-ANNO XXXVI -N. 6 NOVEMBRE -DICEMBRE 1984 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servtzio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1985 



ABBONAMENTI ANNO 1985 

ANNo. . . . . � . . . . . � . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 33.350 

UN NUMERO SEPARATO ������������������������, � 6.100 

Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 
ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 


Stampato in ltalia -Printed in Italy 
Jl.utorlzzazlonc" Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lu11lio 1966 


(6219206) Roma, 1984 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: 
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura delfavv. 
Franco Favara) . . . . . . pag. 837 

sezione seconda: 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura de//'avv. Oscar Fiumara) . . . li 900 

Sezlcme terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDI. 
ZIONE (a cura-degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio Cingolo) . . . li 939 

Sezione quarta: 
GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati 
Paolo Cosentino e Anna Cenerini) . . . . . li 949 

Sezione quinta: 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli 
avvocati Raffaele Tamiozzo e G. P. Polizzi} , 968 

Sezione sesta: 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura delfav


,

vocato Carlo Baflle) 
998 

Sezione settima: 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) 11 1028 

Sezione ottava: 
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati. 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . . � 1047 

Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 


QUESTIONI pag.. 141 � 
RASSEGNA DI DOTTRINA � 151 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE � 167 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 

Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CONTU, Cagliari; 
Francesco GuiccrARDr, Genova; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio 
Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco 
BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino; Maurizfo DE FRANcHrs, Trento; 
Paolo SCOTTI, Trieste.; Giancarlo MANDb, Venezia 



ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

CARAMAZZA I. F., L'accesso dei cittadini ai documenti della pubblica 
amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il, 141 

FIUMARA O., Il � giudice successivamente adito � nella convenzione 
di Bruxelles del Zl settembre 1968 sulla competenza giurisdi


zionale . . . . . . . . . . . . . I, 911 

FIUMARA O.,La clausola attributiva di competenza nelle polizze di 
carico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 917 

FIUMARA O., Reddito garantito alle persone anziane: parit� di trattamento 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 929 

PoLIZZI G. P., Brevi note sulla pretesa incostituzionalit� dell'art. 85 

t.u. d.P.R. 3/1957 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 974 
VITIORIA P., I ricorsi ammi11istrativi in materia di revisione dei prezzi: 
orientamenti giurisprudenziali e modifiche _legslative . I, 1031 


PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Revi� 
sione dei prezzi -Determinazione 
specifica della P.A. in corso d'opepera 
sui criteri di liquidazione 


� Onere di impugnazione, con nota 
di P. VITTORIA, 1029. 

-Appalto di opere pubbliche -Revisione 
dei prezzi -Prezzi correnti alla 
data dell'offerta -Individuazione Tabelle 
note -Pubblicazione successiva 
di tabelle relative a periodi 
comprensivi della data dell'offerta Irrilevanza, 
con nota di P. VITTORIA, 
1029. 

-Appalto di opere pubbliche -Revi� 
sione dei prezzi -Ricorso ex art. 4 
dJ.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. �1051 Decisione 
-Competenza delle Pro� 
vince di Trento e Bolzano -Esclusione 
-Generico trasferimento delle 
materie lavori pubblici di interesse 
provinciale ed edilizia sovvenzionata 
-Irrilevanza, con nota di 

P. 
VITTORIA, 1028. 
- 
Appalto di opere pubbliche -Revisione 
dei prezzi -Ricorso ex art. 4 

d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1051 Dichiarazione 
di voler attendere il 
parere della commissione -Adozio� 
ne e comunicazione del parere Inerzia 
dell'Amministrazione -Silenzio 
rigetto -Configurabilit� -Esclusione 
-Formazione del silenzio rifiuto 
-Necessit�, con nota di P. 
VITTORIA, 1028. 
- 
Appalto di opere pubbliche -Revisione 
dei prezzi -Ricorso ex art. 4 

d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1051 Dichiarazione 
di voler attendere il 
parere della commissione -Effetti Spostamento 
della decorrenza del 
termine di decisione del ricorso alla 
data di comunicazione, obbligatoria, 
del parere, con nota di P. VITIO� 
RIA, 1029. 
- 
Revisione prezzi -Competenza statale 
o regionale, 987. 

AVVOCATURA DELLO STATO 

-A.I.M.A. -Patrocinio -:S obbligato� 
rio, 953. 

BELLEZZE NATURALI 

-Tutela del paesaggio -Ordine di de� 
molizione -Esistenza di altre situa� 
zioni lesive -Disparit� di trattamento 
-Non sussiste -Non necessariet� 
di licenza edilizia -Irrilev�nza, 992. 

-Tutela del paesaggio -Prefabbricato 
mobile in legno -Idoneit� a turbare 
l'aspetto dei luoghi -Sussiste, 992. 

BOLZANO 

-Provincia di Bolzano -Censimento 
generale popolazione -Dichiarazione 
appartenenza a gruppo linguistico Impossibilit� 
dichiarazione alloglotta 
o misti-lingua -lllegittiinit�, 981. 

-Provincia di Bolzano -Censimento 
generale popolazione -Dichiarazione 
appartenenza a gruppo linguistico Legittimit�, 
980. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Convenzione di Bruxelles 27 settembre 
1968 sulla competenza giurisdizionale 
e l'esecuzione delle decisioni 
in materia civile e commerciale Clausola 
attributiva di competenza 
inserita in una polizza di carico Validit� 
nei rapporti fra il caricatore 
e il vettore -Validit� nei confronti 
del' terzo portatore, con nota 
di 0. FIUMARA, 917. 

�-Convenzione di Bruxelles 27 settembre 
1968 sulla competenza giurisdi� 
zionale e l'esecuzione delle decisioni 
in materia civile e commerciale Competenza 
giurisdizionale -Giudice 
successivamente adito -Liti� 
spendenza, con riota di O. FIUMARA, 

911. 

INDICB DELIA GIURISPRUDBNZA vn 

-Inadempimento di uno Stato membro 
-Procedimento di infrazione � 
Fase precontenziosa -Lettera di intimazione 
� Delimitazione della materia 
del contendere, 924. 

-Libera circolazione delle merci � 
Misure di effetto equivalente a restrizioni 
quantitative all'importazione 
-Gelatina animale in prodotti 
dolciari importati, 924. 

-Libera circolazione delle merci Misure 
di effetto equivalente. a restrizioni 
quantitative all'importazione 
-Imbottigliamento di vini -Forma 
della bottiglia (Bocksbeutel), 902. 

-Libera circolazione delle merci Misure 
di effetto �quivalente a restrizioni 
quantitative all'importazione 
-Imbottigliamento di vini -For� 
ma della bottiglia (Bocksbeutel) � 
Motivi di ordine pubblico o di tutela 
della propriet� industriale o com� 
merciale . Insussistenza, 902. 

-Libera circolazione delle persone Reddito 
garantito alle persone anziane 
-Parit� di trattamento, con 
nota di O. FIUMARA, 928. 

-Trasporti � Contingente comunitario 
� Autorizzazioni -Veicoli accoppiati, 
933. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Giudizio incidentale di legittimit� 
costituzionale -Applicazione di una 
disposizione di dubbia costituzionalit� 
-Qu~do si ha, 863. 

-Giudizio incidentale di legittimit� 
costituzionale -Eliminazione di disposizione 
emessa in eccesso della 
delega . Contrariet� al principio di 
eguaglianza delle disposizioni residue 
. Rilevabilit�, 876. 

CORTE DEI CONTI 

-Decentramento di funzioni giurisdi� 
zionali � Sezione staccata per la 
Sardegna � Illegittimit� costituzionale, 
859. 

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA 


-Principio di eguaglianza � Libert� 
di adesione ad associazioni e for� 

mazioni sociali -Comunit� israelitiche 
-Adesione ope legis -Illegittimit� 
costituzionale, 872. 

DIRITTO INTERNAZIONALE 

-Trattati internazionali -Accordo 
itaJo-francese di coproduzione cinematografica 
-Autorizzazione alla ra� 
tifica -Deve precedere questa Ordine 
di esecuzione � Procedimento 
legislativo � Approvazione in commissione 
� Non � consentita, 892. 

EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE 

-Alloggi di servizio -Diversit� dei presupposti 
e delle procedure per l'assegnazione 
-Criteri per la qualificazione 
giuridica, 949. 

EI,.EZIONI 

-Elettorato passivo -Tutela dello 
jus officium -Competenza esclusiva 
delle Camere -Verifica dei poteri 
-Insindacabilit� in sede giuri-� 
sdizionale, 946. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Indennit� -Determinazione in base 
alla legge 3'85/80 � Declaratoria di 
incostituzionalit� della predetta legge 
� Consegu~nze, 961. 

-Indennit� � Determinazione in base 
alla legge n. 385/80 -Declaratoria 
di incostituzionalit� della predetta 
legge � Conseguenze, 965. 

-Indennit� � Determinazione -Valutazione 
dei beni espropriati -Alla 
data dell'espropriazione, 961. 

-Pagamento dell'indennit� � Debito di 
valuta � Svalutazione monetaria Effetti, 
961. 

FONTI DEL DIRITTO 

-Legge -Procedimento legislativo Modificazioni 
di coordinamento Condizioni 
e limiti � Difformit� tra 
i testi approvati dall1:1 due camere Effetti, 
880. 


Vlll RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

GIURISDIZIONE CIVILE. 

-Appalto -Revisione prezzi -Riconoscimento 
spettanza -Contrasto 
sulla misura, 987. 


-Giurisdizione ordinaria e amminir 
strativa -Corte dei conti -Pensioni Diritto 
del coniuge divorziato a quota 
della pensione di riversibilit� 
spettante al coniuge superstite Giurisdizione 
dell'A.G.0. -Pensione a 
carico dello Stato -Deroga -Esclusione, 
939. 

-Pensione -Recupero emolumenti non 
dovuti � Corte dei conti, 986. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Appello � Legittimazione -Interesse 
acquisito durante giudizio di I gra-. 
do -Possibilit�, 997. 

-Appello � Notifica sentenza presso 
procuratore non domiciliatario, 968. 

-Appello � Notifica sentenza presso 
segreteria T.A.R., 968. 

-Appello proposto dal controinteressato 
-Costituzione Amministrazione 
soccombente � Non necessit� d'impugnativa, 
997. 

-Impugnazione -Contributo in conto 
interessi � Revoca per fatto dell'Istituto 
mutuante -Interesse all'impugnazione 
dell'Istituto, 996. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Destituzione di diritto -Condanna 
penale per delitto tentato -Equiparazione 
a condanna per delitto consumato 
� Questione legittimit� costituzionale, 
con nota di G. P. Pouzz1, 

972. 
-Equo indennizzo -Limite del danno 
alla integrit� fisica � Legittimit� costituzionale, 
853. 

-Insegnante -Risoluzione rapporto 
per condanna penale -Esclusione 
per beneficio condizionale -Condono 
della pena -Irrilevanza, con 
nota di G. P. Pouzzr, 973. 

-Silenzio rifiuto -Pretesa infondata 
riguardo scelta vincolata -Inconfigurabilit�, 
con nota di G. P. Pouzz1, 
973. 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI 

-Radiotelevisione -Emittenti locali 
private � Installazione ed esercizio 
di impianti senza previa autorizzazione 
amministrativa -Sanzione penale 
Legittimit� costituzionale, 

863. 
PREVIDENZA E ASSISTENZA 

-Avvocati e procuratori -Concorso 
di due sistemi previdenziali obbligatori 
� Legittimit� costituzionale, 

838. 
-Avvocati e procuratori -Corrispondenza 
tra contributi e prestazioni 
previdenziali -Non necessit�, 837. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

-Regolamento di giurisdizione -Sospensione 
dell'attivit� istruttoria del 
giudice � a quo � -Legittimit� costituzionale, 
891. 

REATO 

-Reati valutari -Art. 8 d.l. 4 marzo 
1976, n. 31, sostituito dall'art. 1 
legge 30 aprile 1976 n. 159 � Riferibilit� 
a tutte le ipotesi criminose 
previste nel d.l. citato, 1047. 

-Reati valutari -Art. 392, terzo comma, 
c.p.p. -Applicabilit�, 1047. 

-Reati valutari � Avocazione della 
istruzione sommaria da parte del 
Procuratore Generale presso la Corte 
d'Appello � Art. 4 d.l. 4 marzo 
1976 n. 31 � Applicabilit�, 1047. 

-Reati valutari -Condanna generica 
al risarcimento danni a favore del 
Ministero del Tesoro costituitosi 
parte civile -Necessit� di prova della 
effettiva sussistenza del danno e 
del nesso di causalit� tra questo e 
l'autore dell'illecito -Insussistenza Accertamento 
di fatto potenzialmente 
produttivo di conseguenze dannose 
-Sufficienza, 1057. 

-Reati valutari -Costituzione di parte 
civile del Ministero del Tesoro Danno 
risarcibile, 1047. 

-Reati valutari � Questione di illegittimit� 
costituzionale dell'art. 2 legge 
30 aprile 1976 n. 159, mod. dall'art. 3 



INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

legge 8 ottobre 1976 n. 689 per contrasto 
con l'art. 24 della Costituzione 
-Manifesta infondatezza, 1047. 

-Reati valutari -Questione di ilfegittimit� 
costituzionale dell'art. 2 legge 
30 aprile 1976 n. 159, mod. dall'art. 3 
legge 8 ottobre 1976 n. 689 per contrasto 
con art. 25 secondo comma 
Costituzione -Manifesta infondat~
zza, 1047. 

-Reati valutari -Questione di illegittimit� 
costituzionale degli artt. 1 e 
2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e dell'art. 
27 codice penale per contr�sto 
con gli artt. 3 e 27 Cost. -Manifesta 
infondatezza, 1047. 

-Reati valutari -Questione di illegittimit� 
costituzionale degli artt. 105 
e 107 c.p.p. per contrasto con l'arti. 
colo 24, secondo comma, Costituzione 
Manifesta infondatezza, 
1047. 

-Reati valutari -Societ� per Azioni Fatti-
reato addebitati a suoi amministratori 
-Citazione ad opera del 
Ministero del Tesoro, parte civile, 
della societ� quale responsabile civile 
-Legittimit�, 1047. 

REGIONI 

-Regioni a statuto speciale -Disposizioni 
di attuazione dello Statuto Potest� 
normativa permanente, 859. 

RESPONSABILIT� CIVILE 

-Occupazione illegittima -Responsa. 
bilit� del concessionario -Occupazioni 
illegittime poste in essere dalla 
S.A.R.A. -Decadenza dalla concessione 
-Responsabilit� dell'ANASSussiste, 
953. 

TRENTINO ALTO-ADIGE 

-Istruzione secondaria -Istituzione 
di nuove scuole -Attribuzione della 
Provincia, 879. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
-Plusvalenza -Liquidazione di 
quota sociale comprensiva di avviamento 
-Dimostrazione di intento di 
speculazione -Necessit�, 1025. 

-Imposta sul reddito delle persone 
fisiche -Tassazione separata -Natura 
-Addizionale straordinaria per 
l'anno 1974 -Non si applica ai redditi 
soggetti a tassazione separata, 
1005. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro -Atti soggetti 
all'imposta sul valore aggiunto Beni 
relativi alla impresa -Determinazione, 
999. 

-Imposta di registro -Concordato 
fallimentare -Assunzione di debiti Imposta 
proporzionale, 1002. 

-Prescrizioni -Interessi -Decorrenza 
-Credito non ancora definitivo Non 
ha inizio, 998. 

-Riscossione -Pagamento nelle mani 
dell'ufficiale giudiziario -Efficacia, 
1013. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Accertamento -Contenzioso tributario 
-Rapporti -Difetto di motivazione 
-Conseguenze -Nullit� e illegittimit� 
-Motivazione insufficiente 
ma non totalmente mancante -Rinvio 
per nuova valutazfone estimativa, 
con nota di C. BAFILE, 1015. 

-Contenzioso tributario -Giudizio di 
terzo grado -Imposta di registro Indagine 
sulla natura e gli effetti 
dell'atto -Apprezzamento del fatto 
ai fini della simulazione di atto a 
titolo gratuito -Deducibilit�, 1009. 

-Contenzioso tributario -Giudizio 
innanzi alle commissioni -Natura 
ed oggetto, con nota di C. BAFILE, 
1014. 

-Contenzioso tributario -Necessit� 
di rinnovare il giudizio di valutazione 
-Giudice di rinvio -~ sempre 
la commissione di secondo grado, 
con nota di C. BAFILE, 1015. 

--Termini di decadenza e di prescrizione 
-Proroga -Legittimit� costituzionale, 
868. 

URBANISTICA 

-Ingegneri e architetti -Maggiorazione 
del compenso per incarico 
parziale -Legittimit� costituzionale, 
855. 


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INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

4 maggio 1984, n. 132 

4 maggio 1984, n. 133 "/ 

11 luglio 1984, n. 191 
11 luglio 1984, n. 192 
18 luglio 1984, n. 212 
30 luglio 1984, n. 237 
30 luglio 1984, n. 238 

30 luglio 1984, n. 239 
3 dicembre 1984, n. 255 (in cam. cons.) 
12 dicembre 1984, n. 279 
19 dicembre 1984, n. 292 
19 dicembre 1984, n. 293 
19 dicembre 1984, n. 295 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

13 marzo 1984, nella causa 16/83 . . . . . . . . . . . . . 
7 giugno 1984, nella causa 129/83 
19 giugno 1984, nella causa 71/83 
11 luglio 1984, nella causa 51/83 
1� sez., 12 luglio 1984, nella causa 261/83 
13 dicembre 1984, nella causa 113i83 .. 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 26 giugno 1984, n. 3717 . . . . . . . . . . 
Sez. I, 5 luglio 1984, n. 3942 . 
Sez. I, 10 luglio 1984, n. 4044 
Sez. I, 10 luglio 1984, n. 4052 
Sez. I, 12 luglio 1984, n. 4097 
Sez. I, 12 luglio 1984, n. 4099 
Sez. I, 30 luglio 1984, n. 4541 
Sez. I, 30 luglio 1984, n. 4542 
Sez. Un., 4 ottobre 1984, n. 4912 
Sez. I, 4 ottobre 1984, n. 4915 . 
Sez. I, 8 ottobre 1984, n. 5017 . . 
Sez. I, 30 ottobre 1984, n. 5544 . 
Sez. I, 12 dicembre 1984, n. �6533 
Sez. Un., 14 dicembre 1984, n. 6568 
Sez. I, 18 dicembre 1984, n. 6631 . 

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837 
838 
853 
855 
859 
863 
868 
872 
876 
879 
880 
891 
892 

902 
911 
917 
924 
928 
933 

998 
999 
1002 
1005 
1009 
1013 
1014 
1025 
939 
949 
953 
953 
961 
946 
965 



INDICE CRONOLOGICO DEU.A GIURISPRUDENZA Xl 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen.~ 19 giugno 1984, n. 13 ..... pag. 968 
Ad. Plen., ordinanza i29 giugno 1984, n. 15 � 972 
Ad. Plen., 7 settembre 1984, n. 18 . . . � 1028 
Sez. IV, 7 giugno 1984, n. 439 . . . . . . � 980 
Sez. IV, ordinanza 21 giugno 1984, n. 480 � 986 
Sez. IV, ordinanza 27 giugno 1984, n. 504 � 987 
Sez. V, 12 giugno 1984, n. 455 � 997 
Sez. V, 23 giugno 1984, n. 483 � 997 
Sez. V, 23 luglio 1984, n. 565 . � 992 
Sez. VI, 20 giugno 1984, n. 389 � 996 
Sez. VI, 14 luglio 1~84, n. 441 � 973 

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER IL LAZIO 
Sez. III, 16 febbraio 1984, n. 91 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1028 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
Sez. III, 5 novembre 1984, n. 1445 . . .............. pag. 1047 


PARTE SECONDA 
Questioni pag. 141 
Rassegna di dottrina pag. 151 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
Leggi e decreti . . . . pag. 167 
I � Norme dichiarate incostituzionali pag. 168 
II � Questioni dichiarate non fondate � 170 
III � Questioni proposte � 172 

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PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 4 maggio 1984 n. 132 -Pres. Elia -Rel. Covasaniti 
�Setti (avv. Setti), Abaiz ed altri (avv. Sbaiz), Torricelli e altro (avv. 
Bari.le), Cassa previdenza avvocati e procuratori (avv. Pace e Berlini) 
e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). 

Previdenza e assistenza � Avvocati e procuratori � Corrispondenza tra 
contributi e prestazioni previdenziali � Nori necessit�. 
(Cost., artt. 3, 4, 18, 31, 33, 35, 38; legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, 10 e 22). 

