PUBBLICAZIONE

RASSEGNA 

DI SER:�VIZIO

DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ANNO XIV -N. r-6 Gennaio-Giugno r962 

SALVATORE SCOCA 


Alle prime luci dell'alba del 10 maggio scorso, 
dopo breve violenta malattia, si spegneva Salvatore 
Scoca, Avvocato Generale dello Stato. Si chiudeva, 
cos�, una vita intensa, operosa, tutta dedita 
al servizio dello Stato, al qua,le Egli diede, 
in molteplici campi di attivit�, e attingendo i 
pi� alti vertici della vita pub


blica, le sue migliori energie. 

Nato a Calitri il 15 giugno 
1894, era entrato in magistratura 
nel 1922;. e succes� 
sivamente, nel 1925, � era 
passato alla Avvocatura dello 
Stato. 

A Trieste, prima, a Roma 
in seguito, Salvatore Scoca 
aveva seguito tutta la carriera 
degli avvocati dello Stato: 
sostituto avvocato di prima 
classe nel 1935; Vice avvocato 
nel 1941, sostituto avvocato 
generale nel 1945, in tutti i 
settori .della multiforme attivit� 
che vede impegnato lo 
tJtato nell'agone giurisdizionale, 
ed in particolare in 


quello tributario, pi� degli 
altri a lui congeniale, Egli avm'a portato l'alto 
contributo del Suo ingegno, della Sua preparazione, 
dei Suoi Studi. Si che 'la nomina ad 
Avvocato Generale dello Stato, seguita il 16 ottobre 
1946, segn� il degno coronamento di questa 
Sua operosa attivit�. E la Avvocatura dello Stato, 
superato rapidamente il travaglio del periodo 
bellico, trov� in lui una guida sicura e consa


pevole; ed il Corpo degli avvocati dello Stato 
arricchito di nuove giovani energie, si strinse 
attorno a Lui raccogliendo e non indegnamente, 
l'alta eredit� di lavoro e di prestigio che sempre 
si � tramandata durante la vita del nostro Istituto. 

Ma la attivit� e l'op.era di Salvatore Scoca non 
si esaurirono nell'ambito della Avvocatura dello 
Stato che egli diresse con alto prestigio per 16 
anni: dovunque, nel campo scientifico come in 
quello amministrativo e politico, Egli lascia vasta 
impronta. Docente di diritto finanziario, tenne 

l'insegnamento di Scienza 

delle finanze, Diritto finanziario 
e Politica economica 
presso l'Universit� di Trieste 
dal 1926-27 al 1931-32; e 
poi anche presso la Facolt� 
di giurisprudenza dell'Universit� 
di Roma nell'anno 
accademico 1940-1941. Direttore, 
con Achille Donato 
Giannini e Carlo D'Amelio, 
della Rivista italiana di 
diritto :finanziario, e poi dal 
1949 sotto l'alta guida di 
Luigi Einaudi e insieme con 
Giannini, Griziotti e Vanoni, 
della Rivista di diritto :finanziario 
e scienza delle finanze, 

contribu�, con una serie di 
pubblicazioni, articoli, note 

a sentenze, al fiorire della 
scuola italiana di diritto finanziario. 

Fece parte di innumerevoli Commissioni ed 
organi collegiali, sempre ricercato per la profonda 
conoscenza dei problemi giuridici, da cui non 
andava mai disgiunto un naturale innato equilibrio 
nella ricerca di adeguate soluzioni. E si 
vuol qui ricordare la sua partecipazione al Consiglio 
del Contenzioso diplomatico, ed alla Commissione 
per la formazione dei testi uni�i � delle 
leggi tributarie, che, sotto la Sua presidenza, ha 
licenziato gi� il testo unico sulle imposte dirette, 
ed ha portato a termine la elaborazione di quello 
della legge sulla riscossione. 


Ilh&1ftBlliil& LE' Ilh&1ftBlliil& LE' 
-2


N� Salvatore Scoca poteva rimanere insensibile 
al richiamo della vita politica nell'Italia rinata 
alle sue tradizioni democratiche: membro della 
Consulta nazionale, e poi nel 1946 dell'Assemblea 
Costituente, deputato al Parlamento per due legislature 
nel 1948 e nel 1953; Sottosegretario di 
Stato per il tesoro nel secondo Ministero Bonomi 
e per le finanze nel secondo Ministero De Gasperi; 
Ministro per la riforma della pubblica Amministrazione 
nel Gabinetto Pella; Presidente della 
Commissione finanze e tesoro della Camera, relatore 
di. numerosi disegni di legge (baster� qui 
ricordare quella sulla istituzione per la Cassa 
per il Mezzogiorno, e l'altra concernente la sottoposizione 
al controllo della Corte dei Conti degli 
Enti sovvenzionati dallo Stato), in tutti questi 
incarichi Salvatore Scoca port� sempre un alto 
e concreto contributo di idee e di opere, contributo 
che trovava la radice prima oltre che nella sua 
solida preparazione scientifica e professionale, 
nella sua schietta sensibilit� umana. 

La vita politica non Gli era stata, dunque, 
avara di soddisfazioni, ed altri meritati successi 
gli avrebbe verosimilmente riservato; pure, quando 
Gli fu chiesto di scegliere fra la vita politica e 
l'Avvocatura dello Stato, egli non ebbe perplessit�: 
e rest� alla guida dell'Istituto, in cui era vissuto 
ed aveva formato la Sua personalit�; che Egli, a 
giusta ragione, considerava la Sua seconda famiglia; 
dai cui componenti era rispettato come il 
Capo autorevole, ma era soprattqitto amato per 
le Sue qualit� di uomo. 

Perch� la qualit� peculiare di Salvatore Scoca, 
al di sopra di tutte le altre, e che meglio di ogni 

altra vale a testimoniare i Suoi meriti, era proprio 
la Sua sensibilit� umana, il calore umano 
che aveva in S� e, che lo portava a rendersi 
conto con prontezza �delle necestJit�, dei problemi, 
delle esigenze altrui, ad adoprarsi sempre 
perch� queste esigenze potessero essere soddisfatte, 
quelle necessit� lenite, quei problemi risolti. E 
quando ci� avveniva, il pi� soddisfatto non era 
chi aveva chiesto ed ottenuto, ma Lui che aveva 
dato. 

Alle eseqqtie, insieme con gli avvocati dello 
Stato convenuti da ogni parte d'Italia a portare 
il saluto estremo a chi per tanti anni era stato 
collega, amico e Capo; insieme con un Principe 
della Chiesa, con il Governo, le alte cariche dello 
Stato, parlamentari, magistrati e funzionari che 
ricordavano ed onoravano il cattolico di ferma 
fede, l'Alto servitore dello Stato, l'eminente uomo 
politico; convenne la gente della Sua Calitri: 
tanta gente, ragazzi, uomini e donne di ogni et�, 
di ogni condizione sociale, soprattutto umile gente 
che intendeva certo onorare il parlamentare illustre, 
l'altissimo funzionario, ma che soprattutto 
veniva a rendere l'ultimo omaggio all'Uomo della 
stessa terra, che da questa non si era mai staccato, 
che era rimasto sempre a loro vicino, che, conoscendo 
e comprendendone bisogni sofferenze e 
necessit�, si era con squisita bont� incessante� 
mente adoperato per alleviare quelli e queste. 

E chi ebbe con Lui consuetudini di vita ben 
pu� comprendere come il saluto pietoso, commosso 
e commovente dell'umile gente di CaZitri sia stato 
quello pi� caro al Suo cuore di Uomo schietto, 
semplice, buono. 

;;:;:;;;;;;;;;::::: 


ANCORA SULL'INAMMISSIBILIT� DEL RICORSO STRAORDINARIO 
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 


1) Il ricorso straordinario al Oapo dello Stato 
� tornato di recente alla ribalta in relazione ad 
alcune vertenze nelle quali si sono manifestate, 
nella maniera pi� evidente e, diremmo, clamorosa, 
le gravi difficolt� e le irriducibili incongruenze cui 
d� luogo il tentativo di armonizzare questo secolare 
istituto con i principi fondamentali dell'ordinamento 
vigente della giustizia amministrativa (1). 

Torna quindi opportuno riprendere il discorso 
sulla attuale ammissibilit� del ricorso straordinario: 
discorso cui diede l'avvio, in un .lucido scritto 
pubblicato in questa rivista, 1'.Agr� (2) e che, da 
allora, si � arricchito dei contributi di vari studiosi 
(3), ma che ancora non pu� dirsi affatto 
chiuso, apparendo del tutto insoddisfacente la conclusione 
verso la quale sembrano convergere le 
opinioni della maggioranza della dottrina (4), dimostratasi 
favorevole, al pari della giurisprudenza, 
all'ammissibilit� del ricorso straordinario, quantunque 
con adattamenti pi� o meno estesi della sua 
disciplina al nuovo ordinamento costituzionale. 

(1) V., in particolare, Cons. Stato, Ad. plen., 25 
gennaio 1961, n. 1, in questa cc Rassegna�, 1961, 52, che, 
in un caso in cui la Corte dei Conti� aveva rifiutato la 
registrazione di un decreto presidenziale di decisione 
su ricorso straordinario 0Illesso in conformit� al parere 
dell'Adunanza generale, ha affermato l'obbligo giuridico 
del Ministro competente di proporre al Consiglio dei 
Ministri la registrazione con riserva. La decisione � 
motivata in base a considerazioni che lasciano oltremodo 
perplessi. Cfr. la nota redazionale, ivi, e le osservazioni 
di JEMOLO, in <e Giur. It. �, 1961, III, 193. 
V. anche la successiva decisione dell'Ad. plen. 24 
maggio 1961, n. 12, in �Foro amm. �, 1961, I, 1347, con 
nota contraria di BACHELET. Con questa pronuncia, il 
Consigli� di Stato ha escluso, in linea di principio, l'ammissibilit� 
del ricorso giurisdizionale contro il decreto 
di decisione sul ricorso straordinario anche da parte dei 
controinteressati cui il ricorso non sia stato not.ificato. 
In tal modo, si esclude radicalmente la tutela giurisdi. 
zionale dei controinteressati al ricorso straordinario, in 
palese contrasto con l'art. 113 Cost. Cfr., in proposito, 
CIARDULLI: Il ricorso straordinario al, Oapo dello Stato 
e la nuova Costituzione, in questa �Rassegna�, 1951, 
40 ss. 
(2) AGRO': Osservazioni s1ill'ammissi.bilit� attuale del 
ricorso straordinario al Capo dello Stato, in questa<< Rassegna
�, 1948, fase. X, p. 1 ss. 
(3) SANDULLI: Sull'ammissibilit� del ricorso straordi. 
nario al Presidente della Repubblica, in� Giur. it. >>, 1950, 
IV, 89; CIARDULLI: op. cit.; NIGRO: Le decisioni amministrative, 
Napoli 1953, p. 85 ss.; NAI: Il ricorso straordinario 
al P1�esidente della Repubblica, Milano, 1957; 
RoEHRSSEN: Il ricorso straordinario al Capo dello Stato: 
sopravvivenza o abolizione?, in �Rass. lav. pubbl. >>, 1957, 
In realt�, l'idea affacciata dall'.Agr�, e poi ripresa 
e sviluppata dal Oiardulli (5), dell'incompatibilit� 
radicale del ricorso straordinario con le 
norme e con i principi della Oostituzione repubblicana 
sembra resistere a tutte le critiche che, da 
varie parti, le sono state mosse. 

L'antichissimo istituto, cosi come si � venuto 
definendo attraverso l'attivit� legislativa e giurisprudenziale 
che, a partire dalla introduzione della 
gimisdizione amministrativa, lo ha inquadrato in 
schemi normativi sufficientemente precisi, non ha 
diritto di cittadinanza nel nuovo ordinamento costituzionale. 
Non si tratta semplicem�nte di armonizzare 
con la legge fondamentale alcune delle norme 

o dei principi elaborati sotto il vigore dello Statuto 
albertino: l'elasticit� degli istituti giuridici, la loro 
adattabilit� a mutati presupposti istituzionali ha 
un limite, oltre il quale si rischia o di pregiudicare 
il valore assoluto dei principi costituzionali, o di 
snaturare completamente l'istituto, creandone, in 
sostanza, lllD. altro diverso per via di interpretazione. 
687; ANDRIOLI: RicorBo straordinario al Presidente della 
Repubblica e tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi, 

in �Riv. infortuni e mal. profess. �, 1954, I, 172; Bosco: 

Natura e fondamento del ricorso straordinario al Presidente 
della Repubblica, Milano, 1959; BACHELET: Ricorso 
straordinario al Oapo dello Stato e garanzia giurisdizionale, 
in � Riv. trim. dir. pubbl. '" 1959, 788; MORTATI: 
Sull'incostituzionalit� dell'art. 23, ult. co., Statuto Reg. � 
siciliana, in � Giur. �ost. >>, 1960, 321; ScBIAVINA: La 
proponibilit� del ricorso straordinario al Capo dello Stato, 

in <e Corr. amm. >>, 1960, 1469. 

(4) V., oltre tutti gli autori citati alla nota precedente 
(escluso il Ciardulli), ZANOBINI: Corso di diritto amministrativo, 
vol. II, Milano, 1958, p. 102; VITTA: Diritto 
amminiBtrativo, vol. II, Torino, 1955, p. 436; LA ToRRE: 
Nozioni di diritto amministrativo, Roma, 1954, p. 280; 
FRAGOI.A: Manuale di diritto amministrativo, Napoli 
s.d., p. 292; SALEMI: La g-iust�izia amministrativa, Padova, 
1958, p. 46; GmccrARDI: La giustizia amministrativa, 
Padova, 1957, p. 133, n. 1; RAGNlSCO e RossANo: 
I ricorsi amministrativi, Roma, 1954, p. 313; BALLADORE 
PALLlERI: Diritto costituzionale, Milano, 1957, p. 161; 
BISCARETTI DI RUFFIA: Diritto costituzionale, Napoli, 
1958, p. 382; VIRGA: Dfritto costituzionale, Palermo, 1955, 
p. 297; PERGOLESI: Diritto costituzionale, Padova, 1955, 
p. 193. 
Contra: LESSONA: La giustizia nell'ammini.strazione, 
Bologna, 1956, p. 66, n. 1; ANGELICI: Il giudizio di 
fronte alla Giunta Provinciale Amministrativa, .Padova, 
1958, p. 37 ss. In senso dubitativo: GIANNINl: La giu-�~ 
stizia amministrativa, Roma, 1959, p. 96 ss.; IACCARINO: 
In tem1i di ricorso straordinario, in Scritti giiwidici in 
onore di De Nicola, Napoli, 1957. 

(5) Op. cit. 

_ 4 I 

E questa � appunto, a nostro avviso, l'alternativa 
cui inevitabilmente si trova di fronte chi, a 
tutti i costi, vuole conservare, pur sotto il vigore 
della nuova Costituzione, un istituto, come il ricorso 
straordinario, il cui fondamento non pu� 
non riconoscersi intimamente legato ai presupposti 
del sistema costituzionale abrogato. 

2) Il confronto fra il ricorso straordinario al 
Capo dello Stato e i principi della Carta costituzionale 
presuppone, ovviamente, che sia chiarita, 
in maniera precisa, la natura giuridica del 
primo. 

L'opinione ancor oggi dominante, fermamente 
difesa dal Consiglio di Stato, riconosce la natura 
amministrativa del ricorso e della decisione del Capo 
dello Stato, ma tende a farne qualcosa di singolare, 
di atipico, pur nell'ambito dell'attivit� amministrativa, 
avvicinando sotto molti aspetti l'attivit� 
decisoria del Capo dello Stato alla giurisdizione 
(6). N� sono mancate in passato afferma


(6) V.,,in particolare, Cons. Stato, Ad. plen., 25 gennaio 
1961, n. 1, e 24 maggio 1961, n. 12, cit. Le conseguenze 
che la giurisprudenza del Consiglio di Stato trae 
da queste premesse sono note: sono state estese al ricorso 
straordinario la maggior parte delle regole che disciplinano 
lo svolgimento del ricorso giurisdizionale. Cos�, si 
ammette la remissione in termine per errore scusabile; 
la sospensione del provvedimento impugnato; il ricorso 
per revocazione contro il decreto di decisione (fondato, 
quest'ultimo, su una pretesa norma consuetudinaria). 
Quanto agli effetti della decisione, la conseguenza estrema 
che si volle trarre dal parallelismo del ricorso straordinario 
col ricorso giurisdizionale (quella dell'applicabilit� 
del rimedio previsto dall'art. 27 n. 4 del testo 
unico sul Consiglio di Stato in caso di inesecuzione del 
decreto di decisione) fu respinta, com'� noto, dalla 
Cassazione (Sez. Unite 8 luglio e 2 ottobre 1953, in questa 
�Rassegna�, 1953, 278). 
(7) Cfr.: Cons. Stato, Ad. gen., 10 aprile 1909, n. 243, 
in �Riv. amm. �, 1909, 475. 
(8) MoRTATI: Sull'incostituzionalit�, cit. Secondo questo 
autore, i] ricorso straordinario, come rimedio giurisdizionale, 
troverebbe la sua attuale giustificazione costituzionale 
nella VI Disp. Trans., atteso il carattere non 
perentorio generalmente assegnato al termine ivi previsto. 
Ma, se si riconosce la natura giurisdizionale del 
ricorso, non si pu� negare il suo netto contrasto (per 
l'imperfezione del contraddittorio e per l'assenza di 
effettive garanzie di difesa) con l'art. 24, 2� co., Cost. V., 
in proposito, la nota redazionale in questa� Rassegna�, 
1961, 55. ' 

(9) CODACCI PISANELLI: Analisi delle funzioni sovrane, 
Milano, 1946, p. 129, parla, a proposito del potere di decisione 
del ricorso straordinario, di una autodichia della 
Pubblica amministrazione, parallela all'autonomia e 
all'autarchia. Per la RIVALTA: Sull'applicabilit� dell'articolo 
27 n. 4 del testo unico 26 giugno 1924, n. 1054 ai 
decreti del Oapo dello Stato che decidono ricorsi straordinari, 
in �Foro it. >>, 1952, III, 9, la decisione del Capo 
dello Stato avrebbe una duplice natura: amministrativa 
dal lato formale, giurisdizionale da quello sostanziale. 
Nello stesso ordine di idee sembra BENVENUTI, voce 
Autotutela, in <<Enciclopedia del Diritto�. V. anche 
Bosco, op. cit., p. 79 ss. In realt�, queste costruzioni 
I

zioni decise della natura giurisdizionale del ri


l 

corso (7). 
Recentemente la discussione si � riaperta, e non 

I

pochi autori hanno ripreso e sviluppato la tesi della 
natura giurisdizionale del ricorso,-�alcuni riconducendo 
senz'altro l'istituto alla figura della giurisdizione 
speciale (8), altri confinando la giurisdizionalit� 
al solo aspetto �sostanziale � o �ontologico � 
del decreto di decisione, ferma restando la classificazione 
di esso come atto amministrativo dal punto 
di vista formale (9). 

Ogni presa di posizione, in materia, � resa quanto 
mai opinabile dall'estrema lacunosit� della disciplina 
legislativa. Una accurata disamina delle fonti 
po;;itive si pone, comunque, come preliminare. 

� stato affermato che la disciplina del ricorso 
straordinario sarebbe per la massima parte consuetudinaria, 
come d'ordine consuetudinario Sl:J>rebbe 
il principio stesso che costituisce il fondamento 
dell'istituto, l'attribuzione, cio�, del relativo potere 
d'3cisorio al Capo dello Stato (10). Le poche norme 

equivoche e artificiose non possono ammettersi. La giurisdizionalit� 
non � un concetto ontologico, ma una 
qualificazione giuridica relativa, che si fonda su caratteri 
eminentemente formali (in senso ampio) della deci� 
sione della lite. � arbitraria, quindi, ogni scissione 
di fo!'Illa e sostanza. Cos�, esattamente, NIG:ao: Le 
decisioni amministrative, cit., p. 14 ss.; CANNADA BAR� 
Tor.I: voce Decisione amministrativa, in � N ovissimo Di 
gesto Italiano�. 

Trattandosi di qualificazioni relative, � possibile, 
invece, tma divergenza fra la natura che il ricorso straordinario 
assume nell'ambito dell'organizzazione amministrativa 
(ammesso, il che � dubbio, che questa organizzazione 
possa considerarsi come ordinamento giuridico) 
e quella attribuita ad esso nell'ordinamento general~. 
Quella posizione di parte che, come vedremo, deve assegnarsi 
all'organo decidente alla stregua dell'ordinamento 
generale, svanisce ove ci si ponga dal punto di 
vista dell'o:i:ganizzazione interna della pubblica ammini� 
strazione e viene quindi meno l'ostacolo ad ammettere la 
natura giurisdizionale della decisione. Non si tratta, 
perci�, di un'inammissibile divergenza fra forma e 
sostanza, ma di una ben, comprensibile non coincidenza 
di qualificazioni giuridiche facenti capo a ordinamenti 
distinti. Comunque, la netta separazione dei due punti 
di vista e la rigorosa esclusione, sul piano dell'ordinamento 
generale, di ogni elemento o qualificazione valevole 
solo nell'ambito dell'ordinamento particolare dell'Amministrazione, 
� presupposto essenziale di una 
indagine che voglia attingere risultati sicuri. V., in pro


posito, OTTAVIAN-O: Sulla nozione di ordinamento amministrativo 
e di alcune sue applicazioni, in� Riv. trim. 
dir. pubbl. �, 1958, 825; BACHELET: Rie. straord., cit., 

n. 6. 
(10) CIARDUI.LI, op. cit. Questo autore rinviene nella 
consuetudine il fondament.o del potere decisorio del 
Capo dello Stato nel cessato ordinamento. Il Bosco, 
op. cit., p. 82 ss., finisce col fare della consuetudine una 
specie di deus ex machina per la solu'~ione del.!e questioni 
pi� dibattute in tema di. ricorso straordinari�~ 
come quella dell'estensione dell'impugnativa giurisdizionale 
contro il decreto di decisione. Reputa inutile 
il ricorso alla consuetudine, dopo lo svolgimento legislativo 
d~,l 1907 in poi, BACHELET, op. cit., nota 8. 

-5


scritte sarebbero intervenute a disciplinare soltanto 
alcuni aspetti della proce�ura, lasciando immutato 
il nucleo centrale della disciplina consuetudinaria. 


Non ci sentiamo di aderire a questa tesi. 

L'attribuzione al Capo dello Stato del potere 
di decisione del ricorso straordinario pu� dirsi 
fondata su una norma consuetudinaria solo dal 
punto di vista storico. Intervenuta la disciplina 
legislativa degli aspetti essenziali del procedimento, 
il ricorso alla consuetudine non ha pi� ragion 
d'essere: l'esistenza di un potere decisorio del Capo 
dello Stato non ha bisogno di altro fondamento che 
quello costituito dal principio generale ricavabile 
dalle specifiche norme di procedura. E quindi (ci� 
ci preme particolarmente sottolineare) tale potere 
sta o cade con queste norme: ove si dimostri la 
loro illegittimit� costituzionale, non pu� ritenersi 
che residui alcun principio consuetudinario idoneo 
a sorreggere ancora l'istituto del ricorso straordinario, 
salva l'esigenza di ricavare dai principi gene


. rali una nuova disciplina del suo svolgimento pl,'ocedurale. 
� ope"a questa �i legislatore: l'interprete 
deve limitarsi ad esaminare la compatibilit� delle 
norme scritte e dei principi da esse desumibili con 
il sistema della Costituzione. Ove il giudizio scaturisca 
esito negativo, altra conclusione non pu� 
darsi che quella del radicale superamento e quindi 
dell'inammissibilit� del ricorso straordinario. 

Neppure pu�. dirsi, a nostro avviso, che la consuetudine 
sia intervenuta a completare la lacunosa 
disciplina procedurale del ricorso, introducendo 
nuove norme che lo avrebbero avvicinato al 
ricorso giurisdizionale. � da tenere per fermo che 
alla giurispru�enza non possono essere attribuiti 
poteri creativi di diritto. Non � ipotizzabile una consuetudine 
formatasi attraverso ilriprodursi costante 
ed uniforme della stessa massima di decisione rispetto 
ad una pluralit� indefinita di casi concreti. 

Si tratta soltanto di consuetudine interpretativa, 
ossia di una forma di � uso � che non pu� esser 
'posta sullo stesso 1.iano della c.d. consuetudine 
introduttiva o praeter legem. Ad essa pu� riconoscersi 
solo un semplice rilievo di fatto, esclusa ogni 
efficacia vincolante dell'interpretazione usuale, per 
quanto costantemente seguita. 

Costituisce pertanto una petizione di principio 
il voler argomentare dalle regole che la giurisprudenza 
crede di poter applicare al ricorso straordinario 
per concludere circa la natura giuridica �i 
questo. � invece proprio l'indagine su questa 
natura che, deve costituire il criterio di valutazione 
dell'esattezza delle soluzioni giurisprudenziali. 

3) Ci� premesso, esaminiamo partitamente le 
norme positive, che, per quanto detto, devono 
costituire la base di ogni ragionamento sulla 
natura giuridica del ricorso straordinario e sulla 
sua compatibilit� con i principi della Costituzione 
repubblicana. 

L'art. 16 del testo unico 26 giugno 1924, numero 
)054, contiene le norme fondamentali. Il 
primo comma, al n. 4, dispone l'obbligatoriet� 
del parere del Consiglio di Stato (in Adunanza 
generale: art. 47, n. 3, Regolam. 21 aprile 1942, 

n. 444) <e sui ricorsi fatti al Re contro la legittimit� 
dei provvedimenti amministrativi, sui quali siano 
esaurite o non possano proporsi domande di riparazione 
in via gerarchica)). La formula __s~ringata 
di questa norma racchiude quattro principi essenziali: 
l'attribuzione al re del potere di decisione 
del ricorso straordinario; la limitazione di tale 
ricorso ai soli motivi di legittimit�; la sua esperibilit� 
.nei confronti soltanto di atti amministrativi 
definitivi; l'obbligatoriet� del parere del Consiglio 
di Stato. 
Il secondo comma dell'art. 16 dispone che, ove 
�l provvedimento emesso sul ricorso straordinario 
sia contrario al parere del Consiglio di Stato, deve 
farsi constare dal decreto reale che � stato pure 
udito il Consiglio dei Ministri. La regola (ribadita 
dall'art. 54 del Regolamento, che pone l'ulteriore 
obbligo della motivazione del provvedimento difforme 
dal parere del Consiglio di Stato) appare, 
a prima vista, rispondente al principio generale 
fissato nell'art. 1, n. 7, del regio decreto 14 novembre 
1901, n. 466, sulle attrib1rnioni del Consiglio 
dei Ministri (11). 

Il terzo comma dell'art. 16 stabilisce infine le 
norme essenziali di procedura: il termine per ricorrere 
(180 giorni) e l'obbligo della notifica all'autorit� 
che ha emesso l'atto impugnato ed ai controinteressati. 
La �isciplina � poi integrata dagli 
artt. 60 e 61 del Regolamento. 

L'ultima norma in materia, e invero la pi� importante 
ai fini del presente studio, � quella (articolo 
34, commi 20 e 30, del testo unico) che sancisce 
il principio dell'alternativit� fra il ricorso straordinario 
e il ricorso giurisdizionale al Consiglio di 
Stato: il ricorso giurisdizionale non � pi� ammesso 
quando il provvedimento definitivo sia stato impugnato 
mediante ricorso straordinario. Se il provvedimento 
riguarda direttamente anche altri interessati, 
la proponibilit� del ricorso straordinario 
� condizionata alla scadenza del termine per il 
ricorso giurisdizionale ovvero alla mancata opposizione 
degli interessati che abbiano ricevuto la 
notifica del ricorso straordinario. 

4) Questa, dunque, la disciplina positiva del 
ricorso straordinario. 
Il suo esame non pu� far dubitare della natura 
nettamente amministrativa dell'istituto. 

Non � certo argomento decisivo quello che pu� 
trarsi dall'espressa qualificazione contenuta nel 
testo legislativo ( �ricorso al Re in sede 0tmministrativa 
n: art. 34, 20 co., testo unico sul Consiglio 
di Stato). N� pu� farsi riferimento ad elementi, 
quali l'assoggettamento del decreto del Capo dello 
Stato al controllo della Corte dei Conti, la sua impugnabilit� 
dinanzi al Consiglio di Stato, l'esperibilit� 
dell'azione ordinaria anche dopo la decisione 
del ricorso straordinario, che, non risultando dalla 
lettera della legge, possono costituire la conclusione 
e non certo il presupposto dell'indagine sulla 
natura dell'istituto (12). 


(11) V., per�, olt.re, n. 10. 
(12) In questa petizione di principio cade invece la 
Cass., Sez. Un., 2 ottobre 1953, n. 3141, cit. 

-6 

� Piuttosto, l'elemento decisivo che vale ad escludere, 
senza possibilit� di dubbi, la natura giurisdizionale 
del ricorso straordinario � la possibilit� 
dell'intervento, nel procedimento decisorio, di un 
organo politico come il Consiglio dei Ministri. 

J,a soluzione di un conflitto giuridico, di una 
lite, pu� essere oggetto -come si riconosce generalmente 
-tanto di attivit� giurisdizionale, quanto 
di attivit� puramente amministrativa. Di giurisdizione 
si pu� parlare solo ove la soluzione della lite 
mediante l'accertamento del diritto nel caso concreto 
si ponga come fine a se stessa, ossia ove 
l'attivit� dell'organo decidente sia intesa alla realizzazione 
imparziale dell'ordinamento, attraverso la 
sostituzione della volont� e dell'attivit� delle parti 
in conflitto. 

In definitiva, perci�, l'elemento distintivo della 
giurisdizione pu� dirsi costituito dalla posizione 
super partes dell'organo decidente, dalla sua assoluta 
indipendenza rispetto alle parti, espressione 
formale necessaria della direzione della sua attivit� 
al soddisfacimento dell'interesse obiettivo e superiore 
alla giustizia, alla realizzazione dell'ordinamento 
(13). 

Orbene, nel nostro caso, � evidente che la possi


bilit� che la decisione sia determinata nel suo 

contenuto in funzione della tutela di quegli inte


ressi sommi della pubblica .Amministrazione la cui 

cura spetta al Consiglio dei Ministri dimostra, 

nella maniera pi� chiara, che la decisione medesima 

non si pone come fine a se stessa, come volta 

soltanto alla realizzazione del diritto nel caso con


creto, ma costituisce piuttosto il mezzo per il mi


gliore perseguimento degli interessi pubblici sog


gettivati nella pubblica .Amministrazione. 

L'Amministrazione, nella decisione del ricorso 

straordinario, assume indiscutibilmente posizione 

di parte, portatrice di interessi che non si identi:fi


(13) Esattamente il NIGRO: Le decis�ioni ammfoistrative, 
cit., p. 27 ss., pone nel rapporto fra l'atto e gli 
interessi che ad esso J:!ono collegati il criterio di distinzione 
fra decisioni amministrative e decisioni giurisdi� 
zionali. L'attivit� amministrativa, anche se intesa alla 
soluzione di un conflitto di interessi fra pubblica Amministrazione 
e cittadini attraverso un procedimento contenzioso, 
� sempre svolta nell'interesse dell'Ammini� 
strazione, mentre l'attivit� giurisdizionale �, per defi� 
nizione, imparziale, e suppone quindi una posizione di 
indipendenza dell'organo cui � demandata. 
In applicazione di questo criterio, la Corte Costituzionale 
ha escluso la natura giurisdizionale dei decreti 
ministeriali in materia di imposte doganali (sent. 24 
giugno 1958, n. 40). �Il perseguiment,o di fini di giustizia, 
attraverso procedimenti che assicurino serie garanzie 
agli interessati, -si legge nella sentenza -non 
� espressione inequivoca di attivit� giurisdizionale, dato 
che la via della giustizia pu� rappresentare anche un 
mezzo strumenta.le per la realizzazione da parte dell'Am� 
ministrazione delle proprie finalit� di interesse pubblico 
�. � appunto tale strumentalit� della decisione, 
fatta palese dall'intervento del Consiglio dei Ministri, 
che esclude ogni dubbio sulla natura amministrativa 
del ricorso straordinario. 

cano con l'interesse obiettivo alla giustizia, alla 
esatta applicazione della legge nel caso concreto. 

Si rinvengono, quindi, nel decreto emesso ~u 
ricorso straordinario tutti i caratteri che la moderna 
elaborazione dottrinale lia riconosciuto nelle c.d. 
�decisioni amministrative� (14). 

A prescindere dalla disputa sulla natura di tali 
atti (se atti di accertamento o dichiarazioni di 
volont�), a noi interessa ribadire l'appartenenza 
piena di essi al campo amministrativo. Come abbiamo 
gi� detto, sono da respingere tutti i tentativi 
di costruire un concetto ibrido di atto formalmente 
amministrativo, ma sostanzialmente giurisdizionale. 


Forma e sostanza non sono, in quesw campo, 
scindibili. Il contenuto della giurisdizione -la 
soluzione imparziale della lite nell'interesse obiettivo 
e superiore della giustizia -non pu� che 
esprimersi nella posizione formale di indipendenza 
dell'organo decidente. E, del resto, che tale correlazione 
necessaria tra forma e contenuto non possa 
mai essere interrotta risulta anche dalla precisa 
norma dell'art. 101 Cost. Non pu� ammettersi un 
atto solo materialmente giurisdizionale, parallelo 
alla figura della legge <e in senso materiale l>. La 
simmetria dei due concetti � solo apparente: la 
efficacia generalmente obbligatoria di determinate 
norme di condotta non � infatti in relazione di 
dipendenza necessaria con una particolare posizione 
dell'organo da cui esse sono poste. Al contrario, 
l'efficacia propria degli atti giurisdizionali non pu� 
ammettersi se non ove ricorrano quei caratteri 
formali che, lungi dal rappresentare semplici ga


ranzie estrinseche, costituiscono l'espressione immediata 
e necessaria della giurisdizione, si identificano, 
anzi, con il concetto stesso di giurisdizione. 


Il decreto emesso su ricorso straordinario � 
quindi, senza riserve, un atto amministrativo, cui 
sono senz'altro applicabili tutti i principi e le 
norme valevoli per gli altri atti della stessa specie. 

5) La natura nettamente amministrativa del 
ricorso straordinario, mentre, da una parte, pu� 
condurre ad una revisione radicale di molte massime 
fatte proprie dalla giurisprudenza, costituisce la 
premessa per intendere nel modo pi� esatto la 
portata e la ragione delle poche norme scritte dettate 
in materia, e, soprattutto, della norma sulla 

c.d. alternativit� del ricorso straordinario rispetto 
al ricorso giurisdizionale. 
La spiegazione che solitamente si d� di questa 
norma non appare soddisfacente. 
Escluso, naturalmente, che possa trattarsi di 
una applicazione del principio cc ne bis in idem �, 
che pu� valere solo nell'ambito della giurisdizione 
e non � suscettibile di estendersi a regolare 
rapporti fra attivit� decisorie di natura diversa, 
sembra, ai pi�, che l'alternativit� trovi il suo 

(14) Sulle decisioni amministrative: GIANNINI: Accertamenti 
ammini8trativi e decisioni amministrative, in 
u Foro it. '" 1952, IV, 177; NIGRO e CANNADA BARTOLI, 
opp. citt. 


-7


fondamento, non in un principio giuridico, ma in 
mere ragioni di opportunit� pratica. Dovendo esser 
sentito il parere del Consiglio di Stato in .Adunanza 
generale sul ricorso straordinario, ove fosse 
ammessa l'impugnazione dello stesso atto definitivo 
anche in sede giurisdizionale, i componenti di una 
sezione del Consiglio di Stato si troverebbero a 
dover pronunciare due volte sullo stesso oggetto, 
in sede giurisdizionale e in sede consultiva, come 
membri dell'Adunanza generale. Ci� potrebbe dar 
luogo a conflitti pregiudizievoli per il prestigio 
dell'organo. 

Tali ragioni di opportunit� appaiono, in realt�, 
alquanto fragili (15). .Anche se deve ammettersi che 
.esse sono state tenute presenti dal legislatore, a 
nostro avviso deve riconoscersi che il vero fondamento 
dell'alternativit� � un altro, ben pi� consistente 
e tale da conferire all'alternativit� stessa una 
posizione sistematica di importanza centrale nella 
disciplina dell'istituto. 

Com'� noto, il ricorso straordinario al re unico 
mezzo di difesa dei cittadini di fronte agli 
atti della pubblica autorit� negli ordinamenti assolutistici 
-sopravvisse nell'ordinamento monarchico 
costituzionale soprattutto per l'importanza 
assunta da esso -come dagli altri ricorsi amministrativi, 
assistiti, peraltro, da minori garanzie in 
seguito all'abolizione dei tribunali del contenzioso 
amministrativo, che lasciava privi di tutela 

(15) Se esse fossero veramente rilevanti, in effetti, 
non si spiegherebbe come il legislatore non abbia escluso 
l'impugnabilit� in sede giurisdizionale di tutti gli atti 
per i quali � obbligatorio il parere dell'Adunanza get).
erale. 
(16) Appare perci� scarsamente meditata l'opinione 
del NIGRO: Le decisioni amministrative, cit., p. 87, il 
quale ritiene che, in virt� dell'art. 113 Cost., non pos:
aa escludersi l'impugnativa giurisdizionale, senza limiti 
di sorta, del decreto di decisione su ricorso straordinario. 
In tal modo, la scadenza del termine per il 
ricorso giurisdizionale contro l'atto definitivo non sarebbe 
definitivamente preclusiva, pot.endosi sempre, per 
via indiretta, proporre la questione di legittimit� al 
Consiglio di Stato, attraverso, prima, la proposizione del 
ricorso straordinario e, poi, l'impugnativa del decreto 
di decisione. In definitiva, l'interessato che ha lasciato 
scadere il termine per il ricorso giurisdizionale dovrebbe 
.andare incontro ad una notevole perdita di tempo 
-che costituirebbe la sanzione della sua negligenza. 
In realt�, in tal modo, l'intero sistema della giustizia 
.amministr�tiva risulterebbe alterato, e proprio in quei 
principi che garantiscono le esigenze fondamentali di 
.certezza nei rapporti fra cittadino e pubblica Ammini� 
:strazione. La conclusione logica da trarre dall'eliminazione 
del principio di alternativit� non pu�, perci�, 
�che esser quella della totale caducazione dell'istituto del 
ricorso straordinario. 

La possibilit� illimitata di impugnare la decisione del 
ricorso straordinario in sede giurisdizionale � ammessa 
anche dal FRAGOLA: Questioni intorno al decreto presi
�denziale sul ricorso straordinario, in �Giur. compi. cass. 
dv. � 1953, V, 489, che tuttavia non mette in dubbio 
l'attuale ammissibilit� del ricorso. 

giurisdizionale gli interessi legittimi lesi dall'azione 
amministrativa. 

Con la restaurazione, su nuove basi, della giurisdizione 
amministrativa, la ragione pratica che 
aveva sorretto l'istituto parve venir men:o, e da 
molte parti fu sollecitata l'abolizione del ricorso 
straordinario. Peraltro, in considerazione del favore 
che esso incontrava soprattutto per la semplicit� 
di forme e per la minima costosit�, il legislatore 
ritenne miglior partito conservare l'antico istituto 
accanto al nuovo ricorso al Consiglio di Stato in 
sede giurisdizionale. 

Ci�, peraltro, creava un grave problema di coordinamento 
sistematico. L'armonia logica del sistema, 
fondato sulla formazione dell'atto definitivo 
attraverso la serie dei ricorsi amministrativi alla 
autorit� superiore o allo stesso organo e sull'impugnabilit� 
di tale atto in sede gilirisdizionale 
entro un breve termine di decadenza, sembrava 
spezzata dall'inserimento di un possibile ricorso 
amministrativo al re, non legato a precisi limiti di 
tempo, contro lo stesso provvedimento definitivo. 

Fu quindi proprio una ineliminabile esigenza 

sistematica che indusse il legislatore ad . intro


durre, da un lato, il termine di 180 giorni per la 

proposizione del ricorso straordinario, e, dall'altro, 

a sancirne l'alternativit� con il ricorso giurisdi


zionale. 

Pertanto (� questa la conclusione che ci premeva 

fissare) il principio dell'alternativit�, non che essere 

un'appendice trascurabile della disciplina del ricorso 

straordinario, fondata su meri motivi di opportu


nit� pratica, costituisce il cardine su cui si fonda 

tutto l'istituto. Chiedersi, quindi, se il ricorso 

straordinario sia compatibile con l'attuale ordina


mento costituzionale significa chiedersi, anzitutto 

e soprattutto, se possa armonizzarsi con i principi 

della Carta costituzionale la regola dell'alternati


vit�. Tutto l'istituto del ricorso straordinario sta 

o cade con tale regola. 
Non � quindi possibile pensare che il ricorso 

straordinario possa continu':lire ad esistere anche 

nel nuovo ordinamento costituzionale, eliminando 

soltanto la regola dell'alternativit�. Ci� significhe


rebbe scardinare il sistema della giustizia ammi


nistrativa. 

Basta, infatti, considerare la norma che, sempre 

affermata rigidamente (a volte, anzi, in maniera 

esagerata) dalla giurisprudenza, costituisce il pi� 

importante corollario dell'alternativit�: l'asaog


gettabilit� del decreto di decisione sul ricorso 

straordinario al sindacato giurisdizionale per soli 

vizi relativi alla forma e al procedimento, escluso 

ogni motivo attinente al contenuto, il cui esame 

implicherebbe un nuovo giudizio del Consigli� di 

Stato sull'oggetto del ricorso straordinario. Se 

questa norma dovesse ritenersi incostituzionale, e 

tuttavia si ritenesse sempre ammissibile il ricorso 

straordinario, si arriverebbe, in pratica, a togliere 

ogni significato alla fissazione del rigido. termine 

di decadenza per la proposizione del ricorso giuri


sdizionale. 

La presentazione del ricorso straordinario avrebbe 
l'effetto di riaprire il termine scaduto, data la 
possibilit� di sottoporre al Consiglio di Stato, sotto 


Li i~~&fili@ F1W?EE77f'"' 7 7 

T =;;'? 
-8 


specie dell'impugnazione del decreto di decisione, 
quella stessa questione che, ormai, in via diretta 
sarebbe improponibile. E, se si tien conto del 
fatto che il termine pel' il ricorso giurisdizionale ha 
la funzione di garantire la certezza dei rapporti e 
il regolare svolgimento dell'azione amministrativa, 
che sarebbe paralizzata da una possibilit� indefinita 
di impugnazione degli atti illegittimi, ci si 
rende conto dell'inammissibilit� della soluzione. O 
si riforma l'intero sistema della giustizia amministrativa, 
oppure la caducazione del principio di 
alternativit� del ricorso straordinario con il ricorso 
giurisdizionale non pu� non travolgere con s� l'intero 
istituto del ricorso straordinario (16). 

Recentemente si � tentato di sfuggire a questa 
alternativa, attribuendo all'impugnativa gimisdizionale 
della decisione del ricorso straordinario 
effetti necessariamente limitati quanto all'incidenza 
sull'atto definitivo gi� impugnato con il ricorso 
stesso (17) 

Il fondamento della tesi sta in un particolare e 
penetrante modo di intendere il carattere di cc decisione 
� del decreto emesso su ricorso straordinario. 

Per tutti gli altri ricorsi amministrativi, � pacifico 
che la decisione <e accede � all'atto impugnato, o, 
come ritiene la giurisprudenza, <e assorbe � l'atto 
stesso, con la conseguenza che l'impugnativa giurisdizionale 
della decisione investe anche l'atto 
oggetto del ricorso amministrativo. Cos�, l'eventuale 
annullamento di una decisione di rigetto implica 
l'annullamen:to dell'atto confermato. 

Tali caratteri non ricorrerebbero, invece, secondo 
la tesi in esame, nel ricorso straordinario. La 
decisione sarebbe, in questo caso, esterna al provvedimento, 
gi� definitivo, impugnato (18). 

(17) BAOHELET: Rie. straord., cit., n. 6. 
(18) L'affermazione � anche in Cons. Stato, Ad. 
plen., 24 maggio 1961, n. 12, cit. Mentre il ricorso gerarchico 
si inquadrerebbe nel procedimento di formazione 
dell'atto amministrativo (definitivo), la decisione del 
ricorso straordinario si porrebbe come un atto di giudizio 
estraneo all'atto impugnato e non potrebbe, perci�, 
assorbire quest'ultimo. Da ci�, il Consiglio di Stato vorrebbe 
trarre, come logica conseguenza., il principio della 
necessaria limitazione dell'impugnativa giurisdizionale 
della decisione ai soli vizi di forma .e di procedimento, 
escluso ogni sindacato del contenuto decisorio dell'atto 
(errores in iudicando), che si risolverebbe in un riesame 
dell'atto impugnato col ricorso straordinario. In realt�, 
la conclusione logica, accettando la premessa, dovrebbe 
essere� esattamente l'opposta. Se la decisione non assorbe 
il provvedimento impugnato, ma � un atto di giudizio 
ad esso estraneo e del tutto autonomo, � chiaro che, 
rispetto ad essa, non pu� valere il principio dell'alternativit� 
(dettato per l'at.to definitivo oggetto del ricorso) 
e non pu� quindi gim;tificarsi in alcun modo l'esclusione 
di una piena garanzia giurisdizionale, salva la limitatezza 
dei suoi effetti alla decisione considerata come 
atto a s� stante. Cfr. BAOHELET: Ancora in tema di decisione 
del ricorso straordinario e di impugnazione del terzo 
�controinteressato �: un altro caso di denegata giustizia 
(nota alla decisione sopra citata), in �Foro annn. >>, 
1961, I, 1347. 
Si tratterebbe di un atto di giudizio, come tale 
necessariamente estraneo e superiore all'atto che 
ne � oggetto. L'impugnativa giurisdizionale si porrebbe 
quindi in funzione di garanzia della legittimit� 
(anche sostanziale) della decisione, come tale,. 
e non potrebbe invece avere per oggetto la legittimit� 
dell'originario provvedimento. Si tratterebbe,. 
in definitiva, di un mero iudicium rescindens, cui. 
non potrebbe tener dietro il iudicium rescissorium. 
L'esito dell'impugnativa potrebbe essere semplicemente 
l'annullamento della decisione in quanto� 
viziata o errata, e non una nuova decisione sulla 
questione di legittimit� dell'atto originario. 

La tesi, a nostro avviso, non pu� avere altro� 
fondamento che quella natura giurisdizionale o 
para-giurisdizionale della decisione del ricorso straordinario, 
che sopra abbiamo escluso (19). Se tale 
decisione �, come certamente �, un meroatto amministrativo, 
la sua posizione rispetto all'atto impugnato 
non pu� essere quella di un atto di giudizio, 
espressione di una funzione di giustizia volta 
esclusivamente alla tutela dell'interesse del ricorrente. 
L'Amministrazione, nel decidere il ricorso� 
straordinario, non si pone super partes, non si 
limita a comporre, in conformit� al diritto, un conflitto 
di interessi, ma, attraverso tale composizione,. � 
persegue il soddisfacimento di quello stesso interesse 
pubblico che costituisce la causa dell'atto� 
impugnato. L'Amministrazione, cio�, agisce, anche 
nella decisione del ricorso straordinario, come� 
parte, come portatrice di interessi propri, che si 
tratta di soddisfare nel modo migliore e pi� corretto 
(20). La decisione, perci�, essendo volta solo� 

(19) Cos�, infatti, esplicitamente la decisione dell'Ad~ 
plen. citata alla nota precedente. La posizione del 
BAOHELET appare ambigua. Da un lat,o, infatti, egli 
riafferma in maniera netta il caratter�l di atto amministrativo 
della decisione del ricorso straordinario e respinge 
tutte le fumose costruzioni basate sulla scissione� 
fra qualifica formale amministrativa e carattere sostan-� 
zialmente giurisdizionale (v., in particolare, lo scritto� 
cit. alla n. precedente); dall'altro, invece, nel sostenere� 
la tesi riassunta nel testo, sembra cadere in quegli 
stessi errori di prospettiva, in quelle confusioni fra la. 
posizione del ricorso straordinario nell'ordinamento generale 
e il suo modo di essere all'i,riterno dell'organizzazione 
amministratfoa che, con tanta efficacia, individua e 
respinge in linea di principio. L'accentuazione del carattere 
di giudizio del decreto di decisione finisce infatti 
col riproporre una pretesa natura singolare, sui generis, di 
questo atto, che pur si riconosce amministrativo. Significativa 
� l'analogia cui il B. � costretto a ricorrere fra: 
il sindacato giurisdizionale della decisione del ricorse> 
straordinario e il sindacato esercitato dalla Cassazione, 
sulle sentenze delle corti di merito e delle giurisdizioni. 
amministrative speciali (v. Rie. straord., cit., n. 6,. 
nota 83). 
(20) Contra: Ad. plen. 24 maggio 1961, n. 12, cit.. 
Il ricorso straordinario �sarepbe deciso dall'Ammini-strazione 
non come parte, ma come autorit� imparziale. 
E la garanzia dell'imparzialit� sarebbe nel parere del 
Consiglio di Stato, parzialmente vincolante, salvo intervento 
del Consiglio dei Ministri. Non si avverte, ra

~m: ~m: 
-9


indirettamente alla tutela degli interessi individuali, 
mentre il suo fine tipico, la sua causa, resta 
�l soddisfacimento dell'interesse pubblico che � 
oggetto dell'atto impugnato, non pu� non accedere 
a quest'ultimo, non assorbirlo, sostituendolo completamente. 
La situazione, cio�, � esattamente la 
stessa che si determina nel ricorso gerarchico, n� 
in contrario potrebbe valere il carattere di definitivit� 
assegnato alla decisione di quest'ultimo. 
Si tratta, invero, di una qualificazione del tutto 
relativa e inidonea ad escludere (in via, appunto, 
straordinaria) un riesame amministrativo dell'atto 
(21). 

