LUGLIO-AGOSTO 1951 RASSEGNA MENSILE DEJLL' AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLI(JA.ZIONE DI SEBVIZIO IL RAPPORTO DI LAVORO CON ENTI PUBBLICI ECONOMICI E LA COSTITUZIONE . SOMMARIO. -1. Premessa -2. Rapporto economico (art. 39) o rapporto di pubblico impiego (art..97 e 98)? 3. L'art. 39 e l'appartenonza dell'ente economico alla categoria. -4. Limiti derivanti dalla Cost1tuzione per il legislatore. -5. II problema della competenza. 1. Il problema dei rapporti di lavoro col'l gli enti pubblici economici pu� considerarsi sotto due angoli di visuale: o guardare quello che � oggi nel diritto positivo, condividendo o meno l'attuale orientamento della Cassazione, ein questo caso ilCongresso verrebbe a restringersi all'esame di questioni, pur gr'1vi e delicate, ma ~ransitorie e contingenti, a carattere in sostanza esegetico di norme di legge. Oppure spingere lo sguardo a quella che dovr� essere, nell'ordinamento futuro, la soluzione gi�, a nostro avviso, tracciata chiaramente dalla Costituzione. E allora il Congresso, pur con limiti di diritto positivo eventualmente scaturenti dalle norme della Oostituzione, come vedremo, abhraccer� il problema in tutta la sua estensione e rilievo e potr� portare un suo concreto contributo ad una soluzione legislativa di esso. Questa comunicazione tende appunto a evadere dal dibattito di diritto transitorio che oggi tiene divise giurisprudenza e dottrina per studiare e porre in risalt.o quelle norme della Costituzione che possono influire, e a nostro parere tracciano precise direttive, sulla disciplina del rapporto di lavoro con enti pubLlici economici. 2. Pu� avere importanza per penetrare ilpensiero della Costituzione tener presente quale era, ed �, la sitnazione di fatto in cui prima della su� emana~ zione si trovavano tali rapporti di lavoro. In linea di diritto sostanziale essi erano disciplinati dai contratti collettivi del ces10atoordinamento sindacale in forza quantomeno della disposizione transitoria deJl'art. 43 del decreto-legge 369 del 1944 e dell'art. 20<13 del codice civile. Si discuteva (come oggi si discute) sulla posizione proces.suale, e cio� su quale dovesse ritenersi il giudice competente ad apJ>lirare la disciplina di cui sopra, e su questo erano (e sono) i dispareri, ma non poteva negarsi -e non si nega oggi -che il rapporto restasse disciplinato, in vh principale dai contratti collettivi integ-r�ti eventualmente da disposizioni regolamentari degli enti. Non vi erano divieti, e perci�, col beneplacito dell'ente interessato, le clausole dei contratti collettivi di diritto iubblico potevano liberamente sostituir~i con altre, pi� favorevoli ai lavoratori, risultanti dai nuovi patticollettivi di diritto comune, magari conclusi tra gli organi direttivi dell'Ente � le Associazioni che ne inquadravano il personale, oppure estesi in via generale o specifica da categorie similari. Il personale di cui si tratta, in assenza di uh divieto cogente, poteva riunirsi in Associazioni sindacali e stipulare ~atti di lavoro e in taluni cfl,si (l'. ad es. le Aziende Municipalizzate) vi era la possibilit� di inquadramento e associazione sindacali in Sindacati di datori di lavoro. In tale stato di cose veniva emanata la Costitu zione che all'art. 39 affrontava il problema generale del sindacato e della disciplina collettiva del lavoro ? agli articoli 97 e 98 poneva le basi per l'organizza zione della pubblica Amministrazione. Dopo questa premessa, poniamo subito i due gravi problemi iniziali per una retta interpretazionfl delle norme della Costituzione: � l'art. 39 compatibil< con gli artt. 97 �e 98~ Rientra il rapporto di lavoro con gli enti pubblici nella disciplina disposta dal l'articolo 39 o dagli articoli 97 e 98~ Non ci soffermeremo sul primo quesito, po�ch� a noi basta risolvere il secondo per quanto attiene al tema che ci siamo proposti. Infatti ove si dimostri che gli articoli 97 e 98 non riguardano gli enti economici, il primo proble ma interpretativo resta, per noi, superato. Gli articoli 97 e 98 appartengono al titolo �La pubblica Amministrazione n, l'art. 39 a quello invece <<Dei rapporti economici ii. Gi� la contrapposizione dei titoli appare eloquente. Basta comunque leggere l'art. 97 per averne piena confe1ma. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicura ti il buon andamento e l'imparzialit� dell'Amministrazione )), Dunque qui si tratta dei <<pubblici Uffici �_.e .non delle attivit� economiche poste in essere in concorrenza con i privati; qui si tratta di organizzare Dffici pubblici e non imprese economiche o produttive; qui si tratta di assicurare l'imparzialit� dell'amministrazione oltre che il buon andamento, I e non gi� di esplicare attivit�. economica traendone I I .utili a favore dello Stato. ! I IA -130 I . Siamo proprio nel cuore del concetto di pubblica i .Amministrazione (con la meritata A maiuscola), e una contrapposizione pi� precisa tra l'Ufficio I Pubblico e l'attivit� economica non potrebbe trovarsi. B l'art. 97 prosegue: <<Nell'ordinamento degli uffici sono determinati le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilit� proprie dei funzionari �. Tutti problemi chenell'attivit� dell'Ente pubblico economico non hanno ragione di essera e che rivelano la volont� di realizzare la garanzia e la salvaguardia del cittadino di fronte alla pubblica Amministrazione. J,o stesso successivo requisito del concorso come mezzo di scelta esula dal modo normale di assunzione dell'ente economico. Ma .allora quando l'art. 98 con frase lapidaria precisa che �i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione�, � evidente che si riferisce a quella amministrazione pubblica che realizza il compito essenziale dello Stato e non a quegli enti mediante cui lo Stato interviene ne�la vita economica per motivi s� di interesse generale, ma non nel suo compito istituzionale di amministra.zione, sia pure in senso lato. � quindi palese, nel dettato stesso della Costi tuzione, che non siamo in presenza di un rapporto �di pubblico impiego, bens� di un rapporto economico .la cui disciplina � data dall'art. 39 e non da quelli ora esaminati. Vorremmo aggiungere che cosi la Costituzione, viene a confermare la tesi accolta da molta giurisprudenza e dottrina per cui il rapporto di lavoro con un ente pubblico pu� non essere di pubblico impiego, ma il carattere della presente comunicazione ci impedisce ogni, pur interessante, disgressione. 3. Veniamo allora all'art. 39. Da esso sorgono in folla probl1�mi che incidono sulla questione che ci riguarda, ma, per il loro carattere generale, evadono dal presente studio. Posto che � l'organizzazione sindacale � libera �, quali limiti pu� porre la legge sindacale al libero organizzarsi di una Asso"ciazione di lavoratori~ Pu� vietarsi o comunque escludersi l'organizzazione di sindacati di impresa~ Pu� vietarsi l'adesione di una Associazione aun Sindacato di categoria~ Come deve realizzarsi l'inquadramento delle categorie~ L'incidenza di tali quesiti � evidente. Ove si ammetta ad esempio la formazione di un sindacato tra i lavoratori di un'impresa, e tale sindacato si registri, non potrebbe poi impedirsi che la relativa rappresentanza unitaria stipuli contratti con l'impresa, e nella specie con l'ente economico. Comunque, anche a prescindere dalla possibilit� o meno di esistenza di rappresentanze unitarie per impresa, resta o risorge, in ogni modo, il ben pi� grave problema dell'inquadramento. Si insiste dai sostenitori dell'abrogazione dell'articolo 429 cod. proc. civ. sul fatto che essendo venuto meno l'inquadramento sindacale, sarebbe caduta fo. ragione determinante dell'articolo stesso, ma si dimentica che all'instaurarsi di un nuovo ordina mento di diritto, perl'attuazione della Costituzione, ��� il problema, sopito in via transitoria, risorger� inesorabilmente, mentre l'inquadramento sostanziale � implicito in una norma che esiste ancora, l'articolo 2093 cod. civ. � chiaro, poich� il contratto collettivo ha efficacia erga omnes a a sensi dell'art. 39, cio� verso tutti gli appartenenti alla categoria, abbiano o non abbiano aderito al Sindacato, che bisogner� determinare cosa si intende per categoria e chi vi appartiene. E allora il Giudice, se non il legislatore, si trover� di fronte al problema di decidere se l'ente pubblico economico debba ritenersi appartenente, o meno, a una determinata categoria. Egli avr� davanti una attivit� oggettiva che rientra senz'altro inun determinato settore economico e quindi nella relativa categoria (che comprende, � bene ricordarlo, persino i cosidetti terzi privati non imprenditori), e in assenza di qualsiasi divieto -la cui legittimit� del resto sarebbe contestabile -difficilmente l'Ente potr� sottrarsi all'appartenenza alla categoria e all'obbligo di applicare i contratti collettivi ex art. 39. 4. Abbiamo detto che sarebbe contestabile un divieto da parte del legislatore. A nostro avviso se si ponesse un tale divieto di inquadramento si violerebbe l'art. 39 della Costituzione. Quest'articolo fa esclusivamente riferimento alla appartenenza alla categoria; come situazione oggettiva, di cui non deve sfuggire l'importanza. Mentre la Pubblica amministrazione, di cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione, non � in alcun modo suscettibile d'inquadramento sindacale in quanto non esplica alcuna attivit� oggettivamente. economica, e perci� non vi � la base per una sua a ppartenenza a una categoria professionale, l'ente pubblico economico � non solo suscettibile di inquadramento, ma appartiene proprio a quella realt� di fatto, concreta ed effettiva, che � la categoria, individuata dall'inquadramento; la sua attivit� oggettiva � proprio quella tipica che d� vita appunto alla categoria. Di modo che per staccarlo da essa e sottrarlo alla sua disciplina occorre un provvedimento del legislatore. Di ci� abbiamo conferma nella stessa evoluzione nel sistema sinda�ale cessato, in cui il legislatore non cre� nessuna :fittizia appartenenza, ma in un primo tempo pose un espresso divieto con cui s�ttrasse l'ente all'inquadramento, e in unsecondo tempo rimosse il divieto, pur con limitazioni, lasciando che l'ente assumesse il suo posto in relazione all'attivit� economica espletata. Posto perci� che l'ente fa parto della categoria (in questo � la ragione essenziale della differenziazione della pubblica amministrazione), e che occorre un provvedimento legislativo, che vorremmo dire contro natura, per sottrarlo ad essa, anzi neppure ad essa ma alle conseguenze giuridiche. che discendono da tale appartenenza, ci sembra che ad. esso.~� sarebbe di ostacolo il citato art. 39, il quale non demanda (come l'art. 40 per il ,diritto di sciopero) al legislatore il potere di porre dei limiti, ma gli taglia invece risolutamente la strada con due de�ise affermazioni: la libert� sindacale, l'individuazione oggettiva della categoria. -131 D'altra parte, perch� dovrebhe porsi un divieto~ Lasciamo la domanda cosi, senza risposta, perch� rispondere ad essa vorrebbe dire addentrarsi in tutte le ragioni che militano a favore del sistema dell'inquadramento degli enti economici e che hanno portato lo stesso regime autoritario fascista alla emanazione della legge del 1938 prima e poi all'arti colo 2093 cod. civ. Tali ragioni, come tutte quelle altre di carattere sostanziale, che sono state poste in luce nel dibattito relativo al rapporto di lav-0ro degli enti pubblici economici, sembra a noi in coerenza con l'indirizzo degli enti, con la volont� del personale e con la natura delle cose militino -anche se si potesse prescindere (e non si pu�) dai limiti della Costituzione -contro tale divieto. Siamo in presenza di un'attivit� economica, di una organizzazione ad impresa, in concorrenza con le imprese pri'Vate, vivente e operante sul terreno del diritto privato e i:ri particolare di quello commer ciale, perch� mai dovrebbe aversi un divieto che altererebbe gli stessi termini della concorrenza~ 5. R.esta allora l'ultimo e pi� dibattuto problema: quello del giudice competente. Posto che l'art. 39 della Costituzione trovi applicazione integrale, come precisato sopra, quale dovr� essere il giudice competente sul rapporto di lavoro : il giudice del lavoro o il consiglio di Stato~ In altro precedente studio (1) abbiamo gi� espresso ilnostro pensiero in maniera abbastanza diffusa. A nostro avviso, la disciplina processuale del rapzporto di lavoro � legata a quella sostanziale, indisso ubilmente. Non ripeteremo qui dimostrazioni gi� note : la parit� contrattuale e sindacale esclude la suprema zia, il contratto collettivo il regolamento di imperio; in luogo degli interessi legittimi subentrano diritti soggettivi, in luogo della discrezionalit� pubblica, quella, per cos� dire, privata. Il rapporto dell'ente pubblico economico non si presenta come rapporto di pubblico impiego perch� mancano tutti i requisiti sostanziali di quest'ultimo ma come un vero rapporto di lavoro: la sua disciplina non � unilaterale, autoritaria, ma contrattuale, e per integrarla non soccorrono principi generaH . e norme del diritto pubblico, ma tutto il sistema del diritto del lavoro. Non siamo cio� in presenza della mera applicazione di una legge, come quella sull'impiego privato, quale norma materia.le e sussidiaria, bens� del contratto collettivo quale fonte primaria ed esclusiva, integrata da tutto il sistema dei prin cipi del diritto privato del lavoro. La competenza cos� della giustizia amministrativa sarebbe senza causa: di fronte a due giurisdizioni, una volta al controllo degli interessi e dei poteri discrezionali della Pubblica Amministrazione, l'altra chiamato a giudicare sui diritti soggettivi che sor gono dal contratto collettivo, non sembra n� logico n� opportuno assorbire il rapporto di lavoro in una competenza estranea alla sua disciplina. (1) v. in questa Rassegna, 1950). Anche qui la Costituzione sembra dire una parola decisiva. r,a tutela" ((degli interessi legittimi, e in particolari materie indicate dalla legge anche dei diritti soggettivi � � �tassativamente circoscritta (v. art.103) nei confronti della pubblica Amministrazione, e la pubblica amministrazione, come�abbiamo veduto, � quella regola.ta dagli articoli 97 e 98 e non dall'art. 39 e che agface, per cosi dire jure imperii. N� pu� ritenersi che l'espressfone �nei confronti della pubblica amministrazioe ,,, sia ininfluente e pleonastica: essa � inve<>e proprio la ragion d'essere dell'art. 103, e discende da, quelle esigenze che l'articolo 97 ha enunciate, in sostanza � la salvaguardia del cittadino, e anche dell'impiegato, di fronte ai poteri di supremazia dell'Amministrazione. 6. Non ripeteremo qui quello che � stato scritto sul sistema contrattuale paritario del contratto collettivo che esclude la sussistenza di interessi legittimi e neppure porremo in luce la incongruenza pratica di una competenza di giurisdizioni diverse sullo stesso contratto collettivo, n� la difficolt� di armonizzare i principi che disciplinano la pubblica amministrazione con quelli che regolano il rapporto economico di lavoro. Bisponderemo semplicemente a una obbiezione di carattere pratico: si ripete, e anche da autorevoli studiosi, che la competenza esclusiva del giudice del lavoro verrebbe a sminuire la tutela del personale degli enti pubblici economici. Ora ci� non ci sembra esatto: non bisogna, al riguardo dimenticare che la tutela ed il trattamento dei lavoratori sono costituiti da una molteplicit� di elementi. Siamo tutti d'accordo che scegliendo fior da fiore viene a realizzarsi la tutela migliore di tutte: da unlato ogni beneficio del diritto privato, dall'altro ogni beneficio di quello pubblico. Ma una tale pretesa appare .ingiustificata e creerebbe una vera disparit� sia rispetto agli appartenenti alla pubblica amministrazione che non possono godere dei benefici del diritto privato, sia rispetto ai lavoratori privati che non potrebbero godere di quelli del diritto pubblico. Si tratta quindi di scegliere ( e la scelta, come abbiamo veduto � gi� fatta) tra l'uno e l'altro sistema: o il trattamento e la garanzia del pubblico impiego dove alla inferiorit� del trattamento economico e alla ampiezza dei poteri discrezionali dell'Ente fa riscontro in compensazione la rigorosa tuteJa di tutti gli interessi e l'esistenza di intense garanzie; oppure il trattamento economico pi� elevato dei privati con le embrionali garanzie dello impiego privato, ma con diritti precisi e assicurati contro cui il datore di lavoro non ha alcun potere. .Anche, a prescindere per un momento dal trattamento economico su cui torneremo subito, non pu� non rilevarsi che il sistema del contratto collettivo e del diritto soggettivo ha degli elementi di vantaggio sul sistema della tutela dell'interesse legittimo. Nel primo caso vi saranno molti atti del datore di lavoro sottratti ad ogni controllo, ma vi sono dei diritti stabiliti -� contrattualmente che non possono essere lesi sotto nessun pretesto; nel secondo tutto sar� soggetto al controllo della giustizia amministrativa, ma tutto dipender� dal potere discrezionale dell'ente e l'in -132 teresse del servizio sar� la bussola, talora incerta, da cui dipender� il rapporto d1impiego in tutte le sue vicissitudini, senza ostacoli insormontabili che diano la sicurezza di determinati