La non corrispondenza tra contributi e prestazioni previdenziali (e 
tra contributi e rischi) pu� essere giustificata dall'�dozione di un sistema 
di previdenza di tipo �solidaristico�; secondo un siffatto sistema il 
prelievo contributivo � eff~ttuato sulla base della � capacit� contributiva 
� mentre le .prestazioni sono proporzionate allo � stato di bisogno �. 
Non contrastano con la Costituzione (e segnatamente con gli artt. 3 e 38 
Cost.) le disposizioni che impongono contributi (o pi� elevati contributi) 
non puntualmente correlati a prestazioni (o maggiori prestazioni) previdenziali, 
o che riducono queste ultime in presenza� di situazioni indicative 
di capacit� contributiva o di minor bisogno. I doveri di solida


riet� cui si richiama l'art. 2 Cost. possono essere resi operanti anche 
all'interno di categorie circoscritte (nella specie, della categoria degli 
avvocati e procuratori) (1). 

(1-2) La sentenza n. 132 in rassegna, e in minor misura, la sentenza n. 133 
fanno leva sui � doveri inderogabili di solidariet�" previsti dall'art. 2 Cost.; 
doveri peraltro ravvisati non soltanto a livello di collettivit� nazionale e/o 
locale-territoriale ma anche nel pi� (e diversamente circoscritto) ambito delle 
� categorie" professionali o produttive raffigurate come � collettivit� minori �. 

Questa applicazione ulteriore del principio solidaristico .-forse resa pi� 
agevole da ricorrenti dati lessicali -solleva per� problemi delicati, oltre che 
di cospicuo rilievo politico: v'� infatti da individuare un discrimine fra prelievo 
tributario e prelievo contributivo a titolo di solidariet�, se si vuole evitare che 
il secondo (il prelievo contributivo) tenga luogo del primo, si traduca cio� in 
non esplicita -e per ci� stesso meno razionale -sovraimposizione tributaria. 



838 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 4 maggio 1984, n. 133 -Pres. Elia -Rel. Corasaniti 
-De Luca Tamajo ed altri .(avv. Spagnuolo Vigorita), Scognamiglio 
ed altri (avv. Satta), Cassa previdenza avvocati e procuratori (avv. 
Pace e Berlisi) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato De 
Francisci). 

Previdenza e assistenza � Avvocati e procuratori � Concorso di due sistemi 
previdenziali obbligatori � Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 2, 3, 38 e 53; legge 20 settembre� 1980, n. 576, art. 22; legge 5 luglio 1975, 

n. 798, art. 6). 
.Occorre distinguere tra l'ipotesi di due concorrenti sistemi previdenziali 
entrambi riferiti alla medesima attivit� lavorativa considerata 
tractu temporis e l'ipotesi di due concorrenti� sistemi previdenziali ciascuno 
riferito ad una distinta attivit� lavorativa: nella seconda ipotesi non 
v'� duplicazione (o eccesso) di tutela previdenziale,� non contrastano con la 
Costituzione (e segnatamente con gli artt. 2, 3, 38 e 53 Cost.) le disposizioni 
che sottopongono al sistema della previdenza forense anche le persone 
(nella specie, docenti universitari) gi� sottoposte ad altro sistema previdenziale 
(2). 

-I


(omissis) Il sistema della previdenza forense risultante dalla legge 

n. 576 del 1980 viene censurato anzitutto mettendosi a raffronto la massima 
estensione soggettiva degli obblighi previdenziali e la limitatezza 
dei benefici previdenziali per alcuni soggetti. 
Si premette che, per effetto dell'art. 22, comma primo della legge e 
delle connesse norme sulla contribuzione, gli obblighi previdenziali gravano 
in modo incondizionato su tutti gli esercenti con continuit� la professione 
forense. 

Si premette altresi che gli attt. 4 e 5 dela legge escludono rispettivamente 
il diritto alla pensione di inabilit� e il diritto alla pensione di invalidit� 
per gli iscritti alla Cassa da data successiva al compimento del 
quarantesimo anno di et�, e che gli artt. 2 e 3 della legge subordinano 
rispettivamente il diritto alla pensione di vecchiada e il diritto alla pensione 
di anzianit� a condizioni (compimento di un periodo di iscrizione e 

Una concezione �alveolare� (ossia per piccoli comparti o segmenti della 
societ�) dei doveri cli solidariet�, se non coordinata con U �sistema � tribu� 
tarlo, pu� pervenire alla introduzione di cripto-addizionali, prelievi per certi 
versi avvicinabm alla censurata ILOR sul lavoro professionale, e che, per di pi�, 
possono influenzare negativaII'ente la effettivit� (oltre che U disegno comples


~J

sivo) del predetto � sistema�. i: 

II 
!: 

.....,.......~ 



PARTE I, SBZ.' I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

di assicurazione cli almeno trenta anni per la pensione di vecchiaia, e di 

almeno trentacinque anni per la pensione di anzianit�) non realizzabili o 

difficilmente realizzabili da parte di coloro che siano stati iscritti (even


tualmente senza loro colpa o addirittura loro malgrado) in et� avanzata. 

Si sospetta quindi che l'art. 22, comma primo della legge � e le� altre 

norme a esso collegate� siano in contrastp: 

a) con l'art. 3 Cost. in quanto introducono in pari tempo una ingiu


stificata perequazione (negli obblighi di iscri2lione e di contribu2lione) fra 

professionisti di et� diversa e un'altrettanto ingiustificata sperequa2lione 

(nel conseguimento delle prestazioni previdenziali) in danno dei profes


sionisti di et� pi� avanzata; 

b) con l'art. 4 Cost., in quanto determinano un onere ulteriore a 

carico del lavoro dei professionisti anziani e cosi un ostacolo al libero 

svolgimento di esso; 

e) con gli artt. 18 e 38 Cost., lin quanto determinano una compressione 
della libert� associativa non giustificata dal perseguimento di finalit� 
previdenziali, e anzi l'elusione delle dette finalit�, le quali, al pari d1 
quelle della mutualit� ad esse strumentali, non ammettono che una parte 
dei mutuati, pur esposti ai rischi e soggetti ad contributi, siano esclusi, 
gi� in partenza, dalle relative prestazioni previdenziali. 

Il sistema previdenziale in discorso viene poi contestato in altro suo 

momento strutturale, mettendosi a raffronto il criterio -dettato dal


l'art. 10, comma primo, della legge n. 576 del 1980 -di riparto dell'impo


sizione contributiva fondamentale (cio� del contributo soggettivo dovuto, 

per effetto del combinato disposto del richiamato art. 10, comma primo e 

dell'art. 22, comma primo della legge, da ogni iscritto o tenuto a iscriversi 

alla Cassa di previdenza, e quindi da ogni esercente con continuit� la pro


fessione forense), e il� criterio -stabiLito dall'art. 2, commi secondo e 

quinto, della legge -�di calcolo della pensione (di vecchiaia, ma esteso 

dalle successive disposizioni agli altri tipi di pensiione). 

Si premette che, secondo l'art. 10, comma. primo della legge, il con


tributo soggettivo � calcolato in una percentuale del reddito professio


nale, e cio�, (con gradualit� decrescente) nella Inisura del dieci per cento 

per la fascia di reddito fino a quaranta milioni, e nella misura del tre per 
� cento per il reddito eccedente. _.. 

Si premette altres� che, secondo 1l'art. 2, commi secondo e quinto della 

legge, la media dei redditi cui va commisurata la penSlione (art. 2, comma 

primo�della legge) va calcolata soltanto sui redditi rientranti nella pri� 

ma fascia. 

Si prospetta quindi la tesi che la cennata disciplina sia in contrasto 

con l'art. 3 Cost., in quanto introduce una sperequazione in danno dei pro


duttori di redditi professionali superiori ai 40 milioni: produttori co



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

840 

stretti a versare, per la fascia eccedente, contributi senza un corrispondente 
aumento deHa pensione (vale a dire senza oausa o a fondo perduto), 
o, se si vuole, esposti a percepire una pensione non proporzionata (cio� 
sproporzionata per difetto) ai contributi versati. 

Altre contestazioni vengono mosse per quanto concerne i'l trattamento 
previdenziale di coloro che, avendo conseguito nella previdenza forense 
!a pensione di vecchiaia, continuino a esercitare la professione legale. Si 
!ipotizza: (omissis) 

b) che l'obbligo della contribuzione fatto ad essi dall'art. 10, comma 
terzo della legge, messo in relazione con l'ulteriore trattamento pensionistico 
per essi preV'isto.dall'art. 2, comma ottavo della legge -consistente 
in un supplemento di pensione liquidabile una sola volta, e per di pi� 
subordinato al compimento di un quinquennio di iscrizione e di contribuzione, 
e ridotto nella misura (perch� calcolato sulla met� de1le percentuali 
delle medie dei redditi assunte a base del calcolo della pensione) -dia 
luogo a contrasto con l'art. 3, comma primo o comma secondo, nonch� 
con l'art. 38 Cost.; ai�, per un verso, a causa dell'irrazionalit� dell'imposi-. 
zione contributiva e comunque dell'onerosit� della contribuzione, avente 
incidenza negativa sulla pensione in godimento (per s� gi� inadeguata alle 
esigenze di vita dei pensionati) e, per altro verso, a causa dell'aleatoriet� 
e restrittivit� (quanto a!lle condizioni di acquisto) e della limitatezza 
(quanto alla misura) del trattamento pensionistico ulteriore: fattori en� 
trambi di scorrelazione fra contributi e prestazioni pensionistiche; 

e) che la riduzione a due terzi della pensione di vecchiaia in godi� 
mento prevista per essi dall'art. 2, comma sesto della legge, �oltre ai pro� 
fili di illegittimit� per contrasto con l'art. 3 Cost. come sopra denunciati a 
carico dell'art. 10, comma terzo della legge, ne presenti uno particolare 

o pi� accentuato; ci� ii.n quanto introdurrebbe fra pensionati una distin� 
zione sulla base di un elemento (la continuazione del:l'esercizio professionale) 
non compreso fra quelli costitutivi del diritto a pensione (l'anzianit� 
contributiva e l'et� pensionab!ile), concorrendo i quali il diritto stesso 
deve ritenersi acquisito intangibilmente, anzi sulla base di un elemento 
meramente formale, qual � l'inscrizione all'Albo. 
Per la soluzione delle questioni poste � necessario darsi carico della 
tipologia dei sistemi previdenziali e della collocazione in essa della previdenza 
forense. 

Come � noto, l'organizzazione giuridica della preV'idenza sociale presenta, 
sia con riguardo a categorie diverse, sia con riguardo a:lla stessa 
categoria in tempi diversi, una sensibile variet� di sistemi. Ci� implica 
qualche ostacolo all'individuazione dei tipi tanto in relazione alLa irripetibile 
individualit� di ogni sistema (sentenza Corte cost. n. 91 del 1972 e 

n. 62 del 1977), quanto in relazione alla gradualit� con la quale, in questa 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

materia, gli stessi tipi sono realizzati mediante soluzioni intermedie (sentenze 
Corte cost. n. 65 del 1979 e n. 128 del 1973). 

Con riferimento all'esperienza italiana � tuttavtla possibile enucleare 
due tipi, ai quali i singoli sistemi possono ricondursi: quello, prevalso 
soprattutto in passato, definibile come � mutualistico� e quello, che tende 
a prevalere nel presente momento storico, definibile come � solidaristico"
� 

Il primo tipo � caratterizzato, per un verso, dalla riferibilit� dell'assunzione 
dei f.ini e degli oneri previdenziali ad.l'esigenza della divisione del 
rischio fra gli esposti e quindi dalla corrispondenza fra rischio e contribuzione, 
e, per a:ltro verso, da una rigorosa proporzionalit� fra contributi 
e prestazioni previdenzdali. � ravvisabile nei sistemi di tale prim�> tipo, 
particolarmente in riferimento alla cennata proporzionalit�, l'influenza 
del modello deH'assicurazione privata e del relativo nesso sinallagmatico 
fra premi e indennit� o rendite. 

Il tipo di previdenza solidaristico � invece caratterizzato, per un 
verso, da:lla riferibilit� dell'assunzione dei fini e degli oneri previdenziali, 
anzich� alla divisione del rischio fra gli espostli, a princ�pi di solidariet�, 
operanti all'interno di una categoria, con conseguente non corrispondenza 
fra rischio e contribuzione (cfr. S$!nt. n. 91 del 1976 in materia di assicurazione 
della materruit� a proposito -delle favoratrici sterili) e, per altro 
verso, dalla irrilevanza della proporzionalit� fra contributi e prestazioni 
previdenziali. Qui i contributi vengono in considerazione, in ragione del 
prelievo fra tutti gli appartenenti alla categoria secondo la loro capacit� 
contributiva, unicamente quale strumento finanziario della previdenza, 
mentre le prestazioni sono proporzionate soltanto allo stato di bisogno 
(sia esso considerato eguale o no per tutti i soggetti). � ravvisabile in tale 
secondo tipo l'influenza del modello della sicurezza sociale, per eccellenza 
informato a princ�pi di solidariet� operanti direttamente nei confronti 
dei membri della collettivit� generale, ma sempre secondo il criterio della 
capacit� contributiva. � 

Ora, sebbene la gradual!it� .ella realizzazione di un tipo, importi qualche 
parallela difficolt� anche nella qualificazione tipologica del singolo 
sistema considerato, tuttavia la qualificazione � consentita alla stregua 
dei caratteri prevalenti del sistema. 

E, per quanto concerne il sistema prevtldenziale forense, essa � stata 
operata da:lla sentenza di questa Corte n. 62 del 1977, la quale, anche se in 
riferimento alla disciplina recata dalla previgente legge 22 luglio 1975, 

n. 319, ha ricondotto il sistema in argomento al tipo solidaristico e ne ha 
affermato 
in tal modo la rispondenza agli artt. 2 e 38 Cost. 
In particolare � stato rilevato, con la detta sentenza di questa Corte 

n. 62 del 1977, che il sistema ha abbandonato la tecnica (propria del tipo 
�mutualistico�) dell'accreditamento dei contributi in conti individuali 
per far luogo a una gestione collettiva dei contributi stessi, ed ha abban~ 

842 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

donato altres� il connesso criterio della proporzionalit� delle pensioni ai l 
contributi per far luogo a un trattamento pensionistico di categoria che 

I

rientra, quanto ai mezzi e ai filni, � nel quadro generale dell'adempimento 
dei doveri di solidariet� cui si richiama l'art. 2 Cost. �. 
E ne � stata tratta la conclusione che �la.Cassa nazionale di previden� 

I za e assistenza degli Avvocati e Procuratori risponde a questi fini gene� 
rali nell'ambito dehla categoria, sicch� per essa resta superato il concetto 
stesso di semplice mutualit� per espandersi, apptinto, in quello di previ� 
denza � (vale a dire: di solidariet� nella previdenza). Conclu&ione che trova 
riscontro l� dove la stessa sentenza, richiamandosi alle precedenti sen� 
tenze n. 91 del 1972 e n. 23 del 1968, definisce come �tributaria� la natura 
della contribuzione previdenziale (almeno con riguardo al contributo � personale
� -ora �soggettivo� -.che ne costituisce l'elemento qualificante). 

La qualificazione e la valutazione positiva del sistema allom operate 
vanno tenute ferm~. nonostante che spesso i concetti di mutualit� e di 
solidariet� siano promiscuamente ad.operati. 

Non importa indugiare sull'ipotesi che l'uso sia dovuto a vischiosit� 
concettuale ovvero ad apparente o a reale sopravvivenza di elementi mutualistici 
in sistemi previdenziali di tipo solidaristico, sopravvivenza che, 
anche se reale, sarebbe comunque priva di significanza in presenza della 
qualificazione tipologica del sistema cosi operata sulla base dei suoi oarat� 
teri prevalenti. 

Importa piuttosto negare risolutamente che la previdenza forense, e 
cos� del resto le altre previdenze concernenti professioni intellettuali, pos� 
sano qualificarsi di tipo mutualistico per essere organizzate sulla base 
del riferimento a date categorie professionali e alle rispettive attivit� 
tipiche, e secondo un criterio di accentuata autonomia strutturale e finan� 
ziaria sia reciprooa che rispetto all'assicura~ione generale obbligatoria e 
alle previdenze dell'impiego pubblico. 

Invero si tratta di scelte che sono compatibili con l'idea cli solidariet�, 
e che anzi ne rappresentano una specificazione, giustificata dal pluralismo 
che informa il nostro ordinamento: pluralismo che ammette solidariet� 
operanti nell'ambito di collettivit� minori. 

La qualificazione e la valuta2lione, allora formulate per il sistema 
quale risulta dalla legge n. 319 del 1975, non hanno ragione di mutare per 
il sistema quale risuta dalla vigente legge n. 576 del 1980, non essendo 
motivo idoneo a far ritenere che con quest'ultima legge il sistema sia 
stato rimodellato, almeno in parte, sul tipo mutualistico o addirittura 
sullo schema proprio dell'assicurazione privata. 

Non � decisiva, infatti, la restituzione dei contributi disposta, pera:l� 
tro con i soli interess�i legali, a favore degli iscritti che non abbiano 
maturato il diritto a pensione (art. 21, leg.ge n. 576 del 1980), perch� essa 
non implica necessariamente la corrispettivit� fra contributi e pensioni, 



PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

843 

ma soltanto una partlicolare configurazione dei doveri di solidariet� posti 
comunque a carico di tutti gli iscritti. 

N� � decisiva la sostituzione, a una pensione eguale per tutti nell'ammontare, 
di una pensione � retributiva �, cio� commisurata a una 
certa media dell'ammontare degli ultimi redditi professionali, giacch� 
con tale criterio (accolto del resto anche nell'assicurazione generale obbligatoria), 
la pensione non � stata resa proporzionale o addirittura corrispettj.
va ai contributi, ma � stata adeguata allo stato di bisogno, a sua 
volta non pi� considerato astrattamente � eguale �, ma qualificato in concreto 
dal reddito professionale venuto meno, e, �per questa via, dal lavoro 
svolto. 

Mentre � addirittur~ irrilevante fa sostituzione, per quanto concerne 
il prelievo e la destinazione dei contributi, al criterio della � capitalizzazione
�, (secondo il quale la contribuzione � prelevata oggi in vista della 
erogazione delle pensioni, e quindi dei bisogni, di domani), del criterio 
della � ripartizione � (secondo il quale la contribuzione � prelevata oggi 
per sopperire all'erogazione delle pensioni, e quindi ai bisogni, di oggi). 
Ch� anzi il nuovo criterio � del tutto difforme dallo schema della corrispettivit� 
e del tutto conforme al principio dii solidariet�, �in quanto eli� 
mina ogni collegamento fra contributi versati e pensioni percepite dagli 
stessi soggetti, anche se considerati collettivamente (come dalla legge 

n. 319 del 1975). 
Dopo quanto fino,ad ora osservato circa la qualificazione tipologica 
del sistema e circa la rispondenza del tipo cui esso appartiene ai princ�pi _ 
espressi negli artt. 2 e 38 Cost., appare chiaro che � vano tanto addebitare 
al sistema stesso di non adeguarsi ad altri tipi e ai rispettivi modi di 
essere, quanto rappresentare come operazioni normative discriminatorie 
e/o arbitrarie quelli che sono momenti struttur�li o modalit� applicative 
di esso riferibili a modi di essere del tipo di apparteneip;a. Critiche del 
genere (non meno di quelle di inadeguatezza del sistema a perseguire i 
fini della previdenza, che vengano mosse senza darsi carico della inevita� 
bile gradualit� con la quale tali fini vengono realizzati e della correlativa 
modulazione del trattamento: cfr. sent. di questa Corte n. 65 del 1979) 
corrono il rischio di arenarsi sulle secche della insindacabilit� delle scelte 
di politica sociale operate dal legislatore. 

Ci� naturalmente non importa ritenere che � precluso a questa Corte 
il sindacato di ragionevolezza sull'esercizio della discrezionalit� che alle 
dette scelte presiede. Importa soltanto ritenere che � pi� conducente 
orientare il sindacato stesso alla verifica della coerenza interna del sistema, 
cio� della congruenza fra i singoli. strumenti giuridici adottati e i fim 
specificamente perseguiti, (per fini intendendosi la misura qualitativa e 
quantitativa degli obiettivi di fondo della previdenza che il legislatore si � 
determinato a realizzare), nonch� della conformit� dei detti strumenti 
ai principi e ai criteri cardine assunti. Principi e criteri cardine i quali, 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

nel caso del tlipo solidaristico, sono costituiti, per quanto concerne l'attribuzione 
e distribuzione degli oneri previdenziali, dall'adeguamento alla 
capacit� contributiva e, per quanto concerne l'attribuzione e la distribuzione 
dei benefici previdenziali, dall'adeguamento allo stato di bisogno. 

