ANNO V -N. 1-2 GENNAIO-FEBBRAIO 1952 

RASSEGNA MENSILE 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


.. 

PUBBLICJAZIONE DI SERVIZIO 

ESECUZIONE DELL'ATTO GIURISDIZIONALE 
E CONCESSIONE DELLA FORZA PUBBLICA 


SOMMARIO. -1. Premessa. -2. L'ausilio della "forza 
pubblica'' per l'esecuzione dell'atto giurisdizionale 
non � un diritto subiettivo del cittadino. -3. Se diritto 
subiettivo-pubblico, la violazione di esso non sarebbe 
risarcibile patrimonialmente. -4. A fortiori se la violazione 
derivi da ~t~ivit� di P~bblica Sicurezza (art. 7 

T. U.). -5. Se d1r1tto affievolito, la lesione di esso � 
tutelabile dinanzi al giudice amministrativo. -6. Ma 
?'i .~i della legitt~m~t�. del ri~uto della forza pubblica 
e irrilevante la d1stmz10ne: circolare -rifiuto in casi 
singoli. 
1. Una -ormai nota -pronunzia del Tribunale 
di Roma (la Sez. 5 dicembre 1949 -16 marzo 
1950, Di Bella c. Ministero Interno, in � Giur. 
It. n, 1951, 1, 2, 530; in �Foro It. n, 1951, I, 120) 
ha affrontato la questione, anteriormente a questo 
dopo~guerra pressoch� trascurata, della responsabilit�. 
della Pubblica .Amministrazione di fronte 
alla richiesta di ausilio della forza pubblica per 
l'esecuzione di una sentenza (una delle tante' sentenze 
di sfratto nei confronti di � sfollati n) e l'ha 
risolta nel senso che spetti al cittadino il diritto 
subiettivo di pretendere la prestazione di quel servizio 
o, in difetto, ilrisarcimento del danno, poich� 
(questa � la ratio decidendi) lo Stato � garante dei 
diritti dei cittadini. 
� All'uopo � sufficiente -recita la sentenza 


rifarsi al principio cardine, che impronta la conce


zione del moderno stato di diritto, per cui anche lo 

Stato � soggetto alle leggi che esso si da, per do


vere senz'ombra di dubbio rispondere affermativa


mente al suesposto quesito n. 

�Lo Stato moderno, infatti, (compreso, ben s'in


tende, anche il nostro del quale qui specificamente 

si tratta) ha baridito dal proprio ordinamento il 

principio delltt dutotutela, fino a sancire penal


mente l'esercizio arbitrario di ragioni, ma nel 

contempo ha assunto sopra di se il compito della 

difesa dei diritti dei singoli apprestando i mezzi 

per dirimere pacificamente le controversie e per 

assicurare il soddisfacimento concreto dei diritti 

lesi in via ripristinatoria a seconda delle effettive 

possibilit� �. 

� Siffatto compito, che si atteggia e si estrinseca 
come un potere-dovere, in quanto dovere l~galmeute 
sancito costituisce un vero e proprio obbligo 
giuridico di cui il soggetto passivo � appunto lo 
Stato e soggetto attivo � il privato cittadino che, 

mentre non pu� farsi ragione da se, ha tuttavia il 
diritto di ottenere dallo Stato, per mezzo dei vari 
organi all'uopo predisposti, le necessarie prestazioni 
intese in primis alla risoluzione di una determinata 
controversia, e, una volta questa definita, 
alla concreta attuazione della pretesa giudizialmente 
riconosciuta: nel che consiste e si esaurisce 
quel vasto e fondamentale settore dell'attivit�. 
pubblica statale, che va sotto il nome di giurisdizione 
nella sua ampia accezione, comprendente 
cio� cos� la fase cognitiva come quella esecutiva )), 

� Che poi il diritto subiettivo del singolo titolare 
e portatore di un titolo esecutivo a suo favore 
si diriga anche in confronto degli organi amministrativi 
in quanto detentori e depositari della forza 
pubblica � fatto palese, oltre che dai principi, 
anche da molteplici norme particolari che di quei 
principi sono specifica applicazione )), 

� A conferma baster� ricordare il testo della 
formula esecutiva (art. 4 75 c.p.c.) che racchiude 
il preciso comando agli ufficiali della forza pubblica 
di concorrere a mettere in esecuzione il titolo 
quando ne siano legalmente richiesti, e aggiungete 
che gli artt. 513, in tema di pignoramento mobiliare, 
606 e 608 c.p.c. rispettivamente in tema di consegua 
di cose �mobili e di rilascio di immobili, 
espressamente conferiscono all'Ufficiale giudiziario, 
tenuto per sua parte a procedere su istanza 
dell'interessato, il potere di richiedere, quando 
occorra, l'assistenza della forza pubblica. 

�Niun dubbio, quindi, che lo Stato, in forza delle 
sue leggi ed entro i limiti da questi stabiliti, � garante 
dei diritti dei cittadini e come tale tenuto a rispettare 
e a far rispettare tali diritti anche, quando occorra, 
mediante l'impiego della forza di cui dispone )), 

In queste gravi statuizioni si contengono due 
fondamentali errori: in quanto il cittadino non 
ha un diritto subiettivo ad ottenere l'ausilio della 
forza pubblica per l'esecuzione dell'atto giurisdizionale, 
e, in ogni caso, la violazione. di quel 
diritto -subbiettivo pubblico -non sarebbe 
risarcibile patrimouialmente. 

La gravit�. della premessa non si attenua per il 
fatto che, nella specie decisa, il Tribunale abbia 
finito per circoscrivere la responsabilit�. della p.a. 
all'illegittimat�. di una circolare prefettizia, che 


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aveva disposto la temporanea negazione della 

�forza pubblica � per esecuzioni di sentenze di 
sfratto (1), riconoscendo peraltro, giustificabili in 
virt� della discrezionalit�. circa l'impiego della 

�forza � da parte dei rispettivi comandi -singoli 
rifiuti caso per caso. 

Infatti, superando tale distinzione, . e direttamente 
ricollegandosi all'affermato principio generale, 
altri privati hanno iniziato numerosi giudizi, 
dinanzi all'Autorit�. giudiziaria, sulla base 
della pretesa illegittimit�. dei singoli rifiuti opposti 
dal Comandante della stazione dei Carabinieri, 
pur dopo la revoca dell'anzidetta circolare. 

Il pericolo di una nuova, pi� larga breccia, 
ha consigliato la difesa dello Stato a sollevare, 
per questi casi, il regolamento di giurisdizione 
(non ancora deciso dal Supremo Collegio) mentre, 
per la fattispecie decisa dal Tribunale di Roma 
� stato, necessariamente, proposto appello (articolo 
41 c.p.c.) in corso di decisione dinanzi la 
1a Sezione della Corte d'Appello. 

Ma, per tutte le controversie, unica appare la 

ragione di dissenso rispetto alla soluzione adottata 

dal Tribunale, di Roma. 

* * * 

2. L'assistenza della forza pubblica � ordinata 
all'attuazione della volont�. di legge, affermata 
da pronunzia giudiziale esecutiva o da altro titolo 
contemplato nell'art. 475 c.p.c., ma non a 
favore del cittadino, sibbene come assistenza all'ufficiale 
giudiziario, a protezione da eventuali 
reati. Costui, cui incombe l'obbligo di procedere 
(1) Nel giugno 1948, era stato segnalato dalle Au� 
torit� comunali e dai Comandi dell'Arma dei Carabibinieri 
alla Prefettura di Roma, che nei Comuni dei 
Castelli Romani, in quelli di Anzio e Nettuno, nonch� 
in altri Comuni fra quelli che maggiormente avevano 
subito le devastazioni di guerra, erano state pronunciate, 
dall'Autorit� giudiziaria, numerosissime s�ntenze di 
sfratto, la cui esecuzione avrebbe dovuto essere pressoch� 
contemporanea. 
Nel solo Comune di Anzio, in particolare, si trattava 
di 82 sentenze pronunciate e di un centinaio in corso di 
emanazione; quasi tutte contro persone prive di giusto 
titolo di occupazione degli alloggi, le quali, pertanto, 
non avrebbero potuto fruire delle disposizioni per la 
graduazione degli sfratti previste dalle legge 18 ott.obre 
1946, n. 290. 

In considerazione di quanto sopra, ed essendo stata 
prospettata la possibilit� di perturbamenti dell'ordine 
pubblico, la detta Prefettura interess� i Comandi dell'Arma 
perch� non venisse dato l'ausilio della forza 
pubblica per esecuzioni di sentenze di sfratto, in attesa 
che venisse emanato un provvedinento atto a diluire nel 
tempo la massa degli sfratti a cui si doveva dare esecuzione. 

Con l'entrata in vigore della legge 9 agosto 1948, 

n. 1078, legge estesa, in base al Decreto ministeriale 
17 settembre 1948, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 
del 28 detto, con altri Comuni della provincia particolarmente 
danneggiati dalla guerra, anche ai Comuni di 
Anzio e Netturo, la Prefettura, con nota 30 settembre 
1948, n. 15011 Gab.indirizzataal Questoree�lai Comandi 
dei Carabinieri Laziale I e Laziale II, comunic� che le 
istruzioni impartite circa l'opportunit� della non concessione 
della forza pubblica dovevano ritenersi revocate, 
rientrando ormai la materia nell'ambito dell'attivit� 
dei Pretori, alla cui competenza restava demandata il 
valutare le circostanze di fatto e il graduare nel tempo, 
l'esecuzione dei provvedimenti in parola. 
all'esecuzione, ha tutti i poteri di forzare le cose o 
vincere resistenze1 indipendentemente dalla presenza 
della forza pubblica (artt. 513,. 606, 608, 
c.p.c.). L'intervento di questa, nello Stato moderno, 
non sarebbe concepibile come impiego di �forza 
bruta n. � ovvio che essa non potrebbe intervenire 
se non per proteggere l'ufficiale giudiziario 
dalla violenza altrui (art. 337 c.p.) o per proceder� 
all'arresto di responsabili di invasione (art. 633 

c.p.). . 

Ma questo signffiea non gi�. concorso ess�nziale 
nell'esecuzione, sibbene prevenzione o repressione 
di reati che interferiscano nell'esecuzione. In tal 
senso, � la lettera dell'art. 513 c.p.c., la disposizione 
che disciplina l'intervento della forza pubblica 
nell'esecuzione (mentre la norma dell'articolo 
475 c.p.c. si limita a riprodurre la formula, 
che tutti gli autori considerano un residuo storico 
e di valore pressoch� nullo -ZANZUCCHI: Diritto 
Processuale civile, 1947, I, 170; se non agli effetti 
della � cartolarit�. �, ANDRIOLI: Commento, 194 7, 
III, 15). Ebbene, gli autori pongono in luce che 
� sempre l'ufficiale giudiziario il mezzo dell'esecuzione 
coattiva, mentre la forza pubblica, chiamata 
a di lui discrezione, per cc l'assistenza ii, non 
� contemplata come cc mezzo ii necessario al fine. 

Dunque, se non � contestabile che il cittadino 
abbia un diritto subiettivo di ottenere l'attuazione 
concreta della volont�. della legge, attraverso l'affermazione 
della pronunzia giudiziale (azione) 
e la conseguente esecuzione; tale diritto non � 
configurabile in confronto della pubblica Amministrazione 
in quanto depositaria della forza materiale, 
posta a presidio delle leggi dello Stato e dei 
diritti dei cittadini, ma non direttamente, sibbene 
mediatamente, come protezione del giudice, 
per la pronunzia, dei suoi ausiliari, per l'esecuzione 
e dello ordinamento giuridico in generale. 

Il sistema dell'esecuzione, in uno Stato moderno 
e civile, si pu� concepire, solo, come sistema di 
coazione giuridica. Nel verbale si deve inserire la 
dichiarazione dell'ufficiale giudiziario, relativa alla 
cc immissione � dell'istante nel possesso dell'immobile, 
con intimazione alla part� condannata 

o ai terzi occupanti di non turbarlo, sotto le pene 
stabilite al c.p.; analogamente si procede per i 
mobili di spettanza della parte� condannata i'invenuti 
nello stabile, ecc., ecc. (MORTARA, Commentario, 
V, p. 595; a). . 
La richiesta della forza pubblica � ammessa per 
cc provvedere a che � p esecuzione non possa venir 
impedita da ostacoli frapposti dal debitore o da 
altri cc (CARBELLOTTO: Esecuzione forzata, n. 239, 
in cc Digesto Italiano n, vol. X ii. 

N�, si pu� dire che, nel caso, si trovi una esplicita 
deroga a questo principio generale di diritto 
pubblico, nella formula dell'art. 475 c.p.c. 

Si tratta di comandi diretti a regolare rapporti 
fra autorit�, ufficiale giudiziario e P .M.; uffieiale 
giudiziario e forza pubblica. �� � �-_ 

La lettera dell'art. 475 c.p.c. consente di escludere 
il diritto subbiettivo del privato, poich� 
fa obbligo agli agenti della forza pubblica di concorrere 
all'esecuzione, come assistenza all'ufficiale 
giudiziario. Ma � questo solo il soggetto dell'esecuzione 
(assistito materialmente dai facchini per 


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il trasporto di oggetti nel caso dell'art. 609 c.p.c. 

o dal fabbro, per il forzamento di casseforti, porte 
e simili) e la forza pubblica � chiamata a tutelarlo 
da eventuali violenze contro chi esegua le operazioni. 
Ma il loro intervento non � in nesso di causalit� 
con l'oggetto dell'esecuzione del provvedimento 
del giudice. 
Quando questo contempla persone fisiche, il 
concorso della forza pubblica non pu� esplicarsi 
materialmente su di esse per costringerle ad un 
determinato comportamento (sfratto, rilascio di 
minori, ecc.) ostandovi il diritto della libert� 
personale. 

Infatti il c.p.c. prescrive solo l'asporto coattivo 
di mobili, come si � visto; e, quanto al rilascio 
di immobili l'immissione in possesso del 
nuovo possessore � simbolica, mediante ingiunzione 
ai detentori di riconoscere il detto posses


. sore (art..608 c.p.c.). La successivl!' persi~tenza 
nel rifiuto ad abbandonare lo stabile potr� dar 
luogo all'accertamento di reato di violazione di 
domicilio, l:occupazione, ecc. e dar luogo ad arresto; 
onde l'uscita da una casa sar� effetto indiretto 
del rilascio, ma diretto dell'arresto. 

E, per�, il concorso della forza pubblica non 
potr� dirsi elemento necessario della procedura 
di rilascio, che potr� compiersi -anche senza la 
materiale fuoruscita degli occupanti -attraverso 
il verbale. Tale intervento si presta ad equivoci 
quando � contestuale all'esecuzione. Ma, concettualmente, 
ne va separato. Infatti anche in 
un secondo tempo, forte del verbale, il possessore 
potr��denunziare penalmente il fatto e ottenere la 
liberazione dell'immobile: e qui, non v'� dubbio, 
emerge la frg1rra dell'intervento della forza pubblica, 
in ordine al quale non si ha un diritto subiettivo 
alla repressione dei reati o circa il modo o il tempo 
della detta repressione. 

La dottrina, al riguardo, � inequivoca perch� 
nessuna ha mai pensato ad una liberazione forzosa 
di immobili, mediante materiale espulsione degli 
occupanti, sistema inconcepibile in uno Stato 
moderno. 

Il vecchio codice era pi� esplicito al riguardo; 
ma nessuno vorr� sostenere che il sistema sia 
mutato e che, anzich� far ricorso alle comminatorie 
delle pene stabilite dal c.p., e fuor del c~so 
dell'arresto,, si possa con l'uso della forza cacmar 
fuori gli occupanti. . 

II cittadino ha diritto di chiedere all'ufficiale 
giudiziario l'esecuzione. �, poi, questo che pu� 
chiamare per cc concorrervi � la f.p. E, la mancata 
prestazione � un rifiuto da organo ad organo; un 
rapporto fra pubblici poteri. Non � mai il cittadino 
che possa pretendere il �concorso>> tanto 
vero che a nessuno verrebbe in mente di chiedere 
il risarcimento del danno perch� la forza pubblica 
non abbia represso un movimento popolare c~e 
-attraverso manifestazioni sedizione -abbia 
impedito una pubblica udienza. Eppure, come 
l'art. 475 c.p.c. �rispetto all'esecuzione, ~os�. l'a.~ieolo 
128 c.p.c. rispetto all'udienza per il grnd1z10 
di cognizione, prevede il ricorso all'attivit� di 
polizia. . 

Di questi argomenti, non pare a?bia tenuto 
contro lo SCOTTO, in nota a sentenza citata (cc Foro 

It. ))' 1951, 1, 120) il quale, per dimostrare l'esistenza 
di un diritto subiettivo all'cc ausilio della 
forza, pubblica>> si richiama alla sentenza Sezioni 
Unite 22 febbraio 1926, n. 489 (cc Foro It. )) 1926, 
1, 32). Ma questa riguarda il caso d'un decreto del 
prefetto che non aveva negato, gi�,Ja forza pubblica 
per l'esecuzione, ma si era arrogato il potere di 
sospendere, addirittura, l'efficacia esecutiva delle 
sentenze di sfratto il che � cosa del tutto 
diversa. 

La Suprema Corte, lungi, pertanto, dal considerare 
gli effetti del rifiuto della forza pubblica e 
dal definire se tale comportamento ledesse un ipotetico 
diritto subiettivo alla prestazione della forza 
pubblica, ritenne la illegittimit� del decreto prefettizio 
che sospendeva 'il comando del giudice e 
giudic� non doversene tener conto ai fini della 
prosecuzione dello sfratto (applicazione del principio 
fondamentale dell'art. 2 L. contenzioso). Si 
guard� bene dall'adombrare, neppur per inciso, a 
un'ipotetica conseguenza riparatoria, per effett� 
della lesione derivata da quell'atto amministrativo. 


� da notare, tuttavia, che il Consiglio di Stato 
arriv�, per rispetto alla identica situazione, a 
legittimare l'atto prefettizio (V, 11 dicembre 1925, 
in �Foro It. �, 1926, III, 81�). 

Invero, Sezioni Unite e Consiglio di Stato avvi


sarono nel provvedimento un atto della Pubblica 

.Amministrazione, non lesivo di diritti siibiettivi: 

le Sezioni Unite limitandosi a riscontrarne l'ineffi


cacia per ritenuta incostituzionalit�; il Consiglio 

di St~to, affermandone, addirittura, la piena legit


timit�,. 

