LUGLIO-AGOSTO 1951 

RASSEGNA MENSILE 


DEJLL' AVVOCATURA DELLO STATO 


PUBBLI(JA.ZIONE DI SEBVIZIO 


IL RAPPORTO DI LAVORO CON ENTI 
PUBBLICI ECONOMICI E LA COSTITUZIONE 


. SOMMARIO. -1. Premessa -2. Rapporto economico 
(art. 39) o rapporto di pubblico impiego (art..97 e 98)? 


3. L'art. 39 e l'appartenonza dell'ente economico alla 
categoria. -4. Limiti derivanti dalla Cost1tuzione per 
il legislatore. -5. II problema della competenza. 
1. Il problema dei rapporti di lavoro col'l gli enti 
pubblici economici pu� considerarsi sotto due angoli 
di visuale: o guardare quello che � oggi nel diritto 
positivo, condividendo o meno l'attuale orientamento 
della Cassazione, ein questo caso ilCongresso 
verrebbe a restringersi all'esame di questioni, pur 
gr'1vi e delicate, ma ~ransitorie e contingenti, a 
carattere in sostanza esegetico di norme di legge. 
Oppure spingere lo sguardo a quella che dovr� 
essere, nell'ordinamento futuro, la soluzione gi�, 
a nostro avviso, tracciata chiaramente dalla Costituzione. 
E allora il Congresso, pur con limiti di 
diritto positivo eventualmente scaturenti dalle 
norme della Oostituzione, come vedremo, abhraccer� 
il problema in tutta la sua estensione e rilievo e potr� 
portare un suo concreto contributo ad una soluzione 
legislativa di esso. 
Questa comunicazione tende appunto a evadere 
dal dibattito di diritto transitorio che oggi tiene 
divise giurisprudenza e dottrina per studiare e porre 
in risalt.o quelle norme della Costituzione che possono 
influire, e a nostro parere tracciano precise 
direttive, sulla disciplina del rapporto di lavoro con 
enti pubLlici economici. 

2. Pu� avere importanza per penetrare ilpensiero 
della Costituzione tener presente quale era, ed �, 
la sitnazione di fatto in cui prima della su� emana~ 
zione si trovavano tali rapporti di lavoro. 
In linea di diritto sostanziale essi erano disciplinati 
dai contratti collettivi del ces10atoordinamento 
sindacale in forza quantomeno della disposizione 
transitoria deJl'art. 43 del decreto-legge 369 del 1944 
e dell'art. 20<13 del codice civile. Si discuteva (come 
oggi si discute) sulla posizione proces.suale, e cio� 
su quale dovesse ritenersi il giudice competente ad 
apJ>lirare la disciplina di cui sopra, e su questo 
erano (e sono) i dispareri, ma non poteva negarsi 
-e non si nega oggi -che il rapporto restasse 
disciplinato, in vh principale dai contratti collettivi 
integ-r�ti eventualmente da disposizioni regolamentari 
degli enti. 

Non vi erano divieti, e perci�, col beneplacito 
dell'ente interessato, le clausole dei contratti collettivi 
di diritto iubblico potevano liberamente 
sostituir~i con altre, pi� favorevoli ai lavoratori, 
risultanti dai nuovi patticollettivi di diritto comune, 
magari conclusi tra gli organi direttivi dell'Ente � 
le Associazioni che ne inquadravano il personale, 
oppure estesi in via generale o specifica da categorie 
similari. Il personale di cui si tratta, in assenza di 
uh divieto cogente, poteva riunirsi in Associazioni 
sindacali e stipulare ~atti di lavoro e in taluni cfl,si 
(l'. ad es. le Aziende Municipalizzate) vi era la possibilit� 
di inquadramento e associazione sindacali 
in Sindacati di datori di lavoro. 

In tale stato di cose veniva emanata la Costitu


zione che all'art. 39 affrontava il problema generale 

del sindacato e della disciplina collettiva del lavoro 

? agli articoli 97 e 98 poneva le basi per l'organizza


zione della pubblica Amministrazione. 

Dopo questa premessa, poniamo subito i due gravi 

problemi iniziali per una retta interpretazionfl delle 

norme della Costituzione: � l'art. 39 compatibil< 

con gli artt. 97 �e 98~ Rientra il rapporto di lavoro 

con gli enti pubblici nella disciplina disposta dal


l'articolo 39 o dagli articoli 97 e 98~ 

Non ci soffermeremo sul primo quesito, po�ch� 

a noi basta risolvere il secondo per quanto attiene 

al tema che ci siamo proposti. 

Infatti ove si dimostri che gli articoli 97 e 98 

non riguardano gli enti economici, il primo proble


ma interpretativo resta, per noi, superato. 

Gli articoli 97 e 98 appartengono al titolo �La 

pubblica Amministrazione n, l'art. 39 a quello invece 

<<Dei rapporti economici ii. Gi� la contrapposizione 

dei titoli appare eloquente. Basta comunque leggere 

l'art. 97 per averne piena confe1ma. 

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni 
di legge in modo che siano assicura ti il buon 
andamento e l'imparzialit� dell'Amministrazione )), 


Dunque qui si tratta dei <<pubblici Uffici �_.e .non 
delle attivit� economiche poste in essere in concorrenza 
con i privati; qui si tratta di organizzare 
Dffici pubblici e non imprese economiche o produttive; 
qui si tratta di assicurare l'imparzialit� 
dell'amministrazione oltre che il buon andamento, I 
e non gi� di esplicare attivit�. economica traendone I 

I 

.utili a favore dello Stato. 

! 

I 


IA 
-130 


I . Siamo proprio nel cuore del concetto di pubblica 

i 
.Amministrazione (con la meritata A maiuscola), 
e una contrapposizione pi� precisa tra l'Ufficio

I Pubblico e l'attivit� economica non potrebbe trovarsi. 
B l'art. 97 prosegue: 
<<Nell'ordinamento degli uffici sono determinati 

le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilit� 
proprie dei funzionari �. 

Tutti problemi chenell'attivit� dell'Ente pubblico 
economico non hanno ragione di essera e che rivelano 
la volont� di realizzare la garanzia e la salvaguardia 
del cittadino di fronte alla pubblica Amministrazione. 


J,o stesso successivo requisito del concorso come 
mezzo di scelta esula dal modo normale di assunzione 
dell'ente economico. 

Ma .allora quando l'art. 98 con frase lapidaria 
precisa che �i pubblici impiegati sono al servizio 
esclusivo della Nazione�, � evidente che si riferisce 
a quella amministrazione pubblica che realizza il 
compito essenziale dello Stato e non a quegli enti 
mediante cui lo Stato interviene ne�la vita economica 
per motivi s� di interesse generale, ma non nel suo 
compito istituzionale di amministra.zione, sia pure 
in senso lato. 

� quindi palese, nel dettato stesso della Costi


tuzione, che non siamo in presenza di un rapporto 
�di pubblico impiego, bens� di un rapporto economico 
.la cui disciplina � data dall'art. 39 e non da quelli 
ora esaminati. 

Vorremmo aggiungere che cosi la Costituzione, 
viene a confermare la tesi accolta da molta giurisprudenza 
e dottrina per cui il rapporto di lavoro 
con un ente pubblico pu� non essere di pubblico 
impiego, ma il carattere della presente comunicazione 
ci impedisce ogni, pur interessante, disgressione. 


3. Veniamo allora all'art. 39. 
Da esso sorgono in folla probl1�mi che incidono 
sulla questione che ci riguarda, ma, per il loro carattere 
generale, evadono dal presente studio. 

Posto che � l'organizzazione sindacale � libera �, 
quali limiti pu� porre la legge sindacale al libero 
organizzarsi di una Asso"ciazione di lavoratori~ 
Pu� vietarsi o comunque escludersi l'organizzazione 
di sindacati di impresa~ Pu� vietarsi l'adesione di 
una Associazione aun Sindacato di categoria~ Come 
deve realizzarsi l'inquadramento delle categorie~ 

L'incidenza di tali quesiti � evidente. Ove si 
ammetta ad esempio la formazione di un sindacato 
tra i lavoratori di un'impresa, e tale sindacato si 
registri, non potrebbe poi impedirsi che la relativa 
rappresentanza unitaria stipuli contratti con l'impresa, 
e nella specie con l'ente economico. 

Comunque, anche a prescindere dalla possibilit� 

o meno di esistenza di rappresentanze unitarie per 
impresa, resta o risorge, in ogni modo, il ben pi� 
grave problema dell'inquadramento. 
Si insiste dai sostenitori dell'abrogazione dell'articolo 
429 cod. proc. civ. sul fatto che essendo venuto 
meno l'inquadramento sindacale, sarebbe caduta 
fo. ragione determinante dell'articolo stesso, ma si 
dimentica che all'instaurarsi di un nuovo ordina mento 
di diritto, perl'attuazione della Costituzione, 

���


il problema, sopito in via transitoria, risorger� inesorabilmente, 
mentre l'inquadramento sostanziale 
� implicito in una norma che esiste ancora, l'articolo 
2093 cod. civ. 

� chiaro, poich� il contratto collettivo ha efficacia 
erga omnes a a sensi dell'art. 39, cio� verso tutti gli 
appartenenti alla categoria, abbiano o non abbiano 
aderito al Sindacato, che bisogner� determinare 
cosa si intende per categoria e chi vi appartiene. E 
allora il Giudice, se non il legislatore, si trover� di 
fronte al problema di decidere se l'ente pubblico 
economico debba ritenersi appartenente, o meno, 
a una determinata categoria. Egli avr� davanti una 
attivit� oggettiva che rientra senz'altro inun determinato 
settore economico e quindi nella relativa 
categoria (che comprende, � bene ricordarlo, persino 
i cosidetti terzi privati non imprenditori), e in assenza 
di qualsiasi divieto -la cui legittimit� del resto 
sarebbe contestabile -difficilmente l'Ente potr� 
sottrarsi all'appartenenza alla categoria e all'obbligo 
di applicare i contratti collettivi ex art. 39. 

4. Abbiamo detto che sarebbe contestabile un 
divieto da parte del legislatore. 
A nostro avviso se si ponesse un tale divieto di 
inquadramento si violerebbe l'art. 39 della Costituzione. 


Quest'articolo fa esclusivamente riferimento alla 
appartenenza alla categoria; come situazione oggettiva, 
di cui non deve sfuggire l'importanza. 

Mentre la Pubblica amministrazione, di cui agli 
articoli 97 e 98 della Costituzione, non � in alcun 
modo suscettibile d'inquadramento sindacale in 
quanto non esplica alcuna attivit� oggettivamente. 
economica, e perci� non vi � la base per una sua a ppartenenza 
a una categoria professionale, l'ente pubblico 
economico � non solo suscettibile di inquadramento, 
ma appartiene proprio a quella realt� di fatto, concreta 
ed effettiva, che � la categoria, individuata 
dall'inquadramento; la sua attivit� oggettiva � 
proprio quella tipica che d� vita appunto alla categoria. 
Di modo che per staccarlo da essa e sottrarlo 
alla sua disciplina occorre un provvedimento del 
legislatore. 

Di ci� abbiamo conferma nella stessa evoluzione 
nel sistema sinda�ale cessato, in cui il legislatore 
non cre� nessuna :fittizia appartenenza, ma in un 
primo tempo pose un espresso divieto con cui 
s�ttrasse l'ente all'inquadramento, e in unsecondo 
tempo rimosse il divieto, pur con limitazioni, lasciando 
che l'ente assumesse il suo posto in relazione 
all'attivit� economica espletata. 

Posto perci� che l'ente fa parto della categoria 
(in questo � la ragione essenziale della differenziazione 
della pubblica amministrazione), e che occorre 
un provvedimento legislativo, che vorremmo dire 
contro natura, per sottrarlo ad essa, anzi neppure 
ad essa ma alle conseguenze giuridiche. che discendono 
da tale appartenenza, ci sembra che ad. esso.~� 
sarebbe di ostacolo il citato art. 39, il quale non 
demanda (come l'art. 40 per il ,diritto di sciopero) 
al legislatore il potere di porre dei limiti, ma gli 
taglia invece risolutamente la strada con due de�ise 
affermazioni: la libert� sindacale, l'individuazione 
oggettiva della categoria. 


-131


D'altra parte, perch� dovrebhe porsi un divieto~ 

Lasciamo la domanda cosi, senza risposta, perch� 

rispondere ad essa vorrebbe dire addentrarsi in 

tutte le ragioni che militano a favore del sistema 

dell'inquadramento degli enti economici e che hanno 

portato lo stesso regime autoritario fascista alla 

emanazione della legge del 1938 prima e poi all'arti


colo 2093 cod. civ. 

Tali ragioni, come tutte quelle altre di carattere 

sostanziale, che sono state poste in luce nel dibattito 

relativo al rapporto di lav-0ro degli enti pubblici 

economici, sembra a noi in coerenza con l'indirizzo 

degli enti, con la volont� del personale e con la natura 

delle cose militino -anche se si potesse prescindere 

(e non si pu�) dai limiti della Costituzione -contro 

tale divieto. 

Siamo in presenza di un'attivit� economica, di 

una organizzazione ad impresa, in concorrenza con 

le imprese pri'Vate, vivente e operante sul terreno 

del diritto privato e i:ri particolare di quello commer


ciale, perch� mai dovrebbe aversi un divieto che 

altererebbe gli stessi termini della concorrenza~ 

5. R.esta allora l'ultimo e pi� dibattuto problema: 
quello del giudice competente. Posto che l'art. 39 
della Costituzione trovi applicazione integrale, 
come precisato sopra, quale dovr� essere il giudice 
competente sul rapporto di lavoro : il giudice del 
lavoro o il consiglio di Stato~ 
In altro precedente studio (1) abbiamo gi� espresso 
ilnostro pensiero in maniera abbastanza diffusa. 
A nostro avviso, la disciplina processuale del rapzporto 
di lavoro � legata a quella sostanziale, indisso


ubilmente. 

Non ripeteremo qui dimostrazioni gi� note : la 

parit� contrattuale e sindacale esclude la suprema


zia, il contratto collettivo il regolamento di imperio; 

in luogo degli interessi legittimi subentrano diritti 

soggettivi, in luogo della discrezionalit� pubblica, 

quella, per cos� dire, privata. 

Il rapporto dell'ente pubblico economico non si 
presenta come rapporto di pubblico impiego perch� 
mancano tutti i requisiti sostanziali di quest'ultimo 
ma come un vero rapporto di lavoro: la sua disciplina 
non � unilaterale, autoritaria, ma contrattuale, 
e per integrarla non soccorrono principi generaH 
. e norme del diritto pubblico, ma tutto il sistema del 
diritto del lavoro. Non siamo cio� in presenza della 
mera applicazione di una legge, come quella sull'impiego 
privato, quale norma materia.le e sussidiaria, 
bens� del contratto collettivo quale fonte primaria 
ed esclusiva, integrata da tutto il sistema dei prin


cipi del diritto privato del lavoro. 

La competenza cos� della giustizia amministrativa 

sarebbe senza causa: di fronte a due giurisdizioni, 

una volta al controllo degli interessi e dei poteri 

discrezionali della Pubblica Amministrazione, l'altra 

chiamato a giudicare sui diritti soggettivi che sor


gono dal contratto collettivo, non sembra n� logico 

n� opportuno assorbire il rapporto di lavoro in una 

competenza estranea alla sua disciplina. 

(1) v. in questa Rassegna, 1950). 
Anche qui la Costituzione sembra dire una parola 
decisiva. r,a tutela" ((degli interessi legittimi, e in 
particolari materie indicate dalla legge anche dei 
diritti soggettivi � � �tassativamente circoscritta 

(v. art.103) nei confronti della pubblica Amministrazione, 
e la pubblica amministrazione, come�abbiamo 
veduto, � quella regola.ta dagli articoli 97 e 98 e 
non dall'art. 39 e che agface, per cosi dire jure 
imperii. 
N� pu� ritenersi che l'espressfone �nei confronti 
della pubblica amministrazioe ,,, sia ininfluente e 
pleonastica: essa � inve<>e proprio la ragion d'essere 
dell'art. 103, e discende da, quelle esigenze che l'articolo 
97 ha enunciate, in sostanza � la salvaguardia 
del cittadino, e anche dell'impiegato, di fronte ai 
poteri di supremazia dell'Amministrazione. 

6. Non ripeteremo qui quello che � stato scritto 
sul sistema contrattuale paritario del contratto 
collettivo che esclude la sussistenza di interessi 
legittimi e neppure porremo in luce la incongruenza 
pratica di una competenza di giurisdizioni diverse 
sullo stesso contratto collettivo, n� la difficolt� di 
armonizzare i principi che disciplinano la pubblica 
amministrazione con quelli che regolano il rapporto 
economico di lavoro. Bisponderemo semplicemente 
a una obbiezione di carattere pratico: si ripete, e 
anche da autorevoli studiosi, che la competenza 
esclusiva del giudice del lavoro verrebbe a sminuire 
la tutela del personale degli enti pubblici economici. 
Ora ci� non ci sembra esatto: non bisogna, al 
riguardo dimenticare che la tutela ed il trattamento 
dei lavoratori sono costituiti da una molteplicit� 
di elementi. Siamo tutti d'accordo che scegliendo 
fior da fiore viene a realizzarsi la tutela migliore 
di tutte: da unlato ogni beneficio del diritto privato, 
dall'altro ogni beneficio di quello pubblico. 

Ma una tale pretesa appare .ingiustificata e creerebbe 
una vera disparit� sia rispetto agli appartenenti 
alla pubblica amministrazione che non possono 
godere dei benefici del diritto privato, sia rispetto 
ai lavoratori privati che non potrebbero godere 
di quelli del diritto pubblico. Si tratta quindi 
di scegliere ( e la scelta, come abbiamo veduto � 
gi� fatta) tra l'uno e l'altro sistema: o il trattamento 
e la garanzia del pubblico impiego dove alla inferiorit� 
del trattamento economico e alla ampiezza 
dei poteri discrezionali dell'Ente fa riscontro in 
compensazione la rigorosa tuteJa di tutti gli interessi 
e l'esistenza di intense garanzie; oppure il trattamento 
economico pi� elevato dei privati con le 
embrionali garanzie dello impiego privato, ma con 
diritti precisi e assicurati contro cui il datore di 
lavoro non ha alcun potere. .Anche, a prescindere 
per un momento dal trattamento economico su cui 
torneremo subito, non pu� non rilevarsi che il sistema 
del contratto collettivo e del diritto soggettivo 
ha degli elementi di vantaggio sul sistema della 
tutela dell'interesse legittimo. Nel primo caso vi 
saranno molti atti del datore di lavoro sottratti 
ad ogni controllo, ma vi sono dei diritti stabiliti -� 

contrattualmente che non possono essere lesi sotto 
nessun pretesto; nel secondo tutto sar� soggetto al 
controllo della giustizia amministrativa, ma tutto 
dipender� dal potere discrezionale dell'ente e l'in




-132 


teresse del servizio sar� la bussola, talora incerta, 
da cui dipender� il rapporto d1impiego in tutte le 
sue vicissitudini, senza ostacoli insormontabili 
che diano la sicurezza di determinati diritti. 

