozio fiduciario o indiretto), per l'espresso divieto fatto dalla legge in relazione alla quali.t� dell'associazione. L'acquisto, comunque fatto per interposta per sona, � in fraudem legis, contro il divieto dell'arti colo 4, ed �, perci�, nullo, anche prescindendo dalla mancata autorizzazione governativa. Questo principio � rafforzato, non indebolito, dalle norme contenute negli artt. 9 e 10 legge 29 maggio 1929, nl 848, ancorch� si acceda alla tesi accolta dalla sentenza impugnata e secondo la quale non � ipotizzabile autorizzazione rispetto ad associazione religiosa non riconosciuta agli effetti civili. L'acquisto, che non pu� essere autorizzato, � nullo quanto e, 'forse pi� dell'acquisto, che, pur potendolo, non � stato autorizzato; questo, secondo la pi� recente giurisprudenza, pu� essere sanato dalla sopravvenuta autorizzazione, quello � nullo in modo definitivo e insanabile. L'art. 10, nel sanzionare la nullit� assoluta dello acquisto non autorizzato, non distingue fra acquisto autorizzabile e non autorizzabile e, tanto meno, , distingue fra associazione religiosa riconosciuta e non ricon�sciuta. Contrariamente opinando, si porrebbero le asso ciazioni ed enti religiosi ri~onosciuti in una posi zione deteriore rispetto a� quelli, che per negli genza non chiedono o per difetto di presupposti non �ottengono il riconoscimento, e ci� contro la lettera e lo spirito della legge e, soprattutto, contro la volont� manifestata dalla� Chiesa e dallo Stato nella �stipulazione del Concordato Lateranense. In conclusione, le norme della legge 29 maggio 1929, n. 848, da noi invocate, che regolano esclusivamente la materia, sanzionano la nullit� assoluta dell'acquisto di immobili da parte di associazioni religiose quando l'acquisto non sia preceduto dall'autorizzazione governativa e ci� a prescindere dalla circostanza se l'associazione sia riconosciuta o meno. 8. Si � detto nel ricorso, sulla scorta della pi� " au~orevole dottrina, che nessuna rilevanza ha, rispetto al negozio in fraudem, la distinzione fra interposizione reale, che d� luogo al negozio fiduciario o indiretto, e "l'interposizione fittizia o simulatoria. La distinzione, invece, assume rilevanza quando si escluda, come ha fatto la sentenza impugnata, che alla specie sia applicabile il principio della nullit� del negozio in fraudem per mancanza della personalit� giuridica, piena e formal� dell'associazione, a favore della quale � dispo,J�to l'acquisto. Ora, a nostro avviso, non v'era alcun dubbio clle. l'acquisto da parte della s.r.l. �Casa San Paolo� fosse soggettivamente simulato, e che l'effettivo contraente fosse la omonima .Associazione religiosa. � Da quesfa:i premesse derivava, come ineluttabile conseguenza, la nullit� del contratto simulato con la societ� e la nullit� del contratto dissimulato, sia ai sensi dell'art. 4 legge 29 maggio 1929, n. 848, sia perch� padre Michelino Gagna, economo-generale della Pia Societ�, non aveva alcun potere di rappresentare quest'ultima. Gli errori, in cui � incorsa la impugnata sentenza su questo punto e sull'altro, da noi dedotto in via subordinata, della invalidit� del contratto per errore sull'altra parte contraente, sono stati da noi posti in luce ed adeguatamente confutati nel ricorso (II e III motivo). A questo i controricorrenti hanno replicato genericamente, e soprattutto, riferendosi a brani della sentenza da noi criticati, per cui riteniamo opportuno, per non tediare ulteriormente la Corte, riportarci a qu,anto abbiamo gi� dedotto. Riteniamo solo di dover precisare che, contrariamente a quanto si assume nel controricorso dell'ente congretatizio, n<>n al;>biamo mai sostenuto che vi sarebbero stati due contratti: uno per corrispondenza e l'altro contestuale. Abbiamo posto in luce come, diversamente da quanto si afferma nell'impugnata sentenza, il contratto contestuale (atto notarile) fu preceduto e seguito da corrispondenza scritta, dalla quale risultava chiaramente la coscienza e volont� degli enti venditori, conforme all'autorizzazione del Comitato di contrattare e di aver contrattato con una Opera pia, con� l'Opera pia societa di San Paolo, cio�, non con una societ� commerciale avente lo stesso nome; Donde uno dei tanti errori logici, in cui � incorsa la sentenza, che ha posto a base del .suo ragionamento la premessa, erronea, dell'assoluta irrilevanza delle trattative, perch� non risultanti da atto scritto, e l'errore di diritto per aver interpretato il contratto, prescindendo dagli atti, che lo avevano preceduto e seguito. IMPOSTA DI REGISTRO -Appalto -Jus variandi del committente -Imposta di registro -Liquidazione Criterio �-Legge vigente al momento della registraziOne del contratto�. (Cassazione, Sezione _I, Sentenza n. 857-61 -Pres.: Di Pilato; Est.: Iannuzzi; P. M.: Silocchi (conf.) ~oc. Sogerie c. Amministrazione delle Finanze dello Stato). � contratti di appalto, nei quali � inserita la clausola che conferisce lo jus variandi al committente entro il limite del quinto del corrispettivo previsto, devono considerarsi stipulati a � prezzo presunto � secondo la legge di registro; ci� perch� la possibilit�. dell'aumento o della diminuzione della quantit� dei lavori previsti nel progetto, da calcolarsi alle stesse condizioni del contratt� importa necessariamente un'incertezza attuale del corrispettivo fissato il quale potr� essere determinato solo alla fine del rapporto e in relazione al costo delle maggiori opere o mediante la detrazione dell'importo dipendente dalla diminuzione di esse. Conseguentemente 1a differenza di tributo da coi'rispondersi per il maggior costo dell'opera -la quale, secondo la espressione dell'art. 32 della legge sul registro, ha natura complementare, e costi" tuisce perci�. integrazione di quella gi� pagata -non pu� essere calcolata se non in base alla legge vigente al momento della liquidazione provvisoria effettuata all'atto della registrazione del contratto; come l'eventuale restituzione del tributo perce� pittdn pi�, in dipendenza di una diminuzione delle opere, non potrebbe essere calcolata se non in relazione a quanto si � pagato in vi.rt� della legge allora vigente, senza che abbia incidenza, in entrambi i rasi, una legge sopravvenuta che modifichi la tariffa. Trascriviamo la motivazione in diritto della s-entenza. Con il primo motivo la Societ� ~ricorrente denuncia la viola.~ione e la falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della legge 4 aprile 1953, n. 261 e degli art. 32 R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 e 52 della tariffa allegato �. allo stesso regio decreto, in relazione agli artt.. 344 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 e 11 R.D. 18 novembre 1923, n. 2440. La ricorrente non contesta la qualificaziofte .giu ridica data dalla Corte di Appello al �contratto 15 marzo 1952, che, cio�, esso ebbe per oggetto l'appalto di lavori da considerarsi a prezzo presunto ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 32 della legge sul registro. Deduce, invece, che la Corte avrebbe errato nel ritenere che l'importo dei lavori inerenti al quinto d'obbligo, eseguiti successivamente e menzionati nella scrittura privata 13 ottobre 1953, costituisse un elemento del prezzo dell'opera pre vista nel contratto 15 marzo 1952 e che fosse valu tabile al fine della determinazione del prezzo defi nitivo e della liquidazione definitiva dell'imposta dovut� per la registrazione del contratto stesso. Rileva che, a tale fine; deve essere calcolata sol tanto l'eventuale differenza fra il prezzo dichiarato e quello definitivo, dipendente dalla discordanza fra il preventivo ed il consuntivo del costo della opera, ma sempre in relazione ailavori inizialmente previsti, che �, estranea alla disciplina dell'art. 32 della legge sul registro l'ipotesi, verificatasi specie, in cui l'ente appaltante richieda la esecuzione di una maggiore quantit� di opere rispetto a quelle inizialmente concordate, poich� ci� importa una modificazione dell'oggetto del contratto, e quindi l'instaurazione di un nuovo rapporto, autonomo e distinto da quello precedente e, conie tale, sog�� getto alla disciplina fiscale vigente al momento della sua costituzione. Ci� posto, conclude la Societ� ricorreme, la Corte di Appello ha errato nel ritenere che l'indicazione, nel contratto 13 ottobre 1953, dell'importo comples sivo dell'opera gi� eseguita, compreso il costo dei lavori de �quinto d'obbligo�, equivalesse a una denuncia del prezzo definitivo del primo contratto . di appalto, ai sensi dell'art. 83 della citata legge sul registro, poich� -a parte l'anomalia di assoggettare un unico contratto a due regimi fiscali -M- diversi -ljindicazione del prezzo dei maggiori inerenti al �quinto d'obbligo � si riferiva ad un � nuovo contratto, svincolato da quello precedente. Lai censura non � fondata. La facolt�, dell'ente .committente, di richiedere, nel corso di esecuzione dei lavori, un aumento o una diminuzione delle opere previste nel progetto, era operante nella specie in virt� del richiamo, contenuto nel primo contratto stipulato con la scrittura privata 15 marzo 1952, alle disposie:ioni del Capitolato Generale per gli appalti di dette opere dipendenti dal Ministero dei Lavori Pubblici. Ora il richiamo di tali disposizioni in un contratto di appalto stipulato fra enti o persone . diversi dallo Stato importa, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, che esse assumono natura ed efficacia negoziale e, quindi, che divengano delle vere e proprie clausole contrattuali che disciplinano l'esecuzione del rapporto di appalto. Conseguentemente anche lo ius variandi attribuito all'ente appaltante dalle disposizioni flel Capitolato generale (art. 19 del D. M. 28 maggio 1895 in relazione all'art. 344 della legge 20 marzo J865, n. 2248 allegato F) richiamate per relationem, trova fondamento e� giustificazione in una clausola negoziale, che � attiene all'esecuzione del rapporto costituito con. il contratto cui la clausola medesima accede. Ci� importa che le variazioni al progetto richieste dal committente, appunto perch� attengono all'esercizio di un diritto attribuitogli da un patto del contratto in corso di esecuzione, non possono dar Juogo all'instaurazione di un nuovo contratto autonomo--e distinto, come sostiene la Societ� ricorrente, la quale ipotesi si dovrebbe altres� escludere sia per la mancanza di un nuovo accordo fra le parti, che non ha ragione di estrinsecarsi o di sovrapporsi ad una convenzione pattizia gi� valida ed operante, sia per la mancanza di un oggetto diverso, poich� le variazioni richieste incidono sulla quantit� del. lavori previsti nel progetto e non importano una modificazione sostanziale della opera commessa al committente. Pertanto, in applicazione del .principio generale secondo cui il regime tributario di un atto si deve stabilire in relazione alle disposizioni vigenti al momento della registrazione, la tassa proporzionale applicabile al maggior valore assunto del contratto di appalto in dipendenza dell'esecuzione di lavori complementari costituenti il �quinto di obbligo� si deve determinare con riguardo alla legge vigente al momento della registrazione del contratto cui inerisce la clausola importante la facolt� del committente di richiederli e non in base ad una legge sopravvenuta nel corso delle esecuzioni dei lavori stessi o al tempo della contabilizzazione. Invero la situazione in esame rientra nella previsione dell'art. 32, comma 2�, della legge sul registro, il quale dispone che nei contratti di appalto a prezzo presunto la tassa � provvisoriamente riscossa sul valore dichiarato dalle parti e si far� luogo alla riscossione della differenza non corrisposta ovvero alla restituzione del tributo percepito in pi� in base alla denuncia dell'ammontare definitivo del prezzo, cui sono tenute le parti a. norma del successivo art. 83. Non pare dubbio, infatti, che i contratti di appalto, nei quali � inserita la claus<:>l!li che conferisce lo ius-variandi al committente entro il limite del quinto del corrispettivo previsto, devono considerarsi stipulati a �prezzo presunto� secondo la legge sul registro; ci� perch� la possibilit� dell'aumento o della diminuzione della quantit� dei lavori previsti nel progetto, da calcolarsi alle stesse condizioni del contratto, importa necessariamente una incertezza attuale del corrispettivo fissato, il quale potr� essere determinato solo alla fine del rapporto ed in relazione al costo delle maggiori opere e mediante la detrazione dell'importo dipendente dalla diminuzione di esse. Conseguentemente la differenza di tributo da corrispondersi per il maggior costo dell'opera la quale, secondo l'espressione del citato art. 32, ha natura di tassa complementare e costituisce perci� integrazione di quella gi� pagata non pu� essere calcofata se non in base alla legge vigente al momento della liquidazione provvisoria effettuata all'atto della registrazione del contratto, come l'eventuale restituzione del tributo percepito in pi�, in dipendenza di una diminuzione delle opere, non potrebbe essere calcolata se non in relazione a quanto si � pagato in virt� della legge allora vigente, senza che abbia incidenza, in entrambi i casi, una legge sopravvenuta che modifichi la tariffa. Con il secondo motivo la Societ� ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 5 comma 3� della legge 4 aprile 1953, n. 261 e dell'art. 152 della legge sul registro in relazione all'art. 1353 O.e. deduce che avrebbe errato la Corte del merito nel ritenere che la facolt� dell'ente appaltante, di chiedere un aumento o una diminuzione delle opere fino alla concorrenza del �quinto di obbligo �, costituisca una particolare applicazione dello ius variandi connaturale al. contratto di appalto e non equivalga, invece, secondo la tesi della ricorrente; a sottoporre un patto contrattuale a condizione sospensiva. Neanche tale censura � fondata. Invero il citato art. 152 riguarda l'ipotesi in cui l'acquisto e il trasferimento a qualunque titolo di cose o di diritti dipenda dal verificarsi di una condizione sospensiva e dispone che in tal caso, si applica la legge tributaria vigente al momento del verificarsi della condizione sospensiva, non si attuano l'acquisto o il trasferimento, che.costituiscono il fatto generatore dell'obbligazione tributaria, la quale sorge, pertanto, solo nel momento in cui la condizione stessa si avvera. Ora tale disciplina non pu� applicarsi al contratto di appalto di cui � elemento naturale la clausola relativa al �quinto d'obbligo� poich� questa ipotesi trova la sua regolamentazione specifica nella citata disposizione dell'.art. 32 della legge sul registro secondo cui, come innarnr..i si. � .. detto. l'obbligazione tributaria inerente all'intero corrispettivo dell'appalto sorge al momento della registrazione del contratto ed importa l'assoggettamento allaJegge allora vigente anche del ma,ggiore -97 importo dei lavori dipendente dall'esercizio dello ius variandi dell'ente appaltante. Pertanto il ricorso deve essere respinto, con la condanna della societ� ricorrente alle spese in ragione della soccombenza. Sembra che il principio affermato nella sentenza debba valere in t1itti i casi di appalto di opere pubbliche dato che l'art. 344 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 allegato F prevede espressamente l'obbligo dell'appaltatore di ottemperare all'ordine dell'amministrazione appaltante di aumentare le opere� da esegiiire nei limiti del quinto del prezzo d'appalto. IMPOSTA DI REGISTRO -Agevolazioni ~scali Trasferimenti di case non di lusso -Riduzione a met~ dell'imposta -Determinazione. (Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 1646/61 -Pres.: Di Pilato; Est.: Arienzo; P; M.: Cri.scuoli (conf.) -Amministrazione delle Finanze c. Gandolfi). La riduzione a met� dell'imposta di registro stabi�ita dall'art. 17 legge 2 luglio 1949, n. 408, per i trasferimenti delle case non di lusso, costruite ai sensi dell'art. 13, effettuati entro quattro anni dalla dichiarazione di abitabilit� o dall'abitazione, opera sull'aliquota prevista per le corrispodenti categorie di immobili dall'art. 43 tabella allegato B del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 e non sull'aliquota prevista dall'art. 1, tariffa allegato A stessa legge per i trasferimenti a titolo oneroso degli immobili in genere. Per conseguenza l'imposta di cui all'art. 1 tariffa allegato �A risulta ridotta, per effetto dell'art. 17 della legge del 1949, a un quarto. Si trascrive la motivazione in diritto della sentenza Oon l'unico motivo di ricorso, l'.Amministrazione Finanziaria deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 13~20 e 24 legge 2 luglio 1949, n. 408, dell'art. 1 tariffa allegato A R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, dell'art. 43 allegato B stesso regio decreto e degli artt. 12, 14, 15 e segg. preleggi in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 O.p.c. e riproponendo la questione. gi� sostenuta con esito negativo nelle precedenti fasi del giudizio, assume che la riduzione alla met� dell'imposta di registro per i trasferimenti delle case di abitazione non di lusso di nuova costruzione, disposta dall'art. 17 legge n. 408 del 1949, andrebbe calcolata in rapporto all'aliquota ordinaria, di cui all'art. 1 tariffa allegato A-L sul registro, e non gi�, come ritenuto dalla sentenza impugnata, in rapporto all'aliquota ridotta alla met� di quella ordinaria, prevista dall'art. 43 tabella allegato B della stessa legge. A sostegno della s�a tesi e per escludere il coordinamento tra l'art. 17 Legge n. 408 del 1949 e l'art. 43 tabella allegato B cit., la ricorrente premette che il sistema giuridico dell'imposta di registro sarebbe costituito dalla legge e dalla� tariffa mentre diverm, e solo di carattere derogativo dei principi ivi contenuti, sarebbe la funzione delle tabelle, la cui distinta letterale denominazione denunc~rehbe la differente :finalit�. A questa premessa maggiore, la ricorrente aggiunge, in logica connessione, 'che le riduzioni di imposta della tabella allegato B sarebbero disposizioni di carattere eccezionale �sebbene permenenti �e non rappresenterebbero, come ritenuto in precedente pronuncia, da questa Oorte (Cassazione, 27 marzo 1958, n. 1034), il normale ed ordinario regime tributario di alcune categorie di atti. In conseguenza, conclude l'Amministrazione Finanziaria, quando una disposizione di agevolazione tributaria, come quella dell'art. 17 Legge n. 408 del 1949, fa riferimento all'imposta di registro sarebbe richiamata, in mancanza di contrarie precisazioni, l'imposta di registro ordinaria (art. 1 tariffa) che dovrebbe costituire il parametro per la concessa riduzione. L'errore della tesi della ricorrente si annida nelle premesse del sillogismo, cio� nell'assumere che il sistema tributario dell'imposta di registro sia costituito dalla legge e dalla tariffa e che la tabella Allegato B contenga disposizioni eccezionali e deriva da una concezione, inaccettabile e superata, che venne formulata in dottrina dopo la pubblicazione della vigente legge sul registro. Invero, innovando il sistema della legge del 1897 la quale indicava nel suo corpo gli atti da registrarsi gratuitamente o con riduzione di imposta o a debito ovvero esenti, il regislatore del 1923 ha stralciato tali indicazioni dal testo vero e proprio della legge allegandole a questa in elenchi. (tabelle allegato B, O, D, ed E) che completano quello degli atti soggetti a registrazione (tariffa allegato A). Tale distinzione diede luogo a qualche dubbio interpretativo soprattutto in merito al contenuto della tabella allegato B relativa agli atti da registrarsi con riduzione di imposta o per i quali l'imposta ha una speciale struttura. Si sostenne, come assume oggi la ricorrente, che le voci incluse in detta tabella avessero natura sostanziale diversa da quelle indicate nella tariffa allegato A e, cio�, costituissero, non permanenti e normali regimi tributari di imposizione per le categorie di atti ivi contemplate, ma deroghe particolari di natura eccezionale, al sistema tributario. Se tale assunto fosse esatto conseguirebbe, in conformit� del ricorso, l'inapplicabilit� alle voci di cui alla tabella allegato B delle agevolazioni tributarie disposte da leggi speciali, ma la tesi � infondata. Tutti gli allegati: infatti, alla legge sul registro, e, quindi, non solo la tariffa ma anche le tabelle, fanno parte integrante della stessa e concorrono a comporre l'intero sistema tributario, come appare evidente dall'esplicito richiamo di tutti gli allegati contenuto nell'art. 5 della legge. Il R.D. n .. 3269 del 1923 contiene le disposizioni, generali e speciali con contenuto sostanziale e formale, sulla registrazione, sulle tasse di registro, sul pagamento e sulla riscossione, mentre gli allegati precisano i presupposti di fatto, le varie categorie di atti e le tasse -98 da applicarsi secondo 'la loro intrinseca natura e gli effetti. Sicch�, sia per l'espresso richiamo dell'art. 5 sia per la propria funzione complementare, integratrice dei precetti normativi contenuti nel regio decreto, gli allegati fanno parte integrante della legge sul registro e costituiscono, in unit�, il sistema tributario sulla registraz.ione degli atti. Per quanto attiene in particolare alle voci della tabella B, in' relazione a quelle, eventualmente pi� ampie, relative allo stesso genere di atti contenute nella tariffa allegato A, � da precisare che l'unit� del sistema esclude che le voci della tariffa A si pongano in posizione primaria e di carattere generale rispetto a quelle della tabella allegato B e che queste possano qualificarsi eccezionali rispetto a quelle. Le voci contenute nella tabella allegato B hanno la medesima natura ed efficacia di quelle della tariffa allegato A e rappresentano il normale regim� tributario per le specifiche categorie di atti contemplate, regime indubbiamente di favore ma non eccezionale. Orbene, consegue da quanto esposto l'infondatezza delle premesse delliii t�si della ricorrente e, quindi, l'inac�ettabilit� dell'affermato riferimento dell'agevolazione fiscale, disposta dall'art. 17 legge n. 408 del 1949, all'art. 1 della tariffa allegato A. Le esposte considerazioni sull'unitariet� del sistema tributario -composto dalla legge e dagli allegati, tariffa e tabelle -e sulla identica posizione e funzione che hanno nel sistema le voci contenute nella tariffa e nelle tabelle valgono, altres�, a decidere il quesito se l'art. 17 legge n. 408 del 1949 debba riferirsi all'art. 43 della tabella allegato B, da questa Suprema Corte gi� affermativamente risolto in una precedente pronuncia (Cassazione, 27 marzo 1938, n. 1034) dalla quale non � consentito discostarsi. Infatti, con riguardo ai trasferimenti immobiliari l'art. 1 della tariffa allegato A indica gli atti civili, i contratti e le tasse che colpiscono i trasferimenti a titolo oneroso in genere; l'art. 43 tabella allegato B considera la categoria di atti relativi alla compravendita di fabbricati nuovi o completamente riattati ad uso di abitazione e, dispone che la tassa sia �ridotta a met� di quella ordinaria �, purch� la vendita avvenga entro quattro anni dalla dichiarazione di abitabilit� del fabbricato o dall'effettiva abitazione. Dal coordinamento di queste due disposizioni, -che, come si � detto, hanno nel sistema identica posizione e analoga funzione di indicare i presupposti di fatto, le varie categorie di atti �e le tasse da applicare secondo la loro natura ed effetti-consegue che esse prevedono due distinti aliquote � dell'imposta, entrambe normali e generali, riferite a due differenziate categorie di atti di compravendite; a) quella relativa al trasferimento di immobili in genere, che sono colpiti dalla tassa intera; b) quella relativa al trasferimento di fabbricati ad uso di abitazione, nuovi o completamente riattati, avve . nuto entro il suddetto quadriennio, cui si applica la tassa ridotta alla �met� di quella ordinaria �. L.a riportata dizione letterale dell'art. 43 tabella allegato B non pu� indurre nell'errore di ritenere ordinaria l'aliquota dell'art. 1 tariffa allegato A e speciale .quella della tabella alleg~to B, fl,ttesa la dimostrata parit� di posizione dei due allegati nel sistem�, la loro funzione e, con maggiore evidenza, la differenziata categoria di immobili considerati nell'art. 43. Per i fabbricati, nuovi o completamente riattati, trasferiti entro il quadriennio dalla dichiarazione di abitabilit� o dall'effettiva abitazione � pr�visto, quindi per ovvi motivi di stimolo dell'attivit� produttiva di iniziativa privata, un regime tributario di favore, non in via contingente ed eccezionale ma in via normale e generale, entro precisi limiti legali, con l'imposizione di un'aliquota di tassazione pari alla met� di quella applicata per i trasferimento degli altri immobili. Orbene, precisato che la misura dell'imposta di registro per i trasferimenti immobiliari a titolo oneroso � determinata con riguardo a categorie .di atti differenziate dall'oggetto, le eventuali, succesive agevolazioni fiscali, disposte con norme eccezionali, vanno riferite alla tassazione prevista in via normale e ordinaria, per quella specifica categoria di atti ai quali l'agevolazione � diretta, e ci� anche se manchi un espresso, specifico riferimento alla corrispondente voce contenuta neUa legge sul registro. L'art. 17 legge 2 luglio 1949, n. 408, contenente disposizioni per l'incremento edilizio, in relazione all'art. 13 della stessa legge, accorda la riduzione a met� dell'imposta di registro ai trasferimenti di case di abitazione, che non abbiano caratteristiche di lusso, costruite entro un predeterminato periodo di tempo (art. 13), purch� avvengano entro quattro anni dalla dichiarazione di abitabilit� o dalla effettiva abitazione: ci� nel dichiarato intentQ legislativo di orientare l'economia privata a concorrere efficacemente alla soluzione del problema della casa con un'intensa ripresa edilizia dopo l'inattivit� e le distruzioni del periodo bellico: � Ordunque, se per le case ad uso di abitazione nuove o co:�npletamente riattate, l'imposta �i registro, normale e di carattere permanente, � quella di c�i all'art. 43 della tabella allegato B, a questa, e non all'art. 1 tariffa allegato A, inequivocamente si riferisce la agevolazione di cui all'articolo 17 senza necessit� di ulteriori e pi� specifiche precisazioni. Consegue, quindi, con tutta evidenza, da quanto esposto sul sistema � tributario della registrazione degli atti, che l'agevolazione fiscale, prevista dall'art. 17 cit. con la riduzione a met� dell'imposta di registro, per favorire l'incremento edilizio nazionale in un periodo di particolare congiuntura e di crisi degli alloggi, deve necessariamente commisurarsi a quella contenuta nell'art. 43 tabella ali. B (met� di quella dell'art. 1 ta;riffa allegato A) con la conseguenza che l'imposta di registro di cui all'art. 1 della tariffa risulta ridotta ad un quarto per effetto dell'art. 17-con riguardo ai detti fabbricati. La chiare conclusioni della presente indagine dispensano� dall'esame dei precedenti legislativi e della formulazione lettera.le dell'art. 17 per la,. -99 ricerca di ulteriori, indiretti �lementi confermativi; Al rigetto del ricorso consegu� la c�ndanna del tanto pi� che i primi confermano tuttavia, in partiricorrente al pagamento delle spese di giudizio e colari �casi la tesi assunta (art. 42 Testo unico degli onorari liquidati nel dispositivo. 