PUBBLICAZIONE RASSEGNA DI SER:�VIZIO DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ANNO XIV -N. r-6 Gennaio-Giugno r962 SALVATORE SCOCA Alle prime luci dell'alba del 10 maggio scorso, dopo breve violenta malattia, si spegneva Salvatore Scoca, Avvocato Generale dello Stato. Si chiudeva, cos�, una vita intensa, operosa, tutta dedita al servizio dello Stato, al qua,le Egli diede, in molteplici campi di attivit�, e attingendo i pi� alti vertici della vita pub blica, le sue migliori energie. Nato a Calitri il 15 giugno 1894, era entrato in magistratura nel 1922;. e succes� sivamente, nel 1925, � era passato alla Avvocatura dello Stato. A Trieste, prima, a Roma in seguito, Salvatore Scoca aveva seguito tutta la carriera degli avvocati dello Stato: sostituto avvocato di prima classe nel 1935; Vice avvocato nel 1941, sostituto avvocato generale nel 1945, in tutti i settori .della multiforme attivit� che vede impegnato lo tJtato nell'agone giurisdizionale, ed in particolare in quello tributario, pi� degli altri a lui congeniale, Egli avm'a portato l'alto contributo del Suo ingegno, della Sua preparazione, dei Suoi Studi. Si che 'la nomina ad Avvocato Generale dello Stato, seguita il 16 ottobre 1946, segn� il degno coronamento di questa Sua operosa attivit�. E la Avvocatura dello Stato, superato rapidamente il travaglio del periodo bellico, trov� in lui una guida sicura e consa pevole; ed il Corpo degli avvocati dello Stato arricchito di nuove giovani energie, si strinse attorno a Lui raccogliendo e non indegnamente, l'alta eredit� di lavoro e di prestigio che sempre si � tramandata durante la vita del nostro Istituto. Ma la attivit� e l'op.era di Salvatore Scoca non si esaurirono nell'ambito della Avvocatura dello Stato che egli diresse con alto prestigio per 16 anni: dovunque, nel campo scientifico come in quello amministrativo e politico, Egli lascia vasta impronta. Docente di diritto finanziario, tenne l'insegnamento di Scienza delle finanze, Diritto finanziario e Politica economica presso l'Universit� di Trieste dal 1926-27 al 1931-32; e poi anche presso la Facolt� di giurisprudenza dell'Universit� di Roma nell'anno accademico 1940-1941. Direttore, con Achille Donato Giannini e Carlo D'Amelio, della Rivista italiana di diritto :finanziario, e poi dal 1949 sotto l'alta guida di Luigi Einaudi e insieme con Giannini, Griziotti e Vanoni, della Rivista di diritto :finanziario e scienza delle finanze, contribu�, con una serie di pubblicazioni, articoli, note a sentenze, al fiorire della scuola italiana di diritto finanziario. Fece parte di innumerevoli Commissioni ed organi collegiali, sempre ricercato per la profonda conoscenza dei problemi giuridici, da cui non andava mai disgiunto un naturale innato equilibrio nella ricerca di adeguate soluzioni. E si vuol qui ricordare la sua partecipazione al Consiglio del Contenzioso diplomatico, ed alla Commissione per la formazione dei testi uni�i � delle leggi tributarie, che, sotto la Sua presidenza, ha licenziato gi� il testo unico sulle imposte dirette, ed ha portato a termine la elaborazione di quello della legge sulla riscossione. Ilh&1ftBlliil& LE' Ilh&1ftBlliil& LE' -2 N� Salvatore Scoca poteva rimanere insensibile al richiamo della vita politica nell'Italia rinata alle sue tradizioni democratiche: membro della Consulta nazionale, e poi nel 1946 dell'Assemblea Costituente, deputato al Parlamento per due legislature nel 1948 e nel 1953; Sottosegretario di Stato per il tesoro nel secondo Ministero Bonomi e per le finanze nel secondo Ministero De Gasperi; Ministro per la riforma della pubblica Amministrazione nel Gabinetto Pella; Presidente della Commissione finanze e tesoro della Camera, relatore di. numerosi disegni di legge (baster� qui ricordare quella sulla istituzione per la Cassa per il Mezzogiorno, e l'altra concernente la sottoposizione al controllo della Corte dei Conti degli Enti sovvenzionati dallo Stato), in tutti questi incarichi Salvatore Scoca port� sempre un alto e concreto contributo di idee e di opere, contributo che trovava la radice prima oltre che nella sua solida preparazione scientifica e professionale, nella sua schietta sensibilit� umana. La vita politica non Gli era stata, dunque, avara di soddisfazioni, ed altri meritati successi gli avrebbe verosimilmente riservato; pure, quando Gli fu chiesto di scegliere fra la vita politica e l'Avvocatura dello Stato, egli non ebbe perplessit�: e rest� alla guida dell'Istituto, in cui era vissuto ed aveva formato la Sua personalit�; che Egli, a giusta ragione, considerava la Sua seconda famiglia; dai cui componenti era rispettato come il Capo autorevole, ma era soprattqitto amato per le Sue qualit� di uomo. Perch� la qualit� peculiare di Salvatore Scoca, al di sopra di tutte le altre, e che meglio di ogni altra vale a testimoniare i Suoi meriti, era proprio la Sua sensibilit� umana, il calore umano che aveva in S� e, che lo portava a rendersi conto con prontezza �delle necestJit�, dei problemi, delle esigenze altrui, ad adoprarsi sempre perch� queste esigenze potessero essere soddisfatte, quelle necessit� lenite, quei problemi risolti. E quando ci� avveniva, il pi� soddisfatto non era chi aveva chiesto ed ottenuto, ma Lui che aveva dato. Alle eseqqtie, insieme con gli avvocati dello Stato convenuti da ogni parte d'Italia a portare il saluto estremo a chi per tanti anni era stato collega, amico e Capo; insieme con un Principe della Chiesa, con il Governo, le alte cariche dello Stato, parlamentari, magistrati e funzionari che ricordavano ed onoravano il cattolico di ferma fede, l'Alto servitore dello Stato, l'eminente uomo politico; convenne la gente della Sua Calitri: tanta gente, ragazzi, uomini e donne di ogni et�, di ogni condizione sociale, soprattutto umile gente che intendeva certo onorare il parlamentare illustre, l'altissimo funzionario, ma che soprattutto veniva a rendere l'ultimo omaggio all'Uomo della stessa terra, che da questa non si era mai staccato, che era rimasto sempre a loro vicino, che, conoscendo e comprendendone bisogni sofferenze e necessit�, si era con squisita bont� incessante� mente adoperato per alleviare quelli e queste. E chi ebbe con Lui consuetudini di vita ben pu� comprendere come il saluto pietoso, commosso e commovente dell'umile gente di CaZitri sia stato quello pi� caro al Suo cuore di Uomo schietto, semplice, buono. ;;:;:;;;;;;;;;::::: ANCORA SULL'INAMMISSIBILIT� DEL RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 1) Il ricorso straordinario al Oapo dello Stato � tornato di recente alla ribalta in relazione ad alcune vertenze nelle quali si sono manifestate, nella maniera pi� evidente e, diremmo, clamorosa, le gravi difficolt� e le irriducibili incongruenze cui d� luogo il tentativo di armonizzare questo secolare istituto con i principi fondamentali dell'ordinamento vigente della giustizia amministrativa (1). Torna quindi opportuno riprendere il discorso sulla attuale ammissibilit� del ricorso straordinario: discorso cui diede l'avvio, in un .lucido scritto pubblicato in questa rivista, 1'.Agr� (2) e che, da allora, si � arricchito dei contributi di vari studiosi (3), ma che ancora non pu� dirsi affatto chiuso, apparendo del tutto insoddisfacente la conclusione verso la quale sembrano convergere le opinioni della maggioranza della dottrina (4), dimostratasi favorevole, al pari della giurisprudenza, all'ammissibilit� del ricorso straordinario, quantunque con adattamenti pi� o meno estesi della sua disciplina al nuovo ordinamento costituzionale. (1) V., in particolare, Cons. Stato, Ad. plen., 25 gennaio 1961, n. 1, in questa cc Rassegna�, 1961, 52, che, in un caso in cui la Corte dei Conti� aveva rifiutato la registrazione di un decreto presidenziale di decisione su ricorso straordinario 0Illesso in conformit� al parere dell'Adunanza generale, ha affermato l'obbligo giuridico del Ministro competente di proporre al Consiglio dei Ministri la registrazione con riserva. La decisione � motivata in base a considerazioni che lasciano oltremodo perplessi. Cfr. la nota redazionale, ivi, e le osservazioni di JEMOLO, in <e Giur. It. �, 1961, III, 193. V. anche la successiva decisione dell'Ad. plen. 24 maggio 1961, n. 12, in �Foro amm. �, 1961, I, 1347, con nota contraria di BACHELET. Con questa pronuncia, il Consigli� di Stato ha escluso, in linea di principio, l'ammissibilit� del ricorso giurisdizionale contro il decreto di decisione sul ricorso straordinario anche da parte dei controinteressati cui il ricorso non sia stato not.ificato. In tal modo, si esclude radicalmente la tutela giurisdi. zionale dei controinteressati al ricorso straordinario, in palese contrasto con l'art. 113 Cost. Cfr., in proposito, CIARDULLI: Il ricorso straordinario al, Oapo dello Stato e la nuova Costituzione, in questa �Rassegna�, 1951, 40 ss. (2) AGRO': Osservazioni s1ill'ammissi.bilit� attuale del ricorso straordinario al Capo dello Stato, in questa<< Rassegna �, 1948, fase. X, p. 1 ss. (3) SANDULLI: Sull'ammissibilit� del ricorso straordi. nario al Presidente della Repubblica, in� Giur. it. >>, 1950, IV, 89; CIARDULLI: op. cit.; NIGRO: Le decisioni amministrative, Napoli 1953, p. 85 ss.; NAI: Il ricorso straordinario al P1�esidente della Repubblica, Milano, 1957; RoEHRSSEN: Il ricorso straordinario al Capo dello Stato: sopravvivenza o abolizione?, in �Rass. lav. pubbl. >>, 1957, In realt�, l'idea affacciata dall'.Agr�, e poi ripresa e sviluppata dal Oiardulli (5), dell'incompatibilit� radicale del ricorso straordinario con le norme e con i principi della Oostituzione repubblicana sembra resistere a tutte le critiche che, da varie parti, le sono state mosse. L'antichissimo istituto, cosi come si � venuto definendo attraverso l'attivit� legislativa e giurisprudenziale che, a partire dalla introduzione della gimisdizione amministrativa, lo ha inquadrato in schemi normativi sufficientemente precisi, non ha diritto di cittadinanza nel nuovo ordinamento costituzionale. Non si tratta semplicem�nte di armonizzare con la legge fondamentale alcune delle norme o dei principi elaborati sotto il vigore dello Statuto albertino: l'elasticit� degli istituti giuridici, la loro adattabilit� a mutati presupposti istituzionali ha un limite, oltre il quale si rischia o di pregiudicare il valore assoluto dei principi costituzionali, o di snaturare completamente l'istituto, creandone, in sostanza, lllD. altro diverso per via di interpretazione. 687; ANDRIOLI: RicorBo straordinario al Presidente della Repubblica e tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi, in �Riv. infortuni e mal. profess. �, 1954, I, 172; Bosco: Natura e fondamento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Milano, 1959; BACHELET: Ricorso straordinario al Oapo dello Stato e garanzia giurisdizionale, in � Riv. trim. dir. pubbl. '" 1959, 788; MORTATI: Sull'incostituzionalit� dell'art. 23, ult. co., Statuto Reg. � siciliana, in � Giur. �ost. >>, 1960, 321; ScBIAVINA: La proponibilit� del ricorso straordinario al Capo dello Stato, in <e Corr. amm. >>, 1960, 1469. (4) V., oltre tutti gli autori citati alla nota precedente (escluso il Ciardulli), ZANOBINI: Corso di diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1958, p. 102; VITTA: Diritto amminiBtrativo, vol. II, Torino, 1955, p. 436; LA ToRRE: Nozioni di diritto amministrativo, Roma, 1954, p. 280; FRAGOI.A: Manuale di diritto amministrativo, Napoli s.d., p. 292; SALEMI: La g-iust�izia amministrativa, Padova, 1958, p. 46; GmccrARDI: La giustizia amministrativa, Padova, 1957, p. 133, n. 1; RAGNlSCO e RossANo: I ricorsi amministrativi, Roma, 1954, p. 313; BALLADORE PALLlERI: Diritto costituzionale, Milano, 1957, p. 161; BISCARETTI DI RUFFIA: Diritto costituzionale, Napoli, 1958, p. 382; VIRGA: Dfritto costituzionale, Palermo, 1955, p. 297; PERGOLESI: Diritto costituzionale, Padova, 1955, p. 193. Contra: LESSONA: La giustizia nell'ammini.strazione, Bologna, 1956, p. 66, n. 1; ANGELICI: Il giudizio di fronte alla Giunta Provinciale Amministrativa, .Padova, 1958, p. 37 ss. In senso dubitativo: GIANNINl: La giu-�~ stizia amministrativa, Roma, 1959, p. 96 ss.; IACCARINO: In tem1i di ricorso straordinario, in Scritti giiwidici in onore di De Nicola, Napoli, 1957. (5) Op. cit. _ 4 I E questa � appunto, a nostro avviso, l'alternativa cui inevitabilmente si trova di fronte chi, a tutti i costi, vuole conservare, pur sotto il vigore della nuova Costituzione, un istituto, come il ricorso straordinario, il cui fondamento non pu� non riconoscersi intimamente legato ai presupposti del sistema costituzionale abrogato. 2) Il confronto fra il ricorso straordinario al Capo dello Stato e i principi della Carta costituzionale presuppone, ovviamente, che sia chiarita, in maniera precisa, la natura giuridica del primo. L'opinione ancor oggi dominante, fermamente difesa dal Consiglio di Stato, riconosce la natura amministrativa del ricorso e della decisione del Capo dello Stato, ma tende a farne qualcosa di singolare, di atipico, pur nell'ambito dell'attivit� amministrativa, avvicinando sotto molti aspetti l'attivit� decisoria del Capo dello Stato alla giurisdizione (6). N� sono mancate in passato afferma (6) V.,,in particolare, Cons. Stato, Ad. plen., 25 gennaio 1961, n. 1, e 24 maggio 1961, n. 12, cit. Le conseguenze che la giurisprudenza del Consiglio di Stato trae da queste premesse sono note: sono state estese al ricorso straordinario la maggior parte delle regole che disciplinano lo svolgimento del ricorso giurisdizionale. Cos�, si ammette la remissione in termine per errore scusabile; la sospensione del provvedimento impugnato; il ricorso per revocazione contro il decreto di decisione (fondato, quest'ultimo, su una pretesa norma consuetudinaria). Quanto agli effetti della decisione, la conseguenza estrema che si volle trarre dal parallelismo del ricorso straordinario col ricorso giurisdizionale (quella dell'applicabilit� del rimedio previsto dall'art. 27 n. 4 del testo unico sul Consiglio di Stato in caso di inesecuzione del decreto di decisione) fu respinta, com'� noto, dalla Cassazione (Sez. Unite 8 luglio e 2 ottobre 1953, in questa �Rassegna�, 1953, 278). (7) Cfr.: Cons. Stato, Ad. gen., 10 aprile 1909, n. 243, in �Riv. amm. �, 1909, 475. (8) MoRTATI: Sull'incostituzionalit�, cit. Secondo questo autore, i] ricorso straordinario, come rimedio giurisdizionale, troverebbe la sua attuale giustificazione costituzionale nella VI Disp. Trans., atteso il carattere non perentorio generalmente assegnato al termine ivi previsto. Ma, se si riconosce la natura giurisdizionale del ricorso, non si pu� negare il suo netto contrasto (per l'imperfezione del contraddittorio e per l'assenza di effettive garanzie di difesa) con l'art. 24, 2� co., Cost. V., in proposito, la nota redazionale in questa� Rassegna�, 1961, 55. ' (9) CODACCI PISANELLI: Analisi delle funzioni sovrane, Milano, 1946, p. 129, parla, a proposito del potere di decisione del ricorso straordinario, di una autodichia della Pubblica amministrazione, parallela all'autonomia e all'autarchia. Per la RIVALTA: Sull'applicabilit� dell'articolo 27 n. 4 del testo unico 26 giugno 1924, n. 1054 ai decreti del Oapo dello Stato che decidono ricorsi straordinari, in �Foro it. >>, 1952, III, 9, la decisione del Capo dello Stato avrebbe una duplice natura: amministrativa dal lato formale, giurisdizionale da quello sostanziale. Nello stesso ordine di idee sembra BENVENUTI, voce Autotutela, in <<Enciclopedia del Diritto�. V. anche Bosco, op. cit., p. 79 ss. In realt�, queste costruzioni I zioni decise della natura giurisdizionale del ri l corso (7). Recentemente la discussione si � riaperta, e non I pochi autori hanno ripreso e sviluppato la tesi della natura giurisdizionale del ricorso,-�alcuni riconducendo senz'altro l'istituto alla figura della giurisdizione speciale (8), altri confinando la giurisdizionalit� al solo aspetto �sostanziale � o �ontologico � del decreto di decisione, ferma restando la classificazione di esso come atto amministrativo dal punto di vista formale (9). Ogni presa di posizione, in materia, � resa quanto mai opinabile dall'estrema lacunosit� della disciplina legislativa. Una accurata disamina delle fonti po;;itive si pone, comunque, come preliminare. � stato affermato che la disciplina del ricorso straordinario sarebbe per la massima parte consuetudinaria, come d'ordine consuetudinario Sl:J>rebbe il principio stesso che costituisce il fondamento dell'istituto, l'attribuzione, cio�, del relativo potere d'3cisorio al Capo dello Stato (10). Le poche norme equivoche e artificiose non possono ammettersi. La giurisdizionalit� non � un concetto ontologico, ma una qualificazione giuridica relativa, che si fonda su caratteri eminentemente formali (in senso ampio) della deci� sione della lite. � arbitraria, quindi, ogni scissione di fo!'Illa e sostanza. Cos�, esattamente, NIG:ao: Le decisioni amministrative, cit., p. 14 ss.; CANNADA BAR� Tor.I: voce Decisione amministrativa, in � N ovissimo Di gesto Italiano�. Trattandosi di qualificazioni relative, � possibile, invece, tma divergenza fra la natura che il ricorso straordinario assume nell'ambito dell'organizzazione amministrativa (ammesso, il che � dubbio, che questa organizzazione possa considerarsi come ordinamento giuridico) e quella attribuita ad esso nell'ordinamento general~. Quella posizione di parte che, come vedremo, deve assegnarsi all'organo decidente alla stregua dell'ordinamento generale, svanisce ove ci si ponga dal punto di vista dell'o:i:ganizzazione interna della pubblica ammini� strazione e viene quindi meno l'ostacolo ad ammettere la natura giurisdizionale della decisione. Non si tratta, perci�, di un'inammissibile divergenza fra forma e sostanza, ma di una ben, comprensibile non coincidenza di qualificazioni giuridiche facenti capo a ordinamenti distinti. Comunque, la netta separazione dei due punti di vista e la rigorosa esclusione, sul piano dell'ordinamento generale, di ogni elemento o qualificazione valevole solo nell'ambito dell'ordinamento particolare dell'Amministrazione, � presupposto essenziale di una indagine che voglia attingere risultati sicuri. V., in pro posito, OTTAVIAN-O: Sulla nozione di ordinamento amministrativo e di alcune sue applicazioni, in� Riv. trim. dir. pubbl. �, 1958, 825; BACHELET: Rie. straord., cit., n. 6. (10) CIARDUI.LI, op. cit. Questo autore rinviene nella consuetudine il fondament.o del potere decisorio del Capo dello Stato nel cessato ordinamento. Il Bosco, op. cit., p. 82 ss., finisce col fare della consuetudine una specie di deus ex machina per la solu'~ione del.!e questioni pi� dibattute in tema di. ricorso straordinari�~ come quella dell'estensione dell'impugnativa giurisdizionale contro il decreto di decisione. Reputa inutile il ricorso alla consuetudine, dopo lo svolgimento legislativo d~,l 1907 in poi, BACHELET, op. cit., nota 8. -5 scritte sarebbero intervenute a disciplinare soltanto alcuni aspetti della proce�ura, lasciando immutato il nucleo centrale della disciplina consuetudinaria. Non ci sentiamo di aderire a questa tesi. L'attribuzione al Capo dello Stato del potere di decisione del ricorso straordinario pu� dirsi fondata su una norma consuetudinaria solo dal punto di vista storico. Intervenuta la disciplina legislativa degli aspetti essenziali del procedimento, il ricorso alla consuetudine non ha pi� ragion d'essere: l'esistenza di un potere decisorio del Capo dello Stato non ha bisogno di altro fondamento che quello costituito dal principio generale ricavabile dalle specifiche norme di procedura. E quindi (ci� ci preme particolarmente sottolineare) tale potere sta o cade con queste norme: ove si dimostri la loro illegittimit� costituzionale, non pu� ritenersi che residui alcun principio consuetudinario idoneo a sorreggere ancora l'istituto del ricorso straordinario, salva l'esigenza di ricavare dai principi gene . rali una nuova disciplina del suo svolgimento pl,'ocedurale. � ope"a questa �i legislatore: l'interprete deve limitarsi ad esaminare la compatibilit� delle norme scritte e dei principi da esse desumibili con il sistema della Costituzione. Ove il giudizio scaturisca esito negativo, altra conclusione non pu� darsi che quella del radicale superamento e quindi dell'inammissibilit� del ricorso straordinario. Neppure pu�. dirsi, a nostro avviso, che la consuetudine sia intervenuta a completare la lacunosa disciplina procedurale del ricorso, introducendo nuove norme che lo avrebbero avvicinato al ricorso giurisdizionale. � da tenere per fermo che alla giurispru�enza non possono essere attribuiti poteri creativi di diritto. Non � ipotizzabile una consuetudine formatasi attraverso ilriprodursi costante ed uniforme della stessa massima di decisione rispetto ad una pluralit� indefinita di casi concreti. Si tratta soltanto di consuetudine interpretativa, ossia di una forma di � uso � che non pu� esser 'posta sullo stesso 1.iano della c.d. consuetudine introduttiva o praeter legem. Ad essa pu� riconoscersi solo un semplice rilievo di fatto, esclusa ogni efficacia vincolante dell'interpretazione usuale, per quanto costantemente seguita. Costituisce pertanto una petizione di principio il voler argomentare dalle regole che la giurisprudenza crede di poter applicare al ricorso straordinario per concludere circa la natura giuridica �i questo. � invece proprio l'indagine su questa natura che, deve costituire il criterio di valutazione dell'esattezza delle soluzioni giurisprudenziali. 3) Ci� premesso, esaminiamo partitamente le norme positive, che, per quanto detto, devono costituire la base di ogni ragionamento sulla natura giuridica del ricorso straordinario e sulla sua compatibilit� con i principi della Costituzione repubblicana. L'art. 16 del testo unico 26 giugno 1924, numero )054, contiene le norme fondamentali. Il primo comma, al n. 4, dispone l'obbligatoriet� del parere del Consiglio di Stato (in Adunanza generale: art. 47, n. 3, Regolam. 21 aprile 1942, n. 444) <e sui ricorsi fatti al Re contro la legittimit� dei provvedimenti amministrativi, sui quali siano esaurite o non possano proporsi domande di riparazione in via gerarchica)). La formula __s~ringata di questa norma racchiude quattro principi essenziali: l'attribuzione al re del potere di decisione del ricorso straordinario; la limitazione di tale ricorso ai soli motivi di legittimit�; la sua esperibilit� .nei confronti soltanto di atti amministrativi definitivi; l'obbligatoriet� del parere del Consiglio di Stato. Il secondo comma dell'art. 16 dispone che, ove �l provvedimento emesso sul ricorso straordinario sia contrario al parere del Consiglio di Stato, deve farsi constare dal decreto reale che � stato pure udito il Consiglio dei Ministri. La regola (ribadita dall'art. 54 del Regolamento, che pone l'ulteriore obbligo della motivazione del provvedimento difforme dal parere del Consiglio di Stato) appare, a prima vista, rispondente al principio generale fissato nell'art. 1, n. 7, del regio decreto 14 novembre 1901, n. 466, sulle attrib1rnioni del Consiglio dei Ministri (11). Il terzo comma dell'art. 16 stabilisce infine le norme essenziali di procedura: il termine per ricorrere (180 giorni) e l'obbligo della notifica all'autorit� che ha emesso l'atto impugnato ed ai controinteressati. La �isciplina � poi integrata dagli artt. 60 e 61 del Regolamento. L'ultima norma in materia, e invero la pi� importante ai fini del presente studio, � quella (articolo 34, commi 20 e 30, del testo unico) che sancisce il principio dell'alternativit� fra il ricorso straordinario e il ricorso giurisdizionale al Consiglio di Stato: il ricorso giurisdizionale non � pi� ammesso quando il provvedimento definitivo sia stato impugnato mediante ricorso straordinario. Se il provvedimento riguarda direttamente anche altri interessati, la proponibilit� del ricorso straordinario � condizionata alla scadenza del termine per il ricorso giurisdizionale ovvero alla mancata opposizione degli interessati che abbiano ricevuto la notifica del ricorso straordinario. 4) Questa, dunque, la disciplina positiva del ricorso straordinario. Il suo esame non pu� far dubitare della natura nettamente amministrativa dell'istituto. Non � certo argomento decisivo quello che pu� trarsi dall'espressa qualificazione contenuta nel testo legislativo ( �ricorso al Re in sede 0tmministrativa n: art. 34, 20 co., testo unico sul Consiglio di Stato). N� pu� farsi riferimento ad elementi, quali l'assoggettamento del decreto del Capo dello Stato al controllo della Corte dei Conti, la sua impugnabilit� dinanzi al Consiglio di Stato, l'esperibilit� dell'azione ordinaria anche dopo la decisione del ricorso straordinario, che, non risultando dalla lettera della legge, possono costituire la conclusione e non certo il presupposto dell'indagine sulla natura dell'istituto (12). (11) V., per�, olt.re, n. 10. (12) In questa petizione di principio cade invece la Cass., Sez. Un., 2 ottobre 1953, n. 3141, cit. -6 � Piuttosto, l'elemento decisivo che vale ad escludere, senza possibilit� di dubbi, la natura giurisdizionale del ricorso straordinario � la possibilit� dell'intervento, nel procedimento decisorio, di un organo politico come il Consiglio dei Ministri. J,a soluzione di un conflitto giuridico, di una lite, pu� essere oggetto -come si riconosce generalmente -tanto di attivit� giurisdizionale, quanto di attivit� puramente amministrativa. Di giurisdizione si pu� parlare solo ove la soluzione della lite mediante l'accertamento del diritto nel caso concreto si ponga come fine a se stessa, ossia ove l'attivit� dell'organo decidente sia intesa alla realizzazione imparziale dell'ordinamento, attraverso la sostituzione della volont� e dell'attivit� delle parti in conflitto. In definitiva, perci�, l'elemento distintivo della giurisdizione pu� dirsi costituito dalla posizione super partes dell'organo decidente, dalla sua assoluta indipendenza rispetto alle parti, espressione formale necessaria della direzione della sua attivit� al soddisfacimento dell'interesse obiettivo e superiore alla giustizia, alla realizzazione dell'ordinamento (13). Orbene, nel nostro caso, � evidente che la possi bilit� che la decisione sia determinata nel suo contenuto in funzione della tutela di quegli inte ressi sommi della pubblica .Amministrazione la cui cura spetta al Consiglio dei Ministri dimostra, nella maniera pi� chiara, che la decisione medesima non si pone come fine a se stessa, come volta soltanto alla realizzazione del diritto nel caso con creto, ma costituisce piuttosto il mezzo per il mi gliore perseguimento degli interessi pubblici sog gettivati nella pubblica .Amministrazione. L'Amministrazione, nella decisione del ricorso straordinario, assume indiscutibilmente posizione di parte, portatrice di interessi che non si identi:fi (13) Esattamente il NIGRO: Le decis�ioni ammfoistrative, cit., p. 27 ss., pone nel rapporto fra l'atto e gli interessi che ad esso J:!ono collegati il criterio di distinzione fra decisioni amministrative e decisioni giurisdi� zionali. L'attivit� amministrativa, anche se intesa alla soluzione di un conflitto di interessi fra pubblica Amministrazione e cittadini attraverso un procedimento contenzioso, � sempre svolta nell'interesse dell'Ammini� strazione, mentre l'attivit� giurisdizionale �, per defi� nizione, imparziale, e suppone quindi una posizione di indipendenza dell'organo cui � demandata. In applicazione di questo criterio, la Corte Costituzionale ha escluso la natura giurisdizionale dei decreti ministeriali in materia di imposte doganali (sent. 24 giugno 1958, n. 40). �Il perseguiment,o di fini di giustizia, attraverso procedimenti che assicurino serie garanzie agli interessati, -si legge nella sentenza -non � espressione inequivoca di attivit� giurisdizionale, dato che la via della giustizia pu� rappresentare anche un mezzo strumenta.le per la realizzazione da parte dell'Am� ministrazione delle proprie finalit� di interesse pubblico �. � appunto tale strumentalit� della decisione, fatta palese dall'intervento del Consiglio dei Ministri, che esclude ogni dubbio sulla natura amministrativa del ricorso straordinario. cano con l'interesse obiettivo alla giustizia, alla esatta applicazione della legge nel caso concreto. Si rinvengono, quindi, nel decreto emesso ~u ricorso straordinario tutti i caratteri che la moderna elaborazione dottrinale lia riconosciuto nelle c.d. �decisioni amministrative� (14). A prescindere dalla disputa sulla natura di tali atti (se atti di accertamento o dichiarazioni di volont�), a noi interessa ribadire l'appartenenza piena di essi al campo amministrativo. Come abbiamo gi� detto, sono da respingere tutti i tentativi di costruire un concetto ibrido di atto formalmente amministrativo, ma sostanzialmente giurisdizionale. Forma e sostanza non sono, in quesw campo, scindibili. Il contenuto della giurisdizione -la soluzione imparziale della lite nell'interesse obiettivo e superiore della giustizia -non pu� che esprimersi nella posizione formale di indipendenza dell'organo decidente. E, del resto, che tale correlazione necessaria tra forma e contenuto non possa mai essere interrotta risulta anche dalla precisa norma dell'art. 101 Cost. Non pu� ammettersi un atto solo materialmente giurisdizionale, parallelo alla figura della legge <e in senso materiale l>. La simmetria dei due concetti � solo apparente: la efficacia generalmente obbligatoria di determinate norme di condotta non � infatti in relazione di dipendenza necessaria con una particolare posizione dell'organo da cui esse sono poste. Al contrario, l'efficacia propria degli atti giurisdizionali non pu� ammettersi se non ove ricorrano quei caratteri formali che, lungi dal rappresentare semplici ga ranzie estrinseche, costituiscono l'espressione immediata e necessaria della giurisdizione, si identificano, anzi, con il concetto stesso di giurisdizione. Il decreto emesso su ricorso straordinario � quindi, senza riserve, un atto amministrativo, cui sono senz'altro applicabili tutti i principi e le norme valevoli per gli altri atti della stessa specie. 5) La natura nettamente amministrativa del ricorso straordinario, mentre, da una parte, pu� condurre ad una revisione radicale di molte massime fatte proprie dalla giurisprudenza, costituisce la premessa per intendere nel modo pi� esatto la portata e la ragione delle poche norme scritte dettate in materia, e, soprattutto, della norma sulla c.d. alternativit� del ricorso straordinario rispetto al ricorso giurisdizionale. La spiegazione che solitamente si d� di questa norma non appare soddisfacente. Escluso, naturalmente, che possa trattarsi di una applicazione del principio cc ne bis in idem �, che pu� valere solo nell'ambito della giurisdizione e non � suscettibile di estendersi a regolare rapporti fra attivit� decisorie di natura diversa, sembra, ai pi�, che l'alternativit� trovi il suo (14) Sulle decisioni amministrative: GIANNINI: Accertamenti ammini8trativi e decisioni amministrative, in u Foro it. '" 1952, IV, 177; NIGRO e CANNADA BARTOLI, opp. citt. -7 fondamento, non in un principio giuridico, ma in mere ragioni di opportunit� pratica. Dovendo esser sentito il parere del Consiglio di Stato in .Adunanza generale sul ricorso straordinario, ove fosse ammessa l'impugnazione dello stesso atto definitivo anche in sede giurisdizionale, i componenti di una sezione del Consiglio di Stato si troverebbero a dover pronunciare due volte sullo stesso oggetto, in sede giurisdizionale e in sede consultiva, come membri dell'Adunanza generale. Ci� potrebbe dar luogo a conflitti pregiudizievoli per il prestigio dell'organo. Tali ragioni di opportunit� appaiono, in realt�, alquanto fragili (15). .Anche se deve ammettersi che .esse sono state tenute presenti dal legislatore, a nostro avviso deve riconoscersi che il vero fondamento dell'alternativit� � un altro, ben pi� consistente e tale da conferire all'alternativit� stessa una posizione sistematica di importanza centrale nella disciplina dell'istituto. Com'� noto, il ricorso straordinario al re unico mezzo di difesa dei cittadini di fronte agli atti della pubblica autorit� negli ordinamenti assolutistici -sopravvisse nell'ordinamento monarchico costituzionale soprattutto per l'importanza assunta da esso -come dagli altri ricorsi amministrativi, assistiti, peraltro, da minori garanzie in seguito all'abolizione dei tribunali del contenzioso amministrativo, che lasciava privi di tutela (15) Se esse fossero veramente rilevanti, in effetti, non si spiegherebbe come il legislatore non abbia escluso l'impugnabilit� in sede giurisdizionale di tutti gli atti per i quali � obbligatorio il parere dell'Adunanza get). erale. (16) Appare perci� scarsamente meditata l'opinione del NIGRO: Le decisioni amministrative, cit., p. 87, il quale ritiene che, in virt� dell'art. 113 Cost., non pos: aa escludersi l'impugnativa giurisdizionale, senza limiti di sorta, del decreto di decisione su ricorso straordinario. In tal modo, la scadenza del termine per il ricorso giurisdizionale contro l'atto definitivo non sarebbe definitivamente preclusiva, pot.endosi sempre, per via indiretta, proporre la questione di legittimit� al Consiglio di Stato, attraverso, prima, la proposizione del ricorso straordinario e, poi, l'impugnativa del decreto di decisione. In definitiva, l'interessato che ha lasciato scadere il termine per il ricorso giurisdizionale dovrebbe .andare incontro ad una notevole perdita di tempo -che costituirebbe la sanzione della sua negligenza. In realt�, in tal modo, l'intero sistema della giustizia .amministr�tiva risulterebbe alterato, e proprio in quei principi che garantiscono le esigenze fondamentali di .certezza nei rapporti fra cittadino e pubblica Ammini� :strazione. La conclusione logica da trarre dall'eliminazione del principio di alternativit� non pu�, perci�, �che esser quella della totale caducazione dell'istituto del ricorso straordinario. La possibilit� illimitata di impugnare la decisione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale � ammessa anche dal FRAGOLA: Questioni intorno al decreto presi �denziale sul ricorso straordinario, in �Giur. compi. cass. dv. � 1953, V, 489, che tuttavia non mette in dubbio l'attuale ammissibilit� del ricorso. giurisdizionale gli interessi legittimi lesi dall'azione amministrativa. Con la restaurazione, su nuove basi, della giurisdizione amministrativa, la ragione pratica che aveva sorretto l'istituto parve venir men:o, e da molte parti fu sollecitata l'abolizione del ricorso straordinario. Peraltro, in considerazione del favore che esso incontrava soprattutto per la semplicit� di forme e per la minima costosit�, il legislatore ritenne miglior partito conservare l'antico istituto accanto al nuovo ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. Ci�, peraltro, creava un grave problema di coordinamento sistematico. L'armonia logica del sistema, fondato sulla formazione dell'atto definitivo attraverso la serie dei ricorsi amministrativi alla autorit� superiore o allo stesso organo e sull'impugnabilit� di tale atto in sede gilirisdizionale entro un breve termine di decadenza, sembrava spezzata dall'inserimento di un possibile ricorso amministrativo al re, non legato a precisi limiti di tempo, contro lo stesso provvedimento definitivo. Fu quindi proprio una ineliminabile esigenza sistematica che indusse il legislatore ad . intro durre, da un lato, il termine di 180 giorni per la proposizione del ricorso straordinario, e, dall'altro, a sancirne l'alternativit� con il ricorso giurisdi zionale. Pertanto (� questa la conclusione che ci premeva fissare) il principio dell'alternativit�, non che essere un'appendice trascurabile della disciplina del ricorso straordinario, fondata su meri motivi di opportu nit� pratica, costituisce il cardine su cui si fonda tutto l'istituto. Chiedersi, quindi, se il ricorso straordinario sia compatibile con l'attuale ordina mento costituzionale significa chiedersi, anzitutto e soprattutto, se possa armonizzarsi con i principi della Carta costituzionale la regola dell'alternati vit�. Tutto l'istituto del ricorso straordinario sta o cade con tale regola. Non � quindi possibile pensare che il ricorso straordinario possa continu':lire ad esistere anche nel nuovo ordinamento costituzionale, eliminando soltanto la regola dell'alternativit�. Ci� significhe rebbe scardinare il sistema della giustizia ammi nistrativa. Basta, infatti, considerare la norma che, sempre affermata rigidamente (a volte, anzi, in maniera esagerata) dalla giurisprudenza, costituisce il pi� importante corollario dell'alternativit�: l'asaog gettabilit� del decreto di decisione sul ricorso straordinario al sindacato giurisdizionale per soli vizi relativi alla forma e al procedimento, escluso ogni motivo attinente al contenuto, il cui esame implicherebbe un nuovo giudizio del Consigli� di Stato sull'oggetto del ricorso straordinario. Se questa norma dovesse ritenersi incostituzionale, e tuttavia si ritenesse sempre ammissibile il ricorso straordinario, si arriverebbe, in pratica, a togliere ogni significato alla fissazione del rigido. termine di decadenza per la proposizione del ricorso giuri sdizionale. La presentazione del ricorso straordinario avrebbe l'effetto di riaprire il termine scaduto, data la possibilit� di sottoporre al Consiglio di Stato, sotto Li i~~&fili@ F1W?EE77f'"' 7 7 T =;;'? -8 specie dell'impugnazione del decreto di decisione, quella stessa questione che, ormai, in via diretta sarebbe improponibile. E, se si tien conto del fatto che il termine pel' il ricorso giurisdizionale ha la funzione di garantire la certezza dei rapporti e il regolare svolgimento dell'azione amministrativa, che sarebbe paralizzata da una possibilit� indefinita di impugnazione degli atti illegittimi, ci si rende conto dell'inammissibilit� della soluzione. O si riforma l'intero sistema della giustizia amministrativa, oppure la caducazione del principio di alternativit� del ricorso straordinario con il ricorso giurisdizionale non pu� non travolgere con s� l'intero istituto del ricorso straordinario (16). Recentemente si � tentato di sfuggire a questa alternativa, attribuendo all'impugnativa gimisdizionale della decisione del ricorso straordinario effetti necessariamente limitati quanto all'incidenza sull'atto definitivo gi� impugnato con il ricorso stesso (17) Il fondamento della tesi sta in un particolare e penetrante modo di intendere il carattere di cc decisione � del decreto emesso su ricorso straordinario. Per tutti gli altri ricorsi amministrativi, � pacifico che la decisione <e accede � all'atto impugnato, o, come ritiene la giurisprudenza, <e assorbe � l'atto stesso, con la conseguenza che l'impugnativa giurisdizionale della decisione investe anche l'atto oggetto del ricorso amministrativo. Cos�, l'eventuale annullamento di una decisione di rigetto implica l'annullamen:to dell'atto confermato. Tali caratteri non ricorrerebbero, invece, secondo la tesi in esame, nel ricorso straordinario. La decisione sarebbe, in questo caso, esterna al provvedimento, gi� definitivo, impugnato (18). (17) BAOHELET: Rie. straord., cit., n. 6. (18) L'affermazione � anche in Cons. Stato, Ad. plen., 24 maggio 1961, n. 12, cit. Mentre il ricorso gerarchico si inquadrerebbe nel procedimento di formazione dell'atto amministrativo (definitivo), la decisione del ricorso straordinario si porrebbe come un atto di giudizio estraneo all'atto impugnato e non potrebbe, perci�, assorbire quest'ultimo. Da ci�, il Consiglio di Stato vorrebbe trarre, come logica conseguenza., il principio della necessaria limitazione dell'impugnativa giurisdizionale della decisione ai soli vizi di forma .e di procedimento, escluso ogni sindacato del contenuto decisorio dell'atto (errores in iudicando), che si risolverebbe in un riesame dell'atto impugnato col ricorso straordinario. In realt�, la conclusione logica, accettando la premessa, dovrebbe essere� esattamente l'opposta. Se la decisione non assorbe il provvedimento impugnato, ma � un atto di giudizio ad esso estraneo e del tutto autonomo, � chiaro che, rispetto ad essa, non pu� valere il principio dell'alternativit� (dettato per l'at.to definitivo oggetto del ricorso) e non pu� quindi gim;tificarsi in alcun modo l'esclusione di una piena garanzia giurisdizionale, salva la limitatezza dei suoi effetti alla decisione considerata come atto a s� stante. Cfr. BAOHELET: Ancora in tema di decisione del ricorso straordinario e di impugnazione del terzo �controinteressato �: un altro caso di denegata giustizia (nota alla decisione sopra citata), in �Foro annn. >>, 1961, I, 1347. Si tratterebbe di un atto di giudizio, come tale necessariamente estraneo e superiore all'atto che ne � oggetto. L'impugnativa giurisdizionale si porrebbe quindi in funzione di garanzia della legittimit� (anche sostanziale) della decisione, come tale,. e non potrebbe invece avere per oggetto la legittimit� dell'originario provvedimento. Si tratterebbe,. in definitiva, di un mero iudicium rescindens, cui. non potrebbe tener dietro il iudicium rescissorium. L'esito dell'impugnativa potrebbe essere semplicemente l'annullamento della decisione in quanto� viziata o errata, e non una nuova decisione sulla questione di legittimit� dell'atto originario. La tesi, a nostro avviso, non pu� avere altro� fondamento che quella natura giurisdizionale o para-giurisdizionale della decisione del ricorso straordinario, che sopra abbiamo escluso (19). Se tale decisione �, come certamente �, un meroatto amministrativo, la sua posizione rispetto all'atto impugnato non pu� essere quella di un atto di giudizio, espressione di una funzione di giustizia volta esclusivamente alla tutela dell'interesse del ricorrente. L'Amministrazione, nel decidere il ricorso� straordinario, non si pone super partes, non si limita a comporre, in conformit� al diritto, un conflitto di interessi, ma, attraverso tale composizione,. � persegue il soddisfacimento di quello stesso interesse pubblico che costituisce la causa dell'atto� impugnato. L'Amministrazione, cio�, agisce, anche nella decisione del ricorso straordinario, come� parte, come portatrice di interessi propri, che si tratta di soddisfare nel modo migliore e pi� corretto (20). La decisione, perci�, essendo volta solo� (19) Cos�, infatti, esplicitamente la decisione dell'Ad~ plen. citata alla nota precedente. La posizione del BAOHELET appare ambigua. Da un lat,o, infatti, egli riafferma in maniera netta il caratter�l di atto amministrativo della decisione del ricorso straordinario e respinge tutte le fumose costruzioni basate sulla scissione� fra qualifica formale amministrativa e carattere sostan-� zialmente giurisdizionale (v., in particolare, lo scritto� cit. alla n. precedente); dall'altro, invece, nel sostenere� la tesi riassunta nel testo, sembra cadere in quegli stessi errori di prospettiva, in quelle confusioni fra la. posizione del ricorso straordinario nell'ordinamento generale e il suo modo di essere all'i,riterno dell'organizzazione amministratfoa che, con tanta efficacia, individua e respinge in linea di principio. L'accentuazione del carattere di giudizio del decreto di decisione finisce infatti col riproporre una pretesa natura singolare, sui generis, di questo atto, che pur si riconosce amministrativo. Significativa � l'analogia cui il B. � costretto a ricorrere fra: il sindacato giurisdizionale della decisione del ricorse> straordinario e il sindacato esercitato dalla Cassazione, sulle sentenze delle corti di merito e delle giurisdizioni. amministrative speciali (v. Rie. straord., cit., n. 6,. nota 83). (20) Contra: Ad. plen. 24 maggio 1961, n. 12, cit.. Il ricorso straordinario �sarepbe deciso dall'Ammini-strazione non come parte, ma come autorit� imparziale. E la garanzia dell'imparzialit� sarebbe nel parere del Consiglio di Stato, parzialmente vincolante, salvo intervento del Consiglio dei Ministri. Non si avverte, ra ~m: ~m: -9 indirettamente alla tutela degli interessi individuali, mentre il suo fine tipico, la sua causa, resta �l soddisfacimento dell'interesse pubblico che � oggetto dell'atto impugnato, non pu� non accedere a quest'ultimo, non assorbirlo, sostituendolo completamente. La situazione, cio�, � esattamente la stessa che si determina nel ricorso gerarchico, n� in contrario potrebbe valere il carattere di definitivit� assegnato alla decisione di quest'ultimo. Si tratta, invero, di una qualificazione del tutto relativa e inidonea ad escludere (in via, appunto, straordinaria) un riesame amministrativo dell'atto (21). Solo una decisione giurisdizionale, nella quale l'applicazione della legge al caso concreto non � ~trumentale rispetto al perseguimento di un interesse di parte, pu� dirsi estranea, superiore all'atto amministrativo che ne costituisce l'oggetto. Una. decisione amministrativa, appunto perch� non pu� che essere intesa al perseguimento dello stesso fine dell'atto che ne � oggetto, assorbe necessariamente quest'ultimo, lo sostituisce, ponendosi come provvedimento concreto e non come atto di giudizio inteso solamente alla soluzione del conflitto di interessi. L'impugnativa giurisdizionale della decisione del ricorso straordinario, se estesa anche al merito; al contenuto della decisione stessa, implica perci� necessariamente il sindacato sulla legittimit� dell'atto originario, � assorbito >> dal decreto presidenziale. L'annullamento di un decreto che abbia rigettato il ricorso straordinario non pu� che significare annullamento dello stesso atto impugnato col ricorso. La tesi che combattiamo, negando quest'ultima conclusione, o finisce col togliere ogni contenuto di pratica utilit� alla piena garanzia giudsdizionale, ammessa per mero ossequio formale ai principi costituzionali, ovvero � costretta a ricorrere a macchinose e inammissibili costruzioni, quali una pronuncia di rinvio allo stesso Oapo dello Stato perch� emetta una nuova decisione ovvero la riapertura dei termini per la proposizione di un nuovo ricorso straordinario (22). L'evidente assurdit� di simili conseguenze ultime � la � migliore prova, riteniamo, dell'inesattezza della premessa. In conclusione, <J.uindi, non pu� negarsi che l'ammissibilit� del ricorso straordinario � legata alla persistenza del principio dell'alternativit�. Oaduto questo, la struttura fondamentale del vigente ordinamento della giustizia amministrativa non po gionando in tal modo, che proprio la possibilit� di quest'intervento dell'organo politico vanifica la pretesa imparzialit�. (21) La differenza che si vorrebbe vedere fra la decisione del ricorso straordinario e quella del ricorso gerar- chico non po�trebbe neppure fondarsi sul carattere di ricorso di mera legittimit� del primo e di ricorso a.nche di merito del secondo. Tnv~ro, anche il ricorso gerarchico, in alcuni casi, � limitato ai soli vizi di legittimit�: v. art. 27 regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2841; arti- colo 164 regio decreto 5 febbraio 1928, n. 577. (22) Cfr. 