ANNO V -N. 6-7 
GIUGNO-LUGLIO 1952 

RASSEGNA MENSILE 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


PUBBLICAZIONE DI SERVIZIO 

SOMMARIO 


I. 
ARTICOLI ORIGINALI 
La 
questione della legittimit� costituzionale delle leggi di riforma agraria 
negli ulteriori sviluppi giurisprudenziali, degli avv. CESARE A.Bus e 
FRANCESCO AGR�, pag. 85-98.. 

II. NOTE DI DOTTRINA 
l) 
ANGELO DE MATTIA: Errore ed eccesso nell'uso legittimo delle armi, 
recensione critica dell'avv. F. CHIAROTTI, pag. 99-100. 
2) ROGEL VIDAL: L'evolution du d�tournement de pouvoir dans la furisprudence 
administrative, recensione critica dell'avv. A. CHICCO, pag. 100-102. 

III. 
RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA 
l) Amministrazione pubblica -Provvedimento straordinario di sicurezza 
pubblicQ. -Natura di atto politico (Corte di Cassazione), pag. 103-104. 
2) Impiego pubblico -Impiegati dello Stato -Ruoli transitori (Consiglio 
di Stato), pag. 104. , 
3) Imposta di registro -Prescrizione -Contratti a corrispettivo variabile 

o presunto (Corte di Cassazione), pag. 109-105. 
4) Imposte e tasse -Imposta profitti di guerra -Responsabilit� degli 
amministratori e liqmdatori (Corte di Cassazione), pag. 105-107. 
5) Imposte e tasse -Com.missione Centrale -Ricorso per cassazione, 
art. 111 della Costituzione (Corte di Cassazione), pag. 107-109. 
6) 
Responsabilit� civile -Impiegato infortunato -Rivalsa del datore 
di lavoro contro il terzo (Corte di Cassazione), pag. 110-112. 

IV. 
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI 
l) Competenza -Foro dello Stato (Corte d'Appello di Roma), pag. 113. 
2) Competenza -Competenza per territorio (Tribunale di Roma), pag. 113. 
3) 
Scambi e valute -Versamenti in clearing -Sequestro delle somme 
(Corte d'Appello di ~;1ilano), pag. 113-118. 

V. 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE, pag. 119. 
VI. INDIOE SISTEMATICO DELLE CONSULTAZIONI, pag. 120-123. 

ANNO V -N."'6-7 GIUGNO-LUGLIO 1952 

RASSEGNA MENSILE 


DELL'AVVOCATURA DELLO 


PUBBLI(JAZIONE DI SERVIZIO 


LA QUESTIONE DELLA LEGITTIMITA ' COSTITUZIONALE DELLE LEGGI 
DI RIFORMA AGRARIA NEGLI ULTERIORI SVILUPPI GIURISPRUDENZIALI 


In questa Rassegna (1951, pagg. 153-156 e 
177 -181) ci siamo gi�. occupati delle questioni 
sorte circa la illegittimit�. costituzionale delle 
leggi di riforma agraria e, in special modo, circa 
la pretesa incostituzionalit�. dell'art. 5 della legge 
cosidetta �silana� (legge 12 maggio 1950, n. 230). 
Sulle questioni suddette si � pronunciato il Consiglio 
di Stato che, con decisioni dell'Adunanza 
Plenaria del marzo 1952, dopo aver dichiarato 
ammissibili i ricorsi contro i decreti legislativi di 
esproprio emessi in base al citato art. 5, li ha in 
parte accolti. Le decisioni sono state pubblicate 
nelle maggiori riviste di giurisprudenza ed ampiamente 
commentate; si ravvisa pertanto inutile 
trascriverne il testo. 

Pubblichiamo invece, qui di seguito, per i lettori 
della nostra Rassegna, i motivi dei ricorsi proposti 
alle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione 
contro le suddette �decisioni, nell'interesse del 
:Ministero Agricoltura e Foreste; in essi sono 
diffusamente confutate sia le tesi accolte nelle 
decisioni impugnate, sia le argomentazioni degli 
scrittori che le hanno sostenute. 

MOTIVO DI RICORSO 

PARTE PRIMA 

Difetto di giurisdizione per illegale costituzione 

del giudice. Violazione degli articoli 45 T. U. 26 

giugno 1924, n. 1054, modificato dalla legge 21 

dicembre 1950, n. 1018, e 1 decreto legislativo 5 

maggio 1948, n. 642. Violazione del decreto del 

Presidente della Repubblica che costituisce l'Adu


nanza Plenaria delle Sezioni giurisdizionali del 

Oonsiglio di Stato. 

Articoli 161, 360, 374 e 382 cod. proc. civ. 

Basta indugiare un momento sulle sottoscrizioni 
apposte alla decisione impugnata per convincersi 
che l'Adunanza Plenaria delle Sezioni giurisdizionali 
del Consiglio di Stato, che ebbe a pronunciarsi, 
non � l'Adunanza Penaria prevista dal 
legislatore e dal Decreto del Presidente della 
Repubblica, relativo alla sua costituzione, per 
quantit�. e per qualifica dei componenti. � qui 
palese la. viola.zione degli articoli 45 T. U. 26 

giugno 1924, n. 1054, pur come modificato dalla 
legge 21 dicembre 1950, n. 1018, e 1 decreto legislativo 
5 maggio 1948, n. 642, ratificato dalla 
legge 19 marzo 1952, n. 161. � palese, del pari, 
la violazione del decreto del Presidente della 
Repubblica che costituisce per l'anno di cui trattasi, 
l'Adunanza plenaria. 

Che il Collegio che ebbe a decidere difettasse 
di giurisdizione, non essendo quel Collegio al quale 
la legge attribuisce poteri giurisdizionali sembra 
verit�. consta.tabile dai fatti, e che non necessita 
di dimostrazioni. Che, pertanto, la decisione, 
come tale, vada. dichiarata nulla, � punto nel 
quale non sembra sorgano difficolt�.. 

� assai delicato, invece, il problema delle conseguenze 
di questa. nullit�.. 

Giacch�, da una parte, potrebbe la Suprema 
Corte di Cassazione limitarsi a dichiarare che 
nella controversia non � ancora intervenuta una 
decisione, e -constatato di non essere stata 
investita di un ricorso per regolamento preventivo 
di giurisdizione -lasciare che il Consiglio di 
Stato, gi�. adito dal ricorrente, si pronunci validamente 
(come Consiglio di Stato), restando impregiudicati 
i diritti delle parti ad impugnare la 
decisione (una. volta che questa sia legalmente 
emessa) anche per improponibilit�. assoluta della 
domanda o per difetto di giurisdizione. 

Ovvero, intendendosi la Corte Suprema investita 
di diversi problemi afferenti alla esistenza 
della giurisdi2!ione del Magistrato, a suo tempo 
adito, essa pu� ritenere di dovere rispondere al 
quesito se il ricorso sia proponibile, ed il Consiglio 
di Stato, munito di poteri giurisdizionali nella 
soggetta materia. 

Per questa seconda ipotesi si formulano i se


guenti ulteriori motivi d.i ricorso, preceduti da un 

preambolo nel quale verranno illustrati, meglio 

che non sia possibile fare nei singoli motivi di 

ricorso, gli esatti termini del problema giuridico 

che forma il fondo dell'attuale dibattito. 

p ARTE . S:�ilCONDA 

Inesistenza della giurisdizione del Oonsiglio di 
Stato nella materia controversa --. Improponibilit� 
assoluta della domanda. 


-86 


PREAMBOLO .A.I MOTIVI DEL RICORSO 

1) Perch� leggi delegate? 

Non. sembra che il Oon.siglio di Stato, n.el pron.
un.ciare le du� decisioni sopra trascritte, si sia 
posta la domanda se la realt�. sulla quale il legislatore 
del 1950 si proponeva di operare n.on. 
prospettasse per avventura problemi, che non si 
potessero altrimenti risolvere, ed esigenze, cui 
non.. si potesse altrimenti adempiere, se n.on. per 
via della delegazione legislativa del Parlamento 
al Governo, disposta dall'art. 5 della legge 12 
maggio 1950, n.. 230. 

L'in.dagin.e relativa �, come 'ognuno vede, del 
pi� alto interesse giuridico. Trattasi, infatti, di 
fare uso del can.on.e storico-teologo di interpretazione 
delle leggi seguendo la via logica di identificare, 
in. primo luogo, il fin.e propostosi dal legislatore, 
per -successivamente -stabilire l'adeguatezza 
dello strumento usato rispetto allo scopo 
perseguito, riservando per ultima, ed in. quanto 
ammissibile a fil di diritto, la valutazione della 
legittimit�. costituzionale di entrambi i termini 
del rapporto: se lo scopo sia costituzionalmente 
plausibile, e .se il mezzo per perseguirlo sia giuridicamente 
adeguato ed abbia diritto di cittadinanza 
nel vigente ordin.amen.to giuridico. In. altre parole 

qui (come in ogn.i campo di valutazioni logiche) 
� in.evitabile che le domande: che cosa M a che 
cosa serve? precedano razionalmente l'altra: quanto 
vale? 

Ora, determinato in. tal guisa l'ordine naturale 
delle questioni,non apparisce dalle decisioni denunciate 
che il Giudice amministrativo (il quale, pure, 
nel tentar di rispondere alla domanda se i decreti 
delegati in questione ponessero un novum ius, 
aveva rasentata sia l'impostazione, sia addirittura 
l'esatta soluz.ione del problema) abbia adeguatamente 
considerata l'essenziale importanza del 
punto ora indicato: perch� il Parlamento ha ritenuto 
di dover delegare in. questa materia la funzione 
legislativa al Governo~ N � sembra risposta soddisfacente 
(o addirittura, se si vuole, riguardosa 
per il legislatore, impegnato in opera di tanto 
momento giuridico e politico), dir che la legge 
Sila aliud dixit, aliud voluit, non avendo il Parlamento, 
nonostante le parole usate, inteso conferire 
delega di sorta, ma solo stabilire un'attribuzione 
di competenza amministrativa, cosi come 
� dato leggere nella decisione Gi~glielmi, o addirittura 
discorrere di �apparenza di delega))' intesa 
a sottrarre a gravame un atto amministrativo, 
degna della �pi� aperta censura))' come il Collegio 
giudicante proclama nella decisione Giannelli. 

Invero, se il Consiglio di Stato, obliterando ogni 
impedimento costituzionale, intendeva veramente 
manomettere leggi delegate, non poteva esimersi 
da un.'in.dagine in profondit�. in ordine alla norma 
di delegazione, indagine condotta su tutto quanto 
il corpus rappresentato dalie leggi Sila e stralcio, 
in relazione alle :finalit�. concrete perseguite, e 
non circoscritta ad una frase estratta dai lavori 
preparatori della legge ed ad una costruzione 
meramente teoretica (che lo stesso Consiglio di Stato 

riconosce n.on avere espresso fondamento nelle 
disposizioni positive vigenti) sulla pretesa riserva 
dell'atto amministrativo. 

L(li difesa dell'amministrazione fida, anzi � 
certa, che la Suprema Oorte Reg9la,trice non ometter�. 
di dare il giusto peso all'identificazione della 
causa finale della delega legislativa di cui trattasi, 
e si permette, pertanto, di indicare quella che, a 
suo avviso, � la ragione sufficiente di questo fenomeno 
giuridico. 

Quando si discorre di riforma agraria, di riforma 
fondiaria, etc., si enuncia non un singolo ed unico 
tema, ma una pluralit�. di esigenze concorrenti, 
che ip.al si prestano ad una reductio ad unum. Per 
costituire la piccola propriet�. contadina occorre, 
infatti, non solo togliere la terra a chi' la ha per 
distribuirla a chi non la possiede, non solo spezzare, 
l� dove esista, il monopolio della propriet�. fondiaria, 
ma anche, nello stesso tempo ed allo stesso livello 
di importanza, realizzare le condiz.ioni ambientali, 
economiche e tecniche, perch� questa piccola propriet�. 
possa impiantarsi e mantenersi vitale. 
Qui si cessa di ragionare in termini di leggi gracchiane, 
di maximum di propriet�. fondiaria, di 
ripartizione, etc., per cominciarsi a discorrere di 
bonifica, di strade, di case, di acquedotti, di elet


trodotti, etc. 

Trattasi cosi di trovare il punto di equilibrio 
fra pi� esigenze concorrenti: redistribuzione della 
terra (e garanzie dei proprietari espropriati); 
esecuzione di opere pubbliche di riforma e bonifica; 
sorte dei diritti ad tempus di terzi soggetti 
(affittuari, cooperative, coltivatori diretti, etc.); 
sorte di usi civici eventualmente esistenti, etc. 

Tale complesso di necessit�. non poteva, evidentemente 
essere soddisfatto, n� autorizzando �sic 
et simpliciter � gli Organi amministrativi dello 
Stato e gli enti di. Riforma a far incondizionatamente, 
sul piano amministrativo, quel che volevano 
nelle zone Sila e stralcio (con il che, indipendentemente 
da qualsiasi rilievo di costituzionalit�., si 
sarebbe, allora si davvero, aperto l'adito ad ogni 
arbitrio), n� costringendo gli Organi ed Enti 
suddetti all'esatta, diuturna e costante osservanza 
di pre3etti astratti ed onnivalenti limitativi, e 
circoscrivendo in ogni modo l'attivit�. dei medesimi 
nei confini spettanti alla ben limitata sfera di 
libert�. nei mezzi, concessa all'amministratoreesecutore. 
Oi� avrebbe, infatti, comportato il 
rischio di da,r vita ad una legge autofaga, dove 
il raggiungimento del fine sarebbe stato in tutto 
od in parte frustrato e vanificato dalla inadeguatezza 
del mezzo. Ovvero, l'altro, di assicurare in 
ogni caso la realizzazione dello scopo, limitando, 

a tal fine, le garanzie dei privati controinteressati 
in cos� ristretti limiti, da assicurare in ogni caso 
l'attuazione della riforma agraria e fondiaria pur 
nel funzionamento universale delle garan,zie medesime. 
Ci� che era, se possibile, ancor meno desiderabile 
ed ancor pi� nocivo al pubblico interesse 
che non la prima soluzione. 

N � era, evidentemente, da considerare possibile 
e plausibile limitare le leggi Sila e stralcio all'unico 
obiettivo della redistribuzione della terra, 
mandando l'.Amministrazione, per quel che con




7 

i& TJ&Qb? Mi, ;tm i li 


-87


cerne l'obiettivo bonifica, a provvedere a' sensi 
della legge generale sulle espropriazioni per pubblica 
utilit�.. 

Ragionare in questi termini significa negare la 
solidariet�. della riforma � agraria � con la riforma 
� fondiaria �, e cio� l'essenziale, inscindibile unit�. 
del problema della piccola propriet�. contadina, 
nel duplice aspetto: dare la terra ai contadini ed 
assicurare la possibilit�. fisica ed economica che 
il contadino sia sulla terra e la coltivi; significa, 
inoltre, non rendersi conto dell'esigenza di sincronia 
fra distribuzione della terra e impianto 
delle opere di infrastruttura (bonifica, strade, etc.). 

Tanto premesso, � chiaro che il problema non si 
risolve al livello amministrativo. Esso impone di 
assurgere a quello legislativo. Occorre che chi 
deve �fare� la riforma agraria abbia non la pi� 

o meno estesa discrezionalit�. dell'amministratore, 
ma la libert�. del legislatore: che possa, cio�, ius 
facere caso per-caso: dettare caso per carso il diritto 
obiettivo, nuovo per i fondi in questione, a seconda 
del prevalere di una o di un'altra necessit�. di 
fatto. 
Non, adunque, meri atti. formali, rivestiti �ad 
pompam � del carattere e della dignit�. di legge, 
e neppure atti semplicemente ordinati a superare 
questo o quell'altro ostacolo, identificato, derivante 
dall'ordinamento positivo vigente (come 
accade, p. es., per la legge di concessione della 
cittadinanza o di una pensione extra ordinem), 
bens� vere e proprie leggi sostanziali ad oggetto 
limitato, si, ma poste veramente a creare il diritto, 
non ad applicarlo n� a derogarvi. 

E leggi necessariamente delegate. Delegate, 
giacch� occorreva superare lo iato che di fatto 
(e non di diritto) esiste tra Parlamento ed azione 
concreta condotta, in base a valutazioni tecniche 
esperibili soltanto cc in loco �. Delegate, giacch� � 
non voler chiudere gli occhi di fronte alla realt�. 
prescindere dall'ingorgo che nei lavori legislativi 
(e politici) ordinari delle Camere avrebbe determinata 
la votazione di questa massa di leggi in 
privos latae. 

Ed � cosi che si spiega la presenza nell'ordinamento 
giuridico italiano delle leggi Sila e stralcio. 
Giacch� i� termini problematici in cui il Consiglio 
di Stato' avrebbe dovuto porre la questione, ad un 
certo punto e se si entri nello spirito giuridico 
delle cose, sono reversibili, potendosi il quesito 
sopra enunciato formulare come segue: perch� il 
legislatore avrebbe regolato in maniera generale 
ed astratta le espropriazioni ad reformandum, 
dettandone una compiuta disciplina, se poi doveva 
delegare a tal. fine l'esercizio della funzione legislativa 
al Governo'I Rispondere con l'art. 42 della 
Costituzione (senza una legge generale non si 
eseguono espropri) � risposta puramente formale. 
Nella sostanza deve dirsi che il Parlamento esigeva 
che il Governo nell'attuare le espropriazioni 
in questione si conformasse a determinate idee 
generali. E tali idee generali espresse sotto forma 
di legge, in quanto solo con leggi il Parlamendo 
pu� esprimersi. Ma al tempo stesso intendeva il 
legislatore delegante, che il Governo assumento 
tali idee come direttive (scil. cc principi e criteri 
direttivi�: art. 76 del_la Costituzione), impegnative 

quanto si voglia na non rigidamente vincolanti 
per il delegato. Cosi deve leggersi l'art. 5 della 
legge Sila (anche nel richiamo di cui all'art. 1 
della legge .stralcio �: che i principi e criteri direttivi 
siano quelli definiti dalla presente legge non � 
n� frase generica, dettata in ossequio:� formale 
all'art. 76 della Costituzione, n� imprecisione 
tecnica; � invece l'espressione esatta ed adeguata 
della volont�. del legislatore delegante. Gli articoli 
di legge, dai quali i provvedimenti in questione 
ricevono dettagliata disciplina (e ci� ha indotto 
a negar carattere di legge ai decreti l�gislativi 
delegati in argomento) sono vere d,irettive date 
dal parlamento al Governo ed attenersi ad una 
direttiva non � affatto applicare meccanicamente 
un comando. 

N� a questo, e correttamente, s'� limitato il 
Pa:rlamento. Il teneat dum tenere potest che caratterizza 
siffatte forme di limitazione alla attribuzione 
di poteri; la delicatezza del problema delle 
garanzie esterne (se del caso, giurisdizionali) avverso 
gli atti delegati; la responsabilit�., infine, 
che il Parlamento assumeva di fronte al Paese 
che la riforma fosse attuata ed attuata bene, furono 
sentite dal legislatore delegante. E tanto sentite 
che, fuor dai consueti schemi di delegazione, il 
Governo venne affiancato da una Commissione 
Parlamentare, che ne controllasse l'operato per 
riferirne, se del caso, alle Camere, .competenti 
agli �effetti delle sanzioni politiche. 

Insistiamo, nonostante il contrario pensiero del 
Consiglio di Stato, su questo punto: che, se il 
Governo doveva agi+e da esecutore-amministratore, 
se cio�, la delega fosse stata una pseudodelega, 
la presenza della Commissione Parlamentare 
avrebbe costituito pi� che una scorrettezza, 
un errore costituzionale. Non. � esatto che sia normale 
per l'ordinamento giuridico italiana impegnare 
la responsabilit�. di (ci sia concessa l'espressione) 
cc Uffici distaccati del Potere legislativo )) in 
attivit�. di Governo o di amministrazione. Ci� 
pu� accadere, e ben di rado, o quando al Governo 
sia affidata attivit�. ricadente nell'ambito legislativo 
(cos� per i codici o per qualche testo unico), 

o quando trattisi di funzioni politiche, e la Commissione 
parlamentare debba funzionare non come 
rappresentanza del Potere legislativo, ma come 
emanazione dei gruppi parlamentari, (cos�, p. es., 
nel caso della R. A. I.) o, infine, per peculiari 
eccezionali forme di gestione finanziaria, a tutela 
della pubblica .fede. Mai, per quanto ci risulta, 
laddove il Governo agisca nella veste di Potere 
esecutivo e, meno che mai, nella specifica funzione 
di Amministrazione Pubblica. 
Con tale procedimento si raggiungeva un duplice 
effetto, n.on sappiamo sin.o a che punto presente 
alla mente delle due Camere quando la legge 
Sila venne discussa ed approvata, ma oggi (e 
particolarmente dopo le decisioni del Consiglio di 
Stato) rifulgente in piena nitidezza. Tale effetto 
essendo la certezza del diritto, e nei confronti di 
chi perdeva e nei confronti di chi acquistava od~ 
era destinato ad acquistare. 

Nei con.fronti dei proprietari espropriati: la 
forma e forza di legge e l'cc auctoritas patrum )) 
come sopra interposta, serviva ad assicurare che 



-88 


li provvedimento era stato adottato al cospetto 
della rappresentanza legale del Paese raccolta 
nelle due Camere, e che il pur doloroso sacrificio 
era stato offerto veramente sull'altare del Dio. 
Nei confronti dei contadini assegnatari la maest�. 
e sacert� della legge valeva a render sicuro l'acquisto 
-in definitiva a suscitare e confermare la 
fede nella 1iforma agraria -di fronte a possibili 
trasformazioni nell'assetto storico delle cose 
d'Italia. E chi abbia presenti taluni precedenti 
storici (p. es. atteggiamento degli acquirenti dei 
beni nazionali di fronte al Termidoro, all'Impero 
ed alla Restaurazione) pu�, ed a ragione, non 
sottovalutare il bene che per tale via, e forse 
inconsapevolmente, si arrecava alla causa della 
civica pace e della concordia. 

Devesi pertanto affermare, a conclusione di 
questi primi chiarimenti sul fon.do della questione, 
che i dati del problema di fronte al quale il legislatore 
delle leggi Sila e Stralcio si trovava, imponevano 
di necessit�. la soluzione della delega 
legislativa. Ohe, inoltre, i provvedimenti per � 
quali � questione hanno natura e caratteri sostanziali, 
oltre che formali, di leggi. Ohe non risponde 
ad esattezza la strana ricostruzione dei fatti (non 
si comprende sino a qual punto condivisa dall'Adunanza 
Plenaria delle Sezioni giurisdizionali del 
Consiglio di Stato), secondo la quale le Camere 
avrebbero imposto al Governo riluttante di servirsi 
d'una pseudo-delega per sottrarre a sindacato � 
giurisdizionale veri e propri atti. amministrativi 
(giacch� fu d'iniziativa del Parlamento e non del 
Governo, come ognuno sa, che l'art. 5 venne 
introdotto nella legge Sila). 

Se, poi, questa delega sia costituzionalmente 
legittima, e se comunque gli atti in tal guisa 
delegati possano formare oggetto principale di 
cognizioue diretta da parte del Giudice di legittimit�. 
degli atti amministrativi, sono problemi 
che si tenter�. di risolvere esponendo i motivi del 
presente ricorso. 

Qui g.iova soltanto porre un punto fermo: che 
trattasi di vere leggi sostanziali delegate, non di 
atti .amministrativi. 

2) La qualificazione dell'atto da parte del Giudice� 
Limiti. 

Qui non si tratta n� di stabilire se di fronte ad 
un atto che esso stesso dichiari la propria cc forza 
di legge >> sia consentita l'indagine del Giudice, 
diretta a stabilire se questo conferimento di cc forza 
di legge >> abbia o non abbia in fatto effettivamente 
avuto luogo ad opera dell'Organo (legislativo) 
competente. 

E, neppure, se nel nostro ordinameuto costituzionale 
vi siano limiti a che il Parlamento attribuisca 
cc forza di legge >> a determinati atti del Potere 
Esecutivo. 

Nella sede presente, e per quanto interessa 
questo Preambolo, il problema che si pone � il 
seguente: se, titenutosi da parte del Giudice della 
legittimit�. degli atti amministrativi che il Potere 
legislativo abbia male (erroneamente od incostituzionalmente) 
siglato del segno della cc forza di 
legge>> atti intrinsecamente amministrativi, sia, 

poi, nei poteri di questo Giudice, al fine di affermare 
la propria giurisdizione sugli atti di cui trattasi, 
spogliare gli atti in questione della porpora legislativa 
usurpata e riconoscerli, prima, e trattarli, 
poi, come atti ammi:uistrativi. 

Tale quesito non avrebbe, nella sostanza delle 
cose, ragione di essere una volta che, come dianzi 
si � brevemente dimostrato, nel caso in esame si 
� di fronte a vere e proprie leggi delegate, a vere 
e proprie fonti di diritto obiettivo. Ma la Difesa 
dello Stato crede non inopportuno che alla Suprema 
Corte di Cassazione sia sottoposta la questione 
formale di principio, che si manifesta di una non 
sottovalutabile importanza per la sicurezza giuridica 
e l'ordinato esercizio dei pubblici poteri. � 

E cominciamo da alcune pacifiche osservazi0ni. 
Ohe, nei termini pi� generali, un atto vada inteso 
per quello che � e per quel che comporta, indipendentemente 
dal � nomen iuris i> che si trovi ad 
avere attribuito, � verit�. tanta ovvia, che sembra 
persino superfluo il dichiararla. Trattasi di principio 
di applicazione universale (come ben riconosce 
la decisione Guglielmi), valevole tanto nel 
campo del diritto sostan~iale, pubblico e privato, 
quanto i:n quello del processo. 

Non trattasi di fenomeno che vada necessariamente 
riferito all'esercizio della giurisdizione, e 
forse neppure all'uso dei pubblici poteri. 

Se il merciaiolo ambulante, imbonendo il proprio 
pubblico, proclama che egli non vende la mercanzia, 
ma la regala, chi aderisce alla sua offerta pu� 
-o addirittura deve -sapere che egli, nonostante 
quanto l'altra parte vada dicendo, stipula 
una compravendita e non accetta una donazione. 

.Ad un pi� alto livello: il Procuratore del Registro 
tassa l'atto per quel che dispone e per le 
clausole che porta e non per l'intestazione che 
ai contraenti sia piacuto di apporvi. 

.Ancora: il Giudice che si trovi di fronte ad un 
rapporto controverso, per prima cosa di fronte 
alle parti -ancorch� queste nori. disputino affatto 
nella effettiva natura e definizione giuridica del 
rapporto medesimo -deve, per suo conto, indagare 
in che cosa consista il gestum negotii ed a 
quale categoria giuridica esso si appartenga. Del 
pari, il Giudice d'.Appello, se si trova di fronte 
ad una pronuncia che il Giudice di primo grado 
abbia denominato ordinanza, ed invece sia sentenza, 
e cosi via. 

Si pu� arrivare sino al punto~che -per stare 
al caso trattato -il Giudice di legittimit�. degli 
atti amministrativi, affermi la pro.:pria competenza 
su atti legislativi, assumendo che questi per 
la loro in,trinseca portata altro non sono (attenzione: 
non altro non dovrebbe essere!) che atti amministrativi~ 
E si pu� spingere il funzionamento 
del meccanismo sino al punto di dire che l'Amministrazione, 
ricevendo siffatta pronuncia del 
Consiglio di Stato, per suo conto legga in essa 
non gi� una decisione giurisdizionale, ma una 
legge di abrogazione di atti legislativi, e la consideri, 
pertanto, un nulla giuridico, atteso che-non spetta 
al Consiglio di Stato emanare leggi abrogative 
Eppure ci� sarebbe, in un certo senso, 
perfettamente razionale, giacch� certe posizioni 
logiche si collaudano al limite, ed il diritto-dovere 

.~



-89 _. 


di identi1�care l'atto e trattarlo per quello che esso 
realmeD,te � vale per tutti, od almeno per tutti i 
poteri dello Stato. 

Un limite, adunque, ci deve essere. Il problema 
sta a trovarlo. 

Sembra a chi scrive che sia erroneo considerare 
come un quid giuridico autonomo e comunque, 
come un potere giuridico, o qualcosa di simile, 
a s� stante la qualificazione dell'atto e del negozio. 
Come, cio�, se tale facolt� costituisca una prerogativa 
ben identificata di chi deve eseguire od 
applicare la legge, concettualmente isolabile e con 
propri caratteri differenziali nel complesso universo 
giuridico, ovvero -d'altra parte -come manifestazione 
di un potere d'imperio, e non come 
constatazione e riconoscimento. 

�, invece, da credere che pur in questo caso 
non si dia altro fenomeno se non quello generalissimo 
e costante della osservanza della legge. La 
definizione legislativa � pur essa un precetto giuridico 
(iussum definitorium dei giuriconsulti rinascimentali), 
che esige obbedieD.za, esecuzione ed applicazione, 
volta a volta, da cbi � chiamato al suo 
comando. � 

Per stare agli esempi test� addotti: l'acquirente 
obbedir� alla legge civile che definisce compravendita 
e non donazion,e, lo scambio della cosa, 
con,tro il prezzo; il funzionario fiscale eseguir� 
la legge tributaria, e per eseguirla applicher� la 
qualifica che -imperativamente -� data dal 
Codice o da altre leggi ad un determinato negozio; 
il Giudice applicher� -a seconda dei casi la 
legge sostantiva o la legge processuale alla 
res sottopostagli, ed emetter� il proprio comando 
in applicazione del precetto della legge. 