Se cos� �, perdono consistenza tutte le censure sopra riportate, relative 
a:lla violazione del principio di eguaglianza sotto i profili dell'irragionevolezza 
e deHa disparit� di trattamento. Infatti esse poggiano sul presupposto 
che ogni corretto sistema presenti il requisito della (pari) proporzionalit�, 
per ogni soggetto o classe di soggetti appartenente alla categoria 
protetta, fra costi e benefici della tutela, vale a dire fra oneri contributiW. 
e trattamento pensionistico. E solo in relazione a tale presupposto 
sono dirette a rappresentare la mancanza del requisito stesso come vizio 

--.

di legittimit� del sistema previdenziale forense (quale risulta dalla legge 

n. 576 del 1980) per violazione del principio di eguaglianza. Una volta 
stabilito che il requisito � soltanto un mo.do cli essere proprio del tipo 
mutualistico e che, viceversa, l'abbandono di esso � un modo cli essere 
proprio del tipo solidaristico (cui il sistema in argomento si adegua), Je 
~ensure stesse mostrano tutta la loro fragilit�. (omissis). 
Valgono per tali censure, e vanno pertanto ribadite e anzi riformulate 
in termini pi� generali, le conclusioni raggiunte dalla sentenza di questa 
Corte n. 62 del 1977, secondo le quali �l'assunto di irrazionalit� ai sensi 
dell'art. 3 Cost. del sistema vigente� (della previdenza forense, risultante 
dalla legge n. 319 del 1975 e, ora, dalla legge n. 576 del 1980) �per mancata 
proporzionale corrispondenza tra oneri personali contributivi e misura 
della pensione, non � accoglibiile �, 

In positivo � peraltro giustificato1 nell'ottica solidaristica: 

(I.) porre rla contribuzione (annua) a carico . di tutti gli esercenti con 
continuit� la professione� e proporzionarla nella misura al reddito professionale 
(annuo), correlandola cos� a:lla capacit� contributiva generica (desunta 
dall'esercizio professiionale) e specifica (desunta dal reddito dichiarato 
ai fini dell'IRPEF), e non gi� ai benefici previdenziali conseguibili in 
futuro da ciascun eserc~nte o gruppo di esercenti; e correlare invece tali 
benefiici, nelle condiziom di acquisto, agli specifici fini previdenziali insidacabilmente 
assunti dal legislatore sulla base della valutazione dei presupposti 
e del:le disponibilit� finanziarie, e, nella misura, allo stato di 
bisogno; 

b) applicare analoghi criteri, per quanto concerne l'imposizione contributiva, 
ai pensionati che continuino a esercitare la professione rimanendo 
iscritti all'albo. Non � irrazionale ravvisare anche per essi nell'esercizio 
professionale un segno della capacit� contributiva, n� presumere l'effettivo 
esercizio sulla base dell'iscrizione all'albo. N� si vede perch� la solidariet� 
contributiva dei pensionati stessi dovrebbe essere � gi� assolta in 
parte >>, mediante il versamento del contributo integrativo di cui all'art. 11 


845

PARm I, SEZ: I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

della legge n. 576 del 1980 (a prescindere'dal fatto che, essendo ripetibile, 
tale contributo finisce per gravare su soggetti estranei alla categoria 
professionale e quindi non astretti dalla relativa solidariet�, non � esatto 
che soltanto esso, e non anche quello soggettivo, sia disancorato dalla 
corrispettivit� con la pensione); 

e) ridurre la misura della pensione in godimento nei confronti dei 
pensionati predetti, assumendosi la continuazione dell'esercizio professionale 
non soltanto come segno di capacit� contributiva, ma anche come 
sintomo di attenuazione dello stato di bisogno. Un criterio del genere, peraltro, 
ricorre anche nell'assicura2lione generale obbligatoria (cfr. sentenza 
cli questa Corte n. 155 del 1969). (omissis) 

-II


(omissis) La norma, contenuta nell'art. 22, comma primo, della legge 
20 settembre 1980, n. 576, definisce l'opera1livit� del sistema della previdenza 
forense assoggettando agli obblighi di iscrizione a:lla Cassa nazionale 
degli Avvocati e Procuratori e di versamento dei relativi contributi 
tutti gli esercenti con continuit� la professione forense. Ed essa � sospettata 
di illegittimit� sotto vari profili, ~n quanto comprende nella propria 
previsione (o almeno non esclude da essa) quegli esercenti i quali siano 
contemporaneamehte inseri1li in un altro sistema previdenziiale obbligatorio, 
e in particolare, i docenti nelle universit� o negli istituti di istruzione 
media, soggetti al sistema previdenziale istituito per i dipendenti 
dallo Stato. 

� stato ~zitutto sostenuto che la norma impugnata, nonostante l'assoluta 
latitudine della sua formulazione quanto all'obbligo di is<:rizione, � 

_sus�ettiva di interpretazione, asseritamente conforme alla Costituzione, 
nel senso di non riferirsi ai professionisti suindicati., Ci� evidentemente 
al fine di sollecitare una sentenza iinterpretativa di rigetto. � 

Una siffatta pronuncia richiederebbe, peraltro, secondo l'orientamento 
di questa Corte, che l'interpretazione asseritamente conforme a Costituzione 
fosse universalmente accolta o almeno prevalente nella giurisprudenza 
dei giudici chiamati ad applicarla e, soprattutto, della Corte di 
cassazione (diritto vivente). 

Ma tale ipotesi qui non si verifica, perch� la giurisprudenza di merito 
non � concorde, mentre la Corte di cassazione sembra orientata nel 
senso cli ritenere che la norma comprenda nel:la propria previsione anche 
i professionisti suindicati (sentenze Corte di cassazione n. 4091 del 1981 
e-n. 299 del 1968). Sicch� non vi � ragione di discostarsi dall'interpretazione 
dei giudici a quibus e di negare ingresso alle sollevate questioni di legit� 
timit� costituzionale. 

/ 

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846 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

La questione avente carattere di centralit�, � se la norma di cui al� 
l'art. 22, comma primo, della legge n. 576 del 1980, dal contenuto dianzi 
descritto, in quanto prescriv� l'operativit� nei confronti dei medesimi 
soggetti di due sistemi previdenziali obbligatori, importi una duplicazione 
di tutela previdenziale (obbli.gatoria) in contrasto con l'art. 38 Cost., ovve� 
ro in pari tempo con l'art. 38 e con l'art. 2 Cost. 

Della denunciata duplicazione di trattamento previdenziale, in alcune 
ordinanze di rimessione, � sottolineato l'aspetto passivo di <eccesso di 
onerosit� contributiva, tenuto conto della limitatezza dei vantaggi e della 
consistenza degli inconvenienti, che il sistema offre e, rispettivamente, 
arreca ai professionisti considerati. Ovvero, e meglio, l'aspetto cli eccesso 
nella individuazione del contenuto dei doveri di solidariet� sociale enun� 
ciati dall'art. 2 Cost. e precisati nel senso della previdenza sociale dal� 
l'art. 38 Cost. 

In alcune delle ordinanze l'eccesso di solidariet� � visto in ci�, che i 
doveri a questa inerenti sarebbero gi� sodclisfatti col pagamento dei 
contributi � oggettivi � o dei contributi � integrativi �. In altre ordinanze 
sono messi in luce sia l'aspetto passivo che l'aspetto attivo, inteso questo 
come eccesso cli tutela; l'eccesso di tutela � visto evidentemente in relazione 
al fatto che ai professionisti considerati � gi� assticurato in prospettiva 
un trattamento pensionisti�o, q�elJo dei dipendenti statali, e al concetto 
che la garanzia di un trattamento pensionistico ulteriore sarebbe 
ingiustificata alla luce di un principio definibile come quello del minimo 
mezzo previdenziale. 

Come accennato, la questione � posta relativamente oltre che al detto 
art. 22 della legge n. 576 del 1980, alJ'art. 6, comma penultimo, della legge 
5 luglio 1965, n. 798, ammissivo del cumulo fra trattamento pensionistico 
della previdenza forense e trattamento pensionistico dei dipendenti dallo 
Stato, la cui il.legittimit� sarebbe conseguenziale a quella dell'art. 22 della 
legge n. 576 del 1980. 

Al'l'mosservanza dell'asserito divieto di duplicazione, divieto che riflet� 
te in positivo un supposto precetto di unicit� della tutela previdenziale 
per ogni soggetto in quanto considerato come ,appartenente a una data 
categoria e, in prospettiva, di uni�:it� della detta tutela fra le varie categorie, 
si connettono, secondo le ordinanze dd rime$sione, due distinti ordini 
di violazioni del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). 

Un primo ordine di violazioni si concreterebbe in una disparit� di 
trattamento fra soggetti all'interno della categoria forense, e quindi in 
una contraddizione interna del relativo sistema previdenziale. Nei con� 
fronti di soggetti.i quali versano (si afferma) in situazioni reciprocamen� 
te identiche -come i detti esercenti la professione rivestiti della qualit� 
di docenti alle dipendenze dello Stato da un lato, e dall'altro gli avvocati 
e i procuratori iscritti in elenchi speciali, esercenti la professione nell'aro� 



PARTB I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

bito di un rapporto di impiego -sarebbe adottato un regime differenziato, 
assoggettandosi quelli (art. 22, comma primo, della legge n. 576 
del 1980) e non assoggettandosi invece, questi (art. 22, comma quinto, della 
stes,sa legge) agli obblighi previdenziali. 

Il secondo ordine di violazione del principio di eguaglianza si concreterebbe 
in una disparit� di trattamento fra soggetti in posizione analoga 
�a seconda delle categorie di appartenenza e dei relativi sistemi prevddenziali, 
e quindi in una contraddizione, per cosi dire, � esterna � del 
sistema considerato. E la disparit� di trattamento consisterebbe in ci�, 
che gli esercenti la professione forense rivestiti della qualit� di docenti 
alle dipendenze dello Stato sono assoggettati alla prev,idenza forense, mentre 
per gli esercenti altre professioni rivestiti dell'anzidetta qualit� il 
sistema previdenziale della categoria professionale (in particolare la legge 

n. 6 del 1981 per gli ingegneri e gli ar�hitetti) esclude la propria operativit�. 
(omissis) 
Questa Corte ha ritenuto, sempre con la sentenza n. 132 del 1984, che 
la qualificazione e la valutazione positiva allora operate vadano confermate, 
considerando fra l'altro che sarebbe incongruo ricondurre al tipo 
mutualistico, anzich� al tipo solidaristico, la previdenza forense, cosl come 
le altre previdenze concernenti professioni intellettuali, per ci� che esse 
sono organizzate sulla base del riferimento a date categorie professionali 
e alle rispettive attivdt� tipiche, e secondo criteri di accentuata autonomia 
strutturale e finanziaria sfa .. reciproca che rispetto all'assicurazione generale 
obbligatoria e alle previdenze dell'impiego pubblico. 

Al riguardo ha osservato che si tratta di scelte '1e quali sono compatibili 
con l'idea di solidariet� e anzi ne rappresentano una specificazione 
giustificata dal pluralismo che informa il nostro ordinamento: pluralismo 
che ammette solidariet� operanti nell'ambito di collettivit� minori. (omissis) 

La qualificazdone di appartenenza al tipo solidaristico del sistema 
previdenziale forense d� ragione della denunciata operativit� di esso e 
degli obblighi previdenziali cos� imposti anche ai professionisti considerati. 


Se i detti obblighi previdenziali non sono legati -all'esigenza della 
divisione del rischio n� tanto meno sono inseriti in una relazione di 
corrispettivdt� con i benefici previdenziali del sistema, ma costituiscono 
doveri di solidariet� nell'ambito della categoria professionale, si comprende 
come essi gravino, in modo .generalizzato e incondizionato, su 
tutti i membri della categoria, compresi coloro i quali, per particolari 
situazioni soggettive, non possano conseguire con certezza, o per intero, 
i benefici previdenziali del sistema considerato, ovvero non abbiano 
comunque necessit� n� intenzione di avvalersene, essendo destinatari di 
analoghi vantaggi altrimenti assicurati. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

848 

Appaiono pertanto "insostenibili gi� per la loro impostazione, ripu-/ 
gnante all'ottica solidaristica del sistema, le censure di eccesso di onerosit�, 
e queile connesse di disparit� di trattamento in danno dei professionisti 
considerati. 

Non vale dunque argomentare, quanto all'onerosit�, dallo svantaggio, 
in termini d�. ristrettezza (nelle condizioni d'acquisto) dei benefici previdenziali 
conseguibili, derivante ai docenti universitari pubblici impiegati 
dalla tardivit� dell'liscrizione alla Cassa previdenziale, tardivit� connessa 
col fatto che in precedenza era fatto loro divieto di esercitare 
la professione, e quindi di iscriversi alla Cassa, in pendenza del rapporto 
d'impiego pubblico. 

Cos� come non vale argomentare dagli inconvel1lienti (ottenimento 
del rimborso dei soli contributi falcidiati dalla svalutazione monetaria 
nel caso di cessazione della attivit� professionale e necessit� del versamento 
di nuovi contributi rivalutati per ricostituire la continuit� del 
rapporto previdenziale nel caso di ripresa deU'attivit�, con conseguente 
disincentivazione di una mobilit� altrimenti consentita) ai quali vanno 
incontro i docenti che vogliano alternare, dopo la legge n. 382 del 1980, 
l'insegnamento e l'esercizio della professione. 

N� vale argomentare, quanto alla solidariet�, che i doveri ad essa 
inerenti sono gi� soddisfatti mediante il versamento del contributo 
� oggettivo � ovvero mediante il versamento del contributo � integrat�.
vo �. 

Di codesti due ultimi assunti, il primo, che sembra alludere ai contributi 
di cui agli artt. 3 e 4 della legge 5 luglio 1965, n. 798, � infondato, 
perch� tali contributi gravano in defini1liva sugli utenti del servi:cio giudiziario 
(sentenza di questa Corte n. 23 del 1968) e pertanto non sono 
riferibili alla solidariet� di categoria. 

Il secondo assunto, che allude all'art. 11 della legge 11. 576 del 1980, 
� del pari infondato perch�, oltre a non tener conto che anche i contributi 
integrativi, in quanto ripetibili, finiscono per gravare su soggetti 
estranei alla categoria professionale e quindi non astretti dalla relat�.va 
solidariet�, poggia si.i un erroneo presupposto: che cio� solo tali contributi, 
e non anche quelli �soggettivi� (e ogni altro}, siano disancorati 
dalla corrispettivit� con la pensione. 

E, simmetricamente, appaiono insostenibili, per esserne l'imposta


zione ripugnante all'ottica solidaristica, le censure volte a rappresentare 

l'operativit� del sistema nei confronti dei professionisti considerati come 

un eccesso di tutela e pertanto come causa di disparit� di trattamento 

a loro favore. I vi compresa la censura diretta a coinvolgyre la norma, 

contenuta nell'art. 6, comma penultimo, della legge 11. 798 del 1965, am


missiva del cumulo della pensione forense con altra pensione (cfr. del 



PARTB ��I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

resto la prospettiva della giurtlsprudenza di questa Corte, secondo la 
quale la legittimit� del cumulo delle pensioni o della pensione e dei 
trattamenti retributivi va apprezzata soltanto alla stregua della adeguatezza 
del trattamento pensionistico allo stato di bisogno: sentenze di 
questa Corte n. 275 del 1976, n. 30 del 1976, n. 155 del 1969 e .n. 105 
del 1963). 

Valgono, in definitiva, per tali censure, e vanno pertanto ribadite e 
anzi riformulate in. termini pi� generali, Ie conclusioni raggiunte dalla 
sentenza di questa'Corte n. 62 del 1977, secondo le quali �l'assunto di 
irrazionalit�: ai sensi dell'art. 3 Cost. del sistema vigente� (della previdenza 
forense, risultante dalla legge n. 319 del 1975 e, ora, dalla legge 

n. 576 del 1980) �per mancata proporzionale corrispondenza tra oneri 
personali contributivi e misura della pensione, non � accoglibile �. � 
Indipendentemente daH'dnconcihi.abilit� delle argomentazioni, . addotte 
a sostegno della denunciata illegittimit� costituzionale, con il carattere 
solidaristico della previdenza forense, non � condivisibile la tesi che l'osservanz� 
degli artt. 2 e 38 Cost. imponga in ogni caso a un sistema previdenziale 
di categoria, e in particolare a quello forense, di escludere la propria operativit� 
nei confronti di soggetti, pur rientranti nella categoria e svolgenti 
le attiv�it� alle quali esso sd riferisce, sol che siano assoggettati 
ad altro sistema previdenziale. 

Al riguardo � necessario distinguere fra 'l'ipotesi di due concorrenti 
sistemi previdenziali entrambi riferiti alla medesima attivit� lavorativa 
considerata tractu temporis e l'ipotesi di due concorrenti sistemi previdenziali 
riferiti ciascuno a una d� due attivit� lavorative non omogenee 
e pertanto ontologicamente distinte (anche se contemporanee): 
ipotesi, le quali non versano fra foro, come non versano le rispettive 
regolamentazioni normative se differenziate, nel rapporto che intercorre 
fra regola ed ecce:lli.one. 

Solo rispetto a11a prima ipotesi ha senso parlare di duplicazione di 
tutela e quindi porsi, con riferimento al sistema previdenziale considerato, 
il problema se, nella concorrenza di altra forma di previdenza obbLigatoria 
assistita da finanziamento pubblico, dJ sistema debba o non 
debba, ovvero possa o non possa legittimamente escludere la propri�. \ 

Per quanto concerne la previdenza forense, rientra nella prima 
ipotesi il caso di un'unica attivit� professionale svolta dn regime di 
impiego pubblico, caso previsto dall'art. 22, comma quinto, della legge 

n. 576 del 1980, che adotta per esso la soJuzione della esclusione della 
operativit� del sistema. 
Di ta'le soluzione, della cui doverosit� o legittimit� qui non si discute, 
non pu�, d'altronde, predicarsi ti.I carattere di regola generale, n� 
tanto meno quello di soluzione imposta dall'art. 38 Cost. anche per i 
casi non rientranti nell'ipotesi medesima. 


850 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


Nelila seconda ipotesi invece -nella quale rientra, sotto l'aspetto 
della contemporanea operativit� di due tutele riferite a due attivit� 
ontologicamente diverse perch� non omogenee, anche se contemporanee, 
l'ipotesi dell'esercente (in regime di lavoro autonomo) la professione 
forense, che svolga (in regime di dipendenza pubblica) attivit� di dnsegnamento 
-� fuori di proposito parlare di duplicazione di tutele, e, 
quindi, porsi il problema suindicato. 

Del resto, a volere non solo trascurare la dnconciliabilit� delle suddette 
argomentazioni con l'ottica solidaristica del sistema, ma addirittura 
seguire per un momento la linea di esse, non pu� non. considerarsi 
che -stante la gi� rilevata autonomia dei sistemi previdenziali � professionali 
� -non � previsto alcun meccanismo per assicurare la tutela 
previdenziale dell'attivit� professionale forense ne1l'altro sistema speciale 

o generale concorrentemente operativo. Ad esempio non trova applicazione 
la � ricongiunzione� prevista dalla legge 7 febbraio 1979, n. 29 sulla 
pensione unica, che riguarda i soli periodi assicurativi che possano esser 
fatti valere nelle gestioni. sostitutive, esclusive (della) ed esonerative 
dailfa assicurazione generale obbligatoria e nelle gestioni speciali INPS. 
Mentre il riscatto ai fini del trattamento pensionistico statale � previsto 
per la limitata ipotesi dei periodi di iscrizione ad albi professionali, che 
siano richiesti per l'ammissione al servizio ex art. 13 del t.u. 2 dicembre 
1973, .n. 1092. Cos� come, d'altro canto, non � previsto alcun meccanismo 
per dare protezione nel sistema previdenziale forense ad altre 
attivit� disomogenee, contemporanee o no, dello stesso soggetto. 
Se cos� �, non si vede come l'atteggdamento adottato dal sistema 
previdenziale nel caso dell'esercente la professione forense che svolga 
attivit� di insegnamento possa ritenersi in violazione di quella sorta 
di principio del minimo mezzo previdenziale, che alcune ordinanze di 
rimessione sembrano voler trarre dagli artt. 2 e 38 Cost. 