Solo una decisione giurisdizionale, nella quale 
l'applicazione della legge al caso concreto non � 
~trumentale rispetto al perseguimento di un interesse 
di parte, pu� dirsi estranea, superiore all'atto 
amministrativo che ne costituisce l'oggetto. Una. 
decisione amministrativa, appunto perch� non pu� 
che essere intesa al perseguimento dello stesso fine 
dell'atto che ne � oggetto, assorbe necessariamente 
quest'ultimo, lo sostituisce, ponendosi come provvedimento 
concreto e non come atto di giudizio 
inteso solamente alla soluzione del conflitto di 
interessi. 

L'impugnativa giurisdizionale della decisione del 
ricorso straordinario, se estesa anche al merito; al 
contenuto della decisione stessa, implica perci� 
necessariamente il sindacato sulla legittimit� dell'atto 
originario, � assorbito >> dal decreto presidenziale. 
L'annullamento di un decreto che abbia 
rigettato il ricorso straordinario non pu� che significare 
annullamento dello stesso atto impugnato 
col ricorso. 

La tesi che combattiamo, negando quest'ultima 
conclusione, o finisce col togliere ogni contenuto 
di pratica utilit� alla piena garanzia giudsdizionale, 
ammessa per mero ossequio formale ai principi 
costituzionali, ovvero � costretta a ricorrere a 
macchinose e inammissibili costruzioni, quali una 
pronuncia di rinvio allo stesso Oapo dello Stato 
perch� emetta una nuova decisione ovvero la riapertura 
dei termini per la proposizione di un nuovo 
ricorso straordinario (22). L'evidente assurdit� di 
simili conseguenze ultime � la � migliore prova, 
riteniamo, dell'inesattezza della premessa. 

In conclusione, <J.uindi, non pu� negarsi che l'ammissibilit� 
del ricorso straordinario � legata alla 
persistenza del principio dell'alternativit�. Oaduto 
questo, la struttura fondamentale del vigente ordinamento 
della giustizia amministrativa non po


gionando in tal modo, che proprio la possibilit� di quest'intervento 
dell'organo politico vanifica la pretesa 
imparzialit�. 

(21) La differenza che si vorrebbe vedere fra la decisione 
del ricorso straordinario e quella del ricorso gerar-
chico non po�trebbe neppure fondarsi sul carattere di 
ricorso di mera legittimit� del primo e di ricorso a.nche 
di merito del secondo. Tnv~ro, anche il ricorso gerarchico, 
in alcuni casi, � limitato ai soli vizi di legittimit�: 
v. art. 27 regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2841; arti-
colo 164 regio decreto 5 febbraio 1928, n. 577. 
(22) Cfr. 'BACHELET, op. dt., n. 7. 
2 

trebbe pi� armonizzarsi con l'antico istituto. Questo 
do.vrebbe perci� considerarsi definitivamente 
superato, pena l'obliterazione di quelle ineliminabili 
esigenze di certezza cui sopperisce �l termine 
perentorio per la presentazione del ricorso giurisdizionale 
contro l'atto definitivo (23). 

6) Le considerazioni fin qui svolte ci consentono 
di risolvere agevolmente la questione della legittimit� 
costituzionale dell'art. 34, commi 20 e 30, 
del testo unico sul Oonsiglio di Stato, ossia del 
principio dell'alternativit�, con i suoi corollari, che 
costituiscono, per quanto detto, il cardine col quale 
sta o cade l'intero istituto del ricorso straordinario. 

Il principio dell'alternativit� �, anzitutto, contrastante 
per se stesso con le norme della Oostituzione. 
L'improponibilit� del ricorso giurisdizionale 
da parte di chi ha proposto ricorso straordinario 
non pu� in alcun modo giustificarsi di fronte alla 
norma fondamentale dell'art. 113 Oost.: �Oontro 
gli atti della pubblica amministrazione � semP're 
amrtiessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli 
interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione 
ordinaria o amministrativa�. 

Si � obiettato, in contrario, che l'esclusione della 
tutela giurisdizionale, nel caso che ci occupa, 
sarebbe fondata sulla volont� dello stesso interessato, 
il quale, con la proposizione del ricorso straordinario, 
implicitamente rinuncerebbe al ricorso 
giurisdizionale. La preclusione di quest'ultimo sarebbe 
perci� giustificata da ragioni del tutto analoghe 
a quelle valevoli per l'ipotesi di acquiescenza 
al provvedimento amministrativo definitivo; e non 
pu� certo pensarsi che l'art. 113 Oost. estenda la 
sua efficacia ad escludere addirittura la possibilit� 
di una rinuncia alla tutela giurisdizionale da parte 
dello stesso interessato (24). 

La spiegazione volontaristica che vuol darsi 
della regola dell'alternativit� � fittizia. 

Come abbiamo visto, la ratio del principio � una 
altra. E, comunque, anche a prescindere da ci�, 
il ricorso a una pretesa rinuncia implicita nella proposizione 
del ricorso straordinario � artificioso e 
arbitrario. Si tratterebbe, invero, di una presunzione 
iuris et de iure di rinuncia. La figura del negozio 
assolutamente presunto �, per�, come ormai ha 
definitivamente chiarito la moderna teoria generale 
del diritto, inammissibile. 

Ove la legge assegna ad un certo comportamento 
obiettivo gli stessi effetti che potrebbero conseguire 
ad un atto di volont�, prescindendo per� dalla 
esistenza di una volont� diretta, in concreto, alla 
produzione degli effetti, parlare di negozio presunto 
(di rinuncia presunta, nel nostro caso) � una 
mera finzione, del tutto inidonea a dar ragione 
del fenomeno. In realt�, si deve riconoscere, in questi 
casi, che si � del tutto fuori dal campo della 
autonomia privata e del negozio giuridico (25). 

(23) Cfr. MORTA.TI: Sull'incostit1,zlonalit�, cit. 
(24) Cfr. BACHELET, op. cit., n. 8; ROEHRSSEN, 
op. cit. 
(25) Cfr. SANTORO p ASSARELLI: Dottrine generali del diritto 
civile, Napoli, 1954, p. 124 ss. 

''f?'i'F? 

-10 


L'equiparazione, ai fini della produzione di certi 
effetti, di un fatto obiettivo ad un negozio non 
autorizza infatti a fingere l'esistenza di una volont� 
negoziale anche l� ove la legge mostra di 
voler prescindere in maniera assoluta da essa. 

Nella proposizione del ricorso straordinario non 
si pu� vedere una rinuncia alla tutela giurisdizionale, 
come nel caso dell'acquiescenza (che costituisce, 
appunto, dichiarazione tacita della volont� 
di rinunciare (26): la legge prescinde del tutto dall'esistehza 
o meno di una concreta volont� di 
rinunciare e assegna l'effetto preclusivo del ricorso 
giurisdizionale al comportamento obiettivamente 
considerato, al fatto della presentazione del ricorso 
al Capo dello Stato. 

Orbene, l'esclusione della tutela giurisdizionale, 
alla luce dell'art. 113 Cost., pu� solo giustificarsi 
ove sia sancita quale effetto (negoziale) di una 
vera e propria rinuncia. � inammissibile, inveee, 
che la preclusione discenda da 1m semplice comportamento 
obiettivo, da un fatto in senso stretto. 

La preclusione dell'impugnativa giurisdizionale 
conseguente alla proposizione del ricorso straordinario, 
p;rescindendo in maniera assoluta da una 
volont� di rinuncia (negata, anzi, dallo stesso fatto 
della proposizione dell'impugnativa amministrativa) 
non pu� quindi non cadere di fronte alla 
categorica norma dell'art. 113 Cost. 

7) Del resto, an,che se gli argomenti sopra svolti 
fossero insufficienti, l'incompatibilit� della regola 
dell'alternativit� con l'art. 113 Cost. sal'ebbe ugualmente 
agevole da dimostrare, da un altro punto 
di vista. 

Come abbiamo visto, la conseguenza principale 
dell'alternativit� � l'esclusione di ogni impugnativa 
del decreto emesso su ricorso straordinario che 

involga ilriesame del contenuto della decisione (27). 

(26) A parte le dispute sull'esatta qualificazione dell'acquiescenza 
(accettazione del provvedimento, rinuncia 
al potere di in1pugnativa, rinuncia al diritto sostanziale 
deducibile in giudizio, accertamento della validit� 
del provvedimento) la dottrina e la giurisprudenza assolutamente 
prevalenti riconoscono il carattere negoziale 
del comportamento e quindi intendono la preclusione 
dell'impugnativa come � effetto negoziale �, nel senso 
chiarito dalla teoria del diritto civile. Non possiamo qui 
esaminare le obiezioni formulate recentemente dal GIAN� 
NINI (voce Acquiescenza, in � Enciclopedia del Diritto �; 
cfr. anche GIOVENCO: Notazioni in tema di acquiescenza 
al provvedimento amministrativo, in � Riv. trim. dir. 
pubbl. ,,, 1959, 844). Ci sembra, comunque, che l'effetto 
preclusivo dell'acquiescenza, di fronte all'art. 113 Cost., 
possa giustificarsi solo in quanto effetto negoziale, ricollegato 
ad una precisa manifestazione di volont� dell'interessato. 


(27) Che questa esclusione sia una conseguenza diretta 
del principio dell'alternativit�, come esattamente 
ritiene la giuriSprudenza, � provato dal fatto che, come 
abbiamo vist�, l'impugnativa della decisione per vizi 
sostanziali si risolve necessariamente nell'impugnativa 
. del 
provvedimento originario. Contra, date le diverse 
premesse accolte, BACHELET, op. cit. 

Ma se questa decisione � un atto amministrativo, 
non si pu� assolutamente sfuggire all'applicazione 
del secondo comma dell'art. 113, per il quale la 
tutela giurisdizionale non pu� essere esclusa (} 
limitata a particolari mezzi di impugnazione (} 
per determinate categorie di atti. .Anche a voler 
ammettere che la presentazione del ricorso straordinario 
implichi rinuncia all'impugnativa giurisdizionale, 
certamente gli effetti di tale rinuncia 
non potrebbero mai estendersi al gravame contro 
il futuro decreto di decisione. Una rinuncia preventiva 
all'impugnativa di un atto non ancora 
emanato non pu� infatti ammettersi alla stregua 
dei principi della giustizia amministrativa (28) e, 
tanto meno, di fronte alla categorica norma dell'art. 
113 Cost. 

D'altronde, il tentativo, fatto da alcuni (29)t 

.. di dimostrare, sempre sul presupposto della natura 
amministrativa della decisione, l'impossibilit� che 
questa leda diritti o interessi legittimi, e quindi 
l'insussistenza del presupposto per l'applicazione 
dell'art. 113, 'deve ritenersi fallito. 
La tesi si fonda su un particolarissimo valore 
assegnato al carattere cc straordinario� del ricorso 
al Capo dello Stato. 
Si tratterebbe di un rimedio extra iuris ordinem, 
sfornito dei caratteri di guarentigia giuridica, che 
conserverebbe tuttora, in virt� del principio dell'alternativit�, 
i caratteri originari di una istanza 
in via di grazia. La proposizione del ricorso avrebbe, 
per l'interessato, il significato di un affidamento 
dei propri interessi alla buona grazia del sovrano, 
al di fuori di ogni garanzia giuridica (che non sia 
quella rappresentata dalle norme di ordine procedurale). 
Nessun interesse giuridicamente rilevante, e 
quindi tutelabile in sede giurisdizionale, potrebbe 
vantare il ricorrente rispetto alla sostanza della. 
decisione �graziosa� cui si � rimesso. La presentazione 
del ricorso, perci�, presupporrebbe gi� avvenuta 
(per via di q.ecadenza o d'altro), ovvero 
implicherebbe essa stessa, necessariamente (per via 
di rinuncia), la degradazione dell'interesse legittimo 
leso dall'atto impugnato a mero interesse semplice, 
sfornito di ogni tutela giurisdizionale (30). 

Secondo il BENVENUTI: Appunti di diritto amministrativo, 
1957, p. 247, la non impugnabilit� della decisione 
del ricorso straordinario dipenderebbe dalla natura. 
di atto politico (sfa pure in senso ampio) che a questa 
dovrebbe riconoscersi. La tesi non sembra fondata e, 
a contrastarla, � sufficiente il rilievo dell'obbligo di 
motivazione del decreto di decisione (cfr. BACHEL'ET. 
op. cit., nota 78). 

(28) � pacifica, infatti, l'inammissibilit� dell'acquiescenza 
ad un atto non ancora emanato, per quanto sia. 
in corso il procedimento per la sua formazione. 
(29) SANDULLI: Sull'amm�sibiUt� del ricorso straordinario 
al Presidente della Re;pubblica, cit.. 
(30) L'ANDRIOLI: (Ricorso straordinario �al Presider&te 
della RepubbUca e tutela giurisdizionale dei diriUi s~g,;gettivi, 
cit.), che segue l'ordine di idee del Sandulli, 
esclude che la presentazione del ricorso straordinario possa. 
avere, sotto il vigore della nuova Costituzione, l'efficacil'lo 
di una rinuncia definitiva alla tutela giurisdizionale e 

_---,-11 

La decisione non potrebbe mai violare, quindi, 
un interesse legittimo, ormai definitivamente escluso 
dalla stessa presentazione del ricorso. 

La confutazione di questa, certamente abilissima, 
costruzione � gi� stata fatta, in modo esauriente, 
dal Ciardulli (31). 

Basta richiamare una considerazione, che sembra 
decisiva: tutti gli argomenti addotti si spuntano 
inevitabilmente contro l'esigenza di tutela dei controinteressati. 
L'interesse che questi hanno alla 
conservazione dell'atto impugnato non pu� certo 
dirsi degradato a interesse semplice. L'esclusione 
della tutela giurisdizionale di questo interesse non 
potrebbe perci� in alcun modo giustificarsi (32). 

Inoltre, anche per quanto riguarda l'interessato, 
la tesi che combattiamo si risolve in un circolo 
vizioso: in sostanza, l'interesse legittimo degraderebbe 
a interesse semplice per l'esclusione di ogni 
tutela giurisdizionale, e tale esclusione si giustificherebbe 
proprio per quella degradazione. In realt�, 
se si segue, come crediamo si debba seguire, l'opinione 
(in realt�, non incontroversa) che fa dell'interesse 
legittimo una figura di diritto sostanziale, 
non si pu� ammettere che la preclusione del ricorso 
giurisdizionale� implichi la sua degradazione a interesse 
semplice. Altro � la tutela indiretta di un 
interesse individuale offerta da norme di diritto 
sostanziale e altro sono i mezzi processuali di realizzazione 
di tale tutela. Non pu� quindi ammettersi 
che la decisione del ricorso straordinario sia, per 
sua natura, inidonea a -ledere interessi giuridicamente 
tutelati (in senso sostanziale) ed � quindi 
da escludere ogni limite alll'l sua impugnabilit� in 
sede giurisdizionale (33). 

9) Concludendo: l'alternativit� del ricorso straordinario 
con il ricorso giurisdizionale non pu� 
in alcun modo conciliarsi con i principi costituzionali. 
Non potendo, del resto, il ricorso straordinario 
reggersi senza quel principio nel vigente sistema 
della giustizia amministrativa, � l'intero istituto 
che deve ritenersi viziato di incostituzionalit�. 

possa quindi produrre, essa stessa, la degradazione del� 
l'interesse legittimo (o del diritto soggettivo) a interesse 
semplice. 

A suo avviso, perci�, l'ammissibilit� del ricorso straordinario 
dovrebbe ormai essere confinata alle ipotesi 
in cui la tutela giurisdizionale sia. gi� esclusa per l'intervento 
di decadenze o di altri fatti preclusivi legislativamente 
previ!'ti. 

(31) Op. cit. 
(32) L'obiezione vale anche contro la tesi di AN� 
DRtoLI, op. cit., ugualmente viziata dalla considerazione 
esclusiva della posizione del ricorrente. La fondatezza 
del rilievo � ora riconosciuta dal SANDULLI (v. Manuale 
di diritto amministrativo, Napoli 1959, p. 558). 
(33) Il termine di decadenza per il ricorso giurisdizionale 
non inc�d�, infatti, sull'interesse sostanziale, la 
cui deducibilit� in giudizio pu� risorgere per l'intervento, 
ad esempio, di un nuovo atto parzialmente modificativo 
(anche, come afferma la giurisprudenza, nella sola 
motivazione) dell'atto precedente non impugnato in 
termine. 
* * * 

10) L'incompatibilit� del ricorso straordinario 
con i principi costituzionali si rivela anche sotto 
un altro aspetto. _ 

L'attribuzione al Presidente della Repubblica del 
potere decisorio non � compatibile con la posizione 
di quest'organo nel sistema della nuova Costituzione. 


In proposito, occorre fare una premessa. In 
dottrina non c'� pieno accordo sull'individuazione 
dell'organo cui spetta la titolarit� del potere di 
decisione. 

� stato infatti sostenuto che l'intervento del 
Capo dello Stato avrebbe una mera funzione simbolica 
e formale, mentre la titolarit� sostanziale 
del potere di decisione spetterebbe al Ministro 
competente (34). E ci� a seguito di un'evoluzione 
compiutasi prima dell'entrata in vigore della Costituzione 
repubblicana; onde sarebbe del tutto 
irrilevante, rispetto al ricorso straordinario, la 
identificazione della posizione che questa attribuisce 
al Presidente della Repubblica. Nulla impedirebbe, 
infatti, che funzioni meramente cc simboliche 
n, di pura forma, siano attribuite, nel campo 
amministrativo, al Presidente con legge ordinaria. 
Un problema di legittimit� costituzionale si po� 
trebbe porre solo ove una legge ordinaria volesse 
attribuire al Presidente la titolarit� sostanziale di 
un potere amministrativo. 

La tesi non sembra esatta. 

Nell'ordinamento previgente, la decisione del ricorso 
straordinario era attrjbuita al re non in 
senso meramente formale, ma come atto rientrante 
nella sfera della sua competenza sostanziale. In 
ci� si manifestava la sua origine di cc prerogativa 
regia�. La controfirma ministeriale non modificava 
la situazione. A prescindere dalla natura di questo 
atto nell'ordinamento monarchico, ed anche a vol�r 
ammettere che esso, nell'evoluzione costituzionale, 
fosse andato ben oltre la sua originaria funzione 
di cc copertura>> dell'irresponsabilit� regia, certo non 
pu� affermarsi in via assoluta che, in ogni caso, gli 
atti controfirmati dal Ministro fossero espressione 
di un suo autonomo potere di deliberazione e che 
l'intervento del re fosse tipicamente rivolto ad una 
mera funzione di simbolo. 

Il semplice fatto della necessit� della contro� 
firma ministeriaie non � perci� minimamente decisivo 
(35). 

Senza dubbio, il decreto reale controfirmato dal 
Ministro doveva considerarsi (come deve considerarsi 
oggi il decreto presidenziale (36) quale atto 

(34) GIANNINI: La giustizia amministrativa, cit., 
p. 97; A:MORTH: Lineamenti dell'organizzazione amministrativa 
italiana, Milano, 1950, p. 22; BAOHELET, op. 
cit., n. 3. La decisione dell'Ad. plen. 25 gennaio 1961, 
n. 1, cit., attribuisce invece a! Ministro solo funzioni 
istruttorie e di impulso processuale, escluso ogni suo 
potere decisorio. ,. . 
(35) Come invece sembra ritenere il BAOHELET, cit. 
(36) BALLADORE PALLIERI: Dir. cast., cit., p. 169; 
SANDULU:: Il Presidente della Repubblica e la funzione 
arrvmi-nistrativa, in � Scritti giuridici in onore di Carnelutti 
'" vol. IV, Padova 1950, p. 215 ss. 

-12 


complesso: ciascuno dei due organi (Capo della Stato 
e Ministro) concorreva con la sua volont� alla formazione 
dell'atto (37). Il problema dell'identificazione 
dell'organo titolare del potere esercitato per 
mezzo dell'atto si risolve perci� nell'identificazione 
della volont� prevalente nella sua formazione. Negli 
atti complessi c.d. ineguali (38), infatti, l'atto emanato 
col concorso di distinte volont� deve ritenersi 
compreso nella sfera di competenza dell'organo alla 
cui volont� la legge d� valore prevalente, mentre 
il concorso degli altri organi assume il semplice 
valore di un presupposto. 

Orbene, non sembra dubbio che, nel procedimento 
di decisione del ricorso straordinario al re, era 
la volont� di quest'ultimo che assumeva valore decisivo. 


Il Ministro competente, istruito il ricorso e 
ottenuto il parere del Consiglio di Stato, fungeva 
da mero tramite di trasmissione di tale parere al 
re. Non poteva neppur dirsi che ad esso competesse 
la veste di proponente, essendo escluso ogni suo 
potere di determinare il contenuto del provvedimento 
(39). Al Ministro competeva soltanto il potere, 
ove non ritenesse opportuno seguire il parere 
del Consiglio di Stato, di sottoporre la questione 
al Consiglio dei Ministri. Con ci� non pu� dirsi si 
verificasse la devoluzione al Consiglio del potere 
di decisione del Ministro (40). In realt�, l'intervento 
del Consiglio dei Ministri aveva carattere 
consultivo e non deliberativo, al pari di quello del 
Consiglio di Stato (41). Ci� risulta dal confronto 
fra la disposizione dell'art. 14, 2� co., del testo 
unico sul Consiglio di Stato (�quando il provvedimento 
sia contrario al parere del Consiglio di Stato, 
deve farsi constare dal decreto reale che � stato 
pure� udito il Consiglio dei Ministri �) e quella 
dell'art. 25, 20 co., del testo unico sulla Corte dei 
Oonti, per la quale la registrazione con riserva 
� condizionata alla 1�isoluzione del Consiglio dei 
Ministri �che l'atto o decreto debba aver corso n. 
Non sembra che l'argomento letterale sia superabile: 
l'ipotesi in esame appare perci� estranea 
alla previsione generica dell'art. 1, n. 7, regio decreto 
14 novembre 1901, n. 466 (per il quale sono 
sottoposti al Consiglio dei Ministri tutti gli affari 
per cui debba provvedersi mediante decreto reale 
con precedente parere del Consiglio di Stato, quante 
volte il Ministro competente non intenda uniformarsi 
a tale parere). Qui non c'� devoluzione al Consiglio 
dei Ministri di un potere deliberativo, che 

(37) Contra: PORTA: Natura del decreto reale che 
decide il ricor.~o straordfoario, in � Giur. it. �, 1941, III, 
113, il quale ritiene che, mancando nella specie una vera 
proposta del Ministro, non possa parlarsi di atto complesso. 
La controfirma assumerebbe il semplice valore di un 
visto esterno all'atto, che resterebbe espressione della 
sola volont� del Capo dello Stato. 
(38) ZANOBINI: Cor8o, cit., vol. I, p. 256. 
(39) Cos� PORTA, op. cit. 
(40) FRANCHINI: Il pa;rere nel diritto ammfr1iistrativo, 
vol. II, Milano 1954, p. 87. 
. (41) Conf. Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 1955, n. 461, 
in (( Riv. amm. �, 1956, II, 133. 
non spetta al singolo Ministro, ma al Capo dello 
Stato. 

In definitiva, nel sistema previgente, il re provvedeva 
sul ricorso str:;i,9rdinario., confortando la 
decisione o con il parere del Consiglio di Stato o 
con quello del Consiglio dei Ministri. L'iniziativa 
spettante al Ministro competente di sollecitare il 
parere di quest'ultimo collegio non poteva vincolare 
la decisione regia. Nulla vietava che il re, 
nell'emanazione della decisione, si conformasse 
all'avviso del Consiglio di Stato, malgrado il contrario 
parere del Ministro e del Consiglio dei Ministri 
(42). Ci� � sufficiente a far ritenere effettiva, 
sostanziale l'attribuzione al re del potere di decisione. 


E, invero, se l'organo decidente fosse il Ministro, 
non si vede proprio come potrebbe concepirsi 
un'attivit� consultiva del Consiglio dei Ministri 
nei suoi confronti, ossia nei confronti di uno dei 
suoi membri (43). 

Si deve quindi riconoscere che, al momento dell'entrata 
in vigore della Costituzione repubblicana, 
la decisione del ricorso straordinario rientrava 
nella sfera di competenza propria del sovrano; il 
suo intervento non aveva una semplice funzione di 
rivestimento simbolico di un atto deliberato dal 
Ministro competente, ma, al contrario, era l'intervento 
del Ministro che doveva considerarsi accessorio 
e secondario. 

Il problema della possibilit� di attribuire un 
simile potere al Presidente della Repubblica, nel 
nuovo ordinamento, sussiste pertanto anche per chi 
ritenga che sia senz'altro da escludere che la Costituzione 
ponga limiti all'attribuzione di funzioni 
meramente formali al Capo dello Stato. 

E il problema, deve aggiungersi, non � di semplice 
competenza. Non � sostenibile la tesi per 
cui, ove fosse riconosciuta l'incompatibilit� dell'attribuzione 
di decidere il ricorso straordinario 
con la posizione costituzionale del Presidente della 
Repubblica, dovrebbe ritenersi trasferito il potere 
stesso al Governo, in virt� della competenza generale 
in materia amministrativa che di questo � 
propria (44). La trasformazione del ricorso al re 
in ricorso al governo implicherebbe, non un semplice 
trasferimento di competenza, ma una modificazione 
radicale della struttura dell'istituto. La 
portata dell'intervento del Ministro competente e 
del Consiglio dei Ministri sarebbe tutt'altra da 
quella prevista dalla legislazione in materia e dovrebbe 
perci� crearsi tutto un nuovo sistema di 
rrocedura. 

Deve quindi concludersi che, allo stesso modo del 
principio dell'alternativit� con il ricorso giurisdi


(42) Cfr. MORTATI: Sull'incostituzionalit�, cit., nota 
15. 
(43) Il BACHELET, op. cit., pur riconoscendo che l'intervento 
del Consiglio dei Ministri ha natura consultiva. 
(nota 7), attribuisce egualmente al Minist.ro ilpot~r�decisorio. 
(44) SANDULLI: Sull'ammissibil��, c�t. La tesi � stata, 
in passato, sostenuta dal MORTATI: Corso di ist#uzioni 
di diritto pubblico, Padova, 1949, p. 408. 

-13 

zionale, l'attribuzione del potere decisorio al Capo 
dello Stato costituisce un cardine del ricorso straordinario, 
per cui, caduta tale attribuzione, non 
pu� non cadere l'intero istituto. 

11) La decisione del riccrso straordinario era 
dunque espressione di un potere proprio del re, era 
un atto di iniziativa sovrana. 

Il suo fondamento era nella disposizione dell'articolo 
5 dello Statuto albertino: cc .Al Re solo appartiene 
il potere esecutivo ''� Riconosciuta, infatti, la 
natura formalmente e sostanzialmente amministrativa 
dell'atto, il potere di decisione non poteva 
ritenersi attribuito al re se non nella sua veste di 
Capo dell'esecutivo. Del resto, i principi della 
monarchia costituzionale non sembrano consentire 
soluzione diversa: il potere di decisione non poteva 
fondarsi su una pretesa funzione sovrana del 
re, come tale, esplicantesi al di sopra e al di fuori 
dell'ordinamento amministrativo (45). 

Comunque, a prescindere da ci�, � chiaro che 
solo la configurazione di una competenza generale 
del re nel campo amministrativo (fosse essa espressione 
della sua veste di Capo dell'esecutivo, ovvero 
di Capo dello Stato) poteva giustificare l'attribuzione 
ad esso di un potere di iniziativa, quale quello 
che si esercitava nella decisione del ricorso straordinario. 


Con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, 
il presupposto � caduto. 

.Al Presidente della Repubblica non � pi�. riconosciuta 
la qualifica di capo dell'esecutivo, n� 
gli � attribuita una competenza amministrativa di 
carattere generale (spettante, invece, al Governo). 

Gli atti amministrativi alla cui formazione il 

Presidente concorre non possono ch� 'essere tipici: 

costituiscono un numero chiuso non suscettibile di 

estensione per via analogica. 

Si tratta di vedere se l'elencazione di questi 
atti contenuta nella Costituzione possa essere integrata, 
con l'aggiunta di altri provvedimenti specifici, 
dalla legge ordinaria. 

La risposta sembra non possa essere che negativa. 

Gli interventi del Presidente della Repubblica 
nel campo amministrativo non potrebbero essere 
estesi oltre i limiti segnati dalla Costituzione senza 
modificare l'equilibrio delle competenze da questa 
sancito (46). La previsione costituzionale di determinati 
atti amministrativi attribuiti al Presidente 
della Repubblica potrebbe considerarsi rivolta semplicemente 
a rivestire della garanzia costituzionale 
alcune soltanto delle competenze presidenziali, solo 
se fosse sostenibile che l'intervento del Presidente 
nell'amministrazione trovi fondamento in una 
competenza di carattere generale, che invece non 
pu� che escludersi di fronte alla norma dell'articolo 
95 Cost. 

Del resto, anche se fosse vera, in principio, la 
tesi opposta, non potrebbe non fissarsi un preciso 
limite alla potest� del legislatore ordinario di 
ampliare la sfera degli atti amministrativi di competenza 
presidenziale. 

In proposito, � opportuno richiamare una di


stinzione che, nell'ambito di questi atti, � fatta 

dalla migliore dottrina. 

La norma dell'art. 89 Cost. (�nessun atto del 
Presidente della Repubblica � valido se non � controfirmato 
dai ministri proponenti, che ne assumono 
la responsabilit� ll) sembra attribuire in ogni 
caso la competenza a delibetare l'atto al' Ministro 
<e proponente i>, limitando l'intervento del Presidente 
della Repubblica a una mera funzione simbolica, 
di suggello formale (47). Sembrerebbe, cio�, 
che debbano ormai escludersi, in modo assoluto 
atti rientranti, in senso sostanziale, nella competenza 
del Capo dello Stato, atti, cio�, la cui deliberazione 
possa ad esso spettare. 

In realt�, l'esame completo delle norme costitu� 
zionali che prevedono competenze presidenziali 
convince della fallacia di questa conclusione. 

Esistono due specie ben distinte di atti presidenziali 
(48). Alcuni (ad es., la nomina del Presidente 
del Consiglio dei Ministri) rientrano prevalentemente 
nella competenza del Capo dello Stato, 
che ne ha l'iniziativa, mentre il Ministro si limita 
a controfirmarli. .Altri, invece (ed � la regola), 
rientrano nella competenza del Ministro, sono da 
questi deliberati, ma devono ricevere anche l'�ssenso 
del Presidente della Repubblica (49) e devono 
essere da questi firmati. 

Orbene, l'attribuzione, mediante legge ordinaria, 
al Presidente della Repubblica di un atto del secondo 
tipo potrebbe forse con~iderarsi legittima, 
in quanto non avrebbe il valore di spostare l'ordine 
costituzionale delle competenze, restando 
sempre attribuita al governo la potest� delibe-1 
rativa, l'iniziativa della formazione dell'atto (50). 

Oertamente, per�, il legislatore ordinario non 
potrebbe mai attribuire al Presidente della Repubblica 
un atto del primo tipo, non contemplato dalla 

(45) Sul punto, cfr. CI.A.EDULI.I, op. cit. 
(46) Cos� AaRo', op. cit. Contra: SANDULLX: Sull'ammissibilit�, 
cit. 
(47) Cosi: A. GIANNINI: Il Presidente della Repubblica, 
in Scritti giuridici in onore di A. Scialoia, vol. IV, Bolo�. 
gna, 1953, p. 227 ss.; A:MORTH: op. loc. cit. 
(48) La distinzione � delineata con molta chiarezza 
dal BALLADORE p ALI,mRI,. op. cit., p. 169 ss. La questione 
� ampiamente trattata dal GuGLmun: I cofiitti di attri� 
buzione tra i poteri d(!,llo Stato, in �La Corte Costituzionale
� (Raccolta di studi), Roma, 1958, p. 463 ss. 
(49) Tale assenso ha ima portata sostanziale, rap.. 
presenta un vero e proprio concorso di volont� e non un 
mero suggello formale. La ftmzione dell'intervento presidenziale 
deve ritenersi essere quella di un controllo 
della rispondenza all'interesse oggettivo e generale dello. 
Stato degli indirizzi della maggioranza al potere. V. BALIJADORE 
PALLIERI, op. cit., p. 168; BARILE: I poteri del 
Presidente della Repubblica, in � Riv. trim. dir. pubbl. �" 
1958, 295. 
(50) In questo senso la recentissima sentenza della 
Corte Costituzionale 19 aprile 1962, n. 35, che ha ritenuto 
giustificato l'intervento del Presidente della Re~ 
pubblica nell'emanazione di provvedimenti ammini--~ 
strativi di particolare rilievo, non contemplati dalla 
Costituzione, in quanto l'inter�vento stesso non sia richiesto 
come partecipazione deter�minante alla formazione dell'atto. 

-14 

Costituzione. Devolvendo al Capo dello Stato un 
potere autonomo di iniziativa nel campo amministrativo, 
si verrebbe infatti, senza alcun dubbio ad 
infrangere i confini segnati dal costituente ~Ile 
competenze degli organi supremi. In particolare 
l'attribuzione del potere di decisione del ricors~ 
straordinario tche non � prevista dalla Costituzione) 
avrebbe l'effetto di snaturare la figura del 
Oapo dello Stato, attribuendogli quella veste di 
organo supremo dell'Amministrazione, che come 
abbiamo visto, spettava al re, ma � nett~mente 

esclusa dalla Costituzione repubblicana. 

Il potere regio (potere autonomo, proprio del 
re) di decidere il ricorso straordinario non pu� 
quindi perpetuarsi nel regime repubblicano. Esso 
non pu� attribuirsi a nessuno degli organi contemplati 
dalla Costituzione: non al Presidente della 
Repubblica, che non pu� assumere competenze am.:
ininistrative non previste nella Carta costituzionale, 
e neppure al Governo, dato che, com.e abbiamo 
risto, l'attribuzione a questo finirebbe col creare 
un istituto del tutto nuovo, sconvolgendo la strut~
ura del ricorso quale definita dalla legislazione 
mtervenuta sotto il vigore dello Statuto albertino. 

* * * 

12) Gravi ed insuperabili sono quindi, ad onta 

della prassi invalsa, i motivi di inammissibilit� 

del ricorso straordinario nel nuovo ordinamento 

costituzionale. 

N�, certo, pu� valere contro di essi il fatto che 

alcune reggi successive alla Costituzione (51) fac


ciano riferimento al ricorso straordinario com.e 

ad un istituto vigente. � chiaro che queste stesse 

leggi devono ritenersi inficiate dal vizio di inco


stituzionalit� che affetta l'istituto da esse regolato 

in qualche particolare. 

.Apparentemente, un argomento pi� solido sem


bra potersi trarre dall'art. 23, 40 co., dello Statuto 

della Regione siciliana, per il quale �i ricorsi am


ministrativi, avanzati in linea straordinaria contro 

atti amministrativi regionali, saranno decisi dal 

Presidente regionale, sentite le Sezioni regionali 

del Consiglio di Stato �. Com'� noto lo Statuto 

siciliano (approvato con decreto luogotenenziale 15 

maggio 1946, n. 455) � stato convertito in legge 

costituzionale �ai sensi e per gli effetti dell'arti


colo 116 della Costituzione � (1. cost. 26 febbraio 

1948, n. 2, art. l ). Sembrerebbe quindi indiscuti


bile la legittimit� di un istituto presupposto da una 

norma costituzionale, che ne d� una regolamenta


zione particolare per un'ipotesi specifica. 

In realt�, an�he l'art. 23 non offre alcun argo


mento favorevole alla legittimit� del ricorso stra


ordinario (52). 

(51) Art. 7, legge 21 dicembre 1950, n. 1018, che 
istituisce una nuova tassa di ricorso. 
(52) Sulla questione, v. CIARDULLI, op. cit. 
.Anzitutto, si deve notare che, se, effettivamente, 
il ricorso al Presidente della Regione � lo stesso 
ricorso straordinario, con il solo mutamento dell'organo 
decidente, il contrasto-che, come abbiamo 
visto, esiste fra l'istituto generale e la Costituzione, 
non che essere eliminato dall'art. 23, comporterebbe 
l'illegittimit� di questa norma e quindi 
la sua caducazione. 

~e norme dello Statuto hanno infatti grado inferiore 
a quelle contenute nella Costituzione: il 
loro limite inderogabile � fissato dall'art. 116 Cost., 
che stabilisce in maniera precisa il loro possibile 
contenuto nella determinazione di f�rme e condizioni 
particolari di autonomia. L'attribuzione di 
efficacia costituzionale alle norme dello Statuto 
(come, del resto, risulta dalla lettera stessa della 
legge costituzionale, n. 2 del 1948) non pu� quindi 
estendersi a quelle disposizioni che risultino in 
contrasto con i principi della Costituzione (53). 

Rientra nello stesso concetto dell'autonomia 'che 

l'ordinamento di un ente autonomo non possa ispi


rarsi a principi contrastanti con quelli che reggono 

l'ordinamento sovrano, da cui trae il proprio fon


damento. 

Stabilito, pertanto, che il ricorso straordinario 

al Capo dello Stato non pu� conciliarsi con i 

pr~cipi della Qostituzione, l'attribuzione della re


lativa competenza ad un organo regionale (operata 

prima dell'entrata in vigore della Costituzione) 

deve ritenersi travolta dall'eliminazione radicale 

dell'istituto. E quindi la successiva recezione dello 

Statuto nell'ordinamento costituzionale non pu� 

essersi estesa alla norma dell'art. 23, ormai defini


tivamente caducata fin dal momento dell'entrata in 

vigore della Costituzione. 

Peraltro, sembra pi� esatto ritenere che il ri


corso al Presidente della Regione sia un istituto 

del tutto diverso dal tradizionale ricorso straordi


nario e che quindi nessun argomento a favore del 

secondo possa esser tratto dalla disciplina del pri


mo (54). 

Comunque, quale che sia la ricostruzione esatta 

di questo speciale ricorso, � indubitabile che la 

natura della norma che lo contempla impone la 

necessit� di verificarne la legittimit� costituzio


nale e che costituirebbe un'inammissibile inversione 

logica il voler trarre da essa argomenti per la solu


zione della questione di legittimit� costituzionale 

dell'istituto generale che essa sembra presup


porre. 

MARCELLO CONTI 

PROCURATORE DELLO STATO 

(53) Cfr. Corte Cost. 27 febbraio 1957, n. 38; MoRTATI: 
Sull'incostituzionalit� dell'art. 23, ult. co., Statuto Reg. 
sic., cit. 
(54) Cos� BACHELET, op. cit., nota 11. Contra: LANDl: 
Profili e problemi della giustizia amministrativa in Sicilia, 
Milano, 1951, p. 78 ss. 



NOTE DI DOTTRINA 


LUIGI MoNTES.A.NO : Processo civile e pubblica amministrazione 
in � Trattato del processo civile �, 
diretto da Francesco Carneletti, Napoli, 1960. 

� la prima v�lta, a quanto ci risulta, che un trattato 
di diritto processuale civile dia tanto rilievo 
alla posizione della P . .A. nei processo civile, sia 
per quanto attiene alla tutela dei diritti soggettivi 
nei suoi confronti, sia per ci� che riguarda la realizzazione 
delle sue pretese fuori del processo. 

Ci� � per noi motivo di vivo compiacimento 
anche se non condividiamo le premesse, da cui 
parte l'Autore, e la maggior parte delle conseguenze 
cui perviene. 

Il tema, che l'Autore si propone di dimostrare, 
� la insussistenza di quelle, che, da circa un secolo, 
.sono definite le peculiari limitazioni delle potest�, 
processuali civili riguardo all'attivit� amministrativa 

e che la maggior parte della dottrina e la giuri.
sprudenza riconducono al principio della divisione 
_dei poteri. 

L'Autore, pur accettando i risultati, cui � pervenuta 
la giurisprudenza, ne ricerca un diverso 
fondamento e perviene alla conclusione che non si 
tratta di effetti processuali, ma di particolari applicazioni 
delle norme sulla tutela giurisdizionale dei 
diritti o conseguenze processuali della sostanziale 
imperativit� inerente ai provvedimenti dell'autorit�, 
cosi trasportando sul terreno sostanziale quelli, 
che finora sono stati ritenuti effetti processuali. 
Egli in sostanza tenta di dare un'originale ed autonoma 
interpretazione degli artt. 4, 5, 7 e 8 della 
legge 20 mar. 1865, n. 2248, allegato E, che prescinda 
dal travaglio secolare della dottrina e della 
giurisprudenza, le quali su queste e poche altre 
norme hanno creato il vigente ordinamento amministrativo. 
La funzione storica dell'art. 4, secondo 
l'Autore, si sarebbe esaurita nella precisazione che, 
:attribuendosi al giudice la tutela dei diritti, non gli 
si trasf�rivano anche le funzioni amministrative 
gi� attribuite ai Tribunali del contenzioso ed agli 
-Organi contenziosi della P.A. e, conseguentemente, 
-che al cittadino, il quale avesse esaurito le vie 
giudiziarie, fosse ancora consentito esperire i vecchi 
rimesi amministrativi per la eliminazione dell'atto 
illegittimo. 

Per quanto attiene all'art. 5 l'Autore, prendendo 
spunto anche da recenti studi sul giudizio di costituzionalit� 
delle leggi (che, per la verit�, ha ad 
oggetto sia l'atto legislativo con riferimento alle 
disposizioni costituzionali, che ne regolano la for


inazione, sia la norma in esso contenuta, in rela� 
zione alle disposizioni sostanziali della Costituzione) 
afferma che la disapplicazione si riferisce alle norme 
contenute nell'atto, non all'atto ed esclude, quindi, 
che il giudice, per disapplicare-l'atto-norma, debba 
pronunciare sull'atto. La disapplicazione implicherebbe 
un giudizio incidentale sulla legittimit� 
dell'atto, una pregiudiziale amministrativa nel 
processo civile, che, secondo l'Autore, il giudice 
potrebbe decidere incidenter tantum e s.enza che si 
formi giudicato sulla legittimit� dell'atto. 

Il principio accolto dall'Autore contrasta, a 
nostro avviso, con il sistema vigente, che solo eccezionalmente 
attribuisce all'autorit� giudiziaria 
ordinaria (in: sede penale) il potere di decidere 
incidenter tantum una controversia amministrativa 
(artt. 20 e 21 C. p. c.). L'art. 295 C. p. c., infatti, 
prevede la sospensione del processo civile in attesa 
che il giudice competente decida la controversia 
amministrativa. � 

La disapplicazione, come riteniamo di avere 
altra volta dimostrato, non implica una pronunzia, 
neppure incidenter tantum, sulla legittimit�, ma 
solo sulla estrinseca legalit� dell'atto amministrativo 
(Rassegna 1952, p. 37-40; ivi 1953, p. 125). 

L'Autore, che dichiara di aderire alla teoria 
della responsabilit� indiretta della P.A., nega, poi, 
che a questa siano applicabili i principi della colpa 
aquiliana. La responsabilit� della P.A. sarebbe, 
perci�, fondata sulla perdurante efficacia dell'atto 
illegittimo, che legittimamente sacrificherebbe il 
diritto del privato; essa, perci�, sarebbe sostanzialmente 
in ogni caso responsabilit� da atto legittimo. 


Questa responsabilit�, per�, l'Autore esatta


mente ricollega non a qualsiasi lesione (violazione) 

di norme; ma solo alla illegittimit� dell'atto nella 

parte, in cui dispone un sacrificio patrimoniale. 

Conseguentemente resta escluso che il giudice or


dinario possa, sia pure incidenter_ tantum, accertare 

l'eccesso di potere, che non attiene mai alla parte 

del provvedimento, che sacrifica il diritto del pri


vato. 

Sulle orme dello Scialoia, sostanzialmente am


mette una doppia tutela, ponendo come criterio 

di discriminazione della giurisdizione la causa 

potendi, con la conseguenza che un prov:vedimento, 

il quale, come atto imperativo non � mai lesivo del-


l'altrui diritto, potrebbe essere impugnato al Con


siglio di Stato per violazione delle norme, che lo 

regolano (c.d. norme di azione) e potrebbe dar 


:mmm 



-16


luogo ad azione giudiziaria, per la parte, in cui � 
disposto il sacrificio patrimoniale. 

� evidente la conseguenza: se il risarcimento � 
chiesto per un vizio dell!atto, che non incide sul 
diritto soggettivo, il giudice rigetta la domanda, 
non declina fa, giurisdizione. I tradizionali limiti 
della giurisdizione nei confronti della P . .A.. si tra� 
ducono, cos�, in necessari riflessi processuali della 
soggezione del cittadino alla potest� sovrana della 

P . .A.. ed alla imperativit� degli atti amministrativi, 
ancorch� illegittimi. 
L'Autore,. esamina poi, diffusamente i casi di 
applicazione dell'art. 4 legge 20 marzo 1865, allegato 
E, n. 2248, che restringe alla eliminazione di 
una obiettiva incertezza, la quale d� luogo a sentenza 
dichiarativa, ed all'accertamento di una 
turbativa ad un diritto assoluto del cittadino o 
di un inadempimento, che d�nno luogo solo a sentenza 
di condanna a risarcimento del danno. 

Passando, poi, ad esaminare le singole azioni 
esperibili contro la P . .A.., l'Autore esclude che vi 
siano limiti alla giurisdizione, per ravvisare solo 
effetti processuali conseguenti a posizioni di diritto 
sostanziale, quali, ad esempio, l'infungibilit� di 
ogni prestazione della P . .A.., l'insussistenza di diritti 
di fronte. al merito amministrativo, l'insussistenza 
di norme, che concedano in astratto, la tutela 
invocata dall'attore. 

.Anche a proposito delle decisioni di annullamento 
l'Autore accoglie i risultati della giurisprudenza, 
sostituendovi il fondamento razionale: da 
queste decisioni non sorge diritto a risarcimento 
(salva l'ipotesi dei diritti affievoliti, per i quali � 
dovuto un indennizzo, ma su basi diverse) perch� 
non eliminano in radice la situazione creata dall'atto 
annullato, ma impongono un ;procedimento 
regolato da norme di azione. 

In conclusione, secondo l'Autore, il giudice civile 
� sempre incompetente a pronunciare in via principale 
l'illegittimit� dell'atto; ma � sempre competente 
a pronunziare il risarcimento del danno conseguente 
a tale illegittimit�, sia che questa debba 
da lui essere accertata incidenter tantum, sia che 
sia stata accertata dal giudice amministrativo. 
Questi, a sua volta, � sempre competente a pronunciare 
l'illegittimit� dell'atto, anche se abbia leso 
un diritto soggettivo, ed � incompetente per i 
danni. 

Per quanto attiene all'esecutoriet� degli atti amministrativi 
l'Autore, pur di negare una qualsiasi 
deroga al divieto della ragione fattasi ed al principio 
generale della necessaria verificazione giurisdizionale 
delle pretese (in verit� meno generale 
di come spesso si dica) a:ff�rma che e�sso � un effetto 
della imperativit�, requisito sostanziale dell'atto, 
e rappresenta l'attuazione di situazioni assolute, 
la realizzazione di un interesse con l'esercizio di 
potest� sostanziale, che gli � coordinata. 