Possono qui darsi diverse posizioni del tema, 
ma tutte riconducibili ad unit�, senza eccezioni. 
Pu� la legge comandare a chi deve osservarla, di 
desumere, per via di interpretazione e di costruzione, 
la definizione del fenomeno regolato, o dal 
suo stesso sistema, ovvero addirittura mediante 
ricorso ai principi generali. E qui non pu� negarsi 
all'interprete una certa qual libert� di apprezzamento. 
Ovvero, essa pu� del fenomeno giuridico 
dare la definizione costante e generale da valere 
perennemente e ad ogni eff�tto (ed � il caso normale 
delle definizioni dei codici civili e penale). 
E qui il comando definitorio della legge validamente 
pu� distaccarsi dai principi generali, e 
comunque dalle nozioni giuridicamente legislative, 
per avventura, una certa fattispecie fuori o addirittura 
contro quel che la logica e la realt� e:x:tragiuridica 
vorrebbero. � evidente che in tal caso 
chi deve osservare l'imperativo, primario o secondario, 
della legge non pu� negarla n� in nome 
dei principi generali del diritto, n� in nome di 
esigenze che con il diritto nulla hanno a che vedere. 

Soltanto la legge pu�, in certe ipotesi, derogare 
a s� stessa. Ed all'interprete non resta che prenderne 
atto. Lo stesso codice civile pu� definire in 
sede generale un certo atto come oneroso, ed in 
sede diversa e speciale considerarlo gratuito. 
Ovvero pu� la legge civile riten.ere dichiarativo� un 
atto, e la legge fiscale assumerlo per costitutivo, etc. 

Risulta da quando si � detto che la qualificazione 
di un �erto atto � operazione logica di rico


noscimento, in ossequio al comando della legge, 
e non operazione volitiva di imperio, che possa 
sovrapporsi, o addirittura prevalere, al comando 
definitorio della legge. 

Ch� se, avventura, il legislatore abbia, poi, 
definito un certo atto in modo da �:!Ie:b.dere un 
precetto costituzionale, non per questo la natura 
dell'atto cambia ad libitum del Giudice. Occorrer�, 
in tal caso, carne sempre, che la congiuntura 
processuale (essendo dati immutabili del problema, 
il comando definitorio della legge, e l'atto cosi 
come esso dalla legge � stato definito) consenta al 
Giudice in parola di esercitare il sindacato di legittimit� 
costituzionale sulla legge de qua e disapplicarne, 
poi, l'iussum nel caso in questione e nell'atto 
in questione, gi�. validamente sottoposto al proprio 
sindacato. 

Con la conseguenza che, come sar� visto in 
seguito, allorquando la legge attribuisca ad un 
Organo un certo potere, in una qualifica costituzionalmente 
illegittima, salta non gi� la qualifica 
(non potendo �l diudice sostituirsi all'ipotetica 
volont� del legislatore) ma tutto quanto l'atto, 
in cui potere e forma, sostanza e qualifica sono 
indissolubilmente compenetrate. 

Sia detto per inciso che tutto ci� ha ben poco 
a che vedere con la trama delle decisioni in istudio, 
le quali partono da carattere di atto amministrativo 
nei decreti in questione, necessario per a:ffermar� 
la giurisdizione del Consiglio di Stato. 

La verit� test� enunciata, e che si riduce a ci�: 
che il Giudice deve obbedire alla legge, sembra. 
ovvia. Ma non deve esserfo tanto se l'.Adunanza 
Plenaria ha potuto spingersi sino a fare� le considerazioni 
seguenti, fondamentali alla struttura 
logica delle decisioni: 

I. cc N� a questa indagine (circa l'identificazione 
cc della natura giuridica dell'atto impugnato) pu� 
cc costituire ostacolo -di regola -la formale nacc 
tura dell'atto o la definizione giuridica data ad 
{{ esso DALLA PARTE, o PER AVVENTURA DALLA 
� LEGGE (sic!) tutte le volte che .a tale natura o -a 
� tale definizione contraddica, al lume dell'indagine 
� giuridica, la .~ostanza dell'atto stesso, nel contenuto 
cc come negli effetti �. (Decisione Giannelli, in aper� 
tura della motivazione di diritto). 
.Affermazione veramente edificante: come quella 
che porta al dispregio, sia dell'ordinamento positivo, 
cui si sostituisce una metafisica �indagine 
giuridica�, che dovrebbe prescindere sia dalla 
legge, sia della forma giuridica) o della formale 
natura degli atti), sulla quale dovrebbero pre-v�lere 
il contenuto e gli effetti. 

Dipregio della forma che trova contrappunto 
nel paragrafo 3 della motivazione in diritto della� 
decisione Guglielmi: se il raggiungimento di determinate 
esigenze sostanziali � reso impossibile 
dalla ferrea logica del processo (forma, anche 
qui), perisca il processo e si salvi la sostanza! 
Dove, resi i dovuti onori alla nobilt� dell~ intenzioni, 
non pu� non ravvisarsi il rischio che, adun 
certo momento, sia travolto tutto il diritto, 
forma e sostanza, e sostituito dall'arbitrio; che 
� sempre arbitrio la giustizia qu~nd'essa neghi� 
i propri limiti positivi. 


-90 


n. ((� ripugna alla logica, ancor prima che al 
� diritto, che possa essere considerato legge l'atto 
� dell'Amministrazione che si limita ad attuare, per 
� il raggiungimento di concrete finalit�, una prece
� dente volont� di legge �. (Decisione Guglielmi, 
paragrafo 2, in fin.e). 
E ripugna alla logica, ancor prima che al diritto 
(pu� dirsi a mo' di commento) che il Giudice 
chiamato ad applicare la leggB al caso concreto 
com�nci con. il negare la legge! 

* * * 

Oome spesso accade, a sorreggere l'errore si 
.invoca la verit�. E la verit�, nel caso in. esame, � 
rappresentato dalla sentenza delle Sezioni Unite 
della Suprema Oorte di Oassazione, emessa in 
data 9 luglio 1947, n. 1093, che si trova, ad essere 
ricordata tanto nella decisione Guglielmi, quanto 
nella decisione Giann.elli. 

Nella specie trattavasi di idtin.tificare la natura 
giuridica delle cc Ordinanze� emesse dall'Alta Oorte 
di Giustizia in tema di decadenza dalla carica di 
Senatore del Regno, a sensi del decreto legislativo 
luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159. 

Or qui va detto con estrema chiarezza, e ad onore 
del vero, che, per giungere al risultato di ravvisare 
in queste ordinanze delle vere e proprie pronunzie 
giurisdizionali, la Oorte ha applicata la 
legge che regolava i poteri dell'Alta Oorte di Giustizia 
e che formava oggetto del dibattito. Non si 
� messa contro l'espresso dettato di questa legge, 
n�, piu modestamente se pur piu sottilmente, ha 
mai pensato di dire che le parole usate dal legisla-. 
tore. ed i concetti giuridici espressi con siffatte 
parole,. costituivano meri fiatus vocis suscettibili 
di libere interpretazioni ad libitum del Giudice. 

Oon paziente e documentata indagine sul testo 

legislativo la Oorte ha infatti osservato, tra 

l'altro: 

a) che gli articoli 1 e 8 del decreto legislativo 

luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159 discorrono 

espressamente di �decisione>> e di e< giudizio�, 

espressioni caratteristiche ai procedimenti di ca


rattere giurisdizionale; 

b) che tutto il corpus del citato Decreto 

Legislativo dichiara patentemente la natura giu


risdizionale dell'Alta Oorte e le funzioni giurisdi


zionali ad essa. costantemente, esclusivamente e 

senza eccezioni demandate; 

e) che, se pur l'ordinanza di decadenza costi


tuisce provvedimento emesso in Camera di Oonsi


glio, deve osservarsi che, secondo il nostro diritto 

positivo -sia per i procedimenti penali, che 

per quelli civili -il procedimento di Oamera 

di Oonsiglio viene adottato, ora, anche per molte


plici materie di carattere giurisdizionale. La forma, 

adunque, non solo non contrasta la sostanza, ma 

la dichiara. N� la legge del 1944 consente che siffatte 

ordinanze siano riconducibili a categoria diversa 

da quella dei provvedimenti giurisdizionali. 

In sintesi: che non solo la legge non attribuisce 

carattere diverso dal giurisdizionale a questi atti, 

ma che essa, invece, espressamente tale carattere 

proclama. 

In altri termini, la Suprema Corte ha posto e 
risolto il problema di identificare la volont� del 
legislatore del 1944, tal quale essa si manifestava 
nei concetti espressi e nelle parole adoperate nel 
testo della legge. Non ha mai pensato di andar 
contro alla natura form�le dell'atta o alla definizione 
giuridica data ad esso . ... dalla legge, adducendo 
che tale definizione ripugna alla logica, 
ancor prima che al diritto. 

Posti i termini della denuncia test� formulata, 
la Difesa dello Stato invoca dalla Suprema Corte. 
di Oassazione precipuamente l'uso dell'art. 65 
dell'Ordinamento giudiziario.J Qui non si tratta 
soltanto di fulminare di nullit� una decisione 
emessa fuori e contro la legge, di risolvere puramente 
e semplicemente una questione di limiti di 
competenza e di attribuzioni. Qui la Oorte di Oassazione 
� chiamata a pronunciarsi, anzitutto in 
veste di Organo supremo della giustizia, per assicurare 
l'unit� del diritto oggettivo nazionale, 
minacciata attraverso l'arbitraria eliminazione di 
un preciso precetto di legge dall'ordinamento 
giuridico vigente e dalla sostituzione a questo precetto, 
del pensiero p�rsonale, autorevole quanto si 
voglia, ma non per questo legge, del Giudice. 

3) La vera natura delle decisioni denunciate. 

� giunto, cosi, il momento di proclamare la 
verit� sull'operato dell'adunanza Plenaria; sulla 
funzione che il Consiglio di Stato ha inteso esercitare 
nel dibattito apertosi su leggi dello Stato: 
leggi delegate e leggi formali. Con la necessaria 
chiarezza va detto che qui non si � amministrata 
giustizia, applicandosi, o negandosi applicazione, 
alle leggi in vigore, ma si � emanata una legge di 
abrogazione, e degli atti delegati e della norma di 
deleg�zione. Non solo, ma, per quest'ultima, 
abrogatosi il vecchio precetto, a questo se ne � 
sostituito uno nuovo, completamente �diverso da 
quello formulato dal Parlamento, anzi, opposto 
a quel che gi� costitu� contenuto e scopo della 
volont� del legislatore. 

Valga il vero. Far la riforma fondiaria, e farla 

attraverso decreti legislativi, rappresentava un 

unicum inscindibile cui si dirigeva la volont� del 

Parlamento. Ohe per la legge Sila (e per la legge 

Stralcio), posti i noti precetti, fosse indifferente 

che questi fossero applicati ccn atti amministra


tivi o con atti aventi valore di legge or4inaria, � 

ipotesi di cui va celebrato il divorzio con la realt� 

giuridica e con quella storica. Lo stesso Oonsiglio 

di Stato, nell'infliggere solenne reprimenda al 

legislatore dell'art. 5, come ha fatto nella deci


sione Giannelli, accampando l'artificiosa (a suo 

dire) paralizzazione delle guarentigie di giustizia, 

di cui agli articoli 24 e 113 della Oostituzione, con


fessa che nel caso che ne occupa, H legislatore ha 

veramente voluto operare per via di delegazione 

e che pertanto, mezzo e fine sono solidali, cio� che 

la volont� della norma di delegazione fa aorpo _ 

unitariamente con le volont�� delle altre norme 

della legge. 

Ora, se -posta questa ferrea ed insuperabile 

premessa -il Oonsiglio di Stato ha ravvisato nei 

decreti di espropriazione dei puri e semplici atti 


-91 


amministrativi, ed al tempo stesso ha risolutamente 
negato che questa amministrativizzazione 
.di atti �aventi valore di legge ordinaria� fosse 
il risultato, di una operazione di conversione (che, 
per altro, il Consiglio di Stato non avrebbe potuto 
eseguire), non si esce dalla necessit� di proclamare 
che I'Alto Consesso ha modificato la legge, ha cio�, 
legiferato, ed ha legiferato in due tempi: prima 
abrogando l'art. 5, e poi costituendo ad esso un 
nuovo articolo 5, dal cui testo sono espunte le 
frasi per delega concessa con la presente legge, e 
con decreti aventi valore di legge ordinaria. 

Ci� che neppure la Corte Costituzionale avrebbe 
potuto fare, essendo le funzioni di questo Collegio 
circoscritte all'abrogazione della norma di legge 
invalida costituzionalmente, e -se si vuole ad 
una messa in mora al Governo ed alle Camere 
(art. 136 della Costituzione) perch� immediatamente 
provvedano alla sua sostituzione. 

Va @lui fatta una sosta e ripetuto: che nella specie 
non si trattava n� di interpretare l'art. 5, n� 
comunque, di eseguire una reductio ad propriam 
naturam dei decreti delegati, ostando alla prima 
operazione la chiara e nitida dizione del testo, 
ed alla seconda la forma de decreti ed il grado di 
intensit� del volere che con gli stessi si intendeva 
raggiungere. Si trattava, invece di abrogare e 

. sostituire l'art. 5 con altra norma. E ci� fu fatto 
dal Consiglio di Stato. 

Ancora, questa manomissione dell'art. 5, nel 
determinare una metamorfosi nella forma, nella 
natura, nei caratteri e negli effetti dei decreti 
delegati, ha inteso rendere ammissibile il giudizio 
in via principale e diretta, e non incidenter tantum, 
sui medesimi e la formazione di un (possibile) 
giudicato sul loro annullamento. Non sembri 
ritorsione, di fronte all'argomento, troppe volte 
ripetuto dai ricorrenti e che trova eco nelle decisioni 
denunciate, che atti amministrativi sarebbero 
stati indebitamente travestiti da atti legislativi, 
il rispondere qui che un solo travestimento 
ha avuto luogo. Quello operato dal Consiglio di 
Stato su leggi delegate ridotte ad atti amministrativi. 


* * * 

Rientrano nel fine di questo preambolo due osser. 
vazioni sulle conseguenze delle decisioni in esame. 
La prima concerne la circostanza che, dopo le 
pronuncie del Consiglio di Stato, si � determinato 
nei proprietari espropriati lo stato d'animo che la 
riforma fondiaria sia definitivamente compromessa. 
Lo prova il numero di ricorsi, nell'ordine 
di grandezza del migliaio, che si propongono 
contro praticamente tutti i decreti di esproprio. 

�La seconda, che il Governo (obbligato ad eseguire 
le leggi) ha dovuto necessariamente applicare 
le leggi Sila e Stralcio, ed assumere concrete 
responsabilit� verso il Paese, pur nell'incertezza 
del diritto determinata dalle decisioni impugnate. 
con questo particolare che, essendo ormai in 
iscadenza i termini per l'emanazione dei decreti 
di espropriazione, il gi� fatto restano crolla, essendo 
impossibile che sul terreno, sia pur limitatissimo, 
dell'attivit� di amministrazione possa tornarsi 
indietro sugli espropri pronunciati. 

MOTIVI DI RICORSO 

1) La delegazione conferita dalle Camere al Governo, 
a norma degli articoli 76 e 77 della Costituzione, 
fa assumere all'atto delegato valore di legge 
ordinaria. Ogni questione che s'apra a proposito 
della validit� giuridica di U'('iO di questi atti delegati 
� questione di costituzionalit� di atto avente valore di 
legge ordinaria, e non questione di legittimit� di atto 
amministrativo. 

L'atto delegato non pu�, infatti, esssre considerato 
e trattato come atto amministrativo, in quanto 
esso, e per la sua natura e forza e per lo stesso soggetto 
onde promana, non � riconducibile alla categoria 
di atti che la Pubblica Amministrazione, agendo 
per suo proprio conto e nella sua propria qualifica, 
pone in essere nell'esercizio della funzione amministrativa. 


Il Consiglio di Stato difetta, pertanto, di giurisdizione 
sui provvedimenti medesimi. 

(Difetto di giurisdizione in ragione della violazione 
degli articoli 76, 77, 100 e 113 della Costituzione, 
e dell'art. 26 T. U. 26 giugn 01924, n. 1054, 
in relazione agli articoli 2 e 15 delle preleggi Art. 
382 cod. proc. civ. 

2) La controversia relativa alla legittimit� costituzionale 
di un atto avente forza di legge, pu� essere 
portata a cognizione dei giudici ordinari ed amministrativi 
solo in via incidentale. Non pu� chiedersi, 
in termini di oggettoiprincipale e diretto della; 
domanda o del ricorso, n� la dichiarazione di illegittimit�, 
n� -tanto meno -l'annullamento di un 
atto emanato dal Governo per delegazione conNrita 
dal Parlamento, giusta gli articoli 76 e 77 della Co� 
stituzione. N� � possibile riconoscere l'atto amministrativo 
in un provvedimento che, quanto meno formalmente, 
si manifesti come legge delegata. 

(Difetto di giurisdizione in ragione dell'improponibilit� 
assoluta della domanda: Disposizione 
transitoria VII, in relazioneall'art. 134 della Costituzione 
-Art. 382 cod. iproc. civ.). � 

3) Quando si impugni un atto legislativo deducendosi 
la illegittimit� costituzionale della legge di 
delegazione, e su tale questione si formulino esplicite 
domande dalle parti, l'illegittimit� costituzionale 
della legge di de'fegazione non pu� considerarsi 
come mero punto pregiudiziale, n� la domanda relativa 
proposta in via incidentale, e la pronuncia sulla 
costituzionalit� della delega � destinata ad assumere 
valore di cosa giudicata. 

Ci� che non � consentito dalla VII Disposizione 
transitoria della Costituzione. 

(Difetto di giurisdizione: Disposizione transitoria 
VII della Costituzione in relazione all'art. 34 
cod. proc. civ. -Art. 382 cod. proc. civ.). 

4) Non � consentito attualmente che il Giudice, 
investito a norma della VII Disposizione transitoria 
della Costituzione delle controversie sulla legittimit� 
delle leggi, risolva un conflitto d'attribuzioni. 
fra legislativo ed esecutivo. E, per altro, non esiste 
ostacolo costituzionale a che singole espropriazioni 
siano effettuate con atti aventi valore di legge ordinaria. 



-92 


(Difetto assoluto di giurisdizione �in ragione di 
altra violazione degli art. 76 e 77 della Costituzione 
e della falsa applicazione del successivo art. 113. 
Violazione dell'art. 134 della Costituzione in relazione 
alla VII Disposizione transitoria. -Art. 382 
cod. proc. civ.). � 

10 MOTIVO 

Difetto di giurisdizione, derivante dalla violazione 
'degli articoli 76, 77, 100 e 113 della Costituzione, 
e dell'art. 26 T. U. 26 giugno 1924, in. 1054, 
in relazione agli articoli 2 e 15 delle preleggi. 

Il Consiglio di Stato, in Adunanza Plenaria, 

nelle sue decisioni del 20 marzo 1952, ha creduto po


ter affermare la propria competenza a decidere 

sulle impugnative proposte dagli interessati contro 

i decreti del Presidente della Repubblica, ema


nati per delegazione legislativa. 

I motivi di tale affermazione sono, come si � 

visto, i seguenti: il giudfoe, per stabilire la propria 

competenza, non deve arrestarsi alla veste este


riore del provvedimento (anche se si tratti di atto 

del Governo avente efficacia di legge formale), 

non deve fermarsi al nomen iuris che � stato 

attribuito, sia pure dal legislatore, all'atto mede


simo. Il Giudice, ha, invece, piena potest� di 

qualificazione dell'atto allo scopo di scoprirne 

ed intenderne la natura vera e la essenza. 

� questo un potere che discende da quello pi� 
generale di compiere tutte le indagini necessarie 
per pronunziare, innanzi tutto, sulla giurisdizione 
e sulla competenza. 

In conseguenza di tali principi il Consiglio di 
Stato, tenuto conto che i Decreti Presidenziali 
in. questione emanano dal potere esecutivo ed 
hanno un contenuto tipicamente amministrativo, 
e, perci� riguarderebbero inateria non delegabile 
diti Parlamento allo esecutivo, ha creduto di 
poter concludere che i decreti di cui trattasi, sono, 

per la loro vera natura, atti soggettivamente ed 
oggettivamente amministrativi e non leggi delegate, 
di modo che quella parte della disposizione 
della legge di delega in cui si stabilisce che i detti 
decreti hanno valore di legge ordinaria, devesi 
ritenere addirittura come priva di qualsiasi efficacia 
giuridica e come non scritta. 

A tale concezione si giunge, secondo il Consesso 
Giurisdizionale Amministrativo, attraverso un semplice 
procedimento di indagine sulla natura dello 
atto ai fini della sua qualificazione, procedimento 
che nulla ha a che fare con quello di conversione 

del provvegimento o dell'atto giuridico. 

� facile scorgere in tali rilievi, le cause vere e 
profonde dell'errore insolitamente grave in cui � 
caduto il Consiglio di Stato. 

Gi� abbiamo spiegato, nel proemio del presente 
ricors�, quale, secondo la difesa dell'Amministrazione 
sia l'ambito entro cui pu� svolgersi l'indagine 
del Magistrato per la definizione e la qualificazione 
di un atto o di un provvedimento (sia ai 
fini della determinazione della giurisdizione e della 
competenza, sia ai fini della decisione di merito) 
e quale debba essere lo scopo finale cui tale indagiqe 
deve tendere, e cio�: identificare il vero con~ 
tenuto del provvedimento e dell'atto seco.ndo la 

volont� della legge, sia tale legge, naturalmente, di 

contenuto astratto e generale che di contenuto 

concreto. 

E ricercare quella che � la volont� della legge 

nei confronti di un atto o di un provvedimento 

altro non significa _; a parere�nostro -che rico


struire tutto il contenuto sostanziale della volont� 

medesima. � 

Ora, di tale contenuto non fanno parte soltanto 
le disposizioni relative agli elementi essenziali e 
naturali di quella categoria di provvedimenti od 
atti, ma anche quelle riguardanti un particolare 

modo di essere, una speciale attitudine o forza od 

efficacia di tali atti o provvedimenti. 

Nessuno pu� negare che se il legislatore ha voluto 
che un particolare atto sia dotato di un'efficacia 
preminente rispetto ad altri atti, abbia in 
realt� voluto qualcosa di sostanziale, abbia cio� 
impresso una natura giuridica a quell'atto speciale, 
abbia innovato, rispetto alla categoria degli 
atti non forniti di tale efficacia e non si sia invece, � 
soltanto limitato ad un'affermazione di carattere 
teorico e puramente formale della quale il Giudice 
pu� non tener conto (in non condivisa ipotesi) 
per la dettirminazione della vera natura dell'atto 

o provvedimento. 
In particolare, venendo al caso dei decreti legislativi 
presidenziali impugnati, devesi recisamente 
affermare, in opposizione a quanto ha dich arato 
il Consiglio di Stato, che quando il legislatore, 
avvalendosi della facolt� � espressamente concessagli 
dagli artt. 76 e 77 della Costituzione, ha delegato 
il Governo ad emanare, secondo i principi 
ed i criteri direttivi definiti dalla legge di delega, 
decreti aventi valore di legge ordinaria per gli oggetti 
di cui all'art. 5 della legge 12 maggio 1950, 

n. 230, nello attribuire a tali decreti forza di legge 
non ha certamente dato ad essi un nomen iuris, 
una etichetta diversa da quella che identifica il 
loro contenuto sostanziale, ma ha attribuito, 
con operazione volitiva d'imperio e non riconoscitiva 
una particolare sostanza ed efficacia ai decreti 
medesimi. 
In altre parole, ha mutato la natura di tali atti 
rispetto a quella che essi avrebbero avuto se tale 
forza di legge non fosse stata loro attribuita. Il 
legislatore ha dato il crisma di atto legislativo a tali 
decreti emanati in suo nome e per suo conto (essenza 
questa della delegazione legislativa) dal Governo. 

La forza di legge (� appena opportuno ricordarlo 
ed �, invero strano che il Consiglio di Stato 
lo abbia dimenticato), ne de profondamente sulla 
sostanza dell'atto a cui � conferita. Nessuno n� 
in dottrina, n� in giurisprudenza ne ha mai dubitato. 
Questa verit� � stata anche di recente riaffermata 
dal GUARINO: Profili Costituzionali, amministrativi 
e processuali delle leggi per l'Altopiano 
della Sila e sulla riforma agraria e fondiaria in Foro 
Italiano 1952, fase. 7-VIII, parte IV, p. 74). 

Particolare efficacia dell'atto fornito di forza di 
legge che consiste principalme'llt~ com.'� _no_to: 
a) nella preminenza dell'atto su tutti gli� al


tri atti emanati da qualsiasi potere statale; 

b) nella capacit� dell'atto di derogare od abrogare 
qualsiasi altra diversa manifestazione di 
volont� dello Stato o dei singoli; 


-93 


c) nella resistenza dell'atto agli attacchi di 

ogni altra manifestazione di volont� che non sia 
. emanata in forma di legge, di modo che l'atto cui � 
conferita tale forza non pu� essere abrogato o 

modific'lito se non mediante altra legge; 

d) infine, nell'insindacabilit� di tale atto da 

parte di qualsiasi Giudice, salvo, s' ntende, per 

motivi di legittimit� costituzionale e nelle forme e 

nei modi stabiliti dalla Carta Costituzionale nei 

regimi (come il nostro) a costituzione rigida (ved. 

per tutti l'esauriente esposto del FODERARO: 

Il concetto di legge, Milano 1948, p. 167 e segg. e 

spec. p. 169). 

� forse necessario ricordare a proposito della 

natura e della portata della forza di legge la sug


gestiva e sempre attuale definizione del O.ARRE' 

DE MALBERG. (La Loi, Paris 1931, p. 49): . 

�la loi ftpparait, donc en tout cela, comme 

�ayant une puissance renforc�e, comme pourvne 

�d'une vigueur plus grande que les autres manjfe


�stations du pouvoir �tatique ''� � 

Forza della legge che � un attributo sostanziale 

generico proprio di ogni provvedimento legislativo 

(sia �sso di carattere astratto o concreto) indipen


dentemente dallo specifico contenuto delle singole 

leggi. E questo �un insegnamento costante della 

dottrina e che in Italia una tradizione di lunghi 

decenni a partire dal CAMMEO: Manifestazioni 

della volont� dello Statq, in Trattato dell'ORLANDO, 

vol. III, p. 55) per giungere, di recente, al FODE


RARO, op. cit. ip. 167. 

Dalle suesposte considerazioni chiaramente emer


ge che il Consiglio di Stato non av-eva alcun potere, 

al fine di stabilire la sua competenza, di conside


nre come non esistente l'attribuzione della forza 

di legge ordinaria ai decreti presidenziali. A tale 

risultato non poteva giungere in verun modo senza 

violare, o, per meglio, dire, abrogare una disposi


zione di legge. 

In re'.1lt�, con la sua impensabile interpretazione, 

il Supremo Organo della Giurisdizione Ammini-


strativa non ha qualificato i noti decreti presiden


ziali per quel che sono, secondo la loro vera natura 

giuridica (non cio� quella che avrebbero potuto 

a-strattamente avere, m'1 quella effettivamente at


tribuita nella specie, dal legislatore), ma, ci si passi 

il bisticcio, li ha squalificati, degrada,ndoli, arbi


trariamente, ad atti amministrativi. 

C1ncellando dal testo dell'art. 5 della legge 

n. 230, la frase cc aventi valore di legge ordinanaria 
�, il Consiglio di Stato ha, come si � detto, 
considerando il vero significato delle sue decisioni, 
abrogato una disposizione di legge con effetti 
sostanziali ed ha creato una norma che il legislatore 
non ha voluto, ed anzi, ha categoricamente ripudiato. 
Infatti esso ha voluto decreti legislativi e 
non provvedimenti della pubblica Amministrazione, 
perch� esso non ha mai pensato ad un semplice 
spostamento di competenza amministrativa 
(dal Prefetto al Governo), ma ha voluto atti con 
vigore assolutamente preminente non solo su 
quelli dell'Amministrazione ma su quelli di qualsiasi 
altra manifestazione di volont� dello Stato. 
Nella sua ricerca dell'atto amministrativo, necessario 
presupposto della sua competenza, il Consiglio 
di Stato �, dunque, giusto sino a far opera di 

legislatore perch�, come gi� si � accennato, allo 

art. 5 della legge Sila ne ha sostituito un altro di 

suo gradimento, ove si troverebbero presenti, 

appunto quel provvedimento o quei provvedi


menti della Pubblica Amministrazione che il cit


tadino potrebbe impugnar13 fl_inanzi alla Gforisd�


zione Amministrativa per i soliti motivi di legit


timit�. � 

Il Consiglio di Stato ha considerato come inesi


stente la legge per quanto riguarda la vera e pro


pria delegazione legislativa e, conseguentemente, 

come non legge ma atti amministrativi, i decreti 

presidenziali delegati. 

E qui sta il nucleo dell'errore del Giudice Am


ministrativo: esso ha confuso un problema di 

esistenza della legge con un problema di costitu


zionalit� della medesima (ved. su questo concetto, 

da ultimo, il GUARINO, op. cit. p. 83). 

Il Consiglio di Stato si � sforzato di dimostrare 

che, per vari motivi (tutti infondati, del resto 
come fra breve vedremo), il legislatore non poteva 
�delegare al Governo, la materia attinente agli 
espropri agrari. Ma.questo � un problema di costituzionalit� 
della legge, non della sua esistenza, 
e va risolto nelle forme e nei modi con cui attualmente, 
giusta la norma VII, della Disposizioni 
Transitorie della Costituzione si risolvono le que


"stioni di costituzionalit�. 

Non si pu� dire, in altre parole, che il legisl�tore, 
delegante, non ha voluto quel che ha voluto, 
ma se mai, che non lo ha voluto validamente. Ma 
per poter affermare questo occorre, evidentemente, 
che il Giudice sia previamente competente a giudicare 
sulla questione di costituzionalit� incidenter 
tantum giusta la citata Disp. VII, ed in 
particolare, per quanto riguarda il Consiglio di 
Stato, occorre, perch� esso possa risolvere la questione 
di costituzionalit�, che sia stato impugnato 
qualificativo un vero e proprio atto amministrativo 
e come tale qualificato o qualificabile e non un atto 
legislativo (come tale voluto dal legislatore) sia 
esso emanato in conformit� delle norme costituzionali, 
oppure no. 