Come � stato prima osservato, non si ravvisa tale violazione, n� attesi 
la radicale diversit� dell'ipotesi di raffronto (ipotesi concernente 
un'unica tutela per un'unica attivit�) e il nesso razionale fra diversit� 
di situazione e diversit� di regime -quella delil'art. 3 Cost. denunciata in 
connes�sione con la prima, in riferimento al contrasto del detto addeggiamento 
con quello assunto dallo stesso sistema previdenziale forense 
rispetto al caso dell'esercente la professione forense nell'ambito di un 
rapporto di pubbldco impiego (art. 22, comma quinto, della legge n. 576 
del 1980). 

Ma, per le considerazioni ora esposte, la violazione degli artt. 2 
e 38 Cost. non si ravvisa neppure se il problema si pone, come va posto, 
in riferimento al caso, in s� considerato, di due tutele per due distinte 
attivit�. 



PARTE I, SllZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Mentre per escludere la vliolazione dell'art. 3 Cost., in relazione al 
fatto che opposta soluzione � stata adottata in analoga ipotesi dal 
sistema previdenziale degli Ingegneri e Architetti con la legge 3 gennaio 
1981, n. 6 (art. 21), anzi gi� con ia precedente legge n. 1046 del 1971 
(art. 2), � sufficiente dare atto della diversit� di situazioni derivanti dalla 
reciproca autonomia dei' sistemi. 

Non importa dunque chiedersi se la detta opposta soluzione sia pi� 
fedelmente, o al contrario, meno fedelmente attuativa dell'art. 38 Cost. 
Mentre si deve osservare che neanche di tale soluzione pu� senz'altro 
predicarsi il. carattere di soluzione imposta dall'art. 38 Cost., cio� di 
soluzione obbligata per l'attuazione di questo precett() costituzionale 
e quindi quasi di parametro mediato di costituzionalit�. 

Non � comunque esatto il presupposto dal quale vuol farsi discen� 
dere la suddetta qualit� del tertium comparationis, e cio� che la solu� 
zione adottata dalla legge sulla previdenza degli Ingegneri e Architetti 
si inserisca in un indirizzo legislativo uniforme e univoco per defini� 
zione scaturente dagli artt. 2 e 38 Cost. nel senso voluto dalle ordinanze 
di rimessione che vi si riportano. 

Anmtutto l'esclusione dell'operativit� del sistema previdenziale degli 
ingegneri e architetti per i professionisti i quali siano assoggettati ad 
altro sistema previdenziale era gi� stata introdotta con la legge 11 novembre 
1971, n. 1046. Sicch� non pu� argomentarsi dai lavori preparatori 
della stessa legge n. 576 del 1980 e della legge sulla previdenza degli 
Ingegneri e _.Architetti n. 6 del 1981,. nei quali (cfr. per ii primi gli interventi 
svolti nella seduta 24 ottobre 1979, comm. riun. Giust. e Lav. 
Camera) si enunciano propositi� di uniformazione, e, in prospettiva, di 
unificazione dei sistemi previdenziali degli esercenti professioni intellet� 
tuali, per affermare che proprio la disposizione �in argomento (nella quale 
per di pi� la legge n. 6 del 1981 si discosta dalla legge n. 576 del 1980) 
sia dettata in attuazione di quei propositi. 

Ma, anche ad .ammettere che la soluzione in parola possa o debba 
qualificarsi per i suoi obiettivi caratteri in riferimento a una linea 
di tendenza nel senso ora indicato (dell'uniformazione e, per mezzo di 
questa, dell'unificazione dei sistemi previdenziali in argomento), non si 
pu� fare a meno di constatare che n� l'una (la soluzione come supposta 
espressione della tendenza) n� l'altra (la tendenza stessa) risultano altri� 
menti attuate. 

Per quanto attiene alla prima (cio� alla specifica soluzione), essa, 
contrariamente a quanto si sostiene, non appare adottata, o almeno non 
appare rigorosamente adottata, dalle norme sulla previdenza rispettiva� 
mente dei geometri e delle ostetriche (art. 22, legge 20 ottobre '1982, 

n. 773; art. 3, legge 2 aprile 1980, n. 127), le quali dispongono nel senso 
della facoltativit� della doppia iscrizione. Mentre la stessa soluzione non � 
adottata affatto dalle norme concernenti la previdenza dei sanitari, notai, 

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� � � �� �� �.-�:-;.x:X ._}Y...::�:�:�����:���:��:�� 

852 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

dottori commercialisti (artt. 2 e 21 d.m. 29 ottobre 1977, per i farmacisti; 
artt. 10 e 21 d.lg.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 e 2 d.m. 18 novembre 
1981, per i medici; art. 3 d.m. 26 aprile 1948, per i notad; art. 2 
legge 3 febbraio 1963, n. 100 per i dottori commercialisti), le quali dispon� 
gono tutte nel senso dell'obbligatoriet� del sistema previdenziale professionale 
considerato anche nel caso di concorrenza per lo stesso-soggetto, 
in relazione ad altre attivit�, di altro sistema previdenziale. 

Per quanto attiene alla generale tendenza sopra indicata, essa non 
ha trovato affermazione in ordine .ai sistemi previdenziali relativi alle 
professionali intellettuali, giacch� la legge 7 febbraio 1979, n. 29, sulla 
� pensione unica�, che ne costituisce espressione, non si estende ai detti 
sistemi ma solo, come � gi� stato osservato, alle gestioni sostitutive, 
esclusive (della) ed esonerative dalla .assicurazione generale obbligatoria e 
alle g(!stioni speciali INPS (artt. 1 e 2). Ed anzi nei detti sistemi, ivi 
compreso quello� degli ingegneri e architetti quale risultante da:lla legge 

n. 6 del 1981, essa non trova riscontro, attesa la rilevata mancanza di 
meccanismi preordinati alla reciproca. utilizzazione, o all'utilizzazione in 
un sistema unico, dei contributi versati in ciascuno di essi. 
Cosicch� il ricorso a sistemi previdemi�li afferenti a categorie professionali 
diverse per reperirvi elementi di comparazione, rivelatori di 
princ�pi comuni traditi e di connesse "ingiustificate disparit�, finisce anche 
qui e ora -o almeno qui e ora, cio� in relazione alla questione che ci 
occupa e all'attuale stato della normativa -per infrangersi contro la 
osservaz�one, pi:� volte fatta da questa Corte, che ogni sistema prevtidenziale 
presenta una propria autonomia e che le rispettive soluzioni 
sono da riportare, in linea di principio, ad accertamento di presupposti, 
a determina:zJione di fini, a valutazioni di congruit� dei mezzi non estensibili 
fuori del sistema considerato (cfr. sentenze nn. 65 del 1979, 62 
del 1977, 33 del 1975, 91 del 1972). 

Pi� breve discorso � sufficiente per fugare il sospetto che l'assoget� 
tament9 aglf obblighi previdenziali dei pnofessionisti surindicati, se viene 
giustificato in riferimento alla natura tributaria dei contributi, incorra 
nella vtlolazione dell'art. 53 Cost., per essere l'obbligo contributivo fatto 
dipendere dalla mera appartenenza a una categoria professionale, anzich� 
come prescritto dal cennato precetto costituzionale, dalla capacit� contributiva. 
Al riguardo � sufficiente osservare che la capacit� contributiva alla 
quale va commisurata anche la imposizione contributiva afferente alla 
previdenza forense (almeno per quanto riguarda il �contributo soggettivo 
�) -non �, nel detto sistema, desunta dalla mera appartenenza 
alla categoria, ma � individuata sulla base dell'esercizio della profes� 
sione con continuit�, e valutata sulla base dei redditi professionali dichiarati 
ai fini dell'IRPEF (artt. 10, comma primo e 22, comma primo, della 
legge n. 576 del 1980). (omissis) 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 11 lugli� 1984, n. 191 -Pres. Elia -Rel. Ferra~i 


Fortuna (avv. Benvenuti) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice 

avv. gen. Stato Carafa). 

Impiego pubblico -Equo indennizzo � Limite del danno alla integrit� 
fisica � Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 97; d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 68). 

La disposizione che, per i dipendenti dello Stato, prevede un equo 
indennizzo solo nel caso di danno all'integrit� fisica non � censurabile 
sotto il profilo della legittimit� costituzionale per ci� che non prevede 
analogo equo indennizzo anche per altri danni economici. 

Con ricorso presentato al TAR del Veneto Ennio Fortuna chiedeva 
che gli si riconoscesse il diritto ad essere ritenuto indenne dall'Arami� 
nistrazione per i dannd patrimoniali subiti a causa delle funzioni eser� 
citate. Esponeva, in particolare, che la mattina del 16 dicembre 1974 
persona rimasta ignota aveva sparato una raffica di mitra contro la 
saracinesca del locale di sua propriet� nel quale egli custodiva la propria 
autovettura provocandogli un danno complessivo di lire 453.750, ed assumeva 
che il danneggiamento in parola -rivendicato da una formazione 
politic� estremistica -fosse direttamente riferibile alla propria attivit� 
di mal?l�strato di Tribunale con funzioni di sostituto procuratore della 
Repubblica presso il Tribunale di Venezia. (omissis) 

A sostegno della sollevata questione, il giudice a quo, dopo avere 
affermato l'inapplicabilit� al rapporto di pubblico impiego dei princ�pi 
e degli istituti privatistici -quali il mandato, la negotiorum gestio, 
il rischio professionale, 1a norma di chiusura di cui all'art. 2129 cod. civ. -, 
risultando tale rapporto regolato da una sua propria, autonoma e completa 
disciplina, osserva tuttavia che il principio dell'� indennizzabilit� del danno 
patrimoniale sofferto dal dipendente civile dello Stato a causa di servizio�, 
poich� risponde �a ragioni di sostanziale equit��, �dovrebbe poter essere 
ravvisabile nel sistema di norme che regolano il rapporto di pubblico impjego 
�. E ritiene appunto di ravvisare tal~ principio nell'art. 68, ottavo 
comma, -del .summenzionato decreto presidenziale n. 3 del 1957, a sensi 
del quale � per l'infermit� riconosciuta dipendente da causa di servizio, 
sono altres� a carico dell'amministrazione � non solo le spese di cura, ma 
anche �un equo indennizzo per la perdita dell'integrit� fisica eventualmente 
subita dall'impiegato �. Ora, vero � -si legge nell'ordinanza di 
rimessione -che � l'art. 68 sopra citato, con la sua portata restrittiva 
e limitatrice... non consente l'interpretazione estensiva nel senso prospettato 
nel ricorso�, ma vero altres� che esso �deve ritenersi inadeguato e 
soprattutto in contrasto con l'art. 97 -primo comma -della Costitu� 
zione, il quale � rivolto a garantire il buon andamento e l'dmparzialit� 


854 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

dell'attivit� dei pubblici poteri �, non potendosi conseguentemente escludere 
che � in caso contrario il pubblico dipendente potrebbe essere indotto 
ad assumere diversi o contrastanti comportamenti �. Insomma -conclude 
il TAR del Veneto-, � una �fondamentale esigenza� che sia garantita 
�al pubblico dipendente la effettiva possibilit� di essere sollevato, sia pure 
in via equitativa, da ogni danno o pregiudizio di ordine fisico ma anche ( ...) 
di ordine patrimoniale, che egli possa incontrare nell'esercizio delle sue 
funzioni e di cui non possa ottenere l'integrale risarcimento dal diretto responsabile 
�. 

La questione non � fondata. 

Secondo il giudice a quo, dunqu�, la mancata prev1s1one legislativa 
dell'inde:r�nizzabilit� del pregiudizio economico sofferto dal pubblico dipendente 
a causa del suo rapporto di impiego sd risolverebbe in violazione 
dell'art. 97, primo comma, Cost., nel senso che potrebbe indurre il pubblico 
dipendente a tenere comportamenti �diversi o contrastanti�; �diversi o 
contrastanti � ben s'intende, con i princ�pi del buon andamento e della 
imparzialit� della pubblbica amministrazione, che sono espressamente 
previsti nell'invocato parametro costituzionale ed espressamente indicati 
nell'ordinanza. 

� una motivazione, questa, la cui esilit� si coglie con immediatezza. 
A parte, infatti, ogni considerazione di carattere generale sulla dubbia 
pertinenza del richiamo all'art. 97, primo comma, Cost., appare implau� 
sibile -rispetto al principio generale, proprio del pubblico impiego, di 
osservanza dei d9veri di buon andamento e di imparzialit� -la prospettazione 
del ristoro del danno patrimoniale come il rimedio contro la 
violazione dei predetti doveri, quasi che non siano previsti appositi 
strumenti per assicurare l'osservanza; 

N� pu� dirsi che la esilit� di siffatta argomentazione sia sfuggita alla 
difesa della parte privata, la quale ha incentrato il suo dire prevalentemente 
sulla poliedricit� della persona umana pi).lttosto che sul primo 
comma dell'art. 97 Cost. In particolare ha sostenuto che, stante la rilevata 
poliedricit�, attivit� materiale e beni strumentali al completo svolgimento 
della personalit� vanno considerati �nscindibilmente connessi con la persona; 
non senza ragione -ha proseguito ....,. i princ�pi sui rapporti 
economici e, quindi, sulla propriet� precedono, in Costituzione, anche 
quelli sui rapporti politici, e conseguentemente � impensabile la non 
risarcibilit� del danno sofferto dalla persona nei suddetti beni strumentali, 
una volta che questi fanno anch'essi parte della persona al pari 
della salute. 

Neppure le surriportate considerazioni riescono tuttavia a dare una 
interpretazione accettabile della censura ed, amJi, vagliate nelle loro implicazioni, 
confermano la giustezza del rigetto della questione. Non sembra 
dubitabile, infatti,. che l'eventuale riconoscimento del principio dell'indennizzabilit� 
del danno patrimoniale -e, quindi, di qualsiasi danno 




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

darebbe vita ad un fenomeno di incontenibile dimensione, che verrebbe 
reso ancor pi� complesso e gravoso dagli inevitabili e laboriosi accertamenti 
dell'esistenza del danno, del suo nesso col rapporto di servizio, 
dell'entit� di esso danno e della misura dell'indennizzo. Sono facilmente 
prevedibili l'imponenza e la gravit� delle conseguenze negative che verrebbe 
a subire proprio il principio di buon andamento, cui fa appello 
il giudice a quo. N� varrebbe osservare in contrario che tali conseguenze 
nori si verificherebbero, ove il riconoscimento dell'indennizzabi!Jit� del 
danno patrimoniale fosse limitato ai soli magistrati. Ad una soluzione 
nel senso. test� ipotizzato sarebbe di insormontabile ostacolo il principio 
fondamentale di parit� di trattamento, alla stregua del quale risulterebbe 

ingiustificata la estensione� del riconoscimento in parola ai soli magistrati 
nell'ambito delle categorie, previste dalla Costituzione, dei funzionari' e 
dei dipendenti dello Stato che subissero danni patrimoniali in occasione 
di disordini. 

La disciplina fa . quale prevede un equo indennizzo solo nel caso 
di danno all'integrit� fisica non � pertanto censurabile sotto il profilo 
della legittimit� costituzionale per il fatto che non preveda analogo 
equo indennizzo anche nel caso di danno economico. Certo, � auspicabile 
che possa nel nostro ordinamento pervenirsi. pure al ristoro di tale 
danno, ma rientra nei poteri del legislatore cli vruutare se e quando 
esistano le condizioni che consentano di farvi luogo. 

CORTE COST�TUZIONALE, 11 luglio 1984, n. 192 -Pres. Elia -Rel. La 
Pergola -Consiglio naz. ingegneri (avv. Rossano). 

Urbanistica -Ingegneri e architetti -Maggiorazione del compenso per 
incarico parziale -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 3; legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 18). 

La maggiorazione (del 25 %) del compenso per l'incarico parziale 
prevista dalla tariffa professionale degli ingegneri ed architetti ha razionale 
giustificazione in relazione alla natura ed alle modalit� dell'opera 
prestata da detti prof essionisti. 

(omissis) Giova al_ corretto esame del presente caso qualche considerazione 
di ordine preliminare. � dedotta in controversia quella statuizione 
del censurato art. 18 della legge n. 143 del 1949, nella quale � 
previsto l'aumento del 25 % con riguardo alla valutazione del compenso 
a percentuale; detto compenso va corrisposto sulla base delle aliquote 
specificate nell'apposita tabella, annessa alla legge (tabella B); ed �, 
precisamente, alla previsione tabellare, cos� individuata, che si applica la 
contestata maggiorazione dell'onorario professionale. 

a 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La disposizione oggetto di censura concerne ogni ipotesi in cui, come 
� ivi detto, � le prestazioni del professionista non seguono lo sviluppo 
completo dell'opera�. Ci� accade, pi� esattamente, in due distinti casi. 

L'incarico conferito all'ingegnere o all'architetto pu� essere in origine 
limitato ad alcuna soltanto delle funzioni che vanno dalla compilazione 
del progetto sommario della costruzione (o degli altri studi e calcolazioni 
di massima) fino alla liquidazione dei lavori, e si trovano elencate 
nell'art. 19 della stessa legge n. 143. In tale ultima norma � infatti 
detto quali operazioni sono comprese � nella prestazione complessiva del 
professionista per l'adempimento del suo mandato �. 

L'altra ipotesi � configurata nel primo comma dell'art. 10, di cui 
fa menzione lo stesso art. 18. Qui l'incarico diviene parziale, e come 
tale considerato ai fini del previsto , aumento sul compenso percentuale, 
in quanto, anche se conferito in origine per la prestazione complessiva, 

venga in seguito sospeso o revocato, � per qualsiasi motivo �, dal commdttente. 


Ora, tutti e .tre i provvedimenti di rimessione denunciano l'art. 18, 
limitatamente alla previsione del primo comma, che � la sola a rilevare 
ai fini del presente giudizio, ma con riguardo all'intero amb.i.to di essa: 
e dunque, a prescindere dalla circostanza che nella specie l'esecuzione 
parziale dell'opera sia dovuta alla limitazione originaria o alla successiva 
revoca (o sospensione) dell'incarico affidato al professionista. Infatti, 
nessun dubbio di legittimit� costituzionale � prospettato alla Corte per 
quanto concerne l'assimilazione -cosl com'� prevista nella norma in 
esame -fra l'uno e l'altro. caso in cui, ricorrendo gli estremi di una 
mancata prestazione complessiva del professionista, � fatto operare il 
supplemento della tariffa. La lesione del principio di uguaglianza � dedotta, 
come sopra si � visto, esclusivamente per il rilievo che vi �, comun� 
que, questa maggiorazione nel compenso dovuto secondo tabella. Ma la 
questione non � fondata. 

Nari si pu�, prima dd tutto, ritenere che il legislatore abbia nella specie 
ingiustificatamente derogato il disposto dell'art. 2237 del codice civile; 
n� si pu� dunque convenire con i giudici remittenti nel senso che la 
norma denunziata �intacchi la posizione riservata nel codice al committente, 
i� quale receda dal contratto, e privilegi al tempo stesso il trattamento 
dell'ingegnere o dell'architetto ai danni di quante altre categorie 
professionali non godano -se vi � recesso del cliente -di un pari 
aumento tariffario. Una pcima ed evidente insuffi�ien,za dell'argomento 
qui considerato sta in ci�, che esso concernerebbe, se mai, la sola sfera 
del recesso, o della limitazione sopravvenuta dell'incarico, mentre la questione 
abbraccia ogni ipotesi in cui l'opera non � compiutamente� realiz� 
zata. Deve comunque aggiungersi -sempre in relazione all'asserita 
divergenza fra la disciplina del caso ora considerato e lo schema del� 
l'art. 2337 del codice civile -che non sussiste alcuna offesa al precetto 


PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

de11'art. 3 Cost. Detta previsione del codice impone al cliente, che recede 
dal contratto, di rimborsare al prestatore d'opera le spese sostenute e di 
pagare il compenso per l'opera svolta. Il compenso del professionista, 
se non � convenuto dalle parti, va poi determinato, come vuole l'art. 2233 
e.e., secondo tariffa. Se cos� �, la legge che, a sua volta, stabilisce la 
tariffa con riguardo a ciascuna categoria professionale, non deroga -o 

tanto meno contraddice -all'art. 2237, bens� ne integra il disposto, in 
conformit� al sistema del codice. Viene quindi a cadere la premessa da 
cui la Corte di Cassazione muove per avanzare l'ipotesi che, nel caso in 
esame, la � disciplina particolare � della tariffa diverga, senza alcuna giustificazione, 
dalla �disciplina ordinaria�, quale sarebbe fissata, nell'articolo 
2237 del codice civile, indiscriminatamente per tutta la cerchia dei 
prestatori d'opera intellettuale. Il solo profilo della specie che residua 
all'esame di questa Corte riguarda allora, indipendentemente dalla test� 
citata disposizione del codice, la disparit� tra le tariffe professional�, che 
risulterebbe dalla maggiorazione prevista per l'incarico parziale: tale 
disciplina �, infatti, comunque denunciata davanti alla Corte, in quanto 
si assume che il legislatore abbia privilegiato la categoria degli ingegneri 
e degli architetti rispetto alle altre, con il risultato di offendere, in punto 
di ragionevolezza, il precetto dell'art. 3 Cost. Anche sotto questo ultimo 
riflesso, tuttavia, la statuizione dell'art. 18 esce indenne da censura. 

