ANNO V -N. 1-2 GENNAIO-FEBBRAIO 1952 RASSEGNA MENSILE DELL'AVVOCATURA DELLO STATO .. PUBBLICJAZIONE DI SERVIZIO ESECUZIONE DELL'ATTO GIURISDIZIONALE E CONCESSIONE DELLA FORZA PUBBLICA SOMMARIO. -1. Premessa. -2. L'ausilio della "forza pubblica'' per l'esecuzione dell'atto giurisdizionale non � un diritto subiettivo del cittadino. -3. Se diritto subiettivo-pubblico, la violazione di esso non sarebbe risarcibile patrimonialmente. -4. A fortiori se la violazione derivi da ~t~ivit� di P~bblica Sicurezza (art. 7 T. U.). -5. Se d1r1tto affievolito, la lesione di esso � tutelabile dinanzi al giudice amministrativo. -6. Ma ?'i .~i della legitt~m~t�. del ri~uto della forza pubblica e irrilevante la d1stmz10ne: circolare -rifiuto in casi singoli. 1. Una -ormai nota -pronunzia del Tribunale di Roma (la Sez. 5 dicembre 1949 -16 marzo 1950, Di Bella c. Ministero Interno, in � Giur. It. n, 1951, 1, 2, 530; in �Foro It. n, 1951, I, 120) ha affrontato la questione, anteriormente a questo dopo~guerra pressoch� trascurata, della responsabilit�. della Pubblica .Amministrazione di fronte alla richiesta di ausilio della forza pubblica per l'esecuzione di una sentenza (una delle tante' sentenze di sfratto nei confronti di � sfollati n) e l'ha risolta nel senso che spetti al cittadino il diritto subiettivo di pretendere la prestazione di quel servizio o, in difetto, ilrisarcimento del danno, poich� (questa � la ratio decidendi) lo Stato � garante dei diritti dei cittadini. � All'uopo � sufficiente -recita la sentenza rifarsi al principio cardine, che impronta la conce zione del moderno stato di diritto, per cui anche lo Stato � soggetto alle leggi che esso si da, per do vere senz'ombra di dubbio rispondere affermativa mente al suesposto quesito n. �Lo Stato moderno, infatti, (compreso, ben s'in tende, anche il nostro del quale qui specificamente si tratta) ha baridito dal proprio ordinamento il principio delltt dutotutela, fino a sancire penal mente l'esercizio arbitrario di ragioni, ma nel contempo ha assunto sopra di se il compito della difesa dei diritti dei singoli apprestando i mezzi per dirimere pacificamente le controversie e per assicurare il soddisfacimento concreto dei diritti lesi in via ripristinatoria a seconda delle effettive possibilit� �. � Siffatto compito, che si atteggia e si estrinseca come un potere-dovere, in quanto dovere l~galmeute sancito costituisce un vero e proprio obbligo giuridico di cui il soggetto passivo � appunto lo Stato e soggetto attivo � il privato cittadino che, mentre non pu� farsi ragione da se, ha tuttavia il diritto di ottenere dallo Stato, per mezzo dei vari organi all'uopo predisposti, le necessarie prestazioni intese in primis alla risoluzione di una determinata controversia, e, una volta questa definita, alla concreta attuazione della pretesa giudizialmente riconosciuta: nel che consiste e si esaurisce quel vasto e fondamentale settore dell'attivit�. pubblica statale, che va sotto il nome di giurisdizione nella sua ampia accezione, comprendente cio� cos� la fase cognitiva come quella esecutiva )), � Che poi il diritto subiettivo del singolo titolare e portatore di un titolo esecutivo a suo favore si diriga anche in confronto degli organi amministrativi in quanto detentori e depositari della forza pubblica � fatto palese, oltre che dai principi, anche da molteplici norme particolari che di quei principi sono specifica applicazione )), � A conferma baster� ricordare il testo della formula esecutiva (art. 4 75 c.p.c.) che racchiude il preciso comando agli ufficiali della forza pubblica di concorrere a mettere in esecuzione il titolo quando ne siano legalmente richiesti, e aggiungete che gli artt. 513, in tema di pignoramento mobiliare, 606 e 608 c.p.c. rispettivamente in tema di consegua di cose �mobili e di rilascio di immobili, espressamente conferiscono all'Ufficiale giudiziario, tenuto per sua parte a procedere su istanza dell'interessato, il potere di richiedere, quando occorra, l'assistenza della forza pubblica. �Niun dubbio, quindi, che lo Stato, in forza delle sue leggi ed entro i limiti da questi stabiliti, � garante dei diritti dei cittadini e come tale tenuto a rispettare e a far rispettare tali diritti anche, quando occorra, mediante l'impiego della forza di cui dispone )), In queste gravi statuizioni si contengono due fondamentali errori: in quanto il cittadino non ha un diritto subiettivo ad ottenere l'ausilio della forza pubblica per l'esecuzione dell'atto giurisdizionale, e, in ogni caso, la violazione. di quel diritto -subbiettivo pubblico -non sarebbe risarcibile patrimouialmente. La gravit�. della premessa non si attenua per il fatto che, nella specie decisa, il Tribunale abbia finito per circoscrivere la responsabilit�. della p.a. all'illegittimat�. di una circolare prefettizia, che -2 aveva disposto la temporanea negazione della �forza pubblica � per esecuzioni di sentenze di sfratto (1), riconoscendo peraltro, giustificabili in virt� della discrezionalit�. circa l'impiego della �forza � da parte dei rispettivi comandi -singoli rifiuti caso per caso. Infatti, superando tale distinzione, . e direttamente ricollegandosi all'affermato principio generale, altri privati hanno iniziato numerosi giudizi, dinanzi all'Autorit�. giudiziaria, sulla base della pretesa illegittimit�. dei singoli rifiuti opposti dal Comandante della stazione dei Carabinieri, pur dopo la revoca dell'anzidetta circolare. Il pericolo di una nuova, pi� larga breccia, ha consigliato la difesa dello Stato a sollevare, per questi casi, il regolamento di giurisdizione (non ancora deciso dal Supremo Collegio) mentre, per la fattispecie decisa dal Tribunale di Roma � stato, necessariamente, proposto appello (articolo 41 c.p.c.) in corso di decisione dinanzi la 1a Sezione della Corte d'Appello. Ma, per tutte le controversie, unica appare la ragione di dissenso rispetto alla soluzione adottata dal Tribunale, di Roma. * * * 2. L'assistenza della forza pubblica � ordinata all'attuazione della volont�. di legge, affermata da pronunzia giudiziale esecutiva o da altro titolo contemplato nell'art. 475 c.p.c., ma non a favore del cittadino, sibbene come assistenza all'ufficiale giudiziario, a protezione da eventuali reati. Costui, cui incombe l'obbligo di procedere (1) Nel giugno 1948, era stato segnalato dalle Au� torit� comunali e dai Comandi dell'Arma dei Carabibinieri alla Prefettura di Roma, che nei Comuni dei Castelli Romani, in quelli di Anzio e Nettuno, nonch� in altri Comuni fra quelli che maggiormente avevano subito le devastazioni di guerra, erano state pronunciate, dall'Autorit� giudiziaria, numerosissime s�ntenze di sfratto, la cui esecuzione avrebbe dovuto essere pressoch� contemporanea. Nel solo Comune di Anzio, in particolare, si trattava di 82 sentenze pronunciate e di un centinaio in corso di emanazione; quasi tutte contro persone prive di giusto titolo di occupazione degli alloggi, le quali, pertanto, non avrebbero potuto fruire delle disposizioni per la graduazione degli sfratti previste dalle legge 18 ott.obre 1946, n. 290. In considerazione di quanto sopra, ed essendo stata prospettata la possibilit� di perturbamenti dell'ordine pubblico, la detta Prefettura interess� i Comandi dell'Arma perch� non venisse dato l'ausilio della forza pubblica per esecuzioni di sentenze di sfratto, in attesa che venisse emanato un provvedinento atto a diluire nel tempo la massa degli sfratti a cui si doveva dare esecuzione. Con l'entrata in vigore della legge 9 agosto 1948, n. 1078, legge estesa, in base al Decreto ministeriale 17 settembre 1948, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 28 detto, con altri Comuni della provincia particolarmente danneggiati dalla guerra, anche ai Comuni di Anzio e Netturo, la Prefettura, con nota 30 settembre 1948, n. 15011 Gab.indirizzataal Questoree�lai Comandi dei Carabinieri Laziale I e Laziale II, comunic� che le istruzioni impartite circa l'opportunit� della non concessione della forza pubblica dovevano ritenersi revocate, rientrando ormai la materia nell'ambito dell'attivit� dei Pretori, alla cui competenza restava demandata il valutare le circostanze di fatto e il graduare nel tempo, l'esecuzione dei provvedimenti in parola. all'esecuzione, ha tutti i poteri di forzare le cose o vincere resistenze1 indipendentemente dalla presenza della forza pubblica (artt. 513,. 606, 608, c.p.c.). L'intervento di questa, nello Stato moderno, non sarebbe concepibile come impiego di �forza bruta n. � ovvio che essa non potrebbe intervenire se non per proteggere l'ufficiale giudiziario dalla violenza altrui (art. 337 c.p.) o per proceder� all'arresto di responsabili di invasione (art. 633 c.p.). . Ma questo signffiea non gi�. concorso ess�nziale nell'esecuzione, sibbene prevenzione o repressione di reati che interferiscano nell'esecuzione. In tal senso, � la lettera dell'art. 513 c.p.c., la disposizione che disciplina l'intervento della forza pubblica nell'esecuzione (mentre la norma dell'articolo 475 c.p.c. si limita a riprodurre la formula, che tutti gli autori considerano un residuo storico e di valore pressoch� nullo -ZANZUCCHI: Diritto Processuale civile, 1947, I, 170; se non agli effetti della � cartolarit�. �, ANDRIOLI: Commento, 194 7, III, 15). Ebbene, gli autori pongono in luce che � sempre l'ufficiale giudiziario il mezzo dell'esecuzione coattiva, mentre la forza pubblica, chiamata a di lui discrezione, per cc l'assistenza ii, non � contemplata come cc mezzo ii necessario al fine. Dunque, se non � contestabile che il cittadino abbia un diritto subiettivo di ottenere l'attuazione concreta della volont�. della legge, attraverso l'affermazione della pronunzia giudiziale (azione) e la conseguente esecuzione; tale diritto non � configurabile in confronto della pubblica Amministrazione in quanto depositaria della forza materiale, posta a presidio delle leggi dello Stato e dei diritti dei cittadini, ma non direttamente, sibbene mediatamente, come protezione del giudice, per la pronunzia, dei suoi ausiliari, per l'esecuzione e dello ordinamento giuridico in generale. Il sistema dell'esecuzione, in uno Stato moderno e civile, si pu� concepire, solo, come sistema di coazione giuridica. Nel verbale si deve inserire la dichiarazione dell'ufficiale giudiziario, relativa alla cc immissione � dell'istante nel possesso dell'immobile, con intimazione alla part� condannata o ai terzi occupanti di non turbarlo, sotto le pene stabilite al c.p.; analogamente si procede per i mobili di spettanza della parte� condannata i'invenuti nello stabile, ecc., ecc. (MORTARA, Commentario, V, p. 595; a). . La richiesta della forza pubblica � ammessa per cc provvedere a che � p esecuzione non possa venir impedita da ostacoli frapposti dal debitore o da altri cc (CARBELLOTTO: Esecuzione forzata, n. 239, in cc Digesto Italiano n, vol. X ii. N�, si pu� dire che, nel caso, si trovi una esplicita deroga a questo principio generale di diritto pubblico, nella formula dell'art. 475 c.p.c. Si tratta di comandi diretti a regolare rapporti fra autorit�, ufficiale giudiziario e P .M.; uffieiale giudiziario e forza pubblica. �� � �-_ La lettera dell'art. 475 c.p.c. consente di escludere il diritto subbiettivo del privato, poich� fa obbligo agli agenti della forza pubblica di concorrere all'esecuzione, come assistenza all'ufficiale giudiziario. Ma � questo solo il soggetto dell'esecuzione (assistito materialmente dai facchini per -3 il trasporto di oggetti nel caso dell'art. 609 c.p.c. o dal fabbro, per il forzamento di casseforti, porte e simili) e la forza pubblica � chiamata a tutelarlo da eventuali violenze contro chi esegua le operazioni. Ma il loro intervento non � in nesso di causalit� con l'oggetto dell'esecuzione del provvedimento del giudice. Quando questo contempla persone fisiche, il concorso della forza pubblica non pu� esplicarsi materialmente su di esse per costringerle ad un determinato comportamento (sfratto, rilascio di minori, ecc.) ostandovi il diritto della libert� personale. Infatti il c.p.c. prescrive solo l'asporto coattivo di mobili, come si � visto; e, quanto al rilascio di immobili l'immissione in possesso del nuovo possessore � simbolica, mediante ingiunzione ai detentori di riconoscere il detto posses . sore (art..608 c.p.c.). La successivl!' persi~tenza nel rifiuto ad abbandonare lo stabile potr� dar luogo all'accertamento di reato di violazione di domicilio, l:occupazione, ecc. e dar luogo ad arresto; onde l'uscita da una casa sar� effetto indiretto del rilascio, ma diretto dell'arresto. E, per�, il concorso della forza pubblica non potr� dirsi elemento necessario della procedura di rilascio, che potr� compiersi -anche senza la materiale fuoruscita degli occupanti -attraverso il verbale. Tale intervento si presta ad equivoci quando � contestuale all'esecuzione. Ma, concettualmente, ne va separato. Infatti anche in un secondo tempo, forte del verbale, il possessore potr��denunziare penalmente il fatto e ottenere la liberazione dell'immobile: e qui, non v'� dubbio, emerge la frg1rra dell'intervento della forza pubblica, in ordine al quale non si ha un diritto subiettivo alla repressione dei reati o circa il modo o il tempo della detta repressione. La dottrina, al riguardo, � inequivoca perch� nessuna ha mai pensato ad una liberazione forzosa di immobili, mediante materiale espulsione degli occupanti, sistema inconcepibile in uno Stato moderno. Il vecchio codice era pi� esplicito al riguardo; ma nessuno vorr� sostenere che il sistema sia mutato e che, anzich� far ricorso alle comminatorie delle pene stabilite dal c.p., e fuor del c~so dell'arresto,, si possa con l'uso della forza cacmar fuori gli occupanti. . II cittadino ha diritto di chiedere all'ufficiale giudiziario l'esecuzione. �, poi, questo che pu� chiamare per cc concorrervi � la f.p. E, la mancata prestazione � un rifiuto da organo ad organo; un rapporto fra pubblici poteri. Non � mai il cittadino che possa pretendere il �concorso>> tanto vero che a nessuno verrebbe in mente di chiedere il risarcimento del danno perch� la forza pubblica non abbia represso un movimento popolare c~e -attraverso manifestazioni sedizione -abbia impedito una pubblica udienza. Eppure, come l'art. 475 c.p.c. �rispetto all'esecuzione, ~os�. l'a.