1919 e 166 Testo unico n. 1165 del 1958 sulla edilizia. popolare ed economica che riducevano La questione � stata nuovamente portata all'esame ad un quarto l'ordinaria tassa di registro) e che il delle Sezioni Unite della Oorte Suprema, della cui testo lette~ale dell'art. 1.7 ha, con risultato di magpronunzia daremo a suo tempo notizia. giore chiarezza, evitato di ripetere il termine �ordinaria � disponendo, per i . nuovi fabbricati, la riduzione a met� dell'imposta di registro, che IMPOSTE E TASSE -Atto di autorizzazione al CONI altra non poteva essere che quella prevista per le per l'eserciziO di concorsi pronostici -Auforizzacase di nuova costruzione. ziOne condizionata a prestazione pecuniaria -Ca� Non pu�, in ultimo, omettersi, a conferma della rattere di tassa della imposiziOne -Concetto. di accolta tesi, di rilevare brevemente l'infondatezza .tasse -Tassa di lotteria -Azione per la restituziOne della censura mossa dalla ricorrente all'argomen-� dell'indebito pagato -Legittimazione del Ministro -tazione della precedente sentenz.a di questa Oorte, delle Finanze e non del Ministero dell'Interno che tiportata nella sentenza impugnata, con la quale aveva concesso l'autorizzazione. , si precisava che l'art. 17 cit. se posto in relazione CONCESSIONI -AUTORIZZAZIONI -Autorizza� all'art. 1.tariffa allegato A come sostiene la ricor-zione ammini11trativa -Discrezionalit� della P.A. rente, non avrebbe elargito alcun beneficio, per Limiti -Illegittimit� di autorizzazione condizionata essere gi� prevista nell'art. 43 tabella allegato B al pagamento di un tributo non previsto dalla legge la riduzione a met� dell'imposta, restando cos� -Autorizzazione concessa al CONI per l'esercizio frustrato il proposito legislativo e senza scopo ~pra-di concorsi pronostici condizionata ad una presta� tico la norma. zione pecuniaria -Illegittimit� dell'atto per la parte Sostiene la ricorrente che le disposizioni agevo-contenente l'imposizione del pagamento della som� latrici relative alle imposizioni tributarie, previste . ma -Diritto alla ripetizione della somma pagata. dalla legge 1949, n. 408, sono varie e concernano AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Atto ainmini� tributi diretti e indiretti, sicch� le agevolazioni strativo -Non sono ammessi atti amministrativi sussisterebbero s~mpre, anche se, nei confronti di d t atipici -Inserimento in un atto di autorizzazione di una di esso, la riduzione dell'imposta accor a a, un contratto di diritto privato importante un corri� in s� considerata, non apporti un beneficio maggiore spettivo dell'autorizzazione -Inammissibilit�. (Casdi quello gi� previsto da altra norma tributaria. sazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 1285/61 -Pres: � evidente il vizio logico di questa proposizione Verzi; Est.: Stella Richter; P. M.: Colli (diff.) -Ammiche supera senza dar una convincente spiegazione nistrazione delle Finanze c. CONI). del lamentato inconveniente pratico, senza dire, inoltre, che l'argomento ha per errato presupposto 1) La prestazione pec'uniaria imposta, nel 1946, il collegamento tra l'art. 17 cit. e l'art. 1 tariffa dal Ministero dell'Interno, con atto amministraallegato A. L'art. 17 cit. invero, tra le altre agevo-tivo di autorizzazione al CONI, all'organizzazione !azioni fiscali, pone anche quella della riduzione ed all'esercizio dei concorsi pronostici relativi alle a met� dell'imposta di registro per cui questo competizioni sportive dal CONI stesso organizzate beneficio deve avere mia concreta attuazione; (prestazione alla quale era condizionata l'auton� pu� sostenersi, senza negare la concessione del rizzazione medesima), quando nessuna legge del beneficio, che, godendo il cittadino di altre agevo-tempo prevedeya una imposta o tassa o contrilazioni previste dalla stessa legge, non abbia rile-buto del genere, ha natura intrinseca della tassa. vanza il mancato risultato pratico dell'agevola-Tale tributo sussiste, infatti, non solo quando lo zione relativa all'imposta di registro. La tesi Stato renda un servizio all'obbligato, ma anche della ricorrente, infine, condurrebbe all'assurdo quando, per la rimozione di un vincolo all'l'.!ittivit� risultato che le case di lusso, escluse dalla previ-del singolo, imponga a questo una prestazio~e pecusione della legge del 1949, rientrando, come nuove niaria: e, difatti, il D.L. 14 aprile 1948, n. 496, costruzioni trasferite nei quattro anni, nella previ-successivamente intervenuto, ha configurato come sione dell'art. 43 tabella allegato A, avrebbero tassa di lotteria la prestazione dovuta dal CONI lo stesso trattamento fiscale, ai fini del trasfer�-Legittimato passivo, di fronte all'azione di.restimento, di quelle non di lusso alle quali la lezge, tuzione dell'indebito pagato dal CONI (svolta con tutta evidenza, ha voluto riservare le agevola-sulla base della dedotta �megittimit� della detta zioni fiscali per stimolarne l'incremento edilizio. imposizione del 1946), �, comunque, l'Amniini- In conseguenza, poich� l'art. 17 della legge strazione finanziaria (avendo il Ministero delle� 2 luglio 1949, n. 408 sull'incremento delle costru-finanze il compito istituzionale di presiedere alla zioni edilizie deve ricollegarsi all'art. 43 della �riscossione di tutte le entrate dello Stato) e non il tabella allegato B per cui l'aliquota dell'art. 1 Ministero dell'interno (che aveva impostcdl paga- tariffa allegato A risulta ridotta ad un quarto,. mento della prestazione pecuniaria). --deve confermarsi la decisione della sentenza impugnata, il cui dispositivo � conforme al di.ritto, retti-II) Il rilascio dell'autorizzazione amministrafi. candone, nei limiti dei poteri di questa Corte . � tiva � rimesso �al potere discrezionale della Pubregolatrice (art. 384 O.p.c.) la motivazione. blica Amministrazione, che deve valutarne l'op -100 portunit� in relazione all'interesse pubblico e tenuto conto delle qualit� soggettive del richiedente. Ma, tale discrezionalit�, se consente alla .Amministrazione di subordinare l'autorizzazione a condizioni previste dalla legge ovvero di negarla del tutto, non le consente, invec�, di condizionarla al pagamento di un tributo non previsto dalla legge (art. 23 della Costituzione). Pertanto, l'atto amministrativo di autorizzazione (concessa nel 1946 dal Ministero dell'interno) al OONI, all'organizzazione ed all'esercizio dei concorsi pronostici relativi alle competizioni sportive dal OONI stesso organizzate, autorizzazione condizionata .ad una prestazione� pecuniaria imposta al richiedente, � illegittimo per la parte nella quale ha imposto la detta prestazione, e, per tale parte, l'atto medesimo deve essere disapplicato. J.J'avvenuto pagamento della somma imposta � senza causa e d� dir.itto alla ripetizione, in base alla condictio indebiti. III) Per principio di diritto pubblico non sono ammessi atti amministrativi atipici, atti cio� che non trovino corrispondenza in alcuna delle categorie previste dalla legge. E la legge non prevede in alcun modo l'inserimento, in un atto di autorizzazione, di un contratto di diritto privato che importi un'obbligazione in corrispettivo dell'31utorizzazione medesima. Trascriviamo la motivazione in diritto della sen tenia. Deve preliminarmente disporsi la riunione del ricorso principale e di � quello incidentale; che si riferiscono alla stessa sentenza o sono iscritti sotto distinti numeri di ruolo. � Deve esaminarsi poi il primo motivo del ricorso principale, che denuncia la violazione e la falsa applicazione degli articoli 163 e 164 C.p.c., I e seguenti del D.L. 5 settembre 1944, n. 202, in relazione all'art. 360, n. 3 e 5 O.p.c., per avere la Corte ritenuta la legittimazione processuale passiva dell'Amministrazione delle Finanze dello Stato. Sostiene questa .Amministrazione� di non essere legittimata, n� sotto l'aspetto soggettivo, n� sotto quello oggettivo, perch�, da un lato, essa rimase del tutto estranea alla percezione della percentuale del cinque per cento degli introti del OONI, e, dall'altro, la detta percentuale non ha natura di tributo e neppure quella di entrata patrimoniale dello Stato. La censura � infondata. � esatto che il pagament� della percentuale fu imposto non dal Ministero delle Finanze, ma da quello dell'Interno come condizione per il rilascio dell'autorizzazione amministrativa all'organizzazione e all'esercizio dei �oncorsi pronostici, ed � parimenti esatto che nessuna legge del tempo prevede un'imposta o tassa o con,tributo del genere. Ma ci� dimostra solo l'illegittimit� dell'imposizione, non gi� l'estraneit� ad essa dell'Amministrazione Finanziaria. La natura intrinseca della prestazione pecuniaria richiesta � quella della tassa. Tale tributo, infatti, sussiste non solo quando lo Stato renda un. servigio all'ob bligato,. ma anche quando, per la rimozione di un vincolo all'attivit� del singolo, imponga a questo una prestazione pecuniaria. Difatti il D.L. 14 aprile 1948, n. 496, successivamente intervenuto, ha configurato come �tassa di lotteria (determinandone la misura nel 16 per cento degli introiti lordi) la prestazione dovuta dal OONI e dall'UNIRE. � da osservare inoltre che il Ministero delle Finanze ha il compito istituzionale, oltre che di curare la conservazione e l'amministrazione dei beni immobili dello Stat.o, di presiedere alla riscos sione di tutte le entrate dello Stato, tanto patri" moniali, quanto tributarie, come si evince dal R.D. 23 marzo 1933, n. 185, modificato dal D. L. 5 settembre 1944, n. 202. Perci�, qualunque fosse la natura della prestazione, la riscossione doveva essere compiuta dall' .Amministrazione Finanziaria. E in effetti il pagamento fu effettuato, per il tramite della Societ� Italiana .Autori ed ~ditori, a favore del Ministero delle Finanze, mediante il versamento in Tesoreria, dove la somma rimase a disposizione del detto Ministero. Ci� � tanto vero che�-come i giudici del merito hanno accertato e come del resto � incontestato -soltanto in un secondo tempo e soltanto in parte, e su iniziativa dello stesso Ministero delle Finanze, la somma fu stanziata nello stato di previsione del Ministero dell'Interno. Per di pi� il Dicastero delle Finanze oper� una compensazione parziale tra la somma dovuta a titolo di tassa di lotteria, in virt� della nuova legge, e quella precedentemente versata, in forza dell'imposizione del Dicastero dell'Interno. Quest'ultima somma era di lire 783.885. 790 e !'.Amministrazione finanziaria per L. 421.146.937 la-compens� con la nuova tassa; per L.. 300.000.000 la fece stanziare nel bilancio dell'Interno e per I1. 62. 738.853 la trattenne senza altra giustificazione. Non � dubbio quindi che essa percep� la somma e ne dispose. Il rigetto del primo motivo del ricorso principale importa l'assorbimento � del ricorso incidentale condizionato, con il quale si � sostenuta la sussistenza della legittimazione passiva del Ministero dell'Interno, nell'ipotesi subordinata in cui fosse stata esclusa quella del Ministero delle Finanze. Oon. il secondo motivo la ricorrente principale denuncia il difetto di giurisdizione per violazione dell'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato . E e falsa applicazione dell'art. 5 della stessa legge, nonch� la violazione dell'art. 26 del T. U. 26 aprile 1924, n. 1054, in relazione all'articolo 360, n. 3 e 5 O.p.c. Sostiene all'uopo che il OO~I era titolare soltanto di un interesse legittimo ad ottenere la licenza per lo svolgimento dei concorsi pronostici, perch� l'atto amministrativo; estrinsecantesi in un'autorizzazione, presuppone necessariamente un'attivit� discrezioDale della Pub. blica .Amministrazione. Quindi il Ministero dell'Interno poteva condizionare l'autorizzazione alla corresponsione della percentuale degli introiti, destinati ad elevate finalit� sociiali e legittimata dal D.L. 27 novembre 1947, n. 1310. Comunque . se il provvedimento di autorizzazione fosse stato viziato da eccesso di potere, il CONI avrebbe 101 dovuto impugnarlo avanti al giudice ammm1 strativo, anzich� darvi esecuzione, per poi ripetere il pagamento. . .Anche questa doglianza � priva di fondamento. Non � dubbio che il CONI avesse solo un� interesse legittimo e non un diritto soggettivo a conseguire l'autorizzazione, dato che il rilascio della richiesta autorizzazione era rimesso al potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, che doveva valutarne l'opportunit� in relazione all'interesse pubblico e tenuto conto delle qualit� soggettive dell'istaIJ. te. Ma tale discrezionalit�, se consentiva all'Amministrazione di subordinare l'autorizzazione a condizioni previste �dalla legge . ovvero di negarla del tutto, non le consentiva di condizionarla .al pagamento di un tributo non previsto� dalla legge. � principio fondamentale del nostro ordinamento, consa.crato dall'-art. 23 della Costituzione della Repubblica, che �nessuna prestazione personale o patrimoniale pu� essere imposta se non in base alla legge �. Quindi l'atto amministrativo di autorizzazione � illegittimo per la parte nella quale impone la prestazione in oggetto e deve, per tale parte, essere disapplicato. E no. � dubbio che il giudice ordinario abbia il potere di dichiarare l'illegittimit� degli atti a.mministrativi, ai fini appunto di disporne la disapplicazione. Quindi, dato che il pagamento della somma � stato effettuato, esso � senza causa e d� diritto alla ripetizione, in base alla condictio indebiti. Non vale invocare in contrario il D.L. 27 novembre 1947, n. 1310: si tratta del provvedimento di. assegnazione di 300 milioni al capitolo 35 del bilancio del Ministero dell'Interno, vale a dire della destinazione data a parte della somtna, che era stata riscossa dal Ministero delle Finanze, mediante la postazione in bilancio tra le spese. � evidente che il provvedimento attiene esclusivamente all'erogazione di somme gi� riscosse dallo Stato e non �pu� quindi influire sulla legittimit� della percezione delle so�hme medesime, che trova il suo titolo (illegittimo)� nell'atto di a.torizzazione del Ministero dell'Interno. Infondata � pure la censura mossa alla sentenza impugnata con il terzo motivo di ricorso, che lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 769 e segg., 800 e segg. e 793 del Codice civile, in relazione all'art. 360, n. 3 C.p.c., per non avere la Corte riconosciuto la sussistenza di un atto di liberalit� da parte del CONI, atto di liberalit� valido per la forma e per la sostanza. La tesi della donazione non � stata mai prospettata nel giudizio di merito e quindi non poteva essere accolta dalla Corte. D'altro canto essa � resistita dagli accertamenti da questa compiuti, secondo i quali il pagamento della somma fu imposto al CONI per il conseguimento dell'autorizzazione, e non fu affatto eseguito per spirito di liberalit�. Con il quarto motivo si ripropone la tesi della convenzione intervenuta tra il CONI e l'Amministrazione .e del conseguente obbligo contrattuale assunto dal primo, e si censura la Corte per non aver aderito .alla tesi medesima, violando cos� gli articoli 1354, 1362 e segg. Codice civile e 88 del Testo unico 18 giugno 1931, n. 778. Questo assunto s'illfrange, da un lato, contro un apprezzamento di merito della Corte, che ha escluso il carattere volontario dell'obbligo, riconducendolo ad una imposizione fatta dall'Amministrazione come con ditio sine qua non per il rilascio dell'autorizza zione; dall'altro lato, contrasta con il principio di diritto pubblico, che non ammette atti ammini strativi atipici, e cio� che non trovino corrispon denza in nessuna delle categorie previste dalla legge. E la legge non prevede in alcun modo l'in serimento in un atto di autorizzazione di un con tratto di diritto privato, che importi un'obbliga zione in corrispettivo dell'autorizzazione medesima. Da ultimo la tesi riproposta con il quinto motivo di ricorso, quella cio� dell'esecuzione data dal CO;NI ad un'obbligazione naturale, rettamente � stata disattesa dalla Corte del merito, non sussi-� stendo il dovere morale o sociale per un ente, avente la finalit� di potenziare le attivit� sportive, di provvedere alla. pubblica beneficenza, e non ricorrendo neppure la spontaneit� della prestazione, cui si riferisce l'art. 203_4 per escludere la ripetizione. Pertanto il ricorso principale, rivelatosi sotto ogni aspetto infondato, deve essere respinto. � consegue�ziale la pronuncia di condanna dellla ricorrente alle spese, in base al principio della soccombenza. Il ricorrente in via incidentale ha diritto alla restituzione del deposito. Oi sembra che la Corte Suprema non si sia dato carico di esaminare la questione se apposta ad una autorizzazione discrezionale una condizione illegittima questa non determini la totale illegittimit� dell'atto amministrativo autorizzativo. Su questo problema V. SANDULLI; _Manuale di Diritto Amministrativo. Ed. Jovene, 1957, n. 137; nel senso della invalidit� totale; LANDI E POTENZA: Manuale di Diritto Amministrativo. Ed. Giuffr�, 1960, pag. 267, nel senso che l'errore che infiuisce sulla determinazione discrezionale della volont� d� luogo ad im vizio di eccesso di potere, sia che si tratti di errore di fatto sia che si tratti di errore di diritto. IMPOSTE E TASSE -Rimborso di somme indebitamente corrisposte a titolo di diritti doganali -Mancanza dell'obbligazione tributaria -Artt. 27 e 29 legge 25 settembre 1940, n. 1424 -Termine prescrizionale di �cinque anni -Inapplicabilit�. IMPOSTE E TASSE -Rimborso di somme indebita� mente corrisposte a titolo di diritti doganali -Man� canza di obbligazione tributaria -Azione di ripeti� zione -Art. 2033 C. c. -Applicabilit�. (Cassazione; Sezione I, Sentenza n. 1802/61 -Pres.: Di Pilato; Est.: Albanese; P. M.: Cutrupia (conf;) -Amministrazione delle Finanze dello Stato c. Soc. Lanerossi). I) L'azione del contribuente, diretta a conseguire il rimborso di somme indebitamente riscosse dall'Amministrazione finanziaria a titolo di diritti -102 doganali (fra i quali -va compreso il diritto di. licenza per importazione di merci in Italia) non va ricondotta nella disciplina degli artt. 27 e 29 d�lla legge 25 settembre 1940, n. 1424, i quali preten~ dono il termine prescrizionale di cinque anni per l'azione di rimborso, quando tale azione sia fon data sull'assoluta inapplicabilit� del tributo richie sto per cui ricorra l'ipotesi di un pagamento ese_. guito senza causa. Gli artt. 27 e 29 della legge 25 settembre 1940, n. 1424, i quali trovano applicazione nei soli casi di errori di calcolo o di tassazione, non� hanno alcuna attinenza con l'ipotesi del rimborso di somme che la dogana abbia riscosso sebbene non sussistesse l'obbligazione tributaria. II) Non si pu� negare al contribuente l'azione di ripetizione quando questo, anzich� provocare con la sua inerzia l'emissione dell'ingiunzione, soddisfi senza indugio, sulla base della bolletta doganale, il debito d'imposta che l'Amministrazione pone a suo carico. La legge stabilisce un termine perentorio di quindici giorni per proporre opposizione contro la P!'.'etesa della dogana che si sia estrinsecata nell'atto d'ingiunzione. Peraltro, il pagamento immediato dell'imposta, prima ancora di una formale intimazione, non pu� risolversi per il contribuente nella preclusione di ogni possibilit� di difesa quando risulti l'inesistenza dell'obbligazione tributaria, in quanto non pu� derivare alcun pregiudizio a coloro che sollecitamente corrispondono alla richiesta di versare i diritti doganali. Una deroga alla norma dell'art. 2033 C. c. non � contemplata daU'ordinamento speciale, mancando una disposizione in tal senso nella legge . 25 settembre 1940, n. 1424, n~lla quale sono disciplinate, in modo autonomo, soltanto le domande di rimborso per i casi di errori di calcolo nella liquidazione del ~ributo. � Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza. Deve precedere, nell'ordine logico, l'esame del secondo motivo di ricorso, con il quale, traendo argomento dalle disposizioni della legge 25 settembre 1940, n. 1424, e richiamando principi di ordine generale attinenti al sist~ma legislativo in materia fiscale, si deduce che l;azione del contribuente, diretta a conseguire ilrimborso di somme indebitamente riscosse dalla Finanza a titolo di diritti doganali (fra i quali va compreso il diritto di licenza per importazione di�merci in ltalia) dovrebbe essere sempre ricondotta nella disciplina degli artt. 27 e 29 della legge anzidetta, anche quando, cio�, tale azione sia fondata -come nella specie sulla assoluta inapplicabilit� del tributo richiesto � per cui ricorra l'ipotesi �di un pagamento eseguito senza causa. Invero il primo motivo del ricorso, presupponendo che sia invece risolta in senso negativo la questione ora accennata, prospetta l'ulteriore tesi secondo la quale, nel caso che l'ob bligazione tributaria non sussista, il contribuente non avrebbe alcuna azione per ripetere quanto pagato e non dovuto (salva l'opposizione .ai ter mini dell'art. 24 della legge doganale quando sia stata notificata ingiunzione di pagamento). Sostiene dunque in primo luogo. l'Amministra zione delle Finanze, col secondo motivo, che la disposizione dell'art. 29 della legge doganale com prenderebbe nella sua previsione qualunque ipo tesi di domanda di rimborso di diritti doganali, con la conseguenza che per tutte indistintamente le domande del genere opererebbe la prescrizione quinquennale stabilita dallo stesso articolo. Ma quest'assunto urta palesemente contro la chiara ed univoca espressione della norma di cui trattasi, che regola .soltanto il rimborso delle somme �pagate in pi� del dovuto per errori di calcolo nella liquidazione o� per l'applicazione di un diritto diverso da quello fissato i�l tariffa per la merce descritta nel risultato di visita �. Esat tamente � stato osservato dai giudici di merito che qui � esplicito ed esclusivo il riferimento ai casi nei quali, sussistendo l'obbligo di corrispon dere il tributo, questo ultimo � stato per� determi nato e riscosso in misura non aderente ai criteri di liquidazione fissati dalla tariffa, in conseguenza di errori concernenti il computo aritmetico della somma dovuta ovvero la qualificazione della merce importata. E non meno esattamente � stata quindi rilevata l'impossibilit� di superare, nell'interpre tazione della norma, i limiti che risultano dalla sua rigorosa formulazione. � Aggiunge per� la ricorrente �Amministrazione, . che, comunque, anche a prescindere dall'ambito di applicazione dell'art. 29, le azioni di rimborso fondate sull'assoluta inesistenza dell'obbligazione tributaria dovrebbero ritenersi egualmente assog gettate alla prescrizione di cinque anni sulla base di altre considerazioni; in quanto cio�, essendo previsto nell'art. 27 della legge doganale che il diritto dello Stato al recupero dei tributi per qual siasi causa non riscossi si prescrive in cinque anni, n�n potrebbe non estendersi tale disciplina anche alle azioni proposte dal contribuente, conforme mente al principio desumibile da numerose leggi tributarie, le quali prevedono termini identici di prescrizione cos� per l'Amministrazione come per il contribuente. Neppure questa tesi pu� trovare accoglimento. Il fatto che l'art. 27 della legge abbia usato, rela tivamente alle azioni di recupero dell'Amministra zione finanziaria, una dizione manifestamente diversa e pi� ampia, rispetto a quella dell'art. 29, � piuttosto un argomento ulteriore per ritenere che siasi voluto distinguere e precisare il contenuto proprio di ciascuna delle due disposizioni, limi tando, per le azioni proposte dal contribuente, il termine quinquennale di prescrizione .ai soli casi di errori di calcolo o di tassazione previsti dall'art. 29. E per analoga ragione non pu� valere il richiamo ad altre e ben distinte-�leggi tribu tarie, nelle quali la materia sia stata espressa-.-~ mente e diversamente regolata. L'esame del secondo motivo di ricorso porta d11nque a concludere che gli artt. 27 � 29 della legge 25 settembre 1940, n. 1424, contrariamente - -103 a quanto ha dedotto l'Amministrazione delle Finanze, non hanno alcuna attinenza con l'ipotesi del rimborso di somme che la dogana abbia riscosso sebbene non sussistesse l'obbligazione tributaria. Viene ora in considerazione il primo motivo, con cui si denuncia l'errore nel quale sarebbe incorsa la Corte di .Appello per avere affermato, in riferimento al'ipotesi suddetta di pagamento senza causa, che il diritto del contribuente alla ripetizione dell'indebito discende dalla norma generale dell'art. 2033 del Codice civile, e si prescrive quindi nel-termine ordinario di dieci anni. La ricorrente sostiene -come gi� innanzi � stato accennato -che, �una volta esclusa la possibilit� di applicare al rapporto controverso la disciplina posta dagli artt. 27 e 29, la domanda di restituzione ex art. 2033 avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, poich�, secondo il sistema della legge doganale, se si prescinde dall'azione esperibile a norma del citato art. 29, la difesa dei diritti del contribuente sarebbe affidata unicamente alla facolt� di proporre opposizione contro l'ingiunzione di pagamento nel termine di quindici giorni fissato dall'art. 24. Cosicch� U versamento immediato, senza attesa d'ingiunzione, delle somme pretese dalla dogana, sig�ificherebbe riconoscimento, da parte del contribuente, della legittimit� dell'imposizione, 'Sulla quale, pertanto, nessuna contestazione potrebbe essere pi� sollevata. � da rilevare che a nulla giova, per la soluzione del problema, la menzione che � stata fatta dalla ricorrente di una pronuncia di questo Supremo Collegio (del 26 novembre 1927) con cui si � affermato a proposito dei diritti di confine, non esservi adito normalmente ad alcuna contestazione dopo che dazi sono stati pagati (fatta eccezione per le domande di rimborso relative a differenze provenienti da errori di calcolo o di tassazione) . .A parte che in quella pronuncia si � dato risalto, fra l'altro, ai caratteri propri dei diritti di confine, tra i quali non pu� comprendersi il diritto di licenza (che viene in discussione nella presente causa), sta di fatto, comunque, che la decisione stessa riguardava un caso di azione di ripetizione d'indebito proposta dopo che il titolo, costituito dall'ingiunzione, era divenuto definitivo per difetto di opposizione; Jaddove, nella specie, il versamento � stato effettuato senza che fosse stata emessa l'ingiunzione fiscale. Ora, da nessuna ragione giuridica si pu� essere indotti a negare l'azione di ripetizione quando il contribuente, anzich� provocare con la sua inerzia l'emissione dell'ingiunzione, soddisfi senza indugio, sulla base della bolletta doganale, il debito di imposta che l'.Amministrazione pone a suo carico. � vero che la legge stabilisce un termine perentorio di quindici giorni per proporre opposizione contro la pretesa della dogana che si sia estrinsecata nell'atto di ingiunzione. Ma da ci� non discende che il pagamento. immediato dell'imposta, prima ancora di una formale intimazione, debba risolversi per il contribuente nella preclusione di ogni possibilit� di difesa pur� quando risulti che l'obbligazione tributaria non sussisteva. L'affermazione del principio contrario, che si concrete��ebbe in un pregiudizio ingiustificato nei confronti di coloro che pi� sollecitamente corrispondono alla richiesta � di versare i diritti doganali, comporterebbe una deroga alla norma generale dell'art.