diritti. Alla mancanza di tutela degli interessi legittimi si unirebbe -si dice --anche la limitatezza dei poteri del giudice del lavoro il quale non potrebbe mai annullare l'atto dell'ente e ordinare ad esempio la riassunzione de\ lavoratore. r,e osservazioni che precedono sono gfa una prima risposta anche a tale rilievo, ma � opportuno aggiungerne altre. Intanto non � del tutto esatto che il giudice del lavoro non abbia alcun potere al riguardo: di fronte ad un licenziamento viziato da nullit� assoluta perch� contra legem il giudice del lavoro pu� legittimamente dichiarare (vedi ad esempio le sentenze sul blocco dei licenziamenti) che questo � stato inefficiente a-risolvere il rapporto che perdura con tutti i relativi obblighi contrattuali. Non esiste la riammissione in servizio manu militari, ma esistono delle fattispecie in eui il datore di lavoro vede vigere e persistere un rapporto con a suo carico la retribuzione, anche contro la sua volont� (oltre i casi sopra citati v. per es. l'imponibile di mano d'opera). Inoltre tali poteri potranno accrescersi e precisarsi nel futuro dal momento che la tendenza del diritto del lavoro � verso una maggiore sicurezza dell'impiego e una pi� intensa tutela del lavoratore. Ma si tratter� pur sempre di una tutela legata al diritto soggettivo (e cio� dell'intensrficarsi ed estendersi dei diritti soggettivi) e eguale per tutti i lavoratori di una stessa categoria, facciano essi capo a datori di lavoro privati o enti pubblici economici: tale quindi da non alterare la natura del rapporto, n� turbare la parit� tra gli uni e gli altri. � Oltrech� nel sistema e nei rilievi delineati, l'ob biezione in esame ci sembra trovi la sua pi� decisa cond�nna proprio nella necessit�, di assicurare questa parit� di condizioni non solo per evitare il crearsi di privilegi, quanto per l'interesse stesso delle imprese datrici di lavoro. � Non vi � dubbio che l'annullamento, spe�ie se frequente, a tutela di un interesse legittimo P, attra verso la figura dell'eccesso di potere, rappresenta un costo non indiflerente e accresce il peso del costo del lavoro. Si tratta a volte, per la stessa giustificata. lentezza della giustizia amministrativa, di anni di assegni arretrati che l'ente � costret.to a pagare senza essersi avvalso del lavoro del suo dipen dente. Tale costo incide sulla gestione economica e porta uno .squilibrio che gioca contro il suo rendimento, le impedisce una effettiva concorrenza coll'impresa privata, snatura e rende vuota di significato la pretesa. di una sua azione calm,ieratrice. Ecco allora che la gestione economica non �� in grado di a.ffrontare la libera concorrenza e si risolve in un passivo per le finanze statali (gioca anche contro di essa il frequente minore impegno del suo stesso personale che sa di avere maggiore tmnquil lit� anche se non d� tutto il suo rendimento). Si potr� dire che ci� � dovuto a tante cause, e p�� ess0 re, ma cuto tra gli elementi del pai>sivo c'� da porre il maggior costo che impedisce una gara vittoriosa sul mercato: � quindi anche nell'interesse pubblico che ha dato vita all'ente che esso non sia posto in condizioni di inferiorit� a tutto profitto del privato e a tutto danno per le finanze statali e per la generalit�. Occorre quindi scegliere tra i due sistemi, ma abolire ogni ibridismo, e non creare condizioni di ingiustificato privilegio, come sarebbe se a un rapporto di impiego privato, si aggiungessero le pur contrastanti garanzie del pubblico impiego, e la. relativa gimtizia. VALENTE SIMI AVVOCATO DELLO STATO Pubblichiamo la comunicazione fatta dal collega avv. Sinii, a.l Convegno sul rapporto di impiego degli enti pubblici� economici, organizzato dall' I stitnto di St11,di Amministrativi dell'Universit� di Bologna, per iniziativa del prof. Lessona, e con l'appoggio della Rivista di diritto del lavoro e degli enti locali. � Il Convegno si � concluso con la votazione di due ordini del giorno contrapposti: il primo dei quali che sosteneva il carattere pubblico del rapporto d'impiego presso gli enti di cui sopra e la competenza degli organi della Giustizia Amministrativa ha ottenuto iina strettissirna maggioranza, di 16 voti contro l '5, con varle astensioni dal voto. Nel dibattito si sono pronunciati a favore del carattere pttbblico del rapporto e della competenza del Con.qiglio di Stato i due relatori cons. di Stato dott. Aldo Bozzi e prof. Rilvio Lessona, i Presidenti di Sezione del Consiglio di Stato P�paldo e I.a Torre e il prof. Navarra dell' fhiiversit� di Napoli. S,i sono, invece, espressi per il carattere privatistico del rap porto di impiego oltre all'avv. Simi, con la comii nicazione di cui sopra, il prof. Prosperetti della Universit� di Perugia, il giudice Melfi del Tribu nale di Perugia., alcnni avvocati di enti pubblici economici e rappre.qentanti sindacali di categoria dei lavoratori. Ci sernbra, pertanto. chiaro che. pur essendo stato il Convegno utile per il dibattito che ha suscitato, non pu� ritenersi che abbia portato ad alcuna precisa conclu sione anche semplicemente di valore indicativo. Se un valore indicativo 'l'Oles,qe trarsi esso non po trebbe des11,mersi dall'ordine del giorno approvato a strettis.Yima maggioranza dai presenti, ma dal l'atteggiamento delle varie rappresentanze e, cio�, dalla 'l.!olont� dei rappresentanti dei lavoratori e degli enti, di voler conservare l'appartenenza alle categorie, la contrattazione collettiva, la disciplina privatistica del rapporto di impiego, e dallo schiera rn.ento a favore di trt,le tesi della maqgioranza dei pro fessori di diritto del lavoro presenti, mentre a favore del carat~ere pubblicfatico si ,qono schierati i magi strati del Co�n,,qiqlio di Stato e la pi� parte degli inse gnanti di diritto amministrativo. Talchfi, se n11,'indicazione deve trarsi dal voto, essa pare nel senso che coloro che sono soggetti alla disci plina normativa del rrr.vporto (dafori di la1,oro e lavoratori) sono concordi nel ritenere p�i� .soadisJa- cente la discivlina privatistica, mentre, per regioni teoriche, a no,qtro a11vi80 m.ianto meno discutibili, 1ma cerchia di studiosi del diritto amministrativo intenile patrocinare una dfrersa sol1izione. N�o TE DI DO,.fTRINA FERDINANDO Rocoo : La giust'zia amministrativa : reallzzazfoni ed aspettative. (� Rivista .Amministrativa �, l!l51, 160). In questo brevissimo articolo, che �, in sostanza, il riassunto del <liscorso di commiato pronunciato levato in dottrina, che l'istit1:! to della sospensione possa urtare contro principi .costituzionali e vada ripudiato, mentre esso rafforza l'efficacia del controllo della giurisdizione amministrativa e, senza affatto vulnerare, per la eccezionalit� che deve conservare, il principio basilare della . esecutoriet� nel momento in cui lasciava la carica di presi....-'degli atti amministrativi, costituisce, per j suoi dente del Consiglio di Stato, Ferdinando Rocco, premesso che �La Carta Costituzionale attende ancora e da tempo i suoi logici sviluppi ed i suoi adeguamenti legislativi che sono necessari per rendere efficaci ed operanti i suoi risultati che interessano tanto da vicino il funzionamento della giustizia amministrativa�, accenna all'op<: Jra svolta dal Consiglio di Stato con i suoi pro . getti di legge, i suoi studi, i suoi voti per la chiarificazione di alcuni dei problemi legati alla spe- Ciale fisionomia giuridica di quell'Istituto. Richiamata l'attenzione sulla duplice natura del Consiglio di Stato �ad un tempo organo ausiliario del potere esecutivo da questo distinto ed indipendente cui spetta la consulenza giuridico- amministrativa . . . e nel tempo stesso organo giurisdizionale �, e, affermato che questa funzione duplice � fondamentalmente unitaria, il R. dichiara che ormai la giurisdizione � non pu� pi� esaurirsi nell'or<line giudiziario, ma � ampliata e ancor pi� vivificata dalla funzione contenziosa del Consiglio di Stato� pur rimanendo integro il rispetto del principio della divisione dei poteri �che deve restare il cardine del moderno stato di diritto con gli adattamenti che la sua evoluzione impone �. Da questi . principi l'A. deduce che � solo alla istituenda Corte Costituzionale che pu� spettare la risoluzione dei conflitti di attribuzione tra Amministrazio.ae e giurisdizione � e quindi tra .Amministrazione e Consiglio di Stato in sede giurisdizionale �. Dopo aver messo in rilievo gli sforzi costanti che si sono fatti per garantire nei vari provvedimenti legislativi relativi alla giustizia amministrativa, ~1 concetto dell'unit� organica e funzionale dell'intero Consiglio di Stato, concetto che ha trovato la sua pi� concreta espre8sione nella norma contenuta nell'art. 5 della legge del 21 dicembre 1950, n. 1018, l'A. richiama l'altra innovazione legislativa portata dalla stessa legge sopracitata relativa alla procedura per la decisione sulle questioni incidentali di sospensione. A questo proposito, il R. rileva come appaia senza fondamento �il dubbio, ultimamente sol- ef(etti intimidatori preventivi e come sanzione repressiva, un salutare mezzo per paralizzar!'l danni irrepar-1.bili che l'azione illegittima della Pubblica Amministrazione pu� anche in qualche caso arrecare al cittadino�. Continuando nella sua breve. rassJ:1gna, il presidente Rocco afferma poi che �di un altro dubbio egualmente inconsistente � ha fatto gi�.stizia l'a,dunanza generale del Consiglio di Stato, la. quale ha ormai costantemente ritenuto ammissibile il ri~ corso straordinario al capo dello Stato anche dopo la entrata in. vigore della nuova Costituzione. Secondo l'A. a favore di questa tesi vi sarebbero �serissime argomentazioni di diritto tra le quali, insuperabile, il riconoscimento espresso in norme pa:rticolari costituzionali (lo Statuto Siciliano) nonch� una non breve consuetudine interpretativa �. L'articolo conclude con un cenno ad un progetto di legge per la riforma del Consiglio di Stato gi� predisposto fin dal _luglio 1948 e per il quale 1'A. si rammarica che non si sia ancora neppure sulla via d!;l})a pratica realizzazione. A buon diritto il presidente Rocco ha voluto ricordare, nell'allontanarsi dalla carica da lui tenu.ta con tanta competenza e con tanta passione in questi turbinosi anni della nostra vita nazionale, le pi� importanti tappe dell'attivit� che �l Consiglio i# Stato ha svolto sotto la sua alta guida. In questi momenti, in cui l'ordinamento giuridico del nostro Paese � soggetto a decisive trasformazioni, l'opera dell'alto Consesso, nella sua duplice funzione eonsultiva e giurisdizionale non pu� non avere notevoli ripercussioni nella elaborazione dei principi e delle norme ai quali i nuovi istituti debbono ispirarsi e i vecchi debbono adeguarsi. .. Pur nella forma volutamente obiettiva di un resoconto, � facile intendere nelle parole del�pr�si dente Rocco la soddisfazione, ben giustificata, per l'opera da lui compiuta e non possiamo n�n pensare che decisioni e pareri emessi in questi 11,ltimi anni, e che hanno costitutuito vere pietre miliari nella elaborazione del diritto amministrativo, posf)ono giu stamente portare il suo nome. -134 Tre questioni di particolare rilievo sono state toccate dal presidente Rocco nel suo discorso. La prima riguarda la devoluzione alla Cort� Costituzionale della risoluzione dei confiitti di attribuzione tra amministrazione e giurisdizione, tra i quali l' A. comprende anche quelli tra Amministrazione e Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. Su questo argomento abbiamo, pi� volte, espresso il nostro pensiero i questa Rassegna (�Rass. Mens. n 1948, fa, 0 e. 7-8, 194.9, pagg..101-110) nella quale abbiamo anche pubblicato il fondamentale studio dello stesso presidente Rocco (� RJiss. Mens. n 1948, fase. 9, pag. 1 e segg.). Ormai p'U� dirsi che quelle 'correnti di opinione che tendevano a sottrarre alla Corte Costituzionale proprio quei confiitti di attribuzione sempre tradizionalmente ritenuti tali dalla dottrina e dalle leggi, non abbiano avuto, ed a ragione, fortu,na dato che nel testo legislativo che attualmente si trova all'esame del Senato, viene accolto, come � noto, il principio della devoluzione alla corte c ostituztonale della risoluzione dei confiitti di attribuzione tipici, anche, cio�, di quelli tra Amministrazione e giurisdizione. In tal modo, non sembra possa esservi pil� alcun dubbio che anche i confiitti tra Amministrazione attiva e Consiglio di Stato in s. g. debbano essere sottoposti in ultima istanza al giudizio della Corte Costituzionale, sia pur dopo essere passati attraverso il giudizio delle Sezioni Unite della Oort� Suprema di Cassazione. La seconda questione trattata dall'A. concerne l'istituto della sospensione giurisdizionale degli atti amministrativi. Com'� noto, � proprio su queste colonne (ccRass. � 1949, p. 1 e segg.; 1950, p. 168 e segg.) che il problema della compatibilit� di questo istituto con la nuova Costituzione � stato affacciato e lungamente trattato. Il tema � stato anche da noi ripreso per rispondere alle obiezioni mosseci in un articolo dal Roherssen. In sostanza, non ci sembra che siano stati addotti argomenti decisivi contro la nostra tesi secondo cui di fronte alla nuova Costituzione della Repubblica, ta quale non solo ha rafforzato il principio della divisione dei poteri ma ha apprestato i mezzi giurisdizionali per garantirne l'osservanza (Corte Costituzionale) non possano pi� sussistere istituti ibridi in forza dei quali organi giurisdizionali, nell'esercizio di funzioni giuri� sdizionali, emettano provvedimenti istituzionalmente attribuiti all'Amministrazione attiva. Tanto pi� questo principio ci sembra indiscutibile di fronte al disposto dell'art. 28 della Costituzione il quale stabilisce la responsabilit� personale solo � dei funzionari della �rnministrazione attiva quando adottino provvedimenti lesivi dei diritti dei cittadini, e non dei magistrati n� amministrativi n� giudiziari; s� che il mantenimento del potere di sospensione, e, cio�, del potere di emanare atti propri dell'Amministrazione attiva, sarebbe disgiunto proprio da �quel freno della responsabilit� personale che la Costituzione ha voluto apprestare a maggior garanzia dei diritti dei singoli. Perch�, per quanta si cerchi sempre di giustificare la sospensione degli atti amministrativi come un mezzo per tutelare ulteriormente la sfera giuridica dei cittadini nei confronti della Pubblica Amministrazione (e questa � anche la giustificazione addotta dall'A. del presente articolo) non si pu� dimenticare che spessissimo la tutela della sfera giuridica del ricorrente si risolve nella violazione della sfera giuridica del controinteressato, il quale verrebbe ad esser privato contro questa 1Jiolazione, di qualsiasi garanzia. D'altra parte, riteniamo di non peccare di presunzione se pensiamo che in fondo contro la nostra tesi non possano partarsi argomenti giuridici, e che l'unico argomento pratico importante contenuto nell'articolo annotato sia la considerazione (che ci auguriamo costituisca anche una autorevole esortazione al Consiglio di Stato) che il mezzo della sospensione debba conservare il carattere della eccezionalitlt, ci� che negli ultimi tempi, c�me abbiamo documentato nei sopra citati articoli, non pu� dirsi sia davvero avvenuto. L'ultima questione sulla quale il presidente Rocco si � particolarmente intrattenuto � quella che con cerne la compatibilit� del ricorso straordinario al capo dello Stato con la Costituzione. Anche in questo campo siamo stati proprio noi su queste colonne (� R"i,ssegna � 1948, fase. 10, p::ig. 1 e segg., e 1951 pag. 39 e sege-.) a sollevare la questione. Vanamente, peraltro, abbiamo cercato sia negli scritti che si sono occupati, in senso contrario al nostro, dell'argo mento, sia nel presente articolo, quelle ragioni giuri diche sulle quali il dissenso, in una materia cos� delicata dovrebbe saldamente poggiare. In sostanza, secondo l'A., sembra che il solo argo mento ritenuto decisivo sia quello f andato sull' arti colo 23 dello Statuto Siciliano, il quale prescrive che: � i ricorsi amministrativi, avanzati in linea straor dinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente regionale, sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato �. Invero, a parte la ovvia cpnsiderazione che lo Statuto Siciliano � anteriore alla Costituzione e non potrebbe mai costituire argomento decisivo contro di essa, sta di fatto che per riconoscere impor tanza, agli effetti del tema che ne occupa, alla norma sopra riportata, bisognerebbe dimostrare che il Pre sidente della regione � equiparato, sia pur nell'am bito regionale, al Capo dello Stato, ci� che nessuno si � mai sognato di sostenere. Ma quello che pi� conta, essa � resistita netta. mente dalle norme e da tutto il sistema dello Statuto Siciliano il quale, all'articolo 21 definisce il Presi dente �Capo del Governo regionale�, e gli attribuisce funzioni che sono proprie del Capo del Governo e mai del Capo dello Stato. � infine la stessa formula che abbiamo sopra riportata dell'art. 23, che interpretata alla luce delle . considerazioni sopra riferite, manifesta quale sia la natura del ricorso affidato alla decisione del Pre sidente regionale: un ricorso gerarchico, sia pure di carattere stram�dinario, ma sempre avente natura amministrativa, cos� come amministrativa sar� la decisione che