Alla mancanza di tutela degli interessi legittimi 
si unirebbe -si dice --anche la limitatezza dei 
poteri del giudice del lavoro il quale non potrebbe 
mai annullare l'atto dell'ente e ordinare ad esempio 
la riassunzione de\ lavoratore. 

r,e osservazioni che precedono sono gfa una prima 
risposta anche a tale rilievo, ma � opportuno aggiungerne 
altre. 

Intanto non � del tutto esatto che il giudice del 
lavoro non abbia alcun potere al riguardo: di fronte 
ad un licenziamento viziato da nullit� assoluta 
perch� contra legem il giudice del lavoro pu� legittimamente 
dichiarare (vedi ad esempio le sentenze 
sul blocco dei licenziamenti) che questo � stato inefficiente 
a-risolvere il rapporto che perdura con tutti 
i relativi obblighi contrattuali. Non esiste la riammissione 
in servizio manu militari, ma esistono delle 
fattispecie in eui il datore di lavoro vede vigere e 
persistere un rapporto con a suo carico la retribuzione, 
anche contro la sua volont� (oltre i casi 
sopra citati v. per es. l'imponibile di mano d'opera). 
Inoltre tali poteri potranno accrescersi e precisarsi 
nel futuro dal momento che la tendenza del diritto 
del lavoro � verso una maggiore sicurezza dell'impiego 
e una pi� intensa tutela del lavoratore. Ma si 
tratter� pur sempre di una tutela legata al diritto 
soggettivo (e cio� dell'intensrficarsi ed estendersi 
dei diritti soggettivi) e eguale per tutti i lavoratori 
di una stessa categoria, facciano essi capo a datori 
di lavoro privati o enti pubblici economici: tale 
quindi da non alterare la natura del rapporto, n� 
turbare la parit� tra gli uni e gli altri. � 

Oltrech� nel sistema e nei rilievi delineati, l'ob


biezione in esame ci sembra trovi la sua pi� decisa 

cond�nna proprio nella necessit�, di assicurare 

questa parit� di condizioni non solo per evitare il 

crearsi di privilegi, quanto per l'interesse stesso 

delle imprese datrici di lavoro. � 

Non vi � dubbio che l'annullamento, spe�ie se 

frequente, a tutela di un interesse legittimo P, attra


verso la figura dell'eccesso di potere, rappresenta 

un costo non indiflerente e accresce il peso del costo 

del lavoro. Si tratta a volte, per la stessa giustificata. 

lentezza della giustizia amministrativa, di anni di 

assegni arretrati che l'ente � costret.to a pagare 

senza essersi avvalso del lavoro del suo dipen


dente. 

Tale costo incide sulla gestione economica e porta 

uno .squilibrio che gioca contro il suo rendimento, 

le impedisce una effettiva concorrenza coll'impresa 

privata, snatura e rende vuota di significato la 

pretesa. di una sua azione calm,ieratrice. 

Ecco allora che la gestione economica non �� in 

grado di a.ffrontare la libera concorrenza e si risolve 

in un passivo per le finanze statali (gioca anche 

contro di essa il frequente minore impegno del suo 

stesso personale che sa di avere maggiore tmnquil


lit� anche se non d� tutto il suo rendimento). 

Si potr� dire che ci� � dovuto a tante cause, e 

p�� ess0 re, ma cuto tra gli elementi del pai>sivo c'� 

da porre il maggior costo che impedisce una gara 

vittoriosa sul mercato: � quindi anche nell'interesse 
pubblico che ha dato vita all'ente che esso non sia 
posto in condizioni di inferiorit� a tutto profitto del 
privato e a tutto danno per le finanze statali e per 
la generalit�. 

Occorre quindi scegliere tra i due sistemi, ma 
abolire ogni ibridismo, e non creare condizioni di 
ingiustificato privilegio, come sarebbe se a un 
rapporto di impiego privato, si aggiungessero le 
pur contrastanti garanzie del pubblico impiego, e 
la. relativa gimtizia. 

VALENTE SIMI 

AVVOCATO DELLO STATO 

Pubblichiamo la comunicazione fatta dal collega 
avv. Sinii, a.l Convegno sul rapporto di impiego degli 
enti pubblici� economici, organizzato dall' I stitnto di 
St11,di Amministrativi dell'Universit� di Bologna, per 
iniziativa del prof. Lessona, e con l'appoggio della 
Rivista di diritto del lavoro e degli enti locali. � 

Il Convegno si � concluso con la votazione di due 
ordini del giorno contrapposti: il primo dei quali che 
sosteneva il carattere pubblico del rapporto d'impiego 
presso gli enti di cui sopra e la competenza degli organi 
della Giustizia Amministrativa ha ottenuto iina 
strettissirna maggioranza, di 16 voti contro l '5, con 
varle astensioni dal voto. 

Nel dibattito si sono pronunciati a favore del 

carattere pttbblico del rapporto e della competenza 

del Con.qiglio di Stato i due relatori cons. di Stato 

dott. Aldo Bozzi e prof. Rilvio Lessona, i Presidenti 

di Sezione del Consiglio di Stato P�paldo e I.a Torre 

e il prof. Navarra dell' fhiiversit� di Napoli. S,i sono, 

invece, espressi per il carattere privatistico del rap


porto di impiego oltre all'avv. Simi, con la comii


nicazione di cui sopra, il prof. Prosperetti della 

Universit� di Perugia, il giudice Melfi del Tribu


nale di Perugia., alcnni avvocati di enti pubblici 

economici e rappre.qentanti sindacali di categoria dei 

lavoratori. 

Ci sernbra, pertanto. chiaro che. pur essendo stato il 

Convegno utile per il dibattito che ha suscitato, non pu� 

ritenersi che abbia portato ad alcuna precisa conclu


sione anche semplicemente di valore indicativo. 

Se un valore indicativo 'l'Oles,qe trarsi esso non po


trebbe des11,mersi dall'ordine del giorno approvato 

a strettis.Yima maggioranza dai presenti, ma dal


l'atteggiamento delle varie rappresentanze e, cio�, 

dalla 'l.!olont� dei rappresentanti dei lavoratori e 

degli enti, di voler conservare l'appartenenza alle 

categorie, la contrattazione collettiva, la disciplina 

privatistica del rapporto di impiego, e dallo schiera


rn.ento a favore di trt,le tesi della maqgioranza dei pro


fessori di diritto del lavoro presenti, mentre a favore 

del carat~ere pubblicfatico si ,qono schierati i magi


strati del Co�n,,qiqlio di Stato e la pi� parte degli inse


gnanti di diritto amministrativo. 

Talchfi, se n11,'indicazione deve trarsi dal voto, essa 

pare nel senso che coloro che sono soggetti alla disci


plina normativa del rrr.vporto (dafori di la1,oro 

e lavoratori) sono concordi nel ritenere p�i� .soadisJa-


cente la discivlina privatistica, mentre, per regioni 

teoriche, a no,qtro a11vi80 m.ianto meno discutibili, 

1ma cerchia di studiosi del diritto amministrativo 

intenile patrocinare una dfrersa sol1izione. 


N�o TE DI DO,.fTRINA 


FERDINANDO Rocoo : La giust'zia amministrativa : 
reallzzazfoni ed aspettative. (� Rivista .Amministrativa
�, l!l51, 160). 

In questo brevissimo articolo, che �, in sostanza, 
il riassunto del <liscorso di commiato pronunciato 

levato in dottrina, che l'istit1:! to della sospensione 
possa urtare contro principi .costituzionali e vada 
ripudiato, mentre esso rafforza l'efficacia del controllo 
della giurisdizione amministrativa e, senza 
affatto vulnerare, per la eccezionalit� che deve 
conservare, il principio basilare della . esecutoriet� 

nel momento in cui lasciava la carica di presi....-'degli atti amministrativi, costituisce, per j suoi 

dente del Consiglio di Stato, Ferdinando Rocco, 
premesso che �La Carta Costituzionale attende 
ancora e da tempo i suoi logici sviluppi ed i suoi 
adeguamenti legislativi che sono necessari per 
rendere efficaci ed operanti i suoi risultati che 
interessano tanto da vicino il funzionamento 
della giustizia amministrativa�, accenna all'op<:
Jra svolta dal Consiglio di Stato con i suoi pro


. getti di legge, i suoi studi, i suoi voti per la chiarificazione 
di alcuni dei problemi legati alla spe-
Ciale fisionomia giuridica di quell'Istituto. 
Richiamata l'attenzione sulla duplice natura 
del Consiglio di Stato �ad un tempo organo 
ausiliario del potere esecutivo da questo distinto 
ed indipendente cui spetta la consulenza giuridico-
amministrativa . . . e nel tempo stesso organo 
giurisdizionale �, e, affermato che questa funzione 
duplice � fondamentalmente unitaria, il R. dichiara 
che ormai la giurisdizione � non pu� pi� esaurirsi 
nell'or<line giudiziario, ma � ampliata e ancor 
pi� vivificata dalla funzione contenziosa del Consiglio 
di Stato� pur rimanendo integro il rispetto 
del principio della divisione dei poteri �che deve 
restare il cardine del moderno stato di diritto con 
gli adattamenti che la sua evoluzione impone �. 
Da questi . principi l'A. deduce che � solo alla 
istituenda Corte Costituzionale che pu� spettare 
la risoluzione dei conflitti di attribuzione tra 
Amministrazio.ae e giurisdizione � e quindi tra 
.Amministrazione e Consiglio di Stato in sede giurisdizionale 
�. 
Dopo aver messo in rilievo gli sforzi costanti 
che si sono fatti per garantire nei vari provvedimenti 
legislativi relativi alla giustizia amministrativa, 
~1 concetto dell'unit� organica e funzionale 
dell'intero Consiglio di Stato, concetto che ha 
trovato la sua pi� concreta espre8sione nella norma 
contenuta nell'art. 5 della legge del 21 dicembre 
1950, n. 1018, l'A. richiama l'altra innovazione 
legislativa portata dalla stessa legge sopracitata 
relativa alla procedura per la decisione sulle 
questioni incidentali di sospensione. 
A questo proposito, il R. rileva come appaia 
senza fondamento �il dubbio, ultimamente sol-

ef(etti intimidatori preventivi e come sanzione 
repressiva, un salutare mezzo per paralizzar!'l 
danni irrepar-1.bili che l'azione illegittima della 
Pubblica Amministrazione pu� anche in qualche 
caso arrecare al cittadino�. 

Continuando nella sua breve. rassJ:1gna, il presidente 
Rocco afferma poi che �di un altro dubbio 
egualmente inconsistente � ha fatto gi�.stizia l'a,dunanza 
generale del Consiglio di Stato, la. quale ha 
ormai costantemente ritenuto ammissibile il ri~ 
corso straordinario al capo dello Stato anche dopo 
la entrata in. vigore della nuova Costituzione. 

Secondo l'A. a favore di questa tesi vi sarebbero 
�serissime argomentazioni di diritto tra le quali, 
insuperabile, il riconoscimento espresso in norme pa:rticolari 
costituzionali (lo Statuto Siciliano) nonch� 
una non breve consuetudine interpretativa �. 

L'articolo conclude con un cenno ad un progetto 
di legge per la riforma del Consiglio di Stato 
gi� predisposto fin dal _luglio 1948 e per il quale 
1'A. si rammarica che non si sia ancora neppure 
sulla via d!;l})a pratica realizzazione. 

A buon diritto il presidente Rocco ha voluto ricordare, 
nell'allontanarsi dalla carica da lui tenu.ta 
con tanta competenza e con tanta passione in questi 
turbinosi anni della nostra vita nazionale, le pi� 
importanti tappe dell'attivit� che �l Consiglio i# 
Stato ha svolto sotto la sua alta guida. In questi 
momenti, in cui l'ordinamento giuridico del nostro 
Paese � soggetto a decisive trasformazioni, l'opera 
dell'alto Consesso, nella sua duplice funzione eonsultiva 
e giurisdizionale non pu� non avere notevoli 
ripercussioni nella elaborazione dei principi e delle 
norme ai quali i nuovi istituti debbono ispirarsi e 
i vecchi debbono adeguarsi. .. 

Pur nella forma volutamente obiettiva di un 

resoconto, � facile intendere nelle parole del�pr�si


dente Rocco la soddisfazione, ben giustificata, per 

l'opera da lui compiuta e non possiamo n�n pensare 

che decisioni e pareri emessi in questi 11,ltimi anni, 

e che hanno costitutuito vere pietre miliari nella 

elaborazione del diritto amministrativo, posf)ono giu


stamente portare il suo nome. 



-134


Tre questioni di particolare rilievo sono state 
toccate dal presidente Rocco nel suo discorso. 

La prima riguarda la devoluzione alla Cort� 
Costituzionale della risoluzione dei confiitti di attribuzione 
tra amministrazione e giurisdizione, tra i 
quali l' A. comprende anche quelli tra Amministrazione 
e Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. 
Su questo argomento abbiamo, pi� volte, espresso 
il nostro pensiero i questa Rassegna (�Rass. Mens. n 
1948, fa, 0 e. 7-8, 194.9, pagg..101-110) nella quale 
abbiamo anche pubblicato il fondamentale studio 
dello stesso presidente Rocco (� RJiss. Mens. n 1948, 
fase. 9, pag. 1 e segg.). 

Ormai p'U� dirsi che quelle 'correnti di opinione 
che tendevano a sottrarre alla Corte Costituzionale 
proprio quei confiitti di attribuzione sempre tradizionalmente 
ritenuti tali dalla dottrina e dalle leggi, 
non abbiano avuto, ed a ragione, fortu,na dato che 
nel testo legislativo che attualmente si trova all'esame 
del Senato, viene accolto, come � noto, il principio 
della devoluzione alla corte c ostituztonale della 
risoluzione dei confiitti di attribuzione tipici, anche, 
cio�, di quelli tra Amministrazione e giurisdizione. 
In tal modo, non sembra possa esservi pil� alcun 
dubbio che anche i confiitti tra Amministrazione 
attiva e Consiglio di Stato in s. g. debbano essere 
sottoposti in ultima istanza al giudizio della Corte 
Costituzionale, sia pur dopo essere passati attraverso 
il giudizio delle Sezioni Unite della Oort� 
Suprema di Cassazione. 

La seconda questione trattata dall'A. concerne 
l'istituto della sospensione giurisdizionale degli atti 
amministrativi. Com'� noto, � proprio su queste 
colonne (ccRass. � 1949, p. 1 e segg.; 1950, p. 168 
e segg.) che il problema della compatibilit� di questo 
istituto con la nuova Costituzione � stato affacciato 
e lungamente trattato. Il tema � stato anche 
da noi ripreso per rispondere alle obiezioni mosseci 
in un articolo dal Roherssen. In sostanza, non 
ci sembra che siano stati addotti argomenti decisivi 
contro la nostra tesi secondo cui di fronte alla nuova 
Costituzione della Repubblica, ta quale non solo 
ha rafforzato il principio della divisione dei poteri 
ma ha apprestato i mezzi giurisdizionali per garantirne 
l'osservanza (Corte Costituzionale) non possano 
pi� sussistere istituti ibridi in forza dei quali 
organi giurisdizionali, nell'esercizio di funzioni giuri� 
sdizionali, emettano provvedimenti istituzionalmente 
attribuiti all'Amministrazione attiva. Tanto pi� questo 
principio ci sembra indiscutibile di fronte al disposto 
dell'art. 28 della Costituzione il quale stabilisce la 
responsabilit� personale solo � dei funzionari della 
�rnministrazione attiva quando adottino provvedimenti 
lesivi dei diritti dei cittadini, e non dei 
magistrati n� amministrativi n� giudiziari; s� che 
il mantenimento del potere di sospensione, e, cio�, 
del potere di emanare atti propri dell'Amministrazione 
attiva, sarebbe disgiunto proprio da �quel freno 
della responsabilit� personale che la Costituzione 
ha voluto apprestare a maggior garanzia dei diritti 
dei singoli. Perch�, per quanta si cerchi sempre di 
giustificare la sospensione degli atti amministrativi 
come un mezzo per tutelare ulteriormente la sfera 
giuridica dei cittadini nei confronti della Pubblica 
Amministrazione (e questa � anche la giustificazione 
addotta dall'A. del presente articolo) non si 

pu� dimenticare che spessissimo la tutela della 
sfera giuridica del ricorrente si risolve nella violazione 
della sfera giuridica del controinteressato, il 
quale verrebbe ad esser privato contro questa 1Jiolazione, 
di qualsiasi garanzia. 

D'altra parte, riteniamo di non peccare di presunzione 
se pensiamo che in fondo contro la nostra 
tesi non possano partarsi argomenti giuridici, e 
che l'unico argomento pratico importante contenuto 
nell'articolo annotato sia la considerazione (che 
ci auguriamo costituisca anche una autorevole esortazione 
al Consiglio di Stato) che il mezzo della 
sospensione debba conservare il carattere della eccezionalitlt, 
ci� che negli ultimi tempi, c�me abbiamo 
documentato nei sopra citati articoli, non pu� dirsi 
sia davvero avvenuto. 

L'ultima questione sulla quale il presidente Rocco 

si � particolarmente intrattenuto � quella che con


cerne la compatibilit� del ricorso straordinario al 

capo dello Stato con la Costituzione. Anche in questo 

campo siamo stati proprio noi su queste colonne 

(� R"i,ssegna � 1948, fase. 10, p::ig. 1 e segg., e 1951 

pag. 39 e sege-.) a sollevare la questione. Vanamente, 

peraltro, abbiamo cercato sia negli scritti che si 

sono occupati, in senso contrario al nostro, dell'argo 

mento, sia nel presente articolo, quelle ragioni giuri


diche sulle quali il dissenso, in una materia cos� 

delicata dovrebbe saldamente poggiare. 

In sostanza, secondo l'A., sembra che il solo argo


mento ritenuto decisivo sia quello f andato sull' arti


colo 23 dello Statuto Siciliano, il quale prescrive che: 

� i ricorsi amministrativi, avanzati in linea straor


dinaria contro atti amministrativi regionali, saranno 

decisi dal Presidente regionale, sentite le Sezioni 

regionali del Consiglio di Stato �. 

Invero, a parte la ovvia cpnsiderazione che lo 

Statuto Siciliano � anteriore alla Costituzione e 

non potrebbe mai costituire argomento decisivo 

contro di essa, sta di fatto che per riconoscere impor


tanza, agli effetti del tema che ne occupa, alla norma 

sopra riportata, bisognerebbe dimostrare che il Pre


sidente della regione � equiparato, sia pur nell'am


bito regionale, al Capo dello Stato, ci� che nessuno 

si � mai sognato di sostenere. 

Ma quello che pi� conta, essa � resistita netta.
mente dalle norme e da tutto il sistema dello Statuto 

Siciliano il quale, all'articolo 21 definisce il Presi


dente �Capo del Governo regionale�, e gli attribuisce 

funzioni che sono proprie del Capo del Governo e 

mai del Capo dello Stato. 