Ma se pur fosse stata ritenuta, anche dal Consi


glio di Stato l'illegittimit� per incostituzionalit�, 

del decreto ~refettizio, non ne sarebbe scaturito, 

solo per questo il diritto al risarcimento del ~an.no 

(come si vedr�, infra n. 5). SCOTTO, nella r1fer1ta 

nota si richiama ancora a uno studio di Lrozzr, 

' 

l'Atto giurisdizionale (in �Foro .Amm. )}' 1928, 

I, 137). Ma questo non pare siasi occupato del 

soggetto problema. 

La dottrina non disconosce, latu sensu, il ca


rattere di diritto subiettivo alla potest� confe


rita dall'ordinamento giuridico, al privato, vit


tori~so in giudizio di far valere il comando del 

' .

giudice; ma come diritto subiettivo all'esecuzione 

in s� (e se ne vedr� la natura, nel paragrafo se


guente), non gi� come diritto alla prestazione della 

forza pubblica. 

La giurisprudenza, poi, ha negato che la presta


zione della forza pubblica occorrente per l'esecu


zione di un giudicato rientri nell'obbligo dello Sta


to di dare esecuzione al giudicato; e lo ha negato 

perfino come assimilazione dell'obbligo a quell~ 

della Pubblica .Amministrazione di conformarsi 

al giudicato (art. 27 n. 4 T.U. 26 giugno 1924, 

n. 1054). (Cons. Stato, V, 31 gennaio 1947, in. 
cc Foro It.,)) 1947, III, 166 con Nota diFRAGOLA).Cos� 
che svanisce anche la preoccupazione (prospettabile 
per la situazione in esam.e) che la ma~cata 
concessione della forza pubblica possa costituire 
una paralizzazione o perturbazione dell'attivit� 
giurisdizionale. 


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3. Si ammetta, per ipotesi, che l'ausilio della 
forza pubbli.ca possa riconoscersi come prestazione 
di garenzia, diretta a favore del cittadino, per l'esecuzione 
dell'atto giurisdizionale. 
Occorre, anzitutto, distinguere fra diritto al 
pubblico servizio e diritto alla prestazione di esso. 

Diritto al pubblico servizio non � configurabile, 
com'�, ormai, pacificamente ritenuto. Non si pu� 
pretendere giudizialmente l'affermazione di responsabilit� 
dello Stato per la mancata istituzione di 
una scuola o per il difettoso funzionamento di 
un Tribunale, per l'omessa copertura del posto 
d'un insegnante o d'ufficiale giudiziario, per la 
mancata organizzazione della forza pubblica, che 
consente l'assistenza, (anche se ritenuta diretta 
garenzia del cittadino nell'esecuzione). Sono tutte 
garenzie del cittadino, ma d'ordine politico. La 
natura stessa delle pubbliche funzioni che si invocano, 
in base al cc diritto di azione ))' ne subordinano 
l'attuazione alle condizioni generali dell'organizzazione 
dello Stato. 

Il primo errore della sentenza del Tribunale 
di Roma �, proprio, nell'aver contaminato il concetto 
di �guarentigia � politica con quello di 
garenzia, in senso tecnico privatistico. 

Il primo si confonde con l'antico problema della 
responsabilit� di diritto pubblico (trascendente 
pur quello della c. d. responsabilit� obiettiva, 
senza colpa, cui H Supremo Collegio sembra, vieppi�. 
avvicinarsi in tema di fatti illeciti della Pubblica 
.Amministrazione, ogni qualvolta, per�, possa 
equipararsi l'azione dello Stato a quella di altro 
soggetto privato di diritti); problema risolto attraverso 
un sistema di <e indennit� legali � determinate 
o commisurate con criteri particolari in 
relazione a singole ipotesi dal legislatore previste 
che non possono evidentemente applicarsi per 
ipotesi non {(previste)) (AVVOCATURA GENERALE 
DELLO STATO: Relazione per gli anni 1930-1941, 
I, paragr. 118). 

Suscettibile di applicazione analogica (giusta 
la tendenza del Supremo Collegio) � stato ritenuto 
il caso dell'indennit� dovuta ai proprietari 
dei fondi danneggiati, permanentemente, dall'opera 
pubblica (art. 46 leg. esprop.); ma l'indennit� 
alla vittima dell'errore giudiziario, il c. d. risarcimento 
del danno di guerra, e cos� via rappresentano 
oneri che lo Stato riesce ad imporsi per una 
migliore organizzazione della vita statuale, e non 
possono confondersi con le obbligazioni che esso 
assume come ogni altro soggetto di diritto. 

Diverso il problema se il pubblico servizio esista 
e si attui un rifiuto alla prestazione. Ma, neppure 
in tal caso, sarebbe configurabile una responsabilit� 
della Pubblica Amministrazione. Responsabilit� 
patrimoniale in genere per violazioni di 
diritti pubblici subiettivi non � ipotizzabile se non 
quale effetto di reato. Di regola essa � configurabile 
come reintegrazione in forma specifica salvo 
il risarcimento in casi testualmente previsti. 

Si verser� nell'ipotesi di rifiuto di uffici legalmente 
dovuti, con conseguente responsabilit� personale 
del giudice o del funzionario, responsabilit� 
direttamente conseguente al fatto-reato dell'omissione; 
si potr� concepire una azione di accertamento 
del diritto del cittadino alla prestazione del ser


vizio, con conseguente reintegrazione in forma specifica 
(art. 27, n. 4, T. U. 26 giugno 1924, n. 1054); 
questo � il senso dell'attribuzione alla Autorit� 
Giudiziaria della cognizione di controversie sui 

c. d. diritti politici (art. 2 L. Oout.); ma non si 
potr� configurare il risarcimento del danno, per 
singole ipotesi di violazioni di diritti pubblici 
subiettivi, quando il legislatore, eccezionalmente, 
le ammette a indennizzo ex se non valutabile 
patrimonialmente. 
La risarcibilit� �del danno non sarebbe ricollegabile 
a responsabilit� ex contractu per la stessa 
natura del diritto (mancherebbe la relazione giuridica 
con due situazioni corrispettive di debito e 
credito). Non sarebbe ricollegabile a responsabilit� 
extracontr�ttuale, perch� il contenuto del diritto 
pubblico subiettivo non ha e non pu� avere contenuto 
patrimoniale (si pensi alle categorie dei diritti 
.pubblici subiettivi e se ne avr� la prova). 
Anche nel caso dell'azione, il danno non � la cc res 
domandata � e nel caso dell'esecuzione, la disponibilit� 
della resi Questo danno sar� imputabile 
alla parte convenuta, inadempiente. Lo Stato 
non �, certo, fideiussore solidale delle obbligazioni 
private dei debitori per il solo fatto di doverne 
assicurare l'adempimento. Non � pensabile una 
obbligazione extracontrattuale della Pubblica Amministrazione 
come concorrente di quella contrattuale 
della parte inadempiente. Si tratter�, se 
mai, di danno � non patrimoniale �; e, perci� risarcibile, 
solo per effetto di previo accertamento di 
responsabilit� penale e da far valere contro l'autore 
del fatto, e, in ipotesi, contro la Pubblica 
Amministrazione in virt� del principio accolto 
nell'art. 28 della Costituzione. 

4. Il cc diritto l> subiettivo sarebbe eliso, tuttavia, 
dal precetto che esclude il risarcimento del danno, 
derivato da attivit� di polizia di sicurezza. 
La gamma degli argomenti, in ordine a detto 
capo, va dalla cc politicit� � dell'atto o atto di 
cc alta polizia �, al precetto positivo dell'art. 7 

T. U. delle leggi di Pubblica sicurezza. 
In ordine alla cc politicit� � dell'atto, il Tribunale 
di Roma si � limitato a considerare il problema 
della <e forma ))' escludendo la natura di cc atto politico 
)) nella circolare del Prefetto di Roma, dianzi 
esaminata, perch� mancava della cc forma� propria 
degli atti amministrativi! Ma l'atto politico, 
proprio perch� tale e se tale, non � legato a forme 
tipiche. Trattasi di attivit� extra juris ordinem o 
intra juris ordinem, ma dominata da intensa discrezionalit�, 
onde, anche nella seconda specie, gli 
atti si pongono fuori di qualunque codificazione o 
norma giuridica, in concorso con reali esigenze di 
interesse generale (ROLLA: Nota in ccGiur. It. �, 
1941, 1, 1, 103; GABRIELI: Responsabilit� dello 
Stato per atti illeciti di polizia, su cc Riv. dir. pubbl. ))' 
1944, n. 6, 1, 104; VITTA: Diritto amministrativo, 
1948, 1, 290). 

Il Tribunale di Roma si � spinto, poi, a -negare 
la potest� del Prefetto ad emanare atti politici, 
in quanto organo locale e ha creduto ricollegarsi 
all'art. 215 T.U. delle leggi di pubblica sicurezza 
e argomentare dall'art. 77 Costituente, sul presupposto 
di una stretta assimilazione fra atto politico 


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e potest� normativa del Governo; mentre � noto 
che la categoria degli atti polit~ci si estende a tutti 
quelli che intendono all'integrit� della cosa pubblica, 
anche all'interno (stati di assedio, cordoni sanitari, 
altre misure straordinarie), e perci� da emanarsi 
anche da organi minori (RANELLETTI: Le Guarentigie 
della giustizia nella Pubblica Amministrazione 
1937, pp. 56 segg.). L'argomento era, tuttavia, 
pi� delicato, che la valutazione delle ragioni 
di pericolo per lo Stato nella sua integrit� e 
per i suoi supremi interessi, in che si compendia 
l'atto politico. (RoEHRSSEN: L'atto di potere politico, 
ecc., in �Riv. dir. pubbl. ii, 1938, I, 557; CARUSI 
INGHILLERI: Politioa Amministrazione e giurisdizione 
amministrativa, in cc IlConsiglio di Stato ii. 
Studi per il Centenario, 1932, II, 343, nn. 13, 15; 
RANELLETTI: Le guarentigie cit., pagg. 57 e 68; Teoria 
degli atti amministrativi speciali, 1945, p. 4 7; 
ZANOBINI: Corso di diritto a~ministrativo, 1946, 

p. 134); CAMMEO: Nota in cc Giur. it. n1938, III, 1; 
Sezioni Unite 24 febbraio 1947, n. 256, in cc Foro 
it. n, 1947, 1, 268), pu� effettivamente, ritenersi 
riservato al cc Governo n, giusta la classificazione 
accolta nella dottrina e nella giurisprudenza in 
Italia (GurcCIARDI: L'atto politico, in << Arch. dir. 
pubbl. n 1937, p. 263 e segg.) e in Francia 
vedine riassunto in VITTA: Diritto amministrativo 
cit., I, pp. 290-291). 
Non sarebbe, invece, decisivo l'argomento addotto 
da Scotto (in nota citata) e condiviso da 
larga parte della dottrina ,(CAMMEO: Commentario 
della giustizia� amministrativa, 1914, 824; ZANOBINI: 
Corso, II, 97, 98; VITTA: Diritto amministrativo 
cit., II, 435, 436), circa la sindacabilit� da 
parte dell'Autorit� Giudiziaria -dell'atto 
politico; poich� la giurisprudenza ha ritenuto costantemente 
che il giudice debba arrestare il controllo 
giudiziario, non gi�, limitarsi a dichiararne 
l'illegittimit� pur senza revocarlo (in applicazione 
dell'art. 4 L. contenz.); e, in ogni caso, la stessa 
dottrina prevalente riconosce che la questione non 
abbia un valore pratico, in quanto l'incompetenza 
giudiziaria sugli atti di governo scaturisce dalla loro 
discrezionalit� come limite della giurisdizione. 

In ordine alla norma contenuta nell'art. 7 T. U. 

delle leggi di pubblica sicurezza la sentenza del 

Tribunale di Roma ha ritenuto assorbita ogni 

necessit� di motivazione, in quanto il comporta


mento omissivo dell'autorit� avrebbe sconfinato 

dalla facolt� ad essa attribuita dalle leggi, attra


verso la diramazione di una circolare per la tem


poranea sospensione della forza pubblica. 

.A tale affermazione il Tribunale � pervenuto 

perch� ha esaminato la circolare, solo dal punto di 

vista della natura di atto politico. 

Ma, esclusa tale natura, o perch� atto interno, 

o per difetto di potere del Prefetto, restava pur 
sempre da esaminare se l'autorit� non avesse la 
bench� minima discrezionalit� nel concedere la 
forza pubblica e poich� questo sarebbe solo assurdo 
pensarlo, occorreva precisare se quella circolare 
(appunto perch� atto interno) fosse stata emanata 
nell'esercizio dell'attivit� di pubblica sicurezza 
e fosse, quindi, improponibile l'azione per l'eventuale 
responsabilit� in rapporto al preteso comportamento 
colpevole della pubblica amministrazione 
improponibilit� sancita dal citato art. 7 T. U. 
delle leggi di pubblica sicurezza. (L'interpretazione 
restrittiva di GABRIELI: Responsabilit� dello 
Stato per atti illeciti di polizia, in cc Riv. dir. pubbl. n, 
1944-46, I, 108, � contraddetta dalla chiarissima 
lettera della norma). 

.A tale proposito, non era, certo, difficile riscontrare 
nella cosidetta circolare del Prefetto di 
Roma un provvedimento di polizia (se non di 
�alta polizia n) non soltanto in senso soggettivo 
(la questione avrebbe, tuttavia, avuto scarso rilievo, 
attesa l'interpretazione del Supremo Collegio, 
che ravvisa nell'art. 7 una norma di vasta portata, 
applicabile ogni qualvolta una qualsiasi pubblica 
autorit� �abbia d'uopo di ricorrere a misure di 
pubblica sicurezza n, Sezioni Unite 16 aprile 1942, 

n. 988, in cc Foro It. n, 1942, I, 839), ma anche 
sotto il profilo oggettivo, se l'ordine formalmente 
si era manifestato come negazione della forza, sia 
in relazione a situazioni in atto (indisponibilit� 
di forza) sia in relazione a situazioni prevedibili 
(reazione della popolazione derivante dall'eventuale 
esecuzione; insufficienza della forza a fronteggiare 
i disordini che sarebbero seguiti dalla concessione 
dell'�ausilio n per un imponente numero di sfratti). 
Non potrebbe dirsi che la forza_ pubblica in questi 
casi, presti un'attivit�, oggettivamente, diversa 
da quella di pubblica sicurezza, quale ad 
es.: di polizia amministrativa. 

.A parte il rilievo che l'art. 7 non consente 
tali discriminazioni nessuno dubita che qualunque 
attivit� statuale diretta ad attuare, coercitivamente, 
la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza 
ed incolumit� delle persone e delle cose 
sia attivit� di polizia. � noto che la distinzione 
fra polizia di sicurezza e polizia amministrativa 
� ravvisata nel diverso fine; che, per la prima 
� la �difesa dell'� ordine giuridico n esistente contro 
attacchi illeciti dei singoli ii e, per la seconda 
la �tutela delle cose n, che hanno un'importanza 
sociale n e che, �malamente esistendo o funzionando 
n �possono essere cause di danno n << dan-� 
neggino l'ordine giuridico esistenten (RANELLETTIPolizia 
di sicurezza, in �Trattato di diritto amministrativo 
ndiretto da V.E. Orlando, vol. IV, parte I, 
pagg. 307, 308). E, pertanto, il caso che ci occupa 
non � dubbio rientri nella polizia di sicurezza. 

Per il SABATINI (Sicurezza pubblica, in <~Nuovo 

Digesto italiano n, n. 1, p. 266) non vi � addirittura 

distinzione e la duplice attivit� dianzi accennata 

� ricompresa in quello di �sicurezza pubblica n 

dovendosi contrapporre, piuttosto, la � polizia ii 

come attivit� di prevenzione, alla �giurisdizione n 

come attivit� di repressione. 

Del resto, la giurisprudenza ha fatto larga applicazione 
del principio dell'improponibilit� sancita 
dall'art. 7 cit. non solo in tema di polizia di sicurezza, 
ma, a fortiori a con maggior larghezza, in 
tema di polizia giudiziaria, e infine, in tema di 
polizia amministrativa: delle strade, delle acque, 
dell'agricoltura, ecc. (cfr . .AVVOCATURA GENERALEDELLO 
STATO: Relazior:_e cit., I, par. 121 e segg.). 

5. Il preteso diritto all'assistenza della forza 
pubblica -se pur fosse configurabile -soffrirebbe 
necessariamente limitazione nel tempo come nel 

-6


modo di prestazione (tratterebbesi, in sostanza, 
di un diritto affievolito). (Sulla questione vedasi 
Relazione cit., I, par. 121). In un caso venuto all'esame 
del Consiglio di Stato, venne perfino 
ritenuto che la concessione della <<forza pubblica n 
per un qualsivoglia adempimento che abbia o possa 
avere ripercussi<Jni sull'o. p., � esercizio di potere 
cos� tipicamente ed ampiamente discrezionale da 
sottrarsi in concreto, ad ogni sindacato di legittimit� 
(Consiglio di Stato, V. 31 gennaio 194 7, 
cit.). � 

La distinzione fra rifiuto nei casi singoli con 
riferimento a motivi concreti, e divieto in generale, 
non genera discriminazione di competenza, (come 
invece sostiene SCOTTO: Nota cit.), ma pu� riverberarsi 
sulla legittimit� sostanziale del rifiuto, a 
giudicare della quale �, per�, sempre competente 
il Consiglio di Stato, come osserva FRAGOLA: in 
Nota alla stessa sentenza, (in << Giur. It. n, 1951, 
1, 2, 530). Il thema decidendum -scrive il Fragola 
-era costituito da una d-0manda tendente 
alla declaratoria di illegittimit� del rifiuto ed al 
conseguente risarcimento dei danni. Cio�: il privato 
chiede un pubblico servizio; lo Stato risponde: 
lo metto a tua disposizione se, quando e come 
posso (potere discrezionale). Che, nella specie, 
poi lo Stato abbia risposto: non posso dartelo 
perch� questi sono gli ordini superiori, � affare cJ;ie 
non trasforma il potere amministrativo da discrezionale, 
come indubbiamente �, nella soggetta 
materia, in potere vincolato; e quindi non trasforma 
l'interesse legittimo del privato a diritto soggettivo 
perfetto. � discrezionale dare o non dare 
la forza pubblica: questo � principio; motivare poi 
questo non dare, con argomento legittimo o illegittimo 
� questione la quale potr� indurre il giudice 
competente a dichiarare se questo modo dira-' 
gionare dell'amministrazione pubblica sia giusto 
od ingiusto, ma non � questione la quale fuoriesce 
dal campo dell'attivit� discrezionale dell'autorit� 
amministrativa. Se un'attivit� � discrezionale 
per sua natura ed il suo esercizio d� luogo pertanto 
a diritti affievoliti dei cittadini, non si converte 
in attivit� vincolata ancorch� negativa, dando 
luogo a diritti perfetti, per il semplice fatto di un 
ordine del superiore gerarchico. � attivit� che nasce 
e resta in ogni caso discrezionale. Se mai il Tribu� 
nale avrebbe potuto dire (ma con quale effetto 
pratico~), la domanda � inammissibile perch� mira 
a sindacare il potere discrezionale della Autorit� 
di Pubblica Sicurezza; ma la eccezione a(ldotta 
dall'Amministrazione � infondata in quanto si 
poggia� su di un atto amministrativo illegittimo 
quale l'ordine astratto di non dare la forza pubblica 
per eseguire gli sfratti. Ma poich� la pronuncia del 
giudice deve tenere anzitutto conto dell'amissibilit� 

o meno della domanda (io mi dolgo che non mi 
avete dato la forza pubblica -potere discrezionale), 
dichiarata inammissibile la domanda, non vi � 
luogo a discutere della eccezione (pretesa gustificazione 
in riferimento ad un ordine superiore). 
�, inteso, sia il rifiuto, sia la dilazione reiterata 
nella concessione della forza pubblica potrebbero 
generare lesioni di interessi denunziabili al superiore 
gerarchico (art. 6. T. U. delle leggi di P.S.) 

ma non di diritti perfetti, specialmente in ordine al 
tempo entro il quale. essi debbano essere soddisfatti. 