Non pu� il Consiglio di Stato estrarre da una 

legge (della cui costituzionalit� soltanto pu� 

discutersi e non certamente dinanzi a tale Con


sesso) l'atto amministrativo su cui assidere la sua 

competenza. 

� contrario al buon senso, ancor prima che allo 
ordinamento giuridico, pensare che una legge ove 
la si ritenga incostituzionale, possa degradare ad 
atto amministrativo. Se per avventura (ci� che � 
da escludersi nel modo piu assoluto) la legge di 
delega � incostituzionale, l'atto emesso dall'organo 
competente su delega invalida sar� esso stesso 
invalido, sar� cio�, una legge incostituzionale, ma, 
sar� pur sempre, un atto legislativo. 

Quale corollario di tali principi emerge ilsegu~nte 
rilievo: Una legge � costituzionale ed essa pu� 
disporre di diritti di propriet� dei cittadini. od � 
incostituzionale ed allora li viola. 

Ma una legge delegata incostituzionale (per il 
ricordato motivo di invalidit� della legge di delega) 
non pu� trasformarsi in un atto amministrativo 
capace di affievolire il diritto dipropriet� in un 
intere.~se legittimo, di modo che si venga a radicare 


-94


la competenza di legittimit� del Consiglio di Stato 
per le impugnative di tali decreti di legge. 

Tale principio trova conferma in un altro rilievo 
d'importanza non trascurabile: il legislatore delegato 
cui � stato affidato l'esercizio di una competenza 
propria del potere legislativo ordinario (ved. 
RANELLETTI: Prinooipi di diritto amministrativo, 
Napoli 1912, voi. I, p. 211 e segg.; ROMANO: Corso 
di diritto costituzionale, Padova 1928, p. 69 e 114; 
. GIROLO: Teoria del decentramento amministrativo, 
Torino 1929, p. 297) esprime non una volont� per 
cosi dire, in proprio nome, ma in nome e per conto 

del legislatore delegante, per suo mandato. 

Ora, anche sotto questo punto diivista, non pu� 

parlarsi, come ha fatto invece il Consiglio di Stato, 

di atto soggettivamente amministrativo a propo


sito di un provvedimento emesso dal Governo 

sulla base di una legge di delega. 

Qui non � l'Amministrazione che vuole discre


zionalmente qualcosa nell'ambito della legge; qui 

non vi � una volont� riferibile integralmente alla 

Amministrazione, vi � invece, una manifestazione 

di volont� del Governo quale organo legislativo 

delegato espressa in nome e per conto del legisla


tore ordinario e che � diretta a modificare norme 

giuridiche e leggi vigenti. 

Mancano. dunque in tale attivit� gli elementi 
che caratterizzano, dal punto di vista soggettivo; 
.gli atti amministrativi . 

.Anche per questo motivo, il Consiglio -di Stato 

non. poteva far altro che dichiarare la propria 

incompetenza a conoscere delle impugnative dei 

decreti in questione n� poteva, per giungere a 

risultato opposto, contrapporre alla volizione so


stanziale del legislatore una propria, inammis


sibile supervolizione. 

20 MOTIVO 

Difetto di giurisdizione per improponibilit� assoluta 
della domanda -Violazione della VII disposizione 
transitoria della Costituzione, in relazione 
all'art. 26 T. U. 26 giugno 1924, n. 1054. 

In ogni caso, e si pensi quel che si vuole sui


poteri di qualificazione dell'atto d~ parte del Con


siglio di Stato, � certo che i provvedimenti di 

espropriazione arrivanoo alla cognizione dell'Alto 

Consesso, qual che ne fosse la reale ed effettiva 

sostanza, nella forma (intestazione, richiamo alla 

delega, clausola finale) della legge delegata e non 

in quella dell'atto amministrativo speciale. 

� appena da notare che questa concezione in 

s�, e per s� � errata: giacch� quando si discorre di 

conferimento di forza di legge si pone un dato del 

problema nel quale non � pili consentito distin


guere forma da sostanza, intensit� del volere �da 

effetti, origine dell'atto della sua resistenza, e 

cosi via. Comunque, si vuol qui seguire il Consi


glio di Stato pur nell'errore, ed ammettere come 

giuridicamente possibile quel che non �: la diffe, 

renziazione dell'indifferenziabile, la separabilit�


in altre parole, della volont� unitaria del legislatore. 

Con questa premessa, va ulteriormente rilevato 

che il Consiglio di Stato, pur animato dall'inten


zione di attribuirsi ogni possibile libert� di apprez


zamento sulla reale natura, sui caratteri e sugli 
effetti dell'atto portato a sua cognizione, non 
poteva alternarne la forma di legge delegata, 
ancorch� avesse riconosciuta come costituzionalmente 
illegittima, o giuridicamente erronea la 
relativa attribuzione. "Esso, cio�, doveva necessariamente 
riconoscere come realmente presente 
ed ineliminabile la forma dell'atto, e da tale base 
prender le mosse per svolgere le operazioni che 
intendeva effettuare. 

Ora, per poter cominciare ad esaminare quale 
sia la reale portata dell'atto, iquale la qualifica 
dello stesso da riconoscersi nell'universo giuridico, 
occorre anzitutto che dell'atto (nella sua forma 
attuale) si abbia valida cognizione nella sfera di 
attribuzioni propria dell'Organo che a tale operazione 
si accinge.iQuesto prius � logico, non� solo 
cronologico. 

Come nell'ipotesi di un Tribunale che, disappli
�cando i principi della legge 20 marzo 1865, n. 2248, 
alt E, si sostituisca alla Pubblica Amministrazione 
nell'emanazione di un atto amministrativo, il 
potere di riconoscere la reale portata della sentenza 
e di reprimere la violazione del diritto spetta al Giudice 
di Appello, n� � pensabile che il contenuto, pur 
chiaramente riconoscibile, di atto amministrativo, 
determini la giurfsdizione del Consiglio di Stato 
su la pronuncia in questione, come -al contrario 
-nell'ipotesi di un Prefetto che, con proprio 
decreto, emesso ai sensi dell'art. 19, legge com. 
e prov., decida una lite fra privati (il caso � realmente 
accaduto) il potere di prender cognizione 
dell'atto, pur nella sostanza giurisdizionale, spetta 
al giudice, della legittimit� degli atti della pubblica 
amministrazione e non al Magistrato d'Appello, 
cos� � da dire in termini generali che per 
gli atti aventi una forma tipica e monovalente, 
� la forma dell'atto a determinare la giurisdizione, 
prima ed al di sopra di ogni questione di sostanza 
e consistenza giuridica. 

Ora, un atto formalmente e tipicamente legislativo 
non trova il suo giudice nel Consiglio di Stato. 
Questo, invero, pu� solo conoscere in via incidentale 
delle leggi e degli atti aventi forza di legge per. 
disapplicarli nel giudizio che abbia ad oggetto la 
dichiarazione di illegittimit� di un atto amministrativo, 
recte et rite proposto. Non pu�, inve~e, 
sottoporre al proprio giudizio come oggetto principale, 
diretto ed im:rp.ediato di esame e di pro: 
nuncia un atto che quoad formam si presenti 
come diverso da un'atto amministrativo. 

Si pensi, invero, alle -a dir poco -strane 
conseguenze che deriverebbero da una pretesa 
prevalenza _della sostanza effettuale sulla forma 
ai fini della' domanda. 

Oltre agli esempi test� addotti, si faccia il caso 
di un Ministro che legiferi nella forma del decreto 
ministeriale o della c-"rcolare. Si vorr� dire che in 
questo caso, riconoscendosi la �legge � agli effetti 
dell'art. 134 della Costituzione, s�.tto le i:_ne~tite 
e dimesse spoglie dell'atto amministrativo, l'an: 
nullamento di atti del genere spetti alla Corte 
costituzionale~ Eppure questa sarebbe la fatale 
ed evidente conseguenza del singolare � sostanzialismo 
��professato dal Consiglio di Stato ai fini 



I .Ji h I .Ji h 
-95 


della determinazione della giurisdizione. Sostanzialismo 
.� concettualmente non configurabile di 
fronte ad atti aventi forza di legge, e rivelantesi 
addirittura paradossale nelle conseguenze che ne 
deriverebbero nell'applicazione . concreta. 

30 MOTIVO' 

Difetto di giurisdizione -Violazione della VII 
Disposizione transitoria della Costituzione, in relazione 
all'art. 34 cod. proc. civ. 

Sin qui le critiche della Difesa dello Stato si 
sono dirette avverso l'operato del Consiglio di 
Stato sui decreti legislativi delegati disponenti 
gli espropri. Si � visto che atti aventi forma e forza 
di legge (per tacere, ora, del contenuto) n� potevano 
degradarsi ad atti amministrativi speciali, 
n� formare oggetto principale e diretto di pronuneia 
d'annullamento. 

Trattasi, ora, di vedere se la disposizione transitoria 
VII della Costituzione sia stata osservata 
per quel che concerne la norma di delegazione, 
vale a dire l'art. 5 della legge Sila. 

Va, anzitutto, premesso che il richiamo alle 

cc forme e limiti delle norme preesistenti n, di cui 

alla VII disposizione transitoria, ha un duplice 

aspetto: per quel che concerne il modo .di proposi


zione della domanda (incidenter tantum: e cio� 

nel corso .di un .giudizio civile, penale, od ammini


strativo. validamente proposto, e con un proprio 

oggetto), e per quanto riguarda la pronuncia del 

giudice (pronuncia emessa in sede pregiudiziale 

e quindi senza efficacia di cosa giudicata: arg. ex 

art. 34 c.p.c.). ' 

Ora, nei casi. in questione, non pu� in alcun 

modo dirsi che il Consiglio di Stato abbia osser


vato queste due regole, le quali -piuttosto che 

come limite -vanno intese come fondamento 

del potere dei Giudici, ordinari e speciali, ai fini 

della soluzione delle questioni di costituzionalit� 

delle leggi. 

Si vuole, innanzi tutto, scartare l'inverosimile 

ipotesi che il Parlamento, nel votare l'art. 5 non. 

sapesse quel che faceva ed avesse conferito una 

attribuzione amministrativa usando formule e 

parole proprie alle leggi di d�legazione. Lo stesso 

Consiglio di Stato, in entrambe le decisioni in 

esame, pur adombrando una tesi del genere, dimo


stra di attribuirvi .minimo peso, ed ancora minore 

fiducia, rifugiandosi a chiusura d'argomenti nella 

tesi della incostituzionalit� del citato art. 5, almeno 

per quel che attiene al conferimento di forza di 

legge dagli atti delegati, per violazione dell'art. 76 

della Costituzione e per elusione degli articoli 24 

e 113 della stessa. 

A.dunque vera e propria pronuncia sulla inco


stituzionalit� dell'art. 5 legge Sila. 

. Tale pronuncia pu� dirsi veramente eme.ssa su 

questione pregiudiziale~ 

Osserva esattamente la Difesa dell'Ente per la 
Colonizzazione della Maremma Tosco Laziale nel 
ricorso contro il sig. Guglielmi di iVulci, che la 
questione di incostituzi�nalit� non � pregiudiziale 
in senso tecnico, perch� essa si identifica in tutto 
e per tutto con l'oggetto della domanda. Una volta 

risolta in senso negativo la questione di costituzionalit� 
dell'art. 5, legge Sila, non rimane, infatti, 
merito da esaminare, perch� la legge delegata 
(come legge delegata) � illegittima, e quindi (come 
legge delegata) da annullare. 

Che, dopo questa constatata� e (gium;a le pre� 
messe) inevitabile nullit�, il Consiglio di Stato si 
sia concessa la libert� di metamorfizzare (con 
un'impossibile conversione, che invano le decisioni 
tentano di negare: qui pr�testatio �ontra 
fact"um non valet la legge delegata nulla in atto 
amministrativo, per accordarsi, poi, il lusso di 
annullare anche quest'ultimo, � procedimento che 
�sta nelle decisioni di cui si discute, e che era inevitabile 
ai fini del ritrovamento dell'atto ammi" 
nistrativo sul quale, soltanto,� il iGiudice poteva 
assidere la propria competenza. Ma dal punto di 
vista della logica e del diritto sostanziale, tutto 
ci� ha il valore ed il senso di una appendice, pensata 
e redatta una volta esaurito senza residui, 
il tema nella controversta, necessariamente concluso 
in questo giro di pensiero; nulla, perch� 
incostituzionale la legge di delegazione, nulla, 
perch� incostituzionale, la legge delegata. . 

Non pregiudiziale, adunque, ma vero e proprio 
oggetto del giudizio: essendo qui tale il rapporto 
tra legge di delegazione e legge delegata, che i. due 
termini si compenetrano e si presentano solidalmente 
ed indissolubilmente, in condizioni processuali 
di parit�, all'esame del Giudice. 

D'altra parte, l'art. 34 del codice di procedura 
civile, impone di attribuire alla pronuncia di inco� 
stituzionalit� dell'art. 5, legge Sila, emessa dal Consiglio 
di Stato a senso ed effetti di giudicato.sostan


ziale. 
Invero su tale punto si ebbero esplicite domande 


' . . .

ed esplicite contestazioni di tutte le parti m gm


dizio, ricorrenti e resistenti: la questione si pose 

non come mero punto pregiudiziale, ma come vera 

e propria controversia da decidere: �per ~splicit~ 

domanda di una delle parti � fu �necessario deci


dere con efficacia di giudicato, una questione 

pregiudiziale� (art. 34 cod. civ. proc.). 

E ci� il Consiglio di Stato non poteva fare senz~ 

violare la VII disposizione transitoria della Costi


tuzione. Il giudicato � qui presente non nella con


dannata forma del giudicato implicito, ma nella 

piu chiara e manifesta forma espressa, come risul


tava postulata dalla struttura della domanda d~ 

annullamento delle leggi delegate proposta dai 

ricorrenti. A domande improponibili ha fatto 

riscontro una pronuncia viziata da difetto di giu


risdizione. 

40 MOTIVO 

Difetto assoluto di giurisdizione per altra violazione 
degli art. 76 e 77 della Costituzione e pefalsa 
applicazione del successivo art. 113. -Violazione 
dell'art. 134 della Costituzione, in relazione 
alla V II disposizione transitoria. 

Si � sino ad ora tentato di dimostrare che if 
Consiglio di Stato ha s'eguito una via errata, avendo 
creduto di possedere e di avere facolt� di esercitare 
poteri che a quel Consesso il vigente ordinamento 
giuridico non attribuisce assolutamente. 


r 

I 

-96 


Sorge, ora, spontanea la domanda se alla strada 
sbagliata non corrisponda, per avventura, una m�ta 
giusta. Se cio�, indipendentemente dalla 
circost�:tnza che il Consiglio di Stato non poteva 
pronunciare sulla materia sottoposta al suo giudizio, 
il prinCipio che, in un certo senso, funziona 
volta a volta da punto di partenza e da punto di 
arrivo nelle decisioni denunciate, e cio� che non 
possono essere effettuate espropriazioni per leggi 
delegate, sia vero o sia falso. 

Giacch� pu� essere psicologicamente comprensibile 
(ancorcl� giuridicamente scorretto, ed in 
ogni caso condannabile) che l'intenzione di difendere 
un punto fondamentale del diritto obiettivo 
vigente si imponga al Giudice con tanta forza, da 
fargli travalicare i limiti posti dall'ordinamento 
positivo alla sua: giurisdizione. Cos� che potrebbe 
darsi il caso che le decisioni denunciate, pur essendo, 
come decisioni, irrimediabilmente viziate, enuncino 
una verit� giuridica plausibile su piani diversi 
da quello giurisdizionale: dallo scientifico al politico. 
� 

Si ha qui lo scrupolo di esaminare se ci� accada 
nei casi che si considerano: se il principio che non 
si possano effettuare espropriazioni per leggi delegate, 
in s� e per s� (e cio� enunciato fuor da un 
improponibile processo e fuor da una impronunciabile 
sentenza), sia vero o falso. 
. Ora, si consideri anzitutto la questione nel suo 
complesso. Essa comunque la si configuri, poggia 
sul punto che l'espropriazione per pubblica utilit� 
� atto tipicamente amministrativo; e che in virtu 
del dogma della divisione dei poteri, l'attribuzione 
relativa si -appartiene naturaliter al :_Governo, al 
quale, pertanto, non pu� il legislatore conferirla 
in via di delega. 

E qui un'osservazione preliminare si impone. 
Se si dice: in questo campo il legislatore non poteva 
entrare (scil. con un comando delegatorio), vigendo 
una riserva posta dalla Costituzione a favore del 
potere esecutivo, non si fa tanto questione di 
costituzionalit� della norma di delega, quando sostanzialmente 
-si solleva un conflitto di attribuzione. 
L'apparenza di critica alla legittimit� 
costituzionale della norma di delegazione � travolta, 
infatti, dalla sostanza di actio finium regundorum 
fra i poteri-funzioni dello Stato, e comunque 
dalla finalit� in tal guisa perseguita: dica il Giudice 
a quale potere-organo dello Stato si appartenga 
di emanare certi atti e dichiari costituzionalmente 
illegittima l'usurpazione compiuta da altro 
potere. L'art. 134 della Costituzione, con il prevedere 
il conflitto d'attribuzione (che pure pu� porsi 
con il legislativo, e quindi avere quale substrato 
una legge) separatamente dalle controversie sulla 
legittimit� costituzionale delle leggi, sottolinea 
questa prevalenza della realt� di fondo sull'apparenza, 
e. dichiara con ci� stesso irrilevante l'occasione 
onde il conflitto si manifesti, ove essa consista 
nella critica ad una norma di legge. 

M:a la disposizione transitoria VII, che pure d� 
un �Giudice ad interim alle vere e proprie controversie 
sulla legittimit� costituzionale delle leggi, 
in attesa della entrata in funzione della Corte Costituzionale, 
tace sui conflitti d'attribuzione. N� 
�potrebbe del resto disporre, ch� un conflitto d'attri


buzione con il legislativo � un novum il quale 
presuppone la nuova Costituzione rigida, e pertanto 
cc le forme ed i limiti delle norme preesistenti alla 
entrata in vigore della Costituzione� rappresenterebbero 
qui pili che un richiamo inappropriato 
un autentico non senso, volto contro i tempi della 
evoluzione del patrio diritto. 

Quindi: il Consiglio di Stato, ancorch� (e lo si 
nega) avesse potuto constatare il conflitto, non 
avrebbe potuto deciderlo. 

Ma si chiudano pur gli occhi avanti a questo 
ostacolo, e si proceda. � vero che l'art. 5 legge Sila, 
nella parte in cui discorre di delega al Governo 
e di forza di legge, � incostituzionale~ 

Ed in primo luogo: � vero che, giusta la Costituzione, 
esista una zona di cc riserva>> a favore della 
Pubblica .Amministrazione, e che in questa riserva 
rientri l'espropriazione per pubblica utilit�~ 

Si comincia con l'osservare che mentre la Costituzione 
discorre espressamente di cc funzione legislativa 
� e di cc funzione giurisdizionale �, come 
attribuito stabile di due Poteri-Organi, le Camere e 
la Magistratura (art. 70 e 102),, siffatta dizione fa 
difetto per quel che attiene alla problematica 
cc funzione amministrativa �. N � sotto la rubrica 
del titolo cc Il Governo �, n� sotto quella della 
sezione cc La Pubblica .Amministrazione�, la Carta 
Costituzionale determina attribuzioni primarie (scil. 
sostituzionalmente rilevanti) alla Pubblica .Amministrazione. 
Ch�, anzi, l'art. 95 con il rinviare alla 
legge per quel che ha tratto all'ordinamento della 
Presidenza del Consiglio ed alla determinazione 
non solo del numero e dell'organizzazione, ma 
anche delle attribuzioni dei Ministeri, non pu� 
dire pi� chiaramente che la funzione amministrativa 
� quella che le leggi assegnano agli Uffici 
esecutivi del Governo; che essa ha inizio, in altre 
parole, dove ha termine la legge; che l'esecuzioneamministrazione 
� condizionata dalla legislazione 
e non la condiziona; che infine non � possibile n� 
rivendicare un'autonomia categorica della funzione 
ammini.strativa rispetto a quella legislativa, n�, 
men.o che inai, stabilire un rapporto di dipendenza 
. costituzionale della seconda rispetto alla prima. 

Ci� riceve ulteriore conferma dall'art. 97 che ri


manda alle cc disposizioni di legge � per tutto quanto 

attiene all'organizzazione, al buon andamento 

ed all'imparzialit� nella trattazione degli affari 

demandati . agli Uffici amministratiV,i. 

� ora da esaminare se il principio della riserva 
non venga per avventura ad emergere da una 
interdizione posta dalla Costituzione al legislatore 
ordinario. In altre parole, se si dimostra che 
la Corte Costituzionale proibisce l'emanazione di 
leggi con contenuto concreto, la riserva a favore 
della Pubblica .Amministrazione verrebbe a risultare 
indirettamente da un divieto di siffatta natura. 

Ora, tale divieto non � dimostrabile, giacch� � 

proprio la stessa Costituzione a considerare in 

termini di assoluta parit� di preyisione leggi a 

contenuto generale ed astratto e leggi a con.tenutQ 

specifico e concreto. Non �, forse, vero che l'art. 21 

quando vuole interdire che si adottino leges in 

singulos latae a carico di singoli giornali, lo proibi


sce espressamente usando l'espressione �con nor


me di carattere generale>>~ E non �, forse, vero, 



-========&a&-::;:t -========&a&-::;:t 
-97"


del pari che una indicazione in senso contrario, a 
favore, cio� delle leggi a contenuto concreto, � 

. posta dalla stessa Carta Costituzionale in tema di 
nazionalizzazione e socializzazione, all'art. 43, con 
le parole � determinate imprese o categorie di 
imprese))~ 
Del resto, la Costituzione abbonda di indicazioni 
\li leggi a contenuto concreto: art. 127, 132, 
133, etc. (cfr. GUARINO, Profili costituzionali cit., 
Foro It. 1952, col. 76). Ed infine, come � stato 
acutamente osservato, se la competenza degli 
organi legislativi dovesse definirsi come emanazione 
di precetti generali, ed astratti, si verrebbe a 
negare il fondamento della potest� regolamentare 
(i regolamenti non possono essere che generali ed 
astratti), come propria all'esecutivo. Si dovrebbe 
allora dire che i regolamenti si possono emanare 
solo in base a delega, ma la delega sarebbe illegittima, 
perch� ogni organo � tenuto ad esercitare 
direttamente la competenza ad esso attribuita. 
(cfr. GUARINO, l. cit., col. 77; ZANOBINI, La potest� 
regolamentare e la costituzione, Riv. trim. dir. 
pubblico. 1951, 559). Devesi, invece, dire che la 
competenza del potere legislativo consiste nella 
potest� di emanare leggi, atti -cio� -che 
si identificano per carattere diversi dalla normativit�.. 
In particolare la �funzione legislativa n cfr. 
art. 70 della Costituzione) si definisce in ragione 
dell'Organo competente (direttamente o per delega), 
in ragione del procedimento di formazione dello 
atto, della sua forma, degli effetti legali (cfr. supra 
sub I Motivo di ricorso), degli effetti precettivi, ecc. 
Non in ragione della generalit�. di astrattezza 
del contenuto della norma. E neppure in ragione 
di quel carattere equivocamente definito� com.e 
�novit�)) del precetto, carattere invocato per 
negare natura legislativa ai decreti che ne occupano. 
�Novit�)) � novit� alla stregua della fattispecie 
normativa e non della fattispecie concreta: 
�l'atto � nuovo, e rinnova la fonte del pre
� cetto, non perch� ha un contenuto nuovo, ma 
�perch� espressione di una fattispecie normativa 
�che avrebbe consentito di disporre anche in modo 
�nuovo n (cos� GUARINO, l. cit. col. 78, V. pure 
SANDULLI, ivi cit.). � nuova, cosi, una legge 
che riproduca un precetto in vigore, � nuova la 
legge il cui contenuto sia compiutamente esaurito 
in una della norme-annuncio, che cominciano ad 
abbandonare nella legislazione italiana (((Con legge 
successiva sar�. stabilito, ecc..... n). 
.Aggiungasi, del resto, che per i motivi addotti 
nel primo capitolo introduttivo ai motivi di ricorso, 
i decreti in questione, intesi a stabilire il � novum 
ius )) dei fondi soggetti a riforma, sia pur nei limiti 
della legge di delega, debbono ritenersi porre nuovi 
precetti anche in termini di fattispecie concreta. 
Rimane da rispondere a due ultime possibili 
obiezioni. L'una, circa la delegabilit�. di leggi a 
contenuto concreto (il Parlamento pu� emanarle, 
e sta bene, ma pu� delegarne l'eman'1zione al 
Governo). La seconda circa l'effettuazione per legge 
delegata di singoli espropri. 
Sul primo punto, e definita come dianzi si � 
fatto la �funzione legislativa n, non dovrebbero 
sorgere difficolt�.. Il Parlamento non pu� dele


gare al Governo delle sue funzioni se non quella 
di fare le leggi (quindi: non la nomina o la elezione 
a certe cariche primarie; -articoli 83 e .. 
135 costituz.); non la funzione costituente (art. 138)\ 
non quella di controllo politico (art. 94), n� di 
accusa (art. 96), etc.). Ma questa senza� riserve 
od eccezioni circa il possibile contenuto delle leggi 
delegate. 

Sul secondo punto, l'attenta lettura dell'art. 42 
della Costituzione basta a convincere che nel 
nostro diritto occorre sempre una legge di carattere 
generale che preveda .i casi di espropriazione: 
ma da ci� non deriva una riserva a favore dello 
esecutivo per l'effettuazione in concreto dei singoli 
espropri. Quando, infatti, la Costituzione ha 
voluto stabilire un.a riserva a favore di determinati 
organi lo ha detto espressamente (p. es. v. 
art. 13, 15 e 21). Quando ha voluto che un atto 
seguisse in una certa forma, lo ha pur detto espresamente 
(art. 17 cpv. 33, ult. comma; 34 ult. 
comma, etc.). Quindi dalla giusta premessa (pres 
visione generale della espropriazione in um.i, legge) 
non segue, n� pu� seguire la conseguenza della 
riserva a favore dell'esecutivo in punto ai singoli 
atti di espropriazione, conseguenza che � arbitraria 
ed infondata. � 

Si �, infine, asserito che attraverso la soluzione 
degli atti aventi valore di legge ordinaria si sono 
confiscate le garanzie giurisdizionali assicurate ai 
privati espropriati dagli articoli 24 e 113 della 
Costituzione. Nonostante qualche affermazione in 
senso diverso, deve dirsi che in siffatta elusione 
(ove effettivamente essa sia dimostrabile, ed abbi:oii 
giuridica rilevanza, il che si nega) sarebbe da ravvisare 
non gi�. un vizio di violazione di legge nella 
norma di delega, ma -se mai -un caso di 
eccesso di potere legislativo. 

In verit�., gli articoli 24 e 113 non sono stati 
violati, giacch� n� si � interdetta l'adizione del 
giudice a presidio di diritti ed interessi legittimi, 
n� si e dichiarato inimpugnabi_le un atto amministrativo. 


La materia in questione � stata, invece, regolata 
in modo che �legum necessitate dictante n, questi 
articoli della Costituzione non potessero addirittura 
essere invocati, adottandosi una figura 
giuridica consentita dagli artt. 76 e 77 della Carta 
Costituzione: la delega con attribuzione di forza 
di legge. 

Quindi: frode alla Costituzione. Cio� deviazione 

nel fine. Cio� eccesso di potere. 

Ora, � assai dubbio che l'eccesso di potere legislativo 
possa essere sindacato dalla stessa Corte 
Costituzionale. 

Ohi autorevolmente lo nega, fonda la sua argo


mentazione sul dato che la ricerca e la valutazione 

del fine di una legge si appartiene all'ambito della 

politica e non a quello del diritto, valendo per 

l'apprezzamento strettamente giuridico l'assioma 

finis legis est ipsa lex. .. 

Quel che, invece, � certo � che attualmente _ 
siffatto giudizio sfugge al Magistrato investito 
ad interim delle controversie sulla legittimit� 
costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza 
di legge . .A meno che non. si voglia cancellare dalla 
VII Disposizione transitoria l'inciso � nelle forme 



-98


e nei limiti delle norme preesistenti all'entrata 

in vigore della Costituzione n, deve ritenersi che 


con la migliore volont�. del mondo (ed anche ci�

� 

� assai controverso) -� gi�. tanto dire che il 
sindacato giurisdizionale pu� essere oltre che 
formale, anche sostanziale, ma non � in alcun 
modo possibile andar pi� oltre per sottoporre a 
censura giudiziaria l'intenzione del Parlamento. 

Ad ogni modo, l'accusa al legislatore ordinario 
cosi lanciata � falsa ed infondata. 

Si � visto sopra (Preambolo alla II Parte dei 
Motivi) che il ricorso alla delega legislativa fu determinato 
non dall'arbitrio, n� dalla prava intenzione 
di annullare certe garanzie giurisdizionali, ma dal 
concorso di determinate necessit�. pratiche, che 
costituisce il sottofondo di merito della riforma 
agraria e fondiaria. Ci� basta a battere in breccia 
in punto di fatto la censura raccolta dal Consiglio 
di Stato. 

Ma deve dirsi ancora qualche cosa. E cio� che 
l'argomentazione sopra indicata fonda su due 
strane interversioni logiche. La prima (che ha 
riferimento all'art. 24 della Costituzione) consiste 
nel ritenere che le preesistenti situazioni di diritto 
funzionino da limite al comando del legislatore 
ordinario. Ohe, cio�, la nuova legge (ordinaria o 
delegata, a contenuto generale od a contenuto 
concreto, ci� non rileva) debba mantenere fermo 
il diritto gi�. costituitosi sotto la vecchia legge. 