Ora, anche ammesso, per seguire l'esempio dell'Autore, 
che l'atto di requisizione dia la piena 
disponibilit� della cosa requisita, resta sempre il 
fatto che la P . .A.. si impossessa di essa senza la 
previa verifica giurisdizionale della pretesa e senza 
un'esecuzione giudiziaria, il che � senza dubbio 
una deroga ai principi generali. 

Coerentemente alle premesse, l'.Autore nega che 
fra autorit� giudiziaria e P . .A.. possa sussist.ere un 
"conflitto� di attribuzione. Le norme contenute 
nella legge del 1877 e nel vigente codice di rito 
attribuirebbero alla Corte di Cassazione il potere 
di accertare una particolare infondatezza della domanda 
a causa dei poteri attribuiti alla P.A., la 
improponibilit� risolvendosi nella carenza assoluta. 
di diritto nei confronti della P . .A.. 

La Cassazione, quale giudice del conflitto~ 
avrebbe la potest�� di pronunziare su una particolare 
infondatezza della domanda e la competenza 
giudiziaria andrebbe riferita a tale potest� con la 
conseguente duplicit� di effetti delle sentenze: 
ritenendo infondata la questione (di giurisdizione) 
la Corte negherebbe la propria competenza e riconoscerebbe 
quella del giudice di merito; accogliendola, 
invece, deciderebbe competenza e merito, 
dichiarando infondata la domanda a causa dei 
poteri della P . .A.. 

L'Autore, sempre coerente alle premesse, esclude. 
infine, che la P . .A.. possa denunziare il conflitto di 
attribuzioni con l'.Autorit� giudiziaria alla Corte 
Costituzionale. Su questo punto, peraltro, riteniamo 
che sia sufficiente riportarsi a quanto avemmo 
occasione di scrivere nella Raccolta di studi, 
sulla Oorte Costituzionale (vedasi anche LUCIFREDI 
voce Oonfiitto di Attribuzione, in �Enciclopedia del 
diritto �, IV, p. 284; contra: Manca e Berruti} 
voce Oonfiitto, in �Novissimo Digesto italiano�, 
II, p. 46). 


RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 


CORTE COSTITUZIONALE -Giudizi incidentali di 

legittimit� -Leggi provvedimento -Giudizio sulla 

rilevanza -Possibilit� 0di diversa pronunzia. (Corte 

costituzionale, sentenza n. 78 del 22 dicembre 1961 -

Pres.: Cappi; Rel.: Cassandro), 

Il giudizio sulla rilevanza della questione incidentale 
di costituzionalit� spetta esclusivamente 
al giudice a quo. 

Tuttavia non � da escludere che nei gradi suc<
1essivi di giudizio una diversa pronunzia sulla 
rilevanza comporti, come sua conseguenza, l'inefficacia 
della sentenza della Oorte che sia stata 
pronunciata in base al precedente giudizio. 

Questa sentensa rappresenta la pi� autorevole 
delle conferme della esattezza della tesi sostenuta su 
questa Rassegna, 1961, ,pagg. 35 segg. 

n meccanigmo giudiziario per l'introduzione della 
questione di legittimit� costituzionale .� quello che �: 
concepito per le leggi-norma, deve di necessit� funzionare 
anche nell'ipotesi che la controversia costitu:
i:ionale sorga a p1�oposito di una legge-provvedimento. 
D'altra parte, non pu� la Oorte Oostituzionale 
confiscare i poteri del Giudice del processo c.d. 
princ,'�pale e decidere, essa, delle quegtioni di diritto 
soggettivo, la cui soluzione in un senso determinato 
costituisce la premessa necessaria per la rilevanza 
-dice la sentenza annotata ~o per la stessa esistenza 
-oserebbe dire il commentatore -della 
questione di legittimit� costituzionale. Meno che mai, 
poi, si pu� pensare che 1tn'ipotesi da lavoro in ordine 
alla questione di fondo dibattuta nel p1�ocesso principale 
(com'� quella che si concreta nell'ordinanza di 
masmissione degli atti), per il puro e semplice fatto 
di essere stata tenuta a base di una pronuncia di 
legittimit� costituziori4le, tra.sformi la sua natura 
in quella di una certezza assiomatica: in altri termini, 
che un'ordinanza si trovi rivestita del valore 
che � proprio della sentenza passata in cosa giudicato. 

E' forza, pertanto, concludere che il carattere ipotetico 
e provvisorio dell'm�dinanza che ha introdotto 
il giudizio di legittirnit� co.~tituzionale si riverbm�a 
nella gentenza che tale giudizio conclude. 

Se le ulteriori mete che il processo principale 
verr� a raggiungere dopo la conclusi9ne dell'episodio 
di legittimit� costituzionale confermeranno l'ipotesi 
che sta a base dell'Ordinanza di trasmissione, la sentenza 
della aorte costituzionale spiegher� tutti gli 
effetti che le sono propri. Se l'ordinanza si rilever� 
frutto di un apprezzamento erroneo, e comunque 
inesitto, la sentenza costituzionaler egterit caducata. 

La Oorte costituzionale, nella pronunzia che qui 
si esamina, riconduce it fenomeno sopra descritto 
all'apprezzamento della �rilevanza� della question~ 
di legittimit� costituzionale. Si vera sunt exposita, 
la questione di legittimit� costituzionale � rilevante 
ai fini del decidere, e la pronuncia dell'Alta Sede del 
sindacato degli atti legislativi � efficace. Diversamente, 
la sentenza costituzionale rimane priva di 
efficacia. 

Orediamo che, per q1w,nto dubbi di carattere astrattamente 
teorico questa costruzione giuridica possa suscitare, 
non ci sia altra via per ricondurre la particolarit� 
in esame nelle linee generali del processo costituzionale, 
come sono tracciate dalle leggi vigenti. 

Ohe, poi, sia necessario istituire delle regole ad 
hoc per il sindacato delle leggi provvedimento, ove 
si ritenga necessario per il futuro fa1�e ancora ricorso 
a questo tipo di atti, � altro discorso, in ordine al 
quale dovrebbe regnare la concordia. 

F.A. 
CORTE COSTITUZIONALE -Ricorso per conflitti di 
attribuzione e impugnazione di leggi in via principale 
-Cessazione della materia del contendere. (Corte 
costituzionale, 14 febbraio 1962, n. 3 -Pres.: Cappi; 
Rel.: Manca). 

La cessazione della materia del contendere � 
pronunzia, che attiene all'oggetto della controversia 
e non al processo, come la rinunzia. 

La pronunzia sulla competenza presuppone la 
permanenza del contrasto e, quindi, dell'interesse 
alla pronunzia stessa, che non sussistono quando 
sia venuto meno l'oggetto della controversia. 

L'annullamento em-tunc del provvedimento, che 
ha dato origine al ricorso, travolge anche l'affermazione 
di competenza contenuta nelle sue premesse 
e fa cessare la materia del contendere. 

Prendiamo atto della decisione, che ha risolto una 
delicata questione d'ordine processuale e che, perci�, 
rappresenta un alwo punto fermo nella disciplina del 
processo costituzionale. L'affm�mazione che la pronunzia 
di cessata mate1�ia del contendere attiene al merito 
ed implica l'accertamento della cessazione del conflitto 
per riconoscimento, sia pure implicitn,. della 
incompetenza dell'ente, che ha emanato l'atto, sodd-i-sja 
pienamente l'interesse dell'ente ricorrente. 

Dato l'interesge, che presenta la questiune, riteniamo 
opp01�tuno rip01�tare integralmente la motivazione 
della sentenza. 

3 


iWfNFRfffRT iWfNFRfffRT 
-18 


1) La difesa dello Stato,. anche nell'attuale conctroversia, 
dedue che nei giudizi per conflitto di 
attribuzione non si possa dichiarare cessata la 
materia del contendere. Vi osterebbero, si assume, 
le disposizioni dell'art. 27 ultimo comma delle 
norme integrative e dell'art. 38 della legge 11 marzo 
1953, n. 87. 

Per quanto riguarda peraltro l'ultimo comma 
dell'art. 27 (relativo ai conflitti di attribuzione), 
con la sentenza di questa Corte n. 74 del 1960, si 
� gi� rilevato che la rinunzia cui esso si riferisce 
incide esclusivamente sul processo e, qualora sia 
accettata, ne produce l'estinzione, mentre la dichiarazione 
che � cessata la materia del contendere 
costituisce pronunzia attinente all'oggetto della 
controversia, e perci� non trova impedimento nella 
norma citata. 

N�, d'altra parte, la formulazione letterale di 
questa, (che riproduce quella dell'art. 25 ultima 
parte, riguardante i giudizi di legittimit� costituzionale 
proposti in via principale), in quanto non 
ammette altra causa di estinzione del processo diversa 
dalla rinunzia, contrasta con tale interpretazione, 
come insiste nel rilevare l'Avvocatura dello 
Stato. 

La norma infatti deve essere intesa come tem


peramento del divieto contenuto nel precedente 

art. 22, relativo ai giudizi di legittimit� costituzio


nale promossi in via incidentale, e che esclude, 

dato il carattere particolare di tali giudizi, pi� 

volte posto in lu�e dalla giurisprudenza di questa 

Corte, che in essi possano applicarsi gli istituti 

processuali della sospensione, della interruzione, e 

dell'estinzione, neppure quando, per qualsiasi causa, 

silli venuto a cessare il giudizio rimasto sospeso 

davanti all'autorit� giurisdizionale. Temperamento 

che si spiega e si giustifica con la considerazione 

che i giudizi di legittimit� costituzionale in via 

principale e quelli per conflitto di attribuzione, 

sono promossi soltanto su istanza degli organi 

costituzionalmente qualificati, ai quali si � coeren


temente rin:iessa la valutazione circa l'opportunit�, 

di fronte a situazioni sopravvenute, di desistere dal 

giudizio prima dell'emanazione della sentenza. 

Dal coordinamento delle ricordate norme risulta 

chiarito il significato, e ne discende la conferma 

che esse operano esclusivamente nell'ambito del 

processo. 

Nelle medesime pertanto non si pu� ricompren


dere, come si � gi� ritenuto nella sentenza sopra 

ricordata, anche la dichiarazione deila cessazione 

della. materia del dibattito la quale, a differenza 

della rinunzia al processo, importa, da parte del


l'organo giudicante, un'indagine circa il merito 

della contestazione. 

2) Neppure giova alla tesi sostenuta dalla difesa 
dello Stato, il richiamo all'art. 38 della legge del 
1953, n. 87 sopra citato. Questo stabilisce bens� 
quale debba essere la statuizione della Corte nel 
caso in cui sia chiamata a risolvere nn conflitto 
di attribuzione, disponendo che deve dichiarare a 
quale degli organi costituzionali spetti il potere in 
contestazione, con il conseguente annullamento, se 

sia stato emanato, dell'atto viziato da incompetenza. 
� palese peraltro che questa disposizione 
presuppone sussistente una situazione di contrasto, 
che la Corte costituzionale deve dirimere, ma non 
esige che, ad una siffatta statuizione, si debba, 
secondo che si assume, addivenire anche quando 
sia accertato che � venuto meno l'oggetto stesso 
della controversia, e, in conseguenza, come pure 
ha rilevato questa-Corte nella sentenza n. 7 4 del 
1960, sopra ricordata, anche l'interesse da parte del 
ricorrente ad ottenere una pronunzia sull'appartenenza 
del potere, ipotesi questa che si � appunto 

verificata nella specie. 

3) L'Avvocatura dello ::Stato obietta che, sebbene 
il decreto emesso dal Presidente della Regione 
il 20 giugno 1961, abbia eliminato l'atto (cio� i1 
precedente decreto del Presidente della Regione del 
31 maggio 1961) che aveva dato luogo al ricorso, 
non ha tuttavia espressamente riconosciuto l'incompetenza 
della Regione siciliana a provvedere 
in materia di giuoco d'azzardo. Onde, si assume, 
la permanenza dell'interesse alla risoluzione del 
conflitto, tuttora in atto, con il riconoscimento dell'esclusiva 
competenza dello Stato. 

� peraltro da rilevare che, se anche nella motivazione 
del decreto del 20 giugno 1961 si accenna 
soltanto all'opportunit� di porre nel nulla il precedente 
decreto, nel dispositivo viene precisato che 
quest'ultimo provvedimento � annullato, con effetto 
dal giorno della sua emanazione. Con quell'effetto 
cio� che � proprio dell'annullamento ew 
tumc e che, nella specie, importa una invalidazione, 
la quale investe nella totalit� il precedente provvedimento, 
comprese le premesse del medesimo, contenenti 
affermazioni circa la competenza della Regione 
in materia di giuoco d'azzardo, in contrasto 
con quanto ha gi� ritenuto questa Corte con le 
sentenze n. 58 del 26 novembre 1959 e n. 23 del 
12 maggio 1961. 

Ne deriva pertanto che, in base al decreto del 
20 giugno 1961 (non impugnato dallo Stato), � 
venuto meno l'oggetto del giudizio promosso con 
ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri~ 
e che perci�, in conformit� della richiesta della difesa 
della Regione, si deve dichiarare cessata la 
materia del contendere in relazione al decreto del 
31 maggio 1961 ora impugnato, decreto al quale 
non si � data alcuna esecuzione. 

4) Diverso da quello in esame � il caso prospettato 
dall'Avvocatura dello Stato di un ricorso� 
relativo ad un atto con efficacia immediata, o limitata 
nel tempo, e venuta a cessare nel corso del 
giudizio in questa sede. Poich�, nel caso anzidetto, 
si tratterebbe non gi� dell'annullamento dell'atto~ 
oggetto dell'impugnazione, ma di esaurimento degli 
effetti dell'atto medesimo, di guisa che resterebbe 
aperto il dibattito circa la spettanza del potere e 
permarrebbe quindi l'interesse della parte --rieor--rente 
ad ottenere la decisione di questa Corte, ai 
sensi dell'art. 38 della legge n. 87 del 1953, con 
l'eventuale annullamento dell'atto emanato, di cui 
l'effetto � cessato. 


-19 


CORTE COSTITUZIONALE -Decreti legislativi delegati 
-Legge di delega -Proroga -Approvazione 
in Commissione -Illegittimit� costituzionale. (Corte 
costituzionale, 10 aprile 1962, n. 32 -Pres.: Cappi; 
Rel.: Ambrosini). 

La legge, che, dopo la scadenza del termine 
fissato dalla legge delega, fissa un nuovo termine 
per l'esercizio, da parte del Governo, della potest� 
legislativa delegata, deve considerarsi anche 
essa legge di delegazione e deve, pertanto, essere 
sottoposta alla procedura normale di esame e di 
approvazione diretta della CJimera, ai sensi dell'art. 
72 della Costituzione. 

Con questa sentenza, di cui si riporta integralmente 
la motivazione, 7.a Corte conferma la sua precedente 
giurisprudenza sul controllo di costituzionalit� 
del procedimento di formazione delle leggi nei 
limiti fissati dalle disposizioni della Costituzione e 
delle altre leggi costituzionali (vedasi sentenza n. 9, 
del 3 marzo 1959 in questa Rassegna, 1959, p. 11). 

Le tre cause, trattate congiuntamente all'udienza, 
possono essere decise, data l'identit� dell'oggetto, 
con unica sentenza. 

Comprensiva ed assorbente, di fronte alle questioni 
di legittimit� costituzionale proposte con 
l'ordinanza del Tribunale di Belluno e con quella 
del Tribunale di Roma, � la questione proposta 
dalla Corte d'appello di Roma, che, a differenza 
delle precedenti, non riguarda articoli specifici del 
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina 
fiscale della lavorazione dei semi oleosi e 
degli oli da essi ottenuti emanato col decreto del 
Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1954, 

n. 1217, ma investe tutto il Testo unico con la 
legge del 29 ottobre 1954, n. 1073, in base alla 
quale esso Testo unico venne emanato. 
Sull'eccezione pregiudiziale, sollevata dall'Avvocatura 
dello Stato, di irrilevanza, ai fini della 
definizione del processo penale a carico dell'imputato, 
della questione di legittimit� costituzionale 
proposta dalla Corte d'appello di Roma, va ricordato 
ehe � massima costante di questa Corte, confermata 
da ultimo nella sentenza n. 78 del 22 
dicembre 1961, che il giudizio sul1a rilevanza spetta 
esclusivamente al giudice a quo, e che quindi non 
compete alla Corte se non controllare che il giudizio 
sia stato formulato e motivato. 

Ora, nell'ordinanza in esame, la rilevanza della 
proposta q.estione di legittimit� costituzionale appare 
adeguatamente valutata, non solo perch� la 
Corte d'appello ne ha indicato chiaramente i motivi, 
ma anche perch� a tale conclusione � arrivata 
accogliendo, malgrado l'opposizione del Pubblico 
Ministero, l'istanza del difensore dell'imputato, che, 
nel sollevare la questione, aveva messo espressamente 
in rilievo cc che il giudizio non pu� essere. 
definito indipendentemente dal1a risoluzione della 
questione di legittimit� costituzionale sollevata �. 

Priva di fondamento � quindi l'eccezione pregiudiziale 
del1a .Avvocatura dello Stato. 
Ugualmente infondata � l'eccezione di inammissibilit� 
che la .Avvocatura dello Stato ha pro


spettato nella difesa orale, adducendo che il Testo 
unico impugnato deve ritenersi di carattere compilatorio 
e di perfezionamento tecnico, e che perci� 
non ha il valore di atto avente forza di legge e 
conseguentemente non pu� formare oggetto di 
giudizio di legittimit� costituzionale. 

Ma � da osservare in contrario che, a parte ogni 
questione sul valore in genere dei vari tipi di testi 
unici, non vi ha dubbio che il Testo unico impugnato 
ha carattere legislativo, sia per la forma, 
perch� emanato nella forma di decreto legislativo 
in base alla delega disposta dall'art. 3 della legge 
29 ottobre 1954, n. 1073, sia per la sostanza, data 
l'ampiezza della delega in virt� della quale il Governo 
fu facultato ad emanare il Testo unico delle 
disposizioni concernenti la disciplina fiscale della 
lavorazione dei semi oleosi e degli oli da essi ottenuti, 
�apportando alle disposizioni stesse le modificazioni 
necessarie per il loro coordinamento e 
la loro migliore formulazione, nonch� per il perfezionamento 
tecnico delle misure di vigilanza e di 
controllo �. 

Nel merito, dei due motivi addotti dalla Corte 
d'appel1o di Roma per proporre la questione di 
legittimit� costituzionale del Testo unico approvato 
con decreto del Presidente della Repubblica 
del 22 dicembre 1954, n. 1217 e della legge del 29 
ottobre 1954, n. 1073, in base alla quale tale Testo 
unico fu emanato, � d'uopo esaminare in precedenza 
il motivo che investe all'origine la legittimit� 
di questa legge in riguardo al procedimento della 
sua formazione. 

La legge del 1954, n. 1073, che, dopo la scadenza 
del termine prefissato per l'emanazione del testo 
unico previsto nell'art. 3 della legge delega del 20 
dicembre 1952, n. 2385, fissa un nuovo termine 
entro il quale il Governo pu� esercitare la potest� 
delegatagli, deve considerarsi anch'essa avente il 
carattere di legge delega. Come tale, il relativo 
disegno di legge doveva essere sottoposto alla procedura 
prescritta dall'ultimo comma dell'art. 72 
della Costituzione, che per taluni disegni di legge 
di particolare importanza, tra i quali quelli di 
�delegazione legislativa�, prescrive che deve sempre 
essere adottata �la procedura normale di esame 
e di approvazione diretta della Camera �. 

Orbene, nel caso in esame, questa procedura 
non fu seguita. Infatti, come risulsa dal Bollettino 
8ommario e Bollettino delle Commissioni della Camera 
dei Deputati del 13 ottobre 1954, n. 203 
(pag. I, col. I), il suddetto disegno di legge fu approvato 
dalla IV Commissione permanente (Finanze 
e Tesoro) della Camera <<in sede legislativa �, 
cio� con la procedura abbreviata prevista dal terzo 
comma dello stesso art. 72; e ci� in contrasto con 
la norma dell'ultimo comma suindicato. 

N� varrebbe, al fine di limitare in qualche modo 
l'applicazione di questa norma, configurare vari 
tipi di delegazione legislativa, giacch� qualsiasi 
tipo rientra nella materia della delegazi6il.e, che 
senza alcuna eccezione � attribuita dall'ultimo�comma 
dell'art. 72 della Costituzione �all'esame 
ed all'approvazione diretta della Camera�. 

La legge del 29 ottobre 1954, n. 1073 � pertanto 
costituzionalmente illegittima; e conseguentemente 


-20 


illegittiino � il Testo unico del 22 dicembre 1954, 
Jl. 1217, che fu in base a questa legge emanato. 

Data la conclusione cui � pervenuta la Oorte, non 
uccorre prendere in esame l'altro motivo di illegittimit� 
costituzionale addotto nell'ordinanza della 
Oorte d'appello di Roma. 

CORTE COSTITUZIONALE -Controllo della Corte 
dei conti sugli Enti sovvenzionati dallo Stato -Na� 
tura -Enti di interesse esclusivamente locale; tale 
non � l'E.R.A.S. -Contribuzioni in via ordinaria -
Cancetto -Presidente della Repubblica -Inter� 
vento nell'attivit� amministrativa -Legittimit�. (Cor� 
te costituzionale, 19 aprile 1962, n. 35 -Pres.: Cappi; 
Rel.: Manca -Presidente della Regione Siciliana c. 

-Presidente del Consiglio dei ministri). 

Il controllo, che la Oorte dei Oonti esercita, ai 
sensi dell'art. 100 Oost. e della legge 21 marzo 1958, 

n. 259, differisce per struttura e finalit� dal controllo 
effettuato dai collegi sindacali con la partecipazione 
di un magistrato della Oorte dei Oonti. 
L'E.R.A.S., pur svolgendo la sua attivit� in 
Sicilia epur essendo soggetto a vigilanza e tutela 
degli organi regionali, non pu� qualificarsi ente 
d'interesse esclusfvamente locale ed �, pertanto, 
soggetto al controllo della Oorte dei Oonti. 

-Le sovvenzioni al patrimonio in capitale, di cui 
all'art. "121, 21 marzo 1958, n. 259, sono comprese 
nell'ambito dell'art. 100 della Costituzione (contribuzioni 
di carattere ordinario), anche se non erogate 
con le modalit� tipiche indicate nell'art. 2 
della detta legge.

� priva di fondamento la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 3 legge 21marzo1958, 

n. 259, perch� non contrasta con gli artt. 87, 92 
e 95 Oost. la norma che deferisca alla fuma del 
Oapo dello Stato provvedimenti attinenti in concreto 
all'attivit� della pubblica amministrazione. 
* * * 

1) La Oorte non ritiene fondate le argomentazioni 
addotte dalla Regione, per sostenere, sotto tre 
aspetti, l'ill�gittimit� costituzionale del decreto del 
Presidente della Repubblica in data 31 marzo 1961. 
Il decreto, come si � in precedenza accennato, ha 
sottoposto al controllo della Oorte dei Conti l'ente 
per la riforma agraria in Sicilia (E.R.A.S.), ai 
sensi dell'art. 12 della legge 21 marzo 1958, n. 259 
(gi�.ricordata), in quanto ente pubblico, al cui patrimonio 
lo Stato ha contribuito con apporto al 
capitale.

Secondo la difesa della Regione le disposizioni 
di questa legge non sarebbero applicabili nei confronti 
dell'E.R.A.S. Si tratterebbe infatti di ente 
regionale che, in base all'art. 1 della legge del 12 
maggio 1959, n. 21 (emanata dalla Regione in riferimento 
all'art. 4 lettera a e p dello Statuto speciale) 
� sottoposto alla vigilanza dell'Assessore per 
l'agricoltura e le foreste; � soggetto inoltre, per 
quanto attiene alla gestione amministrativa e finanziaria, 
al controllo del collegio sindacale, del quale, 
ai sensi dell'art. 10 della stessa legge, fa par_,e, 

come presidente, un magistrato della sezione speciale 
della Oorte dei Conti: controllo che avrebbe 
natura analoga a quello preveduto dall'art. 12 
della legge statale del 21 marzo 1958, e sarebbe 
quindi a questo sostituito. Ne deriverebbe un'invasione, 
da parte del decreto impugnato, nella 
sfera di competenza riservata agli organi locali. 

2) Ad avviso della Corte � anzitutto da escludere 
l'asserita equivalenza dei controlli rispettivamente 
preveduti dalle disposizioni delle due leggi sopraindicate. 
Fra essi infatti sussistono sostanziali differenze 
nella struttura e nella finalit�, agevolmente 
desumibili dalla legge statale del 1958 e, 
in particolare, dall'art. 12, di cui si discute nell'attuale 
controversia. Differenza per ci� che concerne 
le modalit� del controllo, poich�, secondo tale articolo, 
che riguarda gli enti pubblici con apporti 
statali al patrimonio, in capitale o servizi, ovvero 
mediante concessione di garanzia finanziaria, viene 
esercitato, oltre che con l'invio dei conti consuntivi, 
dei bilanci di esercizio e del conto dei profitti e. 
perdite, con le relazioni illustrative (art. 4 della 
legge del 1958), anche mediante l'assistenza alle 
sedute degli organi di amministrazione e di revisione, 
di un magistrato della Corte dei conti designato 
dal Presidente di questa. Controllo che ha 
carattere di continuit�, e che, restando al di fuori 
degli organi dell'ente, contrariamente a quanto 
sostiene la difesa della Regione, non pu� essere 
equiparato alla partecipazione al collegio sindacale, 
preveduta dall'art. 10 della legge regionale 
del 1959, di un magistrato della Oorte dei Conti, 
nominato, con gli altri componenti, dall'Assessore 
per l'agricoltura e le foreste; legato perci� alle deliberazioni 
della maggioranza del collegio stesso. 
Differenza che si appalesa anche pi� chiaramente 
se si ha riguardo alla :finalit� cui � diretto l'intervento 
della Corte dei Conti nel sistema della legge 
del 1958, poich� si ricollega all'interesse preminente 
dello Stato (costituzionalmente rilevante per 
l'art. 100 della Costituzione), che siano soggette a 
vigilanza le gestioni relative ai finanziamenti che 
gravano sul proprio bilancio, sottoponendole in 
definitiva al giudizio del Parlamento. Al quale 

(art. 7 della legge del 1958), la Corte dei Conti deve 

trasmettere tutti i documenti e riferire circa i risul


tati del controllo. Questo pertanto non si esaurisce 

nell'ambito della Regione, come si verifica invece, 

in base alla legge regionale del 1959, dato che l'ar


ticolo 10 dispone che il collegio sindacale ha l'ob


bligo di trasmettere trimestralmente una relazione 

sulla gestione dell'Ente all'Assessore per l'agricol


tura e le foreste. 

Dai suesposti rilievi si desume l'infondatezza 

della tesi sostenuta dalla Regione nel senso che 

il predetto art. 10 abbia assorbito e sostituito, agli 

effetti dell'art. 100 della Costituzione, le dispoPi. 

zioni della legge statale del 1958. L'incidenza delle 

quali nei confronti dell'R.R . .A.S., date le ragioni 

che le hanno determinate e lo scopo cui s�riteri� 

scono, non interferisce nella potest� normativa ed 

amministrativa riservata alla Regione, che pu� 

liberamente esercitarle nell'ambito della compe


tenza statutaria. Si deve perci� concludere che il 


-21


decreto impugnato, emanato in base all'art. 12 
della legge del 1958, sotto l'aspetto ora esaminato, 
non � viziato da illegittimit�. 

Posto ci� non appare rilevante, ai fini dell'attuale 
controversia, la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 10 della legge regionale del 1959, 
in riferimento agli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale; 
questione sollevata dall' .Avvocatura dello 
Stato esclusivamente per il caso che si ritenesse 
fondata la tesi della difesa della Regione circa la 
portata del predetto articolo. 

3) Il decreto in esame peraltro non pu� ritenersi 
illegittimo neppure per il fatto che esso riguarda un 
ente pubblico che svolge la sua attivit� nel territorio 
della Regione, ed � soggetto alla vigilanza 
ed alla tutela degli organi locali. Il che risulta dalle 
varie leggi regionali sulla riforma agraria (legge 
27dicembre1950, n. 104 e successive modificazioni) 
e specialmente da quella gi� ricordata del 12 maggio 
1959, n. 21, che ha riordinato l'ente nella 
struttura e nel funzionamento, disciplinando anche 
i compiti ad esso affidati. 

.Al riguardo � da tener presente che la legge 
statale del 21 marzo 1958, pi� volte ricordata, oltre 
alle regioni, alle provi.ricie, ai comuni, alle istituzioni 
pubbliche di beneficenza ed agli istituti di 
credito soggetti alla vigilanza dell'ispettorato, esclude 
dal controllo (art. 3 secondo comma) gli enti di 
interesse �esclusivamente locale�. Ma l'E.R..A.S. 
non pu� evidentemente-ritenersi compreso in questa 
categoria, se si considerano la vastit� dei compiti 
ad esso affidati e le finalit� sociali che vi sono inscindibilmente 
collegate. Oompiti che riguardano 
la trasformazione agraria e fondiaria, estesa a tutto 
il territorio della Regione (legge regionale del 27 
dicembre 1950, cui si richiama l'art. 2 della citat� 
legge 12 maggio 1959), le opere pubbliche (stradali, 
idrauliche e di irrigazione) necessariamente connesse, 
e altresi l'estensione ai coltivatori diretti 
dell'assistenza gi� preveduta per gli assegnatari 
dei terreni, in applicazione della riforma (art. 13 
della legge del 1959). Si tratta quindi di un complesso 
di attivit�, la cui importanza sul piano nazionale 
� confermata anche dagli ingenti finanziamenti 
da parte dello Stato conferiti, com'� notorio, 
in applicazione dell'art. 48 della legge regionale 
del 1950, che richiama quella statale del 10 aprile 
1950, n. 646, sulla istituzione della' Oassa per le 
opere straordinarie di pnbblico interesse nell'Italia 
meridionale. 

In cons,eguenza se l'attivit� dell'E.R..A.S. interessa 
direttamente la Regione, in quanto si svolge 
nel suo territorio, si � tuttavia in presenza di un 
fenomeno, come del resto non disconosce la difesa 
della Regione, che assume tale rilevanza da trascendere 
l'ambito regionale e deve essere perci� 
considerato nel quadro pi� ampio della riforma 
agraria attuata nel territorio dello Stato. La quale 
interessa indubbiamente la collettivit� per gli innegabili 
riflessi sull'economia generale e per l'incidenza 
sulla funzione s.ociale della propriet�. 

Tutto ci� da un lato esclude che l'E.R..A.S. possa 
ritenersi compreso, quanto al controllo, fra le eccezioni 
prevedute dall'art. 3, e giustifica dall'altro 

che lo svolgimento dell'attivit� dell'Ente possa essere 
assoggettato alla vigilanza dello Stato, nei 
modi e per i fini .ai quali si � accennato, qualora 
ovviamente si verifichino le altre condizioni richieste 
dall'art. 100 della Costituzione e�aa1la legg� 
del 21 marzo 1958 sopra citata. 

4) Ed al difetto appunto della condizione fondamentale 
richiesta dall'art. 100 della Costituzione 
fa riferimento la difesa della Regione per contestare, 
sotto un aspetto particolare, la legittimit� 
del decreto impugnato. In quanto cio� le contribuzioni 
di 75 milioni erogate in base al decreto 
legge del 26 febbraio 1940, n. 247, e di 120 milioni 
in base al decreto legislativo del 23 marzo 1946 

n. 234, ripartite rispettivamente in tre esercizi 
finanziari, delle quali � menzione nella memoria del1'.
Avvocatura, non si potrebbero ritenere effettuate 
-in via ordinaria -come si esige dal ricordato articolo 
100 e dalla legge del 1958 che vi ha dato 
attuazione. Con il decreto impugnato quindi il 
Governo avrebbe ecceduto i limiti dei poteri conferitigli 
dalle predette norme, adottando il provvedimento 
nei confronti di un ente regolato dalla legge 
regionale, emanata in base alla potest� normativa 
riservata alla Regione. 
Ohe, anche sotto questo aspetto, secondo l'orientamento 
di questa Corte (sentenza n. 82 del 1958 
e n. 58 del 1959) sia configurabile un conflitto 
�i attribuzione non � da dubitare. Siccome peraltro 
il decreto impugnato si fonda sull'art. 12 della 
legge del 1958, che prevede, come si � accennato, 
l'assoggettabilit� al controllo particolare da parte 
della Corte dei Conti degli enti pubblici con sovvenzioni 
al capitale, la risoluzione del conflitto 
implica necessariamente l'indagine se questa forma 
di partecipazione rientri o meno nell'ambito del 
precetto costituzionale, che non definisce quali 
siano le contribuzioni di carattere ordinario, n� 
dai lavori preparatori si desumono al riguardo apprezzabili 
elementi. � . 

La Corte ritiene che al quesito debba darsi risposta 
affermativa. � vero che, secondo la legge del 
1958, art. 2, devono essere considerate contribuzioni 
ordinarie: (lettera a), quelle assunte da una 
pubblica amministrazione o da una azienda statale, 
con carattere di periodicit�, o che da oltre due anni 
siano iscritte nei bilanci; ed inoltre (lettera b) le 
imposizioni tributarie consentite in via continuativa 
agli enti sovvenzionati o ad essi devolute. 
.A queste indicazioni peraltro non si pu� attribuire 
importanza decisiva, come deduce la difesa della 
Regione a sostegno della sua tesi. Occorre infatti 
ricordare che, nel disegno di legge (che poi divenne 
la legge del 21 marzo 1958, n. 259) presentato al 
Senato dal Presidente del Oonsiglio dei ministri, 
l'art. 2, come risulta dalla relazione, oltre ai casi 
ora menzionati, comprendeva, fra le contribuzioni 
ordinarie, (sotto la lettera b) gli apporti al patrimonio 
degli enti in capitale, servizi o beni. Queste 
ipotesi, eliminate nel testo approvato dal Senato-, -furono 
poi dalla Oamera dei Deputati inserite non 
pi� nell'art. 2, bensi nell'art. 12 del testo definitivo, 
con specifico riferimento agli enti pubblici, comprendendovi 
anche la concessione di garanzie finan



-22 


ziarie e istituendo d'altra parte quella particolare 
forma di controllo alla quale si � gi� sopra accennato. 


Il fatto peraltro che queste ipotesi siano comprese 
in un articolo diverso non autorizza a ritenere 
necessariamente, come si sostiene, che esse debbano 
essere considerate come sovvenzioni di carattere 
straordinario, le quali per se stesse ed in vista 
delle :finalit� cui sono destinate, sono effettuate 
una tantum, in via eccezionale, quando si veri:fiehino 
circostanze eccezionali e del tutto contingenti, 
ed alla gestione dell� quali lo Stato non ricollega 
interessi pubblici di tale rilievo da sottoporla 
a particolare vigilanza. 

A questo tipo di sovvenzioni non possono equipararsi 
gli apporti al capitale, ora in discussione. 
Occorre considerare infatti che essi importano una 
partecipazione totale, o anche parziale, dello Stato, 
di solito con somme ingenti, alla formazione del 
fondo di dotazione, cui � inscindibilmente collegato, 
lo svolgimento della attivit� dell'ente sovvenzionato, 
per il conseguimento dei fini istituzionali 
di interesse generale che gli sono propri. 
Finalit� che costituiscono la ragione determinante 
della partecipazione statale, i cui effetti, destinati 
a perdurare nel tempo, giustificano l'intervento da 
parte dello Stato, con un controllo continuo, anche 
di carattere politico, sulla gestione dei fondi stanziati 
nel proprio bilancio. 

Non si pu� quindi fondatamente disconoscere 
che le sovvenzionLal patrimonio in capitale, menzionate 
nell'art. 12 della legge statale del 1958, 
anche se non erogate secondo le modalit� tipiche 
indicate nell'art. 2 della detta legge, tuttavia, data 
la loro portata sostanziale cui si � accennato, la 
incidenza e le ripercussioni nella vita stessa dell'ente, 
non possono non ritenersi comprese nell'ambito 
dell'art. 100 della Costituzione, in relazione 
agli interessi costituzionalmente rilevanti che la 
disposizione ha inteso tutelare. 

Non ha poi rilievo l'obiezione della difesa regionale 
che comunque le sovvenzioni prevedute dal 
decreto legge del 1940 e dal decreto legislativo del 
1946, sarebbero state erogate prima della istituzione 
della Regione e a favore dell'ente di colonizzazione 
del latifondo siciliano. 

Sul primo punto � infatti da osservare che, ai 
fini dell'assoggettamento al controllo della Corte 
dei Conti preveduto dalla legge del 1958, occorre 
fare riferimento all'origine della contribuzione :finanziaria, 
in quanto cio� risulti, come nella specie, 
costituita con fondi stanziati nel bilancio dello 
Stato: origine cl;J.e, per se stessa e, in mancanza di 
disposizione in contrario, non viene meno anche 
se l'ente menzionato sia poi passato sotto la vigilanza 
e il controllo della Regione. 

Quanto al secondo punto � da tenere presente 

che, in base all'art. 2 della legge regionale del 27 

dicembre 1950, n. 104, la riforma agraria � stata 

affidata all'ente di colonizzazione anzidetto che ha 

assunto, come espressamente risulta dalla norma, 

la denominazione di Ente per la riforma agraria 

in Sicilia, al cui riordinamento si doveva procedere 

con ulteriori provvedimenti regionali. Nulla risulta 

che sia stato modificato per� quanto agli apporti 

al capitale, ai quali anche faceva riferimento l'articolo 
8 del decreto legislativo del Presidente della 
Regione 15 giugno 1949, n. 15 relativo all'ordinamento 
dell'Ente con riferimento al decreto legge 
del 26 febbraio 1940, Ii. 247. 

5) � pure infondato il terzo aspetto con cui � 
prospettata dalla Regione la illegittimit� del decreto 
impugnato . 

.A parte il fatto che nessuna invasione della 
competenza regionale pu� ovviamente ravvisarsi 
nell'intervento del Ministro per il tesoro, sul quale 
punto non insiste neppure la difesa della Regione, 
nessuna interferenza nella competenza stessa � 
riscontrabile, ad avviso della Corte, in relazione 
all'intervento del Ministro per l'agricoltura. � 
vero che, in base al decreto legislativo del 7 maggio 
1948, n. 789, le attribuzioni del Ministero della 
agricoltura, nel territorio della Sicilia, sono esercitate 
dall'amministrazione regionale. Ma � da 
obiettare che, nel caso in esame, come si � in precedenza 
chiarito, il decreto impugnato ha per oggetto 
una materia che trascende l'ambito L'ella 
competenza riservata alla R.egione, in quanto si 
riferisce alla possibilit� di assoggettare al controllo 
speciale della Corte dei Oonti, e in definitiva al 
Parlamento, la gestione di un ente nella quale � 
direttamente interessato lo Stato, in dipendenza 
della partecipazione :finanziaria alla formazione del 
capitale. L'intervento quindi del Ministro per l'agricoltura 
nell'emanazione del decreto impugnato, 
rientra nel quadro dell'interesse generale da valutarsi 
sul piano nazionale e non viola pertanto le 
anzidette norme di attuazione. 

6) La Corte ritiene infine priva di fondamento 
la questione di legittimit� costituzionale dedotta 
in subordine dalla ricorrente, in relazione, come 
si � accennato, all'art. 3, primo comma della ricordata 
legge del 21 marzo 1958, n. 259 e in riferimento 
agli artt. 86, 87, 88, 89, 90 e 91 della Costituzione, 
in quanto il predetto art. 3 richiede l'emanazione 
di un decreto del Presidente della Repubblica 
per assoggettare gli enti al particolare controllo 
preveduto dalla legge del 1958. 

� vero infatti che, ai sensi dell'art. 92 della Costituzione, 
concernente la composizione del Governo, 
e dell'art. 95, che precisa le funzioni del Presidente 
del Consiglio dei ministri, relativamente 
all'attivit� governativa e di amministrazione, non 
pu� ritenersi riconosciuto al Capo dello Stato quel 
complesso di poteri gi� spettanti, secondo la precedente 
legislazione statutaria. Onde si ritiene 
generalmente che, alla stregua delle accennate 
disposizioni, il Presidente della Repubblica, non 
pu� essere considerato come organo di Governo, 
n� come organo della pubblica amministrazione, 
anche se l'art. 87 della Oostituzione gli deferisce 
particolari attribuzioni riferentisi all'una e all'altra 
funzione. � da tenere presente tutta:via che, per 
quanto attiene alla funzione amministrativa--; se� -condo 
una prassi seguita sin dall'entrata in vigore 
della Costituzione, molte leggi deferiscono alla 
firma del Capo dello Stato, non soltanto i regolamenti, 
cio� gli atti di normazione generale ammi



--
-
23 


nistrativa, dei quali � espressa menzione nell'articolo 
87, ma anche provvedimenti attinenti in 
concreto alla attivit� della pubblica amministrazione. 
Ci� nei casi di maggior rilievo, nei quali 
l'intervento del Capo dello Stato appare giustificato, 
e dato che non � richiesto come partecipazione 
determinante all'emanazione dell'atto. 

Ne deriva che la disposizione impugnata, contenuta 
in una legge che concerne una categoria 
limitata di provvedimenti, indubbiamente con riflessi 
di carattere politico, in quanto riguardano 
anche l'attivit� di controllo deferita al Parlamento, 
non pu� ritenersi in contrasto con gli articoli della 
Costituzione sopra citati, ai quali occorre riferirsi, 
poich� gli altri articoli ricordati dalla difesa della 
ricorrente non hanno alcuna attinenza col caso 
in esame. 

* * * 

Le questioni decise dalla surriportata sentenza 
sono di eccezionale interesse, che trascende it caso di 
specie, per cui riteniamo opportuno riportare integralmente, 
oltre che la motivazione della sentenza, 
la memoria dell'Avvocatura, segnalando non solo 
l'ampia definizione di contribuzione in via ordinaria, 
quanto la soluzione data dalla Oo'fte alla questione 
della partecipazione del Presidente della Repubblica 
all'attivit� amministrativa fuori delle ipotesi espressamente 
p1 eviste dall'art. 87. 

In proposito la Oorte non ha aderito alla tesi 
sostenuta dall'Avvocatura, ma, decidendo limitatamente 
al caso di specie, ha escluso l'illegittimit� 
costituzionale della norma ponendo in rilievo, fra 
l'altro, che si trattava di partecipazione non determinante. 


1) L'art. 100 della Costituzione dispone, fra 
l'altro, che la Corte dei Conti partecipa, nei casi 
e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo 
sulla gestione finanziaria degli enti, a cui lo Stato 
contribuisce in via ordinaria, e riferisce direttamente 
alle Camere sul risultato del riscontro ese


guito. 

La norma non � del tutto nuova nel nostro ordi


namento giuridico. Infatti gi� l'art. 15 della legge 

19 gennaio 1939, n. 129 istitutiva della Camera dei 

fasci e delle corporazioni, disponeva che i progetti 

di bilancio e i rendiconti consuntivi degli enti 

amministrativi di qualsiasi natura, d'importanza 

nazionale, sovvenuti direttamente o indirettamente 

dal bilancio dello Stato fossero discussi e votati 

dal Parl�i,mento in Assemblea plenaria. 

In attuazione del citato art. 15, com'� noto, il 

r.d. 8 aprile 1939, n. 720, modificato all'art. 2 
con il regio decreto 30 marzo 1942, n. 442, cosi 
regolava le modalit� per l'accertamento delle suddette 
condizioni e per l'espletamento del controllo: 
il Ministro delle Finanze accertava le condizioni 
per l'applicabilit� dell'art. 15 e trasmetteva l'elen-
00 degli. enti alla Presidenza del Consiglio, che lo 
-0omunicava ai Presidenti delle Assemblee legislative; 
gli enti trasmettevano al Ministro per le 
finanze conti consuntivi e bilanci, che venivano 
poi rimessi alla Corte dei Conti; lo stesso Ministro 
per le finanze, infine, presentava al Parlamento 

i conti consuntivi ed i bilanci insieme con la deliberazione 
e relazione della Corte d�i Conti. 

Gli enti pubblici, d'importanza nazionale, sovvenuti
� direttamente o indirettamente dal bilancio 
dello Stato, erano, dunqu�, � gi� nel �precedente 
ordinamento sottoposti al controllo della Corte dei 
Conti e del Parlamento. 

L'art. 100 della Costituzione ha, quindi, attribuito 
efficacia costituzionale a questo principio, 
che, d'altronde, risponde ad innegabili esigenze 
politico-finanziarie. Quando lo Stato contribuisce 
in via ordinaria, con contributi periodici o apporti 
in capitale, alla vita di un Ente, la gestione finanziaria 
di questo interessa il bilancio dello Stato ~d 
�, quindi, logico che sia sottoposta al controllo 
del Parlamento alla pari del bilancio statale. � 
d'altra parte, innegabile l'esigenza politica che il 
Parlamento sappia se le somme erogate dallo 
Stato abbiano raggiunto il fine, che con l'erogazione 
ci si proponeva. 

La legge 21 marzo 1958, n. 259 ha dato attuazione 
alla norma costituzionale, definendo, all'art. 1, il 
concetto di <<ente cui lo Stato contribuisce in via 
ordinaria �, disponendo, all'art. 3, che tale natura 
deve essere dichiarata con decreto del Presidente 
della Repubblica, su proposta del Presidente del 
Consiglio di concerto con il Ministro del Tesoro 
e con il Ministro competente, dettando, infine, 
agli artt. 5, 6, 7 e 12 le modalit� del controllo 
per gli enti, che ricevono contributi periodici o 
che sono autorizzati ad imporre i tributi, e per quelli, 
cui lo Stato partecipa con apporto al patrimonio 
in capitale, servizi, beni o concessioni di garanzia 
finanziaria (sulla natura del controllo della Corte 
dei Conti sugli enti sovvenzionati vedasi, fra gli 
altri, FRANCHINI: N at;ura e limiti del controllo del 
Parlamento e della Oorte dei conti sugli enti sovvenzionati 
dallo Stato; MoLTENI, in �Rass. dir. pubbl. �, 
1957, 86; PAONE, in (( Riv. Trim. dir. pubbl. �, 
1960, 142). 

2) Nelle deduzioni accennammo ad una questione 

di particolare rilievo, la risoluzione della quale, 

per�, non incide direttamente sul presente ricorso. 

L'art. 100 della Costituzione, a nostro avviso, 

riguarda non solo gli enti sovvenzionati dallo Stato; 

ma anche quelli, cui la Regione siciliana contribui


sce in via ordinaria, come pu� argomentarsi dagli 

artt. 23 S.S. Sic e 2 decreto legge 6 maggio '48, 

n. 655 (per la Sardegna ed il Trentino-Alto Adige, 
la cui posizione, peraltro � diversa dalla Sicilia 
vendansi rispettivamente gli artt. 22 e 26 decreto 
presidenziale 19 maggio 1949, n. 250 e gli artt. 74 
e 81 decreto presidenziale 30 giugno 1951, numero 
574). 
La pienezza di attrib�zioni, che la Corte dei conti 
esercita sugli atti della Regione siciliana, ed i poteri, 
che, nel caso di rifiuto di registrazione, la 
legge attribuisce agli Assessori ed al Governo regionale, 
infatti, inducono a ritenere che anehe per gli 
enti sovvenzionati dalla Regione siciliana debba attuarsi 
il controllo della Corte dei Conti, ai sensi 
dell'art. 100 Oost. 

Naturalmente, in relazione a quanto � disposto 
dall'art. 6 decreto legislativo 6 maggio 1948, nu



PfWi I PfWi I 
-24 


mero 655, la Oorte dei Oonti comunicher� l'esito 
del Oontrollo all'Assemblea regionale invece che al 
Parlamento. 

La quessione, come si diceva, non interessa, per�, 
il presente ricorso; la legge 21 marzo 1958, n. 259, 
infatti, ha inteso regolare solo il controllo della 
Oorte dei conti (e del Parlamento) sugli enti sovvenzionati 
dallo Stato ed il decreto presidenziale 
30 marzo 1961, che ha dato origine al ricorso ha 
incluso l'Ente per la riforma agraria in Sicilia 
(E.R.A.S.) in quest'ultima categoria. 