Pi� correttamente del Tribunale di Roma, il 
Tribunale di Napoli, con sentenza 13 giugno 1948, 
<< Giur. It. �, 1948, I, U, 506, aveva escluso la 
responsabilit� della pubblica amministrazione in 
relazione all'affievolimento del diritto, di fronte 
al pubblico interesse relativo all'impiego della 
forza pubblica. 

Intervenuto -se del caso -annullamento da 
parte del giudice amministrativo la pubblim1 
amministrazione dovr� uniformarsi al caso deciso 
ma non conseguirebbe diritto del privato al risarcimento 
dei danni in dipendenza della dichiarata 
illegittimit� dell'atto, perch� violazione di interessi 
legittimi esclude quella di diritti subiettivi. 

Importante conseguenza della rigorosa applicazione 
del principio che, in sede giuridisdizionaleamministrativa, 
non possano farsi valere diritti come 
interessi (cfr. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO: 
Relazione cit. I, paragr. 4, 5) � che l'annullamento 
di un atto amministrativo, tranne che in 
materia di giurisdizione esclusiva (per la quale 
dispone l'art. 30 T. U. 26 giugno 1924, n. 1054) 
non potrebbe dar fondamento ad una successiva 
pretesa di risarcimento innanzi all'Autorit� giudiziaria 
(cfr. la <<Rassegna di giurisprudenza )) in 
Relazione cit., paragr. 20). 

6. La distinzione fra rifiuto di un comando nel 
casi singoli, con riferimento a� motivi concreti e 
divieto di prestazione in gen4lre, con riferimento a 
motivi, pur concreti, di pi� vasto raggio, non spostava, 
per�, concettualmente i termini del problema, 
neppure ai fini della legittimit�; e, in ci�, dissento 
da FRAGOLA. 
La circolare non pu� -considerarsi ex se, direttamenta, 
lesiva di diritto subiettivo o interesse legittimo 
se, constatate le possibilt� di impiego e di reciproco 
appoggio fra le stazioni dipendenti, l'organo 
superiore considerava inopportuno concedere la 
<< forza �, per atti di esecuzione, quando non si 
sarebbe potuto disporre di quella necessaria, per 
affrontare le conseguenze della concessione. 

In pi� vasto raggio1 si trattava, pur sempre, 
di quelle valutazioni di ser.vizio che lo stesso Tribunale 
di Roma ha riconosciuto idonee ad escludere, 
temporaneamente, il diritto alla concessione 
e la responsabilit� conseguente al rifiuto. 

Nella valutazione di opportunit� possono rientrare 
anche la preoccupazione di inasprimenti 
della popolazione contro i tutori dell'ordine pubblico 
si da rendere troppo gravoso il loro compito 
e menomare la dignit� dello Stato. 

Queste prevalenti esigenze debbono considerarsi 
-senza dubbio -determiuanti dell'affievolimento 
dell'ipotetico diritto all'ausilio della �forza pubblica 
)) a pena di dover arrivare. all'assurdo -per 
dare ingresso a un'impugnativa giurisdizionale 
in via ordinaria o amministrativa "-'----.di sindacare 
(con prove testimoniali od inchieste) il numero 
degli agenti, le esigenze degli altri servizi di istituto, 
ecc. 

Nel caso, la temporanea sospensione dell'ausilio 
della forza pubblica -dichiarata in una circolare 

o in un singolo rifiuto -non doveva considerarsi 

-7


diretta a paralizzare l'esecuzione delle sentenze 
di sfratto ma, anzi, a renderne possibile la pratica 
attuazione -nel tempo -senza scosse per la 
pace sociale; tanto ci� � vero che il legislatore, intervenuto 
successivamente a regolare la materia, 
dispose, appunto, che gli sfratti contro gli abusivi 
occupanti non dovessero aver esecuzione simultanea. 


L'azione della Pubblica Amministrazione veniva 
a svolgersi nell'ambito consentito alla �attivit� 
amministrativa �, la cui caratteristica, di fronte 
alle altre funzioni dello Stato non sta, tanto, nell'eseguire 
la legge, quanto nell'agire (governare o 
amministrare) illimitatamente ...:__ per ii benessere 
sociale -spingendosi fin l� dove non si incontrino 
precetti (FORTI: Diritto arnministrativo, 1931, 1, 

pag..9 e segg.; MIELE: Le situazioni di necessit� 
dello Stato, in �Arch. di dir. pubbl. � 1935. pagine 
426, 427); precetti, ben s'intende, posti apresidio 
di situazioni giuridiche in relazione all'adozione 
di provvedimenti dei quali si eontroverta; 
non anche delle miriadi di situazioni che l'attivit� 
amministrativa -nel suo a:ffe;rmarsi -venga a 
perturbare. 

Precetti imperativi e proibitivi, relativi alla concessione 
indism�iminata della forza pubblica non 
esistevano e non esistono, e, per�, deve concludersi 
che il comportamento dell'amministrazione 
si sarebbe sottratto al sindacato (di legittimit�) 
anche del Supremo Consesso Amministrativo, e, 
se esaminato sotto il profilo dell'eccesso di potere 
sarebbe stato ritenuto pienamente legittimo. 

DARIO FOLIGNO 

AVVOCATO DELLO ST�TO 


NOTE D I DOTTRINA 


FRANCESCO ANTOLISEI: Sull'essenza dei 'delitti con


tro la fede pubblica. (((Rivista Italiana di diritto 

penale,,, 1951, VI, novembre-dicembre). 

La materia del falso, che per la sua complessit� 
il sommo' Carrara paragonava ad una sfinge, riceve, 
in questo limpido e perspicuo scritto, una impostazione 
chiaramente dominata dalla sentita necessit� 
di indicare -in un campo in cui gli sbandamenti 
sono facili e frequenti per la larga zona 
grigia esistente tra l'illecito ed il lecito penale criteri 
precisi per una applicazione ragionevole. 
ed equa delle norme punitive. 

Il nostro Codice penale disciplina -com'� noto 
-i reati di falso nel titolo VII del libro II 
f'lotto il nome cli xd delitti co,..,tro la fede pubblica))' 
e con tale denominazione il legislatore intende 
porre in evidenza quella ch'e la nota pi� rilevante 
delle falsit� punibili: la pos8ibilit� di trarre in inganno 
non una sola persona o un numero ristretto 
di persone, sibbene un numero indeterminato di 
individui, il �pubblico )) insomma. 

Tale possibilit� di trarre in inganno il pubblico 
deriva -secondo l'A. -dal fatto che l'attivit� 
del reo si svolge su cose e con dichiarazioni che nella 
comunit� sociale godono di un particolare credito. 

I delitti contro la fede pubblica si sostanziano, 
pertanto, in attentati alla genuinit� (autenticit�, 
purezza, con riferimento a oggetti, segni e forme 
esteriori) e veridicit� (con riferimento alle dichiarazioni) 
di mAzzi probatori aventi rilevantevalore 
per le esigenze e le consuetudini della vita sociale 

Per l'A. sono <<mezzi probatori))' in genere 

,, tutti gli oggetti e le dichiarazioni che, secondo 

n costume, godono qi un part�colare credito nei 

rapporti della vita sociale'' 

La dottrina dominante considera come oggetto 

giuridico ossia come oggetto della tutela penale 

del gruppo di reati in disco:so la �fede ~mbbli_ca )). 

Il concetto di fede pubblica -la cm adozione 

� attribuita al Filangieri (Scienza della legislazione, 

1817) -� spiegato dalla Relazione illustrati.v~ 

del Progetto del Codice vigen~e -sulle orme d1 

Arturo Rocco (L'oggetto del re'ato, 1913) -come 

,, la fiducia che la societ� ripone negli oggetti, se


gni e forme esteriori (mone~e, ~~blemi, ~oc1:1menti), 

ai quali l'ordinamento gmnd_1~0 attr1bmsce ~m 

valore importante ll. E per la pm recente e seguita 

eln,borazione dottrinale, esso consiste in << quella 

fiducia usuale che lo stesso ordinamento dei rapporti 
sociali e l'attuazione pratica del medesimo 
determina tra i singoli o tra la pubblica Autorit� 
e i singoli, relativamente all'emissione e circolazione 
monetaria, ai mezzi simbolici di pubblica 
autenticazione, ai documenti e qualit� delle persone 
(MANZTNI: Trattato, 2a ediz., 1946, vol. VI, pagine 
431-432) � 

Secondo l'opinione corrente, la pubblica fede 
costituisce un vero e proprio bene (o ihteresse) 
giuridico, e titolare ne � la societ�, la collettivit� 
vivente nello Stato. 

Tale concetto della fede pubblica � stato criticato. 
come ambiguo, indeterminato e artificioso, 

. dal Gabba, dal Frassati, dal Maino, dallo Zerboglio 
e. nella dottrina germanica, dal v. Liszt e dal 
Binding, al quale ultimo si deve l'immaginifico 
paragone della pubblica fede ad uno di quegli 
animali marini che, guardati da lontano, seducono 
lo sguardo per la loro fosforescenza, ma, presi 
fra le mani, si sciolgono in una massa gelatinosa. 
Nella pi� recente dottrina italiana si sono pronunciati. 
contro l'opinione dominante il Delitala, 
il Borettini e il De Marsico. 
Secondo l'Antolisei, non pu� negarsi alla teoria 
dominante un fondamento di verit�, se ilconcetto 
di fede pubblica viene precisato nel senso di << fiducia 
e sicurezza nelle relazioni giuridiche)) (speditezza 
del traffico giuridico). In tal senso, la 
pubblica fede pu� considerarsi e viene considerata 
P.Sattamente un interesse sociale meritevole di 
protezione da parte dello Stato e per ci� stesso 
l'oggetto giuridico del gruppo di reati in parola. 
Il difetto della dottrina corr�nte consisterebbe, 
invece, nell'aver attribuito a tale criterio un valore 
esc�usivo, trascurando un altro aspetto dei reati 
medesimi, aspetto che � pi� importante dal punto 
di vista sostanziale. 
L'A. considera, infatti, che, nella realt� deile 
cose, il falso non � mai, o quasi mai, fine a s� 
stesso: in altre parole, esso non � <<il vero punto 
di mira )) dell'attivit� del reo. Lo scopo effettivo, 
il risultato di tale attivit� � <<l'offesa (lesione o 
messa in pericolo) di quell'interesse particofar� 
che sarebbe salvaguardato se i mezzi probatori 
non fossero falsati: in altri termini, di quell'interesse 
specifico che � garantito dalla genuinit� e 
veridicit� dei mezzi di prova ll. Cos�, nel falsificare 


-9


una cambiale il reo mirerebbe a ledere l'interesse 
della persona la cui firma � contraffatta; nel falsificare 
un biglietto di viaggio avrebbe lo scopo di 
frodare l'.Amministrazione ferroviaria. 

Orbene, anche questi interessi specifici sarebbero 
protetti dalle norme che incriminano le falsit�, 
e la tutela accordata ad essi dall'ordinamento 
giuridico non sarebbe semplicemente occasionale, 
ma immediata e diretta. 

Ohe si tratti di protezione immediata e diretta 
1'.A. crede di poter desumere dalla constatazione 
che gli organi giudicanti non hanno avuto e non 
hanno mai esitazioni nel ritenere soggetti passivi 
dei delitti di falso le persone titolari degli interessi 
specifici che sono lesi o posti in pericolo dall'azione 
del falsario. Per contro -considera sempre lo 
illustre .A. -se unico oggetto, giuridico dei reati 
in esame fosse la fede pubblica, soggetto passivo 
di essi dovrebbe considerarsi solo la collettivit� 
e si dovrebbe neg3.re ai singoli danneggiati la qualifica 
di soggetti passivi e quindi il diritto al risarcimento. 
Poich� a tale risultato i seguaci della 
teoria dominante non si sentono di pervenire, 
essi -secondo 1'.A. -non sarebbero coerenti 
con la premessa da cui partono e con ci� stesso 
metterebbero in evidenza il difetto fondamentale 
dell'opinione da loro seguita. 

Nella concezione dell' .Antolisei, pertanto, i 
delitti previsti nel titolo VII del libro II del Codice 
appartengono alla larga categoria dei reati plurioffensivi 
e cio� dei reati in cui si riscontrerebbero 
due offese: una -comune a tutti i delitti della 
categoria -che concerne la pubblica fede; l'altra 
-variante da delitto a delitto -che riguarda 
l'interesse specifico tutelato dall'integrit� dei 
mezzi probatori. 

Tale concezione importerebbe notevoli conseguenze 
pratiche nella interpretazione e nella 
applicazione delle norme punitive del falso. 

Il primo ordine di conseguenze pratiche riguarderebbe 
il momento oggettivo dei delitti contro la 
fede pubblica. 
� L'.A. considera che le deprecabili incertezze 
ed incoerenze nell'applicazione delle norme, dovute 
alle tendenze formalistiche della dottrina e della 
giurisprudenza degli ultimi decenni -dottrina 
e giurisprudenza che avrebbero finito con lo svuotare 
di contenuto il grande principio tradizionale: 

fh:lsitfi8 non punitur quae non solum non nocuit sed 
nec erat apta nocere -non si verificherebbero 
se si tenesse presente che l'offesa della pubblica 
fede non basta ad integrare il momento oggettivo, 
la materialit� dei reati di falso. 

Occorre -secondo l'.A. -che sia offeso anche 
l'altro bene che � tutelato dalle norme incriminatrici, 
<e e precisamente che sia per lo meno 
posto in pericolo l'interesse che � salvaguardato 
dalla integrit� dei mezzi probatori. Da ci� deriva 
l'impunit� del �falso innocuo �, il quale abbraccia 
il <e falso grossolano>> (falso inidoneo a trarre in. 
inganno), ma ha un'estensione maggiore, perch� 
comprende tutte le falsit� che, comunque, non 
possono nuocere a chicchessia �: 

.Altre conseguenze pratiche della concezione 
dei delitti di falso, delineata dall'.A. concerne


rebbero il problema dell'elemento soggettivo dei 
delitti medesimi ed in particolare la determinazione 
dei requisiti del dolo richiesti per la loro 
punibilit�. 

.Aborrendo dal crudo rigorismo del dolus in re 
ip�i (dolo insito nel fatto stesso della falsificazione) 
dell' Impallomeni e respingendo decisa-. 
mente anche l'opinione prevalente (giurisprudenza 

S. O., Oivoli, Lombardi, Saltelli-Romano ed altri), 
che nel falso non occorra altra indagine che quella 
concernente la coscienza e volont� dell'immutazione 
del vero, l'.Antolisei va pi� in l� del Manzini 
-secondo il quale occorrerebbe una intentio 
decipfondi, affermando la necessit� di una intentio 
nocendi. Ci� significa che a costituire il dolo non 
sarebbe sufficiente la consapevole volont� di immutare 
il vero, ma occorrerebbe che il soggetto avesse 
� almeno la coscienza di cagionare i pregiudizi che 
caratterizzano questa categoria di reati >>. 
Dubitiamo che la concezione del falso delineata 
dall' .Antolisei, pur avendo -in linea puramente 
teorica -una salda impostazione logica e pregi 
incontestabili di originalit� e di ragionevolezza, 
possa ritenersi aderente alla ratio e alla sistematica 
dell'attuale legislazione in materia. 

Secondo noi, l'opinione dominante giustamente 
considera come unico oggetto giuridico dei delitti 
previsti dal titolo VII del libro II del Codice 
vigente la fede pubblica. Riteniamo, inoltre, che, 
pur senza tener conto della lesione di interessi 
particolari e del correlativo elemento soggettivo 
(intentio nocendi), possa e debba giungersi, nella 
pratica applicazione delle norme, a quei risultati 
ragionevoli ed equi tanto fervidamente auspicati 
dall'illustre .Autore. 

Se � vero -com'� vero -che e< le leggi penali 
sono la misura, quasi il prezzo corrente dei valori 
sociali� (Lombardi), non pu� disconoscersi che la 
punibiJit� delle falsit� sotto il profilo della offesa 
alla pubblica fede sia chiaro indizio dell'eleva~o 
grado di civilt� di una legislazione penale. E, 
infatti, intimamente connesso con tipi di civilt� 
evoluta la concezione del falso come reato sociale: 
come reato, cio�, che lede un interesse pubblico, 
analogo -per dirla col Oarnelutti -alla pubblica 
sicurezza. 

Ora non v'� dubbio -basta tener presenti 
i lavori preparatori e la classificazione del codice 
attuale -che l'oggettivit� giuridica dei delitti 
di falso consideratta dal nostro legislatore sia unicamente 
la tutela di quel bene giuridico collettivo 
che va sotto il nome di fede pubblica. Fede pubblica, 
che non � un'idea vaga e meramente appariscente 
(come quel tale animale marino del Binding), 
ma ha base nella realt� ed � -come incisivamente 
� stato notato -un costume sociale, 
un particolare atteggiamento della moralit� pubblica. 