Il che � logicamente falso, e storicamente inat~ 
tuale. Giacch�, quanto meno dal risorgere delle 
concezioni giuridiche romanistiche contro le idee 
medievali, � dogma giuridico che lex posterior 
der_ogat priori, e che il nuovo comando legislativo 
� idoneo ad annullare o modificare i comandi 
precedenti, a trasformare -cio� -o a distruggere 
situazioni di diritto gi�. esistenti, senza che 
al privato interessato resti alcun mezzo di ;gravame 
se non quello fondato nella dimostrazione che il 
legislatore non poteva volere a termini di Costituzione 
un certo iussum, e ci� nelle forme e nei limiti 
in cui tale gravam� � ammissibile. 

La seconda (che ha riferimento all'art. 113 della 
Costituzione) si riassume nella falsa impostazione 
che gli atti siano fatti per i controlli, e non i 
controlli per gli atti. Ohe, cio�, il (preteso), patrimonio 
di attribuzioni della Pubblica Amministrazione 
debba, in ogni� ipotesi, rimanere integro, 
non per altra ragione, se non per quella di consentire 
il ricorso al Giudice di legittimit�. degli 
atti amministrativi. 

Ora, ci� non � esatto. � esatto, invece, che i 
controlli disposti dalla Costituzione e dalle leggi 
ordinarie mirano a ci�: ad assicurare la conformit�. 
dell'atto alla ipotetica volont� concreta del 
legislatore, e che essi non hanno modo di esplicarsi 
ove il legislatore, direttamente o per delega, 
si sia pronunciato in una certa fattispecie concreta. 
Ci� tanto pi� quando l'atto, come nel caso 
attuale, possa considerarsi valutato ed apprezzato 
dal legislatore ordinario, immanentemente 
presente nella sua formazione, attraverso l'opera 
della Commissione Parlamentare. 

Per i suesposti motivi . 

SI CONCLUDE 

Piaccia all'Ecc.ma Corte di Cassazione a Sezioni 
Unite, in accoglimento del presente ricorso, 
dichiarare il difetto di giurisdizione del Consiglio 
di Stato e di ogni altro Giudice nella soggetta 
materia, annullando per l'effetto la decisione 
impugnata. 

Con ogni altra statuizione di conseguenza, 
anche in ordine alle spese del giudizio. 
Salvo e riservato ogni altro diritto. 

Roma, 27 luglio 1952. 

CESARE ARIAS 

Sost avv. gen. dello Stato 

Prof. FRANCESCO AGR� 
Avvocato dello Stato 



NOTE D I DOTT.RINA 


ANGELO DE MATTIA : Errore ed eccesso nell'uso 
legittimo delle armi. (�Giustizia penale�, 1952, 
II, 518 e segg.) 

I. � una nota alla sentenza 11 luglio 1950 
della seconda sezione penale della Corte di Cassazione 
(ricorso Montesi ed altri), nella quale -� 
esaminata la distinzione fra errore sulla legittimazione 
all'uso ed eccesso nell'uso legittimo delle 
armi. La sentenza contiene anche la ni.assima 
relativa alla responsabilit�. del conducente dell'autoveicolo 
che non si ferma all'intimazione degli 
agenti di polizia, ma anzi accelera per sottrarsi 
al suo obbligo: afferma la Corte che, con tale 
comportamento, detto conducente pone in essere 
la causa prima ed efficiente della morte di un 
passeggero causata dai colpi di mitra sparati 
sull'autoveicolo dagli agenti di polizia. Di questa 
massima la nota non si occupa, onde non ce ne 
occupiamo, ex professo, neppure noi: ci limitiamo 
ad esprimere il nostro dubbio sulla esattezza di 
essa. La questione � indubbiamente molto complessa, 
perch� investe gli effetti del concorso di 
cause fra l'azione od omission'e e l'ev!'lnto, istituto 
fra i pi� tormentati del diritto penale: a noi sembra 
che la fattispecie non potesse, in parte de qua, 
essere giudicata con considerazionilche sanno di 
eccessivo semplicismo. 
Il.Rileva esattamente il De Mattia che se l'errore 
cade sulla legittimazione all'uso delle armi, 
nel senso che si impieghino le armi o altri mezzi 
di coazione fisica fuori dei casi per i quali l'uso � 
auto.rizzato, nell'erroneo presupposto che sussistano 
certe condizioni di fatto, si tratta di un 
errore su una causa di esclusione della pena, che 
deve essere valutata alla stregua dell'art. 59 c. p.; 
se l'errore si verifica invece quando l'uso delle armi 
� consentito, nel momento puramente esecutivo, 
esso si traduce in un eccesso nei limiti di impiego, 
considerato dall'art. 55 c. p. L'indagine sulla colpa 
deve essere quindi condotta in duplice direzione: 
si deve cio� prima accertare se non si siano colposamente 
usate le armi fuori dei casi consentiti; 
controllare poi se non si sia ecceduto nell'uso e 
cio� nell'impiego cc legittimo� dei mezzi coattivi. 
Osservato inoltre che la disubbidienza all'ordine 

di .fermarsi e la fuga di un automobilista non 

autorizzano ai sensi dell'art. 53 c. p. l'uso delle 

armi, perch� non concretano n� una violenza da 

affrontare n� una resistenza da vincere, ma un 
modo naturale di fuggire che pu� essere neutralizzato 
soltanto con l'inseguimento e l'uso di 
sbarramenti adatti, l'A. rileva che nel caso in esame 
non era questione di eccesso, ma di assenza delle 
necessarie condizioni legittimanti l'azione a fuoco, 
che rese inevitabile l'affermazione di una responsabilit�. 
penale degli agenti. 

III. La conclusione, in relazione alle pr�messe 
ortodosse, � esatta: di eccesso colposo, a sensi dell'art. 
55 c. p., si deve parlare solo nel caso di errore sui 
limiti di impiego. Nell'ipotesi invece di errore sulla 
esistenza di circostanze di esclusione della pena 
(art. 59, 2� comma c. p.), per quanto le conseguenze 
siano le stesse, diversa � la norma che la regola. 
Appare evidente che in questo caso l'errore del soggetto 
in pratica verte di regola sulla esistenza della 
necessit� di vincere una resistenza: potrebbe anche 
in linea del tutto astratta immaginarsi che l'agente 
ritenga di poter usare le armi contro persona che 
rifiuti di dare conto di s� indipendentemente dalla 
erronea interpretazione del primo comma dell'art. 
53 c. p., ma � piu probabile che l'errore del soggetto 
verta solo sulla nozione della cc necessit� di vincere 
una resistenza�. Nell'una e nell'altra ipotesi spetta. 
al Giudice analizzare l'entit� delle cognizioni giuridiche 
dell'imputato, ed il giudizio, di fronte ad una 
categorica affermazione di ignoranza da questo avanzata, 
non pu� prescindere del tutto da valutazioni 
a carattere presuntivo,� in relazione alla esperienza 
professionale dell'agente che dovrebbe portare, di 
regola, ad es�ludere l'ignoranza della illegittimit� 
dell'uso delle armi fatto per impedire che il conducente 
di un automezzo a cui � stato intimato l'alt 
non ubbidisca all'ordine ricevuto. 
IV. Questa considerazione ci spinge a rilevare 
come erroneamente la Giurisprudenza, senza distinguere 
caso da caso, si riporti all'art. 55 c. p. anche 
nella fattispecie in cui non in errore nel momento 
esecutivo si ve,rte e nelle quali richiamo conferente 
sarebbe quello che riguarda o l'art. 59 o, piu spesso 
ancora, e neppure il De Mattia vi accenna, l'art. 
83 c. p. Il rilievo � particolarmente inter_~ssante 
per le conseguenze che in pratica si possono trarre. __ 
Per quel che ci consta non ci risulta che il Magistrato, 
all'esame del quale frequentemente si presentano 
fattispecie analoghe a quella di cui trattasi, 
abbia mai considerato come non solo � illegittimo, 



-100 


in' pres~nza delle accennate circostanze, l'uso delle 
armi contro le persone, ma � anche illegittimo quello 
contro i mezzi: l'ipotesi che in pratica piu spesso 
si verifica � proprio quella di uso delle armi intenzionalmente 
rivolto a fermare il mezzo (spari contro 
il motore o le gotnme) il quale provoca, come evento 
non voluto, lesioni o morte di persone trasportate 
a bordo. Non ci sono note sentenze che, escluso 
l'errore sulla facolt� dell'uso delle armi in simili 
ipotesi, abbiano anche considerato il comportamento 
dell'agente sub specie di responsabilit� a sensi 
dell'art. 635 c. p.; probabilmente il bene leso di 
maggior importanza (integrit� personale) fa; passatre 
in secondo piano le lesioni del bene di minor rilievo 

(patrimonio) e, non curando la persona offesa la 
presentazione della querela per il delitto di danneggiamento, 
il Giudice neppure rileva, per il difetto 
di procedibilit�, questo reato. Ohe l'episodio maggiore 
offuschi quello meno importante al punto che 
questo non � affatto considerato, non significa per� 
che in pratica il caso che di regola si verifica � proprio 
quello che consiste nell'intenzionale danneggiamento 
del mezzo (al fine di obbligarlo a fermarsi), con la 
determinazione, quale evento non voluto, delle lesioni 
o della morte di persona trasportata: ipotesi 
disciplinata dall'art. 83 c. p. in relazione all'art. 
59, se l'agente dimostri l'errore sulla nozione della 
�necessit� di vincere una resistenza �. 

V. Quid juris, � dato di chiederci a questo punto, 
per quanto riguarda la responsabilit� dell' A mministrazione, 
nel caso in cui il suo dipendente sia condannato 
per danneggiamento e per lesioni colpose 
od omicidio colposo? Quid juris anche se risulti che 
il dipendente sapeva d� non poter sparare neppure 
sul mezzo, ma non si � proceduto nei confronti di 
esso per il delitto di cui all'art. 635 c. p. per difetto 
di quelera? 
Si accenna, a questo punto, ad un problema 
molto complesso che non risulta sia mai stato in 
pratica sottosposto all'esame del Magistrato e sulla 
soluzione del quale chi scrive non si nasconde abbiano 
ad interferire considerazioni di ordine umanitario 
alle quali � estranea la rigorosa ortodossia giuridica 
nella definizione di un caso, la sistemazione dogmatica 
del quale non appare oltre.tutto agevole. 

Sembra al riguardo si possa esattamente affermare 
che, rompendo il dolo in modo assuluto qualsiasi 
rapporto fra l'ente pubblico ed il dipendente e facendo 
considerare l'atto compiuto da questo, come assolutamente 
estraneo all'ambito delle sue attribuzioni, 
tutte le conseguenze che all'atto, cronologicamente 
successive a questo, ad esso siano ricollegabili, 
anche se di esse a titolo di colpa il dipendente debba 
rispondere, non siano piu idonee ad investire la 
responsabilit� dell'Amministrazione, ormai separata 
dal dipendente per l'intero ciclo degli episodi 
che al primo fatto, di n(JJ(;ura dolosa, sono intimamente 
collegati. Non conta che non coincidano le persone 
offese dei diversi fatti, perch� la questione deve 
Bssere riguardata nella sua consistenza sostanziale 
di rottura del rapporto tra l'ente e l'agente su cui 
non influisce tale non coincidenza (� tutto l'ex-post 
al fatto doloso, ad esso collegato, che non riguarda 
pi� l'ente, qualunque sia la persona su cui gli effetti 
hanno inciso); e non interessa che l'iniziale fatto 

doloso non sia punito per difetto di querela, non 
venendo meno, per la mancanza di questa, il suo 
carattere di illeceit� a titolo di dolo con la idoneit� 
alla rottura del rapporto suddetto. 

Una situazione analoga a quella in esame si 
presenta nel caso di danni arrecati con comportamento 
colposo a persona abusivamente trasportata 
da un dipendente dell'Amministrazione alla guida 
di un automezzo di questa. Solo ad un osservatore 
superficiale pu� sembrare che i danni siano riferibili 
unicamente a detto comportamento e che quindi 
di essi debba rispondere l'Amministrazione: il comportamento 
criminoso colposo � l'ultimo anello di 
una catena, ormai spezzata al precedente anello a 
causa dell'attivit� arbitraria posta in essere in 
concorso necessario dall'autista o dal danneggiato. 

Barebbe immorale concludere diversamente attribuendo 
all'Amministrazione la responsabilit� di 
un fatto dannoso ad origine del quale sta la violazione 
di. norme di diritto amministrativo, a tutti 
note, attuata da colui il quale pretende poi di essere 
risarcito. Un caso del genere, per il quale non risul-, 
tano precedenti giurisprudenziali alla Corte Suprema 
� attualmente all'esame dei Giudici di merito che 
in primo grado l'hanno risolto disattendendo la tesi 
dell'Amministrazione con affermazioni del tutto 
apodittiche, non suffragate da con'l!enienti deduzioni 
giuridiche. 

(F. C.) 
RoGER VIDAL : L'evolution du d�tournement de pouvoir 
dans la .iurisprudence administratlve, ( �Revue 
du droit public et de la science politique en 
France et � I'�tranger �, 1952, da pag. 275 
a pag. 316 ). 

Questa ampia monografia inizia mettendo in 
rilievo, sotto un profilo storico e dogmatico, l'errore 
di volere inquadrare lo sviamento di potere 
nell'incompetenza. Secondo l'opinione diffusa, questo 
inquadramento risalirebbe al Laferri�re, il 
quale :;i,veva osservato come lo sviamento di 
potere si concreti nell'uso in parte della Pubblica 
.Amministrazione di poteri che le appartengono 
per uno scopo diverso da quello previsto dalla 
legge: ed in ci� il Laferri�re aveva ravvisato una 
specie di incompetenza. Tuttavia, il pensiero del 
Laferri�re era stato precisato in un'altra parte 
della sua classica opera, l� dove aveva riconosciuto 
che una vera e propria incompetenza si sarebbe 
potuta verificare soltanto quando la finalit� illegittima 
fosse completamente fuori delle attribuzioni 
dell' .Amministrazione. 

Ma neppure cos� limitato il pensiero del Laferri�re 
sembra all' .A. accettabile. Infatti, se lo scopo 
illegittimo � del tutto fuori delle attribuzioni 
dell' .Amministrazione, ci� significa che l'atto compiuto 
non � di competenza di alcun organo, e 
ci� pone l'atto addirittura fuori del diritto amministrativo. 
L'illegittimit� diviene;� in taL modo_, 
una illegittimit� sostanziale rispetto allo scopo, 
il che separa questo vizio da quello dell'incompetenza, 
normalmente intesa come illegittimit� esterna 
rispetto all'organo. 


-101


Tanto meno accettabile �, per l'A., la teoria 
del Duguit che, superando le incertezze e le limi


. 
tazioni del Laferri�re, comprende senz'altro le 
sviamento di potere, in tutte le sue forme, nell'incompetenza. 
Secondo il Duguit, la competenza 
sarebbe il potere di agire secondo determinate 
forme, in un determinato campo e con un determinato 
scopo. Lo sviamento di potere sarebbe 
quindi semplicemente � agire senza rispettare lo 
scopo voluto dalla legge n, cio�, violando il terzo 

elemento caratteristico della competenza. 

Ma questa costruzione, di cui l'A. riconosce la 
organicit�, amplia eccessivamente il concetto di 
incompetenza, sino al punto di farvi rientrare 
qualsiasi vizio di ecceso di potere, e non solo lo 
sviamento: conseguenza non solo dogmaticamente, 
ma anche storicamente inaccettabile. 

A ben vedere, le imprecisioni del Laferri�re e 
del Duguit derivano, secondo l'A., dall'aver sottovalutato 
alcune caratteristiche originarie dello 
sviamento di potere, il quale giunse ad una vita 
autonoma innestandosi sul ceppo primitivo dell'eccesso 
di potere, e alimentandosi con il crescente 
progredire del principio del controllo dei motivi 
dell'atto amministrativo. A questo riguardo, senza 
tuttavia prendere posizione nella discussa questione 
dei motivi dell'atto amministrativo, e dei suoi 
riflessi sulla causa, l'A. mette in rilievo come 
l'indagine sui motivi dell'atto abbia dato luogo 
in Francia ad una notevole elaborazione dottrinale 
e giurisprudenziale, culminante nella teoria dell'annullamento 
per inesistenza di motivi. 

Inteso per motivo un elemento obbiettivo 
esterno e antecedente alla manifestazione di 
volont�. della Pubblica Amministrazione, distinto 
dallo scopo e dal contenuto dell'atto amministrativo 
e distinto altres� dalPintenzione dell'agente, 
l'A. osserva che il motivo � strettamente collegato 
allo scopo, tanto che l'illegittimit� di questo non 
pu� essere concepita se non come conseguente 
ad una inesistenza o ad un'errata valutazione dei 
motivi. 

A questa distinzione il diritto amministrativo 
francese non giunse d'embl�e, ma attraverso una 
evoluzione del controllo sui motivi, che � illustrata 
diffusamente dall'A. 

Quando Laferri�re segnalava come le intenzioni 
della Pubblica Amministrazione sgorghino 
dalle circostanze che hanno determinato la Pubblica 
Amministrazione ad emettere l'atto amministrativo 
viziato da sviamento di potere, egli sostanzialmente 
metteva in luce la possibilit� di un. 
controllo sui motivi dell'atto. Lentamente, pur 
senza ancora parlare fil sviamento di potere, 
il Consiglio di Stato cominci� ad esercitare tale 
controllo 'sui motivi in alcuni casi particolarmente 
gravi, in cui tutti gli elementi dello sviamento 
di potere erano assolutamente evidenti. 

Ma il controllo sui motivi, sorto come sviluppo 
-o come necessit�. -dello sviamento di potere, 
flui poi per assumere contorni a s� stanti e configurazione 
autonoma quando si trov� di fronte, secondo 
l'espressione di Hauriou �il campo sterminato 
del potere discrezionale �. 

A questo punto, il controllo sui motivi apparve, 
quale �, il mezzo pi� agevole per saggiare la legit


timit� dell'atto discrezionale, esaminando da un 
lato se esistono legittimi motivi di fatto e diritto, 
e se lo scopo dell'atto risponda realmente a quello 

voluto dalla legge. 

Ma oltre a questi casi di inesistenza dei motivi, 
rimangono i casi in cui i motivi �esistono fu.a sono 
erroneamente valutati: e questo caso, secondo 1'A. 
costituirebbe lo sviamento di potere in senso 
proprio. 

Dall'amplissima rassegna fatta dall'A. traiamo 
un esempio della prima forma di illegittimit�, 
nel provvedimento di un prefetto in materia di 
acque, indirizzato al solo scopo di porre fine ad 
una controversia fra priv-ati. Evidentemente, qui 
mancherebbe completamente il motivo di interesse 
pubblico. Esempio della seconda forma sarebbe 
un'ordinanza di un Sindaco che vieti lo 
smercio di carni non macellate in determinati 
mattatoi pubblici. Qui il motivo (minor garanzia 
di rispetto delle norme di igiene) pu� sussistere, 
ma � male apprezzato dalla Pubblica Amministra


zione. 

E evidente, particolarmente nella seconda forma 
(caratterizzante lo sviamento di potere in senso 
tecnico), come la dimostrazione dell'illegittimit�. 
sia raggiungibile in pratica solo attraverso la 
conoscenza dei moventi dell'atto. A questo proposito 
l'A. mette in rilievo come in Francia il Consiglio 
di Stato abbia sempre proceduto a questa 
ricerca con grande cautela, senza mai esorbitare 
dall'esame degli atti sottoposti al suo esame. 
Di fatto, lo sviamento di potere, per quanto soggettivo 
nel suo fondamento, si orienta fatalmente, 
in sede di prova, verso una. concezione assolutamente 
obbiettiva. Forse per questa ragion.e in 
Francia il Consiglio di Stato fin� :Per giungere 
all'annullamento quasi sempre facendo leva sulla 
inesistenza dei motivi, assai raramente sull'erroneo 
apprezzamento di motivi esistenti. Non solo: 
ma nel caso di pluralit�. di motivi, alcun.i legittimi 
e altri illegittimi, il Consiglio di Stato evit� accuratamente 
di processare le intenzioni, riconoscendo 
la legittimit�. dell'atto come fondato sul concorrente 
motivo, ogni volta che questo (e soltanto 
questo) fosse conforme allo scopo voluto dalla 
legge. 

Le benemerenze del Consiglio di Stato nello 

sviluppo delle indagin.i sullo scopo della legge 

sono infine illustrate dall' A. nella terza parte 

dell'articolo. Lo scopo di una norma trascende 

la sua letterale formulazion.e, e investe lo spirito 

della norma stessa. Quella che Hauriou chiamava 

� La moralit�. amministrativa � ,estrinsecata in 

un'organizzazione di mezzi intesi al raggiungi


mento del pubblico interesse, pass� dal piano 

della moralit� a quello del diritto appunto attra


verso la giurisprudenza del Consiglio di Stato. E, 

in questo passaggio, lo sviamento di potere ebbe 

una parte essenziale come punto di partenza della 

teoria del controllo dei motivi. 

Nonostante il carattere storico dell'articolo, questo 
riveste particolare interesse per lo studio dei rapporti 
fra l'annullamento per in.esistenza dei motivi e 
l'annullamento per errata valutazione dei motivi. 
Da tempo, e non solo mediante trapianto di concetti 

�.�.����.�.��.������.� ��:�.����=����=��� 


-102 


di diritto privato, il nostro diritto amministrativo 
ha differenziato la causa astratta e tipica di un atto, 
dai motivi di questo (cfr. per utili richiami in argomento, 
ROSSANO, �Eccesso di potere�, in �Foro 
it. � 1952, III, 117 e BENVENUTI, �Eccesso di potere 
amministrativo per vizio della funzione�, 
�Rassegna di dir. pubblico� 1950, parte I, 1, 
e segg.). rt; , 

L'inesistenza totale dei motivi tuttavia � da una 
parte della nostra dottrina parificata praticamente 
alla mancanza della causa, concepita come l'inesistenza 
di una finalit� apprezzabile dal punto di 
vista del pubblico interesse (cfr. PAP.ALDO, �L'eccesso 
di potere amministrativo� in Studi per il 
centenario del Consiglio di Stato, voi. II, p. 439). 

Essa costituirebbe semplicemente una delle tre forme 
fondamentali dello sviamento di potere (falsit�, 
illiceit�, mancanza della causa). 

Questa gravitazione su un elemento obbiettivo 
quale la causa, anzich� sui motivi, concepiti come 
elementi formativi della volont� rispetto al singolo 
atto, permette forse un maggior adattamento a casi 

in cui l'illegittimit� dell'atto prescinde completamente 
dall'elemento intenzionale (Oons. di Stato, 
Sez. IV, decis. 3maggio1950, n. 246, cc Riv. Amm. � 
1950, 564: <<Per aversi sviamento di potere non 
occorre che gli organi della pubblica Am.ministrazione 
abbiano agito �in mala fede, ma � necessario 
e sufficiente che l'attivit� amministrativa non risponda 
obbiettivamentea gli scopi di pubblico interesse, 

ai quali l'atto � preordinato�). 

Di fronte a questi casi, in cui praticamente non 
esiste un motivo legittimo, ma l'atto viene ugualmente 
emanato dalla Pubblica Amministrazione 
nell'intento di raggiungere uno scopo apprezzabile 
sotto l'aspetto �el pubblico interesse, la dottrina 
francese sostituisce al concetto di sviamento di potere 
il concetto di inesistenza dei motivi. Ooncetto di 
indubbio valore sistematico, che per� -e lo stesso 
Roger V idal concorda in questa osservazione non 
fa venir meno l'importanza della teoria dello 
sviamento di potere in tutti i casi in cui un motivo 
esiste, ma � erroneamente apprezzato dalla Pubblica 
Amministrazione. 


RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA 


AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Atto amministrativo 
-Provvedimento straordinario di sicurezza 
pubblic~ -Natura di atto politico. (Corte di Cass., 
Sez. umte, Sent. n. 515-52 -Pres.: Ferrara, Est�.: 
Oggioni, P.M.: E!Ila -Ministero Interno-De Costanzo). 

I provvedimenti straordinari di sicurezza pubblica, 
necessari per la conservazione dell'ordine 
pubblico, trovano la loro causa giuridica nella 
ragione di pubblica difesa e rientrano, quindi, 
nella categoria dei provvedimenti emanati dal 
governo nell'esercizio del potere politico, come 
tali sottratti ad ogni impugnativa. Il 

L'atto amministrativo, peraltro, conserva la 
qualifica di politicit� solo fino al punto in cui 
esso risponda alla causa e perdendola, con tutte le 
conseguenze del caso, quando venga meno la 
convergenza con la causa iniziale. 

Il provvedimento di prelievo a persone sospette 
di apparecchi radioriceventi in periodo bellico, 
essendo giustificato da una ragione politica di 
contingenza e di transitoriet�, doveva rimanere 
nei limiti di un accantonamento provvisorio. 
Quindi, lo spossessamento con carattere di eliminazione 
del bene si presenta come una esorbitanza 
del fine ed il relativo provvedimento � soggetto 
al sindacato giurisdizionale. 

Ogni qual volta l'atto amministrativo non � ad 
effetto istantaneo ma perdura nel tempo, esso pu� 
soggiacere a fenomeni che infiuiscono sulla sua 
validit�, e talvolta persino sulla sua natura. Un 
atto illegittimo pu�, con il decorso del tempo, divenire 
irrevocabile, se un suo annullamento determina� 
troppo gravi ripercussioni nella sfera giuridica dei 
controinteressati o dei terzi (Oonsiglio di Stato 3 
maggio 1950, Riv. Amm., 1950, 564). 1Jn atto 
illegittimo pu� convertirsi in altro atto valido (cfr. 
BoDDA �Aspetti della conversione dell'atto amministrativo 
illegittimo �, in Foro .A.mm. 1940, II, 
138; Oonsiglio Stato 17 aprile 1950, Riv. .A.mm. 
1950, 658). E pu�, infine verificarsi il fenomeno 
inverso dell'invalidazione successiva, studiato dal 
Romano in una.fclassica monografia (Osservazioni 
sulla invalidit� successiva degli atti amministrativi 
in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore 
di R. Vacchelli, pag. 431). 

� evidente che qualsiasi accertamento di una 

invalidit� supravvenuta presenta aspetti somma


mente delicati. Fino a che punto, (o a che momento) 

un atto risponda ancora alle finalit� di pubblico interesse 
che lo hanno determinato, � problema difficilissimo, 
che il Oonsiglio �i Stato ha, piu �i una volta, 
evitato �i affrontare (cfr., Sez. IV; dee. 30 ottobre 
1951, Foro .A.mm. 1952 I, 1; 52). 

L'attuale sentenza sembra, a tutta prima, avere 
superato ogni perplessit�. �Se ad un certo punto 
dell'iter dell'atto -osserva la Oassazione -venga 
meno la convergenza con la sua causa iniziale, 
in modo che non sia piu consentito di continuare ad 
attribuire alle conseguenze ulteriori dell'atto stesso 
il carattere univoco di conseguenze politicamente 
necessitate, vien meno allora la ragione ostativa 
alla normale proponibilit� di domande attinenti 
alla tutela di diritti patrimoniali, lesi da atti amministrativi 
che risultino privi, in tutto o in parte, 
del carattere di atti politici �. 

Oi� val quanto dire eh~, secondo la Oorte Suprema, 
la causa giudicata ed obbiettiva dell'atto deve necessariamente 
accompagnarlo in tutta la sua vita ed 
improntarne tutte le manifestazioni: in caso diverso, 
l'atto degenera al punto da invalidarsi, se si 
tratta di un atto amministrativo in senso lato: e 
addirittura si trasforma da atto politico in semplice 
atto amministrativo, se la causa iniziale possedeva 
la qualifica di politicit�, e questa � venuta meno 
per una deviazione dell'atto. 

Oostruzione estremamente pericolosa, che la Oorte 
Suprema ha eretto in un campo irto .di asperit�, 
quale � quello dell'atto politico. Esatta � senza dubbio 
l'individuazione della natura politica dell'atto in 
relazione alla causa (cfr. Oonsiglio di Stato 14 
aprile 1951, n. 362, Foro .A.mm. 1951, I, 2, 203 
con nota); e non meno esatta � l'ammissione, fatta 
dalla Oorte Suprema, dell'insindacabilit� dell'atto 
politico anche dopo la Oostituzione (Questa Rassegna 
1950, p. 121). Ma meno esatta ed accettabile � 
l'affermazione dell'esigenza di una continuata attualit� 
della causa per mantenere all'atto la .sua 
qualifica di atto politico. 

Sebbene la sentenza non richiami espressamente 

la teoria della invalidazione successiva degli atti 

amministrativi, tuttavia nel corso della motivazione 

non mancano accenni, dai quali appare� �hiaro __ 

come la O orte Suprema abbia inteso applicare all'atto 

politico i principi generali concernenti la validit� 

degli atti amministrativi. Ora, una'simile applicazio


ne � di pers� discutibile, se � vero "che l'atto politico 

non � un atto amministrativo, ma un atto ili governo. 


I'.&& 

-104 ....:_ 


Sulla base di questa distinzione � stato ritenuto, a 
no.stro avviso esattamente, che neppure eccesso di 
pot(Jre sia configurabile in rapporto all'atto politico. 
Infatti, nei casi in cui l'atto � emanato nell'intento 
ai una realizzazione di uno scopo diverso da quello, 
in funzione del quale all'autorit� venne conferito 
il potere politico, non si ha propriamente l'atto 
politico. Ohe se, d'altra parte, l'atto � effettivamente 
politico in senso tecnico, non sono estensibili a 
questo i vizi tipici e caratteristici degli atti ammininistrativi 
(compreso l'eccesso di potere), non potendosi 
far rientrare l'atto di governo negli atti amministrativi 
(SANDULLI, .Atto politico ed eccesso di potere, 
Giur. Oompl. Oass. Civ. 1946, II, p.517, particolarmente 
p. 524). 