D'altra parte la Regione non pone n� potrebbe 
porre in dubbio che l'E.R.A.S. debba qualificarsi 
ente sovvenzionato dallo Stato. Basterebbe in 
proposito ricordare che lo Stato ha partecipato al 
capitale dell'Ente con un apporto di 75 milioni nel 
1940, elevato, con il d.1.1. 23 marzo 1946, n. 234 
a 120 milioni. 

Questa circostanza e l'importanza nazionale della 
riforma agraria, anche in Sicilia, come, peraltro, 
si argomenta dall'art. 14 p.p. S.S. Sic., sono state 
tenute sempre presenti dalla Regione, la quale, nel 
disciplinare recentemente l'ordinamento dell'ente 
ed il controllo -amministrativo,. ordinario sui 
suoi atti ha inserito nel collegio sindacale due 
rappresentanti dell'amministrazione statale, uno 
per il Ministero del Tesoro e l'altro per quello dell'agricoltura 
e delle foreste. 

3) Questa premessa, peraltro, non contestata ci 
consente di confutare brevemente le argomentazioni 
della ricorrente Regione, la quale lamenta l'invasione 
della sfera di sua competenza, quale risulta 
dall'art. 14, lettera a), e) e p) S.S. Sic. Queste disposizioni 
statutarie, in relazione al successivo art. 20, 
infatti, attribuiscono alla Regione siciliana competenza, 
legislativa ed amministrativa, in materia 
di agricoltura e foreste, di produzione agricola 
e di ordinamento degli enti regionali; ma nulla 
hanno a che vedere con le funzioni di controllo della 
Corte dei conti e, tanto meno, sul controllo dei 
fondi erogati dallo Stato. 

A prescindere dalla considerazione che l'E.R.A.S., 
per quanto attiene alla riforma agraria, non pu� 
considerarsi ente regionale (perch� la sua attivit� 
non si esaurisce in Sicilia e, soprattutto, non si 
esaurisce nel campo dell'agricoltura, essendo evidenti 
ed innegabili gli scopi politici e sociali della 
riforma agraria in Italia) il controllo della Corte dei 
conti e del Parlamento sui suoi atti non rientra 
nella materia dell'agricoltura n� in quella dell'ordinamento 
dell'ente. 

Questo ha riguardo alla struttura dell'ente, alla 
suaorganizzazione, alle sue funzioni ed al suo inquadramento 
nella P.A. (controlli ordinari); non alla 
funzione della Corte dei Conti e, tanto meno, ai 
poteri di controllo spettanti al Parlamento dello 
Stato, che ha partecipato al suo capitale. 

� di tutta evidenza che quest'ultima � materia 
riservata alla esclusiva competenza dello Stato, di 
cui la Oorte dei Conti � organo. 

D'altra parte, il controllo della Corte dei Conti 
e del Parlamento � di natura pi� politica, che 
amministrativa. Come, infatti, ritiene la preva.
1.ente dottrina, la Corte svolge attivit� prevalente


mente informativa e di documentazione al Parlamento; 
la negata approvazione di un bilancio non 
ha effetti giuridici, non arresta, cio�, la vita dello 
ente, n� influisce direttamente . sulla legittimit� 
del suo operato. Essa ha effetti prevalentemente 
etico -politici e pone in grado il Parlamento di 
adottare i provvedimenti, che ritenga opportuni 
per garantire, con il denaro dello Stato, il raggiungimento 
dei fini, in vista dei quali, appunto, la 
erogazione fu disposta. 

Per le stesse ragioni non pu� parlarsi di cc assorbimento, 
sostituzione o abrogazione� per la Sicilia 
della legge 21 marzo 1958, n. 259 a seguito della 
emanazione della legge regionale 12 maggio 1959, 

n. 21. 
Questa riguarda l'ordinamento dell'ente; quella 
il controllo della Corte dei Oonti e del Parlamento 
sulla sua gestione finanziaria, ai sensi dell'articolo 
100 Cost. 

Se poi volesse ritenersi che l'art. 10 della citata 
legge regionale, disponendo che un magistrato della 
Corte dei Conti presiede il Collegio sindacale dell'Ente, 
abbia inteso attuare l'art. 100 Oost. e sostituire, 
nei riguardi dell'E.R.A.S., le norme contenute 
nella legge 21 marzo 1958, n. 259, non potrebbe 
dubitarsi della sua illegittimit� costituzionale, avendo 
esorbitato dai limiti della competenza della 
Regione, la quale, come, peraltro, la Corte ha gi� 
avuto occasione di affermare, non pu� svolgere 
alcuna attivit�, n� legislativa n� amministrativa, 
in merito alle funzioni della Oorte dei conti. 

Quantenus opus, quindi, solleviamo, in via naturalmente 
subordinata, la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 10 legge reg. sic. 12 maggio 
1959, n. 21 per violazione degli artt. 14 e 17 S.S. 
Sic. nonch� dell'art. 100 Cost. 

5) N� maggior fondamento hanno le censure dedotte 
sub. II, 1) e 2). Il decreto presidenziale di 
designazione degli enti sottoposti al controllo della 
Oorte dei Conti e del Parlamento attiene a materia 
di esclusiva competenza statale, anche se l'ente 
svolga la sua attivit� o abbia la sua sede in Sicilia. 
Esso, comunque, non pote-va essere emanato che 
su proposta del ministro del tesoro e del ministro 
competente per materia, nell'ordinamento statale, 
naturalmente, non regionale. D'altra parte, dalla 
Amministrazione regionale sono esercitate le attribuzioni 
del Ministro dell'agricoltura e delle foreste 
nel territorio della Regione e l'emanazione di un 
decreto presidenziale, con cui s'identificano gli 
enti, ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria, 
non � attivit� che si svolga nel territorio della 
Regione. 

La competenza del Ministro per il tesoro �, poi, 
innegabile ove si ponga mente at fatto che trattasi 
di controllo sulla gestione di enti sovvenzionati 
dallo Stato e diretto, appunto, ad accertare l'impiego 
delle erogazioni fatte dal predetto Ministero 
del Tesoro. 

La diversit� fra l'art. 12 legge 21 marzo 1958, 


n. 259 e l'art. 10 legge reg. sic. 12 maggio 1959, 
n. 21, �, poi, evidente. Il primo dispone che un 
magistrato della Corte assista alle sedute degli 
organi di amministrazione e di controllo dell'ente, 

-25


�ts�nza faro parte; il secondo chiama il� magistrato 
tlella Oorte a presiedere il Oollegio siridacale. Nel 
l>riino caso, e ci� ha maggior rilievo, i risultati del 
-controllo-sono riferiti, tramite il Presidente della 
(lorte, al Parlamento; nel secondo, invece, si �sau-
Tiscono nell'ambito dell'ente. � 
L'identit� .sostanziale delle norme, comunque, 
mai escluderebbe l'incompetenza della Regione e, 
quindi, la illegittimit� costituzionale della disposizione 
di legge regionale. 

" 

6) In ordine alla questione di legittimit� clilstituzionale 
dell'art. 3 legge 21 marzo 1958, n. 259, 
t!olleva,ta in via incidentale dalla Regione, non 
possiamo che ripetere quanto avemmo occasione 
�di scrivere nelle deduzioni dell'll settembre 1961, 
non mancando, per�, di rilevare come la Oorte si 
:aia gi� occupata, sia pure in via incidentale, della 
-questione a; proposito del potere generale di annullamento. 
Anzi, nelle varie sentenze sull'argomento 
"(24 d�l 1957, 23 e 58 del 1959, 73 del 1960) la O�rte 
pose in rilievo, per negare che si fosse verificato il 
trasferimento dell'attribuzione dallo Stato alla 
Regione, proprio l'intervento del Oapo dello Stato, 
-0he non � previsto espressamente dall'art. 87 Oost. 

La questione -si � gi� detto -� del tutto irriievante 
potendo e dovendo il sollevato conflitto di 
:attribuzione essere risolto alla stregua degli arti-
coli 100 Oost., 14 e 17 S.S. Sic., ed � manifestamente 
infondata. 

Nessuna norma costituzionale, peraltro, vieta che 
la legge ordinaria attribuisca al Presidente della 
Repubblica il potere di intervenire, nella esplica:
zione dell'attivit� amministrativa, in ipotesi diverse 
-da quelle indicate nell'art. 87 Oost. e ci� a pre;
acindere dalla considerazione che l'art. 3 legge 
:21 marzo 1958, n. 259 riguarda l'esercizio di atti-
vit� regolamentare, di esecuzione. 

Su questo punto la dottrina � concorde, pur 
.considerando diversamente i poteri del Oapo dello 
Stato. 

Il SANDULLI (Il Presidente della Repubblica e la 
.funzione Amministrativa in cc Riv. .A.mm.�, 1950, I, 
149 e in part. 162), dopo aver constatato che il 
Presidente partecipa sia pure in modo non uniforme 
e spesso in ruolo di per s� non efficiente, 
:all'azione di tutti i Poteri dello Stato e avere escluso 
�che il Presidente possa essere considerato Oapo 
.del Potere esecutivo, espressamente afferma: � Oi� 
non toglie tuttavia che la competenza del Presi-
dente in ordine alla funzione amministrativa � 
�Certament� pi� estesa di quella prevista dall'arti
�colo �37 Oost. A tale norma, infatti, non va sotto 
. questo profilo, riconosciuto altro valore se non 
.quello di aver coperto di garanzia costituzionale 
.alcune delle competenze presidenziali. 

�Nulla vieta che la legislazione ordinaria preveda 
.altri casi di partecipazione del Presidente alla funzione 
amministrativa, n� una legge di tal genere 
potrebbe configurarsi in contrasto con l'art. 95 
<()ost. �. 

Negli stessi sensi si esprime il MARCHI, (Il Capo 
�dello Stato, in <e Oomm. Oost. it. �, Firenze 1950), 
il quale, pur dando atto che il Presidente non � 

riconosciuto come Oapo-�del Potere esecuti'vo1-_pe;i:o 

quanto sia innegabilmente posto al vertice di esso, 

le� cui pi� importanti competenze si esplicano� me


diante il suo intervento cos� da lasciare davverp il 

dubbio se l'organo �governo it non comprenda in. 

s� an�he il Capo dello Stato (artt. 71, 76 e. 78) �, 

afferma che�� A lui compete l'esercizio, col con.~ 

corso �dei Ministri o del Ministro responsabile, di 

tutte quelle pi� importanti funzioni, che dalle 

diverse leggi sono affidate con termine generico al 

Governo�. 

Non avrebbe senso, altrimenti, l'art. 89 Oost. che 

parla di responsabilit� dei Ministri proponenti e 

che contrappone gli atti che hanno valore legisla


tivo a quelli di altra natura e per i quali la legge 

ordinaria pu� prescrivere la contr�firma del Presi� 

dente del Oonsiglio. 

Il SICA (La controfirma, Napoli, 1953, p. 183), 
a sua volta, ritiene che non solo sussiste una relazione 
tra Presidente della Repubblica e Pubblica 
Amministrazione, ma �crede di potere affermare 
che il Presidente della Repubblica, come Capo dello 
Stato � Oapo della Pubblica Amministrazione. Si 
noti, altrimenti la definizione del Oapo dello Stato 
non �vrebbe alcun valore�. 

Perci� l'A. ritiene corretto il riferimento al Oapo 
dello Stato di alcuni poteri attribuiti al Re nel precedente 
Ordinamento, quali lo scioglimento dei 
Oonsigli Oomunali, la rimozione dei sindaci, la 
potest� di annullamento degli atti illegittimi, ecc. 

Pienamente legittimo, quindi, � l'art. 12 legge 
21 marzo 1958, n. 259, il quale dispone che con 
decreto presidenziale sia data attuazione alla legge, 
accertandosi, con effetto costitutivo, la natura di 
ente interessante la finanza statale. 

CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione 
-Competenza in materia di tutela del paesaggio Limiti 
strade militari. (Corte costituzionale, 19 aprile 
1962, n. 37 -Pres.: e Rel.: Ambrosini: -Regione 
Trentino Alto Adige c. Presidente del Consiglio). 


La competenza della Provincia in materia di tutela 
del paesaggio deve essere esercitata nei limiti 
dell'art. 4 S.S.T.A . .A., fra i qu.ali l'unit� e l'indivisibilit� 
della Repubblica e la prevalenza dell'interesse 
della difesa nazionale su quella alla tutela del 
paesaggio. 

Le strade che l'autorit� militare costruisce a 
scopo militare e qualifica militari rientrano ;fra le 
�opere destinate alla difesa nazionale )). 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza. 


Sostiene la Regione che, spettando in vfyt~ dello 
art. 11 n. 7 dello Statuto speciale del Trentino.,_ 
Alto Adige alla Provincia di Bolzano la potest� 
di emanare norme legislative in materia di tutela 
del paesaggio, e che avendo la Provincia legiferato 
in materia con la legge del 24 luglio 1957, n. 8, 


-26


l'autorit� militare non avrebbe potuto procedere 
alla costruzione della strada in questione sull'Alpe 
di Siusi senza �il concerto � con la Giunta provin. 
ciale richiesto dall'art. 17 della citata legge provinciale 
che dispone: �I provvedimenti relativi 
ad opere pubbliche e ad opere dichiarate di pubblica 
utilit�, dello Stato e della Regione, saranno 
adottati di concerto con le Amministrazioni inte


ressate)). 

L'assunto della Regione � infondato. 

L'art. 11 n. 7 dello Statuto attribuisce bcnsi 

alla Provincia di Bolzano, come a quella di Trento, 

la potesj;� di emanare norme legislative in materia 

di tutela del paesaggio; senonch� tale potest� non 

� illimitata, essendo sottoposta ai limiti prescritti 

in generale dal disposto del precedente art. 4, 

per il quale la legislazione regionale ed anche, in 

virt� del richiamo fattone dall'art. 11, quella pro


vinciale devono essere �in armonia con la Costi


tuzione ed ' i principi dell'ordinamento giuridico 

dello Stato �. 

Orbene tra tali limiti � qui da ricordare quello 

discendente dal sistema dell'unit� e indivisibilit�. 

della Repubblica affermato dall'art. 5 della Costi


tuzione,. e dalla necessit� fondamentale e suprema 

attinente all'esistenza e difesa. dello Stato, che sta 

a base della solenne proclamazione dell'art. 52: 

�La difesa della Patria � sacro dovere del citta


dino�. 

� evidente che l'intesesse alla tutela del pae


saggio deve essere subordinato all'esigenza ben 

maggiore della difesa nazionale. 

Si tratta di una esigenza primordiale che lo� 
stesso Consiglio della Provincia di Bolzano � esplicitamente 
ha riconosciuto disponendo nell'ultimocomma 
dell'art. 11 della legge provinciale del 24luglio 
1957, n. 8: �Le .disposizioni. del presente� 
articolo non si applicano alle aree dei comuni disciplinate 
da un piano regolatore approvate con leggeprovinciale, 
n� alle opere destinate alla difesa. 
nazionale �. 

La Regione per� sostiene che questa norma non. 
� applicabile al caso in esame, perch� le strade 
militari in generale, anche se considerate come 
facenti parte del demanio militare, non costituiscono 
opere destinate alla difesa nazionale, salvoquelle 
che a tale scopo sono destinate direttamenteed 
immediatamente, come nel caso che conducanoad 
opere fortificate. 

Ma � da osservare in contrario che le strade che 
l'autorit� militare competente costruisce, con potere 
di sua natura discrezionale, a scopo militare� 
e che qualifica militari, debbono considerarsi rientranti 
nella categoria delle �opere destinate alla. 
difesa . nazionale �, per le quali l'ultimo comma 
dell'art. 11 della succitata legge provinciale esclude� 
l'applicazione delle norme dei precedenti comma. 

Per ci� stesso � da escludere che possa trovare 
applicazione il disposto dell'art. 17 della legge 
provinciale n. 8 del 1957, che la Regione invoca 
per sostenere che per la costruzione della strada. 
militare sull'Alpe di Siusi l'auto!'it� militare doveva 
procedere � di concerto � con la Giunta provinciale 
di Bolzano. 

CORTE DI CASSAZIONE 


CITTADINANZA -Cittadini italiani libici residenti 
in Italia -Mancato acquisto della cittadinanza libica 
-Rimangono cittadini italiani -Art. 3 della Costituzione 
-Abrogazione delle limitazioni al loro status. 
(Corte di cassazione, Sentenza, n. 191/61, Sezione I P1
�es.: Celentano; Est.: Bianchi D'Espinosa; P.M'.: 
Tavolaro (diff.) -Ministero Inberni c. Rascid Kernali). 


� principio generale nel nostro ordinamento giuridico 
che un cittadino italiano non possa essere 
privato dello status civitatis ed essere ridotto alla 
condizione di apolide senza una espressa disposizione 
di legge; pertanto, in mancanza di una tale 
norma, deve ritenersi che i cittadini italiani libici, 
i quali dovevano considerarsi veri e propri cittadini 
italiani, sia pure con particolari limitazioni 
dei diritti politici, ove non siano divenuti cittadini 
libici al momento della costituzione del Regno 
unito di Libia (7 ottobre 1951) in virt� della legge 
di questo Stato pubblicata il 25 aprile 1954, per 
essere residenti in Italia, sono rimasti cittadini 
italiani e, per effetto dell'avvenuta abrogazione, 

"'�=~===::w.=m~=-==-~=>!Om:=:tm~.=""""'"""":O?.""=""~""~""==""'"==�===-~=-,==w.:w.:z:w===~~~..w~============ 

ad opera dell'art. 3 della Costituzione, di tutte le 
limitazioni inerenti alla qualifica di libici, sonodivenuti 
cittadini optimo iure. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: 


La questione, sottoposta per la prima volta all<> 
esame di questa Corte suprema, consiste nell<> 
stabilire quale sia, a seguito della legge che ha date> 
esecuzione al trattato di pace, lo 8tatus civitatisdi 
quei �cittadini italiani libici � che per avere 
il loro domicilio nel territorio nazionale e non 
in Libia all'epoca della costituzione del Regno� 
Unito di IJibia (7 ottobre 1951) non hanno acquistato 
ai sensi delle leggi emanate in detto Regno. 
la cittadinanza libica. ' 

Non essendovi alcuna norma legislativa che 
espr~s~amente regoli la situazione di . detti soggetti, 
m astratto potrebbero prospettarsi tre-solu-zioni: 
che essi debbano considerarsi apolidi (tes� 
sostenuta dall'Amministrazione ricorrente)� o cittadini 
italiani optimo iure; ovvero tuttora' cc citta



-27


clini italiani libic.i � (tesi queste ultime due, sostenute 
subordinatamente l'una all'altra dal resistente 
Rascid Kemali). La decisione della corte di .Appello 
di Napoli, che ha ritenuto il Kemali cittadino 
italiano, � in effetti esatta, e la sentenza impugnata 
deve essere quindi tenuta ferma, anche se con 
qualche integra;zione e chiarimento nella motivazione. 


La Oorte di merito, infatti, ha ritenuto che la 
soluzione del problema consistesse nell'interpretare 
l'art. 19 del tratt�to di pace sottoscritto il 10 
gennaio 1947 (reso esecutivo in Italia con decreto 
legge 28 novembre 194 7, n. 1430) che disciplina 
appunto la nazionalit� e il cambio di cittadinanza 
dei cittadini italiani a seguito dei mutamenti territoriali 
imposti dal trattato e che stabilisce che 
i cittadini domiciliati il 10 giugno 1940 nei territori 
ceduti dall'Italia, nonch� i loro figli nati dopo la 
detta data, diventeranno cittadini dello Stato cessionario, 
con il conseguente obbligo di detto Stato 
di emanare apposite leggi al fine di regolare la situazione 
dei soggetti interessati (n. I) e con l'ulteriore 
obbligo di consentire che i cittadini italiani che 
si trovino in dette condizioni, e la cui lingua usuale 
� l'italiano, possano optare entro un anno per la 
cittadinanza italiana (n. 2). La Oorte ba ritenuto 
applicabile la norma in questione anche ai cittadini 
italiani libici ed anche con riferimento alle 
colonie alle quali l'Italia dichiar� di rinun.7iare 
(art. 23 del Trattato di pace). 

A questo secondo pu:nto ha riferimento il primo 
motivo del ricorso dell'Amministrazione dell'Interno: 
con il quale si afferma che le disposizioni 
dell'art. 19 sono applicabili solo ai territori ceduti 
<e dall'Italia ad un altro Stato � non alle colonie, 
alle quali l'Italia ebbe a rinunziare ma la cui sorte 
rimase per il momento incerta, e che non furono 
con il trattato cedute ad altro Stato (n� poteva, 
per la Libia parlarsi di cessione, non essendo ancora 
esistente nel 1947 il Regno Unito di Libia, 
creato solo nel 1951). 

Questa Oorte suprema gi� altre volte (sentenze 
26 agosto 1950, n. 2543, e proprio per la. Libia; 
17 febbraio 1951, n. 399) ha avuto occasione di 
riconoscere che a differenza che per i territori ceduti 
a.Ila Francia, alla Repubblica Federale Popolare 
di Iugoslavia, ed alla Grecia (art. 6, 11 e 14 
del trattato), l'Italia dichiar� soltanto per le colonie 
in Africa di rinunciare << a ogni diritto e titolo 
ii rimanendo nel trattato incerta la sorte definitiva 
di quei territori (art. 23) e che perci�, per le 
dette colonie non pu� parlarsi di una vera e propria 
cessione ad un soggetto determinato, ma solo 
di una rinunzia unilaterale (derelictio), salva l'attribuzione 
alle Quattro potenze associate, e poi alla 
.Assemblea dell'O.N.U. del potere di determinare 
successivamente il soggetto cui sarebbe spettata 
in definitiva la sovranit� nei diversi territori in 
questione. Pu� quindi ammettersi che nel disciplinare 
la nazionalit� dei cittadini residenti nei 
territori �ceduti ii le Alte parti contraenti (e, di 
conseguenza, il legislatore italiano con la legge che 
rese esecutivo il Trattato) abbiano inteso regola.re 
soltanto i rapporti relativi ai territori direttamente 
ceduti ad altri Stati, e di cui agli artt. 6, 11 e 

14, nell'evidente presupposto che la sorte degli 
abitanti delle ex colonie africane sarebbe stata 
regolata in seguito, sia a mezzo di accordi diretti~ 
sia con emanazione di leggi interne, _da J;>!l,rte del� 
l'Italia e degli Stati cui in definitiva sarebbe stata 
attribuita la sovranit� su quelle ex colonie. In 
realt�, costituito il Regno Unito di Libia, l'Italia 
concluse un accordo con il nuovo Stato (stipulata 
in Roma il 2 ottobre 1956 e reso esecutivo in Italia 
con la legge 17 agosto 1957, n. 843) in cui fra l'altro 
si regolarono alcune questioni di natura economica 
e :finanziaria sorte da quella che fu definita << successione 
di sovranit� fra i due Stati i> nel territorio 
libico (art. 9), ma non quelle relative alla cittadinanza 
dei libici. Per queste invece, una legge dello 
Stato libico (pubblicata il 25 aprile 1954) stabili 
che venisse considerato cittadino libico chiunque 
fosse nato in I1ibia, e fosse residente in Libia alla 
data del 7 ottobre 1951, ma nessuna disposizione 
interna della R~pubblica italiana ha regolata la 
sorte di quei �cittadini italiani libici ii che per essere 
(come il Kemali) residenti in Italia, non furono 
compresi fra coloro che avevano acquistato la 
cittadinanza del nuovo Regno Unito di Libia. 
-In difetto di una precisa disposizione al riguardo, 
quindi, la questione deve essere risolta in base 
all'analogia ed ai principi generali dell'ordinamento 
giuridico dello Stato (art. 12 preleggi); onde, essendo 
evidente l'analogia di situazione fra territori 
�ceduti ii e territori per cui era avvenuta rinunzia, 
perfettamente legittima � l'applicazione ai secondi, 
in tutto ci� che non � regolato da apposita norma, 
delle disposizioni contenute nel trattato di pace 

(decreto legge 28 novembre 1947, n.1430) relative 
ai territori �ceduti�. Tale procedimento interpretativo 
del resto, fu altra volta ammesso da questa 
Corte suprema: la quale (con la sentenza 12 settembre 
1952, n. 2900) applic� sia pure in materia 
diversa (societ�) una disposizione del Trattato di 
pace (art. 12 dell'allegato XIV) riguardante espressamente 
le societ� aventi la sede sociale nel terri� 
torio � ceduto ii ad una societ� avente la sede sociale 
in Libia, territorio per il -quale era avvenuta 
l'unilaterale �rinunzia i~ di cui all'art. 23 del Trattato. 


Del resto l'applicazione dell'art. 19 nella presente 
controversia non veniva neanche direttamente in 
questione1dal momento che detto articolo regolava 
la sorte solo dei cittadini italiani domiciliati nei 
territori ceduti; e non potendo neanche quindi 
parlarsi (come in un punto della motivazione fa 
la sentenza impugnata) di diritto di opzione a 
favore della. cittadinanza italiana nei confronti del 
Kemali che per risiedere in Italia, non si trovava 
nelle condizioni di cui al ripetuto art. 19. In realt�, 
come esattamente nota in altro punto la stessa 
sentenza, per i �cittadini italiani libici ii cos� come 
per tutti gli altri cittadini (ammesso che i primi 
potessero considerarsi cittadini e non sudditi italiani, 
del che si dira in appresso), la questfo:rie no:q_ 
si poneva neppure se essi fossero domiciliati nel territorio 
metropolitano cio� in territorio non ceduto 
n� rinunziato, essi restavano (come � naturale) 
cittadini italiani, senza bisogno di alcuna manife� 
stazione di volon~� (opzione). Entro tali limiti, e 


-28 


soltanto a tale scopo veniva in discussione solo 
una delle disposizioni contenute nell'art. 19 del 
';rrattato di pace: la norma per la quale i soggetti 
ivi considerati �perderanno la loro cittadinanza 
italiana al momento in cui diverranno cittadini 
dello Stato subentrante (e quindi, se non avranno 
acquistato altra cittadinanza resteranno italiani); 
norma secondo la quale il Kemali, che non ha 
acquistato la cittadinanza libica; ha conservato la 
nazionalit� italiana. Non vi � bisogno del resto, 
nella controversia in esame, neanche di ricorrere 
all'applicazione analogica di detta norma, costituendo 
essa una particolare manifestazione di un 
;principio generale del nostro ordinamento giuridico 
(tradotto in norma legislativa, fra l'altro, 
negli artt. 8 n. 1 e 2, 10 comma 3�, 11 comma 1�, 
12 comma 20 della legge fondamentale sulla cittadinanza 
italiana, 13 giugno 1912, n. 555) secondo 
il quale (salvo casi di indegnit� o di incompatibilit� 
espressamente previsti dalla legge: ad esempio 
art. 8 n. 3 della legge citata) la cittadinanza italiana 
non si perde se non a1 momento dell'acquisto di 
nazionalit�. diversa. E ci�, a sua volta in applicazione 
dell'altro principio fondamentale, comune 
ad ogni ordinamento di un moderno Stato di diritto, 
per cui l'apolidia � uno stato eccezionale, 
perch� ogni persona umana ha diritto per quanto 
possibile ad uno status civitatis: principio fondamentale 
formulato anche nell'art. 15 della dichia;
razione universale dei diritti umani, approvata 
dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 
1948. Tale dichiarazione non ha solo per la nostra 
legislazione interna, un valore programmatico, 
essa infatti costituisce un principio generale, che 
deve ritenersi accolto nel nostro ordinamento non 
solo ex art. 10 della costituzione (come ha ritenuto 
la corte di merito) ma anche in virt� dell'espresso 
riconos13imento, se anche indiretto, di cui alla 
legge 4 agosto 1955, n. 848, che ha dato piena ed 
intera esecuzione all'analoga Convenzione per. la 
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� 
fondamentali, sottoscritta dai Governi degli Stati 
membri del Consiglio di Europa il 4 novembre 
1950 (la quale, a sua volta, nel preambolo, si richiama 
alla Dichiarazione dell'O.N. U. del 1948). 

Si deve perci� concludere che � principio generale 
del nostro ardinamento giuridico che un cittadino 
italiano non possa essere privato dello status civitatis 
e ridotto alla condizione di apolide, senza una 
espressa disposizione di legge: la quale, nel caso dei 
� cittadini italiani libici � che per essere domiciliati.
in Italia, non sono divenuti cittadini del nuovo 
Stato di Libia, manca assolutamente. 

Ci�, s'intende, sempre che il Kemali dovesse essere 
considerato cittadino italiano: che cio� la particolare 
�cittadinanza italiana libica �; fosse una vera 
e propria cittadinanza italiana, sia pure con particolari 
limitazioni nel godimenso di alcuni diritti, 
specialmente politici. � ci� che contesta l'Amministrazione 
resistente; la quale (in una delle censure 
formulate nel secondo motivo del ricorso) 
afferma che quella << cittadinanza � fu una lnstra 
esteriore, concessa ai libici per motivi politici e 
che in definitiva, i libici erano �sudditi � e non cittadini 
italiani. 

Anche su questo punto per� la decisione impugnata 
� esatta. Essa ha ritenuto che la cittadinanza 
italiana libica -che garantiva �ai libici il godimento 
di� tutti i diritti civici non riservati ai cittadini 
metropolitani -costittrisse uno s��tus di cittadinanza 
italiana speciale, non un rapporto simile 
alla sudditanza, rapporto che come � noto, prescinde 
dal passesso di uno status derivante dall'organico 
collegamento del singolo al territorio dello Stato. 

� da osservare, infatti, che ai libici la cittaidinanza 
fu per la prima volta concessa, non dal 
regio decreto legge 3 dicembre 1934, n. 2012 (cui 
si riferiscono la sentenza impugnata e le parti), 
ma nell'immediato primo dodoguerra, e precisamente 
con il D.L.L. (lo giugno 1919, n. 931 (relativo 
all'ordinamento della Tripolitania) ed il regio 
decreto legge 31 ottobre 1919, n. 2401 (relativo 
all'ordinamento della Cirenaica). Questi provvedimenti 
disponevano (art. 1 dei due decreti) in relazione 
rispettivamente ai tripolitani ed ai cirenaici 
che essi sono considerati cittadini italiani, parlando 
cos� semplicemente di �cittadinanza italiana� sia 
pure imponendo poi a detti cittadini particolari 
limitazioni. I cittadini di cui flill'art. 1 conservavano 
infatti il proprio statuto personale e successorio 
e godevano (art. 5) dei diritti fondamentali 
di libert� e di inviolabilit� del domicilio e della 
propriet� nonch� del diritto di concorrere alle 
cariche civili e militari di cui agli ordinamenti locali 
ed il diritto elettorale attivo e passivo per gli organi 
rappresentativi coloniali (art. 5 n. 4 e 6) del 
diritto di esercitare la professione liberamente anche 
in Italia (n. 5), e perfino di alcuni diritti politici 
nel territorio metropolitano, quale il diritto di 
petizione (di cui all'art. 57 dello Statuto Albertino) 
al parlamento nazionale (art. 5 n. 7). Non poteva 
non parlarsi, in tali condizioni, di una vera e propria 
cittadinanza italiana, sia pure con particolari 
limitazioni, essendo attribuito ai libici perfino l'esercizio 
di diritti politici nel Regno, esercizio che 
� l'elemento caratteristico dello statu11 civitatis di 
una condizione, cio�, che ricorda singolarmente 
la latinitas dell'ordinamento romano classico. 

� ben vero che, dopo l'iilstaurazione del regime 
fascista, quell'ordinamento ispirato a principi largamente 
liberali nei confronti delle popolazioni 
della Libia venne in parte mutato, si che con la 
legge 26 giugno 1927, n. 1013, nonch� con la successiva 
legge gi� ricordata del 1934, n. 2012 (gli 
art. 29 a 38 della prima, riguardanti la cittadinanza 
libica, sono identici agli artt. 33 a 42 della 
legge del 1934) si parl� di <<cittadini italiani libici� 
anzich� di cittadini italiani puramente e semplicemente 
ed ai libici fu sottratto il diritto dell'esercizio 
professionale in Italia (fermo restando lo 
stesso diritto in Colonia), nonch� la facolt� di presentare 
petizioni alle Camere: ma purtuttavia rest� 
ferma oltre la garanzia delle libert� fondamentali, 
la concessione dei diritti civici e politici nel territorio 
libico, con la facolt� di concorrere alle cariche 
civili e militari previste in quel territorio. L'evo�~luzione 
si chiuse, infine con il regio decreto legge 
9 gennaio 1939, n. 70 che se per una parte (in 
applicaziane dei principi �razzistici� allora introdotti 
nella nostra legislazione) tolse ai libici la 


~ 29


facolt� di acquistare la cittadinanza metropolitana 
(art. ,8) d'altra parte ribad� che i cittadini libici 
godevano dei medesimi diritti di cui alle leggi precedenti, 
ed altri anzi ne aggiunse, come i diritti 
politici di esercitare la carica di podest� nei comuni 
con popolazione di stirpe libica, di far parte del 
comitato corporativo per la Libia, e di divenir 
dirigenti nelle organizzazioni sindacali (art. 6 decreto 
del 1939). Si che in definitiva i libici godevano 
dei diritti di libert� allo stesso modo dei cittadini 
italiani, e dei diritti politici limitatamente al territorio 
libico, cio� (poich� per la legge del 1939 
art. 1, le quattro provincie costiere della Libia 
erano entrate a far parte integrante del territorio 
del Regno) godevano dei diritti politici limitatamente 
ad una parte del territorio italiano. In tale 
situazione non pu� assolutamente dirsi che i libici 
si trovassero nella condizione di sudditanza (come 
ad esempio i nativi delle colonie dell'Africa orientale, 
per i quali, da ultimo, provvidero gli artt. 28 
e seguenti del regio decreto legge, 10 giugno 1936, 

n. 1019) se per sudditanza si intende (come si 
deve intendere) soltanto la condizione di sottoposto 
di imperio dello Stato, ma godevano di 
uno status, da cui derivavano una serie di diritti 
anche politici, oltre che di doveri nei confronti 
dello Stato italiano, e cio� dovevano considerarsi 
veri e propri cittadini, se pure con particolari limitazioni. 
Le stesse leggi italiane dell'epoca, del resto, 
distinguevano tra �cittadini delle colonie �e <<sudditi 
coloniali>> ponendo cosi in rilievo che la distinzione 
era di natura sostanziale ad esempio, l'art. 4 
del codice penale del 1930. 
D'altra parte, lo stato di cittadino italiano non 
pu� ritenersi escluso per il solo fatto che per i 

� libici era limitato, nei confronti dei cittadini 
metropolitani, l'esercizio dei diritti politici: che 
la legislazione dell'epoca presenta numerosi esempi 
di discriminazioni nei confronti di alcune categorie 
di soggetti, dei quali pure non pu� porsi in dubbio 
lo status di cittadini italiani. Ed � slifficiente ricordare 
(oltre che la cosiddetta �piccola cittadinanza� 
senza il godimento dei diritti p�litici, di cui ai 
decreti legge 10 settembre 1922, n. 1387 e 14 giugno 
1923, n. 1418) la condizione in. cui vennero 
a trovarsi i cittadini italiani di stirpe ebraica dopo 
i noti provvedimenti �razziali >> del 1938-1939; 
essi cosi come i cittadini libici erano ammessi al" 
l'esercizio professionale solo a favore degli appartenenti 
alla medesima stirpe; e, a differenza degli 
arabi libici, i quali per lo meno godevano dell'esercizio 
de~ diritti politici in quattro provincie del 
Regno furono privati in toto dell'esercizio di quei 
diritti, pure rimanendo cittadini italiani. 

Si deve concludere quindi, che lo status del 
Kemali fosse quello di cittadino italiano, sia pure 
con particolari limitazioni a motiv9 della stirpe . 
alla quale appartiene; e che di conseguenza al 
momento della rinunzia dell'Italia alla colonia 
libica, non fu privato dello status civitatis, non 
avendo acquistato (poich� domiciliato in Italia) la 
cittadinanza del nuovo Regno Unito di Libia; e 
in difetto di qualsiasi norma legislativa che consenta 
di ritenere che egli sia stato ridotto alla con..
dizione di apolide. 

Resta da esaminare, a questo punto, per quali 
motivi un � cittadino italiano libico >> residente in 
Italia, debba essere oggi considerato cittadino italiano 
optimo iure. L'Amministrazione ricorrente, 
infatti afferma che il trattato fil pace rum avrebbe 
potuto procedere alla �promozione >> del Kemali 
da cittadino italiano libico a cittadino italiano 
tout-court, perch� esso non avrebbe potuto interferire 
nella pi� gelosa sfera della sovranit� nazionale, 

quale � quella dell'attribuzione della cittadinanza. 

Ma la asserita � conversione >> in cittadinanza 
metropolitana della cittadinanza �libica � � effetto 
diretto proprio della legislaziane italiana del dopoguerra, 
una volta ammesso, come deve essere ammesso, 
che la �cittadinanza italiana libica>> inte~ 
grasse uno status di vera e propria cittadinanza 
italiana, sia pure con particolari limitazioni. Ci� 
non soltanto per la constatazione evidente (su 
cui soltanto si sofferma la sentenza impugnata) 
che la speciale cittadinanza suddetta non pu� 
pi� sussistere dopo la perdita dei territori libici, 
essendo strettamente collegata, e presupponendo 
l'ordinamento coloniale; ma per il motivo assorbente 
che la legislazione italiana del dopoguerra 
ha soppresso tutte le limitazioni al libero esercizio 
dei diritti civili e politici imposto in precedenza 
ad alcune categorie di cittadini. Oi� � aV-Venuto, 
infatti non soltanto in virt� dell'art. 15 del trattato 
di pace (il quale � divenuto legge italiana a seguito 
dell'atto legislativo che vi ha dato piena ed intera 
esecuzione) che, consacrando l'impegno dell'Italia 
a prendere le misure necessarie �per assicurare a 
tutte le persone soggette alla sua giurisdizione 
pari godimento dei diritti e delle libert� senza 
distinzione di razza, lingua o religione, costituisce 
evidentemente un principio cui � ispirata la successiva 
legislazione in materia; ma proprio per 
l'attuazione di tale principio nel piano legislativo 
interno. Nel quadro delle leggi speciali che sop� 
pressero le discriminazioni fra i cittadini per motivi 
�razziali � attuate nell'ultimo periodo del regime 
fascista (leggi riguardanti la refutegrazione nei 
loro diritti dei cittadini ebrei, decreto legislativo, 
3 agosto 1947, n. 1906 che abrog� le norme relative 
ai � meticci >> etc.) il principio fu consacrato in via 
generale nell'art. 3 della costituzione del 1947 peti 
il quale << tutti i cittadini hanno pari .dignit� sociale 
e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione 
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni 
politiche, di condizioni personali e sociali �. Norma 
che per la sua struttura pu�-essere immediatamente 
applicata, e che ha avuto per effetto l'abrogazione 
di tutte le precedenti disposizioni che creavano 
disparit� fra i cittadini, e ponevano limitazioni ai 
loro diritti in relazione alla stirpe di appartenenza. 

Si deve perci� ritenere che, dal citato art. 3 

siano state abrogate le limitazioni inerenti alla 

qualifica di libici dei cittadini italiani nativi della 

Libia, e questi con l'entrata in vigore della Costi� 

tuzione, siano divenuti, alla pari degli .a,ltri citta


dini, cittadini optimo iure. Tale va tuttora consi--.-


derato il Kemali che come si � detto, non ha pe�''


duto la nazionalit� italiana, non avendo acquistato 

dopo la costituzione del Regno Unito di Libia, la 

cittadinanza del nuovo Stato. 


-30


Oome � facile vedere dalla lettura della sentenza, 
l'argomento fondamentale a sostegno della decisione 
della Corte Suprema � quello che attiene ad una 
pretesa incompatibilit� tra l'art. 3 della Costituzione 
e le norme della legge ordinaria 9 gennaio 1939, 

n. 70 che stabilivano particolari limitazioni allo 
status civitatis dei c.d. cittadini italiani libici. 
Se cos� �, � evidente che, a parte ogni considerazione 
sulla esattezza della decisione, questa, comunque, non 
poteva rientrare nella competenza della Corte di Cassazione, 
dato che, come � noto, � ormai jus receptum 
che ogni questione. sulla incompatibilit� di norme 
di legge ordinaria con norme costituzionali, in quanto 
questione di legittimit� costituzionale, � devoluta al 
giudizio esclusivo della Corte Costituzionale. 

COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Giudicato sulla. 

giurisdizione. (Corte di cassazione, Sezioni Unite, Sen� 

tenza, n. 2061/61 -Pres.: Oggioni; Est.: Danzi; P.M.: 

Pepe (conf.) -Bellinzaghi c. Ministero dell'Interno). 

La questione di giurisdizione non � pi� proponibile 
o rilevabile nel corso del giudizio, qualora 
una prece!fente sentenza non pi� impugnabile abbia 
statuito sul punto esplicitamente, dichiarando la 
giurisdizione del giudice adito. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: 


L'Amministrazione resistente, pur non avendo 

proposto ricorso incidentale sul punto relativo alla 

giurisdizione, ha eccepito preliminarmente con il 

controricorso il difetto di giurisdizione del giudice 

ordinario a conoscere della domanda del Belin


zaghi. 

Osservano in proposito le Sezioni U:ri.ite che 

all'esame di tale eccezione, osta, nella specie, la 

preclusione del giudicato giacch� la sentenza de


nunziata, prima di statuire sul merito, ha affron


tato ex professo la questione della giurisdizione, 

affermando che la controversia involgeva la re


sponsabilit� della P.A. per omissioni addebitabili 

al Questore di Como ed esulava pertanto dalla 

previsione dell'art. 1 lettera e) della legge 9 gen


naio 1951, n. 10 che richiede il previo esperimento 

della procedura amministrativa, solo per l'inden


nizzo dei danni, immediati e diretti, causati da 

atti non di combattimento, dolosi o colposi delle 

Forze Armate alleate. 

Tale preclusione opera infatti anche nei riguardi 

della eccezione di difetto di giurisdizione del giudice 

ordinario, sia che la giurisdizione sia stata affer


mata decidendo anche il merito, sia che siasi pro


nunziato, con sentenza non definitiva, solo sulla 

giurisdizione se, in questa seconda ipotesi, siano 

decorsi inutilmente i termini per la impugnazione 

ordinaria. Queste Sezioni Unite (sent. 22 luglio 

1960, n. 2084), superando i contrasti verificatisi 

nella precedente giurisprudenza, della Suprema 

Corte, hanno ritenuto che la questione di giurisdi


zione non � pi� proponibile o rilevabile nel c�rso 

del giudizio, qualora una precedente sentenza non 

pi� impugnabile abbia statuito sul punto esplici


tamente, dichiarando la giurisdizione del giudice 
adito. Hanno cio� affermato che la proponibilit�, 


o rilevabilit� d'ufficio, del difetto di giurisdizione 
in qualunque stato e grado del processo a norma 
dell'art. 37 del codice di rito, incontra suttavia 
un limite insormontabile nella preclusione del giudicato 
formale e che tale giudicato si costituisee 
indipendentemente dalla decisione sul merito qualora 
la soluzione positiva della questione di giu. 
risdizione sia 
avvenuta con sentenza non pi� soggetta 
ad impugnazione. 

I contrasti giurisprudenziali cui accenna la sentenza 
in rassegna trovano la loro manifestazione 
soprattutto nella sentenza n. 1254/52 delle stesse Sezioni 
Unite riportata con nota in questa Rassegna 
1952, pag. 142 . 


. Sulla questione. si veda per una esauriente disamina 
la Relazione dell'Avvocatura per gli anni 
1956-1960, voi. II, n. 38. 


La sentenza in esame conferma chiaramente ohe 
il giudicato sulla giurisdizione pu� formarsi in base 
a pi�onunzia del giudice di merito solo se questa 
abbia deciso sulla questione di giurisdizione in modo 
espli9ito. E' esclusa perci� la possibilit� del giudicato 
implicito; ed � escluso, in conseguenza, che possa 
verificarsi l'ipotesi gi� criticata in relazione alla 
questione di legittimazione passiva in questa Rassegna 
1961, pag. 107 e segg. 


COMPROMESSO ED ARBITRI -Opere pubbliche Lodo 
arbitrale -Rinunzia preventiva al gravame Eccezione 
di incostituzionalit� -Manifesta infondatezza. 


OPERE PUBBLICHE -Appalti -Revisione dei prezzi 
-Potere della P. A. -Delimitazione -Fattispecie. 
(Corte di cassazione, Sezioni Unite, Sentenza, n. 907 / 
60 -Pres. Cataldi; Est.: Di Maio; P.M.: Colli (conf.) 


-Comune di Roma c. Impresa Mercuri). 

Deve ritenersi manifestamente infondata l'eccezione 
di illegittimit� costituz�onale delle norme di 
cui agli artt. 49 del capitolato generale per gli appalti 
delle opere dipendenti dal ministero dei 
lavori pubblici, approvato con decreto ministeriale 
28 inaggio 1895 e, 829, ultimo comma, codice procedura 
civile, che prevedono la rinuncia preventiva 
delle parti all'impugnativa del lodo arbitrale, giacch� 
le norme stesse non escludono o limitano la 
tutela giurisdizionale, ma solo consentono all'autonomia 
privata (come nella simigliante ipotesi dell'art. 
360, in cui � permesso alle parti di omettere 
l'appello) di rinunciare preventivamente alla 
impugnazione della sentenza arbitrale (al fine di 
eliminare la possibilit� del sorgere di nuove con�
troversie) quando si tratti del rimedio con il quale 
si contesti unicamente il merito della pronuncia 
arbitrale. 


La competenza dell'autorit� amministrativa~ in -materia 
di appalti di opere pubbliche, ai sensi del 
D.L.C.P.S., n. 1501 del 1947 � limitata alla revi. 
sione dei prezzi pattuiti con le pubbliche amminL 
strazioni in dipendenza di aumenti o di diminu. 


-31


:zioni sul costo dei materiali o della mano d'opera 
veri:f�catisi durante la esecuzione dei lavori, anche 
-per effetto di circostanze non prevedibili e tali da 
<J.eterminare un aumento o una diminuzione superiore 
al decimo del prezzo complessivo convenuto, 
ma non si estende all'altra ipotesi prevista nel 
2� comma dell'art. 1664, quando cio� trattasi deil'equo 
compenso richiesto dall'appaltatore per difficolt� 
di esecuzione dell'opera derivanti da cause 
_geoiogiche, idriche e simili, non previste dalle parti 
-e che rendono notevolmente pi� onerosa la presta.
zione dell'appaltatore medesimo. 

L'ARBITRATO OBBLIGATORIO 
E LA COSTITUZIONE 


La sentenza in rassegna (pubblicata in Foro it., 
1960, I, 1129), induce a ritenere necessario un attento 
e approfondito riesame di tutta la questione 
"j�elativa alla impugnabilit� degli anzidetti lodi tanto 

pi� in quanto la sentenza stessa ha esaminato la 
.q_uestione sottq alcuni aspetti particolari, non fra i 
pi� rilevanti; n� avrebbe potuto fare altrimenti per-
0h� solo sotto quegli aspetti la questione era stata pro.
spettata. 

Dal punto di vista formale la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 49 del capitolato generale, 
il quale, com'� noto, llJ! natura regolamentare, non 
legislativa, � inammissibile appunto perch� non ha 
.ad oggetto una disposizione di legge o di atto avente 
forza di legge. Rispetto alla norma regolamentare 
pu� sorgere una questione di legittimit� ordinaria 
-0 di abrogazione per contrasto colle norme di leggi, 
.anteriori o successive, non una questione di legittimit� 
costituzionale, la quale pu� sollevarsi solo rela.
tivamente all'art. 829 Codice procedura civile. 

Motivo dell'infondatezza della questione, secondo 
la citata sentenza, sarebbe la considerazione che le 
fl..orme suddette non escludono o limitano la tutela 
.giurisdizionale, ma consentono all'autonomia privata 
la rinuncia preventiva all'impugnazione della 
.sentenza arbitrale. Questa rinuncia, che la sentenza 
1'itiene analoga a quella prevista dall'art. 360 Codice 
procedura civile, sarebbe pienamente ammissibile e 
.e non in contrasto con gli artt. 24 e 103 della Costituzione, 
tanto pi� che essa avrebbe riguardo solo al 
rimedio, con il quale si contesti unicamente il merito 
della pronuncia arbitrale. 

Prima di esaminare l'esattezza della pronunzia, 

.che non 1�iteniamo di poter condividere, sar� oppor


.tuno accennare brevemente alla evoluzione giurispru


-denziale, peraltro ben nota, in tema di impugnativa 

-dei lodi arbitrali, naturalmente, in� materia di opere 

pubbliche. 