~ieolo 128 c.p.c. rispetto all'udienza per il grnd1z10 di cognizione, prevede il ricorso all'attivit� di polizia. . Di questi argomenti, non pare a?bia tenuto contro lo SCOTTO, in nota a sentenza citata (cc Foro It. ))' 1951, 1, 120) il quale, per dimostrare l'esistenza di un diritto subiettivo all'cc ausilio della forza, pubblica>> si richiama alla sentenza Sezioni Unite 22 febbraio 1926, n. 489 (cc Foro It. )) 1926, 1, 32). Ma questa riguarda il caso d'un decreto del prefetto che non aveva negato, gi�,Ja forza pubblica per l'esecuzione, ma si era arrogato il potere di sospendere, addirittura, l'efficacia esecutiva delle sentenze di sfratto il che � cosa del tutto diversa. La Suprema Corte, lungi, pertanto, dal considerare gli effetti del rifiuto della forza pubblica e dal definire se tale comportamento ledesse un ipotetico diritto subiettivo alla prestazione della forza pubblica, ritenne la illegittimit� del decreto prefettizio che sospendeva 'il comando del giudice e giudic� non doversene tener conto ai fini della prosecuzione dello sfratto (applicazione del principio fondamentale dell'art. 2 L. contenzioso). Si guard� bene dall'adombrare, neppur per inciso, a un'ipotetica conseguenza riparatoria, per effett� della lesione derivata da quell'atto amministrativo. � da notare, tuttavia, che il Consiglio di Stato arriv�, per rispetto alla identica situazione, a legittimare l'atto prefettizio (V, 11 dicembre 1925, in �Foro It. �, 1926, III, 81�). Invero, Sezioni Unite e Consiglio di Stato avvi sarono nel provvedimento un atto della Pubblica .Amministrazione, non lesivo di diritti siibiettivi: le Sezioni Unite limitandosi a riscontrarne l'ineffi cacia per ritenuta incostituzionalit�; il Consiglio di St~to, affermandone, addirittura, la piena legit timit�,. Ma se pur fosse stata ritenuta, anche dal Consi glio di Stato l'illegittimit� per incostituzionalit�, del decreto ~refettizio, non ne sarebbe scaturito, solo per questo il diritto al risarcimento del ~an.no (come si vedr�, infra n. 5). SCOTTO, nella r1fer1ta nota si richiama ancora a uno studio di Lrozzr, ' l'Atto giurisdizionale (in �Foro .Amm. )}' 1928, I, 137). Ma questo non pare siasi occupato del soggetto problema. La dottrina non disconosce, latu sensu, il ca rattere di diritto subiettivo alla potest� confe rita dall'ordinamento giuridico, al privato, vit tori~so in giudizio di far valere il comando del ' . giudice; ma come diritto subiettivo all'esecuzione in s� (e se ne vedr� la natura, nel paragrafo se guente), non gi� come diritto alla prestazione della forza pubblica. La giurisprudenza, poi, ha negato che la presta zione della forza pubblica occorrente per l'esecu zione di un giudicato rientri nell'obbligo dello Sta to di dare esecuzione al giudicato; e lo ha negato perfino come assimilazione dell'obbligo a quell~ della Pubblica .Amministrazione di conformarsi al giudicato (art. 27 n. 4 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054). (Cons. Stato, V, 31 gennaio 1947, in. cc Foro It.,)) 1947, III, 166 con Nota diFRAGOLA).Cos� che svanisce anche la preoccupazione (prospettabile per la situazione in esam.e) che la ma~cata concessione della forza pubblica possa costituire una paralizzazione o perturbazione dell'attivit� giurisdizionale. I"' I ' -4 3. Si ammetta, per ipotesi, che l'ausilio della forza pubbli.ca possa riconoscersi come prestazione di garenzia, diretta a favore del cittadino, per l'esecuzione dell'atto giurisdizionale. Occorre, anzitutto, distinguere fra diritto al pubblico servizio e diritto alla prestazione di esso. Diritto al pubblico servizio non � configurabile, com'�, ormai, pacificamente ritenuto. Non si pu� pretendere giudizialmente l'affermazione di responsabilit� dello Stato per la mancata istituzione di una scuola o per il difettoso funzionamento di un Tribunale, per l'omessa copertura del posto d'un insegnante o d'ufficiale giudiziario, per la mancata organizzazione della forza pubblica, che consente l'assistenza, (anche se ritenuta diretta garenzia del cittadino nell'esecuzione). Sono tutte garenzie del cittadino, ma d'ordine politico. La natura stessa delle pubbliche funzioni che si invocano, in base al cc diritto di azione ))' ne subordinano l'attuazione alle condizioni generali dell'organizzazione dello Stato. Il primo errore della sentenza del Tribunale di Roma �, proprio, nell'aver contaminato il concetto di �guarentigia � politica con quello di garenzia, in senso tecnico privatistico. Il primo si confonde con l'antico problema della responsabilit� di diritto pubblico (trascendente pur quello della c. d. responsabilit� obiettiva, senza colpa, cui H Supremo Collegio sembra, vieppi�. avvicinarsi in tema di fatti illeciti della Pubblica .Amministrazione, ogni qualvolta, per�, possa equipararsi l'azione dello Stato a quella di altro soggetto privato di diritti); problema risolto attraverso un sistema di <e indennit� legali � determinate o commisurate con criteri particolari in relazione a singole ipotesi dal legislatore previste che non possono evidentemente applicarsi per ipotesi non {(previste)) (AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO: Relazione per gli anni 1930-1941, I, paragr. 118). Suscettibile di applicazione analogica (giusta la tendenza del Supremo Collegio) � stato ritenuto il caso dell'indennit� dovuta ai proprietari dei fondi danneggiati, permanentemente, dall'opera pubblica (art. 46 leg. esprop.); ma l'indennit� alla vittima dell'errore giudiziario, il c. d. risarcimento del danno di guerra, e cos� via rappresentano oneri che lo Stato riesce ad imporsi per una migliore organizzazione della vita statuale, e non possono confondersi con le obbligazioni che esso assume come ogni altro soggetto di diritto. Diverso il problema se il pubblico servizio esista e si attui un rifiuto alla prestazione. Ma, neppure in tal caso, sarebbe configurabile una responsabilit� della Pubblica Amministrazione. Responsabilit� patrimoniale in genere per violazioni di diritti pubblici subiettivi non � ipotizzabile se non quale effetto di reato. Di regola essa � configurabile come reintegrazione in forma specifica salvo il risarcimento in casi testualmente previsti. Si verser� nell'ipotesi di rifiuto di uffici legalmente dovuti, con conseguente responsabilit� personale del giudice o del funzionario, responsabilit� direttamente conseguente al fatto-reato dell'omissione; si potr� concepire una azione di accertamento del diritto del cittadino alla prestazione del ser vizio, con conseguente reintegrazione in forma specifica (art. 27, n. 4, T. U. 26 giugno 1924, n. 1054); questo � il senso dell'attribuzione alla Autorit� Giudiziaria della cognizione di controversie sui c. d. diritti politici (art. 2 L. Oout.); ma non si potr� configurare il risarcimento del danno, per singole ipotesi di violazioni di diritti pubblici subiettivi, quando il legislatore, eccezionalmente, le ammette a indennizzo ex se non valutabile patrimonialmente. La risarcibilit� �del danno non sarebbe ricollegabile a responsabilit� ex contractu per la stessa natura del diritto (mancherebbe la relazione giuridica con due situazioni corrispettive di debito e credito). Non sarebbe ricollegabile a responsabilit� extracontr�ttuale, perch� il contenuto del diritto pubblico subiettivo non ha e non pu� avere contenuto patrimoniale (si pensi alle categorie dei diritti .pubblici subiettivi e se ne avr� la prova). Anche nel caso dell'azione, il danno non � la cc res domandata � e nel caso dell'esecuzione, la disponibilit� della resi Questo danno sar� imputabile alla parte convenuta, inadempiente. Lo Stato non �, certo, fideiussore solidale delle obbligazioni private dei debitori per il solo fatto di doverne assicurare l'adempimento. Non � pensabile una obbligazione extracontrattuale della Pubblica Amministrazione come concorrente di quella contrattuale della parte inadempiente. Si tratter�, se mai, di danno � non patrimoniale �; e, perci� risarcibile, solo per effetto di previo accertamento di responsabilit� penale e da far valere contro l'autore del fatto, e, in ipotesi, contro la Pubblica Amministrazione in virt� del principio accolto nell'art. 28 della Costituzione. 4. Il cc diritto l> subiettivo sarebbe eliso, tuttavia, dal precetto che esclude il risarcimento del danno, derivato da attivit� di polizia di sicurezza. La gamma degli argomenti, in ordine a detto capo, va dalla cc politicit� � dell'atto o atto di cc alta polizia �, al precetto positivo dell'art. 7 T. U. delle leggi di Pubblica sicurezza. In ordine alla cc politicit� � dell'atto, il Tribunale di Roma si � limitato a considerare il problema della <e forma ))' escludendo la natura di cc atto politico )) nella circolare del Prefetto di Roma, dianzi esaminata, perch� mancava della cc forma� propria degli atti amministrativi! Ma l'atto politico, proprio perch� tale e se tale, non � legato a forme tipiche. Trattasi di attivit� extra juris ordinem o intra juris ordinem, ma dominata da intensa discrezionalit�, onde, anche nella seconda specie, gli atti si pongono fuori di qualunque codificazione o norma giuridica, in concorso con reali esigenze di interesse generale (ROLLA: Nota in ccGiur. It. �, 1941, 1, 1, 103; GABRIELI: Responsabilit� dello Stato per atti illeciti di polizia, su cc Riv. dir. pubbl. ))' 1944, n. 6, 1, 104; VITTA: Diritto amministrativo, 1948, 1, 290). Il Tribunale di Roma si � spinto, poi, a -negare la potest� del Prefetto ad emanare atti politici, in quanto organo locale e ha creduto ricollegarsi all'art. 215 T.U. delle leggi di pubblica sicurezza e argomentare dall'art. 77 Costituente, sul presupposto di una stretta assimilazione fra atto politico -5 e potest� normativa del Governo; mentre � noto che la categoria degli atti polit~ci si estende a tutti quelli che intendono all'integrit� della cosa pubblica, anche all'interno (stati di assedio, cordoni sanitari, altre misure straordinarie), e perci� da emanarsi anche da organi minori (RANELLETTI: Le Guarentigie della giustizia nella Pubblica Amministrazione 1937, pp. 56 segg.). L'argomento era, tuttavia, pi� delicato, che la valutazione delle ragioni di pericolo per lo Stato nella sua integrit� e per i suoi supremi interessi, in che si compendia l'atto politico. (RoEHRSSEN: L'atto di potere politico, ecc., in �Riv. dir. pubbl. ii, 1938, I, 557; CARUSI INGHILLERI: Politioa Amministrazione e giurisdizione amministrativa, in cc IlConsiglio di Stato ii. Studi per il Centenario, 1932, II, 343, nn. 13, 15; RANELLETTI: Le guarentigie cit., pagg. 57 e 68; Teoria degli atti amministrativi speciali, 1945, p. 4 7; ZANOBINI: Corso di diritto a~ministrativo, 1946, p. 134); CAMMEO: Nota in cc Giur. it. n1938, III, 1; Sezioni Unite 24 febbraio 1947, n. 256, in cc Foro it. n, 1947, 1, 268), pu� effettivamente, ritenersi riservato al cc Governo n, giusta la classificazione accolta nella dottrina e nella giurisprudenza in Italia (GurcCIARDI: L'atto politico, in << Arch. dir. pubbl. n 1937, p. 263 e segg.) e in Francia vedine riassunto in VITTA: Diritto amministrativo cit., I, pp. 290-291). Non sarebbe, invece, decisivo l'argomento addotto da Scotto (in nota citata) e condiviso da larga parte della dottrina ,(CAMMEO: Commentario della giustizia� amministrativa, 1914, 824; ZANOBINI: Corso, II, 97, 98; VITTA: Diritto amministrativo cit., II, 435, 436), circa la sindacabilit� da parte dell'Autorit� Giudiziaria -dell'atto politico; poich� la giurisprudenza ha ritenuto costantemente che il giudice debba arrestare il controllo giudiziario, non gi�, limitarsi a dichiararne l'illegittimit� pur senza revocarlo (in applicazione dell'art. 4 L. contenz.); e, in ogni caso, la stessa dottrina prevalente riconosce che la questione non abbia un valore pratico, in quanto l'incompetenza giudiziaria sugli atti di governo scaturisce dalla loro discrezionalit� come limite della giurisdizione. In ordine alla norma contenuta nell'art. 7 T. U. delle leggi di pubblica sicurezza la sentenza del Tribunale di Roma ha ritenuto assorbita ogni necessit� di motivazione, in quanto il comporta mento omissivo dell'autorit� avrebbe sconfinato dalla facolt� ad essa attribuita dalle leggi, attra verso la diramazione di una circolare per la tem poranea sospensione della forza pubblica. .A tale affermazione il Tribunale � pervenuto perch� ha esaminato la circolare, solo dal punto di vista della natura di atto politico. Ma, esclusa tale natura, o perch� atto interno, o per difetto di potere del Prefetto, restava pur sempre da esaminare se l'autorit� non avesse la bench� minima discrezionalit� nel concedere la forza pubblica e poich� questo sarebbe solo assurdo pensarlo, occorreva precisare se quella circolare (appunto perch� atto interno) fosse stata emanata nell'esercizio dell'attivit� di pubblica sicurezza e fosse, quindi, improponibile l'azione per l'eventuale responsabilit� in rapporto al preteso comportamento colpevole della pubblica amministrazione improponibilit� sancita dal citato art. 7 T. U. delle leggi di pubblica sicurezza. (L'interpretazione restrittiva di GABRIELI: Responsabilit� dello Stato per atti illeciti di polizia, in cc Riv. dir. pubbl. n, 1944-46, I, 108, � contraddetta dalla chiarissima lettera della norma). .A tale proposito, non era, certo, difficile riscontrare nella cosidetta circolare del Prefetto di Roma un provvedimento di polizia (se non di �alta polizia n) non soltanto in senso soggettivo (la questione avrebbe, tuttavia, avuto scarso rilievo, attesa l'interpretazione del Supremo Collegio, che ravvisa nell'art. 7 una norma di vasta portata, applicabile ogni qualvolta una qualsiasi pubblica autorit� �abbia d'uopo di ricorrere a misure di pubblica sicurezza n, Sezioni Unite 16 aprile 1942, n. 988, in cc Foro It. n, 1942, I, 839), ma anche sotto il profilo oggettivo, se l'ordine formalmente si era manifestato come negazione della forza, sia in relazione a situazioni in atto (indisponibilit� di forza) sia in relazione a situazioni prevedibili (reazione della popolazione derivante dall'eventuale esecuzione; insufficienza della forza a fronteggiare i disordini che sarebbero seguiti dalla concessione dell'�ausilio n per un imponente numero di sfratti). Non potrebbe dirsi che la forza_ pubblica in questi casi, presti un'attivit�, oggettivamente, diversa da quella di pubblica sicurezza, quale ad es.: di polizia amministrativa. .A parte il rilievo che l'art. 7 non consente tali discriminazioni nessuno dubita che qualunque attivit� statuale diretta ad attuare, coercitivamente, la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza ed incolumit� delle persone e delle cose sia attivit� di polizia. � noto che la distinzione fra polizia di sicurezza e polizia amministrativa � ravvisata nel diverso fine; che, per la prima � la �difesa dell'� ordine giuridico n esistente contro attacchi illeciti dei singoli ii e, per la seconda la �tutela delle cose n, che hanno un'importanza sociale n e che, �malamente esistendo o funzionando n �possono essere cause di danno n << dan-� neggino l'ordine giuridico esistenten (RANELLETTIPolizia di sicurezza, in �Trattato di diritto amministrativo ndiretto da V.E. Orlando, vol. IV, parte I, pagg. 307, 308). E, pertanto, il caso che ci occupa non � dubbio rientri nella polizia di sicurezza. Per il SABATINI (Sicurezza pubblica, in <~Nuovo Digesto italiano n, n. 1, p. 266) non vi � addirittura distinzione e la duplice attivit� dianzi accennata � ricompresa in quello di �sicurezza pubblica n dovendosi contrapporre, piuttosto, la � polizia ii come attivit� di prevenzione, alla �giurisdizione n come attivit� di repressione. Del resto, la giurisprudenza ha fatto larga applicazione del principio dell'improponibilit� sancita dall'art. 7 cit. non solo in tema di polizia di sicurezza, ma, a fortiori a con maggior larghezza, in tema di polizia giudiziaria, e infine, in tema di polizia amministrativa: delle strade, delle acque, dell'agricoltura, ecc. (cfr . .AVVOCATURA GENERALEDELLO STATO: Relazior:_e cit., I, par. 121 e segg.). 5. Il preteso diritto all'assistenza della forza pubblica -se pur fosse configurabile -soffrirebbe necessariamente limitazione nel tempo come nel -6 modo di prestazione (tratterebbesi, in sostanza, di un diritto affievolito). (Sulla questione vedasi Relazione cit., I, par. 121). In un caso venuto all'esame del Consiglio di Stato, venne perfino ritenuto che la concessione della <<forza pubblica n per un qualsivoglia adempimento che abbia o possa avere ripercussi<Jni sull'o. p., � esercizio di potere cos� tipicamente ed ampiamente discrezionale da sottrarsi in concreto, ad ogni sindacato di legittimit� (Consiglio di Stato, V. 31 gennaio 194 7, cit.). � La distinzione fra rifiuto nei casi singoli con riferimento a motivi concreti, e divieto in generale, non genera discriminazione di competenza, (come invece sostiene SCOTTO: Nota cit.), ma pu� riverberarsi sulla legittimit� sostanziale del rifiuto, a giudicare della quale �, per�, sempre competente il Consiglio di Stato, come osserva FRAGOLA: in Nota alla stessa sentenza, (in << Giur. It. n, 1951, 1, 2, 530). Il thema decidendum -scrive il Fragola -era costituito da una d-0manda tendente alla declaratoria di illegittimit� del rifiuto ed al conseguente risarcimento dei danni. Cio�: il privato chiede un pubblico servizio; lo Stato risponde: lo metto a tua disposizione se, quando e come posso (potere discrezionale). Che, nella specie, poi lo Stato abbia risposto: non posso dartelo perch� questi sono gli ordini superiori, � affare cJ;ie non trasforma il potere amministrativo da discrezionale, come indubbiamente �, nella soggetta materia, in potere vincolato; e quindi non trasforma l'interesse legittimo del privato a diritto soggettivo perfetto. � discrezionale dare o non dare la forza pubblica: questo � principio; motivare poi questo non dare, con argomento legittimo o illegittimo � questione la quale potr� indurre il giudice competente a dichiarare se questo modo dira-' gionare dell'amministrazione pubblica sia giusto od ingiusto, ma non � questione la quale fuoriesce dal campo dell'attivit� discrezionale dell'autorit� amministrativa. Se un'attivit� � discrezionale per sua natura ed il suo esercizio d� luogo pertanto a diritti affievoliti dei cittadini, non si converte in attivit� vincolata ancorch� negativa, dando luogo a diritti perfetti, per il semplice fatto di un ordine del superiore gerarchico. � attivit� che nasce e resta in ogni caso discrezionale. Se mai il Tribu� nale avrebbe potuto dire (ma con quale effetto pratico~), la domanda � inammissibile perch� mira a sindacare il potere discrezionale della Autorit� di Pubblica Sicurezza; ma la eccezione a(ldotta dall'Amministrazione � infondata in quanto si poggia� su di un atto amministrativo illegittimo quale l'ordine astratto di non dare la forza pubblica per eseguire gli sfratti. Ma poich� la pronuncia del giudice deve tenere anzitutto conto dell'amissibilit� o meno della domanda (io mi dolgo che non mi avete dato la forza pubblica -potere discrezionale), dichiarata inammissibile la domanda, non vi � luogo a discutere della eccezione (pretesa gustificazione in riferimento ad un ordine superiore). �, inteso, sia il rifiuto, sia la dilazione reiterata nella concessione della forza pubblica potrebbero generare lesioni di interessi denunziabili al superiore gerarchico (art. 6. T. U. delle leggi di P.S.) ma non di diritti perfetti, specialmente in ordine al tempo entro il quale. essi debbano essere soddisfatti. Pi� correttamente del Tribunale di Roma, il Tribunale di Napoli, con sentenza 13 giugno 1948, << Giur. It. �, 1948, I, U, 506, aveva escluso la responsabilit� della pubblica amministrazione in relazione all'affievolimento del diritto, di fronte al pubblico interesse relativo all'impiego della forza pubblica. Intervenuto -se del caso -annullamento da parte del giudice amministrativo la pubblim1 amministrazione dovr� uniformarsi al caso deciso ma non conseguirebbe diritto del privato al risarcimento dei danni in dipendenza della dichiarata illegittimit� dell'atto, perch� violazione di interessi legittimi esclude quella di diritti subiettivi. Importante conseguenza della rigorosa applicazione del principio che, in sede giuridisdizionaleamministrativa, non possano farsi valere diritti come interessi (cfr. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO: Relazione cit. I, paragr. 4, 5) � che l'annullamento di un atto amministrativo, tranne che in materia di giurisdizione esclusiva (per la quale dispone l'art. 30 T. U. 26 giugno 1924, n. 1054) non potrebbe dar fondamento ad una successiva pretesa di risarcimento innanzi all'Autorit� giudiziaria (cfr. la <<Rassegna di giurisprudenza )) in Relazione cit., paragr. 20). 6. La distinzione fra rifiuto di un comando nel casi singoli, con riferimento a� motivi concreti e divieto di prestazione in gen4lre, con riferimento a motivi, pur concreti, di pi� vasto raggio, non spostava, per�, concettualmente i termini del problema, neppure ai fini della legittimit�; e, in ci�, dissento da FRAGOLA. La circolare non pu� -considerarsi ex se, direttamenta, lesiva di diritto subiettivo o interesse legittimo se, constatate le possibilt� di impiego e di reciproco appoggio fra le stazioni dipendenti, l'organo superiore considerava inopportuno concedere la << forza �, per atti di esecuzione, quando non si sarebbe potuto disporre di quella necessaria, per affrontare le conseguenze della concessione. In pi� vasto raggio1 si trattava, pur sempre, di quelle valutazioni di ser.vizio che lo stesso Tribunale di Roma ha riconosciuto idonee ad escludere, temporaneamente, il diritto alla concessione e la responsabilit� conseguente al rifiuto. Nella valutazione di opportunit� possono rientrare anche la preoccupazione di inasprimenti della popolazione contro i tutori dell'ordine pubblico si da rendere troppo gravoso il loro compito e menomare la dignit� dello Stato. Queste prevalenti esigenze debbono considerarsi -senza dubbio -determiuanti dell'affievolimento dell'ipotetico diritto all'ausilio della �forza pubblica )) a pena di dover arrivare. all'assurdo -per dare ingresso a un'impugnativa giurisdizionale in via ordinaria o amministrativa "-'----.di sindacare (con prove testimoniali od inchieste) il numero degli agenti, le esigenze degli altri servizi di istituto, ecc. Nel caso, la temporanea sospensione dell'ausilio della forza pubblica -dichiarata in una circolare o in un singolo rifiuto -non doveva considerarsi -7 diretta a paralizzare l'esecuzione delle sentenze di sfratto ma, anzi, a renderne possibile la pratica attuazione -nel tempo -senza scosse per la pace sociale; tanto ci� � vero che il legislatore, intervenuto successivamente a regolare la materia, dispose, appunto, che gli sfratti contro gli abusivi occupanti non dovessero aver esecuzione simultanea. L'azione della Pubblica Amministrazione veniva a svolgersi nell'ambito consentito alla �attivit� amministrativa �, la cui caratteristica, di fronte alle altre funzioni dello Stato non sta, tanto, nell'eseguire la legge, quanto nell'agire (governare o amministrare) illimitatamente ...:__ per ii benessere sociale -spingendosi fin l� dove non si incontrino precetti (FORTI: Diritto arnministrativo, 1931, 1, pag..9 e segg.; MIELE: Le situazioni di necessit� dello Stato, in �Arch. di dir. pubbl. � 1935. pagine 426, 427); precetti, ben s'intende, posti apresidio di situazioni giuridiche in relazione all'adozione di provvedimenti dei quali si eontroverta; non anche delle miriadi di situazioni che l'attivit� amministrativa -nel suo a:ffe;rmarsi -venga a perturbare. Precetti imperativi e proibitivi, relativi alla concessione indism�iminata della forza pubblica non esistevano e non esistono, e, per�, deve concludersi che il comportamento dell'amministrazione si sarebbe sottratto al sindacato (di legittimit�) anche del Supremo Consesso Amministrativo, e, se esaminato sotto il profilo dell'eccesso di potere sarebbe stato ritenuto pienamente legittimo. DARIO FOLIGNO AVVOCATO DELLO ST�TO NOTE D I DOTTRINA FRANCESCO ANTOLISEI: Sull'essenza dei 'delitti con tro la fede pubblica. (((Rivista Italiana di diritto penale,,, 1951, VI, novembre-dicembre). La materia del falso, che per la sua complessit� il sommo' Carrara paragonava ad una sfinge, riceve, in questo limpido e perspicuo scritto, una impostazione chiaramente dominata dalla sentita necessit� di indicare -in un campo in cui gli sbandamenti sono facili e frequenti per la larga zona grigia esistente tra l'illecito ed il lecito penale criteri precisi per una applicazione ragionevole. ed equa delle norme punitive. Il nostro Codice penale disciplina -com'� noto -i reati di falso nel titolo VII del libro II f'lotto il nome cli xd delitti co,..,tro la fede pubblica))' e con tale denominazione il legislatore intende porre in evidenza quella ch'e la nota pi� rilevante delle falsit� punibili: la pos8ibilit� di trarre in inganno non una sola persona o un numero ristretto di persone, sibbene un numero indeterminato di individui, il �pubblico )) insomma. Tale possibilit� di trarre in inganno il pubblico deriva -secondo l'A. -dal fatto che l'attivit� del reo si svolge su cose e con dichiarazioni che nella comunit� sociale godono di un particolare credito. I delitti contro la fede pubblica si sostanziano, pertanto, in attentati alla genuinit� (autenticit�, purezza, con riferimento a oggetti, segni e forme esteriori) e veridicit� (con riferimento alle dichiarazioni) di mAzzi probatori aventi rilevantevalore per le esigenze e le consuetudini della vita sociale Per l'A. sono <<mezzi probatori))' in genere ,, tutti gli oggetti e le dichiarazioni che, secondo n costume, godono qi un part�colare credito nei rapporti della vita sociale'' La dottrina dominante considera come oggetto giuridico ossia come oggetto della tutela penale del gruppo di reati in disco:so la �fede ~mbbli_ca )). Il concetto di fede pubblica -la cm adozione � attribuita al Filangieri (Scienza della legislazione, 1817) -� spiegato dalla Relazione illustrati.v~ del Progetto del Codice vigen~e -sulle orme d1 Arturo Rocco (L'oggetto del re'ato, 1913) -come ,, la fiducia che la societ� ripone negli oggetti, se gni e forme esteriori (mone~e, ~~blemi, ~oc1:1menti), ai quali l'ordinamento gmnd_1~0 attr1bmsce ~m valore importante ll. E per la pm recente e seguita eln,borazione dottrinale, esso consiste in << quella fiducia usuale che lo stesso ordinamento dei rapporti sociali e l'attuazione pratica del medesimo determina tra i singoli o tra la pubblica Autorit� e i singoli, relativamente all'emissione e circolazione monetaria, ai mezzi simbolici di pubblica autenticazione, ai documenti e qualit� delle persone (MANZTNI: Trattato, 2a ediz., 1946, vol. VI, pagine 431-432) � Secondo l'opinione corrente, la pubblica fede costituisce un vero e proprio bene (o ihteresse) giuridico, e titolare ne � la societ�, la collettivit� vivente nello Stato. Tale concetto della fede pubblica � stato criticato. come ambiguo, indeterminato e artificioso, . dal Gabba, dal Frassati, dal Maino, dallo Zerboglio e. nella dottrina germanica, dal v. Liszt e dal Binding, al quale ultimo si deve l'immaginifico paragone della pubblica fede ad uno di quegli animali marini che, guardati da lontano, seducono lo sguardo per la loro fosforescenza, ma, presi fra le mani, si sciolgono in una massa gelatinosa. Nella pi� recente dottrina italiana si sono pronunciati. contro l'opinione dominante il Delitala, il Borettini e il De Marsico. Secondo l'Antolisei, non pu� negarsi alla teoria dominante un fondamento di verit�, se ilconcetto di fede pubblica viene precisato nel senso di << fiducia e sicurezza nelle relazioni giuridiche)) (speditezza del traffico giuridico). In tal senso, la pubblica fede pu� considerarsi e viene considerata P.Sattamente un interesse sociale meritevole di protezione da parte dello Stato e per ci� stesso l'oggetto giuridico del gruppo di reati in parola. Il difetto della dottrina corr�nte consisterebbe, invece, nell'aver attribuito a tale criterio un valore esc�usivo, trascurando un altro aspetto dei reati medesimi, aspetto che � pi� importante dal punto di vista sostanziale. L'A. considera, infatti, che, nella realt� deile cose, il falso non � mai, o quasi mai, fine a s� stesso: in altre parole, esso non � <<il vero punto di mira )) dell'attivit� del reo. Lo scopo effettivo, il risultato di tale attivit� � <<l'offesa (lesione o messa in pericolo) di quell'interesse particofar� che sarebbe salvaguardato se i mezzi probatori non fossero falsati: in altri termini, di quell'interesse specifico che � garantito dalla genuinit� e veridicit� dei mezzi di prova ll. Cos�, nel falsificare -9 una cambiale il reo mirerebbe a ledere l'interesse della persona la cui firma � contraffatta; nel falsificare un biglietto di viaggio avrebbe lo scopo di frodare l'.Amministrazione ferroviaria. Orbene, anche questi interessi specifici sarebbero protetti dalle norme che incriminano le falsit�, e la tutela accordata ad essi dall'ordinamento giuridico non sarebbe semplicemente occasionale, ma immediata e diretta. Ohe si tratti di protezione immediata e diretta 1'.A. crede di poter desumere dalla constatazione che gli organi giudicanti non hanno avuto e non hanno mai esitazioni nel ritenere soggetti passivi dei delitti di falso le persone titolari degli interessi specifici che sono lesi o posti in pericolo dall'azione del falsario. Per contro -considera sempre lo illustre .A. -se unico oggetto, giuridico dei reati in esame fosse la fede pubblica, soggetto passivo di essi dovrebbe considerarsi solo la collettivit� e si dovrebbe neg3.re ai singoli danneggiati la qualifica di soggetti passivi e quindi il diritto al risarcimento. Poich� a tale risultato i seguaci della teoria dominante non si sentono di pervenire, essi -secondo 1'.A. -non sarebbero coerenti con la premessa da cui partono e con ci� stesso metterebbero in evidenza il difetto fondamentale dell'opinione da loro seguita. Nella concezione dell' .Antolisei, pertanto, i delitti previsti nel titolo VII del libro II del Codice appartengono alla larga categoria dei reati plurioffensivi e cio� dei reati in cui si riscontrerebbero due offese: una -comune a tutti i delitti della categoria -che concerne la pubblica fede; l'altra -variante da delitto a delitto -che riguarda l'interesse specifico tutelato dall'integrit� dei mezzi probatori. Tale concezione importerebbe notevoli conseguenze pratiche nella interpretazione e nella applicazione delle norme punitive del falso. Il primo ordine di conseguenze pratiche riguarderebbe il momento oggettivo dei delitti contro la fede pubblica. � L'.A. considera che le deprecabili incertezze ed incoerenze nell'applicazione delle norme, dovute alle tendenze formalistiche della dottrina e della giurisprudenza degli ultimi decenni -dottrina e giurisprudenza che avrebbero finito con lo svuotare di contenuto il grande principio tradizionale: fh:lsitfi8 non punitur quae non solum non nocuit sed nec erat apta nocere -non si verificherebbero se si tenesse presente che l'offesa della pubblica fede non basta ad integrare il momento oggettivo, la materialit� dei reati di falso. Occorre -secondo l'.A. -che sia offeso anche l'altro bene che � tutelato dalle norme incriminatrici, <e e precisamente che sia per lo meno posto in pericolo l'interesse che � salvaguardato dalla integrit� dei mezzi probatori. Da ci� deriva l'impunit� del �falso innocuo �, il quale abbraccia il <e falso grossolano>> (falso inidoneo a trarre in. inganno), ma ha un'estensione maggiore, perch� comprende tutte le falsit� che, comunque, non possono nuocere a chicchessia �: .Altre conseguenze pratiche della concezione dei delitti di falso, delineata dall'.A. concerne rebbero il problema dell'elemento soggettivo dei delitti medesimi ed in particolare la determinazione dei requisiti del dolo richiesti per la loro punibilit�. .Aborrendo dal crudo rigorismo del dolus in re ip�i (dolo insito nel fatto stesso della falsificazione) dell' Impallomeni e respingendo decisa-. mente anche l'opinione prevalente (giurisprudenza S. O., Oivoli, Lombardi, Saltelli-Romano ed altri), che nel falso non occorra altra indagine che quella concernente la coscienza e volont� dell'immutazione del vero, l'.Antolisei va pi� in l� del Manzini -secondo il quale occorrerebbe una intentio decipfondi, affermando la necessit� di una intentio nocendi. Ci� significa che a costituire il dolo non sarebbe sufficiente la consapevole volont� di immutare il vero, ma occorrerebbe che il soggetto avesse � almeno la coscienza di cagionare i pregiudizi che caratterizzano questa categoria di reati >>. Dubitiamo che la concezione del falso delineata dall' .Antolisei, pur avendo -in linea puramente teorica -una salda impostazione logica e pregi incontestabili di originalit� e di ragionevolezza, possa ritenersi aderente alla ratio e alla sistematica dell'attuale legislazione in materia. Secondo noi, l'opinione dominante giustamente considera come unico oggetto giuridico dei delitti previsti dal titolo VII del libro II del Codice vigente la fede pubblica. Riteniamo, inoltre, che, pur senza tener conto della lesione di interessi particolari e del correlativo elemento soggettivo (intentio nocendi), possa e debba giungersi, nella pratica applicazione delle norme, a quei risultati ragionevoli ed equi tanto fervidamente auspicati dall'illustre .Autore. Se � vero -com'� vero -che e< le leggi penali sono la misura, quasi il prezzo corrente dei valori sociali� (Lombardi), non pu� disconoscersi che la punibiJit� delle falsit� sotto il profilo della offesa alla pubblica fede sia chiaro indizio dell'eleva~o grado di civilt� di una legislazione penale. E, infatti, intimamente connesso con tipi di civilt� evoluta la concezione del falso come reato sociale: come reato, cio�, che lede un interesse pubblico, analogo -per dirla col Oarnelutti -alla pubblica sicurezza. Ora non v'� dubbio -basta tener presenti i lavori preparatori e la classificazione del codice attuale -che l'oggettivit� giuridica dei delitti di falso consideratta dal nostro legislatore sia unicamente la tutela di quel bene giuridico collettivo che va sotto il nome di fede pubblica. Fede pubblica, che non � un'idea vaga e meramente appariscente (come quel tale animale marino del Binding), ma ha base nella realt� ed � -come incisivamente � stato notato -un costume sociale, un particolare atteggiamento della moralit� pubblica. In logica conseguenza di tale concezione non sono richiesti dal nostro Codice, quali necessari estremi di punibilit� del falso, il danno dell'offeso --e la intentio nocendi, essendo solamente sufficienti la dolosa immutatio veri ed il danno, effettivo o semplicemente possibile, della pubblica fede. Con ci� non si vuole negare che, nella realt� delle cose, il falso non sia di regola fine a s� stesso, -10 ma miri a ledere o mettere in pericolo anche un interesse specifico, particolare. Si vuole solamente osservare che tale interesse specifico � occasional mente protetto da quella stessa norma che ha come oggetto giuridico la tutela della pubblica fede. Questa conclusione non � -come ritiene l'.Antolisei -inconciliabile col fatto che sia stata sempre ammessa dagli organi giudicanti la costituzione di parte civile, nel processo penale, del titolare di un interesse specifico leso dall'azione del falsario. L'azione civile di risarcimento prescinde dall'oggettivit�. giuridica di una determinata categoria di reati ed � solamente da porsi in rapporto con le possibili conseguenze dannose dei reati stessi nei confronti di singole persone. In altri termini, mentre all'oggetto giuridico si fa riferimento per porre in luce la ragion d'essere della norma punitiva; per la legittimazione attiva all'esercizio della azione di risarcimento si prescinde dall'indole del reato e si ha unicamente riguardo al danno patrimoniale o comunque economicamente apprezzabile, derivato dall'azione criminosa. D'altra parte, lo sminuzzamento delle varie ipotesi di falsit�. con le diverse graduazioni di pena non sembra costituisca un'incoerenza della concezione accolta dal nostro legislatore, nel senso che la maggior parte di tali distinzioni non avrebbe ragion d'essere se unico oggetto giuridico dei delitti in discussione fosse la fede pubblica. Ci pare, per contro, perfettamente spiegabile che, mentre la classificazione dei reati in categorie pi� o meno ampie sia ispirata ad una generica considerazione dell'oggetto giuridico, la configurazione delle varie ipotesi sia dettata dalla considerazione dell'interesse tutelato nei suoi possibili aspetti particolari e specifici. Tale essendo, secondo la dottrina dominante e secondo il Codice attuale, l'essenza dei delitti contro la fede pubblica, riteniamo non si possa lamentare la mancanza di precisi criteri per una giusta � applicazione delle norme punitive del falso. Ed invero, dato che, per l'integrazione degli estremi di punibilit�., � richiesta -come si � detto -l'offesa effettiva o semplicemente possibile della pubblica fede, resta evidente che in tanto sussister�. la materialit�. dei reati di falso in quanto si abbia una immutatio veritatis che abbia indotto in inganno o abbia reso possibile un inganno con gli effetti anzidetti. Saranno, per ci� stesso, completamente al di fuori dell'ambito della punibilit�. sia il falso �grossolano ))' sia il falso di per s� � innocuo ))' poich� e l'uno e l'altro non ledono n� mettono in pericolo la pubblica fede. Correlativamente, sussister� l'elemento soggetivo dei reati di falso ogni qualvolta sia stata accertata la volont�. cosciente di compiere la falsificazione per rendere possibile un inganno illecito (frode). E, sotto questo profilo, non possiamo non convenire con l'.Antolisei quando manifesta il proprio dissenso da quelle pronuncie giudiziarie nelle quali il solo dei delitti di falso si fa consistere nella cosciente e volontaria immutazione del vero, senza che sia necessaria la ricerca neppure di una intentio decipiendi. u. o. 0DDINI : " Lo status del patrimonio tedesco all'estero", in �Giur. Ital., � I, 2, 347. I. La nota dell'Oddini prende spunto dal seguente caso giudiziario. Il Tribunale di Roma con sentenza 14 aprile 1950, ha negato alla Farben-Industrie la tutela di marchio di fabbrica da essa registrato in Italia. Ha ritenuto il Tribunale che, cadendo la controversia su bene che si deve considerare situato in Germania (perch� quivi risiede l'azienda al cui titolare il marchio appartiene) dovesse applicarsi la legge del locus rei sitae a mente dell'art. 22 disp. prel. C. C. E poich� in Germania vige la legge n. 5 della Commissione .Alleata di Controllo, che ha disposto la confisca di tutti i beni tedeschi all'estero, compresi i marchi .di fabbrica (artt. 2 e 10), in favore della Commissione stessa, in applicazione di questa il Tribunale ha ritenuto la ditta attrice carente di azione. L'Oddini critica la decisione sostenendo invece la tesi �he i beni appartenenti a soggetti di nazio nalit�. tedesca, e siti fuori del territorio germanico, non sono assoggettabili alle norme confiscatorie a loro riguardo emanate dalle .Autorit�. .Alleate occupanti la Germania. L'autore arriva a parlare di uno status del patrimonio tedesco all'estero (cosi intitola la nota), mentre n� i beni di cui ci occupiamo assurgono ad alcuna unit�riet� giuri dico-economica che ne giustifichi la individua zione come un �patrimonio ))' n� ad essi compete alcuno status espressione che dal punto di vista tecnico non si attaglia all'argomento. Peraltro sembra che non si possa condividere la tesi dell' .A. sulla insuscettibilit�. dei beni tedeschi siti allo estero -e in particolare in Italia -a subire le vicende confiscatorie derivanti dalle norme dettote dagli .Alleati. nella Germania occupata. Gli argomenti che l'Oddini adduce a sostegno della sua tesi, e contro la decisione del Tribunale, sollevano interessanti problemi di diritto interna zionale privato e pubblico. Secondo l'.A. la legge n. 5 degli alleati non era applicabile a beni tedeschi siti in Italia perch�: a) se anche vero che la norma di conflitto rimandava al diritto C!ello Stato nel cui territorio il bene controverso � situato, il richiamo non, poteva operare in favore di una legge in quel territorio introdotta dall'Occupante. Il dirittoin ternazionale privato non pu� operare richiamando dall'ordina mento straniero nOl'me dettate dall'Occupante; b) in ogni caso � principio di diritto internazionale pubblico, concordemente riconosciuto, che norme di indole politica e di natura penale, fiscale o confiscatoria non trovano applicazione -fuori del territorio dove si esercita la giurisdizione del legiferante :-da parte di Stati esteri sovrani, salvo impegni da questi assunti con appositi trat� tati, Rileva, peraltro, l'Oddini che a un tale impegno il Trattato di Pace non vincola lo Stato italiano. II. Il primo problema, relativo alla possibilit�. del richiamo dalla norma di diritto internazionale privato di norme� giuridiche dettate dall'occupante nel territorio dello Stato col quale la norma di conflitto opera il collegamento, � stato acutamente -11 e diffusamente trattato dall'Ubertazzi ((Foro Padano �, 1949, III, col. 127 ((Osservazioni sul richiamo della legge di occupazione nel diritto internazionale privato� alle cui conclusioni l'Oddini aderisce, richiamandone le principali argomentazioni. Su queste do.bbiamo brevemente intrattenerci per esprimere una diversa opinione. Si dice che ildiritto internazionale privato muove da una necessit� di certezza e sicurezza delle norme da applicare (criterio di rigidit�), che rendeinammissibile il richiamo di norme aventi un valore contingente, transitorio, condizionato, come sono quelle dell'occupante. Ma si deve replicare che la norma di diritto internazionale privato funziona, e deve funzionare, in modo che (( oggetto del richiamo sono le norme che risulteranno, nei singoli momenti, in vigore nell'ordinamento straniero� (MORELLI: Lezione diritto internazionale privato, 1943, p. 24). Cosicch� la norma di diritto internazionale. privato precede sempre al suo aggiornamento, secondo le variazioni che subisce il diritto dell'ordinamento richiamato, e questa dinamicit� del rinvio � al fine che la norma richiamata sia quella .che << effettivamente � in un �dato momento disciplina la materia, anche se in via transitoria e contingente. Maggiore argomento si adduce osservando che, nei rapporti per i quali viene richiamata la lex loci, il diritto internazionale privato intende riferirsi all'ordinamento dello Stato sovrano sul territorio col quale il rapporto � collegato, mentre lo Stato occupante ha la sovranit� sul territorio occupato. Ma tale argomento, di per s� incontestabile, perde pregio se si ammettte -e l'Ubertazzi non nega tale possibilit� -che le norme dell'occupante si inseriscano nell'ordinamento dello Stato occupato, sovrano sul territorio col quale il rapporto � collegato. Ed in vero tra le varie teoriche: della sovrapposizione dell'ordinamento dell'occupante, da cui viene a dipendere l'ordinamento dello Stato occupato; della coesistenza con reciproche limitazioni dei due ordinamenti; della creazione di un nuovo ordinamento nella societ� ambiente dove si realizza l'occupazione; sembra pili convincente e aggiornata quella che ritiene che in territorio occupato resti in vigore l'ordinamento dello Stato occupato, che recepisce in se stesso le norme dettate dall'occupante entro certi limiti e condizioni (cio� nell'esercizio dei poteri normativi consentiti dall'art. 43 della Convenzione dell'Aja del 1889, sulla guerra terrestre). J..Je considerazioni fatte avanti valgono anche per il terzo argomento, particolarmente acuto, sostenuto dall'Ubertazzi, per escludere che il diritto internazionale privato possa rinviare a una legge dettata dall'occupante. L'A.. osserva che il rinvio a un'ordinamento straniero postula il richiamo di una norma quivi vigente secondo il sistema delle fonti che caratterizza l'ordinamento richiamato. Le norme di occupazione, in quanto non provengono da una fonte propria del sistema giuridico dell'ordinamento richiamato, sono irrecepibili dal diritto internazionale privato. Ora, non si pu� dubitare che ogni ordinamento � quello che �, secondo il sistema delle fonti che lo pongono e compongono, ma se dimostreremo che la norma dell'occupante acquista giuridica rilevanza nello ordinamento dello Stato occupato, proprio attraverso una fonte di esso ordinamento, cadr� anche l'argomentazione che stiamo esaminando. .Abbiamo ricordato che l'Ubertazzi ammette la possibilit� che la norma dell'occupante si inserisca nell'ordinamento dello Stato occupato; anche di fronte a tale teorica egli ritiene che regga l'argomentazione, evidentemente perch� pensa che in ogni caso tale norma proviene sempre da una fonte estranea al sistema nel quale si inserisce. Ma crediamo, innanzi tutto, che nessuna norma possa inserirsi in un ordinamento giuridico dallo esterno, senza un processo attraverso il quale essa acquisti giuridicit� in quell'ordinamento (si pensi al problema della nazionalizzazione delle fonti); in secondo luogo crediamo che sia possibile dimostrare che la norma dell'occupante acquista valore giuridico (e non si attua soltanto in linea di imposizione di fatto) in territorio occupato, proprio in quanto esiste nell'ordinamento dello Stato occupato una norma che contempla come fonte (eventuale) di produzione giuridica il potere normativo esercitato dall'occupante. Tale norma crediamo sia da ravvisare in quella che negli Stati moderni contempla l'adattamento automatico del diritto interno al diritto internazionale consuetudinario (sull'argomento cfr. 'MORELLI: Adattamento del diritto interno al diritto internazionale in alcune recenti costituzioni in R.D. Int. 33, 7 dello stesso: Efficacia del bottino di guerra nell'ordinamento italiano in<( F. I. 48, I, 533 -MANZINI, Bollettino di guerra e patrimonio indisponibile dello Stato (nota 16) in �Giur. Cass. Civ.))' 1948, III, p. 821). Poich� esiste una norma di diritto ihternazionale consuetudinario, codificata nell'art. 43 della Convenzione dell'Aia, che attribuisce una limitata e determinata potest�. legislativa all'occupante in territorio occupato, e perch�, per adattamente automatico a tale norma, il diritto interno a quella potest� normativa attribuisce giuridica rilevanza, ne deriva che dagli ordinamenti statuali viene contemplata come possibile fonte di produzione giuridica l'attivit� normativa dell'occupante. In tal modo sussiste nna norma interna sull>i. produzione giuridica alla quale (come fonte propria dell'ordinamento dello Stato occupato) si deve riportare il valore giuridico, in seno a tale ordinamento, della norma dettata dall'occupante. � invece da riconoscere che, escludendo di massima il diritto internazionale pubblico che l'occupante si metta a legiferare in materia di rapporti privatistici, rester� con ci� stesso escluso che la norma dell'occupante possa essere oggetto di richiamo da parte del diritto internazionale privato. Ma allora il problema diventa un'altro: non sar� pi� irrecepibilit� della norma dell'occupante nella norma di conflitto, ma si tratter� invece di sindar. are la legittimit� della norma richiamata, come si esercita un sindacato sulla costituzionalit� della legge straniera richiamata. Tanto � diverso il problema che, nel caso concreto dell'occupazione della Germania, sembra si dehba prescindere da ogni dubbio sulla legittimit� della norma richiamata, dati gli ampi poteri legislativi derivati agli occupanti dalla resa -12 inr.ondizionata, dagJi accordi di Postdam, dal regime convenzionale di occupazione che ha di molto accreiwiuto le facolt� dell'occupante previste dalla Convenzione dell'..Aia; e vi � addirittura chi ha ritenuto la debellatio dello Stato tedesco (cfr. GruLIANo: Lo Status interil:azionale della Germania). In conclusione non solo sembra che si possa escludere che esistano impedimenti al richiamo della norma dell'occupante dal diritto internazionale privato, ma si deve ritenere che la norma di conflitto non pu� operare a guisa di selettore che respinga la norma che effettivamente vige nell'ordinamento col quale. il rapporto � collegato, riattivando una norma puramente ipotetica, quella che nell'ordinamento straniero avrebbe vigore, se non vigesse invece la diversa disciplina dettata dall'occupante. Sotto questo primo aspetto dunque non sussisteva per il giudice italiano l'impedimento ad applicare la legge n. 5 degli alleati, confiscatoria di beni tedeschi siti all'estero. III. Ma l'Oddini, come si � rilevato, adduce un secondo argomento che sarebbe assolutamente imueditivo. Ricorda I'A. come le norme penali, fiscali, confiscatoriei hanno vigore limitato all'ambito territoriale dello Stato che le.emette, e questo non pu� aspirare a vederle applicate a beni (rispetto ai quali possa anche disporre) fuori del suo territorio, senza ledere la sovranit�. degli Stati dove tali beni sono situati. Su tale principio di diritto internazionale pubblico l'Oddini richiama la concorde autorevole opinione del Fachiri, del Worthley, del Dicey e di altri scrittori. Peraltro tale principio resta superato quando gli Stati esteri si impegnano con trattato ad applicare la norma stranier�. E difatti osserva l'Oddini, gli Alleati ben consci della inAfficacia della legge n. 5-che lede il principio di diritto internazionale pubblico suriferito, in quanto pretende applicazione fuori del territorio in cui essi esercitano il potere di occupazione, -vennero a particolari accordi con i governi della Svizzera, Svezia, Spagna e Portogallo per la liquidazione del patrimonio tedesco in quei: paesi, che avevano respinto l'applicazione della legge di confisca nel loro territorio. Qu~ndo all'Italia l'Oddini nega che sia impegnata a riconoscere efficacia alla legge n. 5, della Commissione alleata in Germania, in quanto, ancorch� l'art. 77, n. 5 del Trattato di Pace, impegni lo Stato italiano �a prendere ogni misura necessaria per facilitare il trasferimento dei beni tedeschi che si trovano in Italia, che venisse deciso da quelle Potenze occupanti la Germania, che hanno il potere di disporre dei beni tedeschi trovantisi in Italia n non solo non � stata emanata in Italia alcuna disposizione per la vendita o liquidazione dei marchi di fabbrica ivi esistenti, ma � stato esplicitamente convenuto tra gli alleati occidentali da una parte, e l'Italia dall'altra, col memorandum di Washington del 14 agosto 1947 (accordo Lowett-Lombardo) che cc le misure relative a marchi di fabbrica e patenti di propriet�. tedesca saranno dilazionate in attesa di passi separati. Ma qui sembra che l'A. non abbia colto nel segno il valore dell'articolo ricordato del Trattato di Pace dispiega nel caso in esame. Nulla interessa� che siano state differite le misure per facilitare il trasferimento agli alleati di beni Ud�schi in Italia. Quello che nella specie si deve considerare � l'esplicito riconoscimento, contenuto nel suriportato testo dell'art. 77, Trattato di Pace da parte dello Stato italiano che �le potenze occupanti la Germania hanno il potere di disporre dei beni tedeschi trovantisi in Italia n. Di fronte a questo esplicito e non dilazionato impegno cade l'ultima obiezione contro l'applicabilit�. della legge n. 5 degli alleati da parte di giudici italiani. Se � vero che la norma per i caratteri rilevati, non pu� impegnare gli Stati stranieri, salvo particolare