� infine la stessa formula che abbiamo sopra 

riportata dell'art. 23, che interpretata alla luce delle . 

considerazioni sopra riferite, manifesta quale sia 

la natura del ricorso affidato alla decisione del Pre


sidente regionale: un ricorso gerarchico, sia pure 

di carattere stram�dinario, ma sempre avente natura 

amministrativa, cos� come amministrativa sar� la 

decisione che su di esso sar� emessa dal Presidente, 

con tutte le conseguenze che ne derivano anche in 

relazione all'applicazione dell'art. 113 della Costi


tuzione successivo nel telmpo, come ..abbiamo_ de!to, 

allo Statuto Siciliano. ��� 

� evidente che, di fronte a questi argomenti, non 

possidmo abbandonare una tesi che si risolve in una 

ulteriore difesa delle attribuzioni della Pubblica 

Amministrazione. N� potrebbe giustificare un tale 


-135 


abbandono la invocata consuetudine interpretativa 
contraria, che oltre ad essere vecchia di soli tre anni, 
appare assolutamente inidonea a contrastare norme 
e prinoipi di una �Costituzione di tipo rigido come la 
nostra. E tanto meno, infine, ci sembrano rilevanti, 
in una materia cos� delicata, le considerazioni di 
.un ignoto autore che, sull'� Amministrazione italiana
� (1951, pag. 619) ha creduto di addurre seri 
argomenti contro la tesi sostenuta in queste colonne, 
affermando che la tesi opposta Ǐ ovvia e di logica 
elementare �, solo perch� �la prassi ammette pacificamente 
la sopravvivenza del rioorso straordinario �. 

Nel oonf ermare il. nostro dissenso sui punti sopra 
ricordati, non possiamo, tuttavia, chiudere questa. 
nota senza esprimere nuovamente la nostra pi� 
profonda ammirazione per l'opera svolta dal 
presidente Rocco, associandoci all'augurio da .lui 
formulato che presto la Costituzione trovi, nelle 
leggi ordinarie, quei n.ecessari sviluppi che, specie 
net oampo della giustizia amministrativa, si rivelano 
sempre pi� urgenti. 

ELIO CASETTA : Sulle potest� di annullamento d'ufficio, 
di revoca e di rinunzia della Pubblica Amministrazione 
di fronte al giudicato amministrativo. 

( � Rassegna di diritto pubblico '', 1951, I, 

pag. 178). 

Premessa la definizione del potere di autotutela 
nei suoi due �aspetti, � di legittiinit� e di merito, 
secondo che la Pubblica .Amministrazione annulli 

o revochi atti amministrativi rispettivamente illegittimi 
o inopportuni, il Casetta; d�po avere accennato 
al problema dell'�fficacia invalidante dei fatti 
sopravvenuti ed al conseguente potere di revocare 
ex nunc gli atti divenuti inopportuni, che non rientrano 
nell'argomento, distingue quattro ipotesi, 
nelle quali la Pubblica .Amministrazione potrebbe 
subire limitazioni, nell'esercizio del suo potere di 
aufot'utela, per effetto di una decisione del giudice 
amministrativo. Due delle quattro ipotesi formulate 
non offrono alcun interesse: � evidente, infatti, 
che nessun limite alla potest� di annullamento 
sorge da una decisione di merito e viceversa. In 
questi casi efficacia del giudicato e potere di autotutela 
si muovono su piani diversi. 
Il problema si pone, iilvece, in tutto il suo interesse 
nelle altre due ipotesi: quando il giudicato 
si sia formato sulla legittimit� o sul merito dell'atto, 
che la Pubblica .Amministrazione intenda, rispettivamente, 
annullare o revocare. 

Trattandosi di determinare il limite, che il giudicato 
rappresenta per l'esercizio del potere di autotutela, 
l' A. ritiene necessario precisare l'estensione 
obbiettiva della cosa rfiudicata nel processo amministrativo. 


Il problema dei limiti obbiettivi del giudicato, 
secondo l'opinione dell' A., equivale a quello della 
identificazione delle azioni o dei ricorsi, cui l' A. 
ritiene poter pervenire trasferendo il concetto civilistico. 
della cosa giudicata nel campo della giustizia 
amministrativa, non essendo a ci� di ostacolo l'asserita 
diversit�, forse pi� funzionale ohe intrinseca, della 
giurisdizione amministrativa rispetto a quella civile. 

Questo concetto si esprime con i tre criteri tradizionali 
delle personae, del petitum e della causa 
petendi. Questa, definita dai processualisti pi� 
recenti come cc fatto costitutivo della situazione 
giuridica, che viene affermata e perseguita attraverso 
il processo n, coincide con �ogni singola fattispecie 
addotta dal ricorrente a fondamento della 
denunziata illegittimit� J> (motivo) e, pertanto, il 
giudicato amministrativo viene a formarsi in ordine 
ai motivi addotti dal ricorrente, che costituiscono 
altrettante causae petendi. 

� questo punto l'�. precisa, se ben intendiamo, . 
che per motivo deve intendersi quello in concreto 
e specificamente addotto dal ri�orrente e non l'intera 
categoria della fattispecie, cui appartiene quella 
dedotta. L'autorit� del giudicato, pertanto, si 
estenderebbe al motivo dedotto, non all'intera 
categoria. 

Deve, infine, escludersi eh~ il giudicato si formi 
sulla legittimit� dell'atto amministrativo, nella sua 
interezza, perch� �questo � il petitum e i limiti obbiettivi 
del giudicato sono dati da questo in unione 
alla causa petendi. 

Tutto ci� in applicazione del principio generale, 
espresso nell'art. 2909 e.e., ma valido per ogni 
giurisdizione. 

La Pubblica Amministrazione, parte del processo 
amministrativo, �, pertanto, tenuta al rispetto 
del giudicato. Essa non potr�, senza violare 
il giudicato, annullare l'atto amministrativo ricoc 
nosciuto legittimo, la cosa giudicata sostanziale consistendo 
nell'obbligatoriet� dell' acoertamento contenuto 
nella decisione irrevooabile. L'atto ammini-� 
strativo dichiarato legittimo non potr� pi� essere 
impugnato per i medesimi motivi respinti dal giudice, 
n� dal privato ricorrente (posto che si verifichi 
a suo favore una ripertura dei termini d'impugnativa), 
n� dalla Pubblica .Amministrazione. Nel 
divieto d'impugnativa resterebbe compreso il divieto 
d'esercizio dell'autotutela, che l'A. configura 
come giudizio sull'illegittimit� dell'atto. 

La riprova di questo assunto sarebbe data, secondo 
l'A., dalla verit� della reciproca, per cui 
l'.Amministrazione non potrebbe riprodurre, basandolo 
sugli stessi motivi, un atto amministrativo 
annullato dal giudice amministrativo. 

� questo Punto l'A. accenna all'annoso problema 
della individuazione dell'oggetto dPl processo amministrativo 
e afferma che l'atto amministrativo non 
� l'obietto del giudizio amministrativo (la res in 
iudicium deducta). 

L'impugnativa dell'atto amministrativo � il 

presupposto per l'esercizio della giurisdizione ammi


nistrativa, n� par del tutto esatto affermare che, 

mentre la giurisdizione amministrativa ha per 

oggetto atti amministrativi, la decisione e il ricorso 

abbiano per oggetto la validit� o l'invalidit� del 

provvedimento impugnato. 

Critica, poi, l' A. l'opinione di coloro, i quali riten


gono che l'oggetto del processo amministrativo sia 

un rapporto giuridico potestativo, avente per conte-


nuto l'annullamento di un provvedimento ammini


strativo invalido, e ammettono che la decisione di 

rigetto abbia ad oggetto l'inesistenza di tale rap


porto, non la legittimit� e la validit� dell'atto impu


gnato, oggetto soltanto di una questione pregiudi_ 



-136 

zfale. Cos� ragionando, i.rifatti, il giudicato si formerebbe 
sull'inesistenza del rapporto in capo al 
ricorrente e l'amministrazione sarebbe libera di 
annullare o revocare l'atto amministrativo. 

I principi esposti non trovano applicazione quando 
la decisione abbia dichiarato irricevibile o inammissibile 
il ricorso, senza esaminare il merito. In 
tale ipotesi la Pubblica .Amministrazione sar� 
libera1 tanto nei confronti del ricorrente, che degli 
eventuali controinteressati, di annullare o revocare 
l'atto amministrativo, senz'alcun vincolo per i 
motivi gi� dedotti, ma non esaminati. 

Critica poi l' A. la tesi sostenuta dal Lessona, 
ritenendo che l'Amministrazione non possa rinunciare 
a un diritto soggettivo pubblico, qual'� quello, 
che le deriva dal giudicato. 

In linea generale l'A. ritiene che il giudicato sia 
irrinunziabile e che le parti non possano, rinunciando 
a far valere la relativa exceptio, pretendere un nuovo 
accertamento rispetto alla questione decisa con 
sentenza irrevocabile. 

Passa poi l' A. a precisare il concetto di cosa giudicata 
formale, espressione d'immutabilit� della sentenza, 
e di cosa giudicata sostanziale, che. non � n� 
l'�fficacia della sentenza n� l'effetto della immutabilit� 
della sentenza, bens� una qualit� attribuita 
dalla legge al contenuto della sentenza, che fa stato 
ad ogni effetto. . 

Il giudicato sostanziale consiste nel carattere imperativo 
e definitivamente obbligatorio dell'accertamento 
vontenuto nella sentenza. (art. 2909 e.e.). Esso ha 
effetti processuali, per.ch� � l'accertamento� giurisdizionale 
della situazione, che si impone imperativamente 
alla parte. 

La cosa giUdicata si pone come fatto giuridico 
impeditivo di una decisione ulteriore da parte del 
giudice (art. 395, n. 5 c.p.c.). 

L'accertamento obbligatorio contenuto nella sentenza 
manifesta la sua obbligatoriet� soltanto nel 
processo, onde le parti potranno modificare la situazione 
giuridica stabilita dall'accertamento, rinunziando 
agli effetti sostanziali del giudicato, al diritto, 
cio�, di conseguire il bene attribuito dalla 
sentenza. La rinunzia agli effetti processuali del 
giudicato, consistenti nel vincolo per il secondo giudice 
di prendere a base il contenuto della prima 
sentenza, non � ammissibile perch� non pu� concepirsi 
diritto, suscettibile di dismissione abdicativa, 

alla qualit� dello accertamento. 

.Resta da esaminare se l'Amministrazione possa, 
come i privati, rinunziare agli effetti sostanziali del 
giudicato. Per effettuare tale rinunzia l' .Amministrazione 
dovrebbe, congruamente motivando, annullare 
l'atto impugnato, adducendone l'illegittimit� 
Conseguentemente �non sarebbe possibile 
rinunzia agli effetti sostanziali del giudicato quando 
non sussistesse una tale illegittimit�. Poich� la 
rinunzia � negozio giuridico autonomo, l' Amministrazione 
non potrebbe pervenirvi mediante l'atto 
di annullamento. N� la volont� di rinunzia potrebbe 
costituire motivo remoto dell'atto di annullamento, 
che in tal modo sarebbe viziato nella causa, non 
potendosi l'abbandono abdicativ-0 di un diritto 
conseguirsi at.traverso l'esercizio della potest� di 
autotutela. 

All'obbiezione, che potrebbe muoversi alla tesi 
suesposta, che la pubblica amministrazione, in 
sostanza, rinunzia alla immutabilit� dell'atto amministrativo 
anche quando annulla ex officio un atto 
amministrativo non impugnato e rispetto al quale 
siano decorsi i termini per l'impu nativa, l'A. 
replica negando all'atto amministrativo l'applicabilit� 
del concetto di cosa giudicata sostanziale. 

Anche a prescindere dal concetto di rinunzia, 

ritiene l'A. che debba negarsi alla Pubblica .Am


ministrazione la potest� di annullare un atto di


chiarato legittimo. 

Questa potest� si estrinseca in un accertamento, 
.che contrasterebbe con l'accertamento precedente 

(giurisdizionale) e verrebbe a violare anche gli 

effetti processuali del giudicato, la sua stessa essenza 

e il principio generale sancito nell'art. 2909 e.e. 

La riprova sarebbe data dalla impossibilit� di 

ottenere un accertamento giurisdizionale sull'atto, 

che, annullando il pr�vvedimento di annullamento, 

farebbe rivivere l'atto annullato. Il giudizio rela


tivo allo stesso si convertirebbe in nuovo giudizio 

di legittimit� dell'atto annullato. 

La rinunzia agli effetti sostanziali del giudicato 

da parte . dell' .Amministrazione si risolverebbe non 

solo in rinunzia agli effetti processuali del giudicato, 

ma in violazione del giudicato. 

L'annullamento dell'atto per motivi diversi potr� 

sempre esser posto in essere dall'amministrazione, 

perch� rispetto ad essi non si � formato il giu


dicato. 

Ci� vale anche quando nel precedente giudizio vi 

furono controinteressati. N� vale obbiettare che 

in questo caso l'Amministrazione troverebbe un 

limite nella perentoriet� del termine per ricorrere, 

in quanto al processo amministrativo non pu� appli


carsi il pr'incipio d,el tantuim indicatum quantum 

disputari debebat. La potest� di autotutela non trova 

limiti nel decorso del termine per l'impugnativa 

dell'atto, n� questo limite sorge quando l'atto sia 

stato impugnato per motivi diversi. 

Gli stessi principi valgono per la decisione, che 

abbia r�spinto il ricorso pronunziando in merito. 

Anche questo accertamento ha la forza di cosa 

giudicata, non potendosi negare natura giurisdi


zionale alla decisione di merito, sia che si limiti 

ad annullare l'atto impugnato, sia che lo riformi o 

lo sostituisca. � 

In queste ultim� ipotesi; per�, il giudice ammini


strativo determina quello, che deve essere l'atto 

amministrativo e l'Amministrazione, pertanto, non 

potr� revocarlo, diversamente valutando il pubblico 

interesse. Al parametro della causa petendi si sosti


tuisce la fattispecie, di cui il giudice ha tenuto 

conto nell'emanazione del provvedimento di riforma 

o di sostituzione. 
Il mutamento della fattispecie importer� l'eliminazione 
del limite, derivante dal giudicato, ed il 
risorger� del potere�. di revoca. 

.. 

Per una esatta visione del problema ritengo appnr-_ 

tuno richiamare, sia pur brevemente, il pregevole 

studio del Lessona (in �Foro It. � 1949, IH, col. 172). 

La decisione, dal Lessona annotata, (Commissione 

per le controv�rsie in materia �di requisizione �di al


loggi di Firenze 15 ottobre 1948: Algieri-Bellaudi, 


-137 


�~vi) merita di essere segnalata per il dispositivo e per 
l'assoluta mancanza di motivazione,� ad essa non 
potendo equivalere la considerazione che: � diversamente 
opinando la garanzia giurisdizionale si ridurrebbe 
ad un inutile dispendio di tempo e di� denaro �e 
l'Amministrazione vedrebbe riconoscersi la facolt� 
di ribellarsi impunemente alle pronuncie degli 
organi di giurisdizione �. 

L'addurre inconvenienti non vale motivare e il 
far ricorso al vieto luogo comune della ribellione del1'
Amministrazione �, oltre tutto, erroneo. La ribellione 
presuppone un soggetto od organo dipendente da 
quello, al quale si ribella, ed � pacifioo che nessun 
rapporto di subordinazione sussista fra il giudice e 
l'amministrazione, entrambi rappresentando due poteri 
autonomi e indipendenti dello Stato. D'altronde, 
il concetto �ai ribellione � extra-giuridico. Dal giudi
�dicato, come dalla legge o dal contratto, sorge l'obbligo 

�della Pubblica Amministrazione ad un certo comportamento 
verso l'altro soggetto, che fu parte� nel giudizio, 
non vemo il giudice. Quello e non questo pu� 
pretenderne l'osservanza. La violazione del giudicato, 
come la violazione della legge o del contratto, � un fatto 
giuridico, che costituisce inadempimento. Da questo 
fatto il fl:iritto tra le sue conseguenze e sono appunto 
queste, che debbono accertarsi. 

Il negare alla� Pubblica Amministrazione il potere 
di annullare l'atto amministrativo anche per un motivo 
diverso da quello, dedotto in sede d'impugnativa 
�e respinto dal giudice amministrativo, non sembra 
poi conforme ai principi. 

Il Lessona, al principio del suo studio, riassume 
efficacemente le varie opinioni della dottrina sull'argomento, 
che ritengo opportuno riportare. 

Secondo lo Zanobini �il rigetto del ricorso 'restituisce 
alla Pubblica Amministrazione piena libert�, con 
l'itnico limite di non poter basare l'annullamento su 
uno dei motivi riconosciuti infondati nella decisione. 
Analoga opinione hanno espressa il Guicciardi e il 
Ranelletti, il quale precisa che tale potere sussiste 
anche quando vi siano stati altri interessati, cui il 
giudicato si estende. 

Il Cammeo � della stessa opinione e fonda il suo 
convincimento sulla circostanza che il giudicato si 
forma sui motivi dedotti ed esaminati. Il Salemi, 
infine, estende il principio fino a ritenere ammissibile 
un nuovo ricorso per motivi diversi, se proposto nei 
termini (ipotesi in pratica di'ff�cile a realizzarsi, ma 
non da escludersi). 

Premessa questa panoramica riproduzione delle 
varie opinioni, il Lessona distingue due ipotesi, 
secondo che si sia trattato di rapporto bilatero (ricorrente 
e amministrazione) o trilatero (ricorrente, amministrazione, 
controinteressato). Premette, per�, che 
il giudicato si estende alla legittimit� dell'atto, nel 
�suo insieme considerato, in relazione, cio�, ai motivi 
dedotti e deducibili. Ci� in considerazione della perentoriet�. 
dei termini. Il giudicato non vieta di rinunziare 
ai suoi effetti sostanziali, a valersi, cio�, del bene 
attribuito dalla decisione. � 

N � sussiste alcun motivo perch� possa vietarsi alla 
Amministrazione di rinunziare agli effetti sostanziali 
del giudicato. Tale rinunzia, per�, � ammissibile 
solo nell'ipotesi del rapporto bilatero. Nell'altra, 
la rinuncia dell'Amministrazione involge il diritto 
dei controinteressati e, pertanto, non � ammissibile. 

Poich� il giudicato si forma sulla legittimit� dell'atto, 
in relazione ai motivi dedotti e deducibili, l'annullamento, 
che implichi rinunzia agli effetti del giudicato, 
non � in tale seconda ipotesi ammissibile .neppure 
per motivi diversi da quelli ded�tti. � � 

Il problema � senza ditbbio del massimo interesse 
e credo che esso meriti un ulteri01�e studio, non sembrandomi 
del tutto soddisfacenti le soluzioni datene 
dai citati autori. In questa breve recensione mi limiter� 
a segnalare i punti, che, a mio avviso, meritano 
l'attenzione della dottrina. Il problema va inquadrato 
nel pi� ampio concetto della cosa giudicata nel processo 
amministrativo, non potendo darsi soluzioni 
diverse alle ipotesi di rigetto e di accoglimento del 
ricorso. Presuppone, naturalmente, l'errore del giudice, 
essendo del tutto privo d'importanza pratica il 
problema, per quanto attiene all'annullamento per gli 
stessi motivi dedotti e respinti, se si ritiene esatta la 
decisione. In tale ipotesi l'atto di annullamento sarebbe 
di per s� illegittimo per avere annullato un atto 
legittimo, erroneamente ritenuto viziato. 

N� alla soluzione del problema pu� pervenirsi, 
come fa il Casetta, trascurando del tutto l'efficacia 
soggettiva del giudicato, la cui import�nza � stata, 
invece, esattamente posta in rilievo dal Lessona con 
l� menzionata bipartizione. 