Con .c;.entenza 6 inarzo-22 aprile 1941, n; 1123 

la Corte di Cassazione a sezioni unite, in causa 

Picardi c. Governo della Libia (in Giur. Op. Pub. 

1941, I, 323), afferm� l'applicabilit� alla giurisdi


:zione arbitrale dei limiti, di cui all'art. 4 legge 20 

�marzo 1865, allegato E, riconoscendo implicitamente 

�al Collegio arbitrale per le controversie in materia di 

-0pere pubbliche la natura di organi di giu1 isdizione 

.speciale. 

Con ~e successive sentenze 29 iugiio J 941, in cause 
Comune di Napoli c. Tudini e Talenti e Comune 
di Venezia c. Scarpari (Giur. it. 1942, I, 1, 35 e 
97), la Corte afferm�, esplicitamente co_rifermando 
peraltro la precedente sentenza 8 aprite 1937, nu� 
mero 1040, che il collegio arbitrale stabilito dal capitolato 
generale per le opere pubbliche non costituiva 
n� un ordinario arbitramento n� un arbitrato obbli� 
gatorio, bens� aveva carattere di giurisdizione speciale, 
con la conseguenza che contro il lodo non fosse 
ammesso altro rimedio che il ricorso alle Sezioni 
Unite della Cassazione ai sensi della legge 31 marzo 
0877. Si escludeva, cio�, l'azione di nullit� e, naturalmente, 
l'appello (vedasi anche relazione dell'Avvocato 
Generale dello Stato per gli anni 1930-1941, 
nn. 27 e 35). 

Con le successive sentenze 31 maggio J 943, in 
causa Consorzio Idrico Florida e Solarino c. Martellucci, 
(in Foro it. 1943, I, 919) e 21 maggio 1944, 
in causa Ministero Guerra c. B.P.D. (ivi, 1945, 
I, 16) le Sezioni Unite della Corte di Oassazione, 
per�, mutavano radicalmente giurisprudenza, negando 
ai collegi arbitrali previsti dal capitolato generale 
per le opere pubbliche, carattere di giurisdizione 
speciale (Rel. Avv. Stato 1942-1950, n. 51 
e 52). 

Oonseguentemente fu esclusa l'ammissibilit� del 
ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione 
(Sez. Unite 18 aprile 1947, Alto Oommiss<J,riato Sanzioni 
contro il fascismo c. De Pitpo, in Giur. 00. 
PP. 1947, I, 160, e 6 agosto 1947, Soc, Breda c . 
Soo. it. Petroli d'Oriente, in Giur. it. 1948, I, 158) 
e fu, altres�, esclusa l'ammissibilit�, avverso il lodo, 
del ricorso per Oassazione ex artt. 360, 362, Oodice 
procedura civile, ritenendolo soggetto esclusivamente 
alle impugnazioni pe1� nullit� e per revocazione, 
previste dall'art. 827 Oodioe procedura civile (Sez. 

Un. l 7 giugno 1950, Bianchi c. Difesa Esercito, 
in Foro it. 1951; I, 529). A tal proposito, per�, le 
Sezioni Unite, con sentenza 6 marzo 1945, in causa 
Costa c. LL.PP. (in Foro it. 1944-46, I, 227), 
argomentando dal fatto ohe il capitolato generale 
dichiara i lodi non soggetti ad appello n� a cassazione, 
affermarono che l'azione di nullit� era inammissibile, 
ai sensi dell'art. 829, u. c., Oodice procedura 
civile, quando fosse dedotta la violazione delle 
regole di diritto. Essa, quindi, sarebbe ammissibile, 
e cos� � stato poi ritenuto, solo per i motivi indicati 
nei nn. 1-7 dell'art. 829 Codice procedura civile, cio�, 
esclusivamente per errores in procedendo. 

Oontro questo nuovo e non giustificato orientamento 
giurisprudenziale l'Avvocatura dello Stato 
(Relazione per gli anni 1942-1950, II, p. 484) 
insorgeva, segnalando, attres�, i gravi inconvenienti 
che presentavano i giudizi arbitrali, una volta esclusa 
l'azione di nullit� per errores in iudicando. I Collegi 
arbitrali -si diceva -escluso ogni controllo 
sull'esatta applica~ione della legge, si trasformano 
in giudici di equit�, quasi legibus soluti. Si poneva, 
inoltre, in luce il contrasto delle norme relaUve all'arbitrato 
per le opere pubbliche, cos� interpretate, o�n 
l'art. 111 della Costituzione, che ammette sempre 
il controllo dell'esatta applicazione della legge, sostanziale 
e procedurale, da parte della Corte di cassazione 
su tutte le sentenze, dei giudici ordinari e speciali, 


filii: filii: 
.,_. 32 -� 


eccezione fatta� s�lo pM' le decisioni� del Oonsiglio di 
Stato e della Oorte� dei� Oonti. Ma la giurisprudenza� 
� rimasta ferma in questo orientamento. (Sutl'argomento 
vedasi:. Oass; 21giugno1940, n. 448, in Foro 
i'I!. 1944-46, I, 16; Oass. 6 agosto 1946, n. 1094; 
id. 28 febbraio 1946, n. 216 in Foro Amm. 1946, 
II, 50; id. 7 maggio 1946 n. 547. in Foro it. 194446, 
I, 809; id. 17 giugno 1950, n. 1550, in Foro 
it. 1951, I, 530; contro questo indirizzo giurisprudenziale 
si veda, fra gli altri, PASTORE: L'arbitrato 
negli appalti cii opere dubbliche, Milano, 1961, 
p�. 157). . 

La questione della legittimit� della norma conte


nuta nel capitolato generale delle opere pubbliche 

ha dato recentemente luogo, sia per quanto attiene alla 

obbligatoriet� dell'arbitrato sia in ordine alla non 

appellabilit� del lodo, a contrastanti pronunzie della 

Oorte dei Oonti in sede di controllo (25 ottobre 1956, 

in Foro it. 1957, 3, 214) e del Oonsiglio di Stato 

in sede consultiva (Ad. Gen. 26 luglio 1957, m. 376, 

in Riv. giur. edil. 1958, I, 430) a proposito del 

nuovo capitolato generale. 

� IZ contrasto � fondato sulla diversa definizione 

f{,eZla nat.ura giuridica del capitolato generale, che 

il Oonsiglio di Stato afferma contrattuale e la Oorte 

dei c.onti ritiene, invece, regolamentare sulla scorta 

della ormai consolidata giurisprudenza della Oorte 

di cassazione (Oass. 18 giugno 1943, n. 1521 in 

Giur. it. 1943, I, I, 403; Oass. 31 luglio 1944, 

n. 457, in G.C.O. 1944, 371; id. 8 aprile 1946, 
n. 400, ivi, 1946, !, 124; Oass. 19 febbraio 1946 
n. 171, in Foro it. 1944-46, I, 453; e nel senso che 
abbiano natura regolamentare solo per gli enti che 
li hanno emanati: Oass. 5 luglio 1951, n. 1761, 
in Jforo it. 1952, I,, 475; Oass. 30 settembre 1954, 
n. 3074; Oass. 24 marzo 1955, n. 870; Oass. 4 
febbraio 1957, n. 413; Oass. 14 giugno 1955, 
n. 1806; Oass. 27 giugno 1956, n. 2342; Oass. 
20 marzo 1958, n. 923; Oass. 21 maggio 1959, 
n. 1523; vedasi anche la recensione al lavoro del CRISCI: 
I contratti stipulati dalla P. A. e l'art. 1341 
e.e. in �Rass. � ov. Stato �, 1959, p. 4). 
� Questo et1sendo l'orientamento giurisprudenziale, 
passiamo ad esaminare la questione che ci interessa. 
In proposito, preliminare ad ogni altra ci sembra 
l'indag,ine sulla esattezza della giurisprudenza, laddove 
riti.ene applicabile agli arbitrati per le opere 
pubbliche l'art.� 829 Oodice procedura civile, u.p. 
Dispone questa norma che l'impugnazione di nullit� 
� altres� ammessa se gli arbitri nel giudicare non 
nanno osservato le regole� di diritto; salvo che le parti 
li avessero autorizzati a decidere secondo equit� o 
avessero dichiarato il lodo non impugnabile. 

A prescindere if,alla prir>ia ipotesi, che non interessa, 
e dal contrasto della seconda con norme costi7uzionali, 
di cui diremo in seguito, occorre, a nostro 
avviso, preliminarmente accertare e dimostrare, 
con congrua motivazione e validi 'argomenti giuridici 
(cosa che, finora, non ci sembra sia stata fatta), se 
�l'ultima parte de.ll'art. 829 Oodice procedura civile 
sia applicabile �agli arbitrati per le opere pubbliche 
e, soprattutto, se l'intera disciplina dell'arbitrato, 
�data dal codice di rito, non abbia abrogato l'art. 49 
del capitolato gene�rale per le opere pubbliche, il quale, 
.laddove dichiara il lodo non impugnabile, si p�ne 

in evidente contrasto con l� norme di ordine pubblico 

contenute in particolare nell'art. 829. 

Su questo punto non pare possano sorgere �d1,bbi. 

Una volta escluso il carattere di giurisdizione spe


ciale, tutto il giudizio arbitrale per le opere pubblicher 

a nostro avviso, non poteva sottrarsi alla disciplina 

dell'arbitrato, interamente e compiutamente prevista 

nel nuovo codice di rito. E d'altra parte, la stessa;. 

giurisprudenza, ammettendo, nonostante che l'articolo


49 dichiari il lodo non soggetto ad appello n� a cassa


sione, l'azione di nullit�, ha ritenuto caducata la. 

norma regolamentare per contrasto con la successiva;. 

norma di legge, per di piu d'ordine pubblico. 

Quel che non si comprende � come non sia stata 

ritenuta applicabile l'ultima parte dell'art. 829 Oo


dice procedura civile, operando una parziale conser


vazione e conversione del piu volte citato art. 49 O.G. 

L'art. 829 Oodice procedura civile, u.p., che � norma 

d'ordine pubblico, processuale, esclude l'azione .di 

nullit� per errores in indicando solo quando le parti 

abbiano dichiarato il lodo non impugnabile. At.., 

tribuisce, cio�, all'auto""omia delle parti contraenti 

il potere di rinunciare preventivamente al rimedio~ 

che consenta il riesame di merito del lodo.; ma P, 

necessario che si tmtti di dichiarazione, di mani


festazione, cio�, dell'autonomia contrattuale. 

Ora, a prescindere dalla considerazione che i"l ri


chiamo, contenuto nella sentenza 22 aprile 1960t 

m. 907, all'art. 360 Oodice procedura civile, secondo 
comma, non � del tutto appropriato perch� in questa 
ultima ipotesi, come si argomenta espressamente dal 
combinato disposto dagti artt. 339, 10 comma 3601 
20 comma e 366, ultimo comma, la rinuncia all'ap-" 
pello � suc�essiva, non preventiva, ed il ricorso per 
Oassazione � ammesso anche per gli errores in �udicando, 
resta il fatto che la �non impugnabilit� dei 
lodo deve essere contrattualme�nte stabilita, dichiaratar 
cio�, d'accordo fra le parti e con riferimento ad un. 
determinato contratto. . 
L'art. 49 del Capitolato Generale, che, si ripete,. 

la giurisprudenza consolidata della Oorte di Gassa+ 

iione qualifica regolamento, non pu� essere ridotto� 

e convertito n� pu�, comunque, sostituire la espressa 

dichiarazione, contrattuale, di non impugnabilit� del. 

lodo voluta dalla legge. E ci� a prescindere dalla 

considerazione che la P.A. non potrebbe preventiva


mente rinunzia1�e al diritto alla tutela giurisdizio


nale, rimettendosi ad un giudizio di equit�. 

Riteniamo, quindi; in primo luogo che l'ultima 

parte dell'art. 829 Oodice. procedura civile non sia 
applicabile ai lodi in materia di opere pubbliche, 
che le parti non hanno dichiarato e, secondo, noi,. 
non potevano dichiarare non impugnabile. Questa 
�considerazione ci esimerebbe da ogni ulteriore indagine 
sulla legittimit� costituzionale di una �norma,. 
che consente la rinuncia preventiva alla azi�ne di 
nullit�, sia pure per i soli vizi di merito, la rinunzia, 
cio�, ad un diritto, che non � ancora sorto_, perch� 

sorge so'l<> con� la p1�onuncia degli arbit~~� . 

La norma contenuta nell'ultima parte dell'!J,r#

-_

0 

colo 829 Oodice procedura civile non pu� dirsi, a. � 
nostro avviso, senz'altro non in contra.sto con l'articolo 
24 della Oostituzione e, quando si verta in materia 
di pubblici appalti, con il successivo articolo 
113. 


-33 .,..,... 


L'art. 4 dispone che tutti posson� agire in giudizio 
per la tutela dei propri diritti, l'art. 113 ammette 
sempre contro gli atti della P.A. la tutela giurisdi� 
zionale. Ora, se si esclude e finch� si esclude che gli 
arbitri sono organi di giurisdizione ed esercitano 
attivit� giurisdizionale, deve ritenersi che in materia 
di pubblici appalti la tutela giurisdizionale ha inizio 
solo con la azione di nullit�. Escluderla o limitarla 
a taluni vizi del lodo significa negare che la P.A. 
possa agire in giudizio, cio�, davanti al Gfodice, 
per la tutela dei propri diritti e significa escludere, 
per il privato, la tutela giurisdizionale contro gli 
atti della P.A. (in questi sensi vedasi anche BA.CHE� 
LET, in Foro Amm., 1961, n. 1347, il quale, a proposito 
ilel ricorso straordinario al Capo dello Stato, 
esattamente osserva che limitare la tutela giurisdisione 
agli errores in procedendo equivale ad 
escluderla, frustrando il precetto costituzionale). 

Ohe l'attivit� degli arbitri non sia attivit� giurisdizionale 
�, d'abtra parte, evidente (cons. BIAMONTI: 
.Arbitrato in Enc; del diritto, Giuffr�, II, 
899 e segg.; OARNACINI: .Arbitrato rituale, in �Nuovissimo 
dig. It. ))' Utet I, parte seconda, 874 e seguenti). 
. 

Se l'iter logico e sillogistico della pronuncia arbitrale 
� sostanzialmente analogo a quello che caratteYizza 
la decisione del giudice, non compete peraltro 
all'arbitro il complesso di compiti e di poteri che 
caratterizzano la funzione giurisdizionale, (per quanto 
riguarda l'istruttoria si pensi in modo particolare 
all'obbligatoriet� del giuramento nella prova testimoniale, 
non riohiesta per l'analogo mezzo istruttorio 
dell'arbitrato rituale, o all'esercizio delle attivit� che 
competono all'arbitro con riferimento alle varie specie 
di consulenze tecniche); e come l'attivit� arbitrale 
sia del tutto subordinata a quella superiore dell'autorit� 
giudiziaria ordinaria: se non venga pronunciato 
il decreto pretorio di esecutoriet� oppure in 
sede di impugnativa. venga accolta la quaerela nullitatis, 
l'arbitrato perde invero ogni sua validit� ed 
efficacia e risorge, nei riguardi della controversia 
gi� affidata agli arbitri, la piena competenza della 
Autorit� Giudiziaria ordinaria. 

Non � neppure da trascurare il fatto, anche se esso 
vale solo come sintomo, che sotto it profilo penale non 
si � voluto ricondurre l'arbitro nella categoria dei 
pubblici ufficiali e neppure in quella degli incaricati 
di un pubblico servizio. Tali ordini di considerazioni 
sembrano contrastare la pretesa natura giurisdizio
�nale dell'arbitrato, almeno intesa nei sensi in cui la 
funzione giurisdizionale � �normalmente rappresentata. 


La stessa giurisprudenza (dell'orientamento della 
quale si deve tener quel conto che � imposto dalle decisive 
conseguenze che ne derivano in pratica nei 1�apporti 
umani controversi), che accede alla teoria mista 
(Cass. Sez. Un. civ. 9 maggio 1956, n. 1505 in Foro 
it. 1956, I, 847 e segg.: trattasi,. com'� noto, di autorevole 
pronuncia che � stata fatta oggetto di annotazioni 
vivamente elogiative da parte della dott1'ina: 
cons. ad es. ANDRIOLI: Procedura arbitrale e regolamento 
di giurisdizione in Foro it., col. cit.), esclude 
in termini non equivoci che il procedimento arbitrale 
abbia il carattm�e di processo giurisdizionale, pitr 
rilevando, nella fusione del lodo e del decreto preto


rile, un atto di giurisdizione che colorisce a poste: 
riori il procedimento suddetto, �attribuendogti retroattivamente 
gli effetti che sono propri del processo 
giurisdizionale, con la conseguente norm~le retroattivit� 
della pronuncia al momento della instaurazione 
della domanda�. 

Ben pi� grave � il contrasto dell'art. 829 Codice 
procedura civile, u. p., con l'art. 111 della Costituzione. 


Il precetto dell'art. 111 Cost., il quale dispone 
che contro le sentenze, di qualunque giudice, � sempre 
ammesso ricorso in Cassazione per violazione 
di legge, il quale, cio�, costituzionalizza il principio, 
secondo il quale la Corte di Cassazione � la suprema 
regolatrice, che assicura l'uniforme interpretazione ed 
applicazione delle norme di diritto, � evidentemente. 
violato. 

A che una C01�te di cassazione, cui � costituzio-. 
nalmente att1�ibuiio il potme di cont1�ollat�e l'esatta 
applicazione della legge in tutte le controversie e di 
garantire, cos�, tutti i cittadini e, con essi e prima 
di essi lo Stato, dagli arbitri dei giudici, ordinari o 
speciali, volontari o obbligatori? 

I Collegi arbitrali per le opere pubbliche, i quali 
pure giudicano cause di valore 1�ile�vante, restano 
esonerati dalla osservanza della legge sostanziale e 
il precetto dell'art. 111 della Costituzione nei loro 
riguardi � complet,amente frustrato perch� azza Corte 
di Cassasione non arriver� mai la questione sostanziate. 


Dire che l'art. 111 � osservato, perch� il ricorso 
pieno � ammesso contro la sentenza, che pronunzia 
sulla azione di nullit�, significa violarne la lettem e, 
soprattittto, lo spirito frustrando l'esigenza, da tempo 
sentita, della unit� della giurisdizione e della applicazione 
della legge in modo uniforme. Se il lodo non 
� censurabile pe1� motivi di merito, se l'errat,a applicazione 
della legge da parte ilei Collegi arbitrali non 
pu� essere dedotta in appello, ci� significa che non 
potr� nepput�e essere dedotta in Cassazione con la 
aber1�ante conseguenza che il sempre dell'a1't. 111 
non trova applicazione nei riguardi dei Collegi arbi~ 
trali. 

L'import,anza, non solo teorica, della questione 
e l'esigenza che sia alfine assicurat,a la giustizia, 
formale e sostanziale, a entrambe le parti contraenti 
anche nel delicato canipo dei pubblici appalti ci fa 
spera1�e in un riesame da parte della Corte di cassa. 
zione, che eviterebbe un. altrimenti indispensabile 
intervento legislativo nella materia. (1) � � 

GIUSEPPE GUGLIELMI 

(1) Quando questa nota era in corso di stampa abbiamo 
appreso che il Ministro dei lavori pubblici, nella 
seduta del 28 giugno 1962, � annunziato al Senato, in 
occasione della discussione dello stato di previsione della 
spesa del Ministro dei lavori pubblici per lresercizio finanziario 
io luglio 1962 -30 giugno 1963, che il nuovo -� 
Capitolato Generale preveder� espressamente la impugnabilit� 
dei lodi arbritali anche per la violazione delle norme 
di diritto sostariziale. La questione� potr�, cosi, con� 
siderarsi definitivamente risolta nei sensi da noi sostenuti. 

-34


.IMPOSTE E TASSE -Imposta di R.M. -Reddito rica� 
vato dall'U.N.U.C.I. dal rilascio delle tessere di riconoscimento, 
dei libretti ferroviari e dei distintivi 
-Tassabilit�. (Corte di cassazione, Sezione I, Sentenza, 
n. 2128/61 -Pres.: Verz�; Est.: Del Conte; 
P.M.: Criscuoli (conf.)-U.N.U.C.I. c. Min. Finanze). 

L'UNUOI � un ente pubblico, i eui scopi istitu:
zionali rientrano tra le finalit� dello Stato ed hanno 
natura eminentemente sociale ed assistenziale, con 
-esclusione di ogni fine dilucro. Tuttavia, l'attivit� 
-consistente nel rilascio delle tessere di riconoscimento, 
dei libretti e degli scontrini per le riduzioni 
ferroviarie e dei distintivi, dietro un corrispettivo 
-0he supera di gran lunga il costo del servizio, ha 
un suo autonomo carattere economico prevalentemente 
speculativo, distinto dalle attivit�, proprie 
dell'ente, necessarie per il raggiungimento delle 
sue finalit� istituzionali. 

Non pu�, quindi, escludersi l'esistenza di un reddito, 
n� attribuirsi a tale corrispettivo un ,cti,rattere 
tributario, sulla considerazione che gli utili ricavati 
da tale attivit� siano destinati d::lill'Ente alla realizzazione 
delle sue finalit� assistenziali e sociali, 
perseguite per conto dello Stato. 

Pertanto, accertata l'esistenza di un utile, da 

parte dell'UNUOI, e cio� di un reddito derivante 

da un'attivit� di carattere prevalentemente lucra


tivo, deve ritenersi che tale reddito sia senz'altro 

tassabile, ai fini dell'imposta di R.M. indipenden


temente dagli scopi perseguiti dal soggetto pro


duttore e dalla concreta destinazione ed erogazione 

dell'utile stesso dopo la sua acquisizione al soggetto 

medesimo. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: 


Con l'unico motivo di ricorso, si deduce la vio


lazione degli artt. 3 lettera e del testo unico, 24 

agosto 1877, n. 4021, 62 regio decreto, 11 luglio 

1907, n. 560 e dagli artt. 3 e 4 dello Statuto del


l'UNUOI, e si sotiene che in relazione ai versamenti 

eseguiti dai soci per il rilascio delle tessere di rico


noscimento e dei libretti e scontrini ferroviari, non 

esiste un reddita tassabile, in qnanto l'UNUOI � 

un ente pubblico che non ha scopi di lucro, ma fini 

esclusivamente assistenziaii svolti per conto dello 

Stato, ed i predetti versamenti, al pari delle quote 

di iscrizione, hanno il c~rattere di eontributi, che 

essa riscuote nell'esercizio di un potere tributario, 

delegatole dallo Stato, per destinarli alla realizza


zione delle suddette finalit�. 

La doglianza � infondata. 

Innanzi tutto va dichiarato che la norma di cui 

al secondo comma dell'art. 62 del Regolamento 

11 luglio 1907, n. 560, invocata dalla ricorrente, 

.non introduce nel sistema dell'imposta di R.M. 

.�na epenzione speciale di carattere soggettivo a favo


-re delle �societ� costituite senza scopo industriale ... 

se si limitano ad erogare le contribuzioni dei soci in 

�Opere o atti filantropici, scientifici, letterari, di 

mero consumo o diletto, ed in generale in operazioni 

non produttive di reddito ,,, ma in sossanza applica 

.soltanto come del resto � insito nel suo carattere 

meramente regolamentare i principi fondamentali 
della legge sull'imposta di R.M. stabilendo che se 
non vi � produzione di reddito non vi � obbligo di 
dichiarazione e non si fa luogo quindi ad imposizione, 
mentre se sussiste un reddito, la dichiarazione, 
come si precisa nella seconda rarte dello stesso 
comma, deve essere fatta anche dai suddetti enti, 
che sono perci� in tal caso sottoposti ad imposizione. 


Tanto premesso, si osserva che deve ritenersi 
nella specie la esistenza di un reddito, in quanto, 
se � esatto che l'UNUOI � un ente pubblico, i 
cui scopi istituzionali rientrano tra le finalit� dello 
Stato ed hanno natura eminentemente sociale e 
assistenziale, con esclusione qnindi di ogni fine di 
lucro, tuttavia, l'attivit� in questione, consistente 
nel ri].ascio delle tessere di riconoscimento, dei 
libretti e scQ:ntrini per le riduzioni ferroviarie e 
dei distintivi, dietro un corrispettivo che supera 
di gran lunga il c�sto del servizio, ha un suo autonomo 
carattere �conomico prevalentemente speculativo, 
distinto dall'attivit� proprie dell'Ente e 
necessarie per il raggiungimento delie anzidette sue 
finalit� istituzionali. 

In contrario, non ha pregio, n� per escludere la 
esistenza di un reddito, n� tanto meno per attribuire 
al menzionato corrispettivo un carattere tributario, 
il rilievo che gli utili ricavati da una tale 
attivit� siano in definitiva destinati dall'Ente alla 
realizzazione delle sue finalit� assistenziali e sociali 
e che dette finalit� questo prosegua in luogo e per 
conto dello Stata. Accertata, infatti, l'esistenza di 
un utile derivante da una attivit� di carattere prevalentemente 
lucrativo, esso � senz'altro tassabile, 
indipendentemente dagli scopi perseguiti dal soggetto 
produttore e dalla concreta destinazione o 
erogazione dell'utile stesso dopo la sua acquisizione 
al soggetto medesimo. 

Sostanzialmente poi diversa � la natura dei suddetti 
versamenti delle quote che sono dovute una 
tantum per i'iscrizione obbligatoria all'UNUOI nella 
misura stabilita dalla legge e che non attengono 
menomamente ad una attivit� speCl�ativa dell'Ente. 


Il ricorso va pertanto rigettato con tutte le 
conseguenze di legge. 

IMPOSTE E TASSE-Successione -Imposta complemenfare 
di registro -Contestazione al momento 
dell'apertura della successione -Non deducibilit� 
dall'asse ereditario. (Corte di cassazione, Sezione I, 
Sentenza, n. 2536/61 -Pres.: Lonardo; Est.: Fresa~ 
P.M.: Toro (conf.)-Riccac. Amministrazione Finanze). 

Il debito d'imposta complementare di registro 
non sorge con la stipulazione dell'atto e neppure 
con la sua registrazione, ma, nell'iP.c;it~si che la 
pretesa dell'amministrazione espressa nell'acce.rii3_-_ 
mento sia eontestata, soltanto quando la contesta-� 
zione stessa sia definita in uno dei modi rituali, ne 
consegue che tale debito, per mancanza del requisiso 
della certezza, non pu� essere ammesso in 
deduzione dall'asse ereditario, ai sensi degli arti



-35


-coli 45 o 50 del regio decreto 30 dicembre 1923, 

n. 3270, qualora, nel momento dell'apertura della 
successione sia ancora in corso la contestazione 
�dell'accertamento. 
Si t?�ascrive la motivazione in diritto della sentenza: 


Con unieo motivo i ricorrenti denunciano la 
violazione degli artt. 45 e 50 del regio decreto 
:30 dicembre 1923, n. 3270, in relazione all'art. 32 
dello stesso decreto e all'art. 15 del decreto legge 
7 agosto 1936, n. 1639. In particolare deducono 
<Che, contrariamente a quanto ritenuto dalla commissione 
centrale, il debito per l'imposta complementare 
in questione era deducibile dal passivo 
�ereditario perch�, sorgendo il debito di imposta, 
sia in via principale . che complementare, con la 
stipulazione dell'atto di trasferimento ed essendo, 
.quindi, il contribuente tenuto al pagamento della 
-complementare fin da quel momento, nella misura 
successivamente fissata dall'amministrazione, il debito 
stesso deve considerarsi certo prima della 
.apertura della successione anche se soltanto pi� 
tardi si � perfezionato, con il concordato, il requisito 
.alla sua liquidit�. 

La censura non � fondata. 

La tesi che i ricorrenti sostengono con dovizia 
di argomentaziani per contrastare la decisione 
adottata dalla commissione centrale, se pure appare 
a prima vista suggestiva e non priva di interesse, 
si rivela, ad un attento esame, inficiata 
da un errore sostanziale cbe la travolge in radice. 
Il debito d'imposta complementare non sorge con 
la stipulazione dell'atto, come sostengono i ricorrenti, 
e neppure con la sua registrazione. In tale 
momento sorge per l'amministrazione finanziaria 
soltanto il diritto a percepire l'imposta determinata 
daila legge, ma non esiste ancora un debito di 
imposta. 

Infatti, il diritto di percepire l'imposta trova 
una prima concreta esplicazione con l'accertamento 
del valore, ritenuto congruo dall'amministrazione, 
ma tale accertamento da vita soltanto ad una. 
pretesa che pu� essere utilmente contrastata dal 
-0ontribuente. Ne segue un vero e proprio giudizio 
di congruit� in fase amministrativa e contenziosa 
nel quale si discute l'an debeatur e cio� se il valore 
accertato dall'ufficio sia esatto e se l'imposta debba 
-essere liq�idata in proporzione di tale valore. � 
�chiaro che fino a quando tale fase di accertamento 
non venga conclusa o con la piena accettazione da 
parte del contribuente ovvero con un concordato o 
-con una decisione definitiva delle commissioni tributarie, 
non solo non esiste giuridicamente l'imposta, 
ma non � certo neppure il diritto dell'amminissrazione 
a percepire un qualsiasi tributo, potendo 
essere riconosciuta l'infondatezza della sua pretesa. 
()i� si verifica in modo particolare quando si tratti 

di imposta complementare in quanto il valore 
dichiarato dal cantribuente all'atto della registrazione, 
pu� essere ritenuto congruo e in tal caso 

viene negata ogni validit� all'accertamento di 
maggior valore fatto dall'amministrazione. Da ci� 
consegue che il requisito di certezza richiesto dallo 
art. 45 del regio decreto 3270 del 1923 sorge soltanso 
quando sia cessata ogni discussfohe sull'accertamento 
di maggiorvalore che costituisce la base 
essenziale per la successiva applicazione e liquidazione 
dell'imposta. 

Tale interpretazione trova perfetta corrispondenza 
nella ratio legis, in quanto la norma in esame 
consente la deduzione della passivit� solo quando 
l'imposta sia divenuta certa nei confronti del de 
cuius e sia quindi giuridicamente esistente nel momento 
dell'apertura della successione. Se a tale 
data sia in corso soltanto una contestazione sulla 
pretesa dell'amministrazione, il debito di imposta 
non solo non � certo, ma � addirittura inesistente 
e potr� sorgere successivamente nei confronti degli 
eredi. quando la contestazione sar� definita in uno 
dei modi rituali. Conseguentemente, nella specie, 
al momento dell'apertura della successione non 
esisteva aneora una passivit� deducibile, non avendo 
il debito d'imposta acquistato certezza ai sensi 
e per gli effetti del citato art. 45 della legge sulle 
successioni. 

Oonforme la sentenza n. 67 del 1962 in causa 
Savoia-Aosta contro Finanze (Pres.: Lonardi; Relatore: 
Htella Richter). 

Le sentenze sono state annotate, in Giust. Civile, 
1962, I, 233) da M. Gagliardi. 

IMPOSTE E TASSE -Tassa di concessione governativa 
prevista dall'art. 114 tabella All. A. testo unico, 

n. 112 del 1953 -Societ� per azioni -Capitale sociale 
-Aumento mediante utilizzazioni delle riserve Tassa 
non dovuta. (Corte di cassazione, Sezione I, 
Sentenza, n. 90/62 -Pres.: Verz�; Est.: Iannuzzi; 
P.M.: Caldarera (conf.) -Finanze c. Soc. !tal. Industr. 
Zuccheri). 
L'aumento del capitale di una societ� per azioni, 
ottenuto mediante utilizzazione delle riserve, importa 
una. mera operazione contabile, concretantesi 
in uno spostamento di somme da una voce all'altra 
del bilancio sociale con la mancanza di un apporto 
effettivo di ricchezza che � la condizione indispensabile 
per l'imposizione della tassa graduale di 
concessione governativa, prevista dall'art. 114 tabella 
allegato .A del testo unico, n. 112 del 20 
marzo 1953. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: 


L'Amministrazione finanziaria denuncia la violazione 
e la falsa applieazione dell'art. 1 �del testo 
unico 20 marzo 1953, n. 112 delle leggi in materia 
di tasse sulle concessioni governative e degli articoli 
114 e 115 della tabella allegato .A del testo 
unico predetto, in relazione agli artt. 2436, 2442, 
2443 e 2424 Codice civile: per avere la sentenza 


-36


impugnata ritenuto che l'aumento del capitale di 
una societ� per azioni ottenuto mediante utilizzo 
delle riserve importa una mera operazione contabile 
concretantesi in uno spostamento di somme 
da una � voce � all'altra del bilancio sociale, con la 
mancanza di un apporto effettivo di ricchezza, che 
� condizione indispensabile per la tassazi�ne ai 
sensi dell'art. 114 citato. 

Premesso che la riserva rappresenta la parte degli 
utili accreditati ai soci, che vengono immobilizzati 
anzich� essere ad essi distribuiti, l'Amministrazione 
deduce che l'aumento del capitale mediante l'utilizzazione 
delle riserve determina un conferimento 
effettivo di attivit� realizzato mediante lo smobilizzo 
di quegli utili appartenenti ai soci e la loro 
destinazione nell'esercizio diretto dell'attivit� ecanomica 
propria della societ�, con l'effetto ulteriore 
di conferire ai soci una maggiore quota di partecipazione, 
mediante la distribuzione di nuove azioni, 

o l'aumento 
di valore delle vecchie. 
Si tratta, quindi, di un effettivo apporto. di una 
nuova ricchezza all� societ�, come ha ritenuto anche 
questa Oorte Suprema con varie decisioni, le quali 
hanno affermato che il passaggio di somme dalla 
riserva a capitale implichi una distribuzione ai soci 
ed il contemporaneo conferimento da costoro alla 
societ� dalle riserve stesse. Tale concetto, espresso 
in prevalenza per l'imposta di registro, � stato di 
recente ribadito, conclude l'Amministrazione; anche 
a proposito della tassa di concessione governativa 
nella motivazione della sentenza, n. 1472 
dell'8 maggio 1956. 
Osserva ia Corte Suprema che, a norma dell'articolo 
114 della tabella A annessa ai testo unico 
20 marzo 1953, n. 112 in materia di tasse sulle 
concessioni governative, sono soggette a tassa graduale 
le iscrizioni nel registro delle imprese di atti 
portanti aumenti di capitale sociale, intendendosi 
per aumento del capitale sociale, a termini della 
nota marginale a detto articolo, �ogni nuovo 
apporto di ricchezza che viene ad aggiungersi a 
quello precedentemente fornito alla soeiet�, ovvero 
l'apporto di ricchezza versato per il reintegro 
del .capitale svalutato o perduto �. Si tratta, quindi, 
di stabilire se il passaggio di riserve a c�pitale 
realizzi un nuovo apporto di ricchezza ai sensi della 
citata disposizione. 
Al riguardo non si pu� trarre argomento favo.iovole 
alla tesi dell'Amministrazione ricorrente dalla 
riehiamata giurisprudenza di questa Oorte Suprema 
in materia di imposta di registro. 
Oi�. perch� l'art. 85 della tariffa allegato A �lla 
legge di registro non contiene la precisazione di 
cui alla nota marginale dell'art. 114 della tabella 
allegato A al testo unico delle leggi in materia di 
tasse sulle concessioni governative; inoltre percb� 
sono diversi i presupposti per l'applicazione delle 
due norme, in quanto la legge di registro colpisce 
l'atto� in relazione ai su.oi effetti giuridici, mentre, 
invece, la norma in esame ricollega l'insorgenza 
della obbligazione tributaria alla iscrizione.nel registro 
delle imprese di una deliberazione sociale 
considerata nei snoi riflessi economici, in quanto 
essa riveli, cio�,. un apporto effettivo di una nuova 

ricchezza,� che viene ad aggiungersi a quella prece


dentemente fornita alla societ�. 

Parimenti non pu� costituire un argomento deciBivo 
a favore della tesi dell'Amministrazione finanziaria 
la considerazione che si legge nella citata 
sentenza di questa Oorte Suprema n. 1472del1956, 
emessa nella materia in discussione, secondo cui il 
trasferimento delle riserve a capitale, acc�m1agnato 
dall'emissione di nuove azioni, costituirebbe 
un nuovo conferimento da parte dei soci, come tale 
assoggettabile alla relativa tassa di conferimento, 
in quanto implicherebbe passaggio delle riserve 
dalla societ� ai soci a titolo di dividendo e da questi 
ultimi alla societ� a titolo di nuovo conferimento. 
Invero tale affermazione pu� essere idonea a giustificare 
l'applicazione della imposta di registro 
-ed � infatti conforme a quella che si legge nelle 
sentenze emesse da questa Oorte nella detta materia 
-relativamente, invece, alla tassa sulle concessioni. 
governative, la steRsa sentenza del 1956 
richiamata dalla ricorrente precisa che la tassa 
graduale presuppone l'apporto effettivo di una nuova 
ricchezza o la reintegra del capitale goduto: 
ci� che � stato negato anche relativamente al caso 
allora esaminato, di devoluzione a capitale sociale 
di un fondo costituito da somme rice'vute dallo 
Stato per indennizzo di navi requisite, appunto 
perc.h� tale fondo era in sostanza una parte dell<> 
stesso patrimonio sociale rappresentato dall'equivalente 
monetario delle navi requisite e perdute. 

Questo � un punto da esaminare, se, cio�, ili 
passaggio di riserve a capitale realizzi un incremento 
del patrimonio sociale mediante un effettivo 
apporto di una nuova ricehezza; ma ci� viene� 
negato anche da coloro i quali ritengono che tale 
operazione importi un arricchimento a favore degli 
azionisti, determinato dallo smobilizzo delle riserve 
con l'attribuzione di un eccezionale dividendo ai 
soci, che si esprime nella distribuzione gratuita di 
nuove azioni o nell'aumento di valore di quelle 
vecchie. 

� Invero le riserve sono formate dall'accantonamento 
parziale degli utili, che costituiscono un 
fonda indisponibile per i soci, essendo conservati 
nel patrimonio sociale per fronteggiare eventuali 
future evenienze; esse sono una parte del patrimonio 
sociale, che si compone appunto di capitale e 
di riserve. Pertanto la deliberazione di aumento� 
del capitale mediante imputazione ad essa� della. 
parte disponibile delle riserve (art. 2442), (anche 
il formine � imputare � designa l'utilizzazione di 
un bene che gi� appartiene al patrimonio del disponente), 
non importa affatto un incremento del patrimonio 
sociale mediante un effettivo apporto di 
una nuova ricchezza, poich�, invece, il valore economico 
del patrimonio rimane immutato e risultano� 
modificati soltanto gli elementi che lo compongono. 


Si pu� ammettere che il passaggio .di riserve a 
capitale realizzi un vantaggio a favore dei soci,. 
quanto meno sotto l'aspetto della disponibilit� 
immediata di una quota per effetto dello smobilizzo 
della riserva; ma si deve sicuramente negare 
che a ci� corrisponda un incremento del patrimonio 
sociale nel suo complesso o che comunque ci�. 


-37


concreti uri. apporto effettivo, da parte degli azionisti, 
di una nuova ricchezza, che� vada ad aumentare 
il capitale considerato isolatamente, come 
>elem�nto distinto dal patrimonio sociale nel su� 
complesso. � 

Se il chiarimento fornito dalla nota marginale 
all'art. 114 deve essere inteso nel senso che � tassabile 
un n~ovo apporto di ricchezza che, aggiuI�gen
�dosi a quello gi� fornito dai soci alla societ�, ne 
aumenti il patrimonio, in tal caso valgono le considerazioni 
sopra esposte, le quali portano a riscontrare 
nel passaggio delle riserve a capitale una 
operazione contabile che si svolge nell'ambito della 
societ�, la quale � un soggetto distinto dai soci, 
senza determinare un incremento del suo patrimonio, 
cb.e resta immutato. 

Se, poi, la dieposizione s'intende nel senso che 
-� rilevante, ai fini dell'imposizione, l'apporto incidente 
soltanto suil'elemento capitale, non si 
riscontrano, tuttavia, le altre condizioni per l'applicazione 
della norma al caso in esame, in quanto 
l'aumento del capitale si realizza in dipendenza 
della corrispondente diminuzione delle riserve, 
cio� di un bene che gi� appartiene all'ente, e non 
mediante un apporto ab extra, da parte degli 
azionisti. 

Si deduce in contrario che la deliberazione d'imputazione 
delle riserve a capitale si attua attraverso 
pi� atti economici distinti e collegati, cio� un ripartizione 
eccezionale di dividendi prelevati dalla riserva 
ed un nuovo conferimento da parte degli 
azionisti che va ad aumentare il capitale, aumento 
cui corrispondono le nuove azioni o il maggior 
valore di quelle vecchie. 

Senonch� tale configurazione complessa ed artifidosa 
non corrisponde al significato del termine 
�imputazione � di cui all'art. 2442 Oodice civile, 
il quale designa l'assegnazione ed il passaggio immediato 
di un valore da uno ad un altro titolo, 
che si attua nell'ambito della sfera giuridico-patrimoniale 
dell'ente disponente, relativamente ad 
un bene che gli appartiene, senza entrare nella 
disponibilit� effettiva dei soci. 

N� siffatto modo d'intendere la deliberazione 
assembleare, come diretta ad attuare un doppio 
passaggio di valori, integra l'ipotesi prevista dalla 
legge tributaria, la quale, nel richledere �un nuovo 
apporto di ricehezza che viene ad aggiungersi a 
quello precedentemente fornito alla societ� �, esige 
un apporto effettivo di ricchezza, un nuovo �rifornimenta 
i> di beni alla societ�, in aggiunta a quelli 
gi� versati, da parte di soggetti ad essa estranei, 
mentre invece in realt�, nel caso in esame, l'aumento 
del capitale si attua mediante una diminuzione 
delle riserve e non mediante versamenti da 
parte dei soci. 

Il solo prece(f,ente in termini della Corte suprema 
� costituito dalla sentenza n. 1472 del 1956 che contiene 
sull'interpretazione della nota marginale all'art. 
114 tariffa in materia di a.umento di capitale 
mediante utilizzazione delle riserve (v. in Foro 
it. 1956, I, 1470) affermazioni nettamente contrarie 
a quelle formulate nella presente sentenza. 

LEGGI -Repubblica sociale italiana -Zona delle Prealpi 
-Conservazione degli organi dell'amministrazione 
italiana -Possibilit� di presentare una domanda 
di riconoscimento di fondazione alla prefettura competente. 


LEGGI -Repubblica sociale italiana -Riconoscimento 
di persona giuridica -Natura amministrativa -
Convalidabilit� ex D.L.L., n. 249 del 1944. (Corte di 
cassazione, Sezione II, Sentenza, n. 2162/61 -Pres.: 
Lorizio; Est.: Danzi; P.M.: Toro (conf.) -Ministero 
Interno c. Buffa). 

Il regime di occupazione instaurato dai tede11chi 
nella c.d. zona delie Prealpi, per quanto pi� intenso 
ed assorbente di qnello esteso al rimanente 
territorio italiano del quale essi avevano il controllo, 
non aveva inteso escludere, n� aveva escluso di 
fatto, nella zona medesima, ogni potest� degli 
organi dello Stato italiano, come risulta dal riconoscimento 
senza riserve della repubblica sociale. 
Tale potest�, pur essendo soggetta a limiti e controlli 
da parte delle autorit� occupanti, continu� 
ad esplicarsi anche in detta zona nel quadro delle 
legislazione italiana ed a mezzo della preesistente 
struttura amministrativa dello Stato italiano che 
aveva conservato i suoi uffici ed i suoi organi 
pur nella veste illegittima, ma di fatto operante, 
della repubblica sociale italiana. � pertanto da 
escludere che, sul piano giuridico fosse da considerare 
impossibile, nella zona suddetta, il compimento 
dell'atto iniziale del procedimento amministrasivo 
per il riconoscimento di una fondazione, 
atto che ha valore di mera denuncia, idonea a 
sollecitare l'attivit� della pubblica amministrazione 
(la quale pu� anche procedere di u:q�cio al riconoscimento 
a norma dell'art. 2 delle disp. att. codice 
civile), e che avrebbe potuto essere ugualmente 
presentato alla prefettura, che aveva continuato a 
funzionare sotto la direzione del commissario _:.. 
prefetto di nomina germanica, e che, a norma 
dell'art. 94 del regio decreto 5 febbraio 1891, 

n. 99, era l'organo competente a riceverlo ed a 
promuovere l'emissione del riconoscimento. 
Il riconoscimento delle persone giuridiche rientra 
tra i compiti di organizzazione propri dell'azione 
amministrativa e si attua, dopo un'indagine 
sulla legalit� ed opporunit� del nuovo ente, con 
un decroto del Capo dello Stato (o del prefetto 
a tala fine delegato dal Governo); tale decreto ha, 
quindi, natura di un normale atto amministrativo 
e come tale, se emanato dal governo della repupplica 
sociale italiana, � suscettibile di convalida 
a norma del D. L. L. 5 ottobre 1944, n. 249. 

Si trascrive la motivazione in diritto della sentenza 
relativamente alle massime sopra riportate. 

La tesi della impossibilit� giuridica non � conciliabile 
con l'indirizzo giurisprudenziale -seguito 
da questa Suprema corte (sent. 18 giugno 1953, 


n. 1829 e altre successive) ed al quale si � correttamente 
uniformato il giudice di rinvio. A questo 
proposito � opportuno ricordare che il regime di 
occupazione istaurato dai tedeschi nella cosi detta 

-38


Zona delle Prealpi, per quanto pi� intenso ed assorbente 
di quello esteso al rimanente territorio 
italiano del quale essi avevano il controllo, non 
aveva inteso escludere, n� aveva escluso di fatto, 
nella zona medesima ogni potest� degli organi 
dello Stato italiano, come risulta dal riconoscimento 
senza riserve della repubblica sociale. Tale 
potest�, pur essendo soggetta a limiti e controlli 
da parte delle autorit� occupanti, continu� ad 
esplicarsi anche in detta zona nel quadro della 
legislazione italiana ed a mezzo della preesistente 
struttura amministrativa dello Stato italiana che 
avevf.li conservato i suoi uffici ed i suoi organi pur 
nella veste illegittima, ma di fatto operante, della 
repubblica soeiale italiana. Qnesto rilievo che trova 
la, migliore conferma nel numero e nella natura 
dei provvedimenti emanati da tale governo di 
fatto proprio per ia zona delle Prealpi, � sufficiente 
�per escludere che, sul piano giuridico, fosse da 
considerare addirittura impossibile il compimento 
dell'atto iniziale del proeedimento amministrativo 
per il riconoscimento della fondazione. 

Tale atto, come gi� � stata messo in luce dalla 
sentenza di annullamento, ha infatti valore di 
mera denuncia, idonea a sollecitare l'attivit� della 

P . .A. (la quale, per quanto riguarda le fondazioni, 
pu� procedere anche d'ufficio al loro riconoscimento 
a norma dell'art. 2 delle disposizioni di attuazione 
del codice civile) e non � pertanto soggetto 
ad alcun rigore formalistico . .Accertata la persistenza 
dell'organo .amministrativo (prefettura) cui 
avrebbe dovuto essere presentata l'istanza, non 
pu� ravvisarsi valido motivo di impossibilit� nel 
fatto che la 1:1tessa non era indirizzabile in quel 
momento al Luogotenente generale del Regno, 
cio� al Capo dello Stato legittimo. 
� anzitutto da rilevare in proposito che tale 
intestazione non costituisce un requisito formale 
indispensabile alla validit� della richiesta se questa, 
ha, come si � detto, lo scopo precipuo di stimolare 
l'azione amministrativa e il contenuto sostanziale 
di una denuncia il cui aspetto essenziale � soltanto 
quello di portare a conoscenza dell'autorit� amministrativa 
Ja disposizione testamentaria relativa 
alla istituzione della fondazione. Ma deve altresi 
considerarsi che l'istanza avrebbe ugualmente raggiunto 
il proprio effetto se ne fosse stata imposta 
l'intestazione al Capo della repubblica sociale, 
come espressione del governo di fatto. Sotto questo 
profilo specifico si obietta dai ricorrenti che la 
migliore riprova della dedotta impossibilit� giuridica 
sarebbe fornita dal rilievo che un'istanza cosi 
indirizzata non sarebbe stata comunque idonea a 
promuovere un valido riconoscimento della fondaziOne 
perch� il relativo decreto, se emesso dal 
Capo della Repubblica sociale, sarebbe stato privo 
di efficacia giuridica, essendo tale sanzione prevista 
dall'art. 1, n. 1 dei D.L.L. 5 ottobre 1944, n. 249 
per tutti gli atti di governo della Repubblica sociale, 
compresi quelli riferentisi alla zona delle 
Prealpi. Tale obiezione � per� inaccoglibile, non 
potendo convertirsi nel suo presupposto che � quello 
di includere tra gli atti di governo il decreto di riconoscimento 
di una fondazione. Ed invero, secondo 
la teoria della causa oggettiva, che � oggi quella 

dominante, sia in dottrina, che in giurisprudenza.,. 
atto politico pu� considerarsi soltanto quello cheha 
appunto per oggetto di provvedere ai supremi 
interessi dello Ssato, tanto nei riflessi interni, ehe 
in quelli internazionali, � cosicche �� ia sua causa 
venga a coincidere can tale esigenza di difesa e 
di conservazione. Il riconoscimento delle persone 
giuridiche rientra invece tra i campiti di organizzazione 
propri dell'azione amministrativa ed esso 
si attua, dopo una indagine sulla legalit� ed opportunit� 
del nuovo ente, con un Decreto del 
Capo dello Stato (o del Prefetto a tale fine delegato� 
dal Governo), cio� con un normale atto amministrativo 
che � soggetto, come tutti gli atti di tale 
categoria, al sindacato di legittimit�. Ora proprio 
in forza dello stesso D.L.L. 5 ottobre 1944, n. 249, 
sono stati convalidati tutti i provvedimenti egli 
atti amministrativi emanati dal gaverno della 
Repubblica sociale e non contemplati nella categoria 
a enumerazione degli atti privi di efficacia 
giuridica. Q�est'ultimo rilievo esaurisce veramente 
l'argomento mostrando l'inconsistenza della tesi 

della impossibilit� giuridica. 