In logica conseguenza di tale concezione non 
sono richiesti dal nostro Codice, quali necessari 
estremi di punibilit� del falso, il danno dell'offeso --e 
la intentio nocendi, essendo solamente sufficienti 
la dolosa immutatio veri ed il danno, effettivo o 
semplicemente possibile, della pubblica fede. 

Con ci� non si vuole negare che, nella realt� 
delle cose, il falso non sia di regola fine a s� stesso, 



-10 


ma miri a ledere o mettere in pericolo anche un 

interesse specifico, particolare. Si vuole solamente 

osservare che tale interesse specifico � occasional


mente protetto da quella stessa norma che ha come 

oggetto giuridico la tutela della pubblica fede. 

Questa conclusione non � -come ritiene l'.Antolisei 
-inconciliabile col fatto che sia stata 
sempre ammessa dagli organi giudicanti la costituzione 
di parte civile, nel processo penale, del 
titolare di un interesse specifico leso dall'azione 
del falsario. L'azione civile di risarcimento prescinde 
dall'oggettivit�. giuridica di una determinata categoria 
di reati ed � solamente da porsi in rapporto 
con le possibili conseguenze dannose dei reati stessi 
nei confronti di singole persone. In altri termini, 
mentre all'oggetto giuridico si fa riferimento per 
porre in luce la ragion d'essere della norma punitiva; 
per la legittimazione attiva all'esercizio della 
azione di risarcimento si prescinde dall'indole del 
reato e si ha unicamente riguardo al danno patrimoniale 
o comunque economicamente apprezzabile, 
derivato dall'azione criminosa. 

D'altra parte, lo sminuzzamento delle varie ipotesi 
di falsit�. con le diverse graduazioni di pena 
non sembra costituisca un'incoerenza della concezione 
accolta dal nostro legislatore, nel senso che 
la maggior parte di tali distinzioni non avrebbe 
ragion d'essere se unico oggetto giuridico dei delitti 
in discussione fosse la fede pubblica. Ci pare, per 
contro, perfettamente spiegabile che, mentre la 
classificazione dei reati in categorie pi� o meno 
ampie sia ispirata ad una generica considerazione 
dell'oggetto giuridico, la configurazione delle varie 
ipotesi sia dettata dalla considerazione dell'interesse 
tutelato nei suoi possibili aspetti particolari 
e specifici. 

Tale essendo, secondo la dottrina dominante e 
secondo il Codice attuale, l'essenza dei delitti contro 
la fede pubblica, riteniamo non si possa lamentare 
la mancanza di precisi criteri per una giusta � 
applicazione delle norme punitive del falso. 

Ed invero, dato che, per l'integrazione degli 
estremi di punibilit�., � richiesta -come si � detto 
-l'offesa effettiva o semplicemente possibile 
della pubblica fede, resta evidente che in tanto 
sussister�. la materialit�. dei reati di falso in quanto 
si abbia una immutatio veritatis che abbia indotto 
in inganno o abbia reso possibile un inganno con 
gli effetti anzidetti. Saranno, per ci� stesso, completamente 
al di fuori dell'ambito della punibilit�. 
sia il falso �grossolano ))' sia il falso di per s� � innocuo 
))' poich� e l'uno e l'altro non ledono n� mettono 
in pericolo la pubblica fede. 

Correlativamente, sussister� l'elemento soggetivo 
dei reati di falso ogni qualvolta sia stata accertata 
la volont�. cosciente di compiere la falsificazione 
per rendere possibile un inganno illecito 
(frode). E, sotto questo profilo, non possiamo non 
convenire con l'.Antolisei quando manifesta il 
proprio dissenso da quelle pronuncie giudiziarie 
nelle quali il solo dei delitti di falso si fa consistere 
nella cosciente e volontaria immutazione del vero, 
senza che sia necessaria la ricerca neppure di una 

intentio decipiendi. 

u. o. 
0DDINI : " Lo status del patrimonio tedesco all'estero", 
in �Giur. Ital., � I, 2, 347. 

I. La nota dell'Oddini prende spunto dal seguente 
caso giudiziario. Il Tribunale di Roma con sentenza 
14 aprile 1950, ha negato alla Farben-Industrie 
la tutela di marchio di fabbrica da essa registrato 
in Italia. Ha ritenuto il Tribunale che, cadendo 
la controversia su bene che si deve considerare 
situato in Germania (perch� quivi risiede 
l'azienda al cui titolare il marchio appartiene) 
dovesse applicarsi la legge del locus rei sitae a 
mente dell'art. 22 disp. prel. C. C. E poich� in 
Germania vige la legge n. 5 della Commissione 
.Alleata di Controllo, che ha disposto la confisca 
di tutti i beni tedeschi all'estero, compresi i marchi 
.di fabbrica (artt. 2 e 10), in favore della Commissione 
stessa, in applicazione di questa il Tribunale 
ha ritenuto la ditta attrice carente di azione. 
L'Oddini critica la decisione sostenendo invece 

la tesi �he i beni appartenenti a soggetti di nazio


nalit�. tedesca, e siti fuori del territorio germanico, 

non sono assoggettabili alle norme confiscatorie 

a loro riguardo emanate dalle .Autorit�. .Alleate 

occupanti la Germania. L'autore arriva a parlare 

di uno status del patrimonio tedesco all'estero 

(cosi intitola la nota), mentre n� i beni di cui ci 

occupiamo assurgono ad alcuna unit�riet� giuri


dico-economica che ne giustifichi la individua


zione come un �patrimonio ))' n� ad essi compete 

alcuno status espressione che dal punto di vista 

tecnico non si attaglia all'argomento. Peraltro 

sembra che non si possa condividere la tesi dell' .A. 

sulla insuscettibilit�. dei beni tedeschi siti allo 

estero -e in particolare in Italia -a subire 

le vicende confiscatorie derivanti dalle norme 

dettote dagli .Alleati. nella Germania occupata. 

Gli argomenti che l'Oddini adduce a sostegno 

della sua tesi, e contro la decisione del Tribunale, 

sollevano interessanti problemi di diritto interna


zionale privato e pubblico. 

Secondo l'.A. la legge n. 5 degli alleati non era 

applicabile a beni tedeschi siti in Italia perch�: 

a) se anche vero che la norma di conflitto 

rimandava al diritto C!ello Stato nel cui territorio 

il bene controverso � situato, il richiamo non, poteva 

operare in favore di una legge in quel territorio 

introdotta dall'Occupante. Il dirittoin ternazionale 

privato non pu� operare richiamando dall'ordina


mento straniero nOl'me dettate dall'Occupante; 

b) in ogni caso � principio di diritto internazionale 
pubblico, concordemente riconosciuto, che 
norme di indole politica e di natura penale, fiscale 

o confiscatoria non trovano applicazione -fuori 
del territorio dove si esercita la giurisdizione del 
legiferante :-da parte di Stati esteri sovrani, 
salvo impegni da questi assunti con appositi trat�
tati, Rileva, peraltro, l'Oddini che a un tale 
impegno il Trattato di Pace non vincola lo Stato 
italiano. 

II. Il primo problema, relativo alla possibilit�. 
del richiamo dalla norma di diritto internazionale 
privato di norme� giuridiche dettate dall'occupante 
nel territorio dello Stato col quale la norma di 
conflitto opera il collegamento, � stato acutamente 

-11


e diffusamente trattato dall'Ubertazzi ((Foro Padano 
�, 1949, III, col. 127 ((Osservazioni sul 
richiamo della legge di occupazione nel diritto 
internazionale privato� alle cui conclusioni l'Oddini 
aderisce, richiamandone le principali argomentazioni. 
Su queste do.bbiamo brevemente intrattenerci 
per esprimere una diversa opinione. 

Si dice che ildiritto internazionale privato muove 
da una necessit� di certezza e sicurezza delle norme 
da applicare (criterio di rigidit�), che rendeinammissibile 
il richiamo di norme aventi un valore 
contingente, transitorio, condizionato, come sono 
quelle dell'occupante. Ma si deve replicare che la 
norma di diritto internazionale privato funziona, 
e deve funzionare, in modo che (( oggetto del 
richiamo sono le norme che risulteranno, nei singoli 
momenti, in vigore nell'ordinamento straniero� 
(MORELLI: Lezione diritto internazionale privato, 
1943, p. 24). 

Cosicch� la norma di diritto internazionale. privato 
precede sempre al suo aggiornamento, secondo 
le variazioni che subisce il diritto dell'ordinamento 
richiamato, e questa dinamicit� del rinvio 
� al fine che la norma richiamata sia quella .che 
<< effettivamente � in un �dato momento disciplina 
la materia, anche se in via transitoria e contingente. 

Maggiore argomento si adduce osservando che, 
nei rapporti per i quali viene richiamata la lex loci, 
il diritto internazionale privato intende riferirsi 
all'ordinamento dello Stato sovrano sul territorio 
col quale il rapporto � collegato, mentre lo Stato 
occupante ha la sovranit� sul territorio occupato. 
Ma tale argomento, di per s� incontestabile, perde 
pregio se si ammettte -e l'Ubertazzi non nega 
tale possibilit� -che le norme dell'occupante 
si inseriscano nell'ordinamento dello Stato occupato, 
sovrano sul territorio col quale il rapporto 
� collegato. Ed in vero tra le varie teoriche: della 
sovrapposizione dell'ordinamento dell'occupante, 
da cui viene a dipendere l'ordinamento dello Stato 
occupato; della coesistenza con reciproche limitazioni 
dei due ordinamenti; della creazione di 
un nuovo ordinamento nella societ� ambiente 
dove si realizza l'occupazione; sembra pili convincente 
e aggiornata quella che ritiene che in 
territorio occupato resti in vigore l'ordinamento 
dello Stato occupato, che recepisce in se stesso 
le norme dettate dall'occupante entro certi limiti 
e condizioni (cio� nell'esercizio dei poteri normativi 
consentiti dall'art. 43 della Convenzione dell'Aja 
del 1889, sulla guerra terrestre). 

J..Je considerazioni fatte avanti valgono anche 
per il terzo argomento, particolarmente acuto, 
sostenuto dall'Ubertazzi, per escludere che il diritto 
internazionale privato possa rinviare a una legge 
dettata dall'occupante. L'A.. osserva che il rinvio 
a un'ordinamento straniero postula il richiamo 
di una norma quivi vigente secondo il sistema delle 
fonti che caratterizza l'ordinamento richiamato. 
Le norme di occupazione, in quanto non provengono 
da una fonte propria del sistema giuridico 
dell'ordinamento richiamato, sono irrecepibili dal 
diritto internazionale privato. Ora, non si pu� 
dubitare che ogni ordinamento � quello che �, 
secondo il sistema delle fonti che lo pongono e 
compongono, ma se dimostreremo che la norma 

dell'occupante acquista giuridica rilevanza nello 
ordinamento dello Stato occupato, proprio attraverso 
una fonte di esso ordinamento, cadr� anche 
l'argomentazione che stiamo esaminando. 

.Abbiamo ricordato che l'Ubertazzi ammette 
la possibilit� che la norma dell'occupante si inserisca 
nell'ordinamento dello Stato occupato; anche 
di fronte a tale teorica egli ritiene che regga 
l'argomentazione, evidentemente perch� pensa che 
in ogni caso tale norma proviene sempre da una 
fonte estranea al sistema nel quale si inserisce. 
Ma crediamo, innanzi tutto, che nessuna norma 
possa inserirsi in un ordinamento giuridico dallo 
esterno, senza un processo attraverso il quale 
essa acquisti giuridicit� in quell'ordinamento (si 
pensi al problema della nazionalizzazione delle 
fonti); in secondo luogo crediamo che sia possibile 
dimostrare che la norma dell'occupante acquista 
valore giuridico (e non si attua soltanto in linea 
di imposizione di fatto) in territorio occupato, proprio 
in quanto esiste nell'ordinamento dello Stato 
occupato una norma che contempla come fonte 
(eventuale) di produzione giuridica il potere normativo 
esercitato dall'occupante. Tale norma crediamo 
sia da ravvisare in quella che negli Stati 
moderni contempla l'adattamento automatico del 
diritto interno al diritto internazionale consuetudinario 
(sull'argomento cfr. 'MORELLI: Adattamento del 
diritto interno al diritto internazionale in alcune recenti 
costituzioni in R.D. Int. 33, 7 dello stesso: Efficacia 
del bottino di guerra nell'ordinamento italiano 
in<( F. I. 48, I, 533 -MANZINI, Bollettino di guerra 
e patrimonio indisponibile dello Stato (nota 16) in 
�Giur. Cass. Civ.))' 1948, III, p. 821). 

Poich� esiste una norma di diritto ihternazionale 
consuetudinario, codificata nell'art. 43 della 
Convenzione dell'Aia, che attribuisce una limitata 
e determinata potest�. legislativa all'occupante 
in territorio occupato, e perch�, per adattamente 
automatico a tale norma, il diritto interno 
a quella potest� normativa attribuisce giuridica 
rilevanza, ne deriva che dagli ordinamenti statuali 
viene contemplata come possibile fonte di produzione 
giuridica l'attivit� normativa dell'occupante. 
In tal modo sussiste nna norma interna 
sull>i. produzione giuridica alla quale (come fonte 
propria dell'ordinamento dello Stato occupato) 
si deve riportare il valore giuridico, in seno a tale 
ordinamento, della norma dettata dall'occupante. 

� invece da riconoscere che, escludendo di massima 
il diritto internazionale pubblico che l'occupante 
si metta a legiferare in materia di rapporti 
privatistici, rester� con ci� stesso escluso che la 
norma dell'occupante possa essere oggetto di richiamo 
da parte del diritto internazionale privato. 
Ma allora il problema diventa un'altro: non sar� 
pi� irrecepibilit� della norma dell'occupante nella 
norma di conflitto, ma si tratter� invece di sindar.
are la legittimit� della norma richiamata, come 
si esercita un sindacato sulla costituzionalit� della 
legge straniera richiamata. 

Tanto � diverso il problema che, nel caso concreto 
dell'occupazione della Germania, sembra 
si dehba prescindere da ogni dubbio sulla legittimit� 
della norma richiamata, dati gli ampi poteri 
legislativi derivati agli occupanti dalla resa 


-12 


inr.ondizionata, dagJi accordi di Postdam, dal regime 
convenzionale di occupazione che ha di molto 
accreiwiuto le facolt� dell'occupante previste dalla 
Convenzione dell'..Aia; e vi � addirittura chi ha 
ritenuto la debellatio dello Stato tedesco (cfr. GruLIANo: 
Lo Status interil:azionale della Germania). 

In conclusione non solo sembra che si possa 
escludere che esistano impedimenti al richiamo 
della norma dell'occupante dal diritto internazionale 
privato, ma si deve ritenere che la norma di 
conflitto non pu� operare a guisa di selettore che 
respinga la norma che effettivamente vige nell'ordinamento 
col quale. il rapporto � collegato, riattivando 
una norma puramente ipotetica, quella 
che nell'ordinamento straniero avrebbe vigore, 
se non vigesse invece la diversa disciplina dettata 
dall'occupante. 

Sotto questo primo aspetto dunque non sussisteva 
per il giudice italiano l'impedimento ad 
applicare la legge n. 5 degli alleati, confiscatoria 
di beni tedeschi siti all'estero. 

III. Ma l'Oddini, come si � rilevato, adduce 
un secondo argomento che sarebbe assolutamente 
imueditivo. 
Ricorda I'A. come le norme penali, fiscali, confiscatoriei 
hanno vigore limitato all'ambito territoriale 
dello Stato che le.emette, e questo non pu� 
aspirare a vederle applicate a beni (rispetto ai 
quali possa anche disporre) fuori del suo territorio, 
senza ledere la sovranit�. degli Stati dove tali 
beni sono situati. Su tale principio di diritto 
internazionale pubblico l'Oddini richiama la concorde 
autorevole opinione del Fachiri, del Worthley, 
del Dicey e di altri scrittori. Peraltro tale principio 
resta superato quando gli Stati esteri si impegnano 
con trattato ad applicare la norma stranier�. 
E difatti osserva l'Oddini, gli Alleati ben consci 
della inAfficacia della legge n. 5-che lede il principio 
di diritto internazionale pubblico suriferito, in 
quanto pretende applicazione fuori del territorio in 
cui essi esercitano il potere di occupazione, -vennero 
a particolari accordi con i governi della Svizzera, 
Svezia, Spagna e Portogallo per la liquidazione 
del patrimonio tedesco in quei: paesi, che 
avevano respinto l'applicazione della legge di 
confisca nel loro territorio. 

Qu~ndo all'Italia l'Oddini nega che sia impegnata 
a riconoscere efficacia alla legge n. 5, della 
Commissione alleata in Germania, in quanto, 
ancorch� l'art. 77, n. 5 del Trattato di Pace, impegni 
lo Stato italiano �a prendere ogni misura necessaria 
per facilitare il trasferimento dei beni tedeschi 
che si trovano in Italia, che venisse deciso da 
quelle Potenze occupanti la Germania, che hanno 
il potere di disporre dei beni tedeschi trovantisi 
in Italia n non solo non � stata emanata in Italia 
alcuna disposizione per la vendita o liquidazione 
dei marchi di fabbrica ivi esistenti, ma � stato 
esplicitamente convenuto tra gli alleati occidentali 
da una parte, e l'Italia dall'altra, col memorandum 
di Washington del 14 agosto 1947 (accordo 
Lowett-Lombardo) che cc le misure relative a marchi 
di fabbrica e patenti di propriet�. tedesca saranno 
dilazionate in attesa di passi separati. 

Ma qui sembra che l'A. non abbia colto nel segno 
il valore dell'articolo ricordato del Trattato di Pace 
dispiega nel caso in esame. Nulla interessa� che 
siano state differite le misure per facilitare il trasferimento 
agli alleati di beni Ud�schi in Italia. 
Quello che nella specie si deve considerare � 
l'esplicito riconoscimento, contenuto nel suriportato 
testo dell'art. 77, Trattato di Pace da parte dello 
Stato italiano che �le potenze occupanti la Germania 
hanno il potere di disporre dei beni tedeschi 
trovantisi in Italia n. Di fronte a questo esplicito 
e non dilazionato impegno cade l'ultima obiezione 
contro l'applicabilit�. della legge n. 5 degli alleati 
da parte di giudici italiani. Se � vero che la norma 
per i caratteri rilevati, non pu� impegnare gli 
Stati stranieri, salvo particolare accordo, � altrettanto 
vero che lo Stato italiano assunse preventivamente 
col trattato di pace l'impegno di riconoscere 
efficacia alle norme degli alleati, intese a 
disporre dei beni tedeschi esistenti in Italia; come 
altri Stati tale impegno hanno assunto con specifici 
trattati. 