� 2033 Codice civite, mentre tale deroga non � affatto contemplata dall'ordinamento speciale, mancando una disposizione in questo senso nella legge 25 settembre 1940, n. 1424, dove invece sono disciplinate in modo autonomo, con l'art. 29 soltanto le domande di rimborso per i casi di errori materiali di cui si � parlato. .Anche il primo motivo deve essere quindi disatteso. Il ricorso, di conseguenza, va rigettato. �Le spese seguono la soccombenza. Questa sentenza conferma l'orientamento della Oorte Suprema di considerare soggette al termine di prescrizione �ordinaria le azioni per il rimborso di tributi indebitamente pagati, salvo che non vi siano norme in contrario da considerarsi eccezionali e quindi insuscettibili di interpretazione analogica. Si veda in proposito la sentenza n. 2459 del 7 no vembre 1957 in tema di interpretazione dell'art. 47 della legge sull'I.G.E. (con nota di richiami in Giu~ stizia Civile, 1958, I, 1951). Di fronte a questo preciso indirizzo della giurisprudenza appare chiaro che 01,e si intenda, come � sembra opportuno, stabilire un termine speciale di prescrizione per il rimborso di tributi indebitamente pagati (in simmetria con il termine speciale stabilito a favare dei contribuenti per il ricupero dei tributi non corrisposti) occorrer� emanare un apposito provvedimento legislativo; ci� che, per quanto ci risulta, in materia di I.G.E. era gi� stato proposto dal competente Ministro per le Finanze. �LOTTO E LOTTERIE -Artt. 21 e 22 della legge sul lotto -Invalidit� delle giocate se non � effettuato il deposito� delle matrici -Rilevanza del fatto obiettivo dello effettivo deposito. LOTTO E LOTTERIE -Art. 22 legge sul lotto -Nullit� della giocata per mancato deposito delle matrici -Responsabilit� dell'Amministrazione delle Finanze -Insussistenza. (Cassazione, Sezione I, Sentenza n. 328/61 -Pres.: Lorizio -Est.: Perrone Capano P. M.: Pedace (conf.) -Jonna c.. Ministero delle Finanze). I) Gli artt. 21 e 22 della legge sul lotto (R.D.L. 19 ottobre 1938, n. 1933 convertito nella legge 5 giugno 1939, n. 973) nel prescrivere che le� giocate non sono valide se le relative matrici non vengono depositate nell'archivio prima dell'estrazione, si riferisce al materiale ed effettivo depo!;!jto delle matrici in un luogo di sicura custodia, qual'�_ l'archivio segreto, onde a tale fatto obiettivo, pili che alle risultanze degli atti compilati dal personale del lotto nelle varie fasi che precedono l'estrazione, devesi attribuire decisiva rilevanza. -104 II) L'art. 22, primo comma, della legge sul �lotto pubblico (R.D.L. 19 ottobre 1938, n. 1933, convertita nella legge 5 giugno 1939, n. 973), col disporre che,� in caso di nullit� della giocata per mancato deposito della relativa matrice il giocatore ha diritto al rimborso della somma giocata, esclude che l'Amministrazione delle Finanze possa essere tenuta a rispondere, a titolo di risarcimento di danni, della vincita non realizzata, quali che siano le ragioni del mancato deposito della matrice, dipenda esso da caso fortuito o da forza maggiore, ovvero da fatti imputabili al personale del lotto. Si trascrive la motivazione in diritto della sentenza. � opportuno premettere che l'art. 21 della legge sul lotto pubblico, di cui al R.D.L. 19 ottobre 1938, n. 1933, convertito nella legge 5 giugno 1939, n. 973 dispone che le giuocate sono valide e produttive di effetti � quando, ricevute nelle forme e condizioni prescritte, le relative matrici siano state depositate nell'archivio prima dell'estrazione�. L'art. 22 della stessa legge specifica che �qualora per qualsiasi causa le matrici non vengano depo sitate nell'archivio prima dell''estrazione, le giuocate relative si ritengono nulle e come non avvenute, e il giuocatore ha diritto al rimborso della somma giuocata, dietro consegna delle bollette �. Nel caso in esame, i giudici di merito hanno ritenuto che le matrici delle quattro bollette che si assumevano vincenti (matrici trasmesse tempe stivamente dalla ricevitoria all'Intendenza di Fi nanza) non erano state depositate nell'archivio segreto, nel quale non furono rinvenute, e che pertanto le relative giuocate erano da ritenersi nulle e prive di effetti, a nQrma !l.egli artt. 21 e 22 della legge sul lotto, con la conseguenza che non era configurabile una vincita e non poteva, perci�, essere accolta la domanda principale proposta da J onna e Gisotti. Costoro sostenevano, invece, che le matrici erano state regolarmente introdotte nell'archivio segreto, di modo che lo smarrimento del relativo registro (ammesso che si fosse verificato uno smarrimento) doveva ritenersi avvenuto dopo che il contratto di giuoco si era pel'fezionato mediante una giuocata valida e produttiva di effetti, dalla quale sorgeva il diritto di essi J onna e. Gisotti a conseguire la vincita di lire 23.612.500. Ora, col primo motivo di ricorso, nel dolersi che il loro assunto sia stato disatteso in linea di fatto, i ricorrenti addebitano alla Corte di merito i se guenti errori: a) l'aver trascumto di esaminare, alla stregua delle norme stil lotto e sulla, base delle risultanze processuali, come debbano svolgersi, nella astratta previsione della legge, le operazioni antecedenti al deposito delle matrici nell'archivio segreto, nonch� le operazioni relative al deposito stesso, e come tali operazioni siano state effettuate in concreto: b) l'aver erroneamente interpretato l'art. 17 del regolamento sui servizi del lotto, approvato con R.D. 25 luglio 1940, n. 1077, affermando che nell'archivio segreto debba aver luogo soltanto un controllo qualitativo e non anche numerico delle matrici depositate; e) l'aver confuso fra registri .(contenenti le matrici) e singole matrici, affermando che� nessun controllo ricognitivo delle singole matri�i, deve fare la Commissione�, in base all'art. 17 del regolamento; d) l'aver omesso di tener conto che, in tanto la Commissione d'archivio accetta il giuoco contenuto in ogni singola matrice, in quanto accerti l'avvenuta introduzione nell'archivio segreto non solo della filza della ricevitoria presso cui fu effettuato il giuoco, ma anche del registro o bollettario del quale fa parte la matrice contenente il giuoco accettato; e) l'aver omesso di considerare che, se non fosse stato effettuato il deposito del registro in questione, l'Intendente di finanza ne avrebbe dato avviso al pubblico, a norma dell'art. 22 della legge sul lotto; f) l'aver omesso di tener conto che le matrici sono introdotte nell'archivio segreto soltanto dopo che viene assicurata la perfetta corrispondenza delle note ad esse relative �e che soltanto dopo un ulteriore riscontro numerico e qualitativo, effettuato dalla Commissione nell'interno dell'archivio segreto, il gioco viene accettato mediante la forma del modello 31 e le matrici vengono collocate nell'apposito armadio �; g) il non aver infine rilevato che �la mancanza di eccezioni e di diversa spiegazione da parte della Amministrazione delle finanze non poteva distruggere la prova documentale dell'avvenuto deposito, desumibile dal modello 31 �che fa prova dell'avvenuta introduzione. delle matrici nell'archivio segreto �. Nessuna di tali censure � fondata. Il Tribunale, dopo aver rilevato che �dal verbale redatto dalla speciale Commissione risulta che le matrici corrispondenti alle giuocate effettuate dagli attori non furono rinvenute nell'archivio al momento della sua apertura �, ritenne che �la constatata integrit� dei plichi e dei sigilli, la rigorosa e costante sorveglianza esercitata nei locali adibiti ad archivio segreto, le complesse formalit� che dopo l'estrazione regolano l'apertura, la quale deve avvenire alla presenza della Commissione e sotto il controllo della polizia tributaria, rendono assolutamente insostenibile� l'ipotesi adombrata dagli attori, secondo cui lo smarrimento delle predette matrici potrebbe essere avvenuto in un momento successivo al regolare deposito di esse nell'archivio�. Quindi il Tribunale concluse che �il mancato rinvenimento di qu13lle matrici deve necessariamente ricollegarsi al fatto dell'omesso deposito delle stesse �. La Corte di Appello conferm� tale decisione, aggiungendo altre considerazioni a que.Ue gi� esposte dal Tribunale e riscontrate esatte. Osserv� anzitutto la Corte che la Commissione di archivio, composta dal Prefetto, dall'Intendente di finanza e dal Sindaco (ai sensi dell'art. 24 della legge sul lotto), non ha alcun potere discrezionale -105 circa il modo di custodire le matrici introdotte nell'ar.chivio segreto, giacch� le modalit� di custodia sono previste dettagliatamente. dalle norme del regolamento, le quali, oltre a prescrivere che la porta di ingresso dell'archivio deve essere munita di tre serrature a congegni diversi, stabiliscono che gli armadi, nei quali vengono depositate le matrici, devono essere chiusi e che le relative chiavi debbono, a loro volta, essere conservate in apposito armadietto la cui chiave deve essere ritirata dall'Intendente di finanza. Ci� rilevato, la Corte osserv� che gli appellanti J onna e Gisotti non rimproveravano alla Commi. sione d'archivio alcuna violazione delle predette norme, per cui era da escludere che fosse stato violato l'obbligo della custodia, anche perch�, ct:>me gi� aveva rilevato ilTribunale, era stata constatata la piena integrit� di tutti i plichi e sigilli. Quindi la Corte concluse che lo smarrimento delle matrici in questione doveva ritenersi avvenuto prima che esse fossero depositate .nell'archivio. segreto, il che trovava conferma nel fatto che nell'archivio era stata regQlarmente :tinvern;ita (senza alcuna manomissione) la filza della ricevitoria n. 298, cio� quel plico che, insieme agli altri bollettari della detta ricevitoria avrebbe dovuto contenere anche il il registro n. 2 da lire 500, che non fu invece.rinvenuto. Come vedesi, lungi dall'identificare ~l mancato rinvenimento delle 'matrici col mancato deposito �delle stesse nell'archivio segreto, e lungi dall'incorrere in una petizione di principio (a torto denunciata dai ricorrenti) i giudici di merito hanno posto a fondamento della loro. decisione una serie di fatti, correttamente accertati e valutati, ed hanno fornito adeguata giustificazione del loro conVincimento, secondo cui le matrici non vennero depositate in archivio, in quanto smarrite prima di esservi introdotte. E poich� trattasi di apprezzamenti di fatto, ampiamente e logicamente motivati, non vi � materia per un sindacato di legittimit� circa il momento in cui avvenne lo smarrimento delle J>redette matrici. . Obbiettano i ricorrenti che nel caso in esame era dimostrato documentalmente, .attraverso il conto dei bollettari e i prospetti dimostrativi delle riscossioni (modelli 14 e 16, compilati dalla ricevitrice Tilli Maria ai sensi dell'art. 13 del regolamento sui servizi del lotto), nonch� attraverso le note delle matrici (modello 31, redatto dagli impiegati dell'Intendenza di finanza, a norma dell'art. 17 dello stesso regolamento), che le matrici in questione vennero non solo trasmesse dalla ricevitoria all'Intendenza prima dell'estrazione del 7 giugno 1952 (il che � ormai pacifico), ma vennero, inoltre, depositate regolarmente in archivio, giacch� �il modello 31 fa prova dell'avvenuta introduzione dell'archivio segreto �. Se quest'ultima affermazione fosse esatta, le censure formulate nel primo motivo di ricorso potrebbero assumere consistenza e rilievo, in quanto verrebbero ad essere suffragate da un argomento di carattere giuridico, incompatibile con gli apprezzamenti di fatto compiuti dai giudici di merito, ma quell'affermazione non � fondata e non pu� essere condivisa. Esattamente osserv� il Tribunale che le annotazioni contenute nel modello 31 non costituiscono prova della effettiva i;ntroduzione delle matrici nell'archivio, giacch� il modello 31 viene compilato subito dopo la contazione ed il controllo numerico dei registri trasmessi da ciascuna ricevitoria (�accertamento del numero dell'ordine progressivo delle matrici di ciascuna ricevitoria� come � specifica 1'.art. 17 del regolamento), ond'� che, a parte la eventualit� di un errore di conteggio, sempre possibile nel corso delle operazioni di controllo, nulla esclude che una o pi� matrici possano andare smarrite a ris�ontro avvenuto, quando, cio�, i vari plichi vengono, a cura degli uscieri, sistemati e chiusi nelle apposite cassette (dopo la compilazione del modello 31) per essere poi trasferiti nei locali destinati alla loro custodia. Altrettanto esattamente il Tribunale aggiunse che gli artt. 21 e 22 della legge sul lotto, nel prescrivere che le giuocate non sono valide se le relative matrici non vengono depositate nell'archivio prima dell'estr:;i,zione, si riferiscono, evidentemente, al materiale ed effettivo deposito delle matrici in un luogo di sicura custodia, quale � l'archivio segreto, onde a tale fatto obbiettivo, pi�"che alle risultanze degli atti compilati dal personale del lotto nelle varie fasi che precedono l'estrazione, devesi attribuire decisiva rilevanza. Queste considerazioni, che la Corte di Appello conferm� e fece proprie, rendono superfluo l'esame delle altre censure contenute nel primo mezzo .di ricorso, che. attengono alle modalit� stabilite dalla legge per il giuoco del lotto, alle operazioni che la legge stessa prescrive e disciplina, nonch� ai controlli e ai r!scontri, che, nella astratta previsione legislativa e nel prevalente interesse dello Stato, mirano a garantire� il regolare svolgimento del giuoco. Trattasi di censure che non hanno alcuna rile vanza, ai fini della domanda principale proposta dagli attori, giacch� da una parte esse presuppon gono che il modello 311 faccia prova dell'avvenuta �introduzione delle matrici nell'archivio segreto il che come innanzi si � detto, non � esatt'o -e, dall'altra, esse perdono ogni rilievo di fronte al fatto, incensurabilmente accertato, che nel caso concreto le matrici non vennero depositate in archivio. Quali che siano le modalit� con cui si svolsero o avrebbero dovuto svolgersi le operazioni relative al deposito dei registri e bollettari, sta di fatto che le matrici in questioni non vennero mai depositate nell'archivio segreto, e ci� basta, ai sensi dei predetti artt. 21 e 22 della legge sul lotto, per escludere che siasi verificata una vincita. Il primo motivo di ricorso, pertanto, � infondato e deve essere rigettato. Col secondo motivo� si deduce che la Corte di -appello avrebbe errato nel ritenere in via di principio che il contenuto delle matrici smarrite non pu� essere ricostruito a mezzo di equipollenti e che pertanto non pu� aversi vincita, ai sensi della -106 legge sul lotto e del relativo regolamento, .allor . quando, pur essendo avvenuto il regolare deposito di tutti i registri e documenti, non sia tuttavia possibile effettuare un raffronto diretto fra le bollette che si assumono vincenti e le relative matrici, successivamente smarrite. Ma queste considerazioni furono fatte dalla Corte di merito in via di mera ipotesi e ad abundantiarn, e cio� per il caso, dalla stessa Corte escluso, che le m�trici in questione fossero state regolarmente depositate in archivio. Ond'� che, rigettato il primo motivo di ricorso, che investe la ragione principale addotta dai giudici di merito per negare l'esistenza di una vincita (mancato deposito delle matrici nell'archivio segreto), � superfluo occuparsi delle ragioni sussidiarie, che, anche se erronee, sarebbero irrilevanti ai fini della decisione, con la consegu.enza che le relative censure, quando anche fossero fondate, non potrebbero determinare l'annullamento dell'impugnata sentenza. Altrettanto deve d,irsi del terzo mezzo di ricorso, che investe la denunciata sentenza n�lla parte in cui ritiene che � ammesso e non concesso che le matrici si siano smarrite nell'archivio e ~he sussi sta colpa da parte dei componenti la Commissione, non per questo dovrebbe rispondere il Ministero delle Finanze�. Anche qui, come � evidente, trat ta,si di considerazioni ultronee, perch� fatte in via di mera ipotesi (ammesso e non concesso),-ipotesi che contrasta con la reale situazione di fatto, va lidamente accertata_ e che deve ormai rimanere ferma. Col quarto mezzo, infine~ si denuncia un assoluto difetto di motivazione � sul punto decisivo della responsabilit� della Pubblica Amministrazione, per il fatto dello smarrimento delle matrici dopo il riscontro e prima dell'introduzione nell'archivio segreto�. Questa censura concerne.la domanda subordinata di condanna del Mi�listero delle Finanze al pagamento, a titolo di risarcin1ento di danni per responsabilit� contrattuale, della� predetta somma di lire 23.612.500, importo della mancata vincita. Sostenevano gli attori che, ove si fof!Se-esclusa l'esistenza di una vincita (per non essere state le matrici depositate nell'.archivio segreto), l'Amministrazione delle Finanze era tenuta al risarcimento del danno causato dalla colpa dei suoi funzionari o impiegati, giacch� �le matrici scomparvero quando gi� erano state prese in carico dall'Ufficio Lotto (Intendenza di finanza) e regolarmente contate, riscontrate e riportate sul modello 31, vale a dire quando l'Amministrazione ne aveva gi� assunto la custodia e l'obbligo della conser vazione�. Tale assunto fu disatteso dal Tribunale in base alla considerazione che l'art. 22 della legge sul lotto,-applicabile nella fattispecie, esonera la Pub blica Amministrazione da ogni responsal?ilit� �qua lora per qualsiasi causa le matrici non vengano depositate nell'archivio prima dell'estrazione �. La Corte di Appello, a sua volta, investita anche essa della questione, ritenne che �devesi confermare la decisione del' Tribunale, che ha ritenuto non de positate nell'archivio le matrici in questione, ed ha per conseguenza affermata l'applicabilit� de1l'articolo 22 della legge sul lotto �. Ora, su qust'ultimo punto, non pu� disconoscersi, che, in effetti, la Corte di Appello si limit� a richiamare puramente e semplicemente la motivazione della sentenza di primo grado, senza neppure riassumerla e senza. affatto confutare gli argomenti aiddotti in contrario dagli appellanti J ona e Gisotti, i quali insi.stevano anche nella loro domanda subordinata di risarcimento del danno. Ma poich� trattasi di una questione di diritto, che non richiede alcuna indagine di fatto, essa p~� essere esaminata direttamente dalla Corte di Cassazione, la quale, come pu� correggere le motivazioni giuridicamente erronee, quando il dispositivo della sentenza sia conforme al diritto (art. 384 C.p.c.), cosi-ed a maggior ragione -pu� esporre le ragioni giuridiche che sorreggono la impugnata sentenza e la. rendono insuscettibile di annullamento. . Esatta, infatti, � la decisione del Tribunale (e, di conseguenza, anche quella della Corte di Appello), giacch� non sembra che possano sorgere dubbi circa ilsignificato e la portata dell'art. 22, primo comma, della legge sul lotto pubblico. Esso dispone che �qualora per qualsiasi causa le matrici non vengano depositate nell'archivio prima dell'estrazione, le giuocate relative si ritengono nulle o come non avvenute ed il giuocatore ha� diritto al rimborso della somma giuocata, dietro consegna delle bol-� lette�. La norma risulta chiara, s� da non consentire dubbi o perplessit�. Quali che siano le ragioni per le quali le matrici non vengono depositate nell'archivio dipendano esse da caso fortuito o da forza maggiore, ovvero da fatti imputabili al personale del lotto, il contratto di giuoco non si perfeziona ed il giuocatore non ha diritto che al rimborso della posta, essendo la giuocata nulla ed improduttiva di effetti. Col disporre. che, in caso di nullit� della giuocata per mancato deposito della relativa matric<"., il � giuocatore ha diritto al rimborso della somma giuocata, la legge esclude che l'Amministrazione delle finanze possa essere tenuta a rispondere, a titolo di risarcimento di danni, della vincita non realizzata. Ed � questo (esonero da responsabilit� della Pubblica Amministrazione). il vero ed unico precetto contenuto nel primo comma dell'art. 22, che nel resto riproduce sostanzialmente il precedente art. 21, il quale dispone che �le giuocate sono valide e produttive di effetti quando, ricevute nelle forme e condizioni prescritte, le relative matrici siano state depositate nell'archivio prima dell'estrazione �. Trattasi di un esonero di responsabilit� (analogo a quello previsto in altri simili istituti) che trova fQndamento e giustificazione in un triplice ordine di ragioni: __ a.) nella particolare struttura del giuoc.o, _al _ quale partecipa un ingente numero di persone, il pi� delle volte con giuocate di modesto importo, a cui corrispondono, in caso di vincita, somme di gran lunga_ superiori: -107 b) nelle :finalit� del lotto pubblico, che rappre sente un cespite di entrata ordinaria dello Stato, classificato dalla prevalente dottrina fra le im poste indirette sui consumi, al pari degli altri mo. nopoli di carattere fiscale; � � e) nella inderogabile esigenza che lo Stato sia tutelato e garantito contro gli abusi e le frodi; che .pi� facilmente potrebbero verificarsi nei casi in cui le matrici non vengono regolarmente depositate nell'apposito archivio. Sono queste le ragioni che, nel loro complesso, spiegano e giustificano l'esonero di responsabilit�, stabilito dalla legge senza limitazioni o eccezioni, esonero che rientra fra le regole del giuoco e che non pu� non essere preventivamente accettato dai giuocatori. Del resto~ non � questo l'unico caso di esonero da responsabilit�, giacch� la l(Jgge sul lotto ne pre vede altri (art. 32), cosi come prevede e disciplina anche casi di limitazione di responsabilit� (art. 33), che gli stessi ricorrenti non contestano, e non giova invocare l'art. 51 del regolamento, che sancisce la responsabilit� personale e solidale dei compo,nenti la Commissione di archivio, nonch� del delegato . al servizio di verifica e riscontro e del segre tario della Commissione, giacch� tale articolo non � applicabile nei casi in cui la legge stabilisce un esonero da responsabilit�, quale quello contem plato nell'art. 22. D'altra parte, se anche potesse configura:rsi una responsabilit� del Ministero delle finanze nel caso di mancato deposito delle matrici nell'archivio se greto, una �siffatta respon,sabilit� avrebbe natura extracontrattuahi, dato che il contratto di giuoco non si perfeziona senza il regolare deposito delle matrici. Gli attuali ricorrenti, invece, proposero una azione di responsabilit� contrattuale �per di fetto di custodia�, richiama~do l'art. 1218 O.e. e dichiarando esplicitamente che essi non erano tenuti a dimostrare la colpa dell'amministrazione finan ziaria, appunto perch� si faceva valere una respon sabilit� contrattuale e non extracontrattuale (mna volt~ dedotta l'inadempienza della mancata custo dia, spettava all'Amministrazione convenuta pro vare che la mancanza della cosa costudita era dipesa da causa a lei non imputabile�). La responsa.bilit� contrattuale, con le relative regola in ordine al regime della prova, presuppone e postula l'avvenuta conclusione di un contratto, mentre, nella specie, il contratto di giuoco non si perfezion�. N� pu� ri tenersi (contrariamente a quanto affermano i ri correnti) che fra i giuocatori e la Pubblica .Ammi nistrazione si costituisce, indipendentemente dalla conclusione del contratto di giuoco, un rapporto negozia.le avente ad oggetto la custodia e la con servazione delle matrici da parte dell'Amministra zione finanziaria. � Un siffatto rapporto non � configurato dalla legge sul lotto, n� da altre leggi riguardanti gli enti pubblici, ed � anzi da escludere, poieh� altri menti rimarrebbero privi di concreta utilit� le dispo sizioni dei citati artt. 21 e 22. "�'' Sotto ogni aspetto, dunque, la domanda subor dinata proposta dagli attori era giuridicamente. in fondata, ond'� che esattamente la Oort� d.i appello conferm� anche su questo punto la decisione del Tribunale. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con le conseguenze di legge quanto al deposito per soc combenza e alle spese di questo grado. PROCEDIMENTO CIVILE -LegitimatiO ad causam Difetto -Rilevabilit� -Limiti. (Cassazione, Sezio ne I, sentenza n. 5/61 -Pres.: Lorizio; Est.: Pece; P. M.: Pedace (conf.) -Ministero Marina mercantile c. Lauro). Il difetto di legittimazione processuale, interessando la legittimit� del contraddittorio nonch� la validit� della sua costituzione, pu� essere eccepito in ogni grado e stadio del giudizio ed essere rilevato anche d'ufficio da.I giudice, quando non si sia sul punto formato valido giudicato. Trascriviamo la� motii1azione in diritto della sentenza. Oon il primo mezzo, il ricorrente Ministero della Marina Mercantile denunzia che la Oorte d'Appello non ha esaminata la eccezione che esso Ministero aveva avanzata circa .la propria carenza di legit timazione passiva. La censura deve essere disattesa. Il concorso o meno della legittimazione passiva nel Ministero ricorrente aveva formato oggetto di espressa discussione tra le parti nonch� di espresso esame da parte del Tribunale, il quale aveva rico nosciuta la legittimazione passiva nel Ministero ed aveva rilevato che la requisizione in uso, non solo era stata ordinata dal Ministero di cui sopra, ma era stata disposta per conto di esso Ministero, che, a sua volta, aveva ammesso a beneficiare il Oip. Avendo il Lauro proposto appello per il merito, H Ministero della Marina Mercantile, non solo si asteneva dal riproporre la eccezione di carenza di legittimazione passiva, ma riconobbe, necessariamente, se pure implicitamente, la predetta legittimazione, in quanto si limit� a chiedere il rigetto dell'appello del Lauro nel merito, facendo proprie � le ragioni esposte al riguardo dalla sentenza del Tribunale. Attesa la suesposta situazione processuale, ne consegue che sul punto della pronuncia del Tribu nale, relativo alla affermata legittimazione passiva del Ministero della Marina Mercantile, si era ormai formato il giudicato, sicch� non � pi� possibile riproporre la questione in questa sede. L'Amministrazione ricorrente ha sottolineato che quella sulla legittimazione � questione rilevabile, anche d'ufficio, in ogni grado e stadio del giudizio. Il rilievo � esatto, ma esso soffre limitazione nella ipotesi in cui, come nel caso in esame, sul puntt.1 della legittimazione si sia formato validamente �il giudicato (sentenza n. 1726 del 1958; n. 1147 del 1947; n. 785del1953). E cio� la rilevabilit� d'ufficio permette che, se la questione non abbia formato -108 oggetto di precedente decisione da parte del giu dice di primo grado, il giudice del gravame possa conoscere della questione sulla legittimazione, anche indipendentemente dalla deduzione, sul punto, di � uno specifico motivo di impugnazione. Ci� non toglie, per�, che debba essere osservato il principio fondamentale della intangibilit� della cosa giudicata, tutte le volte che sulla questione di legittimazione sia intervenuta, invece, come nella specie, una decisione non impugnata. PROCEDIMENTO CIVILE -Legittimazione passiva Giudicato implicito -Comportamento processuale del convenuto -Valutazione del giudice di merito. (Cassazione, Sezione III, Sentenza n. 1313/61 -Pres.: Mastropasqua; Est.: Giansiracusa; P. M.: Silocchi (conf.) -Ministero di Grazia e Giustizia c. Ludergnani). II giudicato implicito sull'esistenza della legit timazione passiva pu� formarsi attraverso una va lutazione complessiva del comportamento proces suale del convenuto allorch� quest'ultimo, accet tando il contraddittorio in primo grado, siasi . difeso nel merito, mostrando cos� di riconoscere la qualit� attribuitagli dall'altra parte, e in base a tale atteggiamento il giudice di primo grado abbia emesso provvedimento definitivo di merito, in un senso o nell'altro, senza che davanti al giudice di secondo grado la parte stessa in qualit� di appel lante e di appellato, abbia sollevato la questione della mancanza della legittimazione passiva, ma abbia continuato, inve�e, a difendersi nel merito. In tale ipotesi, la valutazione che di tale compor tamento processuale sia stata fatt3t dal giudice, senza che la parte sia insorta, nelle precorse fasi del giudizio, implica un apprezzamento di fatto insindacabile, che preclude ogni altra indagine sul punto, in Cassazione. Bi trascrive la motivazione in diritto della sentenza: Deve disporsi preliminarmente la riunione dei ricorsi proposti contro la stessa parte per lo stesso oggetto. II ricorrente Ministero dell'interno, convenuto� nelle precorse fasi del giudizio congiuntamente al Ministero di Grazia e Giustizia, solleva in questa sede, per la prima volta, la questione della legittimazione passiva, assumendo che la Corte di merito avrebbe dovuto rilevarne il difetto anche d'ufficio, dal momento che, in base alla domanda giudiziale, la responsabilit� discendeva da omissioni nell'esercizio delle funzioni di polizia carceraria, da parte di agenti di custodia, i quali, com'� noto, dipendono dal Ministero di grazia e giustizia. Non � dubitabile che la mancanza di legittimazjone (ad causam) possa essere .rilevata d'ufficio e possa la relativa e�cezione essere sollevata in ogni stato e grado del giudizio, a meno che sulla questione non siasi formato il giudicato (esplicito o 'implicito) Ora, sull'esistenza della legittimazione passiva, il giudicato implicito pu� formarsi attraverso una valutazione complessiva del comportamento processuale del convenuto, allorch� qu12st'ultirp.o, accettando il contraddittorio in primo grado, siasi. difeso nel merito, mostrando cos�-di riconoscere la qullilit� attribuitagli dall'altra parte, e in base a tale comportamento il giudice di primo grado abbia emesso provvedimenti definitivi di merito,-in. un senso o nell'altro, senza che davanti al giudice di secondo grado la parte stessa, in qualit� di appellante o di appellato, abbia sollevato la questione della mancanza della legittimazione passiva, ma abbia continuato invece a difendersi nel merito. In tale ipotesi la valutazione che di tale comportamento processuale sia stata fatta dal giudice senza che la parte sia insorta nelle precorse fasi del giudizio, implica un apprezzamento di fatto insindacabile, il quale preclude ogni altra indagine sul punto, in Cassazione. � Nel caso in esame, la Corte di merito, nella sentenza denunciata, con cui afferm� la responsabilit� aquiliana anche del Ministero dell'interno, ne valut� il comportamento processuale, rilevando ch'esso erasi difeso nel merito, adottando la stessa linea di condotta difensiva dell'altro ministero convenuto, senza alcuna differenza sostanziale sulle ragioni di merito sostenute a propria discolpa, fondata questa sulla discrezionalit� del proprio operato che il danneggiato denunziava invece come una flagrante violazione del precetto neminem laedere per essere venuta meno da parte delle forze di polizia la� sorveglianza all'esterno dell'edificio contro i frequenti e non imprevedibili tentativi di incursione. II secondo motivo di ricorso � identico al mezzo unico proposto dal Ministero di grazia e giustizia, il quale deduce l'omesso� esame circa due punti della controversia, assumendo che la Corte di . merito non avrebbe esaminato se il fatto doloso perpretrato dal drappello che fu introdotto armato nel carcere, fosse da solo idoneo a produrre l'evento dannoso e quindi tale da escludere il nesso di causalit� tra la precedente omissione degli agenti di custodia e l.'evento stesso, e inoltre non avrebbe esaminato se tale comportamento omissivo degli agenti fosse necessitato da causa di forza maggiore, date le particolari condizioni di tempo e luogo nelle quali fu consumata l'aggressione che cost� la vita a numerosi detenuti politici~ Non sussiste il vizio dedotto. La Corte di merito ritenne in punto di fatto che l'invasione di persone armate nel carcere di Ferrara pot� essere attuata -in primo luogo -a causa della mancanza di protezione esterna dell'edificio, il cui ingresso era in parte diroccato, circostanza questa che richiedeva la massima sorveglianza, varie volte inutilmente sollecitata, dato il ripetersi di aggressioni armate contro i dettlnuti politici, ristretti in ambienti malsicuri -in secondu _ luogo -a causa della mancata attuazione, da parte degli agenti di custodia, delle misu.re cautelative predisposte dal Direttore del carcere, e a causa della mancata resistenza da parte degli stessi -109 ~ agenti, assai pi� numei'osi rispetto al manipolo degli aggressori. Nel mettere in rilievo . le circostanze indicate come causative dell'evento la Corte di merito ravvis�. il nesso di causalit� tra i gravi fatti omissivi lamentati e l'evento dannoso -e quindi -nell'applicare il principio in base al quale il nesso di causalit� sussiste e permane integro ogni volta che il fatto omissivo, pur non avendo prodotto direttamente l'evento, abbia nondimeno determinato uno stato di cose, che, senza di esso, il danno non si sarebbe verificato per l'intervento d'una causa sopravvenuta -escluse sostanzialm�nte che �in concreto il fatto doloso potesse da solo ritenersi idoneo a produrre l'evento se il gruppo d'armati non fosse stato invogliato, a perpetrare il massacro, dalle condizioni precarie di sicurezza in cui versavano i detenuti politici e dalla facilit� con cui era possibile a chicchessia farsi introdurre nel carcere. In una siffatta situazione era quindi irrilevante che la causa concorrente fosse diretta o immediata, oppure� soltanto indiretta e mediata, bastando che essa avesse comunque contribuito in concreto alla produzione dell'evento. . .Anche la seconda parte della c�nsura deve disattendersi. Nel prospettare tutti gli elementi della situazione di fatto, rilevandone non solo la prevedibilit� ma anche la possibilit� di evitarla e di resistere validamente ed utilmente all'aggressione, e nell'indicare tra i fatti causativi appunto la mancanza di qualsiasi difesa da parte di chi avrebbe dovuto e potuto provvedervi, la Corte di merito m;cluse implicitamente che nel ca~o in emme riricorresse una vis maior, la quale, Jler altro in tesi generale, non pu�, tant� meno nel caso di colpa aquiliana; venire invocata dal soggetto che versa in colpa. . Oi si:mbra di poter affermare che, in base a quanto � scritto nella. seconda sentenza (n. 1313 del 1961), la Oorte Suprema abbia ormai abbandonato il principio della rilevabilit� del difetto di legittima.zione ad causam in ogni stato e grado del giudizio, sostituendolo con l'altro principio della necessit� che tale difetto sia eccepito se non prima di ognj altra istanza . e difesa, almeno certamente nei �gradi di merito. Infatti, se basta il comportamento passivo tenuto dalla parte che, vincitrice in primo grado, si � limitata in secondo grado a chiedere il rigetto della impugnazione avversaria, per dedurne la sua accettazione di un preteso giudicato formatosi sulla questione di legittimazione, �� evidente �che di una rilevabilit� della questione in sede di cassazione � impossibile parlare, essendo tale rilevabilit� preclusa dall'atteggiamento passivo tenuto nel giudizio di merito . Nella f attispec~e la pronunzia della O orte Suprema ha conseguenze tanto pUe gravi in quanto la sentenza �della Oorte di Appello aveva condannato per lo stesso titolo di responsabilit� due rami dell'Amministrazione dello Stato, violando cos�, non solo la norma processuale sulla legittimazione, ma anche la norma sostanziale, sancita nella legge del bilancio, relativa alla competenza per la spesa. CONSIGLIO DI STATO COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Principi generali -Confiitto di attribuzioni -Stato e Regione - Confiitto fra organi statali -Non lo configura -Fat � tispecie. (Consiglio di Stato, decisione n. 1051-60 - Pres.: Aru; Est.: Anelli -Palumbo c. Ministero Pubblica Istruzione). Non � configurabile il conflitto di attribuzioni tra Stato e Regione nel caso in cui la censura dedotta in giudizio denunci l'invasione di un ~rgano dello Stato nella sfera della competenza amministrativa di un organo regionale che agisca in veste di organo decentrato dello Stato, come nel caso in cui si d0 nuncia l'incompetenza del Ministro per la pubblica istruzione ad imporre vincoli per ragioni storiche ed artistiche sui beni situati in Sicilia, essendo stata tale competenza trasferita all'Alto Commissario per la Sicilia dal R. D. L. 18 marzo 1944, n. 91 e poi -durante il periodo transitorio, ancora in corso, previsto per il trapasso delle attribuzioni dallo Stato alla Regione -al Presidente della Regione Sicilana nella veste di organo decentrato dello Stato a norma del D. L. 30 giugno 1947 n. 567. Oontro questa decisione l'Avvocatura dello Stato ha presentato ricorso per cassazione per i seguenti motivi: Violazione e falsa applicazione d�gli artt. 139 della Costituzione della Repubblica, 39 della legge 11marzo1953, n. 87 in relazione al R.D.L. 18 marzo 1944, n. 91 e al D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567. Difetto assoluto di giurisdizione (art. 360 n. 1 C.p.c. e art. 48 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054). Il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato il primo mezzo di gravame del dott. Pa.lumbo, �nel profilo in cui denuncia l'incompetenza del Ministro per la P. I. in relazione al combinato disposto del R.D.L. 18 marzo 1944, n. 91 e del D.J,,C.P.S., 30 giugno 1947, n. 567 �. Rispetto a tale censura avversaria -riferentesi, oltre che ai decreti sopraeit~ti del 1944 e del 1947, '1gli artt. 14 lettera N e 20 dello Statuto della Regione Siciliana -il patrocinio dell'.Aniir�inistr~zione aveva avuto cura di eccepire il difetto di giurisdizione del Consiglio d,i Stato, osservando che l'oggetto (art. 386 C.p.c.) della. materia dedotta in giudi.zio con la censura medesima involgeva essen -110 - � zialmente un conflitto di attribuzioni tra Stato e Regione Siciliana, sul quale era competente a pro nunziarsi in modo esclusivo (art. 134 della Costitu zione e art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87) la Corte Costituzionale. Non si era mancato di richia mare la attenzione del flonsiglio di Stato sul fatto che la giurisprudenza concorde della Corte Costitu zionale e. della Corte Suprema di Cassazione si erano gi� pronunziate nel senso sopra specificato. Il Consiglio di Stato, nel disattendere l'eccezione, ha osservato che �anche senza che occorra invo care la giurisprudenza dello stesso Consiglio che, sulla questione di carat~ere generale, ha ri tenuto che l'invasione di uno dei due enti (Sta,fo e Regione) nella sfera di competenza amministrativa dell'altro pu� da un ten;o soggetto essere denun ciata a tutela di un proprio interesse dinanzi al giudice competente a giudicare di quest'ultimo, senza con ci� dare luogo ad un conflitto di attri buzioni in senso tecnico (IV Sezione, 17 ottobre 1956, n. 697, 10 dicembre 1958, 919; 30 dicembre 1959, n. 1049) -� sufficie11te rilevare che, nella specie neppure in ipotesi un conflitto di attribuzioni fm ~tato e Regione appare configurabile, stante che la censura in esame denuncia l'invasione di un organ� dell(} Stato nella sfera di competenza amministrativa di altro organo dello Stato (e cfo�: del Presidente della Regione il quale non agirebbe �come organo regionale, investito di poteri gi� propri dell'Ente Regione, sibbene in veste di organo decentrato dello Stato �), entrambi appartenenti al potere esecutivo'>. . Siffatta decisione ilel Consiglio di Stato � errata, anzitutto, laddove ha ritenuto che non si profili, essenzialmente, conflitto di attribuzioni devoluto alla competenza della Corte Costituzionale, quando l'oggetto della controversia sia costituito da attivit� amministrativa statale decentrata, nel qual caso la Regone si ridurrebbe -secondo il Consiglio di Stato -ad un ufficio decentrato dello Stato. � poi, e conseguenzialmente, . errata per avere ritenuto sussistente, in tale materia, la propria giurisdizione, che, invece, difettava in modo assoluto. Sotto il primo profilo si ricorda che la que~tione, se l'atto emanato dal Presiflente o dagli Assessori Regionali (e, cio�, nell'ipotesi inversa, a quella di cui si discute nella presente controversia) nella esplicazione di attivit� amministrativa statale de centrata (ai sensi dell'art. 20, primo comma, ultima parte, dello Statuto Speciale Siciliano o, eventual mente, ai sensi della precedente legisiazione prov visoria del 1947 e del 1944) integri o meno un con flitto di attribuzioni, � stata pi� volte sottoposta alla Corte Costituzionale. Con la sentenza n. 9 del 1957, fondamentale al riguardo, la Corte Cosuituzionale ravvis� il con flitto di attribuzioni nell'ipotesi di atto emanato dall'Assessore Regionale nell'esercizio d.e�la c. d. at tivit� statale decentrata di cui al citato art. 20 primo comma, ultima parte dello Statuto Speciale Siciliano. Con la sentenza n. 77 del 1958, la stessa Corte, pur senza esaminare ex professo la questione, decise nel m.erito un ricorso, in materia di conflitto di attribuzioni, riguardante atti emanati dalPAssessore Regionale quale organo decentrato dello Stato sempre ai sensi dell'art. 20 dello Statuto Speciale. L'affermazione, sia pure implicita, della competenza della Corte lascia ragionevolmente presumere che anche in detto caso fosse stato ravvisato un conflitto di attribuzioni. Si � fatto cenno di casi che rientrano nell'attivit� statale decentrata prevista dall'art. 20 dello Statuto Siciliano, ma la questione non pu� avere diversa soluzione; ove si rit<?nga che l'atto sia stato emanato in forza della legislazione provvisoria precedente alla entrata in vigore dello Statuto Speciale: pi� precisamente, in forza dell'art. 1, secondo comma del D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, il quale, com'� noto, dispose che, fino a quando non fosse stato attuato completamente il passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione e non fossero state emanate le norme di attuazione dello Statuto, avrebbero continuato ad osservarsi -in quanto applicabili -le disposizioni del R.D.L. 18 marzo 1944, n. 91 e successive modifiche, relative ai poteri dell'Alto Commissario per la Sicilia, le cui attribuzioni sarebbero state esercitate --,.. in quanto occorresse -dal Presidente e dalla Giunta Regionale. A prescindere da ogni considerazione (che, pure, va fatta e sembra fondata) sulla abrogazione per incompatibilit� di tutte le norme contenute nel R.D.L. 18 marzo 1944, n. 91 e successive modificazioni, relative all'esercizio di attivit� amministrativa statale da parte degli organi regionali, per effetto dell'art. 20 dello Statuto Speciale Siciliano (assunto nell'ordinamento costituzionale, com'� noto, in forza della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2), pare innegabile, ai fini d�lla determinazione della competenza della Corte Costituzionale, l'identit� delle due ipotesi. In entrambe le ipotesi, infatti, si tratta di attivit� amministrativa statale attribuita -in sede di decentramento -ad organi regionali; e conseguentemente si profila la duplice possibile soluzione: a) ritenere che l'organo regionale, nellp esercizio delle attribuzioni statali, assuma la veste di organo statale, con la conseguenza che i suoi atti integrano solo in conflitto interorganico, da risolvere all'interno della. gerarchia statale con l'esercizio degli ordinari poteri di annullamento; b) ovvero, dare prevalenza, in considerazione anche della circostanza che trattasi dei supremi orgapi della Regione, alla posizione soggettiva dell'organo, ritenendo che esso, anche nell'esercifio di funzioni statali, conservi la veste di organo regionale, nel qual caso il conflitto resterebbe intersoggettivo e la sua risoluzione sarebbe :necessariamente rimessa al giudizio della Corte, ulteriore garanzia della autonomia degli organi regionali. Ci sembra. di poter affermare che la giurisprudenza della Corte Costituzionale sii;i,. jn questo ultimo senso. Comunque, si ravvisa . opportuno .. aggiungere, a quanto gi� dedotto, lff seguenti considerazioni. Per effetto del D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n, 567, la Regione non pu� considerarsi ridotta (come ine -111 sattamente ha ritenuto il Con1:1iglio di Stato nella decisione impugnata) ad ufficio decentrato dell'Amministrazione dello Stato, perch� ci� sarebbe, oltre tutto, in aperto contrasto con� la finalit� e la disposizione dello Statuto Speciale Siciliano. IlD.L. 30 giugno 1947, n. 567, per quelle materie che gi� costituivano la competenza �ell'.Alto .commissariato per la Sicilia, stabilisce che esse, in via transi� toria e provvisoria, costituiscano un nucleo di attribuzioni amministrative dell'ente regionale siciliano. Quindi, non v'�. semplice competenza interna, organica; ma, competenza esterna, sul piano diseiplinato dall'ordinamento costituzionale, dell'Ente a statuto speciale. . � D'altra parte, anche ammesso, per un momento, che in base al decreto legislativo del 1947 la Regione eserciti fU:nzioni ancora. nominalmente dello Stato, � pur sempre vero che essa le eAereita nell'adempimento dei compiti riservatile dall'ordinamento. La competenza �che la. Regione potrebbe rivendicare, e che per converso invoca (come nella fattispecie �di questa causa) il cittadino per ottenere l'annullamento dell'atto emesso dallo Stato in violazione di quella competenza, non pu� presentarsi se non nella veste esterna del conflitto di attribuzioni, perch� la Costituzione e la legge che tali conflitti prevedono e disciplinano, pongono l'accento sull'indole dei soggetti e sul .fatto oggettivo dell'invasione nella sfera dell'altro ente (senza. occupars� della contingente occasione nella quale si verifica quell'invasione), allorch� indicano il modo in �ui quei conflitti debbono essere composti. Non pu� esservi dubbio, quindi, che nel caso di specie dovesse ravvisarsi un potenziale conflitto di attribuzioni fra Stato e Regione, in ordine al quale difettava nel Consiglio di Stato qualsiasi potere giurisdizionale ancorch� lo sconfinamento fosse stato dedotto come vizio di legittimit� per ottenere l'annullamento dell'atto amministrativo impugnato. � opportuno soffermarsi su questo �punto, dato che il Consiglio di Stato, nella decisione impugnata, ha richiamato, sia pure per incidens, la sua costante giurisprudenza nel senso che lo sconfinamento di competenza che caratterizza il conflitto di attribuzioni sul piano �costituzionale (cosiddetta incompetenza costituzionale), possa essere fatto valere nella forma di un comune vizio di legittimit� dell'atto amministrativo in sede di .tutela. giurisdizionale dell'interesse legittimo del privato cittadino. � L'art. 134 della Costituzione attribuisce, com'� noto, alla Corte Costituzionale la risoluzione dei conflitti di attribuzione fra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni. T1a VII disposizione transitoria, nel secondo comma, disponeva che fino a quando non fosse entrata in funzione. la Corte Costituzionale, la decisione delle coutroversie indicate nell'art. 134 avrebbe avuto luogo nelle forme e nei limiti .delle norme preesistenti all'entrata in vigore della Costituzione. Con l'entrata in funzione della Corte Costituzionale, pertanto, le controversie indicate nell'arti colo 134 e, fra queste, la rhloluzione dei eonflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni o .tra le Re gioni � devoluta. alla competenza esclusiv11 della Corte, restandone preclusa la cognizione, anehe in via incidentale, a qualunq�e organo di giurhldi zione, ordinario o speeiale, ancorch� dall'ordina mento preesistente fosse ad esso attribuita, con o senza limitazioni, in via principale o incidentale. Deve ritenersi, infatti, che l'art. 134, in relazione al secondo comma della VII disposizione transi toria, abbia abrogato o modificato le norme dello ordinamento preesistente, che attribuivano alla .Autorit� Giudiziaria ordinaria ed al Consiglio di Stato il potere di conoscere, in via incidentale o principale, del vizio d'incompetenza costituzionale, con l'ulteriore conseguenza che esso pu� essere fatto valere esclusivamente dai soggetti costitu zionali che rivendicano la oompetenza, non dal cittadino a pretesa tutela di un .suo .diritto o inte resse legittimo (Vedasi, in tali sensi, Gu.GLIJIJLMI: Q1testioni di competenza costituzionale e giurisdizione, in �Studi in onore di Guido Zanobini �}. T1a competenza de~la Corte Costituzionale -che � caratterizzata, oltre tutto, dalla pienezza di. ef fetti della decisione, dato che gli artt. 41 e 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87, stabiliscono che la Corte, quando risolve il conflitto, non soltanto dichiara l'ente al qltale spettano le attribuzioni in contestazione ma annulla altres� l'atto viziato di incompetenza -la competenza della Corte Costi~ tuzionale~ dicevasi, per la materia che forma og getto del dibattito e per la natura dell'organo cui � a.ttribuita, esclude necessariamente, giova ri peterlo, l'intervento di qualsiasi altro o'rgano dello Stato. .A questa stessa conclusione sono pervenute, come dicevasi. all'inizio della trattazione, la Corte Costituzionale (ved. sentenza Jo dicembre 1959) n. 58 in Foro ltr;tl. 19q_o, I, 10) e le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione (vedi sentenza 12 dicembre 1958, n. 3872). Alla medesima conclusione si per:vij:lne anche attraverso l'esame dei lavori preparatori della Co. stituzione e della legge 11 marzo 1953, n. 87. Per quanto riguarda i lavori preparatori della Costituzione, la Corte. Suprema di Cassazione, nella sentenza delle Sezioni Unite n. 763 d.el 15. mar zo 1956, molto opportunamente ricord� che nella seduta in cui fu approvato il seco11do comma della VII disposizione transitoria, il Prnsidente Ruini, dopo-� un ehiarimento dell'on. Perassi, che aveva illustrato la portata della norma, ritenne opportuno � di precisare che � essendo il nuovo ~indacato di legittimit� .costituzionale affidato ad un nuovo organo -la. Corte Costituzionale -� chiaro Che quel sindacato non potr� essere esercitato da altri organi oggi esistenti~ prima� che sorga la Corte Costituzionale �. Per quanto concerne i lavori parlamentari re lativi alla legge 11 marzo 1953, n. 83, giova: ricor-_ dare quanto segue. La Commissione speciale della Camera 9-ei Deputat, i aveva formulato l'art. 35/33 del testo approvato .dal Senato e 37 del testo definitivo, prevedendo -112 espressamente che il ricorso per la rhioluzione dei conflitti di attribuzione poteva essere proposto, non solo dagli organi costituzionali interessati, n;ia anche �da altro soggetto, che la Corte ritenga legittimato �, e cio� dal soggetto pubblico o privato, direttamente interessato all'atto e indirettamente interessato alla �risoluzione del conflitto potenziale di attribuzione, che egli ritenesse posto in essere dall'atto stesso. In sede di lavori preparatori, pertanto, ci si era resi conto che il ricorso non potesse che essere proposto alla Corte Costituzionale e, per tale constatazione; era sorta preo.ccupazione che, non facultand<> si il cittadino a proporre ricorso per la risoluzione d.el conflitto, lo stesso rimanesse privo di. tutela ne.i confronti dell'atto amministrativo viziato da incompetenza costituzionale. Tale sollecitudine, �per�, fu abbandonata in sede di compilaziotie del testo definitivo, il che sta a dimostrare che al privato non" � concesso di far