Ad ogni modo, n<fn sembra che si possa utilmente 
operare sul principio della continua convergenza 
dell'atto con la causa, per fissare il momento di 

snaturamento deWatto politico. Intesa la causa in 
senso obbiettivo, come lo scopo pratico a cui l'atto 
si dirige, inquadrato in quella particolare e tipica 
specie di interesse pubblico determinata dal legislatore, 
sembra evidente che l'atto politico non cessi 
di essere tale fino a quando permane quella particolare 
utilit� pubblica. 

Si pu� ammettere che cc la causa dell'atto amministrativo 
� l'utilit� pubblica, onde esso deve venir 
meno ed essere revocato quando tale causa venga a 
mancare, in quanto il pubblico interesse domina, 
in questa materia, cos� nella nascita come nella vita 

�del rapporto� (VITTA, Dir. .Amm. edizione 1948, 

�val. I, p. 369). Ma a parte ogni doverosa riserva 
sull'obbligatoriet�, in tal caso, di una revoca d'ufficio 
(cfr. Oons. Stato 14 aprile 1951, Foro .Amm.. 
1952, I, 2, 203), va' osservato chQ non pu� negarsi 
la permanenza della causa tipica dell'atto politico 
fin tanto che esso � informato a quella ragione di 
Stato, che ne costituisce l'elemento. 

Le modalit� di attuazione pratica dell'atto politico 
non valgono a snaturarne l'essenza~ 

Siffatte deviazioni potrebbero, eventualmente, configurare 
itn eccesso di potere: e puntuale � l'esempio 
dato dal Vitta, dell'adozione di provvedimenti ultronei, 
come nel caso di un ordine di distruzione 
di robe infette, qualora ai fini della tutela sanitaria 
bastasse che le medesime f assero disinfettate. � evidente
� -osserva il Vitta -che i. motivi addotti 
sono veri,. le esigenze dell'.A. P. sono accertate, 
ma l'A. P. ha ecceduto nelle disposizioni oltre gli 
scopi che la legge le ha prefissi>> (Vitta, op. cit. 

p. 433). 
Verissimo: ma� tutto ci� vale rispetto ad un atto 
amministrativo, e non pare adattabile all'atto di 
governo, che atto amministrativo non �, e che, .comunque, 
� caratterizzato -anche nella sua immunit� 
o insindacabilit� -dal permanere appunto 
delle esigenze dei supremi interessi dello Stato. Quella 
deviazione degli scopi prefissi dalla legge, nel che 

�si sostanzia l'eccesso di potete, appare inconciliabile 
con quella latitudine degli interessi tutelati, che rispondono 
a esigenze primarie e fondamentali dello 
Stato. � difficile infatti porre l'ipotesi di una deviazione, 
quando si ha di mira un orizzonte cos� vasto. 

Per quanto riguarda il caso specifico, va ricordato 
che il prelievo e la successiva espropriazi�ne di 
(tppq,recchi rq,dio ha dato luogo a interessanti ver


tenze, nel caso di prelievo per opera di partigiani 
(Torino 5 gennaio 1948, Bologna 16 aprile 1947, 
Foro pad. 1948, I, 271; Trib. Cuneo, Foro it. 1947, 
I, 1016 con nota). Sebbene un parallelo con il caso 
esaminato dalla sentenza annotata sia azzardato, 
non � fuori luogo osservare �ome,� in definitiva, la 
esistenza di ragioni superiori ha fatto ritenere pienamente 
legittimo non solo lo spossessamento temporaneo, 
ma la definitiva confisca degli apparecchi 
in questione. 

IMPIEGO PUBBLICO -Impiegati dello Stato�-Ruoli 
transitori -Medici di riparto delle ferrovie dello Stato. 
(Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, Decisione 

n. 14 del 1952 -Archi contro Ministero dei Trasporti). 
I medici di reparto delle ferrovie dello Stato 
non hanno qualit� di impiegati, n� di ruolo, n� 
non di ruolo. 

.Ad essi pertanto non � applicabile il D. L. 
� 7 aprile 1948, n. 262 sui ruoli speciali transitori. 


La decisione appare ineccepibile, ove si tenga 
conto della natura giuridica del rapporto tra Amministrazione 
ferroviaria� e medici di riparto, rapporto 
chi, secondo quanto afferma appunto il Consiglio . 
di Stato rientra piuttosto nella previsione dell' articolo 
$ del D. �L. 7 aprile 1948, n. 262, che n�n 
nell'art. 1 del Decreto legislativo medesimo, per 
quanto ampia sia. la dizione di questo. 

Il Consiglio di Stato si � dato carico di precedenti 
decisioni nelle quali. aveva, sia pure ambiguamente 
riconosciuto ai medici di riparto qualit� di 
impiegati, ma ha precisato che tali decisioni era.no 
da considerarsi in 'relazione al motivo che le aveva 
ispirate e cio� al concedere ai predetti medici delle 
indennit�, per cessazi�ne del rapporto di impiego, 
che non sarebbero spettate ove ci si fosse rigidamente 
attenuti alla natura non impiegatizia del rapporto. 

IMPOSTA DI REGISTRO -Pre~crizione -Contratti 
a corrispettivo variabile o presunto -Decorr~nza della 
prescrizione. (Corte di Cass., Sez. I, Sent. n. 346-52 -
Pres. : Cannada-Bartoli, Est. : Novelli, P. M.: Toro 


I.N.P.S. contro Firenz0). 
Per la registrazione dei contratti a corrispettivo 
variabile o presunto, quando la domanda di 
restituzione del .contribuente investe il diritto 
della Finanza al tributo ed i criteri per la determinazione 
della qualit� della tassa da applicare 
e non tocca invece i criteri adottati per stabilire 
la quantit�. della tassa applicata, il triennio, nel 
quale si prescrive l'azione, decorre dalla data del


.l'accertamento definitivo del corrispettivo; e ci� 
anche quando l'azion.e sia diretta ad ottenere la 
restituzione della sola tassa complementare sul 
corrispettivo definito (art. 136 primo comma L. R.). 

Oi sembra necessario e sufficientr<, per la intelligenza 
della massima sopra trascritta, riporta-re U 
testo d.ella sentenza, la quale costituisce un esempio 
di motivazione nitida e precisa. 

cc Il secondo motivo di ricorso torna a proporre 
la questione se il triennio entro il quale il contribuente 
pu� utilmente reclamare la restituzione della 

. 


-105 


maggiore imposta di registro pagata per un contratto 
a corrispettivo variabile, quando si disputa sul criterio 
di tassazione, decorra dal giorno in cui fu 
eseguita la registrazione dell'atto, ovvero dalla data 
dell'accertamento definitivo. Questa Corte non ha 
motivo di recedere dalla soluzione adottata, nel contrasto 
della dottrina e della giurisprudenza, con le 
sentenze 2447 del 1933, 2869 del 1940 e 415 del 1944 
nel senso che per la registrazione dei contratti a corrispettivo 
variabile o presunto, quando la domanda 
di restituzione del contribuente investe i criteri per 
la determinazione della qualit� della tassa da applicare 
e non tocca invece i criteri adottati per stabilire 
la quantit� della tassa applicata, il triennio, nel 
quale si prescrive l'azione, decorre dalla data della 
registrazione e non da quella dell'accertamento definitivo 
del corrispettivo. 

Per rendersi conto dell'esattezza del principio occorre 
richiamare il sistema della legge del registro 
in tema di registrazione di contratto di appalto a 
corrispettivo presunto. Per detti contratti, a norma 
dell'art. 32, la tassa � provvisoriamente riscossa sul 
valore dichiarato dalle parti; successivamente alla 
denunzia dell'ammontare definitivo dei prezzi e dei 
corrispettivi (art. 79), secondo che il prezzo definitivo 
risulti maggiore o minore, si fa luogo a riscossione 
di tassa complementare od a restituzione entro 
il termine di cui all'art. 137, che fissa lo stesso termine 
prescrizionale di tre anni sia per l'azione dell'amministrazione 
diretta al conseguimento della 
tassa complementare; che per quella del privato 
� diretta alla restituzione della maggior tassa pagata 
alla registrazione� con decorrenza, per quest'ultima 
� dal giorno in cui venne accertato il valore definitivo
�. 

Dal citato art. 137 risulta che il termine di prescri


zione per il contribuente comincia a decorrere dal 

giorno sul quale si accerta il valore definitivo del 

corrispettivo soltanto nel caso in cui vi � divario 

quantitativo tra la somma pagata e quella dovuta 

in base all'accertamento definitivo. Quando invece 

non si discute dell'ammontare dovuto, ma dalla qua


lit� della tassa, trova applicazione l'art. 136, primo 

comma, secondo il quale l'azione del contribuente 

per chiedere la restituzione delle tasse pagate si pre


scrive col decorso di tre anni dalla data di pagamento. 

Tale data, secondo il sistema esposto innanzi, � 

quella della registrazione dell'atto anche per i con


tratti a corrispettivo variabile, poi che per questi 

il legislatore ha inteso derogare unicamente nell'ipo


tesi preveduta dall'art. 137; fuori da tale eccezione 

resta quindi applicabile l'art. 136, che ha portata 

generale e riguarda ogni specie di rimborso. 

Nel caso in esame non si fa questione della quan


tit� della tassa perch� il contribuente richiamandosi 

all'art. 33 della tabella all. O, sostiene che il contratto 

doveva ritenersi esente da imposta, e pertanto la 

prescrizione dell'azione � regolata dall'art. 136 e 

non dall'art. 137. 

N �, come � stato rilevato con la decisione n. 2869 

del 1940, potrebbe farsi fondatamente distinzione 

fra tassa principale sul corrispettivo presunto e tassa 

complementare sul corrispettivo definitivo per con


cludere, in un caso come questo in esame, che l'azione 

per chiedere il rimborso della prima si prescrive in 

tre anni dalla registrazione e l'azione per domandare 

la restituzione della seconda si prescrive in tre anni 
dallo accertamento definitivo, applicando cos� parallelamente 
gli articoli 136 e 137, perch� la prescrizione 
dell'art. 136 � unica e decorre dalla registrazione. 


Invero la perce10ione della imposta al. momento 
dell'accertamento provvisorio presuppone necessariamente 
la definizione della natura del negozio e 
dell'assoggettabilit� al tributo, nonch� la determinazione 
dell'aliquota, mentre la provvisoriet� della 
riscossio'ne si riferisce esclusivamente alla quantit� 
del valore dell'ritto o trasferimento. E se, col decorso 
del triennio dal pagamento della tassa principale, 
non � piu impugnabile la legittimit� dell'accertamento 
tributario, divenuto ormai definitivo, nessun 
rilievo pu� avere, a fonda mento della pretesa di ritenere 
aperto un nuovo termine prescrizionale, l'ulteriore 
pagamento della tassa complementare, pagata 
in seguito all'accertamento definitivo. 

Il ricorrente tenta di spezzare il legame che sussiste 
tra l'imposta principale e quella complementare, 
sostenendo che possa discutersi dei presupposti di 
legittimit� dell'imposizione ai limitati fini del rimborso 
dell'imposta complementare, ma in contrario 
pu� osservarsi che l'unicit� del rapporto giuridico 
di imposta, anche nei contratti di corrispettivo variabile 
o presunto � dimostrata dal fatto stesso di 
poter pretendere, dopo la liquidazione definitiva, il 
rimborso di ci� che inizialmente sia stato versato 
in piu nell'opinione che il valore dei corrispettivi 
fosse maggiore. Infine, come � stato rilevato nei precedenti 
giudicati, il regolamento � della prescrizione 
fiscale costituisce una logica applicazione dei principi 
in tema di nascita, esercizio ed estinzione della 
azione. Infatti, mentre l'azione per la restituzione 
di quando � stato pagq,to in piu, relativamente al 
valore, nasce quando si stabilisce definitivamente 
il valr)re stesso, l'azione diretta a negare il fondamento 
della tassa nasce senz'altro al momento della regi


strazione, perch� in quel momento l'ufficio identi


fica la fattispecie fiscale, fissando il criterio di tassa


zione, dopo avere affermato il diritto. della finanza 

al tributo �. 

IMPOSTE E TASSE -Imposta profitti di guerra 


Responsabilit� degli amministratori e liquidatori 

"solve et repete � (art. 16 del R.D.L. 27 maggio 1946, 

n. 436). (Corte di Cass., Sez. Unite, 9 febbraio 1952 -
Pres.: Ferrara, Rel.: Lorizio, P. M.: Eula -Amministrazione 
Finanze contro Costantini e Menghini. 
Pur iniziandosi l'art. 16 del R. D. L. 27 maggio 
1946, n. 436 colle parole �All'art. 22 del testo 
unico approvato con R. D. 3 giugno 1943, n. 598 
� sostituito il seguente n, tuttavia nel testo dell'articolo 
la frase � alla data di entrata in vigore 
del presente decreto ii si riferisce alla data di entrata 
in vigore di esso decreto n..436 del 1946 e 
non a quella del decreto 3 giugno 1943, n. 598: 
pertanto l'automatica responsabilit�. degli amministratori 
e dei liquidatori per il debito dJimposta 
di profitti di guerra della societ� sussiste soltanto-� 
per coloro che avevano queste cariche alla data di 
entrata in vigore del decreto n. 436 del 1946 o le 
abbiano avute successivamente. Per gli altri, che 
tali cariche abbiano esercitato in data precedente, 


-106


la responsabilit� per debito d'imposta � subordin::
i,ta alla sussistenza di un11 delle ipotesi di cui 
alle lettere a), b), c), d) del ripetuto art. 16. 

Indipendentemente da un"'' dichiarazion.0 giudiziale 
di responsabilit� degli amministratori con 
riferimento a una delle ipotesi suddette, pu� lo 
Esattore procedere coattivamente contro di essi 
su richiesta dell'Amministrazione finanziaria e la 
loro opposizione agli atti dell'Esattore non � proponibile 
senza il mancato pagamento dell'imposta, 
salvo il caso in cui prima facie, si ravvisi che non 
ricorm nessuna delle ipotesi medesime. 

Occorre anzitutto una breve precisazione del fatto. 
L'Esattore agiva contro Menghini Umberto e Costantini 
Oreste e Pietro per imposta profitti di guerra di 
una certa societ�, della quale il primo era stato amministratore 
per tutto l'anno 1940 e gli altri due erano 
stati liquidatore dal 24 novembre 1943 al 22 agosto 
1945, cio� prima dell'entrata in vigore del R. D. 
27 maggio 1946, n. 436: E a fondamento della loro 
responsabilit�, su richiesta dell'Amministrazione finanziaria 
poi intervenuta nel giudizio di opposizione, 
l'Esattore deduceva il ricorso delle seguenti 

cc condizioni � di cui rispettivamente alle lettere b 

e d dell'art. 16 del R. D. 27 maggio 1946, n. 436: 

notevole sproporzione fra il capitale sociale e il pro


fitto accertato; sussistenza di elementi idonei a far 

ritenere che la gestione della societ� fu, come si 

esprime l'art. 16, <e preordinata a creare una situa" 

zione d'insolvenza del debito per imposta straordi


naria sui profitti di guerra�. 

Sull'opposizione dei tre intimati, il Tribunale 

e la Corte d'Appello concordemente, dopo avere 

respinto l'eccezione di solve et repete, ritennero 

che l'a sussistenza delle cc condizioni � di cui sopra 

dovesse essere preventivamente riconosqiuta dal Giu


dice in un processo d'accertamento, per cui, questo 

essendo mancato, l'esecuzione risultava senza titolo: 

onde accolsero l'opposizione stessa. 

Nel nostro ricorso con un primo motivo, richia


mandoci all'ormai pacifica giurisprudenza in tema 

di responsabilit� dei liquidatori di societ� a norma 

dell'art. 45 del R. D. 17 settembre 1931, n. 1618, 

noi avevamo dedotto che sia l'amministratore Men


ghini sia i due liquidatori Costantini avevano la 

nota figura del cc responsabile d'imposta �, per cui 

il solve et repete era applicabile indipendentemente 

dall'iscrizione a ruolo o dall'esistenza di un titolo 

preventivamente costituito contro di loro. 

Con un secondo motivo, poi, avevano dedotto che 

l'art. 16 del decreto 27 maggio 1946, n. 436, secondo 

la sua testuale premessa cc sostituiva>> l'art. 22 del 

T. U. 3 giugno 1943, n. 598, e che perci� nell'articolo 
16 medesimo le parole <e alla data di entrata 
in vigore del presente decreto � non potevano intendersi 
che riferite alla data di entrata in vigore del 
T. U. n. 598 del 1943: di conseguenza, poich� i due 
Costantini avei1ano esercitato la loro carica dopo 
quest'ultima data, la loro responsabilit� era de iure 
in base al 20 comma dell'art. 16, �indipendentemente 
dal �ricorso delle condizioni previste nei commi 
successivi. 
Come risulta dalla prima delle massime indicate 
in epigrafe, il Supremo Collegio non ha accolto il 
Becondo motivo: o su questo punto il fondamento 

della sua pronunzia non appare del tutto sicuro, 
tenuto conto della dizione letterale dell'art. 16 il 
quale contiene la dichiarazione ch'esso cc � sostituito >> 
all'art. 22 del T. U., n. 598 del 1943. Se il vecchio 
articolo � sostituito, parrebbe che il nuovo non possa 
esser considerato che come parte del testo in cui si 
trovava il vecchio e non possa esser letto se non con 
riferimento a quel testo. Certo, tale criterio si risolve 
in una modifiCazione retroattiva della legge in peius: 
e questo spiega la resistenza che un'interpretazione 
letterale della norma ha trovato nel Supremo Collegio. 
Deve notarsi che in giurisprudenza si ammette 
anche dal punto di vista costituzionale che il 
principio, dell'irretroattivit� della legge possa subire 
eccezione, e la stessa sentenza non trascura di 
riconoscerlo. Cos�, per ripudiare l'interpretazione 
letterale, essa deva affermare che <e l'efficacia retroattiva 
non pu� essere per altro ritenuta allorch� la 
nuova disposizione renda piu grave la posizione 
del soggetto e non risulti una palese volont� della 
legge che essa norma piu grave deva applicarsi retroattivamente 
pel passato >i, onde cc nel caso di incertezza 
deve adottarsi l'interpretazione piu favorevole al sog


getto �. Ora, che l'ordinamento giuridico possa presentare 
delle lacune, � cosa che la dottrina ammette, 
ma sembra discutibile un canone interpretativo che 
si fondi sulla dichiarata insolubile incertezza della 
stessa norma da interpretare, mentre pare che la 
funzione dell'interprete sia proprio di risolvere quell'incertezza. 


Particolarmente notevole � la seconda massima, 
a parte l'equivoco per cui la sentenza l'ha riferita 
al solo M enghini amministratore, avendo interpretato 
il primo motivo del ricorso come relativo al solo 
M enghini, mentre esso concerneva anche i due liquidatori, 
ai quali sarebbe stata applicabile la stessa 
rati� decidendi se la� sentenza non avesse omesso di 
esaminare la loro posizione sotto il profilo prospettato 
col primo motivo. 1 

La seconda massimx, ripetiam?, � notevole dati 
i dubbi che potevan? sorgere circa la possibilit� di 
estendere all'art. 16 del decreto n. 436 del 1946 sui 
profitti di guerra gli stessi criteri cui s'� ispirata 
la giurisprudenza formatasi sulla responsabilit� 
dei liquidatori em art. 45 del decreto n. 1608 del 
1931. Ivi infatti tale responsabilit�. era legata ad 
una situazione di fatto che per sua natura poteva 
apparire piu facilmente suscettibile di un pronto 
accertamento e rispetto alla quale si offrivano meno 
difficolt� all'ammettere che fosse suff�cente l'atto unilaterale 
dell'Amministrazione a costituire il liquidatore 
in posizione di obbligato tributario. N ell' articolo 
16, invece, fra le varie condizioni cui pu� 
essere subordinata la responsabilit� degli amministratori 
e liquidatori, ve� ne sono come quelle che 
nella specie venivano appunto contestate ai tre intimati: 
cc che esista notevole sproporzione fra il capitale 
sociale e il movimento degli affari o tra il capitale 
sociale ed il profitto accertato �; che �ricorrano 
elementi idonei a far ritenere che la: �ostitu.tion.@. o. 
la gestione della societ� fu preordinata, ecc. ecc. �~ 
E si pu� spiegare che la natura alquanto opinabile 
di tali condizioni avesse indotto nella causa attuale 

il Tribunale e la Corte a ritenere la necessit� di un 
separato accertamento davanti il Giudice ordinario. 

~~Il=��=Il-=��fill���=m ...�.�.� ... fili.ffi�=��l!B���~�rtlfil.. ~@..,�.[! fl.�B��mffilfil.<-~4fa:4f~im

.....�.�=00�=.!!.!Jii=fil ...[1.,�.iJ.[�!1�.� ....fil...mffi ...,!J.�8��.�-fil0ffi� 


-107 


V a reso merito al Supremo Collegio di avere, 
guardando al fondo della q�uestione, considerato che 
ricqrrevano anche qui gli estrerni per l'applicazione 
della giurisprudenza precedente, giacch� � il fondamento 
ex lege della responsabilit� di cui si tratta 
fa venir meno la necessit� di accertamento giudiziale, 
e l'opposizione dell'Amministratore dando 
vita a controversia d'imposta, si verifica, ove non 
sia pagato il tributo, la t�mporanea mancanza di 
giurisdizione del giudice ordinario �. 

G. CALENDA 
IMPOSTE E TASSE -Commissione centrale -Ricorso 
per cassaziomi (art. 111 della Costituzione) -Prec~usi.
one del diritto di iniziare giudizio ordincrrio. (Corte 
d1 Cass., Sez. I, Sent. n. 10L3-52 -Pres. : Piacentini 
Est.: Di L~berti, P.M.: Pomodoro -Cast&gna contr~ 
Finanze). 


Contro la decisione della Commissione Centrale 
delle Imposte il contribuente pu� propone -in 
base all'art. 111 della Costituzione -rieorso per 
cassazione per violazione di legge sostanziale oltre 
che processuale. 

L'avvalersi di tale mezzo preclude per� la possibilit� 
di istituire un nuovo giudizio nelle forme 
ordinarie dinanzi all'autorit� giudiziaria ordinaria, 
per far riesaminare la questione di legittimit� 

� della imposizione tributaria, dopo che essa venga 
decisa dalla Corte di Cassazione. 

Riportiamo anzitutto il testo della motivazione 
di questa importantissima decisione della Corte 
Suprema. 

(( Si eccepisce preliminarmente dalla difesa della 
Amministrazione finanziaria la inammissibilit� del 
ricorso. 

A sostegno di tale eccezione si fa osservare dalla 
Avvocatura dello Stato che il ricorso proposto dai 
Castagno � diretto ad impugnare la decisione della 
Commissione Centrale delle Imposte per violazione 
di legge, in base �all'art. 111 della Costituzione. 

Senonch�, secondo l'Avvocatura, tale norma, avendo 
il fine di attuare in favare dei cittadini una garanzia 
di rett� osservanza della legge da parte degli 
organi di giurisdizione speciale, almeno finch� essi 
non siano soppressi o sottoposti a revisione come � 
previsto nella Costituzione, presuppone che il giudice 
speciale abbia deciso di una controversia devoluta 
interamente e definitivamente al suo esame, 
mentre per la controversia tributaria di cui trattasi 
un simile presupposto non esisterebbe affatto: ci� 
per9h�, delle controversie concernenti l'avocazione 
dei profitti eccezionali di contingenza, quale � appunto 
la controversia sorta tra i fratelli Castagno e 
la resistente Amministrazione, decidono, a norma 
di quanto ha disposto l'art. 15 del R. D. L. 10 agosto 
1944, n. 199, in una prima fase le Commissioni 
tributarie designate dall'art. 22 del R. D. 7 agosto 
1936, n. 1639 per la risoluzione delle controversie 
in materia di imposte dirette e sui trasferimenti di 
ricchezza e in una seconda fase, se le parti non 
accettano la decisione di queste Commissioni, la 
autorit� giudiziaria ordinaria. 

Quindi, spettando al giudice ordinario di decidere 
in modo definitivo la controversia tributaria, la particolare 
tutela giurisdizionale prevista dall'art. 111 
della Costituzione non avrebbe giustificazione per le 
decisioni pronunciate dalla Commissione Centrale 
delle Imposte, perch� il contri&uente avr.ebbe modo 
di ottenerla ugualmente questa tutela con la possibilit� 
che egli ha per legge di istituire, dopo quelle 
decisioni, un regolare giudizio avanti l'autorit� giudiziaria 
e percorrerne tutti i gradi fino a quello di 
Cassazione ai fini di far giudicare della legittimit� 
della imposizione tributaria. 

Si aggiunge, poi, che un ricorso per cassazione, 
a norma dell'art. 111 della Costituzione, non solo 
non avrebbe ragion d'essere nel caso in esame, ma 
esso, ove si ammettesse, condurrebbe ad una situazione 
anomala, non essendo possibile sapere, nel silenzio 
della legge, se la statuizione che verrebbe ad 
emettere il Supremo Collegio dovrebbe spiegare effetti 
preclusivi per un nuovo e ulteriore esame della 
lite tributaria avanti la stessa autorit� giudiziaria, 
secondo il normale sistema della legge, ovvero sarebbe 
destinata a rimanere come non data per dar 
luogo a nuove e anche diverse pronunzie dei giudici 
di merito anche sulle questioni di diritto gi� decise 
dal Supremo Collegio. . 

Infine si fa rilevare che, ove si volesse ritenere 
che un simile inconveniente potrebbe evitarsi limitando 
il ricorso alle sole violazioni di legge che potessero 
profilarsi come � errores in procedendo � si 
avrebbe, a parte l'arbitrariet� di questa limitazione, 
un altro risultato non accettabile, perch� non consono 
col sistema della legge, quello, cio�, di rendere 
possibile, dopo l'annullamento della decisione della 
Commissione Centrale, un rinvio della causa avanti 
la medesima per una nuova decisione, mentre con la 
pronuncia emessa da quella Commissione si esaurisce 
la fase contenziosa avanti le Commissioni tributarie 
e spetta alla giurisdizione ordinaria nei suoi vari 
gradi di riprendere in esame e decidere, con esclusione 
della questione circa la estimazione del reddito, 
la controversia tributaria. 

Non sembra per� al Supremo Collegio che questi 
argomenti con cui vuol sostenersi dall'Amministrazione 
resistent11 la inammissibilit� del ricorso abbiano 
quel valore decisivo che ad essi si vuole attribuire. 

Il primo rilievo da farsi � che, se si dovesse s~guire 
la tesi su cui si vuol far poggiare la dedotta 
inammissibilit� del ricorso si verrebbe a rendere 
vana e inoperante, per una notevole categoria di 
controversie, una norma di legge fondamentale e solenne 
come quella contenuta nell'art. 111 dell;,<, Costituzione 
e diretta a garantire ai cittadini, mediante 
il ricorso per cassazione per violazione di legge, un 
giudizio di legittimit� per tutte le pronuncie emanate 
da organi di giurisdizione speciale, fino a quando 
questi non siano soppressi. 

Ora � ben vero .che si possono dare dei casi in cui 
una norma sia talmente contraddittoria e incompatibile 
con un'altra da costringere l'interprete a ne


. 

garle applicazione, ma � pur vero che queiia � inter_: 
pretatio abrogans � deve costituire un estremo rimedio 
cui si deve ricorrere soltanto quando, attraverso 
una rigorosa analisi, appaia evidente e ineliminabile 
l'antinomia tra le due norme. 


-108 


Ebbene, non sar� difficile dimostrare che nel caso 
presente questa antinomia tra l'art. 111 della Oostituzione 
-articolo che gi� questa Oorte ha dichiarato 
di carattere precettivo e di immediata applicazione 
-e le norme che regolano il processo tributario 
e garantiscono per altre vie al contribuente la legittimit� 
dei suoi risultati � soltanto apparente e pu� 
essere agevolmente eliminata assegnando alla norma 
della Oostituzione quella sfera di applicazione che 
possa darle una sua propria e razionale funzione 
non incompatibile col sistema delle altre difese giurisdizionali 
che la legge comune accorda al contribuente. 


A tale fine deve osservarsi che, in definitiva, quel 
che secondo l'assunto della difesa dell'Amministrazione 
dovrebbe rendere inapplicabile, per le controversie 
tributarie, l'art. 111 della Oostituzione �: 

1) l'eccesso di tutela giurisdizionale di legittimit� 
che con tale norma verrebbe ad ottenere il contribuente, 
dato che questi avrebbe gi� per legge la 
possibilit�, se non ritiene giusta la decisione della 
controversia tributaria da parte della Oommissione 
O entrale, di proseguire la lite avanti l'autorit� giudiziaria 
e di pervenire cos� a suo tempo a quel gfodizio 
di legittimit� in sede di Cassazione che la norma 
della Oostituzione garantisce al cittadino; 

2) la situazione giuridica incongrua e perturbatrice, 
che si verrebbe a verificare, qualora il contribuente, 
rimasto soccombente nel giudizio di cassa-� 
zione, promosso in base all'art. 111 della Oostituzione, 
volesse avvalersi anche del diritto che egli ha 
di portare la lite tributaria, per le questioni di legittimit�, 
avanti i giudici ordinari, che potrebbero giudicare 
su tali questioni in modo difforme dalla Oassazione. 


Senonch�, quanto alla larnentata esuberanza di 

difesa giurisdizionale, va rilevato che un ricorso 

per Oassazione per violazione di legge che il contri


buente ritenesse di suo interesse proporre immedia


tamente contro le decisioni della Oommissione Oen


trale non potrebbe essere considerato davvero un ri


medio incongruo o superfluo. 