IV. Un ultimo argomento si deve trattare per 
esaurire il tema. 
L'Oddini rileva che il Tribunale � caduto in 
in contraddizione quando ha ritenuto che la controversia 
dovesse decidersi secondo la legge tedesca, 
perch� locus rei sitVte del marchio de quo deve 
considerarsi la Germania, mentre ha poi richiamato 
dall'ordinamento tedesco una legge che si 
occupa di beni situati fuori del territorio germanico. 

L'A. non insiste su tale rilievo interessandogli 

. di negare comunque l'applicabilit�. in Italia della 
legge n. 5 degli alleati. Ma qual'era la norma di 
conflitto regolante la materia, e come doveva operare1 
Sembra che cadendo la controversia sul 
diritto al marchio esattamente il Tribunale abbia 
fatto ricorso all'art. 22 disp. prel. c. c .. Ma sorge 
il dubbio che, poich� il vero oggetto della controversia 
cadeva sulla capacit�. della ditta tedesca 
di esS'ere titolare del marchio dopo la confisca disposta 
dagli alleati, potesse piuttosto trovare 
applicazione l'art. 17 disposizione preliminare, 
che come fu osservato, non si riferisce alla capacit�. 
giuridica in genere, ma alla capacit� di agire 
in ordine a un dato rapporto. � vero che la capacit� 
specifica di essere titolari di certi rapporti 
(es. propriet�) � disciplinata dalla norma didiritto 
internazionale privato relativa a quel rapporto, ma 
� altrettanto vero che come � sfuggono alla sfera 
d'azione dell'art. 22, per ricadere sotto la norma 
ricordata in materia di capacit� di agire .... la 
capacit� di trasmettere e costituire diritti reali�, 
(Morelli, op. cit. p. 69) cos� si pu� ritenere che la 
controversia sulla capacit� di conservare un diritto 
reale (in relazione alla sopravvenuta attivit� confiscatoria 
dell'occupante), e di agire per la sua tutela, 
debba ricadere sotto la disciplina dell'art. 17 che 
rimanda al diritto straniero. In tal caso si giustifica 
senz'altro il richiamo della legge n. 5 della.Com-missione 
alleata la sua sua applicazione da parte 
del giudice italiano. 

Se invece la controversia ricade sotto la norma 
dell'art. 22, come questione attinente strettamente 
alla propriet� del marchio, si impone il problema 


-13 


pregiudiziale di determinare se il marchio di azienda 
tedesca registrato in Italia sia un bene sito in 
Germania o in Italia. Non � possibile affrontare 
qui l'interessante problema di diritto industriale, 
e conviene esaminare l'una e l'altra possibile soluzione. 


Se il bene deve considerarsi sito in Italia, dove 
attraverso la registrazione ha acquistato giuridico 
rilievo e piena tutela, a mente dell'art. 22 citato 
deve applicarsi la legge italiana. In questo caso 
funzioner� l'art. 77 n. 5 ricordato del Trattato di 
pace, secondo il quale il giudice italiano deve riconoscere 
pieno valore ad ogni decisione alleata 
relativa ai beni tedeschi in Italia. Oosicch� avendo 
gli alleati disposto colla legge n. 5 la confisca dei 
marchi di fabbrica tedeschi, tale norma avr� applicazione 
non come legge �straniera, non cio� come 
atto normativo. ma come fatto che integra il 
contenuto del ricordato art. 77 del Trattato di Pace. 
Detto articolo si manifesta come un atto di produzione 
giuridica, contenente una norma in bianco 
che presuppone, per il suo completamento, non 
nuove norme, ma decisioni e disposizioni concrete, 
emanate dagli alleati al riguardo dei beni tedeschi 
in Italia. Tale costruzione sembra pi� esatta di 
fronte all'altra possibile interpretazione, che la 
clausola in esame del tr�ttato di pace possa ritenersi 
operante come norma sulla produzione giuridica, 
che attribuisce nel nostro ordinamento valore 

giuridicQ normativo ad ogni decisione alleata in 
ordine ai beni tedeschi trovantisi in Italia. 

Se infine il marchio deve considerarsi situato 
in Germania resta giustificato il richiamo della 
legge alleata n. 5, ma applicandola si incorrerebbe 
nella contraddizione rilevata dall'Oddini, perch� 
quella legge dispone la confisca di beni situati fuori 
del territorio tedesco. Tuttavia la contraddizione 
ci sembra pi� apparente che reale: infatti la prima 
volta, agli effetti cio� di determinare -come 
vuole la norma di conflitto -�dove il bene � situato, 
si deve giudicare secondo la legge italiana, e questa, 
poniamo, stabilisce che il marchio di azienda tedesca, 
ma registrato in Italia, � un bene situato in 
Germania. Ma una volta attraverso la individuazione 
del lucus rei sitae rimandati all'ordinamento 
tedesco, � alla stregua di questo che si deve giudicare 
anche la collocazione del bene (e l'art. 10 della 
legge n. 5. espressamente contempla i marchi di 
fabbrica di aziende tedesche come beni all'estero). 

Quindi il marchio, che, secondo l'ordinamento 
italiano, � un bene sito in Germania e perci� 
la nostra norma di diritto internazionale privato 
rimanda all'ordinamento tedesco, in quanto per 
quell'ordinamento � un bene all'estero subir� la 
sorte che la legge n. 5 ha det�rminato per i beni 
tedeschi all'estero. La contraddizione non esiste 
perch� le due contrarie valutazioni avvengono 
nell'ambito di diversi ordinamenti. 

G. M. 

RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA 


AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -A.R.A.R. -Na


tura giuridica -Azione di spoglio. (Corte di Cass., 

Sez. Il, Sent. n. 2057-51 -Pres.: Piga, Rel. : Vita 


P. M.: Caruso (concl. difformi) -Monteleone contro 
Azienda Rilievo Alienazione Residuati). 
L'Azienda Rilievo .Alienazione Residuati non 
� un organo dello Stato, ma una persona giuridica 
pubblica la quale opera nell'interesse e per 
conto dello Stato pure restando fuori della sua 
diretta organizzazione amministrativa. 

Non pu� ritl;lnersi, pertanto, preclusa dall'art. 4 
della legge sul contenzioso amministrativo l'actio 
spolii proposta contro l'A.R. .A.R. 

L'azione di spoglio � proponibile contro quella 
attivit� della Pubblica amministrazione che, non 
essendo una estrinsecazione del potere discrezionale, 
costituisce attivit� violenta o'clandestina 
perch� non autorizzata dall'atto Amministrativo, 
il quale, essendo previsto dalla legge, rappresenta 
la legittima manifestazione di volont� della Pubblica 
.Amministra.zione di agire per una finalit� 
inerente al suo eompito pubblicistico. 

Per la intelligenza delle massime riportiamo la 
motivazione della sentenza. 

cc Affrontando una indagine compiuta sin ora da 
qualche giudice di merito, la Corte Suprema rileva 
che in astratto sono configurabili tre ipotesi circa la 
natura giuridica dell'A.R.A.R. e cio�: 

a) che essa, sebbene sfornita di personalit� giuridica, 
sia un organo della Pubblica Amministrazione; 

b) che essa appartenga alla Pubblica Ammini 
straziane con una sua personalit� giuridica, insita 
nelle funzioni; 

e) che essa infine sia una persona giuridica 
di diritto pubblico, la quale non appartiene alla diretta 
amministrazione statale, sebbene operi nell'interesse 
dello Stato. 

Ma, agli effetti della pronuncia che la Corte Su


prema deve emettere (ossia: se contro l'A.R.A.R. 

sia proponibile azione di spoglio) le tre ipotesi 

possono essere ridotte a due sole: cio� che l'Azienda 

sia un organo dello Stato (se fornita o non di per


s~nalit� giuridica pu� interessare� soltanto per altre 

finalit� giuridiche e giudiziarie), ovvero sia una 

persona giuridica pubblica la quale operi nello 

interesse dello Stato pur relftando fuori della sua 

organizzazione amministra:tiva. 

cc Or, su tale questione il Supremo Collegio osserva 

che l'A.R.A.R. non pu� considerarsi parte della 

Pubblica Amministrazione statale; s� che l'actio 

spolii proposta da! ricorrente non pu� ritenersi 

preclusa dall'art. 4 della legge sul contenzioso ammi


nistrativo, come ha invece affermato il Tribunale. 

� L'A.R.A.R. fu istituita con decreto 25 ottobre 
1945, n. 683, come �ente autonomo� per il rilievo, 
la custodia e la alienazione (in sintesi: per la valorizzazione 
patrimoniale) dei residuati di guerra, ossia 
delle cose cedute allo Stato 'dalle Forze Armate Alleate 
ovvero abbandonata dall'esercito tedesco in ritirata. 
Ed il carattere di autonomia fu reso pi� evidente, 
sia con le norme che determinarono la struttura dei 
suoi organi (decreto '23 novembre 1945, n. 793), sia 
con quelle successive che ne precisarono le funzioni 
(decreto 25 e 28 febbraio 1947, n.119 e 1'20). Infatti, 
all'ente, chiamato sempre azienda, furono preposti 
come direttore un funzionario della Amministrazione 
ferroviaria (art. 5 decreto�25 ottobre 1945, n. 783), 
e come organo interno di amministrazione un consiglio 
nominato dal Ministro per la ricostruzione 
(art. 3 detto decreto n. 683 ed art. 2 decreto 23 novembre 
1945, n. 793) ed obbligato ad osservare le direttive 
del Comitato Interministeriale per la ricostruzione 
(art. 2 decreto n. 683). La direzione dell'Ufficio 
di ragioneria dell'azienda fu affidata ad un funzionario 
della Ragioneria dello Stato (art. 13 citato 
decreto n. 793). 

Ma n� questa determinazione legislativa della 
struttura dell'ente, n� la vigilanza dello Stato sulla 
gestione (sotto forma di riscontro della gestione stessa 
affidato a revisori nominatid ai Ministri del Tesoro 
e per la ricostruzione e del Presidente della Corte 
dei Conti, e sotto forma di approvazione dei conti 
consuntivi, da parte del Ministro del Tesoro: art. 9 
e 13 decreto n. 793); nP-la circostanza che dovevano 
essere prelevati dall'organico statale alcuni impiegati 
della Azienda consentono di ravvisare nell'A.R.A.R. 
un organo della Pubblica Amministrazione. 

cc L'A.R.A.R. sorse, non per svolgere uno dei com


piti essenziali e immanenti dello Stato, n� per affron


tare alcuna delle funzioni pubblicistiche che esso deve 

assumere, temporaneamente, nei periodi che sono 

chiamati di emergenza; ma fu istituita come 1.ma 

" azienda ,, che dov�va operare " per conto ,, e " nello 

interesse del Tesoro dello Stato�,, (art. 1 cit. decreto 

n. 683), al quale doveva essere trasferita ogni attivit� 
e passivit� (art. 17 cit. decreto n. 793). Ed al consiglio � 
di amministrazione di questa azienda, creata per 
valorizzare un patrimonio occasionaZ.e dello Stato, 
quale era quello dei residuati di guerra, fu �J,fftd;at-a 
una rilevante ampiezza di poteri e di iniziativa circa 
il riconoscimento dei diritti vantati dai terzi sui beni 
posseduti dall' A .R.A.R. (decreto 25 febbraio 1947, 
n. 120). Detti ampi poteri ed iniziative mal si concilierebbero 
con la nozione dell'organo della Pubblica 

-15 


Amministrazione; la quale non agisce se non attraverso 
la normale organizzazione dello Stato o attraverso 
quella degli enti autarchici, e secondo le leggi che disciplinano 
l'attivit� costante e necessaria dello Stato. 

<< L'intervento funzionale del Genio Civile nell'accertare 
lo stato di cons,istenza degli immobili che l'A. 

R.A.R. restituisce; l'intervento funzionale del Prefetto 
nel liquidare le indennit� (art. 4 decreto n. 120); 
la facolt� ministeriale di prorogare le occupazioni 
di immobili (art. 5 dello stesso decreto); la riserva 
dello Stato di stabilire nuove direttive obbligatorie 
per l'A.R.A.R. (art. 4 decreto 15 aprile 1948, numero 
567), costituiscono, alla pari delle particolari 
forme di vigilanza statale su indicate, riflessi delle 
iniziative sen;ipre pi� numerose che lo Stato va attuando 
per finalit� patrimoniali, le quali non possono essere 
confuse con gli scopi immanenti di interesse pubblico. 
� Lo Stato moderno, cio�, oltre a svolgere i suoi 
compiti tradizionali corrispondenti a fondamentali 
necessit� della vita collettiva, ha assunto -nel tempo 
a noi vicino -iniziative che economicamente non 
sono diverse da quelle che a scopo lucrativo� svolgerebbero 
un privato o un complesso di soggetti privati; 
creando a tale finalit� enti molteplici. E le direttive, 
i controlli escogitati per rendere fattive e patrimonialmente 
utili tali iniziative, se rivelano la situazione di 
preminenza che ha lo Sta~o, considerato come la prima 
e pi� forte persona giuridica, non fanno rientrare 
nella vera e propria organizzazione statale n� l' A .R. 

A.R. 
n� le altre aziende patrimoniali dello Stato. 
� � stata prospettata in do'ttrina la ipotesi che l'A. 
R.A.R. sia una di quelle persone giuridiche che sono 
istituzionalmente titolari di un rapporto. organico 
con lo S'tat�, e che da tale sua posizione nella organizzazione 
dello Stato derivi che essa agisca come vero 
e proprio organo di questo. Ma, come si � accennato, 
la figura mista, dell'organo di Pubblica Amministrazione 
fornita di personalit� giuridica, pu� essere 
inquadrata -nel nostro sistema di diritto pubblico assai 
meno agevolmente di quello che possa farsi 
ammettendo che l'A.R.A.R. sia invece una vera e 
propria persona giuridica di diritto pubblico perch� 
-creata dallo Stato -opera esclusivamente per 
finalit� di pubblico interesse patrimoniale, ma resta 
al di fuori della Pubblica Amministrazione. 
�D'altronde la Corte Suprema osserva che all'annullamento 
della sentenza impugnata si giunge anche 
se, per ipotesi dialettica, si ritenga che l'A.R.A.R. 
costituisca un organo -transeunte ed anomalo della 
Amministrazione Pubblica. 

� � noto che non � ammessa la azione di spoglio 
contro la P~bblica Amministrazione, perch� l'ordine 
di reintegrazione nel possesso, che dovrebbe essere 
dato dal Pretore, costituirebbe soppressione dello 
stato di fatto creato dall'atto amministrativo e quindi 
revoca dell'atto stesso. Or proprio da tale regola di 
diritto deriva che il privato possa insorgere contro la 
attivit� violenta o clandestina con cui la� Pubblica Amministrazione 
sopprima uno stato di fatto senza avere 
emesso quell'atto amministrativo che sia previsto 
dalla legge come sua manifesVazione della volont� di 
agire per una finalit� inerente al suo compito. La 
inammissibilit� dello actio spolii, cio�, presuppone 
una legittim�a funzione della Pubblica Amministrazione, 
legittimamente manifesta. Questa ha indubbiamente 
poteri di imperio e facolt� discrezionali, contro 

� le quali il privato non pu� chiedere la tutela immediata 
di un suo diritto consistente nell'uso di un determinato 
stato di fatto (sentenza Sezioni Unite 
12 aprile 1933,n. 1263) o contro le quali il privato 
pu� agire soltanto in modo diverso dall' ese'l'.cizio dell'azione 
possessoria. Ma, fuori del campo in cui la 
Pubblica AmJm,inistrazione � arbitra discrezionalmente, 
s� che il giudice ordinario non pu� sindacarne 
l'operato agli effetti di ripristinare uno stato di 
fatto inerente al possesso o alla detenzione, il presupposto 
della attwit� non sindacabile della Pubblica 
A>wministrazione � la esistenza del vero e proprio 
atto amministrativo )) (omissis). 

<< La azione di spoglio � proponibile contro quella 
attivit� della Pubblica Amministrazione, che, non 
essendo una estrinsecazione di potere discrezionale, 
costituisce attivit� violenta o clandestina contro l'altrui 
possesso, perch� non autorizzata dail'atto amministrativo 
il quale, essendo previsto dalla legge, 
rappresenta la legittima manifestazione di volont� 
della Pubblica Amministrazione di agire per una 
finalit� inerente al suo compito pubblicistico �. 

Non pu� sfuggire al lettore che questa motivazione 
se non � proprio lontana non � certo veramente vicina 
a quella chiarezza e propriet� di espressioni e a quelle 
precisazioni di concetti giuridici desiderabile per lo 
meno nelle sentenze del Supremo Collegio. 