su di esso sar� emessa dal Presidente, con tutte le conseguenze che ne derivano anche in relazione all'applicazione dell'art. 113 della Costi tuzione successivo nel telmpo, come ..abbiamo_ de!to, allo Statuto Siciliano. ��� � evidente che, di fronte a questi argomenti, non possidmo abbandonare una tesi che si risolve in una ulteriore difesa delle attribuzioni della Pubblica Amministrazione. N� potrebbe giustificare un tale -135 abbandono la invocata consuetudine interpretativa contraria, che oltre ad essere vecchia di soli tre anni, appare assolutamente inidonea a contrastare norme e prinoipi di una �Costituzione di tipo rigido come la nostra. E tanto meno, infine, ci sembrano rilevanti, in una materia cos� delicata, le considerazioni di .un ignoto autore che, sull'� Amministrazione italiana � (1951, pag. 619) ha creduto di addurre seri argomenti contro la tesi sostenuta in queste colonne, affermando che la tesi opposta Ǐ ovvia e di logica elementare �, solo perch� �la prassi ammette pacificamente la sopravvivenza del rioorso straordinario �. Nel oonf ermare il. nostro dissenso sui punti sopra ricordati, non possiamo, tuttavia, chiudere questa. nota senza esprimere nuovamente la nostra pi� profonda ammirazione per l'opera svolta dal presidente Rocco, associandoci all'augurio da .lui formulato che presto la Costituzione trovi, nelle leggi ordinarie, quei n.ecessari sviluppi che, specie net oampo della giustizia amministrativa, si rivelano sempre pi� urgenti. ELIO CASETTA : Sulle potest� di annullamento d'ufficio, di revoca e di rinunzia della Pubblica Amministrazione di fronte al giudicato amministrativo. ( � Rassegna di diritto pubblico '', 1951, I, pag. 178). Premessa la definizione del potere di autotutela nei suoi due �aspetti, � di legittiinit� e di merito, secondo che la Pubblica .Amministrazione annulli o revochi atti amministrativi rispettivamente illegittimi o inopportuni, il Casetta; d�po avere accennato al problema dell'�fficacia invalidante dei fatti sopravvenuti ed al conseguente potere di revocare ex nunc gli atti divenuti inopportuni, che non rientrano nell'argomento, distingue quattro ipotesi, nelle quali la Pubblica .Amministrazione potrebbe subire limitazioni, nell'esercizio del suo potere di aufot'utela, per effetto di una decisione del giudice amministrativo. Due delle quattro ipotesi formulate non offrono alcun interesse: � evidente, infatti, che nessun limite alla potest� di annullamento sorge da una decisione di merito e viceversa. In questi casi efficacia del giudicato e potere di autotutela si muovono su piani diversi. Il problema si pone, iilvece, in tutto il suo interesse nelle altre due ipotesi: quando il giudicato si sia formato sulla legittimit� o sul merito dell'atto, che la Pubblica .Amministrazione intenda, rispettivamente, annullare o revocare. Trattandosi di determinare il limite, che il giudicato rappresenta per l'esercizio del potere di autotutela, l' A. ritiene necessario precisare l'estensione obbiettiva della cosa rfiudicata nel processo amministrativo. Il problema dei limiti obbiettivi del giudicato, secondo l'opinione dell' A., equivale a quello della identificazione delle azioni o dei ricorsi, cui l' A. ritiene poter pervenire trasferendo il concetto civilistico. della cosa giudicata nel campo della giustizia amministrativa, non essendo a ci� di ostacolo l'asserita diversit�, forse pi� funzionale ohe intrinseca, della giurisdizione amministrativa rispetto a quella civile. Questo concetto si esprime con i tre criteri tradizionali delle personae, del petitum e della causa petendi. Questa, definita dai processualisti pi� recenti come cc fatto costitutivo della situazione giuridica, che viene affermata e perseguita attraverso il processo n, coincide con �ogni singola fattispecie addotta dal ricorrente a fondamento della denunziata illegittimit� J> (motivo) e, pertanto, il giudicato amministrativo viene a formarsi in ordine ai motivi addotti dal ricorrente, che costituiscono altrettante causae petendi. � questo punto l'�. precisa, se ben intendiamo, . che per motivo deve intendersi quello in concreto e specificamente addotto dal ri�orrente e non l'intera categoria della fattispecie, cui appartiene quella dedotta. L'autorit� del giudicato, pertanto, si estenderebbe al motivo dedotto, non all'intera categoria. Deve, infine, escludersi eh~ il giudicato si formi sulla legittimit� dell'atto amministrativo, nella sua interezza, perch� �questo � il petitum e i limiti obbiettivi del giudicato sono dati da questo in unione alla causa petendi. Tutto ci� in applicazione del principio generale, espresso nell'art. 2909 e.e., ma valido per ogni giurisdizione. La Pubblica Amministrazione, parte del processo amministrativo, �, pertanto, tenuta al rispetto del giudicato. Essa non potr�, senza violare il giudicato, annullare l'atto amministrativo ricoc nosciuto legittimo, la cosa giudicata sostanziale consistendo nell'obbligatoriet� dell' acoertamento contenuto nella decisione irrevooabile. L'atto ammini-� strativo dichiarato legittimo non potr� pi� essere impugnato per i medesimi motivi respinti dal giudice, n� dal privato ricorrente (posto che si verifichi a suo favore una ripertura dei termini d'impugnativa), n� dalla Pubblica .Amministrazione. Nel divieto d'impugnativa resterebbe compreso il divieto d'esercizio dell'autotutela, che l'A. configura come giudizio sull'illegittimit� dell'atto. La riprova di questo assunto sarebbe data, secondo l'A., dalla verit� della reciproca, per cui l'.Amministrazione non potrebbe riprodurre, basandolo sugli stessi motivi, un atto amministrativo annullato dal giudice amministrativo. � questo Punto l'A. accenna all'annoso problema della individuazione dell'oggetto dPl processo amministrativo e afferma che l'atto amministrativo non � l'obietto del giudizio amministrativo (la res in iudicium deducta). L'impugnativa dell'atto amministrativo � il presupposto per l'esercizio della giurisdizione ammi nistrativa, n� par del tutto esatto affermare che, mentre la giurisdizione amministrativa ha per oggetto atti amministrativi, la decisione e il ricorso abbiano per oggetto la validit� o l'invalidit� del provvedimento impugnato. Critica, poi, l' A. l'opinione di coloro, i quali riten gono che l'oggetto del processo amministrativo sia un rapporto giuridico potestativo, avente per conte- nuto l'annullamento di un provvedimento ammini strativo invalido, e ammettono che la decisione di rigetto abbia ad oggetto l'inesistenza di tale rap porto, non la legittimit� e la validit� dell'atto impu gnato, oggetto soltanto di una questione pregiudi_ -136 zfale. Cos� ragionando, i.rifatti, il giudicato si formerebbe sull'inesistenza del rapporto in capo al ricorrente e l'amministrazione sarebbe libera di annullare o revocare l'atto amministrativo. I principi esposti non trovano applicazione quando la decisione abbia dichiarato irricevibile o inammissibile il ricorso, senza esaminare il merito. In tale ipotesi la Pubblica .Amministrazione sar� libera1 tanto nei confronti del ricorrente, che degli eventuali controinteressati, di annullare o revocare l'atto amministrativo, senz'alcun vincolo per i motivi gi� dedotti, ma non esaminati. Critica poi l' A. la tesi sostenuta dal Lessona, ritenendo che l'Amministrazione non possa rinunciare a un diritto soggettivo pubblico, qual'� quello, che le deriva dal giudicato. In linea generale l'A. ritiene che il giudicato sia irrinunziabile e che le parti non possano, rinunciando a far valere la relativa exceptio, pretendere un nuovo accertamento rispetto alla questione decisa con sentenza irrevocabile. Passa poi l' A. a precisare il concetto di cosa giudicata formale, espressione d'immutabilit� della sentenza, e di cosa giudicata sostanziale, che. non � n� l'�fficacia della sentenza n� l'effetto della immutabilit� della sentenza, bens� una qualit� attribuita dalla legge al contenuto della sentenza, che fa stato ad ogni effetto. . Il giudicato sostanziale consiste nel carattere imperativo e definitivamente obbligatorio dell'accertamento vontenuto nella sentenza. (art. 2909 e.e.). Esso ha effetti processuali, per.ch� � l'accertamento� giurisdizionale della situazione, che si impone imperativamente alla parte. La cosa giUdicata si pone come fatto giuridico impeditivo di una decisione ulteriore da parte del giudice (art. 395, n. 5 c.p.c.). L'accertamento obbligatorio contenuto nella sentenza manifesta la sua obbligatoriet� soltanto nel processo, onde le parti potranno modificare la situazione giuridica stabilita dall'accertamento, rinunziando agli effetti sostanziali del giudicato, al diritto, cio�, di conseguire il bene attribuito dalla sentenza. La rinunzia agli effetti processuali del giudicato, consistenti nel vincolo per il secondo giudice di prendere a base il contenuto della prima sentenza, non � ammissibile perch� non pu� concepirsi diritto, suscettibile di dismissione abdicativa, alla qualit� dello accertamento. .Resta da esaminare se l'Amministrazione possa, come i privati, rinunziare agli effetti sostanziali del giudicato. Per effettuare tale rinunzia l' .Amministrazione dovrebbe, congruamente motivando, annullare l'atto impugnato, adducendone l'illegittimit� Conseguentemente �non sarebbe possibile rinunzia agli effetti sostanziali del giudicato quando non sussistesse una tale illegittimit�. Poich� la rinunzia � negozio giuridico autonomo, l' Amministrazione non potrebbe pervenirvi mediante l'atto di annullamento. N� la volont� di rinunzia potrebbe costituire motivo remoto dell'atto di annullamento, che in tal modo sarebbe viziato nella causa, non potendosi l'abbandono abdicativ-0 di un diritto conseguirsi at.traverso l'esercizio della potest� di autotutela. All'obbiezione, che potrebbe muoversi alla tesi suesposta, che la pubblica amministrazione, in sostanza, rinunzia alla immutabilit� dell'atto amministrativo anche quando annulla ex officio un atto amministrativo non impugnato e rispetto al quale siano decorsi i termini per l'impu nativa, l'A. replica negando all'atto amministrativo l'applicabilit� del concetto di cosa giudicata sostanziale. Anche a prescindere dal concetto di rinunzia, ritiene l'A. che debba negarsi alla Pubblica .Am ministrazione la potest� di annullare un atto di chiarato legittimo. Questa potest� si estrinseca in un accertamento, .che contrasterebbe con l'accertamento precedente (giurisdizionale) e verrebbe a violare anche gli effetti processuali del giudicato, la sua stessa essenza e il principio generale sancito nell'art. 2909 e.e. La riprova sarebbe data dalla impossibilit� di ottenere un accertamento giurisdizionale sull'atto, che, annullando il pr�vvedimento di annullamento, farebbe rivivere l'atto annullato. Il giudizio rela tivo allo stesso si convertirebbe in nuovo giudizio di legittimit� dell'atto annullato. La rinunzia agli effetti sostanziali del giudicato da parte . dell' .Amministrazione si risolverebbe non solo in rinunzia agli effetti processuali del giudicato, ma in violazione del giudicato. L'annullamento dell'atto per motivi diversi potr� sempre esser posto in essere dall'amministrazione, perch� rispetto ad essi non si � formato il giu dicato. Ci� vale anche quando nel precedente giudizio vi furono controinteressati. N� vale obbiettare che in questo caso l'Amministrazione troverebbe un limite nella perentoriet� del termine per ricorrere, in quanto al processo amministrativo non pu� appli carsi il pr'incipio d,el tantuim indicatum quantum disputari debebat. La potest� di autotutela non trova limiti nel decorso del termine per l'impugnativa dell'atto, n� questo limite sorge quando l'atto sia stato impugnato per motivi diversi. Gli stessi principi valgono per la decisione, che abbia r�spinto il ricorso pronunziando in merito. Anche questo accertamento ha la forza di cosa giudicata, non potendosi negare natura giurisdi zionale alla decisione di merito, sia che si limiti ad annullare l'atto impugnato, sia che lo riformi o lo sostituisca. � In queste ultim� ipotesi; per�, il giudice ammini strativo determina quello, che deve essere l'atto amministrativo e l'Amministrazione, pertanto, non potr� revocarlo, diversamente valutando il pubblico interesse. Al parametro della causa petendi si sosti tuisce la fattispecie, di cui il giudice ha tenuto conto nell'emanazione del provvedimento di riforma o di sostituzione. Il mutamento della fattispecie importer� l'eliminazione del limite, derivante dal giudicato, ed il risorger� del potere�. di revoca. .. Per una esatta visione del problema ritengo appnr-_ tuno richiamare, sia pur brevemente, il pregevole studio del Lessona (in �Foro It. � 1949, IH, col. 172). La decisione, dal Lessona annotata, (Commissione per le controv�rsie in materia �di requisizione �di al loggi di Firenze 15 ottobre 1948: Algieri-Bellaudi, -137 �~vi) merita di essere segnalata per il dispositivo e per l'assoluta mancanza di motivazione,� ad essa non potendo equivalere la considerazione che: � diversamente opinando la garanzia giurisdizionale si ridurrebbe ad un inutile dispendio di tempo e di� denaro �e l'Amministrazione vedrebbe riconoscersi la facolt� di ribellarsi impunemente alle pronuncie degli organi di giurisdizione �. L'addurre inconvenienti non vale motivare e il far ricorso al vieto luogo comune della ribellione del1' Amministrazione �, oltre tutto, erroneo. La ribellione presuppone un soggetto od organo dipendente da quello, al quale si ribella, ed � pacifioo che nessun rapporto di subordinazione sussista fra il giudice e l'amministrazione, entrambi rappresentando due poteri autonomi e indipendenti dello Stato. D'altronde, il concetto �ai ribellione � extra-giuridico. Dal giudi �dicato, come dalla legge o dal contratto, sorge l'obbligo �della Pubblica Amministrazione ad un certo comportamento verso l'altro soggetto, che fu parte� nel giudizio, non vemo il giudice. Quello e non questo pu� pretenderne l'osservanza. La violazione del giudicato, come la violazione della legge o del contratto, � un fatto giuridico, che costituisce inadempimento. Da questo fatto il fl:iritto tra le sue conseguenze e sono appunto queste, che debbono accertarsi. Il negare alla� Pubblica Amministrazione il potere di annullare l'atto amministrativo anche per un motivo diverso da quello, dedotto in sede d'impugnativa �e respinto dal giudice amministrativo, non sembra poi conforme ai principi. Il Lessona, al principio del suo studio, riassume efficacemente le varie opinioni della dottrina sull'argomento, che ritengo opportuno riportare. Secondo lo Zanobini �il rigetto del ricorso 'restituisce alla Pubblica Amministrazione piena libert�, con l'itnico limite di non poter basare l'annullamento su uno dei motivi riconosciuti infondati nella decisione. Analoga opinione hanno espressa il Guicciardi e il Ranelletti, il quale precisa che tale potere sussiste anche quando vi siano stati altri interessati, cui il giudicato si estende. Il Cammeo � della stessa opinione e fonda il suo convincimento sulla circostanza che il giudicato si forma sui motivi dedotti ed esaminati. Il Salemi, infine, estende il principio fino a ritenere ammissibile un nuovo ricorso per motivi diversi, se proposto nei termini (ipotesi in pratica di'ff�cile a realizzarsi, ma non da escludersi). Premessa questa panoramica riproduzione delle varie opinioni, il Lessona distingue due ipotesi, secondo che si sia trattato di rapporto bilatero (ricorrente e amministrazione) o trilatero (ricorrente, amministrazione, controinteressato). Premette, per�, che il giudicato si estende alla legittimit� dell'atto, nel �suo insieme considerato, in relazione, cio�, ai motivi dedotti e deducibili. Ci� in considerazione della perentoriet�. dei termini. Il giudicato non vieta di rinunziare ai suoi effetti sostanziali, a valersi, cio�, del bene attribuito dalla decisione. � N � sussiste alcun motivo perch� possa vietarsi alla Amministrazione di rinunziare agli effetti sostanziali del giudicato. Tale rinunzia, per�, � ammissibile solo nell'ipotesi del rapporto bilatero. Nell'altra, la rinuncia dell'Amministrazione involge il diritto dei controinteressati e, pertanto, non � ammissibile. Poich� il giudicato si forma sulla legittimit� dell'atto, in relazione ai motivi dedotti e deducibili, l'annullamento, che implichi rinunzia agli effetti del giudicato, non � in tale seconda ipotesi ammissibile .neppure per motivi diversi da quelli ded�tti. � � Il problema � senza ditbbio del massimo interesse e credo che esso meriti un ulteri01�e studio, non sembrandomi del tutto soddisfacenti le soluzioni datene dai citati autori. In questa breve recensione mi limiter� a segnalare i punti, che, a mio avviso, meritano l'attenzione della dottrina. Il problema va inquadrato nel pi� ampio concetto della cosa giudicata nel processo amministrativo, non potendo darsi soluzioni diverse alle ipotesi di rigetto e di accoglimento del ricorso. Presuppone, naturalmente, l'errore del giudice, essendo del tutto privo d'importanza pratica il problema, per quanto attiene all'annullamento per gli stessi motivi dedotti e respinti, se si ritiene esatta la decisione. In tale ipotesi l'atto di annullamento sarebbe di per s� illegittimo per avere annullato un atto legittimo, erroneamente ritenuto viziato. N� alla soluzione del problema pu� pervenirsi, come fa il Casetta, trascurando del tutto l'efficacia soggettiva del giudicato, la cui import�nza � stata, invece, esattamente posta in rilievo dal Lessona con l� menzionata bipartizione. Qualche riserva credo di dover esprimere sul concetto, esposto dal Casetta,� della identit� della cosa giudicata nel processo civile ed in quello amministrativo. Nonostante che la concezione soggettivistica del processo amministrativo sia da considerare nettamente prevalente in dottrina ed avvalorata da recenti espressioni legislatiVe (Cost. artt; 103 e 113), il processo amministrativo resta ancora molto diverso da quello civile ed anche dal processo penale, nel quale perfino � pi� facile identificare il tradizionale rapporto giuridico, costituito dalla pretesa punitiva e dall'obbligo di rispondere del fatto illecito penale. Nel processo amministrativo non credo . possa dirsi, con propriet� di linguaggio, che oggetto sia un interesse legittimo o un rapporto giuridico, inteso nel senso tradizionale. L'interesse legittimo, in quanto leso dall'atto amministrativo, costituisce soltanto il presupposto per l'ammissibilit� del ricorso e per la giurisdizione (vedasi e( Rass. Avv. Stato � 1951, pag. 48 e segg.). Accertatane l'esistenza, il giudizio proseg'ue per l'accertamento della denunziata illegittimit� e la decisione ha ad oggetto l'illegittimit� dell'atto e non l'esistenza o la lesione dell'interesse legittimo(� Rass. Avv. Stato�, loc. cit.). Il rapporto processuale non ha per contenuto l'esistenza di un interesse legit timo del ricorrente al buon uso di un potere da parte della pubblica amministrazione, ma questo, obbiet tivamente considerato. I concetti civilistici, pertanto, possono estendersi al processo amministrativo solo relativament&� ed in quanto non contraddicano ai principi generali propri di quest'ultimo. Premesso ci�,_ ritengo di poter concordare col Ca setta sulla identit� di concetto, nei due processi, della cosa giudicata formale e sul limite obbiettivo del giudicato sostanziale ai motivi dedotti ed ,esami ...:.. 