Qualche riserva credo di dover esprimere sul 
concetto, esposto dal Casetta,� della identit� della 
cosa giudicata nel processo civile ed in quello amministrativo. 
Nonostante che la concezione soggettivistica 
del processo amministrativo sia da considerare 
nettamente prevalente in dottrina ed avvalorata 
da recenti espressioni legislatiVe (Cost. artt; 103 
e 113), il processo amministrativo resta ancora molto 
diverso da quello civile ed anche dal processo penale, 
nel quale perfino � pi� facile identificare il tradizionale 
rapporto giuridico, costituito dalla pretesa 
punitiva e dall'obbligo di rispondere del fatto illecito 
penale. 

Nel processo amministrativo non credo . possa 
dirsi, con propriet� di linguaggio, che oggetto sia 
un interesse legittimo o un rapporto giuridico, 
inteso nel senso tradizionale. L'interesse legittimo, 
in quanto leso dall'atto amministrativo, costituisce 
soltanto il presupposto per l'ammissibilit� del ricorso 
e per la giurisdizione (vedasi e( Rass. Avv. 
Stato � 1951, pag. 48 e segg.). 

Accertatane l'esistenza, il giudizio proseg'ue per 

l'accertamento della denunziata illegittimit� e la 

decisione ha ad oggetto l'illegittimit� dell'atto e non 

l'esistenza o la lesione dell'interesse legittimo(� Rass. 

Avv. Stato�, loc. cit.). Il rapporto processuale 

non ha per contenuto l'esistenza di un interesse legit


timo del ricorrente al buon uso di un potere da parte 

della pubblica amministrazione, ma questo, obbiet


tivamente considerato. 

I concetti civilistici, pertanto, possono estendersi 

al processo amministrativo solo relativament&� ed in 

quanto non contraddicano ai principi generali 

propri di quest'ultimo. 

Premesso ci�,_ ritengo di poter concordare col Ca


setta sulla identit� di concetto, nei due processi, 

della cosa giudicata formale e sul limite obbiettivo 

del giudicato sostanziale ai motivi dedotti ed ,esami



...:.. 138 


nati, in ci� confortato dall'autorevole opinione del 
Oammeo, a cui mi pare che in sostanza aderiscano 
lo Zanobini, il Ranelletti e il Guicciardi. Il ragionanamento 
del Lessona non mi� sembra convincente e la 
perentoriet� del termine d'impugnativa mi sembra 
abbia tutt'altro scopo. Il ricorrente, il quale non 
deduca tutti i motivi deducibili, decade dal diritto 
di dedurre motivi nuovi, ma ci� non vuol dire che 
per tutti i motivi non dedotti l'atto acquisti l'autorit� 
di cosa giudicata (formale). Ohe ci� sia vero � 
dimostrato da varie considerazioni: altri interessati, 
i quali abbiano successivamente conoscenza del 
provvedimento, possono dedurre motivi diversi da 
quelli dedotti dal primo ricorrente; i controinteressati, 
mediante ricorso incidentale, possono estendere 
l'oggetto del giudizio, deducendo motivi propri; 
lo stesso ricorrente pu� dedurre nuovi motivi d'invalidit� 
dell'atto amministrativo, quando ne sia venuto 
a conoscenza tardivamente; la Pubblica Amministrazione 
pu�, in pendenza di giudizio, annullare 
l'atto per motivi diversi da quelli dedotti; il Consiglio 
di Stato pu� riammettere in termini il ricorrente, 
ancorch� questi siano decorsi; infine, quando l'atto 
abbia leso diritti soggettivi, la sua impugnativa, di 
competenza del giudice ordinario o del giudice amministrativo 
in sede esclusiva, non � soggetta a 
termini, n� l'impugnativa proposta impedisce la 
proposizione di motivi nuovi, e, conseguentemente, 
l'estensione dell'oggetto del giudizio (con riferimento 
a questa ipotesi, appunto, si definiva � non da escludere
� quella fatta dal Salemi). 

Si pu� anche aderire al concetto, gi� esposto 
dubitativamente dal Lessona ed espressamente coniermato 
dal Oasetta, delle distinte causae petendi 
(motivi). Il ricorso, pur avendo ad oggettO l'unico 
provvedimento impugnato, pu� scindersi idealmente 
in tanti ricorsi quanti sono i motivi, ciascuno dei 
quali ha vita autonoma e distinta sorte. Cos� opinando, 
� da dubitare che resti identico il petitum. 
� vero che il ricorrente chiede l'annullamento dello 
atto impugnato, ma questa espressione potrebbe 
essere intesa in un senso pi� particolare ed in relazione 
a ciascun vizio denunziato. L'annullamento 
� l'�ffetto ultimo, cui tende il ricorrente, ma immediatamente 
egli chiede che sia accertata la sussistenza 
del vizio d'incompetenza, d'eccesso di potere o di 
violazione di una norma di legge. 

Non pare, pertanto, possa dubitarsi che il giudicato 
si limiti ai motivi dedotti ed esaminati e che 
l'atto sia dichiarato affetto o esente dai vizi denunziati 
ed esaminati. Il giudicato, per�, si estende, 
secondo il mio avviso e per lo meno per quanto riguarda 
i due vizi dell'incompetenza e dell'eccesso 
di potere, all'intera categoria, cui appartiene la 
fattispecie dedotta. Respinto il motivo d'incompetenza, 
l'atto dovr� considerarsi come ritenuto emesso 
dall'organo competente e, pertanto, esente da questo 
vizio. Lo stesso dicasi quando la decisione abbia 
respinto la censura di eccesso di potere, comunque 
formulata, dichiarando l'atto esente da vizi della 
causa. Questa conseguenza mi sembra inevitabile 
quando voglia riconoscersi -come a mio avviso 
si deve -un contenuto positivo alla decisione di rigetto. 

Premessa la determinazione dei limiti obiettivi 

del giudicato amministrativo, occorre indagare le 

conseguenze rispetto al problema propostoci. 

Dice il Oasetta che la Pubblica Amministrazione{ 

parte nel processo amministrativo, � tenuta a 

rispetto del giudicato e non potr�, senza violarlo, 

annullare l'atto per il motivo ritenuto insussistente 

dal giudice. 

A questa assiomatica conseguenza non ritengo 

di poter aderire e credo indispensabile ulteriormente 

precisare l'e'f!Wacia sostanziale del giudicato (ar


ticolo 2909 c. c.) in senso obbiettivo e subiettivo. 

L'effetto principale, se non esclusivo, della cosa 

giudicata sostanziale � di natura processuale. Essa, 

come esattamente osserva il Oasetta, si pone come 

fatto impeditivo di una ulteriore pronunzia da parte 

del giudice, intesa, per�, come fatto, dal quale sorge 

il diritto-dovere delle parti di opporsi alla ulteriore 

pronunzia. Dico diritto-dovere perch� il rapporto 

� reciproco e ciascuna parte ha verso l'altra sia il 

diritto di non essere tratta ulteriormente a giudizio 

per lo stesso oggetto, sia il dovere di non trarre a 

giudizio.� 

Ciascuna parte, reciprocamente, ha verso l'altra 

il diritto di impedire un'ulteriore pronuncia del 

giudice relativamente all'oggetto del giudicato. 

Si � cos� precisato, perch� non credo che il giudice 

abbia esaurito la sua giurisdizione e sia, in conse


guenza, privato e contemporaneamente liberato dal 

potere-dovere di emettere la pronuncia, ulteriormente 

chiesta dalle parti. 

In: sostanza, a mio avviso, il giudice non pu� 
rilevare d'ufficio l'eccezione del giudicato e le parti 
possono rinunziare a far valere gli effetti processuali 
del giudicato col limite, che vedremo. Sul 
. primo punto la giurisprudenza � consolidata in 
questi sensi, con la sola eccezione del giudicato formatosi 
nello stesso processo; la dottrina � prevalentemente 
in senso contrario (LIEBMAN: Sulla rilevabilit� 
di ufficio dell' exceptio iudicati, in � Riv. 
Trim. dir. e proc. civ.� 1947, p. 359), ma le argo


mentazioni addotte non convincono. 

Le legge in proposito tace, pur essendo ben nota 

al legislatore la categoria delle eccezioni rilevabili 

d'ufficio. L'art. ~95, n. 5, invocato dal Liebman, mi 

mi sembra controproducente. Se fosse vero che il 

giudice con la prima decisione esaur� la giurisdi


zione, contro la seconda dovrebbe essere dato il rimedio 

relativo al difetto di giurisdizione e non il ricorso 

per violazione di legge o la domanda in revocazione, 

secondo che l'eccezione sia stata sollevata o meno dalle 

parti. In secondo luogo, e questo mi sembra l'argo


mento pi� grave, il rimedio della revocazione � con


cesso soltanto quando la seconda decisione sia contraria 

alla prima, divenuta giudicato. Ci� significa che la 

seconda pronunzia, se � non-contraria (che � meno di 

conforme) al giudicato, � valida e inattaccabile. N� si 

dica che il rimedio non � concesso nel caso di sentenza 

non-contraria, per mancanza d'interesse, perch� la 

parte potrebbe avere interesse ad ottenere un'ulteriore 

pronuncia, ancorch� non-co~traria. Si pensi, �ad 

es., alla prescrizione dell'actio indicati, derivante 

dalla prima decisione. Non m�edo che �la� prescriziOne 

dell'actio importi prescrizione anche dell'ex�eptio,


ma se cos� fosse ci sarebbe un ulteriore argomento a 

favore della relativit� dell'eccezione: la prescrittibilit�. 

Sulla rinunziabilit� degli effetti processuali del 

giudicato, pur non nascondendomi la difficolt� del 

tema e la necessit� di ben pi� approfondito studio, non 


~139 


ritengo. convincenti e risolutive le argomentazioni del 
Casetta. Le parti, in sostanza, t1-0n rinunziano ad 
una qualit�. dell'accertamento, bens� alla facolt� 
di far valere il diritto, che per essi sorge dal giudicato. 

. Ma questo effptto del giudicato pu� farsi valere 
soltanto nel processo e a questo non pn� considerarsi 
equipollente l'esercizio del potere di auto-tutela della 
Pubblica Amministrazione. 

Non credo che il giudicato amministrativo quando 
la decisione sia, come normalmente �, di natura dichiarativa, 
abbia effetti sostanziali. La legittimit� ed 
esecutoriet� dell'atto amministrativo sono attributi, 
che a questo conferisce la legge, non la decisione di 
rigetto del ricorso. La decisione non attribuisce alla 
pubblica amministrazione un bene e, tanto meno, le 
impone un obbligo, che sarebbe assai strano configurare 
a carico del vincitore. 

Dalla decisio'lpe, che resping� la pretesa del ricorrente, 
dichiaran,go l'atto immune dai vizi denunziati, 
non sorge alcun diritto soggettivo sostanziale per la 
Pubblica Amministrazione, n� per il ricorrente. 

Gli effetti sostanziali derivano dalla situazione 

accertata e preesistente, non dall'accertamento e, per


tanto, mi sembra fuor di luogo parlare di rinunzia. 

Questa conseguenza � innegabile nel caso di rapporto 
bilatero e ci� per effetto dei limiti soggettivi del 
giudicato, che non si estende ai terzi, i quali non furono 
parti nel. processo amministrativo. 

Per essi il giudicato � res inter alios e nei loro 
confronti non ha alcun effetto, n� sostanziale n� processuale. 
� 

La Pubblica Amministrazione potr� sempre annullare 
l'atto impugnato, senza che altri possa dolersene, 
perch� il giudicato non crea, per la Pubblica 
Amministrazione, alcun obbligo sostanziale e perch�, 
comunque gli effetti del giudicato non possono essere 
invocati da coloro, che non furono parti nel processo 
e ai quali il giudicato � estraneo. 

Solo il ricorrente, qualora avesse foteresse, potrebbe 

ottenere l'annullamento dell'atto di autotutela, invo


cando gli effetti processuali del giudicato. 

Ad analog~i risultati si perviene nell'ipotesi di 
processo trilatero o plurilatero, con la pratica diff erenza 
che in questi casi sussiste certamente l'interesse� 
dei controinteressati all'annullamento dell'atto di 
autotutela. Questo non �, neppure in questo caso, 
sostanzialmente illegittimo, ma � annullabile, su 
ricorso dei controinteressati, in conseguenza degli 
effetti processuali del giudicato. Poich� la legittimit� 
dell'atto annullato fu accertata, nei loro confronti e 
con i limiti dianzi esposti, dalla precedente decisione, 
i controinteressati potranno farne valere gli effetti 
processuali nel nuovo giudizio, avente ad oggetto 
l'atto di annullamento. Questo risulter� illegittimo 
per avere annullato un provvedimento, la cui legitti


mit�, per effetto del giudicato, � rimasta accertata 
irrevocabilente fra le parti. La prima decisione, facendo 
stato fra le, stesse parti nel secondo processo, 
importer�, come conseguenza indiretta, l'illegittimit� 
dell'atto di annullamento . 

� Per l'effetto processuale del giudicato, che pu�, ove 
ci� sia richiesto dalle parti, impedire l'ulteriore pronuncia 
sulla legittimit� dell'atto annullato, i controinteressati 
otterranno l'annullamento dell'atto di autotutela; 
non perch� questo sia viziato da eccesso di 
potere. 
Questo non sussiste mai in re ipsa, n� l'eventuale 

rinunzia ai pretesi effetti sostanziali del giudicato 

potrebbe configurarsi diversamente dalla implicita 

rinunzia, insita in ogni atto di annullamento, all'ac


quisita inattaccabilit� dell'atto amministrativo per 

omessa impugnativa nei termini. 

A risultati diversi dovrebbe pervenirsi quando il 

giudice amministrativo, nell'esercizio della giurisdi


zione di merito, avesse riformato l'atto impugnato, 

sostituendolo con la decisione, che in tal caso avrebbe 

natura costitutiva, e, perci�, eff'etti sostanziali. Come 

l'autorit� inferiore non pu� revocare l'atto riformato 

dall'autorit� superiore in seguito a ricorso gerarchico, 

cos� la Pubblica Amministrazione non potre9be revo


care l'atto riformato dalla decisione. Ci� perch�, 

nell'un caso e nell'altro, l'atto originario � stato sosti


tuito da altro provvedimento, sul quale l'autorit�, che 

emise il primo, non pu� esercitare il potere di auto


tutela. 

Ci�, per�, ove si riconosca al giudice di merito il 

potere di sostituire, con la decisione, l'atto amministra


tivo impugnato e riconosciuto inopportuno e sempre 

che, in concreto, un tale potere sia stato esercitato. 
Pur senza approfondire il problema, che porterebbe 
molto al di la dei limiti prefissi ritengo meritevole 
di profonda attenzione l'opinione espressa in propo.
sito dal Casetta, secondo il quale l'espressione �decide 

pronunziando anche in merito n, usata. ddlla legge, 

significhi la possibilit� di accertare non solo la legitti


mit�, ma anche la opportunit� dell'atto, limitandosi 

per� sempre la pronunzia all'annullamento o alla 

revoca dello stesso, alla eliminazione, cio�, del prov


vedimento impugnato senza che sia emessa alcuna 

pronuncia di natura positiva.

� vero che la dottrina � concorde nel senso contrario, 

ma � altres� incontestabile la costante e presso che 

uniforme limitazione dei giudici amministrativi alla 

pronuncia di annullamento o di revoca, il che potrebbe 

costituire, se non una consuetudine interpretativa, 

1tn argomento a favore della tesi prospettata. 

A risultati conformi si perverrebbe considerando 
oggetto del processo un rapporto giuridico potestativo, 
avente per contenuto l'annullamento di un provvedimento 
invalido. 

G. GUGLIELMI 

RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA 


AMMINISTRAZIONE PUB~LICA -Costituzione in 
mora -Omissione di stanziamento di bilancio. (Corte 

d: Cass., Sez. III, Sent. n. 1410-51 -Pres. : Aca.mpora, 
Est.: LombJ.rdo, P. M.: Criscuoli -.Pandarese contro 
Amministrttz~one Provinciale di Napoli). 
Anche nel caso di pagamento da effettuarsi 
dalla Pubblica .Amministrazione � applicabile il 
primo comma dell'art. 1219 cod. civ. per cui il 
debitore � costituito in mora mediante intimazione 
o richiesta fatta per iscritto. Una diversa 

�pi� rigorosa disciplina, agli effetti della costituzione 
in mora, non pu� desumersi n� dalle norme 
contenute nel Regolamento per la contabilit� generale 
dello Stato (art. 312 o 313) n� da quelle contenute 
nel Regolamento per, l'esecuzione della 
legge comunale e provinciale (art. 205) per le quali 
il pagamento da parte dello Stato, delle Provincie 
e dei Comuni deve avvenire a mezzo di mandato 
e tramite iltesoriere il quale provvede a dare avviso 
al creditore dell'emissione del mandato stesso. 
Dette norme riguardanti le modalit� di pagamento 
non esonerano .il creditore dal costituire in mora 
l'amministrazione, ma portano invece ad escludere 
l'applicabilit� del n. 3 del citato art. 1219 
(per il quale la costituzione in mora non � ammessa 
se, scaduto il termine, la prestazione deve essere 
eseguita al domicilio del creditore) dovendo in 
ogni caso il pagamento avvenire presso il tesoriere 
della 'debitrice amministrazione. 

f;a massima sopra riportata costituisce la parte 
sostanziale della motivazione della sentenza della 
Corte Suprema sul punto ,e8aminato. 

Ci sembra chiaro che l'insegnamento contenuto 
in questa sentenza debba es~ere integrato dal principio 
enunciato nella sentenza n. 1014 del 1951 su 
ricorso Ministero difesa-esercito contro Societ� Acciaierie 
e Ferriere Pugliesi (in questa Rassegna, 
1951, p. 121), nella quale si pre�isano le condizioni 
alle quali � subordinata l'esistenza d'una posizione 
di mora dell'Amministrazione statale. In altri termini, 
l'intimazione o richiesta scritta � necessaria 
per la costituzione in mora dell'Amministrazione, 
ma non � sufficiente. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA-Occu� 
pazione temporanea -Stato di consistenza -Non ne� 
cessit� � Mone�a naziona'e Indennit� di espropria� 
zione -De'>ito di valuta. (l'"ortA d' Cas<:., Sez. II, 
S"nt. n. 1432-'ll -Pr�~s.: Brunelli, Est.: Nisii, P. M.: 
Macaluso -Bianchetti contro FF. SS). 

Nelle occuvazioni temvoranee di beni immobili, 
eseguite in conformit� dell'art. 71 della legge 
d9l 1833 ~ull'e-,vropriazione, � prescritta la previa 
compilazione dello stato di consistenza, mentre 

compilazione di analogo stato non occorre per la 
cessazione dell'occupazione stessa. Sono pertanto 
inapplicabili alla cessazione dell'occupazione temporanea 
sia l'art. 60 della legge di espropriazione, 
riguardante la necessit� di una perizia (e non della 
compilazione di uno stato di consistenza) nel caso 
di retrocessione dell'immobile espropriato sia l'articolo 
69 della norma annessa al Regio decreto 18 
agosto 1940, n.1741, che prevede la compilazione 
di un verbale nel caso di cessazione della requisizione 
in uso di� un immobile, caso diverso da 
quello dell'occupazione temporanea regolata dalla 
legge di espropriazione. 