'BACHELET, op. dt., n. 7. 2 trebbe pi� armonizzarsi con l'antico istituto. Questo do.vrebbe perci� considerarsi definitivamente superato, pena l'obliterazione di quelle ineliminabili esigenze di certezza cui sopperisce �l termine perentorio per la presentazione del ricorso giurisdizionale contro l'atto definitivo (23). 6) Le considerazioni fin qui svolte ci consentono di risolvere agevolmente la questione della legittimit� costituzionale dell'art. 34, commi 20 e 30, del testo unico sul Oonsiglio di Stato, ossia del principio dell'alternativit�, con i suoi corollari, che costituiscono, per quanto detto, il cardine col quale sta o cade l'intero istituto del ricorso straordinario. Il principio dell'alternativit� �, anzitutto, contrastante per se stesso con le norme della Oostituzione. L'improponibilit� del ricorso giurisdizionale da parte di chi ha proposto ricorso straordinario non pu� in alcun modo giustificarsi di fronte alla norma fondamentale dell'art. 113 Oost.: �Oontro gli atti della pubblica amministrazione � semP're amrtiessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa�. Si � obiettato, in contrario, che l'esclusione della tutela giurisdizionale, nel caso che ci occupa, sarebbe fondata sulla volont� dello stesso interessato, il quale, con la proposizione del ricorso straordinario, implicitamente rinuncerebbe al ricorso giurisdizionale. La preclusione di quest'ultimo sarebbe perci� giustificata da ragioni del tutto analoghe a quelle valevoli per l'ipotesi di acquiescenza al provvedimento amministrativo definitivo; e non pu� certo pensarsi che l'art. 113 Oost. estenda la sua efficacia ad escludere addirittura la possibilit� di una rinuncia alla tutela giurisdizionale da parte dello stesso interessato (24). La spiegazione volontaristica che vuol darsi della regola dell'alternativit� � fittizia. Come abbiamo visto, la ratio del principio � una altra. E, comunque, anche a prescindere da ci�, il ricorso a una pretesa rinuncia implicita nella proposizione del ricorso straordinario � artificioso e arbitrario. Si tratterebbe, invero, di una presunzione iuris et de iure di rinuncia. La figura del negozio assolutamente presunto �, per�, come ormai ha definitivamente chiarito la moderna teoria generale del diritto, inammissibile. Ove la legge assegna ad un certo comportamento obiettivo gli stessi effetti che potrebbero conseguire ad un atto di volont�, prescindendo per� dalla esistenza di una volont� diretta, in concreto, alla produzione degli effetti, parlare di negozio presunto (di rinuncia presunta, nel nostro caso) � una mera finzione, del tutto inidonea a dar ragione del fenomeno. In realt�, si deve riconoscere, in questi casi, che si � del tutto fuori dal campo della autonomia privata e del negozio giuridico (25). (23) Cfr. MORTA.TI: Sull'incostit1,zlonalit�, cit. (24) Cfr. BACHELET, op. cit., n. 8; ROEHRSSEN, op. cit. (25) Cfr. SANTORO p ASSARELLI: Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1954, p. 124 ss. ''f?'i'F? -10 L'equiparazione, ai fini della produzione di certi effetti, di un fatto obiettivo ad un negozio non autorizza infatti a fingere l'esistenza di una volont� negoziale anche l� ove la legge mostra di voler prescindere in maniera assoluta da essa. Nella proposizione del ricorso straordinario non si pu� vedere una rinuncia alla tutela giurisdizionale, come nel caso dell'acquiescenza (che costituisce, appunto, dichiarazione tacita della volont� di rinunciare (26): la legge prescinde del tutto dall'esistehza o meno di una concreta volont� di rinunciare e assegna l'effetto preclusivo del ricorso giurisdizionale al comportamento obiettivamente considerato, al fatto della presentazione del ricorso al Capo dello Stato. Orbene, l'esclusione della tutela giurisdizionale, alla luce dell'art. 113 Cost., pu� solo giustificarsi ove sia sancita quale effetto (negoziale) di una vera e propria rinuncia. � inammissibile, inveee, che la preclusione discenda da 1m semplice comportamento obiettivo, da un fatto in senso stretto. La preclusione dell'impugnativa giurisdizionale conseguente alla proposizione del ricorso straordinario, p;rescindendo in maniera assoluta da una volont� di rinuncia (negata, anzi, dallo stesso fatto della proposizione dell'impugnativa amministrativa) non pu� quindi non cadere di fronte alla categorica norma dell'art. 113 Cost. 7) Del resto, an,che se gli argomenti sopra svolti fossero insufficienti, l'incompatibilit� della regola dell'alternativit� con l'art. 113 Cost. sal'ebbe ugualmente agevole da dimostrare, da un altro punto di vista. Come abbiamo visto, la conseguenza principale dell'alternativit� � l'esclusione di ogni impugnativa del decreto emesso su ricorso straordinario che involga ilriesame del contenuto della decisione (27). (26) A parte le dispute sull'esatta qualificazione dell'acquiescenza (accettazione del provvedimento, rinuncia al potere di in1pugnativa, rinuncia al diritto sostanziale deducibile in giudizio, accertamento della validit� del provvedimento) la dottrina e la giurisprudenza assolutamente prevalenti riconoscono il carattere negoziale del comportamento e quindi intendono la preclusione dell'impugnativa come � effetto negoziale �, nel senso chiarito dalla teoria del diritto civile. Non possiamo qui esaminare le obiezioni formulate recentemente dal GIAN� NINI (voce Acquiescenza, in � Enciclopedia del Diritto �; cfr. anche GIOVENCO: Notazioni in tema di acquiescenza al provvedimento amministrativo, in � Riv. trim. dir. pubbl. ,,, 1959, 844). Ci sembra, comunque, che l'effetto preclusivo dell'acquiescenza, di fronte all'art. 113 Cost., possa giustificarsi solo in quanto effetto negoziale, ricollegato ad una precisa manifestazione di volont� dell'interessato. (27) Che questa esclusione sia una conseguenza diretta del principio dell'alternativit�, come esattamente ritiene la giuriSprudenza, � provato dal fatto che, come abbiamo vist�, l'impugnativa della decisione per vizi sostanziali si risolve necessariamente nell'impugnativa . del provvedimento originario. Contra, date le diverse premesse accolte, BACHELET, op. cit. Ma se questa decisione � un atto amministrativo, non si pu� assolutamente sfuggire all'applicazione del secondo comma dell'art. 113, per il quale la tutela giurisdizionale non pu� essere esclusa (} limitata a particolari mezzi di impugnazione (} per determinate categorie di atti. .Anche a voler ammettere che la presentazione del ricorso straordinario implichi rinuncia all'impugnativa giurisdizionale, certamente gli effetti di tale rinuncia non potrebbero mai estendersi al gravame contro il futuro decreto di decisione. Una rinuncia preventiva all'impugnativa di un atto non ancora emanato non pu� infatti ammettersi alla stregua dei principi della giustizia amministrativa (28) e, tanto meno, di fronte alla categorica norma dell'art. 113 Cost. D'altronde, il tentativo, fatto da alcuni (29)t .. di dimostrare, sempre sul presupposto della natura amministrativa della decisione, l'impossibilit� che questa leda diritti o interessi legittimi, e quindi l'insussistenza del presupposto per l'applicazione dell'art. 113, 'deve ritenersi fallito. La tesi si fonda su un particolarissimo valore assegnato al carattere cc straordinario� del ricorso al Capo dello Stato. Si tratterebbe di un rimedio extra iuris ordinem, sfornito dei caratteri di guarentigia giuridica, che conserverebbe tuttora, in virt� del principio dell'alternativit�, i caratteri originari di una istanza in via di grazia. La proposizione del ricorso avrebbe, per l'interessato, il significato di un affidamento dei propri interessi alla buona grazia del sovrano, al di fuori di ogni garanzia giuridica (che non sia quella rappresentata dalle norme di ordine procedurale). Nessun interesse giuridicamente rilevante, e quindi tutelabile in sede giurisdizionale, potrebbe vantare il ricorrente rispetto alla sostanza della. decisione �graziosa� cui si � rimesso. La presentazione del ricorso, perci�, presupporrebbe gi� avvenuta (per via di q.ecadenza o d'altro), ovvero implicherebbe essa stessa, necessariamente (per via di rinuncia), la degradazione dell'interesse legittimo leso dall'atto impugnato a mero interesse semplice, sfornito di ogni tutela giurisdizionale (30). Secondo il BENVENUTI: Appunti di diritto amministrativo, 1957, p. 247, la non impugnabilit� della decisione del ricorso straordinario dipenderebbe dalla natura. di atto politico (sfa pure in senso ampio) che a questa dovrebbe riconoscersi. La tesi non sembra fondata e, a contrastarla, � sufficiente il rilievo dell'obbligo di motivazione del decreto di decisione (cfr. BACHEL'ET. op. cit., nota 78). (28) � pacifica, infatti, l'inammissibilit� dell'acquiescenza ad un atto non ancora emanato, per quanto sia. in corso il procedimento per la sua formazione. (29) SANDULLI: Sull'amm�sibiUt� del ricorso straordinario al Presidente della Re;pubblica, cit.. (30) L'ANDRIOLI: (Ricorso straordinario �al Presider&te della RepubbUca e tutela giurisdizionale dei diriUi s~g,;gettivi, cit.), che segue l'ordine di idee del Sandulli, esclude che la presentazione del ricorso straordinario possa. avere, sotto il vigore della nuova Costituzione, l'efficacil'lo di una rinuncia definitiva alla tutela giurisdizionale e _---,-11 La decisione non potrebbe mai violare, quindi, un interesse legittimo, ormai definitivamente escluso dalla stessa presentazione del ricorso. La confutazione di questa, certamente abilissima, costruzione � gi� stata fatta, in modo esauriente, dal Ciardulli (31). Basta richiamare una considerazione, che sembra decisiva: tutti gli argomenti addotti si spuntano inevitabilmente contro l'esigenza di tutela dei controinteressati. L'interesse che questi hanno alla conservazione dell'atto impugnato non pu� certo dirsi degradato a interesse semplice. L'esclusione della tutela giurisdizionale di questo interesse non potrebbe perci� in alcun modo giustificarsi (32). Inoltre, anche per quanto riguarda l'interessato, la tesi che combattiamo si risolve in un circolo vizioso: in sostanza, l'interesse legittimo degraderebbe a interesse semplice per l'esclusione di ogni tutela giurisdizionale, e tale esclusione si giustificherebbe proprio per quella degradazione. In realt�, se si segue, come crediamo si debba seguire, l'opinione (in realt�, non incontroversa) che fa dell'interesse legittimo una figura di diritto sostanziale, non si pu� ammettere che la preclusione del ricorso giurisdizionale� implichi la sua degradazione a interesse semplice. Altro � la tutela indiretta di un interesse individuale offerta da norme di diritto sostanziale e altro sono i mezzi processuali di realizzazione di tale tutela. Non pu� quindi ammettersi che la decisione del ricorso straordinario sia, per sua natura, inidonea a -ledere interessi giuridicamente tutelati (in senso sostanziale) ed � quindi da escludere ogni limite alll'l sua impugnabilit� in sede giurisdizionale (33). 9) Concludendo: l'alternativit� del ricorso straordinario con il ricorso giurisdizionale non pu� in alcun modo conciliarsi con i principi costituzionali. Non potendo, del resto, il ricorso straordinario reggersi senza quel principio nel vigente sistema della giustizia amministrativa, � l'intero istituto che deve ritenersi viziato di incostituzionalit�. possa quindi produrre, essa stessa, la degradazione del� l'interesse legittimo (o del diritto soggettivo) a interesse semplice. A suo avviso, perci�, l'ammissibilit� del ricorso straordinario dovrebbe ormai essere confinata alle ipotesi in cui la tutela giurisdizionale sia. gi� esclusa per l'intervento di decadenze o di altri fatti preclusivi legislativamente previ!'ti. (31) Op. cit. (32) L'obiezione vale anche contro la tesi di AN� DRtoLI, op. cit., ugualmente viziata dalla considerazione esclusiva della posizione del ricorrente. La fondatezza del rilievo � ora riconosciuta dal SANDULLI (v. Manuale di diritto amministrativo, Napoli 1959, p. 558). (33) Il termine di decadenza per il ricorso giurisdizionale non inc�d�, infatti, sull'interesse sostanziale, la cui deducibilit� in giudizio pu� risorgere per l'intervento, ad esempio, di un nuovo atto parzialmente modificativo (anche, come afferma la giurisprudenza, nella sola motivazione) dell'atto precedente non impugnato in termine. * * * 10) L'incompatibilit� del ricorso straordinario con i principi costituzionali si rivela anche sotto un altro aspetto. _ L'attribuzione al Presidente della Repubblica del potere decisorio non � compatibile con la posizione di quest'organo nel sistema della nuova Costituzione. In proposito, occorre fare una premessa. In dottrina non c'� pieno accordo sull'individuazione dell'organo cui spetta la titolarit� del potere di decisione. � stato infatti sostenuto che l'intervento del Capo dello Stato avrebbe una mera funzione simbolica e formale, mentre la titolarit� sostanziale del potere di decisione spetterebbe al Ministro competente (34). E ci� a seguito di un'evoluzione compiutasi prima dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana; onde sarebbe del tutto irrilevante, rispetto al ricorso straordinario, la identificazione della posizione che questa attribuisce al Presidente della Repubblica. Nulla impedirebbe, infatti, che funzioni meramente cc simboliche n, di pura forma, siano attribuite, nel campo amministrativo, al Presidente con legge ordinaria. Un problema di legittimit� costituzionale si po� trebbe porre solo ove una legge ordinaria volesse attribuire al Presidente la titolarit� sostanziale di un potere amministrativo. La tesi non sembra esatta. Nell'ordinamento previgente, la decisione del ricorso straordinario era attrjbuita al re non in senso meramente formale, ma come atto rientrante nella sfera della sua competenza sostanziale. In ci� si manifestava la sua origine di cc prerogativa regia�. La controfirma ministeriale non modificava la situazione. A prescindere dalla natura di questo atto nell'ordinamento monarchico, ed anche a vol�r ammettere che esso, nell'evoluzione costituzionale, fosse andato ben oltre la sua originaria funzione di cc copertura>> dell'irresponsabilit� regia, certo non pu� affermarsi in via assoluta che, in ogni caso, gli atti controfirmati dal Ministro fossero espressione di un suo autonomo potere di deliberazione e che l'intervento del re fosse tipicamente rivolto ad una mera funzione di simbolo. Il semplice fatto della necessit� della contro� firma ministeriaie non � perci� minimamente decisivo (35). Senza dubbio, il decreto reale controfirmato dal Ministro doveva considerarsi (come deve considerarsi oggi il decreto presidenziale (36) quale atto (34) GIANNINI: La giustizia amministrativa, cit., p. 97; A:MORTH: Lineamenti dell'organizzazione amministrativa italiana, Milano, 1950, p. 22; BAOHELET, op. cit., n. 3. La decisione dell'Ad. plen. 25 gennaio 1961, n. 1, cit., attribuisce invece a! Ministro solo funzioni istruttorie e di impulso processuale, escluso ogni suo potere decisorio. ,. . (35) Come invece sembra ritenere il BAOHELET, cit. (36) BALLADORE PALLIERI: Dir. cast., cit., p. 169; SANDULU:: Il Presidente della Repubblica e la funzione arrvmi-nistrativa, in � Scritti giuridici in onore di Carnelutti '" vol. IV, Padova 1950, p. 215 ss. -12 complesso: ciascuno dei due organi (Capo della Stato e Ministro) concorreva con la sua volont� alla formazione dell'atto (37). Il problema dell'identificazione dell'organo titolare del potere esercitato per mezzo dell'atto si risolve perci� nell'identificazione della volont� prevalente nella sua formazione. Negli atti complessi c.d. ineguali (38), infatti, l'atto emanato col concorso di distinte volont� deve ritenersi compreso nella sfera di competenza dell'organo alla cui volont� la legge d� valore prevalente, mentre il concorso degli altri organi assume il semplice valore di un presupposto. Orbene, non sembra dubbio che, nel procedimento di decisione del ricorso straordinario al re, era la volont� di quest'ultimo che assumeva valore decisivo. Il Ministro competente, istruito il ricorso e ottenuto il parere del Consiglio di Stato, fungeva da mero tramite di trasmissione di tale parere al re. Non poteva neppur dirsi che ad esso competesse la veste di proponente, essendo escluso ogni suo potere di determinare il contenuto del provvedimento (39). Al Ministro competeva soltanto il potere, ove non ritenesse opportuno seguire il parere del Consiglio di Stato, di sottoporre la questione al Consiglio dei Ministri. Con ci� non pu� dirsi si verificasse la devoluzione al Consiglio del potere di decisione del Ministro (40). In realt�, l'intervento del Consiglio dei Ministri aveva carattere consultivo e non deliberativo, al pari di quello del Consiglio di Stato (41). Ci� risulta dal confronto fra la disposizione dell'art. 14, 2� co., del testo unico sul Consiglio di Stato (�quando il provvedimento sia contrario al parere del Consiglio di Stato, deve farsi constare dal decreto reale che � stato pure� udito il Consiglio dei Ministri �) e quella dell'art. 25, 20 co., del testo unico sulla Corte dei Oonti, per la quale la registrazione con riserva � condizionata alla 1�isoluzione del Consiglio dei Ministri �che l'atto o decreto debba aver corso n. Non sembra che l'argomento letterale sia superabile: l'ipotesi in esame appare perci� estranea alla previsione generica dell'art. 1, n. 7, regio decreto 14 novembre 1901, n. 466 (per il quale sono sottoposti al Consiglio dei Ministri tutti gli affari per cui debba provvedersi mediante decreto reale con precedente parere del Consiglio di Stato, quante volte il Ministro competente non intenda uniformarsi a tale parere). Qui non c'� devoluzione al Consiglio dei Ministri di un potere deliberativo, che (37) Contra: PORTA: Natura del decreto reale che decide il ricor.~o straordfoario, in � Giur. it. �, 1941, III, 113, il quale ritiene che, mancando nella specie una vera proposta del Ministro, non possa parlarsi di atto complesso. La controfirma assumerebbe il semplice valore di un visto esterno all'atto, che resterebbe espressione della sola volont� del Capo dello Stato. (38) ZANOBINI: Cor8o, cit., vol. I, p. 256. (39) Cos� PORTA, op. cit. (40) FRANCHINI: Il pa;rere nel diritto ammfr1iistrativo, vol. II, Milano 1954, p. 87. . (41) Conf. Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 1955, n. 461, in (( Riv. amm. �, 1956, II, 133. non spetta al singolo Ministro, ma al Capo dello Stato. In definitiva, nel sistema previgente, il re provvedeva sul ricorso str:;i,9rdinario., confortando la decisione o con il parere del Consiglio di Stato o con quello del Consiglio dei Ministri. L'iniziativa spettante al Ministro competente di sollecitare il parere di quest'ultimo collegio non poteva vincolare la decisione regia. Nulla vietava che il re, nell'emanazione della decisione, si conformasse all'avviso del Consiglio di Stato, malgrado il contrario parere del Ministro e del Consiglio dei Ministri (42). Ci� � sufficiente a far ritenere effettiva, sostanziale l'attribuzione al re del potere di decisione. E, invero, se l'organo decidente fosse il Ministro, non si vede proprio come potrebbe concepirsi un'attivit� consultiva del Consiglio dei Ministri nei suoi confronti, ossia nei confronti di uno dei suoi membri (43). Si deve quindi riconoscere che, al momento dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, la decisione del ricorso straordinario rientrava nella sfera di competenza propria del sovrano; il suo intervento non aveva una semplice funzione di rivestimento simbolico di un atto deliberato dal Ministro competente, ma, al contrario, era l'intervento del Ministro che doveva considerarsi accessorio e secondario. Il problema della possibilit� di attribuire un simile potere al Presidente della Repubblica, nel nuovo ordinamento, sussiste pertanto anche per chi ritenga che sia senz'altro da escludere che la Costituzione ponga limiti all'attribuzione di funzioni meramente formali al Capo dello Stato. E il problema, deve aggiungersi, non � di semplice competenza. Non � sostenibile la tesi per cui, ove fosse riconosciuta l'incompatibilit� dell'attribuzione di decidere il ricorso straordinario con la posizione costituzionale del Presidente della Repubblica, dovrebbe ritenersi trasferito il potere stesso al Governo, in virt� della competenza generale in materia amministrativa che di questo � propria (44). La trasformazione del ricorso al re in ricorso al governo implicherebbe, non un semplice trasferimento di competenza, ma una modificazione radicale della struttura dell'istituto. La portata dell'intervento del Ministro competente e del Consiglio dei Ministri sarebbe tutt'altra da quella prevista dalla legislazione in materia e dovrebbe perci� crearsi tutto un nuovo sistema di rrocedura. Deve quindi concludersi che, allo stesso modo del principio dell'alternativit� con il ricorso giurisdi (42) Cfr. MORTATI: Sull'incostituzionalit�, cit., nota 15. (43) Il BACHELET, op. cit., pur riconoscendo che l'intervento del Consiglio dei Ministri ha natura consultiva. (nota 7), attribuisce egualmente al Minist.ro ilpot~r�decisorio. (44) SANDULLI: Sull'ammissibil��, c�t. La tesi � stata, in passato, sostenuta dal MORTATI: Corso di ist#uzioni di diritto pubblico, Padova, 1949, p. 408. -13 zionale, l'attribuzione del potere decisorio al Capo dello Stato costituisce un cardine del ricorso straordinario, per cui, caduta tale attribuzione, non pu� non cadere l'intero istituto. 11) La decisione del riccrso straordinario era dunque espressione di un potere proprio del re, era un atto di iniziativa sovrana. Il suo fondamento era nella disposizione dell'articolo 5 dello Statuto albertino: cc .Al Re solo appartiene il potere esecutivo ''� Riconosciuta, infatti, la natura formalmente e sostanzialmente amministrativa dell'atto, il potere di decisione non poteva ritenersi attribuito al re se non nella sua veste di Capo dell'esecutivo. Del resto, i principi della monarchia costituzionale non sembrano consentire soluzione diversa: il potere di decisione non poteva fondarsi su una pretesa funzione sovrana del re, come tale, esplicantesi al di sopra e al di fuori dell'ordinamento amministrativo (45). Comunque, a prescindere da ci�, � chiaro che solo la configurazione di una competenza generale del re nel campo amministrativo (fosse essa espressione della sua veste di Capo dell'esecutivo, ovvero di Capo dello Stato) poteva giustificare l'attribuzione ad esso di un potere di iniziativa, quale quello che si esercitava nella decisione del ricorso straordinario. Con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il presupposto � caduto. .Al Presidente della Repubblica non � pi�. riconosciuta la qualifica di capo dell'esecutivo, n� gli � attribuita una competenza amministrativa di carattere generale (spettante, invece, al Governo). Gli atti amministrativi alla cui formazione il Presidente concorre non possono ch� 'essere tipici: costituiscono un numero chiuso non suscettibile di estensione per via analogica. Si tratta di vedere se l'elencazione di questi atti contenuta nella Costituzione possa essere integrata, con l'aggiunta di altri provvedimenti specifici, dalla legge ordinaria. La risposta sembra non possa essere che negativa. Gli interventi del Presidente della Repubblica nel campo amministrativo non potrebbero essere estesi oltre i limiti segnati dalla Costituzione senza modificare l'equilibrio delle competenze da questa sancito (46). La previsione costituzionale di determinati atti amministrativi attribuiti al Presidente della Repubblica potrebbe considerarsi rivolta semplicemente a rivestire della garanzia costituzionale alcune soltanto delle competenze presidenziali, solo se fosse sostenibile che l'intervento del Presidente nell'amministrazione trovi fondamento in una competenza di carattere generale, che invece non pu� che escludersi di fronte alla norma dell'articolo 95 Cost. Del resto, anche se fosse vera, in principio, la tesi opposta, non potrebbe non fissarsi un preciso limite alla potest� del legislatore ordinario di ampliare la sfera degli atti amministrativi di competenza presidenziale. In proposito, � opportuno richiamare una di stinzione che, nell'ambito di questi atti, � fatta dalla migliore dottrina. La norma dell'art. 89 Cost. (�nessun atto del Presidente della Repubblica � valido se non � controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilit� ll) sembra attribuire in ogni caso la competenza a delibetare l'atto al' Ministro <e proponente i>, limitando l'intervento del Presidente della Repubblica a una mera funzione simbolica, di suggello formale (47). Sembrerebbe, cio�, che debbano ormai escludersi, in modo assoluto atti rientranti, in senso sostanziale, nella competenza del Capo dello Stato, atti, cio�, la cui deliberazione possa ad esso spettare. In realt�, l'esame completo delle norme costitu� zionali che prevedono competenze presidenziali convince della fallacia di questa conclusione. Esistono due specie ben distinte di atti presidenziali (48). Alcuni (ad es., la nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri) rientrano prevalentemente nella competenza del Capo dello Stato, che ne ha l'iniziativa, mentre il Ministro si limita a controfirmarli. .Altri, invece (ed � la regola), rientrano nella competenza del Ministro, sono da questi deliberati, ma devono ricevere anche l'�ssenso del Presidente della Repubblica (49) e devono essere da questi firmati. Orbene, l'attribuzione, mediante legge ordinaria, al Presidente della Repubblica di un atto del secondo tipo potrebbe forse con~iderarsi legittima, in quanto non avrebbe il valore di spostare l'ordine costituzionale delle competenze, restando sempre attribuita al governo la potest� delibe-1 rativa, l'iniziativa della formazione dell'atto (50). Oertamente, per�, il legislatore ordinario non potrebbe mai attribuire al Presidente della Repubblica un atto del primo tipo, non contemplato dalla (45) Sul punto, cfr. CI.A.EDULI.I, op. cit. (46) Cos� AaRo', op. cit. Contra: SANDULLX: Sull'ammissibilit�, cit. (47) Cosi: A. GIANNINI: Il Presidente della Repubblica, in Scritti giuridici in onore di A. Scialoia, vol. IV, Bolo�. gna, 1953, p. 227 ss.; A:MORTH: op. loc. cit. (48) La distinzione � delineata con molta chiarezza dal BALLADORE p ALI,mRI,. op. cit., p. 169 ss. La questione � ampiamente trattata dal GuGLmun: I cofiitti di attri� buzione tra i poteri d(!,llo Stato, in �La Corte Costituzionale � (Raccolta di studi), Roma, 1958, p. 463 ss. (49) Tale assenso ha ima portata sostanziale, rap.. presenta un vero e proprio concorso di volont� e non un mero suggello formale. La ftmzione dell'intervento presidenziale deve ritenersi essere quella di un controllo della rispondenza all'interesse oggettivo e generale dello. Stato degli indirizzi della maggioranza al potere. V. BALIJADORE PALLIERI, op. cit., p. 168; BARILE: I poteri del Presidente della Repubblica, in � Riv. trim. dir. pubbl. �" 1958, 295. (50) In questo senso la recentissima sentenza della Corte Costituzionale 19 aprile 1962, n. 35, che ha ritenuto giustificato l'intervento del Presidente della Re~ pubblica nell'emanazione di provvedimenti ammini--~ strativi di particolare rilievo, non contemplati dalla Costituzione, in quanto l'inter�vento stesso non sia richiesto come partecipazione deter�minante alla formazione dell'atto. -14 Costituzione. Devolvendo al Capo dello Stato un potere autonomo di iniziativa nel campo amministrativo, si verrebbe infatti, senza alcun dubbio ad infrangere i confini segnati dal costituente ~Ile competenze degli organi supremi. In particolare l'attribuzione del potere di decisione del ricors~ straordinario tche non � prevista dalla Costituzione) avrebbe l'effetto di snaturare la figura del Oapo dello Stato, attribuendogli quella veste di organo supremo dell'Amministrazione, che come abbiamo visto, spettava al re, ma � nett~mente esclusa dalla Costituzione repubblicana. Il potere regio (potere autonomo, proprio del re) di decidere il ricorso straordinario non pu� quindi perpetuarsi nel regime repubblicano. Esso non pu� attribuirsi a nessuno degli organi contemplati dalla Costituzione: non al Presidente della Repubblica, che non pu� assumere competenze am.: ininistrative non previste nella Carta costituzionale, e neppure al Governo, dato che, com.e abbiamo risto, l'attribuzione a questo finirebbe col creare un istituto del tutto nuovo, sconvolgendo la strut~ ura del ricorso quale definita dalla legislazione mtervenuta sotto il vigore dello Statuto albertino. * * * 12) Gravi ed insuperabili sono quindi, ad onta della prassi invalsa, i motivi di inammissibilit� del ricorso straordinario nel nuovo ordinamento costituzionale. N�, certo, pu� valere contro di essi il fatto che alcune reggi successive alla Costituzione (51) fac ciano riferimento al ricorso straordinario com.e ad un istituto vigente. � chiaro che queste stesse leggi devono ritenersi inficiate dal vizio di inco stituzionalit� che affetta l'istituto da esse regolato in qualche particolare. .Apparentemente, un argomento pi� solido sem bra potersi trarre dall'art. 23, 40 co., dello Statuto della Regione siciliana, per il quale �i ricorsi am ministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente regionale, sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato �. Com'� noto lo Statuto siciliano (approvato con decreto luogotenenziale 15 maggio 1946, n. 455) � stato convertito in legge costituzionale �ai sensi e per gli effetti dell'arti colo 116 della Costituzione � (1. cost. 26 febbraio 1948, n. 2, art. l ). Sembrerebbe quindi indiscuti bile la legittimit� di un istituto presupposto da una norma costituzionale, che ne d� una regolamenta zione particolare per un'ipotesi specifica. In realt�, an�he l'art. 23 non offre alcun argo mento favorevole alla legittimit� del ricorso stra ordinario (52). (51) Art. 7, legge 21 dicembre 1950, n. 1018, che istituisce una nuova tassa di ricorso. (52) Sulla questione, v. CIARDULLI, op. cit. .Anzitutto, si deve notare che, se, effettivamente, il ricorso al Presidente della Regione � lo stesso ricorso straordinario, con il solo mutamento dell'organo decidente, il contrasto-che, come abbiamo visto, esiste fra l'istituto generale e la Costituzione, non che essere eliminato dall'art. 23, comporterebbe l'illegittimit� di questa norma e quindi la sua caducazione. ~e norme dello Statuto hanno infatti grado inferiore a quelle contenute nella Costituzione: il loro limite inderogabile � fissato dall'art. 116 Cost., che stabilisce in maniera precisa il loro possibile contenuto nella determinazione di f�rme e condizioni particolari di autonomia. L'attribuzione di efficacia costituzionale alle norme dello Statuto (come, del resto, risulta dalla lettera stessa della legge costituzionale, n. 2 del 1948) non pu� quindi estendersi a quelle disposizioni che risultino in contrasto con i principi della Costituzione (53). Rientra nello stesso concetto dell'autonomia 'che l'ordinamento di un ente autonomo non possa ispi rarsi a principi contrastanti con quelli che reggono l'ordinamento sovrano, da cui trae il proprio fon damento. Stabilito, pertanto, che il ricorso straordinario al Capo dello Stato non pu� conciliarsi con i pr~cipi della Qostituzione, l'attribuzione della re lativa competenza ad un organo regionale (operata prima dell'entrata in vigore della Costituzione) deve ritenersi travolta dall'eliminazione radicale dell'istituto. E quindi la successiva recezione dello Statuto nell'ordinamento costituzionale non pu� essersi estesa alla norma dell'art. 23, ormai defini tivamente caducata fin dal momento dell'entrata in vigore della Costituzione. Peraltro, sembra pi� esatto ritenere che il ri corso al Presidente della Regione sia un istituto del tutto diverso dal tradizionale ricorso straordi nario e che quindi nessun argomento a favore del secondo possa esser tratto dalla disciplina del pri mo (54). Comunque, quale che sia la ricostruzione esatta di questo speciale ricorso, � indubitabile che la natura della norma che lo contempla impone la necessit� di verificarne la legittimit� costituzio nale e che costituirebbe un'inammissibile inversione logica il voler trarre da essa argomenti per la solu zione della questione di legittimit� costituzionale dell'istituto generale che essa sembra presup porre. MARCELLO CONTI PROCURATORE DELLO STATO (53) Cfr. Corte Cost. 27 febbraio 1957, n. 38; MoRTATI: Sull'incostituzionalit� dell'art. 23, ult. co., Statuto Reg. sic., cit. (54) Cos� BACHELET, op. cit., nota 11. Contra: LANDl: Profili e problemi della giustizia amministrativa in Sicilia, Milano, 1951, p. 78 ss. NOTE DI DOTTRINA LUIGI MoNTES.A.NO : Processo civile e pubblica amministrazione in � Trattato del processo civile �, diretto da Francesco Carneletti, Napoli, 1960. � la prima v�lta, a quanto ci risulta, che un trattato di diritto processuale civile dia tanto rilievo alla posizione della P . .A. nei processo civile, sia per quanto attiene alla tutela dei diritti soggettivi nei suoi confronti, sia per ci� che riguarda la realizzazione delle sue pretese fuori del processo. Ci� � per noi motivo di vivo compiacimento anche se non condividiamo le premesse, da cui parte l'Autore, e la maggior parte delle conseguenze cui perviene. Il tema, che l'Autore si propone di dimostrare, � la insussistenza di quelle, che, da circa un secolo, .sono definite le peculiari limitazioni delle potest�, processuali civili riguardo all'attivit� amministrativa e che la maggior parte della dottrina e la giuri. sprudenza riconducono al principio della divisione _dei poteri. L'Autore, pur accettando i risultati, cui � pervenuta la giurisprudenza, ne ricerca un diverso fondamento e perviene alla conclusione che non si tratta di effetti processuali, ma di particolari applicazioni delle norme sulla tutela giurisdizionale dei diritti o conseguenze processuali della sostanziale imperativit� inerente ai provvedimenti dell'autorit�, cosi trasportando sul terreno sostanziale quelli, che finora sono stati ritenuti effetti processuali. Egli in sostanza tenta di dare un'originale ed autonoma interpretazione degli artt. 4, 5, 7 e 8 della legge 20 mar. 1865, n. 2248, allegato E, che prescinda dal travaglio secolare della dottrina e della giurisprudenza, le quali su queste e poche altre norme hanno creato il vigente ordinamento amministrativo. La funzione storica dell'art. 4, secondo l'Autore, si sarebbe esaurita nella precisazione che, :attribuendosi al giudice la tutela dei diritti, non gli si trasf�rivano anche le funzioni amministrative gi� attribuite ai Tribunali del contenzioso ed agli -Organi contenziosi della P.A. e, conseguentemente, -che al cittadino, il quale avesse esaurito le vie giudiziarie, fosse ancora consentito esperire i vecchi rimesi amministrativi per la eliminazione dell'atto illegittimo. Per quanto attiene all'art. 5 l'Autore, prendendo spunto anche da recenti studi sul giudizio di costituzionalit� delle leggi (che, per la verit�, ha ad oggetto sia l'atto legislativo con riferimento alle disposizioni costituzionali, che ne regolano la for inazione, sia la norma in esso contenuta, in rela� zione alle disposizioni sostanziali della Costituzione) afferma che la disapplicazione si riferisce alle norme contenute nell'atto, non all'atto ed esclude, quindi, che il giudice, per disapplicare-l'atto-norma, debba pronunciare sull'atto. La disapplicazione implicherebbe un giudizio incidentale sulla legittimit� dell'atto, una pregiudiziale amministrativa nel processo civile, che, secondo l'Autore, il giudice potrebbe decidere incidenter tantum e s.enza che si formi giudicato sulla legittimit� dell'atto. Il principio accolto dall'Autore contrasta, a nostro avviso, con il sistema vigente, che solo eccezionalmente attribuisce all'autorit� giudiziaria ordinaria (in: sede penale) il potere di decidere incidenter tantum una controversia amministrativa (artt. 20 e 21 C. p. c.). L'art. 295 C. p. c., infatti, prevede la sospensione del processo civile in attesa che il giudice competente decida la controversia amministrativa. � La disapplicazione, come riteniamo di avere altra volta dimostrato, non implica una pronunzia, neppure incidenter tantum, sulla legittimit�, ma solo sulla estrinseca legalit� dell'atto amministrativo (Rassegna 1952, p. 37-40; ivi 1953, p. 125). L'Autore, che dichiara di aderire alla teoria della responsabilit� indiretta della P.A., nega, poi, che a questa siano applicabili i principi della colpa aquiliana. La responsabilit� della P.A. sarebbe, perci�, fondata sulla perdurante efficacia dell'atto illegittimo, che legittimamente sacrificherebbe il diritto del privato; essa, perci�, sarebbe sostanzialmente in ogni caso responsabilit� da atto legittimo. Questa responsabilit�, per�, l'Autore esatta mente ricollega non a qualsiasi lesione (violazione) di norme; ma solo alla illegittimit� dell'atto nella parte, in cui dispone un sacrificio patrimoniale. Conseguentemente resta escluso che il giudice or dinario possa, sia pure incidenter_ tantum, accertare l'eccesso di potere, che non attiene mai alla parte del provvedimento, che sacrifica il diritto del pri vato. Sulle orme dello Scialoia, sostanzialmente am mette una doppia tutela, ponendo come criterio di discriminazione della giurisdizione la causa potendi, con la conseguenza che un prov:vedimento, il quale, come atto imperativo non � mai lesivo del- l'altrui diritto, potrebbe essere impugnato al Con siglio di Stato per violazione delle norme, che lo regolano (c.d. norme di azione) e potrebbe dar :mmm -16 luogo ad azione giudiziaria, per la parte, in cui � disposto il sacrificio patrimoniale. � evidente la conseguenza: se il risarcimento � chiesto per un vizio dell!atto, che non incide sul diritto soggettivo, il giudice rigetta la domanda, non declina fa, giurisdizione. I tradizionali limiti della giurisdizione nei confronti della P . .A.. si tra� ducono, cos�, in necessari riflessi processuali della soggezione del cittadino alla potest� sovrana della P . .A.. ed alla imperativit� degli atti amministrativi, ancorch� illegittimi. L'Autore,. esamina poi, diffusamente i casi di applicazione dell'art. 4 legge 20 marzo 1865, allegato E, n. 2248, che restringe alla eliminazione di una obiettiva incertezza, la quale d� luogo a sentenza dichiarativa, ed all'accertamento di una turbativa ad un diritto assoluto del cittadino o di un inadempimento, che d�nno luogo solo a sentenza di condanna a risarcimento del danno. Passando, poi, ad esaminare le singole azioni esperibili contro la P . .A.., l'Autore esclude che vi siano limiti alla giurisdizione, per ravvisare solo effetti processuali conseguenti a posizioni di diritto sostanziale, quali, ad esempio, l'infungibilit� di ogni prestazione della P . .A.., l'insussistenza di diritti di fronte. al merito amministrativo, l'insussistenza di norme, che concedano in astratto, la tutela invocata dall'attore. .Anche a proposito delle decisioni di annullamento l'Autore accoglie i risultati della giurisprudenza, sostituendovi il fondamento razionale: da queste decisioni non sorge diritto a risarcimento (salva l'ipotesi dei diritti affievoliti, per i quali � dovuto un indennizzo, ma su basi diverse) perch� non eliminano in radice la situazione creata dall'atto annullato, ma impongono un ;procedimento regolato da norme di azione. In conclusione, secondo l'Autore, il giudice civile � sempre incompetente a pronunciare in via principale l'illegittimit� dell'atto; ma � sempre competente a pronunziare il risarcimento del danno conseguente a tale illegittimit�, sia che questa debba da lui essere accertata incidenter tantum, sia che sia stata accertata dal giudice amministrativo. Questi, a sua volta, � sempre competente a pronunciare l'illegittimit� dell'atto, anche se abbia leso un diritto soggettivo, ed � incompetente per i danni. Per quanto attiene all'esecutoriet� degli atti amministrativi l'Autore, pur di negare una qualsiasi deroga al divieto della ragione fattasi ed al principio generale della necessaria verificazione giurisdizionale delle pretese (in verit� meno generale di come spesso si dica) a:ff�rma che e�sso � un effetto della imperativit�, requisito sostanziale dell'atto, e rappresenta l'attuazione di situazioni assolute, la realizzazione di un interesse con l'esercizio di potest� sostanziale, che gli � coordinata. Ora, anche ammesso, per seguire l'esempio dell'Autore, che l'atto di requisizione dia la piena disponibilit� della cosa requisita, resta sempre il fatto che la P . .A.. si impossessa di essa senza la previa verifica giurisdizionale della pretesa e senza un'esecuzione giudiziaria, il che � senza dubbio una deroga ai principi generali. Coerentemente alle premesse, l'.Autore nega che fra autorit� giudiziaria e P . .A.. possa sussist.ere un "conflitto� di attribuzione. Le norme contenute nella legge del 1877 e nel vigente codice di rito attribuirebbero alla Corte di Cassazione il potere di accertare una particolare infondatezza della domanda a causa dei poteri attribuiti alla P.A., la improponibilit� risolvendosi nella carenza assoluta. di diritto nei confronti della P . .A.. La Cassazione, quale giudice del conflitto~ avrebbe la potest�� di pronunziare su una particolare infondatezza della domanda e la competenza giudiziaria andrebbe riferita a tale potest� con la conseguente duplicit� di effetti delle sentenze: ritenendo infondata la questione (di giurisdizione) la Corte negherebbe la propria competenza e riconoscerebbe quella del giudice di merito; accogliendola, invece, deciderebbe competenza e merito, dichiarando infondata la domanda a causa dei poteri della P . .A.. L'Autore, sempre coerente alle premesse, esclude. infine, che la P . .A.. possa denunziare il conflitto di attribuzioni con l'.Autorit� giudiziaria alla Corte Costituzionale. Su questo punto, peraltro, riteniamo che sia sufficiente riportarsi a quanto avemmo occasione di scrivere nella Raccolta di studi, sulla Oorte Costituzionale (vedasi anche LUCIFREDI voce Oonfiitto di Attribuzione, in �Enciclopedia del diritto �, IV, p. 284; contra: Manca e Berruti} voce Oonfiitto, in �Novissimo Digesto italiano�, II, p. 46). RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE -Giudizi incidentali di legittimit� -Leggi provvedimento -Giudizio sulla rilevanza -Possibilit� 0di diversa pronunzia. (Corte costituzionale, sentenza n. 78 del 22 dicembre 1961 - Pres.: Cappi; Rel.: Cassandro), Il giudizio sulla rilevanza della questione incidentale di costituzionalit� spetta esclusivamente al giudice a quo. Tuttavia non � da escludere che nei gradi suc< 1essivi di giudizio una diversa pronunzia sulla rilevanza comporti, come sua conseguenza, l'inefficacia della sentenza della Oorte che sia stata pronunciata in base al precedente giudizio. Questa sentensa rappresenta la pi� autorevole delle conferme della esattezza della tesi sostenuta su questa Rassegna, 1961, ,pagg. 35 segg. n meccanigmo giudiziario per l'introduzione della questione di legittimit� costituzionale .