138 nati, in ci� confortato dall'autorevole opinione del Oammeo, a cui mi pare che in sostanza aderiscano lo Zanobini, il Ranelletti e il Guicciardi. Il ragionanamento del Lessona non mi� sembra convincente e la perentoriet� del termine d'impugnativa mi sembra abbia tutt'altro scopo. Il ricorrente, il quale non deduca tutti i motivi deducibili, decade dal diritto di dedurre motivi nuovi, ma ci� non vuol dire che per tutti i motivi non dedotti l'atto acquisti l'autorit� di cosa giudicata (formale). Ohe ci� sia vero � dimostrato da varie considerazioni: altri interessati, i quali abbiano successivamente conoscenza del provvedimento, possono dedurre motivi diversi da quelli dedotti dal primo ricorrente; i controinteressati, mediante ricorso incidentale, possono estendere l'oggetto del giudizio, deducendo motivi propri; lo stesso ricorrente pu� dedurre nuovi motivi d'invalidit� dell'atto amministrativo, quando ne sia venuto a conoscenza tardivamente; la Pubblica Amministrazione pu�, in pendenza di giudizio, annullare l'atto per motivi diversi da quelli dedotti; il Consiglio di Stato pu� riammettere in termini il ricorrente, ancorch� questi siano decorsi; infine, quando l'atto abbia leso diritti soggettivi, la sua impugnativa, di competenza del giudice ordinario o del giudice amministrativo in sede esclusiva, non � soggetta a termini, n� l'impugnativa proposta impedisce la proposizione di motivi nuovi, e, conseguentemente, l'estensione dell'oggetto del giudizio (con riferimento a questa ipotesi, appunto, si definiva � non da escludere � quella fatta dal Salemi). Si pu� anche aderire al concetto, gi� esposto dubitativamente dal Lessona ed espressamente coniermato dal Oasetta, delle distinte causae petendi (motivi). Il ricorso, pur avendo ad oggettO l'unico provvedimento impugnato, pu� scindersi idealmente in tanti ricorsi quanti sono i motivi, ciascuno dei quali ha vita autonoma e distinta sorte. Cos� opinando, � da dubitare che resti identico il petitum. � vero che il ricorrente chiede l'annullamento dello atto impugnato, ma questa espressione potrebbe essere intesa in un senso pi� particolare ed in relazione a ciascun vizio denunziato. L'annullamento � l'�ffetto ultimo, cui tende il ricorrente, ma immediatamente egli chiede che sia accertata la sussistenza del vizio d'incompetenza, d'eccesso di potere o di violazione di una norma di legge. Non pare, pertanto, possa dubitarsi che il giudicato si limiti ai motivi dedotti ed esaminati e che l'atto sia dichiarato affetto o esente dai vizi denunziati ed esaminati. Il giudicato, per�, si estende, secondo il mio avviso e per lo meno per quanto riguarda i due vizi dell'incompetenza e dell'eccesso di potere, all'intera categoria, cui appartiene la fattispecie dedotta. Respinto il motivo d'incompetenza, l'atto dovr� considerarsi come ritenuto emesso dall'organo competente e, pertanto, esente da questo vizio. Lo stesso dicasi quando la decisione abbia respinto la censura di eccesso di potere, comunque formulata, dichiarando l'atto esente da vizi della causa. Questa conseguenza mi sembra inevitabile quando voglia riconoscersi -come a mio avviso si deve -un contenuto positivo alla decisione di rigetto. Premessa la determinazione dei limiti obiettivi del giudicato amministrativo, occorre indagare le conseguenze rispetto al problema propostoci. Dice il Oasetta che la Pubblica Amministrazione{ parte nel processo amministrativo, � tenuta a rispetto del giudicato e non potr�, senza violarlo, annullare l'atto per il motivo ritenuto insussistente dal giudice. A questa assiomatica conseguenza non ritengo di poter aderire e credo indispensabile ulteriormente precisare l'e'f!Wacia sostanziale del giudicato (ar ticolo 2909 c. c.) in senso obbiettivo e subiettivo. L'effetto principale, se non esclusivo, della cosa giudicata sostanziale � di natura processuale. Essa, come esattamente osserva il Oasetta, si pone come fatto impeditivo di una ulteriore pronunzia da parte del giudice, intesa, per�, come fatto, dal quale sorge il diritto-dovere delle parti di opporsi alla ulteriore pronunzia. Dico diritto-dovere perch� il rapporto � reciproco e ciascuna parte ha verso l'altra sia il diritto di non essere tratta ulteriormente a giudizio per lo stesso oggetto, sia il dovere di non trarre a giudizio.� Ciascuna parte, reciprocamente, ha verso l'altra il diritto di impedire un'ulteriore pronuncia del giudice relativamente all'oggetto del giudicato. Si � cos� precisato, perch� non credo che il giudice abbia esaurito la sua giurisdizione e sia, in conse guenza, privato e contemporaneamente liberato dal potere-dovere di emettere la pronuncia, ulteriormente chiesta dalle parti. In: sostanza, a mio avviso, il giudice non pu� rilevare d'ufficio l'eccezione del giudicato e le parti possono rinunziare a far valere gli effetti processuali del giudicato col limite, che vedremo. Sul . primo punto la giurisprudenza � consolidata in questi sensi, con la sola eccezione del giudicato formatosi nello stesso processo; la dottrina � prevalentemente in senso contrario (LIEBMAN: Sulla rilevabilit� di ufficio dell' exceptio iudicati, in � Riv. Trim. dir. e proc. civ.� 1947, p. 359), ma le argo mentazioni addotte non convincono. Le legge in proposito tace, pur essendo ben nota al legislatore la categoria delle eccezioni rilevabili d'ufficio. L'art. ~95, n. 5, invocato dal Liebman, mi mi sembra controproducente. Se fosse vero che il giudice con la prima decisione esaur� la giurisdi zione, contro la seconda dovrebbe essere dato il rimedio relativo al difetto di giurisdizione e non il ricorso per violazione di legge o la domanda in revocazione, secondo che l'eccezione sia stata sollevata o meno dalle parti. In secondo luogo, e questo mi sembra l'argo mento pi� grave, il rimedio della revocazione � con cesso soltanto quando la seconda decisione sia contraria alla prima, divenuta giudicato. Ci� significa che la seconda pronunzia, se � non-contraria (che � meno di conforme) al giudicato, � valida e inattaccabile. N� si dica che il rimedio non � concesso nel caso di sentenza non-contraria, per mancanza d'interesse, perch� la parte potrebbe avere interesse ad ottenere un'ulteriore pronuncia, ancorch� non-co~traria. Si pensi, �ad es., alla prescrizione dell'actio indicati, derivante dalla prima decisione. Non m�edo che �la� prescriziOne dell'actio importi prescrizione anche dell'ex�eptio, ma se cos� fosse ci sarebbe un ulteriore argomento a favore della relativit� dell'eccezione: la prescrittibilit�. Sulla rinunziabilit� degli effetti processuali del giudicato, pur non nascondendomi la difficolt� del tema e la necessit� di ben pi� approfondito studio, non ~139 ritengo. convincenti e risolutive le argomentazioni del Casetta. Le parti, in sostanza, t1-0n rinunziano ad una qualit�. dell'accertamento, bens� alla facolt� di far valere il diritto, che per essi sorge dal giudicato. . Ma questo effptto del giudicato pu� farsi valere soltanto nel processo e a questo non pn� considerarsi equipollente l'esercizio del potere di auto-tutela della Pubblica Amministrazione. Non credo che il giudicato amministrativo quando la decisione sia, come normalmente �, di natura dichiarativa, abbia effetti sostanziali. La legittimit� ed esecutoriet� dell'atto amministrativo sono attributi, che a questo conferisce la legge, non la decisione di rigetto del ricorso. La decisione non attribuisce alla pubblica amministrazione un bene e, tanto meno, le impone un obbligo, che sarebbe assai strano configurare a carico del vincitore. Dalla decisio'lpe, che resping� la pretesa del ricorrente, dichiaran,go l'atto immune dai vizi denunziati, non sorge alcun diritto soggettivo sostanziale per la Pubblica Amministrazione, n� per il ricorrente. Gli effetti sostanziali derivano dalla situazione accertata e preesistente, non dall'accertamento e, per tanto, mi sembra fuor di luogo parlare di rinunzia. Questa conseguenza � innegabile nel caso di rapporto bilatero e ci� per effetto dei limiti soggettivi del giudicato, che non si estende ai terzi, i quali non furono parti nel. processo amministrativo. Per essi il giudicato � res inter alios e nei loro confronti non ha alcun effetto, n� sostanziale n� processuale. � La Pubblica Amministrazione potr� sempre annullare l'atto impugnato, senza che altri possa dolersene, perch� il giudicato non crea, per la Pubblica Amministrazione, alcun obbligo sostanziale e perch�, comunque gli effetti del giudicato non possono essere invocati da coloro, che non furono parti nel processo e ai quali il giudicato � estraneo. Solo il ricorrente, qualora avesse foteresse, potrebbe ottenere l'annullamento dell'atto di autotutela, invo cando gli effetti processuali del giudicato. Ad analog~i risultati si perviene nell'ipotesi di processo trilatero o plurilatero, con la pratica diff erenza che in questi casi sussiste certamente l'interesse� dei controinteressati all'annullamento dell'atto di autotutela. Questo non �, neppure in questo caso, sostanzialmente illegittimo, ma � annullabile, su ricorso dei controinteressati, in conseguenza degli effetti processuali del giudicato. Poich� la legittimit� dell'atto annullato fu accertata, nei loro confronti e con i limiti dianzi esposti, dalla precedente decisione, i controinteressati potranno farne valere gli effetti processuali nel nuovo giudizio, avente ad oggetto l'atto di annullamento. Questo risulter� illegittimo per avere annullato un provvedimento, la cui legitti mit�, per effetto del giudicato, � rimasta accertata irrevocabilente fra le parti. La prima decisione, facendo stato fra le, stesse parti nel secondo processo, importer�, come conseguenza indiretta, l'illegittimit� dell'atto di annullamento . � Per l'effetto processuale del giudicato, che pu�, ove ci� sia richiesto dalle parti, impedire l'ulteriore pronuncia sulla legittimit� dell'atto annullato, i controinteressati otterranno l'annullamento dell'atto di autotutela; non perch� questo sia viziato da eccesso di potere. Questo non sussiste mai in re ipsa, n� l'eventuale rinunzia ai pretesi effetti sostanziali del giudicato potrebbe configurarsi diversamente dalla implicita rinunzia, insita in ogni atto di annullamento, all'ac quisita inattaccabilit� dell'atto amministrativo per omessa impugnativa nei termini. A risultati diversi dovrebbe pervenirsi quando il giudice amministrativo, nell'esercizio della giurisdi zione di merito, avesse riformato l'atto impugnato, sostituendolo con la decisione, che in tal caso avrebbe natura costitutiva, e, perci�, eff'etti sostanziali. Come l'autorit� inferiore non pu� revocare l'atto riformato dall'autorit� superiore in seguito a ricorso gerarchico, cos� la Pubblica Amministrazione non potre9be revo care l'atto riformato dalla decisione. Ci� perch�, nell'un caso e nell'altro, l'atto originario � stato sosti tuito da altro provvedimento, sul quale l'autorit�, che emise il primo, non pu� esercitare il potere di auto tutela. Ci�, per�, ove si riconosca al giudice di merito il potere di sostituire, con la decisione, l'atto amministra tivo impugnato e riconosciuto inopportuno e sempre che, in concreto, un tale potere sia stato esercitato. Pur senza approfondire il problema, che porterebbe molto al di la dei limiti prefissi ritengo meritevole di profonda attenzione l'opinione espressa in propo. sito dal Casetta, secondo il quale l'espressione �decide pronunziando anche in merito n, usata. ddlla legge, significhi la possibilit� di accertare non solo la legitti mit�, ma anche la opportunit� dell'atto, limitandosi per� sempre la pronunzia all'annullamento o alla revoca dello stesso, alla eliminazione, cio�, del prov vedimento impugnato senza che sia emessa alcuna pronuncia di natura positiva. � vero che la dottrina � concorde nel senso contrario, ma � altres� incontestabile la costante e presso che uniforme limitazione dei giudici amministrativi alla pronuncia di annullamento o di revoca, il che potrebbe costituire, se non una consuetudine interpretativa, 1tn argomento a favore della tesi prospettata. A risultati conformi si perverrebbe considerando oggetto del processo un rapporto giuridico potestativo, avente per contenuto l'annullamento di un provvedimento invalido. G. GUGLIELMI RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA AMMINISTRAZIONE PUB~LICA -Costituzione in mora -Omissione di stanziamento di bilancio. (Corte d: Cass., Sez. III, Sent. n. 1410-51 -Pres. : Aca.mpora, Est.: LombJ.rdo, P. M.: Criscuoli -.Pandarese contro Amministrttz~one Provinciale di Napoli). Anche nel caso di pagamento da effettuarsi dalla Pubblica .Amministrazione � applicabile il primo comma dell'art. 1219 cod. civ. per cui il debitore � costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto. Una diversa �pi� rigorosa disciplina, agli effetti della costituzione in mora, non pu� desumersi n� dalle norme contenute nel Regolamento per la contabilit� generale dello Stato (art. 312 o 313) n� da quelle contenute nel Regolamento per, l'esecuzione della legge comunale e provinciale (art. 205) per le quali il pagamento da parte dello Stato, delle Provincie e dei Comuni deve avvenire a mezzo di mandato e tramite iltesoriere il quale provvede a dare avviso al creditore dell'emissione del mandato stesso. Dette norme riguardanti le modalit� di pagamento non esonerano .il creditore dal costituire in mora l'amministrazione, ma portano invece ad escludere l'applicabilit� del n. 3 del citato art. 1219 (per il quale la costituzione in mora non � ammessa se, scaduto il termine, la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore) dovendo in ogni caso il pagamento avvenire presso il tesoriere della 'debitrice amministrazione. f;a massima sopra riportata costituisce la parte sostanziale della motivazione della sentenza della Corte Suprema sul punto ,e8aminato. Ci sembra chiaro che l'insegnamento contenuto in questa sentenza debba es~ere integrato dal principio enunciato nella sentenza n. 1014 del 1951 su ricorso Ministero difesa-esercito contro Societ� Acciaierie e Ferriere Pugliesi (in questa Rassegna, 1951, p. 121), nella quale si pre�isano le condizioni alle quali � subordinata l'esistenza d'una posizione di mora dell'Amministrazione statale. In altri termini, l'intimazione o richiesta scritta � necessaria per la costituzione in mora dell'Amministrazione, ma non � sufficiente. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA-Occu� pazione temporanea -Stato di consistenza -Non ne� cessit� � Mone�a naziona'e Indennit� di espropria� zione -De'>ito di valuta. (l'"ortA d' Cas<:., Sez. II, S"nt. n. 1432-'ll -Pr�~s.: Brunelli, Est.: Nisii, P. M.: Macaluso -Bianchetti contro FF. SS). Nelle occuvazioni temvoranee di beni immobili, eseguite in conformit� dell'art. 71 della legge d9l 1833 ~ull'e-,vropriazione, � prescritta la previa compilazione dello stato di consistenza, mentre compilazione di analogo stato non occorre per la cessazione dell'occupazione stessa. Sono pertanto inapplicabili alla cessazione dell'occupazione temporanea sia l'art. 60 della legge di espropriazione, riguardante la necessit� di una perizia (e non della compilazione di uno stato di consistenza) nel caso di retrocessione dell'immobile espropriato sia l'articolo 69 della norma annessa al Regio decreto 18 agosto 1940, n.1741, che prevede la compilazione di un verbale nel caso di cessazione della requisizione in uso di� un immobile, caso diverso da quello dell'occupazione temporanea regolata dalla legge di espropriazione. Pertanto, per la cessazione di un'occupazione temporanea e dei relativi rapporti di diritto amministrativo tra Pubblica .Amministrazione e privato, � sufficiente l'emanazione di decreto prefettizio che dichiara la cessazione, debitamente notificato al proprietario dell'immobile con l'avvertenza che le chiavi di esso sono a sua disposizione, senza alcuna necessit� di compilazione di verbale di riconsegna n� di stato di consistenza. La vera e propria indennit� dovuta a seguito di espropriazione di beni per pubblica utilit� e quella per occupazione temporanea vanno determinate la prima, in base al valore dei beni al momento dell'espropriazione, e la seconda in base alla utilit� economica che i beni sono capaci di arrecare al proprietario nel tempo dell'occupazione. Trattasi di rapporti analoghi, rispettivamente a quelli di compravendita e di locazione, con la differenza, fra le altre che il prezzo della compravendita e il corrispettivo della locazione sono pattuiti dai contraenti, mentre l'indennit� � determinata s.econdo criteri stabiliti dalla legge, in mancanza di accordo fra gli interessati. Si hanno pertanto, fin dall'origine, obbligazioni pecuniarie vere e proprie, cui � applicabile il principio nominalistico, secondo il quale sono dovute sempre le somme determinate e, se del caso, gli interessi legali. Le massime sopra riportate rappresentano la parte sostanziale della sentenza della Corte Suprema che, in accoglimento delle tesi dell'Avvocatura ha rigettato il ricorso avversario. Non sembra che possa dubitarsi della esattezza dei principi enunciati dalla �Corte Suprema, sia per quanto riguarda la non necessit�-della compilazione di verbali di consistenza per il caso di �<Jess-a-zione dell'occupazione temporanea, situazione giuridica questa, ben di~tinta da quella dell'inizio della � occupazione stessa (per il quale invece il verbale di consistenza f. obbligatorio) sia per quanto rigua.rda la. ancora una_volta confermata natura di obbligazione rn-w =wr :z -141 pecunaria., fin dall'origine, attribuita alla indennit� di occupazione temporanea considerata simile alla indennit� di espropriazi�ne. Purtroppo -questo principio � spesso ripudiato dalle �Jorti di merito, per malintese ragioni di equit�, le� quali sono state pi� volte ampiamente confutate su questa Rassegna. . Pu� invece dirsi che la Corte Suprema non ha pi� deviato dal principio affermato per la prima volta con la sentenza n. 2304 del 1949 a sezioni unite, riportata in questa Rassegna, 19~9, pag. 216. �IMPOSTA DI REGISTRO -Procedimento d'ingiunzione -Trattamento fiscale ai fini della tassa di registro -Conto corrente bancario e contratto di conto corrente Differenza Atti soggetti a registrazione soltanto .in caso di uso -Libretti di conto corrente -Nozione -Giudizio di stima. -Spese Amministrazione appellante. (Corte di Cass., ~ez. I, Sent. n. 1126-51 -Pres. : Pdlegrini, Est. : Liguori, P. M.: Macaluso -Finanze Stato contro Correale). I. Le norme attinenti alla sottoposizi�ne del decreto ingiuntivo alla tassa di registro contenute nell'art. 28 del Regio decreto 7 agosto 1936, n. 1531, debbono ritenersi tuttora in vigore, non essen.do state abrogate dal codice di procedura civile vigente. II. Il contratto di conto corrente si concreta a norma dell'art. 1823 O�d. Civ. in un rapporto commutativo a titolo oneroso, in forza del quale due persone tra le quali intercorrono rapporti continuativi di affari si obbligano di annotare in un conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili e indisponibili fi.no alla chiusura del conto. Dal contratto tipico di conto corrente debbono essere distinti i �conti correnti bancari �, denominazione qu13sta c]le non sta punto ad indicare un determinato rapporto ma comprende le operazioni bancarie pi� svariate (sovvenzioni, aperture di credito, anticipazioni, depositi ecc.) regolate in conto corrente; ciascuna di tali operazioni si ricollega ad un diverso distinto rapporto, definito nella sua essenza, conserva inalterate le sue peculiari caratteristiche, pur avendo in comune col conto corrente il solo speciale metodo di registrazione. Pertanto nel caso di operazione bancaria regolata in conto corrente � compito del giudice di merito accertare nei singoli casi concreti, avuto soprattutto riguardo ai documenti e alle registrazioni, l'effettivo rapporto intercorso tra le parti. III. L'art. 27 della tabella .Alleg. D) alla legge di registro, nel comprendere i �libretti di conto corrente>> tra gli atti esenti dalla registrazione in termine fisso, e da registrarsi solo in caso di uso mediante la semplice applicazione della tassa di bollo, intende1riforirsi ai soli libretti di deposito fiduciari di denaro in conto corrente, e non ad altri documenti (nella specie estratto di conto corrente, posto a base di decreto ingiuntivo) riferibili a qualsiasi operazione bancaria regolata in conto corrente, astmttamente considerata. IV. .A norma dell'art. 148 della legge di regi~ stro, ove non sia stata preventivamente proposta la domanda in via amministrativa, la Finanza non pu� mai, in caso di soccombenza, essere. con7 dannata alle spese del giudizio, senza ch� possa farsi luogo a distinzione tra i diversi gradi del giudizio stesso, e senza che all'applicabilit� di detta norma per le spese di appello osti la circostanza dell'essere stato il gravame proposto dalla Finanza. Con questa perspicua sentenza la Corte Suprema, in completo accoglimento delle tesi dell'Avvocatura, ha cassato la contraria sentenza della Corte d'Appello di C�tta,nzaro. Le m�ssime ohe abbiamo sopra diffusamente riportato costituiscono la parte sostanziale della motivazione della sentenza della Cassazione. Sar� opportuno solo preoi'!are qui la specie di fatto al fine di renderle perfettamente comprensibili. I. fatti sono i seguenti: Nel gennaio 1944 il Presidente del 1'ribunale di Reggio Calabria emi'!e decreti di ingiunzione a carico di tali Correale� perch� essi pagassero alla B�nca Nazionale del Lavoro ed al Banco di Napoli, determinate somme per saldi passivi di conti correnti. I decreti ingiuntivi furono sottoposti � registrazione a tassa fissa, m9ntre n'.m si ri'!cosse l'imposta proporzionale prevista dall'art. 28 del R. D. 7 agosto 1936, n. 1531 e n. 72 della legge di registro. Contro l'ingiunzione notificata dalla Finanza per il pagamento di tale imposta suppletiva fu fatta opposizione dai Correale e sia il Tribunale che la Corte d'Appello accolsero tale opposizione, ritenendo che a favore degli opponenti militasse un doppio ordine di ragioni: il primo ordine di ragioni deriva-va dalla natnra del decreto in,giunti'Vo alla cui registrazione non potrebbe applhirsi l'art. 72 della legge di registro; il secondo ordine di ragioni atteneva alla natura, del credito per il quale il decreto ingiuntivo era stato emesso, credito che si fon-i.ava su un rapporto di conto corrente, per il quale, ' secondo i giudici di merito, � prevista una tassazione particolare dall'art. 27 della tabella Alleg. D) della legge di registro. La Corte Suprema, dopo aver fatto giustizia della infondata tesi, secondo la quale l'art. 28 del D. L. 7 agosto 1936, n. 1531, sarebbe stato abrogato dal Codice di proc. civile vigente (in quanto �non pu� fondatamente contestarsi che l'art. 28 succitato sia a ritenersi tuttora in vigore ove si consideri che il legisla.tore del 1942, pur a-vendo rielaboro,to la materia, dando ad essa una pi� completa ed organica disciplina, non ha provveduto ad emanare alcuna norma circa il trattamento fiscale cui assoggettare tali provvedimenti n), ha definito, con estrema precisione di concetti, la natura giuridica dei vari rapporti che vanno sotto il generico nome di conto corrente bancario, mettendo in luce l'errore nel quale la Corte di merito era caduta. � Per quanto riguarda l'ultima massima, la�� �orte _ 'ha cos� motivato: � ... l'interpretazione della Corte d'Appello non trova conforto nella lettera e nello spirito della nor'ma (se. art. 148 legge del regi8tro) dalla quale emerge che il termine di novanta giorni, computabile dalla presentazione della domanda in via ~ministrativa, va riferito non a singoli atti ~-"'"''"'"~ -142 o fasi giudiziarie, ma al promovimento dell'azione giudiziaria ... Potr� discutersi se il momento iniziale dell'azione debba identificarsi con la notificazione dell'atto di chiamata in giudizio, ov1Jero con quello in. cui� gli atti vengono a cognizione del giudice adito per�h� deliberi e decida, ma ogni i�if erimento ai diversi gradi del giudizio appare qu(fnto mai arbitrario ed infondato. Dal che consegue che, OVQ non sia stata preventivamente proposta domanda in via amministrativa, 'la Finanza non potr� essere cond(J/f/,nata alle spese, senza che possa farsi luogo a distinzioni fra i diversi gradi del giudizio e senza che all'applicabilit� dell'art. 148 della predetta legge per le spese di appello .osti la circostanza dell' e.ssere stato il grav�me proposto dalla Finanza, perch� la lite � unica, nonostante il doppio grado di giurisdizione)). IMPOSTE E TASSE -Solve et repete -Riferibilit� allo Stato del fatto del sequestratario di societ� estera che abbia omesso il tributo dov:iti> alla Societ� de� bitrice -. Irrilevanza. (Corte di Cass., Sez Unite, Sent. n. 1436-50 -Pres. : Pellegrini, Est. : Cataldi, P. M.: Dalld. Mura (conf.) -Soc. italiana "Job" contro Ministero Finanze). Il precetto del solve et repete nelle controversie tributarie non ha carattere di semplice presupposto processuale ma importa improponibilit� dell'azione giudiziaria che non sia stata preceduta dal pagam�llto del tributo, per difetto temporaneo di giurisdizione dell'autorit� giudiziaria. La relativa eccezione � pregiudiziale ad ogni altra e rilevabile in qualsiasi grado, anche di ufficio; pertanto, sulla necessit� di osservare tale precetto nessuna influenza pu� spiegare l'eccezione secondo la quale l'eventuale responsabilit� della condotta di chi in tale inosservanza sia incorso, quale sequestratario dell� societ� estera debitrice dell'imposta ed assoggettata a sequestro in virt� della speciale legislazione di guerra, possa risalire allo Stato, in virt� dell'art. 1 del D. L. 26 marzo 1946, n. 140. La sentenza appare ineccepibile,�� in quanto essa, mentre in materia di sol ve et repete si attiene alla giurisprudenza ormai costante, della Oorte Suprema, applica i principi cos� elaborati al pa�rticolarissimo caso in esame con esatta aderenza alle norme legislative che regolano la materia della responsabilit� dello Stato italiano per cattiva amministrazione dei beni sequestrati ai cittadini delle Nazioni Unite. Invero, se il precetto del sol ve et repete funziona come condizione di proponibilit� dell'azione giudiziaria, nessuna influenza pu� avere su di esso il fatto che la sua osservanza fosse rimessa all'azione di un organo o di una persona deUa cui attivit� lo Stato dovrebbe diretta'm~nte o indirettamente rispondere, in base a norme diverse da quelle finanziarie. Questa soluzione sarebbe incontestabile anche� nel caso che il contribuente avesse un'azione diretta da far valere contro lo Stato per i danni derivanti dalla inosservanza del solve et repete da parte dei sequestratari. Tanto pi� essa appare esatta quando una� tale azione diretta non � nemmeno ipotiZzabile secondo le norme in vigore. Oom'� noto, infatti, in base all'art. 78 del Trat tato di Pace, del quale costituirono norme anticipo,te di esecuzione quelle contenute nel D. L. 26 marzo 1946, n.140 (vedi in questa Rassegna, 1949, pag.183) � bens� tem.(,to lo Stato italiano a ristabilire tutti i legittilmi diritti ed interessi dei cittadini delle Nazioni Unite, rispondendo dei danni comunque loro arre cati dai sequestratari, ma in forza dell'art. 83 dello stesso Trattato di Pace la responsabilit� predetta pu� esser fatta valere solo nelle forme stabilite dal l'articolo stesso, ed � solo concepita come una respon sabilit� di Stato verso Sta,to. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE CORTI DI AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Amministrazione dello Stato Evocazione in gLdizio in persona del Prefetto -Mancata designazione deli'Amministra� zione convenuta. (Sentvnzci, 5 aprile 1951, Tribunale Civile di Bologna -Sez. I Prcs. : Gr.issi, Est. : M..i.rziano- Cantelli contro Amministrazione dbllo Stato italiano). Per la rituale evocazione in giudizio delle Amministrazioni Statali, basta individuare l'organo competente nella branca amministrativa cui ha riferimento l'azione istaurata, senza specificare l'Amministrazione interessata. Pertanto chiedendosi avanti l'A.G. ordinaria il risarcimento d.ei danni conseguenti all'annullamento di un decreto prefettizio di requisizione di alloggi, bene � stato convenuto il Prefetto che ha emesso il decreto annullato ed � superflua l'indicazione dell'Amministrazione dello Stato contro fa quale l'azione viene proposta. Per disattendere la prima eccezione sollevata dal- l'Avvocatura che stimava improponibile la azione attrice per essere stata convenuta in giudizio � l'Amministrazione dello Htato Italiano in persona del Prefetto di Bologna�, la sentenza in esame afferma che la personalit� della Pubblica Amministrazione si esprime in un triplice ordine di figure giuridiche: 1� capacit� giuridica ere attiene alla titolarit� dei rapporti e delle situazioni giuridiche e, nel campo processuale, alla legittimazione attiva e passiva: essa, come attributo essenziale esclusivo ed indivi sibile del soggetto giuridico in quanto tale, non pu� appartenere che allo Stato nella sua� unit� quale soggetto unitario ed inscindibile; 20 competenza, che afferisce alla ripartizione del- l' azione amministrativa in centri nei q1,f,ali in via esclusiva e definitiva vengono istituzionalmente rag gruppati i diversi interessi dello Stato stesso, per cui l'organo supremo e definitivo di ciascuno di detti rami si qualifica come portatore esclusi-vo degli in teressi dello Stato in ordine alla specifica funzione di che trattasi; 30 capacit� di agire che attiene all'esercizio di tale specifica funzione e dei poteri inerenti e che, nel campo processuale, si configura come capacit� di rappresentanza in giudizio. Data questa tripartizione il Collegio afferma che la figura intermedia della competenza non partecipa, nel campo processuale, della natura e degli effetti della capacit� di agire, � essendo soltanto una speci ficazione della generica capacit� giuridica unitaria dell'Ente Stato, onde, come questa, attiene alla legittimazione attiva e passiva �. Ci� spiegherebbe, secondo la sentenza, l'inutilit� -costantemente sentita -di indicare nella vocatio in jus -oltre al Ministero competente, anche l'Ente Htato dotato della generica capacit� di agire. Alla stregua delle suesposte premesse la questione in esame si riduce, sempre secondo la motivazione del Tribunale, all'individuazione dell'organo competente nella branca amministrativa cui ha riferimento l'azione di che trattasi e cio� passivamente legittimato rispetto all'azione .ytessa. E poich� il provvedimento prefettizio di requisizione � � attribuito alla competenza propria, esclusiva e definitiva del Prefetto, con esclusione di ogni intervento gerarchico superiore �, da ci� la sentenza inferisce la piena legittimazione passiva del convenuto Prefetto pro-tempore, mentre la qualifica << in rappresentanza dello Htato Italiano >> non sarebbe che aggiunta superflua. Non ci sembra di poter condividere le ragioni addotte dal Tribu�nale, giacch�, pur essendo fuori discussione l'unicit� della personalit� giuridica dello Stato, non pu� e8sere negato c1'e ciascuna branca dell'Amministrazione Statale abbia, come del resto ammette la sentenza in esame, una sua specifica ed inderogabile competenza, data dai suoi poteri e dalle sue attribuzioni, alla quale --,... contrariamente a. quanto ha ritenuto il Collegio -� d'uopo rico noscere necessariamente la correlativa capacit� di agire e conseguente legittimazione processuale, in scindibilmente connessa alla competenza medesima dalla quale � impreteribile manifestazione. Il che viene implicitamente ammesso dalla senten zti quando a corollario della tripartizione avanti se gnalata conclude che la competenza � non � che una specificazione della generica capacit� giuridica uni taria dell'Ente Stat�, un particolare e specifico modo di essere della stessa capacit� giuridica, onde, come questa, attiene alla legittimazione attiva o passiva Ci� spiega l'inutilit� -costantemente sentita -di indicare nella vocatio in jus, oltre al Ministero competente, anche l'Ente Fftato dotato della generica capacit� giuridica >>. � � . Ora sta bene che non sia necessario evocare in giu-i dizio �lo Stato >> nella sua unicit� ed unitariet�, j ma quando il Tribunale avverte che nella vocatio in I jus � d'uopo indicare il Ministero �competente, .que. sto contraddice la sostanza delle sue affermazioni, giacch� riconosce essere sempre necessario individuare \ quel ramo della Pubblica Amministrazione (Mini -1{4 stero competente) che deve essere evocato in giudizio. Nel caso in esame, invece, la citazione del Prefetto non � sufficiente ad individuare quella determinata branca dell'ordinamento Statale che si vuol convenire in giudizio,� giacch� il Prefetto non rappresenta soltanto ed esclusivamente una amministrazione dello Stato talch� la menzione fattane porti ineluttabilmente a designare, senza incertezze (art. 163, n. 2 in relazione al 164 c. p.c.) quale sia l'Amministrazione evocata in giudizio. Il Prefetto, infatti, nella molteplicit� delle funzioni ad esso conferite dalla legge, a volte non rappresenta alcuna amministrazione mentre rappresen~a il potere esecutivo, il governo, (art. I reg. 12 febbraio 1911, n. 297; 1 Legge 3 aprile 1926, n. 660) che non sono amministrazioni statali in senso giuridico-processuale, e l'averlo indicato quale convenuto non � sufficiente a quella individuazione che la sentenza medesima ritiene necessaria. D'altra parte il criterio adottato dal Collegio, che vuol procedere alla determinazione della capacit� di agire nel processo attraverso la sola individuazione dell'organo �supremo e definitivo che sia il portatore esclusivo degli interessi dello Stato in ordine alla specifica funzione di che si tratta �, porterebbe a ritenere che il problema della rappresentanza in giudizio si debba risolvere attraverso i criteri della competenza gerarchica, cosicch� abilitato ad agire in giudizio sarebbe l'organo investito di funzioni tali che gli attribuiscono potest� di deliberare definitivamente s�ullr,, questione di citi � causa. Mentre invece � pacifico, ad esempio, che l'Intendente di Finanza oltre il Ministro, capo della gerarchia, sia titolare della legittimazione passiva nelle cause che afferiscono alla materia devoluta alla competenza delle Finanze dello Stato, cos� come i Provveditori regionali alle 00. PP. rapp1�esentano in giudizio l'Amministrazione dei LL. PP; nell'ambito della regione .alla quale presiedono, pur non potendosi negare che anche i Provveditori non sono al vertice della gerarchia dell' Amministrazione stessa. E se poniamo mente che le vigenti C. e T. delle I!'