. Quanto alla prima massima, infatti, ai fini di 
decid�ere sulla proponibilit� o meno di un'azione 
di spoglio che il Pretore aveva ritenuto proponibi!e 
e il Tribunale improponibile, il Supremo Collegio 
si � pronunziato su una situazione amministrativa 
consolidata e sul riconoscimento, quasi unanime, 
della giurisprudenza dei giudici di merito e della 
dottrina di tale situazione; e si � pronunziato in modo 
da poter generare confusioni che non hanno ragione 
di essere. 
L'Amministrazione Centrale dello Stato ha considerato 
l' A .R.A.R., fin dalla sua istituzione, una 
propria azienda autonoma come tutte le altre aziende 
dello Stato, con o senza personalit� giuridica, che 
fanno parte della sua organizzazione (cfr. ZANOBINI: 
Corso, ediz. 1946, pag. 126 e segg.). Vi sono in tali 
sensi provvedimenti formali (decreto del Ministro 
per le Finanze 30 gennaio 1946), circolari (relative 
al trattamento tributario dei residuati di guerra d'importazione) 
ed il parere 27 gennaio 1948, n. 118 del 
Consiglio di Stato. 
Tale l'hanno ritenuta, decidendo specifiche contestazioni, 
tutti i giudici di merito, come il Tribunale 
di Roma (in questa Rassegna, 1948, nn. 1-2, pag. 9) 
e quello di Napoli (in Giur. It., 1950, I, 2,36), per 
ricordare le sentenze edite, ad eccezione della sola 
Corte di Appello di Napoli a conferma delle statuizioni 
della indicata sentenza del Tribunale di N apoli. 
E di azienda di Stato parla la dottrina (SANDULLI, 
in Giur. It., 1951, IV, 105 e GIULIANO, 
ivi, 1950, I, 2, 36 in nota, richiamando la lettera del 
decreto legislativo che la istituisce). . 
Il Supremo Collegio facendo una rassegna�non del 
tutto completa dei vari provvedimenti legislativi che �riguardano 
l' A.R.A.R., esclude trattarsi di organo 
dello Stato considerando che � stata istituita per la 
valorizzazione dei residuati di guerra, come patrimonio 
occasionale dello Stato (il che non � proprio 
esatto se si ricordi il rilievo o recupero che ad essa 


-16 


� demandato dei materiali abbandonati dai tedeschi) � 
e che ha personalit� giuridica, (la qual cosa non risulta 
da alcuna delle disposizioni dei provvedimenti 
legislativi passati in rassegna) ed afferma che si 
tratta di persona giuridica pubb~ica, ente autonomo 
od azienda con finalit� patrimoniali che, come le 
altre aziende patrimoniali dello Stato, non fa parte 
della vera e propria organizzazione dello Stato, rifacendosi 
cos~ a quella dottrina che in riguardo alle 
aziende dello Stato, distingueva tra aziende senza personalit� 
giuridica, indicate come dipendenze amministrative 
sta'tali, e quelle aziende con personalit� 
giuridica, come l'Azienda delle foreste demaniali, 
indicate come enti giuridici separati dallo Stato (FERRARA: 
Le persone giuridiche, pag. 124 e seguenti). 

� La distinzione, di cui il Supremo Collegio vede 
l'utilit� ai fini delle successive conclusioni di cui nelle 
altre massime, non solo non risponde alla realt� in 
quanto all'A.R.A.R. non � riconosciuta nelle disposizioni 
legislative una personalit� giuridica propria ed 
in quanto le aziende dello Stato, abbiano o meno una 
personalit� giuridica, fanno parte dell'Amministrazione 
centrale la quale non si esaurisce nell'organizzazione 
normale dei M iniSteri, come bene osserva 
lo Zanobini (l. c.), ma pu� portare alla confusione 
dell'Azienda, anche per le espressioni che si 
leggono, con i numerosi enti pubblici che h�nno un 
proprio patrimonio, perseguono fini pubblici, ma 
non propri dello Stato, e godono di completa autonomia 
di cui non gode certo l'A.R.A.R., che, a prescindere 
dalla soggezione a precise direttive governative 
neU9 svolgimento della sua attivit�, anche per quanto 
riguarda la gestione � obbligata a versare al Tesoro 
dello Stato le somme riscosse eccedenti le ordinarie 
esigenze di gestione (art. 6 D.C.P.S. 18 ottobre 
1947, n. 1223). 

Quanto alle altre due massime la lamentata mancanza 
di chiarezza e di propriet� delle espressioni e 
di precisazione dei concetti giuridici risulta dalle 
massime stesse, che sono formulate nei termini testuali 
della sentenza, senza necessit� di riferirsi al 
merito della contestazione di cui riteniamo opportuno 
non fare alcun cenno bastando, a richiamare 
l'attenzione sulla specie, ricordare le difformi conclusioni 
del P.M. Com'� chiarito dai richiami alle 
sentenze 13 marzo 1934, n. 793 e 2 aprile 1949, 

n. 775, il Supremo Collegio � pervenuto alla conclusione 
ch,e l'A.R.A.R. � azienda come le altre patrimoniali 
dello Stato per escludere nelle successive conclusioni, 
rispetto all'art. 4 della legge sul contenzioso, 
l'atto amministrativo nei suoi requisiti di giuridicit� 
e per considerare l'attivit� dell'A.R.A.R. come meramente 
privata e di soggetto di propri�t� patrimoniale. 
Ma a tal fine, proprio per la precisazione� dei 
concetti giuridici, non occorreva occuparsi dell' A. 
R.A.R. come organo o meno dello Stato, perch� il 
divieto dell'art. 4 � relativo alle manifestazioni di 
volont� nella funzione amministrativa in genere, 
che non � propria dei soli organi dello Stato (ZANOBINI 
Corso, vol. I, pag. 20), e .tanto meno, poi, 
occorreva ricorrere per definire la funzione amministrativa 
al concetto della discrezionalit�, che � solo 
uno dei caratteri della funzione amministrativa (ZANOBINI, 
ivi, pag. 14) e aggiungere poi quanto altro 
si legge nella massima. 
(B. C.) 
AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -A.R.A.R. -Com


missione delle rivendiche -Carattere giurisdizionale 

ed amministrativo delle pronunzie. (Corte di Cassa


zione., Sez. Unite, Sent. n. 67-52 -Pres. : Pellegrini 

Est. : Duni, P. M. : Malacuso -Impresa Barra con~ 

tro A.R.A.R.). �� � 

La Commissione per le rivendiche istituita presso 
I'Azienda Rilievo Alienazione Residuati col decreto 
legislativo 28 febbraio 1947, n. 119 � organo 
amministrativo che, in luogo dell'A.R.A.R., delibera 
se la domanda di coloro che intendono far valere 
diritti sui beni pervenuti in possesso dell'A. 

R.A.R. debba essere accolta senz'altro ovvero se 
l'A.R.A.R. debba resistere alla eventuale azione 
giudiziaria che l'interessato di fronte al diniego, 
avesse a proporre. 
La sentenza delle Sezioni Unite accoglie in pieno 
la tesi sostenuta dall'Avvocatura circa la fisionomia 
della Commissione delle rivendiche presso l' A.R.A.R. 
ed il carattere delle sue pronunzie. 

La questione � venuta all'esame del Supremo Collegio 
a seguito di ricorso che investiva direttamente 
una pronunzia della Commissione a' sensi dell' articolo 
362 cod. proc. civ., ma di essa aveva avuto 
gi� occasione di occuparsi il Tribunale di Milano, 
che aveva ritenuto il carattere giurisdizionale della 
Commissione e delle sue pronuncie (sent. 11 marzo 
1951 in Giur. It., 1951, I, 2, 139), ed aveva, con 
riguardo a tale sentenza, scritto il Sandulli ritenendone 
invece il carattere amministrativo e classificando le 
denuncie o domande degli interessati come ricorsi 
gerarchicf impropri; e tanto ai fini di stabilire se 
le pronunzie fossero irrevocabili o revocabili, ed, ove 
fossero revocabili, quali le condizioni e le garenzie 
per la eventuale revoca (Osservazioni in tema di revocabilit� 
di decisioni di ricorsi amministrativi, in 
Giur. Ital., 1951, IV, pag. 105). 

L'Avvocatura ha sostenuto il carattere amministrativo 
e la revocabilit� delle pronunzie, prima che 
comparisse lo scritto del Sandulli nella Giurisprudenza, 
ed ha negato sotto ogni aspetto che le pronunzie 
potessero considerarsi decisioni di ricorso �gerachico 
anche improprio, mancando un provvedimento 
dell'A.R.A.R. oggetto di ricorso e rappresentando invec� 
la pronunzia l'unico provvedimento dell' A .R.A.R 
adottato dalla Commissione in luogo e come organo 
dell'A.R.A.R., in tale forma costituito per l'esame 
obbiettivo delle ragioni degli interessati. 

La motivazione della sentenza � la seguente: 

cc A prescindere dal preteso difetto di notificazione 
presso l'Avvocatura dello Stato -da questa dedotto 
-il ricorso per cassazione � inammissibile in 
quanto diretto contro un provvedimento amministrativo. 


cc A termini dell'art. 3 del decreto-legge 28 febbraio 
1947, n. 119, l'A.R.A.R. trasmette le denunzie dell() 
pretese da parte di terzi, sui beni da essa detenuti, 
alla Commissione appositamente istituita, la quale 
-proceduto alla istruttoria del caNo -si pronunzia 
sulla ammissibilit� e sul fondamento de71e pretese 
stesse. Il deliberato della Commissione, a cura dell'A.
R.A.R. � portato a conoscenza dell'interessato, 
cui la legge (art. 4) espressamente fa salva l'azione 
giudiziaria, da proporre entro novanta giorni dalla 
comunicazione predetta. 


-17 


<< � ovvio, pertanto, che la Commissione non 
giudica su nessuna contestazione, n� risolve contro


� 
versia di sorta, ma in luogo dell'A.R.A.R., quale 
organo amministrativo, delibera se la domanda debba 
essere accolta senz'altro ovvero se l'A.R.A.R. debba 
resistere alla eventuale azione giudiziaria che l'interessato, 
di fronte al diniego, avesse a proporre �. 

Da tanto discende, naturalmen�te, la revocabilit� 
in genere delle pronunzie della Commissione, quando 
ricorrono le sole ordinarie condizioni della revoca 
degli atti amministra'tivi. 

Nel segnalare la sentenza non possiamo omettere 
di rilevare che le Sezioni Unite avrebbero dovuto 
pronunciarsi anche sul difetto di notificazione accennato 
nelle prime righe della motivazione, difetto che, 
a' sensi degli articoli 1 ed 11 del regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1611, importava la nullit� del ricorso, 
da dichiararsi anche d'ufficio e in linea pregiudiziale. 
Tale nullit� era stata espressamente eccepita anche 
per provocare il riesame dei concetti espressi dalla 
Seconda Sezione del Supremo Collegio nella annotata 
sentenza 2057 //H, che in attesa, c'eravamo astenuti 
dal segnalare e certamente tale nullit� ricorreva, 
anche ad acquietarsi alla definizione dell'A.R.A.R. 
persona giuridica pubblica e non organo dello 
Stato come le altre aziende patrimoniali dello Stato 

con personalit� giuridica, perch� nessuno ha mai 
dubitato dell'applicabilit� di deUe disposizioni della 
legge sulla rappresentanza e difesa dello Stato alle 
citazioni in giudizio di tali Aziende patrimoniali. 

C'� da pensare che le Sezioni Unite abbiano volufo 
evitare tali precisazioni rispetto a sentenza recente 
della Sezione semplice, quando tanto era necessario 
ai fini del processo ma non ai fini del giudizio. 

CB 0.) 

COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Usi civici Provvedimento 
di ripartizione Annullamento d'ufficio. 
(Corte di Cass., Sez. unite, sent. n. 2659/51 -
Pres.: Pellegrini, est. D'Apolito, P. M.: Macaluso; 
Comune di Garzigliana contro Ministero A.gricoltura 
ed altri); 

Gli atti amministrativi di ripartizione dei terreni 
gravati di usi civici, quando siano stati debitamente 
omologati dal commissario e approvati 
dal Capo dello Stato, attribuiscono agli assegn'.Ltari 
diritti soggettivi perfetti. 

Rientra nella giurisdizione del commissario degli 
usi civici la questione relativa alla legittimit� del 
provvedimento, con il quale il commissario nell'esercizio 
del potere di autocontrollo, spettante 
ad ogni autorit� amministrativa, abbia proceduto 
all'annullamento di ufficio del precedente provvedimento 
di quotizzazione di terreni soggetti ad 
uso civico. 

Trascrivfomo qui di seguito la parte fonda mentale 
della motivazione della Corte Suprema:. 

<< Non � contestabile e contestato che i cittadini del 
luogo non hanno un diritto soggettivo ad ottenere una 
quota del demanio comunale soggetto ad usi civici, 
ma � altrettanto certo che una volta seguite le operazioni 
di ripartizione, e dopo che gli atti relativi sono 
stati omologati dal Commissario e approvati dal Capo 
dello Stato l' a,ssegnatario (in enfiteusi) della singola 

unit� fondiaria, d_iventa titolare di un diritto soggettivo 
al dominio utile del fondo, con gli obblighi e i 
poteri inerenti, diritto che ha nell'assegnazione il suo 
titolo legittimo e che egli pu� far valere nei confronti 
dei terzi e dp,ll'Amministrazione stessa. 

Si oppone che l'atto amministrativo di assegnazione 
sia stato successivamente annullato per illegittimit� 
dall'Amministrazione stessa, nell'esercizio del 
suo potere di auto-sindacato consacrato nell'art. 6 
della Legge comunale e provinciale, che d� al Governo 
la facolt� di annullare in qualunque tempo, di ufficio 

o su denunzia gli atti viziati di incompetenza, eccesso 
di potere o violazione di legge e con ci� sarebbe venuto 
meno il fondamento stesso del diritto soggettivo che 
solo nell'atto annullato aveva radice, si che al privato 
non resterebbe che un interesse a impugnare, in sede 
giurisdizionale amministrativa, la sussistenza del 
preteso vizio di legittimit�. 
E' da osservare che, nel caso di specie, sembra es


sersi fuori dall'ambito di applicazione di quest'ultima 

disposizione della leggei poich� il decreto presiden


zin.le si richiama non ad essa ma all'art. 13 della 

lp,gge speciale sul riordinamento degli usi civici ed � 

stato emAsso senza il previo parere del Consiglio di 

Stato, obbligatoriamente prescritto al citato art. 6. 

Comunque non � discutibile il potere di autocontrollo 

che la Pubblica Amministrazione pu� esercitare sui 

suoi atti aWeffetto di eliminare quelli che risultino 

viziati; ed �, almeno in linea generale, giuridica


mente ineccepibile che l'annullamento, spiegando 

efficacia ex tunc, faccia venir meno i diritti sorti in 

base all'atto riconosciuto ab origine invalido. 

Quest'effetto per� presuppone incontrastata o gi� 

accertata l'illegittimit� dell'atto amministrativo. JYI a 

la qu"'stione di giurisdizione si pone quando per 

effetto dell'impugnativa dell'atto di annullamento, la 

pretesa illegittimit� dell'atto amministrativo origi


ginario sia contrastata. 

La questione fu vivamente disputata in relazione 
ai provvedimenti di annullamento degli atti ammini.~
trativi volti a dare vita ed efficacia ai contratti, e, 
secondo molti autori, sarebbe stata legislativamente 
risolta, nel senso della competenza amministrativa 
da,l citato art. 6, per il quale � sempre ammesso contro 
il dAcreto reale di annullamenio il ricorso al Consiglio 
di Stato in sede giurisdizionale. Ritiene la 
Corte che i termini di quella controversia, la cui accennata 
soluzione aveva la sua ragione prof onda nel 
fa,tto che da quanto attiene al procedimento di formazione 
della volont� della pubblica Amministrazione, 
non sorgono diritti subiettivi non coincidono con la 
presente fattispecie, che deve pertanto essere decisa 
alla stregua dei principi generali fissati nella legge 
sul contenzioso amministrativo, non innovati dal 
citato art. 6. Ora, poich�, come si � accennato, dalla 
ordinanza 6 novembre 1933 del Commissario per gli 
usi civici era sorto indubbiamente per Bessone e consorti 
di lite un diritto soggettiv� di dominio utile sui 
rispettivi fondi, che essi hanno posseduti e coltivati 
per quasi un ventennio, basta questa generica esi. 
stenza a fltabilire prima facie la competenza del giu


dice ordinario a conoscere della validit� degli atti am


ministrativi che inciderebbero ledendolo, su quel diritto. 

L'aflcertare, se poi, in concreto, quel diritto sia o 
validamente sorto, in dipendenza della legittimit� 


-18 


o illegittimit� dell'atto che gli ha dato vita, f armer� 
l'ogaetto del giudizio di merito. 
Ai fini della giurisdizione, affermare che il diritto 
non esiste perch� l'atto � stato dichiarato illegittimo 
dal provvedimento successivo, � dare per provato ci� 
che forma appunto il tema della controversia, cio� 
se l'atto sia stato o no legittimamente annullato. 

Sembra pertanto che la controversia esuli dal campo 
della giurisdizione amministrativa, e che essa debba 
essere portata al giudice, cui nella materia speciale, 
� affidfl,ta la tutela dei diritti, cio� al Commissario 
degli usi civici �. 

Esprimiamo il nostro sommess� dissenso dalla tesi 
seguita, dalla O orte Suprema e soprattutto dall'argomento 
fondamentale da essa adottato per affermare la 
giurisdizione dell'autorit� giudiziaria ordinaria, lo 
argomp,nto cio� che l'atto di annullamento di un 
provvedimento amministrativo che ha dato 'Vita a 
diritti soggettivi fa venir meno tali diritti solo quando 
sia accertata la illegittimit� dell'atto annullato. Finch� 
questa illegittimit� non. sia accertata, il diritto 
soggettivo sorto in base a quel provvedimento rimane 
sempre tale e la pretesa che su esso si fonda dev'essere 
fatta valere avanti l'autorit� giudiziaria. 

In una acuta nota alla sentenza in rassegna, l'avvocato 
Nigro (�Foro.It. � 1952, I, 1, 194) ha precisato 
la distinzione fra la pretesa a mantenere gli effetti 
di un atto amministrativo che ha fatto sorgere un 
diritto soggettivo e la pretesa a mantenere in vita 
l'atto amministrativo stesso: la prima darebbe luogo 
a diritti soggettivi e la seconda solo ad interessi legttimi. 
A questa nota rimandiamo per quanto riguarda 
questo punto della questione. 

Ora a noi preme porre in rilievo un altro aspetto 
del problema. 

Game abbiamo visto, la Oorte Suprema ritiene che, 
salvo che per i casi di annulldmento ex art. 6 della 
legge comunale e provinciale (per i quali il ricorso 
al Consiglio di Stato � stabilito dalla stessa norma), 
ai fini della giurisdizione l'impugnativa contro lo 
annullamento di un atto amministrativo che abbia 
fatto sorgere diritti soggettivi potrebbe essere portata 
alla cognizione del Consiglio di Stato solo quando 
la legittimit� di questo annullamento fosse accertata; 
ma quando il tema della vertenza � proprio l'accertamento 
della legittimit� dell'atto di annullamento, 
sarebbe evidente che � affermare che il diritto non 
esiste perch� l'atto � stato dichiarato illegittimo dal 
provvedimento successivo � dare per provato ci� che 
forma appunto il tema della controversia, cio� se 
se l'atto sia stato o no legittimamente annullato ii. 