� quello che �: concepito per le leggi-norma, deve di necessit� funzionare anche nell'ipotesi che la controversia costitu: i:ionale sorga a p1�oposito di una legge-provvedimento. D'altra parte, non pu� la Oorte Oostituzionale confiscare i poteri del Giudice del processo c.d. princ,'�pale e decidere, essa, delle quegtioni di diritto soggettivo, la cui soluzione in un senso determinato costituisce la premessa necessaria per la rilevanza -dice la sentenza annotata ~o per la stessa esistenza -oserebbe dire il commentatore -della questione di legittimit� costituzionale. Meno che mai, poi, si pu� pensare che 1tn'ipotesi da lavoro in ordine alla questione di fondo dibattuta nel p1�ocesso principale (com'� quella che si concreta nell'ordinanza di masmissione degli atti), per il puro e semplice fatto di essere stata tenuta a base di una pronuncia di legittimit� costituziori4le, tra.sformi la sua natura in quella di una certezza assiomatica: in altri termini, che un'ordinanza si trovi rivestita del valore che � proprio della sentenza passata in cosa giudicato. E' forza, pertanto, concludere che il carattere ipotetico e provvisorio dell'm�dinanza che ha introdotto il giudizio di legittirnit� co.~tituzionale si riverbm�a nella gentenza che tale giudizio conclude. Se le ulteriori mete che il processo principale verr� a raggiungere dopo la conclusi9ne dell'episodio di legittimit� costituzionale confermeranno l'ipotesi che sta a base dell'Ordinanza di trasmissione, la sentenza della aorte costituzionale spiegher� tutti gli effetti che le sono propri. Se l'ordinanza si rilever� frutto di un apprezzamento erroneo, e comunque inesitto, la sentenza costituzionaler egterit caducata. La Oorte costituzionale, nella pronunzia che qui si esamina, riconduce it fenomeno sopra descritto all'apprezzamento della �rilevanza� della question~ di legittimit� costituzionale. Si vera sunt exposita, la questione di legittimit� costituzionale � rilevante ai fini del decidere, e la pronuncia dell'Alta Sede del sindacato degli atti legislativi � efficace. Diversamente, la sentenza costituzionale rimane priva di efficacia. Orediamo che, per q1w,nto dubbi di carattere astrattamente teorico questa costruzione giuridica possa suscitare, non ci sia altra via per ricondurre la particolarit� in esame nelle linee generali del processo costituzionale, come sono tracciate dalle leggi vigenti. Ohe, poi, sia necessario istituire delle regole ad hoc per il sindacato delle leggi provvedimento, ove si ritenga necessario per il futuro fa1�e ancora ricorso a questo tipo di atti, � altro discorso, in ordine al quale dovrebbe regnare la concordia. F.A. CORTE COSTITUZIONALE -Ricorso per conflitti di attribuzione e impugnazione di leggi in via principale -Cessazione della materia del contendere. (Corte costituzionale, 14 febbraio 1962, n. 3 -Pres.: Cappi; Rel.: Manca). La cessazione della materia del contendere � pronunzia, che attiene all'oggetto della controversia e non al processo, come la rinunzia. La pronunzia sulla competenza presuppone la permanenza del contrasto e, quindi, dell'interesse alla pronunzia stessa, che non sussistono quando sia venuto meno l'oggetto della controversia. L'annullamento em-tunc del provvedimento, che ha dato origine al ricorso, travolge anche l'affermazione di competenza contenuta nelle sue premesse e fa cessare la materia del contendere. Prendiamo atto della decisione, che ha risolto una delicata questione d'ordine processuale e che, perci�, rappresenta un alwo punto fermo nella disciplina del processo costituzionale. L'affm�mazione che la pronunzia di cessata mate1�ia del contendere attiene al merito ed implica l'accertamento della cessazione del conflitto per riconoscimento, sia pure implicitn,. della incompetenza dell'ente, che ha emanato l'atto, sodd-i-sja pienamente l'interesse dell'ente ricorrente. Dato l'interesge, che presenta la questiune, riteniamo opp01�tuno rip01�tare integralmente la motivazione della sentenza. 3 iWfNFRfffRT iWfNFRfffRT -18 1) La difesa dello Stato,. anche nell'attuale conctroversia, dedue che nei giudizi per conflitto di attribuzione non si possa dichiarare cessata la materia del contendere. Vi osterebbero, si assume, le disposizioni dell'art. 27 ultimo comma delle norme integrative e dell'art. 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Per quanto riguarda peraltro l'ultimo comma dell'art. 27 (relativo ai conflitti di attribuzione), con la sentenza di questa Corte n. 74 del 1960, si � gi� rilevato che la rinunzia cui esso si riferisce incide esclusivamente sul processo e, qualora sia accettata, ne produce l'estinzione, mentre la dichiarazione che � cessata la materia del contendere costituisce pronunzia attinente all'oggetto della controversia, e perci� non trova impedimento nella norma citata. N�, d'altra parte, la formulazione letterale di questa, (che riproduce quella dell'art. 25 ultima parte, riguardante i giudizi di legittimit� costituzionale proposti in via principale), in quanto non ammette altra causa di estinzione del processo diversa dalla rinunzia, contrasta con tale interpretazione, come insiste nel rilevare l'Avvocatura dello Stato. La norma infatti deve essere intesa come tem peramento del divieto contenuto nel precedente art. 22, relativo ai giudizi di legittimit� costituzio nale promossi in via incidentale, e che esclude, dato il carattere particolare di tali giudizi, pi� volte posto in lu�e dalla giurisprudenza di questa Corte, che in essi possano applicarsi gli istituti processuali della sospensione, della interruzione, e dell'estinzione, neppure quando, per qualsiasi causa, silli venuto a cessare il giudizio rimasto sospeso davanti all'autorit� giurisdizionale. Temperamento che si spiega e si giustifica con la considerazione che i giudizi di legittimit� costituzionale in via principale e quelli per conflitto di attribuzione, sono promossi soltanto su istanza degli organi costituzionalmente qualificati, ai quali si � coeren temente rin:iessa la valutazione circa l'opportunit�, di fronte a situazioni sopravvenute, di desistere dal giudizio prima dell'emanazione della sentenza. Dal coordinamento delle ricordate norme risulta chiarito il significato, e ne discende la conferma che esse operano esclusivamente nell'ambito del processo. Nelle medesime pertanto non si pu� ricompren dere, come si � gi� ritenuto nella sentenza sopra ricordata, anche la dichiarazione deila cessazione della. materia del dibattito la quale, a differenza della rinunzia al processo, importa, da parte del l'organo giudicante, un'indagine circa il merito della contestazione. 2) Neppure giova alla tesi sostenuta dalla difesa dello Stato, il richiamo all'art. 38 della legge del 1953, n. 87 sopra citato. Questo stabilisce bens� quale debba essere la statuizione della Corte nel caso in cui sia chiamata a risolvere nn conflitto di attribuzione, disponendo che deve dichiarare a quale degli organi costituzionali spetti il potere in contestazione, con il conseguente annullamento, se sia stato emanato, dell'atto viziato da incompetenza. � palese peraltro che questa disposizione presuppone sussistente una situazione di contrasto, che la Corte costituzionale deve dirimere, ma non esige che, ad una siffatta statuizione, si debba, secondo che si assume, addivenire anche quando sia accertato che � venuto meno l'oggetto stesso della controversia, e, in conseguenza, come pure ha rilevato questa-Corte nella sentenza n. 7 4 del 1960, sopra ricordata, anche l'interesse da parte del ricorrente ad ottenere una pronunzia sull'appartenenza del potere, ipotesi questa che si � appunto verificata nella specie. 3) L'Avvocatura dello ::Stato obietta che, sebbene il decreto emesso dal Presidente della Regione il 20 giugno 1961, abbia eliminato l'atto (cio� i1 precedente decreto del Presidente della Regione del 31 maggio 1961) che aveva dato luogo al ricorso, non ha tuttavia espressamente riconosciuto l'incompetenza della Regione siciliana a provvedere in materia di giuoco d'azzardo. Onde, si assume, la permanenza dell'interesse alla risoluzione del conflitto, tuttora in atto, con il riconoscimento dell'esclusiva competenza dello Stato. � peraltro da rilevare che, se anche nella motivazione del decreto del 20 giugno 1961 si accenna soltanto all'opportunit� di porre nel nulla il precedente decreto, nel dispositivo viene precisato che quest'ultimo provvedimento � annullato, con effetto dal giorno della sua emanazione. Con quell'effetto cio� che � proprio dell'annullamento ew tumc e che, nella specie, importa una invalidazione, la quale investe nella totalit� il precedente provvedimento, comprese le premesse del medesimo, contenenti affermazioni circa la competenza della Regione in materia di giuoco d'azzardo, in contrasto con quanto ha gi� ritenuto questa Corte con le sentenze n. 58 del 26 novembre 1959 e n. 23 del 12 maggio 1961. Ne deriva pertanto che, in base al decreto del 20 giugno 1961 (non impugnato dallo Stato), � venuto meno l'oggetto del giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri~ e che perci�, in conformit� della richiesta della difesa della Regione, si deve dichiarare cessata la materia del contendere in relazione al decreto del 31 maggio 1961 ora impugnato, decreto al quale non si � data alcuna esecuzione. 4) Diverso da quello in esame � il caso prospettato dall'Avvocatura dello Stato di un ricorso� relativo ad un atto con efficacia immediata, o limitata nel tempo, e venuta a cessare nel corso del giudizio in questa sede. Poich�, nel caso anzidetto, si tratterebbe non gi� dell'annullamento dell'atto~ oggetto dell'impugnazione, ma di esaurimento degli effetti dell'atto medesimo, di guisa che resterebbe aperto il dibattito circa la spettanza del potere e permarrebbe quindi l'interesse della parte --rieor--rente ad ottenere la decisione di questa Corte, ai sensi dell'art. 38 della legge n. 87 del 1953, con l'eventuale annullamento dell'atto emanato, di cui l'effetto � cessato. -19 CORTE COSTITUZIONALE -Decreti legislativi delegati -Legge di delega -Proroga -Approvazione in Commissione -Illegittimit� costituzionale. (Corte costituzionale, 10 aprile 1962, n. 32 -Pres.: Cappi; Rel.: Ambrosini). La legge, che, dopo la scadenza del termine fissato dalla legge delega, fissa un nuovo termine per l'esercizio, da parte del Governo, della potest� legislativa delegata, deve considerarsi anche essa legge di delegazione e deve, pertanto, essere sottoposta alla procedura normale di esame e di approvazione diretta della CJimera, ai sensi dell'art. 72 della Costituzione. Con questa sentenza, di cui si riporta integralmente la motivazione, 7.a Corte conferma la sua precedente giurisprudenza sul controllo di costituzionalit� del procedimento di formazione delle leggi nei limiti fissati dalle disposizioni della Costituzione e delle altre leggi costituzionali (vedasi sentenza n. 9, del 3 marzo 1959 in questa Rassegna, 1959, p. 11). Le tre cause, trattate congiuntamente all'udienza, possono essere decise, data l'identit� dell'oggetto, con unica sentenza. Comprensiva ed assorbente, di fronte alle questioni di legittimit� costituzionale proposte con l'ordinanza del Tribunale di Belluno e con quella del Tribunale di Roma, � la questione proposta dalla Corte d'appello di Roma, che, a differenza delle precedenti, non riguarda articoli specifici del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina fiscale della lavorazione dei semi oleosi e degli oli da essi ottenuti emanato col decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1954, n. 1217, ma investe tutto il Testo unico con la legge del 29 ottobre 1954, n. 1073, in base alla quale esso Testo unico venne emanato. Sull'eccezione pregiudiziale, sollevata dall'Avvocatura dello Stato, di irrilevanza, ai fini della definizione del processo penale a carico dell'imputato, della questione di legittimit� costituzionale proposta dalla Corte d'appello di Roma, va ricordato ehe � massima costante di questa Corte, confermata da ultimo nella sentenza n. 78 del 22 dicembre 1961, che il giudizio sul1a rilevanza spetta esclusivamente al giudice a quo, e che quindi non compete alla Corte se non controllare che il giudizio sia stato formulato e motivato. Ora, nell'ordinanza in esame, la rilevanza della proposta q.estione di legittimit� costituzionale appare adeguatamente valutata, non solo perch� la Corte d'appello ne ha indicato chiaramente i motivi, ma anche perch� a tale conclusione � arrivata accogliendo, malgrado l'opposizione del Pubblico Ministero, l'istanza del difensore dell'imputato, che, nel sollevare la questione, aveva messo espressamente in rilievo cc che il giudizio non pu� essere. definito indipendentemente dal1a risoluzione della questione di legittimit� costituzionale sollevata �. Priva di fondamento � quindi l'eccezione pregiudiziale del1a .Avvocatura dello Stato. Ugualmente infondata � l'eccezione di inammissibilit� che la .Avvocatura dello Stato ha pro spettato nella difesa orale, adducendo che il Testo unico impugnato deve ritenersi di carattere compilatorio e di perfezionamento tecnico, e che perci� non ha il valore di atto avente forza di legge e conseguentemente non pu� formare oggetto di giudizio di legittimit� costituzionale. Ma � da osservare in contrario che, a parte ogni questione sul valore in genere dei vari tipi di testi unici, non vi ha dubbio che il Testo unico impugnato ha carattere legislativo, sia per la forma, perch� emanato nella forma di decreto legislativo in base alla delega disposta dall'art. 3 della legge 29 ottobre 1954, n. 1073, sia per la sostanza, data l'ampiezza della delega in virt� della quale il Governo fu facultato ad emanare il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina fiscale della lavorazione dei semi oleosi e degli oli da essi ottenuti, �apportando alle disposizioni stesse le modificazioni necessarie per il loro coordinamento e la loro migliore formulazione, nonch� per il perfezionamento tecnico delle misure di vigilanza e di controllo �. Nel merito, dei due motivi addotti dalla Corte d'appel1o di Roma per proporre la questione di legittimit� costituzionale del Testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1954, n. 1217 e della legge del 29 ottobre 1954, n. 1073, in base alla quale tale Testo unico fu emanato, � d'uopo esaminare in precedenza il motivo che investe all'origine la legittimit� di questa legge in riguardo al procedimento della sua formazione. La legge del 1954, n. 1073, che, dopo la scadenza del termine prefissato per l'emanazione del testo unico previsto nell'art. 3 della legge delega del 20 dicembre 1952, n. 2385, fissa un nuovo termine entro il quale il Governo pu� esercitare la potest� delegatagli, deve considerarsi anch'essa avente il carattere di legge delega. Come tale, il relativo disegno di legge doveva essere sottoposto alla procedura prescritta dall'ultimo comma dell'art. 72 della Costituzione, che per taluni disegni di legge di particolare importanza, tra i quali quelli di �delegazione legislativa�, prescrive che deve sempre essere adottata �la procedura normale di esame e di approvazione diretta della Camera �. Orbene, nel caso in esame, questa procedura non fu seguita. Infatti, come risulsa dal Bollettino 8ommario e Bollettino delle Commissioni della Camera dei Deputati del 13 ottobre 1954, n. 203 (pag. I, col. I), il suddetto disegno di legge fu approvato dalla IV Commissione permanente (Finanze e Tesoro) della Camera <<in sede legislativa �, cio� con la procedura abbreviata prevista dal terzo comma dello stesso art. 72; e ci� in contrasto con la norma dell'ultimo comma suindicato. N� varrebbe, al fine di limitare in qualche modo l'applicazione di questa norma, configurare vari tipi di delegazione legislativa, giacch� qualsiasi tipo rientra nella materia della delegazi6il.e, che senza alcuna eccezione � attribuita dall'ultimo�comma dell'art. 72 della Costituzione �all'esame ed all'approvazione diretta della Camera�. La legge del 29 ottobre 1954, n. 1073 � pertanto costituzionalmente illegittima; e conseguentemente -20 illegittiino � il Testo unico del 22 dicembre 1954, Jl. 1217, che fu in base a questa legge emanato. Data la conclusione cui � pervenuta la Oorte, non uccorre prendere in esame l'altro motivo di illegittimit� costituzionale addotto nell'ordinanza della Oorte d'appello di Roma. CORTE COSTITUZIONALE -Controllo della Corte dei conti sugli Enti sovvenzionati dallo Stato -Na� tura -Enti di interesse esclusivamente locale; tale non � l'E.R.A.S. -Contribuzioni in via ordinaria - Cancetto -Presidente della Repubblica -Inter� vento nell'attivit� amministrativa -Legittimit�. (Cor� te costituzionale, 19 aprile 1962, n. 35 -Pres.: Cappi; Rel.: Manca -Presidente della Regione Siciliana c. -Presidente del Consiglio dei ministri). Il controllo, che la Oorte dei Oonti esercita, ai sensi dell'art. 100 Oost. e della legge 21 marzo 1958, n. 259, differisce per struttura e finalit� dal controllo effettuato dai collegi sindacali con la partecipazione di un magistrato della Oorte dei Oonti. L'E.R.A.S., pur svolgendo la sua attivit� in Sicilia epur essendo soggetto a vigilanza e tutela degli organi regionali, non pu� qualificarsi ente d'interesse esclusfvamente locale ed �, pertanto, soggetto al controllo della Oorte dei Oonti. -Le sovvenzioni al patrimonio in capitale, di cui all'art. "121, 21 marzo 1958, n. 259, sono comprese nell'ambito dell'art. 100 della Costituzione (contribuzioni di carattere ordinario), anche se non erogate con le modalit� tipiche indicate nell'art. 2 della detta legge. � priva di fondamento la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 3 legge 21marzo1958, n. 259, perch� non contrasta con gli artt. 87, 92 e 95 Oost. la norma che deferisca alla fuma del Oapo dello Stato provvedimenti attinenti in concreto all'attivit� della pubblica amministrazione. * * * 1) La Oorte non ritiene fondate le argomentazioni addotte dalla Regione, per sostenere, sotto tre aspetti, l'ill�gittimit� costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica in data 31 marzo 1961. Il decreto, come si � in precedenza accennato, ha sottoposto al controllo della Oorte dei Conti l'ente per la riforma agraria in Sicilia (E.R.A.S.), ai sensi dell'art. 12 della legge 21 marzo 1958, n. 259 (gi�.ricordata), in quanto ente pubblico, al cui patrimonio lo Stato ha contribuito con apporto al capitale. Secondo la difesa della Regione le disposizioni di questa legge non sarebbero applicabili nei confronti dell'E.R.A.S. Si tratterebbe infatti di ente regionale che, in base all'art. 1 della legge del 12 maggio 1959, n. 21 (emanata dalla Regione in riferimento all'art. 4 lettera a e p dello Statuto speciale) � sottoposto alla vigilanza dell'Assessore per l'agricoltura e le foreste; � soggetto inoltre, per quanto attiene alla gestione amministrativa e finanziaria, al controllo del collegio sindacale, del quale, ai sensi dell'art. 10 della stessa legge, fa par_,e, come presidente, un magistrato della sezione speciale della Oorte dei Conti: controllo che avrebbe natura analoga a quello preveduto dall'art. 12 della legge statale del 21 marzo 1958, e sarebbe quindi a questo sostituito. Ne deriverebbe un'invasione, da parte del decreto impugnato, nella sfera di competenza riservata agli organi locali. 2) Ad avviso della Corte � anzitutto da escludere l'asserita equivalenza dei controlli rispettivamente preveduti dalle disposizioni delle due leggi sopraindicate. Fra essi infatti sussistono sostanziali differenze nella struttura e nella finalit�, agevolmente desumibili dalla legge statale del 1958 e, in particolare, dall'art. 12, di cui si discute nell'attuale controversia. Differenza per ci� che concerne le modalit� del controllo, poich�, secondo tale articolo, che riguarda gli enti pubblici con apporti statali al patrimonio, in capitale o servizi, ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria, viene esercitato, oltre che con l'invio dei conti consuntivi, dei bilanci di esercizio e del conto dei profitti e. perdite, con le relazioni illustrative (art. 4 della legge del 1958), anche mediante l'assistenza alle sedute degli organi di amministrazione e di revisione, di un magistrato della Corte dei conti designato dal Presidente di questa. Controllo che ha carattere di continuit�, e che, restando al di fuori degli organi dell'ente, contrariamente a quanto sostiene la difesa della Regione, non pu� essere equiparato alla partecipazione al collegio sindacale, preveduta dall'art. 10 della legge regionale del 1959, di un magistrato della Oorte dei Conti, nominato, con gli altri componenti, dall'Assessore per l'agricoltura e le foreste; legato perci� alle deliberazioni della maggioranza del collegio stesso. Differenza che si appalesa anche pi� chiaramente se si ha riguardo alla :finalit� cui � diretto l'intervento della Corte dei Conti nel sistema della legge del 1958, poich� si ricollega all'interesse preminente dello Stato (costituzionalmente rilevante per l'art. 100 della Costituzione), che siano soggette a vigilanza le gestioni relative ai finanziamenti che gravano sul proprio bilancio, sottoponendole in definitiva al giudizio del Parlamento. Al quale (art. 7 della legge del 1958), la Corte dei Conti deve trasmettere tutti i documenti e riferire circa i risul tati del controllo. Questo pertanto non si esaurisce nell'ambito della Regione, come si verifica invece, in base alla legge regionale del 1959, dato che l'ar ticolo 10 dispone che il collegio sindacale ha l'ob bligo di trasmettere trimestralmente una relazione sulla gestione dell'Ente all'Assessore per l'agricol tura e le foreste. Dai suesposti rilievi si desume l'infondatezza della tesi sostenuta dalla Regione nel senso che il predetto art. 10 abbia assorbito e sostituito, agli effetti dell'art. 100 della Costituzione, le dispoPi. zioni della legge statale del 1958. L'incidenza delle quali nei confronti dell'R.R . .A.S., date le ragioni che le hanno determinate e lo scopo cui s�riteri� scono, non interferisce nella potest� normativa ed amministrativa riservata alla Regione, che pu� liberamente esercitarle nell'ambito della compe tenza statutaria. Si deve perci� concludere che il -21 decreto impugnato, emanato in base all'art. 12 della legge del 1958, sotto l'aspetto ora esaminato, non � viziato da illegittimit�. Posto ci� non appare rilevante, ai fini dell'attuale controversia, la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 10 della legge regionale del 1959, in riferimento agli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale; questione sollevata dall' .Avvocatura dello Stato esclusivamente per il caso che si ritenesse fondata la tesi della difesa della Regione circa la portata del predetto articolo. 3) Il decreto in esame peraltro non pu� ritenersi illegittimo neppure per il fatto che esso riguarda un ente pubblico che svolge la sua attivit� nel territorio della Regione, ed � soggetto alla vigilanza ed alla tutela degli organi locali. Il che risulta dalle varie leggi regionali sulla riforma agraria (legge 27dicembre1950, n. 104 e successive modificazioni) e specialmente da quella gi� ricordata del 12 maggio 1959, n. 21, che ha riordinato l'ente nella struttura e nel funzionamento, disciplinando anche i compiti ad esso affidati. .Al riguardo � da tener presente che la legge statale del 21 marzo 1958, pi� volte ricordata, oltre alle regioni, alle provi.ricie, ai comuni, alle istituzioni pubbliche di beneficenza ed agli istituti di credito soggetti alla vigilanza dell'ispettorato, esclude dal controllo (art. 3 secondo comma) gli enti di interesse �esclusivamente locale�. Ma l'E.R..A.S. non pu� evidentemente-ritenersi compreso in questa categoria, se si considerano la vastit� dei compiti ad esso affidati e le finalit� sociali che vi sono inscindibilmente collegate. Oompiti che riguardano la trasformazione agraria e fondiaria, estesa a tutto il territorio della Regione (legge regionale del 27 dicembre 1950, cui si richiama l'art. 2 della citat� legge 12 maggio 1959), le opere pubbliche (stradali, idrauliche e di irrigazione) necessariamente connesse, e altresi l'estensione ai coltivatori diretti dell'assistenza gi� preveduta per gli assegnatari dei terreni, in applicazione della riforma (art. 13 della legge del 1959). Si tratta quindi di un complesso di attivit�, la cui importanza sul piano nazionale � confermata anche dagli ingenti finanziamenti da parte dello Stato conferiti, com'� notorio, in applicazione dell'art. 48 della legge regionale del 1950, che richiama quella statale del 10 aprile 1950, n. 646, sulla istituzione della' Oassa per le opere straordinarie di pnbblico interesse nell'Italia meridionale. In cons,eguenza se l'attivit� dell'E.R..A.S. interessa direttamente la Regione, in quanto si svolge nel suo territorio, si � tuttavia in presenza di un fenomeno, come del resto non disconosce la difesa della Regione, che assume tale rilevanza da trascendere l'ambito regionale e deve essere perci� considerato nel quadro pi� ampio della riforma agraria attuata nel territorio dello Stato. La quale interessa indubbiamente la collettivit� per gli innegabili riflessi sull'economia generale e per l'incidenza sulla funzione s.ociale della propriet�. Tutto ci� da un lato esclude che l'E.R..A.S. possa ritenersi compreso, quanto al controllo, fra le eccezioni prevedute dall'art. 3, e giustifica dall'altro che lo svolgimento dell'attivit� dell'Ente possa essere assoggettato alla vigilanza dello Stato, nei modi e per i fini .ai quali si � accennato, qualora ovviamente si verifichino le altre condizioni richieste dall'art. 100 della Costituzione e�aa1la legg� del 21 marzo 1958 sopra citata. 4) Ed al difetto appunto della condizione fondamentale richiesta dall'art. 100 della Costituzione fa riferimento la difesa della Regione per contestare, sotto un aspetto particolare, la legittimit� del decreto impugnato. In quanto cio� le contribuzioni di 75 milioni erogate in base al decreto legge del 26 febbraio 1940, n. 247, e di 120 milioni in base al decreto legislativo del 23 marzo 1946 n. 234, ripartite rispettivamente in tre esercizi finanziari, delle quali � menzione nella memoria del1'. Avvocatura, non si potrebbero ritenere effettuate -in via ordinaria -come si esige dal ricordato articolo 100 e dalla legge del 1958 che vi ha dato attuazione. Con il decreto impugnato quindi il Governo avrebbe ecceduto i limiti dei poteri conferitigli dalle predette norme, adottando il provvedimento nei confronti di un ente regolato dalla legge regionale, emanata in base alla potest� normativa riservata alla Regione. Ohe, anche sotto questo aspetto, secondo l'orientamento di questa Corte (sentenza n. 82 del 1958 e n. 58 del 1959) sia configurabile un conflitto �i attribuzione non � da dubitare. Siccome peraltro il decreto impugnato si fonda sull'art. 12 della legge del 1958, che prevede, come si � accennato, l'assoggettabilit� al controllo particolare da parte della Corte dei Conti degli enti pubblici con sovvenzioni al capitale, la risoluzione del conflitto implica necessariamente l'indagine se questa forma di partecipazione rientri o meno nell'ambito del precetto costituzionale, che non definisce quali siano le contribuzioni di carattere ordinario, n� dai lavori preparatori si desumono al riguardo apprezzabili elementi. � . La Corte ritiene che al quesito debba darsi risposta affermativa. � vero che, secondo la legge del 1958, art. 2, devono essere considerate contribuzioni ordinarie: (lettera a), quelle assunte da una pubblica amministrazione o da una azienda statale, con carattere di periodicit�, o che da oltre due anni siano iscritte nei bilanci; ed inoltre (lettera b) le imposizioni tributarie consentite in via continuativa agli enti sovvenzionati o ad essi devolute. .A queste indicazioni peraltro non si pu� attribuire importanza decisiva, come deduce la difesa della Regione a sostegno della sua tesi. Occorre infatti ricordare che, nel disegno di legge (che poi divenne la legge del 21 marzo 1958, n. 259) presentato al Senato dal Presidente del Oonsiglio dei ministri, l'art. 2, come risulta dalla relazione, oltre ai casi ora menzionati, comprendeva, fra le contribuzioni ordinarie, (sotto la lettera b) gli apporti al patrimonio degli enti in capitale, servizi o beni. Queste ipotesi, eliminate nel testo approvato dal Senato-, -furono poi dalla Oamera dei Deputati inserite non pi� nell'art. 2, bensi nell'art. 12 del testo definitivo, con specifico riferimento agli enti pubblici, comprendendovi anche la concessione di garanzie finan -22 ziarie e istituendo d'altra parte quella particolare forma di controllo alla quale si � gi� sopra accennato. Il fatto peraltro che queste ipotesi siano comprese in un articolo diverso non autorizza a ritenere necessariamente, come si sostiene, che esse debbano essere considerate come sovvenzioni di carattere straordinario, le quali per se stesse ed in vista delle :finalit� cui sono destinate, sono effettuate una tantum, in via eccezionale, quando si veri:fiehino circostanze eccezionali e del tutto contingenti, ed alla gestione dell� quali lo Stato non ricollega interessi pubblici di tale rilievo da sottoporla a particolare vigilanza. A questo tipo di sovvenzioni non possono equipararsi gli apporti al capitale, ora in discussione. Occorre considerare infatti che essi importano una partecipazione totale, o anche parziale, dello Stato, di solito con somme ingenti, alla formazione del fondo di dotazione, cui � inscindibilmente collegato, lo svolgimento della attivit� dell'ente sovvenzionato, per il conseguimento dei fini istituzionali di interesse generale che gli sono propri. Finalit� che costituiscono la ragione determinante della partecipazione statale, i cui effetti, destinati a perdurare nel tempo, giustificano l'intervento da parte dello Stato, con un controllo continuo, anche di carattere politico, sulla gestione dei fondi stanziati nel proprio bilancio. Non si pu� quindi fondatamente disconoscere che le sovvenzionLal patrimonio in capitale, menzionate nell'art. 12 della legge statale del 1958, anche se non erogate secondo le modalit� tipiche indicate nell'art. 2 della detta legge, tuttavia, data la loro portata sostanziale cui si � accennato, la incidenza e le ripercussioni nella vita stessa dell'ente, non possono non ritenersi comprese nell'ambito dell'art. 100 della Costituzione, in relazione agli interessi costituzionalmente rilevanti che la disposizione ha inteso tutelare. Non ha poi rilievo l'obiezione della difesa regionale che comunque le sovvenzioni prevedute dal decreto legge del 1940 e dal decreto legislativo del 1946, sarebbero state erogate prima della istituzione della Regione e a favore dell'ente di colonizzazione del latifondo siciliano. Sul primo punto � infatti da osservare che, ai fini dell'assoggettamento al controllo della Corte dei Conti preveduto dalla legge del 1958, occorre fare riferimento all'origine della contribuzione :finanziaria, in quanto cio� risulti, come nella specie, costituita con fondi stanziati nel bilancio dello Stato: origine cl;J.e, per se stessa e, in mancanza di disposizione in contrario, non viene meno anche se l'ente menzionato sia poi passato sotto la vigilanza e il controllo della Regione. Quanto al secondo punto � da tenere presente che, in base all'art. 2 della legge regionale del 27 dicembre 1950, n. 104, la riforma agraria � stata affidata all'ente di colonizzazione anzidetto che ha assunto, come espressamente risulta dalla norma, la denominazione di Ente per la riforma agraria in Sicilia, al cui riordinamento si doveva procedere con ulteriori provvedimenti regionali. Nulla risulta che sia stato modificato per� quanto agli apporti al capitale, ai quali anche faceva riferimento l'articolo 8 del decreto legislativo del Presidente della Regione 15 giugno 1949, n. 15 relativo all'ordinamento dell'Ente con riferimento al decreto legge del 26 febbraio 1940, Ii. 247. 5) � pure infondato il terzo aspetto con cui � prospettata dalla Regione la illegittimit� del decreto impugnato . .A parte il fatto che nessuna invasione della competenza regionale pu� ovviamente ravvisarsi nell'intervento del Ministro per il tesoro, sul quale punto non insiste neppure la difesa della Regione, nessuna interferenza nella competenza stessa � riscontrabile, ad avviso della Corte, in relazione all'intervento del Ministro per l'agricoltura. � vero che, in base al decreto legislativo del 7 maggio 1948, n. 789, le attribuzioni del Ministero della agricoltura, nel territorio della Sicilia, sono esercitate dall'amministrazione regionale. Ma � da obiettare che, nel caso in esame, come si � in precedenza chiarito, il decreto impugnato ha per oggetto una materia che trascende l'ambito L'ella competenza riservata alla R.egione, in quanto si riferisce alla possibilit� di assoggettare al controllo speciale della Corte dei Oonti, e in definitiva al Parlamento, la gestione di un ente nella quale � direttamente interessato lo Stato, in dipendenza della partecipazione :finanziaria alla formazione del capitale. L'intervento quindi del Ministro per l'agricoltura nell'emanazione del decreto impugnato, rientra nel quadro dell'interesse generale da valutarsi sul piano nazionale e non viola pertanto le anzidette norme di attuazione. 6) La Corte ritiene infine priva di fondamento la questione di legittimit� costituzionale dedotta in subordine dalla ricorrente, in relazione, come si � accennato, all'art. 3, primo comma della ricordata legge del 21 marzo 1958, n. 259 e in riferimento agli artt. 86, 87, 88, 89, 90 e 91 della Costituzione, in quanto il predetto art. 3 richiede l'emanazione di un decreto del Presidente della Repubblica per assoggettare gli enti al particolare controllo preveduto dalla legge del 1958. � vero infatti che, ai sensi dell'art. 92 della Costituzione, concernente la composizione del Governo, e dell'art. 95, che precisa le funzioni del Presidente del Consiglio dei ministri, relativamente all'attivit� governativa e di amministrazione, non pu� ritenersi riconosciuto al Capo dello Stato quel complesso di poteri gi� spettanti, secondo la precedente legislazione statutaria. Onde si ritiene generalmente che, alla stregua delle accennate disposizioni, il Presidente della Repubblica, non pu� essere considerato come organo di Governo, n� come organo della pubblica amministrazione, anche se l'art. 87 della Oostituzione gli deferisce particolari attribuzioni riferentisi all'una e all'altra funzione. � da tenere presente tutta:via che, per quanto attiene alla funzione amministrativa--; se� -condo una prassi seguita sin dall'entrata in vigore della Costituzione, molte leggi deferiscono alla firma del Capo dello Stato, non soltanto i regolamenti, cio� gli atti di normazione generale ammi -- - 23 nistrativa, dei quali � espressa menzione nell'articolo 87, ma anche provvedimenti attinenti in concreto alla attivit� della pubblica amministrazione. Ci� nei casi di maggior rilievo, nei quali l'intervento del Capo dello Stato appare giustificato, e dato che non � richiesto come partecipazione determinante all'emanazione dell'atto. Ne deriva che la disposizione impugnata, contenuta in una legge che concerne una categoria limitata di provvedimenti, indubbiamente con riflessi di carattere politico, in quanto riguardano anche l'attivit� di controllo deferita al Parlamento, non pu� ritenersi in contrasto con gli articoli della Costituzione sopra citati, ai quali occorre riferirsi, poich� gli altri articoli ricordati dalla difesa della ricorrente non hanno alcuna attinenza col caso in esame. * * * Le questioni decise dalla surriportata sentenza sono di eccezionale interesse, che trascende it caso di specie, per cui riteniamo opportuno riportare integralmente, oltre che la motivazione della sentenza, la memoria dell'Avvocatura, segnalando non solo l'ampia definizione di contribuzione in via ordinaria, quanto la soluzione data dalla Oo'fte alla questione della partecipazione del Presidente della Repubblica all'attivit� amministrativa fuori delle ipotesi espressamente p1 eviste dall'art. 87. In proposito la Oorte non ha aderito alla tesi sostenuta dall'Avvocatura, ma, decidendo limitatamente al caso di specie, ha escluso l'illegittimit� costituzionale della norma ponendo in rilievo, fra l'altro, che si trattava di partecipazione non determinante. 1) L'art. 100 della Costituzione dispone, fra l'altro, che la Corte dei Conti partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti, a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, e riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro ese guito. La norma non � del tutto nuova nel nostro ordi namento giuridico. Infatti gi� l'art. 15 della legge 19 gennaio 1939, n. 129 istitutiva della Camera dei fasci e delle corporazioni, disponeva che i progetti di bilancio e i rendiconti consuntivi degli enti amministrativi di qualsiasi natura, d'importanza nazionale, sovvenuti direttamente o indirettamente dal bilancio dello Stato fossero discussi e votati dal Parl�i,mento in Assemblea plenaria. In attuazione del citato art. 15, com'� noto, il r.d. 8 aprile 1939, n. 720, modificato all'art. 2 con il regio decreto 30 marzo 1942, n. 442, cosi regolava le modalit� per l'accertamento delle suddette condizioni e per l'espletamento del controllo: il Ministro delle Finanze accertava le condizioni per l'applicabilit� dell'art. 15 e trasmetteva l'elen- 00 degli. enti alla Presidenza del Consiglio, che lo -0omunicava ai Presidenti delle Assemblee legislative; gli enti trasmettevano al Ministro per le finanze conti consuntivi e bilanci, che venivano poi rimessi alla Corte dei Conti; lo stesso Ministro per le finanze, infine, presentava al Parlamento i conti consuntivi ed i bilanci insieme con la deliberazione e relazione della Corte d�i Conti. Gli enti pubblici, d'importanza nazionale, sovvenuti � direttamente o indirettamente dal bilancio dello Stato, erano, dunqu�, � gi� nel �precedente ordinamento sottoposti al controllo della Corte dei Conti e del Parlamento. L'art. 100 della Costituzione ha, quindi, attribuito efficacia costituzionale a questo principio, che, d'altronde, risponde ad innegabili esigenze politico-finanziarie. Quando lo Stato contribuisce in via ordinaria, con contributi periodici o apporti in capitale, alla vita di un Ente, la gestione finanziaria di questo interessa il bilancio dello Stato ~d �, quindi, logico che sia sottoposta al controllo del Parlamento alla pari del bilancio statale. � d'altra parte, innegabile l'esigenza politica che il Parlamento sappia se le somme erogate dallo Stato abbiano raggiunto il fine, che con l'erogazione ci si proponeva. La legge 21 marzo 1958, n. 259 ha dato attuazione alla norma costituzionale, definendo, all'art. 1, il concetto di <<ente cui lo Stato contribuisce in via ordinaria �, disponendo, all'art. 3, che tale natura deve essere dichiarata con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio di concerto con il Ministro del Tesoro e con il Ministro competente, dettando, infine, agli artt. 5, 6, 7 e 12 le modalit� del controllo per gli enti, che ricevono contributi periodici o che sono autorizzati ad imporre i tributi, e per quelli, cui lo Stato partecipa con apporto al patrimonio in capitale, servizi, beni o concessioni di garanzia finanziaria (sulla natura del controllo della Corte dei Conti sugli enti sovvenzionati vedasi, fra gli altri, FRANCHINI: N at;ura e limiti del controllo del Parlamento e della Oorte dei conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato; MoLTENI, in �Rass. dir. pubbl. �, 1957, 86; PAONE, in (( Riv. Trim. dir. pubbl. �, 1960, 142). 2) Nelle deduzioni accennammo ad una questione di particolare rilievo, la risoluzione della quale, per�, non incide direttamente sul presente ricorso. L'art. 100 della Costituzione, a nostro avviso, riguarda non solo gli enti sovvenzionati dallo Stato; ma anche quelli, cui la Regione siciliana contribui sce in via ordinaria, come pu� argomentarsi dagli artt. 23 S.S. Sic e 2 decreto legge 6 maggio '48, n. 655 (per la Sardegna ed il Trentino-Alto Adige, la cui posizione, peraltro � diversa dalla Sicilia vendansi rispettivamente gli artt. 22 e 26 decreto presidenziale 19 maggio 1949, n. 250 e gli artt. 74 e 81 decreto presidenziale 30 giugno 1951, numero 574). La pienezza di attrib�zioni, che la Corte dei conti esercita sugli atti della Regione siciliana, ed i poteri, che, nel caso di rifiuto di registrazione, la legge attribuisce agli Assessori ed al Governo regionale, infatti, inducono a ritenere che anehe per gli enti sovvenzionati dalla Regione siciliana debba attuarsi il controllo della Corte dei Conti, ai sensi dell'art. 100 Oost. Naturalmente, in relazione a quanto � disposto dall'art. 6 decreto legislativo 6 maggio 1948, nu PfWi I PfWi I -24 mero 655, la Oorte dei Oonti comunicher� l'esito del Oontrollo all'Assemblea regionale invece che al Parlamento. La quessione, come si diceva, non interessa, per�, il presente ricorso; la legge 21 marzo 1958, n. 259, infatti, ha inteso regolare solo il controllo della Oorte dei conti (e del Parlamento) sugli enti sovvenzionati dallo Stato ed il decreto presidenziale 30 marzo 1961, che ha dato origine al ricorso ha incluso l'Ente per la riforma agraria in Sicilia (E.R.A.S.) in quest'ultima categoria. D'altra parte la Regione non pone n� potrebbe porre in dubbio che l'E.R.A.S. debba qualificarsi ente sovvenzionato dallo Stato. Basterebbe in proposito ricordare che lo Stato ha partecipato al capitale dell'Ente con un apporto di 75 milioni nel 1940, elevato, con il d.1.1. 