Pertanto, per la cessazione di un'occupazione 
temporanea e dei relativi rapporti di diritto amministrativo 
tra Pubblica .Amministrazione e privato, 
� sufficiente l'emanazione di decreto prefettizio 
che dichiara la cessazione, debitamente notificato 
al proprietario dell'immobile con l'avvertenza 
che le chiavi di esso sono a sua disposizione, 
senza alcuna necessit� di compilazione di verbale 
di riconsegna n� di stato di consistenza. 

La vera e propria indennit� dovuta a seguito 
di espropriazione di beni per pubblica utilit� e 
quella per occupazione temporanea vanno determinate 
la prima, in base al valore dei beni al momento 
dell'espropriazione, e la seconda in base 
alla utilit� economica che i beni sono capaci di 
arrecare al proprietario nel tempo dell'occupazione. 
Trattasi di rapporti analoghi, rispettivamente 
a quelli di compravendita e di locazione, 
con la differenza, fra le altre che il prezzo della 
compravendita e il corrispettivo della locazione 
sono pattuiti dai contraenti, mentre l'indennit� 
� determinata s.econdo criteri stabiliti dalla legge, 
in mancanza di accordo fra gli interessati. Si hanno 
pertanto, fin dall'origine, obbligazioni pecuniarie 
vere e proprie, cui � applicabile il principio nominalistico, 
secondo il quale sono dovute sempre le 
somme determinate e, se del caso, gli interessi 
legali. 

Le massime sopra riportate rappresentano la 
parte sostanziale della sentenza della Corte Suprema 
che, in accoglimento delle tesi dell'Avvocatura ha 
rigettato il ricorso avversario. 

Non sembra che possa dubitarsi della esattezza 
dei principi enunciati dalla �Corte Suprema, sia 
per quanto riguarda la non necessit�-della compilazione 
di verbali di consistenza per il caso di �<Jess-a-zione 
dell'occupazione temporanea, situazione giuridica 
questa, ben di~tinta da quella dell'inizio della 

� occupazione stessa (per il quale invece il verbale di 
consistenza f. obbligatorio) sia per quanto rigua.rda 
la. ancora una_volta confermata natura di obbligazione 



rn-w 

=wr :z 

-141 


pecunaria., fin dall'origine, attribuita alla indennit� 
di occupazione temporanea considerata simile alla 
indennit� di espropriazi�ne. 

Purtroppo -questo principio � spesso ripudiato 
dalle �Jorti di merito, per malintese ragioni di equit�, 
le� quali sono state pi� volte ampiamente confutate 
su questa Rassegna. 

. Pu� invece dirsi che la Corte Suprema non ha 
pi� deviato dal principio affermato per la prima 
volta con la sentenza n. 2304 del 1949 a sezioni unite, 
riportata in questa Rassegna, 19~9, pag. 216. 

�IMPOSTA DI REGISTRO -Procedimento d'ingiunzione 
-Trattamento fiscale ai fini della tassa di 
registro -Conto corrente bancario e contratto di 
conto corrente Differenza Atti soggetti a registrazione 
soltanto .in caso di uso -Libretti di conto 
corrente -Nozione -Giudizio di stima. -Spese Amministrazione 
appellante. (Corte di Cass., ~ez. I, 
Sent. n. 1126-51 -Pres. : Pdlegrini, Est. : Liguori, 

P. M.: Macaluso -Finanze Stato contro Correale). 
I. Le norme attinenti alla sottoposizi�ne del 
decreto ingiuntivo alla tassa di registro contenute 
nell'art. 28 del Regio decreto 7 agosto 1936, n. 1531, 
debbono ritenersi tuttora in vigore, non essen.do 
state abrogate dal codice di procedura civile vigente. 
II. Il contratto di conto corrente si concreta 
a norma dell'art. 1823 O�d. Civ. in un rapporto 
commutativo a titolo oneroso, in forza del quale 
due persone tra le quali intercorrono rapporti 
continuativi di affari si obbligano di annotare 
in un conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, 
considerandoli inesigibili e indisponibili 
fi.no alla chiusura del conto. 
Dal contratto tipico di conto corrente debbono 
essere distinti i �conti correnti bancari �, denominazione 
qu13sta c]le non sta punto ad indicare 
un determinato rapporto ma comprende le operazioni 
bancarie pi� svariate (sovvenzioni, aperture 
di credito, anticipazioni, depositi ecc.) regolate 
in conto corrente; ciascuna di tali operazioni si 
ricollega ad un diverso distinto rapporto, definito 
nella sua essenza, conserva inalterate le sue peculiari 
caratteristiche, pur avendo in comune col 
conto corrente il solo speciale metodo di registrazione. 


Pertanto nel caso di operazione bancaria regolata 
in conto corrente � compito del giudice di 
merito accertare nei singoli casi concreti, avuto 
soprattutto riguardo ai documenti e alle registrazioni, 
l'effettivo rapporto intercorso tra le parti. 

III. L'art. 27 della tabella .Alleg. D) alla legge 
di registro, nel comprendere i �libretti di conto 
corrente>> tra gli atti esenti dalla registrazione 
in termine fisso, e da registrarsi solo in caso di 
uso mediante la semplice applicazione della tassa 
di bollo, intende1riforirsi ai soli libretti di deposito 
fiduciari di denaro in conto corrente, e non 
ad altri documenti (nella specie estratto di conto 
corrente, posto a base di decreto ingiuntivo) riferibili 
a qualsiasi operazione bancaria regolata in 
conto corrente, astmttamente considerata. 
IV. .A norma dell'art. 148 della legge di regi~ 
stro, ove non sia stata preventivamente proposta 
la domanda in via amministrativa, la Finanza 
non pu� mai, in caso di soccombenza, essere. con7 
dannata alle spese del giudizio, senza ch� possa 
farsi luogo a distinzione tra i diversi gradi del 
giudizio stesso, e senza che all'applicabilit� di 
detta norma per le spese di appello osti la circostanza 
dell'essere stato il gravame proposto dalla 
Finanza. 
Con questa perspicua sentenza la Corte Suprema, 
in completo accoglimento delle tesi dell'Avvocatura, 
ha cassato la contraria sentenza della Corte d'Appello 
di C�tta,nzaro. 

Le m�ssime ohe abbiamo sopra diffusamente riportato 
costituiscono la parte sostanziale della motivazione 
della sentenza della Cassazione. Sar� opportuno 
solo preoi'!are qui la specie di fatto al fine di 
renderle perfettamente comprensibili. I. fatti sono i 
seguenti: 

Nel gennaio 1944 il Presidente del 1'ribunale di 
Reggio Calabria emi'!e decreti di ingiunzione a carico 
di tali Correale� perch� essi pagassero alla B�nca 
Nazionale del Lavoro ed al Banco di Napoli, determinate 
somme per saldi passivi di conti correnti. I 
decreti ingiuntivi furono sottoposti � registrazione 
a tassa fissa, m9ntre n'.m si ri'!cosse l'imposta proporzionale 
prevista dall'art. 28 del R. D. 7 agosto 
1936, n. 1531 e n. 72 della legge di registro. Contro 
l'ingiunzione notificata dalla Finanza per il 
pagamento di tale imposta suppletiva fu fatta opposizione 
dai Correale e sia il Tribunale che la Corte 
d'Appello accolsero tale opposizione, ritenendo che 
a favore degli opponenti militasse un doppio ordine 
di ragioni: il primo ordine di ragioni deriva-va dalla 
natnra del decreto in,giunti'Vo alla cui registrazione 
non potrebbe applhirsi l'art. 72 della legge di registro; 
il secondo ordine di ragioni atteneva alla natura, 
del credito per il quale il decreto ingiuntivo era stato 
emesso, credito che si fon-i.ava su un rapporto di 
conto corrente, per il quale, ' secondo i giudici di 
merito, � prevista una tassazione particolare dall'art. 
27 della tabella Alleg. D) della legge di registro. 

La Corte Suprema, dopo aver fatto giustizia della 
infondata tesi, secondo la quale l'art. 28 del D. L. 
7 agosto 1936, n. 1531, sarebbe stato abrogato dal 
Codice di proc. civile vigente (in quanto �non pu� 
fondatamente contestarsi che l'art. 28 succitato sia 
a ritenersi tuttora in vigore ove si consideri che il 
legisla.tore del 1942, pur a-vendo rielaboro,to la materia, 
dando ad essa una pi� completa ed organica 
disciplina, non ha provveduto ad emanare alcuna 
norma circa il trattamento fiscale cui assoggettare 
tali provvedimenti n), ha definito, con estrema precisione 
di concetti, la natura giuridica dei vari rapporti 
che vanno sotto il generico nome di conto corrente 
bancario, mettendo in luce l'errore nel quale 
la Corte di merito era caduta. � 

Per quanto riguarda l'ultima massima, la�� �orte _ 

'ha cos� motivato: � ... l'interpretazione della Corte 

d'Appello non trova conforto nella lettera e nello 

spirito della nor'ma (se. art. 148 legge del regi8tro) 

dalla quale emerge che il termine di novanta giorni, 

computabile dalla presentazione della domanda in 

via ~ministrativa, va riferito non a singoli atti 

~-"'"''"'"~ 



-142 


o fasi giudiziarie, ma al promovimento dell'azione 
giudiziaria ... Potr� discutersi se il momento iniziale 
dell'azione debba identificarsi con la notificazione 
dell'atto di chiamata in giudizio, ov1Jero con 
quello in. cui� gli atti vengono a cognizione del giudice 
adito per�h� deliberi e decida, ma ogni i�if erimento 
ai diversi gradi del giudizio appare qu(fnto 
mai arbitrario ed infondato. Dal che consegue che, 
OVQ non sia stata preventivamente proposta domanda 
in via amministrativa, 'la Finanza non potr� essere 
cond(J/f/,nata alle spese, senza che possa farsi luogo 
a distinzioni fra i diversi gradi del giudizio e senza 
che all'applicabilit� dell'art. 148 della predetta legge 
per le spese di appello .osti la circostanza dell' e.ssere 
stato il grav�me proposto dalla Finanza, perch� 
la lite � unica, nonostante il doppio grado di giurisdizione)). 
IMPOSTE E TASSE -Solve et repete -Riferibilit� 
allo Stato del fatto del sequestratario di societ� estera 
che abbia omesso il tributo dov:iti> alla Societ� de� 
bitrice -. Irrilevanza. (Corte di Cass., Sez Unite, 
Sent. n. 1436-50 -Pres. : Pellegrini, Est. : Cataldi, 

P. M.: Dalld. Mura (conf.) -Soc. italiana "Job" 
contro Ministero Finanze). 
Il precetto del solve et repete nelle controversie 
tributarie non ha carattere di semplice presupposto 
processuale ma importa improponibilit� dell'azione 
giudiziaria che non sia stata preceduta 
dal pagam�llto del tributo, per difetto temporaneo 
di giurisdizione dell'autorit� giudiziaria. La relativa 
eccezione � pregiudiziale ad ogni altra e rilevabile 
in qualsiasi grado, anche di ufficio; pertanto, 
sulla necessit� di osservare tale precetto nessuna 
influenza pu� spiegare l'eccezione secondo la quale 
l'eventuale responsabilit� della condotta di chi 
in tale inosservanza sia incorso, quale sequestratario 
dell� societ� estera debitrice dell'imposta 

ed assoggettata a sequestro in virt� della speciale 
legislazione di guerra, possa risalire allo Stato, 
in virt� dell'art. 1 del D. L. 26 marzo 1946, n. 140. 

La sentenza appare ineccepibile,�� in quanto essa, 
mentre in materia di sol ve et repete si attiene alla 
giurisprudenza ormai costante, della Oorte Suprema, 
applica i principi cos� elaborati al pa�rticolarissimo 
caso in esame con esatta aderenza alle norme legislative 
che regolano la materia della responsabilit� 
dello Stato italiano per cattiva amministrazione dei 
beni sequestrati ai cittadini delle Nazioni Unite. 

Invero, se il precetto del sol ve et repete funziona 
come condizione di proponibilit� dell'azione giudiziaria, 
nessuna influenza pu� avere su di esso 
il fatto che la sua osservanza fosse rimessa all'azione 
di un organo o di una persona deUa cui attivit� lo 
Stato dovrebbe diretta'm~nte o indirettamente rispondere, 
in base a norme diverse da quelle finanziarie. 
Questa soluzione sarebbe incontestabile anche� nel 
caso che il contribuente avesse un'azione diretta da 
far valere contro lo Stato per i danni derivanti dalla 
inosservanza del solve et repete da parte dei sequestratari. 
Tanto pi� essa appare esatta quando una� 
tale azione diretta non � nemmeno ipotiZzabile secondo 
le norme in vigore. 

Oom'� noto, infatti, in base all'art. 78 del Trat


tato di Pace, del quale costituirono norme anticipo,te 

di esecuzione quelle contenute nel D. L. 26 marzo 

1946, n.140 (vedi in questa Rassegna, 1949, pag.183) 

� bens� tem.(,to lo Stato italiano a ristabilire tutti i 

legittilmi diritti ed interessi dei cittadini delle Nazioni 

Unite, rispondendo dei danni comunque loro arre


cati dai sequestratari, ma in forza dell'art. 83 dello 

stesso Trattato di Pace la responsabilit� predetta 

pu� esser fatta valere solo nelle forme stabilite dal


l'articolo stesso, ed � solo concepita come una respon


sabilit� di Stato verso Sta,to. 



ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI 
DELLE CORTI DI 


AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Amministrazione 
dello Stato Evocazione in gLdizio in persona del 
Prefetto -Mancata designazione deli'Amministra� 
zione convenuta. (Sentvnzci, 5 aprile 1951, Tribunale 
Civile di Bologna -Sez. I Prcs. : Gr.issi, Est. : M..i.rziano-
Cantelli contro Amministrazione dbllo Stato 
italiano). 

Per la rituale evocazione in giudizio delle Amministrazioni 
Statali, basta individuare l'organo competente 
nella branca amministrativa cui ha riferimento 
l'azione istaurata, senza specificare l'Amministrazione 
interessata. 

Pertanto chiedendosi avanti l'A.G. ordinaria il 
risarcimento d.ei danni conseguenti all'annullamento 
di un decreto prefettizio di requisizione di 
alloggi, bene � stato convenuto il Prefetto che ha 
emesso il decreto annullato ed � superflua l'indicazione 
dell'Amministrazione dello Stato contro fa 
quale l'azione viene proposta. 

Per disattendere la prima eccezione sollevata dal-
l'Avvocatura che stimava improponibile la azione 
attrice per essere stata convenuta in giudizio � l'Amministrazione 
dello Htato Italiano in persona del 
Prefetto di Bologna�, la sentenza in esame afferma 
che la personalit� della Pubblica Amministrazione 
si esprime in un triplice ordine di figure giuridiche: 

1� capacit� giuridica ere attiene alla titolarit� 

dei rapporti e delle situazioni giuridiche e, nel campo 

processuale, alla legittimazione attiva e passiva: 

essa, come attributo essenziale esclusivo ed indivi


sibile del soggetto giuridico in quanto tale, non pu� 

appartenere che allo Stato nella sua� unit� quale 

soggetto unitario ed inscindibile; 

20 competenza, che afferisce alla ripartizione del-

l' azione amministrativa in centri nei q1,f,ali in via 

esclusiva e definitiva vengono istituzionalmente rag


gruppati i diversi interessi dello Stato stesso, per cui 

l'organo supremo e definitivo di ciascuno di detti 

rami si qualifica come portatore esclusi-vo degli in


teressi dello Stato in ordine alla specifica funzione di 

che trattasi; 

30 capacit� di agire che attiene all'esercizio di 

tale specifica funzione e dei poteri inerenti e che, nel 

campo processuale, si configura come capacit� di 

rappresentanza in giudizio. 

Data questa tripartizione il Collegio afferma che la 

figura intermedia della competenza non partecipa, 

nel campo processuale, della natura e degli effetti 

della capacit� di agire, � essendo soltanto una speci


ficazione della generica capacit� giuridica unitaria 

dell'Ente Stato, onde, come questa, attiene alla legittimazione 
attiva e passiva �. Ci� spiegherebbe, secondo 
la sentenza, l'inutilit� -costantemente sentita 
-di indicare nella vocatio in jus -oltre al Ministero 
competente, anche l'Ente Htato dotato della generica 
capacit� di agire. 

Alla stregua delle suesposte premesse la questione 
in esame si riduce, sempre secondo la motivazione 
del Tribunale, all'individuazione dell'organo competente 
nella branca amministrativa cui ha riferimento 
l'azione di che trattasi e cio� passivamente legittimato 
rispetto all'azione .ytessa. 

E poich� il provvedimento prefettizio di requisizione 
� � attribuito alla competenza propria, esclusiva 
e definitiva del Prefetto, con esclusione di ogni 
intervento gerarchico superiore �, da ci� la sentenza 
inferisce la piena legittimazione passiva del convenuto 
Prefetto pro-tempore, mentre la qualifica << in 
rappresentanza dello Htato Italiano >> non sarebbe 
che aggiunta superflua. 

Non ci sembra di poter condividere le ragioni 

addotte dal Tribu�nale, giacch�, pur essendo fuori 

discussione l'unicit� della personalit� giuridica dello 

Stato, non pu� e8sere negato c1'e ciascuna branca 

dell'Amministrazione Statale abbia, come del resto 

ammette la sentenza in esame, una sua specifica ed 

inderogabile competenza, data dai suoi poteri e dalle 

sue attribuzioni, alla quale --,... contrariamente a. 

quanto ha ritenuto il Collegio -� d'uopo rico


noscere necessariamente la correlativa capacit� di 

agire e conseguente legittimazione processuale, in


scindibilmente connessa alla competenza medesima 

dalla quale � impreteribile manifestazione. 

Il che viene implicitamente ammesso dalla senten


zti quando a corollario della tripartizione avanti se


gnalata conclude che la competenza � non � che una 

specificazione della generica capacit� giuridica uni


taria dell'Ente Stat�, un particolare e specifico modo 

di essere della stessa capacit� giuridica, onde, come 

questa, attiene alla legittimazione attiva o passiva 

Ci� spiega l'inutilit� -costantemente sentita -di 

indicare nella vocatio in jus, oltre al Ministero 

competente, anche l'Ente Fftato dotato della generica 

capacit� giuridica >>. � � . 

Ora sta bene che non sia necessario evocare in giu-i 

dizio �lo Stato >> nella sua unicit� ed unitariet�, j 

ma quando il Tribunale avverte che nella vocatio in I 

jus � d'uopo indicare il Ministero �competente, .que.


sto contraddice la sostanza delle sue affermazioni, 

giacch� riconosce essere sempre necessario individuare \ 

quel ramo della Pubblica Amministrazione (Mini



-1{4 


stero competente) che deve essere evocato in giudizio. 