Anzitutto con tal ricorso -che come la Oorte 

di cassazione ha gi� ritenuto, non � subordinato 

all'osservanza del precetto del cc solve et repete � 


il contribuente potrebbe denunciare non solo le vio


lazioni della legge tributaria, ma anche quelle atti


nenti al procedimento (cc errores in procedendo �) rag


giungendo cos� una tutela giurisdizionale piu larga 

di quella che otterrebbe, promuovendo il giudizio 

ordinario avanti il tribunale, perch�, com'� noto, 

� stato sempre ritenuto, (1,nche per costante giurispru


denza di questa Suprema .Oorte, che il riesame della 

lite tributaria che pu� farsi dall'autorit� giudiziaria 

ordinaria riguarda le questioni di legittimit� sostan


ziale relative alla imposizione tributaria, non quelle 

di legittimit� formale del processo tributario che viene 

considerato, salvo casi estremi di nullit�, un ciclo 

a s� stante, le cui fasi, (1,nche se non svoltesi regolar


mente, non possono acquistare rilevanza per l'esame 

di legittimit� sostanziale della lite che dovr� farsi 

nel successivo processo avanti i giudici ordinari. 

N � vi sarebbe quella stranezza che vuol vedervi 

la difesa dell'Amministrazione nel fatto che questa 

,Suprema Oorte potesse event'l,(,~lmt?ntt? a�divenire, 

qualora accertasse l'esistenza del denunziato cc error 
in procedendo � verificatosi nel giudizio transitorio, 
all'annullamento della decisione della Oommissione 
Oentrale e al rinvio della causa avanti la medesima 
per nuovo esame del punto in discussione. 

Ed invero anche le giurisdizioni speciali, come 
la giurisdizione ordinaria, si trovano in rapporto 
di subordinazione rispetto a questa Suprema Oorte 
che ha il potere di annullarne le decisioni se riscontra 
che con esse si siano violati i limiti della giurisdizione 
speciale; questo rapporto di subordinazione 
diviene piu intimo, se il sindacato della Oassazione 
si estende anche al giudizio di legittimit� ed � ben 
naturale allora che, se si annulla la decisione emessa 
dall'organo di giurisdizione speciale -e tale � la 
Oommissione Oentrale delle Imposte -vi sia da 
parte di questa Suprema Oorte anche il potere di 
rinviare la causa a detto organo, per provocarne una 
nuova decisione conforme a quei determinati principi 
di diritto, che nella sentenza di rinvio siano stati 
indicati. Ma, oltre quello di poter denunciare le 
eventuali irregolarit� formali del processo tributario, 
vi potrebbe essere l'interesse per il contribuente di 
ottenere un giudizio piu immediato e sollecito sulla 
legittimit� della imposizione tributaria, instaurandolo 
senz'altro in sede di Oassazione, anzich� seguire 
la via piu lunga dell'azione comune, che lo 
costringerebbe a percorrere i diversi gradi della giurisdizione 
ordinaria. 

� infatti vivamente criticato l'attuale sistema 
attraverso il quale il legislatore, pur con il lodevole 
intento di procurare al contribuente una certa garanzia 
di giustizia nella imposizione tributaria di 
cui � fatto oggetto, ha finito con l'estendere soverchi~mente 
i modi con cui fare attuare questa garanzia 
ed � pur noto come sia comunemente auspicata per 
il nuovo sistema che, in aderenza allo spirito della 
Costituzione, dovr� adottarsi per garantire il contribuente 
da eccessive e non legittime imposizioni tributarie 
una maggiore snellezza di procedimento

' . .

per la risoluzione delle controversie che in proposito 
possono sorgere: quindi, se la disposizione contenuta_ 
nell'art. 111 della Oostituzione offre il mezzo di 
abbreviare fin d'ora, pur vigendo. il vecchio sistema, 
il corso della controversia tributaria, non si vede 
la ragione per cui dovrebbe ci� impedirsi. 

Accertatosi, dunque, che la tutela giurisdizionale 
prevista in detto articolo potrebbe avere per le controversie 
tributarie una sua particolare funzione, 
in considerazione della quale essa potrebbe essere 
preferita dal contribuente alla tutela giurisdizionale 
comune che per tali controversie egli ha, dopo la fase 
contenziosa presso le Oommissioni tributarie, viene 
ad escludersi che vi sia antinomia o incompatibilit� 
tra le due tutele. Piuttosto � da vedere se dette due 
tutele possono cumularsi con un eserci.zio contemporaneo 
o successivo delle rispettive aoioni, perch� 
questo � l'unico e vero problemx che sorge dalla 
norma della Oostituzione e che potrebbe giustificare 
qualche perplessit� sulla possibilit� ��pratica della 
sua applicazione: ci� naturalmente nella �potiisi � 
che il ricorso per Oassazione cJntemplato in detta 
n?rmx sia stato proposto non per le sole violazioni 
della legge processuale, ma anche per le violazioni 
di legge sostanziale circa l'esistenza dei pre



-109


supposti che possono legittimare la imposizione tributaria. 


Ma anche un tal problema pu� trovare la sua soluzione 
sol che si richiamino in proposito i principi 
comuni che regolano i rapporti fra le giurisdizioni. 

Ora in base a questi principi � ovviamente da 
escludersi che con la giurisdizione esercitata da questa 
Suprema Corte con il giudizio di legittimit�, provocato 
in base all'art. 111 della Costituzione, possa 
concorrere un altro esercizio di giurisdizione, anche 
se da parte della stessa autorit� giudiziaria, per 
emettere un nuovo giudizio di legittimit� sulla stessa 
questione tributaria: ci� dovrebbe escludersi perch�, 
data la posizione istituzionale della Corte di Cassazione, 
non � concepibile che, dopo il suo giudizio di 
legittimit�, questo possa essere rinnovato da parte 
dei giudici di merito, le cui pronuncie verrebbero a 
creare in sostanza tra la loro giurisdizione e quella 
della Suprema Corte un rapporto di subordinazione 
alla rovescia, il che per definizione non pu� ammettersi. 


� evidente allora che soltanto un rapporto di alter


nazione pu� regolare l'esercizio delle due tutele giu


risdizionali in esame. Com'� noto, vi ha rapporto 

di alternazione tra due tutele giurisdizionali quando, 

pur ammettendosi in astratto la possibilit� teorica 

di un loro duplice esercizio, il fatto che in concreto 

la parte legittimata a invocarla dia la preferenza 

ad una di esse, con un congruo atto di volont�, deter


mina la cos� detta concentrazione di competenza nella 

giurisdizione preventivamente scelta con preclusione 

assoluta, per il principio � electa ma via non datur 

recursus �ad alteram � di potere sottoporre o contem


poraneamente o successivamente ad altro giudice 

la stessa questione. 

Ci� posto, � chiaro che se il contribuente, com'� 

avvenuto nella specie in esame, ritenga di suo inte


resse proporre in base all'art. 111 della Costituzione 

il ricorso per cassazione per violazione di legge so


stanziale, oltre che processuale contro la decisione 

della Commissione Centrale delle Imposte, egli eser


cita un suo incontestabile diritto, ma si preclude 

con ci� stesso la possibilit� di istituire un nuovo 

giudizio nelle forme ordinarie per fare riesaminare 

la questione di legittimit� sulla imposizione tribu


taria dopo che essa venga decisa dalla Corte di Cas


sazione �. 

Questa sentenza rappresenta il logico sviluppo 

dell'orientamento giurisprudenziale piu volte ricon


fermato dalla Suprema Corte in ordine al carattere 

di giurisdizioni speciali riconosciuto alle Commis


sioni tributarie, e sopratutto rappresenta il corollario 

inevitabile della sentenza N. 2164/1950 pronun


ziata dalle Sezioni Unite in causa Raccuglia contro 

Finanze (v. in Giur. Oompl. Oass. Civ. -1951 


I, pag. 98 e seguenti). In questa vertenza, invero, 

la Corte Suprema fu espressamente investita della 

questione della compatibilit� della natura giurisdi


zionale delle Commissioni tributarie con l'art. 111 

della Costituzione. Si sosteneva, infatti, dall'Avvo


catura che, in presenza di un sistema processuale 

il quale prevedeva contro le decisioni delle Commis


sioni tributarie l'esperibilit� di un normale giudizio 

avanti il Tribunale ordinario, ed essendo questo 

giudizio evidentemente incompatibile con il ricorso 

in cassazione previsto dall'art. 111 della Costiiuzione, 
questo costituisse una� riprova del carattere 
amministrativo delle Commissioni tributarie. In 
altri termini, si assumeva l'art. 111 della Costituzione 
come pietra di paragone per stabilire il carattere 
di giurisdizione speciale di crrgani la cui natura 
giuridica formava oggetto di contestazioni. 

La Corte Suprema, nemmeno di fronte a questa 
nuova impostazione della questione riteneva di dover 
modificare la sua costante giurisprudenza e riaff ermava 
la natura giurisdizionale delle Commissioni 
tributarie, ammettendo che a queste fosse inapplicabile 
l'art. 111 della Costituzione, ma ci� per il fatto 
che cc il cittadino ha in questa materia (se. tributaria) 
una tutela giurisdizionale piu ampia di quella che 
gli concede la Costituzione�. 

Evidentemente questa affermazione non poteva 
a lungo sostenersi non fasse altro perch� urtava contro 
la lettera chiarissima dell'art. 111 della Costituzione 
(� sempre ammesso il ricorso); e si � giunti 
cos� a questa costruzione giuridica delineata dalla 
sentenza in rassegna, la quale, a quanto ci risulta, 
� un unicum nel nostro ordinamento giuridico, nel 
quale non vi � altro esempio di alternativit� di azione 
giudiziaria avanti i Tribunali ordinari con il ricorso 
av�nti la Corte di Cassazione per violazione di 
legge. 

Quali possano essere le conseguenze della presente 

sentenza, non ci � dato ancora con esattezza preve


dere; ma quello che � certo � che essa render� oramai 

impossibile il mantenimento di quell'indirizzo giu


risprudenziale affermato dalla stessa Corte Suprema 

in materia di imposte indirette. Com'� noto, invero, 

dal combinato esame delle sentenze delle Sezioni 

Unite n. 123 del 1� febbraio 1947, e n. 1069 del 

30 aprile 1949 sembra possa desumersi che la Corte 

Suprema ritiene ammissibile il concorso contem


poraneo ed indipendente dell'azione giudiziaria e 

del ricorso tributario in materia di imposte indirette, 

ripudiando la tesi affermata nella citata sentenza 

n. 123, secondo la quale l'inizio dell'azione giudiziaria 
avrebbe dovuto significare preclusione del 
ricorso alle Commissioni e rinuncia a quello gi� 
proposto. 
Ora, ammesso questo concorso contemporaneo di 
azioni ognuno pu� rendersi conto delle conseguenze 
che ne possono derivare nel caso in cui, mentre la 
azione giudiziaria pende ancora nelle sedi di merito 
intervenga una decisione della Commissione centrale 
sfavorevole all' .Amministrazione. � evidente, infatti, 
che, in base alla sentenza che si annota, non vi dovrebbe 
essere alcun impedimento per l'amministrazione 
a proporre contro la decisione della Commissione 
centrale il ricorso diretto alla Corte di Cassazione 
ex art. 111. Non ci sembra, invero, che si 
possa pensare che il solo fatto della pendenza della 
azione giudiziaria avanti il Tribunale, iniziata dal 
contribuente, precluda all'Amministrazione la facolt� 
di ricorrere alla Corte Suprema. Una soluzione 
a questi gravi inconvenienti potr� forse ��trovarsi 
solo nel ritorno al principio affermato dalla citata�� 
sentenza n. 123 del 194 7, quello cio� che l'azione 
giudiziaria implichi rinuncia o preclusione del ricorso 
alle Commissioni. 


-110 


RESPONSABILIT� CIVILE ~ Impiegato infortunato Fatto 
illecito altrui -Corresponsione di stipendi nel 
periodo di inv;ilidit� -Rivalsa del datore di lavoro 
contro il terzo -Inammissibilit�. (Corte di Cassazione. 
Sez. III Civile, 8 maggio 1952, n. 1305 -Pres : Acam. 
pora, Est.: Marcone, P.M.: Pomodoro -Paura contro 
Ciancaleoni). 

L'ente pubblico o privato, che abbia corrisposto 
ad un suo impiegato, rimasto infortunato a se 
guito di fatto illecito altrui, gli stipendi durante 
il periodo di ,inabilit�. temporanea assoluta ed in 
dipendenza delle clausole con.tenute nel proprio 
regolamento o nel proprio contratto di lavoro, non 
ha diritto di richiedere all'autore del fatto illecito 
il risarcimento dei danni commisurati agli 
stipendi pagati al proprio dipendente senza potersi 
giovare della sua capacit�. lavorativa, n�� 
sotto il profilo di azione diretta n� 'sotto quello di 
azione surrogatoria o di azione di indebito arricchimento. 


I. L'Ente pubblico o privato che abbia corrisposto 
ad un suo impiegato rimasto infortunato, a seguito 
di fatto illecito altrui, gli stipendi durante il 
periodo della inabilit� temporanea assoluta ed in 
dipendenza delle clausole contenute nel proprio regolamento, 
ovvero nel proprio contratto di lavoro (o,. 
il che � la stessa cosa, anticipato trattamento di quiescenza 
agli aventi diritto dell'impiegato deceduto) 
pu� ripetere dall'autore del fatto illecito le somme 
relative agli stipendi pagati a vuoto al proprio dipendente 
per il periodo in cui non si � potuto giovare 
della sua capacit� lavorativa od a detto trattamento 
di quiescenza di cui gli aventi diritto hanno anticipatamente 
fruito? � 
La Cassazione, gi� nella sentenza 117 4-48, Comune 
Milano contro Moneta in questa Rassegna 
1949, III, 89, ha risposto negativamente: e risposta 
ugualmente negativa aveva dato in altro caso analogo 
in cui erasi discusso, per la prima volta dinanzi 
alla Suprema Corte, se un Comune, che aveva dovuto 
corrispondere la pensione privilegiata ai congiunti 
di un suo dipendente morto per causa di servizio 
e per colpa di un terzo, avesse o meno diritto 
di rivalersene contro costui (Cons.: CASSAZIONE, 
Sez. III -Sent. n. 829-36. Comune di Milano contro 
Cantini e Messa -In� Massimaro Foro It. �, 1936, 
168). Anche nella fattispecie di cui annotiamo la 
massima � addivenuta alle stesse conclusioni, sempre 
fondate sulle stesse argomentazioni costantemente 
ripetute. 

� fuori dubbio che chiunque legga anche solo 
le massime delle sentenze in esame r~porta immediatamente, 
ictu oculi, l'impressione di qualcosa che 
non va, che non corrisponde a giustizia. Se si interpella
� l'uomo di buon senso (la giustizia non deve 
e.ssere qualcosa di astratto, ma bens� deve essere soprattutto 
umana e l'impressione dell'uomo di buon senso 
� spesso la misura piu precisa dell'esattezza di una 
tesi giuridica), costui non pu� non respingere la 
conclusione a cui � arrivata la Suprema Corte nella 
maleria di cui trattasi. 

II. -La prima considerazione in base alla quale 
la giurisprudenza della Suprema Corte esclude il 
diritto dell'imprenditore nei confronti dell'autore 
del fatto illecito, si fonda sull'esclusione dell'azione 
diretta di risarcimento di danni, in quanto, i �s 
precedentemente accennato, il danno risentito dall'imprenditore 
non � conseguenza diretta ed immediata 
del fatto illecito medesimo. 

L'esame della fattispecie in que�1.ti .sensi, del tutto 
ultroneo, perch� condotto per una via errata, comporta 
la necessit� della risoluzione di molte questioni, 
in particolare di quella relativa alla applicabilit� 
della disposizione dell'art. 1223 c. c., secondo cui 
l'inadempiente � tenuto al risarcimento dei soli danni 
diretti ed immediati, anche alle obbligazioni nascenti 
da delitto e dell'altra relativa al concetto del danno 
diretto ed immedir:ito, che discende da quella piu 
generale della cosidetta causalit� giuridica in modo 
particolarmente notevole e proficuo studiata dalla 
dottrina penalistica e cui occorre far richiamo, essendo 
l'argomento, pur di rilievo nella teoria delle 
responsabilit� per atti illeciti civili, di solito trascurato 
dagli studiosi di diritto privatistico. E la dottrina 
penalistica, dopo aver stabilito che l'ordinamento 
giuridico con la espressione causa intende 
riferirsi ad un concetto normativo diverso da quello 
scientifico, non di condizione semplice, ma bens� 
di condizione qualificata, di condizione cio� che 
presenti un determinato carattere derivante dalla 
relazione in cui si presenta rispetto all'evento, ha 

enunciato diverse teorie al riguardo: quella della 
causa determinante (Lu�chini), quella della causa 
efficiente (Stoppato, llfonzini), quella dell'ultima 
condizione (Ortmann), quella della piu forte, della 
piu efficace (Birkmeyer), quella della causa adeguata 
(Von Bar), quella della condizione qualificata 
dal pericolo (Grispigni), ecc. 

Sembra che il risolvere le cennate questioni, di 
cui la seconda � indubbiamente complessa, sia inutile, 
perch� la giurisprudenza, anche se si � trovata 
di fronte ad una esplicit� domanda in tali sensi di 
una delle parti, avrebbe potuto evitare di percorrere 
pm� intiero una strada che legittimamente poteva 
rifiutarsi di adire; sarebbe bastato osservare come, 
nella specie, il danno conseguente al fatto illecito 
era uno solo, quello sub�to dal dipendente dell'imprenditore. 
Naturalmente qui si fa riferimento al 
danno relativo alfa forzata inattivit� del lavoratore 
considerata come tale, ugualmente pagata dal datore 
di lavoro e non a quello relativo. al mancato sfruttamento 
da parte dell'imprenditore di un dipendente 
particolarmente abile che, oltre essere un quid pluris 
rispetto a quel danno, da luogo ad un problema completamente 
diverso, non confondibile con quello in 
esame (Cons.: MoNTEL -Ancora in. tema di legittimazione 
�1ittiva nell'azione di risarcimento per uccisione 
-�Riv. dir. priv. �, 1931, II, 271 e segg.). 

Il fatto che il risarcimento del danno, a causa del


l'applicazione di alcune norme del contratto di lavoro, 

competa integralmente od in parte all'imprenditore, 

significa cosa ben diversa da quella contenuta nella 

nozione tecnica di danno conseguente ad un fatto 

illecito. 

A nessuno passa per la mente, infatti, di rite


nere danneggiato in senso tecnico, sia pure non��in� 

via diretta ed immediata, l'assicuratore che deve pa


gare l'assicurazione contro i danni all'assicurato: 

per quanto la causa dell'obbligazione dell'assicura


tore sia diversa da quella dell'obbligazione dell'im



-111


prenditore, il rilievo fatto vale anche per questa ipotesi 
nella quale sostanzialmente, alla fin fine, l'imprenditore, 
per altro titolo, paga un debito a cui 
sarebbe tenuto l'autore del fatto illecito. 

Anche in questa ipotesi insomma il danno � unico 
e corrisponde al valore delle conseguenze patite dal 
dipendente a causa del fatto illecito: che queste conseguenze 
in pratica incidano, per le interferenze di 
due obbligazioni, su persona diversa dall'autore del 
fatto illecito, non autorizza a risolvere la questione 
facendo ricorso al principio della causalit� giuridica 
che nella specie non sussisterebbe fra il fatto illecito 
e il risarcimento dovuto all'imprenditore. 

Naturalmente non si intende con ci� affermare 
che l'imprenditore non subisce una diminuzione patrimoniale 
da una situazione del genere di quella 
esposta nel testo: si intende solo far rilevare che questa 
non � qualcosa di piu rispetto al danno patito 
dal dipendente in eventuale rapporto non diretto 
n� immediato col fatto illecito, ma � la integrale o 
parziale incidenza dell'obbligo di risarcimento sul 
patrimonio del datore di lavoro che di conseguenza 
si depaupera. Il risultato a cui si perviene � identico 
a quello cui � pervenuta la Suprema Corte: a noi 
sembra per� che la strada qiti percorsa sia piu esatta, 
tendendo a far rilevare che le conseguenze �patite dall'imprenditore 
non sono un qualcosa di piu del danno 
subito dal dipendente in collegamento non immediato 
n� diretto col fatto illecito, ma si riferiscono alla incidenza 
dell'obbligo di risarcimento del danno subito 
da costui per l'applicabilit� del contratto di lavoro. 

In pratica, nell'ipotesi di un danno patito da un 
lavoratore in servizio ad opera dell'autore di un fatto 
illecito estraneo all'imprenditore si verifica una situazione 
che materialmente (non giuridicamente) 
potrebbe paragonarsi a quella conseguente alla fideiussione 
per quanto riguarda i rapporti fra il creditore 
ed il fideiussore e quelli fra il debitore ed il fideiussore: 
pu� ritenersi insomma che l'imprenditore e 
z'autore del fatto illecito siano tenuti in solido al 
pagamento di un debito e che l'imprenditore abbia 
regresso verso l'autore del fatto illecito. Il paragone 
ha significato orientativo e non ha valore giuridico 
per quei motivi che vietano di far ricorso all'istituto 
della surrogazione legale e che si esamineranno nel 
paragrafo seguente. 

III. -Nulla da eccepire invece per quanto riguarda 
l'esclusione della possibilit� di far ricorso 
a questo istituto affermata dalla Suprema Corte. 
La considerazione secondo la quale, a norma del 

n. 3 dell'art. 1203 c. c., il diritto alla surrogazione 
1 egale competa solo a chi paghi il debito altrui e 
non a chi paghi, come nella speme in esame per l'imprenditore, 
un debito proprio, � indubbiamente 
esatta. 
� vero che nel caso in esame il contenuto della 
obbligazione, cio� la prestazione, � uno solo e consiste 
nella esigenza che il rapporto obbligatorio tende 
a soddisfare. Esso pu� essere di maggiore ampiezza 
per l'aut or e del fatto illecito, ma, in questo caso, 
� sempre comprensivo di quello di minor ampiezza 
dell'imprenditore. Se, nel caso in cui� sono di diversa 
ampiezza1 dovessero essere rappresentati graficamente, 
potrebbero essere confi9urati in due cerchi 
concentrici a diametro diterso di cui quello a dia


metro maggiore riferentesi alla prestazione dell'�uiore 
del fatto illecito (piu ampio in conseguenza ad 
esempio del risarcimento dei danni extrapatrimoniali 
che non riguardano l'imprenditore), comprenderebbe 
l'altro a diametro minore riferentesi alla minore 
prestazione dovuta dal datore di l(J!l)<>ro,� Anche 
in questo caso la prestazione per� sarebbe unica, 
assorbendo eventualmente la maggiore quella minore 
che sarebbe una parte di un tutto unico. 

Ma nella nozione di debito di cui alla norma in 
esame non entra solo il contenuto dell'obbligazione, 
bens� anche la ragione di essere del dovere di adempimento 
(il cur debetur), che � diversa per i due 
debitori, ciascuno dei quali paga un debito proprio,. 
nessuno dei quali paga un debito altrui. 

Il comprendere questo, ha rilevato la Cassazione 
in proposito, sembra del tutto agevole: se n�n si dimentica 
ohe l'obbligo dell'imprenditore proviene da 
altra causa, autonoma rispetto a quella da cui proviene 
l'obbligo dell'autore del fatto illecito, si capisce 
facilmente che quello non pu� far ricorso all'istituto 
della surrogazione per liberarsi dell'incidenza di 
un fatto di cui questo � unico responsabile dal punto 
di vista morale. 

IV. -Ritenuta non percorribile la via �della 
azione diretta di risarcimento del danno perch� 
l'imprenditore non � un danneggiato in senso tecnico, 
esclusa la possibilit� di far ricorso all'istituto della. 
surrogazione legale di cui al n. 3 dell'art. 1203 .c. c. 
non ricorrendone le condizioni, non resta che fa1' 
richiamo all'istituto dell'arricchimento ingiusto al 
fine d�i far cade1'e sul solo responsabile le conseguenze 
del fatto dannoso. 
� .interessante, a proposito della giu1'iSp1'udenza 
della Corte Suprema, rilevare come questa, abbia, 
meno recentemente, denegato l'ese1'cizio dell'azione 
di arricchimento indebito in quanto la situazione 
patrimoniale dell'imprenditore non avrebbe pregiu dizi 
in conseguenza del risarcimento del danno da 
altri inferto al dipendente, mentre successivamente 
abbia posto a ' fonda mento della tesi accolta il fatto 
che la prestazione esplicata dal datore di lavoro non 
sarebbe senza giusta causa. 

Cfrca la prima motivazione, se l'affermazione 
intende riferirsi al fatto che pe1' le imp1'ese di grande 
mole nella determinazione delle competenze ai dipendenti 
gi� si tiene conto del peso conseguente all'obbligo 
di co1'rispondere tali competenze ai dipen~ 
denti anche nel caso in cui costoro siano info1'tunati 
in se1'vizio, peso calcolato con sufficiente approssimazione 
sulla base delle probabilit� statisticamente accertate, 
e che di conseguenza non sussiste impoverimento 
patrimoniale pe1' le imprese medesime, � 
facile rilevare non solo che questa considerazione 
non vale pe1' i piccoli imprenditori che avendo anche 
un solo dipendente non valutano il rischio relativo 
all'infortunio in servizio del dipendente medesimo, 
ma anche sopratutto che, nel caso suddetto, l'impoverimento 
non fa che trasferirsi dal patrimonio dell'imprenditore 
a quello del dipendente che sareblJe meglio 
pagato se il datore di lavoro sapesse che il risa1'ci-�mento 
del danno causato dall'autore di fatto illecito 
non incide in definitiva sul suo patrimonio. In questo 
caso l'anomalia consisterebbe nel fatto che l' arricchimento 
avrebbe avuto luogo non a carico dl, chi 


-112 


agisce con l'azione, ma a carico di un terzo (che peraltro 
potrebbe essere beneficato dal pagamento a suo 
favore e di tutti gli altri che si trovassero nelle stesse 
circostanze di questo l'imprenditore riuscisse a conseguire 
con l'esercizio dell'azione in esame): anomalie 
del genere non sono infrequenti, se si consideri 
che si verificano anche nei casi di arricchimento 
n,ella cambiale e nell'assegno bancario. 

Circa la seconda motivazione, pfu di recente adottata 
dalla Cassazione, � da rilevare che non sembra 
esatta l'affermazione secondo la quale mancherebbe 
il requisito dell'assenza di una giusta causa. Afferma 
la Suprema Corte che l'imprenditore paga il dipendente 
infortunato in base all'applicazione di un contratto 
di lavoro e non si pu� dire pertanto che ci 
S'ia arricchimento dell'autore del fatto illecito senza 
una giusta causa. La giusta causa sarebbe l'applicazione 
del contratto di lavoro. Sembra evidente al 
confusione che viene fatta con il ragionamento suddetto. 

Nel meccanismo della fattispecie in conseguenza 
del danno patito dal dipendente tre rapporti si instaurano: 
uno fra il dipendente e l'autore del fatto 
illecito, l'altro fra il dipendente e l'imprenditore, 
il terzo fra l'imprenditore e l'autore del 'fatto illecito. 
� vero che l'intervento dell'imprenditore in sede di 
risarcimento del danno � f andato su una giusta 
causa, ma questa riguarda unicamente i rapporti 
fra l'imprenditore. medesimo e il suo dipendente e 
non affatto i rapporti fra quello e l'autore del fatto 
illecito. Dell'arricchimento di questi, che indubbiamente 
s11'ssiste, a carico dell'imprenditore, non c'� 

giusta causa, se si consideri il rapporto che lega 
l'autore del fatto illecito al datore di lavoro; la giusta 

�causa c'�, ma si riferisce ad un altro rapporto, estraneo 
a quello di cui termini oggettivi sono l'arricchi.
mento di un soggetto e l'impoverimento dell'altro, 
e non sussiste valida ragione -perch� essa debba in.fiuire 
anche sul rapporto che intercorre fra l'imprenditore 
e l'autore del fatto illecito. 

N� l'una n� l'altra motivazione sembrano fondate: 
sembrerebbe pertanto che l'azione di arricchimento 
indebito possa essere intentata secondo la distinzione 
sopraesposta. 

V. -In relazione alle considerazioni che precedono, 
debbono trarsi le seguenti conclusioni: ti 
a) non potendo intentarsi azione diretta di risarcimento 
dei danni non sarebbe ammissibile una 
costituzione di parte civile nel procedimento penale 
a carico dell'autore del fatto illecito se questo configura 
una ipotesi di illecito penale; 

b) potrebbe invece intentarsi azione per indebito 
arricchimento contro l'autore del fatto illecito. 
A parte la difficolt� di stabilire in pratica in molti 
casi l'entit� del danno subito dal datore di lavoro, 
occorre tener presente per� quale � la situazione 
della giurisprudenza della Corte Suprema che ormai 
si limita a confermare apoditticamente gli argomenti 
con cui � addivenuta alla conclusione di escludere 
anche la possibilit� di esperire azione di arricchimento 
indebito con considerazioni che non sembrano 
fondate. 

(F. O.) 

ORIENTAMENTI. GIURISPRUDENZIALI 
DELLE CORTI DI MER�ITO 


COMPETENZA -Competenza per territorio -Foro 
dello Stato (art. 25 c. P. C.). (Corte di Appello di 
Roma, Sez. I P.1es.: Varallo, Est.: Valillo -28 febbraio 
1952 -Ministero Difesa-Marina -Viani -OderoTerni-
Orlando). � 

L'art. 25 C. P. C., integrando l'art. 6 T. U. 
30 ottobre 1933, n. 1611, sulla rappresentanza e 
difesa d�llo Stato in giudizio, per le cause, nelle 
quali l'.Amministrazione dello Stato sia conven,
ut�, fissa la !lOmpetenza del luogo, nel quale 
ha sede l'Avvocatura dello Stato, nel cui distretto 
� sorta o deve eseguirsi l'obbligazione o in cui 
si trova la cosa mobile o immobile oggetto della 
domanda. 

Tale competenza � funzionale e inderogabile 
(art. 38 in relazione all'art. 28 C. P. C. e 6 T. U 
30 ottobre 1933, n. 1611, e pu� essere rilevata' 
anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo' 

COMPETENZA -Competenza per territorio -Respon� 
sabilit� da fatto illecito. (Tribunale di Roma, Sez. I -
Pres.: Capitolo, Est.: Venditti -2 aprile 1952 -Bartolucci 
contro Ministero Difesa-Esercito). 