23 marzo 1946, n. 234 a 120 milioni. Questa circostanza e l'importanza nazionale della riforma agraria, anche in Sicilia, come, peraltro, si argomenta dall'art. 14 p.p. S.S. Sic., sono state tenute sempre presenti dalla Regione, la quale, nel disciplinare recentemente l'ordinamento dell'ente ed il controllo -amministrativo,. ordinario sui suoi atti ha inserito nel collegio sindacale due rappresentanti dell'amministrazione statale, uno per il Ministero del Tesoro e l'altro per quello dell'agricoltura e delle foreste. 3) Questa premessa, peraltro, non contestata ci consente di confutare brevemente le argomentazioni della ricorrente Regione, la quale lamenta l'invasione della sfera di sua competenza, quale risulta dall'art. 14, lettera a), e) e p) S.S. Sic. Queste disposizioni statutarie, in relazione al successivo art. 20, infatti, attribuiscono alla Regione siciliana competenza, legislativa ed amministrativa, in materia di agricoltura e foreste, di produzione agricola e di ordinamento degli enti regionali; ma nulla hanno a che vedere con le funzioni di controllo della Corte dei conti e, tanto meno, sul controllo dei fondi erogati dallo Stato. A prescindere dalla considerazione che l'E.R.A.S., per quanto attiene alla riforma agraria, non pu� considerarsi ente regionale (perch� la sua attivit� non si esaurisce in Sicilia e, soprattutto, non si esaurisce nel campo dell'agricoltura, essendo evidenti ed innegabili gli scopi politici e sociali della riforma agraria in Italia) il controllo della Corte dei conti e del Parlamento sui suoi atti non rientra nella materia dell'agricoltura n� in quella dell'ordinamento dell'ente. Questo ha riguardo alla struttura dell'ente, alla suaorganizzazione, alle sue funzioni ed al suo inquadramento nella P.A. (controlli ordinari); non alla funzione della Corte dei Conti e, tanto meno, ai poteri di controllo spettanti al Parlamento dello Stato, che ha partecipato al suo capitale. � di tutta evidenza che quest'ultima � materia riservata alla esclusiva competenza dello Stato, di cui la Oorte dei Conti � organo. D'altra parte, il controllo della Corte dei Conti e del Parlamento � di natura pi� politica, che amministrativa. Come, infatti, ritiene la preva. 1.ente dottrina, la Corte svolge attivit� prevalente mente informativa e di documentazione al Parlamento; la negata approvazione di un bilancio non ha effetti giuridici, non arresta, cio�, la vita dello ente, n� influisce direttamente . sulla legittimit� del suo operato. Essa ha effetti prevalentemente etico -politici e pone in grado il Parlamento di adottare i provvedimenti, che ritenga opportuni per garantire, con il denaro dello Stato, il raggiungimento dei fini, in vista dei quali, appunto, la erogazione fu disposta. Per le stesse ragioni non pu� parlarsi di cc assorbimento, sostituzione o abrogazione� per la Sicilia della legge 21 marzo 1958, n. 259 a seguito della emanazione della legge regionale 12 maggio 1959, n. 21. Questa riguarda l'ordinamento dell'ente; quella il controllo della Corte dei Oonti e del Parlamento sulla sua gestione finanziaria, ai sensi dell'articolo 100 Cost. Se poi volesse ritenersi che l'art. 10 della citata legge regionale, disponendo che un magistrato della Corte dei Conti presiede il Collegio sindacale dell'Ente, abbia inteso attuare l'art. 100 Oost. e sostituire, nei riguardi dell'E.R.A.S., le norme contenute nella legge 21 marzo 1958, n. 259, non potrebbe dubitarsi della sua illegittimit� costituzionale, avendo esorbitato dai limiti della competenza della Regione, la quale, come, peraltro, la Corte ha gi� avuto occasione di affermare, non pu� svolgere alcuna attivit�, n� legislativa n� amministrativa, in merito alle funzioni della Oorte dei conti. Quantenus opus, quindi, solleviamo, in via naturalmente subordinata, la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 10 legge reg. sic. 12 maggio 1959, n. 21 per violazione degli artt. 14 e 17 S.S. Sic. nonch� dell'art. 100 Cost. 5) N� maggior fondamento hanno le censure dedotte sub. II, 1) e 2). Il decreto presidenziale di designazione degli enti sottoposti al controllo della Oorte dei Conti e del Parlamento attiene a materia di esclusiva competenza statale, anche se l'ente svolga la sua attivit� o abbia la sua sede in Sicilia. Esso, comunque, non pote-va essere emanato che su proposta del ministro del tesoro e del ministro competente per materia, nell'ordinamento statale, naturalmente, non regionale. D'altra parte, dalla Amministrazione regionale sono esercitate le attribuzioni del Ministro dell'agricoltura e delle foreste nel territorio della Regione e l'emanazione di un decreto presidenziale, con cui s'identificano gli enti, ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria, non � attivit� che si svolga nel territorio della Regione. La competenza del Ministro per il tesoro �, poi, innegabile ove si ponga mente at fatto che trattasi di controllo sulla gestione di enti sovvenzionati dallo Stato e diretto, appunto, ad accertare l'impiego delle erogazioni fatte dal predetto Ministero del Tesoro. La diversit� fra l'art. 12 legge 21 marzo 1958, n. 259 e l'art. 10 legge reg. sic. 12 maggio 1959, n. 21, �, poi, evidente. Il primo dispone che un magistrato della Corte assista alle sedute degli organi di amministrazione e di controllo dell'ente, -25 �ts�nza faro parte; il secondo chiama il� magistrato tlella Oorte a presiedere il Oollegio siridacale. Nel l>riino caso, e ci� ha maggior rilievo, i risultati del -controllo-sono riferiti, tramite il Presidente della (lorte, al Parlamento; nel secondo, invece, si �sau- Tiscono nell'ambito dell'ente. � L'identit� .sostanziale delle norme, comunque, mai escluderebbe l'incompetenza della Regione e, quindi, la illegittimit� costituzionale della disposizione di legge regionale. " 6) In ordine alla questione di legittimit� clilstituzionale dell'art. 3 legge 21 marzo 1958, n. 259, t!olleva,ta in via incidentale dalla Regione, non possiamo che ripetere quanto avemmo occasione �di scrivere nelle deduzioni dell'll settembre 1961, non mancando, per�, di rilevare come la Oorte si :aia gi� occupata, sia pure in via incidentale, della -questione a; proposito del potere generale di annullamento. Anzi, nelle varie sentenze sull'argomento "(24 d�l 1957, 23 e 58 del 1959, 73 del 1960) la O�rte pose in rilievo, per negare che si fosse verificato il trasferimento dell'attribuzione dallo Stato alla Regione, proprio l'intervento del Oapo dello Stato, -0he non � previsto espressamente dall'art. 87 Oost. La questione -si � gi� detto -� del tutto irriievante potendo e dovendo il sollevato conflitto di :attribuzione essere risolto alla stregua degli arti- coli 100 Oost., 14 e 17 S.S. Sic., ed � manifestamente infondata. Nessuna norma costituzionale, peraltro, vieta che la legge ordinaria attribuisca al Presidente della Repubblica il potere di intervenire, nella esplica: zione dell'attivit� amministrativa, in ipotesi diverse -da quelle indicate nell'art. 87 Oost. e ci� a pre; acindere dalla considerazione che l'art. 3 legge :21 marzo 1958, n. 259 riguarda l'esercizio di atti- vit� regolamentare, di esecuzione. Su questo punto la dottrina � concorde, pur .considerando diversamente i poteri del Oapo dello Stato. Il SANDULLI (Il Presidente della Repubblica e la .funzione Amministrativa in cc Riv. .A.mm.�, 1950, I, 149 e in part. 162), dopo aver constatato che il Presidente partecipa sia pure in modo non uniforme e spesso in ruolo di per s� non efficiente, :all'azione di tutti i Poteri dello Stato e avere escluso �che il Presidente possa essere considerato Oapo .del Potere esecutivo, espressamente afferma: � Oi� non toglie tuttavia che la competenza del Presi- dente in ordine alla funzione amministrativa � �Certament� pi� estesa di quella prevista dall'arti �colo �37 Oost. A tale norma, infatti, non va sotto . questo profilo, riconosciuto altro valore se non .quello di aver coperto di garanzia costituzionale .alcune delle competenze presidenziali. �Nulla vieta che la legislazione ordinaria preveda .altri casi di partecipazione del Presidente alla funzione amministrativa, n� una legge di tal genere potrebbe configurarsi in contrasto con l'art. 95 <()ost. �. Negli stessi sensi si esprime il MARCHI, (Il Capo �dello Stato, in <e Oomm. Oost. it. �, Firenze 1950), il quale, pur dando atto che il Presidente non � riconosciuto come Oapo-�del Potere esecuti'vo1-_pe;i:o quanto sia innegabilmente posto al vertice di esso, le� cui pi� importanti competenze si esplicano� me diante il suo intervento cos� da lasciare davverp il dubbio se l'organo �governo it non comprenda in. s� an�he il Capo dello Stato (artt. 71, 76 e. 78) �, afferma che�� A lui compete l'esercizio, col con.~ corso �dei Ministri o del Ministro responsabile, di tutte quelle pi� importanti funzioni, che dalle diverse leggi sono affidate con termine generico al Governo�. Non avrebbe senso, altrimenti, l'art. 89 Oost. che parla di responsabilit� dei Ministri proponenti e che contrappone gli atti che hanno valore legisla tivo a quelli di altra natura e per i quali la legge ordinaria pu� prescrivere la contr�firma del Presi� dente del Oonsiglio. Il SICA (La controfirma, Napoli, 1953, p. 183), a sua volta, ritiene che non solo sussiste una relazione tra Presidente della Repubblica e Pubblica Amministrazione, ma �crede di potere affermare che il Presidente della Repubblica, come Capo dello Stato � Oapo della Pubblica Amministrazione. Si noti, altrimenti la definizione del Oapo dello Stato non �vrebbe alcun valore�. Perci� l'A. ritiene corretto il riferimento al Oapo dello Stato di alcuni poteri attribuiti al Re nel precedente Ordinamento, quali lo scioglimento dei Oonsigli Oomunali, la rimozione dei sindaci, la potest� di annullamento degli atti illegittimi, ecc. Pienamente legittimo, quindi, � l'art. 12 legge 21 marzo 1958, n. 259, il quale dispone che con decreto presidenziale sia data attuazione alla legge, accertandosi, con effetto costitutivo, la natura di ente interessante la finanza statale. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione -Competenza in materia di tutela del paesaggio Limiti strade militari. (Corte costituzionale, 19 aprile 1962, n. 37 -Pres.: e Rel.: Ambrosini: -Regione Trentino Alto Adige c. Presidente del Consiglio). La competenza della Provincia in materia di tutela del paesaggio deve essere esercitata nei limiti dell'art. 4 S.S.T.A . .A., fra i qu.ali l'unit� e l'indivisibilit� della Repubblica e la prevalenza dell'interesse della difesa nazionale su quella alla tutela del paesaggio. Le strade che l'autorit� militare costruisce a scopo militare e qualifica militari rientrano ;fra le �opere destinate alla difesa nazionale )). Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza. Sostiene la Regione che, spettando in vfyt~ dello art. 11 n. 7 dello Statuto speciale del Trentino.,_ Alto Adige alla Provincia di Bolzano la potest� di emanare norme legislative in materia di tutela del paesaggio, e che avendo la Provincia legiferato in materia con la legge del 24 luglio 1957, n. 8, -26 l'autorit� militare non avrebbe potuto procedere alla costruzione della strada in questione sull'Alpe di Siusi senza �il concerto � con la Giunta provin. ciale richiesto dall'art. 17 della citata legge provinciale che dispone: �I provvedimenti relativi ad opere pubbliche e ad opere dichiarate di pubblica utilit�, dello Stato e della Regione, saranno adottati di concerto con le Amministrazioni inte ressate)). L'assunto della Regione � infondato. L'art. 11 n. 7 dello Statuto attribuisce bcnsi alla Provincia di Bolzano, come a quella di Trento, la potesj;� di emanare norme legislative in materia di tutela del paesaggio; senonch� tale potest� non � illimitata, essendo sottoposta ai limiti prescritti in generale dal disposto del precedente art. 4, per il quale la legislazione regionale ed anche, in virt� del richiamo fattone dall'art. 11, quella pro vinciale devono essere �in armonia con la Costi tuzione ed ' i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato �. Orbene tra tali limiti � qui da ricordare quello discendente dal sistema dell'unit� e indivisibilit�. della Repubblica affermato dall'art. 5 della Costi tuzione,. e dalla necessit� fondamentale e suprema attinente all'esistenza e difesa. dello Stato, che sta a base della solenne proclamazione dell'art. 52: �La difesa della Patria � sacro dovere del citta dino�. � evidente che l'intesesse alla tutela del pae saggio deve essere subordinato all'esigenza ben maggiore della difesa nazionale. Si tratta di una esigenza primordiale che lo� stesso Consiglio della Provincia di Bolzano � esplicitamente ha riconosciuto disponendo nell'ultimocomma dell'art. 11 della legge provinciale del 24luglio 1957, n. 8: �Le .disposizioni. del presente� articolo non si applicano alle aree dei comuni disciplinate da un piano regolatore approvate con leggeprovinciale, n� alle opere destinate alla difesa. nazionale �. La Regione per� sostiene che questa norma non. � applicabile al caso in esame, perch� le strade militari in generale, anche se considerate come facenti parte del demanio militare, non costituiscono opere destinate alla difesa nazionale, salvoquelle che a tale scopo sono destinate direttamenteed immediatamente, come nel caso che conducanoad opere fortificate. Ma � da osservare in contrario che le strade che l'autorit� militare competente costruisce, con potere di sua natura discrezionale, a scopo militare� e che qualifica militari, debbono considerarsi rientranti nella categoria delle �opere destinate alla. difesa . nazionale �, per le quali l'ultimo comma dell'art. 11 della succitata legge provinciale esclude� l'applicazione delle norme dei precedenti comma. Per ci� stesso � da escludere che possa trovare applicazione il disposto dell'art. 17 della legge provinciale n. 8 del 1957, che la Regione invoca per sostenere che per la costruzione della strada. militare sull'Alpe di Siusi l'auto!'it� militare doveva procedere � di concerto � con la Giunta provinciale di Bolzano. CORTE DI CASSAZIONE CITTADINANZA -Cittadini italiani libici residenti in Italia -Mancato acquisto della cittadinanza libica -Rimangono cittadini italiani -Art. 3 della Costituzione -Abrogazione delle limitazioni al loro status. (Corte di cassazione, Sentenza, n. 191/61, Sezione I P1 �es.: Celentano; Est.: Bianchi D'Espinosa; P.M'.: Tavolaro (diff.) -Ministero Inberni c. Rascid Kernali). � principio generale nel nostro ordinamento giuridico che un cittadino italiano non possa essere privato dello status civitatis ed essere ridotto alla condizione di apolide senza una espressa disposizione di legge; pertanto, in mancanza di una tale norma, deve ritenersi che i cittadini italiani libici, i quali dovevano considerarsi veri e propri cittadini italiani, sia pure con particolari limitazioni dei diritti politici, ove non siano divenuti cittadini libici al momento della costituzione del Regno unito di Libia (7 ottobre 1951) in virt� della legge di questo Stato pubblicata il 25 aprile 1954, per essere residenti in Italia, sono rimasti cittadini italiani e, per effetto dell'avvenuta abrogazione, "'�=~===::w.=m~=-==-~=>!Om:=:tm~.=""""'"""":O?.""=""~""~""==""'"==�===-~=-,==w.:w.:z:w===~~~..w~============ ad opera dell'art. 3 della Costituzione, di tutte le limitazioni inerenti alla qualifica di libici, sonodivenuti cittadini optimo iure. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: La questione, sottoposta per la prima volta all<> esame di questa Corte suprema, consiste nell<> stabilire quale sia, a seguito della legge che ha date> esecuzione al trattato di pace, lo 8tatus civitatisdi quei �cittadini italiani libici � che per avere il loro domicilio nel territorio nazionale e non in Libia all'epoca della costituzione del Regno� Unito di IJibia (7 ottobre 1951) non hanno acquistato ai sensi delle leggi emanate in detto Regno. la cittadinanza libica. ' Non essendovi alcuna norma legislativa che espr~s~amente regoli la situazione di . detti soggetti, m astratto potrebbero prospettarsi tre-solu-zioni: che essi debbano considerarsi apolidi (tes� sostenuta dall'Amministrazione ricorrente)� o cittadini italiani optimo iure; ovvero tuttora' cc citta -27 clini italiani libic.i � (tesi queste ultime due, sostenute subordinatamente l'una all'altra dal resistente Rascid Kemali). La decisione della corte di .Appello di Napoli, che ha ritenuto il Kemali cittadino italiano, � in effetti esatta, e la sentenza impugnata deve essere quindi tenuta ferma, anche se con qualche integra;zione e chiarimento nella motivazione. La Oorte di merito, infatti, ha ritenuto che la soluzione del problema consistesse nell'interpretare l'art. 19 del tratt�to di pace sottoscritto il 10 gennaio 1947 (reso esecutivo in Italia con decreto legge 28 novembre 194 7, n. 1430) che disciplina appunto la nazionalit� e il cambio di cittadinanza dei cittadini italiani a seguito dei mutamenti territoriali imposti dal trattato e che stabilisce che i cittadini domiciliati il 10 giugno 1940 nei territori ceduti dall'Italia, nonch� i loro figli nati dopo la detta data, diventeranno cittadini dello Stato cessionario, con il conseguente obbligo di detto Stato di emanare apposite leggi al fine di regolare la situazione dei soggetti interessati (n. I) e con l'ulteriore obbligo di consentire che i cittadini italiani che si trovino in dette condizioni, e la cui lingua usuale � l'italiano, possano optare entro un anno per la cittadinanza italiana (n. 2). La Oorte ba ritenuto applicabile la norma in questione anche ai cittadini italiani libici ed anche con riferimento alle colonie alle quali l'Italia dichiar� di rinun.7iare (art. 23 del Trattato di pace). A questo secondo pu:nto ha riferimento il primo motivo del ricorso dell'Amministrazione dell'Interno: con il quale si afferma che le disposizioni dell'art. 19 sono applicabili solo ai territori ceduti <e dall'Italia ad un altro Stato � non alle colonie, alle quali l'Italia ebbe a rinunziare ma la cui sorte rimase per il momento incerta, e che non furono con il trattato cedute ad altro Stato (n� poteva, per la Libia parlarsi di cessione, non essendo ancora esistente nel 1947 il Regno Unito di Libia, creato solo nel 1951). Questa Oorte suprema gi� altre volte (sentenze 26 agosto 1950, n. 2543, e proprio per la. Libia; 17 febbraio 1951, n. 399) ha avuto occasione di riconoscere che a differenza che per i territori ceduti a.Ila Francia, alla Repubblica Federale Popolare di Iugoslavia, ed alla Grecia (art. 6, 11 e 14 del trattato), l'Italia dichiar� soltanto per le colonie in Africa di rinunciare << a ogni diritto e titolo ii rimanendo nel trattato incerta la sorte definitiva di quei territori (art. 23) e che perci�, per le dette colonie non pu� parlarsi di una vera e propria cessione ad un soggetto determinato, ma solo di una rinunzia unilaterale (derelictio), salva l'attribuzione alle Quattro potenze associate, e poi alla .Assemblea dell'O.N.U. del potere di determinare successivamente il soggetto cui sarebbe spettata in definitiva la sovranit� nei diversi territori in questione. Pu� quindi ammettersi che nel disciplinare la nazionalit� dei cittadini residenti nei territori �ceduti ii le Alte parti contraenti (e, di conseguenza, il legislatore italiano con la legge che rese esecutivo il Trattato) abbiano inteso regola.re soltanto i rapporti relativi ai territori direttamente ceduti ad altri Stati, e di cui agli artt. 6, 11 e 14, nell'evidente presupposto che la sorte degli abitanti delle ex colonie africane sarebbe stata regolata in seguito, sia a mezzo di accordi diretti~ sia con emanazione di leggi interne, _da J;>!l,rte del� l'Italia e degli Stati cui in definitiva sarebbe stata attribuita la sovranit� su quelle ex colonie. In realt�, costituito il Regno Unito di Libia, l'Italia concluse un accordo con il nuovo Stato (stipulata in Roma il 2 ottobre 1956 e reso esecutivo in Italia con la legge 17 agosto 1957, n. 843) in cui fra l'altro si regolarono alcune questioni di natura economica e :finanziaria sorte da quella che fu definita << successione di sovranit� fra i due Stati i> nel territorio libico (art. 9), ma non quelle relative alla cittadinanza dei libici. Per queste invece, una legge dello Stato libico (pubblicata il 25 aprile 1954) stabili che venisse considerato cittadino libico chiunque fosse nato in I1ibia, e fosse residente in Libia alla data del 7 ottobre 1951, ma nessuna disposizione interna della R~pubblica italiana ha regolata la sorte di quei �cittadini italiani libici ii che per essere (come il Kemali) residenti in Italia, non furono compresi fra coloro che avevano acquistato la cittadinanza del nuovo Regno Unito di Libia. -In difetto di una precisa disposizione al riguardo, quindi, la questione deve essere risolta in base all'analogia ed ai principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato (art. 12 preleggi); onde, essendo evidente l'analogia di situazione fra territori �ceduti ii e territori per cui era avvenuta rinunzia, perfettamente legittima � l'applicazione ai secondi, in tutto ci� che non � regolato da apposita norma, delle disposizioni contenute nel trattato di pace (decreto legge 28 novembre 1947, n.1430) relative ai territori �ceduti�. Tale procedimento interpretativo del resto, fu altra volta ammesso da questa Corte suprema: la quale (con la sentenza 12 settembre 1952, n. 2900) applic� sia pure in materia diversa (societ�) una disposizione del Trattato di pace (art. 12 dell'allegato XIV) riguardante espressamente le societ� aventi la sede sociale nel terri� torio � ceduto ii ad una societ� avente la sede sociale in Libia, territorio per il -quale era avvenuta l'unilaterale �rinunzia i~ di cui all'art. 23 del Trattato. Del resto l'applicazione dell'art. 19 nella presente controversia non veniva neanche direttamente in questione1dal momento che detto articolo regolava la sorte solo dei cittadini italiani domiciliati nei territori ceduti; e non potendo neanche quindi parlarsi (come in un punto della motivazione fa la sentenza impugnata) di diritto di opzione a favore della. cittadinanza italiana nei confronti del Kemali che per risiedere in Italia, non si trovava nelle condizioni di cui al ripetuto art. 19. In realt�, come esattamente nota in altro punto la stessa sentenza, per i �cittadini italiani libici ii cos� come per tutti gli altri cittadini (ammesso che i primi potessero considerarsi cittadini e non sudditi italiani, del che si dira in appresso), la questfo:rie no:q_ si poneva neppure se essi fossero domiciliati nel territorio metropolitano cio� in territorio non ceduto n� rinunziato, essi restavano (come � naturale) cittadini italiani, senza bisogno di alcuna manife� stazione di volon~� (opzione). Entro tali limiti, e -28 soltanto a tale scopo veniva in discussione solo una delle disposizioni contenute nell'art. 19 del ';rrattato di pace: la norma per la quale i soggetti ivi considerati �perderanno la loro cittadinanza italiana al momento in cui diverranno cittadini dello Stato subentrante (e quindi, se non avranno acquistato altra cittadinanza resteranno italiani); norma secondo la quale il Kemali, che non ha acquistato la cittadinanza libica; ha conservato la nazionalit� italiana. Non vi � bisogno del resto, nella controversia in esame, neanche di ricorrere all'applicazione analogica di detta norma, costituendo essa una particolare manifestazione di un ;principio generale del nostro ordinamento giuridico (tradotto in norma legislativa, fra l'altro, negli artt. 8 n. 1 e 2, 10 comma 3�, 11 comma 1�, 12 comma 20 della legge fondamentale sulla cittadinanza italiana, 13 giugno 1912, n. 555) secondo il quale (salvo casi di indegnit� o di incompatibilit� espressamente previsti dalla legge: ad esempio art. 8 n. 3 della legge citata) la cittadinanza italiana non si perde se non a1 momento dell'acquisto di nazionalit�. diversa. E ci�, a sua volta in applicazione dell'altro principio fondamentale, comune ad ogni ordinamento di un moderno Stato di diritto, per cui l'apolidia � uno stato eccezionale, perch� ogni persona umana ha diritto per quanto possibile ad uno status civitatis: principio fondamentale formulato anche nell'art. 15 della dichia; razione universale dei diritti umani, approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Tale dichiarazione non ha solo per la nostra legislazione interna, un valore programmatico, essa infatti costituisce un principio generale, che deve ritenersi accolto nel nostro ordinamento non solo ex art. 10 della costituzione (come ha ritenuto la corte di merito) ma anche in virt� dell'espresso riconos13imento, se anche indiretto, di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 848, che ha dato piena ed intera esecuzione all'analoga Convenzione per. la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali, sottoscritta dai Governi degli Stati membri del Consiglio di Europa il 4 novembre 1950 (la quale, a sua volta, nel preambolo, si richiama alla Dichiarazione dell'O.N. U. del 1948). Si deve perci� concludere che � principio generale del nostro ardinamento giuridico che un cittadino italiano non possa essere privato dello status civitatis e ridotto alla condizione di apolide, senza una espressa disposizione di legge: la quale, nel caso dei � cittadini italiani libici � che per essere domiciliati. in Italia, non sono divenuti cittadini del nuovo Stato di Libia, manca assolutamente. Ci�, s'intende, sempre che il Kemali dovesse essere considerato cittadino italiano: che cio� la particolare �cittadinanza italiana libica �; fosse una vera e propria cittadinanza italiana, sia pure con particolari limitazioni nel godimenso di alcuni diritti, specialmente politici. � ci� che contesta l'Amministrazione resistente; la quale (in una delle censure formulate nel secondo motivo del ricorso) afferma che quella << cittadinanza � fu una lnstra esteriore, concessa ai libici per motivi politici e che in definitiva, i libici erano �sudditi � e non cittadini italiani. Anche su questo punto per� la decisione impugnata � esatta. Essa ha ritenuto che la cittadinanza italiana libica -che garantiva �ai libici il godimento di� tutti i diritti civici non riservati ai cittadini metropolitani -costittrisse uno s��tus di cittadinanza italiana speciale, non un rapporto simile alla sudditanza, rapporto che come � noto, prescinde dal passesso di uno status derivante dall'organico collegamento del singolo al territorio dello Stato. � da osservare, infatti, che ai libici la cittaidinanza fu per la prima volta concessa, non dal regio decreto legge 3 dicembre 1934, n. 2012 (cui si riferiscono la sentenza impugnata e le parti), ma nell'immediato primo dodoguerra, e precisamente con il D.L.L. (lo giugno 1919, n. 931 (relativo all'ordinamento della Tripolitania) ed il regio decreto legge 31 ottobre 1919, n. 2401 (relativo all'ordinamento della Cirenaica). Questi provvedimenti disponevano (art. 1 dei due decreti) in relazione rispettivamente ai tripolitani ed ai cirenaici che essi sono considerati cittadini italiani, parlando cos� semplicemente di �cittadinanza italiana� sia pure imponendo poi a detti cittadini particolari limitazioni. I cittadini di cui flill'art. 1 conservavano infatti il proprio statuto personale e successorio e godevano (art. 5) dei diritti fondamentali di libert� e di inviolabilit� del domicilio e della propriet� nonch� del diritto di concorrere alle cariche civili e militari di cui agli ordinamenti locali ed il diritto elettorale attivo e passivo per gli organi rappresentativi coloniali (art. 5 n. 4 e 6) del diritto di esercitare la professione liberamente anche in Italia (n. 5), e perfino di alcuni diritti politici nel territorio metropolitano, quale il diritto di petizione (di cui all'art. 57 dello Statuto Albertino) al parlamento nazionale (art. 5 n. 7). Non poteva non parlarsi, in tali condizioni, di una vera e propria cittadinanza italiana, sia pure con particolari limitazioni, essendo attribuito ai libici perfino l'esercizio di diritti politici nel Regno, esercizio che � l'elemento caratteristico dello statu11 civitatis di una condizione, cio�, che ricorda singolarmente la latinitas dell'ordinamento romano classico. � ben vero che, dopo l'iilstaurazione del regime fascista, quell'ordinamento ispirato a principi largamente liberali nei confronti delle popolazioni della Libia venne in parte mutato, si che con la legge 26 giugno 1927, n. 1013, nonch� con la successiva legge gi� ricordata del 1934, n. 2012 (gli art. 29 a 38 della prima, riguardanti la cittadinanza libica, sono identici agli artt. 33 a 42 della legge del 1934) si parl� di <<cittadini italiani libici� anzich� di cittadini italiani puramente e semplicemente ed ai libici fu sottratto il diritto dell'esercizio professionale in Italia (fermo restando lo stesso diritto in Colonia), nonch� la facolt� di presentare petizioni alle Camere: ma purtuttavia rest� ferma oltre la garanzia delle libert� fondamentali, la concessione dei diritti civici e politici nel territorio libico, con la facolt� di concorrere alle cariche civili e militari previste in quel territorio. L'evo�~luzione si chiuse, infine con il regio decreto legge 9 gennaio 1939, n. 70 che se per una parte (in applicaziane dei principi �razzistici� allora introdotti nella nostra legislazione) tolse ai libici la ~ 29 facolt� di acquistare la cittadinanza metropolitana (art. ,8) d'altra parte ribad� che i cittadini libici godevano dei medesimi diritti di cui alle leggi precedenti, ed altri anzi ne aggiunse, come i diritti politici di esercitare la carica di podest� nei comuni con popolazione di stirpe libica, di far parte del comitato corporativo per la Libia, e di divenir dirigenti nelle organizzazioni sindacali (art. 6 decreto del 1939). Si che in definitiva i libici godevano dei diritti di libert� allo stesso modo dei cittadini italiani, e dei diritti politici limitatamente al territorio libico, cio� (poich� per la legge del 1939 art. 1, le quattro provincie costiere della Libia erano entrate a far parte integrante del territorio del Regno) godevano dei diritti politici limitatamente ad una parte del territorio italiano. In tale situazione non pu� assolutamente dirsi che i libici si trovassero nella condizione di sudditanza (come ad esempio i nativi delle colonie dell'Africa orientale, per i quali, da ultimo, provvidero gli artt. 28 e seguenti del regio decreto legge, 10 giugno 1936, n. 1019) se per sudditanza si intende (come si deve intendere) soltanto la condizione di sottoposto di imperio dello Stato, ma godevano di uno status, da cui derivavano una serie di diritti anche politici, oltre che di doveri nei confronti dello Stato italiano, e cio� dovevano considerarsi veri e propri cittadini, se pure con particolari limitazioni. Le stesse leggi italiane dell'epoca, del resto, distinguevano tra �cittadini delle colonie �e <<sudditi coloniali>> ponendo cosi in rilievo che la distinzione era di natura sostanziale ad esempio, l'art. 4 del codice penale del 1930. D'altra parte, lo stato di cittadino italiano non pu� ritenersi escluso per il solo fatto che per i � libici era limitato, nei confronti dei cittadini metropolitani, l'esercizio dei diritti politici: che la legislazione dell'epoca presenta numerosi esempi di discriminazioni nei confronti di alcune categorie di soggetti, dei quali pure non pu� porsi in dubbio lo status di cittadini italiani. Ed � slifficiente ricordare (oltre che la cosiddetta �piccola cittadinanza� senza il godimento dei diritti p�litici, di cui ai decreti legge 10 settembre 1922, n. 1387 e 14 giugno 1923, n. 1418) la condizione in. cui vennero a trovarsi i cittadini italiani di stirpe ebraica dopo i noti provvedimenti �razziali >> del 1938-1939; essi cosi come i cittadini libici erano ammessi al" l'esercizio professionale solo a favore degli appartenenti alla medesima stirpe; e, a differenza degli arabi libici, i quali per lo meno godevano dell'esercizio de~ diritti politici in quattro provincie del Regno furono privati in toto dell'esercizio di quei diritti, pure rimanendo cittadini italiani. Si deve concludere quindi, che lo status del Kemali fosse quello di cittadino italiano, sia pure con particolari limitazioni a motiv9 della stirpe . alla quale appartiene; e che di conseguenza al momento della rinunzia dell'Italia alla colonia libica, non fu privato dello status civitatis, non avendo acquistato (poich� domiciliato in Italia) la cittadinanza del nuovo Regno Unito di Libia; e in difetto di qualsiasi norma legislativa che consenta di ritenere che egli sia stato ridotto alla con.. dizione di apolide. Resta da esaminare, a questo punto, per quali motivi un � cittadino italiano libico >> residente in Italia, debba essere oggi considerato cittadino italiano optimo iure. L'Amministrazione ricorrente, infatti afferma che il trattato fil pace rum avrebbe potuto procedere alla �promozione >> del Kemali da cittadino italiano libico a cittadino italiano tout-court, perch� esso non avrebbe potuto interferire nella pi� gelosa sfera della sovranit� nazionale, quale � quella dell'attribuzione della cittadinanza. Ma la asserita � conversione >> in cittadinanza metropolitana della cittadinanza �libica � � effetto diretto proprio della legislaziane italiana del dopoguerra, una volta ammesso, come deve essere ammesso, che la �cittadinanza italiana libica>> inte~ grasse uno status di vera e propria cittadinanza italiana, sia pure con particolari limitazioni. Ci� non soltanto per la constatazione evidente (su cui soltanto si sofferma la sentenza impugnata) che la speciale cittadinanza suddetta non pu� pi� sussistere dopo la perdita dei territori libici, essendo strettamente collegata, e presupponendo l'ordinamento coloniale; ma per il motivo assorbente che la legislazione italiana del dopoguerra ha soppresso tutte le limitazioni al libero esercizio dei diritti civili e politici imposto in precedenza ad alcune categorie di cittadini. Oi� � aV-Venuto, infatti non soltanto in virt� dell'art. 15 del trattato di pace (il quale � divenuto legge italiana a seguito dell'atto legislativo che vi ha dato piena ed intera esecuzione) che, consacrando l'impegno dell'Italia a prendere le misure necessarie �per assicurare a tutte le persone soggette alla sua giurisdizione pari godimento dei diritti e delle libert� senza distinzione di razza, lingua o religione, costituisce evidentemente un principio cui � ispirata la successiva legislazione in materia; ma proprio per l'attuazione di tale principio nel piano legislativo interno. Nel quadro delle leggi speciali che sop� pressero le discriminazioni fra i cittadini per motivi �razziali � attuate nell'ultimo periodo del regime fascista (leggi riguardanti la refutegrazione nei loro diritti dei cittadini ebrei, decreto legislativo, 3 agosto 1947, n. 1906 che abrog� le norme relative ai � meticci >> etc.) il principio fu consacrato in via generale nell'art. 3 della costituzione del 1947 peti il quale << tutti i cittadini hanno pari .dignit� sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali �. Norma che per la sua struttura pu�-essere immediatamente applicata, e che ha avuto per effetto l'abrogazione di tutte le precedenti disposizioni che creavano disparit� fra i cittadini, e ponevano limitazioni ai loro diritti in relazione alla stirpe di appartenenza. Si deve perci� ritenere che, dal citato art. 3 siano state abrogate le limitazioni inerenti alla qualifica di libici dei cittadini italiani nativi della Libia, e questi con l'entrata in vigore della Costi� tuzione, siano divenuti, alla pari degli .a,ltri citta dini, cittadini optimo iure. Tale va tuttora consi--.- derato il Kemali che come si � detto, non ha pe�'' duto la nazionalit� italiana, non avendo acquistato dopo la costituzione del Regno Unito di Libia, la cittadinanza del nuovo Stato. -30 Oome � facile vedere dalla lettura della sentenza, l'argomento fondamentale a sostegno della decisione della Corte Suprema � quello che attiene ad una pretesa incompatibilit� tra l'art. 3 della Costituzione e le norme della legge ordinaria 9 gennaio 1939, n. 70 che stabilivano particolari limitazioni allo status civitatis dei c.d. cittadini italiani libici. Se cos� �, � evidente che, a parte ogni considerazione sulla esattezza della decisione, questa, comunque, non poteva rientrare nella competenza della Corte di Cassazione, dato che, come � noto, � ormai jus receptum che ogni questione. sulla incompatibilit� di norme di legge ordinaria con norme costituzionali, in quanto questione di legittimit� costituzionale, � devoluta al giudizio esclusivo della Corte Costituzionale. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Giudicato sulla. giurisdizione. (Corte di cassazione, Sezioni Unite, Sen� tenza, n. 2061/61 -Pres.: Oggioni; Est.: Danzi; P.M.: Pepe (conf.) -Bellinzaghi c. Ministero dell'Interno). La questione di giurisdizione non � pi� proponibile o rilevabile nel corso del giudizio, qualora una prece!fente sentenza non pi� impugnabile abbia statuito sul punto esplicitamente, dichiarando la giurisdizione del giudice adito. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: L'Amministrazione resistente, pur non avendo proposto ricorso incidentale sul punto relativo alla giurisdizione, ha eccepito preliminarmente con il controricorso il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della domanda del Belin zaghi. Osservano in proposito le Sezioni U:ri.ite che all'esame di tale eccezione, osta, nella specie, la preclusione del giudicato giacch� la sentenza de nunziata, prima di statuire sul merito, ha affron tato ex professo la questione della giurisdizione, affermando che la controversia involgeva la re sponsabilit� della P.A. per omissioni addebitabili al Questore di Como ed esulava pertanto dalla previsione dell'art. 1 lettera e) della legge 9 gen naio 1951, n. 10 che richiede il previo esperimento della procedura amministrativa, solo per l'inden nizzo dei danni, immediati e diretti, causati da atti non di combattimento, dolosi o colposi delle Forze Armate alleate. Tale preclusione opera infatti anche nei riguardi della eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sia che la giurisdizione sia stata affer mata decidendo anche il merito, sia che siasi pro nunziato, con sentenza non definitiva, solo sulla giurisdizione se, in questa seconda ipotesi, siano decorsi inutilmente i termini per la impugnazione ordinaria. Queste Sezioni Unite (sent. 22 luglio 1960, n. 2084), superando i contrasti verificatisi nella precedente giurisprudenza, della Suprema Corte, hanno ritenuto che la questione di giurisdi zione non � pi� proponibile o rilevabile nel c�rso del giudizio, qualora una precedente sentenza non pi� impugnabile abbia statuito sul punto esplici tamente, dichiarando la giurisdizione del giudice adito. Hanno cio� affermato che la proponibilit�, o rilevabilit� d'ufficio, del difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo a norma dell'art. 37 del codice di rito, incontra suttavia un limite insormontabile nella preclusione del giudicato formale e che tale giudicato si costituisee indipendentemente dalla decisione sul merito qualora la soluzione positiva della questione di giu. risdizione sia avvenuta con sentenza non pi� soggetta ad impugnazione. I contrasti giurisprudenziali cui accenna la sentenza in rassegna trovano la loro manifestazione soprattutto nella sentenza n. 1254/52 delle stesse Sezioni Unite riportata con nota in questa Rassegna 1952, pag. 142 . . Sulla questione. si veda per una esauriente disamina la Relazione dell'Avvocatura per gli anni 1956-1960, voi. II, n. 38. La sentenza in esame conferma chiaramente ohe il giudicato sulla giurisdizione pu� formarsi in base a pi�onunzia del giudice di merito solo se questa abbia deciso sulla questione di giurisdizione in modo espli9ito. E' esclusa perci� la possibilit� del giudicato implicito; ed � escluso, in conseguenza, che possa verificarsi l'ipotesi gi� criticata in relazione alla questione di legittimazione passiva in questa Rassegna 1961, pag. 107 e segg. COMPROMESSO ED ARBITRI -Opere pubbliche Lodo arbitrale -Rinunzia preventiva al gravame Eccezione di incostituzionalit� -Manifesta infondatezza. OPERE PUBBLICHE -Appalti -Revisione dei prezzi -Potere della P. A. -Delimitazione -Fattispecie. (Corte di cassazione, Sezioni Unite, Sentenza, n. 907 / 60 -Pres. Cataldi; Est.: Di Maio; P.M.: Colli (conf.) -Comune di Roma c. Impresa Mercuri). Deve ritenersi manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit� costituz�onale delle norme di cui agli artt. 49 del capitolato generale per gli appalti delle opere dipendenti dal ministero dei lavori pubblici, approvato con decreto ministeriale 28 inaggio 1895 e, 829, ultimo comma, codice procedura civile, che prevedono la rinuncia preventiva delle parti all'impugnativa del lodo arbitrale, giacch� le norme stesse non escludono o limitano la tutela giurisdizionale, ma solo consentono all'autonomia privata (come nella simigliante ipotesi dell'art. 360, in cui � permesso alle parti di omettere l'appello) di rinunciare preventivamente alla impugnazione della sentenza arbitrale (al fine di eliminare la possibilit� del sorgere di nuove con� troversie) quando si tratti del rimedio con il quale si contesti unicamente il merito della pronuncia arbitrale. La competenza dell'autorit� amministrativa~ in -materia di appalti di opere pubbliche, ai sensi del D.L.C.P.S., n. 1501 del 1947 � limitata alla revi. sione dei prezzi pattuiti con le pubbliche amminL strazioni in dipendenza di aumenti o di diminu. -31 :zioni sul costo dei materiali o della mano d'opera veri:f�catisi durante la esecuzione dei lavori, anche -per effetto di circostanze non prevedibili e tali da <J.eterminare un aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto, ma non si estende all'altra ipotesi prevista nel 2� comma dell'art. 1664, quando cio� trattasi deil'equo compenso richiesto dall'appaltatore per difficolt� di esecuzione dell'opera derivanti da cause _geoiogiche, idriche e simili, non previste dalle parti -e che rendono notevolmente pi� onerosa la presta. zione dell'appaltatore medesimo. L'ARBITRATO OBBLIGATORIO E LA COSTITUZIONE La sentenza in rassegna (pubblicata in Foro it., 1960, I, 1129), induce a ritenere necessario un attento e approfondito riesame di tutta la questione "j�elativa alla impugnabilit� degli anzidetti lodi tanto pi� in quanto la sentenza stessa ha esaminato la .q_uestione sottq alcuni aspetti particolari, non fra i pi� rilevanti; n� avrebbe potuto fare altrimenti per- 0h� solo sotto quegli aspetti la questione era stata pro. spettata. Dal punto di vista formale la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 49 del capitolato generale, il quale, com'� noto, llJ! natura regolamentare, non legislativa, � inammissibile appunto perch� non ha .ad oggetto una disposizione di legge o di atto avente forza di legge. Rispetto alla norma regolamentare pu� sorgere una questione di legittimit� ordinaria -0 di abrogazione per contrasto colle norme di leggi, .anteriori o successive, non una questione di legittimit� costituzionale, la quale pu� sollevarsi solo rela. tivamente all'art. 829 Codice procedura civile. Motivo dell'infondatezza della questione, secondo la citata sentenza, sarebbe la considerazione che le fl..orme suddette non escludono o limitano la tutela .giurisdizionale, ma consentono all'autonomia privata la rinuncia preventiva all'impugnazione della .sentenza arbitrale. Questa rinuncia, che la sentenza 1'itiene analoga a quella prevista dall'art. 360 Codice procedura civile, sarebbe pienamente ammissibile e .e non in contrasto con gli artt. 24 e 103 della Costituzione, tanto pi� che essa avrebbe riguardo solo al rimedio, con il quale si contesti unicamente il merito della pronuncia arbitrale. Prima di esaminare l'esattezza della pronunzia, .che non 1�iteniamo di poter condividere, sar� oppor .tuno accennare brevemente alla evoluzione giurispru -denziale, peraltro ben nota, in tema di impugnativa -dei lodi arbitrali, naturalmente, in� materia di opere pubbliche. Con .c;.entenza 6 inarzo-22 aprile 1941, n; 1123 la Corte di Cassazione a sezioni unite, in causa Picardi c. Governo della Libia (in Giur. Op. Pub. 1941, I, 323), afferm� l'applicabilit� alla giurisdi :zione arbitrale dei limiti, di cui all'art. 4 legge 20 �marzo 1865, allegato E, riconoscendo implicitamente �al Collegio arbitrale per le controversie in materia di -0pere pubbliche la natura di organi di giu1 isdizione .speciale. Con ~e successive sentenze 29 iugiio J 941, in cause Comune di Napoli c. Tudini e Talenti e Comune di Venezia c. Scarpari (Giur. it. 1942, I, 1, 35 e 97), la Corte afferm�, esplicitamente co_rifermando peraltro la precedente sentenza 8 aprite 1937, nu� mero 1040, che il collegio arbitrale stabilito dal capitolato generale per le opere pubbliche non costituiva n� un ordinario arbitramento n� un arbitrato obbli� gatorio, bens� aveva carattere di giurisdizione speciale, con la conseguenza che contro il lodo non fosse ammesso altro rimedio che il ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione ai sensi della legge 31 marzo 0877. Si escludeva, cio�, l'azione di nullit� e, naturalmente, l'appello (vedasi anche relazione dell'Avvocato Generale dello Stato per gli anni 1930-1941, nn. 27 e 35). Con le successive sentenze 31 maggio J 943, in causa Consorzio Idrico Florida e Solarino c. Martellucci, (in Foro it. 1943, I, 919) e 21 maggio 1944, in causa Ministero Guerra c. B.P.D. (ivi, 1945, I, 16) le Sezioni Unite della Corte di Oassazione, per�, mutavano radicalmente giurisprudenza, negando ai collegi arbitrali previsti dal capitolato generale per le opere pubbliche, carattere di giurisdizione speciale (Rel. Avv. Stato 1942-1950, n. 51 e 52). Oonseguentemente fu esclusa l'ammissibilit� del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione (Sez. Unite 18 aprile 1947, Alto Oommiss<J,riato Sanzioni contro il fascismo c. De Pitpo, in Giur. 00. PP. 1947, I, 160, e 6 agosto 1947, Soc, Breda c . Soo. it. Petroli d'Oriente, in Giur. it. 1948, I, 158) e fu, altres�, esclusa l'ammissibilit�, avverso il lodo, del ricorso per Oassazione ex artt. 360, 362, Oodice procedura civile, ritenendolo soggetto esclusivamente alle impugnazioni pe1� nullit� e per revocazione, previste dall'art. 827 Oodioe procedura civile (Sez. Un. l 7 giugno 1950, Bianchi c. Difesa Esercito, in Foro it. 1951; I, 529). A tal proposito, per�, le Sezioni Unite, con sentenza 6 marzo 1945, in causa Costa c. LL.PP. (in Foro it. 1944-46, I, 227), argomentando dal fatto ohe il capitolato generale dichiara i lodi non soggetti ad appello n� a cassazione, affermarono che l'azione di nullit� era inammissibile, ai sensi dell'art. 829, u. c., Oodice procedura civile, quando fosse dedotta la violazione delle regole di diritto. Essa, quindi, sarebbe ammissibile, e cos� � stato poi ritenuto, solo per i motivi indicati nei nn. 1-7 dell'art. 829 Codice procedura civile, cio�, esclusivamente per errores in procedendo. Oontro questo nuovo e non giustificato orientamento giurisprudenziale l'Avvocatura dello Stato (Relazione per gli anni 1942-1950, II, p. 484) insorgeva, segnalando, attres�, i gravi inconvenienti che presentavano i giudizi arbitrali, una volta esclusa l'azione di nullit� per errores in iudicando. I Collegi arbitrali -si diceva -escluso ogni controllo sull'esatta applica~ione della legge, si trasformano in giudici di equit�, quasi legibus soluti. Si poneva, inoltre, in luce il contrasto delle norme relaUve all'arbitrato per le opere pubbliche, cos� interpretate, o�n l'art. 111 della Costituzione, che ammette sempre il controllo dell'esatta applicazione della legge, sostanziale e procedurale, da parte della Corte di cassazione su tutte le sentenze, dei giudici ordinari e speciali, filii: filii: .,_. 