A sostegno del ricorso l' A vvooatura Generale aveva; 
sostenuto quanto segue: 

Illogicit� e contraddittoriet� della motivazione 
-Omessa pronuncia su punto decisivo: art. 360, 

n. 5 Codice procedura civile -Violazione e falsa. 
applicazione dell'art. 9 regio decreto 5 febbraio 
1891, n. 99, in relazione all'art. 33 legge 17 luglio 
1890, n. 972 ed all'art. 12 Codice civile: art. 360~ 
n. 3 codice procedura civile. 
.A guardare bene il fondo delle cose, la Corte di 
.Appello. di Brescia di fronte al problema della 
consegna tempestiva dell'istanza di riconoscimento 
della fondazione alla pubblica autorit�, doveva. 
indagare quanto meno su tre punti: 

Primo: se esistesse l'Organo consegnatario 
(Prefetto); 

Secondo: se quest'Organo rappresentasse legalmente 
l'Organo destinatario (Re), ovvero fosse 
inserito in altro diverso ordinamento; 

Terzo: se -data la situazione della zona, 

soggetta ad un regime, per il quale il meno che si 

possa dire � che si trattava d'un ordinamento di 

fatto -l'emanazione di un atto del genere di quello 

che veniva richiesto rientrasse nella categoria di 

quelli che l'autorit� di fatto pu� -secondo le 

vedute giuridiche comuni -validamente emet


tere. 

La Corte di merito si � fermata al punto di affer


mare la presenza in looo del Commissario Prefetto, 

rilevando che, bene o male, uno sportello, al quale 

consegnare il foglio in bollo conteneii.t� l'istanza 

di riconoscimento, era aperto. -


Ha trascurato invece il punto essenziale: guar


dare -cio� -a chi l'istanza predetta. doveva. 

essere indirizzata: in altre parole come il foglio 

in bollo doveva essere intestato. 


::4 :i ::4 :i 
-39 -


Giacch� non occorre copia di argomenti giuridici 
per dimostrare che un atto consegnato al Commissario 
Prefetto di Trento (in ragione della carica 
da questo personaggio rivestita: art. 94 Reg. cit.) 
non poteva essere diretto altro che al Capo della 
sedicente Repubblica Sociale Italiana, nel cui ordinamento 
tale Commissario Prefetto si inseriva 
(Pe non addirittura alle Autorit� d'occupazione 
germaniche, dato lo stato di pre-annessione in cui 
si trovava allora il Trentino). 

A.d ogni modo -e certamente -non al Re, 
n� al Luogotenente. 
E ci� non solo per la difficolt� (scil. impossibilit�) 
del fatto in s� (basti riandare con la mente alla 
situazione dell'epoca); non solo perch� la stessa 
giuridica esistenza, pi� ancora che l'autorit�, dell'ordinamento 
del Regno del Sud con annesso Sovrano, 
JJuogotenente ecc., si trovava.no ad essere 
non tanto contestate, quanto negate in radice dal 
predetto ordinamento di fatto, ma principalmente 
per l'insusl.'listenza di quel nesso di dipendenza e di 
rappresentanza tra Prefetto e (Governo del) Re 
che � il presupposto per il funzionamento dell'articolo 
94 del Regolamento del 1890. 

Quindi, il;riconoscimento della fondazione avrebbe 
dovuto essere richiesto al Capo della Repubblica 
Sociale Italiana. � 

Ma non crediamo vi sia qualcuno che non veda 
quanto ripugni ad una sana concezione giuridica 
la richiesta di un atto di allegeance ad un ordina� 
mento ed ad un'aut9rit�, entrambi segnate dal 
crisma dell'illegittimit�, perch� -agli effetti dell'ordinamento 
giuridico �legittimo i> -un ~itto 
sia mantenuto. Eppure, questo dice in definitiva 
la sentenza bresciana, se considerata nelle sue 
conseguenze ultime: �se tu vuoi oggi far valere 
la tua pretesa al lascito De Buffa, dovevi nel marzoapriie 
1945 rivolgere una istanza ad un'Autorit�, 
gi� allora definita illegittima, riconoscendo a questa 
poteri ed attribuzioni sovrane >>. 

E ci� crediamo che basti per quanto concerne 
l'aspetto soggettivo del fenomeno esaminato. 
Ancora pi� interessante -se possibile -� 
l'aspetto oggettivo. 

La domanda di riconoscimento, se presentata 
all'epoca pretesa dalla Corte d'appello di Brescia, 
(marzo-apriie 1945) avrebbe eccitato l'emanazione 
di un provvedimento dichiarato nullo di pieno 
diritto dall'art. 1 decreto legislativo luogotenenziale 
5 ostobre 1944, n. 249, gi� in vigore alla 
epoca medesima. 

E, siccome la validit� di un procedimento amministrativo 
si valuta -di regola -in base all'atto 
finale dello stesso, crediamo non sia eccessivamente 
audace ritenere che la domanda, intesa a 
ottenere un atto nullo di pieno diritto (e di nullit� 
insanabile), sia di per s� giuridicamente invalida. 

Il riconoscimento di una persona giuridica come 
atto inteso ad inserire ed a rendere operante 
nell'ordinamento giuridico un nuovo soggetto, con 
caratteristiche pubbliche -non � un comune 
atto amministrativo speciale, ma un �atto di Governo 
n. Lo ha riconosciuto, in pratica, la Corte 
costituzionale nella sentenza 9 marzo 1959, pronunziando 
sul ricorso 27 maggio 1958 proposto 

dalla Regione Siciliana per conflitto di attribuzionai. 
circa il .decreto del Presidente della Repubblica 2T 
novembre 1957, n. 1444, con il quale veniva eretta. 
in ente morale la Cassa scolastica di una Scuole 
media statale. JJa Oorte dic:.iarava , la competenza 
dello Stato in re subiecta proprio per la particolare 
natura dell'atto di conferimento della personalit� 
giuridica. 

E, del resto, di atti del Governo del Re parla,. 
ad esempio, l'art. 33 della legge sulle istituzioni 
di beneficenza l 7 luglio 1890, n. 972, che bene si 
adatta al caso in esame. 

Ora, se qui si � di fronte ad un atto di governo,, 
opera la nullit� fulminata dall'art. 1 decreto legislativo 
luogotenenziale ottobre l 944, n. 249, che 
equipara gli atti di governo alle leggi ed ai regolamenti 
della Repubblica Sociale Italiana. 

In conseguenza, la Corte di Brescia con il pretendere 
che la domanda fosse fatta sotto l'imperi0> 
della Repubblica Sociale, viene a dire in sostanza. 
c�e la ]fondazione avrebbe dovuto con un propri<> 
atto (per noi, invalido, ma che pu� anche immaginarsi 
valido: ci� non � decisivo) provocare l'emanazione 
di un atto nullo di pieno diritto. 

USUCAPIONE-Cause di sospensione dipendenti dallo� 
stato di guerra -Inapplicabilit�. (Cassazione -26. 
gennaio 1962, n. 139, Sezione II -Pres.: Lorizio~ 
Est.: Serra; P.M.: Trotta (conf.) -Susanna (avv. 
Morvillo) c. Barra (avv. Leone). Conferma appello, 
Napoli, 30 giugno 1959. 

Se per l'art. 1166 Oodice civile (come per l'analoga 
norma dell'art. 2121 Ood. c. del 1865) non 
hanno efficacia, nella usucapione ventennale � dei 
diritti immobiliari, rispetto al terzo possessore,. 
le cause di sospensione tra l'altro dipendenti da 
una condizione soggettiva del titolare del diritto,. 
come quella del militare in guerra (art. 2942, n. 2: 
Ood. c.), collegata all'impossibilit� o somma difficolt� 
di esercizio del diritto, a maggior ragione 
siffatto principio deve operare nella ipotesi in cui 
meno si pone l'esigenza di tutela dei soggetti interessati, 
contro il corso deila prescrizione, per esseresoltanto 
considerata in relazione alla stato di guerra, 
in cui si trova la generalit� dei cittadini o non 
pure alla qualit� di militare in guerra. 

In tema di usucapione ventennale di diritti 
immobiliari, pertanto, non sono applicabili, nei' 
confronti del terzo possessore, le norme di sospensione 
dei termini di prescrizione di cui ai decreti' 
legge 3 gennaio 1944, n. 1 e 24 dicembre 1944, numero 
392 (cause di sospensione dipendentid allo, 
stato di guerra). 

* * * 

La massima, pubblicata sui Massimarfo _del fore 
italiano 1962, col. 40, ci ha sorpresi e pi� ancora, _ 
ci ha sorpresi la circostanza che la nota richiama 
la conforme sentenza 12 novembre 1958, n. 1700,' 
trascurando del tutto la successiva sentenza, difforme, 
(23 marzo 1959, n. 897, Oass. II, Pres.: 


I

=U:Ff??f???J?F & ;[[Ll&MM=bi 1�&ta 


:omeppa; Est.: Flore; P.M.: Mazza conforme), pub� 
blicata sullo stesso Massimario 1959, col. 164 e, 

per esteso, in Giustizia civile, _1959; I, 814. � 
' Questa sentenza, che � stata seguita da altre 
"Conformi (Cass. II, 16 giugno 1959, n. 1853, Pres.: 
Fibbi; Est.: Restaino; P.M.: Gentile; conforme, in 
"Mass. Foro it. 1959, col. 347; Cass. II, 18 febbraio 

1961, n. 360, Pres.: Varallo; Est.: Pedroni; P.M. 
Colonnese, conforme, ivi, 1961, col. 80; Cass. II 
29 agosto 1961, .Pres.: Fibbi; Est.: Rapisarda; 

P.M.: Toro, conforme, �ivi, 1961, col. 5i5) si �era 
dat� carico della incertezza della giurisprudenza 
ed aveva proceduto ad un attento e meditato 
riesame della questione, pervenendo ad una soluzione, 
che ben poteva e, �a. nostro arvviso, doveva 
costituire giurisprudenza consolidata. 

Ci auguriamo, pertanto, che la Corte regolatrice 
consolidi la sua giurisprudenza in una materia 
cosi delicata, rendendo� veramente certo il diritto 
ed evitando disparit� di trattamento. 

CONSIGLIO DI STATO 


DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per effetto 
del Trattato di Pace -Valutazione -Classificazione 
secondo categorie generali -Legittimit� Discrezionalit� 
tecnica -Valutazione -Secondo le 
risultanze catastali -Legittimit�. (Consiglio di Stato, 
Sezion(il IV, dee. n. 9/62 -Pres.: Bozzi; Est.: CucciaSbis� 
ed altri c. Ministero Tesoro). 

L'Ufficio tecnico erariale, nel procedere alla 
valutazione dei beni italiani confiscati all'estero 
in applicazione del Trattato di pace, legittimamente 
ha fatto riferimento a classificazioni generali 
che l'Amministrazione non era tenuta a rendere 
di pubblica ragion�. 

L'apprezzamento compiuto dall'Ufficio Tecnico 
erariale, ai fini della liquidazione dell'indennizzo, 
delle caratteristiche dei beni confiscati all'estero 
in base al Trattato di pace, costituisce valutazione 
di carattere tecni�o-discrezionale non sindacabile 
in sede di giudizio di legittimit�. 

Legittimamente si procede alla liquidazione dello 
indennizzo di beni rustici confiscati all'estero in applicazione 
del Trattato di pace tenendo conto delle 
risultanze ca.tastali, ove gli interessati non dimostrino 
che queste non erano rispondenti alla realt� 
in conseguenza di migliorie apportate ai fondi. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della deci8ione. 


Il ricorso � infondato. 

Col prin�o e col terzo motivo, che stante la loro 
connessione, vanno esaminati congiuntamente, si 
censura il provvedimento impugnato per eccesso 
di potere, sotto il profilo del travisamento dei fatti 
e di errore nell'iter logico. I ricorrenti, premesso 
che i criteri adottati dall'Amministrazione er il 
classamento e l'apprezzamento dei beni confiscati 
dal Governo iugoslavo nell'Istria in danno dei cittadini 
italiani, appaiono arbitrariamente rigidi, 
essendosi parificati cespiti diversi per natura 
intrinseca, e che, inoltre, tali criteri non sono stati 
resi pubblici a mezzo di circolari o normali, con 
normazione delle guarentigie degli interessati deducono: 


a) i fabbricati sono stati valutati in base ai 
dati catastali e non in base alla realecubatura, 

per le quali i ricorrenti fanno riferimento allaperi� 
zia, all'atto notorio e alle mappe da essi prodotti; 

b) quelli fra detti fabbricati, che hanno carattere 
signorile sono stati classificati come fabbricati 
di tipo mediocre; 

e) le parti!}elle agricole sono state considerate 
senza tenere conto dei miglioramenti agrari apportati; 


d) le scorte, morte e vive, non possono (alla 
luce della documentazione depositata dai ricorrenti) 
non ritenersi adeguate alla importanza della 
azienda agricola; 

e) i boschi denunciati non sono semplici boschi 
cedui, ma costituiscono nel loro insieme una pineta 
di notevole valore panoramico turistico. 

Osserva il Collegio che la premessa del ragionamento 
dei ricorrenti � in radice inattendibile, in 
quanto intacca i principi del metodo estimativo, 
che, come � noto, consiste nel riconoscimento della 
appartenenza del bene ad una delle classi formate 
con beni analoghi di prezzo noto, sulla base di un 
parametro comune a tutti i beni; con che soltanto � 
possibile conferire oggettivit� al giudizio di stima. 
Ne da tali principi si sono discostati gli Uffici 
tecnici per la valutazione dei beni confiscatinelle 
zone istriane. Infatti, sia peril classarriento di tali 
beni, sia per la determinazione dei prezzi unitari 
(da applicare con riferimento al mercato del 1938, 
come prescritto dalla legge 8 novembre 1956, 

n. 1325) sono stati compiuti, come ha precisato 
l'Avvocatura Generale dello Stato, indagini e studi 
accurati, utilizzando la collaborazione dei tecnici 
degli uffici erariali di Trieste e di Gorizia, e consultando 
presso gli archivi degli uffici medesimi 
un abbondante materiale costituito da monografieprezziari, 
stime per espropri, valutazioni per tra, 
sferimenti di propriet� soggetti a registro, ecc. 
.A volere seguire la tesi dei ricorrenti si sarebbe 
dovuto, invece adottare un parametro specifico 
per la valutazione dei loro beni. Una soluzione del 
genere, se dovesse prevalere, sarebbe veramente 
aberrante non soltanto in rapporto ai principi della 
metodologia estimativa, ma anche nei riguardi 
della tutela dei diritti degli stessi interessati, i qual� -solo 
dall'adozione di criteri generali ed obbiettivi, 
pu� essere veramente garantita, e ci� tanto pi� 
quando, come nella fattispecie, si tratta di terri



-41


tori sconvolti dalla guerra, nei quali, alle grandi 
difficolt� frapposte dall'anormale situazione, ha 
dovuto supplire la consumata esperienza e la scrupolosa 
diligenza del personale incaricato delle 
valutazioni. 

Quando alla doglianza relativa alla mancata 
pubblicazione dei criteri -base per le operazioni 
di stima, i ricorrenti mal si appongono in quanto 
si tratta di norme interne, stabilite dall'Amministrazione 
nell'esercizio del potere di autolimitazione 
della propria attivit�; quindi le norme stesse, 
non rivestendo carattere giuridico, non dovevano 
essere pubblicate. 

Interessante e convincente decisione su questioni 
di notevole rilievo economico, che conferma la esattezza 
del comportamento dell' .Amministrazione e la 
legittimit� del procedimento seguito anche in tutti i 
casi di applicazione della legge n. 1054 del 1950, 
che si fonda sugli stessi principi della legge n. 1325 
del 1956. 

DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per ef� 
fetto del Trattato di Pace -Zona B Territorio di Tri� 
este -Indennizzo -Legge n. 269 del 1958 �-Pretesa 
incostituzionalit� ex art. 81 Cost. -Manifesta infondatezza 
-Pretesa incostituzionalit� ex art. 42 cost. Manifesta 
infondatezza -Pretesa incostituzionalit� 
ex artt. 25, 27, 100, 102 Cost. -Manifesta infonda� 
tezza -Pretesa incostituzionalit� ex art. 3 Cost. Manifesta 
infondatezza. 

DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per effetto 
del Trattato di Pace -Zona B, territorio di 
Trieste -Indennizzo -Valutazione riferita al 1938 Legittimit�. 
(Consiglio di Stato, Sezione IV, dee. 

n. 51/62 -Pres.: Bozzi C.; Est.: Urciuoli-Fragiacomo 
c. Ministero Tesoro). 
� manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit� 
della legge 18 marzo 1958, n. 269, 
concernente l'indennizzo dei beni italiani abbandonati 
nella zona B del Territorio di Trieste, dedotta 
sotto il profilo del contrasto con l'art. 81 Oost., in 
quanto la legge non indicherebbe la spesa necessaria 
e i fondi disponibili. 

� manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit�. 
della legge 18 marzo 1958, n. 269 
concernente l'indennizzo dei beni italiani abbandonati 
nell~ zona B del Territorio di Trieste, dedotta 
sotto il profilo di manifesta violazione dell'art. 42 
Oost. non potendosi identificare l'ipotesi dell'indennizzo 
dei beni confiscati da Stati esteri con quella 
di espropriazione per la pubblica utilit� contemplata 
dalla disposizione costituzionale invocata. 

La procedura per gli indennizzi previsti per i 
beni abbandonati nella zona B del Territorio di 
Trieste dalla legge 18 marzo 1958, n. 269 non costituisce 
un giudizio speciale e il relativo procedimento 
si conclude con un provvedimento amministrativo, 
impugnabile, nei limiti della giurisdizione 
di legittimit�, dinanzi al Oonsiglio di Stato; 
pertanto � manifestamente infondata la pretesa 

incostituzionalit� della legge predetta sotto il 
dedotto profilo del contrasto con gli artt. 27prim� 

comma, 25 secondo comma, 100 e 102 Oost. 

� manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit� 
della legge 18 marzo 191')"8, n. 269 
dedotta sotto il profilo della violazione dell'art. 3 
Oost., in quanto sarebbe stato praticato ai profughi 
della zona B un trattamento difforme meno 
favorevole rispetto a quello usato per la liquida 
zione dell'indennizzo di beni situati in altri s~ati. 

Legittimamente l'.Amministrazione, nel pr-ocedere 
alla liquidazione degli indennizzi previsti dall 
legge 18 marzo 1958, n. 269 per i beni abbandonati 
nella zona B del Territorio di Trieste fa riferimento 
ai valori del 1938. 

Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza. 


Per meglio definire e circoscrivere i termini della 
controversia, giova anzitutto ricordare che il Trattato 
di Pace non contemplava alcuna tutela per 
i beni dei non optanti, mentre, per quanto riguardava 
quelli degli optanti, prevedeva che dovesse 
applicarsi lo stesso trattamento riservato ai cita 
dini iugoslavi. Proprio allo scopo di non lasciare 
esposti i non optanti alla applicazione unilaterale 
delle leggi sulla r!forma agraria, sulla nazionalizzazione, 
sulla espropriazione ecc., il Governo italiano 
addivenne alla stipulazione, con il Governo 
della Repubblica Jugoslava, dell'accordo 23 maggio 
1949, in forza del quale il Governo Jugoslavo 
avrebbe dovuto indennizzare i beni di propriet� 
di cittadini italiani, situati nel territorio ceduto 
alla Jugoslavia a termini del Trattato di Pace o 
sul vecchio territorio iugoslavo, e che erano stati 
nazionalizzati, sulla base dei prezzi in vigore su 
libero mercato nell'anno 1938, moltiplicati per un 
coefficiente di rivalutazione da determinare. 

Per i beni che erano stati confiscati era invece 
previsto il pagamento, da parte della Jugoslavia, 
di una somma foriettaria (da determinare) mentre, 
per quelli cos� detti liberi si prevedeva l'acquisto, 
sempre da parte del Governo Jugoslavo al prezzo 
stabilito per i corrispondenti beni nazionali. Una 
commissione mista italo-ugoslava doveva compilare 
la lista dei beni da ammettere all'indennizzo, 
procedere alla classificazione di tali beni per categorie 
omogenee, stabilire per ciascuna categoria 
un prototipo, attribuire un adeguato valore a tale 
prototipo e rapportare, infine, il valore dei singoli 
beni a quelli delle categorie e prototipi corrispondenti. 


Per dare immediata attuazione a tale accordo, 
che fu ratificato solo molto tempo dopo (e precisamente 
con legge 10marzo1955, n. 121) con la legge 
5 dicembre 1948, n. 1064, fu disposto che i titolari 
di beni, diritti e interessi italiani del territorio 
ceduto alla Jugoslavia e nell'antico territorio Jugoslavo, 
sottoposti alla nazionalizzazione, all::niforma 
agraria, o a qualsiasi misura di carattere generalee 
particolare concernente la propriet� Jugoslavia, 
erano tenuti a presentare denuncia di tali beni al 
Ministero del Tesoro entro il 15 dicembre dello 
stesso anno. 


-42


L'art. 4 di tale legge prevedeva che ai titolari dei 
beni e diritti di cui sopra sarebbe stato liquidato 
un indennizzo nei limiti in cui �esso sar� liquidato 
�dal Governo ugoslavo � in esecuzione dell'accordo 
suddetto. La liquidazione degli indennizzi, concordati 
con il Governo Jugoslavo, agli aventi diritto, 
doveva essere fatta da una apposita Commissione 
interministeriale, presieduta da un alto magistrato. 

La pratica attuazione dell'accordo del 1949 non 
relizz� per� le previsioni dei :firmatari e non corrispose 
alle asp�ttative degli aventi diritto: infatti, 
la Commissione mista che doveva procedere alla 
stima beni, non riusc� di fatto ad assolvere il suo 
-0ompito, per le notevoli difficolt� che ad ogni 
passo doveva superare, stante le quasi materiale 
impossibilit� di raggiungere un'intensa fra le due 
deiegazioni sul valore dei beni, la scelta dei proto 
tipi, ecc. 

In una siffatta situazione, si rese necessaria 
l'emanazione di un'altra legge (legge 31 luglio 1952, 

n. 1131) che consentisse la concessione, agli aventi 
diritto, di anticipi per un totale di 15 miliardi d� 
lire; nella determinazione dell'importo dei singoli 
anticipi, si doveva tenere conto sia del valore del� 
bene abbandonato che delle condizioni economiche 
degli aventi diritto, in modo da favorire i meno 
abienti. 
Alla copertura della spesa si provvide mediante 
trattenuta di 10 miliardi sul conto riparazioni alla 
Jugoslavia e mediante esborso del Tesoro per la 
parte residua. 

La corresponsione di tali acconti, che furono 
poi liquidati della Commissione Interministeriale 
sopra citata, su stime di valore autonomamente 
eseguite dai competenti Uffici tecnici italiani, aveva 
per� attenuato solo in parte lo stato di disagio dei 
-0ittadini che avevano abbandonato i loro beni in 
territorio Jugoslavo e che si trovavano ancora nella 
materiale impossibilit� di iniziare un'attivit� in 
Italia. 

D'altra parte, i lavori della Commissione mista 
prevista dall'accordo del 1949 si erano praticamente 
arenati, perdurando la impossibilit� di superare 
le difficolt� di cui si � sempre parlato e di conseguenza 
era venuta meno anche la possibilit�, 
pratica oltre che giuridica, che la Commissione 
Intermiuisteriale assolvesse il compito che la legge 
del 1949 le avesse affidato, consistente nella liquidazione 
dell'indennizzi sulla base delle valutazioni 
fatte dalla Commissione mista' 

In una siffatta situazione, il Governo italiano 

ritenp.e opportuno addivenire alla stipulazione di 

un nuovo accordo con la Repubblica Jugoslava, 

per definire le anzidette questioni, olti,:e a tutte le 

altre rimaste ancora insolute e che rischiavano con


tinuamente di turbare, se non proprio compro


mettere, i rapporti di buon vicinato fra i due 

Paesi. 

Questo accordo, che fu concluso il 18 dicembre 
1954 e reso esecutivo con decreto delPresidente 
della Repubblica 11 marzo 1955, n. 210, modi:fi-
0ava sostenzialmente le precedenti pattuizioni, 
abbandonando il criterio della valutazione dei singoli 
beni e quindi dell'indennizzo ai singoli proprietari. 


Con lo stesso atto, il Governo ugoslavo mise a 
disposizione dell'Italia la somma complessiva 
di 70 milioni di dollari, pari a 45 miliardi di lire, 
con la quale dovevano essere t1;t.citati tutti gli 
aventi diritto all'anzi detto totolo. 

Nella impossibilit� di effettuare una valutazione 
analitica dei singoli beni, si era quindi ritenuto 
opportuno addivenire ad una valutazione globale 
che consentisse di porre fine, nel migliore, pi� sollecito 
e conveniente dei modi, alle numerose questioni 
cui aveva dato luogo l'accordo del 1949. 

Per procedere alle definizioni delle singole pra 
tiche, in base al nuovo accordo, e per consentire 
alla Commissione interministeriale di portare a 
termine i suoi lavori con l'urgenza del caso, si ritenne 
opportuno, ed a tanto si provvide con la legge 
8 novembre 1956, n. 1325, stabilire delle aliquote 
rigide per la liquidazione degli indennizzi, che 
dovevano essere calcolati sulla base dei valori 
attribuiti ai singoli beni nel 1938, moltiplicati per 
i seguenti coefficienti di maggiorazione: 

a) 35 sino al valore di L. 200.000 lire; 
v) 20 sul valore eccedente le 200.000 e sino 
a L. 2.000.000. 

Sui valori eccedenti i due milioni di lire veniva 
invece applicato il coefficiente risultante dal residuo 
delle somme disponibili dopo la liquidazione 
di cui alle lettere a) e b). In attesa della determinazione 
di tale coefficiente il Ministero del Tesoro 
poteva tuttavia, concedere acconti in base ad un 
coefficiente di maggiorazione non superiore a 5. 

Si sviluppava e si completava cos� il sistema gi� 
previsto per la concessione degli anticipi, nella 
considerazione che il valore globale dei beni abbandonati 
superasse ampiamente l'importo messo a 
disposizione della Jugoslavia e che, in una siffatta 
situazione, dovessero essere preferiti i meno abienti, 
nello spirito della legge 31 luglio 1952, n. 1131, pur 
assicurando la definizione della posizione di tutti 
gli aventi diritto. 

Le citate disposizioni non poterono per� trovare 
applicazione nei confronti dei beni abbandonati 
nella cos� detta zona B) dell'ex Territorio !Jibero 
di Trieste, che secondo il Trattato di Pace, doveva 
rappresentare uno Stato cuscinetto fra l'Italia e la 
Jugoslavia. Com'� noto, tale zona, continu� invece, 
ad essere occupata militarmente dalla Jugoslavia, 
fino a quando, con l'accordo di Londra del 5 ottobre 
1954, non furono riconosciuti a tale Paese il 
diritto alla Amministrazione civile della zona B) 
ed all'Italia i pieni diritti su Trieste. 

Le trattative, immediatamente intraprese con 

la Jugoslavia, per la concessione di indennizzi per 

i beni abbandonati dagli italiani che si erano allon


tanati dalla Zona B), prima e sopratutto dopo la 

firma del suddetto accordo di Londra, non anda


rono a buon fine. Pertanto, e non essendo dato 

prevedere quando la questione della sistemazione 

di tali rapporti potr� trovare una soluzione concor


data, il Governo propose un sistem� provvisorio 

per la liquidazione dei danni subiti dai suadettV 

cittadini, che, con l'approvazione del Parlamento, 

fu poi recepito nella legge 18 marzo 1958, n. 269. 

Ai sensi delle disposizioni ivi contenute, l'indennizzo 

da corrispondere a favore dei cittadini titolari di 


-43


beni, diritti ed interessi situati nella zona B) dell'ex 
'Territorio Libero di Trieste, rimasta sotto l'Amministrazione 
Jugoslava, � calcolato sulla base del 
valore 1938 attribuito ai singoli beni, moltiplicato 
per un coefficiente di maggiorazione di 40, 20, 
7 volte, a secondo che tale valore fosse inferiore 
rispettivamente a L. 1.200.000 e a L. 2.000.000 e, 
,nell'ultimo caso, superiore ai due milioni di lire. 

Dell'indennizzo sono esclusi coloro che non 
avevano presentata la dichiarazione di rinuncia 
.alla residenza in Zona B) prima del 5 gennaio 1956. 

L'art. 3 prevede in particolare che per i beni 
�non sottoposti a misure limitative della propriet� 
�emanate dalle autorit� civili e militari Jugoslave) 
-cos� detti beni liberi) la concessione dell'indennizzo 
� subordinata alla condizione che i titolari si trovino 
nella impossibilit� di fatto di esercitare i loro 
diritti sui beni abbandonati nella Zona B), cedano 
tali loro diritti allo Stato italiano e si impegnino di 
versare allo stesso le somme che abbiano a ricevere 
�da chiunque in relazione a detti diritti. 

L'ampiezza di questa premessa, assolutamente 
necessaria per inquadrare la questione nell'ambito 
dei complessi rapporti fra l'Italia e la Jugoslavia, 
-cui ha dato luogo, il Trattato di Pace, consente di 
esaminare agevolmente i singoli motivi di gravame 
-ed in particolare quelli che si riferiscono ad una 
:pretesa incostituzionalit� di alcune delle disposi.
zioni contenute nella legge n. 269 del 1958: 

A) la prima eccezione di incostituzionalit� 

{viol. art. 81 della Costituzione) concerne come si 

� visto, la mancata indicazione in tale legge della 

spesa necessaria e della somma disponibile. 

Al riguardo, si osserva che l'art. 9 della legge 

n. 269 prevede che all'onere derivante dal pagamento 
degli indennizzi si provveder� con le dispo 
nibilit� di bilancio, relative al pagamento degli 
-oneri dipendenti dal Trattato di Pace e dagli accordi 
internazionali concessi con il Trattato medesimo. 
A prescindere dalla circostanza che, nel bilancio 
del Ministero del Tesoro, risultano annualmente 
stanziati a tale fine appositi capitoli di spesa per 
notevoli importi, non si pu� fare a meno di ricordare 
che non tutti i pagamenti di indennizzi per 
danni ai beni situati all'Estero danno luogo ede:ffettivo 
movimento di denaro. L'art. 5 dalla legge 

n. 1050 del 1954, provvede infatti, che per gli 
indennizzi di importo superiore ai cinque milioni 
di lire si debba far luogo alla consegna di appositi 
titoli del debito pubblico, anzich� al pagamento 
in contan~i. 
Si osserva, d'altra parte, che il pagamento degli 
indennizzi all'anzidetto titolo non � stato, nella 
legge n. 269 del 1959, predeterminato in una cifra 
-precisa, proprio allo scopo di non obbligare l'Amministrazione 
a dovere contenere l'ammontare globale 
dei pagamenti entro i limiti di una somma fissa, 
-con la conseguenza inevitabile di dover ridurre poi 
gli indennizzi in rapporto alla somma disponibile, 
determinata in via preventiva e, quindi, con criteri 
che non avrebbero potuto non essere estremamente 
prudenziali. 

Il sistema prescelto dal legislatore, quindi, oltre 
a non essere in contrasto con il precetto costitu


zionale, si presenta se mai pi� vantaggioso per 
gli aventi diritto, e, pertanto, le preoccupazioni 
manifestate dalla ricorrente, che cio� la valutazione 
dei beni abbandonati nella zona B) sia stata 
fatta con criteri di estremo rigore percli� il Tesoro 
doveva far fronte, con un unico stanziamento di 
bilancio ad un doppio, diverso impegno, cadono 
di fronte alla realt� dei fatti, come sopra esposti 
e precisati. 

B) la seconda censura concerne una pretesa 
violazione dell'art. 42 della Costituzione e viene 
prospettata sotto il profilo del mancato pagamento, 
da parte dello Stato italiano, del giusto 
corrispettivo dei beni privati siti in Zona B), sul 
preupposto che tali beni siano stati espropriati 
per motivi di interesse generale. 

La confusione che la ricorrente fa, equiparando 
gli indennizzi per i beni confiscati da terzi Paesi 
e l'espropriazione per pubblica utilit�, � cos� evidente 
da non meritare una specifica confutazione 

Quel che qui interessa rilevare � che lo Stato 
non ha affidato, come si pretende dalla ricorrente 
alla Jugoslavia l'amministrazione civile della Zona 
B), legalizzando cos� i provvedimenti che sarebbero 
stati abusivamente adottati nel precedente 
periodo di occupazione militare, ma ha solamente� 
firmato il trattato di Londra del 1954, che modifica, 
per questa parte il Trattato di pace, ~conseguendo 
indiscutibilmente alcuni . sensibili vantaggi. 

Si rileva, d'altra parte, che il territorio della 
cos� detta zona B) era stato da tempo sottratto 
alla sovranit� italiana, prima, di fatto, in seguito 
all'occupazione militare da parte Jugoslava, e poi 
di diritto, in seguito al Trattato di Pace del 1947, 
alla cui stipulaziome, � superfluo ricorda;rlo, l'Italia 
ha partecipato con la ridotta capacit� di negoziazione, 
che viene normalmente concessa ai paesi 
debellati. 

O) Con il terzo motivo, si deducono pretese 
violazioni agli articoli 27 primo comm_~, 95 secondo 
comma 100 e 102 della Costituzione, in rapporto 
alla costituzione ed al modo di funzionamento 
dell'organo incaricato della liquidazione di tlia 
indennizzi. 

Al riguardo, � sufficiente rilevare che la procedura 
amministrativa di liquidazione di detti indennizzi 
non costituisce un giudizio speciale; che il 
relativo procedimento si conclude con un atto 
amministrativo, regolarmente impugnabile dinanzi 
a questo Consesso, nei limiti in cui � consentito 
il giudizio di legittimit�, trattandosi di materia 
nella quale le pretese dei privati concretano soltanto 
un interesse legittimo, e non un diritto soggettivo. 


Ora, le limitazioni del sindacato, per quanto con


cerne il merito di un atto amministrativo ampia 

mente discrezionale, non violano certo alcun 

precetto costituzionale. 

N� si ritiene possano essere censurate in questa 

sede le ragioni di opportunit� e di convenienza 

che hanno indotto il legislatore ad affidare ad un 

apposito organo collegiale, perfettamente inqua


drato nel Ministero del Tesoro, il compito di pro



-44 ---"" 


nunciarsi sulle singole richieste di indennizzo, 
adottando una procedura che in definitiva si � rivelata 
quanto mai agile ed opportuna. Ohe, in caso 
contrario, ognuna delle .Amministrazioni competenti 
-secondo la natura del bene -avrebbe 
dovuto costituire un apposito servizio, disporre 
per. proprio conto tutte le necessarie istruttorie, 
procedere ad un'autonoma valutazione de ibeni e 
cos� di seguito. Ma � di tutta evidenza che una siffatta 
duplicazione di organi e di funzioni, oltre 
a rendere necessaria in ogni caso un'azione di 
coordinamento, non avrebbe certo influito favorevolmente 
sulla speditezza delle singole operazioni 
di liquidazione. 

.D) Oon il quarto motivo, si denuncia violazione 
dell'art. 3 della Costituzione, in quanto 
sarebbe stato praticato ai profughi della Zona B) 
un trattamento difforme e meno favorevole rispetto 
a quello usato per la liquidazione degli indennizzi 
per i beni situati in altri Paesi. 

.Anche questa censura � pienamente smentita 
dai fatti, i quali dimostrano con tutta evidenza 
come la procedura per la liquidazione degli indennizzi 
a favore di titolari di beni siti in Zona B), 
contrariamente a quanto afferma la ricorrente, 
assicuri in definitiva un ristoro maggiore dei danni 
subiti ben pi� largo, rispetto a. quello riservato ai 
titolari dei beni situati negli altri Paesi. 

Perch� se � vero che la legge 29 ottobre 1954, 

n. 1050, fa riferimento ai valori correnti alla data 
di entrata in vigore del Trattato di Pace (1947) � 
del pari fuori contestazione che essa stabilisce 
anche che l'ammontare totale degli indennizzi non 
potr� in alcun caso superare l'importo che, per tali 
beni, � stato determinato forfettariamente in sede 
internazionale. L'indennizzo viene quindi contenuto 
nei limiti delle somme accreditate all'Italia 
nella valutazione dei complessi rapporti di debito e 
credito, che si erano venuti a stabilire, con i singoli 
Paesi, per effetto della applicazione del Trattato 
di Pace. Quali siano state in effetti le valutazioni 
dei beni italiani all'estero. nei casi in cui sono state 
definite le procedure, concordate, di accertamento 
e di valutazione � cosa ben nota: sta di fatto, 
comunque, che tali valutazioni hanno soddisfatto 
solo in minima parte le aspettative e le pretese 
degli aventi diritto, tanto da rendere necessario 
in alcuni casi un intervento diretto del Tesoro 
italiano. 
La liquidazione degli indennizzi ai profughi 
della .Zona B) risulta,da quanto sopra esposto, 
pi� favorevole anche rispetto al definitivo trattamento 
riservato ai cittadini che avevano abbandonato 
i loro beni nei territori passati alla Jugoslavia, 
per effetto del Trattato di Pace. E risulta, altresi 
pi� favorevole persino rispetto al trattamento previsto, 
per il risarcimento dei danni di guerra per i 
beni siti nel territorio di Trieste, dall'art. 51 della 
legge 27 dicembre 1953, n. 968, specie ove si tenga 
presente che, per effetto della nota disciplina vincolistica 
(blocco dei canoni di affitto e proroga di 
diritto dei contratti di locazione) in vigore fin dal 
5 ottobre 1936, i valori degli immobili urbani non 
.avevano praticamente subito alcuna variazione in 

aumento, cos� che i prezzi di mercato di tali beni 
non si discostavan parzialmente da quelli in vigore-


nel lontano 1938. 

� superfluo rilevare, per ultimo, che l'indennizzo 
accordato ad una sola categoria didanneggiati 
non pu� comunque considerarsi ingiusto per 
il fatto di essere concesso in misura non equivalente� 
al preteso danno, atteso che si tratta di un indennizzo 
stabilito in base a criteri di massima, applicabili 
nella stessa misura a tutti i danneggiati, il 
che esclude di per se -come giustamente rileva 
l'.Amministrazione -disparit� di trattamento, 
ogni pretesa ingiustizia e incostituzionalit� del 
sistema adottato. 

Il Collegio, per le ragioni suesposte, e considerato 
anche il carattere non definitivo degli indennizzi 
in questione, quale esplicitamente risulta., 
dall'art. 1 della legge n. 269, ritiene che le eccezioni 
di incostituzionalit� sopra indicate siano manifestamente 
infondate, e, pertanto, non reputa. 
opportuno aderire alla richiesta della ricorrente 
di sospendere il giudizio e di rimettere gli atti alla. 
Corte Costituzionale. 

Quanto poi ai motivi di gravame che specificamente 
si riferiscono all'atto impugnato, si rileva. 
che: 

1) il foglio n. 146679 del 23 settembre 1960, 
con il quale fu notificata all'interessata la liquidazione 
dell'indennizzo, conteneva una particolareggiata 
elencazione dei beni indennizzati, le misure 
di tali beni calcolate dal competente Ufficio tecnicoerariale 
ed il valore al 1938 attribuito ai medesimi. 

Non si vede, quindi, quale altra motivazione 0> 
indicazione ell'atto avrebbe dovuto o potuto. 
contenere; 

2) non risulta dagli atti che vi sia stato alcun 
errore nel calcolo della cubatura dell'inunobile,. 
in quanto l'UTE incluse nelle stima anche la. 
soffitta esistente nell'edificio; 

3) sul terzo motivo, si rileva preliminarmente 
che la stessa ricorrente, a pag. 40 della, memoria 
depositata il 26 ottobre u. s., ammette e riconosce 
che l'UTE ha provveduto alla compilazione di un 
prezzario, ricorrendo ai contratti di compravendita 
dell'epoca, alle stime effettuate dall'UTE di 
Trieste, sempre in quell'epoca, in sede di revisione 
dei contratti agli effetti della integrazione della 
tassa di registro, a varie monografie, ecc. 

La stessa ricorrente, dunque, ammette che le 
stime, ai valori del 1938, sono state fatte con piena 
cognizione di causa e sulla base di elementi assolutamente 
certi ed attendibili. 

Ma, obbietta, tutti codesti elementi servivano 
solo a stabilire i prezzi e non i valori dell'epoca, e~ 
richiamandosi alla ascesa del corso di alcuni titoli 
azionari nei primi del 1960, tenta di dimostrare 
la differenza esistente tra i concetti del valore e di 
prezzo. 

Per quanto sia ben noto che il prezzo altro non 
� se non l'espressione in moneta correB:te del valore 
attribuito, in un certo momento, ad un determi-.�� 
nato bene, il Collegio, senza aver minimamente la 
pretesa di esaurire l'argomento, non pu� fare a 
meno di considerare che i prezzi rilevati dall'UTE 
esprimevano e rappresentavano esattamente la 


-45


,situazione dei valori di mercato all'anzidetta data, 
-non risultando in particolare -allora come ora alcun 
concreto e valido elemento che consenta di 
attribuire al giardino che circonda la villa gi� di 
�propriet� della ricorrente il valore di suolo edificatorio. 


Si reputa aopportuno soggiungere, infine che il 
l'iferimento ai vaori del 1938, adottato per tutti 
indistintamente i beni siti nei territori passati alla 
Jugoslavia, risulta pienamente giustificato dalla 
�circostanza che tale anno pu� considerarsi l'ultimo 
in cui si sia avuta in tali zone una libera e normale 
formazione di prezzi di mercato, non influenzati 
cio� dall'andamento delle vicende belliche o da 
altri fattori di natura extra -economica. E che, 
inoltre, una procedura di stima diversa da quella 
adottata non poteva essere seguita, atteso che solo 

in via eccezionale, e limitatamente alla concessione 
-dei contributi per il ripristino dei beni danneggiati 
per fatto di guerra, l'art. 27 della legge n. 968 del 
1958 consente il computo dei valori Sl�la base dei 
-costi di ricostruzione dgli immobili distrutti, ma 
tale norma non � stata richiamata dalla legge del 
.1953, che, d'altra parte, prevede solo la correspon:
sione di ind�nnizzi e non anche di contributi, n�, 
<lato il suo carattere eccezionale pu� ritenersi appl 
~abile per estensione analogica fuori dei casi tassativamente 
previsti. 

Per le ragioni ampliamente esposte, tutte le 
censure prodotte dalla ricorrente sono da consi<
lerare infondate e, pertanto, il ricorso va respinto 

La decisione .merita di essere segnalata sia per la 
delicatezza delle questioni trattate sia per le soluzioni 
adottate, a nostro avviso esatte, che non mancheranno 
di avere ripercussione su analoghi giudizi in corso. 

Sulla natura giuridica della pretesa del cittadino 
italiano all'indennizzo e sulla natura delle Commissioni, 
cui � affidata la liquidazione di esso si vedano, 
altres�, Oass. Sez. Unite, nn. 235/53 e 2872/58, 
nonch� Tribunale di Roma 2 luglio 1958 in questa 
Rassegna 1953, p. 63 e 1959, p. 1) nonch� lo studio 
del Tracanna, in nota alle ultime due sentenze. 

IMPIEGO PUBBLICO -Collocamento a riposo -Diplomatico 
-Motivi di servizio -Mancanza diprocedimento 
scritto -Illegittimit�. (Consiglio di Stato, 
IV Sezione, dee. n. 1/02 -Pres.: Bozzi -Est.: PigaTalamo 
Atenolf� c. Ministero affari esteri). 

� vizi?ito, per difetto di accertamento dei presupposti, 
il provvedimento di collocamento a riposo 
per motivi di servizio di un Ministero plenipotenziario, 
ai sensi dell'art. 232 T. U. 10 gennaio 1957, 

n. 3, ove l'Amministrazione dichiari che non fu 
redatta alcuna relazione scritta per indicare i 
motivi di servizio che avrebbero dovuto giustificare 
il provvedimento. 
Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza; 


Con il motivo aggiunto, notificato il 29 aprile 
1960 a seguito del deposito, da parte dell'.Ammini


strazione, dei documenti la cui esibizione era stata 
ordinata da questa Sezione, il ricorrente ha dedotto 
in via pregiudiziale e assorbente, eccesso di potere 
per mancata valutazione, risultante da formali 
atti scritti, dei motivi di servizio, in baise ai quali � 
stato disposto, nei propri confronti, il provvedimento 
di collocamento a riposo. Viene in tal modo 
riproposta all'esame della Sezione una questione 
sulla quale questo Collegio, di recente, si � in pi� 
occasioni pronunziato (decisioni sui ricorsi N onis 
e La Terza pubblicate il 22 marzo 1960; decisione 


n. 7 40 del 13 luglio 1960 sul ricorso Zamboni; 
decisione n. 911 del 25 ottobre 1960 ricorrente 
Riccio). 
Nelle succitate decisioni la Sezione ha anzitutto 

indicato i principi che regolano il collocamento a 

riposo per motivi di servizio ai funzionari della 

carriera diplomatico-consolare. Come � noto il 

provvedimento di collocamento a riposo per motivi 

di servizio � previsto aU'art. 232 del Testo unico 

del 10 gennaio 1957, n. 3. 

Il provvedimento si perfeziona su proposta del 
Ministro degli Affari Esteri (che ne assume la 
responsabilit�) previa deliberazione del Consiglio 
dei Ministri, con decreto del Capo dello Stato. La 
proposta del Ministro degli A.A. EE. implica una 
valutazione dei motivi di servizio, sia di carattere 
subiettivo, attinenti cio� alla persona del funzionario, 
alle sue attitudini e alla capacit� professionale, 
sia di carattere obbiettivo, e perci� richiedenti 
oltre l'identificazione dei fini di pubblico 
interesse perseguiti, una valutazione delle prestazioni 
di servizio del funzionario per pervenire alla 
conclusione della sua non l�teriore utilizzabilit� 
in relazione ai fini obbietvi che si intendono conseguire. 
In altri termini quel che � veramente essenziale 
nel procedimento di cui trattasi � che l'Amministrazione, 
quale che sia la ragione in considerazione 
della qualeintende concretamente disporre 
il collocamento a riposo, deve valutare se e fino a 
qual grado l'interesse pubblico esiga il sacrificio 
dell'interesse del funzionario al mantenimento in 
servizio. 

Nelle decisioni sopra citate � stata anche chiara 
mente precisata che l'importanza e la complessit� 
del giudizio impongono,che le valutazioni effettuate 
trovino concretezza in atti scritti che indichino, 
nell'ambito delle rispettive competenze, il 
coutenuto degli accertamenti compiuti nonch� 
i fini perseguiti. 