Gli stessi giudici remittenti non contestano che dl legislatore, nell'ordinare 
la materia dei compensi, potesse -di fronte a condizioni oggettive 
e soggettive diverse -differenziare i regimd tariffari a seconda della 
categoria professionale interessata. Il principio di eguaglianza si assume 
leso, precisamente in quanto la discriminazione fra la categoria degli 
ing�gneri ed architetti e le altre sarebbe andata oltre il ragionevole esercizio 
della discrezionalit� legislativa. Ora, un simile ordine di idee potrebbe 
essere condiviso solo se la censurata maggiorazione del 25% non trovasse 
rispondenza in quel che di peculiare l'opera professionale ha. nel caso 
di specie, o nel� modo come essa si svolge. Ma la scelta del legislatore 
non � certo viziata da una tale irrazionalit�. Essa � diretta a compensare 
il professionista per lo svantaggio che si connette in ogni caso con la 
parzialit� dell'incarico e si spiega in ragione del fatto che, diversamente 
da quanto avviene di solito in altre professioni, il mandato dell'ingegnere 

o dell'architetto � non infrequentemente conferito solo' per un qualche 
stadio della progettazione, con esclusione della fase nella quale l'opera � 
condotta a termine. Si pu� anche avvertii.re come la limitazione (o la revoca 
o sospensione) dell'incarico non siano, nel caso che qui interessa, necessariamente 
dovute a mancanza di' fiducia nel professionista, ma possano 
derivare da valutazioni di altro genere, dettate soprattutto dalla convenienza 
economica del cliente: dl quale, per parte sua, tiene in conto l'entit� 
della spesa che l'opera comporta ed il tempo occorrente per realizzarla. 
L'aumento in questione � stato, quindi, opportunamente disposto 

858 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 

in vista delle particolari esigenze che ineriscono alla disciplina della 
specie. Vi �, infatti, uno specifico e rilevante interesse dell'ingegnere od 
architetto a seguire lo sviluppo completo dell'opera; interesse, peraltro, 
evidentemente distinto da quello proprio di qualsiasi professionista, che 
aspiri ad un maggior volume di lavoro..Questo sotto un duplice profilo. 

� a) Un primo aspetto concerne la fedele esecuzione del progetto. Sia� 
mo di fronte ad un'opera dell'ingegno, sulla quale l'ingegnere o l'archi� 
tetto vantano il diritto di autore, ai sensi delle vigenti disposizioni di 
legge, che non a caso la tariffa in clis'corso ha richiamato, nell'art. 11, con 
J'aggiunta della seguente previsione: �la tutela della fedele esecuzione 
artistica o tecnica dei progetti approvati dal committente ed il loro svi� 
luppo nell'esecuzione spetta esclusivamente al progettista�. Al legislatore 
non � quindi" sfug~to che il mandato parziale, o la successiva sospensione 
dell'incarico, hanno come conseguenza un nocumento per il professioni� 
sta, almeno in quanto gli precludono la possibilit� di realizzare l'interesse 
alla fedele esecuzione dell'opera nel modo che per lui sarebbe il pi� van� 
taggioso e efficace: e cio�, con il sovraintendere direttamente all'integrale 
compimento dei lavori. . 

b) L'altro profilo ha riguardo al valore delle singole e distinte fasi in 
cui si articola lo svolgimento dell'opera, secondo le stesse previsioni della 
tariffa. Ciascuna delle opera2lioni occorrenti all'adempimento della serie 
completa delle prestazioni non � valutata soltanto alla stregua del suo 
immediato e caratteristico risultato; essa racchiude, altres�, un'utilit� 
potenziale, che viene concretamente in rilievo e si apprezza nei successivi 
stadi dell'attivit� professionale. Il che, come osserva la difesa di parte 
privata, � vero anche per la progettazione di massima, la cui importanza 
risiede non tanto nella quantit� del lavoro, alla quale del resto corrisponde 
in tariffa un'a:liquota tabellare di ammontare relativamente esiguo, 
quanto nella qualit�, appunto! anche virtuale, dell'impegno a quel punto 
gi� profuso dal professionista. Il progetto esige, invero, l'intuizione e fa 
soluzione dei �fondamentali problemi tecnico-architettonici che condizionano 
il compimento dell'opera: e di questa esso contiene, in nuci,_ i carat� 
teri e gli eventuali pre~. 

In conclusione: la maggiorazione del compenso per l'incarico parziale, 
ha nella specie un .sicuro e razionale nesso con la natura e le 
modalit� dell'opera prestata da ingegneri e architetti. La statuizione cen� 
surata, si deve dunque ritenere, non integra gli estremi di alcun arbitrario 
esercizio della discrezionalit�, che spetta al legislatore nel regolare la 
materia. Il risultato test� raggiunto esime la Corte dall'indagare se e 
come le altre tariffe professionali consentano che il compenso del pre� 
statore d'opera sia maggiorato, sempre nell'ipotesi della !!imitazione origi� 
naria o successiva dell'incarico. Si tratta infatti -anche nel caso del 
geometra, su cui la Corte di Cassazione ha fermato l'attenzione -di 

I 

l 

I 


PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA cosnruzIONALB 

altre e diy~rse categorie professionali: nelle quali, occorre precisare, la 
prestazione d'opera non giunge mai a rivestire le peculiari caratteristiche 
dell'attivit� dell'ingegnere o dell'archittetto. D'altra parte, lo stesso principio 
di eguaglianza esclude che situazioni non omogenee debbano andar 
soggette ad identica discipiina. Non �, quindi, in violazione di detto principio, 
che la previsione dedotta in giudizio discrimina tra la tariffa stabilita 
nel presente oaso e quelle delle differenti altre categorie professionali. 

CORTE COSTITUZIONALE, 18 luglio l984, n. 212 -Pres. Elia -Rel. Gallo Meloni 
(avv. Cogliani) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
De Francisci). 

Regioni � Regioni a statuto speciale � Disposizioni di attuazione dello 
Statuto � Potest� normativa permanente. 

Corte dei Conti � Decentramento di funzioni giurisdizionali � Sezione 
staccata per la Sardegna � Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 76; Statuto Sardegna, art. 56; d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240, tutti gli articoli). 

Gli Statuti regionali differenziati consentono in via permanente al 
Governo di dettare, ogni qualvolta sia necessario purch� nell'ambito dello 
Statuto e delle sue finalit�, norme di attuazione aventi rango non sottoordinato 
a quello della legge ordinaria. 

Premesso che il decentramento della giurisdizione amministrativa 

previsto dall'art. 125 Cost. non concerne la Corte dei Conti, non � desu


mibile dallo Statuto per la Sardegna -e quindi non pu� essere disposta 

mediante disposizioni di attuazione di detto Statuto -la previsione della 

istituzione di sezioni staccate di organi giurisdizionali centrali. 

Tale Meloni Ave, vedova di dipendente dalla Regione Sardegna dece


duto in servizio, aveva proposto ricorso alla Corte dei Conti -Sez. III 

giurisdizionale -sedente in Roma, per ottenere il riconoscimento del 

diritto a pensione privilegiata ordinaria indiretta anzich� a quella soltanto 

ordinaria che le era stata conferita: e ci� in quanto sosteneva la ricor


rente che il marito era morto per causa dipendente dal servizio. 

Ma la Corte dei Conti, prima di entrare nel merito della vertenza, 

sollevava questione di legittimit� costituzionale. 

Osservava, infatti, quel Collegio che, essendo la Meloni residente in 

Sardegna gi� all'epoca della proposizione del ricorso, il giudizio -ai sensj 

dell'art. 11 del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240 -dovrebbe essere devoluto, 

nello stato in cui si trova, alla Sezione della _Corte dei Conti, con sede 

in Cagliari, jstituita col d.P.R. citato, competente a giudicare, in materia 

di trattamento di quiescenza, sui ricorsi proposti dai residenti nella 

Regione. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

860 

Senonch� rileva la Corte dei Conti che il decreto presidenziale di cwi 
s'� detto � stato emanato con riferimento all'art. 56 della l~gge 26 febbraio 
1948, n. 3 (legg� costituzionale) che ha approvato lo Statuto speciale 
della Regione autonoma: e ci� in quanto la detta disposizione prevede 
che, mediante decreto legislaflivo, vengano date le norme di attuazione e 
quelle relative al passaggio di uffici e personale dallo Stato alla Regione. 
Poich� -soggiunge l'ordinanza della Corte -si tratta manifestamente 
di una deroga all'.art. 76 Cost., essa � per� operativa soltanto limitata� 
mente alle due materie espressamente menzionate. 

Ma la creazione di una Sezrlone giurisdizionale della Corte dei Conti 
nel territorio della Sardegna non sembra poter rientrare -ad avviso dei 
rimettenti -n� fra le norme di attuazione dello Statuto n� fra quelle che 
disciplinano il passaggio di uffici e personale da Stato a Regione: e ci� 
perch� trattasi di funzione giurisdizionale che la Costituzione riserva allo 
Stato, senza che sul punto lo Statuto della Regione contenga alcuna deroga. 

D'altra parte, non sii sarebbe nemmeno trattato di semplice passaggio 
di personale n� di creazione di un nuvo ufficio r�gionale, ma della istitu� 
zione di una Sezione decentrata della Corte dei Conti. Sicch� il d.P.R. im� 
pugnato viene per tal modo a collidere sia coll'art. 56 della legge cost. 

n. 3/1948, sia conseguentemente coll'art. 76 Cost. A proposito, poi, delle 
norme d'attuazione degli Statuti regionali, contesta l'ordinanza che e~se, 
per quanto non abbiano contenuto di mera esecuzione regolamentare, 
possano tuttavia ampliare o restringere lo Statuto; esse debbono mirare, 
invece, � secundum statutum � (e, perci�, n� contra n� praeter) a rendere 
compiutamente operative le norme statutarie. L'ordinanza cita, anzi, a 
sostegno del suo assunto, la sent. n. 20/1956 di questa Corte nonch� la 
sent. n. 30/1968, dalle quali emergerebbero la natura e i limiti di queste 
norme che, se non hanno carattere di mera esecuzione, non possono tut� 
tavia oltrepassare i confini della � attuazione �. Secondo la Corte dei 
Conti, peraltro, i decreti legislativi in parola riguardano soltanto la prima 
attuazione dello Statuto, per cui dovrebbero avere mero valore transi� 
torio e straordinario. (omissis) 
Va preliminarmente rilevato che la nozione data dalla Corte dei 
Conti, nell'ordinanza di rimessione, delle norme di attuazione degli Sta� 
tuti regionali � troppo angusta, e perci� non completamente aderente a 
quella risultante dalle sentenze nn. 20/1956 e 30/1968 di questa Corte. 
L'ordinanza, pur riconoscendo che tali norme non hanno contenuto di. 
mere disposizioni d� natura esecutiva regolamentare, ne restringe, tuttavia, 
la portata ad una funzione operativa � secondum legem �. In realt�, invece, 
[a giurisprudenza di questa Corte non ha escluso che le norme di attua� 
zione possano avere contenuto � praeter legem � nel senso di integrare le 
norme statutarie, anche � aggiungendo ad esse qualche cosa che le mede� 
sime non contenevano�, coll'unico limite della corrispondenza alle norme 
e alle finalit� di. attuazione de1lo Statuto, nel contesto del principio di 


PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

autonomia regionale (sent. 29 giugno 1956, ri. 20). Pi� incisivamente la Corte, 

sintetizzando i'l suo stesso pensiero, ritenne che � l'�sigenza delle norme 

di attuazione si 
\ 
manifesta nel bisogno di dar vita, nell'ambito delle ben 

definite autonomie regionali, ad una organizzazione dei pubblici uffici e 

delle pubbliche funzioni che si armonizzi con l'organizzazione dello Sfato 

nell'unit� dell'ordinamento giuridico (sent. 1� luglio 1969, n. 136). 

La Corte dei Conti ritiene poi che l'art. 56 della legge costituzionale. 
26 febbraio 1948, n. 3 (Approvazione dello Statuto speciale Regione Sardegna), 
con riferimento al quale � stato emanato il d.P.R. in parola, rappresenta 
una deroga all'art. 76 Cost., che regola la delega della funzione 
. legislativa al governo. In� realt� -come pure � stato gi� precisato dalla 
giurisprudenza di questa Corte -la competenza conferita ai decreti legislativi 
di attuazione statutaria (preceduti dalle proposte o dai pareri di 
una commissione paritetica, composta da rappresentanti dello Stato e 
della Regione interessata) ha carattere �riservato e separato� rispetto a 
quella esercitabile dalle ordinarie leggi della Repubblica (cfr. sentenze 22 
dicembre 1980, n. 180, 25 luglio 1983, n. 237). Ne deriva che le norme cos� 
prodotte si pongono con rango sicuramente non sottordinato a quello delle 
norme ordinarie, e con possibilit� quindi di derogarvi nell'ambito della 

loro specifica competenza. 

N� dall'affermazione della sent. n. 20/1956 secondo cui i decreti 

legislativ.i in parola � servono a porre in essere le norme di attuazione 

che dovevano accompagnare la nascita della regione e renderne partico


farmente e giuridicamente possibile l'attivit��, � lecito arguire, come 

mostra di volere intendere la Corte dei Conti, che perci� il loro valore 

sarebbe meramente transitomo. Al contrario gli Statuti regionali diffe


renziati consentono in via permanente a:l Governo di dettare norme di 

attuazione, ogni qualvolta sia necessario. 

Non �, quindi, in relazione alla natura delle norme di attuazione degli 

Statuti speciali che H sollevato problema di fondo potrebbe incontrare la 

soluzione auspicata dal Giudice remittente. Semmai, questa potrebbe con


seguire al negativo accertamento di una qualche correlazione fre le norme 

attuative e quelle dello Statuto della regione Sardegna o le finalit� della 

sua attuazione, nel contesto dell'autonomia regionale e nel� rispetto dei 
� princ�pi costituzionali. 

Sotto questo riguardo, non pu� bastare, per�, ai fini dell'odierno 

giudizio di compatibilit� costituzionale, che -come osserva l'Avvocatu� 

ra -la Costituzione abbia assunto come principio programmatico, oltre 

al decentramento amministrativo (art. 5), anche quella della giurisdizione 

amministrativa (art. 125). Quest'ultima disposizione, infatti, non concerne 

sicuramente la Corte dei Conti. 

In mancanza, dunque, di un principio generale della Costituzione, 

esplicitamente o implicitamente recepito dallo Statuto, � a quest'ultimo 


862 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

soltanto che deve aversi riguardo per decidere della legittimit� della contestata 
istituzione della sezione sarda della Corte dei Conti. 

in effetti, il d.P.R. che si va esaminando, oltre all'ovvio richiamo nel 
preambolo dell'intera legge costituzionale� 26 febbraiio 1948, n. J, che ha 
approvato lo Statuto speciale della regione autonoma della Sardegna, fa 
specifico riferimento all'art. 56 della legge stessa. Da questo, pertanto, 
traggono fondamento le disposizioni del decreto, iin quanto in esso � pre


I 

I I

visto che la Commissione paritetioa sottoponga al parere del ConsigLio 
Regionale, sia le .norme relative al passaggio degli uffici e del personale 
dello Stato alla Regione, sia le norme attuative dello Statuto stesso; norme 
tutte che verranno poi emanate con il decreto legislativo previsto dal 
quinto comma dell'art. 87 Cost., qual � appunto il decreto in parola. 

I

Ebbene, deve senz'altro escludersi che Ja disciplina dettata dal decreto 

I 

possa rientrare fra le norme che regolano il passaggio degli uffici e del 
personale dallo Stato alla Regione. � evidente, infatti, che queste si collegano 
a quanto previsto nel terzo comma dell'VIII dispos~ione transiII 


I

toria della Costituzione, in relazione a quel passaggio delle funzioni statali 
attribuite alle regioni, di cui � menzione nel secondo comma della I 
stessa disposizione. Ma quali siano tali funzioni � detto negli artt. da 117 a 
120 Cost., che non menzionano certo quelle giurisdizionali; n� esiste altra 1 i 
legge dello Stato che, sulla base dell'art. 108, primo comma Cost., abbia 

~ 

comunque previsto il passaggio di queste ultime alla �Regione sarda, sia 

i 1pure nei limiti della sua competenza territoriale. 

Non resta allora che esaminare l'alternativa concernente le norme 
attuative dello Statuto, delle quaLi pure � detto -come si � rilevato -nel 
citato art. 56 della legge. 

Senonch�, pur richiamandone la particolare natura pi� sopra riaffermata, 
e quindi anche la particolare competenza separata e riservata rispetI 
1

to a quella esercitabile con leggi statali ordinarie di cui all'VIII Disp. 

\ 

trans. Cost., � comunque evidente che la loro capacit� additiva si esprime 
pur sempre nell'ambito dello spirito dello Statuto e delle sue finalit�, I 
e -come s'� pure rilevato -nel rispetto dei principi costituzionali. . 


Orbene, a differenza di quanto concerne il controllo di legittimit� 
sugLi atti amministrativi della regione, non � in alcun modo desumibile 
daUo Statuto della Regione Sardegna, n� dal suo spirito, n� dalle sue 
finalit�, che si sia inteso prevedere nemmeno per implicito Sezioni di orga� 
ni giurisdizionali centrali, neanche nei limiti degli affari concernenti la 
regione: e ci� a differenza di quanto -ad esempio -� invece espressamente 
stabilito per altre Regioni (art. 23 Statuto speciale regione Sicilia; 
art. 90 Statuto speciale TAA). 

Non pu�, quindi, ritenersi costituzionalmente legittimo l'art. 1 del 

d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240 che istituisce per la Regione Sardegna una 
Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, con sede in Cagliiari: e ci� in 
relazione all'art. 56 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Conseguentemente va dichiarata atres� l'illegittimit� degli artt. 2, comma 
primo lett. c e d e 11 del decreto, cos� come richiesto dall'ordinanza 
di rimessione in quanto, venendo meno l'istituita Sezione, viene ovviamente 
a cessare la sua competenza sui ricorsi e sulle istanze in materia di 
pensioni, e logicamente l'obbligo di devoluzione a quella Sezione delle 
cause in corso presso la Corte dei Conti centrale; se di competenza della 
Sezione sarda secondo U disposto della lett. c dell'art. 2, comma primo, 
del decreto. 

Senonch�, fa riconosciuta illegittimit� dell'art. 1 del decreto trascina 
necessariame:nte nella stessa sorte l'intera discipliina dettata dal decreto 
per la competenza� ed il funzionamento della Sezione. Deve, perci�, darsi 
applicazione all'art. 27 dela legge 11 marzo 1953, n. 87 e dichiarare il'iHegittimit� 
costituzionale di tutta la residua normativa: in particolare anche 
di quell'art. 5 del decreto stesso, pure impugnato dall'ordinanza di rimessione, 
sebbene in relazione ad altro parametro, per avere Hlegittimamente 
ridotto a tre il numero dei votanti, mentre l'art. 2, .legge 21 marzo 1953, 

n. 161 impone, per ciascuna delle Sezioni giurisdizionali . della Corte dei 
Conti, il numero invariabile di cinque votanti. 
p.q.m. 
dichiara l'illegittimit� costituzionale degli artt. 1, 2, primo comma, 
lett. c e d, e 11 del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240; inoltre -applicato 
l'art. 27, legge 11 marzo 1953, n. 87 -dichiara l'illegittimit� costituzionale 
di ogni altra disposizione del citato decreto. 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1984, .n. 237 � Pres. De Stefano � 
Rel. Malagugini � Pieni ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Poste e Telecomunicazioni � Radiotelevisione � Exnittenti locali private � 
Installazione ed esercizio di impianti senza previa autorizzazione 
amxninistrativa -Sanzione penale -Legittixnit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 10, 21 e 27; d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, artt. 1, 183, 184, 195 e 334). 

Corte costituzionale -Giudizio incidentale di legittixnit� costituzionale � 
Applicazione di una disposizione di dubbia costituzionalit� -Quando 
si ha. 