32 -� eccezione fatta� s�lo pM' le decisioni� del Oonsiglio di Stato e della Oorte� dei� Oonti. Ma la giurisprudenza� � rimasta ferma in questo orientamento. (Sutl'argomento vedasi:. Oass; 21giugno1940, n. 448, in Foro i'I!. 1944-46, I, 16; Oass. 6 agosto 1946, n. 1094; id. 28 febbraio 1946, n. 216 in Foro Amm. 1946, II, 50; id. 7 maggio 1946 n. 547. in Foro it. 194446, I, 809; id. 17 giugno 1950, n. 1550, in Foro it. 1951, I, 530; contro questo indirizzo giurisprudenziale si veda, fra gli altri, PASTORE: L'arbitrato negli appalti cii opere dubbliche, Milano, 1961, p�. 157). . La questione della legittimit� della norma conte nuta nel capitolato generale delle opere pubbliche ha dato recentemente luogo, sia per quanto attiene alla obbligatoriet� dell'arbitrato sia in ordine alla non appellabilit� del lodo, a contrastanti pronunzie della Oorte dei Oonti in sede di controllo (25 ottobre 1956, in Foro it. 1957, 3, 214) e del Oonsiglio di Stato in sede consultiva (Ad. Gen. 26 luglio 1957, m. 376, in Riv. giur. edil. 1958, I, 430) a proposito del nuovo capitolato generale. � IZ contrasto � fondato sulla diversa definizione f{,eZla nat.ura giuridica del capitolato generale, che il Oonsiglio di Stato afferma contrattuale e la Oorte dei c.onti ritiene, invece, regolamentare sulla scorta della ormai consolidata giurisprudenza della Oorte di cassazione (Oass. 18 giugno 1943, n. 1521 in Giur. it. 1943, I, I, 403; Oass. 31 luglio 1944, n. 457, in G.C.O. 1944, 371; id. 8 aprile 1946, n. 400, ivi, 1946, !, 124; Oass. 19 febbraio 1946 n. 171, in Foro it. 1944-46, I, 453; e nel senso che abbiano natura regolamentare solo per gli enti che li hanno emanati: Oass. 5 luglio 1951, n. 1761, in Jforo it. 1952, I,, 475; Oass. 30 settembre 1954, n. 3074; Oass. 24 marzo 1955, n. 870; Oass. 4 febbraio 1957, n. 413; Oass. 14 giugno 1955, n. 1806; Oass. 27 giugno 1956, n. 2342; Oass. 20 marzo 1958, n. 923; Oass. 21 maggio 1959, n. 1523; vedasi anche la recensione al lavoro del CRISCI: I contratti stipulati dalla P. A. e l'art. 1341 e.e. in �Rass. � ov. Stato �, 1959, p. 4). � Questo et1sendo l'orientamento giurisprudenziale, passiamo ad esaminare la questione che ci interessa. In proposito, preliminare ad ogni altra ci sembra l'indag,ine sulla esattezza della giurisprudenza, laddove riti.ene applicabile agli arbitrati per le opere pubbliche l'art.� 829 Oodice procedura civile, u.p. Dispone questa norma che l'impugnazione di nullit� � altres� ammessa se gli arbitri nel giudicare non nanno osservato le regole� di diritto; salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equit� o avessero dichiarato il lodo non impugnabile. A prescindere if,alla prir>ia ipotesi, che non interessa, e dal contrasto della seconda con norme costi7uzionali, di cui diremo in seguito, occorre, a nostro avviso, preliminarmente accertare e dimostrare, con congrua motivazione e validi 'argomenti giuridici (cosa che, finora, non ci sembra sia stata fatta), se �l'ultima parte de.ll'art. 829 Oodice procedura civile sia applicabile �agli arbitrati per le opere pubbliche e, soprattutto, se l'intera disciplina dell'arbitrato, �data dal codice di rito, non abbia abrogato l'art. 49 del capitolato gene�rale per le opere pubbliche, il quale, .laddove dichiara il lodo non impugnabile, si p�ne in evidente contrasto con l� norme di ordine pubblico contenute in particolare nell'art. 829. Su questo punto non pare possano sorgere �d1,bbi. Una volta escluso il carattere di giurisdizione spe ciale, tutto il giudizio arbitrale per le opere pubblicher a nostro avviso, non poteva sottrarsi alla disciplina dell'arbitrato, interamente e compiutamente prevista nel nuovo codice di rito. E d'altra parte, la stessa;. giurisprudenza, ammettendo, nonostante che l'articolo 49 dichiari il lodo non soggetto ad appello n� a cassa sione, l'azione di nullit�, ha ritenuto caducata la. norma regolamentare per contrasto con la successiva;. norma di legge, per di piu d'ordine pubblico. Quel che non si comprende � come non sia stata ritenuta applicabile l'ultima parte dell'art. 829 Oo dice procedura civile, operando una parziale conser vazione e conversione del piu volte citato art. 49 O.G. L'art. 829 Oodice procedura civile, u.p., che � norma d'ordine pubblico, processuale, esclude l'azione .di nullit� per errores in indicando solo quando le parti abbiano dichiarato il lodo non impugnabile. At.., tribuisce, cio�, all'auto""omia delle parti contraenti il potere di rinunciare preventivamente al rimedio~ che consenta il riesame di merito del lodo.; ma P, necessario che si tmtti di dichiarazione, di mani festazione, cio�, dell'autonomia contrattuale. Ora, a prescindere dalla considerazione che i"l ri chiamo, contenuto nella sentenza 22 aprile 1960t m. 907, all'art. 360 Oodice procedura civile, secondo comma, non � del tutto appropriato perch� in questa ultima ipotesi, come si argomenta espressamente dal combinato disposto dagti artt. 339, 10 comma 3601 20 comma e 366, ultimo comma, la rinuncia all'ap-" pello � suc�essiva, non preventiva, ed il ricorso per Oassazione � ammesso anche per gli errores in �udicando, resta il fatto che la �non impugnabilit� dei lodo deve essere contrattualme�nte stabilita, dichiaratar cio�, d'accordo fra le parti e con riferimento ad un. determinato contratto. . L'art. 49 del Capitolato Generale, che, si ripete,. la giurisprudenza consolidata della Oorte di Gassa+ iione qualifica regolamento, non pu� essere ridotto� e convertito n� pu�, comunque, sostituire la espressa dichiarazione, contrattuale, di non impugnabilit� del. lodo voluta dalla legge. E ci� a prescindere dalla considerazione che la P.A. non potrebbe preventiva mente rinunzia1�e al diritto alla tutela giurisdizio nale, rimettendosi ad un giudizio di equit�. Riteniamo, quindi; in primo luogo che l'ultima parte dell'art. 829 Oodice. procedura civile non sia applicabile ai lodi in materia di opere pubbliche, che le parti non hanno dichiarato e, secondo, noi,. non potevano dichiarare non impugnabile. Questa �considerazione ci esimerebbe da ogni ulteriore indagine sulla legittimit� costituzionale di una �norma,. che consente la rinuncia preventiva alla azi�ne di nullit�, sia pure per i soli vizi di merito, la rinunzia, cio�, ad un diritto, che non � ancora sorto_, perch� sorge so'l<> con� la p1�onuncia degli arbit~~� . La norma contenuta nell'ultima parte dell'!J,r# -_ 0 colo 829 Oodice procedura civile non pu� dirsi, a. � nostro avviso, senz'altro non in contra.sto con l'articolo 24 della Oostituzione e, quando si verta in materia di pubblici appalti, con il successivo articolo 113. -33 .,..,... L'art. 4 dispone che tutti posson� agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, l'art. 113 ammette sempre contro gli atti della P.A. la tutela giurisdi� zionale. Ora, se si esclude e finch� si esclude che gli arbitri sono organi di giurisdizione ed esercitano attivit� giurisdizionale, deve ritenersi che in materia di pubblici appalti la tutela giurisdizionale ha inizio solo con la azione di nullit�. Escluderla o limitarla a taluni vizi del lodo significa negare che la P.A. possa agire in giudizio, cio�, davanti al Gfodice, per la tutela dei propri diritti e significa escludere, per il privato, la tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A. (in questi sensi vedasi anche BA.CHE� LET, in Foro Amm., 1961, n. 1347, il quale, a proposito ilel ricorso straordinario al Capo dello Stato, esattamente osserva che limitare la tutela giurisdisione agli errores in procedendo equivale ad escluderla, frustrando il precetto costituzionale). Ohe l'attivit� degli arbitri non sia attivit� giurisdizionale �, d'abtra parte, evidente (cons. BIAMONTI: .Arbitrato in Enc; del diritto, Giuffr�, II, 899 e segg.; OARNACINI: .Arbitrato rituale, in �Nuovissimo dig. It. ))' Utet I, parte seconda, 874 e seguenti). . Se l'iter logico e sillogistico della pronuncia arbitrale � sostanzialmente analogo a quello che caratteYizza la decisione del giudice, non compete peraltro all'arbitro il complesso di compiti e di poteri che caratterizzano la funzione giurisdizionale, (per quanto riguarda l'istruttoria si pensi in modo particolare all'obbligatoriet� del giuramento nella prova testimoniale, non riohiesta per l'analogo mezzo istruttorio dell'arbitrato rituale, o all'esercizio delle attivit� che competono all'arbitro con riferimento alle varie specie di consulenze tecniche); e come l'attivit� arbitrale sia del tutto subordinata a quella superiore dell'autorit� giudiziaria ordinaria: se non venga pronunciato il decreto pretorio di esecutoriet� oppure in sede di impugnativa. venga accolta la quaerela nullitatis, l'arbitrato perde invero ogni sua validit� ed efficacia e risorge, nei riguardi della controversia gi� affidata agli arbitri, la piena competenza della Autorit� Giudiziaria ordinaria. Non � neppure da trascurare il fatto, anche se esso vale solo come sintomo, che sotto it profilo penale non si � voluto ricondurre l'arbitro nella categoria dei pubblici ufficiali e neppure in quella degli incaricati di un pubblico servizio. Tali ordini di considerazioni sembrano contrastare la pretesa natura giurisdizio �nale dell'arbitrato, almeno intesa nei sensi in cui la funzione giurisdizionale � �normalmente rappresentata. La stessa giurisprudenza (dell'orientamento della quale si deve tener quel conto che � imposto dalle decisive conseguenze che ne derivano in pratica nei 1�apporti umani controversi), che accede alla teoria mista (Cass. Sez. Un. civ. 9 maggio 1956, n. 1505 in Foro it. 1956, I, 847 e segg.: trattasi,. com'� noto, di autorevole pronuncia che � stata fatta oggetto di annotazioni vivamente elogiative da parte della dott1'ina: cons. ad es. ANDRIOLI: Procedura arbitrale e regolamento di giurisdizione in Foro it., col. cit.), esclude in termini non equivoci che il procedimento arbitrale abbia il carattm�e di processo giurisdizionale, pitr rilevando, nella fusione del lodo e del decreto preto rile, un atto di giurisdizione che colorisce a poste: riori il procedimento suddetto, �attribuendogti retroattivamente gli effetti che sono propri del processo giurisdizionale, con la conseguente norm~le retroattivit� della pronuncia al momento della instaurazione della domanda�. Ben pi� grave � il contrasto dell'art. 829 Codice procedura civile, u. p., con l'art. 111 della Costituzione. Il precetto dell'art. 111 Cost., il quale dispone che contro le sentenze, di qualunque giudice, � sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge, il quale, cio�, costituzionalizza il principio, secondo il quale la Corte di Cassazione � la suprema regolatrice, che assicura l'uniforme interpretazione ed applicazione delle norme di diritto, � evidentemente. violato. A che una C01�te di cassazione, cui � costituzio-. nalmente att1�ibuiio il potme di cont1�ollat�e l'esatta applicazione della legge in tutte le controversie e di garantire, cos�, tutti i cittadini e, con essi e prima di essi lo Stato, dagli arbitri dei giudici, ordinari o speciali, volontari o obbligatori? I Collegi arbitrali per le opere pubbliche, i quali pure giudicano cause di valore 1�ile�vante, restano esonerati dalla osservanza della legge sostanziale e il precetto dell'art. 111 della Costituzione nei loro riguardi � complet,amente frustrato perch� azza Corte di Cassasione non arriver� mai la questione sostanziate. Dire che l'art. 111 � osservato, perch� il ricorso pieno � ammesso contro la sentenza, che pronunzia sulla azione di nullit�, significa violarne la lettem e, soprattittto, lo spirito frustrando l'esigenza, da tempo sentita, della unit� della giurisdizione e della applicazione della legge in modo uniforme. Se il lodo non � censurabile pe1� motivi di merito, se l'errat,a applicazione della legge da parte ilei Collegi arbitrali non pu� essere dedotta in appello, ci� significa che non potr� nepput�e essere dedotta in Cassazione con la aber1�ante conseguenza che il sempre dell'a1't. 111 non trova applicazione nei riguardi dei Collegi arbi~ trali. L'import,anza, non solo teorica, della questione e l'esigenza che sia alfine assicurat,a la giustizia, formale e sostanziale, a entrambe le parti contraenti anche nel delicato canipo dei pubblici appalti ci fa spera1�e in un riesame da parte della Corte di cassa. zione, che eviterebbe un. altrimenti indispensabile intervento legislativo nella materia. (1) � � GIUSEPPE GUGLIELMI (1) Quando questa nota era in corso di stampa abbiamo appreso che il Ministro dei lavori pubblici, nella seduta del 28 giugno 1962, � annunziato al Senato, in occasione della discussione dello stato di previsione della spesa del Ministro dei lavori pubblici per lresercizio finanziario io luglio 1962 -30 giugno 1963, che il nuovo -� Capitolato Generale preveder� espressamente la impugnabilit� dei lodi arbritali anche per la violazione delle norme di diritto sostariziale. La questione� potr�, cosi, con� siderarsi definitivamente risolta nei sensi da noi sostenuti. -34 .IMPOSTE E TASSE -Imposta di R.M. -Reddito rica� vato dall'U.N.U.C.I. dal rilascio delle tessere di riconoscimento, dei libretti ferroviari e dei distintivi -Tassabilit�. (Corte di cassazione, Sezione I, Sentenza, n. 2128/61 -Pres.: Verz�; Est.: Del Conte; P.M.: Criscuoli (conf.)-U.N.U.C.I. c. Min. Finanze). L'UNUOI � un ente pubblico, i eui scopi istitu: zionali rientrano tra le finalit� dello Stato ed hanno natura eminentemente sociale ed assistenziale, con -esclusione di ogni fine dilucro. Tuttavia, l'attivit� -consistente nel rilascio delle tessere di riconoscimento, dei libretti e degli scontrini per le riduzioni ferroviarie e dei distintivi, dietro un corrispettivo -0he supera di gran lunga il costo del servizio, ha un suo autonomo carattere economico prevalentemente speculativo, distinto dalle attivit�, proprie dell'ente, necessarie per il raggiungimento delle sue finalit� istituzionali. Non pu�, quindi, escludersi l'esistenza di un reddito, n� attribuirsi a tale corrispettivo un ,cti,rattere tributario, sulla considerazione che gli utili ricavati da tale attivit� siano destinati d::lill'Ente alla realizzazione delle sue finalit� assistenziali e sociali, perseguite per conto dello Stato. Pertanto, accertata l'esistenza di un utile, da parte dell'UNUOI, e cio� di un reddito derivante da un'attivit� di carattere prevalentemente lucra tivo, deve ritenersi che tale reddito sia senz'altro tassabile, ai fini dell'imposta di R.M. indipenden temente dagli scopi perseguiti dal soggetto pro duttore e dalla concreta destinazione ed erogazione dell'utile stesso dopo la sua acquisizione al soggetto medesimo. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: Con l'unico motivo di ricorso, si deduce la vio lazione degli artt. 3 lettera e del testo unico, 24 agosto 1877, n. 4021, 62 regio decreto, 11 luglio 1907, n. 560 e dagli artt. 3 e 4 dello Statuto del l'UNUOI, e si sotiene che in relazione ai versamenti eseguiti dai soci per il rilascio delle tessere di rico noscimento e dei libretti e scontrini ferroviari, non esiste un reddita tassabile, in qnanto l'UNUOI � un ente pubblico che non ha scopi di lucro, ma fini esclusivamente assistenziaii svolti per conto dello Stato, ed i predetti versamenti, al pari delle quote di iscrizione, hanno il c~rattere di eontributi, che essa riscuote nell'esercizio di un potere tributario, delegatole dallo Stato, per destinarli alla realizza zione delle suddette finalit�. La doglianza � infondata. Innanzi tutto va dichiarato che la norma di cui al secondo comma dell'art. 62 del Regolamento 11 luglio 1907, n. 560, invocata dalla ricorrente, .non introduce nel sistema dell'imposta di R.M. .�na epenzione speciale di carattere soggettivo a favo -re delle �societ� costituite senza scopo industriale ... se si limitano ad erogare le contribuzioni dei soci in �Opere o atti filantropici, scientifici, letterari, di mero consumo o diletto, ed in generale in operazioni non produttive di reddito ,,, ma in sossanza applica .soltanto come del resto � insito nel suo carattere meramente regolamentare i principi fondamentali della legge sull'imposta di R.M. stabilendo che se non vi � produzione di reddito non vi � obbligo di dichiarazione e non si fa luogo quindi ad imposizione, mentre se sussiste un reddito, la dichiarazione, come si precisa nella seconda rarte dello stesso comma, deve essere fatta anche dai suddetti enti, che sono perci� in tal caso sottoposti ad imposizione. Tanto premesso, si osserva che deve ritenersi nella specie la esistenza di un reddito, in quanto, se � esatto che l'UNUOI � un ente pubblico, i cui scopi istituzionali rientrano tra le finalit� dello Stato ed hanno natura eminentemente sociale e assistenziale, con esclusione qnindi di ogni fine di lucro, tuttavia, l'attivit� in questione, consistente nel ri].ascio delle tessere di riconoscimento, dei libretti e scQ:ntrini per le riduzioni ferroviarie e dei distintivi, dietro un corrispettivo che supera di gran lunga il c�sto del servizio, ha un suo autonomo carattere �conomico prevalentemente speculativo, distinto dall'attivit� proprie dell'Ente e necessarie per il raggiungimento delie anzidette sue finalit� istituzionali. In contrario, non ha pregio, n� per escludere la esistenza di un reddito, n� tanto meno per attribuire al menzionato corrispettivo un carattere tributario, il rilievo che gli utili ricavati da una tale attivit� siano in definitiva destinati dall'Ente alla realizzazione delle sue finalit� assistenziali e sociali e che dette finalit� questo prosegua in luogo e per conto dello Stata. Accertata, infatti, l'esistenza di un utile derivante da una attivit� di carattere prevalentemente lucrativo, esso � senz'altro tassabile, indipendentemente dagli scopi perseguiti dal soggetto produttore e dalla concreta destinazione o erogazione dell'utile stesso dopo la sua acquisizione al soggetto medesimo. Sostanzialmente poi diversa � la natura dei suddetti versamenti delle quote che sono dovute una tantum per i'iscrizione obbligatoria all'UNUOI nella misura stabilita dalla legge e che non attengono menomamente ad una attivit� speCl�ativa dell'Ente. Il ricorso va pertanto rigettato con tutte le conseguenze di legge. IMPOSTE E TASSE-Successione -Imposta complemenfare di registro -Contestazione al momento dell'apertura della successione -Non deducibilit� dall'asse ereditario. (Corte di cassazione, Sezione I, Sentenza, n. 2536/61 -Pres.: Lonardo; Est.: Fresa~ P.M.: Toro (conf.)-Riccac. Amministrazione Finanze). Il debito d'imposta complementare di registro non sorge con la stipulazione dell'atto e neppure con la sua registrazione, ma, nell'iP.c;it~si che la pretesa dell'amministrazione espressa nell'acce.rii3_-_ mento sia eontestata, soltanto quando la contesta-� zione stessa sia definita in uno dei modi rituali, ne consegue che tale debito, per mancanza del requisiso della certezza, non pu� essere ammesso in deduzione dall'asse ereditario, ai sensi degli arti -35 -coli 45 o 50 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3270, qualora, nel momento dell'apertura della successione sia ancora in corso la contestazione �dell'accertamento. Si t?�ascrive la motivazione in diritto della sentenza: Con unieo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 45 e 50 del regio decreto :30 dicembre 1923, n. 3270, in relazione all'art. 32 dello stesso decreto e all'art. 15 del decreto legge 7 agosto 1936, n. 1639. In particolare deducono <Che, contrariamente a quanto ritenuto dalla commissione centrale, il debito per l'imposta complementare in questione era deducibile dal passivo �ereditario perch�, sorgendo il debito di imposta, sia in via principale . che complementare, con la stipulazione dell'atto di trasferimento ed essendo, .quindi, il contribuente tenuto al pagamento della -complementare fin da quel momento, nella misura successivamente fissata dall'amministrazione, il debito stesso deve considerarsi certo prima della .apertura della successione anche se soltanto pi� tardi si � perfezionato, con il concordato, il requisito .alla sua liquidit�. La censura non � fondata. La tesi che i ricorrenti sostengono con dovizia di argomentaziani per contrastare la decisione adottata dalla commissione centrale, se pure appare a prima vista suggestiva e non priva di interesse, si rivela, ad un attento esame, inficiata da un errore sostanziale cbe la travolge in radice. Il debito d'imposta complementare non sorge con la stipulazione dell'atto, come sostengono i ricorrenti, e neppure con la sua registrazione. In tale momento sorge per l'amministrazione finanziaria soltanto il diritto a percepire l'imposta determinata daila legge, ma non esiste ancora un debito di imposta. Infatti, il diritto di percepire l'imposta trova una prima concreta esplicazione con l'accertamento del valore, ritenuto congruo dall'amministrazione, ma tale accertamento da vita soltanto ad una. pretesa che pu� essere utilmente contrastata dal -0ontribuente. Ne segue un vero e proprio giudizio di congruit� in fase amministrativa e contenziosa nel quale si discute l'an debeatur e cio� se il valore accertato dall'ufficio sia esatto e se l'imposta debba -essere liq�idata in proporzione di tale valore. � �chiaro che fino a quando tale fase di accertamento non venga conclusa o con la piena accettazione da parte del contribuente ovvero con un concordato o -con una decisione definitiva delle commissioni tributarie, non solo non esiste giuridicamente l'imposta, ma non � certo neppure il diritto dell'amminissrazione a percepire un qualsiasi tributo, potendo essere riconosciuta l'infondatezza della sua pretesa. ()i� si verifica in modo particolare quando si tratti di imposta complementare in quanto il valore dichiarato dal cantribuente all'atto della registrazione, pu� essere ritenuto congruo e in tal caso viene negata ogni validit� all'accertamento di maggior valore fatto dall'amministrazione. Da ci� consegue che il requisito di certezza richiesto dallo art. 45 del regio decreto 3270 del 1923 sorge soltanso quando sia cessata ogni discussfohe sull'accertamento di maggiorvalore che costituisce la base essenziale per la successiva applicazione e liquidazione dell'imposta. Tale interpretazione trova perfetta corrispondenza nella ratio legis, in quanto la norma in esame consente la deduzione della passivit� solo quando l'imposta sia divenuta certa nei confronti del de cuius e sia quindi giuridicamente esistente nel momento dell'apertura della successione. Se a tale data sia in corso soltanto una contestazione sulla pretesa dell'amministrazione, il debito di imposta non solo non � certo, ma � addirittura inesistente e potr� sorgere successivamente nei confronti degli eredi. quando la contestazione sar� definita in uno dei modi rituali. Conseguentemente, nella specie, al momento dell'apertura della successione non esisteva aneora una passivit� deducibile, non avendo il debito d'imposta acquistato certezza ai sensi e per gli effetti del citato art. 45 della legge sulle successioni. Oonforme la sentenza n. 67 del 1962 in causa Savoia-Aosta contro Finanze (Pres.: Lonardi; Relatore: Htella Richter). Le sentenze sono state annotate, in Giust. Civile, 1962, I, 233) da M. Gagliardi. IMPOSTE E TASSE -Tassa di concessione governativa prevista dall'art. 114 tabella All. A. testo unico, n. 112 del 1953 -Societ� per azioni -Capitale sociale -Aumento mediante utilizzazioni delle riserve Tassa non dovuta. (Corte di cassazione, Sezione I, Sentenza, n. 90/62 -Pres.: Verz�; Est.: Iannuzzi; P.M.: Caldarera (conf.) -Finanze c. Soc. !tal. Industr. Zuccheri). L'aumento del capitale di una societ� per azioni, ottenuto mediante utilizzazione delle riserve, importa una. mera operazione contabile, concretantesi in uno spostamento di somme da una voce all'altra del bilancio sociale con la mancanza di un apporto effettivo di ricchezza che � la condizione indispensabile per l'imposizione della tassa graduale di concessione governativa, prevista dall'art. 114 tabella allegato .A del testo unico, n. 112 del 20 marzo 1953. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza: L'Amministrazione finanziaria denuncia la violazione e la falsa applieazione dell'art. 1 �del testo unico 20 marzo 1953, n. 112 delle leggi in materia di tasse sulle concessioni governative e degli articoli 114 e 115 della tabella allegato .A del testo unico predetto, in relazione agli artt. 2436, 2442, 2443 e 2424 Codice civile: per avere la sentenza -36 impugnata ritenuto che l'aumento del capitale di una societ� per azioni ottenuto mediante utilizzo delle riserve importa una mera operazione contabile concretantesi in uno spostamento di somme da una � voce � all'altra del bilancio sociale, con la mancanza di un apporto effettivo di ricchezza, che � condizione indispensabile per la tassazi�ne ai sensi dell'art. 114 citato. Premesso che la riserva rappresenta la parte degli utili accreditati ai soci, che vengono immobilizzati anzich� essere ad essi distribuiti, l'Amministrazione deduce che l'aumento del capitale mediante l'utilizzazione delle riserve determina un conferimento effettivo di attivit� realizzato mediante lo smobilizzo di quegli utili appartenenti ai soci e la loro destinazione nell'esercizio diretto dell'attivit� ecanomica propria della societ�, con l'effetto ulteriore di conferire ai soci una maggiore quota di partecipazione, mediante la distribuzione di nuove azioni, o l'aumento di valore delle vecchie. Si tratta, quindi, di un effettivo apporto. di una nuova ricchezza all� societ�, come ha ritenuto anche questa Oorte Suprema con varie decisioni, le quali hanno affermato che il passaggio di somme dalla riserva a capitale implichi una distribuzione ai soci ed il contemporaneo conferimento da costoro alla societ� dalle riserve stesse. Tale concetto, espresso in prevalenza per l'imposta di registro, � stato di recente ribadito, conclude l'Amministrazione; anche a proposito della tassa di concessione governativa nella motivazione della sentenza, n. 1472 dell'8 maggio 1956. Osserva ia Corte Suprema che, a norma dell'articolo 114 della tabella A annessa ai testo unico 20 marzo 1953, n. 112 in materia di tasse sulle concessioni governative, sono soggette a tassa graduale le iscrizioni nel registro delle imprese di atti portanti aumenti di capitale sociale, intendendosi per aumento del capitale sociale, a termini della nota marginale a detto articolo, �ogni nuovo apporto di ricchezza che viene ad aggiungersi a quello precedentemente fornito alla soeiet�, ovvero l'apporto di ricchezza versato per il reintegro del .capitale svalutato o perduto �. Si tratta, quindi, di stabilire se il passaggio di riserve a c�pitale realizzi un nuovo apporto di ricchezza ai sensi della citata disposizione. Al riguardo non si pu� trarre argomento favo.iovole alla tesi dell'Amministrazione ricorrente dalla riehiamata giurisprudenza di questa Oorte Suprema in materia di imposta di registro. Oi�. perch� l'art. 85 della tariffa allegato A �lla legge di registro non contiene la precisazione di cui alla nota marginale dell'art. 114 della tabella allegato A al testo unico delle leggi in materia di tasse sulle concessioni governative; inoltre percb� sono diversi i presupposti per l'applicazione delle due norme, in quanto la legge di registro colpisce l'atto� in relazione ai su.oi effetti giuridici, mentre, invece, la norma in esame ricollega l'insorgenza della obbligazione tributaria alla iscrizione.nel registro delle imprese di una deliberazione sociale considerata nei snoi riflessi economici, in quanto essa riveli, cio�,. un apporto effettivo di una nuova ricchezza,� che viene ad aggiungersi a quella prece dentemente fornita alla societ�. Parimenti non pu� costituire un argomento deciBivo a favore della tesi dell'Amministrazione finanziaria la considerazione che si legge nella citata sentenza di questa Oorte Suprema n. 1472del1956, emessa nella materia in discussione, secondo cui il trasferimento delle riserve a capitale, acc�m1agnato dall'emissione di nuove azioni, costituirebbe un nuovo conferimento da parte dei soci, come tale assoggettabile alla relativa tassa di conferimento, in quanto implicherebbe passaggio delle riserve dalla societ� ai soci a titolo di dividendo e da questi ultimi alla societ� a titolo di nuovo conferimento. Invero tale affermazione pu� essere idonea a giustificare l'applicazione della imposta di registro -ed � infatti conforme a quella che si legge nelle sentenze emesse da questa Oorte nella detta materia -relativamente, invece, alla tassa sulle concessioni. governative, la steRsa sentenza del 1956 richiamata dalla ricorrente precisa che la tassa graduale presuppone l'apporto effettivo di una nuova ricchezza o la reintegra del capitale goduto: ci� che � stato negato anche relativamente al caso allora esaminato, di devoluzione a capitale sociale di un fondo costituito da somme rice'vute dallo Stato per indennizzo di navi requisite, appunto perc.h� tale fondo era in sostanza una parte dell<> stesso patrimonio sociale rappresentato dall'equivalente monetario delle navi requisite e perdute. Questo � un punto da esaminare, se, cio�, ili passaggio di riserve a capitale realizzi un incremento del patrimonio sociale mediante un effettivo apporto di una nuova ricehezza; ma ci� viene� negato anche da coloro i quali ritengono che tale operazione importi un arricchimento a favore degli azionisti, determinato dallo smobilizzo delle riserve con l'attribuzione di un eccezionale dividendo ai soci, che si esprime nella distribuzione gratuita di nuove azioni o nell'aumento di valore di quelle vecchie. � Invero le riserve sono formate dall'accantonamento parziale degli utili, che costituiscono un fonda indisponibile per i soci, essendo conservati nel patrimonio sociale per fronteggiare eventuali future evenienze; esse sono una parte del patrimonio sociale, che si compone appunto di capitale e di riserve. Pertanto la deliberazione di aumento� del capitale mediante imputazione ad essa� della. parte disponibile delle riserve (art. 2442), (anche il formine � imputare � designa l'utilizzazione di un bene che gi� appartiene al patrimonio del disponente), non importa affatto un incremento del patrimonio sociale mediante un effettivo apporto di una nuova ricchezza, poich�, invece, il valore economico del patrimonio rimane immutato e risultano� modificati soltanto gli elementi che lo compongono. Si pu� ammettere che il passaggio .di riserve a capitale realizzi un vantaggio a favore dei soci,. quanto meno sotto l'aspetto della disponibilit� immediata di una quota per effetto dello smobilizzo della riserva; ma si deve sicuramente negare che a ci� corrisponda un incremento del patrimonio sociale nel suo complesso o che comunque ci�. -37 concreti uri. apporto effettivo, da parte degli azionisti, di una nuova ricchezza, che� vada ad aumentare il capitale considerato isolatamente, come >elem�nto distinto dal patrimonio sociale nel su� complesso. � Se il chiarimento fornito dalla nota marginale all'art. 114 deve essere inteso nel senso che � tassabile un n~ovo apporto di ricchezza che, aggiuI�gen �dosi a quello gi� fornito dai soci alla societ�, ne aumenti il patrimonio, in tal caso valgono le considerazioni sopra esposte, le quali portano a riscontrare nel passaggio delle riserve a capitale una operazione contabile che si svolge nell'ambito della societ�, la quale � un soggetto distinto dai soci, senza determinare un incremento del suo patrimonio, cb.e resta immutato. Se, poi, la dieposizione s'intende nel senso che -� rilevante, ai fini dell'imposizione, l'apporto incidente soltanto suil'elemento capitale, non si riscontrano, tuttavia, le altre condizioni per l'applicazione della norma al caso in esame, in quanto l'aumento del capitale si realizza in dipendenza della corrispondente diminuzione delle riserve, cio� di un bene che gi� appartiene all'ente, e non mediante un apporto ab extra, da parte degli azionisti. Si deduce in contrario che la deliberazione d'imputazione delle riserve a capitale si attua attraverso pi� atti economici distinti e collegati, cio� un ripartizione eccezionale di dividendi prelevati dalla riserva ed un nuovo conferimento da parte degli azionisti che va ad aumentare il capitale, aumento cui corrispondono le nuove azioni o il maggior valore di quelle vecchie. Senonch� tale configurazione complessa ed artifidosa non corrisponde al significato del termine �imputazione � di cui all'art. 2442 Oodice civile, il quale designa l'assegnazione ed il passaggio immediato di un valore da uno ad un altro titolo, che si attua nell'ambito della sfera giuridico-patrimoniale dell'ente disponente, relativamente ad un bene che gli appartiene, senza entrare nella disponibilit� effettiva dei soci. N� siffatto modo d'intendere la deliberazione assembleare, come diretta ad attuare un doppio passaggio di valori, integra l'ipotesi prevista dalla legge tributaria, la quale, nel richledere �un nuovo apporto di ricehezza che viene ad aggiungersi a quello precedentemente fornito alla societ� �, esige un apporto effettivo di ricchezza, un nuovo �rifornimenta i> di beni alla societ�, in aggiunta a quelli gi� versati, da parte di soggetti ad essa estranei, mentre invece in realt�, nel caso in esame, l'aumento del capitale si attua mediante una diminuzione delle riserve e non mediante versamenti da parte dei soci. Il solo prece(f,ente in termini della Corte suprema � costituito dalla sentenza n. 1472 del 1956 che contiene sull'interpretazione della nota marginale all'art. 114 tariffa in materia di a.umento di capitale mediante utilizzazione delle riserve (v. in Foro it. 1956, I, 1470) affermazioni nettamente contrarie a quelle formulate nella presente sentenza. LEGGI -Repubblica sociale italiana -Zona delle Prealpi -Conservazione degli organi dell'amministrazione italiana -Possibilit� di presentare una domanda di riconoscimento di fondazione alla prefettura competente. LEGGI -Repubblica sociale italiana -Riconoscimento di persona giuridica -Natura amministrativa - Convalidabilit� ex D.L.L., n. 249 del 1944. (Corte di cassazione, Sezione II, Sentenza, n. 2162/61 -Pres.: Lorizio; Est.: Danzi; P.M.: Toro (conf.) -Ministero Interno c. Buffa). Il regime di occupazione instaurato dai tede11chi nella c.d. zona delie Prealpi, per quanto pi� intenso ed assorbente di qnello esteso al rimanente territorio italiano del quale essi avevano il controllo, non aveva inteso escludere, n� aveva escluso di fatto, nella zona medesima, ogni potest� degli organi dello Stato italiano, come risulta dal riconoscimento senza riserve della repubblica sociale. Tale potest�, pur essendo soggetta a limiti e controlli da parte delle autorit� occupanti, continu� ad esplicarsi anche in detta zona nel quadro delle legislazione italiana ed a mezzo della preesistente struttura amministrativa dello Stato italiano che aveva conservato i suoi uffici ed i suoi organi pur nella veste illegittima, ma di fatto operante, della repubblica sociale italiana. � pertanto da escludere che, sul piano giuridico fosse da considerare impossibile, nella zona suddetta, il compimento dell'atto iniziale del procedimento amministrasivo per il riconoscimento di una fondazione, atto che ha valore di mera denuncia, idonea a sollecitare l'attivit� della pubblica amministrazione (la quale pu� anche procedere di u:q�cio al riconoscimento a norma dell'art. 2 delle disp. att. codice civile), e che avrebbe potuto essere ugualmente presentato alla prefettura, che aveva continuato a funzionare sotto la direzione del commissario _:.. prefetto di nomina germanica, e che, a norma dell'art. 94 del regio decreto 5 febbraio 1891, n. 99, era l'organo competente a riceverlo ed a promuovere l'emissione del riconoscimento. Il riconoscimento delle persone giuridiche rientra tra i compiti di organizzazione propri dell'azione amministrativa e si attua, dopo un'indagine sulla legalit� ed opporunit� del nuovo ente, con un decroto del Capo dello Stato (o del prefetto a tala fine delegato dal Governo); tale decreto ha, quindi, natura di un normale atto amministrativo e come tale, se emanato dal governo della repupplica sociale italiana, � suscettibile di convalida a norma del D. L. L. 5 ottobre 1944, n. 249. Si trascrive la motivazione in diritto della sentenza relativamente alle massime sopra riportate. La tesi della impossibilit� giuridica non � conciliabile con l'indirizzo giurisprudenziale -seguito da questa Suprema corte (sent. 18 giugno 1953, n. 1829 e altre successive) ed al quale si � correttamente uniformato il giudice di rinvio. A questo proposito � opportuno ricordare che il regime di occupazione istaurato dai tedeschi nella cosi detta -38 Zona delle Prealpi, per quanto pi� intenso ed assorbente di quello esteso al rimanente territorio italiano del quale essi avevano il controllo, non aveva inteso escludere, n� aveva escluso di fatto, nella zona medesima ogni potest� degli organi dello Stato italiano, come risulta dal riconoscimento senza riserve della repubblica sociale. Tale potest�, pur essendo soggetta a limiti e controlli da parte delle autorit� occupanti, continu� ad esplicarsi anche in detta zona nel quadro della legislazione italiana ed a mezzo della preesistente struttura amministrativa dello Stato italiana che avevf.li conservato i suoi uffici ed i suoi organi pur nella veste illegittima, ma di fatto operante, della repubblica soeiale italiana. Qnesto rilievo che trova la, migliore conferma nel numero e nella natura dei provvedimenti emanati da tale governo di fatto proprio per ia zona delle Prealpi, � sufficiente �per escludere che, sul piano giuridico, fosse da considerare addirittura impossibile il compimento dell'atto iniziale del proeedimento amministrativo per il riconoscimento della fondazione. Tale atto, come gi� � stata messo in luce dalla sentenza di annullamento, ha infatti valore di mera denuncia, idonea a sollecitare l'attivit� della P . .A. (la quale, per quanto riguarda le fondazioni, pu� procedere anche d'ufficio al loro riconoscimento a norma dell'art. 2 delle disposizioni di attuazione del codice civile) e non � pertanto soggetto ad alcun rigore formalistico . .Accertata la persistenza dell'organo .amministrativo (prefettura) cui avrebbe dovuto essere presentata l'istanza, non pu� ravvisarsi valido motivo di impossibilit� nel fatto che la 1:1tessa non era indirizzabile in quel momento