Nel caso in esame, invece, la citazione del Prefetto 
non � sufficiente ad individuare quella determinata 
branca dell'ordinamento Statale che si vuol convenire 
in giudizio,� giacch� il Prefetto non rappresenta soltanto 
ed esclusivamente una amministrazione dello 
Stato talch� la menzione fattane porti ineluttabilmente 
a designare, senza incertezze (art. 163, n. 2 in 
relazione al 164 c. p.c.) quale sia l'Amministrazione 
evocata in giudizio. Il Prefetto, infatti, nella molteplicit� 
delle funzioni ad esso conferite dalla legge, a 
volte non rappresenta alcuna amministrazione mentre 
rappresen~a il potere esecutivo, il governo, (art. I 
reg. 12 febbraio 1911, n. 297; 1 Legge 3 aprile 1926, 

n. 660) che non sono amministrazioni statali in 
senso giuridico-processuale, e l'averlo indicato quale 
convenuto non � sufficiente a quella individuazione 
che la sentenza medesima ritiene necessaria. 
D'altra parte il criterio adottato dal Collegio, che 
vuol procedere alla determinazione della capacit� di 
agire nel processo attraverso la sola individuazione 
dell'organo �supremo e definitivo che sia il portatore 
esclusivo degli interessi dello Stato in ordine alla specifica 
funzione di che si tratta �, porterebbe a ritenere 
che il problema della rappresentanza in giudizio 
si debba risolvere attraverso i criteri della competenza 
gerarchica, cosicch� abilitato ad agire in giudizio 
sarebbe l'organo investito di funzioni tali che gli attribuiscono 
potest� di deliberare definitivamente s�ullr,, 
questione di citi � causa. Mentre invece � pacifico, 
ad esempio, che l'Intendente di Finanza oltre il 
Ministro, capo della gerarchia, sia titolare della legittimazione 
passiva nelle cause che afferiscono alla 
materia devoluta alla competenza delle Finanze dello 
Stato, cos� come i Provveditori regionali alle 00. PP. 
rapp1�esentano in giudizio l'Amministrazione dei 
LL. PP; nell'ambito della regione .alla quale presiedono, 
pur non potendosi negare che anche i Provveditori 
non sono al vertice della gerarchia dell' Amministrazione 
stessa. 

E se poniamo mente che le vigenti C. e T. delle 
I!'. S. per i trasporti di persone (R. D. L. 11 ottobre 
1934, n. 1948) assegnano funzionalmente ai Capi 
compartimento o delegazione F. S. del luogo dell'infortunio 
il potere di rappresentare l'Amministrazione 
nelfo cause per danni alle persone, mentre soltanto 
per quelle avanti le Magistrature giudiziarie ed 
amministrati12e residenti in Roma la rappresentanza 
spetta al Ministro, troviamo nuo�va ragione per negare 
l'esattezza della tesi seguita dalla sentenza del Tribunale 
di Bologna, giacch� anche i Capi compartimento 

o delega.zione sono subordinati gerarchicamente al 
Ministro. 
Cos� se fosse esatto quanto ha ritenuto il Tribunale, 
non sarebbe giustificata l'attribuzione a determinati 
funzionari di grado inferiore del potere di rappresentare 
in giudizio le rispettive amministrazioni, poich� 
nel pi� dei casi trattasi di organi subordinati ad 
altri, ai quali.ultimi sono riservate, dall'ordinamento 
giuridico, le definitive statuizioni sulle insorte con-� 
troversie: mentre non avrebbero ragione di essere le 
norme degli art. 144 c. p. c., 11 e 52 del '11 U. 30 ot


� 

tobre 1933, n. 1611 che menzionano l'Amministrazione 
destinaria della citazione e prevedono che la 
stessa sia intimata, anche quando eseguita presso l'Avvocatura, 
alla persona che se,eondo le norme organi


che rappresenta l'Amministrazione stessa nel luogo 
ove risiede l'autorit� giudiziaria che sarebbe competente 
secondo le norme del codice di rito. . 

Sembra, quindi, che la specialit� del caso abbia 
indotto il Collegio ad affermazioni che non si possono 
condividere, giacch� non inquadrano nella sua vera 
luce il problema della rituale evocazione in giudizio 
delle Amministrazioni Statali. 

COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Negata iscri� 
zione nelle matricole della gente di mare -Difetto 
di giurisdizione dell'A. G. O. (Tribunale di Bari, I Sezione 
civile, Mnt. 10 maggio 15 giugno 1951 -Presidmte: 
G,mtile, Est.: Bartoli-Zonno contro Amm.nistrazione 
mar~na mercantile). 

Il cittadino, pur essendo in possesso dei prescritti 
requisiti, ha soltanto la possibilit� di essere iscritto 
nelle matricole della gente di mare, subordinatamente 
all'interesse pubblico, al quale deve ispirarsi 
la Pubblica Amministrazione proposta a 
tale iscrizione. 

Di conseguenza il provvedimento dell'Autorit�, 
in constrasto con il predetto pubblico interesse, 
non pu� che ledere soltanto indirettamente l'interesse 
del privato, il quale, a seguito dell'annullamento 
dell'atto amministrativo, da pronunziarsi 
dal giudice amministrativo, pu� ottenere un provvedimento 
conforme alle disposizioni di legge, e 
dal quale possa avvantaggiarsi. 

La sentenza ha accolto in pieno la tesi sostenuta 
dall'Avvocatura. La fattispecie � la seguente. 

Il Ministro per la marina mercantile, per la facolt� 
riconosciutagli dall'art. 119, 40 comma del Codice 
della Navigazione, con vari provvedimenti aveva limitato 
le iscrizioni nelle matricole della g�nte di mare, 
facendo, di volta in volta, eccezioni per determinate 
categorie di persone in possesso dei prescritti requisiti. 

La competente Capitaneria di Porto, pur ricono


scendo che il richiedente l'iscrizione avesse i requisiti 

prescritti dal citato art. 119, e dal relativo Regola


mento 20 novembre 1879 neg� la iscrizione in ot


temperanza alle disposizioni Ministeriali. 

La proposta azione si presentava improponibile 

per due motivi, il primo di ordine generale e si pu� 

dire, ratione materiae, ed il secondo specificamente 

derivante dalla facolt� discrezionale sopra accennata. 

In quest'ultimo caso per�, riconoscendosi all'aspi


rante un diritto a,lla iscrizione, l'Autorit� giudiziaria 

sarebbe stata competente a giudicare se il richiedente 

rientrasse in quelle categorie per le quali il Ministro 

aveva� consentito l'iscrizione, e quindi. se l'Autorit� 

Amministrativa, negandola, avesse esorbitato dalla 

autolimitazione costituita dalle istruzioni ministe


riali, poich� queste non ordinavano la sospensione 

per tutti gli aspiranti. 

Il Tribunale correttamente ha ritenuto la impro


ponibilit� per il primo motivo. 

Invero non sembra potersi disconoscere, per il com


plesso delle norme che regolano l'organizzazione e la 

disciplina del personale marittimo, per la grande rile-� 

vanza che ha per lo Stato la navigazione, che risulta 

organizzata ed inquadrata in una specie di milizia 

civile (Ved. Relaz. del Guardasigilli al Codice della 

Navigazione, Tit. 4�, Capo 10, n. 79) che il legislatore, 

anche in quelle particolari norme relative alla iscri


j 

wAWamw�~Jtft.r&mmtr~~-,BJJiJ



-145


zione nelle matricole abbia avuto di mira prevalentemente 
la tutela dell'interesse pubblico, e l'interesse 
dei singoli non pu� ricevere protezione che in maniera 
indiretta e riflessa, attraverso gli organi della giustizia 
amministrativa, ci� che costit,uisce appunto l'interesse 
legittimo. 

Tale � l'orientamento della dottrina. (< Per aversi 
diritto subbiettivo bisogna che il legislatore abbia 1Joluto 
direttamente proteggere l'interesse individuale, mentre 
ci� non accade allorch� ci imbattiamo nella figura, 
dell'interesse legittimo �. (( Fra gli infiniti esempi 
valga quello delle norme le quali stabiliscono l'ammissibilit� 
e la procedura dei concorsi ad impieghi pubblici; 
evidentemente codeste norme hanno per iscopo 
la garenzia dell'a. p. nella scelta dei pubblici impiegati, 
non la tutela di un individuo piuttosto che di un 
altro�. (Vitt-a, dir. Amm. U.T.E.T. 1949, vol. 1, 
pag.117). 

1/esempio del chiaro autore pu� ben applicarsi 
alla fattispecie perch� sebbene i componenti dell' equipaggio 
non siano, in___ senso stretto, dipendenti dello 
Stato, � lo Stato che' m.ediante l'iscrizione nelle matricole, 
attribuisce loro la qualifica di marittimi, e li 
dichiara idonei e capaci a stipulare con l' arrnatore 
il contratto di arruolamento. Inoltre l'ampio erigoroso 
potere disciplinare e di vigilanza esercitato su di essi 
dallo Stato, all'interno ed all'estero (art. 1249_ cod. 
nav.) la facolt� dell'autorit� marittima e consolare 
di ordinare lo sbarco dell'arruolato vittima di abusi 
di potere da parte del Comandante della nave (articolo 
346 cod. nav.), stanno a dimostrare l'enorme 
'interesse che lo Stato ha per l'esercizio ~ella navigazione, 
onde si deve concludere che le norme relative 
alla iscrizione dei marittimi, sono dettate a t-utela 
di tale interesse, che, -in definitiva, � interesse della 
collettivit�. 

N � difforme � l'insegnamento del Zanobini (Got�


so di diritto Amministrntivo, ed. 1947, vol. I, pa.gi


ne 146 ch_e definisce l'interesse legittimo � un interesse 

individuale strettamente connesso con un interesse 

pubblico e protetto dall'ordinamento soltanto attra


verso la tutela giuridica di quest'ultimo )), 

Per il concetto distintivo fra norme dirette alla tu


tela dell'interesse pubblico e quelle che tutelano un 

interesse privato vedi Consiglio di Stato sez. 4a, 

decisione 5 luglio 1947, in Foro Ital. 1947, 111, 115. 

La sentenza va segnalata perch� non consta che vi 

siano stati precedenti giurisprudenziali e perch� 

sono in corso altre analoghe vertenze. 

(P. L. S.) 
IMPOSTA GENERALE SULL'ENTRATA -Determi� 
nazione dell'ammontare dell'imposta pagabile in 
abbonamento -Decisioni della Commissione Provin� 
ciale -Def1.nitivit� -Inammissibilit� del ricorso 
all'A11torit� Giudiziaria. (Corte di Appello di Firenze, 
Soz. I, Sent. 30 marzo 1951 -Pres.: Galizia, Esteonsore: 
Bianchi d'Espinosa -Giovannozzi contro Ministero 
Finanze). 

Le decisioni delle commissioni provinciali in materia 
di determinazione dell'imposta sull'entrata 
in abbonamento sono definitive, a sensi dell'articol� 
16, Decreto legislativo 27 dicembre 1946, 

n. 469 e 21 Decreto legislativo 3 maggio 1948, 
n. -7l:i9, con esclusione in ogni caso del ricorso alla 
Commissione Centrale. 
Contro di esse � parimenti escluso il ricorso 
all'autorit� giudiziaria per grave errore di apprezzamento 
o difetto di calcolo, non �ssendo esperibile 
contro tali decisioni l'eccezionale ricorso previsto 
dall'art. 29 decreto legge 7 agosto 1936, numero 
1639, per le decisioni di valutazione, emesse 
in materia di imposte indirette sui trasferimenti 
della ricchezza. 

L'istituzione delle Commissioni per la risoluzione 
in via amministrativa delle controversie fra, Finanza 
e contribuenti, relative aWimposta sull'entrata corrisposta 
in abbonamento (decreto legislativo 27 dicembre 
1946, n. 479 e decreto legge 3 maggio 1948, 

n. 799), ha fatto sorgere due questioni: 
1� se contro la decisioni della Commissione provincia,
le in materia di I.G.E. sia ammesso il ricorso 
alla Centrale per le questioni di diritto; 

2� se, contro le stesse decisioni sia ammesso il 

ricorso all'autorit� giudiziaria, in caso di grave ed 

evidente errore di apprezzamento (questioni di fatto). 

La Corte di Firenze, �nella sentenza annotata, ha 

risolto in senso negativo l'una e l'altra questione: la 

prima incidenter tantum, la seconda, che formava 

oggetto specifico della causa, con ampia ed elabo


rata motivazione. � 

1) Sulla prima questione non esistono, a quanto 

ci consta, altre pronunce della Autorit� giudiziaria. 

Scarse sono pure le decisioni della Commissione 

centrale, sebbene assai elaborate. 

L'art. 16 del decreto n. 469 del 1946 e l'art. 21 del 

decreto n. 799 del 1948 dichiarano, come � not�, che 

(( la decisione della Commissione provinciale � de


finitiva )), 

Nulla aggiunge la legge: manca una disposizione 

analoga al secondo comma dell'art. 22 D.L. 7 ago


sto 1936, n. 1630 per le imposte dirette. ((( Nei casi 

contemplati dalla legge contro le decisioni delle Com-� 

missioni provinciali � ammesso ricorso alla Com


missione centrale delle imposte dirette )) ), e manca 

parimenti una disposizione simile all'ultimo comma 

dell'art. 29 dello stesso R.D., valevole per le imposte 

indirette (((Tutte le altre controversie relative all'ap


plicazione della legge sono decise in primo grado 

dalle Commissioni provinciali e in secondo grado 

dalla Commissione centrale, sa,lvo il ricorso all' A .G. 

nei modi e nei termini stabiliti dalle vigent-i leggi�). 

Si direbbe, sulla base della lettera della legge, _che _la 

previsione di un ricorso alla Centrale p_er questioni 

di diritto in materia di I.G.E. non fosse presente al 

pensiero del legislatore. Ipotesi del resto ben plau


sibile, ove si consideri che le decisioni delle Commis


sioni in materia di I.G.E. in abbonamento investono 

normalmente questioni di puro fatto, per le quali � 

difficile configurare un riesame di diritto da parte 

della Centrale. E appunto basandosi su queste con


siderazioni la Commissione centrale, con decisione 

4 giugno 1948 (Foro it. 1949, III, 21 con nota di 

Cocivera e Giur. it. 1949 III, 26 con nota di Bei


liri) dichiar� inammissibile il ricorso alla 'iJeritrale _ 

avverso la determinazione della base imponibile per 

l' I.G.E., effettuata dalla sezione speciale della -com_


missione provinciale delle imposte. _ 

Senonch� una successiva decisione della Commissione 
centrale a sezioni unite (6 luglio -1949, in 
Riv.Leg.Fisc., 1949, 663 e Giust.Trib. 1950, 68 


con nota adesiva di Napolitano) ricalcando in gran 
parte gli argomenti gi� addotti in una precedente 
decisione 18 dicembre 1940, pure a sezioni unite 
emessa in materia di imposte indirette (Riv. Leg. 
Fisc. 1941, 325), distinse anche in tema di imposta 
sull'entrata le questioni di diritto da quelle di fatto. 
Inoltre, osserv� che l'art. 16 del D.L. n. 469 e l'articolo 
21 del D.L. 3 maggio 1948, n. 799 richiamano 
per le controversie sull'entrata le altre norme vigenti 
� per la costituzione ed il funzionamento delle commissioni 
amministrative per le imposte �. Ora, secondo 
la Commissione centrale, esisterebbe per tutte 
le controversie di imposta il principio, di carattere 
unitario, che le questioni di diritto debbano trovare 
nella stessa Commissione centrale un giudice di 
terzo grado. E basandosi su questo principio orientativo, 
la Commissione centrale afferm� la propria 
competenza funzionale a conoscere delle impugnazioni 
contro le decisioni delle commissioni provinciali 
in materia di entrata, viziate da errori di diritto. 


La sentenza annotata non aderisce a questa con-
elusione. La Corte di Firenze osserva giustamente 
che cc costituzione e funzionamento� fanno riferimento 
alla struttura ed al rito (in senso esteriore e 
formale) delle Commissioni, ma non investono n� 
la. competenza n� i m�zzi di impugnazione. D'altra 
parte, assai diff�eilmente si pu� trovare un filo conduttore, 
che permetta di orientarsi in tema di competenza 
e di mezzi di impugnativa, sulla scorta di 
un semplice richiamo delle norme vigenti per le commissioni 
amministrative delle imposte. Se anche 
l'l.G.E. fosse inquadrabile fra le imposte indirette 
sui trasferimenti (il che, come vedremo, non �), si 
dovrebbe pur se�mpre tener presente che l'art. 31 del 

D.L. 7 agosto 1936, n. 1639 estende a sua i1olta 
alle controversie riguardanti tali imposte cc tutte le 
. altre norme relative al procedimento davanti alle commissioni 
amministrative delle imposte dirette�. Che 
portata deve avere dunq�e, il richiamo alle norme 
vigenti per le commissioni delle imposte? Devono 
tenersi presenti le norme stabilite per le controversie 
sulle imposte indirette. o -attraverso l'art. 31 quelle 
stabilite per le imposte dirette? L'interrogativo 
non � certamente retorico. In realt�, questa riduzione 
ad un comune denominatore pu� avere significato 
e scopo rispetto al procedimento, ma non alla competenza 
ed ai mezzi di impugnativa: giacch� questi 
differiscono profondamente per le imposte dirette e 
per quelle indirette. 

Basti ricordare che mentre per le controversie di 
diritto relative alle imposte dirette � stabilito un triplice 
grado di giurisdizione (Commissione distrettuale, 
provinciale e centrale), invece per le stesse 
controversie, nel campo delle imposte indirette, il 
grado � soltanto duplice (Commissione provinciale e 
centrale), e, per di pi�, sfasato, giacc'/i� il giudice di 
secondo e terzo grado delle prime diviene, per le seconde, 
giudice di primo e rispettivamente di secondo 
grado. 

Sembra piuttosto arduo, in queste difformi attribuzioni 
di competenza, ravvisare quel carattere unitario 
intravvisto dalla Commissione centrale. Per cont>ro, 
tale carattere pu� effettivamente ri8contrarsi nella 
costituzione e nel funzionamento, che per tutte� le 
commissioni presentano elementi comuni. Ma se il 

riphiamo dell'art. 21 D.L. 3 maggio 1948, n. 799 va 
contenuto in questi limiti, non par dubbio che esso 
non valga a legittimare l'estensione delle norme sulla 
competenza della Commissione centrale, come giudice 
di terzo grado per le questioni di diritto in materia 
di imposta sull'entrata. 

~) Di maggiore interesse � la seconda questione, 
sulla proponibilit� del ricorso in via giudiziaria. Tale 
questione era gi� stata altre volte affrontata dal Tribunale 
di Firenze, ma con diverse soluzioni. Mentre 
nella causa Giovannozzi, riesaminata in appello 
dalla sentenza annotata, il Tribunale avei1a correttamente 
dichiarato l'improponibilit� del ricorso in 


.sede giudiziaria (sent. 25 luglio 1949, Giur. it. 
1950, I, 2, 486 e Mon. Trib. 1949, 346), in due 
sentenze successive (sent. 21 febbraio 1950 in causa 
Bastogi, Foro it. 1951, 1, 823 e sent. 12 luglio 1950 
in causa Azienda Farmaeeutica Internazionale, Rassegna 
1950, 180) lo stesso Tribunale.ne aveva invece 
affermato la proponibilit�. La Corte di Firenze, con 
l'attuale sentenza, ha provveduto a dirimere il contrasto 
sorto fra i vari giudicaJi dello stesso Tribunale, 
confermando l'esattezza della prima sentenza, che 
aveva dichiarato l'inammissibilit� del ricorso. E in 
senso perfettamente conforme s�i pronunciarono il 
Tribunale e la Corte di Appello di Napoli in causa 
Galleria Navarra contro Finanze, con le rispettive 
sentenze in data 6 luglio 1949 e 29 aprile 1950, 
entrambe inedite. 