valere, comunque, neppure� in sede di giustizia amministrativa, l'illegittimit� dell'atto amministrativo che si presume viziato da incompetenza costituzionale. � Del resto, � proprio la Corte Costituzionale che ha escluso che . un conflitto di attribuzioni possa essere fatto valere nella forma di un comune vizio di legittimit� dell'atto amminiiltrativo. Infatti, con sentenza del 19 dicembre 1959 (in Giur Ital., 1960, l, 114 e particolarmente 117, terzo capoverso) ha precisato che la illegittimit� dell'atto, emanato dal soggetto diverso da quello cui la Costituzione attribuisce la competenza, ha rilevanza costituzionale e non di. semplice vizio dell'atto da dedurre davanti agli organi della giustizia amministrativa. Tutto ci� dimostra come la materia in esame per la sua peculiarit� non possa rientrare nello schema comune dell'art. 113 della Costituzione, essendo regolata compiutam$te ed in modo esclusivo dal successivo art. 134. .A proposito dell'art. 113 della Costituzione, che per la giurisprudenza del Consiglio �di Stato (richiamata nella decisione denunciata) costituisce perno per sostenere la tesi contraria alla competenza. esclusiva della Corte Costituzionale, si ravvisa opportuno riportare dal citato scritto del Guglielmi le limpide ed incisive osservazioni che seguono: �.A nostro avviso la giurisdizione comune va esclusa proprio alla stregua di quell'art. 113 Cost. che si invoca a sostegno di essa e che deve essere interpretato sistematicamente in relazione a tutte � le altre norme della Costituzione. � Gli argomenti addotti dai sostenitori della opposta tesi e fatti propri dal Consiglio di Stato (Sezione IV, 9 giugno 1959, n. 663, ne. Il Consiglio di Stato, 1959, fase. maggio-giugno, p. 771) e dal Consiglio di Giustizia .Amministrativa per la Regione siciliana (9 dicembre 1959, n. 147) non sono affatto convincenti. �Certamente ultronea � la affermazione conte� nuta nella citata decisione del Consiglio di Stato, peraltro perspicuamente motivata, ove si afferma che l'art. 113 della Costituzione garantisce senza limitazioni la difesa giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei cittadini, che si pretendono lesi dagli atti. della P . .A. L'affermazione � esatta solo per quanto a~tiene agli interessi legittimi, mentre nessuna tutela � garantita agli inte1�essi semplici, anzi, tenendo conto' dell� rigidit� 'del sistema costituzionale anche per quanto attiene alla ripartizione delle competenze fra i Poteri dello Stato, questa tutela dovrebbe considerarsi esclusa e, conseguentemente, soppressa ogni giurisdizione di mec rito (L'obbligo della P. A. di conf01marsi al giitdicato, in �Rass. Avv. Stato �, 1953, p. 10). �Comunque, � pacifico che l'art. 113 della Costituzione, in relazione anche al precedente art. 103, garantisce la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi, onde la necessit� di. accertare se attinge tale consistenza l'interesse del cittadino alla osservanza delle norme costituzionali sulla competenza. � Dire, poi, che la giurisdizione amministrativa e quella costitu,zionale si pongono su piani diversi ed a tutela di sfere d'interessi diverse � dire cosa esatta, ma del tutto irrilev;mte ai fini della questione che ne occupa. .Anzi, proprio la constatazione dei iiiani diversi su cui. muovono h giurisdizione comune e quella costituzionale �ovev;::;1, rendere particolarmente accorti nell'escludere interferenze, che sono inammissibili. fra piani diversi. �L'esempio da tener presente, per le evidenti analogie che presenta, � quello della giurisdizione internazionale rispetto alla giurisdizione interna, che si muovono su piani diversi ed appunto per ci� non presentano interferenze fra loro. Come si ri. tiene che le norme internazionali, appartenent! ad un ordinamento diverso, non sono fonte di diritti soggettivi n� d'interessi legittimi in capo ai privati cittadini, cos� deve ritenersi che non lo siano le norme costituzionali sulla competenza, che non tutelano, neppure in via occasionale, interessi privati. �.A noi sembra perci�, che la questione vada af-. frontata in radice, esaminando accuratamente � proprio quella sfera d'interessi, a tutela della quale si pone la giurisdizione amministrativa, al fine di accertare s'essa comprenda anche l'interesse alla ripartizione fra Stato e Regione della competenza in conformit� delle norme costituzionali. In poche parole, a noi sembra che la questione, logicamente preliminare, da decid�re� � se sussista un diritto o un interesse legittimo del cittadino alla osservanza delle norme costituzionali sulla competenza o se, invece, ad essa il cittadino non abbia un interesse di mero fatto. �Questa �indagine, che molto spesso si trascura con la conseguenza, a nostro avviso gravissima, df trasformare la giurisdizione amministrativa in giurisdizione di diritto obiettivo, che provvede, su denunzia di chi abbia un interesse ad agire, al controllo di legittimit� degli atti amministrativi, �, nella specie, essenziale. � Occorre, cio�, accertare se le ~?I'.!lle costituzionali sulla ripartizione di competenza fra Statg_ e_ Regioni, attribuiscano alla pm izione giuridica sog-� gettiva del privato una protezione diretta od occasionale, che � il presupposto del potere giurisdizionale, o se, invece, l'interesse del privato, tionfon -113 .cl.endosi con quello gen�rale della collettivit�, considerato esclusivamente dalla .norma, manchi di qualsiasi rilevanza tutelabile in sede giurisdizionale. �Esaminata sotto questo profilo, la questione non pu� avere altra soluzione che quella da noi sostenuta. Riteniamo, infatti, che non possa neppure dubitarsi del fatto che le norme costituzionali sulla competenza siano dettate esclusivamente con riguardo alla sfera d'interessi dello Stato e della Regione senza alcuh riferimento alla situazione giuridica soggettiva di altri enti o individui, che non � neppure occasionalmente protetta da . quelle norme. �A differenza di quelle disposizioni della Costituzione, che si riferiscono alle situazioni soggettive dei privati cittadini, le norme sulla competenza �riguardano solo gli enti, fra cui la competenza stessa � ripartita. �Conferma di questo assunto � tratta, a nostro avviso, proprio dai lavori preparatori della legge 11 marzo 1953, n. 87, durante i quali fu dibattuta la questione e fu escluso il conferimento al privato interessato di un qualsiasi potere di azione. �Resta, perci�, escluso ogni interesse legittimo del cittadino alla osservanza delle norme costi tuzionali, che ripartiscono la competenza ammini strativa fra Stato e Regioni, con la conseguenza ulteriore che anche sotto questo riflesso deve essere negata la giurisdizione del Consiglio di Stato, e ohe, comunque non sussiste alcun contrasto fra il nostro assunto, che questa giurisdizione n13ga, e l'art. 113 della Costituzione, che riguarda la tutela giurisdi zionale dei diritti e degli interessi legittimi dei privati cittadini, fra cui non � compreso l'interesse all'osservanza delle norme costituzionali sulla com petenza�. Non si pu� terminare la presente trattazione, senza mettere nel dovuto rilievo come la decisione del Consiglio di Stato che, come quella qui denun ciata, &.nnulli un atto amministrativo statale sotto il profilo dello sconfinamento da parte della Amministrazione dello Stato nella sfera di competenza amministrativa riservata (sia pure in attuazione di decentramento) alla Regione e per es.sa ai suoi maggiori organi, determini gravissimi inconvenienti e concretizzi addirittura un vero e proprio conflitto di attribuzioni fra il Potere Esecutivo e il Potere giurisdizionale. Infatti, ove la sentenza del Consiglio di Stato non venisse annullata dalla Corte Supremft di Cassazione, essa costituirebbe una illecita interferenza nella sfera di attribuzioni dell'Esecutivo, al quale solo spetta, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione e dell'art. 39 .della legge 11 marzo 1953, n. 87, sollevare, in base ad una valutazione discrezionale, il eonftitto di attribuzioni dinanzi alla Corte Costituzionale, diretto a delimitare, nella materia in eontestazione, la sfera delle rispettive competenze statali e region'ilili. A causa, invece, della decisione del Consiglio di Stato, l'Esecutivo sarebbe costretto da un organo appartenente ad altro Potere, o a sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale la questione relativa alle rispettive competenze costituzionali, statali e regio nali, o a subire la riduzione di competenze imposte dal Consiglio di Stato. Se si considera, poi -e questo � uno dei gra vissimi inconvenienti sopra cennati, che si aggiunge a quelli di cui abbiamo ampiamente trattato nella memoria dell'8 marzo 1960 davanti al Consiglio di Stato, memoria che qui� integralmente richiamiamo -che, a norma del combinato disposto degli �.rti . coli 38 e 41 della ricordata legge n. 87 del 1953, spetta esclusivamente .alla Corte Costituzionale l'annullamento dell'atto statale o regionale che esorbiti dalla sfera rispettiva di competenza, non � chi non veda come tale. annullamento non possa essere pronunciato dal C-onsiglio di Stato senza pregiudizio evidente della competenza della Corte Costituzionale che non potrebbe successivamente esercitarsi su un atto ormai inesistente! ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALl D E L L E C O R T I D I M E R� I T . O DAZI DOGANALI -Opposizione a ingiunzione -Peren toriet� del termine -Effetti. (A. Genova, Sezione I, Sentenza 7 aprile 1961, n. 299 -Pres. Minerbi; Est.i Boselli -Soc. Marchesi e C. c. Finanze). Dal fatto che il termine di quindici giorni per l'opposizione all'ingiunzione doganale � �qualificato perentorio (art. 24 legge 25 settembre 1940, n. 1424) non pu� argomentarsi un sostanziale muta.iento �della natura dell'ingiunzione, ma pu� farsi discendere unicamente l'effetto (in deroga alla regola generale secondo cui il decorso del termine non preclude l'opposizione) della inammissibilit�, in questa materia, di una opposizione tardiva. Per conseguenza, anche dopo l'inutile decorso del termine perentorio �di cui � caso rimane la possi� bilit� di istituire una indagine davanti al giudice ordinario, diretta ad accertare la sussistenza o meno della pretesa tributaria. La semplice lettura della massima, che riproduce fedelmente la motivazione della sentenza, .rivela una frattura fra la prima e la seconda parte; non si riesce, infatti, a vedere il nesso logico fra la premessa e la conclusione. La massima,. tuttavia, offre motivo per mettere in evidenza alcune caratteristiche dell'ingiunzione doganale, .che permattono di attribuirle un posto a s�, fra le varie ingiunzioni amministrative . . � ben noto che il sistema di riscossione a mezzo di ingiunzione � regolato, nelle sue modalit� esecutive, dal Testo unico 14 aprile 1910, n. 639. Tuttavia, non sempre le varie leggi fanno espresso riferimento a questo Testo unico; nella legge del registro, per esempio, (art. 144) e nella legge sulle successioni (art. 92) l'ingiunzione � disciplinata con norme direttamente regolatrici, senza un rinvio espresso, sebbene l'ingiunzione ivi prevista sia modellala sullo schema del Testo unico. Analogamente accade per l'ingiunzione prevista per il ricupero delle spese anticipate dall'Autorit� maritt�ma o aeroportuale per conto dei privati (art. 84 e 730 Ood. Nav.), che � regolata mediante una normativa diretta, con la fissazione, fra l'altro, di un termine pi� breve per la solutio (venti giorni). Quando l'estensione del sistetna avviene mediante il rinvio formale, le norme richiamate possono essere indifferentemente qiielle del registro (art. 24 D. P. 25 giugno 1953, n. 492 per il bollo; art. 48 Testo unico 14 s.ettembre 1931, n. 1175 per l'imposta di consumo) oppure quelle del Testo unico del 1910 (art. 6 Testo unico 1� marzo 1961, n. 121 sulle concessioni governative). L'ingiunzione doganale si stacca da tutte le ingiunzioni sopra accennate, per una specie di contaminatio fra il rinvio formale al Testo unico del .1910 -rinvio che � disposto esplicitament3 dall'art. 24 della legge doganale -e l'introduzione 'di una norma diretta, che differenzia l'ingiunzione doganale da � ogni altra; e cio�, la statuizione di un termine ridotto a soli quindici giorni, e qualificato esplicitamente come perentorio. Se l'abbreviazione dcl termine (che, nell'ingiunzione normale, � di trenta giorni) pu� essere indicativa di una particolare esigenza sollecitatrice, di cui non mancano altri esempi (cfr. art. 84 e 730 Ood. Nav., sopra ricordati), per contro la perentoriet� del termine non� trova riscontro in altre norme. � noto, infatti, che il normale termine di trenta giorni � da considerare puramente ordinario, ai fini della proposizione dell'opposizione. L'infruttuoso decorso del termine' rende inarrestabile l'esecuzione, ma non priva il contribuente del diritto di rimettere in discussione l'esistenza . e la legittimit� dell'obbligazione tributaria (cfr. GUGLIELMI e AzZARITI; Le imposte di registro P.-148, 149; OLMI, i Requisiti di forma dell'ingiunzione fiscale in �Dir. prat. trib. � 1954, II, 187). � chiar.o che questa con�clusione -che, per l'ingiunzione amministrativa � normale, viene correttamente dedotta dalla non perentoriet� del termine ad opponendum -non pu� valere per l'ingiunzione doganale, per la quale, al contrario, l'opposizione deve obbligatoriamente essere proposta, secondo il dettato della legge, �entro il termine perentorio di � giorni quindici dalla data della notificazione�. Poi ch� la perentoriet� di un termine � il dato peculiare e costante dell'istituto della decadenza, s� da costituirne ~ sul piano interpretativo -il sintomo rivelatore, esattamente la Oorte Suprema osserv�, in una lontana ma autorevole sentenza a .Sezioni Unite, che �il testo della disposizione; comminando esplicitamente la decadenza, � assolutamente decisivo ..... IJ'esistenza legale dell'opposizione � ivi subordinata alla proposizione di qu�sta in un termine perentorio, e d'altronde � logico che, trattandosi particolarmente di applicazione di dazi che si pagano all'atto dell'introduzione delle merci, sia chiuso l'adito a contestazioni di lunga scadenza� (SS. UU., 26 novembre 1927, Giur. it. 1928, I, 1, 273). Queste osservazioni, certamente esatte nella loro portata interpretativa dell'art. 15 della vecchia legge doganale (trasfuso nell'attuale art. 24), possono apparire non del tutto appaganti, l� dove accennano ad ~ 115 una �inesistenza legale � dell'opposizione, derivante dalla proposizione oltre il quindicesimo giorno. Facile �, peraltro, integrare il ragionamento della Cassazione, tenendo conto della natura dell'opposizione all'ingiunzione, che si traduce in una vera e propria opposizione all'esecuzione; cio�, per usare i termiJii di pi� recenti pronunce, in �un ordinario processo cognitivo, che fondamentalmente ha per oggetto l'azione volta a contestare il diritto all'esecuzione � (Cassazione, 10 marzo 1959, n. 683, Giur. it., 1959, I, 1, 517); o, se si preferisce, un �accertamento esecutivo con efficacia costitutiva negativa del diritto all'esecuzione� (ALLORIO, Dir. proc. trib., II ed., p. 232 6 51). In altri termini, l'opposizione all'ingiunzione fiscale si comporta come talune opposizioni all'esecu-, zione, che investono titoli esecutivi non giudiziali. Non si dubita, infatti, che un debitore possa, in sede di opposizione all'esecuzione, disconoscere la sottoscrizione di una cambiale, o imp�ugnare per vizio di consenso un atto pubblico e cos1. via, contestando l'esistenza stessa dell'obbligazione posta a base del titolo (cfr. ZANZUCCHI, Dir. proc. civ., III, p. 249). In questi casi, ricorrenti con particolare frequenza. ogni qualvolta il titolo non sia soggetto a forme particolari di impugnazione, il giudizio di opposizione si atteggia come un vero e proprio giudizio di merito. Tenendo presenti queste premesse, � agevole individuare il diritto, soggetto a decadenza, in quello stesso ({ diritto di agire in oppo.~izione �, di cui sopra si � parlato; che �, per l'appunto, il diritto di ottenere un accertamento costitwtivo negativo della pretesa tributaria. La Oorte di Genova, nella sentenza annotata ha esattamente colto le manifestaziOni, per cos� dire, processuali della . sopravvenuta decadenza, riconoscendo una �inammissibilit�, in materia doganale, di una opposizione tardiva �: ma poi, con inattesa incoerenza, ha concluso che ci� non impediva di affermare �la possibilit� di istituire, anche dopo l'inutile decorso del termine perentorio di cui � caso, una indagine davanti al giudice ordinario intesa ad accertare la sussistenza -0 meno della pretesa tributaria�. Ma se questa indagine sopravvive, � lecito chiedersi quale sia, allora, il diritto colpito da decadenza. Escluso, �infatti, che possa ritenersi decaduto un ipotetico diritto di chiedere la sospensione dell'esecuzione (essendo ben noto che non esiste un diritto .del genere, non avendo l'Autorit� Giudiziaria il potere di sospendere l'esecuzione di una ingiunzione fiscale: Oassazione, 6 dicembre 1955, n. 3842, Giur.-it., 1955, I, 1, 1009; Appello, Torino 30 marzo 1951, id. 1952, I, 2, 267 con nota di Massari; da ultimo, autorevolmente, Oorte Oostituzionale 31 marzo 1961, n. 21, Foro it., 1961, I, 561), un solo diritto pu� considerarsi precluso: pre~ cisamentc, il diritto di porre in discussione non l' eseciitoriet�, ma l'esistenza della pretesa tributaria. N � potrebbe indurre in diverso avviso il rilievo che l'ingiunzione, nonostante il decorso del termine, non possa dirsi passata in giudicato. Q1.1,esto rilievo � certamente esatto; ma giova ricordare che la decadenza non richiede, per il consolidamento della situazione giuridica che viene sottratta ad ogni contestazione con il decorso del termine, un giudicato; il giu dicato � uno� degli effetti, non un presupposto della decadenza. Anzi, in materia tributaria si deve avver tire che gli effetti della decadenza si manifestano, di solito, in una /orma di consolidamento che � fonda mentalmente diversa dal giudicato; e cio� nella defi nitivit� dell'accertamento tributario. Se un contri buente non ricorre entro 30 giorni alle Oommissioni contro l'avviso di accertamento in materia di imposte dirette, questo diviene definitivo; pa.rimenti, di1Jiene definitivo un accertamento di maggior valore in materia di imposta di registro, se non viene impu gnato in 30 giorni. In questi, e in tanti altri casi che potrebbero ricordarsi, l'immutabilit� dell'accerta mento dopo l'inutile decorso del termine � fondata sul principio della definitivit�, che prescinde completa mente dal concetto del giudicato. Esatti, quindi, appariono i rilievi del Di Lorenzo, formulati proprio con preciso riferimento all'ingiun zione doganale; <1 Ove l'opposizione non sia stata pro mossa nel termine anzidetto (di quindici giorni) l'ingiunzione diventa esecutiva; ma neppure in tal caso pu� dirsi che essa equivalga ad una sentenza passata in giudicato; bench� abbia il medesimo valore, perch�, in rea.Zt�, la pretesa della dogana si presume legittima, ma sulla medesima � 'mancato, e non potr� ma~ pi� aversi, per fatto dello stesso debitore, un accertamento di legittimit�� (Ist. di dir. doganale, ed. 1954, parte generale, p. 291). Le ragioni di questo particolare vigore dell'ingiunzione doganale sono, ancora oggi, quelle limpidamente indicate dalle Sezioni Unite nella sentenza del 1927. A differenza dell'altra grande imposta indiretta sugli scambi, e cio� dell'imposta sull'entrata, che � efficacemente garantita da privilegio generale, il dazio � garantito da un privilegio speciale, che ha praticamente ben scarso campo di applicazione. D'altra parte, tutte le operazioni doganali si svolgono sotto il segno di una insopprimibile esigenza di rapidit� e di sommariet�, che si risolve, nella maggior parte dei casi, in un rischio per l'esazione del dazio. � ben vero che la legge doganale ha moltiplicato i responsabili e i debitori di imposta, introducendo numerose presunzioni, e facendo anche largo uso di garanzie fidejussorie: ma chi ha esperienza di contenzioso doganale sa per/ ettamente come, in non pochi casi, tutte le misure protettive del .tributo si siano rivelate insufficienti a impedire l'evasione. La perentoriet� del termine per l'oppqsizione, in materia doganale, �, dunque, ampiamente gustificata dalle esigenze del sistema doganale. Non possiamo perci� condividere l� �affermazioni della Oorte di Genova nella sentenza annotata, con le quali si � praticamente privato di effetto un termine, che lo stesso legislatore -con un rigore del tutto eccezionale -ha qualificato perentorio. Invertendo una proposizione della Oassazione, secondo la quale la perentoriet� di un termine pu� essere perfino dedotta dagli scopi e dalla funzione che il termine � destinato ad assolvere, anche indipendentemente dal dettato della norma (Cassazione, 29 settembre 1955,..n: 2693)_, sembra lecito affermare che la perentoriet� espressa deve, a sua volta, indurre l'interprete ad individuare gli effetti della decadenza in relazione agli scopi e alle funzioni, che (}Ssa deve persegiiire (} svolgere su un � piano concreto . .Per l'ingiunzione doganale, l'unico effetto plausibile della decadenza per decorso del termine non pu� essere, dunque, se non la definitivit� della pretesa tributaria: il che, per l'appunto, era stato riconosciuto dalla sentenza del Tribunale di Genova 17 giugno 1960, ingiustamente riformata dalla sentenza annotata. A. CHICCO IMPOSTA DI BOLLO -Assegno bancario emesso a vaoto -Regolarizzazione. (Corte d'Appello di Firenze� 12 luglio 1961 -Pres.: Comucci; Est.: Portauova Finanze c. Credito. Romagnoli). Il possessore di un assegno bancario, irregolare al bollo perch� en;iesso a vuoto, non pu� essere ritenuto solidalmente responsabile con l'emittente per il pagamento della imposta di bollo dovuta e della relativa penalit�, quando -fatto elevare il protesto -non intenda esercitare i diritti di regresso. La regolarizzazione fiscale non � un obbligo imposto dalla legge al possessore dell'assegno a vuoto; � la condizione o megliq l'onere al quale egli deve sottostare per potere agire in regresso. Oontro questa sentenza � stato prodotto ricorso per cassazione dall'Avvocatura per i seguenti motivi: MOTIVI DEL RICORSO Violazione e falsa applicazione degli artt. 27, secondo, terzo comma; 36 ultimo comma; 33; 8 Tariffa A parte I; del D.P.R. 25 giugno 1953, n. 492 (legge sul bollo) in relazione all'art. 119, 31 a 39, 45 a 65, del R: D. 21 dicembre 1933, n. 1736 (legge sull'assegno bancario) P-all'art. 11 della Legge 7 gennaio 1929, n. 4 (sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie) -Motivazione insufficiente e contraddittoria -Il tutto denunciato ai sensi dell'art. 360, n. 3 e 5 C.p.c. L'art. 27, secondo e terzo comma, della legge sul bollo del 1953 cos� dispone: �La cambiale ed il vaglia cambiario, compresi quelli a vista ed a certo tempo vista, nonch� l'assegno bancario� non hanno la qualit� di titoli esecutivi se non siano stati regolarmente bollati sin dall'origine o nel tempo prescritto dalla legge o, qualora si tratti di titoli provenienti dall'estero, prima che se ne faccia uso. �Il portatore o possessore non pu� esercitare i diritti cambiari inerenti al titolo se non abbia corrisposto l'imposta di bollo dovuta e pagato la relativa pena pecuniaria, salvo il disposto della nota all'articolo 8 della Tariffa�. L'art. 8 della tariffa A parte prima (riguardante gli Atti e scritti soggetti ad imposta di bollo fino dall'origine) comincia col distinguere gli assegni bancari in due categorie: 1) assegni �emessi in conformit�� del R. D. 21 dicembre 1933, n. 1736; 2) assegni� emessi non in confor.mit� � del R. n. 21 dicembre 1933, n. 1736. Le due categorie, cos� distinte, sono connaturali alle funzioni che l'assegno bancario pu� assumere nei diversi aspetti della sua cifoolazione. Nella prima ipotesi, infatti, l'assegno bancario ha una ;funzione normale e specifica di mezzo di pagamento, cui corrisponde un ciclo di vitalit� che si esaurisce con la presentazione alla banca sulla quale � tratto. E in tal caso, l'imposta che esso deve scontare � quella fissa. Nella seconda ipotesi, invece, l'assegno non ha pi� la funzione normale e specifica di mezzo di pagamento, ma usurpa quella propria della cambiale. In detta seconda ipotesi, � la irregolarit� del titolo e non gi� l'uso di esso che fa 'sorgere la violazione della legge finanziaria con il conseguente obbligo del pagamento dell'imposta propria delle cambiali ed eventualmente della pena pecuniaria. Se cos� non fosse, lo assegno bancario irregolare nel bollo all'origine si trasformerebbe in atto soggetto a bollo in caso d'uso. Dopo aver posto la cennata distinzione, l'a.rt. 8, nella � nota � apposta in calce, cos� dispone: �Ferme rimanendo le disposizioni penali e tributarie di cui al R. D. 21 dicembre 1933, n. 1736,per ottenere ai termini . dell'art. 119 del� citato decreto la regolarizzazione dell?assegno, il possessore deve, nel termine di trenta giorni, consegnare all'Ufficio del Registro copia, da esso certificata conforme, del titolo con gli estremi dell'eseguito protesto: detta copia deve essere allegata al processo verbale di accertamento della violazione da redigersi a carico dell'emitt~nte. �Agli effetti dell'art. 119 del R. D. 21 dicembre 1933, n. 1736, la indisponibilit� dei fondi esistenti presso il trattario equivale a mancanza degli stessi. �La regolarizzazione dell'assegno avviene col pagamento della sola imposta graduale di bollo nella misura stabilita per le cambiali con scadenza superiore ad un mese e non a quattro mesi�. La nota dell'art. 8 tariffa richiama, come si � visto, l'art. 119 del R. D. 21 dicembre 1933, n. 1736 (sull'assegno); e questa disposizione cos� stabilisce: �Il possessore di un assegno bancario, nel caso del n. 2 dell'art. 116 (e cio�: nel' caso della emissione di assegno senza che presso il trattario esista la somma sufficiente, ovv�ro nel caso che, dopo la emissione e prima della scadenza dei termini fissati per la presentazione, si sia disposto in tutto o in parte della somma), per esercitare i suoi diritti di regresso, deve esibire l'assegno, irregolare nei� rapporti del bollo, all'Ufficio del Registro per la regolarizzazione col pagamento della sola tassa graduale di bollo dovuta, nel termine di 15 giorni (successivamente divenuti 30, con la legge 18 luglio 1949, n. 530) dalla data della presentazione dell'assegno per il pagamen~o. In tal caso, l'Ufficio del Registro a�c'erta l!L C<_mtravvenzione al bollo soltanto in confronto dellcr emittente �. Sia sull'art. 