La necessit� della forma scritta deriva da esigenze 
di carattere generale, gi� riconosciute valide 
dalla giurisprudenza di questo Consiglio in situazioni 
analoghe (Sez. IV 5 ottobre 1959, n. 871). 
Essa non pu� ritenersi soddisfatta dalla forma 
solenne dal solo decreto terminale del procedimento. 
L'esigenza della forma scritta inerisce 
infatti alle singole fasi essenziali del procedimento. 


Non � in questa sede necessario stabilire con 
maggior precisione se l'inadempimento di un onere _ 
fondamentale di buona amministrazione, quale � 
quello di documentare con atti scritti le fasi di un 
procedimento tanto delicato e complesso, quale � 
quello che qui viene in considerazione, realizzi per 


@i @i 
-4G 


s� solo un vizio di violazione di legge, come � stato 
notevolmente sostenuto, e non piuttosto valga 
a concretare un sintomo di eccesso di potere sul 
profilo dell'omessa valutazione dei motivi di servizio 
cos� come questa Sezione ha ritenuto ne1le 
anzidette decisioni. 

Ai fini della odierna pronuncia � infatti sufficiente 
osservare che manca nella specie la prova della 
avvenuta valutazione dei motivi di servizio eche, 
pertanto, il decreto di collocamento a riposo si presenta 
al giudice della legittimit� non sorretto da 
un idoneo, adeguato, accertamento del presupposto 
steRso dell'miercizio del potere concretamente esercitato. 
O'� appena da soggiungere che nel caso 
all'esame della Sezione non solo � pacifico per 
ammissione esplicita del Ministero degli Affari 
Esteri (lettera 21 marzo 1961) che non fu redatta 
una relazione scritta per indicare i motivi di servizio 
che avrebbero dovuto giustificare il provvedimento 
di collocamento a riposo ma non risulta neanche 
che la situazione per cui � questione abbia formato 
oggetto di esame in sede di Oonsiglio dei Ministri, 

n�, a fortiori, se la deliberazione del Oonsiglio dei 
Ministri sia stata adottata previa valutazionedelle 
ragioni di servizio. 

Al fine di accertare se, in seno al Consigli.o� 
dei Ministri, la proposta del � �Ministro degli 
Affari Esteri fosse stata considerata, la Sezione 
ritenne opportuno chiedere interlocutoriamente 
che fossero svolte indagini presso la Presidenza. 
del Oonsiglio dei Ministri per acquisire atti & 
documenti concernenti la deliberazione relativa 
al ricorrente dott. Talamo. L'Amministrazione 
degli Affari Esteri e la Presidenza del Oonsiglio 
dei Ministri invitate a dare �delucidazioni 
al riguardo, non hanno fornito i chiarimenti 
richiesti. 

A questa giurisprudenza, ormai costante, sar� 
opportuno che Z'Amministrazione si adegui, 
anche se, in certi casi, da una esposizionescritta 
dei motivi di servizio, certo �insindacabili 
nel merito, possa derivare pregiudizio morale agli. 
interessati. 


MW MW 
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI 
DELLE CORTI DI MERITO 


COMPROMESSO ED ARBITRI -Lodo Arbitrale Correzione 
-Compito del Pretore. 

Lodo arbitrale -Correzione -Dichiarazione degli arbitri 
posteriore al deposito del loro -Valore. (Ordinanza 
26 ottobre 1961 -Pretore: CaJt,anissetta; Est.: 
D'Orto -Falzone c. Assessorato Regionale Foreste. 

Il Pretore, per correggere un lodo arbitrale, 
deve rendersi conto che effettivamente l'errore 
lamentato sia conseguenza di una svista, di una 
dimenticanza, di una distrazione, di uno sbaglio 
aritmetico, per cui la somma ottenuta sia espressa 
inesattamente rispetto al processo logico del giudizio, 
che l'ha determinata e non piuttosto di un 
vero e proprio errore di fatto, emendabile solo 
con i normali mezzi di impugnazione. 

Il Pretore, in sede di correzione di lodo arbitrale, 
non pu� tener conto di un documento formato e 
sottoscritto dagli arbitri in epoca posteriore al 
deposito del lodo, semprech� tale atto non giovi 
esclusivamente a chiarire e ad interpretare la 
volont� dei medesimi espressa ed estrinsecata nel 
lodo; nel qual caso il documento in questione va 
pr~so in esame e conserva pieno il suo valore come 
mezzo di interpretazione della volont� degli arbitri. 

Una singolare questione in materia di correzione 

di lodo arbitrale si � presentata all'esame del Pretore 

di Caltanissetta. 

Riteniamo pertanto utile riportarne la motivazione, 

che esprime chiaramente i termini della vertenza e 

minuziosamente si intrattiene su un argomento che 

in verit� non ha trovato in dottrina adeguata tratta


zione; 

�Per la sistemazione idraulico-forestale del bacino 
montano del Salito, l'Ispettorato delle Foreste di 
C�ltanissetta, in base alla legge 12 febbraio 1955 

n. 12, redasse in data 15 settembre 1958, il relativo 
progetto con il quale si previde la espropria dei 
terr;:ini da rimboschire, comprendendovi in essi i 
terreni di propriet� dei sigg. Falzone Leonardo, 
Lorenzo, Beniamino e Cataldo, in contrada Mistigaruft, 
territorio di San Cataldo. Non essendosi 
raggiunto l'accordo suUa indennit� dovuta ai suddetti 
Falzone, si procedette, in conformit� a legge, 
alla costituzione di un collegio arbitrale, composto 
dal dott. Romano Domenico, dal perito agrario 
Sollima Roberto e dall'ing. Eutera Salvatore. 
Il collegio arbitrale, in data 20 giugno 1960, 
emise il dolo, che venne depositato nella cancelle\ 

ria di questa Pretura il 25 giugno 1960 e reso esecutivo 
da questo Pretore in data 28 giugno 1960. 
Con tale lodo si determin� la indennit� in lire 

28.570.000. 
Avverso tale determinazione hanno fatto ricorso 
i sigg. Falzone, sostenendo che il Collegio arbitrale 
era incorso in errori puramente materiali, eliminati 
i quali la indennit� risultava ascendere a lire 

33.704.825. Hanno precisato i ricorrenti che il 
collegio degli arbitri aveva ricavato la indennit� 
di lire 28.570.000 dalla media di due valori desunti 
rispettivamente dalla stima per prezzi unitari e 
dai redditi ritraibili dai fondi in questione, valori 
determinati rispettivamente in lire 29.422.520 e in 
lire 27 .929.250. 
Ora su quest'ultimo valore non vi era nulla da 
eccepire, mentre in merito al primo il Collegio arbitrale 
era incorso in una serie di errori di calcolo 
che venivano esattamente indicati e corretti, facendosi 
l'esatto valore a lire 39.480.200. 

Conseguiva da ci� -sempre a parere dei ricor


renti -che si sarebbe dovuto ricavare la indennit� 

della media dei valori di lire 27.929.250 e di lire 

39.480.200, e cio� in lire 33.704.825, somma questa 

che costituiva appunto la giusta indennit� da cor


rispondersi a lorn. 

Alla correzione del lodo di che trattasi si � op


posta l'Amministrazione regionale delle Foreste, 

la quale, pur ammettendo che gli arbitri, nel deter


minare il valore dei terreni col metodo della stima 

analitica, erano incorsi in alcuni errori di calcolo, 

ha negato che la stima finale dei terreni sarebbe 

stata quella voluta dai ricorrenti, ove dell'errore 

di calcolo gli arbitri si fossero accorti. 

Ha osservato poi l'Amministrazione convenuta 

che, in sostanza, l'incontestabile errore, anzich� 

viziare la volont� del Collegio, favor� la formazione 

di quella volont�, la quale si era estrinsecata nel 

dispositivo, in cui si leggeva: �Pertanto il Collegio 

arbitrale ritiene equo che l'indennit� di esproprio 

da corrispondere ... sia di lire 28.570.000;' � e a 

conforto di tale assunto ha prodotto una dichiara


zione sottoscritta da tutti gli arbitri e datata 1() 

gennaio 1961. 

Premesso quanto sopra per una migliore intelligenza 
della fattispecie e per una pi� chiara impostazione 
dei problemi che si presentano all'esame del 
decidente, tenuto conto dei rispettivi e contrastanti 
assunti delle parti, � da aggiungere che tali problemi 
sono in ordine logico i seguenti: 1) Effettiva esistenza 
o meno dei lamentati errori in senso al lodo 
arbitrale; 2) Se questi errori, una volta ammessane 


lB.tll F lB.tll F 
-48


la esistenza, siano da considerarsi semplici errori 

materiali oppure errori, che, pur essendo di calcolo, 

involgano un vizio nel procedimento logico della 

. decisione; 3) Se, per una pi� esatta soluzione del 

precedente qnesito, possa farsi riferimento ad un 

att� degli arbitri, formato e sottoscritto in epoca 

posteriore alla dichiarazione di esecutoriet� del 

lodo, al fine di precisare la loro volont�; 4J Se, 

infine, possa farsi luogo alla chiesta correzione del 

lodo. 

Orbene che. gli errori di calcolo denunciati esi


stano no~ pu� revocarsi in dubbio. I ricorrenti li 
hanno specificatamente indicati, annotando accanto 
alla cifra media ottenuta dagli arbitri la 
cifra esatta, risultata sempre di importo superiore 
. alla prima; i calcoli operati dai ricorrenti non hanno 

una grinza. 
. 

Peraltro, l'Amministrazione convenuta ha pie


namente riconosciuto la esistenza dei suddetti er


rori di calcolo. 

.A. questo punto occorre, quindi, subito doman


darsi se basti ci� perch� si possa dar luogo al pro


cedimento di correzione, sostituendo ad uno dei 

due termini numerici (metodo della stima analitica), 

da cui gli arbitri hanno voluto desumere la misura 

della indennit�, il termine esatto. 

I ricorrenti hanno sostenuto che al giudice della 

correzione non incombe altro compito che quello 

di accertare l'errore -sbaglio e di ovviarvi cor


reggendolo, altrimenti egli porterebbe il suo esame, 

non sulla materialit� dell'errore da correggere, ma 

su questioni di merito che gli sono precluse e che, 

concernendo un preteso errore di giudizio, avreb


bero dovuto proporsi, semmai, col procedimento 

di impugnazione. 

Tali affermazioni non hanno alcun fondamento, 

in quanto se � vero che in sede di. correzione degli 

errori materiali non si tratta di impugnare il giu


dizio del magistrato n� la sua attivit� ma solo di 

far corrispondere la espressione materiale della 

sentenza a ci� che il giudice volle dire o fare e, 

di. conseguenza, non possono proporsi attraverso 

il detto procedimento questioni di merito (cf;. 

Oass. 19 febbraio 1943, n. 399 e Oass. 26 febbra10 

1943 n. 457), � altrettanto vero che il giudice della 

correzione, onde provvede~vi, deve esaminare ed 

accertare non solo che esista l'errore lamentato 

e che questo errore sia materiale o di calcolo, ma 

altres� che l'errore, anche se materiale o di cal


colo non sia risolto in una inesatta valutazione 

giurldica o in un vizio logico della motivazione 

(cfr. Oass. 7 ottobre 1954, n. 3382; Oass. 8 ottobre 

1954, 'n. 3438; Oass. 20 aprile 1955, n. 110_5; Oass. 

28 gennaio 1958, n. 215, Cass. 26 genna10 1960, 

n. 
84). 
Oosicch� l'indagine del magistrato, lungi dallo 
essere semplicisticamente automatica -come assumono 
i ricorrenti -� pi� complessa e pi� seria. 
N� si dica che cos� facendo il giudice invada un 
campo che, nella specie, gli � precluso, perch� � 
necessario che egli si renda conto che effettivamente 
l'errore lamentato sia conseguenza di una svista, 
di una dimenticanza, di una distrazione, di uno 

sbaglio aritimetico, per cui la somma ottenuta 

sia espressa inesattamente rispetto al processo 
logico del giudizio, che l'ha determinata e non. piuttosto 
di un vero e proprio errore di fatto, emendabile 
solo con i normali mezzi di impugnazione . 

In una parola, nel caso che ci occupa, � necessario 
rifarsi alla volont� degli arbitri, desumendola 
innanzitutto del tenore letterale e dallo spirito 
del lodo. 

A tal uopo � opportuno premettere un duplice 
ordine di considerazioni e cio�: 

.1) Non esiste una norma legislativa che imponga, 
per ottenere il giusto valore di un terreno, 
di. mediare il valore ottenuto secondo il metodo 
della stima analitica con quello ottenuto secondo 
il metodo della stima per prezzi unitari, ossia 
secondo il valore attribuito a terreni analoghi in 
precedenti contrattazioni. 

2) Atteso che il valore venale di un terreno (la 
cui determinazione era il compito degli arbitri) 
non pu� che essere uno, � evidente che i vari metodi 
di stima da usare debbono dare valori quasi uguali. 
Perch�, ove un metodo (nella specie, quello della 
analisi della produttivit�) dia un valore che non 
trova alcuna corrispondenza sul mercato, allora � 
certo o che il metodo � errato o che errati sono i 
presupposti di fatto sui quali il metodo stesso si � 
applicato. 

La verit� di tale ultima considerazione si deduce 
dalla stessa espressione usata dagli arbitri nel testo 
del lodo, ove essi affermano che i risultati secondo 
il sistema analitico �verranno controllati con la 
stima per prezzi unitari, secondo i prezzi attribuiti, 
cio�, nelle terre pi� vicine o, comunque, analoghe, 
nelle pi� recenti contrattazioni di compravendita, 
a terreni simili per caratteri fisici ed economici a 
quelli di cui ci si occupa �. 

Da ci� si desume che se gli arbitri non fossero . 
incorsi nei lamentati errori di calcolo ed avessero 
quindi trovato, quale valore dei terreni, secondo la 
stima analitica, quello esatto di lire 39.480.22, 
superiore di oltre 11 milioni al valore ottenut.o 
per prezzi unitari (L. 27.929.250), � evidente che 
essi si sarebbero accorti che una delle due stime 
non era aderente alla realt� delle cose e cio� in 
definitiva� .. al giusto prezzo della cosa espropriata 
al tempo della espropriazione �, e quindi, doveva 
essere necessariamente sbagliata e non media.bile 
con l'altra stima. 

E siccome la stima per prezzi unitari si era 
basata su d�cumenti ineccepibili (altri lodi e 
compravendite effettuate dalla stessa Amministrazione 
nella zona) mentre quella per analisi era 
partita dalla presunzione (probabili redditi ritraibili 
dai terreni in base a un bilancio basato sui risultati 
economici della produzione), ecco che sarebbe 
balzata evidente la erroneit� di quest'ultima stima. 
Ma fu proprio l'errore di calcolo commesso a non 
fare balzare evidente l'erroneit� della stima analitica, 
onde gli arbitri, avendo ottem~to. due valori 
pressocch� uguali (lire 29.22.520 contro lire_ 
27.929.250) ritennero equo di determinare l'indennit� 
di espropriazione mediando i due valori. 

Disconoscendo ci�, i ricorrenti hanno ulteriormente 
sostenuto che l'Amministrazione convenuta 



-49


ha accettato il lodo arbitrale per quello che era, 
senza impugnarlo e senza recedere dalla espropriazione, 
per cui, se il lodo medesimo conteneva degli 
errori di calcolo non restava altra via che correggerli. 
Ma tale ragionamento pu� ritorcersi proprio 
contro i ricorrenti. 

Invero � pacifico in dottrina e in giurisprudenza 
che l'istituto che tradizionalmente prende il nome 
di �correzione delle sentenze �, al quale apertis 
verbis si riferisce l'art. 826 O.p.c. non comprende 
nelle sue ipotesi n� il vizio della volont�, n� l'errore 
di giudizio e neppure l'errore di forma, difetti 
questi che danno materia alle varie impugnazioni 
disciplinate dal codice di rito. Si tenga presente 
che il nostro legislatore ha mantenuto l'istituto 
negli stretti confini che gi� aveva per l'art. 473 del 
codice del 1865; � pertanto escluso che attraverso 
lo stesso possa aver luogo quella funzione integratrice 
e riparatrice che � ammessa negli ordinamenti 
a tipo tedesco e, pi� specificatamente, che attraverso 
la pretesa correzione dell'errore materiale 

o di calcolo si giunga ad una pi� o meno inavvertita 
modificazione della sostanza. In particolare l'errore 
di calcolo ha carattere matematico; siamo nel 
campo classico 2 + 2 = 5; tuttavia � essenziale 
che la sua rettifica non alteri i termini logici e 
giuridici del conto. 
Sta proprio qu� ilpunctum saliens della questione 

L'errore materiale (o di calcolo) nelle sentenze 
consiste nella esteriore manifestazione del pensiero 
e della volont� del giudice non corrispondente alla 
realt� del pensiero e delfa volont� stessa. 

Se invece l'errore si � insinuato nella elaborazione 
del pensiero o nella formazione della volont� non 
pu� ravvisarsi errore materiale ma vero e proprio 
errore sostanziale, deducibile con gli ordinari mezzi 
di gravame. Ora, poich�. nella fattispecie per i 
motivi gi� illustrati pi� sopra, la correzione dello 
errore di calcolo rilevato dai ricorrenti verrebbe a 
modificare il lodo non nel senso voluto dagli arbitri 
(ma erroneamente espresso), bens� in senso contrario 
alla loro volont�, � evidente che non ci troviamo 
di fronte ad uno dei casi per i quali possa ammettersi 
la procedura di correzione. 

L'errore, nel nostro caso, poteva essere emendato 
con i mezzi di impugnazione ordinaria e non con 
la semplice correzione della sentenza, trattandosi 
di dovere modificare, oltre la motivazione del 
lodo, anche il dispositivo contenente una pronuncia 
volutamente sorretta dalla motivazione stessa. Ohe 
ci� sia vero � dimostrato dall'atto sottoscritto dagli 
arbitri � prodotto nel fascicolo dell'Amministrazione 
convenuta, in cui i detti arbitri, nel confermare, 
secondo l'equit� del giudizio espresso nelle 
conclusioni del lodo, l'indennit� dovuta agli espropriati 
in lire 28.576.000, hanno dichiarato di 
avere adottato assieme al metodo di stima per 
prezzi unitari di mercato anche quello per capitalizzazioni 
di redditi soltanto per un controllo e che 
se si fossero accorti degli errori materiali, che alternavano 
il valore intrinseco dell'immobile con 
un aumento di circa lire 10.000.000, non avrebbero 
potuto ritenere valido ricavato con quest'ultimo 
metodo e hanno aggiunto di potere asserire con 
giustizia ed equit� che l'indennit� di espropria


zione stabilita nel lodo sia rispondent� al valore� 
di mercato, che hanno i terreni della zona. 

Si obietter� che a tal documento non pu� riconoscersi 
alcun valore, essendo pacifico che, una. 
volta depositato il lodo, gli arbitri cessano. da ogni 
loro funzione e le attivit� da loro svolte e i documenti 
da loro sottoscritti successivamente a questa. 
data, sia pure riferentisi al lodo arbitrale da essi 
pronunciato, non hanno influenza sia in un eventuale 
giudizio di correzione, a sensi dell'art. 826 

O.p.c. sia in sede di integrazione, a sensi degli 
artt. 827 e segg. O.p.c. 
Tuttavia, in proposito, non pu� disconoscersi; 
che, mentre in via ordinaria la correzione dell'errore 
� demandata allo stesso giudice che ha pronunciato 
la sentenza (art. 287 O.p.c.), la correzione� 
della sentenza arbitrale, non potendo essere effettuata 
dallo stesso Collegio, che ha pronunciato� 
il lodo e che � definitivamente svestito di poteri 
dopo il deposito del lodo medesimo, va richiesta,. 
unica deroga al sistema, ad un giudice diverso:: 
il Pretore, Orbene, pur senza accogliersi l'opinione� 
di qualche autore, il quale ha ritenuto doversi 
integrare il richiamo fatto dall'art. 826 test� citato� 
agli artt. 287 e 288 O.p.c. con l'obbligo per il pretore 
di sentire non solo le parti ma anche gli arbitri,. 
dalle cui dichiarazioni si assume non potersi prescindeere 
in sede di correzione di errori materiali 
contenuti nel lodo da essi deliberato e redatto e, 
doversi, pertanto, integrare in tal senso la grave, 
lacuna di una norma che assegna il compito di correzione 
ad un giudice diverso, da quanto sopra consegue 
che, al fine di individuare la esatta volont�. 
degli arbitri decidenti, non si pu� non tenere conto. 
di un atto, che niente innova di quanto si era in: 
precedenza fatto e stabilito e che, tuttavia, costituisce 
una vera e propria interpretazione autentica. 
del lodo. In una parola, di un documento formato 
e sottoscritto dagli arbitri in epoca posteriore al 
deposito del lodo e alla dichiarazione di esecutoriet� 
dello stesso, non pu� tenersi alcun conto, sempre� 
che tale atto non giovi esclusivamente a chiarire� 
e ad interpretare la volont� dei medesimi espressa. 
ed estrinsecata nel lodo; nel qual c::i,so il documento� 
in questione va preso in esame e conserva pieno il 
suo valore come mezzo di interpretazione della. 
volont� degli arbitri. Sarebbe, invero, quanto mai 
strana ed illegittima la correzione di una decisione, 
che gli arbitri stessi riconoscono come volont�. 
Per concludere, nel caso che ci occupa si � dimostrato 
che non si tratta di errore materiale o di 
calcolo emendabile con la procedura prevista dagl� 
artt. 287 e 288 O.p.c., bens� di errore emendabile 
solo con i normali mezzi di impugnazione, ess�ndosi 
esso risolto in un vizio nella formazione della. 
volont� degli arbitri; si � altres� dimostrato, attraverso 
l'esame del documento pi� volte citato, che 
la volont� dei detti arbitri era proprio quella di 
assegnare agli espropriati la somma di lire 28.576000 
quale giusta indennit� di espropriazione, e che la 
correzione del dispositivo della sentenza arbitrale __ 
andrebbe proprio contro il preciso convincimento 
del Collegio degli arbitri, espresso secondo equit�. 

Pertanto la domanda di correzione della sentenza. 
arbitrale di che trattasi va rigettata. 


F1 &fW= ~: F1 &fW= ~: 
~50


I rilievi e gli argomenti del Pre,tore, meritano 
pieno consenso. 

Invero � da rilevare come la giurisprudenza e la 
dottrina hanno sempre sostenuto che la correzione 
deve avere ad oggetto una svista del giudice (e si 
portano ad esempi l'omessa sottoscrizione, l'omessa 
intestazione e simili). 

Pertanto � stato sempre ritenuto che non sono 
oggetto di correzione gli errori, anche materiali, che 
siano conseguenza di una inesatta valutazione giuridica 
o di un vizio logico della motivazione, ma 
soltanto quelli che siano conseguenza di 1una svista 
del giudice nella compilazione della sentenza (e non 
gi� quindi nel procedimento logico della decisione), 
di una dimenticanza o di una distrazione del giudice 
stesso. 

Quindi l'errore materiale o di calcolo non pu� 
dar luogo ad istanza di correzione quando consiste 
in un vizio della motivazione. 

L'errore nel nostro caso poteva andare emendato 
con i mezzi di impugnazione ordinaria e non con la 
semplice correzione della sentenza trattandosi di dovere 
modificare oltre la motivazione del lodo, anche 
il dispositivo contenente una pronuncia volutamente 
sorretta dalla motivazione stessa. (V. Rassegna di 
giurisprudenza sul cod. proc. civ., editore Giuffr�, 
sub. art. 287 n. 5 e 6 art. 823 n. 3). 

Sull'argomento v. VECCHIONE (L'Arbitrato, pag. 
359), il quale, dando atto dell'assoluto silenzio della 
dottrina e della giurisprudenza, ritiene che il Pretore 
dovrebbe aver l'obbligo di sentire non solo le parti, 
ma anche gli arb�tri dalle cui dichiarazioni non si 
dovrebbe prescindere in sede di correzione del lodo 
da essi redatto. 

IMPOSTA DI REGISTRO -Vendita della nuda pro� 
priet� e costituzione di usufrutto -Inapplicabilit� 
a questa dei benefici dell'art. 17 della legge 2 luglio 
1949, n. 408. (Corte di appello di Napoli, III sezione, 
16 febbraio 1962, n. 270, causa Proto c. Amministrazione 
delle Finanze. 

�Il beneficio della riduzione dell'imposta di registro 
previsto dall'art. 17 della legge 2 luglio 1949, 

n. 408 (legge Tupini) non si applica alla costituzione 
di usufrutto �. 
La sentenza che qui 'si considera risolve una questione 
sit cui in senso difforme si pronunci� la Oommissione 
centrale delle imposte in due decisioni 
{001p,m. centr. 12 febbraio 1959, n. 13215 in Riv. 
leg. ti.se., 1960, 415 e �3 luglio 1959, n. 18835 in 
Riv. leg. ti.se., 19 O, 1429), le quali per ragioni 
.diverse non ebbero un seguito davanti alla Autorit� 
Giudiziaria. In precedenza sulla stessa questione si 
era pronunciato il Tribunale di Napoli con due 
sentenze, l'una favorevole alla tesi dell'Amministrazione 
(Trib. Napoli, I sezione, 29 aprile 1959, 

n. 2311 nella medesima causa Proto-Finanze), 
l'altra, avverso cui � tuttora in trattazione l'appello, 
favorevole alla tesi dei contribuenti (Trib. Napoli, 
I Sezione, 17maggio1961 in causa Azzone-Finanze). 
La questione si pone ed � stata risolta nei termini 

che chiaramente si evincono dalla massima riportata; 
il punto centrale consisteva nel significato da 
attribuire all'espressione �trasferimento di case�, 
contenuta nella legge agevolatrice. 

La Oommissione centrale delfr imposte nelle 
richiamate decisioni aveva ritenuto che il termine 
trasferimento cos� come genericamente adoperato va 
riferito a qualsiasi diritto reale che abbia per oggetto 
una casa di abitazione e che da un soggetto venga 
trasmesso ad un altro, discostandosi non solo da 
altra sua precedente decisione (Gomm. centr. 13 
marzo 1953, n. 45830 in Riv. leg. ti.se., 1954, 815), 
ma pure, peraltro con ampia motivazione critica, 
da una pronuncia della Oassazione, con la quale 
riconoscendosi espressamente il carattere innovativo 
della legge regionale siciliana 28 aprile 1954, 

n. 11, a proposito dell'art. 10 della legge regionale 
siciliana 18 gennaio 1949, n. 2, si risolveva questione 
del tutto analoga a quella, di cui si tratta (Gass., 
sez. I, 22 luglio 1958, n. 2664, in Mass. Foro it., 
1958. col. 540). 
La Oorte di appello di Napoli, in perfetta adesione 
a quanto sostenuto dalla difesa dell'Amministrazione, 
premetteva che un beneficio, concretandosi 
in una parziale esenzione di imposta, pu� 
essere riconosciuto soltanto nei precisi limiti voluti 
dal legislatore e risultanti dalla stessa lettera della 
legge; quindi, rifacendosi alla citata sentenza della 
Oorte di Oassazione, le cui statuizioni erano state 
ampiamente illustrate dalla difesa dell'Amministrazione, 
e riconoscendo, in difformit� di quanto 
era stato sostenuto dalla difesa dei contribuenti 
sulla base dell'uso in parte diverso delle parole, la 
identit� delle situazioni contemplate nella legge regio 
nale siciliana n. 2 del 1949 (dove pur facendosi 
riferimento a �compravendite� di appartamenti si 
limitava il beneficio al primo �trasferimento �) e 
nella legge di cui si tratta (dove facendosi riferimento 
ai �trasferimenti � di case si limita variamente la 
agevolazione per la �vendita� dei negozi), perveniva 
alla conclusione indicata nella massima. 

La sentenza merita piena ed incondizionata 

adesione. 

Innanzitutto, nonostante un orientamento aff�o 

rato in talune pronunzie giurisprudenziali (v. per 

tutte, Oass. 22 ottobre 1959, n. 3030 in Mass. foro 

it. 1959, col. 570), il quale appare piu che non


sia contrario, sembra da sostenersi che le norme age


volatrici esigano una interpretazione aderente alla 

lettera della disposizione. Gli stessi fautori della 

tesi secondo cui � possibile un'interpretazione esten


siva e finanche analogica delle norme tributarie 

ritengono tuttavia che �nelle disposizioni le quali 

stabiliscono esenzioni tributarie e particolari facili


tazioni tributarie per il contribuente, condizionate 

alla ricorrenza di ,presupposti di fatto, tassativa


mente indicati e che devono quindi verificarsi nei 

precisi termini, nei quali li ha previsti il legislatore 

affench� il contribuente possa usufruire del beneficio, 

� evidente che l'interprete � legato alla lettera della 

legge (GIANNINI; Ist. di dir. trib.;� Milano, 1960, 

p. 27) e non pu� esimersi dal considerare la -n�tura 
eccezionale della legge agevolatrice (v. pure art. 14 
delle disposizioni sulla legge in generale). Le norme 
di cui la specie imponeva l'interpretazione apparte

-51 


nevano ovviamente a quest'ultima categoria ed era 
pertanto alla lettera della legge che bisognava por 
mente ed era in quest'ordine di idee che le norme 
:stesse andavano esaminate. E del resto � anche' in 
perfetta aderenza logica che norme di tal genere 
siano rigorosamente interpretate. Lo Stato rin.uncia 
alla percezione totale o parziale del tributo in vista 
di determinate finalit� e per ci� con la verificazione 
di ben circoscritte situazioni di fatto, mancando le 
quali risorge nella sua intierezza l'obbligo tributario. 

E chiaro, poi, che l'atto con il quale vengono trasferite 
le propriet� e costituito l'usufrutto, sia pure 
come nella specie rispettivamente a Tizio ed in favore 
del di liti figlio minore rappresentato dallo stesso 
Tizio, comporti sostanzialmente due distinti negozi, 
ciascuno dei quali � sottoposto a tassa come se formasse 
un atto distinto (art. 9 primo comma della 

legge fondamentale del registro). 

Orbene, intanto, la �costituzione � di usufrutto 
non � un �trasferimento �, giacch� prima non esi:
steva come diritto autonomo e l'imposta di registro, 
che come si � ricordato colpisce i singoli negozi, 
non pu� non applicarsi nella sua intierezza alla 
�costituzione � di usus/rutto in nessun modo pr�sa 
in considerazione dalla legge agevolatrice. N � varrebbe 
obbiettare� che la costituzione di usufrutto � 
colpita come atto traslativo dall'imposta di registro, 
in quanto l'imposta di registro, non essendo 
nominativamente prevista nella legge relativa e nelle 
tariffe allegate la �costituzione� di usufrutto, n� 
d'altra parte integrando un trasferimento, la colpisce 
come atto traslativo in considerazione del 
disposto dell'art. 8, comma secondo, della stessa 
legge, secondo cui �un atto che per la sita natura 
e per i suoi effetti �.. . risulti soggetto a tassa ... 
ma non si trovi nominativamente indicato nella 
tariffa � soggetto alla tassa stabilita dalla tariffa per 
l'atto col quale per sua natura e per i suoi effetti ha 
maggiore analogia�. L'espressione �trasferimento� 
di case da intendere quindi nel suo significato comune 
non pu� che riferirsi, giusta quanto ebbero a 
rilevare i giudici di primo grado della causa in 
questione, al diritto di propriet�, siccome a quello 
rispetto a cui suole nelle fonti legislative usarsi 
come .sinonimi il diritto ed il bene che ne forma 
.oggetto, senza che siano consentite ingiustificate 
interpretazioni delle norme tributarie, specificamente 
dettate peraltro in rapporto alla valutazione dello 
'Usufrutto (artt. 19 e 21 della legge fondamentale 
del registro e artt. 23 e 24 della legge fondamentale 
.sull'imposta di successione). Anzi proprio in base 
all'art. 21 della legge fondamentale del registro 
~< poich� (J_uesta considera la piena propriet� come 
fine ultimo della compravendita sia pure attraverso 
'Un'eventuale intermedia costituzione di usufrutto 

(la quale in ultima analisi non � che una limitazione 
di utilit�) e poich� il valore della nuda propriet� 
'Viene assunto come solo imponibile provvisorio in 
attesa di stabilire quello globale definitivo al momento 
della riunione dell'usufrutto� si � stimato giusto 
�che il favore tributario si indirizzi interamente a 
tale oggetto e non venga disperso in negozi intermedi 
ai quali la legge agevolatrice in questione deve ritenersi 
indifferente� (Oomm. centr. 13 marzo 1953, 

<lit.). 

D'altra parte, la ratio della norma, di cui si 
tratta, 'in quanto diretta a favorire l'acquisto della 
propriet� di una casa non potrebbe consentire la 
estensione della norma stessa alla costituzione di 
un di�ritto di godimento, che � Msa diversa e rappresenta 
in un certo senso addirittura un ostacolo a 
quell'acquisto, cui si perverr� solo nel futuro, .in 
modo quindi giuridicamente ed economicamente diverso, 
ci� che non pu� non essere rilevante pure 
perch� potrebbe restar concentrata nelle mani degli 
imprenditori la propriet� degli immobili frustrandosi 
cos� almeno in parte l'altro scopo della legge 
agevolatrice, che � quello di incrementare le nuove 
costruzioni da parte degli imprenditori medesimi. 
N� varrebbe per ci� obbiettare che il beneficio dovrebbe 
accordarsi alla costituzione di usufrutto solo 
quando contestualmente si trasferisse ad altri la 
nuda propriet� (come si legge nella citata sentenza 
in causa Azzone-Finanze), giacch� cos� ragionando 
oltretutto si farebbe di un elemento meramente accidentale, 
quale quello della contestualit� della vendUa 
a altri, una imprevista condizione dell'agevolazione. 

Infine, a tutto ci� la sentenza annotata aggiunge; 
�n� ha infiuenza alcuna l'osservazione che in definitiva 
col trasferire la nuda propriet� e l'usufrutto 
si trasferisse in sostanza la yiena propriet� scissa 
nei suoi elementi, al pari di un trasferimento dei 
due di1�itti ad una stessa persona�, giacch�, �infatti 
in caso di trasferimento della piena propriet� n�, 
la legislazione fiscale n� quella comune prendono 
in esame i singoli elementi in cui essa pu� scomporsi 
e se ci� venisse fatto dai contraenti la circostanza 
sarebbe irrilevante in quanto come ripetutamente 
sancito dalla giurisprudenza del Supremo 
collegio non � possibile concepire un usufrutto su 
cosa propria, dato che il nostro diritto positivo 
non ammette la figura dell'usufrutto casuale, spettante 
cio� al propriet�rio, e quindi non consente 
che un soggetto possa essere nel contempo proprietario 
ed usufruttuario della medesima cosa�. 

BENEDETTO BACCARI 

IMPOSTA DI REGISTRO -Aliquote ridotte previste 

nella Tabella All. D -Autenticazione delle firme da 

parte del Notaio. -Inapplicabilit� del beneficio. 

IMPOSTA DI REGISTRO-Patto di riservato dominio 
-EsclusiOne della aliquota ridotta ex art. 45 tabella 


IMPOSTA DI REGISTRO -Tassa di enunciazione 
Solidariet� tra tutte le parti anche se estranee all'atto 


enunciato. (Tribunale Caltanissetta, 13 gennaio 1962 
-Pres.: Scarpinato; Est.: Grasso-Verdura c. Finanze). 

Il trattamento di favore previsto dagli artt. 44 

e 45 della tabella allegata D alla legge di registro 

non si applica quando le firme dei contraenti sono 

state autenticate da un notaio. 

Per la norma contenuta nella nota �inarginaJe .. 

all'art. 45 della tabella allegato D sono escluse 

dall'esenzione e quindi rimangono soggette dalla 

origine al trattamento tributairo delle scritture 

private ordinarie, le vendite di merci che conten



-52


gono il patto di riservato dominio quando il prezzo 

sia pagabile in un termine superiore a sei mesi. 

In base all'art. 93 della legge di Registro, tutte 
le parti intervenute nella formazione di un contratto 
sono fra loro solidalmente obbligate al pagamento 
dell'imposta, anche relativamente alle convenzioni 
enunciate che riguardano solo alcuni dei 
contraenti. 

Nei sensi di cui alla prima massima si era espressa 
la Commissione� Centrale con decisione 17 novembre 
1958, .n. 9752 (in Riv. Leg. Fisc., 1960, 807), 
ove si osservava che l'art. 45 tabella D non pu� 
applicarsi quando le scritture private o sono auten 
ticate da pubblico ufficiale ovvero sono soggette ad 
approvazione, perch� in questa ipotesi l'intervento 
di una pubblica autorit� le sottrae alla correntezza 
commerciale e le trasferisce tra gli atti soggetti a 
registrazione in termine fisso. 

Il Tribunale ha poi ritenuto che il patto di riservato 
dominio costituisca una garanzia reale, analogamente 
a quanto aveva ritenuto la Commissione 
Centrale nella decisione 2 maggio 1958, n. 4570 
(in Riv. Leg. Fisc., 1959, 748). 

Per qu�nto concerne la terza massima, si ricorda 
come le SS. UU. della Cassazione 18 maggio 1955 
(in Foro Padano, 1955, I, 1268) avevano ritenuto 
la solidariet� di tutte le parti contraenti anche rispetto 
alle convenzioni alle quali qualcuna sia rimasta 
estranea. 

In senso piu specifico, e cio� per l'estensione 
della solidariet� anche per le convenzioni enunciate 
si era espressa la Cassazione, Roma, 22 dicembre 
1900 (in Massime 1901, 8) richiamata dal BERLIRI 
(Le Leggi del Registro, ed 1960, p. 450), che vi 
presta completa adesione. � 

Nella fattispecie il Tribunale ha ritenuto responsabile 
solidalmente il venditore p6r la tassa di nunciazione 
di una societ� di fatto tra gli acquirenti di una 
macchina da cinema, societ� di fatto che � risultata 
appunto dall'acquisto in comune di siffatto macchinario 
con elezione di domicilio presso i locali di 
esercizio. 

RESPONSABILITA' CIVILE-Fatto considerato dalla 

legge come reato -Prescrizione del diritto al risar


cimento del danno. -Ipotesi di danni estranei alla 

fattispecie criminosa. (Tribunale di Firenze, sezione I 

civile, 3 luglio 1961 -Pres.: Calamari; Est.: De Biase -

Giuntini c. Nutini e Amministrazione Difesa Esercito). 

�Quando da uno. stesso fatto (nella specie, 
collisione di veicoli) nascono due eventi, uno dei 
quali costituente illecito penale (lesioni colpose), 
e l'altro mero illecito civile (danni ai veicoli), il 
pi� lungo termine di prescrizione stabilito dal 30 
comma dell'art. 2947 c. c. per il fatto considerato 
dalla legge come reato non � applicabile anche al 
risarcimento del danno derivante dall'illecito civile. 

�Ove per� la persona che abbia subito il danno 
di mera rilevanza civile sia lo stesso soggetto pas


sivo del reato, la prescnz10ne del suo diritto al 
risarcimento di tutti i danni patiti � soggetta alla 
disciplina dell'art. 2947, 3� comma�. 

L'a,rt. 2947 O.e., dopo a.ver stal>ilito, nei primi 
due commi, il termine di prescrizione del diritto al 
risarcimento del danno derivante da fatto illecito 
(di regola, cinque anni; due, se si tratta di danno� 
prodotto dalla circolazione dei veicoli), dif!pone, nel 
terzo comma, che �in ogni caso, se il fatto � considerato 
dalla legge come. reato e per il reato � stabilita 
una prescrizione pi� lunga, questa si applica anche� 
all'azione civile. Tuttavia, se il reato � estinto per 
causa diversa dalla prescrizione o � intervenuta 
sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto� 
al risarcimento del danno si prescrive nei termini 
indicati dai primi d1be commi, con decorrenza dalla. 
data di estinzione del reato o dalla data in cui lro 
sentenza � divenuta irrevocabile �. 

Com'� noto, l'interpretazione di questa dispos-izione,. 
in apparenza chiarissima, ha dato luogo a varie� 
difficolt�. Particolarmente interessante � la questione� 
affrontata nella sentenza sopra riprodotta. 

�Accade piuttosto frequentemente, specie in casodi 
scontro fra veicoli, che dalla condotta colposa di 
un soggetto derivino pi� eventi, alcuni dei quali 
(ad esempio, lesioni o morte di un'altra persona) 
integrino la fattispecie di un reato, mentre altri 
(distruzione o deterioramento di cose) rimangano� 
penalmente indifferenti, dando luogo esclusivamente: 
alla sanzione privatistica del risarcimento del danno. 
In queste ipotesi, la prescrizione del diritto al risarcimento 
del danno patrimoniale conseguente allelesioni 
o alla morte � certamente soggetta alla disciplina 
dell'art. 294 7, 3� comma. Dubbio � invece se la 
medesima disciplina possa applicarsi anche al risarcimento 
dei danni penalmente irrilevanti causati da quellastessa 
condotta che costituisce elemento del reato di 
lesioni o di omicidio colposo. 


La giurisprudenza, in passato alquanto incerta (1), 
sembra ormai essersi consolidata nel senso indicato 
dalla Oassazione nella sentenza 25 maggio 1957, 


n. 1905 (2)~ 
I princ�ipi accolti dalla Suprema O orte, e fatti 
propri integmlmente dalla sentenza annotata, possono 
cos� riassumersi: di massima, il diritto al 
risarcimento del danno patrimoniale inerente alloevento 
penalmente irrilevante si prescriverebbe nei 
termini normali previsti nei primi due commi del


(1) Cfr., per l'applicabilit� dell'art. 29433: App. Trento� 
1� marzo 1957, in Foro it. Rep. 1957, voce � Prescrizione 
'" 96; App. Brescia, 25 maggio 1955, in Giust. civ. 
Rep. 1955, voce cit., 25. Oontra: Trib. Novara, 6 dicembre 
1956, in Foro #. 1957, I, 1420; Trib. Genova, 24 
gennaio 1955, in Foro pad. 1956, I, 800. 
(2) In Foro it. 1957, I, 1420. Cfr. anche: Cass. 4 
maggio 1960, n. 992, in Giust. civ. 1960, I, 1348. Fra le 
sentenze di giudici di merito che si sono uniformate. 
all'indirizzo della Cassl}zione cfr.: Trib. Bologna,--11. .marzo 
1958, in Arch. resp. civ. 1958, 242; Trib. Parma, 
27 giugno 1958, in Temi 1959, 155; Trib. Genova, 13: 
aprile 1959, in Riv. it. dfr. proc. 'pen.. 1960, 329. Contra: 
App. Napoli, 13 maggio 1958, in Mon. trib. 1958, 912. 

-53


'art. 294 7. Non sarebbe infatti sufficiente, per la 
applicazione del terzo comma, la circostanza che 
q_uell'evento sia stato causato dalla medesima condotta 
dalla quale siano derivati anche altri effetti integranti 
una fattispecie criminosa. Ove per� il danneggiato 
per l'illecito meramente civile sia lo stesso 
soggetto passivo del reato, la prescrizione del suo 
diritto al risarcimento di tutti i danni subiti, tanto 
q_uelli inerenti al reato, quanto quelli estranei alla 
fattispecie criminosa, sarebbe sempre soggetta alla 
disciplina dell'art. 2947, 3� comma. 

Questo indirizzo giurisprudenziale non sembra meritevole 
di approvazione. 

Intanto, si rileva a prima vista l'incongruenza e 
l'assoluta arbitrariet� della distinzione che vorrebbe 
introdursi fra l'ipotesi in cui il soggetto passivo del 
reato e la persona danneggiata dall'illecito civile 
eoincidano e l'ipotesi inversa. La disciplina. dettata 
dall'art. 2947, 3� comma, non ammette discriminazioni 
quoad personam. Nella considerazione della legge non 
entra minimamente la persona del danneggiato. Unico 
elemento rilevante � la qualificazione criminosa del 
fatto dannoso (salvo vedere cosa esattamente debba 
intendersi -per �fatto �). Non � perci� consentito 
all'interprete di elevare a momento determinante 
dell'applicabilit� o meno della norma circostanze 
relative a,d elementi diversi, del tutto estranei a ci� 
ehe costituisce il fondamento e lo scopo della disposizione. 


Se si accoglie il principio dell'applicabilit� dell'art. 
294 7 alle sole ipotesi in cui il fatto costitutivo 
dell'obbligazione di risarcimento coincida totalmente 
con il fatto -reato, si deve coerentemente riconoscere, 
come ha sostenuto l'Avvocatura nella causa definita 
con l'annotata sentenza, che anche per i danni 
estranei al reato subiti dallo stesso soggetto passivo 
di questo non pu� che applicarsi la prescrizione normale 
dell'art. 2947, 1� e 20 comma. 

La rigorosit� logica di questa conclusione � confermata, 
del resto, dalla stessa giustificazione proposta 
dalla Cassazione (e�, sulle sue orme, dal Tribunale di 
Firenze) per la soluzione opposta (1): giustificazione 
fondata su argomenti di mera convenienza, che rappresentano 
un vero e proprio sovrapporsi delle vedute 
personali dell'interprete alla logica oggettiva della 
interpretazione. 

La ragione per cui la giurisprudenza � indotta ad 
abbandonare la rigorosa conseguenzialit� logica della 
tesi da essa accolta ci sembra evidente; si vogliono 
evitare conseguenze che urtano contro ovvie esigenze 
pratiche, si potrebbe dire, contro lo stesso senso comune. 
Ma ove l'applicazione rigorosa di una certa tesi porta 
a conseguenze inaccettabili, non ci si pu� sottrarre a 

(1) �Solo quando la stessa persona riceva dalla medesima 
attivit� ant,igiuridica una lesione ad un suo bene 
individuale, che anche la legge penale ltutela, e nel 
contempo una lesione ad altro bene penalmente non 
protetto � da ammettere che sia legittimata ad attendere 
l'esito del processo penale per far valere in un 
unico giudizio entrambe le pretese riparatorie, non potendo 
essere obbligata ad instaurare du� giudizi sepa,' 
. ... , ' '. 

rati�. 

queste con arbitrari �distinguo �; si impone piuttosto 
un riesame del fondamento della tesi stessa. 

E, in realt�, a noi sembra che l'interpretazione 
restrittiva dell'art. 2947 accolta in linea di massima 
dalla giurisprudenza non regga. Gli � argomenti 
addotti a suo sostegno sono, invero, alquanto corrivi. 

Il presupposto per l'applicazione della norma, 
si dice, � che �il fatto sia considerato dalla legge come 
reato �. Orbene, per �fatto � dovrebbe intendersi la 
sintesi della condotta colposa o dolosa e dell'evento. 
Da ci� si argomenta che, nell'ipotesi in considerazione, 
sussisterebbero tanti �fatti � quanti sono gli 
eventi, e cio� due; uno (condotta colposa piu lesioni 
personali o morte) costituente reato; e un altro (stessa 
condotta piu danni alle cose) costituente mero illecito 
civile. Soltanto il primo �fatto � rientrerebbe nella 
previsione dell'art. 2947, 3� comma; al secondo dovrebbe 
essere applicata invece la disciplina comune. 

Oome si vede, tutto il ragionamento riposa sulla 
base, piuttosto fragile, di una certa interpretazione 
dell'espressione �fatto�. � ben noto, per�, che poche 
parole come �fatto � assumono nel linguaggio giuridico 
tanti significati diversi e, a volte, contrastanti 
a seconda del contenuto e dello scopo delle singole 
disposizioni che ne fanno uso. Non � quindi possibile 
stabilire aprioristicamente il valore di quell'espressione 
e trarne argomento per l'interpretazione dello 
art. 294 7. Solo una approfondita indagine del 
contenuto e degli scopi della norma possono condurci 
a delimitare con rigore i presupposti per la sua 
applicazione, cio� ad intendere esattamente il significato 
dell'espressione �fatto considerato dalla legge 
come reato;> (1). 

Anticipando la conclusfone cui crediamo si debba 
pervenire, a nostro avviso la previsione della legge 
si estende ad ogni ipotesi in cui tutti o alcuni soltanto 
degli elementi costitutivi del fatto produttivo dell'obbligazione 
di risarcire il danno siano, al contempo, 
anche elementi di una fattispecie criminosa. In altre 
parole, ci� che occorre, a nostro parere, per l' applicazione 
dell'art. 294 7, 3� comma, � che nel �fatto �, 
considerato dal punto di vista naturalistico, come un 
tutto unitario comprensivo della condotta e dei suoi efetti, 
siano presenti gli elementi di un reato, poco importando, 
poi, che questi elementi assorbano tutto intero 
il �fatto� cos� inteso, o invece una sola parte di esso. 
Verificandosi questo presupposto, il diritt� al risarcimento 
di tutti i danni inerenti al fatto sar� soggetto 
alla prescrizione stabilita per il reato, tanto se si 
tratti dei danni afferenti allo stesso evento che rientra 
nella fattispecie criminosa, quanto se invece si tratti 
di danni penalmente irrilevanti. 