Per una esatta impostazione della questione va 
preliminarmente osservato che non vale, rispetto al 
ricorso giudiziario, quel richiamo alle norme vigenti 
per il procedimento davanti alle Commissioni per le 
imposte dirette, che parve ad alcuni sufficiente a 
legittimare l'impugnazione davanti alla Commissione 
centrale in via amministrativa per le questioni 
di diritto. Anzi, il richiamo appare piuttosto controproducente: 
giacch�, se vi � un principio pacifico per 
tutte le imposte dirette, � precisamente l'inammissibilit� 
di un si�ndacato dell'Autorit� giudiziaria sulle 
questioni di semplice valutazione. Siffatto principio 
� consacrato da disposizioni esplicite (art. 22, 3� 
comma, D.L. 7 agosto 1936, n. 1639), e si ricollega 
alla norma fondamentale dell'art. 6 legge sul contenzioso 
amministrativo Alleg. E alla L. 20 marzo 1865, 


n. 2230. Altre norme, specifiche per talune imposte 
dirette, ribadiscono questo basilare principio (Imposta 
Fondiaria: art. 23 ultimo comma L. 8 marzo 
1943, n. 153; Ricchezza mobile, art. 53 T. U. 24 
agosto 1877, n. 4021; Tribttti locali, art. 285 T. U. 
14 settembre 1931, n. 1175). 
Se, perci�, si volesse invocare l'art. 31 del D.L. 

n. 1639 del 1936 per un'analogia di regolamento 
con le controversie in materia di imposte dirette, ne 
deriverebbe automaticamente, anche per l'I.G.E. l'insindacabilit� 
in sede giudiziaria della determinaziqne 
dell'amm.ontare dell'imposta. 
Ma a non diversa conclusione si dovrebbe pervenire, 
se si volesse limitare il riferimento alle norme 
sulle imposte indirette. Per vero, an�he per queste 
vale, almeno come criterio generale, il principio �erta 
definitivit� delle decisioni sulle questioni di fatto: 
.e analoga definitiiiit� va riconosciuta alle decisioni 
delle Commi.i;sioni concernenti l'imposta sull'entrata. 
La dottrina � al riguardo concorde: cc Una limita-I 
zione che perde le caratteristiche di vera e propria I 


-147 


eccezione, per assumere la �veste di una vera e propria 
regola generale applicabile in ogni caso e per ogni 
controversia trib�taria, salvo espressa disposizione 
in contrario (in corsivo nel testo) � quella che sottrae 
alla competenza dell' A .G. la questione di semplice 
estimazione. Essa � valevole per le imposte indirette 
e trib�uti locali, tranne espressa disposizione in contrario, 
come ad esempio per il giudizio di merito delle 
Commissioni provinciali per le imposte indirette di 
cui al III comma dell'art. 29 della citata legge 7 
agosto 1936, avverso il quale � ammissibile il ricorso 
all'A.G. per grave ed evidente errore di apprezzamento 
ovvero per mancanza o insuffecienza di calcolo 
nella determinazione del valore. 

� Anche nell'imposta generale sull'entrata questa 
regola domina incontrastata, sicch� restano 
incluse nella competenza dell'A. G. tutte le questioni 
di fatto e di dir'itto, che investano la tutela 
di diritti soggettivi, eccezion fatta per le quistioni 
di semplice estimazione, senza alcun' altra limitazione)). 
(Cocivera, L'imposta generale sull'entrata, 
vol. I, n. 60, p. 205). 

In senso conforme � il N apolitano: << Dispongono 
gli articoli 16 del D.L. :37 dicembre 1946, n. 469 e 
21 del D.L. 3 maggio 1948, n. 799 che la decisione 
della Commissione provinciale � definitiva. Non vi 
� dubbio che, per quanto si riferisce alla semplice 
valutazione dell'entrata imponibile, questa rimane 
definitivamente fissata con la decisione della Commiss.
ione provinciale, senza possibilit� di ulteriore 
gravame... Non possono essere portate dinanzi all'A.
G. questioni attinenti alla semplice determinazione 
dell'entrata imponibile, dato che tali questioni 
rientrano nella competenza esclusiva delle Commissioni 
amministrative appositamente istituite � (Napolitano, 
L'Imposta generale sull'entrata ed. 1949, 
vol. I, pag. 128 e 138, <fap. XIX, n. 21 e 22). E 
nello stesso senso si esprime il Giannini: e< Quando 
l'imposta � dovuta in abbonamento... la decisione � 
della Commissione � definitiva, sul punto, � da ritenere, 
dell'ammontare dell'entrata, salva la competenza 
d-ell' A. G. sulle questioni di diritto � (Istit. di dir. 
trib. 1948, pag. 416, n. 162). 

Contro queste conclusioni, saldamente fondate sul 
principio generale sopra enunciato, si � ritenuto da 
alcuni di poter opporre il richiamo all'art. 29 del 

D. L. 7 agosto 1936, n. 1630. Questo articolo, regolante, 
come � noto, le controversie sulla determinazione 
del valore nelle imposte 8ui trasferimenti, dopo aver 
precisato che il giudizio delle Commissioni sulla 
determinazione del valore � definitivo, aggiunge: 
'�salvo ricorso all'A.G. per grave ed evidente errore 
di apprezzamento ovvero per ma.ncanza o insufficienza 
di calcolo nella� determinazione del valore �. Ma la 
sentenza annotata ha negato, giustamente, la possibilit� 
di applicare, questa disposizione all'I.G.E. 
Il carattere straordinario del ricorso previsto dall'articolo 
29, � infatti, rivelato dalla stessa formula 
zione letterale della norma; l'espressione <<salvo )) �, 
come avverbio, equivalente a <<eccettuato � (cfr. Petrocchi, 
Novo Dizionario) parola che deriva dalla 
stessa radice etimologica di <<eccezione �. E veramente 
eccezionale � questa possibilit� di ricorso: tanto che i 
poteri dell'Autorit� giudiziaria sono circoscritti ad un 
controllo superf�.ciale dell'esistenza dei vizi, ed all' annullamento 
eventuale della decisione della Commis


sione. Jl� giudice ordinario non pu� sostituire altra, 
valutazione a quella annullata, giacch� la competenza 
per la determinazione del nuovo valore � sempre rimes.
�a alla Commissione (Cass. 24 lugli~ 1946, 
Rep. Foro It. 1946, col. 1052, 1053, n. 69; nella 
motivazione, Oass. 3 agosto 1946, Riv. � Leg. Fisc. 
1946, 565). 

In modo analogo, del resto, erano regolati i rapporti 
fra l'Autorit� giudiziaria e la stima dei periti, che nel 
vecchio ordinamento era impugnabile per motivi 
pressoch� identici (art. 38 legge del registro); non 
solo la stima era considerata definitiva, e impugnabile 
unicamente per i motivi" tassativamente previsti 
(tanto che fu equiparata ad un arbitrato necessario e 
obbligatorio: Cass. 15 febbraio 1943, Riv. Leg. Fisc. 
1943, 264), ma non era in nessun modo sostituibile 
n� eon una decisione del giudice ordinario n�, tanto 
meno, con una perizia giudiziale (cfr. Relazione Avvocatura 
Stato 1930-1940, vol. II, n. 561, p. 154). 

L'art. 29 si presenta, quindi, piuttosto come una 
ind~retta conferma del principio generale dell'insindacabilit�, 
che non come una dimostrazione del principio 
opposto. 

Va aggiunto che l'art. 29 vale per le imposte indi


rette sui trasferimenti della ricchezza: esso potrebbe, 

quindi, essere esteso anche all'imposta sull'entrata, 

solo a patto di includere questa imposta fra le imposte 

sui trasferimenti. Ora, questo inquadramento � as


sai discutibile. La sentenza annotata, sotto tanti 

aspetti pregevole, non ha suQlcientemente approfon


dito questo punto. Es.�a � partita dal presupposto 

che l'imposta sull'entrata sia un'imposta indiretta 

sui trasferimenti della ricchezza: ma � ben noto che, 

al contrario, la migliore dottrina considera !questa 

imposta come un'imposta sui consu1mi (Giannin�i, 

Ist. di dir. trib. ed. 1948, p. '109) o sulla produzione 

e sui consumi (Vanoni, in Riv. dir. fin. e se. delle 

fin. 1940, 32) o, comunque, co�me una imposta sui 

generis, con prevalente carattere di imposta sui con


sumi (Cocivera, L'imposta sull'entrata vol. I, p. 4). 

N e-ppure i precedenti storici dell'imposta permettono 

di intravvedere una comunanza di ascendenti con la 

imposta sui trasferimenti, giacch� � ben noto che l'im


posta sull'entrata deriva dall,a tassa sugli scambi. 

Anzi, questa indagine retrospettiva offre un argo


mento di pi� per esclu.dere l'estensione all'I.G. F, 

delle norme stabilite per le imposte indirette, giacch� 

proprio l'art. 28 del D.L. 7 agosto 1936, n. 1639 

riafferm�, per la tassa scambi, una completa indipen


denza dalle norme dettate per le imposte sui trasf e


rimenti. E appunto basandosi su questa autonomia 

di regolamento, in un certo senso tradiziona.le, non 

manc� chi volle limitare la competenza delle Commis


sioni in materia di I.G.E. alle sole� contro�1Jersie di 

valutazione (cfr. Di Ciaula, in Riv. Leg. Fisc. 1948, 

800), mantenendo, per le controversie di diritto, i ri


corsi amministrativi previsti per la tassa sugli scambi. 

La realt� � che i decreti istitutivi delle speciali 

Commissioni in materia di I.G.E. non ebbero_fXflatto 

l'intento di inquadrare l'imposta fra le imposte indi--


rette sui trasferimenti, e tanto meno di estendere al-

l' I .G.E. la norma dell'art. 29 stabilita per le imposte 

indirette sui trasferimenti. Sembra, anzi, lecito af


fermare che i due decreti n. 469 del 194-6, n. 799 

del 1948 abbiano avuto una finalit� opposta: di dare 

alle controversie sull'imposta pagabile in abbona



-148 


mento una propria, autonoma disciplina, i cui punti 
di contatto con la disciplina delle altre imposte (dirette 
e indirette) dovevano essere solo due: costituzione 
(struttura) e funzionamento (rito) delle Commissioni. 


E non � inopportuno avvertirP. che, nella topografia 
della legge, la, costituzione ed il funzionamento 
delle Commissioni trovano ,il loro regolamento nel 

R. D. 8 luglio 1937, n. 1516, intitolato appunto 
<< Norme sulla costituzione e sul funzionamento delle 
Commissioni amministrative per le imposte dirette e 
per le imposte indirette sugli affari �. (Titolo I, 
costituzione. Titolo II: funzionamento). 
L'art. 29 non fu, in-vece, collocato nel D. L. del 
1937, n. 1516, ma nel D. L. del 1936, contenente la 
riforma degli ordinamenti tributari; appunto perch� 
esso regola non gi� la costituzione ed il funzionamento, 
ma la competenza dell'Autorit� giudiziaria, 
il ch� � tutt'altra cosa. 

Per la competenza, come per tutto ci� che aveva 
rilevanza sostanziale ai fini di una organica disciplina 
delle controversie in materia di I.G.E., il legislatore 
non provvide con generici richiami, ma con 
una ampia e minuziosa serie di norme, contenute 
nel titolo II del D. L. C.P.S. 27 dicembre 1946, n. 469, 
e successivamente nel titolo II del D. L. 3 maggio 
1948, n. 799, senza lasciare zone in ombra. 0"/l� anzi, 
perfettamente consapevole della necessit� di stabilire 
la portata delle decisioni delle Commissioni (appimto 
perc-P� non deducibile da un generico richiamo) il 
legislatore ripet� nell'art. 21, 4� comma del D. L. 
3 maggio 194-8, n. 799 questa chiarissima formula: 
� La decisione della commissione provinciale � definitiva 
�. Non aggiunse, perch� non volle aggiungere, 
l'eccezione che invece dett� nell'art. 29 del D. L. n.1639 
del 1936 per le decisioni relative alle imposte sui trasferimenti, 
viziate da grave ed e�vidente errore di apprezzamento 
o da mancanza di calcolo. 

Del resto, l'applicazione all'I.G.E. dell'art. 29 

presenterebbe, oltre tutto, gravi difficolt� di ordine 

pratico. Su questo punto la sentenza annotata appare 

veramente perspicua, mettendo in evidenza le ra


gioni che indussero il legislatore a regolare l'I.G.E. 

diversamente dalle imposte indirette. Cos� essa si 

esprime: 

�Questa disparit� di trattamento ha, del resto, 
una logica ed evidente ragione. Nella determinazione 
del valore per le imposte sui trasferimenti considerate 
dall'art; 28 del R.D.L: n. 1639 (registro, successione, 
ecc.) oggetto dell'accertamento � la valutazione 
-'-secondo il valore v'enale in comune commercio al 

giorno del trasferiment� (articolo 15 detto decreto) dei 
beni trasferiti, secondo criteri indicati per i singoli 
beni (immobili, mobili, titoli azionari, derrate) 
dall'articolo lt:i; criteri che devono esser tenuti presenti, 
e per applicare i quali sMia� necessari q1.t.ei 
calcoli cui l'articolo .29 si richiama. L'imposta entrata 
da pagarsi in abbonamento invece, va commisurata 
in base �al volume degli affari � (articolo 14 D. L. 
27 dicembre 1946, n. 469); ed oggetto dell'accertamento 
-da eseguire per necessit� di cose in via induttiva 
-� perci� la presumibile entrata complessiva 
in un anno. Parlare, in tale accertamento, di 
calcolo e di determinazione del valore dei beni trasferiti, 
non � possibile; onde risulta chiara anche la 
pratica inapplicabilit� della disposizione dell'articolo 
29, che permette contro la decisione della Commissione 
provinciale il ricorso all'autorit� giudiziaria 
per errore evidente di apprezzamento, o mancanza 
e insufficienza di calcolo �. 

1 nfine, deve ancora osservarsi che la conclusion, 
cui � giunta la Corte di Firenze appare, anche concettualmente, 
la pi� razionale. Man mano che il carattere 
giurisdizionale delle Commissioni si � andato 
affermando, con tutte le conseguen11e relative (alcune 
di portata notevolissima: Cass. 29 luglio 1950 in 
causa Raccuglia, Dir. e prat. trib. 1951, I, 586), si 
e sempre pi� o,vvertita l� difficolt� di conciliare con 
questo carattere il riesame delle pronunce giurisdizionali 
delle Commissioni da parte della Autorit� 
giudiziaria ordinaria. Si �. parlato di sovrapposi 
zione del giudicato ordinario sul giudicato delle Commissioni, 
e si � accuratamente evitato di attribuire 
all'azione giudiziaria .un carattere di impugnativa, 
che sarebbe in contrasto con la affermata autonomia 
dei due giudizi (Cass. 3giugno1947, Giur. it. 1948 
I, l, 336). Ma attraverso l'eccezionalissimo ricprso 
dell'art. 29 si perviene precisamente ad un espresso 
annullamento della decisione di valutazione, non 

� ad una sua sostituzione con una pronuncia giudiziaria: 
si pervie1M, in altri termini, a quel ris1tltato che la 
giurisprudenza tende giustamente ad escludere, in 
quanto incompatibile con il fond�mentale__ principio 
dell'autonomia delle dite giurisdizioni. E evidente, 
anche sotto questo profilo teoretico, che l'anormalit� e 
l'eccezionalit� dello specialissimo ricorso previsto 
dall'art. 29, non ne permettono l'estensione oltre i 
limiti ben circoscritti delle imposte indirette sui trasferimenti. 
E a questa esigenza si � uniformato il legislatore, 
escludendo per l' I.G.E. ogn~ ricorso, e riaf


� 
fermando, senza sovrastrutture, la definitivit� della 
decisione amministrativa. 

(A. C.) 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


I PROVVEDIMENTI SONO ELENO�TI SEC:ONDO L'ORDINE 
DI PUBBLIO�ZIONE SULL� � G�ZZETT� UFFICI�LE � 


I. 
1. 
Legge 5 giugno 1951, n. 376 (G. U. n. 129): Norme integrative 
e di attuazione del D. L. 7 aprile 1948, n. 262 
sulla istituzione di ruoli speciali transitori nelleAmministrazioni 
dello Stato. -� solo con questa legge che 
diventa praticamente attuabile il D. L. 7 aprilel947, 
n. 262. Quale sia la natura giuridica di questi ruoli 
speciali transitori, se cio� gli impiegati appartenenti 
ad essi debbano considerarsi di ruolo o non di ruolo 
a tutti gli effetti stabiliti dalle varie disposizioni vigenti, 
resta ancora poco chiaro. Come non appare 
chiara la posizione di coloro i quali, avendo diritto 
alla immissione nei ruoli transitori, non ne siano stati 
considerati meritevoli. Non sembra, tuttavia, che questa 
legge abbia un'influenza diversa o maggiore da 
quella che � stata e;sercitata dalle disposizioni del D. L. 
n. 262 del 1948, sulla situazione giuridica del personale 
non di ruolo (agli effetti per esempio della cessazione 
dal servizio per mancata riconferma ecc.). 
2. 
Legge 23 maggio 1951, n. 400 (G. U. n. 135): Modificazione 
del secondo comma dell'art. 677 del Codice di 
procedura civile. -Si tratta di una modificazione 
dimenticata in occasione della recente riforma. 
3. 
D.P.R. 7 luglio 1951, n. 491 (G. U. n. 153): Cessazione 
dello stato di guerra tra l'Italia e la Germania. -Il 
"Memorandum d'intesa� cui si riferisce il decreto in 
esame � quello che regola il modo con cui l'Italia deve 
adempiere agli obblighi impostile con l'art. 77 dcl 
Trattato di Pace. 
4. D.P.R. 5 luglio 1951, n. 573 (G. U. n. 169 s.o.): Approvazione 
del Testo Unico delle norme sulla dichiarazione,
unica annuale dei redditi soggetti alle imposte dirette. 

5. 
D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574 (G. U. n. 170): Norme 
di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto 
Adige. -Si richiama l'attenzione sugli articoli 42, 
43 e 44 concernenti le attribuzioni dell'Avvocatura 
dello Stato noi riguardi dell'Amministrazione regionale 
e degli enti locali. 
6. 
Legge 16 giugno 1951, n. 621 (G. U. n. 182): Modificazioni 
al sistema contributivo dell'Ente Nazionale di Previdenza 
ed assistenza per i dipendenti statali. -Questa 
legge contiene all'art.' 2 una delega legislativa al. Governo. 
Essa peraltro (V. le leggi, 1951, pag. 949, nota 
2), risulta approvata da Commissioni parlamentari e 
non direttamente dalla Camera. Ci� sembra in contrasto 
con l'art. 72 ultimo comma della Costituzione. 
II. 
SENATO DELLA REPUBBLICA 
1. Disegno di legge n. 1869 (iniziativa governativa): 
Disposizioni sul collocamento a riposo dei dipendenti 
statali. -Con questo disegno di legge si modifica il sistema 
attualmente in vigore per il quale il collocamento 
a riposo de,5li impiegati dello Stato � rimesso alla facolt� 
discrezionale dell'Amministrazione anche quando 

s1 siano verificate le condizioni necessarie e sufficienti 
per disporre del collocamento ste3so. Altra innovazione 
� quella che prevede il collocamento a disposizione dei 
funzionari di grado elevato, anche al di fuori dei casi 
limitati previsti dalle norme vigenti. La legge non si 
applica ai Magistrati, agli Avvocati dello Stato ed 
altro personale statale regolato da norme statali. 