Senonch� non � affatto vero che l'atto annullato 
rimanga in vita, a tutti gli effetti, finch� non ne 
sia stata accertata e dichiarata la illeaittimit�dal 
Giudice (che dovrebb'essere il Giudice o;dinario, in 
qun,nto esso ha prodotto diritti soggettivi) ma esso 
vip,ne immediatamente posto nel nulla dall'atto di 
annu,llamento, ed ogni pretesa contro questo non pu� 

b?'s,a,rsi se n~n sopra un: interesse legittimo, l'interesse 
cioe a che il potere di annullamento sia esercitato 
legittimamente. 

Ragionando diversamente, si viene in sost-anza ad 
abolire la P?test� di a�~n~llamenio ai ufficio che spetta 
alla Pubblica Amministrazione, e questa potest� 
viene a degradarsi al rango di quella facolt� che ha 
ogni privato di disconoscere le obbligazioni che si 
fondino su ur: at.to non conforme al diritto, facolt� 
che, per farsi valere, ha sempre bisogno di un comando 
del Giudice. 

Per una trattazione sull'argomento si veda in 
questa Rassegna, 1951, pag. 83-89. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT�-Occupazione 
temporanea -Per utilit� pubblica transeunte 
-Periodo di applicazione della Legge n. 1741 
de~ 1940, sulle requisizioni. (Corte di Cass., Sezione 
umca, Sent. n. 2656/51 -Presidente: Ferrara -Estensore 
D'Apolito -P. M.: Eula -Brugiapaglia contro 
Ministero Difesa-Esercito). 

L'occupazione d'urgenza, consentita dall'art. 76 
della Legge di espropriazione, pu� essere preordinata 
alla espropriazione dell'immobile o invece 
essere diretta ad un impossessamento solo temporaneo, 
che consenta all'Autorit� l'uso provvisorio 
della cosa per il conseguimento di utilit� pubbliche 
transeunde. In quest'ultimo caso, il provvedimento, 
sebbene qualificato come occupazione di 
urgenza ha sostanzialmente il contenuto di una 
requis~zione in uso, pur essendo ugualmente soggetto, 
m generale alla disciplina della legge sulla 
espropriazione. 

Tale uguaglianza di regolamentazione pi� non 
si verifica ove, per l'insorgenza dello stato di guerra 
ricorra l'applicabilit� del regio decreto 18 ago: 
sto 1940, n. 17 41 sulla disciplina delle requisizioni. 
Durante il periodo di applicazione di detta legge 
salvi i casi eccettuati, tutti gli atti dell'autorit� 
che dispongono temporaneamente degli immobili 
di propriet� privata in relazione allo stato di 
guerra e alle contingenze eccezionali devono considerarsi 
estrinsecazione, con la conseguente applicabilit�, 
della disciplina della legge speciale. Tale 
principio trova applicazione anche nel caso in cui, 
procedutosi all'occupazione temporanea in vista 
dell'espropriazione, l'Autorit� abbia successivamente 
rinunciato a quest'ultima; ricorrendo le 
condizioni anzidette sin dall'inizio deve configu gurarsi 
un rapporto di requisizione. 

La pa.rte sostanziale della motivazione di questa� 
perspicua sentenza � riportata nella massima sopra 
trascritta. 

La Oort" ha accolto in pieno la tesi dell'Avvocatura 
Per una esposizione di qu11sta si veda in q?iesta 
Rassegna, 1951, pag. 74. 


ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI 
DELLE CORTI DI MERITO 


IMPOSTE E TASSE -Violazione delle leggi finan


ziarie -Ordinanza intendente -Mancato ricorso 


Legge 11 gennaio 1951, u. 25 -Rimessione in ter


mini. (Tribunale Firenze -Presidente: Poggi, Esten


sore: Capaccioli, -Sent. 14 dicembre 1951 -Societ� 

R. H. Macy & Company contro.Intendente di finanza) .. 
L'ordinanza emessa dall'Intendente, ai sensi 
degli artt. 55 e segg. 1. -7 gennaio 1929, n. 4 
sulla repressione delle violazioni finanziarie, e 
divenuta definitiva per mancata impugnazione ha, 
come il decreto del Ministro, il quale d~cida il 
ricorso, valore di titolo esecutivo. 

L'ingiunzione di pagamento, emessa quando la 
ordinanza o il decreto siano divenuti definitivi per 
mancata proposizione dell'azione giudiziaria nel 
termine di 60 giorni, non ha valore autonomo e 
contro la stessa non � proponibile opposizione per 
motivi attinenti al rapporto tributario, ormai 
definitivamente accertato. 

Il ricorso ~l Ministro avverso l'ordinanza dello � 
Intendente di finanza dev'essere presentato personalmente 
dal trasgressore o da un suo procuratore, 
munito di mandato generale o speciale e 

non pu� essere trasmesso per posta. 

Il decreto del Ministro, il �quale dichiari l'inammissibilit� 
del ricorso, pu� essere tempestivamente 
impugnato con l'azione giudiziaria, ma la pronuncia 
del giudice, che confermi l'inammissibilit� del 
ricorso e, conseguentemente, la definitivit� della 
ordinanza intendentizia non pu� entrare nel merito 
del rapporto tributario. 

La legge 11 gennaio 1951, n. 25 non contiene 
alcun provvedimento di condono, ma solo riammette 
in termine i, contribuenti autorizzandoli a 
fare ex-novo un'autonoma dichiarazione dello 
imponibile, che, a seguito della dichiarazione stessa, 
rimane incontrovertibilmente accertato. 

L'anzidetta legge non si applica quando il con


tribuente non solo ometta di fare la dichiarazione 

dell'imponibile, ma contesti di dovere il tributo. 

In tal caso egli � tenuto, ove sia rigettata la do


manda, a pagare sia il tributo che l'eventuale 

sopratassa e le pene pecuniarie. 

La sentenza merita di essere segnalata per la chiarezza 
e precisione della motivazione, con la quale 
ha riconfermato il principio che l'inamnnissibilit� 

del ricorso gerarchico preclude la proponibilit'� 
dell'azione e che l'emissione dell'ingiunzione di P.agamento 
dopo che siano invano decorsi i termini per 
l'impugnazione giudiziaria dell'ordinanza intenden. 
tizia o del provvedimento, col quale il Ministro delle 
finanze abbia deciso il ricorso, ritualmente proposto 
am!erso la predetta ordinanza, non riapre i termini 
per la contestazione giudiziale sul rapporto tributari.
o. 

Ma la sentenza afferma anche due altri principi 

� della massima importanza e sui quali non constano 
precedenti. Il primo riguarda la forma di proposizione 
del ricorso avverso la ordinanza intendentizia. 
La legge vuole che lo stesso sia presentato personalmente 
dal contribuente o da un suo rappresentante 
munito di procura. Da ci� si evince l'inidoneit� della 
trasmissione a mezzo posta, la quale non consente 
la identificazione del ricorrente, ritenutae ssenziale 
dalla legge. 

Esattamente osserva l'annotata sentenza che all'interpretazione 
della legge 7 gennaio 1929, n. 4, pu� 
pervenirsi adattando per analogia i criteri contenuti 
nei codici penali e di procedura penale, tosto che 
quelli, di cui al regio decreto 7 agosto 1936, n. 1639, 
che regola l'accertamento dell'imposta. A questa conseguenza 
la sentenza previene sia in base aUa natura, 
lato sensu, penale della legge, sia in considerazione 
del regio decreto 24 settembre 1931, n. 1473, con il 
quale appunto il legislatore attu� la esigenza di coordinare 
la legge n. 4del1927 con i nuovi codici penale 
e di procedura penale. 

L'altro principio riguarda la interpretazione della 
legge 11 gennaio 1951, n. 25. Con essa, in sostanza, 
il legislatore non ha concesso un condono delle sopratasse 
e pene pecuniarie, sia pure subordinato al 
pagamento del tributo entro un certo termine, ma ha 
riammesso in termini i contribuenti, i quali possono 
dichiarare l'imponibile. 

Il mancato pagamento delle sopratasse e pene 
pecuniarie � la conseguenza di questa dichiarazione, 
che la legge considera fatta in termini e, perci�, 
esente da penalit�. Ma � necessario che il contribuente 
dichiari l'imponibile e tale dichiarazione preclude 
la possibilit� di contestazione se l'amministrazione 


-20


accetti l'imponibile dichiarato. Quando invece il 
contribuente ometta di fare una tale dichiara,zione ed 
anzi contesti l'imponibile accertato dall'amministrazione, 
sostenendo che il tributo preteso non � 
dovuto si � fuori dell'ambito di applicazione della 
legge 11 gennaio 1951, n. 25, il cui manifestato proposito 
� quello di sistemare le controversie tributarie 
in modo rapido e non quello di condon�re le penalit�. 

Per conseguenza in tal caso si applicano i principi 
comuni ed il rigetto della pretesa negatoria del 
tributo importa l'obbligo di pagare lo stesso e le 
penalit� inerenti. 

(G. G.) 
REVISIONE PREZZI -Pubblico appalto di servizi Ricorso 
alla giurisdizione speciale del Ministero Improponibilit�. 
(Commissione per l'esame dei ricorsi 
in materia di revisione prezzi degli appaJti di opere 
pubbliche -Parere 23 gennaio 1952, n. 200 -Pres.: Polistina, 
Est.: Pentinaca). 

<e.L'appalto per il recupero e la raccolta di materiall 
bellici residuati a seguito delle operazioni 
di guerra svoltesi nel territorio nazionale (con specifica 
esclusione della bonifica dei campi minati) 
non costituisce appalto di opera, ma appalto di 
servizio: pertanto le controversie relative alla 
revisione dei prezzi dei detti appalti non rientrano 
nella giurisdizione speciale di cui al decreto legislativo 
6 dicembre 1947, n. 1501 >>. 

Riproduciamo il testo del parere massimato, 
condividendone pienamente le ragioni: 

Premesso che, con contratto 19 dicembre 1945, 

n. 18 di rep. e atto aggiuntivo 26 marzo 1946, 
n. 70 di rep., l'Amministrazione Militare (Direzione 
Artiglieria di Firenze), appaltava alla Impresa 
Ghelardi e Stupenengo il recupero e la raccolta 
dei materiali bellici -pertinenti ad i soli 
tre servizi: di artiglieria, chimico della motorizzazione 
-, comunque reperibili nel territorio della 
provincia di Firenze, liberando inoltre il terreno 
da ogni ordigno esplosivo (con esclusione dei campi 
minati, la cui bonifica rimaneva riservata agli 
appositi organi del Genio Militare); 
che l'appalto ebbe regolare esecuzione per 
un importo complessivo di L. 123.207.509,42; 
che con istanza 21 marzo 1948 l'Impresa 
chiedeva la revisione dei prezzi; 

che l'Amministrazione, in applicazione della 
specifica clausola contrattuale di revisione prezzi 
(art. 20 del contratto), determin� in L. 5.236.355 
il compenso revisionale spettante; 

che avverso tale determinazione del 6 giugno 
1950 l'Impresa, con atto notificato il 5 giugno 1950, 
propose ricorso al Ministro della Difesa-Esercito, 
ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo 6 dicembre 
1947, n. 1501, deducendo l'insufficienza della 
somma come sopra determinata e chiedendo l'attribuzione 
dello << adeguato compenso che le spetta 
in dipendenza degli aumenti di costo realmente 
verificatisi n; 

Ritenuto che, a prescindere da ogni altra questione 
di merito o di rito, questa Commissione chiamata 
per legge ad esprimere parere sui ricorsi 

riservati alla giurisdizione speciale del Ministro, 
giusta il decreto legislativo 6 dicembre 194 7, 

n. 1501 -deve preliminarmente considerare se 
nella specie, si versi in materia spettante alla adita 
giurisdizione; 
che, come risulta dalla relativa legislazione 
(decreto legislativo 6 dicembre 1947, n. 1501, 
ratificato con modifiche dalla legge 9 giugno 1950, 

n. 329), la giurisdizione speciale del Ministro � 
limitata alla revisione prezzi degli appalti di opere 
pubbliche; 
che, pertanto, come pure la Corte Suprema 
di Cassazione ha espressamente ritenuto (Cass. 
Sez. Un. 17 settembre 1949, n. 2444, Ditta Rinaldi 

c. Ministero Poste e Telecomunicazioni; in Giurisprudenza 
completa della Corte Suprema 1949, 
3� quadr., pag. 511), l'ambito di detta giurisdizione 
speciale non pu� estendersi per inammissibile 
analogia, ad ogni specie di pubblico appalto, ma 
restare circoscritta a quelli di opera, con assoluta 
esclusione di quelli di servizio (v. art.1655 Codice 
civile); 
che, pur estendendo il concetto di opera pubblica 
al di l� dei limiti ritenuti, nella subbietta 
materia, dal Consiglio di Stato (Sez. 3a, parere 
16 febbraio 1949, n. 1138, in Rivista Amministrativa 
della Repubblica Italiana 1950, pag. 591), 
non pu� non ritenersi come il concetto di opera 
pubblica si identifichi in un'opera d'ingegneria 
eseguita da un ente pubblico allo scopo di soddisfare 
un pubblico interesse o, comunque, in una 
attivit� che dia luogo ad un opus, quale concreta, 
specifica e visibile, modificazione tecnica dei 
luoghi; 

che, tra i due pi� evidenti estremi della costruzione 
di un edificio (appalto di opera) e quello 
della raccolta di corrispondenza postale (appalto 

. di servizio), corre tutta l'estesa gamma di ogni 
possibile appalto, la cui identificazione -quale 
appalto di opera o appalto di servizio -va fatta 
in base all'interpretazione del contratto e secondo 
i concetti suespressi; 

che, in base a tale indagine, la Commissione 
ritiene che l'appalto di raccolta e sgombero di 
materiali bellici, di cui trattasi nella specie, sia da 
ritenere un pubblico appalto di servizio e non di 
opera; 

che, l'eventualit� meramente accessoria e 
secondaria, di lavori tecnici che sarebbero occorsi 
in casi del tutto particolari rispetto all'entit� ed 
estensione dell'appalto (quali il rinvenimento di 
bombe aeree inesplose e particolarmente interrate) 
non pu� tramutare in appalto di opera la natura 
ed essenza di servizio, caratterizzante il contratto 
in esame (dal quale, come si disse, erano espressamente 
esclusi anche i lavori di bonifica dei campi 
minati); 


che, pertanto, non versandosi in materia di 
appalto di opera pubblica, la vertenza esula dalla 
giurisdizione speciale del Ministro; 

che, conseguentemente, il ricorso di che trattasi 
va dichiarato improponibile, rimanendo a 
carico dell'Impresa le relative spese di giudizio; 


(omissis) 


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


I PROVVEDIMENTI SONO ELENOATI SEOONDO L'ORDINE 

DI PUBBLIOAZIONE SULLA � G.tl.ZZETTA UFFIOIALE � 

I. 
1. 
Legge 22 dicembre 1951, n. 1575 (G. U. n. 16): Agevolazioni 
fiscali per opere concesse dalla Gassa del M ezzogiorno. 
-Con questa legge si ricomprendono nella 
quota fissa di abbonamento di cui all'art. 26 della legge 
10 agosto 1950, n. 646 anche le tasse e le imposte 
indirette sugli affari dovute su atti e contratti che, secondo 
la rigida int.erpretazione del citato articolo 26, 
non vi sarebbero state comprese. Nel secondo comma 
dell'art. 1 sono stabilite le condizioni alle quali � 
subordinata la agevolazione tributaria di cui al primo 
comma. Naturalmente, tali condizioni debbono 
essere adempiute rigorosamente, esclusa ogni possibilit� 
di equipollenti. Si segnala la poco chiara 
formula usata nell'ultimo comma dell'art. 1 (�atti 
conseguenziali ai contratti di appalto>>), la quale 
potr� dar luogo a qualche questione; naturalmente, 
la formula stessa, trattandosi di norma di agevolazione 
tributaria, dovr� essere interpret�ta restrittivamente. 
2. 
Legge 2 gennaio 1952, n. 10 (G. U. n. 19): Disposizioni 
integrative della legge 10 agosto 1950, n. 647, per la 
esecuzione di opere straordinarie di pubblico interesse 
nell'Italia settentrionale e centrale. -Si richiama 
l'attenzione sull'art. 2; sembra che la deliberazione 
del Comitato dei Ministri di assumere a parziale o a 
totale carico dello Stato le opere indicate nell'art. 2 
della legge 10 agosto 1950, n. 647 debba essere consacrata 
in un atto formale, come quelli che importano 
una spesa a carico dello Stato. Si richiama altresil'attenzione 
sull'art. 6 contenente una norma di esenzione 
e agevolazione tributaria, formulata non troppo chiaramente. 
3. 
Legge 8 gennaio 1952, n. 25 (G. U. n. 27): Modificazioni 
ed aggiunte alle disposizioni del decreto-legge 
25 marzo 1948, n. 674, relativi alla sistemazione e alla 
liquidazione dei contratti di guerra. -Si segnala l'art. 5 
il quale contiene sostanzialmente una proroga a termini 
gi� scaduti. � 
4. 
Legge 24 luglio 1951, n. 1637 (G. U. n. 29): Ratifica 
ed esecuzione dei seguenti Accordi conclusi a Mosca 
tra l'Italia e l'Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, 
l'11 dicembre 1948: a) Trattato di commercio 
e navigazione; b) Statuto giuridico della rappresentanza 
commerciale dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche 
Socialiste in Italia; c) Protocollo di firma. -Si segnala 
l'allegato al Trattato, contenente lo Statuto giuridico 
della rappresentanza commerciale dell' U.R.S.S. in 
Italia, la quale assume nel nostro ordinament.o giuridico 
una figura singolarissima e che non ha riscontro 
nei rapporti tra l'Italia ed altri paesi. 

5. Legge 26 gennaio 1952, n. 29 (G. U. n. 30): Limiti 
della etficada delle scritture private non registrate nei 
termini di cui �tl regio decreto-legge 27 settembre 1941, 
n.1015, convertito nella legge 28 dicembre 1941, n. 1470. 
-Di questa legge gi� ci siamo occupati in sede di 
esame della relativa proposta avanti al Senato della 
Repubblica (Rassegna., 1950, 231). La legge � tra lo 
meno felici dal punto di vista della tecnica legislativa 
ed � stata anche peggiorata in confronto alla proposta 
originaria. Ci richiamiamo alle critiche gi� fatte nella 
Rassegna sopra citata. 