. S. per i trasporti di persone (R. D. L. 11 ottobre 1934, n. 1948) assegnano funzionalmente ai Capi compartimento o delegazione F. S. del luogo dell'infortunio il potere di rappresentare l'Amministrazione nelfo cause per danni alle persone, mentre soltanto per quelle avanti le Magistrature giudiziarie ed amministrati12e residenti in Roma la rappresentanza spetta al Ministro, troviamo nuo�va ragione per negare l'esattezza della tesi seguita dalla sentenza del Tribunale di Bologna, giacch� anche i Capi compartimento o delega.zione sono subordinati gerarchicamente al Ministro. Cos� se fosse esatto quanto ha ritenuto il Tribunale, non sarebbe giustificata l'attribuzione a determinati funzionari di grado inferiore del potere di rappresentare in giudizio le rispettive amministrazioni, poich� nel pi� dei casi trattasi di organi subordinati ad altri, ai quali.ultimi sono riservate, dall'ordinamento giuridico, le definitive statuizioni sulle insorte con-� troversie: mentre non avrebbero ragione di essere le norme degli art. 144 c. p. c., 11 e 52 del '11 U. 30 ot � tobre 1933, n. 1611 che menzionano l'Amministrazione destinaria della citazione e prevedono che la stessa sia intimata, anche quando eseguita presso l'Avvocatura, alla persona che se,eondo le norme organi che rappresenta l'Amministrazione stessa nel luogo ove risiede l'autorit� giudiziaria che sarebbe competente secondo le norme del codice di rito. . Sembra, quindi, che la specialit� del caso abbia indotto il Collegio ad affermazioni che non si possono condividere, giacch� non inquadrano nella sua vera luce il problema della rituale evocazione in giudizio delle Amministrazioni Statali. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Negata iscri� zione nelle matricole della gente di mare -Difetto di giurisdizione dell'A. G. O. (Tribunale di Bari, I Sezione civile, Mnt. 10 maggio 15 giugno 1951 -Presidmte: G,mtile, Est.: Bartoli-Zonno contro Amm.nistrazione mar~na mercantile). Il cittadino, pur essendo in possesso dei prescritti requisiti, ha soltanto la possibilit� di essere iscritto nelle matricole della gente di mare, subordinatamente all'interesse pubblico, al quale deve ispirarsi la Pubblica Amministrazione proposta a tale iscrizione. Di conseguenza il provvedimento dell'Autorit�, in constrasto con il predetto pubblico interesse, non pu� che ledere soltanto indirettamente l'interesse del privato, il quale, a seguito dell'annullamento dell'atto amministrativo, da pronunziarsi dal giudice amministrativo, pu� ottenere un provvedimento conforme alle disposizioni di legge, e dal quale possa avvantaggiarsi. La sentenza ha accolto in pieno la tesi sostenuta dall'Avvocatura. La fattispecie � la seguente. Il Ministro per la marina mercantile, per la facolt� riconosciutagli dall'art. 119, 40 comma del Codice della Navigazione, con vari provvedimenti aveva limitato le iscrizioni nelle matricole della g�nte di mare, facendo, di volta in volta, eccezioni per determinate categorie di persone in possesso dei prescritti requisiti. La competente Capitaneria di Porto, pur ricono scendo che il richiedente l'iscrizione avesse i requisiti prescritti dal citato art. 119, e dal relativo Regola mento 20 novembre 1879 neg� la iscrizione in ot temperanza alle disposizioni Ministeriali. La proposta azione si presentava improponibile per due motivi, il primo di ordine generale e si pu� dire, ratione materiae, ed il secondo specificamente derivante dalla facolt� discrezionale sopra accennata. In quest'ultimo caso per�, riconoscendosi all'aspi rante un diritto a,lla iscrizione, l'Autorit� giudiziaria sarebbe stata competente a giudicare se il richiedente rientrasse in quelle categorie per le quali il Ministro aveva� consentito l'iscrizione, e quindi. se l'Autorit� Amministrativa, negandola, avesse esorbitato dalla autolimitazione costituita dalle istruzioni ministe riali, poich� queste non ordinavano la sospensione per tutti gli aspiranti. Il Tribunale correttamente ha ritenuto la impro ponibilit� per il primo motivo. Invero non sembra potersi disconoscere, per il com plesso delle norme che regolano l'organizzazione e la disciplina del personale marittimo, per la grande rile-� vanza che ha per lo Stato la navigazione, che risulta organizzata ed inquadrata in una specie di milizia civile (Ved. Relaz. del Guardasigilli al Codice della Navigazione, Tit. 4�, Capo 10, n. 79) che il legislatore, anche in quelle particolari norme relative alla iscri j wAWamw�~Jtft.r&mmtr~~-,BJJiJ -145 zione nelle matricole abbia avuto di mira prevalentemente la tutela dell'interesse pubblico, e l'interesse dei singoli non pu� ricevere protezione che in maniera indiretta e riflessa, attraverso gli organi della giustizia amministrativa, ci� che costit,uisce appunto l'interesse legittimo. Tale � l'orientamento della dottrina. (< Per aversi diritto subbiettivo bisogna che il legislatore abbia 1Joluto direttamente proteggere l'interesse individuale, mentre ci� non accade allorch� ci imbattiamo nella figura, dell'interesse legittimo �. (( Fra gli infiniti esempi valga quello delle norme le quali stabiliscono l'ammissibilit� e la procedura dei concorsi ad impieghi pubblici; evidentemente codeste norme hanno per iscopo la garenzia dell'a. p. nella scelta dei pubblici impiegati, non la tutela di un individuo piuttosto che di un altro�. (Vitt-a, dir. Amm. U.T.E.T. 1949, vol. 1, pag.117). 1/esempio del chiaro autore pu� ben applicarsi alla fattispecie perch� sebbene i componenti dell' equipaggio non siano, in___ senso stretto, dipendenti dello Stato, � lo Stato che' m.ediante l'iscrizione nelle matricole, attribuisce loro la qualifica di marittimi, e li dichiara idonei e capaci a stipulare con l' arrnatore il contratto di arruolamento. Inoltre l'ampio erigoroso potere disciplinare e di vigilanza esercitato su di essi dallo Stato, all'interno ed all'estero (art. 1249_ cod. nav.) la facolt� dell'autorit� marittima e consolare di ordinare lo sbarco dell'arruolato vittima di abusi di potere da parte del Comandante della nave (articolo 346 cod. nav.), stanno a dimostrare l'enorme 'interesse che lo Stato ha per l'esercizio ~ella navigazione, onde si deve concludere che le norme relative alla iscrizione dei marittimi, sono dettate a t-utela di tale interesse, che, -in definitiva, � interesse della collettivit�. N � difforme � l'insegnamento del Zanobini (Got� so di diritto Amministrntivo, ed. 1947, vol. I, pa.gi ne 146 ch_e definisce l'interesse legittimo � un interesse individuale strettamente connesso con un interesse pubblico e protetto dall'ordinamento soltanto attra verso la tutela giuridica di quest'ultimo )), Per il concetto distintivo fra norme dirette alla tu tela dell'interesse pubblico e quelle che tutelano un interesse privato vedi Consiglio di Stato sez. 4a, decisione 5 luglio 1947, in Foro Ital. 1947, 111, 115. La sentenza va segnalata perch� non consta che vi siano stati precedenti giurisprudenziali e perch� sono in corso altre analoghe vertenze. (P. L. S.) IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA -Determi� nazione dell'ammontare dell'imposta pagabile in abbonamento -Decisioni della Commissione Provin� ciale -Def1.nitivit� -Inammissibilit� del ricorso all'A11torit� Giudiziaria. (Corte di Appello di Firenze, Soz. I, Sent. 30 marzo 1951 -Pres.: Galizia, Esteonsore: Bianchi d'Espinosa -Giovannozzi contro Ministero Finanze). Le decisioni delle commissioni provinciali in materia di determinazione dell'imposta sull'entrata in abbonamento sono definitive, a sensi dell'articol� 16, Decreto legislativo 27 dicembre 1946, n. 469 e 21 Decreto legislativo 3 maggio 1948, n. -7l:i9, con esclusione in ogni caso del ricorso alla Commissione Centrale. Contro di esse � parimenti escluso il ricorso all'autorit� giudiziaria per grave errore di apprezzamento o difetto di calcolo, non �ssendo esperibile contro tali decisioni l'eccezionale ricorso previsto dall'art. 29 decreto legge 7 agosto 1936, numero 1639, per le decisioni di valutazione, emesse in materia di imposte indirette sui trasferimenti della ricchezza. L'istituzione delle Commissioni per la risoluzione in via amministrativa delle controversie fra, Finanza e contribuenti, relative aWimposta sull'entrata corrisposta in abbonamento (decreto legislativo 27 dicembre 1946, n. 479 e decreto legge 3 maggio 1948, n. 799), ha fatto sorgere due questioni: 1� se contro la decisioni della Commissione provincia, le in materia di I.G.E. sia ammesso il ricorso alla Centrale per le questioni di diritto; 2� se, contro le stesse decisioni sia ammesso il ricorso all'autorit� giudiziaria, in caso di grave ed evidente errore di apprezzamento (questioni di fatto). La Corte di Firenze, �nella sentenza annotata, ha risolto in senso negativo l'una e l'altra questione: la prima incidenter tantum, la seconda, che formava oggetto specifico della causa, con ampia ed elabo rata motivazione. � 1) Sulla prima questione non esistono, a quanto ci consta, altre pronunce della Autorit� giudiziaria. Scarse sono pure le decisioni della Commissione centrale, sebbene assai elaborate. L'art. 16 del decreto n. 469 del 1946 e l'art. 21 del decreto n. 799 del 1948 dichiarano, come � not�, che (( la decisione della Commissione provinciale � de finitiva )), Nulla aggiunge la legge: manca una disposizione analoga al secondo comma dell'art. 22 D.L. 7 ago sto 1936, n. 1630 per le imposte dirette. ((( Nei casi contemplati dalla legge contro le decisioni delle Com-� missioni provinciali � ammesso ricorso alla Com missione centrale delle imposte dirette )) ), e manca parimenti una disposizione simile all'ultimo comma dell'art. 29 dello stesso R.D., valevole per le imposte indirette (((Tutte le altre controversie relative all'ap plicazione della legge sono decise in primo grado dalle Commissioni provinciali e in secondo grado dalla Commissione centrale, sa,lvo il ricorso all' A .G. nei modi e nei termini stabiliti dalle vigent-i leggi�). Si direbbe, sulla base della lettera della legge, _che _la previsione di un ricorso alla Centrale p_er questioni di diritto in materia di I.G.E. non fosse presente al pensiero del legislatore. Ipotesi del resto ben plau sibile, ove si consideri che le decisioni delle Commis sioni in materia di I.G.E. in abbonamento investono normalmente questioni di puro fatto, per le quali � difficile configurare un riesame di diritto da parte della Centrale. E appunto basandosi su queste con siderazioni la Commissione centrale, con decisione 4 giugno 1948 (Foro it. 1949, III, 21 con nota di Cocivera e Giur. it. 1949 III, 26 con nota di Bei liri) dichiar� inammissibile il ricorso alla 'iJeritrale _ avverso la determinazione della base imponibile per l' I.G.E., effettuata dalla sezione speciale della -com_ missione provinciale delle imposte. _ Senonch� una successiva decisione della Commissione centrale a sezioni unite (6 luglio -1949, in Riv.Leg.Fisc., 1949, 663 e Giust.Trib. 1950, 68 con nota adesiva di Napolitano) ricalcando in gran parte gli argomenti gi� addotti in una precedente decisione 18 dicembre 1940, pure a sezioni unite emessa in materia di imposte indirette (Riv. Leg. Fisc. 1941, 325), distinse anche in tema di imposta sull'entrata le questioni di diritto da quelle di fatto. Inoltre, osserv� che l'art. 16 del D.L. n. 469 e l'articolo 21 del D.L. 3 maggio 1948, n. 799 richiamano per le controversie sull'entrata le altre norme vigenti � per la costituzione ed il funzionamento delle commissioni amministrative per le imposte �. Ora, secondo la Commissione centrale, esisterebbe per tutte le controversie di imposta il principio, di carattere unitario, che le questioni di diritto debbano trovare nella stessa Commissione centrale un giudice di terzo grado. E basandosi su questo principio orientativo, la Commissione centrale afferm� la propria competenza funzionale a conoscere delle impugnazioni contro le decisioni delle commissioni provinciali in materia di entrata, viziate da errori di diritto. La sentenza annotata non aderisce a questa con- elusione. La Corte di Firenze osserva giustamente che cc costituzione e funzionamento� fanno riferimento alla struttura ed al rito (in senso esteriore e formale) delle Commissioni, ma non investono n� la. competenza n� i m�zzi di impugnazione. D'altra parte, assai diff�eilmente si pu� trovare un filo conduttore, che permetta di orientarsi in tema di competenza e di mezzi di impugnativa, sulla scorta di un semplice richiamo delle norme vigenti per le commissioni amministrative delle imposte. Se anche l'l.G.E. fosse inquadrabile fra le imposte indirette sui trasferimenti (il che, come vedremo, non �), si dovrebbe pur se�mpre tener presente che l'art. 31 del D.L. 7 agosto 1936, n. 1639 estende a sua i1olta alle controversie riguardanti tali imposte cc tutte le . altre norme relative al procedimento davanti alle commissioni amministrative delle imposte dirette�. Che portata deve avere dunq�e, il richiamo alle norme vigenti per le commissioni delle imposte? Devono tenersi presenti le norme stabilite per le controversie sulle imposte indirette. o -attraverso l'art. 31 quelle stabilite per le imposte dirette? L'interrogativo non � certamente retorico. In realt�, questa riduzione ad un comune denominatore pu� avere significato e scopo rispetto al procedimento, ma non alla competenza ed ai mezzi di impugnativa: giacch� questi differiscono profondamente per le imposte dirette e per quelle indirette. Basti ricordare che mentre per le controversie di diritto relative alle imposte dirette � stabilito un triplice grado di giurisdizione (Commissione distrettuale, provinciale e centrale), invece per le stesse controversie, nel campo delle imposte indirette, il grado � soltanto duplice (Commissione provinciale e centrale), e, per di pi�, sfasato, giacc'/i� il giudice di secondo e terzo grado delle prime diviene, per le seconde, giudice di primo e rispettivamente di secondo grado. Sembra piuttosto arduo, in queste difformi attribuzioni di competenza, ravvisare quel carattere unitario intravvisto dalla Commissione centrale. Per cont>ro, tale carattere pu� effettivamente ri8contrarsi nella costituzione e nel funzionamento, che per tutte� le commissioni presentano elementi comuni. Ma se il riphiamo dell'art. 21 D.L. 3 maggio 1948, n. 799 va contenuto in questi limiti, non par dubbio che esso non valga a legittimare l'estensione delle norme sulla competenza della Commissione centrale, come giudice di terzo grado per le questioni di diritto in materia di imposta sull'entrata. ~) Di maggiore interesse � la seconda questione, sulla proponibilit� del ricorso in via giudiziaria. Tale questione era gi� stata altre volte affrontata dal Tribunale di Firenze, ma con diverse soluzioni. Mentre nella causa Giovannozzi, riesaminata in appello dalla sentenza annotata, il Tribunale avei1a correttamente dichiarato l'improponibilit� del ricorso in .sede giudiziaria (sent. 25 luglio 1949, Giur. it. 1950, I, 2, 486 e Mon. Trib. 1949, 346), in due sentenze successive (sent. 21 febbraio 1950 in causa Bastogi, Foro it. 1951, 1, 823 e sent. 12 luglio 1950 in causa Azienda Farmaeeutica Internazionale, Rassegna 1950, 180) lo stesso Tribunale.ne aveva invece affermato la