8 della tariffa legge sul bollo che nell'art. 119 del decreto del 1933 sull'assegno, si � -117 accenna a �contravvenzione al bollo� (art. 119) e a �violazione �, ed �, quindi, il caso di precis�re che detta �violazione della legge ftnanzia;ria � � contemplata e sanzionata nella ultima parte dell'art. 36 della legge sul bollo, del seguente tenore: �Per le trasgressioni relative alle. cambiali ed altri effetti di commercio, nonch� agli atti e documenti soggetti ad imposta di quietanza, la pena pecuniaria � da cinquanta a cento volte l'imposta non pagata col minimo di lire 300 �~ � da aggiungere che la responsabilit� solidale per le � violazioni � � prevista specift.camente dall'art. 33 della legge sul bollo, ma � prevista soprattutto, in termini ampi, che, all'occorrenza, debbono� considerarsi prevalenti su quelli della citata norma specifica (vedasi art. 1 ultimo comma legge 7 gennaio 1929, n. 4 sulla repressione delle -violazioni finanziarie), dall'art. 11 di quest'ultima legge, del seguente tenore: �Se la violazione della norma delle leggi :finanziarie, per la quale sia stabilita la pena pecuniaria o la sopratassa sia imputabile a pi� persone, queste sono tenute in solido al pagamento della pena pecuniaria o della sopratassa �. Dal combinato disposto di tuttele norme sopraccitate risulta evidente che, nella ipot�si di � assegno emesso a vuoto �: a) � indubbiamente ed in ogni caso responsab�le del pagamento dell'imposta e della pena pe.cuniaria, l'emittente; �b) non � obbligato per la imposta e tanto meno � responsabile per la pena pecuniaria, il possessore dell'assegno emesso a vuoto, che abbia �presentato per il pagamento � (vedasi art. 31 a 39 legge ass.) enon intenda esercit�are i diritti di regresso, facendo rilevare con protesto o con constatazione equivalente (artt. 45 a 65 legge ai;segno) il rifi.uto del pagamento; e) � obbligato solo per l'imposta graduale, il possessore dell'assegno emesso a vuoto, il quale, avendo �presentato� (art. 31 e segg. legge ass.) l'assegno stesso al pagamento ed essendosi sentito opporre il rifiuto, intenda � esercitare i suoi diritti di regresso � e a tale fine faccia constatare con protesto o con atto equivalente (art. 45 e segg. legge ass.) il rifiuto di pagamento, e nel contempo adempia agli obblighi impostigli, nell'ipotesi qui considerata, sia dall'art. 119 della legge sull'assegno (esibire entro 30 giorni dalla �Data di presentazione per il pagamento� l'assegno irregolare all'Ufficio del Registro per la regolarizzazione col pagamento della sola tassa graduale di bollo dovuta) che dalla nota apposta all'art. 8 della tariffa A parte prima della legge sul bollo (consegnare nel termine di 30 giorni all'Ufficio del Registro, per ottenere la regolarizzazione di cui all'art. 119, copia certificata conforme del �titolo con gli estremi dell'eseguito protesto�); d) � responsabile sia dell'imposta proporzionale che della pena pecuniaria, il possessore dell'assegno emesso a vuoto, il quale, avendo �presentato al pagamento� l'assegno stesso, (a termini degli artt. 31 e sg. della legge del 1933) ed essen dosi sentito opporre il rifiuto, faccia constatare con protesto o con atto equivalente, a termini degli artt. 45 e segg. della legge del 1933, il rifiuto di pagamento ( cos� denotando l'intendimento di esercitare i diritti di regresso) e .ometta nel contempo di adempiere, nei termini, agli obblighi impostigli dall'art. 119 della legge del 1933 e dalla nota dell'art. 8 tariffa A parte prima legge sul bollo. � Ohe quella sopra espressa sia l'esatta interpretazione delle norme di legge, non. soltanto lo si ricava dal chiaro dettato e dalla ratio delle norme stesse, avendo l'avvertenza di tenere distinta la �presentazione al pagamento� (art. 31 e segg. R.D. n.1736del1933) dal� protesto� (art. 45 e segg. stesso decreto); ma � suffragato anche da autorevole dottrina. Scrive, infatti; ilBerliri a pag. 178 del suo volume La legge del bollo (ed. 1957): �Ora; poich� l'art. 3 di tale decreto (del 1933) dispone che �l'assegno bancario non pu� essere emesso se il traente non abbia. fondi disponibili presso il trattario dei quali abbia diritto di disporre in conformit� di.una convenzione espressa.o tacita�, l'assegno a vuoto (l'assegno, cio�, tratto senza che esista una provvista di denaro sufficiente per il suo pagamento) :non � un assegno emesso in.conformit� di tale decr�to e quindi � soggetto non gi� alla sola tassa ft.ssa ma a quella graduale. � quanto conferma, del resto, l'art. 119 della stessa legge sull'assegno, giusta il quale il possessore di un assegno emesso senza copertura, per esercitare i suoi diritti di regresso, deve esibire l'assegno irregolare nel bollo all'Ufficio del Registro �per la regolarizzazione col pagamento della sola tassa graduale di bollo dovuta, nel termine di 15 giorni (nota: 30, in dipendenza della legge 18 .luglio 1949, n. 530) dalla data della presentazione dell'assegno per il pagamento. �In tal caso, l'Ufficio del Registro accerta la contravvenzione al bolfo soltanto nei confronti dell'emittente�. �La.nuova legge di bollo ha integrato tale.disposizione stabilendo, nelle note all'art. 8 della tariffa che �il possessore deve, nel termine di 30 giorni, consegnare' all'Ufficio del Registro copia, da esso certificata conforme, del titolo con gli estremi dell?eseguito protesto: detta copia deve essere allegata. al processo verbale di accertamento della violazione da redigersi a carico dell'emittente�. Poich� il termine �decorre dalla data del protesto e poich� nessuna norma di legge obbliga il possessore di un assegno a levare il protesto quando se ne veda rifiutare il pagamento, � ovvio che l'obbligo di presentare l'assegno all'Ufficio del Registro e di regol�rizzarlo mediante pagamento del relativo tributo non � un obbligo assoluto che nasce dal fatto di aver presentato per l'incasso un assegno non. coperto da un adeguato deposito, ma � un obbligo condizionato all'elevamento del :protesto o, meglio,. un obbligo che nasce dalla redazione._ del protesto. La ragione di ci�, � trasparente: il legislatore fiscale non ha creduto di dover costringere il possessore di un assegno privo di copertura (e che, per ci� solo �, nel novantanove per cento -118 dei casi, rimasto con un pugno di mosche in mano) a sopportare le spese del protesto e a pagare l'imposta di bollo. Se, invece, il possessore dell'assegno richiede il protesto (dimostrando cos� di volersi avvalere dell'assegno), allora sorge a suo carico l'obbligo di chiedere la regolarizzazione�. Attraverso le considerazioni fin qui svolte, pu� individuarsi l'errore in cui � incorsa la Corte d'Appello di Firenze, quando ha affermato� cli.e, dovendosi escludere la consapevolezza della irregolarit�, nessuna responsabilit� pu� farsi risalire al possessore dell'assegno emesso a vuoto e conseguentemente neppure una responsabilit� solidale con l'emittente, presupposti della quale sono, da un lato, lar partecipazione alla violazione nel momento in cui l'emittente compila l'assegno e lo pone in circolazione, e, dall'altro, la coscienza e la volont�, effettiva o presunta, d::i, parte sua, di rendersi partecipe, vuoi direttamente vuoi indirettamente, di una infrazione fiscale che si manifesta soltanto a� seguito del �protesto con il quale si attesta la inesistenza e la indisponibilit� dei fondi �. L'errore della Corte si concreta nell'aver confuso, unificato e reso inscindibili i momenti -che sono distinti (vedansi artt. 31 a 44 e artt. 4.5 a 65 legge assegno) -della.� presentazione al pagamento � e della � constatazione del rifi.1J.tO al pagamento con protesto o atto equivalente �; e nell'avere collegato con l'istituto cos� arbitrariamente unificato, la consapevolezza o meno, e quindi la partecipazione o meno del possessore dell'assegno emesso a vuoto, alla violazione della legge fi.nanziaria. � esatto che, al momento in cui l'assegno a vuoto viene ricevuto, il possessore (tranne che non sia, come nella specie, lo stesso trattario) non ha nessuna consapevolezza e non pu� avere nessuna responsabilit� dell'irregolarit� fiscale. Ma, codesta mancanza di consapevolezza e di responsabilip�, anzi� di corresponsabilit� (con l'emittente), della infrazione, viene nieno, per preciso dettato di legge (art. 119 legge assegno), quando sia stata effettuata la �presentazione dell'assegno per il pagamento �. Dalla data di tale presentazione, il possessore dell'assegno che si sia visto rifiutare il pagamento, non � pi� ignaro, ma non � ancora n� obbligato per l'imposta graduale n� corresponsabile (con l'emittente) per la pena pecuniaria. Se egli si limita a prendere atto, per propria conto, del risultato negativo della presentazione all'incasso, tutto si ferma a quel punto, e la legge fiscale non pretende da lui n� imposta n� pena pecuniaria. Ma, se ilpossessore, vistosi rifiutare il pagamento, fa elevare la constatazione formale di tale rifiuto di pagamento, e denota cos� di voler �esercitare i suoi diritti di regresso �compiendo il primo atto del �regresso per mancato pagamento � (Capo VI, art. 45 legge assegno), in tal caso la legge fiscale pone il possessore stesso di fronte a due alternative: 1) regolarizzare, pagando la sola imposta graduale e osservando, nei termini, quegli obblighi il cui adempimento pone l'Ufficio del Registro in c_ondizioni di elevare il processo verbale di accer tamento della infrazione finanziaria a carico del solo" emittente; 2) non regolarizzare e non _adempiere agli obblighi anzidetti nei termini di legge, e per ci� stesso impedire che l'assegno,. non regolarmente bollato sin dall'origine, non lo sia neppure � nel tempo prescritto dalla legge� (art. 27, secondo comma, in relazione alla nota dell'art. 8 tariffa A parte prima legge sul bollo e all'art. 119 legge sull'assegno). Nella prima ipotesi, il possessore dell'assegno a vuoto pagher� (per regolarizzare) la sola imposta graduale. Nel secondo caso, ovviamente, avendo impedito che la regolarizzazione, col pagamento dell'imposta graduale di bollo, avvenisse nel termine di legge, il possessore dell'assegno a vuoto, non soltanto pagher� l'imposta proporzionale previstar per le cambiali, ma cadr� anche sotto sanzione dell'art. 36 ultimo comma legge sul bollo e risponder� della pena pecuniaria solidamente con l'emittente, ai sensi dell'art. 11 della legge 7, gennaio 1929, n. 4 e, se del caso, anche ai sensi della specifi.ca norma dell'art. 33 legge sul bollo (che -si ripete -non modifi.ca la legge del 1929, stando a quanto stabilisce l'art. 1, ultima parte, di questa ultima). Concludendo, la decisione della Corte fiorentin~, essendo in contrasto con le sopraccitate norme di legge ed essendo incorsa, oltretutto, in moti-~azione difettosa nei cennati punti decisivi della controversia, deve essere cassata con rinvio del giudizio ad altra Cor~e. IMPOSTA DI REGISTRO -Opposizione a ingiunzione -Inapplicabilit� del Foro dello Stato. (Tribunale di Firenze 15 aprile =1961 -Consorzio Bonifica OsaAlbenga c. Finanze). Competente a conoscere delle oppos1z10ni a ingiunzione per il pagamento d'imposta suppletiva di registro � il Tribunale del luogo in cui ha sede l'Ufficio, �he ha emesso la ingiunzione, non quello in cui ha sede l'Avvocatura dello Stato. Oontro questa sentenza � stato dall'Avvocatura proposto ricorso per regolamento di competenza per il motivo appresso trascritto. MOTIVO DI DIRITTO Violazione e falsa applicazione dell'art. 8 R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 in relazione all'art. 360 C.p.c. nn. 2-3. Il Tribunale di Firenze affermando che le controversie di opposizione contro le . ingiunzioni emesse a norma del Testo unico 14. aprile-19101.� n. 639 sono sempre di competenza del giudice del luogo ove ha sede l'Ufficio che ha emesso l'ingiunzione a norma dell'art. 3 di detto Testo unico � incorso in una macroscopica violazione di legge. -119 Non v'ha dubbio che la natura di procedimento esecutivo attribuito al giudizio di opposizione importa l'applicazione dell'art. 7 del Testo unico 30 ottobre 1933, n. 1611, con la conseguenza che l'opposizione stessa, a sensi dell'art. 3 del Testo unico 14 aprile 1910, n. 639, deve essere proposta innanzi l'autorit� giudiziaria, competente per valore, del luogo in cui ha sede l'ufficio che ha emesso l'ingiunzione, venendosi cos� a derogare sia alla competenza del foro dello Stato, che alla competenza indicata dagli artt. 615 e 617 C.p.c. Peraltro, le norme sulla competenza del foro dello Stato non subiscono alcuna deroga in materia di tasse e sopratasse. Il Tribunale di Firenze non ha rivolto alcuna considerazione alla natura tributaria del credito oggetto della ingiunzione. La giurisprudenza di codesto Supremo Collegio, citata dal predetto Tribunale, � quella relativa alle opposizioni alle ingiunzioni intimate per la riscossione delle entrate patrimoniali e non delle entrate tributarie. Poich� in causa si discuteva del regime tributario cui sottoporre Patto di apertura di credito indicato in narrativa il Tribunale di Firenze � incorso manifestamente nella denunciata violazione dell'art. 8 del R. D. 30 ottobre 1933, n. 1611 il quale testualmente dispone che: � la decisione delle controversie giudiziali riguardanti le tasse e sovratasse, anche se insorte in sede di esecuzione, spetta in prima istanza, quando sia parte la Amministrazione dello Stato, al Tribunale civile del luogo dove risiede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato, nel cui distretto troyasi l'ufficio che ha liquidato la tassa o la sovratassa controversa �. Rettamente era stato, quindi, adito il Tribunale di Firenze e l'affermata competenza del Tribunale di Grosseto � manifestamente contra legem. RESPONSABILITA' CIVILE -Contrattuale -Limita� zioni legali -Validit�. (Corte d'Appello di Milano, 14 febbraio 1961 -S.p.A il Borghese -PP. TT.). Il privato ha un dii'itto soggettivo alla prestazione, oggetto di pubblico servizio, che la P. A. si � impegnata a rendergli, ma non pu� sindacare le modalit� organizzative del servizio. � legittima la limitazione di responsabilit� della P. A. nella prestazione del servizio, ancorch� riconosciuta in via preventiva e generale da una legge (art. 7 R. D. 27 febbraio 1936, n. 645), ed � perci� esclusa ogni responsabilit� dell'Amministrazione postale per s~arrimento di corrispondenza ordinaria. Si trascrive la motivazione della sentenza, che in adesione alla tesi dell'Avvocatura, fa puntuale e rigorosa applicazione di principi di diritto che ci sembrano inconfutabili. Il fatto, denunciato dalla Societ� appellante come produttivo di un pregiudizio economico al suo pa trimonio (mancato rinnovo di abbonamenti al periodico) e di un discredito idoneo a cagionarle ulteriori danni patrimoniali, consiste nella tardiva e, talvolta, nell'omessa consegna del settimanale agli abbonati. � � Tale fatto � addebitabile alla Pubblica Ammini strazione,� in quanto la stessa si � assunta la pre stazione. del servizio postale al pubblico; ed in concreto si � impegnata con la Societ� appellante alla consegna periodica del settimanale agli abbo nati indicati, secondo il sistema cos� detto . della � spedizione in abbonamento postale gruppo II �, come ha affermato la S. p.A. �il Borghese � e la difesa della P. A. non contesta. Ci� premesso in fatto, merita precisare che il titolo in virt� del quale �il Borghese � potrebbe pretendere ilrisarcimento di un pregiudizio subito, sarebbe ipotizzabile o nell'adempimento di una obbligazione o in un comportamento che violi l'obbligo generico del neminem laedere. Come bene ha giudicato il Tribunale, anche la Corte ritiene che n� per l'uno n� per l'altro titolo spetti alla Societ� �il Borghese� alcun risarcimento. In relazione alla prima ipotesi, che configura quella che, genericamente, si qualifica come �responsabilit� contrattuale �, si constata che, in effetti, la P. A. si assume, in determinati casi, l'obbligo di rendere direttamente ai singoli dei servizi o in concorso con privati (come, ad esempio, talvolta per. il servizio fflrroviario) o in via esclusiva (come per il servizio postale). Se � vero che tale assunzione diretta di un servizio al pubblico presuppone, normalmente, un interesse generale e che la gestione del servizio spetti (in prevalenza o esclusivamente) allo Stato, tuttavia non si pu� escludere che, accanto a tale interesse generale (ed al correlativo interesse semplice del singolo alla buona gestione del servizio pubblico) sussista un interesse del singolo �a fruire, in concreto, di tali prestazioni, rese dalla P. A., ed a goderne nel modo e con il risultato pi� favorevole. Quando infatti il singolo chiede alla P. A. la prestazione del servizio, e la P. A. accetta tale richiesta, s'instaura fra il singolo e la P. A. un rapporto giuridico che trova la sua fonte in un negozio, della cui natura non � qui necessario discutere. � tuttavia innegabile che tale rapporto (che la dottrina amministrativistica ha qualificato �di prestazione �) �, a sua volta intessuto di diritti e di correlative obbligazioni di origine negoziale: la cui violazione pu� costituire titolo di responsabilit�, che pu� considerarsi contrattuale in senso lato, anche se fra privato e P. A. non � stato stipulato un contratto nello stretto significato privf!,tistico. Che il privato divenga titolare di un vero e proprio diritto soggettivo ad ottenere la prestazione, una volta che la P. A. si � impegnata a rendergli, in concreto, il servizio richiesto, pare debba riconoscersi. Infatti, ammesso che nel momento in cui la P.A. accetta di prestare il servizio richiesto ( per la cui prestazione, normalmente, il privato corrisponde il prezzo, sotto l'aspetto di tassa in via -1:?0 anticipata) ha vita un negozio bilaterale, non potrebbe immaginarsi che, a negozio concluso, una delle parti, la -P. A. -possa sottrarsi per decisione unilaterale all'adempimento dell'impegno assunto. � invece legittima una limitazione di responsabilit� della P. A. in via generale e preventiva, che le sia riconosciuta da una norma di legge. Trattasi dell'applicazione del principio sancito dall'art. 2740 comma 2� O.e., di cui naturalmente pu� beneficiare, come qualunque soggetto, anche la P. A. Nella specie, per quanto riguarda il servizio postale, tale limitazione � validamente ammessa in virt� dell'art. 7 del R. D. 27 febbraio 1936, n. 645, che sottrae la P. A. all'obbligo di rispondere di fronte al privato che ha chiesto il servizio, eccetto per alcuni casi, espressamente previsti nello stesso testo legislativo: perdita di corrispondenza raccomandata (art. 44); manomissione, perdita ed avaria di assicurate (art. 45); manomissione perdita ed avaria di pacchi postali (art. 68), Di fronte alla norma legislativa � erroneo il richiamo dell'appellante all'art. 1229 cortlma 10 O.e. che prevede la nullit� dei patti che escludono� o limitano la responsabilit� del debitore per dolo o per colpa grave. La limitazione che qui interessa infatti non ha fonte nell'autonomia contrattuale ma in una disposizione di legge. Non si comprende perch� tale preventiva limitazione di responsabilit� dovrebbe costituire violazione dei principi costituzionali sanciti dagli art. 98 e 113 della Carta Costituzionale, come vorrebbe l'appellante. Non si tratta infatti di negare al privato la tutela giurisdizionale di un suo diritto, dato che, per la preannunciata ed accettata, contrattualmente, �limitazione di responsabilit� (all'atto della richiesta del servizio da ottenersi cos� come promesso dalla P. A.) il privato non diviene titolare di diritti soggettivi se non nei �limiti circoscritti dallo accordo che da vita al negozio. Vapp�llante ha citato, inoltre; l'art. 98 lo comma della Costituzione; ma evidentemente intendeva riferirsi all'art. 97, 10 comma, di cui infatti ha riprodotto il testo (vedi atto di appello, pag. 6). La Corte tuttavia, pur dando atto che la parte intendeva lamentare la violazione di tale ultima norma, ritiene che anche sotto questo profilo la questione di incostituzionalit� sia manifestamente infondata. Infatti, se i pubblici uffici devono essere organizzati in modo che sia assicurato il buon andamento dell'Amministrazione, ci� non esclude la insindacabilit� del modo in cui, in concreto, l'Amministrazione, nell'ambito del suo potere discrezionale, ha creduto di organizzare i propri uffici, dei criteri seguiti e dell'apprezzamento che la stes.sa ha fatto della loro idoneit� allo scopo. Riconosciuta cosi la legittimit� della limitazione di responsabilit� negoziale per il servizio postale, resta da constatare se la mancata o tardiva consegna agli abbonati della rivista, ipotizzi un caso di responsabilit� dell'Amministrazione postale. Ci� � da escludersi, trattandosi di corrispondenza ordinaria, non raccomandata n� assicurata, per la quale la P. A. non assume responsabilit� nel caso di smarrimento, manomissione, tardiva consegna. Devesi pertanto passare ad esaminare se sussiste una responsabilit� della P. A. per fatto illecito ex art. 2043 O.e. � opportuno ricordare che l'illecito generatore di un danno giuridico (e non solo di un mero pregi�dizio economico)� postula in ogni caso la violazione di un diritto soggettivo. . Orbene, nella specie, non si ravvisa quale diritto soggettivo possa considerarsi violato. Innanzi tutto va ribadito che il privato non pu� sindacare le modalit� organizzative del servizio reso dallo Stato. Tale organizzazione come si � sopra rilevato, obbedisce a criteri di discrezionalit� da parte dell'organo pubblico, cui la gestione del servizio � affidata; e giudicare della bont� dell'organizzazione che presiede alla prestazione del servizio, equivarrebbe a riconoscere al privato non il diritto ad ottenere la prestazione pattuita ma una inammissibile facolt� di controllo sui mezzi che l'Amministrazione sceglie per soddisfare al proprio obbligo di rendere la prestazione pattuita. Potrebbe, se mai, discutersi se il comportamento doloso o colposo di un funzionario, o pubblico dipendente, addetto al servizio postale, da cui consegua un pregiudizio patrimoniale al privato, naturalmente sempre nella sfera della prestazione del servizio pubblico, possa far nascere una corresponsabilit� solidale pella P. A. per l'illecito, fondata sull'art. 28 della Costituzione. La Oorte ritiene che, in determinate condizioni, tale corresponsabilit� della P. A. per il comportamento doloso o colposo del proprio dipendente possa ipotizzarsi. Ma spetta a chi lamenta il danno dimostrare che sussiste l'illecito addebitabile al pubblico dipendent. e e dallo stesso commesso in violazione dei propri doveri; ch�, in difetto di tale prova, potrebbe essere dubbio se l'inconveniente lamentato dal privato non dipenda invece dalle modalit� di organizzazione del servizio; sia sottratto quindi alla valutazione del giudice; ed anzich� a danno giuridico ex illecito ci si trovi di fronte� ad un mero pregiudizio economico del privato, non risarcibile. Nella specie l'appellante non fa cenno all'ipotesi del d�lo o di colpa di qualche pubblico dipendente ma insiste nel lamentare genericamente la cattiva organizzazione del servizio. Non resta perci� che ritenere non provata. la sua pretesa in ordine ad un diritto a risarcimento per illecito; e confermare quindi la sentenza del Tribunale anche. sotto tale aspet.to. RISCOSSIONE COATTIVA -Indennizzo. per uso illegittimo di bene demaniale -Inammissibilit�. (Corte d'Appello di Bologna, 28 marzo 1961 -Finanze c. S.p.A. Cave Reno). La Pubblica Amministrazione non pu� procedere, ai sensi del Testo Unico 1910, alla riscossione-dello � indennizzo per abusivo godi:rp.ento di un bene de-� mania.le, salva l'ipotesi di concessione scaduta nella quale tale indennizzo sia commisurato al c~none originario. Si trascrive la motivazione in diritto della sentenza. Sulle argomentazioni della sentenza e sui motivi di gravame la Corte osserva che due dati di fatto possono dirsi in causa pacifici per concorde ammissione dell'Amministrazione Finanziaria e, in questo grado di appello, anche della Soc. �Cave Reno �: il primo . che il terreno goduto dalla societ� appartiene al demanio idrico, necessario e naturale, dello Stato; il secondo che nessun atto di concessione regol� siffatto godimento, sia perch� il permesso o licenza, rilasciato il 27 giugno 1950 dal Genio Civile, in base all'art. 97 lettera M del Testo unico del 1904 sulle opere idratiliche, era limitato all'estra_. zione di ciottoli e ghiaia dall'alveo del fiume ed incideva �nei soli riguardi idraulici �, sia perch� esso, per giunta inefficace per non avere s�ontato le previste tassazioni (art. 2 del Decreto presidenziale n. 112 del 1953, ed art. 167 della tabella allegato A), non emanava dall'Amministrazione Demaniale, unica dotata della relativa competenza per il R. D. 18 novembre 1923, n. 2440 sull'Amministrazione del patrimonio e sulla Contabilit� Generale dello Stato. Il terreno de quo fu, pertanto, occupato e goduto senza un titolo legittimo da parte della �Cave Reno��; e 'perci� il thema decidendum si pone negli identici termini in cui fu proposto ai primi giudici; se, cio�, possa l'Amministrazione creditrice avvalersi, dell!li procedura ingiuntiva regolata dal Testo unico del 1910~ per ripetere un credito di natura risarcitoria, la determinazione del quale � stata dalla stessa Amministrazione� :fissata, senza riferimento ad un canone di concessione, 'tra le parti mai convenuto, per inesistenza dell'atto relativo. La sentenza impugnat� ha ritenuto di risolvere negativamente il quesito, facendo per� un'enunciazione di carattere generale, che per la sua assolutezza .non pu� integralmente essere-condivisa dalla Corte. / Ha osservato, infatti, la sentenza che il titolo, su cui si fonda il credito dell'Amministrazione, quando essa lo esiga mediante ingiunzione, non pu� essere rappresentato dallo stesso atto ingiuntivo, ri:ta deve� aver sempre una fonte negoziale: talch�, nel caso di godimento abusivo di beni demaniali, mai � potr�bbe. l'Amministrazione determinare con l'ingiunzione il credito da risarcimento e pretenderne il pagamento. Orbene, che il credito, di cui si discute, ab'bia natura risarcitoria non sembra dubbio alla Corte, Mnsiderando che esso trova la sua causa nel godimento abusivo del bene, e non gi� dell'uso eccezionale di esso, il quale ha per necessario presupposto un atto di concessione: onde non pu� contestarsi la competenza-giurisdizione del giudice ordinario 'e stabilirne. l'ammontare, come la stessa Ammininistrazione :finisce col riconoscere, ammettendo che, in via di opposizione, possa sempre l'ingiunto contestare