A questa conclusione. si arriva se si intende esattamente 
la ratio della norma. 

In proposito, non sembra soddisfacente l'opinione 
corrente, secondo la quale lo scopo perseguito dalla 
legge con l'accomunare la sorte della pretesa riparatoria 
del privato e della pretesa punitiva dello Stato 
andrebbe ravvisato nell'intento di evitare che l'autore 
di un reato, dichia,rato responsabile e condannato in 
sede� penale, p.ossa restare esente dall'obbligo di 

(1) Cfr.: 0NDEI: Il concetto di �fatto" nel diritto civile, 
in �Foro pad. >>, 1956, I, 800; App. Napoli, 13 maggio 
1958, cit. 

-54


risarcire il danno per l'avvenuto decorso del breve 

termine della prescrizione civile (1). 

In 'sostanza, si vorrebbe scorgere il fondamento 
della norma nello scopo di rafforzare la posizione del 
titolare di un diritto di risarcimento nascente da 
1�eato, quasi che costui fosse portatore, non solo di 
un interesse privato, ma anche di un interesse generale 
alla repressione dell'illecito. Sembra ravvisabile 
in questa tesi una lontana eco delle antiche e superate 
concezioni dell'azione ci'l'ile nascente dal fatto-reato 
come azione non perfettamente autonoma rispetto 
a quella penale, ma in questa �racchiusa ;>, tanto da 
trarne una decisa colorazione penalistica (2). Il 
diritto moderno, come � noto, ha decisamente ripudiato 
questo punto di vista; non sembra quindi 
possibile ritenere che, nell'adeguare la prescrizione 
del diritto al risarcimento a quella della pretesa 
punitiva, il legislatore sia stato guidato dalla considerazione 
del primo come dipendente o accessorio 
ri8petto alla seconda. Se si considera poi che la disciplina 
dell'art. 2947, 3� comma, � applicabile anche all'azione 
di rescissione (art. 1449�), non sembra possibile 
continuare a sostenere che il suo fondamento riposi 
su un preteso carattere persecutorio dell'azione civile 
'per il risarcimento dei danni, carattere che certo 

non potrebbe attribuirsi anche all'azione di rescissione. 

Neppure appagante sembra l'opinione di chi 

scorge la ratio dell'art. 2947 nella necessit� di tenere 

in vita l'azione civile risarcitoria fino a quando vi 

sia la possibilit� di esercitarla in sede penale median


te la costituzione di parte civile (3). Anzitutto, non si 

vede proprio perch� la legge dovrebbe considerare 

necessario assicurare in ogni caso la possibilit� della 

costituzione di parte civile nel processo penale, 

quando questa costituzione �, nel nostro sistema, 

meramente eventuale e ,in essa il legislatore non 

scorge affatto qualcosa di indispensabile allo svol


gersi del processo penale. In secondo luogo, ove il 

fondamento della norma fosse veramente quello indi


cato, non si spiegherebbe perch�, venuta meno la 

possibilit� della costituzione di parte civile (ossia, 

una volta compiute per la prima volta le formalit� 

di apertura del dibattimento nel processo di primo 

(1) Cfr.: AzzARITI-SCARPELLO: Della prescrizione e della 
decadenza, in Commentario del Ood. civ. a cura di Scialoja 
e Branca, Libro VI, Bologna-Roma 1953, pag. 625; 
Cass. 29 gennaio 1957, n. 313, in Giust. civ. 1957, I, 397; 
id., 4 maggio 1960, n. 922, cit. 
Singolare l'opinione del TORO (Prescrizione del diritto 
al risarcimento del danno e reato non punibile per man canza.
di querela, in� Giust. civ.�, 1957, I, 397), secondo 
il quale l'intento perseguito dalla legge sarebbe quello 
di evitare che il colpevole debba ancora pagare il suo 
debito verso la collettivit� quando il decorso del tempo 
abbia estinso il debito verso la vittima del reato. Ma, 
se cosi fosse, � facile obiettare, la legge avrebbe abbreviato 
il termine della prescrizione penale e non prolungato 
quello della prescrizione civile. 

(2) Su queste superate concezioni v. l'efficace sintesi 
di LIEBMAN: L'efficacia della sentenza penale nel processo 
civile, nel volume collettaneo L'efficacia del giudioato 
penale nel processo civile. Milano, 1960, pag. 11 ss. 
(3) Cos�:, Trib. Parma, 27 giugno 1958, cit. 
grado: art. 93 0.p.p.), il diritto al risarcimento non. 
venga assoggettato alla piu breve prescrizione civile, 
ma ci� accada soltanto allorch� intervenga sentenza 
irrevocabile nel giudizio. penale. . . , 

Il vero fondamento della norma in discorso non 
pu� essere individuato finch� essa venga considerata 
isolatamente, trascurando i nessi sistematici che la 
legano a tutto quel complesso normativo che disciplina 
i rapporti fra giudizio penale e giudizio civile. 

Come � stato acutamente osservato l'art. 2947, 
30 comma, non � che il corollario del teorema generale 
della pregiudizialit� del giudicato penale (1). 

Il principio generale cui s'informa la nostra legge 
(artt. 25, 27, 28 O.p.p.) � quello del vincolo del giudice 
civile agli accertamenti contenuti nella sentenza 
penale. Prescindiamo qui dalle note dispute teoriche 
circa la riconducibilit� o meno del fenomeno al concetto 
della cosa giudicata. Oerto � che, nel nostro 
sistema, il giudice civile � tenuto a porre a base 
della propria decisione il giudizio di fatto compiuto 
dal giudice penale. E ci� vale non solo per 
l'azione civile di risarcimento nascente dallo stesso 
fatto-reato (artt. 25 e 27), ma per ogni altra azione 
(anche di risarcimento) relativa ad un diritto �il cui 
riconoscimento dipenda dall'accertamento dei fatti 
materiali che furono oggetto del giudizio penale � 
(art. 28), ossia, relativa ad un diritto la cui fattispecie 
costitutiva comprenda elementi di fatto sottoposti 
anche alla cognizione del giudice penale, in quanto 
inerenti all'oggetto dell'imputazione. 

Per assicurare questo effetto vincolante degli accertamenti 
di fatto compiuti dal giudice penale, la legg� 
prescrive la sospensione necessaria del giudizio 
civile in tutti i casi in cui sia iniziata l'azione penale 
e la cognizione del reato influisca sulla decisione 
della controversia civile (art. 3� O.p.p.), ossia in tutti 
quei casi in cui il giudice civile, per decidere la causa, 
dovrebbe conoscere di fatti sottoposti alla cognizione 
del giudice penale. 

Nell'interpretazione dell'art. 3 O.p.p., la giurisprudenza 
� giunta talvolta ad affermare che la sospensione 
del giudizio civile non opererebbe de iure, ma 
sarebbe rimessa all'apprezzamento discrezionale del 
giurice di merito (2). A noi sembra che debba farsi 
una distinzione: quando il fatto oggetto del giudizio 
penale abbia nel giudizio civile la sola rilevanza 
di un elemento di prova (ad esempio, se sia stata 
iniziata azione penale per falsa testimonianza contro 
un teste escusso nel processo civile) ai fini della 
sospensione � evidentemente necessario un apprezzamento 
del giudice civile circa l'influenza di quell'elemento 
di prova sulla decisione della causa; ma se, 
invece, sia lo stesso fatto costitutivo del diritto 
oggetto del giudizio civile che, totalmente o per qualche 
suo elemento, sia soggetto alla cognizione del 
giudice penale, in qiianto rientrante in una fattispecie 
criminosa, la sospensione non pu� non aver 
luogo in ogni caso, senza che vi sia margine per un 
apprezzamento d.iscrezionale del giudice. 

In questa seconda ipotesi, quiri�i; una oolta 

esercitata l'azbne civi7e, il processo non potrd che .. 

(1) ONDEI, op. cit. 
(2) Cfr.: Cass. 25 maggio 1957, n .� 1905, cit. 

A @::= ill A @::= ill 
-55


essere immediatamente sospeso attraverso il congegno 

dell'art. 3 O.p.p. Ed � app1mto questo impedimento 

al libero cors� del processo civile che giustifica la 

norma dell'art. 29471 3� comma. 

Se per il diritto soggettivo privato fosse stabilita 

una prescrizione piu breve di quella del reato, si 

avrebbe, infatti, questa assurda conseguenza; il tito


lare del diritto sarebbe costretto, sotto pena di pre


scrizione, a proporre la domanda, pur dovendosi, 

poi, immediatamente sospendere il processo. Sarebbe 

una grave incongruenza del sistema se la legge, da 

una parte, imponesse al titolare l'esercizio del diritto 

sotto pena di perderlo e, dall'altra, paralizzasse lo 

svolgimento del processo, imponendone la necessaria 

sospensione. 

L'art. 2947, 30 comma, � stato dettato appunto per 

eliminare questi inconvenienti. 

La norma pu� essere accostata a quella dell'arti


colo 2935. Oome il decorso della prescrizione � impe


dito finch� il diritto non pu� essere esercitato, cos� 

la legge si preoccupa di estendere il termine allCYrch� 

il diritto pu� s�. esser fatto valere in giiidizio (nel senso 

che nessun impedimento sussiste alla proposizione 

della domanda.), ma il processo non pu� liberamente 

svolgersi, a causa delle interferenze con la giurisdi


zione penale. 

Se questo �, quindi, il fondamento sistematico 
dell'art. 294 7, lo scopo della norma impone di �estendere 
il suo campo di applicazione non solo al diritto 
fondato sullo stesso fattq-reato, ma anche al diritto 
tendente al risarcimento dei danni penalmente indif.. 
ferenti conseguenti ad una condotta che, per essere 
elemento costitutivo di un reato, � soggetta alla cognizione 
del giudice penale, con effetto vincolante nel 

processo civile a norma dell'art. 2�8 O.p.p. 

Nessuna differenza tale da giustificare un diverso 

trattamento normativo esiste infatti fra i due casi; 

da una parte, si tratta sempre di sospensione neces


saria del processo e mai di improponibilit� della 

azione (1); dall'altra, la sospensione non pu� non 

aver luogo necessariamente in tutti e due i casi, non 

potendo, nel nostro sistema, il giudice civile conoscere 

di fatti attinenti ad una fattispecie criminosa sotto


posta alla cognizione del giudice penale, poco impor


(1) Del tutto errato �, a nostro avviso, quanto affermato 
nella citata sentenza della Cassazione 1905/1957: 
�Quando la legge vieta l'esercizio dell'azione civile 
mentre � in corso quella penale, fa univoco riferimento 
all'azione civile nascente dal reato, indissolubilmente 
legata al reato, non a quella che abbia il suo titolo nella 
colpa civile ... Solo riguardo all'azione che abbia per 
oggetto siffatta pretesa, ove si voglia esercitarla in sede 
separata, sorge, per effetto del divieto di legge di proporla 
o proseguirla finch� � pendente il giudizio penale, 
una situazione oggettiva di impossibilit� giuridica, nella 
tando che nel giudizio civile vengano in discussione 

tutte le circost'anze di fatto integranti il reato, o alcune 

soltanto di esse. 

L'esercizio dell'azione civi.le .�. libero. in tutti. e 

due i casi, ma, in tutti e due, il processo dovr� essere 

immediatamente sospeso dopo il suo inizio attraverw 

il congegno dell'art. 3 0.p.p. 

Ricorre quindi la ratio dell'art. 2947, 30 comma: 

la norma non potr� non essere applicata ad ambedue 

le ipotesi. 

In conclusione, tanto il diritto al risarciment<> 

fondato sullo stesso fatto�reato, quanto quello fonjf,ato 

su di un fatto che interferisca con il reato, nel sens<> 

che presenti elementi comuni alla fattispecie di questo 

ultimo, devono ritenersi sottoposti, per la prescrizione, 

alla disciplina dell'art. 2947, 3� comma, le cui fina


lit� resterebbero frustrate ove si adottasse, invece,. 

una interpretazione restrittiva. 

� da rilevare, infine, che l'aver rinvenuto la 

ratio della norma nella necessit� di evitare la costri


zione ad agire, sotto pena di prescrizione, allorch�


il processo deve necessariamente essere sospeso, con


sente di fondare, altres�, l'applicazione analogica. 

dell'art. 2947 al di fuori del campo della responsa


bilit� extracontrattuale, a tutti i casi in cui opera la 

sospensione necessaria del giudizio civile per essere� 

i fatti che ne sono oggetto sottoposti alla cognizione 

del giudice penale (2). 

MARCELLO CONTI 

quale, in omaggio all'antico aforisma del cc contra non 

valentem agere �, trova il suo presupposto e la sua 

" ratio � la concessione di un pi� lungo termine di pre. 
scrizione e di una diversa decorrenza di esso�. 

In realt�, l'azione civile fondata sullo stesso fatto 


reato non � improponibile fino all'esito del giudizio


penale: la situazione � qnella, ben diversa, della sospen


sione necessaria; n� suesiste, pertanto, la voluta diffe


renza fra le due ipotesi in considerazione. 

D'altronde, se il fondamento dell'art. 2947 stess6' 

veramente nel principio (< contra non valentem ager6' 

non currit praescriptio � (v. anche App. Napoli 13 mag


gio 1958, cit.), si tratterebbe di n�irma superflna, es


sendo sufficiente l'art. 2935. Proprio perch�, nelle ipo


tesi disciplinate dall'art. 2947, non si tratta di impro


ponibilit� dell'azione, il legislatore ha avuto bisogno di 

dettare una norma speciale (cos�, esattamente, Cass. 29' 

gennaio 1957, n. 313, in Giust. civ. 1957, I, 397. Con


fronta anche: Cass. 3 agosto 1942, in Sett. Cass., 1943, 

177). 

(2) Onesta estensione analogica della norma in discorso 
� ammessa, in principio, dalla stessa Cassazione 
(cfr. sent. 29 gennaio 1957, n. 313, cit.). Non si capisce 
proprio, pertanto, come la stessa Cassazione, in base 
a con~iderazioni di carattere prettamente formalistico, 
adotti criteri tanto restrittivi nel giudicare dell'ipotesi 
da cui abbiamo preso le mosse. 

00 4w WfF" ::7nrrm��� =::rrr~n....

=Ml Li l@d�& 

INDICE SISTEMATICO 
DELLE CONSULTA�z1�0NJ 


�L� FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE � STATA DATA 
ACQUE PUBBLICHE 

1CASSA PER IL MEZZOGIORNO. 

Se competente a decidere le controversie per risarci
�mento danni conseguenti ad occupazione ultrabiennale 
�di immobili da parte della Cassa per il Mezzogiorno per 
la attuazione di opere relative all'acquedotto campano 
:sia il Trl.bunale ordinario o il Tribunale Regionale delle 
.Acque Pubbliche (n. 68). 

AGRICOLTURA E FORESTE 

:ISTITUTI DI CREDITO AGRARIO. 

Se gli Istituti di Credito Agrario abbiano diritto a 
Tivalersi nei confronti dei mutuatari, dell'I.G.E. pagata 
�sulla quota interessi delle rate di ammortamento in con� 

�seguenza dei r:i::rntui concessi in esecuzione al disposto 
�dell'art. 2 legge 25 luglio 1952, n. 991 (n. 26). 
ALBERGHI 

.AUTORIZZAZIONE PER LA DEMOLIZIONE. 

Se l'autorizzazione prevista dalla legislazione alber:
ghiera sia necessaria anche per la demolizione dell'im:
mobile vincolato (n. 14). 

AMMINISTRAZIONE PUBBLICA 

NOTIFICAZIONE. 

1) Quali siano le norme che regolano la notifica degli 
.atti di sequestro, di pignoramento o di opposizione, 
tendenti ad impedire lo svincolo ed il pagamento delle 
'somme depositate presso la Cassa DD.PP. (n. 259). 

2) In quali casi debbono trovare applicazione le norme 
�ordinarie sulla notifica della citazione e degli altri atti 
.giudiziali alle Amministrazioni dello Stato, ai sensi del


'a rt. 11 T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611 (n, 259). 

APPALTO 

IMPRESE APPALTATRICI DI LAVORI -RISOLUZIONE VER� 
TENZE, 

1) Se l'imprenditore che intenda resistere al provve
�dimento di reiezione delle riserve debba notificare la 

domanda di arbitrato entro trenta giorni dalla comunicazione 
delle decisioni dell'Amministrazione (n. 211). 

2) Se, ove entro i trenta giorni l'imprenditore non 
abbia notificato la domanda di arbitrato, la vertenza 
debba considerarsi definita e chiusa con la reiezione delle 
riserve divenuta irrevocabile per mancata tempestiva 
impugnazione (n. 000). 

3) Se la eventuale determinazione di rifiutare l'arbitrato 
per rimettere la decisione della vertenza all'Autorit� 
Giudiziaria spetti unicamente alla Amministrazione 
ferroviaria (n. 261). 

REVISIONE PREZZI. 

4) Se a seguito di revisione dei prezzi (D. L. 6 dicembre 
1947, n. 1501, ratificato con modifiche dalla legge 
9 maggio 1950, n. 329) il prezzo di appalto sia da maggiorare 
per l'intero suo importo o per la sola parte corrispondente 
ai lavori eseguiti in regime di prezzi ex correnti 
superiori a quelli contrattuali (n. 262). 

5) Se per prezzi correnti alla data dell'offerta debba 
intendersi, quando la gara si sia svolta su prezzi offerti 
dalla Impresa, quelli contrattuali (n. 262) . 

ASSICURAZIONI 

ASSICURAZIONE CREDITI ALL'ESPORTAZIONE. 

Natura giuridica dell'assicurazione dei crediti all'esportazione 
e problemi relativi alla predisposizione di nuove 
condizioni generali di polizza in relazione alla legge 
5 luglio 1961, n. 635 (n. 59). 

AUTOVEICOLI E AUTOLINEE 

VENDlTA DI CARBURANTE A PREZZI RIDOTTI. 

se sia legittima la vendita di carburante effettuata 
dai distributori dell'A.C.I., a favore di soci e di non soci, 
ad un prezzo inferiore a quello praticato da altri distributori 
(n. 62). 

BORSA 

AGENTI DI CAMBIO -LIBRI OBBLIGATORI. 

Quali siano, ai sensi dell'art. 17, paragrafo III del 

R.D. 9 aprile 1925, n. 376 i libri obbligatori che debbono 
tenere gli agenti di cambio (n. 17). 

-57


CACCIA E PESCA 

PESCA SU ACQUE PRIVATE. 

Quali siano le norme che regolano l'esercizio della 
p�sca sulle acque pubbliche e nelle acque private, chiuse 

o comunicanti con acque pubbliche (n. 19). 
CIRCOLAZIONE STRADALE 

Se il conducente che intenda svoltare a sinistra debba 

o meno concedere la precedenza ai veicoli che seguono 
(n. 3). 
COMMERCIO 
VENDITA DI CARBURANTE A PREZZI RIDOTTI. 

Se sia legittima la vendita di carburante effettuata 
dai distributori dell'A.C.I., a favore dei soci e di non soci, 
ad un prezzo inferiore a quello praticato da altri distributori 
(n. 18). 

COMPETENZA E GIURISDIZ:{ONE 

CASSA PER IL MEZZOGIORNO. 

1) Se competente a decidere le controversie per risarcimento 
danni conseguenti ad occupazione ultrabiennale 
d'immobili da parte della Cassa per il Mezzogiorno 
per l'attuazione di opere relative all'acquedotto campano 
sia il Tribu:Q.ale ordinario o il Tribunale Regionale 
delle Acque Pubbliche (n. 19). 

SEQUESTRO CONSERVATIVO PENALE. 
2) Quale sia il giudice competente per l'esecuzione 
delle disposizioni civili contenute nella sentenza penale 
di condanna (n. 20). 

COMPROMESSO ED ARBITRI 

IMPRESE APPALTATRICI DI LAVORI -RISOLUZIONE VERTENZE. 


1) Se l'imprenditore che intenda resistere al provvedimento 
di reiezione delle riserve debba notificare la 
domanda di arbitrato entro trenta giorni dalla comunicazione 
delle decisioni dell'Amministrazione (n. 14). 

2) Se, ove entro i trenta giorni l'imprenditore non 
abbia notificato la domanda di arbitrato, la vertenza 
debba considerarsi definita e chiusa con la reiezione delle 
riserve divenuta irrevocabile per mancata tempestiva 
impugnazione (n. 14). 

3) Se l'eventuale determinazione di rifiutare l'arbitrato 
per rimettere la decisione della vertenza all'Autorit�. 
Giudiziaria spetti unicamente alla Amministrazione 
ferroviaria (n. 14). 

COMUNI E PROVINCIE 

PROVENTI CONTRAVVENZIONALI. 

Se la legge n. 2134 del 1865 recante disposizioni e 
norme circa il riparto del prodotto delle pene pecuniarie 
e di altri proventi in materia penale sia ancora in vigore 

(n. 95). 
CONCORSI 

ASSUNZIONE CANDIDATI VINCITORI DI CONCORSO. 

1) Se, tenuto conto della particolare norme, prevista. 
dall'art. 13, 2� comma, S.G.P., in ��l. concorso. di manovale 
i cui posti siano stati ripartiti fra i vari Comparti-� 
menti F. S., possano approvarsi le singole graduatorie� 
mano a mano che si concludono i lavori delle rispettive� 
Commissioni, attribuendo ai vincitori del concorso anzianit�. 
diverse in relazione alla data della rispettiva nomina. 

(n. 4). 
PROVE SCRITTE. 

2) Se la comunicazione del diario delle prove scritte, 
prevista dal 30 comma dell'art. 14 dello Statuto giuridico 
del personale delle Ferrovie dello Stato e dall'art. 6 
dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, costituisca 
condizione di validit�. del concorso (n. 5). 

CONSIGLIO DI STATO 

GIUDICATO AMMINISTRATIVO. 

Se, a seguito della innovativa interpretazione di una 
legge in tema di pubblico impiego da parte del Consigliodi 
Stato in sede consultiva, l'Amministrazione sia tenuta 
a ricostruire di ufficio la carriera degli interessati pregiudicati 
dalla differente interpretazione prima adottata 
(n. 2). 

CONTABILIT� GENERALE DELLO STATO 

RECUPERO CREDITI. 

Quale sia la procedura da seguire per il recupero dei 
crediti nei confronti di ex militari, nel contrasto fra il 
disposto di cui all'art. 215 del regolamento. sulla contabilit�. 
dei corpi militari approvato con R.D. 10 febbraio 
1927, n. 443 e quello di cui agli artt. 263 e seguenti 
del regolamento sulla contabilit�. generale dello� 
Stato (n. 185). 

COSTITUZIONE 

CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE. 

I) Se la dichiarazione di spettanza del potere inconstazione, 
contenuta nelle sentenze della Corte Costituzionale 
risolutive di conflitti di attribuzione, abbia. 
efficacia vincolante per ogni altra controversia in cui 
si discuta della spettanza di quel potere (n. 10). 

IMPOSTA SULL'ENTRATA. 

2) Se sia costituzionalmente illegittima la norma del� 
l'art. 52 legge 19 giugno 1940, n. 762, per la parte nella 
quale fissa il termine di sessanta giorni dalla notifica de1. 
decreto ministeriale o dell'ordinanza intendentizia per� 
la proposizione dell'azione giudiziaria, in relazione all'art. 
113, 10 comma, della Costituzione (n. 11). 

DANNI DI GUERRA 

SOCIETA A PARTECIPAZIONE STRANIERA. 

Se siano ammessi al risarcimento dei danni di guerra. 
gli enti e le societ�. di nazionalit�. italiana in cui sianorappresentati 
anche interessi stranieri (n. 210). 

-



58 

DONAZIONI 

IMPOSTA SUL PATRIMONIO. 

Se, ai fini dell'applicazione dell'art. 3 T. U. 9 mag� 
gio 1950, n. 203 sull'imposta straordinaria progressiva 
sul patrimonio (che dispone il cumulo del patrimonio, 
per la determinazione dell'imposta, delle donazioni 
effettuate a favore del coniuge e dei discendenti, escluse 
quelle poste in essere �per causa di seguito matrimonio
�), l'esistenza di tale �causa di seguito matrimonio 
� debba potersi rilevare dallo stesso atto di donazione, 
o possa risultare anche aliunde (n. 33). 

EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE 

GESTIONE INA-CASA -GRADUATORIA ASSEGNAZIONE 
ALLOGGI, 

I) Se la Gestione INA-Casa, una volta divenuta definitiva 
la graduatoria per l'assegnazione degli alloggi, 
possa disporne l'annullamento di ufficio per vizi sussistenti 
al momento della approvazione ma accertati in 
epoca successiva (n. 121). 

2) In caso di soluzione positiva quale sia l'organo competente 
per l'annullamento e quale la procedura da 
seguire (n. 121). 

ESECUZIONE FISCALE 

NOTIFICA INGIUNZIONE. 

� I) Se la disciplina prevista dagli artt. 633 e segg. 

C.p.c. sia applicabile all'ingiunzione di cui al T. U. 
14 aprile 1910, n. 639 (n. 60). 
2) In particolare, se la notifica dell'ingiunzione fiscale 
debba essere eseguita nel termine previsto dall'art. 644 

C.p.c. (n. 60). 
ESECUZIONE FORZATA 

PIGNORA.MENTO PRESSO TERZI. 

I) Se il terzo pignorato sia legittimato ad impugnare 
il provvedimento di assegnazione di cui all'art. 553 

C.p.c. (n. 26). __ 
RESPONSABILITA PENALE. 

2) Se la i�legittimit� dell'esecuzione per impignorabilit�.. 
dei beni vincolati escluda la sussistenza dei reati 
di cui agli artt. 328, 334 e 335 del Codice penale (n. 27). 

ESPROPRIAZIONE PER P. U. 

CASSA PER IL MEZZOGIORNO. 

I) Se competente a decidere le controversie per risarcimento 
danni conseguenti ad occupazione ultrabiennale 
d'immobili da parte della Cassa per il Mezzogiorno per 
l'attuazione di opere relative all'acquedotto campano 
sia il Tribunale ordinario o il Tribunale Regionale delle 
Acque pubbliche (n. 167). 

-

INA�CASA IN NAPOLI E PROVINCIA. 

2) Se siano applicabili all'espropriazioni disposte 
nell'interesse della Gestione INA-Casa in Napoli e pro� 
vincia le norme di cui al D.J,~L. 27 :feb'bFitio 19t9, n. 219, 
sancentila giurisdizione della Giunta specialeperle espropriazioni 
presso la Corte di Appello di Napoli (n.168). 

,.;;;,.~ 

OCCUPAZIONE DI URGENZA -INDENNITA -RIMBORSO 
IMPOSTE. 


3) Se per l'occupazione temporanea sia dovuta una 
indennit� pari all'interesse legale sulla somma dovuta a 
titolo di indennit� di espropriazione anche nel caso che 
i predetti interessi non corrispondano all'effettivo reddito 
del fondo (n. 169). 

4) Se per l'occupazione temporanea sia dovuta la 
suddetta indennit� anche nel caso che gli interessi non 
siano neppure sufficienti a pagare i tributi fondiari gravanti 
sul fondo stesso (n. 169). 

TERREMOTI. 

5) Se nel caso di espropriazione per pubblica utilit� 
promossa nei confronti di proprietari di immobili in 
Messina i quali non hanno accettato l'indennit� offerta 
e non hanno concordato in via amichevole l'indennit�, 
l'Ufficio del Genio Civile possa procedere alla stima dei 
beni da espropriare a sensi dell'art. I, .20 comma, della 
legge 9 giugno 1927, n. 1079 (n. 170). 


FERROVIE 

APPALTO ---COMPROMESSO ED ARBITRI. 

I) Se l'imprenditore che intenda resistere al provvedimento 
di reiezione delle riserve debba notificare la 
domanda di arbitrato entro trenta giorni dalla comunicazione 
delle decisioni all'Amministrazione (n. 331). 

' 

2) Se, ove entro i trenta giorni l'imprenditore non 
abbia notificato la domanda di arbitrato, la vertenza 
debba considerarsi definita e chiusa con la reiezione delle 
riserve divenuta irrevocabile per mancata tempestiva 
impugnazione (n. 331). 

3) Se l'eventuale determinazione di rifiutare l'arbitrato 
per rimettere la decisione della vertenza all'Autorit� 
giudiziaria spetti unicamente alla Amministrazione 
ferroviaria (n. 331). 

CONCORSI -ASSUNZIONE. 

4) Se, tenuto conto della particolare norma, prevista 
dall'art. 13, 20 comma, S.G.P., in un concorso di manovale, 
i cui posti siano stati ripartiti fra i vari compartimenti 
F. S., possano approvarsi le singole graduatorie 
mano a mano che si concludono i lavori delle rispettive 
Commissioni, attribuendo ai vincitori del concorso anzianit� 
diversa in relazione alla data dellarispettiva nomina 

(n. 332). 
CONCORSI -PROVE SCRITTE. 

5) Se la comunicazione del diario delle prove scritte,prevista 
dal 30 comma dell'art. 14 dello Statuto giuridico 
del personale delle Ferrovie dello Stato e dall'art. 6 
dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, costituisca 
condizione di validit� del concorso (n. 333). 


59 


IMPIEGO PUBBLICO 

INSEGNANTI ELEMENTARI. 

I) Quale sia la prooedura da seguire per il recupero 
.a carico dei maestri elementari puniti per assenze arbitrs;
trie, delle spese di supplenza e dell'eventuale visita 
fiscale (n. 527). 

GrrtDICATO AMMINISTRATIVO. 

2) Se, a seguito della innovativa interpretazione di 

una legge in tema di pubblico impiego da parte del 
-Consiglio di Stato in sede consultiva l'Amministrazione 
sia tenuta a ricostruire di ufficio la carriera degli interesoaati 
pregiudicati dalla differente interpretazione prima 
.adottata (n. 528). ' 

PERSONALE FERROVIARIO -CONCORSI. 

3) Se, tenuto conto della particolare norma, prevista 
-O.all'art. 13, 2� comma, S.G.P. in un concorso di manovale, 
i cui posti siano stati ripartiti fra i vari Compartimenti 
F.S., possano approvarsi le singole graduatorie 
mano a mano che si concludono i lavori delle rispettive 
-Commissioni, attribuendo ai vincitori del concorso anzianit�. 
diverse in relazione alla data della rispettiva 
nomina (n. 529). 

4) Se la comunicazione del diario delle prove scritte 
prevista dal 3� comma dell'art. 14 dello Statuto giuri.
dico del personale delle ferrovie dello Stato e dall'art. 6 
-dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, costituisca 
condizione di validit�. del concorso (n. 530). 

RECUPERO ASSEGNI ALIMENTARI. 

5) Se per il recupero degli assegni alimentari corri:
sposti a norma del D.L.C.P.S. Il maggio 1947, n. 363, 
in sede di liquidazione del trattamento di quiescenza da 
parte di Enti diversi da quelli che hanno corrisposto gli 
.assegni sia necessario provvedere a mezzo di pignoramento 
presso terzi (n. 531). 

6) Se la procedura prevista per il recupero degli asse� 
;gnialimentari corrisposti a norma del D.L.C.P.S. 11 maggio 
1947, n. 363, debba adottarsi anche quando la cesoaazione 
del rapporto di impiego sia avvenuta per altra 
-causa, diversa dalla redazione del verbale di irriperibilit�. 
previsto dalla legge 10 ottobre 1951, n. 1440 (n. 531). 

IMPORTAZIONE -ESPORTAZIONE 

AssICURAZI�NE CREDITI. 

I) Natura giuridica dell'assicurazione dei crediti al-

1'esportazione e problemi relativi alla predisposizione 

�di nuove condizioni generali di polizza in relazione alla 
� legge 5 luglio 1961, n. 635 (n. 24). 

IMPORTAZIONI A LICENZA. 

2) Se l'applicazione del regime dell'importazione a 
licenza a merci acquistate, in epoca anteriore, sotto il 
vigore del regime dell'importazione a dogana possa costituire 
fonte di responsabilit�. per l'Amministrazione 

(n. 25). 
RECUPERO MAGGIOR ONERE PRODOTTI PETROLIFERI. 

3) Se debba essere restituito all'Erario, a norma dell'art. 
9 D.M. 25 gennaio 1957, il maggior onere liquidato, 
ai sensi della legge 27 dic~mbre 195.?i n. 1415, 
nelle materie prime impiegate nella fabbricazione dei 
prodotti petroliferi forniti allo Stato della Citt�. del Vaticano 
(n. 26). 

IMPOSTA �DI REGISTRO 

AUMENTO CAPITALE SOCIALE. 

Se il beneficio fiscale dell'imposta fissa di registro previsto 
dall'art. 5 della legge Il febbraio 1952, n. 74, per 
l'aumento di capitale conseguito con operazioni di rivalutazione 
monetaria sia applicabile anche quando il 
conseguente adeguamento della riserva legale sia realizzato 
con prelevamento da altri fondi di riserva per i 
quali non sussistano privilegi fiscali (n. 180). 

IMPOSTA DI R. M. 

INTERESSI DI MORA SU CONTRIBUTI DI PREVIDENZA. 

Se siano tassabili in R. M. gli interessi di mora per 
ritardato versamento dei contributi all'Istituto Nazionale 
di Previdenza del personale aziende private da parte 
della Soc. An. It. Esercizio Romana Gas (n. 21). 

I.G.E. 
CASSA PER IL MEZZOGIORNO. 

1) Se la Cassa per le Opere Straordinarie di pubblico 
interesse nell'Italia Meridionale (Cassa per il Mezzogiorno) 
possa godere dell'esenzione I.G.E. prevista dall'art. 
26 legge 10 agosto 1950, n. 646, per i materiali 
importati dall'estero e destinati alle opere eseguite dalla 
Cassa con il sistema dell'esecuzione diretta, anche se il 
regime tributario dei pxedetti materiali di importazione 
sia completamente regolato dal D.L. 14 dicembre 1947, 

n. 1598 (n. 95). 
CONTENZIOSO. 

2) Se sia costituzionalmente illegittima la norma 
dell'art. 52 legge 19 giugno 1940, n. 762, per la parte 
nella quale fissa il termine di 60 giorni dalla notifica del 
decreto ministeriale o dell'ordinanza intendentizia per la 
proposizione dell'azione giudiziaria, in relazione all'arti� 
colo 113, 10 comma, della Costituzione (n. 96). 

ISTITUTI .DI CREDITO AGRARIO. 

3) Se gli Istituti di Credito Agrario abbiano diritto 
a rivalersi nei confronti dei mutuatari, dell'I.G.E. pagata 
sulla quota interessi delle rate di ammortamento in 
conseguenza dei mutui concessi inesecuzione al disposto 
dell'art. 2 legge 25 luglio 1952, n. 991 (n. 97). 

IMPOSTA SUL PATRIMONIO 

DONAZIONI. 

1) Se, ai fini dell'applicazione dell'art. 3 T.U. 9 maggio 
1950, n. 203 sull'imposta straordinaria progressiva 
sul patrimonio (che dispone il cumulo del patrimonio 


-60


per la determinazione dell'imposta, delle donazioni effettuate 
a favore del coniuge e dei discendenti, escluse 
quelle poste in essere <<per causa di seguito matrimonio "), 
l'esistenza di tale <<causa di seguito matrimonio" debba 
potersi rilevare dallo stesso atto di donazione, o possa 
risultare anche aliunde (n. 7). 

PRIVILEGI. 
2) Se il privilegio speciale previsto dall'art. 65 de 

T. U. 9 maggio 1950, n. 203 a garanzia della riscossione 
dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio 
continui a gravare sugli immobili trasferiti a terzi 
a seguito di vendita giudiziale (n. 8). 
IMPOSTE E TASSE 

COMMISSIONI CENSUARIE. 

1) Se la legge nazionale 30 luglio 1957, n. 657, che 
ha sostituito l'art. 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991 
riaffermando la competenza della Commissione Censuaria 
Centrale in merito alla compilazione ed all'aggiornamento 
degli elenchi dei territori montani, abbia reso viziata 
da illegittimit�. costituzionale, per quanto attiene alla 
competenza delle Commissioni Censuarie Provinciali, 
la legge regionale 8 febbraio 1956, n. 4 (n. 347). 

IMPOSTA FABBRICAZIONE OLII MINERALI. 

2) Quale sia l'interpretazione dell'art. 99 D.P.R. 
12 ottobre 1956, n. 1460, relativamente alle istanze tendenti 
ad ottenre l'abbuono dei diritti doganali ed imposte 
di fabbricazione su prodotti petroliferi andati 
distrutti (n. 348). 

LOCAZIONI 

DISCIPLINA DELLE LOCAZIONI. 

1) Se l'aumento del canone di locazione previsto 
dall'art. 3 della legge 21 dicembre 1960, n. 1521 si 
applichi anche ai contratti prorogati solo fino al 30 settembre 
1961 (n. 114). 

2) Se l'aumento nella misura del 50 % previsto dalla 
legge 30 settembre 1961, n. 975 per i contratti di locazione 
prorogati al 31 dicembre 1961 debba essere calcolato 
sul canone dovuto al 31dicembre1960 o su quello 
dovuto al 30 settembre 1961 (n. 114). 

3) Se in difetto del preavviso di cui all'art. 2 della 
legge. 31dicembre1960, n. 1521, il contratto di locazione 
debba intendersi ulteriormente prorogato (n. 114). 

MEZZOGIORNO 

CASSA PER IL MEZZOGIORNO. 

1) Se competente a decidere le controversie per risarcimento 
danni conseguenti ad occupazione ultrabiennale 
di immobili da parte della Cassa per il Mezzogiorno per 
l'attuazione di opere relative all'acquedotto campano 
sia il Tribunale ordinario o il Tribunale Regionale delle 
Acque pubbliche (n. 20). 

I.G.E. 
2) Se la Cassa per le Opere Straordinarie di pubblico 
interesse nell'Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno} 
possa godere dell'esenzione I.G.E. prevista dall'art. 26 
legge 10 agosto 1950, n. 646, per i materiaH importati 
dall'estero e destinati all'opere eseguite dalla Cassa con 
il sistema della esecuzione diretta, anche se il regime 
tributario dei predetti materiali di importazione sia 
completamente regolato dal D.L. 14 dicembre 1947, 

n. 1598 (n. 21). 
MILITARI 

RECUPERO CREDITI. 

Quale sia la procedura da seguire per il recupero deii 
crediti nei confronti di ex militari, nel contrasto fra il 
disposto di cui all'art. 215 del regolamento sulla contabilit�. 
dei corpi militari approvato con R.D. 10 febbraio 
1927, n. 443 e quello di cui agli artt. 263 e seguenti 
del regolamento sulla contabilit�. generale dello Stato 
(n.14). 

NOTIFICAZIONE 

NOTIFICA ATTI ALLA CC.DD. 

1) Quali siano le norme che regolano la notifica degli 
atti di sequestro, di pignoramento e di opposizione, tendenti 
ad impedire lo svincolo ed il pagamento delle somme 
depositate presso la Cassa DD.PP. (n. 18). 

2) In quali casi debbono trovare applicazione le normeordinarie 
sulla notifica della citazione e degli altri atti 
giudiziali alle Amministrazioni dello Stato, ai sensi dell'art. 
11 T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611 (n. 18). 

NOTIFICA INGIUNZIONE FISCALE. 

3) Se la disciplina prevista dagli artt. 633 e segg. C.p.c. 
sia applicabile all'ingiunzione di cui al T.U. 14 apriledel 
1910, n. 639 (n. 19). 

4) In particolare, se la notifica dell'ingiunzione fiscaledebba 
essere eseguita nel termine previsto dall'art. 644 

C.p.c. (n. 19). 
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 

Se possa prodursi novazione attraverso una modifi


cazione solo quantitativa dell'oggetto dell'obbligazione 
(n. 39). 
PENA 

Condizioni di legittimit�. e presupposti di fatto per la. 
conversione della pena pecuniaria in pena detentiva 
(n. 17). 

PREZZI 

APPALTO. 

1) Se a seguito di revisione dei prezzi ,(D.L. 6 dicembre 
1947, n. 1501, ratificato con modifiche dalla legge9 
maggio 1950, n. 329) il prezzo di appalto sia da mag



� � 
-61 

giorare per l'intero suo importo o per la sola parte corrispondente 
ai lavori eseguiti in regime di prezzi correnti 
superiori a quelli contrattuali (n. 54). 

2) Se per prezzi correnti alla data dell'offerta debba 
intendersi, quando la gara si sia svolta su prezzi offerti 
dalla Impresa, quelli contrattuali (n. 55). 

RECUPERO MAGGIOR ONERE PRODOTTI PETROLIFERI. 

3) Se debba essere restituito all'Erario, a norma dell'art. 
9 D.M. 25 gennaio 1957, il maggior onere liqui� 
dato, ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1415, 
sulle materie prime impiegate nella fabbricazione di 
prodotti petroliferi forniti allo Stato della Citt� del 
Vaticano (n. 55). 

REGIONI 

LEGGI REGIONALI E LEGGI STATALI -RAPPORTI. 

1) Se la legge nazionale 30 luglio 1957, n. 657, che ha 
sostituito l'art. 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991 
riaffermando la competenza della Commissione Censuaria 
Centrale in merito alla compilazione ed all'aggiornamento 
degli elenchi dei territori montani, abbia reso 
viziata da illegittimit� costituzionale, per quanto ottiene 
alla competenza delle Commissioni Censuarie Provincali 
la legge regionale 8 febbraio 1956, n. 4 (n. 97). 

REGIONE SARDA -TRASFERIMENTO DI IMMOBILI DEL� 
L'EX P.N.F. 
2) Se i beni dell'ex p.n.f. esistenti in Sardegna siano 

compresi fra quelli, nella propriet� dei quali, ai sensi 

degli artt. 14 S.S.Aa � 39 D.P. 19 maggio 1949, n. 250, 

la Regione succede allo Stato (n. 98). 

RESPONSABILIT� CIVILE 

.SCONTRO TRA AUTOVEICOLO E ANIMALE. 

1) Come si dirima il conflitto, in caso di scontro tra 
autoveicolo ed animale, fra la presunzione di colpa prevista 
dall'art. 2052 O.e. a carico del proprietario di 
animali per i danni da essi prodotti e quella di cui al 
10 e 30 comma dell'art. 2054 O.e. per il .conducente e 
il proprietario di veicoli (n. 196). 


TRANSITO SU STRADE DI MEZZI MILITARI. 

2) Se siano risarcibili i danni causati dal transito dei 
mezzi militari alle strade pubbliche, particolarmente 
nel caso in .cui tali danni siano dovuti all'eccessivo peso 
dei mezzi stessi (n. 197). 

RICOSTRUZIONE 

"PIANO DI RICOSTRUZIONE. 

Se nei casi in cui il ministero dei LL. PP. si sia costituito 
al Comune nell'attuazione del piano di ricostruzione 
ed abbia a sua volta dato in concessione i lavori, 
nelle cause aventi ad oggetto l'espropriazione di beni 
per l'attuazione del piano di ricostruzione, il concessionario 
possa essere considerato legittimato passivo (n. 12). 

RIFORMA FONDIARIA 

ESPROPRIAZIONE DI FABBRICATI. 

Se il valore dei fabbric�ti rurali, esistenti sui terreni 
espropriati in applicazione delle leggi d� riforma fonc�iaria,
formi oggetto di separata valutazione e di autonoma 
corresponsione di indennizzo (n. 7). 

SEQUESTRO 

SEQUESTRO CONSERVATIVO PENALE. 

1) Se in tema di sequestro conservativo penale presso 
terzi sia applicabile il disposto di cui all'art. 543 C.p.c 
che prescrive la citazione del terzo per rendere la dichiarazione 
di quantit� (n. 17). 

2) Quale sia il giudice competente per l'esecuzione 
delle disposizioni civili contenute nella sentenza penale 
di condanna (n. 17). 

3) Se il giudice penale possa assegnare con la sentenza 
di condanna le somme vincolate da sequestro conservativo 
penale (n. 17). 

4) Se il terzo sequestrato abbia interesse e legittimazione 
a far valere vizi del provvedimento di assegnazione 
(n. 17). 

SEQUESTRO GIUDIZIARIO. 

5) Se sia ammissbile il sequestro giudiziario di somme 
di denaro dovute da un terzo (n. 18). 

SERVITU 

SERVIT� MILITARI. 

Se sussista l'obbligo della motivazione per i provvedimenti 
relativi all'imposizione di servit� militari (n. 33). 

SOCIET� 

SOCIET� IRREGOLARI. 

Se una societ� di fatto fra cittadini stranieri, sorta 
in Trieste e che in detta citt� ha la sua sede e sviluppa 
la sua attivit�, possa considerarsi societ� italiana per 
procedere, ai sensi della Circolare 27 novembre 1946 
del Ministero del Tesoro, al pagamento delle somme residue 
per lavori eseguiti ed ultimati nella parte del territorio 
goriziano ceduto alla .Jugoslavia (n. 96). 

STRADE 

RINUNCIA ALL'EREDIT�. 

Se sia ammissibile la rinuncia all'eredit� dopo la resistenza 
in giudizio nella qualit� di erede (n. 65). 

SUCCESSIONI 

TRANSITO SU STRADE DI MEZZI MILITARI. 

Se siano risarcibili i danni causati dal transito dei 
mezzi militari alle strade pubbliche, particolarmente 
nel caso in cui tali danni siano dovuti all'eccessivo peso 
dei mezzi stessi (n. 39). 


TERREMOTI 

ESPROPRIAZIONE PER P.U. 

1) Se nel caso di espropriazione per p.u. promossa 
nei confronti di proprietari di immobili in Messina i 
quali non hanno accettato l'indennit�. offerta e non 
hanno concordato in via amichevole l'indennit�., l'Ufficio 
del Genio Civile possa procedere alla stima dei beni da 
espropriare ai sensi dell'art. 1, 20 comma, della legge 
9 giugno 1927, n. 1079 (n. 00). 

SUSSIDI PER TERREMOTI. 

2) Quale sia la disciplina normativa della concessione 
dei sussidi per terremoti ai sensi della legge 4 aprile 
del 1935, n. 454 (n. 16). 

3) Se, ai sensi dalla legge 28 parile 1938, n. 616, i 
proprietari degli immobili danneggiati dal terremoto 
del 1915 potevano cedere i sussidi terremoto (concessi 

o da concedere) alla federazione dei fasci di combattimento 
(n. 16). 
4) Se i suddetti proprietari possano ottenere la liquidazione 
dei suddetti sussidi in loro favore in quanto al 
momento dell'emissione del decreto di concessione non 
esisteva pi� l'ente cessionario n� altro ente che potesse 
considerarsi suo successore (n. 16). 

TRATTATO DI PACE 

SOOIET� IBREGOLA.RI. 

Se una societ�. di fatto fra cittadini stranieri, sorta 
in Trieste e che in detta citt� ha la sua sede e sviluppa 
la sua attivit�., possa considerarsi societ�. italiana per 

62


procedere, ai sensi della Circolare 27 novembre 1946 
del Ministero del Tesoro, al pagamento delle somme 
residue per lavori eseguiti ed ultimati nella parte del 
territorio goriziano ceduto alla Jugoslavia (n. 80). 

TURISMO 

CONTRIBUTI. 

Se, dopo la pronuncia di illegittimit�. costituzionale 
della legge disciplinante i contributi da parte dei privati 
�l favore degli enti Provinciali del Turismo, siano tuttora 
riscuotibili i contributi che, essendo stati gi�. iscritti a 
ruolo nel 1957 sia.no da ritenersi definicivi per mancato 
reclamo nei termini e modi di legge, nonch� quelli relativi 
agli anni precedenti (n. 16). 

VENDITA 

CONTRATTI DI OOMPRAVENDITA -DIVIETO DI ALIENA� 
ZIONE. 

1) Se nel contratto di compravendita di cose mobili 
si possa vincolare la futura destinazione dei beni e condizionarne 
il successivo trasferimento all'autorizzazione 
dell'alienante (n. 19). 

2) Quale efficacia rivesta una clausola contrattuale, 
in tali termini predisposta, nei confronti dei terzi aequirenti 
(n. 19). 

3) Se possono aw1ullarsi gli atti di disposizione compiuti 
dall'acquirente in violazione del divieto di alienazione 
(n. 19). 

4) Quale azione possa utilmente esercitarsi nei confronti 
dell'acquirente inadempiente (n. 19).