Il principio di eguaglianza non pu� essere invocato assumendo come 
terti.um comparationis una situazione anomala determinata dall'inerzia 
del legislatore nel disciplinare una materia dopo un intervento demolitorio 
della Corte costituzionale; del resto, detta Corte ha confermato (nella 
sentenza n. 202 del 1976) la necessit� di una � previ� autorizzazione� alla 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

864 

installazione ed all'esercizio di impianti per le trasmission.i radiotelevisive 
via etere in ambito locale da parte di privati (1). 

L'incidente di costituzionalit� � intempestivamente proposto dal giudice 
chiamato non ancora ad applicare la norma incriminatrice denunziata, 
bens� a compiere -in seguito a semplice notitia di un fatto -i 
normali atti di istruzione probatoria. 

(omissis) Il testo unico delle disposizioni legislative in materia postale 
di bancoposta e di telecomUllJi.cazioni approvato con d.P.R. 29 marzo 
1973, n. 156, all'art. 1 riservava in esclusiva allo Stato, nei limiti previsti 
da quel testo, per quanto qui interessa � i servizi di telecomunicazion~ �. 

(omissis). 

Con le sentenze n. 225 e n. 226 del 1974 questa Corte ha dichiarato la 
illegittimit� costituzionale degli artt. i, 183 e 195 del succitato t.u. del 
1973 � nella parte relativa ai servizi di radiotelediffusione. circolare a mez~ 
zo di onde elettromagnetiche�, nonch�, �nelle parti relative a�. servizi 
di televisione via cavo �. 

In ossequio, alle predette pronunzie, l'art. 45 della legge 14 aprile 1975, 

n. 103 ha sostituito gli art. 1, 183 e 195 del citato testo unico. 
� sopra\rvenuta, infine, la sentenza n. 202 del 1976 con la quale questa 
Corte ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale degli artt. l, 2 e 45 della . 
legge 14 aprile 1975 n. 103 (nuove norme in materia di diffusione radiofonica 
e televisiva) � nella parte in cui non sono consentiti, previa autoriz~ 
zazione statale e nei sensi di cui in motivazione, l'installazione e l'esercizio 
di impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non 
eccedente l'ambito locale �. Con la medesima sentenza la Corte ha dichiarato 
altres� �l'illegittimit� costituzionale dell'art. 14 della citata legge 

n. 103 del 1975 nella parte in cui prevede la possibilit� che mediante le 
realizzazioni di impianti da parte della societ� concessionaria siano esaurite 
le disponibilit� consentite dalle frequenze assegnate all'Italia dagli 
accordi internazionali per i servizi di radiodiffusione �. 
(1) L'introduzione nel nostro Paese di un giudizio sulla legittimit� costitu� 
zionale delle leggi produttivo di effetti �demolitori� (sia pure limitatamente 
retroattivi) sta facendo emergere un delicato problema politico-istituzionale: 
produrre legge per �ricostruire� l'ordinamento normativo in una situazione 
di deregulation cagionata da atti solo demolitori � cosa ben diversa (e ben 
pi� difficile) che produrre leggi incidendo su un tessuto legislativo abbisognevole 
di modifiche ma ancora organico� ed operante. Altro � l'effetto di 
abrogazione � sottoprodotto � di un legge che � simultaneamente costruttiva 
(del nuovo) e distruttiva (del vecchio), altro � un effetto di eliminazione non 
sincronico con la ricostruzione. In teoria, se si lavora entro schemi solo giuri� 
dici, tale diversit� non dovrebbe sussistere, l'ordinamento essendo -per def�ni� 
zione -completo ed idoneo a � colmare le proprie lacune�; in realt�, nella 
realt� politica, le spinte al mantenimento di una situa7lione di deregulation 
possono risultare molto pii) efficaci (e quindi pi� forti) di quelle al mante� 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

865 

Quest'ultima sentenza ha, dunque, riconosciuto il diritto di dniziativa 
privata per l'installazione e l'esercizio di impianti per le trasmissioni via 
etere di programmi radiofonici e televisivi su scala locale. Nel riconoscere 
un tale diritto, questa Corte,. ha per� affermato anche � la necessit� 
dell'intervento del legislatore nazionale perch� stabilisca l'organo dell'amministrazione 
centrale dello Stato competente a provvedere all'assegnazione 
delle frequenze ed all'effettuazione dei conseguenti controlli e 
fissi le condizioni che consentano l'autor�.zzazione all'esercizio di tale 
diritto in modo che questo si armonizzi e non contrasti con fil preminente 
interesse generale (di cui sopra) e si svO'lga sempre nel rigoroso rispetto 
dei doveri ed obbLighi anche internazionali, conformi a Costituzione�. 

Tale esplicito invit� al legislatore, perch� intervenisse nella materia 
de qua, adeguandosi ad una serie di indicazioni specifich� (intervento 
presupposto anche nel dispositivo della sentenza) � rimasto, per�, sin 
qui inascoltato. 

Riassumendo, il d.P.R. n. 156 del 1973 e la legge n. 103 del 1975 regolano 
la materia delle trasmissioni radiofoniche e televisive in regime o 
di monopolio o di concessiope o di autor�.zzazione, mentre per quanto 
riguarda i servizi radioelettrici di telecomunicazione vige il principio del 
� regime Vlincolato �, Per le trasmissioni via etere a mezzo di ricetrasmittenti 
(anche quando si tratti di apparecchi di debole potenza installati 
in ausilio a servizi di imprese industriali, commerciali, artigiane ed agrarie 
(art. 334 n. 2 del t.u.) occorre cio� la concessione governativa (art. 322 
del T.U.). . 

Dalla normativa qui considerata emerge, "'dunque, una regola generale, 
in forza della quale l'installazione, lo stabilimento e l'esercizio di 
impianti di telecomunicazione sono subordinati al previo ottenimento dell'autorizzazione 
o della concessione governativa, mentre fa trasmissione 
via etere su scala locale, esercitata dai privati, per effetto della citata 

nimento di una legge scritta vigente. Qualcosa di simile si pu� avvertire, 
oltre che in tema di radiotelevisioni private, ad esempio in tema di determinazione 
dell'indennit� di espropriazione per pubblica utilit�. 

Difficile intravvedere i possibili rimedi. Potrebbe pensarsi ad un maggior 
coinvolgimento della stessa Corte Costituzionale non solo nell'attenta e puntuale 
delimitazione della portata della proprie pronunce demolitorie, ma anche nel 
compito di ricerca ed indicazione delle conseguenze di tali pronunce; coinvolgimento 
-questo secondo --che per� presenterebbe non pochi e non lievi rischi 
in termini di correttezm dei rapporti tra istituzioni e -al limite -anche di 
prestigio dell'organo di giustizia costituzionale. Per il che non pu� che condi� 
vidersi la tendenza al self-restraint finora prevalsa. 

La specifica sentenza in rassegna pu� determinare una rottura della � tre� 
gua � di fatto avutasi negli ultimi anni tra autorit� pubbliche (amministrative 
e giurisdizionali) ed emittenti private, con prevedibile conseguente intervento del 
legislatore. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

866 

sent. n. 202 del 1976, � assolutamente libera nel senso che si svolge � in 
regime di totale carenza legislativa�. 

Si � determinata in tal modo la situazione indubbiamente anomala 
e squilibrata, dalla quale prendono le mosse la maggior parte dei giudici 
rimettenti. (omissis). 

La questione da decidere (salve le precisazioni seguenti in questo 
stesso paragrafo) � essenzialmente quella avente ad oggetto l'art. 195 del 

T.U. del 1973, nel testo novellato. 
La norma cos� denunziata punisce (con la sola pena dell'ammenda 
se il fatto non si riferisce ad impianti radioelettrici; con fa pena dell'arresto 
e dell'ammenda se il fatto si riferisce ad impianti radioelettrici o 
televisivi via cavo) �chiunque installa, stabilisce od esercita impianto di 
telecomunicazione senza aver prima ottenuto la relativa concessione o 
l'a.torizzazione � (di cui al secondo comma. dell'art. 184 stesso T.U. e 
richiesta anche per gli dmpianti ripetitori via etere di programmi sonori 
e televisivi esteri o nazionali). 

II dubbio di costituzionalit� nasce dal confronto che i giudici a 
quibus istituiscono tra la situazione qui sopra descritta e quella di chi 
� senza concessione o autorizzazione � � esercita privatamente � � trasmissioni 
radiotelevisive via etere in ambito locale �. 

Cos� posta, la questione � chiaramente infondata. Ci� non tanto in 
base al rilievo per cui la fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 195 
in esame presuppone l'obbligo del preventivo ottenimento della concessione 
o della Hcenza per l'esercizio delle attivit� ivi considerate, mentre 
un tale obbligo allo stato n.on sussiste nelle situazioni poste a confronto, 
per le quali quindi � del tutto gratuito parlare di esercizio senza concessione 
o autorizzazione. L'infondatezza della questione nasce dal pi� 
sostanziale rilievo che il principio di uguaglianza viene invocato dai giudici 
a quibus in senso inverso a quel:lo naturale, assumendo la situazione 
anomala (e, ci si augura, temporanea) determinata dall'inerzia del legislatore 
dopo la sentenza n. 202 del 1976 di questa Corte come metro di 
legittimit� della regola generale, di cui alla normativa denunziata, che 
vuole l'installazione e l'esercizio degli impianti di telecomunicazione subordinati 
alla concessione o all'autorizzazione governativa. 

Ci� tanto pi� quando, proprio con la sentenza n. 202 del 1976 la 
Corte, lungi dal prospettare una deroga alla predetta regola generale 
per l'installazione e l'esercizio di impianti per le trasmissioni radiotelevisive 
via etere in ambito locale da parte dei privati, ha, per quanto di 
sua competenza, riaffermato l'esigenza di una � prevda autorizzazione 
statale�. 

_ Vero �, del resto, che con la normativa della quaie si discute, il legislatore 
ha perseguito il fine, doveroso per lo_ Stato democratico, di garantire 
la funzionalit� di servizi essenziali per la vita del Paese, di 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

867 

impedire il disordine e la sopraffazione nei campo considerato e di 

assicurare le condizioni per di rispetto del principio di uguaglianza. 

La questione, dunque, deve dichiararsi infondata, in coerenza con gli 

orientamenti ripetutamente espressi da questa Corte (cfr. sentt. nn. 42 

del 1977; 71 del 1979; 162 del 1981; 168 del 1982 e 71 �del 1983). 

Per concludere sul punto, � bene aggiungere che le argomentazioni sin 

qui svolte e la conclusione raggiiunta non cambierebbero quand'anche si 

dovesse ritenere che i giudici a quibus abbiano inteso coinvolgere negli 

incidenti di costituz_ionalit� non le sole disposi:Zlioni sanzionatorie, ma 

l'intera, sebbene � incompleta� fattispecie contravvenzionale di cui al� 

l'art. 195 de T.U. del 1973, nel testo novellato, integrandone il precettd 

con i disposti di altri .articoli del T.U. medesimo. 

Ci� perch�, anche in siffatta ipotesi non muterebbero i termini e 
la caratteristica del, confronto istituito dai giudici medesimi per dedurne 
�la violazione del principio di eguaglianza. (omissis). 

Il pretore di Putignano solleva questione di legittimit� costituzionale 

degli artt. l, 183 e 195 del t.u. del 1973, nel testo novellato, in riferimento 

oltre che all'art..3, primo comma, nei termini pi� sopra riferiti, anche 

agli artt. 21 e 10 Cost. 

La questione viene sollevata dal giudice a quo, a seguito della richiie� 

sta di perquisizione domiciliare avanzata dalla Direzione compartimen� 

tale PP.TT. di Bari nei confronti di un soggetto indicato quale respon� 

sabile del reato di cui ai citati artt. 1, 183 e 195 del t.u. del 1973, �per 

aver usato un impianto ricetrasmittente di debole potenza senza la pre


scritta concessione-,, governativa: richiesta che, come visulta dagli atti, 

traeva origine da una denuncia anonima relativa a molestie che sareb� 

bero state commesse con l'utilizzazione di tale impianto. 

L'incidente di costituzionalit� � stato proposto dal pretore di Puti-. 

gnano sulla base soltanto della citata richiesta della Direzione compar


timentale PP.TT. di Bari, prima ancora di aver inviato all'indiziato comu� 

nicazione giiudiziaria per una specifica ipotesi di reato e prima di aver � 

compiuto una qualsiasi, sia pure �sommaria, indagine. 

Pu� allora dubitarsi che la questione sia stata sollevata nel corso 

di un giudizio, come esige l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, 

ma anche a negare fondatezza ad un tale dubbio, si deve riconoscere 

che la questione medesima � irrilevante. 

Invero, dal � sistema normativo risultante dall'art. 1 della legge co� 

stituzionale n. 1 del 1948 e dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953 si deduce 

che la pregiudizialit� necessaria della questione di costituzionalit� rispet� 

to alla decisione del giudice a quo va dntesa considerando tale decisione 

come conclusiva di un itinerario logico, ciascuno dei cui passaggi neces� 

sari pu� dar luogo ad un incidente di costituzionalit�,� ogniqualvolta il 

giudice dubita cl.ella l�gittimit� costituzionale delle disposizioni normative 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO

868 

che, in quel momento, � chiamato ad applicare per la prosecuzione e/o 
fa definizione del giudiz~o � (sent. n. 53 del 1982). 

L'osservanza dei riferiti criteri porta a ritenere che la semplice denunzia 
di un fatto di reato rende meramente eventuale, soltanto possibile, 
l'applicazione della norma dncriminatrice, i cui indispensabili presupposti 
devono ancora essere verificati. 

L'incidente di costituzionalit� � stato, dunque, proposto intempestivamente 
dal giudice a quo che, in quel moment�>, non era chiamato ad 
applicare la norma denunziata bens� a compiere atti di istruzione probatoria, 
in applicazione di norme del codice processuale penale. Ne consegue 
che le questioni proposte dal pretore� di Putignano vanno dichiarate 
inammissibili. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 lugLio 1984, n. 238 -Pres. De Stefano -
Rel. Maccarone -Maggia ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei 
Ministri (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi (in generale) -Termini di decadenza e di prescrizione -Proroga Legittimit� 
costituzionale. 
(Cost., artt. 3 e 24; legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 19; d.1. 10 dicembre 1976 n. 798, 

art. 1 e legge 8 febbraio 1977, n. 16, di conversione del predetto d.I.). 

La posizione dello Stato e quella dei contribuenti non sono raffrontabili, 
ai fini dell'applicazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.): 
precipue esigenze finanziarie dello Stato possono giustificare disposizioni 
procedimentali asimmetriche. Il richiamare in vigore termini scaduti, 
per colmare un vuoto temporale privo di valide giustificazioni, non lede 
l'art. 24 Cost. 

(omissis) Con l'art. 19 della legge 2 dicembre 1975, n. 576, concernente 
disposizioni in materia dd imposte sui redditi e sulle successioni, 
i termini di prescrizione e di decadenza prorogati al 31 dicembre 1975 
dal citato decreto n. 237 del 1974 e dalla relativa legge di conversione 
furono ulteriormente prorogati al 31 dicembre 1976. 

Inoltre, col secondo comma dello stesso articolo venne stabilita la 

sospensione per un anno dei termini in materia di prescrizione e cli 

decadenza � in corso � alla data . di entrata in vigore della legge e sca


denti tra il 1� gennaio ed il 31 dicembre 1976. 

Con ci� mentre si intendeva ovviare ai perduranti descritti inconvenienti 
nell'Amministraizone finanziaria, si intendeva anche avviare alla 
normalizzazione il regime dei termini in esame. 



PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

A tal fine appare infatti specificamente diretta la norma di cui al 
secondo comma del citato art. 19, la quale, prendendo in considerazione 
in particolare i� termini �in corso� alla data di entrata in vigore della 
legge (5 dicembre 1975) e �scadenti fra il 1� genn~io ed il 31 dicembre 
1976 �, e che, come tali, sarebbero stati esclusi dalla proroga dL cui al 
primo comma, estesa soltanto ai termini scadenti entro il 31 dicembre 
1975, ne dispone la sospensione per un anno, a condi:zfone che i termini 
stessi siano � in corso � alla data di entrata in vigore della legge. 

Tale condizione restringeva il beneficio della sospensione mediante 
un riferimento temporale allo stato del termine, ed aveva il fine di armonizzare 
e coordinare in qualche modo il regime dei termini assoggettati 
alla serie organica delle proroghe precedenti con il regime di quei 
termini che, invece, come si � detto, per essere scadenti oltre il 
31 dicembre 1975 sarebbero rimasti esclusi dalle proroghe precedenti. 

Inoltre con l'art. 1, primo comma, d.l. 10 dicembre 1976 n. 798 �i 
termini di prescrizione e di decadenza prorogati al 31 dicembre 1976 
dall'art. l, primo comma, della citata legge n. 576 del 1975 � furono prorogati 
di altri sei mesi, Cio� fino al 30 giugno 1977; e col secondo comma 
i termini previsti dallo stesso art. 19 � che in virt� delle disposizioni 
ivi contenute, scadono tra il 1� gennaio ed il 4 dicembre 1977 � furono 
prorogati al 31 dicembre 1977; col terzo comma i termini in parola, 
compresi espressamente quelli concernenti il contenzioso tributario scadenti 
tra la data di entrata in vigore del decreto ed il 30 giugno 1978 
furono prorogati a quest'ultima data. 

Con la legge di conversione n .. 16 del 1977, fu poi introdotta la proroga 
al 31 dicembre 1977 dei termini scaduti nel periodo compreso dal 
5 dicembre 1976, scadenza della proroga del 1975, all'lt dicembre 1976, 
entrata in vigore della nuova proroga, e che risultavano pertanto scoperti 
da qualsiasi proroga. (omissis) 

Ci� premesso, conviene anzitutto esaminare la censura con cui si 
lamenta che l'art. 19, secondo comm!l della legge 2 dicembre 1975, n. 576, 
limitando la sospensione per un anno dei termini di prescrizione e di 
decadenza solo a quelli � in corso � alla data di entrata in vigore della 
legge stessa e scadenti nell'anno 1976 indurrebbe una disparit� di trattamento 
fra i contribuenti� e la pubblica amministrazione, a favore della 
quale rimarrebbe sempre �in vigore la proroga dei termini stabilita in 
via generale col primo comma dell'art. 19 stesso, il quale, infatti, dispone 
la proroga dei termini di prescrizione e di decadenza gi� precedentemente 
prorogati portandoli al 31 dicembre 1976, per cui i termini stessi 
rimarrebbero sempre in corso per l'amministrazione al 5 dicembre 1975, 
e beneficerebbero quindi sempre della sospensione, a differenza di quanto 
accadrebbe per i contribuenti, che potrebbero fruire della sospenstione 
solo per i termini effettivamente in corso al 5 dicembre 1975. (omissis). 


870 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Quanto al merito deve osservarsi che la lamentata diversit� di trat 
tamento trova una sua ragione di essere in ci� che si � detto a proposito 
dei motivi che ispirarono al legislatore la disciplina denunziata. Invero 
regolare in via transitoria la scadenza dei termil11i nei sensi sopra 
esposti significava, sostanzialmente, da un lato, prolungarne il regime 
eccezionale per consentire la funzionalit� degli uffici e recuperare all'era� 
rio alcune migliaia di miliardi, come precisato nei lavori preparatori, e, 
dall'altro, porre una disciplina che rappresentava una via di transizione 
verso �il ritorno alla normalit� nel settore. La speciale considerazione dei 
termini � in corso � aveva, invero, come sd � detto, una fumione limitativa, 
rispondente a razionali motivi e tale quindi da escludere la violazione 
del principio di eguaglianza che, per costante giurisprudenza di questa 
Corte, � osservato quando la diversit� di disciplina fra situazioni omogenee 
� razionalmente giustificata. 

N� pu� tacersi che la posizione dello Stato e dei contribuenti nella 
situazione descritta non era raffrontabile, date le precipue esigenze finanziarie 
cui la discip1ina censurata corrispondeva. 

Ma, anche prescindendo da tali considerazioni, va rilevato che, non 
contenendo il_ testo normativo specifiche indicazioni circa i soggetti desti� 
natari, � da ritenere che la previsione riguardi sia_J'amministrazione che 
il contribuente. Ci� comporta parit� di trattamento normativo ed esclude, 
anche sotto tale profilo, la violazione del principio di eguaglianza. 

(omissis). 