2. 
Disegno di legge n. 1785-A (iniziativa governativa): 
Modalit� per l'assunzione e la stipulazione di prestiti 
esteri da parte della Cassa per il Mezzogiorno. -In 
occasione di questa leggo, si vuole introdurre una 
norma la quale consenta la istituzione (peraltro opportuna) 
di un Comitato esecutivo ristretto nel seno 
del Consiglio di amministrazione della Cassa, ci� che evidentemente 
non poteva esser fatto con deliberazione 
del Consiglio sfosso, in quanto si tratta di modificare 
la organizzazione della Cassa stabilita con la legge 

n. 646 del 1950. 
CAMERA DEI DEPUTATI 

I. 
Disegno di legge n. 2231 (iniziativa parlamentare}: 
Modificazioni alla legge 2 luglio 1949, n. 408 sull'edilizia 
popolare ed economica. -QL1esto disegno di legge 
fu presentato al Senato (col n. 1689) in un testo diverso 
da quello successivamente approvato, testo che 
conteneva effettive modifiche agli articoli 95 e 97 del 
T. U ..28 aprile 1938, n. 1165. Invec�, il testo approvato 
dal Senato, e ora trasmosso alla Camera, non sembra 
che apporti ai suddotti articoli alcuna modificazione 
seria, s� che non Di vede davvero la ragione d'una sua 
trasformazione in logge. 
2. Disegno di legge n. 2088 (iniziativa governativa): 
Norme per il funzionamento di appalti di lavori e forniture 
per le Amministrazioni dello Stato. -Con questo 
disegno di leggo si intendo attribuire ai Ministri competenti 
la facolt� di concedere anticipi alle imprese 
appaltatrici o fornitrici sull'importo degli appalti o 
forniture. � questa una innovazione notevole nel sistema 
finora segu�to in base alle vigenti leggi di contabilit� 
e alle leggi sulle opere pubbliche e sulle pubbliche 
forniture. In occasione di questo disegno di legge viene 
formulata anche una norma (art. 8) che innova radicalmente 
il sistema vigente in materia di controlli sui 
contratti della Pubblica Amministrazione. Si prevede 
cio� la costituzione d'una Commissione composta di 
1m consigliere di Stato, un consigliere della .Corte dei 
conti, d'un Avvocato dello Stato e dal Direttore capo 
della Ragioneria centrale presso l'Amministrazione interessata; 
all'esame di questa Commissione sono sottoposti 
tutti gli schemi di contratto e di avvisi d'asta. 
L'avviso favorevole di tutti e quattro i membri della 
Commissione sostituisce a tutti gli effetti, sia il_parere 
del Consiglio di Stato, sia quello dell'Avvocatura, sia 
il visto della Ragioneria sia il controllo della Corte dei 
conti. Qualora nel verbale risulti il motivato avviso 
sfavorevole di uno o pi� dei suddetti membri della 
Commissione, esso � preclusivo e il Ministro competente, 
ove non ritenga di ni.odificare l'avviso d'asta o 



-150 

lo ~cl�ema" di contratto, investir� della questione l'or


gan� il cui rappresentante abbia espresso l'avviso 

contrario. � 

Questa norma, si sarebbe d�vuta introdurre nel nuovo 

testo della legge di contabilit� generale dello Stato, attualmente 
in corso di formulazione; ma si � ritenuto di 
stralciarla per motivi di urgenza, essendosi considerato 
indispensabile procedere al pi� presto ad una modifica 
delle norme vigenti, che consentisse di snellire l'attuale 
sistema di controllo, Mentre condividiamo l'esigenza di 
questa riforma, la sua urgenza ed anche il nuovo metodo 
che si vuole introdurre, la formulazione proposta non 
ci sembra delle pi� felici. Premesso che la prevista Commissiono 
'non � una vera Commissione perch� manca 
proprio di quel carattere che � essenziale a tali organi, 
e cio� della collegialit� (� evidente, invero, che ognuno 
dei componenti della Commissione deve decidere per 
conto proprio), � da rilevare che, nel prevedere l'eventualit� 
dell'avviso contrario di alcuno dei membri (con 
le conseguenze sopra indicate), non si � evidentemente 
tenuto conto del fatto che, modificando l'atto nel senso 
voluto dal membro dissenziente, si potrebbe finire per 
trovarsi in disaccordo con gli altri membri che avevano 
espresso parere favorevole. � chiaro che meglio sarebbe 
stato disporre che, in caso di dissenso di anche uno solo 
dei membri della Commissiono, si sarebbe dovuto seguire 
l'attuale procedura ordinaria, cio� l'atto si sarebbe 
dovuto sottoporre a quei visti e a quei controlli regolati 
dalle norme vigenti. O si sarebbe potuto riprodurre il 
sistema regolato dagli articoli 4 e 6 del D.L. 21 giugno 
1940, n. 856, attribuendo alla Commissione prevista 
nel presente disegn� di legge carattere pieno di 
�organo collegiale, cio� deliberante a maggioranza di voti. 

Un altro punto del progetto che me~ita seria conside


razione � l'art. 4 secondo il quale i materiali per cui 

si concede l'acconto passano in propriet� dell'Ammini.
strazione. 

Ilpassaggio di. propriet� importa gravi conseguenze 

di cui si � fatta in passato onerosa esperienza. Le materie 

approvvigionate e introdotte in fabbrica e in cantiere ai 

fini della esecuzione del contratto sono soggette ad un 

esame degli organi che dirigono o sorvegliano il lavoro, 

esame che non ha per� la completezza e la penetrazione 

di un regolare collaudo e vengono poi impiegate nella 

esecuzione dell'opera e del manufatto che non passa in 

propriet� dell'Amministrazione fino a che non siacollau


dato od accettato. Ora, in questo collaudo', non di rado 

emergono difetti delle materie impiegate ancorch� fossero 
state sommariamente esaminate in precedenza ed 
� quindi necessario che la qualit� delle materie possa 
essere esaminata e discussa in sede di collaudo finale con 
la necessaria accuratezza, il che diviene impossibile so 
esse gi� appartengono �ll'Amministrazione che se le 
avesse regolarmente acquistate si sarebbe data carico 
della loro idoneit� in modo ben pi� accurato di quanto 
accada al momento della semplice introduzione in 
fabbrica o in cantiere. 

In secondo luogo, e questo � il rilievo di maggiore portata, 
la dichiarazione di passaggio di propriet� importa 
il passaggio dei rischi per eventi di forza maggiore od 
anche per i semplici deperimenti, conseguenza cos� grave 
che gi� nel R. D. 8 febbraio 1923, n. 422 (art.Il) sulle 
opere pubbliche essendosi prevista l'opportunit� dico~cedere 
acconti sui materiali approvvigionati e volendo 
procurare all'Amministrazione una garanzia pel' tale acconto, 
si � stabilito che n'.on ostante la avvenuta accettazione 
da parte dell'Amministrazione ogni rischio sarebbe 
rimasto a carico dell'imprenditore. 

Questi precedenti hanno indotto a prendere in esame 
le disposizioni sul passaggio di propriet� dei materiali 
in caso di acconto nel progetto per la riforma della legge 
sulla contabilit� di Stato e la formulazione definitiva 
della norma non � ancora precisata perch� il progetto � 
ancora allo studio. Comunque dato che nel presente progetto 
sulle anticipazioni occorre affrontare la situazione 
sembra che la norma potrebbe essere diversamente formulata 
tenendopresente il fine di procurare unagaranzia 
senza gravare l'Amministrazione di eccessive esposizioni 
economiche le quali sono di tale portata daf!w pensa.re 
che forse minor danno deriverebbe nel complesso dal 
concedere l'acconto senza altra garanzia che quelle gi� 
stabilite per la esecuzione del contrattq o di quella personale 
dell'imprenditore, tanto pi� che nel corso della 
esecuzione del contratto maturano continuamente crediti 
dell'Impresa su cui � .assai.facile ricuperare l'acconto 
soprattutto nel caso in cui le materie su cui � 
stato corrisposto corrano pericolo di perdita o deterioramento 
o di distrazione dai fini dell'opera. 

Ad ogni modo se si vuole mantenere la regola per cui 
l'acconto sui materiali deve dar luogo ad una garanzia 
si potrebbe forse con formulazione diversa da quella 
prevista raggiungere questo fine senza addossare inutilmente 
rischi all'Amministrazione. 



IN D I e E s I s TE MA T�1 �e-o 
DELLE CONSULTAZIONI 


LA FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE li: STATA DAT-4 

ACQUE PUBBLIC,HE. -Chi debba essere considerato 
�scopritore� di acqua sotterranea ai sensi del T. U. 11 
dicembre 1933, n. 1775. (n. 19). 

Alv.tMINISTRAZIONE PUBBLICA. -1) Se l'atto 
con il quale si procede alla dichiarazione di zona depresrn 
ai sensi della legge 10 agosto 1950, n. 647 debba essere 
un atto formale (n.116). -II) Se tale dichiarazione costituisca 
condizione preliminare inderogabile per l'intervento 
dello Stato per l'esecuzione di opere pubbliche nella zona 

(n. 116). -III) Se in applicazione della legge n. 647 del 
1950 possano eseguirsi opere anche al di fuori dei 
limiti della zona depressa (n. 116). -IV) Se la inclusione 
di opere pubbliche nel programma di lavori predispoi;to 
ai sensi dell'art. 2 della legg\'l n. 647 del 1950 porti all'estensione 
automatica degli art. �3 e 20 de.lla legge 
n. 589 del 3 ago~to 1949 (n. 116). 
ANI'ICHITA E BELLE ARTI. -A chi spetti la 
propriet� di un mosaico romano antico ritrovato tra i 
ruderi di un tempio esistente nell'area sulla quale attualmente 
� costruito un palazzo vescovile (n. 17). 

APPALTO, -1) Quali siano le conseguenze di ritardi 
nell'esecuzione di un'opera pubblica sulla procedura e sul 
diritto alla revisione dei prezzi (n. 14.6). -II) Se la revisione 
dei prezzi degli appalti di opere pubbliche sia una 
facolt� dell'Amministrazione o un diritto dell'appaltatore. 
(n. 146). -III) Se il parere della Commissione in 
materia di revisione di prezzi sia vincolante per il Ministro 
o se il Ministro possa sent:'re il parere di altri organi 
consultivi (n. 147). 

ASSICURAZIONI. -Se il personale a contratto 
a termine degli uffici del lavoro debba essere assicurato 
contro la disoccupazione involontaria (n. 32). 

COMUNI E PROVINCIE. -Quale sia la posizione 
giuridica di un segretario comunale per il periodo in cui � 
stato allontanato dal servizio per inidoneit� fisica, q~ando 
il provvedimento di allontanamento sia stato annullato 
per illegittimit� (n. 29). 

CONFISCA. -Quale sia il modo con cu'i l'Amministrazione 
pu� procedere allo scioglimento della comunione 
di beni dei quali sia diventata parzialmente proprietaria 
in seguito a provvedimento di confisca relativo 
alle sanzioni contro il fascismo (n. 7). 

CONTABILIT� GENERALE DELLO STATO. I) 
Se l'appaltatore possa valersi della facolt� di sciogliersi 
dall'impegno contrattuale in caso di ritardata approvazione 
del contratto ai sensi dell'art. 114 del Regolamento 
sulla Contabilit� generale dello Stato nel caso in cui si 
sia dato luogo all'esecuzione immediata ai sensi dell'articolo 
337 della legge sui LL. PP. (n. 75). -II) Quale sia 
la forma che deve rivestire un atto con il quale un ex 
dipendente dello Stato residente all'estero delega'taluno 
a riscuotere in Italia competenze arretrate spettantegli 

(n. 76). 
DANNI DI GUERRA. -Se i danni derivanti ad un 
immob:Ie da colpa dei locatari militari debbano essere 
risarciti ugualmente quando, essendo l'immobiie distrutto 
per causa bellica, spetti al proprietario anche l'indennizzo 
per danni di guerra (n. 30). 

ELETTRODOTTO. -Quali siano i rapporti tra gli 
articoli 122 e 126 del T. U. sulle acque e gli impianti 
elettrici, nel caso in cui l'Amministrazionesia proprietaria 
del fondo gravato di servit� di elettrodotto (n. 4). 

FERROVIE. -I) Se ai professori di ruolo delle Universit� 
libere spetti la concessione speciale O (n. 133). II) 
Se le Ferrovie possano considerarsi responsabili di 
un infortunio avvenuto ad un viaggiatore a causa della 
sua discesa dal treno fermatosi fuori della stazione (n. 134). 

IMPIEGO PRIVATO. -Se nella espressione " le 
indennit� di licenziamento� conten.ta nell'art. 1 �della 
legge 5 aprile 1949, n. 135 siano comprese sia le indennit� 
di �nzianit� sia la indennit� sostitutiva del preavviso 

(n. 21). 
IMPIEGO PUBBLICO. -I) Se ed in 'quali limiti 
possa applicarsi al personale degli Uffici stralcio delle 
disciolte confederazioni sindacali fasciste il D.L.C.P.S. 
5 agosto 1947, n. 778 sul rimbor�o delle imposte erariali 

(n. 269). -II) Se il personale a contratto a termine degli 
Uffici provinciali del lavoro debba essere .assicurato 
contro la disoccupazione involontaria (n. 270). -III) Se 
un provvedimento di dimissione d'ufficio adottato dalla 
r.s.i. sia colpito dalla invalidit� prevista d~ll'art. 2 del 
D.L.L. n. 249 del 1944 (n. 271). -IV) Se il D. L. n. 207 
del 4 aprile 1947 debba applicarsi a personale assunto in 
via precaria da uffici statali locali e retribuito con fondi 
diversi da quelli stabiliti per il pagamento degli stipendi 
al personale (n. 272). 

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IMPOSTA DI REGISTRO. -Quale sia il trattamento 
da farsi ai fini dell'imposta di reg"stro ai contratti stipulati 
dagli Ufibi stralcio delle disciolte confederazioni 
sindacali fasciste (n. 69). 

IMPOSTE E TASSE. -Se l'obbligo di denunciare la 
c:>struzione di un'opera pubblica al fine di godere della 
esenzione dall'imposta di consumo di materiali spetti 
all'appaltatore o all'Amministrazione (n. 162). 

INFORTUNI SUL LAVORO. -Se debbano assoggettarsi 
a contributo camerale le addizionali stabile sui 
premi per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, 
ai fini del funzionamento della sezione assistenza ai grandi 
invalidi del lavoro (n. 25). 

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LOCAZIONI. -1) Se in relazione agli immob:li gi� 
appartenenti al cessato P.N.F. possano aversi rapporti 
normali di loazioni tra lo Stato proprietario e altri soggetti 
(n. 56). -II) Se il comma 4� art. 3 del D.L.C.P.S. 

23 d'.cembre 1947, n. 1461 possa applicarsi anche quando 
si paghi erroneamente un canone aumentato per una 
locazione non prorogata (n. 57). 
NAVI. -I) Se il divieto di costituire ipoteche su navi 
destinate a servizio pubblico della navigazione interna 
riguardi solo le concessioni definitive (n. 46). -II) Quale 
sia l'influenza de. D.P. 26 giugno 1950 che ha istituito_ gli 
ispettorati di porto sull'obbligo della tenuta dei registri 
di iscrizione delle navi e dei galleggianti (n. 46). 
NOBILT�, ORDINI CAVALLERESCHI E ONORIFICENZE. 
-Se sia accoglibile la domanda di un 
insignito di decorazione al valore il qual� chieda il ripristino 
a suo favore del soprassoldo di madaglia gi� da lui 
ceduto all'ex opera naz. balilla (n. 7). 
OPERE PUBBLICHE. -1) Se l'atto con il quale 
si procede alla dichiarazione di zona depressa ai sensi 
della legge 10 agosto 1950, n. 647 debba essere un atto 
formale (n. 16). -II) Se tale dichiarazione costituisca 
condizione preliminare inderogabile per l'intervento dello 
Stato per l'esecuzione di opere pubbliche neIla zcra (n. 16) 
-III) Se in applicazione della legge n. 647 del 1950 possano 
eseguirsi opere anche al di fuori dei limiti della zona 
depressa (n. 16). -IV) Se la inclusione di opere pubbliche 
nel programma di lavori predisposto ai sensi dell'art. 2_ 
della legge n. 647 del 1950 porti all'estensione automatica 
degli art. 13 e 20 della legge n. 589 del 3 agosto 1949 (n. 16). 
PENSIONI. -A chi debba essere pagata l'indennit� 
di licenziamento di un operaio temporaneo deceduto 
dopo la cessazione dal servizio (n. 47}. 

POSTE E TELEGRAFI. -Se sia possibile e con quali 
modalit� imporre servit� di passaggio di linee telefoniche 
e telegrafiche tali che il proprietario del fondo servente 
non possa valersi della facolt� concei:ii:iagli dall'art. 183 
del Codice postale delle telecomunicazioni (n. 25). 

PREZZI. -Se il pg.rere della Commissione per la 
rev:sione dei prezzi negli �appalti di opere pubbliche sia 
vincolante per il Ministro e se questo possa sentire altri 
organi �consultivi prima della decisione (n. 10). 

PROPRIET� INTELLETTUALE. -Se concesso 
dall'Amministrazione un compenso ad un impiegato 
dipsndente per una invenzione non ut;lizzata dall'Amministrazione 
stessa abbia l'impiegato diritto alla rivalutazione 
del compenso in caso di ritardo nel pagamento 

(n. 10). 
REGIONI. -Se si� costituzionale una legge della 
Regiol'l.e siciliana la quale attribuisca all'arnEEsore dei 
Lg.vori Pubblici la progettazione, direzione, ecc. del 
Parto di R"posto di II categoria, specie in relazione al 

D. L. 30 luglio 1950, n. 878 (n. 19). 
REQUISIZIONI. -Se ad un notaio per la reqms1zione 
dei locali costituenti il suo studio spetti anche l'indennit� 
una tantum di cui all'art. 60 del T. U. 18 agosto 
1940, n. 1741 (n. 91). 

SCAMBI E VALUTE. --Se il debitore italiano che 
non ha versato allo speciale conto Ist-Cambi il suo debito 
verso l'Inghilterra sia tenuto ora a sopportare la differenza 
di cambio (n. 7). 

SINDACATI. -Quale sia il trattamento da farsi 
ai fini del�'imposta di registro ai contratti stipulati 
dagli Uffi.Ji Stralcio delle disc�olte confederazioni sindacali 
fasciste (n. 9). 

TURISMO. -I) Se sia rimesso alla fa'colt� discrezionale 
del Commissariato per il Turismo stabilire quali 
siano gli enti che possano essere autorizzati in via generale 
ad effettuare viaggi turistici nell'ambito regionale (n. 1). 
-II) Se sia possibile concedere ad aziende autonome di 
cura la licenza di P. S. per gestire agenzie di viaggi e turismo 
(n. 2). 

TRATTATO DI PACE. -Se il Governo italiano sia 
tenuto a pagare sul conto speciale in sterline costituito 
in base agli accordi post-bellici con l'Inghilterra anche i 
debiti di cittadini italiani che non hanno versato a suo 
tempo al conto speciale Ist-�ambi le somme dovute ai 
creditori britannici (n. 35). 

(7102653) Roma, 1951 -Istituto Poligrafico Stato -G. C.