II. 
Disegno di legge n. 2380 C. D. (iniziativa governativa): 
Disposizioni per la disciplina -Jiuridica dei rapporti 
di lavoro. -Il disegno di legge in esame che consta 
di 43 articoli, pur recando il titolo generale di �Disposizioni 
per la disciplina giuridica dei rapporti di lavoro
�, in realt�, come pone in luce l'ampia relazione del 
Ministro del Lavoro on. Rub�nacci che')a accompagna, 
mira a dare semplicemente attuazione alle norme degli 
articoli 39 e 40 della Costituzione. Quarantatre articoli 
e relative norme di attuazione, allo studio, per dare 
esecuzione a due articoli della Costituzione potrebbero 
apparire troppi e far pensare che l'attuazione sia 
andata oltre i limiti, ma tuttavia essi possono giustificarsi 
se pensiamo alla imponenza dei fenomeni 
disciplinati dall'art. 39 della Costituzione: l'Associazione 
sindacale e il contratto collettivo, e dall'articolo 
40: il diritto di sciopero e i suoi limiti. Poich�, in 
sostanza, il diritto di sciopero � concepito in funzione 
collettiva sembrerebbe pi� appropriato aggiungere 
nel titolo che si tratta di rapporti � collettivi � di 
lavoro, il che varrebbe a caratterizzare meglio 
l'oggetto della legge. 
Questa regola minutamente la registrazione delle 
Associazioni sindacali e i requisiti per ottenerla pre-cisando 
in che debba consistere << l'ordinamento interno 
a base democratica � previsto dall'art. 39 della 
Costituzione, fissando i requisiti numerici in percentuale 
della citazione (10 %), la cui consistenza viene 
ricavata dall'anagrafe dell'impresa e da altre fonti, 


-22 

respingendosi le note proposte per l'anagrafe del lavoro, 
e demandando al Ministero del L�avoro il controllo, 
anche sulla permanenza dei requisiti con possibilit� 
di revoca. 

Dal punto di vista strettamente giuridico, merita 
rilievo la norma che deferisce al Consiglio di Stato i 
ricorsi per le controversie inerenti alla registrazione 
sul presupposto, chiarito dalla relazione, -per� discutibile 
-che si tratti di interessi legittimi e non di 
diritti soggettivi delle Associazioni, derivanti dalla 
norma.costituzionale. 

La registrazione viene estesa dal decreto anche alle 
Associazioni sindacali dei dipendenti dello Stato e 
agli altri enti pubblici, pur non avendo, rispetto a 
tali categorie, decisivi effetti non essendo previsto per 
esse il sistema della rappresentanza unitaria e la stipulazione 
dei contratti collettivi. 

Ci� sembra sia dovuto ai poteri di iniziativa che 
l'art. 12 riconosce alle Associazioni stesse che, per�, 
non � chiaro se possono essere posti in essere dalla 
singol<t Associazione registrata o da una specie di rappresentanza 
unitaria, pur non regolata dalla legge. 

A proposito dei rapporti di pubblico impiego, l'articolo 
16 esclude, in deroga degli articoli 2068 e 2093 
Codice civile, dall'applicazione del contratto collettivo 
i rapporti di lavoro disciplinati non solo dalla 
legge, ma anche da cc atti della Pubblica Autorit� 
sopprimendo cos� l'espressione cc in conformit� della 
legge � di cui all'art. 2068 citato. 

Risorge cos� una espressione ormai superata 'dal 

codice civile, desunta dal regio decreto 1� luglio 1926 

n. 1130, che � atta ad ingenerare equivoci e confusioni, 
e non in armonia con il codice civile e la legislazione 
del lavoro. 
Basterebbe quindi che un ente pubblico ponga una 
norma unilaterale perch� cada l'applicabilit� del contratto 
collettivo. � vero che la Relazione attenua il con. 
cetto sostenendo che � necessario che il particolarepote� 
re regolamentare derivi dalla legge, ma a prescindere 
dal fatto che il potere regolamentare generale deriva 
sempre dalla legge, che motivo vi � di porre una 
norma la quale pu� avere un significato diverso da 
quello ad essa dato nella relazione ed escludere ad es. 
praticamente la soggezione al contratto collettivo per 
gli enti pubblici economici? 


Non ci soffermeremo sulla disciplina data alla formazione 
delle rappresentanze unitarie al deposito del 
contratto collettivo, alla sua proroga e ai poteri discre~
donali, riservati in definitiva al Ministro, n� sulla 
norma per cui occorre la maggioranza non solo degli 
iscritti alle Associazioni, ma anche delle Associazioni 
che concorrono a formare la rappresentanza unitaria 
perch� si tratta di soluzioni non di stretto carattere 
giuridico, rileveremo solo, tra le innovazioni, che 
l'art. 17, in rapporto anche agli articoli 15, 18 e 19 
sembra abbandonare la tesi giurisprudenziale dell'intuitus 
personae, per il trattamento pi� favorevole al 

lavoratore, si scosta dal dettato dell'art. 2077 Codice 
civile e, in conformit� alla dichiarazione dell' O. I.L., 
ammette nel modo pi� ampio il principio generale 
della conservazione e ammissibilit� di ogni trattamento 
pi� favorevole. 

L'art. 15 riconosce la possibilit� di accordi stipulati 
dalle singole Associazioni registrate e ne stabilisce 
il valore, con una formula a dire il vero non troppo 
chiara, per tutti i dipendenti delle imprese iscritte 
alle Associazioni stipulanti, anche se non iscritti alla 
Associazione dei lavoratori, ci� che la Relazione spiega 
come derivante dal contratto a favore di terzi (articolo 
14 Codice civile). 

L'art. 16 ammette la compromissione in arbitri 

sulla base di clausola del contratto collettivo che � 

una innovazione all'art. 808 del Codice procedura 

civile. L'art. 22 regola la denuncia anticipata del 

contratto e il giudizio di convalida da parte del


la Corte di Appello. L'art. 24 gli accordi economici 

collettivi. 

L'ultima parte del disegno riguarda le controversie 

collettive e il diritto di sciopero, distinguendo le con


troversie collettive giudiziali, cio� di applicazione e 

di interpretazione del contratto, da quelle economiche 

per la formazione di nuovi patti di lavoro. Le prime 

sono risolte dalla Corte di Appello con le norme sulla 

Magistratura del Lavoro in sede collettiva, dettate 

dal Codice di procedura civile. Le seconde attraverso 

forme di conciliazione ed eventualmente con l'arma 

dello sciopero, o con lodo arbitrale di un Collegio il 

cui presidente, in caso di disaccordo sar� designato 

dal Ministero del Lavoro o dai suoi organi. 

Il diritto di sciopero viene ristretto alle controver


sie sollevate dalle Associazioni sindacali registrate, 

in materia di nuovi patti di lavoro e limitato per i 

pubblici servizi. 

Vengono disposte pene per i promotori di scioperi 

illegittimi e per i reati contro la libert� del lavoro, 

pene per la mancata applicazione dei contratti col


lettivi e norme equiparate a carico del da~ore di lavoro. 

Viene prevista .la serrata e data delega al Governo 

per le norl:ne integrative e conferitogli il potere di 

rendere obbligatori per tutte le categorie, in via tran


sitoria, gli attuali contratti collettivi. 

Per quanto attiene alla tutela giurisdizionale, il 

disegno di legge riServa, come abbiamo accennato, 

alla Corte di Appello la risoluzione delle controversie 

giuridiche collettive e la convalida delle denuncie 

anticipate dei contratti, e al Consiglio di Stato tutte le 

altre controversie. che attengono all'uso degli ampi 

poteri discrezionali lasciati nelle varie fasi alle Ammi


nistrazioni. Si d� cos� vita a una nuova giurisdizione 

esclusiva del Consiglio di Stato o si v~ngono ad affie


volire i diritti soggettivi delle Associazioni? � questo 

il problema giuridico pi� grave sollevato dal disegno 

di legge e sul quale richiamiamo l'attenzione. 


I N D I e E s I s T E M A �T I e o 
DELLE CONSULTAZIONI 


LA FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE CHE NE � STATA DATA 

ACQUE PUBBLICHE. -I) .Se l'Amministrazione 
possa sanare delle utilizzazioni abusive di acqua pubblica 
(n. 20). -II) Se una domanda con la quale, in base 
all'art. 17 del T.U. sulle acque, si chiede la sanatoria 
di utenze abusive, :firmata da uno solo degli utenti, il 
quale dichiara di agire nell'interesse di tutti, possa essere 
accolta, ai :fini del citato articolo, nei riguardi di 
tutti gli utenti (n. 20). 

AMMINISTRAZIONE PUBBLICA. -I) Quale sia 
la natura giuridica dei Consorzi anti-coccidici (n. 122). 
-Il) Quale sia la natura giuridica della Fondazione 
�Il Vittoriale degli Italiani � (n. 123}. 

APPALTO. -I) Se il termine di quattro mesi pre~ 
visto dall'art. 13 del Capitolato generale d'Appalto si 
intenda nel senso che entro il termine suddetto il decreto 
di approvazione del contratto debba essere anche 
registrato alla Corte dei Conti (n. 151). -Il) Se il termine 
di quat.tro mesi suddetto decorra dal giorno in 
cui si � tenuta la licitazione privata o dalla stipulazione 
formale del contratto (n. 151). 

. ASSICURAZIONI. -Se il decreto-legge 2 aprile 
1946, n. 142, possa interpretarsi nel senso che annulli 
completamente l'obbligo dei lavoratori di contribuire 
agli oneri previdenziali (n. 33). 

AVVOCATI E PROCURATORI. ~Se la Fondazione 
�Il Vittoriale degli Italiani� possa godere del patrocinio 
dell'Avvocatura dello Stato (n. 15). 

CASE ECONOMICHE E POPOLARI. -I) Se l'esercizio 
della facolt� di riscatto degli alloggi assegnati dall'INA.
Casa possa essere sottoposto alla condizione limitativa 
della vendita dell'alloggio stesso per un certo 
numero di anni (n. 33). -Il) Se a favore di colui il quale 
riscatta anticipatamente l'alloggio assegnatogli possano 
essere calcolati gli interessi per l'anticipato pagamento 

(n. 33). 
COMPETENZA. -A quale giudice spetti la competenza 
a conoscere di una pretesa dell'Amministrazione 
verso un proprio impiegato, consegnatario di somme, 
appartenenti all'Amministrazione stessa, il quale assuma 
di essere stato costretto con la violenza a rilasciare 
un assegno sulla banca presso la quale le somme 
stesse areno depositate (n. 7). 

COMUNI E PROVINCIE. -Quali siano i limiti 
dell'intervento dello Stato nell'attuazione dei piani di 
ricostruzione in sostituzione di Comuni che non vi provvedano 
direttamente (n. 30). 

CONTABILITA' DELLO STA'l'O. -Se l'Amministrazione 
che non adempia al precett.o di inviare al titolare 
di un mandato l'avviso di pagamento sia tenuta al 
pagamento degli interessi sulla somma portata dal mandato 
per il periodo in cui questo � rimasto giacente in 
cassa (n. 84). 

ENTI E BENI ECCLESIASTICI. -Se il parroco 
di una parrocchia incorporata in un monastero abbia 
diritto al supplemento di congrua (n. 18). 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT�. I) 
Se per la costruzione di stabilimenti industriali nella 
zona aperta di Napoli sia possibile valersi dei benefici 
disposti dal decret.o-legge 14 dicembre 1947, n. 1598 e 
dall'art. 12 del decreto-legge 27 febbraio 1919, n. 219 

(n. 68). -II) Se i benefici di cui sopra possano spet:
tare per opere pubbliche diverse dalla costruzione di 
stabilimenti industriali (n. 68). -III) Come debba essere 
calcolato il valore del fondo e delle costruzioni 
effettuatevi, in caso di retrocessione del fondo stesso per 
sua mancata utilizzazione ai :fini dell'opera pubblica 
per cui fu espropriato (n. 69,. 
FERROVIE. -I) Se ed in quali limiti l'Amministrazione 
ferroviaria debba comunicare al Ministero 
del tesoro le riduzioni tariffarie concesse a singoli speditori 
(n. 138). -II) Se il principio stabilito dalla legge 
25 giugno 1909, n. 672, in materia di comunicazione all'Autorit� 
giudiziaria di risultati di inchiesta amminii>
trativa disposta dalle Ferrovie valga anche in materia 
diversa da quella dei sinistri ferroviari (n. 139). -III) Se 
la circolazione internazionale di un carro di propriet� 
delle FF.SS. noleggiato ad una ditta privata sia regolata 
dal R.I.P. (n. 140). -IV) Come debba essere valutato 
il materiale di propriet� d'un concessionario di 
ferrovie nel caso di decadenza dalla concessione (11�. 141). 
-VI) Se il termine di prescrizione delle azioni deri-vanti 
dal contratto di trasporto ferroviari di cose, quando 
trattisi di trasport.i ammessi a godere delle facilitazioni 
previste dal decreto ministeriale 16 giugno 1948, 

n. 1782 decorra dal giorno della riconsegna della spedizione 
ovvero da quello di scadenza dei dieci mesi :fissati 

-24 


per la prestazione della prova che il materiale trasportato 
per ferrovia � stato installato nello stabilimento 
destinatario della ditta beneficiaria (n. 142). 

GUERRA. -I) Quale sia la natura giuridica della 
indennit� di perdita bagaglio (n. 113). -II) Quale 
sia il termine di prescrizione per richiedere l'indennit� 
di perdita bagaglio (n. 113). 

IMPIEGO PUBBLICO. -I) Da quando decorra il 
termine stabilito dall'art. 7 del decreto legislativo 7 
febbraio 1948, n. 48 per il trasferimento per incompatibilit� 
(n. 281). -Il) Se il collocamento a riposo di un 
segretario provinciale possa trovare la sua disciplina 
nel regolamento del Monte Pensioni di Roma (n. 281). 
-III) Come si debba procedere per il recupero a carico 
di un ex dipendente dello Stato di assegni indebitamente 
corrisposti (n. 282). -IV) Se possa essere recuperata 
a carico di un avventizio dimessosi dall'impiego 
ai sensi dell'art. 11 del decreto legislativo 7 aprile 
1948, n. 262 l'indennit� di licenziamento, quando lo 
stesso abbia ottenuto prima dei sei mesi dalle dimissioni 
un posto di ruolo presso le Ferrovie dello Stato 

(n. 283). -V) Se il ricupero della indennit� di licenziamento 
di cui al numero precedente possa essere effettuato 
mediante ritenuta ai sensi del regio decreto 19 
gennaio 1939, n. 295, (n. 283). -VI) Quale influenza 
abbia una assoluzione per non aver cmmesso il fatto 
sulla posizione di impiegato licenziato per gli stessi 
fatti per i quali fu poi processato ed assolto quando 
quell'impiegato non abbia tempestivamente ricorso contro 
il provvedimento di licenziamento (n. 284). 
IMPOSTA DI REGISTRO. -Come debba essere 
considerata agli effetti dell'imposta di registro la vendita 
dell'intero pacchetto azionario di una societ� che 
abbia nel suo patrimonio beni immobili (n. 71). 

IMPOSTE E TASSE. -Se ed in quali limiti la Commissione 
centrale delle Imposte possa conoscere delle 
controversie in materia di valutazione di titoli azionari 
ai fini dell'imposta di negoziazione (n. 168). 

NAVI. -I) Se nei procedimenti penali di competernra 
dei Comandanti di porto possono trovare applicazione 
le norme di cui ai capi 1 e 2 del decreto legislativo. 9 
aprile 1948, n. 486 (n. 48). -Il) S<:> l'art. 64 del Codice 
per la marina mercantile, sostituito dal Codice della 
navigazione; debba considerarsi ancora in vigore fino 
alla emanazione del regolamento per il Nuovo Codice 
per la navigazione (n. 49) . 

... 

OPERE PUBBLICHE. -I) Quali siano � limiti 
dell'intervento dello Stato nell'attuazione deip iani 

di ricostruzione in sostituzione di Comuni che non vi 
provvedano direttamente (n. 18). -II) Se sia costituzionale 
una legge della Regione Siciliana che modifichi 
l'art. 29 della legge urbanistica (n. 19). 

PENSIONI. -Se sia applicabile l'art. 60 della legge 
25 luglio 1941, n. 934, al caso di un impiegato allontanato 
dall'impiego con provvedimento disciplinare non 
impugnato, quando successivamente l'impiegato stesso 
sia stato processato per gli stessi fatti e assolto con formula 
piena (n. 49). 

POSTE. -Se possa accordarsi alla corrispondenza 
dell'Ufficio Stralcio delle ex organizzazioni sindacali 
fasciste l'esenzione dalle tasse postali prevista dall'articolo 
48 del Codice postale (n. 26). 

PRIGIONIERI DI GUERRA. -Se dopo la morte 
di un prigioniero di guerra sia ancora applicabile l'articolo 
41 del decreto-legge 19 maggio 1941, n. 583, anche 
nel caso di integrazione di assegni gi� corrisposti in 
base a quella norma (n. 14). 

PROPRIET� INDUSTRIALE. -Quali siano i rapporti 
tra l'art. 4 del decreto-legge 29 giugno 1929, numero 
1127 e l'art. 62 del regio decreto 5 febbraio 1940, 

n. 24!1 (n. 2). 
REGIONI. -Se sia costituzionale una legge della 
Regione Siciliana che modifichi l'art. 29 della legge 
urbanistica (n. 20). 

REQUISIZIONI. -Quali siano le norme da applicarsi 
al caso di danneggiamento di mobili in un appartamento 
requisito (n. 93). 

SINDACATI. -Se possa accordarsi alla corrispondenza 
dell'Ufficio Stralcio delle ex organizzazioni sindacali 
fasciste l'esenzione dalle tasse postali previste 
dall'art. 48 del Codice postale (n. 13). 

SOCIET�. -I) Quali siano le conseguenze dell'aumento 
di capitale in una societ� anonima derivante dai 
fondi di rivalutazione monetaria sugli eventuali diritti 
dello Stato alla ripartizione degli utili (n. 36). -II) Se 
nel caso di scioglimento di societ� cooperativa ai sensi 
dell'art. 2544 del Codice civile si possa dichiarare l'insolvenza 
della Societ� in base all'art. 202 del regio decreto 
16 marzo 1942, n. 267 (n. 37). 

TITOLI DI CREDITO. -Se i poteri del Ministro 
delle finanze previsti dal regio decreto 25 ottobre 1941, 

n. 1148, possano 'esercitarsi anche nel T.L.T. e da chi 
(n. 3). 
(8105698) Roma, 1952 � Istituto Poligrafico Stato -G. C.