accordo, � altrettanto vero che lo Stato italiano assunse preventivamente col trattato di pace l'impegno di riconoscere efficacia alle norme degli alleati, intese a disporre dei beni tedeschi esistenti in Italia; come altri Stati tale impegno hanno assunto con specifici trattati. IV. Un ultimo argomento si deve trattare per esaurire il tema. L'Oddini rileva che il Tribunale � caduto in in contraddizione quando ha ritenuto che la controversia dovesse decidersi secondo la legge tedesca, perch� locus rei sitVte del marchio de quo deve considerarsi la Germania, mentre ha poi richiamato dall'ordinamento tedesco una legge che si occupa di beni situati fuori del territorio germanico. L'A. non insiste su tale rilievo interessandogli . di negare comunque l'applicabilit�. in Italia della legge n. 5 degli alleati. Ma qual'era la norma di conflitto regolante la materia, e come doveva operare1 Sembra che cadendo la controversia sul diritto al marchio esattamente il Tribunale abbia fatto ricorso all'art. 22 disp. prel. c. c .. Ma sorge il dubbio che, poich� il vero oggetto della controversia cadeva sulla capacit�. della ditta tedesca di esS'ere titolare del marchio dopo la confisca disposta dagli alleati, potesse piuttosto trovare applicazione l'art. 17 disposizione preliminare, che come fu osservato, non si riferisce alla capacit�. giuridica in genere, ma alla capacit� di agire in ordine a un dato rapporto. � vero che la capacit� specifica di essere titolari di certi rapporti (es. propriet�) � disciplinata dalla norma didiritto internazionale privato relativa a quel rapporto, ma � altrettanto vero che come � sfuggono alla sfera d'azione dell'art. 22, per ricadere sotto la norma ricordata in materia di capacit� di agire .... la capacit� di trasmettere e costituire diritti reali�, (Morelli, op. cit. p. 69) cos� si pu� ritenere che la controversia sulla capacit� di conservare un diritto reale (in relazione alla sopravvenuta attivit� confiscatoria dell'occupante), e di agire per la sua tutela, debba ricadere sotto la disciplina dell'art. 17 che rimanda al diritto straniero. In tal caso si giustifica senz'altro il richiamo della legge n. 5 della.Com-missione alleata la sua sua applicazione da parte del giudice italiano. Se invece la controversia ricade sotto la norma dell'art. 22, come questione attinente strettamente alla propriet� del marchio, si impone il problema -13 pregiudiziale di determinare se il marchio di azienda tedesca registrato in Italia sia un bene sito in Germania o in Italia. Non � possibile affrontare qui l'interessante problema di diritto industriale, e conviene esaminare l'una e l'altra possibile soluzione. Se il bene deve considerarsi sito in Italia, dove attraverso la registrazione ha acquistato giuridico rilievo e piena tutela, a mente dell'art. 22 citato deve applicarsi la legge italiana. In questo caso funzioner� l'art. 77 n. 5 ricordato del Trattato di pace, secondo il quale il giudice italiano deve riconoscere pieno valore ad ogni decisione alleata relativa ai beni tedeschi in Italia. Oosicch� avendo gli alleati disposto colla legge n. 5 la confisca dei marchi di fabbrica tedeschi, tale norma avr� applicazione non come legge �straniera, non cio� come atto normativo. ma come fatto che integra il contenuto del ricordato art. 77 del Trattato di Pace. Detto articolo si manifesta come un atto di produzione giuridica, contenente una norma in bianco che presuppone, per il suo completamento, non nuove norme, ma decisioni e disposizioni concrete, emanate dagli alleati al riguardo dei beni tedeschi in Italia. Tale costruzione sembra pi� esatta di fronte all'altra possibile interpretazione, che la clausola in esame del tr�ttato di pace possa ritenersi operante come norma sulla produzione giuridica, che attribuisce nel nostro ordinamento valore giuridicQ normativo ad ogni decisione alleata in ordine ai beni tedeschi trovantisi in Italia. Se infine il marchio deve considerarsi situato in Germania resta giustificato il richiamo della legge alleata n. 5, ma applicandola si incorrerebbe nella contraddizione rilevata dall'Oddini, perch� quella legge dispone la confisca di beni situati fuori del territorio tedesco. Tuttavia la contraddizione ci sembra pi� apparente che reale: infatti la prima volta, agli effetti cio� di determinare -come vuole la norma di conflitto -�dove il bene � situato, si deve giudicare secondo la legge italiana, e questa, poniamo, stabilisce che il marchio di azienda tedesca, ma registrato in Italia, � un bene situato in Germania. Ma una volta attraverso la individuazione del lucus rei sitae rimandati all'ordinamento tedesco, � alla stregua di questo che si deve giudicare anche la collocazione del bene (e l'art. 10 della legge n. 5. espressamente contempla i marchi di fabbrica di aziende tedesche come beni all'estero). Quindi il marchio, che, secondo l'ordinamento italiano, � un bene sito in Germania e perci� la nostra norma di diritto internazionale privato rimanda all'ordinamento tedesco, in quanto per quell'ordinamento � un bene all'estero subir� la sorte che la legge n. 5 ha det�rminato per i beni tedeschi all'estero. La contraddizione non esiste perch� le due contrarie valutazioni avvengono nell'ambito di diversi ordinamenti. G. M. RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -A.R.A.R. -Na tura giuridica -Azione di spoglio. (Corte di Cass., Sez. Il, Sent. n. 2057-51 -Pres.: Piga, Rel. : Vita P. M.: Caruso (concl. difformi) -Monteleone contro Azienda Rilievo Alienazione Residuati). L'Azienda Rilievo .Alienazione Residuati non � un organo dello Stato, ma una persona giuridica pubblica la quale opera nell'interesse e per conto dello Stato pure restando fuori della sua diretta organizzazione amministrativa. Non pu� ritl;lnersi, pertanto, preclusa dall'art. 4 della legge sul contenzioso amministrativo l'actio spolii proposta contro l'A.R. .A.R. L'azione di spoglio � proponibile contro quella attivit� della Pubblica amministrazione che, non essendo una estrinsecazione del potere discrezionale, costituisce attivit� violenta o'clandestina perch� non autorizzata dall'atto Amministrativo, il quale, essendo previsto dalla legge, rappresenta la legittima manifestazione di volont� della Pubblica .Amministra.zione di agire per una finalit� inerente al suo eompito pubblicistico. Per la intelligenza delle massime riportiamo la motivazione della sentenza. cc Affrontando una indagine compiuta sin ora da qualche giudice di merito, la Corte Suprema rileva che in astratto sono configurabili tre ipotesi circa la natura giuridica dell'A.R.A.R. e cio�: a) che essa, sebbene sfornita di personalit� giuridica, sia un organo della Pubblica Amministrazione; b) che essa appartenga alla Pubblica Ammini straziane con una sua personalit� giuridica, insita nelle funzioni; e) che essa infine sia una persona giuridica di diritto pubblico, la quale non appartiene alla diretta amministrazione statale, sebbene operi nell'interesse dello Stato. Ma, agli effetti della pronuncia che la Corte Su prema deve emettere (ossia: se contro l'A.R.A.R. sia proponibile azione di spoglio) le tre ipotesi possono essere ridotte a due sole: cio� che l'Azienda sia un organo dello Stato (se fornita o non di per s~nalit� giuridica pu� interessare� soltanto per altre finalit� giuridiche e giudiziarie), ovvero sia una persona giuridica pubblica la quale operi nello interesse dello Stato pur relftando fuori della sua organizzazione amministra:tiva. cc Or, su tale questione il Supremo Collegio osserva che l'A.R.A.R. non pu� considerarsi parte della Pubblica Amministrazione statale; s� che l'actio spolii proposta da! ricorrente non pu� ritenersi preclusa dall'art. 4 della legge sul contenzioso ammi nistrativo, come ha invece affermato il Tribunale. � L'A.R.A.R. fu istituita con decreto 25 ottobre 1945, n. 683, come �ente autonomo� per il rilievo, la custodia e la alienazione (in sintesi: per la valorizzazione patrimoniale) dei residuati di guerra, ossia delle cose cedute allo Stato 'dalle Forze Armate Alleate ovvero abbandonata dall'esercito tedesco in ritirata. Ed il carattere di autonomia fu reso pi� evidente, sia con le norme che determinarono la struttura dei suoi organi (decreto '23 novembre 1945, n. 793), sia con quelle successive che ne precisarono le funzioni (decreto 25 e 28 febbraio 1947, n.119 e 1'20). Infatti, all'ente, chiamato sempre azienda, furono preposti come direttore un funzionario della Amministrazione ferroviaria (art. 5 decreto�25 ottobre 1945, n. 783), e come organo interno di amministrazione un consiglio nominato dal Ministro per la ricostruzione (art. 3 detto decreto n. 683 ed art. 2 decreto 23 novembre 1945, n. 793) ed obbligato ad osservare le direttive del Comitato Interministeriale per la ricostruzione (art. 2 decreto n. 683). La direzione dell'Ufficio di ragioneria dell'azienda fu affidata ad un funzionario della Ragioneria dello Stato (art. 13 citato decreto n. 793). Ma n� questa determinazione legislativa della struttura dell'ente, n� la vigilanza dello Stato sulla gestione (sotto forma di riscontro della gestione stessa affidato a revisori nominatid ai Ministri del Tesoro e per la ricostruzione e del Presidente della Corte dei Conti, e sotto forma di approvazione dei conti consuntivi, da parte del Ministro del Tesoro: art. 9 e 13 decreto n. 793); nP-la circostanza che dovevano essere prelevati dall'organico statale alcuni impiegati della Azienda consentono di ravvisare nell'A.R.A.R. un organo della Pubblica Amministrazione. cc L'A.R.A.R. sorse, non per svolgere uno dei com piti essenziali e immanenti dello Stato, n� per affron tare alcuna delle funzioni pubblicistiche che esso deve assumere, temporaneamente, nei periodi che sono chiamati di emergenza; ma fu istituita come 1.ma " azienda ,, che dov�va operare " per conto ,, e " nello interesse del Tesoro dello Stato�,, (art. 1 cit. decreto n. 683), al quale doveva essere trasferita ogni attivit� e passivit� (art. 17 cit. decreto n. 793). Ed al consiglio � di amministrazione di questa azienda, creata per valorizzare un patrimonio occasionaZ.e dello Stato, quale era quello dei residuati di guerra, fu �J,fftd;at-a una rilevante ampiezza di poteri e di iniziativa circa il riconoscimento dei diritti vantati dai terzi sui beni posseduti dall' A .R.A.R. (decreto 25 febbraio 1947, n. 120). Detti ampi poteri ed iniziative mal si concilierebbero con la nozione dell'organo della Pubblica -15 Amministrazione; la quale non agisce se non attraverso la normale organizzazione dello Stato o attraverso quella degli enti autarchici, e secondo le leggi che disciplinano l'attivit� costante e necessaria dello Stato. << L'intervento funzionale del Genio Civile nell'accertare lo stato di cons,istenza degli immobili che l'A. R.A.R. restituisce; l'intervento funzionale del Prefetto nel liquidare le indennit� (art. 4 decreto n. 120); la facolt� ministeriale di prorogare le occupazioni di immobili (art. 5 dello stesso decreto); la riserva dello Stato di stabilire nuove direttive obbligatorie per l'A.R.A.R. (art. 4 decreto 15 aprile 1948, numero 567), costituiscono, alla pari delle particolari forme di vigilanza statale su indicate, riflessi delle iniziative sen;ipre pi� numerose che lo Stato va attuando per finalit� patrimoniali, le quali non possono essere confuse con gli scopi immanenti di interesse pubblico. � Lo Stato moderno, cio�, oltre a svolgere i suoi compiti tradizionali corrispondenti a fondamentali necessit� della vita collettiva, ha assunto -nel tempo a noi vicino -iniziative che economicamente non sono diverse da quelle che a scopo lucrativo� svolgerebbero un privato o un complesso di soggetti privati; creando a tale finalit� enti molteplici. E le direttive, i controlli escogitati per rendere fattive e patrimonialmente utili tali iniziative, se rivelano la situazione di preminenza che ha lo Sta~o, considerato come la prima e pi� forte persona giuridica, non fanno rientrare nella vera e propria organizzazione statale n� l' A .R. A.R. n� le altre aziende patrimoniali dello Stato. � � stata prospettata in do'ttrina la ipotesi che l'A. R.A.R. sia una di quelle persone giuridiche che sono istituzionalmente titolari di un rapporto. organico con lo S'tat�, e che da tale sua posizione nella organizzazione dello Stato derivi che essa agisca come vero e proprio organo di questo. Ma, come si � accennato, la figura mista, dell'organo di Pubblica Amministrazione fornita di personalit� giuridica, pu� essere inquadrata -nel nostro sistema di diritto pubblico assai meno agevolmente di quello che possa farsi ammettendo che l'A.R.A.R. sia invece una vera e propria persona giuridica di diritto pubblico perch� -creata dallo Stato -opera esclusivamente per finalit� di pubblico interesse patrimoniale, ma resta al di fuori della Pubblica Amministrazione. �D'altronde la Corte Suprema osserva che all'annullamento della sentenza impugnata si giunge anche se, per ipotesi dialettica, si ritenga che l'A.R.A.R. costituisca un organo -transeunte ed anomalo della Amministrazione Pubblica. � � noto che non � ammessa la azione di spoglio contro la P~bblica Amministrazione, perch� l'ordine di reintegrazione nel possesso, che dovrebbe essere dato dal Pretore, costituirebbe soppressione dello stato di fatto creato dall'atto amministrativo e quindi revoca dell'atto stesso. Or proprio da tale regola di diritto deriva che il privato possa insorgere contro la attivit� violenta o clandestina con cui la� Pubblica Amministrazione sopprima uno stato di fatto senza avere emesso quell'atto amministrativo che sia previsto dalla legge come sua manifesVazione della volont� di agire per una finalit� inerente al suo compito. La inammissibilit� dello actio spolii, cio�, presuppone una legittim�a funzione della Pubblica Amministrazione, legittimamente manifesta. Questa ha indubbiamente poteri di imperio e facolt� discrezionali, contro � le quali il privato non pu� chiedere la tutela immediata di un suo diritto consistente nell'uso di un determinato stato di fatto (sentenza Sezioni Unite 12 aprile 1933,n. 1263) o contro le quali il privato pu� agire soltanto in modo diverso dall' ese'l'.cizio dell'azione possessoria. Ma, fuori del campo in cui la Pubblica AmJm,inistrazione � arbitra discrezionalmente, s� che il giudice ordinario non pu� sindacarne l'operato agli effetti di ripristinare uno stato di fatto inerente al possesso o alla detenzione, il presupposto della attwit� non sindacabile della Pubblica A>wministrazione � la esistenza del vero e proprio atto amministrativo )) (omissis). << La azione di spoglio � proponibile contro quella attivit� della Pubblica Amministrazione, che, non essendo una estrinsecazione di potere discrezionale, costituisce attivit� violenta o clandestina contro l'altrui possesso, perch� non autorizzata dail'atto amministrativo il quale, essendo previsto dalla legge, rappresenta la legittima manifestazione di volont� della Pubblica Amministrazione di agire per una finalit� inerente al suo compito pubblicistico �. Non pu� sfuggire al lettore che questa motivazione se non � proprio lontana non � certo veramente vicina a quella chiarezza e propriet� di espressioni e a quelle precisazioni di concetti giuridici desiderabile per lo meno nelle sentenze del Supremo Collegio. . Quanto alla prima massima, infatti, ai fini di decid�ere sulla proponibilit� o meno di un'azione di spoglio che il Pretore aveva ritenuto proponibi!e e il Tribunale improponibile, il Supremo Collegio si � pronunziato su una situazione amministrativa consolidata e sul riconoscimento, quasi unanime, della giurisprudenza dei giudici di merito e della dottrina di tale situazione; e si � pronunziato in modo da poter generare confusioni che non hanno ragione di essere. L'Amministrazione Centrale dello Stato ha considerato l' A .R.A.R., fin dalla sua istituzione, una propria azienda autonoma come tutte le altre aziende dello Stato, con o senza personalit� giuridica, che fanno parte della sua organizzazione (cfr. ZANOBINI: Corso, ediz. 1946, pag. 126 e segg.). Vi sono in tali sensi provvedimenti formali (decreto del Ministro per le Finanze 30 gennaio 1946), circolari (relative al trattamento tributario dei residuati di guerra d'importazione) ed il parere 27 gennaio 1948, n. 118 del Consiglio di Stato. Tale l'hanno ritenuta, decidendo specifiche contestazioni, tutti i giudici di merito, come il Tribunale di Roma (in questa Rassegna, 1948, nn. 