davanti il giudice ordinario sia l'an che il quantum debeatur. Per contro, l'enunciazione, contenuta nella sentenza, deve subire un temperamento, in conformit� della costante giurisprudenza di questa Corte, aderente ai principi che reggono le concessioni di beni demaniali: e ci� nel senso che se una concessione sia stata rilasciata e sia poi venuta a scadenza, ed il concessionario abbia contgmato :nelgqdimento del bene, l'Amministrazione possa esigere con la procedura ingiuntiva il risarcimento del danno, commisurandolo al canone pattuito, salvo sempre la prova da parte sua dell'esistenza di un eventuale maggiore danno, analogamente a quanto stabilisce per le locazioni l'art. 1591 O.e. � Nel caso di specie, per�, un atto di concessione non ha mai disciplinato i rapporti tra l'Amministrazione demaniale e la �Cave Reno �; e perci� il credito risarcitorio, privo del necessario antecedente per procedere alla sua concreta, automatica liquidazione, pu� essere fatto valere dall'Amministrazione soltanto attraverso le ordinarie vie processuali. In contrario non vale obbiettare che sarebbe pur sempre un provento del bene demaniale, riscuotibile con la procedura privilegiata, quello derivante dall'abusiva occupazione, perch� per provento deve intendersi il corrispettivo versato dall'utente dello Stato per l'uso temporaneo ed eccezionale del bene, mentre, come si � gi� accennato ed a prescindere da altre ragioni, nel caso di specie difetta la concessione e difetta la possi bilit� di commisurare al canone l'entit� del risarcimento. Neppure giova richiamarsi al principio dell'autotutela, spettante all'Amministrazione sui beni demaniali, ed al potere di autoaccertarsi propri crediti, che in linea generale deve esserle riconosciuto, facendo specifico riferimento all'articolo 823 O.e., perch� codesto articolo regola, accanto alla ordinaria tutela giurisdizionale, null'altro che i poteri di polizia demaniale, cio� l'attivit� che l'Amministrazione pu� svolgere per garantire l'integrit� materiale dei beni ed il diritto di propriet� pubblica su di essi, con la possibilit� di accertare mediante verbale di contravvenzione qualunque arbitraria occupazione o modificazione e di farla cessare con ordini immediatamente esecutori, e non il potere di autoliquidare il credito da risarcimento eventualmente conseguente a siffatti abusivi comportamenti. Ne, infine, un principio generale in materia di crediti della specie ora enunciata esigibili con la procedura ingiuntiva pu� ravvisarsi nell'art. 17 del Testo unico n. 1775 del 1933 sulle acque e .sugli impianti elettrici, che detta le norme per la regolarizzazione delle utenze abusive, in via di sanatoria, sottoponendo allo stesso trattamento anche le utenze provvisorie e ci� per le ragioni egregiamente adotte nella sentenza impugnata, che si appuntano sul rilievo che il bene tutelato � l'acqua pubblica e non il suolo demaniale, e che il canone delle utenze idrauliche � stabilito in misura fissa, ragguagliato a misure unitarie di capacit�.e di forza motrice, onde all'Amministrazione non � concesso �alcun margine di discrezionalit� nel liquidarlo in via di sanatoria e a titolo di risarcimento quando l'utente, all'uopo diffidato, non provveda a uniformare alla legge la :propria posizione. -122 Contro la sentenza � stato dall'Amministrazione interposto ricorso per Oassazione per i motivi che riportiamo qui appresso;. Violazion~ e falsa applicazione degli artt. 1,2, 3, 4 e segg. del Testo unico 14 aprile 1910, n. 639 in relazione all'art. 360 n. 3 C.p.c. L'ingiunzione amministrativa o fiscale, regolata istituzionalmente dal Testo unico 14 aprile1910, n. 639, � l'atto formale di un procedimento monitorio sui gen�ris, apprestato per la sollecita riscos-� sione delle entrate patrimoniali dello Stato e di altri enti pubblici e applicabile � anche ai proventi del demanio pubblico� e dei pubblici servizi esercitati dallo Stato e dagli enti sopra menzionati�. Essa � una estrinsecazione del potere di supremazia dello Stato e di detti enti ed ilprincipio della sua esecutoriet� si giustifica, sotto il profilo politico, con la ragione dei fini di necessaria utilit� generale, perseguiti dalla Pubblica Amministrazione; sotto il profilo giuridico, con la presunzione di legitti' mit� che assiste gli atti della medesima. Deriva da ci� che la ingiunzione pu�,prescindere dalla precostituzione di un titolo e dalla preventiva dichiarazione di legittimit� della corrispondente pretesa della P. A. � Cos� inquadrata, l'ingiunzione cumula in s� le caratteristiche del titolo esecutivo stragiudiziale e del precetto, di guisa che la opposizione del debibitore costituisce domanda giudiziale ed apre e introduce un ordinario processo di cognizione avente fondamentalmente per oggetto l'azione volta a � contestare l'esistenza o la legittimit� della pretesa della Pubblica Amministrazione,. con la conseguenza che si invert� la posizione processuale e l'intimato opponente diventa attore, mentre l'Amministrazione creditrice assume la veste di convenuta. Gli esposti principi si desumono da una copiosa giurisprudenza della Corte Suprema, le cui pronunce pi� recenti e pi� perspicue sono, oltre alle sentenze delle Sezioni Unite 19 aprile 1955, n. 1079 (in Giust. Oiv. 1955, 88 e in Foro Ital. 1955, I, .810) e 6 febbraio 1959, n. 381 (in Giust. Oiv. 1959, I, 1094), le sentenze 10 ottobre-18 dicembre 1956, n. 4453 (Oascianelli contro Amministrazione Demaniale dello Stato, in Riv. dir. fin. 1957, II, 128), 7 marzo 1959, n. 683 (in .Giur. Ital. 1959, I, 1, 517), 31 marzo 1959, n. 954 (in Foro Ital. 1959, I, 1433). Allontanandosi dai predetti insegnamenti, la Corte di Appello di 'Bologna ha ritenuto essenzialmente che �il titolo su cui si fonda il credito della Amministrazione, quando essa lo esiga mediante ingiunzione, non pu� essere rappresentato dallo stesso atto ingiuntivo, ma deve avere sempre una fonte negoziale: talch�, nel caso di godimento abusivo di beni demaniali, mai potrebbe la Amministrazione determinare con l'ingiunzione il credito da risarci . mento e pretenderne il pagamento �, a meno che �una concessione sfa stata rilasciata e sia poi venuta a scadenza, ed il concessionario abbia continuato nel godimento del bene�. Solo in quest'ultima ipotesi (che non si � verificata nella fattispecie di causa), la Amministrazione potrebbe -sempre secondo la Corte di Appello -esigere con la pro cedura ingiuntiva il risarcimento del danno, com misurandolo al canone pattuito, ~llilvo sempre la prova da parte sua dell'esistenza di un eventuale maggior danno, analogamente a quanto stabilisce per le locazioni l'art. 1591 O.e. In ogni altro caso �il credito risarcitorio, privo del necessario antecedente per procedere alla sua concreta, automatica liquidazione, pu� essere fatto valere dalla Amministrazione soltanto attraverso le ordinarie vie processuali�. Siffatte statuizioni violano �i p�'incipi giuridici . che, come si � sopra detto, giustificano il pro<'edimento d'ingiunzione fiscale. � Se questo procedimento � apprestato, per la sollecita riscossione delle entrate patrimoniali e dei proventi del demanio pubblico, dello Stato e di altri enti pubblici; ed in vista di tale sollecita riscossione prescinde dalla precostituzione di un titolo, rappresentando, la pretesa della P. A., ri vestita delle forme della ingiunzione fiscale, il titolo esecutivo stragiudiziale ed il precetto; pare chiaro che, accettando le affermazioni della Corte di Ap pello, si finirebbe con lo svuotare di significato e di effetto, e quindi di funzionalit�, l'apposito stru mento (ingiunzione) accordato alla P. A. proprio perch� tale. Si tenga presente, da un lato, l'entit� del patri monio, del demanio pubblico, dei servizi pubblici, di cui sono titolari lo Stato ed altri importanti enti pubblici; e si considerino, dall'altro lato, le innu merevoli ipotesi di posizioni abusive o semplice mente irregolari in cui vengono a trovarsi, dolosa mente o colposamente o anche senza colpa, i pri vati cittadini in ordine a detti beni e servizi. Si avr�, in tal modo, una ampia gamma delle pi� rilevanti esigenze a cui deve sopperire la Pubblica Amministrazione con il predisposto agile strumento politico-giuridico dell'ingiunzione amministrativa o fiscale di pagamento. Se l'operativit�, la funzionalit� di siffatto stru mento, accordato -giova ripeterlo ..:._ alla Pub blica Amministrazione perch� tale, dovessero essere negate, in via di principio, ogni qualvolta non sia stato precostituito il titolo negoziale o giudiziale, e quindi proprio quando l'esigenza, di determinare e � riscuotere l'entrata o il provento, diviene pi� pre ssante per la P. A., le norme del Testo unico de:t 1910 non avrebbero alcun senso concreto e mal si comprenderebbero l'importanza e la vitalit� che sempre, finora, sono state ad esse riconosciute in campo giurisprudenziale e dottrinale e nello stesso campo legislativo e regolamentare. N� si potrebbe obiettare che, accogliendo la teei della legittimit� dell'esercizio del potere di autoac certamento e di ingiunzione della P. A., si vulnera il principio sancito dell'art. 474 C.p.c. e si pregiu dica il corrispondente diritto deU'ip.t~:i:nato a non subire esecuzioni forzate se non �in virt�_di_un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido el esigibile �. Siffatta obiezione non sarebbe valida, da un canto, perch�, secondo la costante giurisprudenza -123 della Corte Suprema, il procedimento regolato dal Testo unico del 1910 � un procedimento monitorio sui generis, autonomo rispetto alle norme generali del codice di rito (Cass. 22 aprile 1953, Finanze contro Comune di Mese, in Riv. leg. fisc. 1953, 791; Cassazione, 17 luglio 1953, Sportelli contro Finanze, in Riv. leg. fisc. 1953, 1106; e successive sentenze avanti citate); dall'altro perch�, 11ttraverso l'opposizione dell'intimato, prevista negli art. 3 e 4 dello stesso Testo unico, il privato ha la facolt�, sia pure assoggettandosi all'inversione del normale onere di prova, di neutralizzare (con l� sospensione) e, se del caso, eliminare la esecutoriet� e la presunzione di legittimit� che assiste la pretesa (racchiusa nell'ingiunzione fiscale) della P. A., introducendo un procedimento cognitor�o analogo a quello dell'opposizione a precetto di cui all'art. 615 primo comma C.p.c. In tal caso, il giudice adito non deve limitarsi ad esercitare un mero sindacato di� legittimit� e di annullamento dell'ingiunzione fiscale, ma deve conoscere del rapporto o della situazione giuridica dalla quale traggono origine le contrapposte pretese delle parti, e decidere, in conseguenza, nel merito. In altre parole, il giudice deve, nell'ipotesi considerata, giudicare, nel merito, sull'esisten~ e sull'ammontare del credito della P. A., derivante dalla situazione o dal rapporto giuridico realmente intercorso o intercorrente fra la P.� A. e il privato. Che questo giudizio di cognizione si debba svolgere con ampiezza, anche al di fuori �delle mere ed inesatte enunciazioni o definizioni form11li contenute nell'atto ingiunzionale, � insegnamento che si ricava dalla motivazione della sentenza 7marzo1959 n. 683 (Giur. It. 1959, I, 1, 517) della II sezione civile della Corte Suprema, e dalla sen.tenza 10 ottobre- 18 dicembre 1956, n. 4453 della Prima sezione (Riv. dir. fin., 1957, II, 128). II) Violazione e falsa applicazione dell'art. 823 O.e., delle norme del Testo unico 14 aprile 1910, n. 639, citate nel primo mezzo, e dei principi generali di diritto sulla condizione giuridica del demanio pubblico e sui correlativi poteri della P. A. Il tutto denunziato ai sensi dell'art. 360 n. 3 e 5 C.p.c. La Corte di Appello di Bologna ha ritenuto di escludere il potere di autoaccertamento del credito derivante dalla abusiva occupazione di un bene demaniale, sostenendo che tale credito, per la sua natura risarcitoria, non potrebbe essere accertato, in ordine all'an e in ordine al quantum, che dalla Autorit� Giudiziaria. In tal modo la Corte ha violato il principio giu ridico racchiuso nell'art. 823 O.e. ed in genere i principi generali di diritto sulla condizione giuridica ael demanio pubblico e sui correlativi poteri della Amministrazione dello Stato. Deve rilevarsi, infatti, che la particolare natura di un bene demaniale, occupato senza titolo, legittima il potere di autoaccertamento dell'Amministrazione, essendo tale accertamento diretto a determinare il corrispettivo dovuto dal privato per l'uso particolare, senza titolo, del bene demaniale. In altri termini, ilprivato, occupando senza titolo il bene demaniale, viene con ci� stesso a sottoporsi al potere che � devoluto all'Amministrazione in relazione alla natura del bene, �, pertanto, non pu� d'llersi della determinazione fatta dalla st�ssa .Amministrazione in ordine alla entit� della pubblica entrata che deve corrispondere all'uso particolare del bene stesso. E ci�, senza dire che una parte autorevole della dottrina ha addirittura riconosciuto natura tributaria al provento d:erivante dall'uso del bene demaniale. D'altra parte, deve considerarsi che,' come l'Amministrazione ha il potere di estromettere manu militari, e senza ricorrere al. giudice, l'occupante abusivo del bene demaniale, cos� essa pu� reintegrarsi, con �suo provvedimento, di quelle entrate di diritto pubblico connesse all'uso particolare del bene demaniale e delle quali � stata privata per il fatto materiale dell'abusivo occupante. N� potrebbe obiettarsi che la lettera dell'art. 823 e.e. osterebbe a tale interpretazione del potere di autotutela, sia perch� in effetti il testo della norma non esclude in alcun modo una lata applicazione del principio di autotutela, sia perch� la norma stessa sembra piuttosto diretta ad affermare la facolt� dell'Amministrazione di rivolgersi anche alla autorit� giudiziaria per la tutela dei beni demaniali, che non a concedere la menzionata potest� di autotutela, potest� insita nella natura stessa del demanio. Per modo che si potrebbe affermare che l'autoaccertamento del credito, derivante dalla abusiva occupazione del bene demaniale, trova essenzialmente la sua causa non in una pretesa risarcitoria, ma nella estrinsecazione della potest� pubblicistica, demandata esclusivamente alla Amministrazione, di consentire l'uso particolare del bene demaniale stesso e di determinare la pubblica entrata che da tale uso obbiett.ivamente deriva. SEQUESTRO -Sequestro conservativo -Procedimento civile -Conversione di sequestro conservativo in pignoramento -Decisioni della Corte dei' Conti Termine per il deposito della sentenza esecuti':'a di condanna. (Tribunale di Tempio Pausania, 17 giugno 1960 -Pres.: Mereu; Est.: Quidaciolu -Pisotti c. Finanze). �Ai fini della conversione in pignoramento del sequestro conservativo disposto dal Presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti ai sensi dell'art. 48 del regolamento di procedura il termine previsto dall'art. 156 disp. att. O.p.c. non decorre dalla data di pubblicazione della decisione bens� dalla data della trasmissione di quest'ultima da parte del Segretario della Sezione al Procuratore Generale�. �� � La sentenza del Tribunale di Tempio, ha nel modo pi� retto e conforme al diritto, giudicato su di una questione la cui dolicatezza appare evidente ,_ 124 poich� con�e'i'netJ,te il tema della ese��zione delle de cisi-ani della Oorte dei Oonti. Ed 'invero, l'art. 156 disp. att. O.p.c. prescrive che, ai fon.i della conversione del provvedimento di se questro in pignoramento, la sentenza esecuti1Ja ven ga depositata presso la Oancelleria del Giudice com petente per l'esec'ltzione nel termine di giorni 30 (adesso elevato a 60 dalla legge 28 aprUe 1959, n. 275, che non si applica peraltro al caso deciso perch� entrata in vigore il 4 giugno 1959) dalla sua comunicazione, non gi� dalla sua pubblicazione. Ora la comunicazione, ai sensi dell'art. 133 d.p.c., �onsiste nel biglietto di Oancelleria col quale il Oancelliere cornunica alle parti costituite l'avvenuta pub~ blicazione della sentenza: perfettamente distinti, quindi i due momenti processiuHi della pubblicazione (devosito, per la sentenza del giudice civile -lettura pubblica, per la ~entenza della Corte dei Oonti) e della comunicazione. Ed un parallelo potrebbe, a dire il vero, essere fatto fra la comunicazione della sentenza� come prevista dall'art. 133 O.p.c. e la trasmissione della decisione (art. 24 lo comma 'Reg. di procedura per i giudizi innanzi alla O orte dei �Oonti, approvato con R. D. 13 agosto 1933, n. 1038) al Procuratore Generale rappresentante dell'Amministrazione. Quindi, non gi� dalla data della pubblioazione della decisione d�lla Oorte dei Oonti mediante lettura pubblica in udienza, ma dalla d,ata appunto della trasmissione, da parte del segretario della Oorte, �al Procuratore Generale che nei giudizi di responsabilit� rappresenta la parte, cio� l'Amministrazione, da quella data, ripetesi, prende decorrenza il termine di cui all'articolo 156 disp. att. O;p.c. E f or.se, potr�bbe anche osservarsi che alla comunicazione di cui parla l'art. 156 pi� volte citato �corrisponde, nei giudizi innanzi alla Oorte dei Oonti, un momento processuale ancora successivo� rispetto �a quello, indic�to sopra, della trasmissione della sentenza dal Segretario della Sezione al Pro�uratore Generale, e cio� precisamente� quello dell'invio della sentenza in forma esecutiva da pa_rte del Procuratore Generale all'Amministrazione interessata (secondo comma dell'art. 24 R. D. 13 agosto 1933, n. 1038): � q�esto infatti il vero momento in cui l',Am ministrazione (parte) viene a conoscenza delta sen~ tenza. Decisiva, a favore della nostra tesi, ci appare l'argomentazione seguente: potrebbe scorgersi, per vero, uria �comunicazione � delle sen�enze della Oorte dei Oonti; proprio questo termine -comunicazione -adopera la legge, all'art. 1 R. D. 5 settembre 1909; n. 776, nel qualificare il morrtento dell'invio della decisione in forma esecutiva da parte del Procuratore Generale all'Amministrazione interessata per l'esecuzione. Art. 1: �Appena ricevute, a norm� dello art. 47 della legge 14 agosto 1882, n. 800 (allora 11.1igente sulla Oorte dei Oonti) e dell'art. 664 (adesso 636) del Regola.me�ii,to s�ull'amministrazione del patrimonio e �sulla contabilit� generale dello Stato, le comunicazioni in forma esecutiva, delle decisioni, le Amministrazioni Oentrali ... ;�. Ed il titolo � appunto �.Delle comunicazioni �. E il successivo art. 3 recita che �appena avuta partecipazi'one delle condanne pronunziate, le Amministrazioni ne cureranno la pronta esecuzione ..� �. Miglior conferma non potrebbe invero darsi alla nostra tesi, che il termine di cui all'art. 156 disp. att. O:p.c. decorra da un momento successivo a quello della vubblicazione (eoincida, poi, esso con la trasmissione il;flla sentenza del Segretario della Sezione .al Proeuratore Generale ovvero eon quello, ancora suceessivo, dell'inoltro della decisione da quest'ultimo organo all'Amministrazione interessata). N � varrebbe obiettare, da coloro ehe sostengono che il termine �abbia decorrenza dalla pubblieazione della decisione, ehe il Proeuratore Generale � l'attore del giudizio di responsabilit�; se invero il Procuratore Generale tutela nei detti giudizi gli interessi dell'Amministrazione, ei� per� non significa ehe Qsso sia l'Amministrazione, il che viene limpidamente eonfermato dalla norma dell'art. 24 20. comma per la quale, onde potersi far luogo all'esecuzione, la sentenza deve, a eura del Procuratore Generale, essere necessariamente inviata all'Amministrazione. Da tal momento l'Amministrazione prende eonoscenza ufficiale della emanata sentenza e da questo momento, pertanto, prende decorrenza il perentorio termine di cui al predetto art. 156. lJ.. SINAGRA INDICE S I S T E. M A T I C O DELLE CONSULTAZIONI L.4. FORMUL.4.ZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN .4.LOUN MODO L� SOLUZIONE OHE NE � ST�T� D�T� AERONAUTICA E AEROMOBILI RIFORNIMENTO VIVERI A BORDO DEGLI AEREI. Se lAmministrazione possa sottoporre al regime della concessione il servizio di approvvigionamento degli aerei civili in sosta negli aeroporti italiani, effettuato da privati per conto delle Compagnie Aeree, imponendo ai concessionari la corresponsione di un canone (n. 9). AGRICOLTURA E FORESTE PICCOLA PROPRIET� CONTADINA � AGEVOLAZIONI FISCALI. Se, per usufruire delle particolari agevolazioni tributarie previste dalle leggi a favore della formazione della piccola propriet� contadina, le cooperative debbano rispondere, oltre che ai requisiti previsti da queste leggi particolari, anche a quelli indicati negli artt. 65 e 66 della legge di registro (n. 25). AMMINISTRAZIONE PUBBLICA RICOVERO IN MANICOMIO. Se l'Amministrazione sia obbligata al pagamento delle spese di ricovero in manicomio comune di un alienato gi� ricoverato nello stesso manicomio e mai posto in stato di arresto, per il periodo intercorrente fra la applicazione provvisoria della misura di sicurez~a del ricovero in manicomio giudiziario e la indicazione da parte dell'Amministrazione degli Istituti di Prevenzione e di Pena del manicomio giudiziario che avrebbe dovuto ospitarlo, posto che nei confronti dell'alineato medesimo sia�stata in un secondo tempo pronunciata sentenza di non luogo a procedere per infermit� mentale (n. 258). ANTICHITA' E BELLE ARTI ALIENAZIONE DI SCULTURA DI INTERESSE ARCHEOLOGICO 1) Se, nel caso di alienazione di una ecultura di interesse archeologico, avvenuta prima della guerra in violazione del vincolo di notifica, l'Amministrazione possa esercitare il diritto di prelazione, pagando il prezzo versato dal compratore o debba pagare il prezzo rivalutato (n. 44). DECRETI DI VINCOLO. 2) Quali siano le condizioni necessarie per la legittimit� dei decreti emanati, ai sensi dell'art. 21 legge 1� gi�gno 1939, n. 1089, per l'imposizione dei vincoli diretti a salvaguardare l'integrit� delle cose immobili soggette alle disposizioni della legge medesima (n. 45). TUTELA DELL'AMBIENTE MONUMENTALE. 3) Se, in base all'art. 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, il giudice ordinario possa disapplicare il provvedimento della Sopraintendenza ai Monumenti per la riduzione in pristino di una costruzione effettuata in zona vincolata ai sensi dell'art. 21 legge 1� giugno 1939, n. 1089, pur non essendo questo stato tempestivamente impugnato dall'interessato avanti la competente giurisdizione amministrativa (n. 46). APPALTO APPALTO PUBBLICO -REVISIONE PREZZI. Se nei contratti di pubblico appalto possa essere consentita l'introduzione di clausole contrattuali per rego� lare la revisione dei prezzi in maniera diversa da quella tassativamente stabilita �dalle speciali leggi revisionali (n. 260). � AUTOVEICOLI E AUTOLINEE SEGNALAZIONE DI VEICOLO FERMO. Se, a norma dell'art. 117 del Codice Stradale, gli autobus adibiti all'esercizio di linee urbane debbano essere dotati del segnale di veicolo fermo (n. 61). AVVOCATI E PROCURATORI COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE. 1) Se gli agenti dell'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato possano costituirsi parte civile nei procedimenti penali relativi a fatti comunque connessi con il contratto di Trasporto (n. 52). RAPPRESENTA~ZA DELL'AVVOCATURA. 2) Se l'Avvocatura dello Stato possa assumere la rappresentanza e difesa in giudizio del Sindaco -quale ufficiale di governo -in una controversia che concerna la regolarit� e la tenuta dei registri anagrafici (n. 53). SOCIET� PER AZIONI � LEGGE 21 GIDGNO 1960 N. 649. _ 3) Se le societ� per azioni costituite ai sensi dell'art. 1 legge 21 giugno 1960, n. 649, istitutiva dell'ente di gestione per le aziende termali, possano essere rappresentate e difese dall'Avvocatura dello Stato (n. 54). 126 CACCIA E PESCA DEMANIO MARITTIMO E DEMANIO IDRICO � COMPETENZA AMMINISTRATIVA IN MATERIA DI PESOA. Se, ai fini delle attribuzioni spettanti alla autorit� competente in materia di pesca, valga la distinzione fra demanio �marittimo e demariio idrico ovvero. la dist�h� zione fra acque interne ed acque non interne (n. 18). , COMMERCIO LIOENZE DI PUBBLICO ESEROIZIO. Se possa configurarsi responsabilit� dell'Amministrazione di Polizia per la concessione di licenza per un esercizio commerciale che il richiedente non possa istituire in forza di convenzioni che lo vincolano nei confronti di terzi privati (n. 17). COMUNI E PROVINCIE CANALI DEMANIA� 1) Se gli enti locali possanq applicare la tassa per occupazioni di spazi ed aree pubbliche a carico della amministrazione generale dei Canali Cavour per attraversamenti di strade provinciali mediante canali demaniali (n. 89). GESTIONE INA-CAsA -TASSA PER .LICENZA DI ABITABILIT�. 2) Se la tassa dovuta ai Comuni pe ottenere la licenza di abitabilit� di appartamenti costruiti per conto della INA-Casa sia a carico della stazioni appaltanti ovvero della Gestione (n. 90). IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA. 3) Se, per le quote del provento complessivo della imposta generale sull'entrata attribuite ai Comuni ed alle Provincie ai sensi della legge 2 luglio 1952, n. 703 (art. 1-3 e 4), sussistano i limiti che il potere di aggressione dei creditori riceve nei confronti delle somme aventi natura e destinazione tributaria (n. 91). SINDAOO � RAPPRESENTANZA DELL'AVVOOATURA. 4) Se l'Avvocatura� dello Stato possa assumere la rappresentanza e difesa in giudizio del Sindaco quale ufficiale di governo -in una controversia che concerna la regolarit� e la tenuta dei registri anagrafici (n. 92). IND,IGENTI INABILI AL LAVORO. 5) Se� gli Enti Comunali di Assistenza debbono essere tenuti a concorrere nelle spese sostenute dallo Stato per il mantenimento degli indigenti inabili al lavoro (n. 93). SPESE PER INDIGENTI INABILI AL LAVORO � POTERI DEL PREFETTO. 6) Se nella materia delle spese per il mantenimento degli inabili al lavoro sia conferita in via esclusiva al Prefetto la potest� di decisione in sede contenziosa am ministrativa (n. 94). . '7) Se ai provvedimenti prefettizi adottati in sede contenziosa amministrativa siano applicabile le regole della c.d. autotutela (n. 94). CONCESSIONI AMMINISTRATIVE RIFORNIMENTI VIVERI A BORDO DEGLI AEREI. Se l'Ammin.istrazione possa sottoporr~ !:J>l regipie della concessione il servizio di approvvigionamento degli aerei civili in sosta negli aeroporti italiani effettuato da privati per confo delle Compagnie Aeree, imponendo ai concessionari la corresponsione di un canone (n. 66). CONTAB:(LITA' GENERALE DELLO STATO MANDATO DI PAGAMENTO.