al Luogotenente generale del Regno, cio� al Capo dello Stato legittimo. � anzitutto da rilevare in proposito che tale intestazione non costituisce un requisito formale indispensabile alla validit� della richiesta se questa, ha, come si � detto, lo scopo precipuo di stimolare l'azione amministrativa e il contenuto sostanziale di una denuncia il cui aspetto essenziale � soltanto quello di portare a conoscenza dell'autorit� amministrativa Ja disposizione testamentaria relativa alla istituzione della fondazione. Ma deve altresi considerarsi che l'istanza avrebbe ugualmente raggiunto il proprio effetto se ne fosse stata imposta l'intestazione al Capo della repubblica sociale, come espressione del governo di fatto. Sotto questo profilo specifico si obietta dai ricorrenti che la migliore riprova della dedotta impossibilit� giuridica sarebbe fornita dal rilievo che un'istanza cosi indirizzata non sarebbe stata comunque idonea a promuovere un valido riconoscimento della fondaziOne perch� il relativo decreto, se emesso dal Capo della Repubblica sociale, sarebbe stato privo di efficacia giuridica, essendo tale sanzione prevista dall'art. 1, n. 1 dei D.L.L. 5 ottobre 1944, n. 249 per tutti gli atti di governo della Repubblica sociale, compresi quelli riferentisi alla zona delle Prealpi. Tale obiezione � per� inaccoglibile, non potendo convertirsi nel suo presupposto che � quello di includere tra gli atti di governo il decreto di riconoscimento di una fondazione. Ed invero, secondo la teoria della causa oggettiva, che � oggi quella dominante, sia in dottrina, che in giurisprudenza.,. atto politico pu� considerarsi soltanto quello cheha appunto per oggetto di provvedere ai supremi interessi dello Ssato, tanto nei riflessi interni, ehe in quelli internazionali, � cosicche �� ia sua causa venga a coincidere can tale esigenza di difesa e di conservazione. Il riconoscimento delle persone giuridiche rientra invece tra i campiti di organizzazione propri dell'azione amministrativa ed esso si attua, dopo una indagine sulla legalit� ed opportunit� del nuovo ente, con un Decreto del Capo dello Stato (o del Prefetto a tale fine delegato� dal Governo), cio� con un normale atto amministrativo che � soggetto, come tutti gli atti di tale categoria, al sindacato di legittimit�. Ora proprio in forza dello stesso D.L.L. 5 ottobre 1944, n. 249, sono stati convalidati tutti i provvedimenti egli atti amministrativi emanati dal gaverno della Repubblica sociale e non contemplati nella categoria a enumerazione degli atti privi di efficacia giuridica. Q�est'ultimo rilievo esaurisce veramente l'argomento mostrando l'inconsistenza della tesi della impossibilit� giuridica. A sostegno del ricorso l' A vvooatura Generale aveva; sostenuto quanto segue: Illogicit� e contraddittoriet� della motivazione -Omessa pronuncia su punto decisivo: art. 360, n. 5 Codice procedura civile -Violazione e falsa. applicazione dell'art. 9 regio decreto 5 febbraio 1891, n. 99, in relazione all'art. 33 legge 17 luglio 1890, n. 972 ed all'art. 12 Codice civile: art. 360~ n. 3 codice procedura civile. .A guardare bene il fondo delle cose, la Corte di .Appello. di Brescia di fronte al problema della consegna tempestiva dell'istanza di riconoscimento della fondazione alla pubblica autorit�, doveva. indagare quanto meno su tre punti: Primo: se esistesse l'Organo consegnatario (Prefetto); Secondo: se quest'Organo rappresentasse legalmente l'Organo destinatario (Re), ovvero fosse inserito in altro diverso ordinamento; Terzo: se -data la situazione della zona, soggetta ad un regime, per il quale il meno che si possa dire � che si trattava d'un ordinamento di fatto -l'emanazione di un atto del genere di quello che veniva richiesto rientrasse nella categoria di quelli che l'autorit� di fatto pu� -secondo le vedute giuridiche comuni -validamente emet tere. La Corte di merito si � fermata al punto di affer mare la presenza in looo del Commissario Prefetto, rilevando che, bene o male, uno sportello, al quale consegnare il foglio in bollo conteneii.t� l'istanza di riconoscimento, era aperto. - Ha trascurato invece il punto essenziale: guar dare -cio� -a chi l'istanza predetta. doveva. essere indirizzata: in altre parole come il foglio in bollo doveva essere intestato. ::4 :i ::4 :i -39 - Giacch� non occorre copia di argomenti giuridici per dimostrare che un atto consegnato al Commissario Prefetto di Trento (in ragione della carica da questo personaggio rivestita: art. 94 Reg. cit.) non poteva essere diretto altro che al Capo della sedicente Repubblica Sociale Italiana, nel cui ordinamento tale Commissario Prefetto si inseriva (Pe non addirittura alle Autorit� d'occupazione germaniche, dato lo stato di pre-annessione in cui si trovava allora il Trentino). A.d ogni modo -e certamente -non al Re, n� al Luogotenente. E ci� non solo per la difficolt� (scil. impossibilit�) del fatto in s� (basti riandare con la mente alla situazione dell'epoca); non solo perch� la stessa giuridica esistenza, pi� ancora che l'autorit�, dell'ordinamento del Regno del Sud con annesso Sovrano, JJuogotenente ecc., si trovava.no ad essere non tanto contestate, quanto negate in radice dal predetto ordinamento di fatto, ma principalmente per l'insusl.'listenza di quel nesso di dipendenza e di rappresentanza tra Prefetto e (Governo del) Re che � il presupposto per il funzionamento dell'articolo 94 del Regolamento del 1890. Quindi, il;riconoscimento della fondazione avrebbe dovuto essere richiesto al Capo della Repubblica Sociale Italiana. � Ma non crediamo vi sia qualcuno che non veda quanto ripugni ad una sana concezione giuridica la richiesta di un atto di allegeance ad un ordina� mento ed ad un'aut9rit�, entrambi segnate dal crisma dell'illegittimit�, perch� -agli effetti dell'ordinamento giuridico �legittimo i> -un ~itto sia mantenuto. Eppure, questo dice in definitiva la sentenza bresciana, se considerata nelle sue conseguenze ultime: �se tu vuoi oggi far valere la tua pretesa al lascito De Buffa, dovevi nel marzoapriie 1945 rivolgere una istanza ad un'Autorit�, gi� allora definita illegittima, riconoscendo a questa poteri ed attribuzioni sovrane >>. E ci� crediamo che basti per quanto concerne l'aspetto soggettivo del fenomeno esaminato. Ancora pi� interessante -se possibile -� l'aspetto oggettivo. La domanda di riconoscimento, se presentata all'epoca pretesa dalla Corte d'appello di Brescia, (marzo-apriie 1945) avrebbe eccitato l'emanazione di un provvedimento dichiarato nullo di pieno diritto dall'art. 1 decreto legislativo luogotenenziale 5 ostobre 1944, n. 249, gi� in vigore alla epoca medesima. E, siccome la validit� di un procedimento amministrativo si valuta -di regola -in base all'atto finale dello stesso, crediamo non sia eccessivamente audace ritenere che la domanda, intesa a ottenere un atto nullo di pieno diritto (e di nullit� insanabile), sia di per s� giuridicamente invalida. Il riconoscimento di una persona giuridica come atto inteso ad inserire ed a rendere operante nell'ordinamento giuridico un nuovo soggetto, con caratteristiche pubbliche -non � un comune atto amministrativo speciale, ma un �atto di Governo n. Lo ha riconosciuto, in pratica, la Corte costituzionale nella sentenza 9 marzo 1959, pronunziando sul ricorso 27 maggio 1958 proposto dalla Regione Siciliana per conflitto di attribuzionai. circa il .decreto del Presidente della Repubblica 2T novembre 1957, n. 1444, con il quale veniva eretta. in ente morale la Cassa scolastica di una Scuole media statale. JJa Oorte dic:.iarava , la competenza dello Stato in re subiecta proprio per la particolare natura dell'atto di conferimento della personalit� giuridica. E, del resto, di atti del Governo del Re parla,. ad esempio, l'art. 33 della legge sulle istituzioni di beneficenza l 7 luglio 1890, n. 972, che bene si adatta al caso in esame. Ora, se qui si � di fronte ad un atto di governo,, opera la nullit� fulminata dall'art. 1 decreto legislativo luogotenenziale ottobre l 944, n. 249, che equipara gli atti di governo alle leggi ed ai regolamenti della Repubblica Sociale Italiana. In conseguenza, la Corte di Brescia con il pretendere che la domanda fosse fatta sotto l'imperi0> della Repubblica Sociale, viene a dire in sostanza. c�e la ]fondazione avrebbe dovuto con un propri<> atto (per noi, invalido, ma che pu� anche immaginarsi valido: ci� non � decisivo) provocare l'emanazione di un atto nullo di pieno diritto. USUCAPIONE-Cause di sospensione dipendenti dallo� stato di guerra -Inapplicabilit�. (Cassazione -26. gennaio 1962, n. 139, Sezione II -Pres.: Lorizio~ Est.: Serra; P.M.: Trotta (conf.) -Susanna (avv. Morvillo) c. Barra (avv. Leone). Conferma appello, Napoli, 30 giugno 1959. Se per l'art. 1166 Oodice civile (come per l'analoga norma dell'art. 2121 Ood. c. del 1865) non hanno efficacia, nella usucapione ventennale � dei diritti immobiliari, rispetto al terzo possessore,. le cause di sospensione tra l'altro dipendenti da una condizione soggettiva del titolare del diritto,. come quella del militare in guerra (art. 2942, n. 2: Ood. c.), collegata all'impossibilit� o somma difficolt� di esercizio del diritto, a maggior ragione siffatto principio deve operare nella ipotesi in cui meno si pone l'esigenza di tutela dei soggetti interessati, contro il corso deila prescrizione, per esseresoltanto considerata in relazione alla stato di guerra, in cui si trova la generalit� dei cittadini o non pure alla qualit� di militare in guerra. In tema di usucapione ventennale di diritti immobiliari, pertanto, non sono applicabili, nei' confronti del terzo possessore, le norme di sospensione dei termini di prescrizione di cui ai decreti' legge 3 gennaio 1944, n. 1 e 24 dicembre 1944, numero 392 (cause di sospensione dipendentid allo, stato di guerra). * * * La massima, pubblicata sui Massimarfo _del fore italiano 1962, col. 40, ci ha sorpresi e pi� ancora, _ ci ha sorpresi la circostanza che la nota richiama la conforme sentenza 12 novembre 1958, n. 1700,' trascurando del tutto la successiva sentenza, difforme, (23 marzo 1959, n. 897, Oass. II, Pres.: I =U:Ff??f???J?F & ;[[Ll&MM=bi 1�&ta :omeppa; Est.: Flore; P.M.: Mazza conforme), pub� blicata sullo stesso Massimario 1959, col. 164 e, per esteso, in Giustizia civile, _1959; I, 814. � ' Questa sentenza, che � stata seguita da altre "Conformi (Cass. II, 16 giugno 1959, n. 1853, Pres.: Fibbi; Est.: Restaino; P.M.: Gentile; conforme, in "Mass. Foro it. 1959, col. 347; Cass. II, 18 febbraio 1961, n. 360, Pres.: Varallo; Est.: Pedroni; P.M. Colonnese, conforme, ivi, 1961, col. 80; Cass. II 29 agosto 1961, .Pres.: Fibbi; Est.: Rapisarda; P.M.: Toro, conforme, �ivi, 1961, col. 5i5) si �era dat� carico della incertezza della giurisprudenza ed aveva proceduto ad un attento e meditato riesame della questione, pervenendo ad una soluzione, che ben poteva e, �a. nostro arvviso, doveva costituire giurisprudenza consolidata. Ci auguriamo, pertanto, che la Corte regolatrice consolidi la sua giurisprudenza in una materia cosi delicata, rendendo� veramente certo il diritto ed evitando disparit� di trattamento. CONSIGLIO DI STATO DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per effetto del Trattato di Pace -Valutazione -Classificazione secondo categorie generali -Legittimit� Discrezionalit� tecnica -Valutazione -Secondo le risultanze catastali -Legittimit�. (Consiglio di Stato, Sezion(il IV, dee. n. 9/62 -Pres.: Bozzi; Est.: CucciaSbis� ed altri c. Ministero Tesoro). L'Ufficio tecnico erariale, nel procedere alla valutazione dei beni italiani confiscati all'estero in applicazione del Trattato di pace, legittimamente ha fatto riferimento a classificazioni generali che l'Amministrazione non era tenuta a rendere di pubblica ragion�. L'apprezzamento compiuto dall'Ufficio Tecnico erariale, ai fini della liquidazione dell'indennizzo, delle caratteristiche dei beni confiscati all'estero in base al Trattato di pace, costituisce valutazione di carattere tecni�o-discrezionale non sindacabile in sede di giudizio di legittimit�. Legittimamente si procede alla liquidazione dello indennizzo di beni rustici confiscati all'estero in applicazione del Trattato di pace tenendo conto delle risultanze ca.tastali, ove gli interessati non dimostrino che queste non erano rispondenti alla realt� in conseguenza di migliorie apportate ai fondi. Trascriviamo la motivazione in diritto della deci8ione. Il ricorso � infondato. Col prin�o e col terzo motivo, che stante la loro connessione, vanno esaminati congiuntamente, si censura il provvedimento impugnato per eccesso di potere, sotto il profilo del travisamento dei fatti e di errore nell'iter logico. I ricorrenti, premesso che i criteri adottati dall'Amministrazione er il classamento e l'apprezzamento dei beni confiscati dal Governo iugoslavo nell'Istria in danno dei cittadini italiani, appaiono arbitrariamente rigidi, essendosi parificati cespiti diversi per natura intrinseca, e che, inoltre, tali criteri non sono stati resi pubblici a mezzo di circolari o normali, con normazione delle guarentigie degli interessati deducono: a) i fabbricati sono stati valutati in base ai dati catastali e non in base alla realecubatura, per le quali i ricorrenti fanno riferimento allaperi� zia, all'atto notorio e alle mappe da essi prodotti; b) quelli fra detti fabbricati, che hanno carattere signorile sono stati classificati come fabbricati di tipo mediocre; e) le parti!}elle agricole sono state considerate senza tenere conto dei miglioramenti agrari apportati; d) le scorte, morte e vive, non possono (alla luce della documentazione depositata dai ricorrenti) non ritenersi adeguate alla importanza della azienda agricola; e) i boschi denunciati non sono semplici boschi cedui, ma costituiscono nel loro insieme una pineta di notevole valore panoramico turistico. Osserva il Collegio che la premessa del ragionamento dei ricorrenti � in radice inattendibile, in quanto intacca i principi del metodo estimativo, che, come � noto, consiste nel riconoscimento della appartenenza del bene ad una delle classi formate con beni analoghi di prezzo noto, sulla base di un parametro comune a tutti i beni; con che soltanto � possibile conferire oggettivit� al giudizio di stima. Ne da tali principi si sono discostati gli Uffici tecnici per la valutazione dei beni confiscatinelle zone istriane. Infatti, sia peril classarriento di tali beni, sia per la determinazione dei prezzi unitari (da applicare con riferimento al mercato del 1938, come prescritto dalla legge 8 novembre 1956, n. 1325) sono stati compiuti, come ha precisato l'Avvocatura Generale dello Stato, indagini e studi accurati, utilizzando la collaborazione dei tecnici degli uffici erariali di Trieste e di Gorizia, e consultando presso gli archivi degli uffici medesimi un abbondante materiale costituito da monografieprezziari, stime per espropri, valutazioni per tra, sferimenti di propriet� soggetti a registro, ecc. .A volere seguire la tesi dei ricorrenti si sarebbe dovuto, invece adottare un parametro specifico per la valutazione dei loro beni. Una soluzione del genere, se dovesse prevalere, sarebbe veramente aberrante non soltanto in rapporto ai principi della metodologia estimativa, ma anche nei riguardi della tutela dei diritti degli stessi interessati, i qual� -solo dall'adozione di criteri generali ed obbiettivi, pu� essere veramente garantita, e ci� tanto pi� quando, come nella fattispecie, si tratta di terri -41 tori sconvolti dalla guerra, nei quali, alle grandi difficolt� frapposte dall'anormale situazione, ha dovuto supplire la consumata esperienza e la scrupolosa diligenza del personale incaricato delle valutazioni. Quando alla doglianza relativa alla mancata pubblicazione dei criteri -base per le operazioni di stima, i ricorrenti mal si appongono in quanto si tratta di norme interne, stabilite dall'Amministrazione nell'esercizio del potere di autolimitazione della propria attivit�; quindi le norme stesse, non rivestendo carattere giuridico, non dovevano essere pubblicate. Interessante e convincente decisione su questioni di notevole rilievo economico, che conferma la esattezza del comportamento dell' .Amministrazione e la legittimit� del procedimento seguito anche in tutti i casi di applicazione della legge n. 1054 del 1950, che si fonda sugli stessi principi della legge n. 1325 del 1956. DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per ef� fetto del Trattato di Pace -Zona B Territorio di Tri� este -Indennizzo -Legge n. 269 del 1958 �-Pretesa incostituzionalit� ex art. 81 Cost. -Manifesta infondatezza -Pretesa incostituzionalit� ex art. 42 cost. Manifesta infondatezza -Pretesa incostituzionalit� ex artt. 25, 27, 100, 102 Cost. -Manifesta infonda� tezza -Pretesa incostituzionalit� ex art. 3 Cost. Manifesta infondatezza. DANNI DI GUERRA -Beni perduti all'estero per effetto del Trattato di Pace -Zona B, territorio di Trieste -Indennizzo -Valutazione riferita al 1938 Legittimit�. (Consiglio di Stato, Sezione IV, dee. n. 51/62 -Pres.: Bozzi C.; Est.: Urciuoli-Fragiacomo c. Ministero Tesoro). � manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit� della legge 18 marzo 1958, n. 269, concernente l'indennizzo dei beni italiani abbandonati nella zona B del Territorio di Trieste, dedotta sotto il profilo del contrasto con l'art. 81 Oost., in quanto la legge non indicherebbe la spesa necessaria e i fondi disponibili. � manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit�. della legge 18 marzo 1958, n. 269 concernente l'indennizzo dei beni italiani abbandonati nell~ zona B del Territorio di Trieste, dedotta sotto il profilo di manifesta violazione dell'art. 42 Oost. non potendosi identificare l'ipotesi dell'indennizzo dei beni confiscati da Stati esteri con quella di espropriazione per la pubblica utilit� contemplata dalla disposizione costituzionale invocata. La procedura per gli indennizzi previsti per i beni abbandonati nella zona B del Territorio di Trieste dalla legge 18 marzo 1958, n. 269 non costituisce un giudizio speciale e il relativo procedimento si conclude con un provvedimento amministrativo, impugnabile, nei limiti della giurisdizione di legittimit�, dinanzi al Oonsiglio di Stato; pertanto � manifestamente infondata la pretesa incostituzionalit� della legge predetta sotto il dedotto profilo del contrasto con gli artt. 27prim� comma, 25 secondo comma, 100 e 102 Oost. � manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit� della legge 18 marzo 191')"8, n. 269 dedotta sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Oost., in quanto sarebbe stato praticato ai profughi della zona B un trattamento difforme meno favorevole rispetto a quello usato per la liquida zione dell'indennizzo di beni situati in altri s~ati. Legittimamente l'.Amministrazione, nel pr-ocedere alla liquidazione degli indennizzi previsti dall legge 18 marzo 1958, n. 269 per i beni abbandonati nella zona B del Territorio di Trieste fa riferimento ai valori del 1938. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza. Per meglio definire e circoscrivere i termini della controversia, giova anzitutto ricordare che il Trattato di Pace non contemplava alcuna tutela per i beni dei non optanti, mentre, per quanto riguardava quelli degli optanti, prevedeva che dovesse applicarsi lo stesso trattamento riservato ai cita dini iugoslavi. Proprio allo scopo di non lasciare esposti i non optanti alla applicazione unilaterale delle leggi sulla r!forma agraria, sulla nazionalizzazione, sulla espropriazione ecc., il Governo italiano addivenne alla stipulazione, con il Governo della Repubblica Jugoslava, dell'accordo 23 maggio 1949, in forza del quale il Governo Jugoslavo avrebbe dovuto indennizzare i beni di propriet� di cittadini italiani, situati nel territorio ceduto alla Jugoslavia a termini del Trattato di Pace o sul vecchio territorio iugoslavo, e che erano stati nazionalizzati, sulla base dei prezzi in vigore su libero mercato nell'anno 1938, moltiplicati per un coefficiente di rivalutazione da determinare. Per i beni che erano stati confiscati era invece previsto il pagamento, da parte della Jugoslavia, di una somma foriettaria (da determinare) mentre, per quelli cos� detti liberi si prevedeva l'acquisto, sempre da parte del Governo Jugoslavo al prezzo stabilito per i corrispondenti beni nazionali. Una commissione mista italo-ugoslava doveva compilare la lista dei beni da ammettere all'indennizzo, procedere alla classificazione di tali beni per categorie omogenee, stabilire per ciascuna categoria un prototipo, attribuire un adeguato valore a tale prototipo e rapportare, infine, il valore dei singoli beni a quelli delle categorie e prototipi corrispondenti. Per dare immediata attuazione a tale accordo, che fu ratificato solo molto tempo dopo (e precisamente con legge 10marzo1955, n. 121) con la legge 5 dicembre 1948, n. 1064, fu disposto che i titolari di beni, diritti e interessi italiani del territorio ceduto alla Jugoslavia e nell'antico territorio Jugoslavo, sottoposti alla nazionalizzazione, all::niforma agraria, o a qualsiasi misura di carattere generalee particolare concernente la propriet� Jugoslavia, erano tenuti a presentare denuncia di tali beni al Ministero del Tesoro entro il 15 dicembre dello stesso anno. -42 L'art. 4 di tale legge prevedeva che ai titolari dei beni e diritti di cui sopra sarebbe stato liquidato un indennizzo nei limiti in cui �esso sar� liquidato �dal Governo ugoslavo � in esecuzione dell'accordo suddetto. La liquidazione degli indennizzi, concordati con il Governo Jugoslavo, agli aventi diritto, doveva essere fatta da una apposita Commissione interministeriale, presieduta da un alto magistrato. La pratica attuazione dell'accordo del 1949 non relizz� per� le previsioni dei :firmatari e non corrispose alle asp�ttative degli aventi diritto: infatti, la Commissione mista che doveva procedere alla stima beni, non riusc� di fatto ad assolvere il suo -0ompito, per le notevoli difficolt� che ad ogni passo doveva superare, stante le quasi materiale impossibilit� di raggiungere un'intensa fra le due deiegazioni sul valore dei beni, la scelta dei proto tipi, ecc. In una siffatta situazione, si rese necessaria l'emanazione di un'altra legge (legge 31 luglio 1952, n. 1131) che consentisse la concessione, agli aventi diritto, di anticipi per un totale di 15 miliardi d� lire; nella determinazione dell'importo dei singoli anticipi, si doveva tenere conto sia del valore del� bene abbandonato che delle condizioni economiche degli aventi diritto, in modo da favorire i meno abienti. Alla copertura della spesa si provvide mediante trattenuta di 10 miliardi sul conto riparazioni alla Jugoslavia e mediante esborso del Tesoro per la parte residua. La corresponsione di tali acconti, che furono poi liquidati della Commissione Interministeriale sopra citata, su stime di valore autonomamente eseguite dai competenti Uffici tecnici italiani, aveva per� attenuato solo in parte lo stato di disagio dei -0ittadini che avevano abbandonato i loro beni in territorio Jugoslavo e che si trovavano ancora nella materiale impossibilit� di iniziare un'attivit� in Italia. D'altra parte, i lavori della Commissione mista prevista dall'accordo del 1949 si erano praticamente arenati, perdurando la impossibilit� di superare le difficolt� di cui si � sempre parlato e di conseguenza era venuta meno anche la possibilit�, pratica oltre che giuridica, che la Commissione Intermiuisteriale assolvesse il compito che la legge del 1949 le avesse affidato, consistente nella liquidazione dell'indennizzi sulla base delle valutazioni fatte dalla Commissione mista' In una siffatta situazione, il Governo italiano ritenp.e opportuno addivenire alla stipulazione di un nuovo accordo con la Repubblica Jugoslava, per definire le anzidette questioni, olti,:e a tutte le altre rimaste ancora insolute e che rischiavano con tinuamente di turbare, se non proprio compro mettere, i rapporti di buon vicinato fra i due Paesi. Questo accordo, che fu concluso il 18 dicembre 1954 e reso esecutivo con decreto delPresidente della Repubblica 11 marzo 1955, n. 210, modi:fi- 0ava sostenzialmente le precedenti pattuizioni, abbandonando il criterio della valutazione dei singoli beni e quindi dell'indennizzo ai singoli proprietari. Con lo stesso atto, il Governo ugoslavo mise a disposizione dell'Italia la somma complessiva di 70 milioni di dollari, pari a 45 miliardi di lire, con la quale dovevano essere t1;t.citati tutti gli aventi diritto all'anzi detto totolo. Nella impossibilit� di effettuare una valutazione analitica dei singoli beni, si era quindi ritenuto opportuno addivenire ad una valutazione globale che consentisse di porre fine, nel migliore, pi� sollecito e conveniente dei modi, alle numerose questioni cui aveva dato luogo l'accordo del 1949. Per procedere alle definizioni delle singole pra tiche, in base al nuovo accordo, e per consentire alla Commissione interministeriale di portare a termine i suoi lavori con l'urgenza del caso, si ritenne opportuno, ed a tanto si provvide con la legge 8 novembre 1956, n. 1325, stabilire delle aliquote rigide per la liquidazione degli indennizzi, che dovevano essere calcolati sulla base dei valori attribuiti ai singoli beni nel 1938, moltiplicati per i seguenti coefficienti di maggiorazione: a) 35 sino al valore di L. 200.000 lire; v) 20 sul valore eccedente le 200.000 e sino a L. 2.000.000. Sui valori eccedenti i due milioni di lire veniva invece applicato il coefficiente risultante dal residuo delle somme disponibili dopo la liquidazione di cui alle lettere a) e b). In attesa della determinazione di tale coefficiente il Ministero del Tesoro poteva tuttavia, concedere acconti in base ad un coefficiente di maggiorazione non superiore a 5. Si sviluppava e si completava cos� il sistema gi� previsto per la concessione degli anticipi, nella considerazione che il valore globale dei beni abbandonati superasse ampiamente l'importo messo a disposizione della Jugoslavia e che, in una siffatta situazione, dovessero essere preferiti i meno abienti, nello spirito della legge 31 luglio 1952, n. 1131, pur assicurando la definizione della posizione di tutti gli aventi diritto. Le citate disposizioni non poterono per� trovare applicazione nei confronti dei beni abbandonati nella cos� detta zona B) dell'ex Territorio !Jibero di Trieste, che secondo il Trattato di Pace, doveva rappresentare uno Stato cuscinetto fra l'Italia e la Jugoslavia. Com'� noto, tale zona, continu� invece, ad essere occupata militarmente dalla Jugoslavia, fino a quando, con l'accordo di Londra del 5 ottobre 1954, non furono riconosciuti a tale Paese il diritto alla Amministrazione civile della zona B) ed all'Italia i pieni diritti su Trieste. Le trattative, immediatamente intraprese con la Jugoslavia, per la concessione di indennizzi per i beni abbandonati dagli italiani che si erano allon tanati dalla Zona B), prima e sopratutto dopo la firma del suddetto accordo di Londra, non anda rono a buon fine. Pertanto, e non essendo dato prevedere quando la questione della sistemazione di tali rapporti potr� trovare una soluzione concor data, il Governo propose un sistem� provvisorio per la liquidazione dei danni subiti dai suadettV cittadini, che, con l'approvazione del Parlamento, fu poi recepito nella legge 18 marzo 1958, n. 269. Ai sensi delle disposizioni ivi contenute, l'indennizzo da corrispondere a favore dei cittadini titolari di -43 beni, diritti ed interessi situati nella zona B) dell'ex 'Territorio Libero di Trieste, rimasta sotto l'Amministrazione Jugoslava, � calcolato sulla base del valore 1938 attribuito ai singoli beni, moltiplicato per un coefficiente di maggiorazione di 40, 20, 7 volte, a secondo che tale valore fosse inferiore rispettivamente a L. 1.200.000 e a L. 2.000.000 e, ,nell'ultimo caso, superiore ai due milioni di lire. Dell'indennizzo sono esclusi coloro che non avevano presentata la dichiarazione di rinuncia .alla residenza in Zona B) prima del 5 gennaio 1956. L'art. 3 prevede in particolare che per i beni �non sottoposti a misure limitative della propriet� �emanate dalle autorit� civili e militari Jugoslave) -cos� detti beni liberi) la concessione dell'indennizzo � subordinata alla condizione che i titolari si trovino nella impossibilit� di fatto di esercitare i loro diritti sui beni abbandonati nella Zona B), cedano tali loro diritti allo Stato italiano e si impegnino di versare allo stesso le somme che abbiano a ricevere �da chiunque in relazione a detti diritti. L'ampiezza di questa premessa, assolutamente necessaria per inquadrare la questione nell'ambito dei complessi rapporti fra l'Italia e la Jugoslavia, -cui ha dato luogo, il Trattato di Pace, consente di esaminare agevolmente i singoli motivi di gravame -ed in particolare quelli che si riferiscono ad una :pretesa incostituzionalit� di alcune delle disposi. zioni contenute nella legge n. 269 del 1958: A) la prima eccezione di incostituzionalit� {viol. art. 81 della Costituzione) concerne come si � visto, la mancata indicazione in tale legge della spesa necessaria e della somma disponibile. Al riguardo, si osserva che l'art. 9 della legge n. 269 prevede che all'onere derivante dal pagamento degli indennizzi si provveder� con le dispo nibilit� di bilancio, relative al pagamento degli -oneri dipendenti dal Trattato di Pace e dagli accordi internazionali concessi con il Trattato medesimo. A prescindere dalla circostanza che, nel bilancio del Ministero del Tesoro, risultano annualmente stanziati a tale fine appositi capitoli di spesa per notevoli importi, non si pu� fare a meno di ricordare che non tutti i pagamenti di indennizzi per danni ai beni situati all'Estero danno luogo ede:ffettivo movimento di denaro. L'art. 5 dalla legge n. 1050 del 1954, provvede infatti, che per gli indennizzi di importo superiore ai cinque milioni di lire si debba far luogo alla consegna di appositi titoli del debito pubblico, anzich� al pagamento in contan~i. Si osserva, d'altra parte, che il pagamento degli indennizzi all'anzidetto titolo non � stato, nella legge n. 269 del 1959, predeterminato in una cifra -precisa, proprio allo scopo di non obbligare l'Amministrazione a dovere contenere l'ammontare globale dei pagamenti entro i limiti di una somma fissa, -con la conseguenza inevitabile di dover ridurre poi gli indennizzi in rapporto alla somma disponibile, determinata in via preventiva e, quindi, con criteri che non avrebbero potuto non essere estremamente prudenziali. Il sistema prescelto dal legislatore, quindi, oltre a non essere in contrasto con il precetto costitu zionale, si presenta se mai pi� vantaggioso per gli aventi diritto, e, pertanto, le preoccupazioni manifestate dalla ricorrente, che cio� la valutazione dei beni abbandonati nella zona B) sia stata fatta con criteri di estremo rigore percli� il Tesoro doveva far fronte, con un unico stanziamento di bilancio ad un doppio, diverso impegno, cadono di fronte alla realt� dei fatti, come sopra esposti e precisati. B) la seconda censura concerne una pretesa violazione dell'art. 42 della Costituzione e viene prospettata sotto il profilo del mancato pagamento, da parte dello Stato italiano, del giusto corrispettivo dei beni privati siti in Zona B), sul preupposto che tali beni siano stati espropriati per motivi di interesse generale. La confusione che la ricorrente fa, equiparando gli indennizzi per i beni confiscati da terzi Paesi e l'espropriazione per pubblica utilit�, � cos� evidente da non meritare una specifica confutazione Quel che qui interessa rilevare � che lo Stato non ha affidato, come si pretende dalla ricorrente alla Jugoslavia l'amministrazione civile della Zona B), legalizzando cos� i provvedimenti che sarebbero stati abusivamente adottati nel precedente periodo di occupazione militare, ma ha solamente� firmato il trattato di Londra del 1954, che modifica, per questa parte il Trattato di pace, ~conseguendo indiscutibilmente alcuni . sensibili vantaggi. Si rileva, d'altra parte, che il territorio della cos� detta zona B) era stato da tempo sottratto alla sovranit� italiana, prima, di fatto, in seguito all'occupazione militare da parte Jugoslava, e poi di diritto, in seguito al Trattato di Pace del 1947, alla cui stipulaziome, � superfluo ricorda;rlo, l'Italia ha partecipato con la ridotta capacit� di negoziazione, che viene normalmente concessa ai paesi debellati. O) Con il terzo motivo, si deducono pretese violazioni agli articoli 27 primo comm_~, 95 secondo comma 100 e 102 della Costituzione, in rapporto alla costituzione ed al modo di funzionamento dell'organo incaricato della liquidazione di tlia indennizzi. Al riguardo, � sufficiente rilevare che la procedura amministrativa di liquidazione di detti indennizzi non costituisce un giudizio speciale; che il relativo procedimento si conclude con un atto amministrativo, regolarmente impugnabile dinanzi a questo Consesso, nei limiti in cui � consentito il giudizio di legittimit�, trattandosi di materia nella quale le pretese dei privati concretano soltanto un interesse legittimo, e non un diritto soggettivo. Ora, le limitazioni del sindacato, per quanto con cerne il merito di un atto amministrativo ampia mente discrezionale, non violano certo alcun precetto costituzionale. N� si ritiene possano essere censurate in questa sede le ragioni di opportunit� e di convenienza che hanno indotto il legislatore ad affidare ad un apposito organo collegiale, perfettamente inqua drato nel Ministero del Tesoro, il compito di pro -44 ---"" nunciarsi sulle singole richieste di indennizzo, adottando una procedura che in definitiva si � rivelata quanto mai agile ed opportuna. Ohe, in caso contrario, ognuna delle .Amministrazioni competenti -secondo la natura del bene -avrebbe dovuto costituire un apposito servizio, disporre per. proprio conto tutte le necessarie istruttorie, procedere ad un'autonoma valutazione de ibeni e cos� di seguito. Ma � di tutta evidenza che una siffatta duplicazione di organi e di funzioni, oltre a rendere necessaria in ogni caso un'azione di coordinamento, non avrebbe certo influito favorevolmente sulla speditezza delle singole operazioni di liquidazione. .D) Oon il quarto motivo, si denuncia violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto sarebbe stato praticato ai profughi della Zona B) un trattamento difforme e meno favorevole rispetto a quello usato per la liquidazione degli indennizzi per i beni situati in altri Paesi. .Anche questa censura � pienamente smentita dai fatti, i quali dimostrano con tutta evidenza come la procedura per la liquidazione degli indennizzi a favore di titolari di beni siti in Zona B), contrariamente a quanto afferma la ricorrente, assicuri in definitiva un ristoro maggiore dei danni subiti ben pi� largo, rispetto a. quello riservato ai titolari dei beni situati negli altri Paesi. Perch� se � vero che la legge 29 ottobre 1954, n. 1050, fa riferimento ai valori correnti alla data di entrata in vigore del Trattato di Pace (1947) � del pari fuori contestazione che essa stabilisce anche che l'ammontare totale degli indennizzi non potr� in alcun caso superare l'importo che, per tali beni, � stato determinato forfettariamente in sede internazionale. L'indennizzo viene quindi contenuto nei limiti delle somme accreditate all'Italia nella valutazione dei complessi rapporti di debito e credito, che si erano venuti a stabilire, con i singoli Paesi, per effetto della applicazione del Trattato di Pace. Quali siano state in effetti le valutazioni dei beni italiani all'estero. nei casi in cui sono state definite le procedure, concordate, di accertamento e di valutazione � cosa ben nota: sta di fatto, comunque, che tali valutazioni hanno soddisfatto solo in minima parte le aspettative e le pretese degli aventi diritto, tanto da rendere necessario in alcuni casi un intervento diretto del Tesoro italiano. La liquidazione degli indennizzi ai profughi della .Zona B) risulta,da quanto sopra esposto, pi� favorevole anche rispetto al definitivo trattamento riservato ai cittadini che avevano abbandonato i loro beni nei territori passati alla Jugoslavia, per effetto del Trattato di Pace. E risulta, altresi pi� favorevole persino rispetto al trattamento previsto, per il risarcimento dei danni di guerra per i beni siti nel territorio di Trieste, dall'art. 51 della legge 27 dicembre 1953, n. 968, specie ove si tenga presente che, per effetto della nota disciplina vincolistica (blocco dei canoni di affitto e proroga di diritto dei contratti di locazione) in vigore fin dal 5 ottobre 1936, i valori degli immobili urbani non .avevano praticamente subito alcuna variazione in aumento, cos� che i prezzi di mercato di tali beni non si discostavan parzialmente da quelli in vigore- nel lontano 1938. � superfluo rilevare, per ultimo, che l'indennizzo accordato ad una sola categoria didanneggiati non pu� comunque considerarsi ingiusto per il fatto di essere concesso in misura non equivalente� al preteso danno, atteso che si tratta di un indennizzo stabilito in base a criteri di massima, applicabili nella stessa misura a tutti i danneggiati, il che esclude di per se -come giustamente rileva l'.Amministrazione -disparit� di trattamento, ogni pretesa ingiustizia e incostituzionalit� del sistema adottato. Il Collegio, per le ragioni suesposte, e considerato anche il carattere non definitivo degli indennizzi in questione, quale esplicitamente risulta., dall'art. 1 della legge n. 269, ritiene che le eccezioni di incostituzionalit� sopra indicate siano manifestamente infondate, e, pertanto, non reputa. opportuno aderire alla richiesta della ricorrente di sospendere il giudizio e di rimettere gli atti alla. Corte Costituzionale. Quanto poi ai motivi di gravame che specificamente si riferiscono all'atto impugnato, si rileva. che: 1) il foglio n. 146679 del 23 settembre 1960, con il quale fu notificata all'interessata la liquidazione dell'indennizzo, conteneva una particolareggiata elencazione dei beni indennizzati, le misure di tali beni calcolate dal competente Ufficio tecnicoerariale ed il valore al 1938 attribuito ai medesimi. Non si vede, quindi, quale altra motivazione 0> indicazione ell'atto avrebbe dovuto o potuto. contenere; 2) non risulta dagli atti che vi sia stato alcun errore nel calcolo della cubatura dell'inunobile,. in quanto l'UTE incluse nelle stima anche la. soffitta esistente nell'edificio; 3) sul terzo motivo, si rileva preliminarmente che la stessa ricorrente, a pag. 40 della, memoria depositata il 26 ottobre u. s., ammette e riconosce che l'UTE ha provveduto alla compilazione di un prezzario, ricorrendo ai contratti di compravendita dell'epoca, alle stime effettuate dall'UTE di Trieste, sempre in quell'epoca, in sede di revisione dei contratti agli effetti della integrazione della tassa di registro, a varie monografie, ecc. La stessa ricorrente, dunque, ammette che le stime, ai valori del 1938, sono state fatte con piena cognizione di causa e sulla base di elementi assolutamente certi ed attendibili. Ma, obbietta, tutti codesti elementi servivano solo a stabilire i prezzi e non i valori dell'epoca, e~ richiamandosi alla ascesa del corso di alcuni titoli azionari nei primi del 1960, tenta di dimostrare la differenza esistente tra i concetti del valore e di prezzo. Per quanto sia ben noto che il prezzo altro non � se non l'espressione in moneta correB:te del valore attribuito, in un certo momento, ad un determi-.