1-2, pag. 9) e quello di Napoli (in Giur. It., 1950, I, 2,36), per ricordare le sentenze edite, ad eccezione della sola Corte di Appello di Napoli a conferma delle statuizioni della indicata sentenza del Tribunale di N apoli. E di azienda di Stato parla la dottrina (SANDULLI, in Giur. It., 1951, IV, 105 e GIULIANO, ivi, 1950, I, 2, 36 in nota, richiamando la lettera del decreto legislativo che la istituisce). . Il Supremo Collegio facendo una rassegna�non del tutto completa dei vari provvedimenti legislativi che �riguardano l' A.R.A.R., esclude trattarsi di organo dello Stato considerando che � stata istituita per la valorizzazione dei residuati di guerra, come patrimonio occasionale dello Stato (il che non � proprio esatto se si ricordi il rilievo o recupero che ad essa -16 � demandato dei materiali abbandonati dai tedeschi) � e che ha personalit� giuridica, (la qual cosa non risulta da alcuna delle disposizioni dei provvedimenti legislativi passati in rassegna) ed afferma che si tratta di persona giuridica pubb~ica, ente autonomo od azienda con finalit� patrimoniali che, come le altre aziende patrimoniali dello Stato, non fa parte della vera e propria organizzazione dello Stato, rifacendosi cos~ a quella dottrina che in riguardo alle aziende dello Stato, distingueva tra aziende senza personalit� giuridica, indicate come dipendenze amministrative sta'tali, e quelle aziende con personalit� giuridica, come l'Azienda delle foreste demaniali, indicate come enti giuridici separati dallo Stato (FERRARA: Le persone giuridiche, pag. 124 e seguenti). � La distinzione, di cui il Supremo Collegio vede l'utilit� ai fini delle successive conclusioni di cui nelle altre massime, non solo non risponde alla realt� in quanto all'A.R.A.R. non � riconosciuta nelle disposizioni legislative una personalit� giuridica propria ed in quanto le aziende dello Stato, abbiano o meno una personalit� giuridica, fanno parte dell'Amministrazione centrale la quale non si esaurisce nell'organizzazione normale dei M iniSteri, come bene osserva lo Zanobini (l. c.), ma pu� portare alla confusione dell'Azienda, anche per le espressioni che si leggono, con i numerosi enti pubblici che h�nno un proprio patrimonio, perseguono fini pubblici, ma non propri dello Stato, e godono di completa autonomia di cui non gode certo l'A.R.A.R., che, a prescindere dalla soggezione a precise direttive governative neU9 svolgimento della sua attivit�, anche per quanto riguarda la gestione � obbligata a versare al Tesoro dello Stato le somme riscosse eccedenti le ordinarie esigenze di gestione (art. 6 D.C.P.S. 18 ottobre 1947, n. 1223). Quanto alle altre due massime la lamentata mancanza di chiarezza e di propriet� delle espressioni e di precisazione dei concetti giuridici risulta dalle massime stesse, che sono formulate nei termini testuali della sentenza, senza necessit� di riferirsi al merito della contestazione di cui riteniamo opportuno non fare alcun cenno bastando, a richiamare l'attenzione sulla specie, ricordare le difformi conclusioni del P.M. Com'� chiarito dai richiami alle sentenze 13 marzo 1934, n. 793 e 2 aprile 1949, n. 775, il Supremo Collegio � pervenuto alla conclusione ch,e l'A.R.A.R. � azienda come le altre patrimoniali dello Stato per escludere nelle successive conclusioni, rispetto all'art. 4 della legge sul contenzioso, l'atto amministrativo nei suoi requisiti di giuridicit� e per considerare l'attivit� dell'A.R.A.R. come meramente privata e di soggetto di propri�t� patrimoniale. Ma a tal fine, proprio per la precisazione� dei concetti giuridici, non occorreva occuparsi dell' A. R.A.R. come organo o meno dello Stato, perch� il divieto dell'art. 4 � relativo alle manifestazioni di volont� nella funzione amministrativa in genere, che non � propria dei soli organi dello Stato (ZANOBINI Corso, vol. I, pag. 20), e .tanto meno, poi, occorreva ricorrere per definire la funzione amministrativa al concetto della discrezionalit�, che � solo uno dei caratteri della funzione amministrativa (ZANOBINI, ivi, pag. 14) e aggiungere poi quanto altro si legge nella massima. (B. C.) AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -A.R.A.R. -Com missione delle rivendiche -Carattere giurisdizionale ed amministrativo delle pronunzie. (Corte di Cassa zione., Sez. Unite, Sent. n. 67-52 -Pres. : Pellegrini Est. : Duni, P. M. : Malacuso -Impresa Barra con~ tro A.R.A.R.). �� � La Commissione per le rivendiche istituita presso I'Azienda Rilievo Alienazione Residuati col decreto legislativo 28 febbraio 1947, n. 119 � organo amministrativo che, in luogo dell'A.R.A.R., delibera se la domanda di coloro che intendono far valere diritti sui beni pervenuti in possesso dell'A. R.A.R. debba essere accolta senz'altro ovvero se l'A.R.A.R. debba resistere alla eventuale azione giudiziaria che l'interessato di fronte al diniego, avesse a proporre. La sentenza delle Sezioni Unite accoglie in pieno la tesi sostenuta dall'Avvocatura circa la fisionomia della Commissione delle rivendiche presso l' A.R.A.R. ed il carattere delle sue pronunzie. La questione � venuta all'esame del Supremo Collegio a seguito di ricorso che investiva direttamente una pronunzia della Commissione a' sensi dell' articolo 362 cod. proc. civ., ma di essa aveva avuto gi� occasione di occuparsi il Tribunale di Milano, che aveva ritenuto il carattere giurisdizionale della Commissione e delle sue pronuncie (sent. 11 marzo 1951 in Giur. It., 1951, I, 2, 139), ed aveva, con riguardo a tale sentenza, scritto il Sandulli ritenendone invece il carattere amministrativo e classificando le denuncie o domande degli interessati come ricorsi gerarchicf impropri; e tanto ai fini di stabilire se le pronunzie fossero irrevocabili o revocabili, ed, ove fossero revocabili, quali le condizioni e le garenzie per la eventuale revoca (Osservazioni in tema di revocabilit� di decisioni di ricorsi amministrativi, in Giur. Ital., 1951, IV, pag. 105). L'Avvocatura ha sostenuto il carattere amministrativo e la revocabilit� delle pronunzie, prima che comparisse lo scritto del Sandulli nella Giurisprudenza, ed ha negato sotto ogni aspetto che le pronunzie potessero considerarsi decisioni di ricorso �gerachico anche improprio, mancando un provvedimento dell'A.R.A.R. oggetto di ricorso e rappresentando invec� la pronunzia l'unico provvedimento dell' A .R.A.R adottato dalla Commissione in luogo e come organo dell'A.R.A.R., in tale forma costituito per l'esame obbiettivo delle ragioni degli interessati. La motivazione della sentenza � la seguente: cc A prescindere dal preteso difetto di notificazione presso l'Avvocatura dello Stato -da questa dedotto -il ricorso per cassazione � inammissibile in quanto diretto contro un provvedimento amministrativo. cc A termini dell'art. 3 del decreto-legge 28 febbraio 1947, n. 119, l'A.R.A.R. trasmette le denunzie dell() pretese da parte di terzi, sui beni da essa detenuti, alla Commissione appositamente istituita, la quale -proceduto alla istruttoria del caNo -si pronunzia sulla ammissibilit� e sul fondamento de71e pretese stesse. Il deliberato della Commissione, a cura dell'A. R.A.R. � portato a conoscenza dell'interessato, cui la legge (art. 4) espressamente fa salva l'azione giudiziaria, da proporre entro novanta giorni dalla comunicazione predetta. -17 << � ovvio, pertanto, che la Commissione non giudica su nessuna contestazione, n� risolve contro � versia di sorta, ma in luogo dell'A.R.A.R., quale organo amministrativo, delibera se la domanda debba essere accolta senz'altro ovvero se l'A.R.A.R. debba resistere alla eventuale azione giudiziaria che l'interessato, di fronte al diniego, avesse a proporre �. Da tanto discende, naturalmen�te, la revocabilit� in genere delle pronunzie della Commissione, quando ricorrono le sole ordinarie condizioni della revoca degli atti amministra'tivi. Nel segnalare la sentenza non possiamo omettere di rilevare che le Sezioni Unite avrebbero dovuto pronunciarsi anche sul difetto di notificazione accennato nelle prime righe della motivazione, difetto che, a' sensi degli articoli 1 ed 11 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, importava la nullit� del ricorso, da dichiararsi anche d'ufficio e in linea pregiudiziale. Tale nullit� era stata espressamente eccepita anche per provocare il riesame dei concetti espressi dalla Seconda Sezione del Supremo Collegio nella annotata sentenza 2057 //H, che in attesa, c'eravamo astenuti dal segnalare e certamente tale nullit� ricorreva, anche ad acquietarsi alla definizione dell'A.R.A.R. persona giuridica pubblica e non organo dello Stato come le altre aziende patrimoniali dello Stato con personalit� giuridica, perch� nessuno ha mai dubitato dell'applicabilit� di deUe disposizioni della legge sulla rappresentanza e difesa dello Stato alle citazioni in giudizio di tali Aziende patrimoniali. C'� da pensare che le Sezioni Unite abbiano volufo evitare tali precisazioni rispetto a sentenza recente della Sezione semplice, quando tanto era necessario ai fini del processo ma non ai fini del giudizio. CB 0.) COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Usi civici Provvedimento di ripartizione Annullamento d'ufficio. (Corte di Cass., Sez. unite, sent. n. 2659/51 - Pres.: Pellegrini, est. D'Apolito, P. M.: Macaluso; Comune di Garzigliana contro Ministero A.gricoltura ed altri); Gli atti amministrativi di ripartizione dei terreni gravati di usi civici, quando siano stati debitamente omologati dal commissario e approvati dal Capo dello Stato, attribuiscono agli assegn'.Ltari diritti soggettivi perfetti. Rientra nella giurisdizione del commissario degli usi civici la questione relativa alla legittimit� del provvedimento, con il quale il commissario nell'esercizio del potere di autocontrollo, spettante ad ogni autorit� amministrativa, abbia proceduto all'annullamento di ufficio del precedente provvedimento di quotizzazione di terreni soggetti ad uso civico. Trascrivfomo qui di seguito la parte fonda mentale della motivazione della Corte Suprema:. << Non � contestabile e contestato che i cittadini del luogo non hanno un diritto soggettivo ad ottenere una quota del demanio comunale soggetto ad usi civici, ma � altrettanto certo che una volta seguite le operazioni di ripartizione, e dopo che gli atti relativi sono stati omologati dal Commissario e approvati dal Capo dello Stato l' a,ssegnatario (in enfiteusi) della singola unit� fondiaria, d_iventa titolare di un diritto soggettivo al dominio utile del fondo, con gli obblighi e i poteri inerenti, diritto che ha nell'assegnazione il suo titolo legittimo e che egli pu� far valere nei confronti dei terzi e dp,ll'Amministrazione stessa. Si oppone che l'atto amministrativo di assegnazione sia stato successivamente annullato per illegittimit� dall'Amministrazione stessa, nell'esercizio del suo potere di auto-sindacato consacrato nell'art. 6 della Legge comunale e provinciale, che d� al Governo la facolt� di annullare in qualunque tempo, di ufficio o su denunzia gli atti viziati di incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge e con ci� sarebbe venuto meno il fondamento stesso del diritto soggettivo che solo nell'atto annullato aveva radice, si che al privato non resterebbe che un interesse a impugnare, in sede giurisdizionale amministrativa, la sussistenza del preteso vizio di legittimit�. E' da osservare che, nel caso di specie, sembra es sersi fuori dall'ambito di applicazione di quest'ultima disposizione della leggei poich� il decreto presiden zin.le si richiama non ad essa ma all'art. 13 della lp,gge speciale sul riordinamento degli usi civici ed � stato emAsso senza il previo parere del Consiglio di Stato, obbligatoriamente prescritto al citato art. 6. Comunque non � discutibile il potere di autocontrollo che la Pubblica Amministrazione pu� esercitare sui suoi atti aWeffetto di eliminare quelli che risultino viziati; ed �, almeno in linea generale, giuridica mente ineccepibile che l'annullamento, spiegando efficacia ex tunc, faccia venir meno i diritti sorti in base all'atto riconosciuto ab origine invalido. Quest'effetto per� presuppone incontrastata o gi� accertata l'illegittimit� dell'atto amministrativo. JYI a la qu"'stione di giurisdizione si pone quando per effetto dell'impugnativa dell'atto di annullamento, la pretesa illegittimit� dell'atto amministrativo origi ginario sia contrastata. La questione fu vivamente disputata in relazione ai provvedimenti di annullamento degli atti ammini.~ trativi volti a dare vita ed efficacia ai contratti, e, secondo molti autori, sarebbe stata legislativamente risolta, nel senso della competenza amministrativa da,l citato art. 6, per il quale � sempre ammesso contro il dAcreto reale di annullamenio il ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. Ritiene la Corte che i termini di quella controversia, la cui accennata soluzione aveva la sua ragione prof onda nel fa,tto che da quanto attiene al procedimento di formazione della volont� della pubblica Amministrazione, non sorgono diritti subiettivi non coincidono con la presente fattispecie, che deve pertanto essere decisa alla stregua dei principi generali fissati nella legge sul contenzioso amministrativo, non innovati dal citato art. 6. Ora, poich�, come si � accennato, dalla ordinanza 6 novembre 1933 del Commissario per gli usi civici era sorto indubbiamente per Bessone e consorti di lite un diritto soggettiv� di dominio utile sui rispettivi fondi, che essi hanno posseduti e coltivati per quasi un ventennio, basta questa generica esi. stenza a fltabilire prima facie la competenza del giu dice ordinario a conoscere della validit� degli atti am ministrativi che inciderebbero ledendolo, su quel diritto. L'aflcertare, se poi, in concreto, quel diritto sia o validamente sorto, in dipendenza della legittimit� -18 o illegittimit� dell'atto che gli ha dato vita, f armer� l'ogaetto del giudizio di merito. Ai fini della giurisdizione, affermare che il diritto non esiste perch� l'atto � stato dichiarato illegittimo dal provvedimento successivo, � dare per provato ci� che forma appunto il tema della controversia, cio� se l'atto sia stato o no legittimamente annullato. Sembra pertanto che la controversia esuli dal campo della giurisdizione amministrativa, e che essa debba essere portata al giudice, cui nella materia speciale, � affidfl,ta la tutela dei diritti, cio� al Commissario degli usi civici �. Esprimiamo il nostro sommess� dissenso dalla tesi seguita, dalla O orte Suprema e soprattutto dall'argomento fondamentale da essa adottato per affermare la giurisdizione dell'autorit� giudiziaria ordinaria, lo argomp,nto cio� che l'atto di annullamento di un provvedimento amministrativo che ha dato 'Vita a diritti soggettivi fa venir meno tali diritti solo quando sia accertata la illegittimit� dell'atto annullato. Finch� questa illegittimit� non. sia accertata, il diritto soggettivo sorto in base a quel provvedimento rimane sempre tale e la pretesa che su esso si fonda dev'essere fatta valere avanti l'autorit� giudiziaria. In una acuta nota alla sentenza in rassegna, l'avvocato Nigro (�Foro.It. � 1952, I, 1, 194) ha precisato la distinzione fra la pretesa a mantenere gli effetti di un atto amministrativo che ha fatto sorgere un diritto soggettivo e la pretesa a mantenere in vita l'atto amministrativo stesso: la prima darebbe luogo a diritti soggettivi e la seconda solo ad interessi legttimi. A questa nota rimandiamo per quanto riguarda questo punto della questione. Ora a noi preme porre in rilievo un altro aspetto del problema. Game abbiamo visto, la Oorte Suprema ritiene che, salvo che per i casi di annulldmento ex art. 6 della legge comunale e provinciale (per i quali il ricorso al Consiglio di Stato � stabilito dalla stessa norma), ai fini della giurisdizione l'impugnativa contro lo annullamento di un atto amministrativo che abbia fatto sorgere diritti soggettivi potrebbe essere portata alla cognizione del Consiglio di Stato solo quando la legittimit� di questo annullamento fosse accertata; ma quando il tema della vertenza � proprio l'accertamento della legittimit� dell'atto di annullamento, sarebbe evidente che � affermare che il diritto non esiste perch� l'atto � stato dichiarato illegittimo dal provvedimento successivo � dare per provato ci� che forma appunto il tema della controversia, cio� se se l'atto sia stato o no legittimamente annullato ii. Senonch� non � affatto vero che l'atto annullato rimanga in vita, a tutti gli effetti, finch� non ne sia stata accertata e dichiarata la illeaittimit�dal Giudice (che dovrebb'essere il Giudice o;dinario, in qun,nto esso ha prodotto diritti soggettivi) ma esso vip,ne immediatamente posto nel nulla dall'atto di annu,llamento, ed ogni pretesa contro questo non pu� b?'s,a,rsi se n~n sopra un: interesse legittimo, l'interesse cioe a che il potere di annullamento sia esercitato legittimamente. Ragionando diversamente, si viene in sost-anza ad abolire la P?test� di a�~n~llamenio ai ufficio che spetta alla Pubblica Amministrazione, e questa potest� viene a degradarsi al rango di quella facolt� che ha ogni privato di disconoscere le obbligazioni che si fondino su ur: at.to non conforme al diritto, facolt� che, per farsi valere, ha sempre bisogno di un comando del Giudice. Per una trattazione sull'argomento si veda in questa Rassegna, 1951, pag. 83-89. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT�-Occupazione temporanea -Per utilit� pubblica transeunte -Periodo di applicazione della Legge n. 1741 de~ 1940, sulle requisizioni. (Corte di Cass., Sezione umca, Sent. n. 2656/51 -Presidente: Ferrara -Estensore D'Apolito -P. M.: Eula -Brugiapaglia contro Ministero Difesa-Esercito). L'occupazione d'urgenza, consentita dall'art. 76 della Legge di espropriazione, pu� essere preordinata alla espropriazione dell'immobile o invece essere diretta ad un impossessamento solo temporaneo, che consenta all'Autorit� l'uso provvisorio della cosa per il conseguimento di utilit� pubbliche transeunde. In quest'ultimo caso, il provvedimento, sebbene qualificato come occupazione di urgenza ha sostanzialmente il contenuto di una requis~zione in uso, pur essendo ugualmente soggetto, m generale alla disciplina della legge sulla espropriazione. Tale uguaglianza di regolamentazione pi� non si verifica ove, per l'insorgenza dello stato di guerra ricorra l'applicabilit� del regio decreto 18 ago: sto 1940, n. 17 41 sulla disciplina delle requisizioni. Durante il periodo di applicazione di detta legge salvi i casi eccettuati, tutti gli atti dell'autorit� che dispongono temporaneamente degli immobili di propriet� privata in relazione allo stato di guerra e alle contingenze eccezionali devono considerarsi estrinsecazione, con la conseguente applicabilit�, della disciplina della legge speciale. Tale principio trova applicazione anche nel caso in cui, procedutosi all'occupazione temporanea in vista dell'espropriazione, l'Autorit� abbia successivamente rinunciato a quest'ultima; ricorrendo le condizioni anzidette sin dall'inizio deve configu gurarsi un rapporto di requisizione. La pa.rte sostanziale della motivazione di questa� perspicua sentenza � riportata nella massima sopra trascritta. La Oort" ha accolto in pieno la tesi dell'Avvocatura Per una esposizione di qu11sta si veda in q?iesta Rassegna, 1951, pag. 74. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI DELLE CORTI DI MERITO IMPOSTE E TASSE -Violazione delle leggi finan ziarie -Ordinanza intendente -Mancato ricorso Legge 11 gennaio 1951, u. 25 -Rimessione in ter mini. (Tribunale Firenze -Presidente: Poggi, Esten sore: Capaccioli, -Sent. 14 dicembre 1951 -Societ� R. H. Macy & Company contro.Intendente di finanza) .. L'ordinanza emessa dall'Intendente, ai sensi degli artt. 55 e segg. 1. -7 gennaio 1929, n. 4 sulla repressione delle violazioni finanziarie, e divenuta definitiva per mancata impugnazione ha, come il decreto del Ministro, il quale d~cida il ricorso, valore di titolo esecutivo. L'ingiunzione di pagamento, emessa quando la ordinanza o il decreto siano divenuti definitivi per mancata proposizione dell'azione giudiziaria nel termine di 60 giorni, non ha valore autonomo e contro la stessa non � proponibile opposizione per motivi attinenti al rapporto tributario, ormai definitivamente accertato. Il ricorso ~l Ministro avverso l'ordinanza dello � Intendente di finanza dev'essere presentato personalmente dal trasgressore o da un suo procuratore, munito di mandato generale o speciale e non pu� essere trasmesso per posta. Il decreto del Ministro, il �quale dichiari l'inammissibilit� del ricorso, pu� essere tempestivamente impugnato con l'azione giudiziaria, ma la pronuncia del giudice, che confermi l'inammissibilit� del ricorso e, conseguentemente, la definitivit� della ordinanza intendentizia non pu� entrare nel merito del rapporto tributario. La legge 11 gennaio 1951, n. 25 non contiene alcun provvedimento di condono, ma solo riammette in termine i, contribuenti autorizzandoli a fare ex-novo un'autonoma dichiarazione dello imponibile, che, a seguito della dichiarazione stessa, rimane incontrovertibilmente accertato. L'anzidetta legge non si applica quando il con tribuente non solo ometta di fare la dichiarazione dell'imponibile, ma contesti di dovere il tributo. In tal caso egli � tenuto, ove sia rigettata la do manda, a pagare sia il tributo che l'eventuale sopratassa e le pene pecuniarie. La sentenza merita di essere segnalata per la chiarezza e precisione della motivazione, con la quale ha riconfermato il principio che l'inamnnissibilit� del ricorso gerarchico preclude la proponibilit'� dell'azione e che l'emissione dell'ingiunzione di P.agamento dopo che siano invano decorsi i termini per l'impugnazione giudiziaria dell'ordinanza intenden. tizia o del provvedimento, col quale il Ministro delle finanze abbia deciso il ricorso, ritualmente proposto am!erso la predetta ordinanza, non riapre i termini per la contestazione giudiziale sul rapporto tributari. o. Ma la sentenza afferma anche due altri principi � della massima importanza e sui quali non constano precedenti. Il primo riguarda la forma di proposizione del ricorso avverso la ordinanza intendentizia. La legge vuole che lo stesso sia presentato personalmente dal contribuente o da un suo rappresentante munito di procura. Da ci� si evince l'inidoneit� della trasmissione a mezzo posta, la quale non consente la identificazione del ricorrente, ritenutae ssenziale dalla legge. Esattamente osserva l'annotata sentenza che all'interpretazione della legge 7 gennaio 1929, n. 4, pu� pervenirsi adattando per analogia i criteri contenuti nei codici penali e di procedura penale, tosto che quelli, di cui al regio decreto 7 agosto 1936, n. 1639, che regola l'accertamento dell'imposta. A questa conseguenza la sentenza previene sia in base aUa natura, lato sensu, penale della legge, sia in considerazione del regio decreto 24 settembre 1931, n. 1473, con il quale appunto il legislatore attu� la esigenza di coordinare la legge n. 4del1927 con i nuovi codici penale e di procedura penale. L'altro principio riguarda la interpretazione della legge 11 gennaio 1951, n. 25. Con essa, in sostanza, il legislatore non ha concesso un condono delle sopratasse e pene pecuniarie, sia pure subordinato al pagamento del tributo entro un certo termine, ma ha riammesso in termini i contribuenti, i quali possono dichiarare l'imponibile. Il mancato pagamento delle sopratasse e pene pecuniarie � la conseguenza di questa dichiarazione, che la legge considera fatta in termini e, perci�, esente da penalit�. Ma � necessario che il contribuente dichiari l'imponibile e tale dichiarazione preclude la possibilit� di contestazione se l'amministrazione -20 accetti l'imponibile dichiarato. Quando invece il contribuente ometta di fare una tale dichiara,zione ed anzi contesti l'imponibile accertato dall'amministrazione, sostenendo che il tributo preteso non � dovuto si � fuori dell'ambito di applicazione della legge 11 gennaio 1951, n. 25, il cui manifestato proposito � quello di sistemare le controversie tributarie in modo rapido e non quello di condon�re le penalit�. Per conseguenza in tal caso si applicano i principi comuni ed il rigetto della pretesa negatoria del tributo importa l'obbligo di pagare lo stesso e le penalit� inerenti. (G. G.) REVISIONE PREZZI -Pubblico appalto di servizi Ricorso alla giurisdizione speciale del Ministero Improponibilit�. (Commissione per l'esame dei ricorsi in materia di revisione prezzi degli appaJti di opere pubbliche -Parere 23 gennaio 1952, n. 200 -Pres.: Polistina, Est.: Pentinaca). <e.L'appalto per il recupero e la raccolta di materiall bellici residuati a seguito delle operazioni di guerra svoltesi nel territorio nazionale (con specifica esclusione della bonifica dei campi minati) non costituisce appalto di opera, ma appalto di servizio: pertanto le controversie relative alla revisione dei prezzi dei detti appalti non rientrano nella giurisdizione speciale di cui al decreto legislativo 6 dicembre 1947, n. 1501 >>. Riproduciamo il testo del parere massimato, condividendone pienamente le ragioni: Premesso che, con contratto 19 dicembre 1945, n. 18 di rep. e atto aggiuntivo 26 marzo 1946, n. 70 di rep., l'Amministrazione Militare (Direzione Artiglieria di Firenze), appaltava alla Impresa Ghelardi e Stupenengo il recupero e la raccolta dei materiali bellici -pertinenti ad i soli tre servizi: di artiglieria, chimico della motorizzazione -, comunque reperibili nel territorio della provincia di Firenze, liberando inoltre il terreno da ogni ordigno esplosivo (con esclusione dei campi minati, la cui bonifica rimaneva riservata agli appositi organi del Genio Militare); che l'appalto ebbe regolare esecuzione per un importo complessivo di L. 123.207.509,42; che con istanza 21 marzo 1948 l'Impresa chiedeva la revisione dei prezzi; che l'Amministrazione, in applicazione della specifica clausola contrattuale di revisione prezzi (art. 20 del contratto), determin� in L. 5.236.355 il compenso revisionale spettante; che avverso tale determinazione del 6 giugno 1950 l'Impresa, con atto notificato il 5 giugno 1950, propose ricorso al Ministro della Difesa-Esercito, ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo 6 dicembre 1947, n. 1501, deducendo l'insufficienza della somma come sopra determinata e chiedendo l'attribuzione dello << adeguato compenso che le spetta in dipendenza degli aumenti di costo realmente verificatisi n; Ritenuto che, a prescindere da ogni altra questione di merito o di rito, questa Commissione chiamata per legge ad esprimere parere sui ricorsi riservati alla giurisdizione speciale del Ministro, giusta il decreto legislativo 6 dicembre 194 7, n. 1501 -deve preliminarmente considerare se nella specie, si versi in materia spettante alla adita giurisdizione; che, come risulta dalla relativa legislazione (decreto legislativo 6 dicembre 1947, n. 1501, ratificato con modifiche dalla legge 9 giugno 1950, n. 329), la giurisdizione speciale del Ministro � limitata alla revisione prezzi degli appalti di opere pubbliche; che, pertanto, come pure la Corte Suprema di Cassazione ha espressamente ritenuto (Cass. Sez. Un. 17 settembre 1949, n. 2444, Ditta Rinaldi c. Ministero Poste e Telecomunicazioni; in Giurisprudenza completa della Corte Suprema 1949, 3� quadr., pag. 511), l'ambito di detta giurisdizione speciale non pu� estendersi per inammissibile analogia, ad ogni specie di pubblico appalto, ma restare circoscritta a quelli di opera, con assoluta esclusione di quelli di servizio (v. art.1655 Codice civile); che, pur estendendo il concetto di opera pubblica al di l� dei limiti ritenuti, nella subbietta materia, dal Consiglio di Stato (Sez. 3a, parere 16 febbraio 1949, n. 1138, in Rivista Amministrativa della Repubblica Italiana 1950, pag. 591), non pu� non ritenersi come il concetto di opera pubblica si identifichi in un'opera d'ingegneria eseguita da un ente pubblico allo scopo di soddisfare un pubblico interesse o, comunque, in una attivit� che dia luogo ad un opus, quale concreta, specifica e visibile, modificazione tecnica dei luoghi; che, tra i due pi� evidenti estremi della costruzione di un edificio (appalto di opera) e quello della raccolta di corrispondenza postale (appalto . di servizio), corre tutta l'estesa gamma di ogni possibile appalto, la cui identificazione -quale appalto di opera o appalto di servizio -va fatta in base all'interpretazione del contratto e secondo i concetti suespressi; che, in base a tale indagine, la Commissione ritiene che l'appalto di raccolta e sgombero di materiali bellici, di cui trattasi nella specie, sia da ritenere un pubblico appalto di servizio e non di opera; che, l'eventualit� meramente accessoria e secondaria, di lavori tecnici che sarebbero occorsi in casi del tutto particolari rispetto all'entit� ed estensione dell'appalto (quali il rinvenimento di bombe aeree inesplose e particolarmente interrate) non pu� tramutare in appalto di opera la natura ed essenza di servizio, caratterizzante il contratto in esame (dal quale, come si disse, erano espressamente esclusi anche i lavori di bonifica dei campi minati); che, pertanto, non versandosi in materia di appalto di opera pubblica, la vertenza esula dalla giurisdizione speciale del Ministro; che, conseguentemente, il ricorso di che trattasi va dichiarato improponibile, rimanendo a carico dell'Impresa le relative spese di giudizio; (omissis) RASSEGNA DI LEGISLAZIONE I PROVVEDIMENTI SONO ELENOATI SEOONDO L'ORDINE DI PUBBLIOAZIONE SULLA � G.tl.ZZETTA UFFIOIALE � I. 1. Legge 22 dicembre 1951, n. 1575 (G. U. n. 16): Agevolazioni fiscali per opere concesse dalla Gassa del M ezzogiorno. -Con questa legge si ricomprendono nella quota fissa di abbonamento di cui all'art. 26 della legge 10 agosto 1950, n. 646 anche le tasse e le imposte indirette sugli affari dovute su atti e contratti che, secondo la rigida int.erpretazione del citato articolo 26, non vi sarebbero state comprese. Nel secondo comma dell'art. 1 sono stabilite le condizioni alle quali � subordinata la agevolazione tributaria di cui al primo comma. Naturalmente, tali condizioni debbono essere adempiute rigorosamente, esclusa ogni possibilit� di equipollenti. Si segnala la poco chiara formula usata nell'ultimo comma dell'art. 1 (�atti conseguenziali ai contratti di appalto>>), la quale potr� dar luogo a qualche questione; naturalmente, la formula stessa, trattandosi di norma di agevolazione tributaria, dovr� essere interpret�ta restrittivamente. 2. Legge 2 gennaio 1952, n. 10 (G. U. n. 19): Disposizioni integrative della legge 10 agosto 1950, n. 647, per la esecuzione di opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia settentrionale e centrale. -Si richiama l'attenzione sull'art. 2; sembra che la deliberazione del Comitato dei Ministri di assumere a parziale o a totale carico dello Stato le opere indicate nell'art. 2 della legge 10 agosto 1950, n. 647 debba essere consacrata in un atto formale, come quelli che importano una spesa a carico dello Stato. Si richiama altresil'attenzione sull'art. 6 contenente una norma di esenzione e agevolazione tributaria, formulata non troppo chiaramente. 3. Legge 8 gennaio 1952, n. 25 (G. U. n. 27): Modificazioni ed aggiunte alle disposizioni del decreto-legge 25 marzo 1948, n. 674, relativi alla sistemazione e alla liquidazione dei contratti di guerra. -Si segnala l'art. 5 il quale contiene sostanzialmente una proroga a termini gi� scaduti. � 4. Legge 24 luglio 1951, n. 1637 (G. U. n. 29): Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi conclusi a Mosca tra l'Italia e l'Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, l'11 dicembre 1948: a) Trattato di commercio e navigazione; b) Statuto giuridico della rappresentanza commerciale dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste in Italia; c) Protocollo di firma. -Si segnala l'allegato al Trattato, contenente lo Statuto giuridico della rappresentanza commerciale dell' U.R.S.S. in Italia, la quale assume nel nostro ordinament.o giuridico una figura singolarissima e che non ha riscontro nei rapporti tra l'Italia ed altri paesi. 