L'azione per risarcimento del danno, che si 
assume causato da fatto illecito, dev'essere proposta, 
quando convenuta sia un'amministrazione 
dello Stato, davanti il Tribunale del luogo, in cui 
ha sede l'Avvocatura dello Stato, nel cui distretto 
si � verificato il fatto illecito. 

Oon queste due sentenze � stato confermato l'inse


gnamento, ormai costante, della� Suprema Corte 

(Oass. 15 febbraio 1944 in � Giur. Oompl. Oass. �, 

1944, 472; id. 15 aprile 1947 in � Giur. It. �, 1947, 

I, 1, 379; id. 4 ottobre 1948, n. 1670 in �Mass. 

Gi1J,r. It. n, 1948, 402; id. 25 settembre 1947, n. 1573 

in � Giur. It. �, 1949, I, 1, 91 con nota), secondo 

il quale l'obbligazione da� delitto deve eseguirsi lad


dove si � verificato l'illecito. Per le azioni relative, 

pertanto, il luogo, in cui � sor.ta e quello, in cui deve 

eseguirsi l'obbligazione, coincidono e s'identificano 

col luogo, in cui si � verificato l'evento delittuoso. 

Quando convenuta sia un'amministratione dello 

Stato la competenza per territorio si determina, ai 

sensi dell'art. 25 O. P. O., con riferimento al luogo 

in cui si � compiuto il fatto illecito, da cui sorge 

l'obbligazione, con esclusione del criterio comune 

della residenza o domicilio del debitore, che -come 

esattamente ha osservato la Corte -ove fosse ope


rante, consentirebbe la proposizione di tutte le cause 
contro le Amministrazioni dello Stato davanti il 
Tribunale di Roma (negli stessi sensi cfr.: TRIBUNALE 
DI ROMA -I Sez. -4 maggio e 26 ottobre 1951, 
in causa; Difesa Aeronautica contro Berrugi e altri, 
che ha annullato, per incompetenza, un decreto ingiuntivo 
emesso dal Presidente del Tribunale di 
Roma, relativamente ad obbligazione sorta e da 
eseguirsi a Pisa). 

Degno di particolare menzione � il principio, 
affermato dalla Corte ed al quale pienamente aderiamo, 
per cui tale competenza � funzionale e, pertanto, 
inderogabile e rilevabile anche d'uff�cio, in 
ogni stato e grado del processo. , 

Il principio � la logica conseguenza dell'aver 
rettamente interpretato la norma dell'art. 25 cpv. 

O. P. O. come integrativa di quella contenuta nell'art. 
6 del T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611. l criteri 
di competenza ivi indicati in via alternativa, completano 
il concetto di foro dello Stato e sono, pertanto, 
inderogabili. 
SCAMBI E VALUTE -Versamento in clearing -Se~ 
questro delle somme versate -Opposizione -Interesse 
ad agire dell'Ufl�cio italiano Cambi -Difetto di giuri� 
sdizione dell'autorit� giudiziaria ordinaria. (Corte di 
Appello di Milano, Sez. V Penale, ordinanza 6 apri, 
le 1952 -Pres.: Bianco, Est.: Frisali -Ufficio italiano 
Cambi ed altri contro Gronda Franco cd altri). 

L'Ufficio Italiano Cambi � legittimato attivamente 
a proporre opposizione avverso un. provvedimento 
di sequestro presso terzi che colpisca 
somme versa te in. clearing. � � 

L'autorit�. giudiziaria ordinaria non. difetta di 

giurisdizione nel disporre il sequestro con.serva


tivo di somme versate in clearing. 

La prima massima � di ovvia esattezza. 

La Corte di Appello ha dovuto occup�rsi espres


samente dell'argomento essendo stata eccepita la 

mancanza dell'interesse ad agire nell' Uff�cio Ita


liano Gambi da una delle parti resistenti, la quale 

si era appoggiata, per sostenere la sua opinione, 

sulla tesi enunciata nelle requisitorie scritte �che il 

Procuratore Generale della Corte Suprema di Cas


sazione aveva presentato in una precorsa fase di 

questa lunga vertenza. 

Queste requisitorie sono riportate nella �Rivista 

di Diritto Commerciale�, 1951, II, 377. 



-114 


Non siamo riusciti mai a renderci conto di come 
potesse sostenersi un simile punto di vista. Basta 
riflettere che nel paradigma del sequestro presso 
terzi, in sede civile, il terzo non solo ha interesse 
processuale ad agire, ma � addirittura parte essenziale 
nel proce$So e deve essere citato. Nulla vi � 
nel sequestro presso terzi, al quale si proceda in 
via conservativa in sede penale, che autorizzi a 
pensare ad una differenza tale nella posizione del 
ter.zo da renderlo del tutto estraneo al giudizio o 
parte puramente passiva di esso. 

Vero � che, secondo quanto � detto nelle requisitorie 
del procuratore generale della Corte Suprema 
il difetto di interesse che si vuol riscontrare nello 
Ufficio Gambi si identificherebbe nella circostanza 
che al predetto U'/f�cio, che � un semplice intermediario 
nei pagamenti internazionali, non dovrebbe 
interessare in alcun modo la sorte finale �delle somme 
ad esso versate per l'espletamento delle sue funzioni. 
In altri termini, (si sostiene) che tali somme siano 
pagate a tizio piuttosto che a Gaio, ad un creditore 
italiano piuttosto che ad un creditore straniero, � 
cosa che all'Ufficio Gambi non deve in alcun modo 
interessare. 

Basta enunciare queste proposizioni per rendersi 
conto come qui si confondano due concetti diversi 
e cio� l'interesse concreto, economico, all'esitc; di 
una lite, e l'interesse diretto ed attuale all'applicazione 
esatta di una norma di legge ad un rapporto 
giuridico al quale, comunque, si partecipa. Com'� 
noto, � quest'ultimo l'interesse che � previsto dallo 
art. 100 del O. P. O., come condizione essenziale 
per agire in giudizio. Ed � questo interesse che gli 
articoli 628, 630, 631, 632 O. P. O. considerano 
come presupposto necessario e sufficiente per legittimare 
la proposizione di un incidente di esecuzione 
o di un'impugnazione contro le decisioni prese 
in questa materia (si veda ALorsr, �Manuale di 
procedura penale n, l'V, n. 154). 

Ora, appare di tutta evidenza come un interesse 
del genere sopra precisato non possa non riscontrarsi 
nell'Ufficio Italiano Gambi almeno sotto il 
profilo di una pretesa ad impedire intralci allo svolgimento 
dei suoi compiti istituzionali, che consistono 
nell'adozione di provvedimenti amministrativi 
in ordine alle somme versate in clearing, in 
conformit� dei singoli accordi internazionali, per 
il conseguimento di scopi strettamente pubblici. 

D'altronde, l'assoluta fondatezza della tesi svolta 
dalla Oorte di appello trova una .sua riprova nella 
circostanza che, nella fattispecie, la questione della 
titolarit� del credito oggetto del sequestro � stata 
devoluta al giudice civile, avanti al quale, dovendosi 
svolgere un comune processo civile di sequestro 
presso terzi, nessuno piu potr� contestare la legitimatio 
ad causam dell'Ufficio Italiano Gambi. 
(Sulla questione e in senso conforme alla tesi sostenuta 
nella presente nota v. da ultimo Cassazione 
Civile, sent. n. 1201/1952). 

Per quanto riguarda la seconda massima, riteniamo 
anzitutto � opportuno trascrivere testualmente 
la motivazione dell'ordinanza: 

� ...che l'Ufficio Gambi svolga una sua specifica 
attivit� in rapporto al servizio del clearing, ricevendo 
i singoli versamenti; verificandone la conformit� 
agli accordi vigenti e con ci� la loro legittimit�, 

�e ponendoli infine a disposizione dei titolari mediante 

accreditamento non pu� revocarsi .in dubbio. Sicch� 

� di tutta evidenza che nelle cennate fasi di attivit�, 

gli organi giudiziari non potrebbero legittimamente 

intervenire, ordinando la revoca la modifica o anche 

la sospensione di pr-0vvedimenti presi dall' U ffioio 

Gambi nell'ambito delle sue specifiohe attribuzioni, 

senza violare � il oanone fonda mentale di cui allo 

art. 4 della legge 1865. 

� Ma quando l'Ufficio amministrativo abbia esaurito 
il oiclo delle operazioni oontabili e stia per 
mettere la partita di clearing a disposizione di un 
soggetto che parrebbe esserne il titolare, mediante 
opportuno accreditamento, nulla vieta che in codesta 
fase, quando cio� .l'istituto della compensazione 
internazionale dei pagamenti ha ormai adempiuto 
al suo compito, intervenga l'autorit� giudiziaria 
ad impedire che il saldo della partita si effettui in 
javore della persona, ritenuta: prima facie titolare 
�dell'accredito, ovvcJro -di quell'altra nel frattempo 
piu esattamente individuata. 

e< Invero, l'esigenza pubblicistica, in vista della 

quale l'Ufficio Gambi � stato creato trova integrale 

soddisfacimento nell'atto stess.o in cui la partita 

(di debito o di credito) viene incanalata nel comune 

collettorre che avvince l'Ufficio ste$SO al parallelo 

organismo dell'altro Stato, essa non richiede invece 

che _si esegua anche il disposto accreditamento a 

favore di un terzo e tanto meno che l'accredito abbia 

luogo nei confronti di una persona piuttosto .che di 

un'altra�. 

Abbiamo voluto riportare testualmente le parole 

della Corte di appello, perch� ci lusinghiamo di 

poter dimostrare come oramai solo un sottilissimo 

diaframma si opponga al pieno accoglimento della 

nostra tesi che postula l'assoluto difetto di giurisdi


zione dell'A.G.O. a disporre misure esecutive o cau


telari sulle somme versate in clearing. E questo dia


framma � costituito da un equivoco, peraltro giusti


ficabilissima, in cui la Carte � caduta nel valutare 

la natura e la portata dell'attivit� dell'Ufficio Gambi 

in relazione alle somme predette. 

La Corte, infatti, mastra di ritenere che spetti 

all'Ufficia Gambi Italiano effettuare l'apera.zione di 

accredita della somma versata in clearing al credi


tore privato dell'altra Paese, parte nel rapporto di 

clearing. 

Al �contrario, l'Ufficio Italiano Gambi ha rapporti 
di credito e debita (effettua quindi operazioni di 
accredito) solo nei confronti dell'Ufficio Gambi dell'altro 
Paese, cio�, nella fattispecie, col Banco Centrale 
Argentina. In altri termini, il clearing � un 
istituto giuridica che regola rapporti tra Stati, ai 
quali d� origine un rapporta giuridico tra privat~ 
appartenenti a due Paesi diversi; ma questi rapporti 
tra privati non hanno alcuna incidenza sullo svolgimento 
del rapporto internazionale di clearing. 
Sull'argomento � stata di recente scritto con molta 
acutezza dal Franceschelli (Rivista Italianl1 di 
Diritto Commerciale, 1950, I, 24 e s�gg.) il quale, 
appunto, mette in luce, sia pure molto� sinteti,_Ca'f!l-en~e 
la sostanziale autonomia ed indipendenza del rapporto 
di clearing dal rapporta nega<.iafo di diritta 
privato in relazione al quale venga eseguito un determin.
ato pagamento col sistema del clen,ring. E ci" 
piace riportare qui testualmente le parale �ell'A. utore 


-115


perch� ci sembra che _esse costituiscano, sia pure 
sotto forma di spunto, una traccia precisa del carattere 
dell'istituto di clearing, specie se esaminato 
dal punto di vista degli organi statali cui � attribuita 
la funzione di attuarlo. 

Premesso che cc tali trattati (se. di clearing) ... servono 
a far si che in ogni Stato gli esportatori siano 
pagati ~n moneta nazionale col denaro degli importatori 
... � e che cc l'importatore italiano paga il prezzo 
della merce comprata non �gi� direttamente all'estero 
al suo venditore e nella moneta di quest'ultimo, ma 
all'Ufficio Italiano dei Gambi e sotto forma di controvalore 
in lire della merce importata; e l'esportatore 
italiano d'altro lato, non riceve il pagamento 
della merce da lui esportata dal suo contraente straniero 
... ma dal medesimo Ufficio Italiano Gambi 
e in lire italiane ... �; precisato poi che cc allo stesso 
modo e reciprocamente l'importatore estero pagher� 
non al suo venditore italiano ma all'Ufficio Gambi 
del suo Paese; e l'esportatore estero sar� pagato 
dall'Ufficio Gambi del proprio Paese nella sua mo


neta nazionale �, il Franceschelli conclude cosi: 
cc Sono previste e stabilite modalit� varie di accreditamento 
tra i due Uffici Gambi delle rimesse dei 
rispettivi importatori onde l' U jf�cio contrapposto 
sappia a favore di chi, tra i propri esportatori, 
effettuare i pagamenti per i quali abbia delle disponibilit�. 
E sovente tra i due organismi amministrativi 
(se. tra i due uffici cambi) tutto si riduce 
alla erezione di un unico conto, tenuto presso uno 
di essi, in una data moneta, a credito o a debito 
del quale conto, eome in un qualunque conto corrente, 
vengono segnate le rimesse o gli addebiti corrispondenti 
ad operazioni concrete di importazione 

o di esportazione�. 
Se ora si esamina la sopra riportata ordinanza 
della Gorte di appello, alla luce di quest� precisazioni 
del Franceschelli, si t!edrt� chiaramente come 
quando cc la partita (di debito o di credito) viene 
incanalata nel coniune collettore che avvince l' Uff�cio 
Gambi al parallelo organismo dell'altro Stato 
(queste sono le parole della Gorte di appello), ci� 
potr� essere avvenuto solo in quanto si sia effettuata 
sul conto comune, quella operazione di accredito 
da parte dell'Uff�cio Gambi Italiano a favore dell'Ufficio 
Gambi straniero che costituisce appunto 
l'operazione conclusiva del procedimento di attuazione 
dell'istituto della compensazione internazionale 
dei pagamenti. Ma sar� proprio allora che la 
somma versata all'Ufficio Gambi Italiano uscir� 
definitivamente dalla disponibilit� di questo per 
passare nella disponibilit� dell'Uff�cio Gambi straniero, 
al quale,_ e al quale soltanto, spetter� di accreditarla 
al creditore privato proprio connazionale, 
e pagargliela quando la disponibilit� di cassa, in 
relazione al funzionamento del clearing, glielo con


sentiranno. 

�, pertanto, evidente che l'ordinanza della Gorte 
� viziata da un'intima contraddizione laddove ammette 
che le operazioni che si eseguono da parte dell'Ufficio 
Italiano Gambi abbiano carattere amministrativo 
e quindi siano insuscettibili di essere 
sospese o modificate per ordine dell'Autorit� giudiziaria 
fino al momento in cui la somma versata 
� venga incanalata nel comune collettore � e pretende 
poi che sia ammissibile un ordine di sequestro che 

debba valere dopo che questo incanalamento sia 
avvenuto, e cio� proprio dopo che la somma da sequestrare 
� uscita completamente dalla disponibilit� 
dell' U ff�cio Italiano Gambi. 

Dobbiamo riconoscere che il nostro modo di prospettare 
la questione, e cio� di dimostrare la. inammissibilit� 
di misure esecutive e cautelari su somme 
versate in clearing sull� base del divieto per l'autorit� 
giudiziaria di modificare o sospendere atti amministrativi 
si presenta alquanto ostico alla generalit� 
di coloro che si occupano di questa materia 
degli scambi con l'estero, non fosse altro perch� 
viene ad aggiungere una nuova diff�colt� alle tante 
che gi� la tormentano. D'altra parte, nella schiera 
degli scrittori che hanno trattato l'argomento, uno 
solo, e cio� l' A lessi, � un cultore di diritto pubblico, 
ma l'articolo da lui scritto (Foro Padano 1950, I, 
915) non si pu� dire veramente che sia un modello 
di indagine approfondita, sopratutto perch� ha 
superato le pi� gravi difficolt� del problema mediante 
una modificazione radicale dei termini di fatto di esso. 

Tuttavia, ci sembra che proprio il nostro p�nto 
di vista offra le possibilit� di eliminare quegli ostacoli 
che si frappongono alla soluzione del problema 
fondamentale del clearing: quello, cio�, che concerne 
l'infiuenza del rapporto di diritto privato (tra i 
contraenti dei due Paesi) sullo svolgimento delle 
operazioni di clearing o, in altri termini, il problema 
che concerne la sorte della somma versata 
iti cl"earing dal momento del versamento da parte 
del debitore al proprio uff�cio cambi, al momento 
in cui l' U ff�cio Gambi dell'altro paese paga l' equivalente 
della somma suddetta al proprio connazionale 
creditore. 

Per dimostrare l'esattezza di ci� riportiamo brevemente, 
l'opinione di coloro che, sia pure da un 
punto di vista meramente privatistico, si sono occupati 
di questo problema. 

a) Si � pensato da taluni (per es. il MAzzoNE: 
Gli accordi di compensazione, Macr� Editore Bari) 

che il clearing debba schematizzarsi come una requisizione 
ex lege dei crediti verso l'estero da parte 
dello. stato nazionale del creditore. Per conto di questo 
il versamento degli importi relativi sarebbe ricevuto 
dalla Gassa statale. Il pagamento riscosso dai 
cr�ditori sarebbe quindi quello della indennit� di 
requisizione, equivalente all'importo del credito in 
valuta nazionale, secondo il cambio del giorno de~ 
pagamento o quello diverso stabilito nell'accordo d.i 
clearing. Questa concezione � stata criticata da molti, 
e non sembra, infatti, che sia la piu adeguata, ove 
si rifietta che deve ritenersi escluso che lo Stato il 
quale abbia requisito i crediti dei propri connazionali 
verso l'ester,o, possa comunque agire verso ~ 
debitori stranieri, valendosi dei diritti dei pretesi 
soggetti passivi della requisizione. 

b) Altri sostengono che il clearing si risolva 
in una novazione soggettiva (FERRARA jr.: Lezioni 
di diritto commerciale, pag. 218 e segg.); mi sem: 
bra che nemmeno questa teoria sia fondata ove ~i 
ri'{letta che niente autorizza a ritenere che-� l'obbligazione 
di pagare gravante sulla Gassa di statonei 
confronti del proprio connazionale creditore, 
liberi dalla sua obbligazione il debitore originario 
del creditore medesimo. Senza contare che la pi� 
accreditata dottrina e giurisprudenza � nel senso 


-116 


che proprio al �ebitore originario faccia carico il 
rischio del cambio, confermando cosi che l'assunzione 
del debito da patte della Gassa di stato, non determina 
alcuna liberazione di quello. 

c) Una teoria molto diffusa � quella che vuole 
't:edere nel clearin!J una variante dell'istit1tto del 
mandato, il cui paradigma sarebbe peraltro alterato 
dalla commistione di� elementi jus pubblicistici. 
Il maggiore sostenitor� di questa teoria � il 
Bigiavi (I regolamenti internazionali mediante 
compensazione, Roma, 1942) il quale appunto insiste 
soprattutto nel mettere in rilievo le particolari 
caratteristiche jus-pubblicistiche del mandato, tentando 
di spiegare con queste caratteristiche il fatto 
che il creditore abbia la facolt� di agire direttamente 
contro la Gassa mandataria per il mancato pagamento, 
anzi possa rivolgersi in sostanza soltanto 
contro questa, dovendosi ritenere soddisfatta l'obbligazione 
di pagare da parte del suo debitore Col fatto 
del v�rsamento ad opera di c�stui della somma stabilita 
presso "la propria� Oass� naziona~e. In ogni 
modo, qualunque voglia essere l'opinione che si pu� 
avere intorno a questa �teoria, certo � che si tratta 
di un mandato ex lege, come tale privo di quella 
caratteristica essenziale dell'istituto del mandato 
che � la fiducia del mandante nel mandatario. 

� d) La teoria pi� recente, sostenuta. dal Testa 
(I mezzi di pagamento nel commercio estero, Rivista 
Trimestrale di Diritto di Procedura civile, 1951, 
695 e iiegg., soprattutto� 726 e segg.) � quella che 
vuol vedere nel clearing le caratteristiche dell'istituto 
giuridico di diritto priv�to della espromissione 
(art. 1272 c. c.). � 

Secondo questo Autore, in forza della legge (e, 

cio� dell'accordo di clearing reso esecutivo nei sin


goli Paesi contraenti) le casse statali dei paesi stessi 

senza alcuna delegazione da parte dei debitor�, assu


merebbero presso il creditore proprio connazionale, 

il debito del debitore straniero: Solo mediante que


sta costruzione potrebbe �giustificarsi la facolt� dei 

creditori di agire verso lq, Gassa d�l proprio Stato 

per il pagamento del debito del loro debitore stra


niero. Mentre il divieto legislativo di farsi pagar� 

i debiti stranieri in modo diverso da quello previ


sto. nell'accordo di clearing complete�rebbe la �strut


t�ra dell'istituto, riducendo l'obbligazione del d�bi


tore straniero� di effettuare il pagamento all' obbli


gazione meramente strumentale di versare la somma 

d�vuta alla propria Gassa nazionale. 

Come si ve,Ze, gli scrittori si sono molto preoccu


pati di costruire elaborate teorie giuridiche, di cui 

l'ultima pu� dirsi veramente brillante, per ricon


durre nell'ambito d�ll' ordinamento giuridico vigente 

questo istituto, per tanti riguardi qnomalo, il quale 

si inserisce, turb�ndolo, nel paradigma del rapporto 

giuridico di pagamento delle obbligazioni. Ma a 

questa serie di elaborate costruzioni giuridiche enun


ciate per chiarire la portata dell'istituto per quanto 

attiene ai suoi effetti sul rapporto privatistico sot


tostante, corrente tra creditore e debitore stranieri, 

non fa riscontro una altrettanto notevole elabora


zione dottrinale dell'istituto del clearing per quanto 

riguarda il suo interno meccanismo, per quanto 

riguarda cio� i r�pporti tra Stati contraenti, indi


pendentemente dai rifiessi che l'istituto ha sui rap~ 

porti di dare ed avere tra privati. 

Tutti gli scrittori sopra menzionati, si liniitaro0 
infatti a dedicare solo pochi cenni a quello_ che ~ 
il vero e proprio procedimento di clearing e che e 
costituito da quella serie di operazion~ che comin� 
ciano dal momento in cui la somma 1liene versata 
dal debitore alla� pr�prfa Gassa n�ziona�e e vanno 
fino a quello in cui la somma stessa viene posta a 
disposizione del creditore della propria Gassa nazionale. 
Questi cenni si riducono, invero, all'affermazione 
che la Gassa �del debitore, una volta ricevuto 
il versamento, deve accreditarlo alla Cassa dello 
Stato del creditore, ove del v�rsamento stesso sia 
riconosciuta la legittimit�, in relazione agli accordi 
di clearing. Qualche scrittore porta una variante 
a questo schema sostenendo che la Gassa dello Staio 
del debitore non deve effettuare accrediti ma solo 
limitarsi a dare� avviso alla Gassa dello Stato del 
creditore dell'avvenuto versamento. Questa variante 
troverebbe la sua giustificazione �nella considera:zione 
che, tendendo sostanzialmente l'aecori1o d_i 
clearing ad evitare qualsiasi trasferimento di divise 
\ci� ch� si otterrebbe mediante l'assunzione da parte 
di ogni Stato contraente dell'obbligo di pagare _i 
propri connaziOnali creditori nei limiti delle disponibilit� 
costituite dal versamento dei propri connazionali 
debitori), non vi sarebbe alcuna base per y,n 
accre-dito vero e proprio, in quanto tra i due Stati 
contraenti del .clearing non si costituisce affatto un 
rapporto di dare ed avere, nemmeno nei limiti del 
paradigma del conto corrente, e cio�� agli effetti del 
saldo finale. � 

� chiaro che, qualunque sia l'opinione esatta 
tra le du� sopra riferite, esse atteng_ono esclusi~amente 
allo �studio della funzione del rapporto giuridico 
di clearing, inteso come rapporto tra i due 
Stati, ma non riguardano affatto la struttura di 
questo r�pporto. � In altri termini, ci sembra che 
non sia stata sufficientemente studiata la rilevanza 
e le caratteristiche giuridiche di quella serie di at~i 
e fatti che vengono compiuti e si verificano tra il 
momento in c�i la somma viene versata dal debitore 
al proprio ufficio nazfonale e il momento in cui il 
creditore viene pagato per un importo corrispondente 
alla s�mma suddetta dal suo ufficio na.zionale. 
Questi atti e fatti sono stati, invece, studiati dal 
punto di vista della tecnica bancaria, si che possiamo 
s�pere, con sufficie.nte esattezza, quale sia, 
dal punto di vista tecnico, la foro essenza e la loro 
natura. Essi consistono sostanzialmente nel� ricevere 
i versameni da parte dei creditori direttamente 

o attraverso l� banche intermediarie (Banca d'Ita� 
lia), nell'esaminare se� i versamenti siano accompagnati 
dai prescritti documenti che li giustificano 
(modello A, import, etc.), nell' eff ett�are, infine, le 
scritturazioni necessarie su appositi registri e nel 
fare all'Ufficio Cambi dell'altro Paese contraente, 
le comunicazioni nelle forme stabilite dall'accordo e 
dalla prassi internazionale. Questo per quanto riguarda 
l'attivit� dell'ufficio cambi del � paese del 
debitore; l'attivit� dell'Ufficio Cambi .. del Paese del 
creditore, dal canto suo, consiste nel ricevere le-.comu-. 
nicazioni relative al versamento della somma, fatte 
dall'Ufficio Cam6i del Paese del debitore, nell'effet~ 
tuare le necessarie scritturazioni contabili relative 
a� questa somma, e nel metterla infine a disposizione 
del proprio connazionale creditore, procedendo .al 

-117


pagamento non appena la disponibilit� di cassa 
lo consentano.

oi sembra evidente che questa serie di atti costituisca 
un procedimento amministrativo, anzi due 
distinti procedimenti . amministrativi, �uno che si 
svolge nell'ordinamento giuridico dello Stato del 
debitore, e uno che si svolge nel.l'ordinamento giuridico 
dello Stato del creditore. Errerebbe, infatti, 
chi volesse vedere un unico procedimento amministrativo 
costituito dalla successione di tutti gli atti 
che si svolgono presso i due Uffici Gambi degli Stati 
contraenti del clearing e che, iniziatisi col versamento 
della somma si concludono con il pagamento di 
questa. La verit� � che il versamento della somma 
da parte del debitore al proprio ufficio cambi d� 
inizio ad un procedimento ammi.nistrativo che si 
conclude, nella sfera dell'ordinamento giuridico nazionale, 
con l'utilizzazione da parte dell'Ufficio Gambi 
incassante della somma versata, per il pagamento 
dei crediti degli esportatori connazionali. 

Pertanto, il pagamento da parte dell'Ufficio Gambi 

del paese del creditore a quest'ultimo della somma 

dovutagli dal debitore straniero, non pu� essere con


siderato come l'atto conclusivo di un unico proce


dimento iniziatosi con il versamento da parte del 

debitore della somma dovuta presso il suo ufficio 

cambi, ma deve� considerarsi come l'atto conclusivo 

del procedimento iniziatosi con il versamento di 

somme da parte di connazionali debitori verso cre


ditori appartenenti al paese del debitore. 

La tesi secondo la quale l'attivit� dell'ufficio cambi 

porrebbe in essere un procedimento amministrativo 

si fonda sulla innegabile funzione pubblicistica 

del detto ufficio la quale � riconosciuta da tutta la 

dottrina (si veda in proposito il Bertelli in Banca, 

Borsa e Titoli di credito 1940, I, 107) ed � stata 

recentemente riaffermata anche dalla Giurispru


denza della S1tprema Corte (sent. n. 2084 'del 1950 

nella causa Italcable contro U.I.O.). 

Ma se questo �, se, cio�, gli atti che costituiscono 

il procedimento sopra descritto sono atti ammini


strativi, se l'attivit� dell'Ufficio Gambi nella sog


getta materia e � attivit� amministrativa, ne deriva 

che non � consentito all'autorit� giudiziaria emet


tere provvedimenti i quali si risolvono in un ordine 

all'Ufficio Gambi di svolgere l'attivit� suddetta in 

un certo modo, di compiere certi atti non previsti 

nella successione di quelli che costituiscono il pro


cedimento normale di clearing o di ometterne altri. 

Non vi � dubbio che l'interpretazione �dell'art. 4 

della legge 20 marzo 1865, n. 2248, Alleg. E, im


ponga proprio la soluzione sopra enunciata. Con


tro questa tesi sono state formulate, sia pure senza 

eccessiva convinzione, due serie di obiezioni (va 

notato che ci si � cominciati ad interessare di questa 

questione solo dopo la causa SILPA perch� prima 

nessuno scrittore si era mai posto il problema): 

a) s'� detto che il procedimento amministrativo 

relativo al clearing costituirebbe attivit� di � gestio


ne>> della pubblica amministrazione (Testa: I mezzi 

di pagamento del commercio estero, Rivista Tri


mestrale di Diritto e Procedura Civile, 1951, 743) 

riesumando cos� figure da t�mpo sepolte dalla cri


tica giuridica; 

b) si � detto da altri (Alessi, v. 1. cit.) che 

l'ordine dato dall'autorit� giudiziaria all'Ufficio 

Gambi� di pagare una determinata somma ad un 
creditore piuttosto che ad un altro, non incide affatto 
sull'attivit� della P.A., in quanto non � a questa 
che spetta di designare in via esclusiva, colui che 
ha il diritto di riscuotere la somma. 