� stata poi prospettata l'Hlegittimit� del terzo comma dell'art. 1 

d.l. 10 dicembre 1976, n. 798, introdotto con la legge n. 16 del 1977 che 
estendeva la proroga dei termini in esame a quelli scaduti dal 5 all'll 
dicembre 1976, non rientranti tra quelli compresi nel periodo precedente. 
Si afferma al riguardo che i detti termini, appunto perch� non compresi 
nella proroga erano scaduti e pertanto la norma impugnata avrebbe 
in sostanza prodotto la reviviscenza di termini ormai esauriti, il che comporterebbe 
la violazione dell'art. 24 Cost. 

In proposito � da osservare, peraltro, che, come � pacifico; i termini 
cos� prorogati in realt� erano rimasti esclusi dalla proroga senza motivo, 
e solo a causa di un probabile difetto di coordinamento. 

Si legge appunto nei lavori preparatoci che al fine di eliminare l'esclusione, 
non' sorretta da alcun valido motivo, occorreva colmare il vuoto 
temporale cosi creatosi mediante la saldatq.ra dei periodi sopra spe� 
cificati. 

Il richiamare in vigore in tali circostanze termini scaduti non lede 
in alcun modo la garanzia costituzionale invocata, :limitandosi a rendere 
possibili, per ovvii motivi di razionalit�, attivit� altrimenti precluse. In 
relazione all'eventuale azione dell'amministrazione gli interessati potevano 
d'altra parte liberamente esercitare, a loro volta, il diritto di difesa 
senza :Limitazione alcuna. 



PARm I. SllZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

,, 

A:ltra questione � stata sollevata circa la pretesa illegittimit� del


l'art. 1 del d.l. 10 dicembre 1976, n. 798 in quanto sostanzialmente tale 

disposizione, coordinata con la precedente normativa in materia, non 

prevederebbe l'estensione della proroga precedentemente sancita anche a 

quei termini che avevano avuto :inizio nel periodo compreso fra il 5 

dicembre 1975 (entrata, in vigore della legge n. 576 del 1975) ed il 5 

ottobre 1976 (6()<> giorno antecedente al compimento dell'anno di sospen


sione stabilito con la stessa legge n. 576 per i termini relativi ai ricorsi 

in materia di imposte). 

In tal modo, secondo la censura, risulterebbe violato anzitutto l'art. 3 

Cost., perch� l'esclusione dalla proroga, sostanzialmente collegata all'ele


mento occasionale ed aleatorio della data di notifica dell'accertamento, 

dalla quale appunto inizia il decorso del termine per il ricorso e conse


guentemente dipende l'applicabilit� o meno della proroga, comporterebbe 

una disc11iminazione irrazionale e come tale contrastante con il principio 

di eguaglianza. 

Ma la questione non � fondata. 

Nel corso dei lavori preparatori della legge 8 febbraio 1977, n. 16, 
invero, il .problema della esclusione dei termini anzidetti dalla proroga 
fu espressamente trattato in sede di discussione di un emendamento 
all'uopo presentato, ma non trov� accog1imento da parte del Governo 
sulla basilare confilderazione che dopo l'approvazione della legge n. 576 
del 1975 la tendenza era quella di normalizzare la materia della scadenza 
dei termini. Pertanto era da ritenere che i contribuenti i quali avevano 
. operato dopo l'entrata in vigore della legge stessa (5 dicembre 1975) 
erano in regime normale e di ci� dovevano essere consapevoli dato il 
preciso riferimento a tale data per l'operativit� del beneficio. L'accoglimento 
dell'emendamento, secondo il Governo, avrebbe anzi comportato 
la rimessione in termini di tutti coloro che li avt:vano lasciati decadere, 
ed avrebbe finito con il premiare i contribuenti che si erano comportati 

meno diligentemente di quelli che invece avevano pagato quanto dovuto. 

�Queste considerazioni costituiscono una valida e razionale giustifica


zione dell'esclusione lamentata, e in funzione di esse si delinea in modo 

evidente la diversit� delle situazioni dei contribuenti che avevan� ope


rato prima e dopo l'entrata in vigore della legge del 1975. Diversit� che 

vale ad escludere la sussistenza del lamentato wzio di legittimit�. 

Parallele considerazioni valgono anche ad escludere la disparit� fra 

contribuente e amministrazione, sostenuta in quanto gli avvisi di accer


tamento in virt� della proroga potrebbero essere notificati dall'Ammini


strazione in regime di favore. Invero la posizione della P.A. caratterizzata 

dalle descritte difficolt�, e quella dei contribuenti, non sono raffrontabili 

e come tali sfuggono al controllo di legittimit� in relazione all'art. 3 

Cost. (omissis). 


872 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1984, n. 239 -Pres. e rel. De Stefano 
-Meir (avv. Di Gravio e Rombol�), Comunit� dsraelitica di 
Roma (avv. Tedeschi e Giannini) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Salimei). 


Costituzione della Repubblica -Principio di eguaglianza -Libert� di 
adesione ad associazioni e formazioni sociali -Comunit� israelitiche Adesione 
� ope legis � -Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 2, 3 e 18; r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731, art. 4). 

L'obbligatoria appartenenza ,alla Comunit� di un soggetto, per il 
solo fatto di essere � israelita � e di risiedere nel � territorio � di pertinenza 
della Comunit� medesima, senza che l'appartenenza sia accompagnata 
da alcuna manifestazione di volont� in tal senso, viola il principio 
di eguaglianza (art. 3 Cast.) concretando una disparit� di trattamento 
in ragione della religione e/o razza, e la libert� di aderire o non aderire 
(non solo ad associazioni ma anche) a � formazioni sociali � tutelata dagli 
artt. 2 e 18 Cast. 

1

Il pretore di Roma, con ordinanza emessa il 16 maggio 1979, ha deferito 
a questa Corte la questione di legittimit� costituzionale, nei ter


I 

mini esposti in narrativa, degli artt. 1, 4, 5, 15 lett. c), 24, 25, 26, 27, 28, 29 
e 30 del r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731, �singolarmente considerati, nonch� 

i 

in rapporto al sistema normativo da essi derivante�, per contrasto con l 
gli artt. 3, 2 e 18, 23, 24 e 102, 53 della Costituzione. I Il menzionato decreto d�tta norme sulle Comunit� israelitiche e sulla 
Unione delle Comunit� medesime. L'art. 1 definisce le Comunit� israe


I 

litiche � corpi morali che provvvedono al soddisfacimento dei bisogni 

! 

religiosi degli israeliti secondo la legge e le tradizioni �braiche �; in rela


I

zione a tale finalit� ne specifica, al secondo comma, i compiti. Per 
! 
!

l'art. 4 �appartengono di diritto alla Comunit� tutti gli israeliti che 
hanno residenza nel territorio di essa �. Il successivo art. 5 dispone che i 
�cessa di far parte della Comunit� chi passa ad un'altra religione o 
dichiara di non voler pi� essere considerato israelita agli effetti del 

l 
presente decreto�; colui che cessa di far parte della Comunit� perde iI 
diritto di valersi delle istituzioni israelitiche, e in particolare perde il 
diritto a prestazioni di atti rituali ed alla sepoltura nei cimiteri israelitici. 
Gli altri articoli denunciati (15, lett. e e da 24 a 30) disoipHnano il 
potere impositivo attribuito alla Comunit�, prevedendo la determinazione 
di un contributo annuo, cui sono tenuti tutti gli appartenenti alla Comunit� 
in ragione del rispettivo reddito complessivo. Il Consiglio della 
Comunit� fissa, anno per anno, l'aliquota del contributo, mentre spettano 
alla Giunta la valutazione del reddito complessivo di ciascun contribuente, 
la determinazione del reddito imponibile e del contributo, la 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

formazione della matricola dei contribuenti. Contro la determinazione 
dell'imponibile fatta dalla Giunta, il contribuente pu� presentare ricorso 
al Consiglio della Comunit�, e contro la decisione del Consiglio � ammesso 
dl ricorso ad una commissione arbitrale; avverso la decisione cli 
quest'ultima non � ammesso alcun gravame, salvo il ricorso all'autorit� 
giudiziaria nei soli casi di violazione di legge. (omissis). 

Nei termini anzidetti la questione � fondata. 

Giova ricordare che, anteriormente all'emanazione del r.d. n. 1731 
del 1930, la disciplina del culto israelitico in Italia era diversa secondo 
le diverse regioni, corrispondenti agli ex Stati pre-unitari; e talvolta era 
diversa anche nell'�mbito di una stessa regione. La legge sarda 4 luglio 
1857, n. 2325 (c.d. legge Rattazzi), operante in Piemonte ed in Liguria, 
ed estesa, all'atto della unificazione, all'Emilia ed alle Marche, disciplinava 
le Universit� isr~elitiche come persone giuridiche � pubbliche, necessariamente 
costituite da tutti gl'israeliti. domiciiliati nella loro circoscrizione, 
fornite del potere d'imposi~ione su di essi, e integralmente regolate, 
nella loro organizzazione e nelle loro funzioni, dal diritto dello 
Stato, secondo lo schema della legge comunale dell'epoca. Anche in Toscana, 
nel Veneto, nella provdncia di Mantova, nonch� nelle province 
annesse dopo la guerra 1915-18, continuando ad applicarsi ivi le preesistenti 
disposizioni, le Universit� israelitiche ave~ano natura di corporazioni 
pubbliche necessarie, con di potere d'imporre ai loro membri speciali 
tributi; ma, a differenza cli quelle che formavano oggetto della 
legge sarda, erano dotate di autonomia organizzativa, in quanto le leggi 
che le disciplinavano rinviavano a.i rispettivi statuti per il regolamento 
della loro struttura e per l'esercizio delle loro attribuzioni. Infine, in 
altre localit� (come, ad esempio, Roma, Napoli e Milano), �le organizzazioni 
israelitiche, operando nell'�mbdto del diritto comune, erano costituite 
in associazioni volontarie, dotate o meno cli personalit� giuridica, 
che provvedevano alle spese del culto con le volontarie contribuzioni 
dei loro aderenti. Le varie comunit�, obbligatorie e volontarie, 
tra loro assolutamente autonome e indipendenti, avevano poi dato vita 
ad un Consorzio volontario, sul piano nazionale, per la difesa e la 
cura dei comuni interessi. 

Con il r.d. n. 1731 del 1930, avente forza. di legge in virt� della 
�facolt� di rivedere le norme legislative esistenti che disciplinano i culti 
acattolici�, conferita al Governo dall'art. 14 del:la legge 24 giugno 1929, 

n. 1159, sull'esercizio dei culti ammessi nello Stato, s'intese apprestare 
un ordinamento uniforme per le Comunit� israelitiche di tutta l'Italia, 
e federarle in urla Unione obbligatoria. Nella relazione allo schema del 
decreto si legge, infatti, che esso � procede alla unificazione della legislazione 
sulle Universit� israelitiche, stabilendo per esse un ordinamento 
ed un s�istema uniforme di confrollo, ci� che nisponde all'indirizzo 
del moderno diritto pubblico, che vuole sottoposte all'autorit� 

RASSEGNA DBIL'AVVOCATURA DELLO STATO

874 

dello Stato, ed opportunamente vigilate, tutte le forme di attivit�, specie 

quelle a b~se collettiva �. Si legge, ancora, che � il tipo di ordinamento 

prescelto si foggia essenzialmente su quello della legge sarda del 1857, 

che regoLa le Universit� israelit�che con criteri di compiutezza, a un 

dipresso come la legge comunale e provinciale.. regola i Comuni, non 

essendosi creduto di adottare il sistema austriaco, . vigente nelle nuove 

province, chei limitandosi alle norme fondamentali, lascia largo campo 

all'autonomia delle Comunit�, cui impone di farsi uno statuto �. Si rile


v�, allora, in dottrina, che �le Comunit� israelitiche non solo appa


riscono corporazioni cli dinitto pubblico, in quanto hanno c~rattere ter


ritoriale e sono sottoposte a vigilanza e tutela, ma anche in quanto 

esercitano poteri d'impero, sono di creazione statale, sono regolate in


teramente da una legge dello Stato, la quale ha fissato gli scopi, gli 

organi, 1a costituzione e J'amministrazione delle Comunit��: concretan


dos�i, cos�, una sorta di � costituzione civile � di una confessione reli


giosa ad opera. del legislatore stataJe; un � esempio, forse unico nel 

nostro ordinamento giuridico, di statuto di confessione reliigiosa formato 

ed emanato dallo Stato �. 

Fondamentale, nella nuova disciplina, ed in perfetta coerenza con 

lo spirito che tutta la permea, appare il precetto dell'art. 4, che ben pu� 
dirsi costituisca un caposaldo della rigida strutttura dettata dal legi� 
slatore statale per le Comullit� israelitiche. In proposito, la gi� citata 
relazione afferma che si � riconosciuto alle singole Comunit� � carat� 
tere di necessariet�, nel senso che di esse devono far parte tutti gli 
israeliti del luogo�, �Il principio accolto� -viene ancora ribadito 
� � che non � possibile pretendere, agli effetti civili, di essere israelita, 
-ma di non voler appartenere alla Comunit�, rifiutando cos� il proprio 
contributo finanziario all'organo riconosciuto, che rappresenta l'interesse 

superiore della collettivit� �. 

Gi� autorevole dottrina, subito dopo l'emanazione del decreto, non 

aveva dubbi nell'affermare che � gli ebrei appartengono obbligatoria-: 

mente, c�l fatto stesso di avere la residenza legale nel territorio di una 

Comunit� israelitica, alla Comunit� stessa �. Di appartenenia � neces


saria�, �automatica�, che consegue �ipso iure� alla qualit� di israe


lita� ed alla sua reS!i.denza nel territorio della Comunit�, pa-rla la suc


cessiva dottrina, con una interpretazione della norma che pu� dirsi 

pressoch� costante, e >che s'identifica con quella accolta dal giudice a 

quo, il quale denuncia l'art. 4 appunto perch� statuisce ia � coattiva 

partecipazione� dell'israelita alla Comunit�. 

Che poi I'� appartenenza di diritto � valga -secondo rilevato in 

dottrina -a tutelare il �diritto all'appartenenza�, e cio� il diritto, 

non soggetto a valutazioni discrezionali da parte della Comunit�, del


l'israelita � a partecipare ad un complesso di beni e di servizi espresso 

dalla Comunit� �, non comporta certo che siffatta tutela possa venir 



PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

realizzata unicamente mediante l'appartenenza � coattiva �; e d'altro canto 
ovviamente non esclude che � il diritto � medesimo venga incondizionatamente 
riconosciuto, verificandosene i presupposti, a chi abbia 
manifestato la volont� di esercitarlo. 

Il decreto del 1930 non indica chi debba considerarsi �israelita�, 
e quindi destinatario del precetto .dell'art. 4. Anche a questo riguardo 
si ha una interpretazione largamente prevalente, nel senso che il legislatore 
rinvii, per tale determinazione, alle norme ed aHe tradizioni 
ebraiche, secondo le quali � ebreo chiunque sia nato da madre ebrea, 

o sia stato accolto nell'ebraismo con i prescritti atti rituali. 
Alla luce di quanto precede, palese � il contrasto della norma 
m esame con il fondamentale principio sancito dall'art. 3 della Costituzione, 
che assevera l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, 
�senza distinzione�, fra l'altro, �cli razza� e �di religione�, Nel denunciato 
art. 4, invece, assumono essemiale rilievo appunto le caratteristiche 
religiose ed etniche, che confluiscono nella qualificazione di �israelita�; 
si concreta cos� una disparit� di trattamento tra i cittadini, che tale qualit�, 
d'ordine etnico-religioso, rivestano, e che, a cagione di essa, divenendo 
cos� obbligatoriamente destinata:rti degli effetti s_he da tale appartenenza 
discendono, anche nell'ordinamento statuale, e tutti gli altri cittadini, 
cui'la norma stessa �non si applica. 

A sostegno dell'infondatezza della questione la difesa della Comunit� 
e l'Avvocatura dello Stato si richiamano alla possdbilit� di recesso dalla 
Comunit�, prevista dal successivo art. 5 dello stesso decreto. In altri 
termini, la necessaria, automatica appartenenza non violerebbe il precetto 
dell'art. 3 della Costituzione, perch� sarebbe consentito, a chi lo volesse, 
di �uscire� dalla Comunit� con il passaggio ad altra religione o con la 
dissociazione. Ma � agevole replicare, in contrario, che la facolt� del 
� distacco � appare soltanto come un rimedio ex post ad una situazione 
che nel suo stesso realizzarsii gi� si pone in insanabile contrasto con il 
ricordato fondamentale principio dell'art. 3 della Costituzione. 

Violati dal denunciato art. 4 appaiono anche gli altri parametri costituzionali 
(artt. 2 e 18), indicati dal giudice a quo. 

La Corte ha gi� affermato (sentenza n. 69 del 1962) che il precetto 
costituzionale contenuto nell'art. 18 deve essere interpretato nel contesto 
storico che l'ha visto nascere e che porta a considerare, della proclamata 
libert� di associazione, non. soltanto l'aspetto che � stato definito � positivo
�, ma anche l'altro �negativo�, quello che si risolve nella libert� di non 
associ.arsi� che dov� apparire al Costituente non meno essenziale dell'altra 
dopo un periodo nel quale la politica legislativa di un regime totalitario 
aveva mirato a inquadrare i fenomeni assc,>ciativd. nell'�mbito di strutture 
pubblicistiche e sotto di controllo dello Stato �. Periodo a cui appunto 
risale la normativa adesso sottoposta alla pronuncia della Corte. La stessa 
sentenza prosegue affermando che -� la libert� di non associarsi si deve 


876 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

ritenere Vliolata tutte le volte in cui, costringendo gli appartenenti a un 
gruppo o a una categoria, ad associarsi tra di loro, si violi un diritto 

o una libert� o un principio costituzionalmente garantito�: quale, appunto, 
nella fattispecie ora in esame, il principio garantito dall'art. 3 della 
Costituzione. 
Non � qui necessario prendere posizione suHa natura �.associativa� o 
�istituzionale� delle Comunit� israelitiche, perch� fa �libert� di adesione 
�, nei suoi aspetti (�positivo� e �negativo�), dianzi indicati, va 
tutelata, come � diritto inviolabile �, nei confronti non solo delle associazioni, 
ma anche di quelle � formazioni sociali �, cui fa riferimento 
l'art. 2 della Costituzione, e tra le quali si possono ritenere comprese 
anche le �confessioni religiose. Libert� di aderire e di non aderire che, 
per quanto specificamente concerne l'appartenenza alle strutture di una 
confessione religiosa, negli aspetti che rilevano nell'ordinamento dello 
Stato, affonda le sue radici in quella �libert� di coscienza, riferita aHa 
professione sia di fede religiosa sfa di opinione in materia religiosa � 
(sentenza n. 117 del 1979), che � garantita dall'art. 19 della Costituzione, 
e che va annoverata anch'essa tra i �diritti inVlioLabili dell'uomo� (sentenza 
n. 14 del 1973). 

L'obbligatoria appartenenza alla Comunit� di un soggetto, per il solo 
fatto di essere � israelita � e di risiedere nel � tenitorio � di pertinenza 
della Comunit� medesima, senm che l'appartenenza sia accompagnata 
da alcuna manifestazione di volont� in tal senso, viola appunto quella 
�libert� di adesione� che � tutelata dagli artt. 2 e 18 della Costituzione. 

Conclusivamente, per le s. esposte considerazioni, va dichiarata la illegittimit� 
costituzionale dell'art. 4 del r.d. n. 1731 del 1930, per violazione 
degli artt. 2, 3 e 18 deUa Costituzione. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 3 dicembre 1984, n. 255 (in cam. cons.) � 
Pres. Elia -Rel. Paladin -Veneruso e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Cavalli). 

Corte costituzionale -Giudizio incidentale di legittimit� costitmionale � 

Eliminazione di disposizione emessa in eccesso dalla delega � Con� 

trariet� al principio di eguaglianza delle disposizioni residue � Rile


vabilit�. 

(Cost., art. 76; d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 5). 

Alla pronuncia che dichiara la illegittimit� costituzionale per eccesso 
della delega (art. 76 Cast.) di una disposizione legislativa delegata pu� 
seguire una ulteriore pronuncia di illegittimit� costituzionale non sollecitata 
dal giudice a quo di altra disp�sizione contrastante con il principio 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

877 

di eguaglianza (art. 3 Cast.) la quale diverrebbe operante per effetto 
della prima pronuncia (1). 