5. Legge 26 gennaio 1952, n. 29 (G. U. n. 30): Limiti della etficada delle scritture private non registrate nei termini di cui �tl regio decreto-legge 27 settembre 1941, n.1015, convertito nella legge 28 dicembre 1941, n. 1470. -Di questa legge gi� ci siamo occupati in sede di esame della relativa proposta avanti al Senato della Repubblica (Rassegna., 1950, 231). La legge � tra lo meno felici dal punto di vista della tecnica legislativa ed � stata anche peggiorata in confronto alla proposta originaria. Ci richiamiamo alle critiche gi� fatte nella Rassegna sopra citata. II. Disegno di legge n. 2380 C. D. (iniziativa governativa): Disposizioni per la disciplina -Jiuridica dei rapporti di lavoro. -Il disegno di legge in esame che consta di 43 articoli, pur recando il titolo generale di �Disposizioni per la disciplina giuridica dei rapporti di lavoro �, in realt�, come pone in luce l'ampia relazione del Ministro del Lavoro on. Rub�nacci che')a accompagna, mira a dare semplicemente attuazione alle norme degli articoli 39 e 40 della Costituzione. Quarantatre articoli e relative norme di attuazione, allo studio, per dare esecuzione a due articoli della Costituzione potrebbero apparire troppi e far pensare che l'attuazione sia andata oltre i limiti, ma tuttavia essi possono giustificarsi se pensiamo alla imponenza dei fenomeni disciplinati dall'art. 39 della Costituzione: l'Associazione sindacale e il contratto collettivo, e dall'articolo 40: il diritto di sciopero e i suoi limiti. Poich�, in sostanza, il diritto di sciopero � concepito in funzione collettiva sembrerebbe pi� appropriato aggiungere nel titolo che si tratta di rapporti � collettivi � di lavoro, il che varrebbe a caratterizzare meglio l'oggetto della legge. Questa regola minutamente la registrazione delle Associazioni sindacali e i requisiti per ottenerla pre-cisando in che debba consistere << l'ordinamento interno a base democratica � previsto dall'art. 39 della Costituzione, fissando i requisiti numerici in percentuale della citazione (10 %), la cui consistenza viene ricavata dall'anagrafe dell'impresa e da altre fonti, -22 respingendosi le note proposte per l'anagrafe del lavoro, e demandando al Ministero del L�avoro il controllo, anche sulla permanenza dei requisiti con possibilit� di revoca. Dal punto di vista strettamente giuridico, merita rilievo la norma che deferisce al Consiglio di Stato i ricorsi per le controversie inerenti alla registrazione sul presupposto, chiarito dalla relazione, -per� discutibile -che si tratti di interessi legittimi e non di diritti soggettivi delle Associazioni, derivanti dalla norma.costituzionale. La registrazione viene estesa dal decreto anche alle Associazioni sindacali dei dipendenti dello Stato e agli altri enti pubblici, pur non avendo, rispetto a tali categorie, decisivi effetti non essendo previsto per esse il sistema della rappresentanza unitaria e la stipulazione dei contratti collettivi. Ci� sembra sia dovuto ai poteri di iniziativa che l'art. 12 riconosce alle Associazioni stesse che, per�, non � chiaro se possono essere posti in essere dalla singol<t Associazione registrata o da una specie di rappresentanza unitaria, pur non regolata dalla legge. A proposito dei rapporti di pubblico impiego, l'articolo 16 esclude, in deroga degli articoli 2068 e 2093 Codice civile, dall'applicazione del contratto collettivo i rapporti di lavoro disciplinati non solo dalla legge, ma anche da cc atti della Pubblica Autorit� sopprimendo cos� l'espressione cc in conformit� della legge � di cui all'art. 2068 citato. Risorge cos� una espressione ormai superata 'dal codice civile, desunta dal regio decreto 1� luglio 1926 n. 1130, che � atta ad ingenerare equivoci e confusioni, e non in armonia con il codice civile e la legislazione del lavoro. Basterebbe quindi che un ente pubblico ponga una norma unilaterale perch� cada l'applicabilit� del contratto collettivo. � vero che la Relazione attenua il con. cetto sostenendo che � necessario che il particolarepote� re regolamentare derivi dalla legge, ma a prescindere dal fatto che il potere regolamentare generale deriva sempre dalla legge, che motivo vi � di porre una norma la quale pu� avere un significato diverso da quello ad essa dato nella relazione ed escludere ad es. praticamente la soggezione al contratto collettivo per gli enti pubblici economici? Non ci soffermeremo sulla disciplina data alla formazione delle rappresentanze unitarie al deposito del contratto collettivo, alla sua proroga e ai poteri discre~ donali, riservati in definitiva al Ministro, n� sulla norma per cui occorre la maggioranza non solo degli iscritti alle Associazioni, ma anche delle Associazioni che concorrono a formare la rappresentanza unitaria perch� si tratta di soluzioni non di stretto carattere giuridico, rileveremo solo, tra le innovazioni, che l'art. 17, in rapporto anche agli articoli 15, 18 e 19 sembra abbandonare la tesi giurisprudenziale dell'intuitus personae, per il trattamento pi� favorevole al lavoratore, si scosta dal dettato dell'art. 2077 Codice civile e, in conformit� alla dichiarazione dell' O. I.L., ammette nel modo pi� ampio il principio generale della conservazione e ammissibilit� di ogni trattamento pi� favorevole. L'art. 15 riconosce la possibilit� di accordi stipulati dalle singole Associazioni registrate e ne stabilisce il valore, con una formula a dire il vero non troppo chiara, per tutti i dipendenti delle imprese iscritte alle Associazioni stipulanti, anche se non iscritti alla Associazione dei lavoratori, ci� che la Relazione spiega come derivante dal contratto a favore di terzi (articolo 14 Codice civile). L'art. 16 ammette la compromissione in arbitri sulla base di clausola del contratto collettivo che � una innovazione all'art. 808 del Codice procedura civile. L'art. 22 regola la denuncia anticipata del contratto e il giudizio di convalida da parte del la Corte di Appello. L'art. 24 gli accordi economici collettivi. L'ultima parte del disegno riguarda le controversie collettive e il diritto di sciopero, distinguendo le con troversie collettive giudiziali, cio� di applicazione e di interpretazione del contratto, da quelle economiche per la formazione di nuovi patti di lavoro. Le prime sono risolte dalla Corte di Appello con le norme sulla Magistratura del Lavoro in sede collettiva, dettate dal Codice di procedura civile. Le seconde attraverso forme di conciliazione ed eventualmente con l'arma dello sciopero, o con lodo arbitrale di un Collegio il cui presidente, in caso di disaccordo sar� designato dal Ministero del Lavoro o dai suoi organi. Il diritto di sciopero viene ristretto alle controver sie sollevate dalle Associazioni sindacali registrate, in materia di nuovi patti di lavoro e limitato per i pubblici servizi. Vengono disposte pene per i promotori di scioperi illegittimi e per i reati contro la libert� del lavoro, pene per la mancata applicazione dei contratti col lettivi e norme equiparate a carico del da~ore di lavoro. Viene prevista .la serrata e data delega al Governo per le norl:ne integrative e conferitogli il potere di rendere obbligatori per tutte le categorie, in via tran sitoria, gli attuali contratti collettivi. Per quanto attiene alla tutela giurisdizionale, il disegno di legge riServa, come abbiamo accennato, alla Corte di Appello la risoluzione delle controversie giuridiche collettive e la convalida delle denuncie anticipate dei contratti, e al Consiglio di Stato tutte le altre controversie. che attengono all'uso degli ampi poteri discrezionali lasciati nelle varie fasi alle Ammi nistrazioni. Si d� cos� vita a una nuova giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato o si v~ngono ad affie volire i diritti soggettivi delle Associazioni? � questo il problema giuridico pi� grave sollevato dal disegno di legge e sul quale richiamiamo l'attenzione. I N D I e E s I s T E M A �T I e o DELLE CONSULTAZIONI LA FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE CHE NE � STATA DATA ACQUE PUBBLICHE. -I) .Se l'Amministrazione possa sanare delle utilizzazioni abusive di acqua pubblica (n. 20). -II) Se una domanda con la quale, in base all'art. 17 del T.U. sulle acque, si chiede la sanatoria di utenze abusive, :firmata da uno solo degli utenti, il quale dichiara di agire nell'interesse di tutti, possa essere accolta, ai :fini del citato articolo, nei riguardi di tutti gli utenti (n. 20). AMMINISTRAZIONE PUBBLICA. -I) Quale sia la natura giuridica dei Consorzi anti-coccidici (n. 122). -Il) Quale sia la natura giuridica della Fondazione �Il Vittoriale degli Italiani � (n. 123}. APPALTO. -I) Se il termine di quattro mesi pre~ visto dall'art. 13 del Capitolato generale d'Appalto si intenda nel senso che entro il termine suddetto il decreto di approvazione del contratto debba essere anche registrato alla Corte dei Conti (n. 151). -Il) Se il termine di quat.tro mesi suddetto decorra dal giorno in cui si � tenuta la licitazione privata o dalla stipulazione formale del contratto (n. 151). . ASSICURAZIONI. -Se il decreto-legge 2 aprile 1946, n. 142, possa interpretarsi nel senso che annulli completamente l'obbligo dei lavoratori di contribuire agli oneri previdenziali (n. 33). AVVOCATI E PROCURATORI. ~Se la Fondazione �Il Vittoriale degli Italiani� possa godere del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato (n. 15). CASE ECONOMICHE E POPOLARI. -I) Se l'esercizio della facolt� di riscatto degli alloggi assegnati dall'INA. Casa possa essere sottoposto alla condizione limitativa della vendita dell'alloggio stesso per un certo numero di anni (n. 33). -Il) Se a favore di colui il quale riscatta anticipatamente l'alloggio assegnatogli possano essere calcolati gli interessi per l'anticipato pagamento (n. 33). COMPETENZA. -A quale giudice spetti la competenza a conoscere di una pretesa dell'Amministrazione verso un proprio impiegato, consegnatario di somme, appartenenti all'Amministrazione stessa, il quale assuma di essere stato costretto con la violenza a rilasciare un assegno sulla banca presso la quale le somme stesse areno depositate (n. 7). COMUNI E PROVINCIE. -Quali siano i limiti dell'intervento dello Stato nell'attuazione dei piani di ricostruzione in sostituzione di Comuni che non vi provvedano direttamente (n. 30). CONTABILITA' DELLO STA'l'O. -Se l'Amministrazione che non adempia al precett.o di inviare al titolare di un mandato l'avviso di pagamento sia tenuta al pagamento degli interessi sulla somma portata dal mandato per il periodo in cui questo � rimasto giacente in cassa (n. 84). ENTI E BENI ECCLESIASTICI. -Se il parroco di una parrocchia incorporata in un monastero abbia diritto al supplemento di congrua (n. 18). ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT�. I) Se per la costruzione di stabilimenti industriali nella zona aperta di Napoli sia possibile valersi dei benefici disposti dal decret.o-legge 14 dicembre 1947, n. 1598 e dall'art. 12 del decreto-legge 27 febbraio 1919, n. 219 (n. 68). -II) Se i benefici di cui sopra possano spet: tare per opere pubbliche diverse dalla costruzione di stabilimenti industriali (n. 68). -III) Come debba essere calcolato il valore del fondo e delle costruzioni effettuatevi, in caso di retrocessione del fondo stesso per sua mancata utilizzazione ai :fini dell'opera pubblica per cui fu espropriato (n. 69,. FERROVIE. -I) Se ed in quali limiti l'Amministrazione ferroviaria debba comunicare al Ministero del tesoro le riduzioni tariffarie concesse a singoli speditori (n. 138). -II) Se il principio stabilito dalla legge 25 giugno 1909, n. 672, in materia di comunicazione all'Autorit� giudiziaria di risultati di inchiesta amminii> trativa disposta dalle Ferrovie valga anche in materia diversa da quella dei sinistri ferroviari (n. 139). -III) Se la circolazione internazionale di un carro di propriet� delle FF.SS. noleggiato ad una ditta privata sia regolata dal R.I.P. (n. 140). -IV) Come debba essere valutato il materiale di propriet� d'un concessionario di ferrovie nel caso di decadenza dalla concessione (11�. 141). -VI) Se il termine di prescrizione delle azioni deri-vanti dal contratto di trasporto ferroviari di cose, quando trattisi di trasport.i ammessi a godere delle facilitazioni previste dal decreto ministeriale 16 giugno 1948, n. 1782 decorra dal giorno della riconsegna della spedizione ovvero da quello di scadenza dei dieci mesi :fissati -24 per la prestazione della prova che il materiale trasportato per ferrovia � stato installato nello stabilimento destinatario della ditta beneficiaria (n. 142). GUERRA. -I) Quale sia la natura giuridica della indennit� di perdita bagaglio (n. 113). -II) Quale sia il termine di prescrizione per richiedere l'indennit� di perdita bagaglio (n. 113). IMPIEGO PUBBLICO. -I) Da quando decorra il termine stabilito dall'art. 7 del decreto legislativo 7 febbraio 1948, n. 48 per il trasferimento per incompatibilit� (n. 281). -Il) Se il collocamento a riposo di un segretario provinciale possa trovare la sua disciplina nel regolamento del Monte Pensioni di Roma (n. 281). -III) Come si debba procedere per il recupero a carico di un ex dipendente dello Stato di assegni indebitamente corrisposti (n. 282). -IV) Se possa essere recuperata a carico di un avventizio dimessosi dall'impiego ai sensi dell'art. 11 del decreto legislativo 7 aprile 1948, n. 262 l'indennit� di licenziamento, quando lo stesso abbia ottenuto prima dei sei mesi dalle dimissioni un posto di ruolo presso le Ferrovie dello Stato (n. 283). -V) Se il ricupero della indennit� di licenziamento di cui al numero precedente possa essere effettuato mediante ritenuta ai sensi del regio decreto 19 gennaio 1939, n. 295, (n. 283). -VI) Quale influenza abbia una assoluzione per non aver cmmesso il fatto sulla posizione di impiegato licenziato per gli stessi fatti per i quali fu poi processato ed assolto quando quell'impiegato non abbia tempestivamente ricorso contro il provvedimento di licenziamento (n. 284). IMPOSTA DI REGISTRO. -Come debba essere considerata agli effetti dell'imposta di registro la vendita dell'intero pacchetto azionario di una societ� che abbia nel suo patrimonio beni immobili (n. 71). IMPOSTE E TASSE. -Se ed in quali limiti la Commissione centrale delle Imposte possa conoscere delle controversie in materia di valutazione di titoli azionari ai fini dell'imposta di negoziazione (n. 168). NAVI. -I) Se nei procedimenti penali di competernra dei Comandanti di porto possono trovare applicazione le norme di cui ai capi 1 e 2 del decreto legislativo. 9 aprile 1948, n. 486 (n. 48). -Il) S<:> l'art. 64 del Codice per la marina mercantile, sostituito dal Codice della navigazione; debba considerarsi ancora in vigore fino alla emanazione del regolamento per il Nuovo Codice per la navigazione (n. 49) . ... OPERE PUBBLICHE. -I) Quali siano � limiti dell'intervento dello Stato nell'attuazione deip iani di ricostruzione in sostituzione di Comuni che non vi provvedano direttamente (n. 18). -II) Se sia costituzionale una legge della Regione Siciliana che modifichi l'art. 29 della legge urbanistica (n. 19). PENSIONI. -Se sia applicabile l'art. 60 della legge 25 luglio 1941, n. 934, al caso di un impiegato allontanato dall'impiego con provvedimento disciplinare non impugnato, quando successivamente l'impiegato stesso sia stato processato per gli stessi fatti e assolto con formula piena (n. 49). POSTE. -Se possa accordarsi alla corrispondenza dell'Ufficio Stralcio delle ex organizzazioni sindacali fasciste l'esenzione dalle tasse postali prevista dall'articolo 48 del Codice postale (n. 26). PRIGIONIERI DI GUERRA. -Se dopo la morte di un prigioniero di guerra sia ancora applicabile l'articolo 41 del decreto-legge 19 maggio 1941, n. 583, anche nel caso di integrazione di assegni gi� corrisposti in base a quella norma (n. 14). PROPRIET� INDUSTRIALE. -Quali siano i rapporti tra l'art. 4 del decreto-legge 29 giugno 1929, numero 1127 e l'art. 62 del regio decreto 5 febbraio 1940, n. 24!1 (n. 2). REGIONI. -Se sia costituzionale una legge della Regione Siciliana che modifichi l'art. 29 della legge urbanistica (n. 20). REQUISIZIONI. -Quali siano le norme da applicarsi al caso di danneggiamento di mobili in un appartamento requisito (n. 93). SINDACATI. -Se possa accordarsi alla corrispondenza dell'Ufficio Stralcio delle ex organizzazioni sindacali fasciste l'esenzione dalle tasse postali previste dall'art. 48 del Codice postale (n. 13). SOCIET�. -I) Quali siano le conseguenze dell'aumento di capitale in una societ� anonima derivante dai fondi di rivalutazione monetaria sugli eventuali diritti dello Stato alla ripartizione degli utili (n. 36). -II) Se nel caso di scioglimento di societ� cooperativa ai sensi dell'art. 2544 del Codice civile si possa dichiarare l'insolvenza della Societ� in base all'art. 202 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (n. 37). TITOLI DI CREDITO. -Se i poteri del Ministro delle finanze previsti dal regio decreto 25 ottobre 1941, n. 1148, possano 'esercitarsi anche nel T.L.T. e da chi (n. 3). (8105698) Roma, 1952 � Istituto Poligrafico Stato -G. C.