proponibilit�. La Corte di Firenze, con l'attuale sentenza, ha provveduto a dirimere il contrasto sorto fra i vari giudicaJi dello stesso Tribunale, confermando l'esattezza della prima sentenza, che aveva dichiarato l'inammissibilit� del ricorso. E in senso perfettamente conforme s�i pronunciarono il Tribunale e la Corte di Appello di Napoli in causa Galleria Navarra contro Finanze, con le rispettive sentenze in data 6 luglio 1949 e 29 aprile 1950, entrambe inedite. Per una esatta impostazione della questione va preliminarmente osservato che non vale, rispetto al ricorso giudiziario, quel richiamo alle norme vigenti per il procedimento davanti alle Commissioni per le imposte dirette, che parve ad alcuni sufficiente a legittimare l'impugnazione davanti alla Commissione centrale in via amministrativa per le questioni di diritto. Anzi, il richiamo appare piuttosto controproducente: giacch�, se vi � un principio pacifico per tutte le imposte dirette, � precisamente l'inammissibilit� di un si�ndacato dell'Autorit� giudiziaria sulle questioni di semplice valutazione. Siffatto principio � consacrato da disposizioni esplicite (art. 22, 3� comma, D.L. 7 agosto 1936, n. 1639), e si ricollega alla norma fondamentale dell'art. 6 legge sul contenzioso amministrativo Alleg. E alla L. 20 marzo 1865, n. 2230. Altre norme, specifiche per talune imposte dirette, ribadiscono questo basilare principio (Imposta Fondiaria: art. 23 ultimo comma L. 8 marzo 1943, n. 153; Ricchezza mobile, art. 53 T. U. 24 agosto 1877, n. 4021; Tribttti locali, art. 285 T. U. 14 settembre 1931, n. 1175). Se, perci�, si volesse invocare l'art. 31 del D.L. n. 1639 del 1936 per un'analogia di regolamento con le controversie in materia di imposte dirette, ne deriverebbe automaticamente, anche per l'I.G.E. l'insindacabilit� in sede giudiziaria della determinaziqne dell'amm.ontare dell'imposta. Ma a non diversa conclusione si dovrebbe pervenire, se si volesse limitare il riferimento alle norme sulle imposte indirette. Per vero, an�he per queste vale, almeno come criterio generale, il principio �erta definitivit� delle decisioni sulle questioni di fatto: .e analoga definitiiiit� va riconosciuta alle decisioni delle Commi.i;sioni concernenti l'imposta sull'entrata. La dottrina � al riguardo concorde: cc Una limita-I zione che perde le caratteristiche di vera e propria I -147 eccezione, per assumere la �veste di una vera e propria regola generale applicabile in ogni caso e per ogni controversia trib�taria, salvo espressa disposizione in contrario (in corsivo nel testo) � quella che sottrae alla competenza dell' A .G. la questione di semplice estimazione. Essa � valevole per le imposte indirette e trib�uti locali, tranne espressa disposizione in contrario, come ad esempio per il giudizio di merito delle Commissioni provinciali per le imposte indirette di cui al III comma dell'art. 29 della citata legge 7 agosto 1936, avverso il quale � ammissibile il ricorso all'A.G. per grave ed evidente errore di apprezzamento ovvero per mancanza o insuffecienza di calcolo nella determinazione del valore. � Anche nell'imposta generale sull'entrata questa regola domina incontrastata, sicch� restano incluse nella competenza dell'A. G. tutte le questioni di fatto e di dir'itto, che investano la tutela di diritti soggettivi, eccezion fatta per le quistioni di semplice estimazione, senza alcun' altra limitazione)). (Cocivera, L'imposta generale sull'entrata, vol. I, n. 60, p. 205). In senso conforme � il N apolitano: << Dispongono gli articoli 16 del D.L. :37 dicembre 1946, n. 469 e 21 del D.L. 3 maggio 1948, n. 799 che la decisione della Commissione provinciale � definitiva. Non vi � dubbio che, per quanto si riferisce alla semplice valutazione dell'entrata imponibile, questa rimane definitivamente fissata con la decisione della Commiss. ione provinciale, senza possibilit� di ulteriore gravame... Non possono essere portate dinanzi all'A. G. questioni attinenti alla semplice determinazione dell'entrata imponibile, dato che tali questioni rientrano nella competenza esclusiva delle Commissioni amministrative appositamente istituite � (Napolitano, L'Imposta generale sull'entrata ed. 1949, vol. I, pag. 128 e 138, <fap. XIX, n. 21 e 22). E nello stesso senso si esprime il Giannini: e< Quando l'imposta � dovuta in abbonamento... la decisione � della Commissione � definitiva, sul punto, � da ritenere, dell'ammontare dell'entrata, salva la competenza d-ell' A. G. sulle questioni di diritto � (Istit. di dir. trib. 1948, pag. 416, n. 162). Contro queste conclusioni, saldamente fondate sul principio generale sopra enunciato, si � ritenuto da alcuni di poter opporre il richiamo all'art. 29 del D. L. 7 agosto 1936, n. 1630. Questo articolo, regolante, come � noto, le controversie sulla determinazione del valore nelle imposte 8ui trasferimenti, dopo aver precisato che il giudizio delle Commissioni sulla determinazione del valore � definitivo, aggiunge: '�salvo ricorso all'A.G. per grave ed evidente errore di apprezzamento ovvero per ma.ncanza o insufficienza di calcolo nella� determinazione del valore �. Ma la sentenza annotata ha negato, giustamente, la possibilit� di applicare, questa disposizione all'I.G.E. Il carattere straordinario del ricorso previsto dall'articolo 29, � infatti, rivelato dalla stessa formula zione letterale della norma; l'espressione <<salvo )) �, come avverbio, equivalente a <<eccettuato � (cfr. Petrocchi, Novo Dizionario) parola che deriva dalla stessa radice etimologica di <<eccezione �. E veramente eccezionale � questa possibilit� di ricorso: tanto che i poteri dell'Autorit� giudiziaria sono circoscritti ad un controllo superf�.ciale dell'esistenza dei vizi, ed all' annullamento eventuale della decisione della Commis sione. Jl� giudice ordinario non pu� sostituire altra, valutazione a quella annullata, giacch� la competenza per la determinazione del nuovo valore � sempre rimes. �a alla Commissione (Cass. 24 lugli~ 1946, Rep. Foro It. 1946, col. 1052, 1053, n. 69; nella motivazione, Oass. 3 agosto 1946, Riv. � Leg. Fisc. 1946, 565). In modo analogo, del resto, erano regolati i rapporti fra l'Autorit� giudiziaria e la stima dei periti, che nel vecchio ordinamento era impugnabile per motivi pressoch� identici (art. 38 legge del registro); non solo la stima era considerata definitiva, e impugnabile unicamente per i motivi" tassativamente previsti (tanto che fu equiparata ad un arbitrato necessario e obbligatorio: Cass. 15 febbraio 1943, Riv. Leg. Fisc. 1943, 264), ma non era in nessun modo sostituibile n� eon una decisione del giudice ordinario n�, tanto meno, con una perizia giudiziale (cfr. Relazione Avvocatura Stato 1930-1940, vol. II, n. 561, p. 154). L'art. 29 si presenta, quindi, piuttosto come una ind~retta conferma del principio generale dell'insindacabilit�, che non come una dimostrazione del principio opposto. Va aggiunto che l'art. 29 vale per le imposte indi rette sui trasferimenti della ricchezza: esso potrebbe, quindi, essere esteso anche all'imposta sull'entrata, solo a patto di includere questa imposta fra le imposte sui trasferimenti. Ora, questo inquadramento � as sai discutibile. La sentenza annotata, sotto tanti aspetti pregevole, non ha suQlcientemente approfon dito questo punto. Es.�a � partita dal presupposto che l'imposta sull'entrata sia un'imposta indiretta sui trasferimenti della ricchezza: ma � ben noto che, al contrario, la migliore dottrina considera !questa imposta come un'imposta sui consu1mi (Giannin�i, Ist. di dir. trib. ed. 1948, p. '109) o sulla produzione e sui consumi (Vanoni, in Riv. dir. fin. e se. delle fin. 1940, 32) o, comunque, co�me una imposta sui generis, con prevalente carattere di imposta sui con sumi (Cocivera, L'imposta sull'entrata vol. I, p. 4). N e-ppure i precedenti storici dell'imposta permettono di intravvedere una comunanza di ascendenti con la imposta sui trasferimenti, giacch� � ben noto che l'im posta sull'entrata deriva dall,a tassa sugli scambi. Anzi, questa indagine retrospettiva offre un argo mento di pi� per esclu.dere l'estensione all'I.G. F, delle norme stabilite per le imposte indirette, giacch� proprio l'art. 28 del D.L. 7 agosto 1936, n. 1639 riafferm�, per la tassa scambi, una completa indipen denza dalle norme dettate per le imposte sui trasf e rimenti. E appunto basandosi su questa autonomia di regolamento, in un certo senso tradiziona.le, non manc� chi volle limitare la competenza delle Commis sioni in materia di I.G.E. alle sole� contro�1Jersie di valutazione (cfr. Di Ciaula, in Riv. Leg. Fisc. 1948, 800), mantenendo, per le controversie di diritto, i ri corsi amministrativi previsti per la tassa sugli scambi. La realt� � che i decreti istitutivi delle speciali Commissioni in materia di I.G.E. non ebbero_fXflatto l'intento di inquadrare l'imposta fra le imposte indi-- rette sui trasferimenti, e tanto meno di estendere al- l' I .G.E. la norma dell'art. 29 stabilita per le imposte indirette sui trasferimenti. Sembra, anzi, lecito af fermare che i due decreti n. 469 del 194-6, n. 799 del 1948 abbiano avuto una finalit� opposta: di dare alle controversie sull'imposta pagabile in abbona -148 mento una propria, autonoma disciplina, i cui punti di contatto con la disciplina delle altre imposte (dirette e indirette) dovevano essere solo due: costituzione (struttura) e funzionamento (rito) delle Commissioni. E non � inopportuno avvertirP. che, nella topografia della legge, la, costituzione ed il funzionamento delle Commissioni trovano ,il loro regolamento nel R. D. 8 luglio 1937, n. 1516, intitolato appunto << Norme sulla costituzione e sul funzionamento delle Commissioni amministrative per le imposte dirette e per le imposte indirette sugli affari �. (Titolo I, costituzione. Titolo II: funzionamento). L'art. 29 non fu, in-vece, collocato nel D. L. del 1937, n. 1516, ma nel D. L. del 1936, contenente la riforma degli ordinamenti tributari; appunto perch� esso regola non gi� la costituzione ed il funzionamento, ma la competenza dell'Autorit� giudiziaria, il ch� � tutt'altra cosa. Per la competenza, come per tutto ci� che aveva rilevanza sostanziale ai fini di una organica disciplina delle controversie in materia di I.G.E., il legislatore non provvide con generici richiami, ma con una ampia e minuziosa serie di norme, contenute nel titolo II del D. L. C.P.S. 27 dicembre 1946, n. 469, e successivamente nel titolo II del D. L. 3 maggio 1948, n. 799, senza lasciare zone in ombra. 0"/l� anzi, perfettamente consapevole della necessit� di stabilire la portata delle decisioni delle Commissioni (appimto perc-P� non deducibile da un generico richiamo) il legislatore ripet� nell'art. 21, 4� comma del D. L. 3 maggio 194-8, n. 799 questa chiarissima formula: � La decisione della commissione provinciale � definitiva �. Non aggiunse, perch� non volle aggiungere, l'eccezione che invece dett� nell'art. 29 del D. L. n.1639 del 1936 per le decisioni relative alle imposte sui trasferimenti, viziate da grave ed e�vidente errore di apprezzamento o da mancanza di calcolo. Del resto, l'applicazione all'I.G.E. dell'art. 29 presenterebbe, oltre tutto, gravi difficolt� di ordine pratico. Su questo punto la sentenza annotata appare veramente perspicua, mettendo in evidenza le ra gioni che indussero il legislatore a regolare l'I.G.E. diversamente dalle imposte indirette. Cos� essa si esprime: �Questa disparit� di trattamento ha, del resto, una logica ed evidente ragione. Nella determinazione del valore per le imposte sui trasferimenti considerate dall'art; 28 del R.D.L: n. 1639 (registro, successione, ecc.) oggetto dell'accertamento � la valutazione -'-secondo il valore v'enale in comune commercio al giorno del trasferiment� (articolo 15 detto decreto) dei beni trasferiti, secondo criteri indicati per i singoli beni (immobili, mobili, titoli azionari, derrate) dall'articolo lt:i; criteri che devono esser tenuti presenti, e per applicare i quali sMia� necessari q1.t.ei calcoli cui l'articolo .29 si richiama. L'imposta entrata da pagarsi in abbonamento invece, va commisurata in base �al volume degli affari � (articolo 14 D. L. 27 dicembre 1946, n. 469); ed oggetto dell'accertamento -da eseguire per necessit� di cose in via induttiva -� perci� la presumibile entrata complessiva in un anno. Parlare, in tale accertamento, di calcolo e di determinazione del valore dei beni trasferiti, non � possibile; onde risulta chiara anche la pratica inapplicabilit� della disposizione dell'articolo 29, che permette contro la decisione della Commissione provinciale il ricorso all'autorit� giudiziaria per errore evidente di apprezzamento, o mancanza e insufficienza di calcolo �. 1 nfine, deve ancora osservarsi che la conclusion, cui � giunta la Corte di Firenze appare, anche concettualmente, la pi� razionale. Man mano che il carattere giurisdizionale delle Commissioni si � andato affermando, con tutte le conseguen11e relative (alcune di portata notevolissima: Cass. 29 luglio 1950 in causa Raccuglia, Dir. e prat. trib. 1951, I, 586), si e sempre pi� o,vvertita l� difficolt� di conciliare con questo carattere il riesame delle pronunce giurisdizionali delle Commissioni da parte della Autorit� giudiziaria ordinaria. Si �. parlato di sovrapposi zione del giudicato ordinario sul giudicato delle Commissioni, e si � accuratamente evitato di attribuire all'azione giudiziaria .un carattere di impugnativa, che sarebbe in contrasto con la affermata autonomia dei due giudizi (Cass. 3giugno1947, Giur. it. 1948 I, l, 336). Ma attraverso l'eccezionalissimo ricprso dell'art. 29 si perviene precisamente ad un espresso annullamento della decisione di valutazione, non � ad una sua sostituzione con una pronuncia giudiziaria: si pervie1M, in altri termini, a quel ris1tltato che la giurisprudenza tende giustamente ad escludere, in quanto incompatibile con il fond�mentale__ principio dell'autonomia delle dite giurisdizioni. E evidente, anche sotto questo profilo teoretico, che l'anormalit� e l'eccezionalit� dello specialissimo ricorso previsto dall'art. 29, non ne permettono l'estensione oltre i limiti ben circoscritti delle imposte indirette sui trasferimenti. E a questa esigenza si � uniformato il legislatore, escludendo per l' I.G.E. ogn~ ricorso, e riaf � fermando, senza sovrastrutture, la definitivit� della decisione amministrativa. (A. C.) RASSEGNA DI LEGISLAZIONE I PROVVEDIMENTI SONO ELENO�TI SEC:ONDO L'ORDINE DI PUBBLIO�ZIONE SULL� � G�ZZETT� UFFICI�LE � I. 1. Legge 5 giugno 1951, n. 376 (G. U. n. 129): Norme integrative e di attuazione del D. L. 7 aprile 1948, n. 262 sulla istituzione di ruoli speciali transitori nelleAmministrazioni dello Stato. -� solo con questa legge che diventa praticamente attuabile il D. L. 7 aprilel947, n. 262. Quale sia la natura giuridica di questi ruoli speciali transitori, se cio� gli impiegati appartenenti ad essi debbano considerarsi di ruolo o non di ruolo a tutti gli effetti stabiliti dalle varie disposizioni vigenti, resta ancora poco chiaro. Come non appare chiara la posizione di coloro i quali, avendo diritto alla immissione nei ruoli transitori, non ne siano stati considerati meritevoli. Non sembra, tuttavia, che questa legge abbia un'influenza diversa o maggiore da quella che � stata e;sercitata dalle disposizioni del D. L. n. 262 del 1948, sulla situazione giuridica del personale non di ruolo (agli effetti per esempio della cessazione dal servizio per mancata riconferma ecc.). 2. Legge 23 maggio 1951, n. 400 (G. U. n. 135): Modificazione del secondo comma dell'art. 677 del Codice di procedura civile. -Si tratta di una modificazione dimenticata in occasione della recente riforma. 3. D.P.R. 7 luglio 1951, n. 491 (G. U. n. 153): Cessazione dello stato di guerra tra l'Italia e la Germania. -Il "Memorandum d'intesa� cui si riferisce il decreto in esame � quello che regola il modo con cui l'Italia deve adempiere agli obblighi impostile con l'art. 77 dcl Trattato di Pace. 4. D.P.R. 5 luglio 1951, n. 573 (G. U. n. 169 s.o.): Approvazione del Testo Unico delle norme sulla dichiarazione, unica annuale dei redditi soggetti alle imposte dirette. 5. D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574 (G. U. n. 170): Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige. -Si richiama l'attenzione sugli articoli 42, 43 e 44 concernenti le attribuzioni dell'Avvocatura dello Stato noi riguardi dell'Amministrazione regionale e degli enti locali. 6. Legge 16 giugno 1951, n. 621 (G. U. n. 182): Modificazioni al sistema contributivo dell'Ente Nazionale di Previdenza ed assistenza per i dipendenti statali. -Questa legge contiene all'art.' 2 una delega legislativa al. Governo. Essa peraltro (V. le leggi, 1951, pag. 949, nota 2), risulta approvata da Commissioni parlamentari e non direttamente dalla Camera. Ci� sembra in contrasto con l'art. 72 ultimo comma della Costituzione. II. SENATO DELLA REPUBBLICA 1. Disegno di legge n. 1869 (iniziativa governativa): Disposizioni sul collocamento a riposo dei dipendenti statali. -Con questo disegno di legge si modifica il sistema attualmente in vigore per il quale il collocamento a riposo de,5li impiegati dello Stato � rimesso alla facolt� discrezionale dell'Amministrazione anche quando s1 siano verificate le condizioni necessarie e sufficienti per disporre del collocamento ste3so. Altra innovazione � quella che prevede il collocamento a disposizione dei funzionari di grado elevato, anche al di fuori dei casi limitati previsti dalle norme vigenti. La legge non si applica ai Magistrati, agli Avvocati dello Stato ed altro personale statale regolato da norme statali. 