� p AGAMENTO Se l'aver dat� corso, prima della notifica della sentenza dichiarativa di fallimento, al pagamento di un mandato ad un intestatario dichiarato fallito dopo l'emissione del mandato stesso,. integri una responsabilit� della Tesoreria nei confronti della curatela del fallimento mede~imo (n. 184). CONTRABBANDO CONFISOA PENALE SU IPOTEOA 1) Se, per il combinato disposto dell'art. 116, 2� comma legge doganale e dell'art. 240, 3� comma C.p.c., sia legittima la confisca del mezzo di trasporto che abbia servito a� consU:mare il reato di contrabbando, di propriet� di persona estranea al reato (n. 35). 2) Se, il provvedimento di confisca possa produrre.la estinzione di un'ipoteca accesa da un terzo estraneo sul. peschereccio confiscato in epoca anteriore alla commissione del reato (n. 35). CONTRIBUTI E FINANZIAMENTI . . CONTRIBUTO STATALE NEL PAGAMENTO DEGLI INTERESSI Se la corresponsione del contributo nel pagamento degli interessi, concesso dallo Stato a termini dell'art. 8 legge 9 maggio 1950, n. 261 e di altre leggi similari alle medie �e piccole. industrie che abbiano contratto finanziamenti a tasso di favore presso le Sezioni di Credito Industriale dei Banchi di Napoli, Si~ilia e Sardegna, debba senz'altro cessare nel c�so di dichiarazione di fallimento dell'impresa mutuataria; anche dopo l'art. 4 della legge 30 luglio 1959, n. 623 (n. 40). DANNI DI GUERRA CONTRIBUTI � REDDITO DEL DANNEGGIATO 1) Quale sia l'interpretazione da dare all'art. 39 n. 1 della legge 27 dicembre 1953, n. 968, concernente la concessione del contributo di ricostruzione, nel caso che il bene danheggiato a seguito di eventi bellici sia. di propriet� di una donna sposata e non legalmente separata dal marito_ (n. 107). LIQUIDAZIONE DI INDENNIZZO . Suoo~~S~ONI. 2) Se morto ilproprietario di un immobile danneggiatQ per fatto di guerra, l'indennizzo debba liquidarsi a favore di tutti gli eredi o solo di colui al quale l'immobile danneggiato sia stato specificamente assegnato col testamento (n. 108). -127 RWOSTRUZIONE 3) Se i benefici previsti dall'art. 55 della legge 27 dicembre 1953, n. 968 siano applicabili quando la ricostruzione del �bene danneggiato o distrutto � sia avvenuta in luogo diverso (n. 109): DEMANIO BENI DEL CESSATO P. N. F. 1) Se i beni appartenenti all'ex partito nazionale fascista o ad .altri enti i cui beni sono stati acquisiti allo Stato, ceduti a norma dell'art. 38 del D.L.Lgt. 27 luglio 1944, n. 159, possano essere alienati dal cessionario (n. 165). CANALI DEMANIALI 2) Se gli enti locali possano applicare la tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche a carico della amministrazione generale dei Canali Cavour per attraversamenti di strade provinciali meP.i~nte canali demaniali (n. 166). CoMPE~'ENzA AMMIN~STRATIVA IN MATERIA DI PESCA. 3) Se, ai fini delle attribuzioni spettanti alla autorit� competente in materia di pesca, valga la d~stinzione fra demanio marittimo e demanio idrico, ovvero la distinzione fra !I-eque interne ed acque non interne (n. 167). SERVIT� MILITARI 4) Se possano imporsi servit� militari sulla sede ferroviaria e sue dipendenze e, in �generale, su beni den:ianiali (n. 168). DEPOSITO DEPOSITI CAUZIONALI 1) Se i depositi cauzionali disposti a favore di Amministrazioni statali, �omunali, provinciali o .di altri enti possano eseguirsi mediante versamento in libretti postali presso l'Amministrazione delle PP:TT. (n. 21). 2) Se, nel caso in cui sia stato eseguito un deposito cauzionale presso la Cassa DD.PP., e successivamente il depositante abbia versato !a stessa somma oggetto del deposito in un libretto postale presso l'Amministrazione delle PP.TT., la Cassa DD.PP. sia tenuta alla restituzione della somma presso di essa depositata (n. 21). EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE GESTIONE INA-CASA -TASSA PER LICENZA DI ABITABILIT�. I) Se la tassa dovuta ai Comuni per ottenere la licenza di abitabilit� di appartamenti costruiti per conto dell'INA-CASA sia a carico delle stazioni appaltanti ovvero della Gestione (n. 119). ELETTRICITA' CASSA PER IL MEZZOGIORNO -ESENZIONE IMPOSTA ENERGIA ELETTRICA.. Se la quota fissa di abbonamento corrisposta dalla Cassa per il Mezzogiorno ai sensi del primo comma dell'art. 26 e dell'art. 31 della legge 29 luglio 1957, n. 634 possa ritenersi comprensiva anche dell'onere derivante dalla rivalsa per il pagamento della imposta sulla energia elettrica (n. 3). ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA. UTILIT� INDENNIT� 1) Se, nell'ipotesi in cui l'indennit� di espropriazione veU:ga determinata, con sentenza passata �in giudicato, in ammontare inferiore a quello depositato presso la Cassa Depositi e Prestiti, sia necessarip un decreto del Prefetto per la restituzione all'espropriante della parte eccedente (n. 166). 2) Se possa procedersi senz'altro alla restituzione dell'eccedenza nel caso in cui la riduzione dell'indennit� sia stata concordata con un atto di transazione (n. 166). OccuPAZIONE D'URGENZA. 3) Se, ai sensi dell'art: 23 quarto comma della legge 28 febbraio 1949 n. 43, il mancato inizio dei lavori entro un anno dall'occupazione temporanea� dia al propriet11rio il diritto alla retrocessione dell'area (n. 167). 4) Se, ove si sia proceduto all'espropriazione pur dopo l'inutile decorso del termine annuale dall'occupazione di urgenza, decorra dal decreto di espropriazione un nuovo termine annuale per l'inizio dei lavori (n. 167). FALLIMENTO MANDATO 1) Se il fallimento scioglie il rapporto di mandato anche in caso di mandato irrevocabile (n. 64). MANDATO DI PAG.A,MENTO -PAGAMENTO 2) Se l'aver dato corso, prima della notifica della sentenza dichiarativa di �fallimento, al pagamento di un mandato ad un intestatario dichiarato fallito dopo l'emissione del mandato stesso, integri una responsabilit� della Tesoreria nei confronti delia curatela del .fallimento medesimo (n. 65). FERROVIE ATTI NOTORI 1) Se un atto notorio possa ritenersi sufficiente a provare la permanenza in servizio alla data del 23 marzo 1939 ai fini. dell'applicazione dei benefici di carriera previsti dall'art. 198 dello Stato Giuridico del personale delle Ferrovie dello Stato (n. 322). AGENTI DELL'AMMINISTRAZIONE F.S. -COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE 2) Se gli agenti dell'Arnm.inistrazione delle Ferrovie dello Stato possano costituirsi parte civile nei procedin; i.enti penali relativi a fatti comunque connessi'.con il contratto di trasporto (n. 323). DIPENDENTI FERROVIARI -CONFERIMENTO FUNZIONI SUPERIORI 3) Se sia legittimo .il conferimento di funzioni supe- riori con decorrenza retroattiva (non anteriore al 1� maggio 1958) nei confronti di dipendenti" i cui posti di lavoro siano stati classificati in base al nuovo Stato Giuridico di qualifica superiore a quella rivestita (n. 324). 128 DIPENDENTI FERROVIARI � �ONCORSI INTERNI 4) Se l'.Amministraz�one Ferroviaria per la predisposizione di un bando di concorso interno alla qualifica di Capo�Tecnico debba adottare una graduatoria unica o tante particolari graduatorie quante sono le specialit� interessate (325). DIPENDENTI FERROVIARI -LEGGE 705/1960. 5) Se i dipendenti ferroviari rivestiti della qualifica di Segretario, quali vincitori di concorso pubblico, e gi� in servizio presso le F.S., anteriormente al 1� luglio 1956, con la qualffica di Conduttore o Aiuto Macchinista possano ottenere l'ammissione anticipata agli scrutini di avanzament� alla qualifica di Segretario Principale (n. 326). DIPENDENTI FERROVIARI � SANZIONI DISCIPLINARI. 6) Se sia legittimo il provvedimento col quale viene inflitta una sanzione disciplinare in base a norme regolamentari emanate in epoca posteriore a quella nella quale furono commessi i fatti addebitati (n. 327). p ASSAGGI A LIVELLO CON SEGNALI LUMINOSI STRADALI. 7) Quali accorgimenti debbano essere adottati nel caso di guasto ai segnali luminosi di passaggi a livello manovrati a distanza, i cui segnali acustici siano stati attenuati (n. 328). PASSAGGI A LIVELLO PRIVATI. 8) Se l'Amministrazione dei Trasporti abbia la facolt� di predisporre un'idonea disciplina per i passaggi a livello privati, comrninando eventualmente, in caso di inosservanza, la chiusura del passaggio (n. 329). 'TRASPORTO MERCI � SCARICO PARZIALE. 9) Se, in base alla norma degli artt. 56 lettera C, e 58, lettera C, delle vigenti Condizioni e Tariffe per il trasporto delle cose, nella ipotesi di scarico parziale dei trasporti a carro nelle stazioni intermedie (appendice n. 8 delle CC. e TT.), possa il mittente proporre reclamo alla stazione di partenza, anche dopo l'avvenuto svincolo da parte del destinatario (n. 330). IDROCARBURI RICERCHE Se la disposizione dell'art. 14 legge 11 gennaio 1957, n. 6 -'per la quale il titolare di un permesso di ricerca di idrocarburi, in sede di ottenimento della concessione di coltivazione, � tenuto a rilasciare allo Stato una fascia continua, adiacente al perimetro della concessione stessa, la cui larghezza varia da km. 1 a 500 metri -sia derogabile nell'ipotesi in cui, stante la limitata estensione dell'area del permesso di ricerca, la superficie della fascia riservata allo Stato, verrebbe ad essere maggiore della estensione dell'area della concessione di coltivazione (n. 1). IMPIEGO PUBBLICO DIPENDENTE PUBBLICO � COMANDO COME AUTISTA PRESSO LA GESTIONE IN.A-CASA. Se, a seguito di incidente automobilistico causato da un dipendente dell'Amministrazione, comandato come autista presso la Gestione IN.A-Casa, questa possa richiedere la rivalsa per i danni suoiti all'.Amministrazione dalla quale l'autista dipende gerarchicamente (n. 525). IMPORT.AZIONE -ESPORTAZIONE RECUPERO MAGGIOR ONERE ESPORTAZIONE PRODOTTI PETROLIFERI 1) Se al recupero del maggior onere previsto dallo art. 1 D.L. 2 novembre 1956, n. � 1267, debba applicarsi la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 19 legge 28 febbraio 1939, n. 334 (n. 23). 2) Se. la prescrizione decorra dalla data della bolletta di esportazione ovvero dalla data di comunicazione alla .Amministrazione della media mensile dei rimborsi da parte del C.I.P. (n. 23). IMPOSTA DI REGISTRO .AGEVOLAZIONI FISCALI � CONTRATTI DI APPALTO. 1) Se siano applicabili le agevolazioni fiscali di cui all'art. 24 T.U. 10 novembre 1905, n. �647 per la registra-� zione di contratti di appalto di lavori per la esecuzione di opere di bonifica (n. 175). 2) Se siano applicabili le agevolazioni fiscali di cui all'art. 24 T.U. 10 novembre 1905, n. 647 per la registrazione di contratti di appalto di lavori di manutenzione di opere di bonifica (n. 175). p ATTO DI RISCATTO. 3) Se, nel.caso di vendita con patto di riscatto, possa applicarsi l'art. 8 della tariffa allegato A alla legge di registro, quando il riscatto avvenga in un termine non previsto dall'originario contratto di compravendita (n. 176). PICCOLA PROPRIET� CONTADINA -.AGEVOLAZIONI FISCALI. 4) Se, per usufruire delle particolari agevolazioni tributarie previste dalle leggi a favore della formazione della piccola propriet� contadina, le cooperative debbano rispondere, oltre che ai requisiti previsti da queste leggi particolari, anche a quelle indicate negli artt. 65 e 66 della legge di registro (n. 177). PROMESSE DI VENDITA. 5) Se e,,come siano tassabili le promesse di vendita, non contenenti l'accordo sulla cosa e sul prezzo, aventi, cio�, efficacia meramente obbligatoria (n. 178). SPESE DI LITE. 6) Se, ai sensi dell'art. 148 della legge di registro, l'.Amministrazione finanziaria possa essere condannata al pagamento delle spese di lite anche quando sia mancata del tutto la domanda in via amministrativa, sempre � che la causa sia passata in decisione dopo il decorso di almeno 90 giorni dalla domanda giudiziale (n:. 179). IMPOSTA DI CONSUMQ. COSTRUZIONE DI STRADE STAT.ALI. 1) Se l'esenzione sulla imposta di consumo di cui all'art. 1 R.D.L. 28 maggio 1942, n. 710, sui materiali impiegati nelle costruzioni edilizie eseguite a totale -129 spesa delle Anuninistrazioni dello Stato, possa estenders~ anche ai materiali per la costruzione di strade statali (n. 9). REGIONE SICILIANA. 2) Se nel territorio della Regione Siciliana sia applicabile la legge nazio~ale 2 febbraio 1960, n. 35, c'he disponendo agevolazioni tributarie in materia di edilizia prevede una riduzione dell'imposta di consumo sui materiali da costruzione, mentre la precedente legge regionale 18 ottobre 1959, n. 37, (prorogata con legge 12 novembre 1959, n. 29) prevedeva l'esenzione totale da �detta imposta (n. 10). I.G.E. ESENZIONE A FAVORE DELL'E.N.I. 1) Se la esenzione tributaria disposta dall'art. 26. cpv. legge IO febbraio 1953, n. 136, istitutiva d�ll'E.N.I, (Ente Nazionale Idrocarburi) competa anche per l'I.G.E. quando questa imposta gravi su soggetti diversi dall'E. N.I., ed ancorch� questo sia tenuto alla rivalsa (n. 93). COMUNI E PROVINCIE. 2)�Se, per le quote del provento complessivo della imposta generale~suil'�ntrata attribuite ai Comuni ed alle Provincie ai sensi della legge 2 luglio 1952, n. 703 (art. 1 -3 e 4) sussistano i limiti che il potere di aggressione dei �creditori riceve nei confronti delle somme aventi natura e destinazione tributaria (n. 94). IMPOSTE E TASSE IMPOSTA SULLA PUBBLICIT� 1) Se siano soggette a denunzia e all'obbligo del pagamento trimestrale dell'imposta sulla pubblicit�, le vignette pubblicitarie stampate per conto di alcune ditte produttrici di succedanei del caff� sulle bottiglie adoperate dalle Centrali del latte per la distribuzione di quest'ultimo prodotto agli spacci (n. 344)). IMPOSTA SUGLI OLII MINERALI -BUONI SPECIALI DI BENZINA. 2) Se, per la configurazione del reato previsto dallo art. 12-bis della legge 2 luglio 1957, n. 474, sia condizione indispensabile l'aver adoperato mezzi jraU<iolenti per venire in possesso dei buoni speciali di benzina (n. 345). IMPOSTA SUGLI SPETTACOLI. 3) Se le somme versate da una Societ� a favore del proprio Grupi;io Sportivo siano soggette alla tassazione prevista dall'art. 12 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3276 (n. 346). LOCAZIONI ' 1) Se icontratti relativi agli immobili di cui � locataria l'Amministrazione ferroviaria per uso di ufficio, autorimesse o� magazzini possano considerarsi prorogati sino al 31 dicembre 1964 (n. 112). REGIME VINCOLISTICO DELLE LOCAZIONI -LEGGE 30 SET� TEMBRE. 1961, N. 975. 2) Se la legge 30 settembre 1961, n. 975, che ha stabilito per il periodo 1 ottobre-31 dicembre 1~6.1 un aumento di canone del 50%, debba interpretarsi nel senso che tale misura di aumento debba essere calcolata sul canone dovuto al 31 dicembre 1960 oppure su quello dovuto al 30 settembre 1961 (n ..113). LOTTO E LOTTERIE GESTORI DEL LOTTO Se sia legittima la richiesta dei gestori delle riceV:itorie del lotto per la corresponsione della quota d'aggio spettante per la settimana di sciopero effettuato dal personale fin�nziario (n. 16). MANDATO FALLIMENTO Se il fallimento scioglie il rapporto di mandato anche in caso di mandato irrevocabile (n. 7). MATRIMONIO PENSIONE DI RIVERSIBILIT�. l) Se spetti la pensione privilegiata ordinaria indiretta a madre di militare defunto che sia passata a second� matrimonio, soltanto col rito religioso, senza pubblicazioni presso l'Ufficio di Statb Civile (n. 15). MEZZOGIORNO CASSA PER IL MEZZOGIORNO �' ESENZIONE ENERGIA ELETTRICA. Se la quota fissa di abbonamento corrisposta dalla Cassa per il Mezzogiorno ai sensi del primo comma dello art. 26 e dell'art. 31 della legge 29 luglio 1957, n. 634 possa ritenersi comprensiva anche dell'onere derivante dalla rivalsa per il pagamento della imposta sulla energia elettrica (n. 19). NOTAIO ATTI NOTORI. Se un atto notorio possa ritenersi sufficiente a provare la permanenza in servizio alla data del 23 marzo 1939 ai fin~ dell'applicazione dei benefici di carriera previsti dall'art. 198 dello Stato Giuridico del personale delle Ferrovie dello Stato (n. 10). NOTIFICAZIONE PERSONE RESIDENTI NEI TERRITORI CEDUTI ALLA. JUGQ~ SLAVIA O NELLA ZONA B. 1) Se per le notificazioni a persone residenti nei territoi definitivamente ceduti alla Jugoslavia debba applicarsi la procedura di cui all'art. 142 C.p.c. (n. 17). ._ 1:30 2) Se per le notificazioni a persone residenti nella Zona ex B del territorio libero di Trieste debba applicarsi la procedura di cui all'art. 142 C.p.c. o quella di cui all'art, 143 C.p.c. (n. 17). � PENSIONI . PENEjIONE DI RIVERSIBILIT� -MATRIMONIO RELIGIOSO. 1) Se spetti la pensione privilegiata ordinaria indiretta a madre di militare defunto che sia passata a secondo matrimonio, soltanto con il rito religioso, senza pubblicazioni presso l'Ufficio di Stato Civile (n. 102). PENSIONE DI RIVERSIBILIT� -ORFANE NUBILI MAGGIORENNI E SORELLE NUBILI MAGGIORENNI. 2) Se siano cumul~bili; nei confronti di un'orfana nubile e maggiorenne di dipendente statale che sia anche sorella di ex dipendente statale deceduto e si trovi nelle condizioni di inabilit� e di nullatenenza previste dalla legge, i trattamenti di pensione liquidatile nelle due diverse qualit� in base alla legge 15 febbraio 1958, n. 46, sempre che l'importo di ciascuno di essi non superi le L. 240.000 annue (n. 103). POLIZIA ATTIVIT� DI POLIZIA -RESPONSABILIT�. 1) Se l'Amministrazione sia responsabile e perci� ten.ta al risarcimento di danni nel caso di fermo di persona originato dalla omonima esistente fra questa e il vero autore del reato (n. 26). � � 2) Se possa configurarsi responsabilit� dell'Amministrazione di Polizia per la concessione di licenza per un esercizio commerciale che� il richiedente non possa istituire in forza di convenzioni che lo vincolano nei confronti di terzi privati (n. 27). POSTE E TELECOMUNICAZIONI PROCEDIMENTO CIVILE. 1) Se si possano produrre in giudiz!o copie fotostatiche di titoli e di documenti relativi al servizio dei conti correnti postali in luogo degli originali,, e se dette copie possano costituire validi mezzi di prova nei casi in cui i titoli relativi vengano a formare oggetto di con.troversia davanti all'Autorit� Giudiz�aria (n:. 83). DEPOSITI POSTALI. 2) Se i depositi cauzionali disposti a favore delle Amministrazioni statali, comunali, provinciali o di altri enti possano eseguirsi mediante versamento in libretti postali presso l'Amministrazione delle PP.TT. (n. 84). 3) Se, nel caso in cui sia stato eseguito un deposita cauzionale-presso la Cassa DD.PP., e suCCElSS�vamente il depositante abbia versato la stessa somma oggetto del deposito in un libretto postale presso l'Amministrazione delle PP.TT., la Cassa� DD.PP. sia tenuta alla restituzione della somma presso di essa depositata (n. 84). TITOLI POSTALI. �4) Se sia applicabile l'art. 7 del R.D.P. 2 agosto 1957, n. 678, in caso di riscossione di titoli postali caduti in successione (n. 85). 5) Chi sia il funzionario competente a ricevere la dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio, di cui al citato art. 7 del R.D.P. 2 agosto 1957, n. 678 (n. 85). PRESCRIZIONE CAPITALE POSTALE IN ANNUALIT�. 1) Se alle rate di un capitale ripwtito in annualit� sia applicabile la prescrizione ordinaria o quella quinquennale prevista dall'art. 2948 n. 4 O.e. (n. 38). RECUPERO MAGGIOR ONERE PRODOTTI PETROLIFERI. 2) Se al recupero del maggior onere previsto dallo art. 1 D.L. 2 novembre 1956, n. 1267, debba applicarsi la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 19 della Legge 28 febbraio 1939, n. 334 (n. 39). 3) Se la prescrizione decorra dalla data della bolletta di esportazione ovvero dalla data di comuniclj>zione alla Amministrazione della media mensile dei rimborsi da parte del C.I.P. (n. 39). PREVIDENZA ED ASSISTENZA INDIGENTI INABILI AL LAVORO. Se gli Enti Comunali di Assistenza debbono essere tenuti a concorrere nelle spese sostenute dallo Stato per iI'iri.antenimento degli indigenti inabili al lavoro (n. 40). / PREZZI APPALTO PUBBLICO -REVISIONE PREZZI 1) Se nei contratti di pubblico appalto possa essere consentita l'introduzione di clausole contrattuali per regolare la revisione dei prezzi in maniera diversa da quell& tassativamente stabilita dalle speciali leggi revisionali (n. 52). RECUPERO MAGGIOR ONERE PRODOTTI PETRQLIFERI. � 2) Se al recupero del maggior onere previsto dall'art. 1 D.L. 2 novembre 1956, n. 1267, debba applicarsi la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 19 legge 28' febbraio 1939, n. 334 (n. 53). 3) Se la prescrizione decorra dalla data della bolletta di esportazione ovvero dalla data di comunicazione alla Amministrazione della media mensile dei rimborsi da parte del C.I.P. (n. 53). PROCEDIMENTO CIVILE COPIE FOTOSTATICHE -. PRODUZIONE IN GIUDIZIO. Se si possono produrre in giudizio i;opie fotostatiche di titoli e di documenti relativi al servizio dei conticorrenti postali in luogo degli originali, e s� dette copie possano costituire validi mezzi di prova nei casi in cui i titoli relativi vengano a formare oggetto di controversia �davanti all'Autorit� giudiziaria (n. 29). ....,_ 131 PROPRIET� COSTRUZIONI ESEGUITE DA TERZI. Se l'obbligazione di pagare il valore dei material� e il prezzo della mano d'opera, prevista dall'art. 936 e.e., costituisca debito di valuta ovvero debito di valore (n. 29). PROPRIETA' INDUSTRIALE BREVETTI ITALIANI -REQUISIZIONE. 1) Se vi siano norme di legge� che prevedano la concessione di indennizzi per le requisizioni di brevetti italiani effettuate nel periodo bellico in Gran Bretagna (n. 4). 2) Se tali requisizione ri~ntrino nella previsioni;i dell'art. 76 del Trattato di .Pace (n. 4). PROPRIETA' INTELLETTUALE DIRITTI DI AUTORE. Se il fabbricato dell'aerostazione di Fiumicino costituisca un'opera di architettura, tutelabile ai sensi dello art. 2 n. 5 della legge 22 aprile 1941, n. 633 sui diritti di autore oppure un progetto di ingegneria tutelabile ai sensi dell'art. 99 della stessa legge (n. 20). REGIONI DELEGATI REGIONALI -RAPPRESENTANZA IN GIUDIZIO. 1) In merito alla natura giuridica ed alla rappresentanza in giudizio dei delegati regionali preposti alle amministrazioni delle soppresse provincie (n. 93). REGIONE SARDA -CONTROLLO SUGLI ATTI DEGLI ENTI LOCALI. 2) Se il contro1lo sulle tariffe e sui regolamenti per il rilascio di copia delle mappe catastali in possesso dei� Comuni della Sardegna continui a spettare al Ministero delle Finanze o possa ritenersi trasferito alla Regione Sarda (n. 94). REGIONE SICILIANA -IMPOSTE DI CONSUMO. 3) Se nel territorio della Regione Siciliana sia applicabile la legge nazionale 2 febbraio 1960, n. 35, che, disponendo .agevolazioni tributarie in materia di edilizia, prevede una riduzione dell'imposta di consumo sui materiali da costruzione, mentre la precedente legge regionale 18 ottobre 1'959, n. 37 (prorogata con legge 12 novembre 1959, n. 29) prevedeva l'esenzione totale da detta imposta (n. 95). RESPONSABILITA' CIVILE RIVALSA PER DANNI. Se a seguito di incidente automobilistico causato da dipendente dell'Amministrazione comandato come autista presso la Gestione INA-Casa, questa possa richiedere la rivalsa per i danni subiti all'Amministrazione dalla quale l'autista dipende gerarchicamente (n. 195). RICORSI AMMINISTRATIVI RICORSO AL CAPO DELLO STATO. Se e quando sia ammissibile il ricorso straordinario al Capo dello Stato in revocazione della decisione adottata ih relazione ad altro ricorso straordinario (n. 7). RICOSTRUZIONE DANNI DI GUERRA. Se i benefici previsti dall'art. 55 della legge 27 dicembre 1953, n. 968 siano applicabili quando la ricostruzione del bene danneggiato o distrutto sia avvenuta in luogo diverso (n. 11). SERVITU' SERVIT� MILITARI. Se possano imporsi servit� militari sulla sede ferroviaria e sue dipendenze e, in gen�rale, sui beni denianiai� (n. 32). SOCIETA' PER AZIONI -LEGGE 21 GIUGNO 1960, N. 649. Se le societ� per azioni �costituite ai sensi dell'art. 1 legge 31 giugno 1960, n. 649, istitutiva dell'ente di gestione per le aziende termali, possano essere rappresentate e difese dall'Avvocatura dello Stato (n. 95). STRADE STRADE STATALI -IMPOSTA DI CONSUMO. 1) Se l'esenzione sulla imposta di consumo di cui all'art. l R.D. 28 maggio 1924, n. 710, per i materiali impiegati nelle costruzioni edilizie eseguite a totale spesa delle Amministrazioni dello Stato, possa estendersi anche ai materiali per la costruzione delle strade statali (n. 35). PASSAGGI A LIVELLO CON SEGNALI LUMINOSI STRADALI. 2) Quali accorgimenti debbano essere adottati nel caso di guasto ai segnali luminosi di passaggi a livello manovrati a distanza; i cui segnali acustici siano stati attenuati (n. 36). p ASSAGGI A LIVELLO PRIVATI. 3) Se l'Amministrazione dei Trasporti abbia la facolt� di predisporre un'idonea disciplina per i passaggi a livello privati, comminando eventualmente, in caso di inosservanza, la chiusura del passaggio (n. 37). SEGNALIMITI STRADALI. 4) Se, nell'ipotesi in cui l'A.N.A.S., con giudizio tecnico-discrezionale, abbia ritenuto che le caratterisne di una determinata strada richiedono l'installaziote di segnalimiti stradali, la funzione degli stessi possaessere espletata dalle alberature esistenti, particolarmente nell'ipotesi in cui �queste si trovino a distanza minore di quella prevista dall'art. 94 del Regolamento di attuazione del T.U. 15 giugno 1959, n. 393 (n. 38). -1.32 SUCCESSIONI TRATTATO DI PACE DANNI DI GUERRA -LIQUIDAZIONE DI INDENNIZZO Se morto il proprietario d'un immobile danneggiato per fatto di guerra, l'indennizzo debba liquidarsi a favore di tutti gli eredi o solo di colui al quale l'immobile danneggiato sia stato specificamente assegnato col testamento (n. 64). TRASPORTO TRASPORTO MERCI -SCARICO PARZIALE. Se, in base alle norme degli artt. 56, lettera e) e 58, lettera e) delle vigenti CC.TT. per il trasporto delle cose, nella ipotesi di scarico parziale dei trasporti a carro nelle stazioni intermedie (appendice n. 8 delle CC. e TT.), possa il mittente proporre reclamo alla stazione di partenza anche dopo l'avvenuto svincolo da parte del destinatario (n. 50). BREVETTI ITALIANI � REQUISIZIONE. 1) Se vi siano norme di legge che. prevedano la concessione di indennizzi per le requisizioni di brevetti italiani effettuate nel periodo bellico in ,Gran Bretagna (n. 79). 2) Se tali requisizioni rientrino nella previsione del. l'art. 76 del Trattato di Pace (n. 79). VENDITA p ATTO DI RISCATTO. 1) Se nel caso di vendita con patto di riscatto, possa applicarsi l'art. 8 della tariffa, allegato A alla legge di registro, quando il riscatto avvenga in un termine non previsto dall'originario contratto di compravendita (n. 17). PROMESSE DI VENDITA. 2) Se e come siano tassabili le promesse di vendita non contenenti l'accordo sulla cosa e sul ,prezzo, aventi, cio�, efficacia meramente obbligatoria (n. 18).