�� nato bene, il Collegio, senza aver minimamente la pretesa di esaurire l'argomento, non pu� fare a meno di considerare che i prezzi rilevati dall'UTE esprimevano e rappresentavano esattamente la -45 ,situazione dei valori di mercato all'anzidetta data, -non risultando in particolare -allora come ora alcun concreto e valido elemento che consenta di attribuire al giardino che circonda la villa gi� di �propriet� della ricorrente il valore di suolo edificatorio. Si reputa aopportuno soggiungere, infine che il l'iferimento ai vaori del 1938, adottato per tutti indistintamente i beni siti nei territori passati alla Jugoslavia, risulta pienamente giustificato dalla �circostanza che tale anno pu� considerarsi l'ultimo in cui si sia avuta in tali zone una libera e normale formazione di prezzi di mercato, non influenzati cio� dall'andamento delle vicende belliche o da altri fattori di natura extra -economica. E che, inoltre, una procedura di stima diversa da quella adottata non poteva essere seguita, atteso che solo in via eccezionale, e limitatamente alla concessione -dei contributi per il ripristino dei beni danneggiati per fatto di guerra, l'art. 27 della legge n. 968 del 1958 consente il computo dei valori Sl�la base dei -costi di ricostruzione dgli immobili distrutti, ma tale norma non � stata richiamata dalla legge del .1953, che, d'altra parte, prevede solo la correspon: sione di ind�nnizzi e non anche di contributi, n�, <lato il suo carattere eccezionale pu� ritenersi appl ~abile per estensione analogica fuori dei casi tassativamente previsti. Per le ragioni ampliamente esposte, tutte le censure prodotte dalla ricorrente sono da consi< lerare infondate e, pertanto, il ricorso va respinto La decisione .merita di essere segnalata sia per la delicatezza delle questioni trattate sia per le soluzioni adottate, a nostro avviso esatte, che non mancheranno di avere ripercussione su analoghi giudizi in corso. Sulla natura giuridica della pretesa del cittadino italiano all'indennizzo e sulla natura delle Commissioni, cui � affidata la liquidazione di esso si vedano, altres�, Oass. Sez. Unite, nn. 235/53 e 2872/58, nonch� Tribunale di Roma 2 luglio 1958 in questa Rassegna 1953, p. 63 e 1959, p. 1) nonch� lo studio del Tracanna, in nota alle ultime due sentenze. IMPIEGO PUBBLICO -Collocamento a riposo -Diplomatico -Motivi di servizio -Mancanza diprocedimento scritto -Illegittimit�. (Consiglio di Stato, IV Sezione, dee. n. 1/02 -Pres.: Bozzi -Est.: PigaTalamo Atenolf� c. Ministero affari esteri). � vizi?ito, per difetto di accertamento dei presupposti, il provvedimento di collocamento a riposo per motivi di servizio di un Ministero plenipotenziario, ai sensi dell'art. 232 T. U. 10 gennaio 1957, n. 3, ove l'Amministrazione dichiari che non fu redatta alcuna relazione scritta per indicare i motivi di servizio che avrebbero dovuto giustificare il provvedimento. Trascriviamo la motivazione in diritto della sentenza; Con il motivo aggiunto, notificato il 29 aprile 1960 a seguito del deposito, da parte dell'.Ammini strazione, dei documenti la cui esibizione era stata ordinata da questa Sezione, il ricorrente ha dedotto in via pregiudiziale e assorbente, eccesso di potere per mancata valutazione, risultante da formali atti scritti, dei motivi di servizio, in baise ai quali � stato disposto, nei propri confronti, il provvedimento di collocamento a riposo. Viene in tal modo riproposta all'esame della Sezione una questione sulla quale questo Collegio, di recente, si � in pi� occasioni pronunziato (decisioni sui ricorsi N onis e La Terza pubblicate il 22 marzo 1960; decisione n. 7 40 del 13 luglio 1960 sul ricorso Zamboni; decisione n. 911 del 25 ottobre 1960 ricorrente Riccio). Nelle succitate decisioni la Sezione ha anzitutto indicato i principi che regolano il collocamento a riposo per motivi di servizio ai funzionari della carriera diplomatico-consolare. Come � noto il provvedimento di collocamento a riposo per motivi di servizio � previsto aU'art. 232 del Testo unico del 10 gennaio 1957, n. 3. Il provvedimento si perfeziona su proposta del Ministro degli Affari Esteri (che ne assume la responsabilit�) previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, con decreto del Capo dello Stato. La proposta del Ministro degli A.A. EE. implica una valutazione dei motivi di servizio, sia di carattere subiettivo, attinenti cio� alla persona del funzionario, alle sue attitudini e alla capacit� professionale, sia di carattere obbiettivo, e perci� richiedenti oltre l'identificazione dei fini di pubblico interesse perseguiti, una valutazione delle prestazioni di servizio del funzionario per pervenire alla conclusione della sua non l�teriore utilizzabilit� in relazione ai fini obbietvi che si intendono conseguire. In altri termini quel che � veramente essenziale nel procedimento di cui trattasi � che l'Amministrazione, quale che sia la ragione in considerazione della qualeintende concretamente disporre il collocamento a riposo, deve valutare se e fino a qual grado l'interesse pubblico esiga il sacrificio dell'interesse del funzionario al mantenimento in servizio. Nelle decisioni sopra citate � stata anche chiara mente precisata che l'importanza e la complessit� del giudizio impongono,che le valutazioni effettuate trovino concretezza in atti scritti che indichino, nell'ambito delle rispettive competenze, il coutenuto degli accertamenti compiuti nonch� i fini perseguiti. La necessit� della forma scritta deriva da esigenze di carattere generale, gi� riconosciute valide dalla giurisprudenza di questo Consiglio in situazioni analoghe (Sez. IV 5 ottobre 1959, n. 871). Essa non pu� ritenersi soddisfatta dalla forma solenne dal solo decreto terminale del procedimento. L'esigenza della forma scritta inerisce infatti alle singole fasi essenziali del procedimento. Non � in questa sede necessario stabilire con maggior precisione se l'inadempimento di un onere _ fondamentale di buona amministrazione, quale � quello di documentare con atti scritti le fasi di un procedimento tanto delicato e complesso, quale � quello che qui viene in considerazione, realizzi per @i @i -4G s� solo un vizio di violazione di legge, come � stato notevolmente sostenuto, e non piuttosto valga a concretare un sintomo di eccesso di potere sul profilo dell'omessa valutazione dei motivi di servizio cos� come questa Sezione ha ritenuto ne1le anzidette decisioni. Ai fini della odierna pronuncia � infatti sufficiente osservare che manca nella specie la prova della avvenuta valutazione dei motivi di servizio eche, pertanto, il decreto di collocamento a riposo si presenta al giudice della legittimit� non sorretto da un idoneo, adeguato, accertamento del presupposto steRso dell'miercizio del potere concretamente esercitato. O'� appena da soggiungere che nel caso all'esame della Sezione non solo � pacifico per ammissione esplicita del Ministero degli Affari Esteri (lettera 21 marzo 1961) che non fu redatta una relazione scritta per indicare i motivi di servizio che avrebbero dovuto giustificare il provvedimento di collocamento a riposo ma non risulta neanche che la situazione per cui � questione abbia formato oggetto di esame in sede di Oonsiglio dei Ministri, n�, a fortiori, se la deliberazione del Oonsiglio dei Ministri sia stata adottata previa valutazionedelle ragioni di servizio. Al fine di accertare se, in seno al Consigli.o� dei Ministri, la proposta del � �Ministro degli Affari Esteri fosse stata considerata, la Sezione ritenne opportuno chiedere interlocutoriamente che fossero svolte indagini presso la Presidenza. del Oonsiglio dei Ministri per acquisire atti & documenti concernenti la deliberazione relativa al ricorrente dott. Talamo. L'Amministrazione degli Affari Esteri e la Presidenza del Oonsiglio dei Ministri invitate a dare �delucidazioni al riguardo, non hanno fornito i chiarimenti richiesti. A questa giurisprudenza, ormai costante, sar� opportuno che Z'Amministrazione si adegui, anche se, in certi casi, da una esposizionescritta dei motivi di servizio, certo �insindacabili nel merito, possa derivare pregiudizio morale agli. interessati. MW MW ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE CORTI DI MERITO COMPROMESSO ED ARBITRI -Lodo Arbitrale Correzione -Compito del Pretore. Lodo arbitrale -Correzione -Dichiarazione degli arbitri posteriore al deposito del loro -Valore. (Ordinanza 26 ottobre 1961 -Pretore: CaJt,anissetta; Est.: D'Orto -Falzone c. Assessorato Regionale Foreste. Il Pretore, per correggere un lodo arbitrale, deve rendersi conto che effettivamente l'errore lamentato sia conseguenza di una svista, di una dimenticanza, di una distrazione, di uno sbaglio aritmetico, per cui la somma ottenuta sia espressa inesattamente rispetto al processo logico del giudizio, che l'ha determinata e non piuttosto di un vero e proprio errore di fatto, emendabile solo con i normali mezzi di impugnazione. Il Pretore, in sede di correzione di lodo arbitrale, non pu� tener conto di un documento formato e sottoscritto dagli arbitri in epoca posteriore al deposito del lodo, semprech� tale atto non giovi esclusivamente a chiarire e ad interpretare la volont� dei medesimi espressa ed estrinsecata nel lodo; nel qual caso il documento in questione va pr~so in esame e conserva pieno il suo valore come mezzo di interpretazione della volont� degli arbitri. Una singolare questione in materia di correzione di lodo arbitrale si � presentata all'esame del Pretore di Caltanissetta. Riteniamo pertanto utile riportarne la motivazione, che esprime chiaramente i termini della vertenza e minuziosamente si intrattiene su un argomento che in verit� non ha trovato in dottrina adeguata tratta zione; �Per la sistemazione idraulico-forestale del bacino montano del Salito, l'Ispettorato delle Foreste di C�ltanissetta, in base alla legge 12 febbraio 1955 n. 12, redasse in data 15 settembre 1958, il relativo progetto con il quale si previde la espropria dei terr;:ini da rimboschire, comprendendovi in essi i terreni di propriet� dei sigg. Falzone Leonardo, Lorenzo, Beniamino e Cataldo, in contrada Mistigaruft, territorio di San Cataldo. Non essendosi raggiunto l'accordo suUa indennit� dovuta ai suddetti Falzone, si procedette, in conformit� a legge, alla costituzione di un collegio arbitrale, composto dal dott. Romano Domenico, dal perito agrario Sollima Roberto e dall'ing. Eutera Salvatore. Il collegio arbitrale, in data 20 giugno 1960, emise il dolo, che venne depositato nella cancelle\ ria di questa Pretura il 25 giugno 1960 e reso esecutivo da questo Pretore in data 28 giugno 1960. Con tale lodo si determin� la indennit� in lire 28.570.000. Avverso tale determinazione hanno fatto ricorso i sigg. Falzone, sostenendo che il Collegio arbitrale era incorso in errori puramente materiali, eliminati i quali la indennit� risultava ascendere a lire 33.704.825. Hanno precisato i ricorrenti che il collegio degli arbitri aveva ricavato la indennit� di lire 28.570.000 dalla media di due valori desunti rispettivamente dalla stima per prezzi unitari e dai redditi ritraibili dai fondi in questione, valori determinati rispettivamente in lire 29.422.520 e in lire 27 .929.250. Ora su quest'ultimo valore non vi era nulla da eccepire, mentre in merito al primo il Collegio arbitrale era incorso in una serie di errori di calcolo che venivano esattamente indicati e corretti, facendosi l'esatto valore a lire 39.480.200. Conseguiva da ci� -sempre a parere dei ricor renti -che si sarebbe dovuto ricavare la indennit� della media dei valori di lire 27.929.250 e di lire 39.480.200, e cio� in lire 33.704.825, somma questa che costituiva appunto la giusta indennit� da cor rispondersi a lorn. Alla correzione del lodo di che trattasi si � op posta l'Amministrazione regionale delle Foreste, la quale, pur ammettendo che gli arbitri, nel deter minare il valore dei terreni col metodo della stima analitica, erano incorsi in alcuni errori di calcolo, ha negato che la stima finale dei terreni sarebbe stata quella voluta dai ricorrenti, ove dell'errore di calcolo gli arbitri si fossero accorti. Ha osservato poi l'Amministrazione convenuta che, in sostanza, l'incontestabile errore, anzich� viziare la volont� del Collegio, favor� la formazione di quella volont�, la quale si era estrinsecata nel dispositivo, in cui si leggeva: �Pertanto il Collegio arbitrale ritiene equo che l'indennit� di esproprio da corrispondere ... sia di lire 28.570.000;' � e a conforto di tale assunto ha prodotto una dichiara zione sottoscritta da tutti gli arbitri e datata 1() gennaio 1961. Premesso quanto sopra per una migliore intelligenza della fattispecie e per una pi� chiara impostazione dei problemi che si presentano all'esame del decidente, tenuto conto dei rispettivi e contrastanti assunti delle parti, � da aggiungere che tali problemi sono in ordine logico i seguenti: 1) Effettiva esistenza o meno dei lamentati errori in senso al lodo arbitrale; 2) Se questi errori, una volta ammessane lB.tll F lB.tll F -48 la esistenza, siano da considerarsi semplici errori materiali oppure errori, che, pur essendo di calcolo, involgano un vizio nel procedimento logico della . decisione; 3) Se, per una pi� esatta soluzione del precedente qnesito, possa farsi riferimento ad un att� degli arbitri, formato e sottoscritto in epoca posteriore alla dichiarazione di esecutoriet� del lodo, al fine di precisare la loro volont�; 4J Se, infine, possa farsi luogo alla chiesta correzione del lodo. Orbene che. gli errori di calcolo denunciati esi stano no~ pu� revocarsi in dubbio. I ricorrenti li hanno specificatamente indicati, annotando accanto alla cifra media ottenuta dagli arbitri la cifra esatta, risultata sempre di importo superiore . alla prima; i calcoli operati dai ricorrenti non hanno una grinza. . Peraltro, l'Amministrazione convenuta ha pie namente riconosciuto la esistenza dei suddetti er rori di calcolo. .A. questo punto occorre, quindi, subito doman darsi se basti ci� perch� si possa dar luogo al pro cedimento di correzione, sostituendo ad uno dei due termini numerici (metodo della stima analitica), da cui gli arbitri hanno voluto desumere la misura della indennit�, il termine esatto. I ricorrenti hanno sostenuto che al giudice della correzione non incombe altro compito che quello di accertare l'errore -sbaglio e di ovviarvi cor reggendolo, altrimenti egli porterebbe il suo esame, non sulla materialit� dell'errore da correggere, ma su questioni di merito che gli sono precluse e che, concernendo un preteso errore di giudizio, avreb bero dovuto proporsi, semmai, col procedimento di impugnazione. Tali affermazioni non hanno alcun fondamento, in quanto se � vero che in sede di. correzione degli errori materiali non si tratta di impugnare il giu dizio del magistrato n� la sua attivit� ma solo di far corrispondere la espressione materiale della sentenza a ci� che il giudice volle dire o fare e, di. conseguenza, non possono proporsi attraverso il detto procedimento questioni di merito (cf;. Oass. 19 febbraio 1943, n. 399 e Oass. 26 febbra10 1943 n. 457), � altrettanto vero che il giudice della correzione, onde provvede~vi, deve esaminare ed accertare non solo che esista l'errore lamentato e che questo errore sia materiale o di calcolo, ma altres� che l'errore, anche se materiale o di cal colo non sia risolto in una inesatta valutazione giurldica o in un vizio logico della motivazione (cfr. Oass. 7 ottobre 1954, n. 3382; Oass. 8 ottobre 1954, 'n. 3438; Oass. 20 aprile 1955, n. 110_5; Oass. 28 gennaio 1958, n. 215, Cass. 26 genna10 1960, n. 84). Oosicch� l'indagine del magistrato, lungi dallo essere semplicisticamente automatica -come assumono i ricorrenti -� pi� complessa e pi� seria. N� si dica che cos� facendo il giudice invada un campo che, nella specie, gli � precluso, perch� � necessario che egli si renda conto che effettivamente l'errore lamentato sia conseguenza di una svista, di una dimenticanza, di una distrazione, di uno sbaglio aritimetico, per cui la somma ottenuta sia espressa inesattamente rispetto al processo logico del giudizio, che l'ha determinata e non. piuttosto di un vero e proprio errore di fatto, emendabile solo con i normali mezzi di impugnazione . In una parola, nel caso che ci occupa, � necessario rifarsi alla volont� degli arbitri, desumendola innanzitutto del tenore letterale e dallo spirito del lodo. A tal uopo � opportuno premettere un duplice ordine di considerazioni e cio�: .1) Non esiste una norma legislativa che imponga, per ottenere il giusto valore di un terreno, di. mediare il valore ottenuto secondo il metodo della stima analitica con quello ottenuto secondo il metodo della stima per prezzi unitari, ossia secondo il valore attribuito a terreni analoghi in precedenti contrattazioni. 2) Atteso che il valore venale di un terreno (la cui determinazione era il compito degli arbitri) non pu� che essere uno, � evidente che i vari metodi di stima da usare debbono dare valori quasi uguali. Perch�, ove un metodo (nella specie, quello della analisi della produttivit�) dia un valore che non trova alcuna corrispondenza sul mercato, allora � certo o che il metodo � errato o che errati sono i presupposti di fatto sui quali il metodo stesso si � applicato. La verit� di tale ultima considerazione si deduce dalla stessa espressione usata dagli arbitri nel testo del lodo, ove essi affermano che i risultati secondo il sistema analitico �verranno controllati con la stima per prezzi unitari, secondo i prezzi attribuiti, cio�, nelle terre pi� vicine o, comunque, analoghe, nelle pi� recenti contrattazioni di compravendita, a terreni simili per caratteri fisici ed economici a quelli di cui ci si occupa �. Da ci� si desume che se gli arbitri non fossero . incorsi nei lamentati errori di calcolo ed avessero quindi trovato, quale valore dei terreni, secondo la stima analitica, quello esatto di lire 39.480.22, superiore di oltre 11 milioni al valore ottenut.o per prezzi unitari (L. 27.929.250), � evidente che essi si sarebbero accorti che una delle due stime non era aderente alla realt� delle cose e cio� in definitiva� .. al giusto prezzo della cosa espropriata al tempo della espropriazione �, e quindi, doveva essere necessariamente sbagliata e non media.bile con l'altra stima. E siccome la stima per prezzi unitari si era basata su d�cumenti ineccepibili (altri lodi e compravendite effettuate dalla stessa Amministrazione nella zona) mentre quella per analisi era partita dalla presunzione (probabili redditi ritraibili dai terreni in base a un bilancio basato sui risultati economici della produzione), ecco che sarebbe balzata evidente la erroneit� di quest'ultima stima. Ma fu proprio l'errore di calcolo commesso a non fare balzare evidente l'erroneit� della stima analitica, onde gli arbitri, avendo ottem~to. due valori pressocch� uguali (lire 29.22.520 contro lire_ 27.929.250) ritennero equo di determinare l'indennit� di espropriazione mediando i due valori. Disconoscendo ci�, i ricorrenti hanno ulteriormente sostenuto che l'Amministrazione convenuta -49 ha accettato il lodo arbitrale per quello che era, senza impugnarlo e senza recedere dalla espropriazione, per cui, se il lodo medesimo conteneva degli errori di calcolo non restava altra via che correggerli. Ma tale ragionamento pu� ritorcersi proprio contro i ricorrenti. Invero � pacifico in dottrina e in giurisprudenza che l'istituto che tradizionalmente prende il nome di �correzione delle sentenze �, al quale apertis verbis si riferisce l'art. 826 O.p.c. non comprende nelle sue ipotesi n� il vizio della volont�, n� l'errore di giudizio e neppure l'errore di forma, difetti questi che danno materia alle varie impugnazioni disciplinate dal codice di rito. Si tenga presente che il nostro legislatore ha mantenuto l'istituto negli stretti confini che gi� aveva per l'art. 473 del codice del 1865; � pertanto escluso che attraverso lo stesso possa aver luogo quella funzione integratrice e riparatrice che � ammessa negli ordinamenti a tipo tedesco e, pi� specificatamente, che attraverso la pretesa correzione dell'errore materiale o di calcolo si giunga ad una pi� o meno inavvertita modificazione della sostanza. In particolare l'errore di calcolo ha carattere matematico; siamo nel campo classico 2 + 2 = 5; tuttavia � essenziale che la sua rettifica non alteri i termini logici e giuridici del conto. Sta proprio qu� ilpunctum saliens della questione L'errore materiale (o di calcolo) nelle sentenze consiste nella esteriore manifestazione del pensiero e della volont� del giudice non corrispondente alla realt� del pensiero e delfa volont� stessa. Se invece l'errore si � insinuato nella elaborazione del pensiero o nella formazione della volont� non pu� ravvisarsi errore materiale ma vero e proprio errore sostanziale, deducibile con gli ordinari mezzi di gravame. Ora, poich�. nella fattispecie per i motivi gi� illustrati pi� sopra, la correzione dello errore di calcolo rilevato dai ricorrenti verrebbe a modificare il lodo non nel senso voluto dagli arbitri (ma erroneamente espresso), bens� in senso contrario alla loro volont�, � evidente che non ci troviamo di fronte ad uno dei casi per i quali possa ammettersi la procedura di correzione. L'errore, nel nostro caso, poteva essere emendato con i mezzi di impugnazione ordinaria e non con la semplice correzione della sentenza, trattandosi di dovere modificare, oltre la motivazione del lodo, anche il dispositivo contenente una pronuncia volutamente sorretta dalla motivazione stessa. Ohe ci� sia vero � dimostrato dall'atto sottoscritto dagli arbitri � prodotto nel fascicolo dell'Amministrazione convenuta, in cui i detti arbitri, nel confermare, secondo l'equit� del giudizio espresso nelle conclusioni del lodo, l'indennit� dovuta agli espropriati in lire 28.576.000, hanno dichiarato di avere adottato assieme al metodo di stima per prezzi unitari di mercato anche quello per capitalizzazioni di redditi soltanto per un controllo e che se si fossero accorti degli errori materiali, che alternavano il valore intrinseco dell'immobile con un aumento di circa lire 10.000.000, non avrebbero potuto ritenere valido ricavato con quest'ultimo metodo e hanno aggiunto di potere asserire con giustizia ed equit� che l'indennit� di espropria zione stabilita nel lodo sia rispondent� al valore� di mercato, che hanno i terreni della zona. Si obietter� che a tal documento non pu� riconoscersi alcun valore, essendo pacifico che, una. volta depositato il lodo, gli arbitri cessano. da ogni loro funzione e le attivit� da loro svolte e i documenti da loro sottoscritti successivamente a questa. data, sia pure riferentisi al lodo arbitrale da essi pronunciato, non hanno influenza sia in un eventuale giudizio di correzione, a sensi dell'art. 826 O.p.c. sia in sede di integrazione, a sensi degli artt. 827 e segg. O.p.c. Tuttavia, in proposito, non pu� disconoscersi; che, mentre in via ordinaria la correzione dell'errore � demandata allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza (art. 287 O.p.c.), la correzione� della sentenza arbitrale, non potendo essere effettuata dallo stesso Collegio, che ha pronunciato� il lodo e che � definitivamente svestito di poteri dopo il deposito del lodo medesimo, va richiesta,. unica deroga al sistema, ad un giudice diverso:: il Pretore, Orbene, pur senza accogliersi l'opinione� di qualche autore, il quale ha ritenuto doversi integrare il richiamo fatto dall'art. 826 test� citato� agli artt. 287 e 288 O.p.c. con l'obbligo per il pretore di sentire non solo le parti ma anche gli arbitri,. dalle cui dichiarazioni si assume non potersi prescindeere in sede di correzione di errori materiali contenuti nel lodo da essi deliberato e redatto e, doversi, pertanto, integrare in tal senso la grave, lacuna di una norma che assegna il compito di correzione ad un giudice diverso, da quanto sopra consegue che, al fine di individuare la esatta volont�. degli arbitri decidenti, non si pu� non tenere conto. di un atto, che niente innova di quanto si era in: precedenza fatto e stabilito e che, tuttavia, costituisce una vera e propria interpretazione autentica. del lodo. In una parola, di un documento formato e sottoscritto dagli arbitri in epoca posteriore al deposito del lodo e alla dichiarazione di esecutoriet� dello stesso, non pu� tenersi alcun conto, sempre� che tale atto non giovi esclusivamente a chiarire� e ad interpretare la volont� dei medesimi espressa. ed estrinsecata nel lodo; nel qual c::i,so il documento� in questione va preso in esame e conserva pieno il suo valore come mezzo di interpretazione della. volont� degli arbitri. Sarebbe, invero, quanto mai strana ed illegittima la correzione di una decisione, che gli arbitri stessi riconoscono come volont�. Per concludere, nel caso che ci occupa si � dimostrato che non si tratta di errore materiale o di calcolo emendabile con la procedura prevista dagl� artt. 287 e 288 O.p.c., bens� di errore emendabile solo con i normali mezzi di impugnazione, ess�ndosi esso risolto in un vizio nella formazione della. volont� degli arbitri; si � altres� dimostrato, attraverso l'esame del documento pi� volte citato, che la volont� dei detti arbitri era proprio quella di assegnare agli espropriati la somma di lire 28.576000 quale giusta indennit� di espropriazione, e che la correzione del dispositivo della sentenza arbitrale __ andrebbe proprio contro il preciso convincimento del Collegio degli arbitri, espresso secondo equit�. Pertanto la domanda di correzione della sentenza. arbitrale di che trattasi va rigettata. F1 &fW= ~: F1 &fW= ~: ~50 I rilievi e gli argomenti del Pre,tore, meritano pieno consenso. Invero � da rilevare come la giurisprudenza e la dottrina hanno sempre sostenuto che la correzione deve avere ad oggetto una svista del giudice (e si portano ad esempi l'omessa sottoscrizione, l'omessa intestazione e simili). Pertanto � stato sempre ritenuto che non sono oggetto di correzione gli errori, anche materiali, che siano conseguenza di una inesatta valutazione giuridica o di un vizio logico della motivazione, ma soltanto quelli che siano conseguenza di 1una svista del giudice nella compilazione della sentenza (e non gi� quindi nel procedimento logico della decisione), di una dimenticanza o di una distrazione del giudice stesso. Quindi l'errore materiale o di calcolo non pu� dar luogo ad istanza di correzione quando consiste in un vizio della motivazione. L'errore nel nostro caso poteva andare emendato con i mezzi di impugnazione ordinaria e non con la semplice correzione della sentenza trattandosi di dovere modificare oltre la motivazione del lodo, anche il dispositivo contenente una pronuncia volutamente sorretta dalla motivazione stessa. (V. Rassegna di giurisprudenza sul cod. proc. civ., editore Giuffr�, sub. art. 287 n. 5 e 6 art. 823 n. 3). Sull'argomento v. VECCHIONE (L'Arbitrato, pag. 359), il quale, dando atto dell'assoluto silenzio della dottrina e della giurisprudenza, ritiene che il Pretore dovrebbe aver l'obbligo di sentire non solo le parti, ma anche gli arb�tri dalle cui dichiarazioni non si dovrebbe prescindere in sede di correzione del lodo da essi redatto. IMPOSTA DI REGISTRO -Vendita della nuda pro� priet� e costituzione di usufrutto -Inapplicabilit� a questa dei benefici dell'art. 17 della legge 2 luglio 1949, n. 408. (Corte di appello di Napoli, III sezione, 16 febbraio 1962, n. 270, causa Proto c. Amministrazione delle Finanze. �Il beneficio della riduzione dell'imposta di registro previsto dall'art. 17 della legge 2 luglio 1949, n. 408 (legge Tupini) non si applica alla costituzione di usufrutto �. La sentenza che qui 'si considera risolve una questione sit cui in senso difforme si pronunci� la Oommissione centrale delle imposte in due decisioni {001p,m. centr. 12 febbraio 1959, n. 13215 in Riv. leg. ti.se., 1960, 415 e �3 luglio 1959, n. 18835 in Riv. leg. ti.se., 19 O, 1429), le quali per ragioni .diverse non ebbero un seguito davanti alla Autorit� Giudiziaria. In precedenza sulla stessa questione si era pronunciato il Tribunale di Napoli con due sentenze, l'una favorevole alla tesi dell'Amministrazione (Trib. Napoli, I sezione, 29 aprile 1959, n. 2311 nella medesima causa Proto-Finanze), l'altra, avverso cui � tuttora in trattazione l'appello, favorevole alla tesi dei contribuenti (Trib. Napoli, I Sezione, 17maggio1961 in causa Azzone-Finanze). La questione si pone ed � stata risolta nei termini che chiaramente si evincono dalla massima riportata; il punto centrale consisteva nel significato da attribuire all'espressione �trasferimento di case�, contenuta nella legge agevolatrice. La Oommissione centrale delfr imposte nelle richiamate decisioni aveva ritenuto che il termine trasferimento cos� come genericamente adoperato va riferito a qualsiasi diritto reale che abbia per oggetto una casa di abitazione e che da un soggetto venga trasmesso ad un altro, discostandosi non solo da altra sua precedente decisione (Gomm. centr. 13 marzo 1953, n. 45830 in Riv. leg. ti.se., 1954, 815), ma pure, peraltro con ampia motivazione critica, da una pronuncia della Oassazione, con la quale riconoscendosi espressamente il carattere innovativo della legge regionale siciliana 28 aprile 1954, n. 11, a proposito dell'art. 10 della legge regionale siciliana 18 gennaio 1949, n. 2, si risolveva questione del tutto analoga a quella, di cui si tratta (Gass., sez. I, 22 luglio 1958, n. 2664, in Mass. Foro it., 1958. col. 540). La Oorte di appello di Napoli, in perfetta adesione a quanto sostenuto dalla difesa dell'Amministrazione, premetteva che un beneficio, concretandosi in una parziale esenzione di imposta, pu� essere riconosciuto soltanto nei precisi limiti voluti dal legislatore e risultanti dalla stessa lettera della legge; quindi, rifacendosi alla citata sentenza della Oorte di Oassazione, le cui statuizioni erano state ampiamente illustrate dalla difesa dell'Amministrazione, e riconoscendo, in difformit� di quanto era stato sostenuto dalla difesa dei contribuenti sulla base dell'uso in parte diverso delle parole, la identit� delle situazioni contemplate nella legge regio nale siciliana n. 2 del 1949 (dove pur facendosi riferimento a �compravendite� di appartamenti si limitava il beneficio al primo �trasferimento �) e nella legge di cui si tratta (dove facendosi riferimento ai �trasferimenti � di case si limita variamente la agevolazione per la �vendita� dei negozi), perveniva alla conclusione indicata nella massima. La sentenza merita piena ed incondizionata adesione. Innanzitutto, nonostante un orientamento aff�o rato in talune pronunzie giurisprudenziali (v. per tutte, Oass. 22 ottobre 1959, n. 3030 in Mass. foro it. 1959, col. 570), il quale appare piu che non sia contrario, sembra da sostenersi che le norme age volatrici esigano una interpretazione aderente alla lettera della disposizione. Gli stessi fautori della tesi secondo cui � possibile un'interpretazione esten siva e finanche analogica delle norme tributarie ritengono tuttavia che �nelle disposizioni le quali stabiliscono esenzioni tributarie e particolari facili tazioni tributarie per il contribuente, condizionate alla ricorrenza di ,presupposti di fatto, tassativa mente indicati e che devono quindi verificarsi nei precisi termini, nei quali li ha previsti il legislatore affench� il contribuente possa usufruire del beneficio, � evidente che l'interprete � legato alla lettera della legge (GIANNINI; Ist. di dir. trib.;� Milano, 1960, p. 27) e non pu� esimersi dal considerare la -n�tura eccezionale della legge agevolatrice (v. pure art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale). Le norme di cui la specie imponeva l'interpretazione apparte -51 nevano ovviamente a quest'ultima categoria ed era pertanto alla lettera della legge che bisognava por mente ed era in quest'ordine di idee che le norme :stesse andavano esaminate. E del resto � anche' in perfetta aderenza logica che norme di tal genere siano rigorosamente interpretate. Lo Stato rin.uncia alla percezione totale o parziale del tributo in vista di determinate finalit� e per ci� con la verificazione di ben circoscritte situazioni di fatto, mancando le quali risorge nella sua intierezza l'obbligo tributario. E chiaro, poi, che l'atto con il quale vengono trasferite le propriet� e costituito l'usufrutto, sia pure come nella specie rispettivamente a Tizio ed in favore del di liti figlio minore rappresentato dallo stesso Tizio, comporti sostanzialmente due distinti negozi, ciascuno dei quali � sottoposto a tassa come se formasse un atto distinto (art. 9 primo comma della legge fondamentale del registro). Orbene, intanto, la �costituzione � di usufrutto non � un �trasferimento �, giacch� prima non esi: steva come diritto autonomo e l'imposta di registro, che come si � ricordato colpisce i singoli negozi, non pu� non applicarsi nella sua intierezza alla �costituzione � di usus/rutto in nessun modo pr�sa in considerazione dalla legge agevolatrice. N � varrebbe obbiettare� che la costituzione di usufrutto � colpita come atto traslativo dall'imposta di registro, in quanto l'imposta di registro, non essendo nominativamente prevista nella legge relativa e nelle tariffe allegate la �costituzione� di usufrutto, n� d'altra parte integrando un trasferimento, la colpisce come atto traslativo in considerazione del disposto dell'art. 8, comma secondo, della stessa legge, secondo cui �un atto che per la sita natura e per i suoi effetti �.. . risulti soggetto a tassa ... ma non si trovi nominativamente indicato nella tariffa � soggetto alla tassa stabilita dalla tariffa per l'atto col quale per sua natura e per i suoi effetti ha maggiore analogia�. L'espressione �trasferimento� di case da intendere quindi nel suo significato comune non pu� che riferirsi, giusta quanto ebbero a rilevare i giudici di primo grado della causa in questione, al diritto di propriet�, siccome a quello rispetto a cui suole nelle fonti legislative usarsi come .sinonimi il diritto ed il bene che ne forma .oggetto, senza che siano consentite ingiustificate interpretazioni delle norme tributarie, specificamente dettate peraltro in rapporto alla valutazione dello 'Usufrutto (artt. 19 e 21 della legge fondamentale del registro e artt. 23 e 24 della legge fondamentale .sull'imposta di successione). Anzi proprio in base all'art. 21 della legge fondamentale del registro ~< poich� (J_uesta considera la piena propriet� come fine ultimo della compravendita sia pure attraverso 'Un'eventuale intermedia costituzione di usufrutto (la quale in ultima analisi non � che una limitazione di utilit�) e poich� il valore della nuda propriet� 'Viene assunto come solo imponibile provvisorio in attesa di stabilire quello globale definitivo al momento della riunione dell'usufrutto� si � stimato giusto �che il favore tributario si indirizzi interamente a tale oggetto e non venga disperso in negozi intermedi ai quali la legge agevolatrice in questione deve ritenersi indifferente� (Oomm. centr. 13 marzo 1953, <lit.). D'altra parte, la ratio della norma, di cui si tratta, 'in quanto diretta a favorire l'acquisto della propriet� di una casa non potrebbe consentire la estensione della norma stessa alla costituzione di un di�ritto di godimento, che � Msa diversa e rappresenta in un certo senso addirittura un ostacolo a quell'acquisto, cui si perverr� solo nel futuro, .in modo quindi giuridicamente ed economicamente diverso, ci� che non pu� non essere rilevante pure perch� potrebbe restar concentrata nelle mani degli imprenditori la propriet� degli immobili frustrandosi cos� almeno in parte l'altro scopo della legge agevolatrice, che � quello di incrementare le nuove costruzioni da parte degli imprenditori medesimi. N� varrebbe per ci� obbiettare che il beneficio dovrebbe accordarsi alla costituzione di usufrutto solo quando contestualmente si trasferisse ad altri la nuda propriet� (come si legge nella citata sentenza in causa Azzone-Finanze), giacch� cos� ragionando oltretutto si farebbe di un elemento meramente accidentale, quale quello della contestualit� della vendUa a altri, una imprevista condizione dell'agevolazione. Infine, a tutto ci� la sentenza annotata aggiunge; �n� ha infiuenza alcuna l'osservazione che in definitiva col trasferire la nuda propriet� e l'usufrutto si trasferisse in sostanza la yiena propriet� scissa nei suoi elementi, al pari di un trasferimento dei due di1�itti ad una stessa persona�, giacch�, �infatti in caso di trasferimento della piena propriet� n�, la legislazione fiscale n� quella comune prendono in esame i singoli elementi in cui essa pu� scomporsi e se ci� venisse fatto dai contraenti la circostanza sarebbe irrilevante in quanto come ripetutamente sancito dalla giurisprudenza del Supremo collegio non � possibile concepire un usufrutto su cosa propria, dato che il nostro diritto positivo non ammette la figura dell'usufrutto casuale, spettante cio� al propriet�rio, e quindi non consente che un soggetto possa essere nel contempo proprietario ed usufruttuario della medesima cosa�. BENEDETTO BACCARI IMPOSTA DI REGISTRO -Aliquote ridotte previste nella Tabella All. D -Autenticazione delle firme da parte del Notaio. -Inapplicabilit� del beneficio. IMPOSTA DI REGISTRO-Patto di riservato dominio -EsclusiOne della aliquota ridotta ex art. 45 tabella IMPOSTA DI REGISTRO -Tassa di enunciazione Solidariet� tra tutte le parti anche se estranee all'atto enunciato. (Tribunale Caltanissetta, 13 gennaio 1962 -Pres.: Scarpinato; Est.: Grasso-Verdura c. Finanze). Il trattamento di favore previsto dagli artt. 44 e 45 della tabella allegata D alla legge di registro non si applica quando le firme dei contraenti sono state autenticate da un notaio. Per la norma contenuta nella nota �inarginaJe .. all'art. 45 della tabella allegato D sono escluse dall'esenzione e quindi rimangono soggette dalla origine al trattamento tributairo delle scritture private ordinarie, le vendite di merci che conten -52 gono il patto di riservato dominio quando il prezzo sia pagabile in un termine superiore a sei mesi. In base all'art. 93 della legge di Registro, tutte le parti intervenute nella formazione di un contratto sono fra loro solidalmente obbligate al pagamento dell'imposta, anche relativamente alle convenzioni enunciate che riguardano solo alcuni dei contraenti. Nei sensi di cui alla prima massima si era espressa la Commissione� Centrale con decisione 17 novembre 1958, .n. 9752 (in Riv. Leg. Fisc., 1960, 807), ove si osservava che l'art. 45 tabella D non pu� applicarsi quando le scritture private o sono auten ticate da pubblico ufficiale ovvero sono soggette ad approvazione, perch� in questa ipotesi l'intervento di una pubblica autorit� le sottrae alla correntezza commerciale e le trasferisce tra gli atti soggetti a registrazione in termine fisso. Il Tribunale ha poi ritenuto che il patto di riservato dominio costituisca una garanzia reale, analogamente a quanto aveva ritenuto la Commissione Centrale nella decisione 2 maggio 1958, n. 4570 (in Riv. Leg. Fisc., 1959, 748). Per qu�nto concerne la terza massima, si ricorda come le SS. UU. della Cassazione 18 maggio 1955 (in Foro Padano, 1955, I, 1268) avevano ritenuto la solidariet� di tutte le parti contraenti anche rispetto alle convenzioni alle quali qualcuna sia rimasta estranea. In senso piu specifico, e cio� per l'estensione della solidariet� anche per le convenzioni enunciate si era espressa la Cassazione, Roma, 22 dicembre 1900 (in Massime 1901, 8) richiamata dal BERLIRI (Le Leggi del Registro, ed 1960, p. 450), che vi presta completa adesione. � Nella fattispecie il Tribunale ha ritenuto responsabile solidalmente il venditore p6r la tassa di nunciazione di una societ� di fatto tra gli acquirenti di una macchina da cinema, societ� di fatto che � risultata appunto dall'acquisto in comune di siffatto macchinario con elezione di domicilio presso i locali di esercizio. RESPONSABILITA' CIVILE-Fatto considerato dalla legge come reato -Prescrizione del diritto al risar cimento del danno. -Ipotesi di danni estranei alla fattispecie criminosa. (Tribunale di Firenze, sezione I civile, 3 luglio 1961 -Pres.: Calamari; Est.: De Biase - Giuntini c. Nutini e Amministrazione Difesa Esercito). �Quando da uno. stesso fatto (nella specie, collisione di veicoli) nascono due eventi, uno dei quali costituente illecito penale (lesioni colpose), e l'altro mero illecito civile (danni ai veicoli), il pi� lungo termine di prescrizione stabilito dal 30 comma dell'art. 2947 c. c. per il fatto considerato dalla legge come reato non � applicabile anche al risarcimento del danno derivante dall'illecito civile. �Ove per� la persona che abbia subito il danno di mera rilevanza civile sia lo stesso soggetto pas sivo del reato, la prescnz10ne del suo diritto al risarcimento di tutti i danni patiti � soggetta alla disciplina dell'art. 2947, 3� comma�. L'a,rt. 2947 O.e., dopo a.ver stal>ilito, nei primi due commi, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito (di regola, cinque anni; due, se si tratta di danno� prodotto dalla circolazione dei veicoli), dif!pone, nel terzo comma, che �in ogni caso, se il fatto � considerato dalla legge come. reato e per il reato � stabilita una prescrizione pi� lunga, questa si applica anche� all'azione civile. Tuttavia, se il reato � estinto per causa diversa dalla prescrizione o � intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto� al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi d1be commi, con decorrenza dalla. data di estinzione del reato o dalla data in cui lro sentenza � divenuta irrevocabile �. Com'� noto, l'interpretazione di questa dispos-izione,. in apparenza chiarissima, ha dato luogo a varie� difficolt�. Particolarmente interessante � la questione� affrontata nella sentenza sopra riprodotta. �Accade piuttosto frequentemente, specie in casodi scontro fra veicoli, che dalla condotta colposa di un soggetto derivino pi� eventi, alcuni dei quali (ad esempio, lesioni o morte di un'altra persona) integrino la fattispecie di un reato, mentre altri (distruzione o deterioramento di cose) rimangano� penalmente indifferenti, dando luogo esclusivamente: alla sanzione privatistica del risarcimento del danno. In queste ipotesi, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno patrimoniale conseguente allelesioni o alla morte � certamente soggetta alla disciplina dell'art. 294 7, 3� comma. Dubbio � invece se la medesima disciplina possa applicarsi anche al risarcimento dei danni penalmente irrilevanti causati da quellastessa condotta che costituisce elemento del reato di lesioni o di omicidio colposo. La giurisprudenza, in passato alquanto incerta (1), sembra ormai essersi consolidata nel senso indicato dalla Oassazione nella sentenza 25 maggio 1957, n. 1905 (2)~ I princ�ipi accolti dalla Suprema O orte, e fatti propri integmlmente dalla sentenza annotata, possono cos� riassumersi: di massima, il diritto al risarcimento del danno patrimoniale inerente alloevento penalmente irrilevante si prescriverebbe nei termini normali previsti nei primi due commi del (1) Cfr., per l'applicabilit� dell'art. 29433: App. Trento� 1� marzo 1957, in Foro it. Rep. 1957, voce � Prescrizione '" 96; App. Brescia, 25 maggio 1955, in Giust. civ. Rep. 1955, voce cit., 25. Oontra: Trib. Novara, 6 dicembre 1956, in Foro #. 1957, I, 1420; Trib. Genova, 24 gennaio 1955, in Foro pad. 1956, I, 800. (2) In Foro it. 1957, I, 1420. Cfr. anche: Cass. 4 maggio 1960, n. 992, in Giust. civ. 1960, I, 1348. Fra le sentenze di giudici di merito che si sono uniformate. all'indirizzo della Cassl}zione cfr.: Trib. Bologna,--11. .marzo 1958, in Arch. resp. civ. 1958, 242; Trib. Parma, 27 giugno 1958, in Temi 1959, 155; Trib. Genova, 13: aprile 1959, in Riv. it. dfr. proc. 