2. Disegno di legge n. 1785-A (iniziativa governativa): Modalit� per l'assunzione e la stipulazione di prestiti esteri da parte della Cassa per il Mezzogiorno. -In occasione di questa leggo, si vuole introdurre una norma la quale consenta la istituzione (peraltro opportuna) di un Comitato esecutivo ristretto nel seno del Consiglio di amministrazione della Cassa, ci� che evidentemente non poteva esser fatto con deliberazione del Consiglio sfosso, in quanto si tratta di modificare la organizzazione della Cassa stabilita con la legge n. 646 del 1950. CAMERA DEI DEPUTATI I. Disegno di legge n. 2231 (iniziativa parlamentare}: Modificazioni alla legge 2 luglio 1949, n. 408 sull'edilizia popolare ed economica. -QL1esto disegno di legge fu presentato al Senato (col n. 1689) in un testo diverso da quello successivamente approvato, testo che conteneva effettive modifiche agli articoli 95 e 97 del T. U ..28 aprile 1938, n. 1165. Invec�, il testo approvato dal Senato, e ora trasmosso alla Camera, non sembra che apporti ai suddotti articoli alcuna modificazione seria, s� che non Di vede davvero la ragione d'una sua trasformazione in logge. 2. Disegno di legge n. 2088 (iniziativa governativa): Norme per il funzionamento di appalti di lavori e forniture per le Amministrazioni dello Stato. -Con questo disegno di leggo si intendo attribuire ai Ministri competenti la facolt� di concedere anticipi alle imprese appaltatrici o fornitrici sull'importo degli appalti o forniture. � questa una innovazione notevole nel sistema finora segu�to in base alle vigenti leggi di contabilit� e alle leggi sulle opere pubbliche e sulle pubbliche forniture. In occasione di questo disegno di legge viene formulata anche una norma (art. 8) che innova radicalmente il sistema vigente in materia di controlli sui contratti della Pubblica Amministrazione. Si prevede cio� la costituzione d'una Commissione composta di 1m consigliere di Stato, un consigliere della .Corte dei conti, d'un Avvocato dello Stato e dal Direttore capo della Ragioneria centrale presso l'Amministrazione interessata; all'esame di questa Commissione sono sottoposti tutti gli schemi di contratto e di avvisi d'asta. L'avviso favorevole di tutti e quattro i membri della Commissione sostituisce a tutti gli effetti, sia il_parere del Consiglio di Stato, sia quello dell'Avvocatura, sia il visto della Ragioneria sia il controllo della Corte dei conti. Qualora nel verbale risulti il motivato avviso sfavorevole di uno o pi� dei suddetti membri della Commissione, esso � preclusivo e il Ministro competente, ove non ritenga di ni.odificare l'avviso d'asta o -150 lo ~cl�ema" di contratto, investir� della questione l'or gan� il cui rappresentante abbia espresso l'avviso contrario. � Questa norma, si sarebbe d�vuta introdurre nel nuovo testo della legge di contabilit� generale dello Stato, attualmente in corso di formulazione; ma si � ritenuto di stralciarla per motivi di urgenza, essendosi considerato indispensabile procedere al pi� presto ad una modifica delle norme vigenti, che consentisse di snellire l'attuale sistema di controllo, Mentre condividiamo l'esigenza di questa riforma, la sua urgenza ed anche il nuovo metodo che si vuole introdurre, la formulazione proposta non ci sembra delle pi� felici. Premesso che la prevista Commissiono 'non � una vera Commissione perch� manca proprio di quel carattere che � essenziale a tali organi, e cio� della collegialit� (� evidente, invero, che ognuno dei componenti della Commissione deve decidere per conto proprio), � da rilevare che, nel prevedere l'eventualit� dell'avviso contrario di alcuno dei membri (con le conseguenze sopra indicate), non si � evidentemente tenuto conto del fatto che, modificando l'atto nel senso voluto dal membro dissenziente, si potrebbe finire per trovarsi in disaccordo con gli altri membri che avevano espresso parere favorevole. � chiaro che meglio sarebbe stato disporre che, in caso di dissenso di anche uno solo dei membri della Commissiono, si sarebbe dovuto seguire l'attuale procedura ordinaria, cio� l'atto si sarebbe dovuto sottoporre a quei visti e a quei controlli regolati dalle norme vigenti. O si sarebbe potuto riprodurre il sistema regolato dagli articoli 4 e 6 del D.L. 21 giugno 1940, n. 856, attribuendo alla Commissione prevista nel presente disegn� di legge carattere pieno di �organo collegiale, cio� deliberante a maggioranza di voti. Un altro punto del progetto che me~ita seria conside razione � l'art. 4 secondo il quale i materiali per cui si concede l'acconto passano in propriet� dell'Ammini. strazione. Ilpassaggio di. propriet� importa gravi conseguenze di cui si � fatta in passato onerosa esperienza. Le materie approvvigionate e introdotte in fabbrica e in cantiere ai fini della esecuzione del contratto sono soggette ad un esame degli organi che dirigono o sorvegliano il lavoro, esame che non ha per� la completezza e la penetrazione di un regolare collaudo e vengono poi impiegate nella esecuzione dell'opera e del manufatto che non passa in propriet� dell'Amministrazione fino a che non siacollau dato od accettato. Ora, in questo collaudo', non di rado emergono difetti delle materie impiegate ancorch� fossero state sommariamente esaminate in precedenza ed � quindi necessario che la qualit� delle materie possa essere esaminata e discussa in sede di collaudo finale con la necessaria accuratezza, il che diviene impossibile so esse gi� appartengono �ll'Amministrazione che se le avesse regolarmente acquistate si sarebbe data carico della loro idoneit� in modo ben pi� accurato di quanto accada al momento della semplice introduzione in fabbrica o in cantiere. In secondo luogo, e questo � il rilievo di maggiore portata, la dichiarazione di passaggio di propriet� importa il passaggio dei rischi per eventi di forza maggiore od anche per i semplici deperimenti, conseguenza cos� grave che gi� nel R. D. 8 febbraio 1923, n. 422 (art.Il) sulle opere pubbliche essendosi prevista l'opportunit� dico~cedere acconti sui materiali approvvigionati e volendo procurare all'Amministrazione una garanzia pel' tale acconto, si � stabilito che n'.on ostante la avvenuta accettazione da parte dell'Amministrazione ogni rischio sarebbe rimasto a carico dell'imprenditore. Questi precedenti hanno indotto a prendere in esame le disposizioni sul passaggio di propriet� dei materiali in caso di acconto nel progetto per la riforma della legge sulla contabilit� di Stato e la formulazione definitiva della norma non � ancora precisata perch� il progetto � ancora allo studio. Comunque dato che nel presente progetto sulle anticipazioni occorre affrontare la situazione sembra che la norma potrebbe essere diversamente formulata tenendopresente il fine di procurare unagaranzia senza gravare l'Amministrazione di eccessive esposizioni economiche le quali sono di tale portata daf!w pensa.re che forse minor danno deriverebbe nel complesso dal concedere l'acconto senza altra garanzia che quelle gi� stabilite per la esecuzione del contrattq o di quella personale dell'imprenditore, tanto pi� che nel corso della esecuzione del contratto maturano continuamente crediti dell'Impresa su cui � .assai.facile ricuperare l'acconto soprattutto nel caso in cui le materie su cui � stato corrisposto corrano pericolo di perdita o deterioramento o di distrazione dai fini dell'opera. Ad ogni modo se si vuole mantenere la regola per cui l'acconto sui materiali deve dar luogo ad una garanzia si potrebbe forse con formulazione diversa da quella prevista raggiungere questo fine senza addossare inutilmente rischi all'Amministrazione. IN D I e E s I s TE MA T�1 �e-o DELLE CONSULTAZIONI LA FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE li: STATA DAT-4 ACQUE PUBBLIC,HE. -Chi debba essere considerato �scopritore� di acqua sotterranea ai sensi del T. U. 11 dicembre 1933, n. 1775. (n. 19). Alv.tMINISTRAZIONE PUBBLICA. -1) Se l'atto con il quale si procede alla dichiarazione di zona depresrn ai sensi della legge 10 agosto 1950, n. 647 debba essere un atto formale (n.116). -II) Se tale dichiarazione costituisca condizione preliminare inderogabile per l'intervento dello Stato per l'esecuzione di opere pubbliche nella zona (n. 116). -III) Se in applicazione della legge n. 647 del 1950 possano eseguirsi opere anche al di fuori dei limiti della zona depressa (n. 116). -IV) Se la inclusione di opere pubbliche nel programma di lavori predispoi;to ai sensi dell'art. 2 della legg\'l n. 647 del 1950 porti all'estensione automatica degli art. �3 e 20 de.lla legge n. 589 del 3 ago~to 1949 (n. 116). ANI'ICHITA E BELLE ARTI. -A chi spetti la propriet� di un mosaico romano antico ritrovato tra i ruderi di un tempio esistente nell'area sulla quale attualmente � costruito un palazzo vescovile (n. 17). APPALTO, -1) Quali siano le conseguenze di ritardi nell'esecuzione di un'opera pubblica sulla procedura e sul diritto alla revisione dei prezzi (n. 14.6). -II) Se la revisione dei prezzi degli appalti di opere pubbliche sia una facolt� dell'Amministrazione o un diritto dell'appaltatore. (n. 146). -III) Se il parere della Commissione in materia di revisione di prezzi sia vincolante per il Ministro o se il Ministro possa sent:'re il parere di altri organi consultivi (n. 147). ASSICURAZIONI. -Se il personale a contratto a termine degli uffici del lavoro debba essere assicurato contro la disoccupazione involontaria (n. 32). COMUNI E PROVINCIE. -Quale sia la posizione giuridica di un segretario comunale per il periodo in cui � stato allontanato dal servizio per inidoneit� fisica, q~ando il provvedimento di allontanamento sia stato annullato per illegittimit� (n. 29). CONFISCA. -Quale sia il modo con cu'i l'Amministrazione pu� procedere allo scioglimento della comunione di beni dei quali sia diventata parzialmente proprietaria in seguito a provvedimento di confisca relativo alle sanzioni contro il fascismo (n. 7). CONTABILIT� GENERALE DELLO STATO. I) Se l'appaltatore possa valersi della facolt� di sciogliersi dall'impegno contrattuale in caso di ritardata approvazione del contratto ai sensi dell'art. 114 del Regolamento sulla Contabilit� generale dello Stato nel caso in cui si sia dato luogo all'esecuzione immediata ai sensi dell'articolo 337 della legge sui LL. PP. (n. 75). -II) Quale sia la forma che deve rivestire un atto con il quale un ex dipendente dello Stato residente all'estero delega'taluno a riscuotere in Italia competenze arretrate spettantegli (n. 76). DANNI DI GUERRA. -Se i danni derivanti ad un immob:Ie da colpa dei locatari militari debbano essere risarciti ugualmente quando, essendo l'immobiie distrutto per causa bellica, spetti al proprietario anche l'indennizzo per danni di guerra (n. 30). ELETTRODOTTO. -Quali siano i rapporti tra gli articoli 122 e 126 del T. U. sulle acque e gli impianti elettrici, nel caso in cui l'Amministrazionesia proprietaria del fondo gravato di servit� di elettrodotto (n. 4). FERROVIE. -I) Se ai professori di ruolo delle Universit� libere spetti la concessione speciale O (n. 133). II) Se le Ferrovie possano considerarsi responsabili di un infortunio avvenuto ad un viaggiatore a causa della sua discesa dal treno fermatosi fuori della stazione (n. 134). IMPIEGO PRIVATO. -Se nella espressione " le indennit� di licenziamento� conten.ta nell'art. 1 �della legge 5 aprile 1949, n. 135 siano comprese sia le indennit� di �nzianit� sia la indennit� sostitutiva del preavviso (n. 21). IMPIEGO PUBBLICO. -I) Se ed in 'quali limiti possa applicarsi al personale degli Uffici stralcio delle disciolte confederazioni sindacali fasciste il D.L.C.P.S. 5 agosto 1947, n. 778 sul rimbor�o delle imposte erariali (n. 269). -II) Se il personale a contratto a termine degli Uffici provinciali del lavoro debba essere .assicurato contro la disoccupazione involontaria (n. 270). -III) Se un provvedimento di dimissione d'ufficio adottato dalla r.s.i. sia colpito dalla invalidit� prevista d~ll'art. 2 del D.L.L. n. 249 del 1944 (n. 271). -IV) Se il D. L. n. 207 del 4 aprile 1947 debba applicarsi a personale assunto in via precaria da uffici statali locali e retribuito con fondi diversi da quelli stabiliti per il pagamento degli stipendi al personale (n. 272). -152 IMPOSTA DI REGISTRO. -Quale sia il trattamento da farsi ai fini dell'imposta di reg"stro ai contratti stipulati dagli Ufibi stralcio delle disciolte confederazioni sindacali fasciste (n. 69). IMPOSTE E TASSE. -Se l'obbligo di denunciare la c:>struzione di un'opera pubblica al fine di godere della esenzione dall'imposta di consumo di materiali spetti all'appaltatore o all'Amministrazione (n. 162). INFORTUNI SUL LAVORO. -Se debbano assoggettarsi a contributo camerale le addizionali stabile sui premi per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ai fini del funzionamento della sezione assistenza ai grandi invalidi del lavoro (n. 25). r r LOCAZIONI. -1) Se in relazione agli immob:li gi� appartenenti al cessato P.N.F. possano aversi rapporti normali di loazioni tra lo Stato proprietario e altri soggetti (n. 56). -II) Se il comma 4� art. 3 del D.L.C.P.S. 23 d'.cembre 1947, n. 1461 possa applicarsi anche quando si paghi erroneamente un canone aumentato per una locazione non prorogata (n. 57). NAVI. -I) Se il divieto di costituire ipoteche su navi destinate a servizio pubblico della navigazione interna riguardi solo le concessioni definitive (n. 46). -II) Quale sia l'influenza de. D.P. 26 giugno 1950 che ha istituito_ gli ispettorati di porto sull'obbligo della tenuta dei registri di iscrizione delle navi e dei galleggianti (n. 46). NOBILT�, ORDINI CAVALLERESCHI E ONORIFICENZE. -Se sia accoglibile la domanda di un insignito di decorazione al valore il qual� chieda il ripristino a suo favore del soprassoldo di madaglia gi� da lui ceduto all'ex opera naz. balilla (n. 7). OPERE PUBBLICHE. -1) Se l'atto con il quale si procede alla dichiarazione di zona depressa ai sensi della legge 10 agosto 1950, n. 647 debba essere un atto formale (n. 16). -II) Se tale dichiarazione costituisca condizione preliminare inderogabile per l'intervento dello Stato per l'esecuzione di opere pubbliche neIla zcra (n. 16) -III) Se in applicazione della legge n. 647 del 1950 possano eseguirsi opere anche al di fuori dei limiti della zona depressa (n. 16). -IV) Se la inclusione di opere pubbliche nel programma di lavori predisposto ai sensi dell'art. 2_ della legge n. 647 del 1950 porti all'estensione automatica degli art. 13 e 20 della legge n. 589 del 3 agosto 1949 (n. 16). PENSIONI. -A chi debba essere pagata l'indennit� di licenziamento di un operaio temporaneo deceduto dopo la cessazione dal servizio (n. 47}. POSTE E TELEGRAFI. -Se sia possibile e con quali modalit� imporre servit� di passaggio di linee telefoniche e telegrafiche tali che il proprietario del fondo servente non possa valersi della facolt� concei:ii:iagli dall'art. 183 del Codice postale delle telecomunicazioni (n. 25). PREZZI. -Se il pg.rere della Commissione per la rev:sione dei prezzi negli �appalti di opere pubbliche sia vincolante per il Ministro e se questo possa sentire altri organi �consultivi prima della decisione (n. 10). PROPRIET� INTELLETTUALE. -Se concesso dall'Amministrazione un compenso ad un impiegato dipsndente per una invenzione non ut;lizzata dall'Amministrazione stessa abbia l'impiegato diritto alla rivalutazione del compenso in caso di ritardo nel pagamento (n. 10). REGIONI. -Se si� costituzionale una legge della Regiol'l.e siciliana la quale attribuisca all'arnEEsore dei Lg.vori Pubblici la progettazione, direzione, ecc. del Parto di R"posto di II categoria, specie in relazione al D. L. 30 luglio 1950, n. 878 (n. 19). REQUISIZIONI. -Se ad un notaio per la reqms1zione dei locali costituenti il suo studio spetti anche l'indennit� una tantum di cui all'art. 60 del T. U. 18 agosto 1940, n. 1741 (n. 91). SCAMBI E VALUTE. --Se il debitore italiano che non ha versato allo speciale conto Ist-Cambi il suo debito verso l'Inghilterra sia tenuto ora a sopportare la differenza di cambio (n. 7). SINDACATI. -Quale sia il trattamento da farsi ai fini del�'imposta di registro ai contratti stipulati dagli Uffi.Ji Stralcio delle disc�olte confederazioni sindacali fasciste (n. 9). TURISMO. -I) Se sia rimesso alla fa'colt� discrezionale del Commissariato per il Turismo stabilire quali siano gli enti che possano essere autorizzati in via generale ad effettuare viaggi turistici nell'ambito regionale (n. 1). -II) Se sia possibile concedere ad aziende autonome di cura la licenza di P. S. per gestire agenzie di viaggi e turismo (n. 2). TRATTATO DI PACE. -Se il Governo italiano sia tenuto a pagare sul conto speciale in sterline costituito in base agli accordi post-bellici con l'Inghilterra anche i debiti di cittadini italiani che non hanno versato a suo tempo al conto speciale Ist-�ambi le somme dovute ai creditori britannici (n. 35). (7102653) Roma, 1951 -Istituto Poligrafico Stato -G. C.