Per quanto riguarda la prima� serie di obiezioni 
� da osservare che � ormai riconosciuto dalla dottrina 
prevalente (v. Vitta, Diritto Amministrativo, 
II, pag. 445) e dalla giurisprudenza della Suprema 
Corte (Sez. Un. n. 2303 del 2 agosto 1950) che �il 
divieto stabilito dall'art. 4 della legge abolitiva del 
contenzioso amministrativo si estende a tutti quei 
provvedimenti dell'autorit� giudiziaria i quali comunque 
impongano all'Amministrazione di tenere 
un determinato comportamento (positivo o negativo 
che esso sia) indipendentemente dal fatto che questo 
comportamento versi in materia regolata dal diritto 
privato o dal diritto pubblico, e ci� perch� nessun 
rapporto giuridico in cui sia parte la Pubblica 
Amministrazione � mai regolato interamente dal 
diritto privato. 

La seconda obiezione � apparentemente piu seria, 
ma essa � valida solo per quelle iptesi in cui esistano 
un credito e un creditore identificati dall' U.I.O. e 
si voglia agire da parte di un creditore del creditore 
sulle somme dall' U.I.O. stesso dovute. Ora, ci� 
si verifica solo nell'ipotesi che chi agisca sia un 
creditore d'un esportatore italiano, cio� d'un soggetto 
.che deve ricevere dall'U.I.O. un pagamento 
in clearing. Non pu� invece verificarsi quando chi 
agisce sia creditore d'un soggetto appartenente all'altro 
stato parte nell'accordo di clearing, il quale 
deve ricevere il pagamento di quanto dovutogli allo 
estero e ad opera del suo ufficio cambi. Invero, oltre 
che per le ragioni che abbiamo esposto, ve n'� una, 
che a, noi sembra veramente decisiva, e che si oppone 
inesorabilmente a che in Italia su somme versate 
all' U .I.O. da un debitore italiano adempimento di 
obbligazione verso un creditore straniero possa agire 
da parte del creditore italiano di questo creditoredebitore 
straniero: e la ragione � che cos� facendo 
si violerebbe la norma di ordine pubblico che vieta 
che si possano fare pagamenti all'estero e ricevere 
pagamenti dall'estero in modo diverso dal clearing. 

Per rendersi conto che questa sarebbe la conseguenza 
che si verificherebbe se si ammettesse la possibilit� 
d'una azione esecutiva del genere sopra 
descritto, basta raffigurarsi schematicamente la situazione 
giuridica che si viene a determinare: A (italiano) 
� debitore di B (argentino) O (italiano) � creditore 
di B (argentino). 

L'adempimento delle obbligazioni derivanti da 
questi due rapporti richiede, evidentemente, una 
doppia operazione in clearing, e cio�, A paga a B 
(~ramite clearing) e B paga a O (tramite clearing). 
E ben noto che non potrebbe B consentire a che O 
(suo creditore), si faccia pagare il credito da A 
(suo debitore), perch� questo si risolverebbe �nel 
permettere che rapporti di pagamento tra appartenenti 
a paesi legati da accordi di clearing��si eseguano 
senza passare attraverso il clearing, in pa-�tente 
violazione di una norma di ordine pubblico 
inderogabile. 

Ora, come � risaputo, il divieto legale di cessioni 

o alienazione volontaria di cose e crediti implica 
il divieto di alienazione o cessione forzose di esse 

-118 ,__ 


(sarebbe altrimenti troppo facile eludere il divieto, 
provocando e subendo senza resistere la esecuzione 
forzata). Pertanto, un'esecuzione da parte di O, creditore 
di B, sulla somma dovuta da A a B appare 
inammissibile. E altrettanto inammissibile deve apparire 
un'azione cautelare tra le stesse parti, essendo 
evidente che, preordinata alla esecuzione, incontra gli 
stessi divieti di questa. 

Questa tesi da noi formulata e che ci sembra ineccepibile, 
� stata nella fattispecie oscurata dal fatto 
che il soggetto A (debitore di B) che � la Banca Commerciale 
non � mai intervenuta nel giudizio e questo 
si � svolto nei confronti dell' U.I.C. cui la Banca 
aveva versato la somma da essa dovuta, ma una volta 

ricostruito interamente il quadro e fatto assumere 
in ques.to alla banca versante il posto di A che le 
spetta,. la soluzione negativa del quesito appare insuperabile. 


Concludendo, da qualy,nque zq, lg si guardi, il pignoramento 
o sequestro di somme versate in clearing 
appare inammissibjle e le relative azioni giudiziarie 
assol11.tamente improponibili. 

Senza pretendere d'aver esaurito in questa breve 
nota la complessa materia, ci lusinghiamo di averne 
messo in luce degli aspetti sui quali speriamo di 
sentire, al piu presto, una prima autorevole parola 
della Corte Suprema. 

A. S. 

RASSEGNA DI 'LEGISLAZIONE 


I PROVVEDIMENTI SONO ELENOATI SEOONDO L'ORDINE 

DI PUBBLIOAZIONE SULLA �GAZZETTA UFFIOIALE � 

I. 
1. 
Legge 8 maggio 1952, n. 427 (G. U. n. 109): Delega 
al Governo della emanazione dei testi unici in materia 
di organizzazione e di servizi dell'Amministrazione 
delle Poste e delle Telecomunicazioni e dell'Azienda� 
di Stato per i Servizi Telefonici. -L'art. 2 della 
presente legge contiene una vera e propria qelega 
legislativa, la quale non sarebbe stata necessaria se 
si fosse trattato solo di autorizzare il Governo ad 
emanare testi unici, sembrando che una tale facolt� 
rientri tra quelle costituzionalmente spettanti al 
potere esecutivo. Vero � che vi sono stati finora molti 
esempi di delega legislativa per l'emanazione di testi 
unici, ma in tali deleghe � stato sempre prevista la 
concessione al governo del potere di emanare norme 
modificative di leggi vigenti, e non solamente il potere 
di coordinare sistematicamente le disposizioni esistenti. 
2. 
Legge 10 aprile 1952, n. 474 (G. U. n. 120): Norme 
per l'applicazione dell'art. 57 del Trattato di Pace 
nonch� dell'art. 2 (B) del Protocollo delle Quattro Potenze. 
-Si segnala l'art. 2, che non ci sembra un 
modello di tecnica legislativa. Invero, basta leggere 
gli artt. 7, 10 e 17 del D. L. 21 giugno 1940, n. 856, 
nei quali si parla di " speciali organi giurisdizionali " 
(art. 7), di �enti mobilitati" (art. 10), di "forze mobilitate 
" (art. 17), per rendersi conto come il loro SEm� 

plice richiamo in vigore per i lavori,. forniture e pre


stazioni indicate nell'art. 1 della presente legge non 

sia sufficiente a determinarne con assoluta certezza 

l'applicabilit�. Per lo meno potranno sorgere in pro


posito dei dubbi e degli inconvenienti, aggravati dal 

fatto che, per esempio, non � richiamato in vigore 

l'art..11 del citato D. L. 856 che prevede l'estensione 

delle norme stabilite dall'art. 7 anche per le aggiunte 

e 
varianti da fare ai contratti originari. Sarebbe 

stato, evidentemente, molto pi� opportuno dettare 

norme precise e complete, se pur analoghe a quelle 

richiamate in vigore, n� si trova nella relazione al 

disegno di legge una qualsiasi ragione che giustifichi 
la formula abbreviata adottata nell'art. 2. 

3. 
Legge 23 maggio 1952, n. 573 (G. U. n.. 134): Ratifica 
del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 
11 settembre 1947, n. 891 e relative norme interpreta-
tive. -Si veda il commento al disegno di legge in 
questa Rassegna 1950, pag. 162. 

4. 
Legge 2 luglio 1952, n. 703 (G. U. n. 154 s. o.): Disposizioni 
in materia di finanza locale. -Si segnala 
particolarmente l'art. 5 il quale dispone il trasferimento 
a carico del bilancio dello Stato dell'onore riguardante 
l'accasermamento delle forze di polizia e l'assunzione 
diretta del servizio stesso da parte dello Stato. 

INDI� CE SISTEMAT1c�o 
DELLE C O N S U L T A Z .I ON I 


LA FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE � STATA DATA 

ACQUE PUBBLICHE. -I) Se le norme dei regoil 
suo patrimonio (n. 131). III) Se, essendo venuta meno 
lamenti 1 marzo 1896 e 2 marzo 1906, contenenti dispo1'
0. N. B., i diritti, i poteri e le facolt� della medesima 
sizioni sui canali demaniali debbano ritenersi abrogate siano passati alla G. I. L. (n. 131). IV) Se il decreto di 
dal T. U. 11 dicembre 1933, n. 1775 (n. 21). II) Se la autorizzazione all'accettazione di un terreno, donato a 
indennit� di esproprio di un terreno con pozzo sovrasuo 
tempo all'O. N. B., possa essere provocato, in sestante 
e relative opere di irrigazione, ove il corso d'acqua guito allo scioglimento dell'Opera medesima, dalla G. 
sotterraneo sia di natura privata in zona non assoggetI.
L. oggi "Giovent� Italiana� (n. 131). V) Se la "actio 
tata a pubblica tutela agli effetti dell'art. 95 T. U. 11 ad exhibendum " possa esprimersi nei confronti della 
dicembre 1933, n. 177 5, debba essere liquidata in rapPubblica 
Amministrazione con la stessa ampiezza con 
porto al solo costo dell'opera o anche all'entit� della la quale � ammessa dal c.p.c. nei confronti del privato 
utilizzazione (n. 22). III) Se l'indennit� di esproprio (articoli 211 e 212 c.p.c.), (n. 132). 
del detto terreno, ove il corso di acqua sia di natura 
pubblica e il diritto all'utilizzazione derivi da conces-ANTICHIT� E BELLE ARTI. -I) Quale forma 
sione amministrativa debba commisurarsi al solo valore debbano avere i provvedimenti coi quali si procede 
economico complessivo dell'opera o anche a quello del� alla imposizione dei vincoli, di cui alla legge 1 giugno 
l'utile ritraibile (n. 22). IV)" se� fa detta �ndennit�, nel 1939, n. 1089, a carico della propriet� dei privati, adiacaso 
di acqua sotterranea esistente in zona soggetta centi all'immobile di importanza artistica e storica 
a pubblica tutela, la cui derivazione non sia_ autoriz. -� (n. 21). II) Quale forma debba essere adottata quando 
zata dalla competente autorit� amministrativa, debba si tratti di imporre i suqcJ.etti vincoli o limitazioni a 
commisurarsi al solo costo dell'opera o anche all'entit� beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello 
dell'esercizio comunque riconosciuto al proprietario Stato, ovvero r,cl Fnti pubblici legalmente riconosciuti 
(ri. 22). V) Se, sussistendo la speciale autorizzazione (n. 21). 
dell'autorit� amministrativa per la derivazione di acqua 
sotterranea, sita in una zona soggetta a pubblica tutela, 

APPALTO. -I) Se sia legittima l'inserzione' in un 

l'indennit� di esproprio comprenda tutto quanto cor


contratto di cottimo di una clausola per la quale " nella 

relativo o connesso alla derivazione stessa ed all'utilizzo 

determinazione dei prezzi e dei corrispettivi si � tenuto 

dell'acqua (n. 22). 

conto del minore onere tributario >>, ove di ci� non si 
sia parlato negli inviti diramati per la partecipazione 

ALBERGHI. -I) Se il vincolo alberghiero gravante alla gara (n. 155). II) Se, quando detto minore onere 
su di un immobile debba considerarsi estinto con il tributario risulti poi insussistente, possa farsi luogo 
perimento giuridico e di fatto del bene sul quale esso alla vari~zione dei prezzi, al solo fine di ristabilire la 
gravava (n. 8). II) Se il Commissariato per il Turismo situazione economica contrattuale (n. 155). 
possa obbligare l'Ente espropriante ad erigere uno stabile 
con destinazione alberghiera, che sostituisca altro ASSICURAZIONI. -Se l'Avvocatura dello Stato 

albergo, espropriato per pubblica utilit� (n. 8). 
possa assumere la rappresentanza e la difesa in giudizio 
dell'I.N.A. in cause relative alle operazioni per l'assicurazione 
di crediti all'esportazione (n:. �36).

AMMINISTRAZIONE PUBBLICA. -I) Se il Commissariato 
Regionale Combustibili solidi per il Piemonte 
possa essere considerato un vero e proprio Uffi. AUTOVEICOLI. -I) Se la condanna alla reclusione 
cio dell'Amministrazione dello Stato (n. 130). II) Se col beneficio della sospensione condizionale costituisca 
la Giovent� Italiana del Littorio, creata con R. D. L. causa ostativa alla concessione della patente di guida 
27 ottobre 1937, n. 1839, abbia assorbito l'O. N. B. e di terzo grado, giusta l'ultimo comma dell'art. 85 c.s. 



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-121


(n. 35). II) Se, in mancanza di iscrizione nel P.R.A. 
del privilegio di cui all'art. 2 del R. D. L., 15 marzo 
~927, n. 436, a garanzia del prezzo dovuto dal compratore, 
sussista a favore del venditore, nei confronti 
del terzo subacquirente, il diritto di seguito da esercitarsi 
ai sensi degli articoli 7 e 8 del decreto stesso (n.36). 
III) Se. la mancanza di trascrizione nel P. R. A. di un 
trapasso di propriet� renda inopponibile ai terzi il trapasso 
stesso (n. 36). 
AVVOCATI E PROCURATORI. -Se l'Avvocatura 
dello Stato possa assumere la rappresentanza e la difesa 
in giudizio dell'I.N.A. in cause relative alle operazioni 
per l'assicurazione. di crediti all'�sportazione (n. 16). 

COMUNI E PROVINCIE. -I) Se l'art. 85 del T. U. 
della Finanza locale, che faculta alla dichiarazione di 
decadenza dell'Esattore di imposte di consumo in caso 
di irregolarit� continuate, debba interpr�tarsi nel senso 
che, ai fini della detta dichiarazione, occorra una sola 
irregolarit� continuata o ne occorrano varie e continuate 
(n. 35). II) Se il ricorso proposto alla Corte di 
Appello, ai sensi dell'art. 54 del D. L. L. 7 gennaio 
1946, n. 1, contro le decisioni della Giunta Provinciale 
Amministrativa in materia di eleggibilit� alle cariche 
di Amministratori degli Enti locali o di decadenza dalle 
medesime, abbia effetto sospensivo (n. 36). 

CONCESSIONI. -I) Se le Commissioni per la concessione 
delle terre incolte o insufficiEntEmente coltivate 
possano pronunziare sulle istanze di assegnazione, 
pendenti all'entrata in vigore della legge 18 aprile 1950, 

n. 199, oppure debbano rimettersi srnz'altro le ista.nze 
stesse ai Prefetti (n. 30). II) Quale natura abbia il farue 
delle dette Commissioni (n. 30). III) Se l'art. 5 del decreto 
legge 7 gennaio 1947, n. 24, che stabiliEce in un 
minimo di L. 200 annue -i canoni per le concessioni di 
beni di propriet� del demanio, dovuti a titolo di ricognizione 
dei diritti del medesimo, sia di immediata 
applicazione o disponga soltanto per le concessioni da 
rinnovarsi in futuro (n. 31). IV) Se, le noime della legge 
31 gennaio 1949, n. 8, che aumenta ad un minimo 

di lire mille detti canoni, abbiano Effetto immediato 
(n. 31). 
COSE RUBATE O SMARRITE. -Se, nell'ifotrni 

di ritrovamento, da parte di viaggiatori, di oggetti 
smarriti o dimenticati sui mezzi di tra&fOito o negli 
immobili di pertinenza di aziende concESsionarie di pubblici 
servizi di trasporto, trovi luogo la disciplina generale 
in materia di ritrovamento, di cui agli articoli 927 
e segg. del codice civile (n. 7). 

CONTABILITA' GENERALE DELLO STATO. I) 
Se il tutore provvisorio, nominato all'interdicendo, 
possa cessare dall'ufficio, in base ad un'ordinanza del 
pretore emessa su semplice dichiarazione del tutore 
medesimo che l'interdicendo non � pi� ricoverato, aven� 
do riacquistato l'uso delle facolt� mentali (n. 88). II) 
Se, pertanto, possa disporsi il pagamento dei ratei di 
pensione a favore di detto interdicendo con quietanza 
del medesimo, senza l'intervento del tufore provvisorio 
(n. 88). III) Se il termine di decadenza per la denun


eia dei debiti scaduti di cui al D. L. 8 maggio 1948, 

n. 428, stabilito col D. L. 7 maggio 1948, n. 656, e prorogato 
con legge 1dicembre1949, n. 617, sia il 31 dicembre 
1949 (n. 89). IV) Se le Ditte appaltatrici abbiano 
facolt� di sciogliersi dagli impegni assunti, trascorsi 
quattro mesi dalla data di stipulazione dei eentratti 
definitivi, senza che ne sia intervenuta l'approvazione 
(n. 90). V) Se in regime di gestione provvisoria di appalto, 
successiva a quella contrattuale, gi� da tempo 
scaduta, possa farsi riferimento a presunti diritti scaturenti 
dal rapporto originario (Ii. 91). VI) Se l'inadempimento 
da parte di una ditta alle prescrizioni 
dell'Ente committente possa costituire causa legittima 
di sospensione del contratto (n. 91). VII) Se la sospensione 
del contratto sia giustificata, ove sorgano a carico 
di una ditta elementi di reato (n. 91). 
DEMANIO. -I) Quale forma debba essere adottata 
quando si tratti di imporre i suddetti vincoli o 
limitazioni per importanza artistica a beni appartenenti 
al patrimonio disponibile o indisponibile dello 
Stato, ovvero ad Enti pubblici o legalmente riconosciuti 
(n. 81). II) Se, al cessare della concessione su 
demanio� marittimo, le opere "inamovibili, costruite 
nella zona demaniale, restino acquisite allo Stato, senza 
alcun compenso o rimborso, salva la facolt� dell'Amministrazione 
concedente di ordinare la restituzione cc in 
pristinum" (n. 82). 

DONAZIONI. -Se il decreto di autorizzazione all'accettazione 
di un terreno, donato a suo tEmpo al-
1'0.N.B., possa essere provocato, in seguito allo scioglimento 
dell'Opera medesima, dalla Giovent� Italiana 
d�l Littorio, oggi cc Giovent� Italiana" (n. 19). 

ESPROPRIAZIONE PER P. U. -Se, sussistendo 
la speciale autorizzazione dell'autorit� amministrativa 
per la derivazione di acqua sotterranea, sita in una 
zona soggetta a pubblica tutela, l'indennit� di esproprio 
comprenda tutto quanto correlativo o connesso 
alla derivazione stessa e all'utilizzo dell'acqua (n. 72). 

FALLIMENTO. -Se l'accoglimento della domanda 
di ammissione del credito ceduto al passivo del fallimento 
della Ditta cedente, avanzata dalla Ditta cessionaria, 
comporti, da parte della medesima, la rinunzia 
alla cessione stessa (n. 5). 

FERROVIE E TRANVIE. -I) Se il rapporto di 
impiego del personale delle Aziende Ferrotranviarie 
(nella specie, dell'Azienda per la Navigazione sul Lago 
di Garda) sia regolato dalle norme del e.e. e dalla legge 
sull'impiego privato (n. 149). Il) Se, a norma del Regolamento 
alleg. -A al R. D. 8 gennaio 1931, n. 148, la 
indennit� di buonuscita da liquid~rsi ad un dipendente 
della detta Azienda esonerato dal servizio debba essere 
calcolata in base al splo stipendio o anche alle indennit� 
accessorie (n. 149). 

GUERRA. -I) Se a norma della legge 3 agosto 
1949, n. 489, gli eredi di cittadini italiani, che a suo 
tempo abbiano ceduto i propri beni immobili alla D. 

A.T. e che siano morti prima dell'emanazione della 
legge succitata, possano ottenere la retrocessione dei 

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medesimi (n. 115). II) Se la legge 5 gennaio 1950, n. 1, 
che ha prorogato i termini gi� scaduti, per la corresponsione 
dell'indennit� di primo stabilimento ai profughi 
usciti dai campi I.R.O., abbia effetto retroattivo (n.116). 

IMPIEGO PRIVATO. -I) Se, in materia di rapporti 
di lavoro la sostanza dell'attivit� posta in essere 
dal dipendente prevalga sulle dichiarazioni contrattuali, 
ai fini della qualificazione gili.ridica dei rapporti 
medesimi (n. 24). II) Se il principio, per cui nella retribuzione 
dell'impiegato si intendono compensate tutte 
le attivit� spese a beneficio dell'ente, sia applicabile 
quando nel contratto si stabilisca che le mansioni extracontrattuali, 
o esorbitanti, siano compensate a parte 
e si precisi quali mansioni o attivit� si ritengano esorbitanti 
dall'attivit� dedotta in contratto (n. 24). III) 
Se l'esistenza del rapporto impiegatizio possa ridurre 
il compenso per attivit� extra contrattuale, esplicata 
da un professionista, a una semplice gr�tifica (n. 24). 
IV) Se il rapporto d'impiego del personale dell'Azienda 
Ferrotranviaria (nella specie, dell'Azienda per la Navigazione 
sul Lago di Garda) sia regolato dalle norme 
del e.e. e della legge sull'impiego privato (n. 25). V) 
Se, a norma del Regolamento All. A al R. D. 8 gennaio 
1931, n. 148, l'indennit� d� buonuscita da liquidarsi a 
un dipendente della detta Azienda esonerato dal servizio 
debba essere calcolata in base al solo stipendio 

o anche alle indennit� accessorie (n. 25). 
IMPIEGO PUBBLICO. -I) Se sia valida la rinuncia 
dell'impiegato statale avventizio al trattamento 
malattia per poter riscuotere l'indennit� di licenziamento 
(n. 299). II) Se ad un ex maresciallo di Pubblica 
Sicurezza, proveniente dal disciolto Corpo dei Vigili 
Urbani di Roma, spetti, ai sensi dell'art. 6 del R.D.L. 
18 ottobre 1925, n. 1846, l'indennit� di buona uscita, 
prevista dall'art. 5 del decreto stesso (n. 300). III) Se, 
agli effetti della rinnovazione del contratto di impiego, 
sia richiesto un provvedimento formale dell'Amministrazione 
(n. 301). IV) Se un diurnista, gi� licenziato 
dal servizio e riassunto in seguito all'annullamento del 
provvedimento in accoglimento di ricorso straordinario 
al Capo dello Stato, abbia diritto al pagamento degli 
assegni maturati nel periodo intermedio dopo la scadenza 
del contratto (n. 301). 

IMPOSTA SULL'ENTRATA. -I) Se possa ritenersi 
applicabile alle infedeli denunce del bestiame macellato 
la pena dell'ammenda prevista dall'art. 32 e) della legge 
organica sull'I.G.E., come modificato dall'art. 20 del 

R. D. L. 3 giugno 1943, n. 452 (n. 30). II) Se, risolto 
affermativamente il primo quesito, possa ritenersi invocabile 
dai contribuenti l'art. 37 della legge 11 gennaio 
1951, n. 25, al fine di ottenere l'esonero dal pagamento 
dell'ammenda (n. 3Q). III) Se l'azione giudiziaria in 
materia di I.G.E. sia proponibile immediatamente senza 
previo esperimento dei ricorsi amministrativi solo 
quando sia diretta contro l'atto di accertamento 
tributario e non, invece, quando sia intentata in sede 
di sanzioni fiscali (n. 31). 
IMPOSTE E TASSE. -I) Se l'art. 85 del T. U. 
sulla Finanza locale, che faculta alla dichiarazione di 
decadenza dell'Esattore di imposte di consumo in caso 
di irregolarit� continuate, debba interpretarsi nel senso 
che, ai fini della detta dichiarazione, occorra una sola 

irregolarit� continuata o ne occorrano varie � continuate 
(n. 173). II) Se l'Amministrazione, nel caso in 
�cui il trasgressore, all'atto della notifica del verbale 
di accertamento, dichiari di voler conciliare amministrativamente 
la vertenza ma r~ppresenti una situazione 
di fatto diversa da quella assunta nel verbale possa 
notificare un secondo verbale di accertamento, 
basandolo sui veri presupposti di fatto, ed il trasgressore 
possa conciliare la vertenza in via amministrativa 
all'atto d!Jlla notifica di questo secondo verbale (n. 174). 

LOTTO E LOTTERIE. -I) Se abbia diritto al pagamento 
della somma vinta il giuocatore che abbia consegnato 
la bolletta al ricevitore del. lotto, ritirando la 
relativa ricevuta, ove poi la bolletta medesima non 
sia stata spedita all'ufficio competente n� sia pi� possibile 
acquisirla alla documentazione (n. 9). II) Se, agli 
effetti dell'integrit� della bolletta l'art. 38 del R. D. 
19 ottobre 1938, n. 1933, sia da interpretarsi nel senso 
che la bolletta non debba mancare dei suoi elementi 
costitutivi essenziali o nel senso che la bolletta debba 
essere, in ogni caso, intera, illesa, intatta (n. 10). 

OPERE PUBBLICHE. -I) Se sia legittima l'inserzione 
in un contratto di cottimo di una clausola per la 
quale cc nella determinazione dei prezzi e dei corrispettivi 
si � tenuto conto del minore onere tributario >�, ove 
di ci� non si sia parlato negli inviti diramati per la 
partecipazione alla gara (n. 29). II) Se, quando detto 
minore onere tributario risulti poi insussistente, possa 
farsi luogo alla variazione dei prezzi, al solo fine di ristabilire 
la situazione economica contrattuale (n. 29). 

PENS!ONI. -I) Se il tutore provvisorio, nominato 
all'interdicendo, possa cessare dall'ufficio, in base� 
ad un'ordinanza del pretore emessa su semplice dichiarazione 
del tutore medesimo che !'interdicendo non � 
pi� ricoverato, avendo riacquistato l'uso delle facolt� 
mentali (n. 50). II) Se, pertanto, possa disporsi il pagamento 
dei ratei di pensione a favore di detto interdicendo 
con quietanza del medesimo, senza l'intervento 
del tutore provvisorio (n. 50). 

PROCEDIMENTO CIVILE. -Se l'cc actio ad exhibendum 
" possa esperirsi nei confronti della Pubblica 
Amministrazione con la stessa ampiezza con la quale 
� ammessa dal c.p.c. nei confronti del privato (articoli 
211 e 212 c.p.c.), (n. 17). 

RAPPRESENTANZA. ~ I) Se nella formazione 
di un contratto sia ammessa la contemporanea rappresentanza 
da parte di un unico procuratore di pi� 
ditte, titolari di diritti o interessi reciprocamente �lidentisi 
e, quindi, contrastanti (n. 1). II) Se l'esecuzione 
di un contratto possa essere affidata da pi� ditte a una 
persona, quale mandatario comune (n. 1). 

REGIONI. -I) Se la legge regionale siciliana concernente 
cc Agevolazioni fiscali per }e societ� sportive 
aventi lo scopo di incrementare le attivit� e. le._mj'tnifestazioni 
sportive dell&.. Regione " possa dar adito. ad 
impugnativa per motivi di illegittimit� costituzionale 

(n. 29). II) Se il disegno di legge regionale "Rivendica 
del diritto df propriet� dell'elaiopolio di S. Agata Militello 
(Messina) da parte della Regione Siciliana" possa 

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dar adito ad impugnativa per motivi di illegittimit� 
costituzionale (n. 30). III) Se il disegno di legge regionale 
concernente l'� Istituzione di un centro regionale per 
la meccanicazione agricola in Sicilia �, possa dar adito 
ad impugnativa per illegittimit� costituzionale (n. 31). 

REQUISIZIONI. -I) Se il termine di decadenza 
per la denuncia dei debiti scaduti di cui al D. L. 8 maggio 
1948, n. 428, stabilito col D. L. 7 maggio 1948, n.656 
e prorogato con legge 1 dicembre 1949, n. 617, sia il 
31 dicembre 1949 (n. 95). II) Se, a norma della legge 
3 gennaio 1951, n. 10, solo il Ministero del Tesoro debba 
ritenersi passivamente legittimato nelle cause che sorgano 
in ordine agli indennizzi conseguenti a requisizioni 
alleate (n. 96). III) Se debba eccepirsi l'improponibilit� 
temporanea dell'azione ove venga iniziata 
la procedura contenzfosa, relativa alla liquidazione 
degli indennizzi, senza il previo esperimento della fase am 
ministrativa, prescritta dalla legge n. 10 del 1951 (n. 96). 

RESPONSABILITA' CIVILE. -Se l'Amministrazione 
sia responsabile degli eventuali danni prodotti 
dalla circolazione di autoveicoli, da essa alienati, ma 
il cui trapasso di 13ropriet� non sia stato ancora trascritto 
nel P. R. A. (n. 127). 

� SINDACATI. -Se i ricostituiti Ordini forensi e 
Collegi notarili possano essere considerati, agli effetti 

della devoluzione dei beni della disciolta Confederazione 
fascista dei professionisti ed artisti, gli unici enti 
che abbiano la rappresentanza delle rispettive categorie 
e le attribuzioni gi� spettanti alle Associazioni 
professionali (n. ~4). 

SUCCESSIONI. -Se il regime convenzionale di 
ripartizione degli aumenti, previsto nell'ultimo comma 
dell'art. 214 del Codice civile svizzero per l'epoca dello 
scioglimento dell'unione dei beni coniugali, si applichi 
a tutti gli acquisti avvenuti durante il matrimonio 

o ai soli acquisti intervenuti successivamente alla data 
delle convenzioni matrimoniali (n. 30). 
TRATTATO DI PACE. -Se l'Amministrazione del 
Tesoro, sequestrataria di beni tedeschi, siti in Italia, 
sia legittimata ad agire a nome della Ditta sequestrata, 
dopoch� i beni delle ditte tedesche in Italia sono 
passati in propriet� della Commissione Alleata di Controllo 
in German�a (n. 47). 

TURISMO. -I) Se il vincolo alberghiero gravante 
su di un immobile debba considerarsi estinto con il 
perimento giuridico e di fatto del bene sul quale esso 
gravava (n. 4). II) Se il Commissariato per il Turismo 
possa obbligare l'Ente espropriante ad erigere uno stabile 
con destinazione alberghiera, che sostituisca altro 
albergo, espropriato per pubblica utilit� (n. 4). 



(9101243) Roma, 1952 � Istituto Poligrafico d�ello Stato � G. C.