'pen.. 1960, 329. Contra: App. Napoli, 13 maggio 1958, in Mon. trib. 1958, 912. -53 'art. 294 7. Non sarebbe infatti sufficiente, per la applicazione del terzo comma, la circostanza che q_uell'evento sia stato causato dalla medesima condotta dalla quale siano derivati anche altri effetti integranti una fattispecie criminosa. Ove per� il danneggiato per l'illecito meramente civile sia lo stesso soggetto passivo del reato, la prescrizione del suo diritto al risarcimento di tutti i danni subiti, tanto q_uelli inerenti al reato, quanto quelli estranei alla fattispecie criminosa, sarebbe sempre soggetta alla disciplina dell'art. 2947, 3� comma. Questo indirizzo giurisprudenziale non sembra meritevole di approvazione. Intanto, si rileva a prima vista l'incongruenza e l'assoluta arbitrariet� della distinzione che vorrebbe introdursi fra l'ipotesi in cui il soggetto passivo del reato e la persona danneggiata dall'illecito civile eoincidano e l'ipotesi inversa. La disciplina. dettata dall'art. 2947, 3� comma, non ammette discriminazioni quoad personam. Nella considerazione della legge non entra minimamente la persona del danneggiato. Unico elemento rilevante � la qualificazione criminosa del fatto dannoso (salvo vedere cosa esattamente debba intendersi -per �fatto �). Non � perci� consentito all'interprete di elevare a momento determinante dell'applicabilit� o meno della norma circostanze relative a,d elementi diversi, del tutto estranei a ci� ehe costituisce il fondamento e lo scopo della disposizione. Se si accoglie il principio dell'applicabilit� dell'art. 294 7 alle sole ipotesi in cui il fatto costitutivo dell'obbligazione di risarcimento coincida totalmente con il fatto -reato, si deve coerentemente riconoscere, come ha sostenuto l'Avvocatura nella causa definita con l'annotata sentenza, che anche per i danni estranei al reato subiti dallo stesso soggetto passivo di questo non pu� che applicarsi la prescrizione normale dell'art. 2947, 1� e 20 comma. La rigorosit� logica di questa conclusione � confermata, del resto, dalla stessa giustificazione proposta dalla Cassazione (e�, sulle sue orme, dal Tribunale di Firenze) per la soluzione opposta (1): giustificazione fondata su argomenti di mera convenienza, che rappresentano un vero e proprio sovrapporsi delle vedute personali dell'interprete alla logica oggettiva della interpretazione. La ragione per cui la giurisprudenza � indotta ad abbandonare la rigorosa conseguenzialit� logica della tesi da essa accolta ci sembra evidente; si vogliono evitare conseguenze che urtano contro ovvie esigenze pratiche, si potrebbe dire, contro lo stesso senso comune. Ma ove l'applicazione rigorosa di una certa tesi porta a conseguenze inaccettabili, non ci si pu� sottrarre a (1) �Solo quando la stessa persona riceva dalla medesima attivit� ant,igiuridica una lesione ad un suo bene individuale, che anche la legge penale ltutela, e nel contempo una lesione ad altro bene penalmente non protetto � da ammettere che sia legittimata ad attendere l'esito del processo penale per far valere in un unico giudizio entrambe le pretese riparatorie, non potendo essere obbligata ad instaurare du� giudizi sepa,' . ... , ' '. rati�. queste con arbitrari �distinguo �; si impone piuttosto un riesame del fondamento della tesi stessa. E, in realt�, a noi sembra che l'interpretazione restrittiva dell'art. 2947 accolta in linea di massima dalla giurisprudenza non regga. Gli � argomenti addotti a suo sostegno sono, invero, alquanto corrivi. Il presupposto per l'applicazione della norma, si dice, � che �il fatto sia considerato dalla legge come reato �. Orbene, per �fatto � dovrebbe intendersi la sintesi della condotta colposa o dolosa e dell'evento. Da ci� si argomenta che, nell'ipotesi in considerazione, sussisterebbero tanti �fatti � quanti sono gli eventi, e cio� due; uno (condotta colposa piu lesioni personali o morte) costituente reato; e un altro (stessa condotta piu danni alle cose) costituente mero illecito civile. Soltanto il primo �fatto � rientrerebbe nella previsione dell'art. 2947, 3� comma; al secondo dovrebbe essere applicata invece la disciplina comune. Oome si vede, tutto il ragionamento riposa sulla base, piuttosto fragile, di una certa interpretazione dell'espressione �fatto�. � ben noto, per�, che poche parole come �fatto � assumono nel linguaggio giuridico tanti significati diversi e, a volte, contrastanti a seconda del contenuto e dello scopo delle singole disposizioni che ne fanno uso. Non � quindi possibile stabilire aprioristicamente il valore di quell'espressione e trarne argomento per l'interpretazione dello art. 294 7. Solo una approfondita indagine del contenuto e degli scopi della norma possono condurci a delimitare con rigore i presupposti per la sua applicazione, cio� ad intendere esattamente il significato dell'espressione �fatto considerato dalla legge come reato;> (1). Anticipando la conclusfone cui crediamo si debba pervenire, a nostro avviso la previsione della legge si estende ad ogni ipotesi in cui tutti o alcuni soltanto degli elementi costitutivi del fatto produttivo dell'obbligazione di risarcire il danno siano, al contempo, anche elementi di una fattispecie criminosa. In altre parole, ci� che occorre, a nostro parere, per l' applicazione dell'art. 294 7, 3� comma, � che nel �fatto �, considerato dal punto di vista naturalistico, come un tutto unitario comprensivo della condotta e dei suoi efetti, siano presenti gli elementi di un reato, poco importando, poi, che questi elementi assorbano tutto intero il �fatto� cos� inteso, o invece una sola parte di esso. Verificandosi questo presupposto, il diritt� al risarcimento di tutti i danni inerenti al fatto sar� soggetto alla prescrizione stabilita per il reato, tanto se si tratti dei danni afferenti allo stesso evento che rientra nella fattispecie criminosa, quanto se invece si tratti di danni penalmente irrilevanti. A questa conclusione. si arriva se si intende esattamente la ratio della norma. In proposito, non sembra soddisfacente l'opinione corrente, secondo la quale lo scopo perseguito dalla legge con l'accomunare la sorte della pretesa riparatoria del privato e della pretesa punitiva dello Stato andrebbe ravvisato nell'intento di evitare che l'autore di un reato, dichia,rato responsabile e condannato in sede� penale, p.ossa restare esente dall'obbligo di (1) Cfr.: 0NDEI: Il concetto di �fatto" nel diritto civile, in �Foro pad. >>, 1956, I, 800; App. Napoli, 13 maggio 1958, cit. -54 risarcire il danno per l'avvenuto decorso del breve termine della prescrizione civile (1). In 'sostanza, si vorrebbe scorgere il fondamento della norma nello scopo di rafforzare la posizione del titolare di un diritto di risarcimento nascente da 1�eato, quasi che costui fosse portatore, non solo di un interesse privato, ma anche di un interesse generale alla repressione dell'illecito. Sembra ravvisabile in questa tesi una lontana eco delle antiche e superate concezioni dell'azione ci'l'ile nascente dal fatto-reato come azione non perfettamente autonoma rispetto a quella penale, ma in questa �racchiusa ;>, tanto da trarne una decisa colorazione penalistica (2). Il diritto moderno, come � noto, ha decisamente ripudiato questo punto di vista; non sembra quindi possibile ritenere che, nell'adeguare la prescrizione del diritto al risarcimento a quella della pretesa punitiva, il legislatore sia stato guidato dalla considerazione del primo come dipendente o accessorio ri8petto alla seconda. Se si considera poi che la disciplina dell'art. 2947, 3� comma, � applicabile anche all'azione di rescissione (art. 1449�), non sembra possibile continuare a sostenere che il suo fondamento riposi su un preteso carattere persecutorio dell'azione civile 'per il risarcimento dei danni, carattere che certo non potrebbe attribuirsi anche all'azione di rescissione. Neppure appagante sembra l'opinione di chi scorge la ratio dell'art. 2947 nella necessit� di tenere in vita l'azione civile risarcitoria fino a quando vi sia la possibilit� di esercitarla in sede penale median te la costituzione di parte civile (3). Anzitutto, non si vede proprio perch� la legge dovrebbe considerare necessario assicurare in ogni caso la possibilit� della costituzione di parte civile nel processo penale, quando questa costituzione �, nel nostro sistema, meramente eventuale e ,in essa il legislatore non scorge affatto qualcosa di indispensabile allo svol gersi del processo penale. In secondo luogo, ove il fondamento della norma fosse veramente quello indi cato, non si spiegherebbe perch�, venuta meno la possibilit� della costituzione di parte civile (ossia, una volta compiute per la prima volta le formalit� di apertura del dibattimento nel processo di primo (1) Cfr.: AzzARITI-SCARPELLO: Della prescrizione e della decadenza, in Commentario del Ood. civ. a cura di Scialoja e Branca, Libro VI, Bologna-Roma 1953, pag. 625; Cass. 29 gennaio 1957, n. 313, in Giust. civ. 1957, I, 397; id., 4 maggio 1960, n. 922, cit. Singolare l'opinione del TORO (Prescrizione del diritto al risarcimento del danno e reato non punibile per man canza. di querela, in� Giust. civ.�, 1957, I, 397), secondo il quale l'intento perseguito dalla legge sarebbe quello di evitare che il colpevole debba ancora pagare il suo debito verso la collettivit� quando il decorso del tempo abbia estinso il debito verso la vittima del reato. Ma, se cosi fosse, � facile obiettare, la legge avrebbe abbreviato il termine della prescrizione penale e non prolungato quello della prescrizione civile. (2) Su queste superate concezioni v. l'efficace sintesi di LIEBMAN: L'efficacia della sentenza penale nel processo civile, nel volume collettaneo L'efficacia del giudioato penale nel processo civile. Milano, 1960, pag. 11 ss. (3) Cos�:, Trib. Parma, 27 giugno 1958, cit. grado: art. 93 0.p.p.), il diritto al risarcimento non. venga assoggettato alla piu breve prescrizione civile, ma ci� accada soltanto allorch� intervenga sentenza irrevocabile nel giudizio. penale. . . , Il vero fondamento della norma in discorso non pu� essere individuato finch� essa venga considerata isolatamente, trascurando i nessi sistematici che la legano a tutto quel complesso normativo che disciplina i rapporti fra giudizio penale e giudizio civile. Come � stato acutamente osservato l'art. 2947, 30 comma, non � che il corollario del teorema generale della pregiudizialit� del giudicato penale (1). Il principio generale cui s'informa la nostra legge (artt. 25, 27, 28 O.p.p.) � quello del vincolo del giudice civile agli accertamenti contenuti nella sentenza penale. Prescindiamo qui dalle note dispute teoriche circa la riconducibilit� o meno del fenomeno al concetto della cosa giudicata. Oerto � che, nel nostro sistema, il giudice civile � tenuto a porre a base della propria decisione il giudizio di fatto compiuto dal giudice penale. E ci� vale non solo per l'azione civile di risarcimento nascente dallo stesso fatto-reato (artt. 25 e 27), ma per ogni altra azione (anche di risarcimento) relativa ad un diritto �il cui riconoscimento dipenda dall'accertamento dei fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale � (art. 28), ossia, relativa ad un diritto la cui fattispecie costitutiva comprenda elementi di fatto sottoposti anche alla cognizione del giudice penale, in quanto inerenti all'oggetto dell'imputazione. Per assicurare questo effetto vincolante degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice penale, la legg� prescrive la sospensione necessaria del giudizio civile in tutti i casi in cui sia iniziata l'azione penale e la cognizione del reato influisca sulla decisione della controversia civile (art. 3� O.p.p.), ossia in tutti quei casi in cui il giudice civile, per decidere la causa, dovrebbe conoscere di fatti sottoposti alla cognizione del giudice penale. Nell'interpretazione dell'art. 3 O.p.p., la giurisprudenza � giunta talvolta ad affermare che la sospensione del giudizio civile non opererebbe de iure, ma sarebbe rimessa all'apprezzamento discrezionale del giurice di merito (2). A noi sembra che debba farsi una distinzione: quando il fatto oggetto del giudizio penale abbia nel giudizio civile la sola rilevanza di un elemento di prova (ad esempio, se sia stata iniziata azione penale per falsa testimonianza contro un teste escusso nel processo civile) ai fini della sospensione � evidentemente necessario un apprezzamento del giudice civile circa l'influenza di quell'elemento di prova sulla decisione della causa; ma se, invece, sia lo stesso fatto costitutivo del diritto oggetto del giudizio civile che, totalmente o per qualche suo elemento, sia soggetto alla cognizione del giudice penale, in qiianto rientrante in una fattispecie criminosa, la sospensione non pu� non aver luogo in ogni caso, senza che vi sia margine per un apprezzamento d.iscrezionale del giudice. In questa seconda ipotesi, quiri�i; una oolta esercitata l'azbne civi7e, il processo non potrd che .. (1) ONDEI, op. cit. (2) Cfr.: Cass. 25 maggio 1957, n .� 1905, cit. A @::= ill A @::= ill -55 essere immediatamente sospeso attraverso il congegno dell'art. 3 O.p.p. Ed � app1mto questo impedimento al libero cors� del processo civile che giustifica la norma dell'art. 29471 3� comma. Se per il diritto soggettivo privato fosse stabilita una prescrizione piu breve di quella del reato, si avrebbe, infatti, questa assurda conseguenza; il tito lare del diritto sarebbe costretto, sotto pena di pre scrizione, a proporre la domanda, pur dovendosi, poi, immediatamente sospendere il processo. Sarebbe una grave incongruenza del sistema se la legge, da una parte, imponesse al titolare l'esercizio del diritto sotto pena di perderlo e, dall'altra, paralizzasse lo svolgimento del processo, imponendone la necessaria sospensione. L'art. 2947, 30 comma, � stato dettato appunto per eliminare questi inconvenienti. La norma pu� essere accostata a quella dell'arti colo 2935. Oome il decorso della prescrizione � impe dito finch� il diritto non pu� essere esercitato, cos� la legge si preoccupa di estendere il termine allCYrch� il diritto pu� s�. esser fatto valere in giiidizio (nel senso che nessun impedimento sussiste alla proposizione della domanda.), ma il processo non pu� liberamente svolgersi, a causa delle interferenze con la giurisdi zione penale. Se questo �, quindi, il fondamento sistematico dell'art. 294 7, lo scopo della norma impone di �estendere il suo campo di applicazione non solo al diritto fondato sullo stesso fattq-reato, ma anche al diritto tendente al risarcimento dei danni penalmente indif.. ferenti conseguenti ad una condotta che, per essere elemento costitutivo di un reato, � soggetta alla cognizione del giudice penale, con effetto vincolante nel processo civile a norma dell'art. 2�8 O.p.p. Nessuna differenza tale da giustificare un diverso trattamento normativo esiste infatti fra i due casi; da una parte, si tratta sempre di sospensione neces saria del processo e mai di improponibilit� della azione (1); dall'altra, la sospensione non pu� non aver luogo necessariamente in tutti e due i casi, non potendo, nel nostro sistema, il giudice civile conoscere di fatti attinenti ad una fattispecie criminosa sotto posta alla cognizione del giudice penale, poco impor (1) Del tutto errato �, a nostro avviso, quanto affermato nella citata sentenza della Cassazione 1905/1957: �Quando la legge vieta l'esercizio dell'azione civile mentre � in corso quella penale, fa univoco riferimento all'azione civile nascente dal reato, indissolubilmente legata al reato, non a quella che abbia il suo titolo nella colpa civile ... Solo riguardo all'azione che abbia per oggetto siffatta pretesa, ove si voglia esercitarla in sede separata, sorge, per effetto del divieto di legge di proporla o proseguirla finch� � pendente il giudizio penale, una situazione oggettiva di impossibilit� giuridica, nella tando che nel giudizio civile vengano in discussione tutte le circost'anze di fatto integranti il reato, o alcune soltanto di esse. L'esercizio dell'azione civi.le .�. libero. in tutti. e due i casi, ma, in tutti e due, il processo dovr� essere immediatamente sospeso dopo il suo inizio attraverw il congegno dell'art. 3 0.p.p. Ricorre quindi la ratio dell'art. 2947, 30 comma: la norma non potr� non essere applicata ad ambedue le ipotesi. In conclusione, tanto il diritto al risarciment<> fondato sullo stesso fatto�reato, quanto quello fonjf,ato su di un fatto che interferisca con il reato, nel sens<> che presenti elementi comuni alla fattispecie di questo ultimo, devono ritenersi sottoposti, per la prescrizione, alla disciplina dell'art. 2947, 3� comma, le cui fina lit� resterebbero frustrate ove si adottasse, invece,. una interpretazione restrittiva. � da rilevare, infine, che l'aver rinvenuto la ratio della norma nella necessit� di evitare la costri zione ad agire, sotto pena di prescrizione, allorch� il processo deve necessariamente essere sospeso, con sente di fondare, altres�, l'applicazione analogica. dell'art. 2947 al di fuori del campo della responsa bilit� extracontrattuale, a tutti i casi in cui opera la sospensione necessaria del giudizio civile per essere� i fatti che ne sono oggetto sottoposti alla cognizione del giudice penale (2). MARCELLO CONTI quale, in omaggio all'antico aforisma del cc contra non valentem agere �, trova il suo presupposto e la sua " ratio � la concessione di un pi� lungo termine di pre. scrizione e di una diversa decorrenza di esso�. In realt�, l'azione civile fondata sullo stesso fatto reato non � improponibile fino all'esito del giudizio penale: la situazione � qnella, ben diversa, della sospen sione necessaria; n� suesiste, pertanto, la voluta diffe renza fra le due ipotesi in considerazione. D'altronde, se il fondamento dell'art. 2947 stess6' veramente nel principio (< contra non valentem ager6' non currit praescriptio � (v. anche App. Napoli 13 mag gio 1958, cit.), si tratterebbe di n�irma superflna, es sendo sufficiente l'art. 2935. Proprio perch�, nelle ipo tesi disciplinate dall'art. 2947, non si tratta di impro ponibilit� dell'azione, il legislatore ha avuto bisogno di dettare una norma speciale (cos�, esattamente, Cass. 29' gennaio 1957, n. 313, in Giust. civ. 1957, I, 397. Con fronta anche: Cass. 3 agosto 1942, in Sett. Cass., 1943, 177). (2) Onesta estensione analogica della norma in discorso � ammessa, in principio, dalla stessa Cassazione (cfr. sent. 29 gennaio 1957, n. 313, cit.). Non si capisce proprio, pertanto, come la stessa Cassazione, in base a con~iderazioni di carattere prettamente formalistico, adotti criteri tanto restrittivi nel giudicare dell'ipotesi da cui abbiamo preso le mosse. 00 4w WfF" ::7nrrm��� =::rrr~n.... =Ml Li l@d�& INDICE SISTEMATICO DELLE CONSULTA�z1�0NJ �L� FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE OHE NE � STATA DATA ACQUE PUBBLICHE 1CASSA PER IL MEZZOGIORNO. Se competente a decidere le controversie per risarci �mento danni conseguenti ad occupazione ultrabiennale �di immobili da parte della Cassa per il Mezzogiorno per la attuazione di opere relative all'acquedotto campano :sia il Trl.bunale ordinario o il Tribunale Regionale delle .Acque Pubbliche (n. 68). AGRICOLTURA E FORESTE :ISTITUTI DI CREDITO AGRARIO. Se gli Istituti di Credito Agrario abbiano diritto a Tivalersi nei confronti dei mutuatari, dell'I.G.E. pagata �sulla quota interessi delle rate di ammortamento in con� �seguenza dei r:i::rntui concessi in esecuzione al disposto �dell'art. 2 legge 25 luglio 1952, n. 991 (n. 26). ALBERGHI .AUTORIZZAZIONE PER LA DEMOLIZIONE. Se l'autorizzazione prevista dalla legislazione alber: ghiera sia necessaria anche per la demolizione dell'im: mobile vincolato (n. 14). AMMINISTRAZIONE PUBBLICA NOTIFICAZIONE. 1) Quali siano le norme che regolano la notifica degli .atti di sequestro, di pignoramento o di opposizione, tendenti ad impedire lo svincolo ed il pagamento delle 'somme depositate presso la Cassa DD.PP. (n. 259). 2) In quali casi debbono trovare applicazione le norme �ordinarie sulla notifica della citazione e degli altri atti .giudiziali alle Amministrazioni dello Stato, ai sensi del 'a rt. 11 T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611 (n, 259). APPALTO IMPRESE APPALTATRICI DI LAVORI -RISOLUZIONE VER� TENZE, 1) Se l'imprenditore che intenda resistere al provve �dimento di reiezione delle riserve debba notificare la domanda di arbitrato entro trenta giorni dalla comunicazione delle decisioni dell'Amministrazione (n. 211). 2) Se, ove entro i trenta giorni l'imprenditore non abbia notificato la domanda di arbitrato, la vertenza debba considerarsi definita e chiusa con la reiezione delle riserve divenuta irrevocabile per mancata tempestiva impugnazione (n. 000). 3) Se la eventuale determinazione di rifiutare l'arbitrato per rimettere la decisione della vertenza all'Autorit� Giudiziaria spetti unicamente alla Amministrazione ferroviaria (n. 261). REVISIONE PREZZI. 4) Se a seguito di revisione dei prezzi (D. L. 6 dicembre 1947, n. 1501, ratificato con modifiche dalla legge 9 maggio 1950, n. 329) il prezzo di appalto sia da maggiorare per l'intero suo importo o per la sola parte corrispondente ai lavori eseguiti in regime di prezzi ex correnti superiori a quelli contrattuali (n. 262). 5) Se per prezzi correnti alla data dell'offerta debba intendersi, quando la gara si sia svolta su prezzi offerti dalla Impresa, quelli contrattuali (n. 262) . ASSICURAZIONI ASSICURAZIONE CREDITI ALL'ESPORTAZIONE. Natura giuridica dell'assicurazione dei crediti all'esportazione e problemi relativi alla predisposizione di nuove condizioni generali di polizza in relazione alla legge 5 luglio 1961, n. 635 (n. 59). AUTOVEICOLI E AUTOLINEE VENDlTA DI CARBURANTE A PREZZI RIDOTTI. se sia legittima la vendita di carburante effettuata dai distributori dell'A.C.I., a favore di soci e di non soci, ad un prezzo inferiore a quello praticato da altri distributori (n. 62). BORSA AGENTI DI CAMBIO -LIBRI OBBLIGATORI. Quali siano, ai sensi dell'art. 17, paragrafo III del R.D. 9 aprile 1925, n. 376 i libri obbligatori che debbono tenere gli agenti di cambio (n. 17). -57 CACCIA E PESCA PESCA SU ACQUE PRIVATE. Quali siano le norme che regolano l'esercizio della p�sca sulle acque pubbliche e nelle acque private, chiuse o comunicanti con acque pubbliche (n. 19). CIRCOLAZIONE STRADALE Se il conducente che intenda svoltare a sinistra debba o meno concedere la precedenza ai veicoli che seguono (n. 3). COMMERCIO VENDITA DI CARBURANTE A PREZZI RIDOTTI. Se sia legittima la vendita di carburante effettuata dai distributori dell'A.C.I., a favore dei soci e di non soci, ad un prezzo inferiore a quello praticato da altri distributori (n. 18). COMPETENZA E GIURISDIZ:{ONE CASSA PER IL MEZZOGIORNO. 1) Se competente a decidere le controversie per risarcimento danni conseguenti ad occupazione ultrabiennale d'immobili da parte della Cassa per il Mezzogiorno per l'attuazione di opere relative all'acquedotto campano sia il Tribu:Q.ale ordinario o il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche (n. 19). SEQUESTRO CONSERVATIVO PENALE. 2) Quale sia il giudice competente per l'esecuzione delle disposizioni civili contenute nella sentenza penale di condanna (n. 20). COMPROMESSO ED ARBITRI IMPRESE APPALTATRICI DI LAVORI -RISOLUZIONE VERTENZE. 1) Se l'imprenditore che intenda resistere al provvedimento di reiezione delle riserve debba notificare la domanda di arbitrato entro trenta giorni dalla comunicazione delle decisioni dell'Amministrazione (n. 14). 2) Se, ove entro i trenta giorni l'imprenditore non abbia notificato la domanda di arbitrato, la vertenza debba considerarsi definita e chiusa con la reiezione delle riserve divenuta irrevocabile per mancata tempestiva impugnazione (n. 14). 3) Se l'eventuale determinazione di rifiutare l'arbitrato per rimettere la decisione della vertenza all'Autorit�. Giudiziaria spetti unicamente alla Amministrazione ferroviaria (n. 14). COMUNI E PROVINCIE PROVENTI CONTRAVVENZIONALI. Se la legge n. 2134 del 1865 recante disposizioni e norme circa il riparto del prodotto delle pene pecuniarie e di altri proventi in materia penale sia ancora in vigore (n. 95). CONCORSI ASSUNZIONE CANDIDATI VINCITORI DI CONCORSO. 1) Se, tenuto conto della particolare norme, prevista. dall'art. 13, 2� comma, S.G.P., in ��l. concorso. di manovale i cui posti siano stati ripartiti fra i vari Comparti-� menti F. S., possano approvarsi le singole graduatorie� mano a mano che si concludono i lavori delle rispettive� Commissioni, attribuendo ai vincitori del concorso anzianit�. diverse in relazione alla data della rispettiva nomina. (n. 4). PROVE SCRITTE. 2) Se la comunicazione del diario delle prove scritte, prevista dal 30 comma dell'art. 14 dello Statuto giuridico del personale delle Ferrovie dello Stato e dall'art. 6 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, costituisca condizione di validit�. del concorso (n. 5). CONSIGLIO DI STATO GIUDICATO AMMINISTRATIVO. Se, a seguito della innovativa interpretazione di una legge in tema di pubblico impiego da parte del Consigliodi Stato in sede consultiva, l'Amministrazione sia tenuta a ricostruire di ufficio la carriera degli interessati pregiudicati dalla differente interpretazione prima adottata (n. 2). CONTABILIT� GENERALE DELLO STATO RECUPERO CREDITI. Quale sia la procedura da seguire per il recupero dei crediti nei confronti di ex militari, nel contrasto fra il disposto di cui all'art. 215 del regolamento. sulla contabilit�. dei corpi militari approvato con R.D. 10 febbraio 1927, n. 443 e quello di cui agli artt. 263 e seguenti del regolamento sulla contabilit�. generale dello� Stato (n. 185). COSTITUZIONE CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE. I) Se la dichiarazione di spettanza del potere inconstazione, contenuta nelle sentenze della Corte Costituzionale risolutive di conflitti di attribuzione, abbia. efficacia vincolante per ogni altra controversia in cui si discuta della spettanza di quel potere (n. 10). IMPOSTA SULL'ENTRATA. 2) Se sia costituzionalmente illegittima la norma del� l'art. 52 legge 19 giugno 1940, n. 762, per la parte nella quale fissa il termine di sessanta giorni dalla notifica de1. decreto ministeriale o dell'ordinanza intendentizia per� la proposizione dell'azione giudiziaria, in relazione all'art. 113, 10 comma, della Costituzione (n. 11). DANNI DI GUERRA SOCIETA A PARTECIPAZIONE STRANIERA. Se siano ammessi al risarcimento dei danni di guerra. gli enti e le societ�. di nazionalit�. italiana in cui sianorappresentati anche interessi stranieri (n. 210). - 58 DONAZIONI IMPOSTA SUL PATRIMONIO. Se, ai fini dell'applicazione dell'art. 3 T. U. 9 mag� gio 1950, n. 203 sull'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (che dispone il cumulo del patrimonio, per la determinazione dell'imposta, delle donazioni effettuate a favore del coniuge e dei discendenti, escluse quelle poste in essere �per causa di seguito matrimonio �), l'esistenza di tale �causa di seguito matrimonio � debba potersi rilevare dallo stesso atto di donazione, o possa risultare anche aliunde (n. 33). EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE GESTIONE INA-CASA -GRADUATORIA ASSEGNAZIONE ALLOGGI, I) Se la Gestione INA-Casa, una volta divenuta definitiva la graduatoria per l'assegnazione degli alloggi, possa disporne l'annullamento di ufficio per vizi sussistenti al momento della approvazione ma accertati in epoca successiva (n. 121). 2) In caso di soluzione positiva quale sia l'organo competente per l'annullamento e quale la procedura da seguire (n. 121). ESECUZIONE FISCALE NOTIFICA INGIUNZIONE. � I) Se la disciplina prevista dagli artt. 633 e segg. C.p.c. sia applicabile all'ingiunzione di cui al T. U. 14 aprile 1910, n. 639 (n. 60). 2) In particolare, se la notifica dell'ingiunzione fiscale debba essere eseguita nel termine previsto dall'art. 644 C.p.c. (n. 60). ESECUZIONE FORZATA PIGNORA.MENTO PRESSO TERZI. I) Se il terzo pignorato sia legittimato ad impugnare il provvedimento di assegnazione di cui all'art. 553 C.p.c. (n. 26). __ RESPONSABILITA PENALE. 2) Se la i�legittimit� dell'esecuzione per impignorabilit�.. dei beni vincolati escluda la sussistenza dei reati di cui agli artt. 328, 334 e 335 del Codice penale (n. 27). ESPROPRIAZIONE PER P. U. CASSA PER IL MEZZOGIORNO. I) Se competente a decidere le controversie per risarcimento danni conseguenti ad occupazione ultrabiennale d'immobili da parte della Cassa per il Mezzogiorno per l'attuazione di opere relative all'acquedotto campano sia il Tribunale ordinario o il Tribunale Regionale delle Acque pubbliche (n. 167). - INA�CASA IN NAPOLI E PROVINCIA. 2) Se siano applicabili all'espropriazioni disposte nell'interesse della Gestione INA-Casa in Napoli e pro� vincia le norme di cui al D.J,~L. 27 :feb'bFitio 19t9, n. 219, sancentila giurisdizione della Giunta specialeperle espropriazioni presso la Corte di Appello di Napoli (n.168). ,.;;;,.~ OCCUPAZIONE DI URGENZA -INDENNITA -RIMBORSO IMPOSTE. 3) Se per l'occupazione temporanea sia dovuta una indennit� pari all'interesse legale sulla somma dovuta a titolo di indennit� di espropriazione anche nel caso che i predetti interessi non corrispondano all'effettivo reddito del fondo (n. 169). 4) Se per l'occupazione temporanea sia dovuta la suddetta indennit� anche nel caso che gli interessi non siano neppure sufficienti a pagare i tributi fondiari gravanti sul fondo stesso (n. 169). TERREMOTI. 5) Se nel caso di espropriazione per pubblica utilit� promossa nei confronti di proprietari di immobili in Messina i quali non hanno accettato l'indennit� offerta e non hanno concordato in via amichevole l'indennit�, l'Ufficio del Genio Civile possa procedere alla stima dei beni da espropriare a sensi dell'art. I, .20 comma, della legge 9 giugno 1927, n. 1079 (n. 170). FERROVIE APPALTO ---COMPROMESSO ED ARBITRI. I) Se l'imprenditore che intenda resistere al provvedimento di reiezione delle riserve debba notificare la domanda di arbitrato entro trenta giorni dalla comunicazione delle decisioni all'Amministrazione (n. 331). ' 2) Se, ove entro i trenta giorni l'imprenditore non abbia notificato la domanda di arbitrato, la vertenza debba considerarsi definita e chiusa con la reiezione delle riserve divenuta irrevocabile per mancata tempestiva impugnazione (n. 331). 3) Se l'eventuale determinazione di rifiutare l'arbitrato per rimettere la decisione della vertenza all'Autorit� giudiziaria spetti unicamente alla Amministrazione ferroviaria (n. 331). CONCORSI -ASSUNZIONE. 4) Se, tenuto conto della particolare norma, prevista dall'art. 13, 20 comma, S.G.P., in un concorso di manovale, i cui posti siano stati ripartiti fra i vari compartimenti F. S., possano approvarsi le singole graduatorie mano a mano che si concludono i lavori delle rispettive Commissioni, attribuendo ai vincitori del concorso anzianit� diversa in relazione alla data dellarispettiva nomina (n. 332). CONCORSI -PROVE SCRITTE. 5) Se la comunicazione del diario delle prove scritte,prevista dal 30 comma dell'art. 14 dello Statuto giuridico del personale delle Ferrovie dello Stato e dall'art. 6 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, costituisca condizione di validit� del concorso (n. 333). 59 IMPIEGO PUBBLICO INSEGNANTI ELEMENTARI. I) Quale sia la prooedura da seguire per il recupero .a carico dei maestri elementari puniti per assenze arbitrs; trie, delle spese di supplenza e dell'eventuale visita fiscale (n. 527). GrrtDICATO AMMINISTRATIVO. 2) Se, a seguito della innovativa interpretazione di una legge in tema di pubblico impiego da parte del -Consiglio di Stato in sede consultiva l'Amministrazione sia tenuta a ricostruire di ufficio la carriera degli interesoaati pregiudicati dalla differente interpretazione prima .adottata (n. 528). ' PERSONALE FERROVIARIO -CONCORSI. 3) Se, tenuto conto della particolare norma, prevista -O.all'art. 13, 2� comma, S.G.P. in un concorso di manovale, i cui posti siano stati ripartiti fra i vari Compartimenti F.S., possano approvarsi le singole graduatorie mano a mano che si concludono i lavori delle rispettive -Commissioni, attribuendo ai vincitori del concorso anzianit�. diverse in relazione alla data della rispettiva nomina (n. 529). 4) Se la comunicazione del diario delle prove scritte prevista dal 3� comma dell'art. 14 dello Statuto giuri. dico del personale delle ferrovie dello Stato e dall'art. 6 -dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, costituisca condizione di validit�. del concorso (n. 530). RECUPERO ASSEGNI ALIMENTARI. 5) Se per il recupero degli assegni alimentari corri: sposti a norma del D.L.C.P.S. Il maggio 1947, n. 363, in sede di liquidazione del trattamento di quiescenza da parte di Enti diversi da quelli che hanno corrisposto gli .assegni sia necessario provvedere a mezzo di pignoramento presso terzi (n. 531). 6) Se la procedura prevista per il recupero degli asse� ;gnialimentari corrisposti a norma del D.L.C.P.S. 11 maggio 1947, n. 363, debba adottarsi anche quando la cesoaazione del rapporto di impiego sia avvenuta per altra -causa, diversa dalla redazione del verbale di irriperibilit�. previsto dalla legge 10 ottobre 1951, n. 1440 (n. 531). IMPORTAZIONE -ESPORTAZIONE AssICURAZI�NE CREDITI. I) Natura giuridica dell'assicurazione dei crediti al- 1'esportazione e problemi relativi alla predisposizione �di nuove condizioni generali di polizza in relazione alla � legge 5 luglio 1961, n. 635 (n. 24). IMPORTAZIONI A LICENZA. 2) Se l'applicazione del regime dell'importazione a licenza a merci acquistate, in epoca anteriore, sotto il vigore del regime dell'importazione a dogana possa costituire fonte di responsabilit�. per l'Amministrazione (n. 25). RECUPERO MAGGIOR ONERE PRODOTTI PETROLIFERI. 3) Se debba essere restituito all'Erario, a norma dell'art. 9 D.M. 25 gennaio 1957, il maggior onere liquidato, ai sensi della legge 27 dic~mbre 195.?i n. 1415, nelle materie prime impiegate nella fabbricazione dei prodotti petroliferi forniti allo Stato della Citt�. del Vaticano (n. 26). IMPOSTA �DI REGISTRO AUMENTO CAPITALE SOCIALE. Se il beneficio fiscale dell'imposta fissa di registro previsto dall'art. 5 della legge Il febbraio 1952, n. 74, per l'aumento di capitale conseguito con operazioni di rivalutazione monetaria sia applicabile anche quando il conseguente adeguamento della riserva legale sia realizzato con prelevamento da altri fondi di riserva per i quali non sussistano privilegi fiscali (n. 180). IMPOSTA DI R. M. INTERESSI DI MORA SU CONTRIBUTI DI PREVIDENZA. Se siano tassabili in R. M. gli interessi di mora per ritardato versamento dei contributi all'Istituto Nazionale di Previdenza del personale aziende private da parte della Soc. An. It. Esercizio Romana Gas (n. 21). I.G.E. CASSA PER IL MEZZOGIORNO. 1) Se la Cassa per le Opere Straordinarie di pubblico interesse nell'Italia Meridionale (Cassa per il Mezzogiorno) possa godere dell'esenzione I.G.E. prevista dall'art. 26 legge 10 agosto 1950, n. 646, per i materiali importati dall'estero e destinati alle opere eseguite dalla Cassa con il sistema dell'esecuzione diretta, anche se il regime tributario dei pxedetti materiali di importazione sia completamente regolato dal D.L. 14 dicembre 1947, n. 1598 (n. 95). CONTENZIOSO. 2) Se sia costituzionalmente illegittima la norma dell'art. 52 legge 19 giugno 1940, n. 762, per la parte nella quale fissa il termine di 60 giorni dalla notifica del decreto ministeriale o dell'ordinanza intendentizia per la proposizione dell'azione giudiziaria, in relazione all'arti� colo 113, 10 comma, della Costituzione (n. 96). ISTITUTI .DI CREDITO AGRARIO. 3) Se gli Istituti di Credito Agrario abbiano diritto a rivalersi nei confronti dei mutuatari, dell'I.G.E. pagata sulla quota interessi delle rate di ammortamento in conseguenza dei mutui concessi inesecuzione al disposto dell'art. 2 legge 25 luglio 1952, n. 991 (n. 97). IMPOSTA SUL PATRIMONIO DONAZIONI. 1) Se, ai fini dell'applicazione dell'art. 3 T.U. 9 maggio 1950, n. 203 sull'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (che dispone il cumulo del patrimonio -60 per la determinazione dell'imposta, delle donazioni effettuate a favore del coniuge e dei discendenti, escluse quelle poste in essere <<per causa di seguito matrimonio "), l'esistenza di tale <<causa di seguito matrimonio" debba potersi rilevare dallo stesso atto di donazione, o possa risultare anche aliunde (n. 7). PRIVILEGI. 2) Se il privilegio speciale previsto dall'art. 65 de T. U. 9 maggio 1950, n. 203 a garanzia della riscossione dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio continui a gravare sugli immobili trasferiti a terzi a seguito di vendita giudiziale (n. 8). IMPOSTE E TASSE COMMISSIONI CENSUARIE. 1) Se la legge nazionale 30 luglio 1957, n. 657, che ha sostituito l'art. 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991 riaffermando la competenza della Commissione Censuaria Centrale in merito alla compilazione ed all'aggiornamento degli elenchi dei territori montani, abbia reso viziata da illegittimit�. costituzionale, per quanto attiene alla competenza delle Commissioni Censuarie Provinciali, la legge regionale 8 febbraio 1956, n. 4 (n. 347). IMPOSTA FABBRICAZIONE OLII MINERALI. 2) Quale sia l'interpretazione dell'art. 99 D.P.R. 12 ottobre 1956, n. 1460, relativamente alle istanze tendenti ad ottenre l'abbuono dei diritti doganali ed imposte di fabbricazione su prodotti petroliferi andati distrutti (n. 348). LOCAZIONI DISCIPLINA DELLE LOCAZIONI. 1) Se l'aumento del canone di locazione previsto dall'art. 3 della legge 21 dicembre 1960, n. 1521 si applichi anche ai contratti prorogati solo fino al 30 settembre 1961 (n. 114). 2) Se l'aumento nella misura del 50 % previsto dalla legge 30 settembre 1961, n. 975 per i contratti di locazione prorogati al 31 dicembre 1961 debba essere calcolato sul canone dovuto al 31dicembre1960 o su quello dovuto al 30 settembre 1961 (n. 114). 3) Se in difetto del preavviso di cui all'art. 2 della legge. 31dicembre1960, n. 1521, il contratto di locazione debba intendersi ulteriormente prorogato (n. 114). MEZZOGIORNO CASSA PER IL MEZZOGIORNO. 1) Se competente a decidere le controversie per risarcimento danni conseguenti ad occupazione ultrabiennale di immobili da parte della Cassa per il Mezzogiorno per l'attuazione di opere relative all'acquedotto campano sia il Tribunale ordinario o il Tribunale Regionale delle Acque pubbliche (n. 20). I.G.E. 2) Se la Cassa per le Opere Straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno} possa godere dell'esenzione I.G.E. prevista dall'art. 26 legge 10 agosto 1950, n. 646, per i materiaH importati dall'estero e destinati all'opere eseguite dalla Cassa con il sistema della esecuzione diretta, anche se il regime tributario dei predetti materiali di importazione sia completamente regolato dal D.L. 14 dicembre 1947, n. 1598 (n. 21). MILITARI RECUPERO CREDITI. Quale sia la procedura da seguire per il recupero deii crediti nei confronti di ex militari, nel contrasto fra il disposto di cui all'art. 215 del regolamento sulla contabilit�. dei corpi militari approvato con R.D. 10 febbraio 1927, n. 443 e quello di cui agli artt. 263 e seguenti del regolamento sulla contabilit�. generale dello Stato (n.14). NOTIFICAZIONE NOTIFICA ATTI ALLA CC.DD. 1) Quali siano le norme che regolano la notifica degli atti di sequestro, di pignoramento e di opposizione, tendenti ad impedire lo svincolo ed il pagamento delle somme depositate presso la Cassa DD.PP. (n. 18). 2) In quali casi debbono trovare applicazione le normeordinarie sulla notifica della citazione e degli altri atti giudiziali alle Amministrazioni dello Stato, ai sensi dell'art. 11 T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611 (n. 18). NOTIFICA INGIUNZIONE FISCALE. 3) Se la disciplina prevista dagli artt. 633 e segg. C.p.c. sia applicabile all'ingiunzione di cui al T.U. 14 apriledel 1910, n. 639 (n. 19). 4) In particolare, se la notifica dell'ingiunzione fiscaledebba essere eseguita nel termine previsto dall'art. 644 C.p.c. (n. 19). OBBLIGAZIONI E CONTRATTI Se possa prodursi novazione attraverso una modifi cazione solo quantitativa dell'oggetto dell'obbligazione (n. 39). PENA Condizioni di legittimit�. e presupposti di fatto per la. conversione della pena pecuniaria in pena detentiva (n. 17). PREZZI APPALTO. 1) Se a seguito di revisione dei prezzi ,(D.L. 6 dicembre 1947, n. 1501, ratificato con modifiche dalla legge9 maggio 1950, n. 329) il prezzo di appalto sia da mag � � -61 giorare per l'intero suo importo o per la sola parte corrispondente ai lavori eseguiti in regime di prezzi correnti superiori a quelli contrattuali (n. 54). 2) Se per prezzi correnti alla data dell'offerta debba intendersi, quando la gara si sia svolta su prezzi offerti dalla Impresa, quelli contrattuali (n. 55). RECUPERO MAGGIOR ONERE PRODOTTI PETROLIFERI. 3) Se debba essere restituito all'Erario, a norma dell'art. 9 D.M. 25 gennaio 1957, il maggior onere liqui� dato, ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1415, sulle materie prime impiegate nella fabbricazione di prodotti petroliferi forniti allo Stato della Citt� del Vaticano (n. 55). REGIONI LEGGI REGIONALI E LEGGI STATALI -RAPPORTI. 1) Se la legge nazionale 30 luglio 1957, n. 657, che ha sostituito l'art. 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991 riaffermando la competenza della Commissione Censuaria Centrale in merito alla compilazione ed all'aggiornamento degli elenchi dei territori montani, abbia reso viziata da illegittimit� costituzionale, per quanto ottiene alla competenza delle Commissioni Censuarie Provincali la legge regionale 8 febbraio 1956, n. 4 (n. 97). REGIONE SARDA -TRASFERIMENTO DI IMMOBILI DEL� L'EX P.N.F. 2) Se i beni dell'ex p.n.f. esistenti in Sardegna siano compresi fra quelli, nella propriet� dei quali, ai sensi degli artt. 14 S.S.Aa � 39 D.P. 19 maggio 1949, n. 250, la Regione succede allo Stato (n. 98). RESPONSABILIT� CIVILE .SCONTRO TRA AUTOVEICOLO E ANIMALE. 1) Come si dirima il conflitto, in caso di scontro tra autoveicolo ed animale, fra la presunzione di colpa prevista dall'art. 2052 O.e. a carico del proprietario di animali per i danni da essi prodotti e quella di cui al 10 e 30 comma dell'art. 2054 O.e. per il .conducente e il proprietario di veicoli (n. 196). TRANSITO SU STRADE DI MEZZI MILITARI. 2) Se siano risarcibili i danni causati dal transito dei mezzi militari alle strade pubbliche, particolarmente nel caso in .cui tali danni siano dovuti all'eccessivo peso dei mezzi stessi (n. 197). RICOSTRUZIONE "PIANO DI RICOSTRUZIONE. Se nei casi in cui il ministero dei LL. PP. si sia costituito al Comune nell'attuazione del piano di ricostruzione ed abbia a sua volta dato in concessione i lavori, nelle cause aventi ad oggetto l'espropriazione di beni per l'attuazione del piano di ricostruzione, il concessionario possa essere considerato legittimato passivo (n. 12). RIFORMA FONDIARIA ESPROPRIAZIONE DI FABBRICATI. Se il valore dei fabbric�ti rurali, esistenti sui terreni espropriati in applicazione delle leggi d� riforma fonc�iaria, formi oggetto di separata valutazione e di autonoma corresponsione di indennizzo (n. 7). SEQUESTRO SEQUESTRO CONSERVATIVO PENALE. 1) Se in tema di sequestro conservativo penale presso terzi sia applicabile il disposto di cui all'art. 543 C.p.c che prescrive la citazione del terzo per rendere la dichiarazione di quantit� (n. 17). 2) Quale sia il giudice competente per l'esecuzione delle disposizioni civili contenute nella sentenza penale di condanna (n. 17). 3) Se il giudice penale possa assegnare con la sentenza di condanna le somme vincolate da sequestro conservativo penale (n. 17). 4) Se il terzo sequestrato abbia interesse e legittimazione a far valere vizi del provvedimento di assegnazione (n. 17). SEQUESTRO GIUDIZIARIO. 5) Se sia ammissbile il sequestro giudiziario di somme di denaro dovute da un terzo (n. 18). SERVITU SERVIT� MILITARI. Se sussista l'obbligo della motivazione per i provvedimenti relativi all'imposizione di servit� militari (n. 33). SOCIET� SOCIET� IRREGOLARI. Se una societ� di fatto fra cittadini stranieri, sorta in Trieste e che in detta citt� ha la sua sede e sviluppa la sua attivit�, possa considerarsi societ� italiana per procedere, ai sensi della Circolare 27 novembre 1946 del Ministero del Tesoro, al pagamento delle somme residue per lavori eseguiti ed ultimati nella parte del territorio goriziano ceduto alla .Jugoslavia (n. 96). STRADE RINUNCIA ALL'EREDIT�. Se sia ammissibile la rinuncia all'eredit� dopo la resistenza in giudizio nella qualit� di erede (n. 65). SUCCESSIONI TRANSITO SU STRADE DI MEZZI MILITARI. Se siano risarcibili i danni causati dal transito dei mezzi militari alle strade pubbliche, particolarmente nel caso in cui tali danni siano dovuti all'eccessivo peso dei mezzi stessi (n. 39). TERREMOTI ESPROPRIAZIONE PER P.U. 1) Se nel caso di espropriazione per p.u. promossa nei confronti di proprietari di immobili in Messina i quali non hanno accettato l'indennit�. offerta e non hanno concordato in via amichevole l'indennit�., l'Ufficio del Genio Civile possa procedere alla stima dei beni da espropriare ai sensi dell'art. 1, 20 comma, della legge 9 giugno 1927, n. 1079 (n. 00). SUSSIDI PER TERREMOTI. 2) Quale sia la disciplina normativa della concessione dei sussidi per terremoti ai sensi della legge 4 aprile del 1935, n. 454 (n. 16). 3) Se, ai sensi dalla legge 28 parile 1938, n. 616, i proprietari degli immobili danneggiati dal terremoto del 1915 potevano cedere i sussidi terremoto (concessi o da concedere) alla federazione dei fasci di combattimento (n. 16). 4) Se i suddetti proprietari possano ottenere la liquidazione dei suddetti sussidi in loro favore in quanto al momento dell'emissione del decreto di concessione non esisteva pi� l'ente cessionario n� altro ente che potesse considerarsi suo successore (n. 16). TRATTATO DI PACE SOOIET� IBREGOLA.RI. Se una societ�. di fatto fra cittadini stranieri, sorta in Trieste e che in detta citt� ha la sua sede e sviluppa la sua attivit�., possa considerarsi societ�. italiana per 62 procedere, ai sensi della Circolare 27 novembre 1946 del Ministero del Tesoro, al pagamento delle somme residue per lavori eseguiti ed ultimati nella parte del territorio goriziano ceduto alla Jugoslavia (n. 80). TURISMO CONTRIBUTI. Se, dopo la pronuncia di illegittimit�. costituzionale della legge disciplinante i contributi da parte dei privati �l favore degli enti Provinciali del Turismo, siano tuttora riscuotibili i contributi che, essendo stati gi�. iscritti a ruolo nel 1957 sia.no da ritenersi definicivi per mancato reclamo nei termini e modi di legge, nonch� quelli relativi agli anni precedenti (n. 16). VENDITA CONTRATTI DI OOMPRAVENDITA -DIVIETO DI ALIENA� ZIONE. 1) Se nel contratto di compravendita di cose mobili si possa vincolare la futura destinazione dei beni e condizionarne il successivo trasferimento all'autorizzazione dell'alienante (n. 19). 2) Quale efficacia rivesta una clausola contrattuale, in tali termini predisposta, nei confronti dei terzi aequirenti (n. 19). 3) Se possono aw1ullarsi gli atti di disposizione compiuti dall'acquirente in violazione del divieto di alienazione (n. 19). 4) Quale azione possa utilmente esercitarsi nei confronti dell'acquirente inadempiente (n. 19).