Con ordinanza emessa il 12 settembre 1977 -nel corso di un procedimento 
civile in cui si controverteva sulla spettanza dell'indennit� di 
buonuscita alla figlia nubile maggiorenne (ed orfana di madre) di un 
dipendente statale deceduto in attivit� di servizio il 20 febbraio 1975 il 
Pretore di Napoli ha sollevato questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 �testo unico delle norme 
sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari 
dello Stato�). La norma impugnata violerebbe, infatti, J'art. 76 della 
Costituzione, da:l momento che avrebbe soppresso -in contrasto con l'ar


ticolo 6 della legge delega 28 ottobre 1970, n. 775 -�il diritto delle 
figlie nubili maggiorenni a percepire l'indennit� di buonuscita spettante 
a genitore deceduto in attivit� di servizio �, gi� previsto dall'art. 5 della 
legge 27 novembre 1956, n. 1407. (omissis). 

Nei' testo originario -precedente la sostituzione operata dall'art. 7, 
secondo comma, della legge 29 aprile 1976, n. 177 -l'impugnato art. 5, 
primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973; n. 1032, stabiliva che, �in 
caso di morte del dipendente statale in attivit� di servizdo �, l'indennit� 
di buonuscita spettasse, � nell'ordine, ral coniuge superstite e agli orfani, 
ai genitori, ai fratelli e sorelle�, che conseguissero �il diritto alla pen� 
sione di riversibilit� �. A sua volta, l'art. 82, primo� comma, del d.P.R . 
.29 dicembre 1973, n. 1092 (� testo unico delle norme sul trattamento 
di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato�, prevedeva e 
prevede che la pensione stessa � spetta anche agli orfani maggiorenni 
inabili a proficuo lavoro o in et� superiore a sessanta anni, conviventi a 
carico del dipendente o del pensionato e nullatenenti.�. Dal combinato disposto 
di queste due norme discendeva pertanto -come ha giustamente 
rilevato il giudice a quo -l'abrogazione dell'art. 5 apv. della legge 
27 novembre 1956, n. 1407, per cui, �in mancanza del coniuge"� !"indennit� 
di cui si controverte competeva -fra l'altro -�alle figlie nubili 
maggiorenni, nonch� ai figli maggiorenni inabili a. proficuo lavoro �. Senonch�, 
precisamente in questo effetto abrogativo il Pretore di Napoli 
ravvisa un eccesso di delega, dato che il � testo unico delle norme sulle 
prestazioni previdenziali in favore dei dipendenti civili e militari dello 
Stato� non avrebbe in tal senso rispettato l'art. 6, terzo comma, della legge 
28 ottobre i970, n. 775, in base al quale il Governo veniva bens� �delegato 
a provvedere, entro i:l 31 dicembre 1973, alla raccolta in testi unici, aventi 

(1) La sentenza amplia alquanto le possibilit� della Corte di incidere sul 
tessuto normativo. Forse una sentenza di non rilevanza o -come sostenuto 
in memoria dall'Avvocatura dello Stato -di manifesta infondatezza avrebbe 
potuto costituire una alternativa percorribile. 

878 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

valore di leggi ordinarie, delle disposizioni in vigore concernenti le singole 
materie �, ma solo per apportare � ove d'uopo alle stesse le modit�ca11ioni 
ed tintegrazioni necessarie per i1 loro coordinamento ed ammodernamento, 
ai fini di una migliore accessibilit� e comprensibilit� delle norme medesime 
e sempre con i criteri indicati nel comma precedente� (ossia tendendo 
�alla semplificazione ed allo snelltimento delle procedure�). 

Posta in questi termini, la questione � fondata. Indubbiamente, il 
testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali non avrebbe potuto 
riprodurre senza alcurta modificazione l'art. 5 cpv. della legge n. 1407 del 
1956, continuando a differenziare le � figlie nubili maggiorenni � dai � figli 
maggiorenni inabili a proficuo lavoro�: lo preclud~va, infatti, il principio 
d'eguaglianza senza distinzione di sesso, che vincola, imp1icitamente, al 
pari di qualunque altro precetto costituzionale, le stesse disposizioni dei 
testi unici di coordinamento; e, nella specie, il vincolo in questione 
risultava tanto pi� stringente, in quanto la Corte -'con decisioni n. 53 
del 1969 e . n. 135 del 1971 -aveva gi� dichiarato costituzionalmente 
illegittima la disciplina che dava rilievo alla condizione del nubilato, 
sia pure in tema di trattamento di quiescenza e non di prestazioni previ� 
denziali (in ordine alle quali era stata anzi pronunciata la sentenza di 
rigetto n. 82 del 1973). Ma ci� non toglie che, sul punto, il legislatore 
delegato abbia realizzato la parit� di trattamento fra orfani ed orfane, 
privando le figlie nubili maggiorenni -attraverso un mero testo unico di 
un diritto che loro competeva, quand'anche esse non fossero nullatenenti, 
conviventi a carico del dipendente statale in serW.zio ed inabili 
a proficuo lavoro ovvero in et� superiore a sessant'anni; il che non 
si giustifica, n� in nome della semplificazione e dello snellimento del.le 
procedure, n� in vista della mig1iore accessibilit� e comprensibilit� delle 
norme previdenziali, di cui si ragiona nell'art. 6, terzo comma, della legge 

n. 775 dei 1970. 
D'altra parte, non giova replicare che il legislatore delegato avrebbe 
pur sempre perseguito, mediante l'impugnato art. 5 del d.P.R. n. 1032 del 
1973, uno stretto coordinamento fra la disciplina delle prestazioni previ� 
denziali e quella del trattamento di quiescenza spettante ai superstiti dei 
dipendenti civili e militari dello Stato. La citata norma dti delegazione 
si limita, infatti, a considerare il coordinamento � delle disposizioni in 
vigore concernenti le singole materie �, �� senza alcun riferimento all'armonizzazione 
delle normative niguardanti materie. diverse. Ed il collegamento 
fra i regimi previdenziale e pensi�nistico, gi� introdotto dalla norma in 
discussione, non rappresentava e non rappresenta affatto una soluzione 
obbligata o comunque preferibile sul piano legislativo, tanto � vero che 
l'art. 7, secondo comma, della legge n. 177 del 1976, concernente il �diritto 
all'indennit� di buonuscita �, ha interrotto il nesso stabilito dall'art. 5 del 

d.P.R. n. 1032 del 1973, disponendo senz'altro che, �in caso di morte del 
dipendente statale in attivit� di servizio �,l'indennit� competa, nella stes

PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

sa misura che sarebbe spettata al dipendente, � al coniuge superstite e 
agli orfani, ai .genitori, ai fratelli e sorelle �. 

La : richiesta pronuncia di accoglimento non si pu� certamente risolvere, 
per�, nella restaurazione di quanto gi� previsto dall'art. 5 cpv. della 
legge n. 1407 del 1956: una siffatta soluzione non sarebbe, nonch� indispensabile 
sul piano costituzionale, nemmeno conforme all'art. 3 della 
Costituzione, poich� rinnoverebbe la preesistente disparit� di trattamento 
tra le figlie ed i figli maggftorenni. N� pu� ipotizzarsi la radicale dichiarazione 
d'illegittimit� costituzionale del riferimento -contenuto nella norma 
impugnata. -agli �orfani... che conseguano il diritto alla pensione di 
riversibilit� �: poich� una tale pronuncia verrebbe nuovamente a contraddire 
il principio generale d'eguaglianza, negando agli orfani in genere 
il diritto all'indennit� di buonuscita, a beneficio di altre categorie di 
superstiti, non considerati dalla legge n. 1407 del 1956 e quindi posposti 
agli orfani stessi, sia dal d.P.R. n. 1032 del 1973 sia dalla legge n. 177 
del 1976. Ne segue che la soluzione costituzionalmente obbligata del problema 
in esame consiste, invece, nel fare cadere le condizioni previste dal 

d.P.R. n. 1032, in collegamento con il d.P.R. n. 1092 del 1973, affinch� 
gli orfani maggiorenni potessero vedersi corrispondere l'indennit� di 
buonuscita: cos� anticipando, sotto il profilo in questione, l'appliciibilit� 
del regime pi� favorevole ai superstiti, introdotto dall'art. 7, secondo 
comma, della legge n. 177 del 1976. 
p.q.m. 
dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 5, primo comma, del 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (�testo unico delle norme s~lle prestazioni 
previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato�), nella 
par,te in cui prevede che gli orlani maggiorenni abbiano diritto all'in� 
dennit� di buonuscita solo quando conseguano il diritto alla pensione 
di riversibilit�. 
CORTE COSTITUZIONALE, 12 dicembre 1984, n. 279 -Pres. Elia � Rel. 
Ferrari -Provincia di Bolzano (avv. Panunzio) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Trentino-Alto Adige � Istruzione secondaria � Istituzione di nuove scuole � 
Attribuzione della Provincia. 

La potest� di istituire nel territorio .della provincia di Bolzano scuole 
del grado e del tipo di cui all'art. 9, n. 2, d.P.R. n. 670 del 1972 spetta alla 
Provincia. L'esercizio di tale potest� � subordinato all'intesa con il ministero 
per la pubblica istruzione, ma limitatamente agli oneri per il personale 
a carico dello Stato ed alle variazioni degli organici; conseguentemente, 
allo Stato spetta. soltanto di disporre in ordine alle suddette variazioni 
degli organici ed allo stato giuridico ed economico del personale insegnante. 


880 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 dicembre 1984, n. 292 -Pres. Elia -Rel. 

Ferrari -S.I.P. (avv. Satta) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. 

Stato Siconolfi). 

Fonti del diritto -Legge -Procedhnento legislativo -Modifi�azloni di 

coordinamento -Condizioni e limiti -Difformit� tra i testi approvati 

dalle due camere -Effetti. ,,,.. 

(Cost., artt. 70 e 72; legge 2 luglio 1952, n. 703, art. 39). 

Il � coordinamento � previsto dall'art. 103 del regolamento del Senato 
dovrebbe avvenire �prima della votazione finale�; peraltro, esso pu�__aversi 
(come per prassi) anche dopo la votazione purch� non ne risulti alterata 
la sostanza del testo e non si verifichino, nelle sedi interpretative ed applicative, 
incertezze gravi sul suo significato. Quando non si ha la convergenza 
della volont� dei due rami del Parlamento, la pronuncia caducatrice 
per illegittimit� costituzionale deve colpire la disposizione esaminata 
solo per la parte affetta dal predetto vizio ogni qualvolta sia possibile 
applicare il principio di conservazione dei valori giuridici (1). 

Il testo unico per la finanza locale (t.u.f.l.) approvato con il r.d. 
14 settembre 1931, n. 1175 conosce, fra le altre entrate dei Comuni, la 
((tassa e per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche�, disciplinata negli 
artt. 192-200. Per quanto riguarda pi� proplliamente l'occupazione del sottosuolo 
mediante � condutture, cavi ed impianti in genere�, tale tassa cosi 
ai sensi del dato testuale dell'art. 198, primo comma, lettera a), 
Ǐ applicata... a metro lineare�, � in base alla.. tariffa massima � di iire 
0,50 ovvero di lire 1, secondo che le suindicate apparecchiature abbiano un 
diametro inferiore o superiore a centimetri 20. La tariffa massima come 
sopra stabilita venne poi quadruplicata con l'art. 32, lettera a), del 
decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 62, che, iinfatti, la 

(1) � ... e successive modificazioni�: chiunque abbia pratica di cose gIUl'l� 
ddche sa bene che questa espressione � molto frequente, e non solo in materia 
di finanza locale e di leggi tributarie -in genere. 
Indubbiamente, trattasi. di espressione poco chiara, originata spesso dalla 
frettolosit� dei lavori di produzione legislativa (anche quando effettuati all'm� 
terno degli uffici legislativi) e talvolta da intendimenti di cautela (pu� accadere 
che neppure chi inserisce le parole in questione sappia esattamente quante 
e quali siano le �successive modificazioni� cui allude). Deplorare una siffatta 
� tecnica � sarebbe agevole: basti pensare alle moltitudini dei � non addetti ai 
lavori� ai quali pure la legge � indirizzata e che hanno il dovere (e quindi 
anche il diritto) di � conoscerla �; ed alle quali paradossali formule ricordate 
nella ultima parte della sentenza in rassegna, ove peraltro non si rammenta 
il caso -verificatosi -di richiamo di � successive modificazioni �... mai intervenute. 
Tuttavia, uno sforzo di � comprensione � deve essere fatto: non sempre 
i lavori parlamentari e pre-parlament�ri possono avere ritmi lenti e pacati e 



PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

881 

elev�, rispettivamente, a lire 2 e lire 4, e nuovamente �aumentata di 
quaranta volte�, a decorrere dal 1� gennaio 1952, con gli artt. 39, primo 
comma, e 44 della legge 2 luglio 1952, n. 703 ( � disposizioni in materia 
di finanza locale�). Per l'esattezza, mentre il Senato approvava la disposizione 
nel seguente testo: �la tariffa massima di cui all'art. 198 del 
testo unico 14 settembre 1931, n. 1175, e al decreto ministeriale 26 febbraio 
1933, concernente le norme provvisorie aggiunte di applicazione dello 
stesso testo unico in materia di tassa per l'occupazione di spazi ed aree 
pubbliche � aumentata di 40 volte �, H menzionato art. 39, primo comma, 
cos� recita, Vliceversa, nel testo approvato dalla Camera, promulgato dal 
Presidente della Repubblioa, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ed inserito 
nella Raccolta ufficiale .delle leggi e dei decreti della Repubblica: � La 
tariffa massima di cui all'art. 198 del testo unico per la finanza locale 
14 settembre 1931, n. 1175, e successive modificazion�, e al decreto mini-. 
steriale 26 febbraio 1933, concernente le norme provvisorie aggiunte di 
applicazione dello stesso testo unico .in materia di tassa per l'occupa2lione 
di spazi ed aree pubbliche, � aumentata di quaranta volte �. (omissis) 

La Corte d'appello di Milano, con ordinanza emessa il 13 novembre 
1979, ed il Tribunale di Lucca, con ordinanze emesse il 10 novembre 
1982 e 1'8 febbraio 1984, dato preliminarmente atto che non era contestato 
dalle parti che l'art. 39 fu approvato dal Senato senm l'inciso ( � e 
successive modificazioni�) e che tale inciso venne introdotto, dopo la votazione 
finale, � dalla commissione di coordinamento del Senato �, Ia quale 
poi non rimise pi� il testo coordinato al plenum, osserviano concordemente 
che: �i due testi approvati dal Senato e dalla Camera sono tra 
loro totalmente difformi�; l'inciso �non costituisce un semplice coordinamento..., 
ma un'effettiva modifica legislativa�; �la rilevata difformit� 
comporta una diversa statuizione normativa�. Osservato altres� (anche se 

possono raggiungere quei livelli di approfondimento consentiti ad esempio 

nelle pi� serene sedi scientifiche. 

Un rimedio di portata generale potrebbe essere costituito da qualche 

norma, non rileva se scritta o giurisprudenziale, di semantica legislativa, da 

qualche norma cio� che puntualizzi il significato da attribuirsi ad espressioni 

quale quella di che trattasi. Potrebbe cosi stabilirsi, una volta per tutte (se 

si vuole per convenzione), che il richiamo di� una disposizione si intende 

effettuato con riferimento al testo come modificato esplicitamente o implicita� 

mente (di non poca delicatezza infatti anche il proj)lema delle modificazioni 

implicite) da norme vigenti nel momento anteriore a quello della innovazione 

legislativa. 

Meno risolutore appare -malgrado l'ottimismo palesato dalla Corte 


il rimedio della compilazione di testi unici o di nuove leggi organiche � confer


mative � .ed interpretative: spesso i problemi che tali fonti pongono sono pi� 

numerosi e complessi di quelli che esse risolvono (ovviamente si parla di leggi 

che non innovano sostanzialmente, posto che l'opportunit� o meno di queste 

ultime va valutata con criteri del tutto diversi). 



882 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dal solo Tribunale di Lucca) che cos� � non risulta rispettata la regola 
fondamentale del bicameralismo "� i due giudici a quibus hanno sollevato, 
in riferimento agli artt. 70 e 72 Cost., la questione di legittimit� costi� 
tuzionale dell'intero art. 39 della legge n. 703 del 1952. (omissis). 

Con 1a sentenza n. 9 del 1959, questa Corte ha affrontato per la 
prima volta, in tema di procedimento legislativo, la problematica cui d� 
vita la constatazione della difformit� fra il testo approvato da una 
Camera e quello approvato dall'altra Camera. Con tale pronuncia, dopo 
ayere riconosciuto la propria competenza in via: generale � a controllare 
la legittimit� costituzionale di una legge per quanto concerne il procedi� 
mento della sua formazione � e, quindi, che l'attestazione contenuta nel 
messaggio che accompagna la trasmissione di un testo di legge da un ramo 
all'altro del Parlamento ~on preclude il sindacato del giudice delle leggi 
sugli atti anteriori, essa statu� tin particolare che: a) la prassi del coordinamento, 
autorizzato dalla Camera (o da una commissione in sede legislativa) 
�ed operato dalla Presidenza, �in quanto risponde ad esigenze del 
funzionamento di organi collegiali, rion pu� ritenersi senz'altro contraria 
alfa Costituzione�, se poi il testo del disegno di legge, una volta coordinato, 
� non � ripresentato alla Camera (o alla commissione competente) 
per una nuova votazione finale�; b) tuttavia, �il testo coordinato, in 
tanto pu� non essere sottoposto ad una nuova votazione finale, in quanto 
abbia una formulazione che non alteri la sostanza del testo che aveva 
formato oggetto della votazione finale; e) l'accertamento se la formulazione 
del testo coordinato � si � mantenuta (nei limiti nei quali il coordinamento 
� stato autonizzato), in modo che'esso esprima J'effettiva volont� 
della Camera e sia idoneo a concorrere con una identica volont� dell'altra 
Camera a produrre la legge � va compiuto dalla Corte �caso per caso �, ed 
all'uopo � � rilevante il raffronto fra il testo votato... con riserva del 
coordinamento ed il testo coordinato e poi promulgato�; d) � in conclusione
�, se non risultano �modificazioni di sostanza�, �l'eccezione di 
legittimit� costituzionale... per assunta difformit�. dei testi votati...�, pu� 
dichiararsi non fondata. 

Successivamente alla nicordata pronuncia, la competenza di CI,Uesta 
Corte a sindacare il processo fon;nativo delle leggi non � stata pi� giudizialmente 
posta in discussione, sicch� pu� dirsi costituire ormai uno dei 
principi del nostro ordinamento costituzionale, e le statuizioni di cui 
sopra sono state poi ribadite ed applicate in altre due sentenze pronunciate 
peraltro, la prima delle due su difformit� tra testo approvato 
e testo prol}lulgato, ed entrambe su difformit� conseguente ad errore 
materiale verificatosi nella trascrizione -, sicch� possono dirsi costituire 
ormai giurisprudenza costante di questa Corte. Tali due sentenze, infatti, 
hanno precisato, l'una a riguardo della facolt� di coordinamento (sentenza 

n. 134 del 1969), che �nella nozione pi� restnittiva che sd voglia dame� 
non rientra soltanto � .la correzione di errori materiali �, ma �anche la 

PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

eventuale correzione lessicale dei testi per conformarne la dizione alla 
sostanza�, e l'altra a riguardo dell'accertamento �caso per caso� (sentenza 
n. 152 del 1982), che �non si pu� ragionare astrattamente e meccanicamente 
dei vizi formali di legittimit� costituzionale delle leggi�, dovendosi, 
invece, non solo �tener conto della effettiva volont� d.elle Camere�, 
ma anche �valutare il rilievo che l'errore potrebbe assumere nelle sedi 
interpretativa ed applicativa � della disposizione impugnata. Ma particolare 
risalto merita quest'ultima sentenza (n. 152 del 1982), per la statuizione 
d�l tutto nuova, che essa enuncia e che si aggiunge a quelle pi� sopra 
riportate, integrando la visione di questa Corte �in tema di coordinamento 
delle leggi. In ordine al dilemma, infatti, se ii vizio dell'iter 
procedimentale produca effetti limitati alla sola disposizione -o parte viziata 
ovvero travolga l'intero atto, essa ha statuito che: e) � deve farsi... 
applicazione del principio generale di conservazione degli atti � e che per


ci� il � vizio formale ... non comporta -per s� considerato -l'annullamento 
integrale della legge ..., ma pu� solo incidere, in ipotesi, sulla parte 
specificamente viziata�: 

Ritiene questa Corte che non vi sono motivi, i quali sospingano a 
variare� il rievocato indirizzo giurisprudenziale o anche solo a discostarsene. 
� pertanto sulla base del principio generale della sindacabilit�, in 
questa sede, delle leggi anche per vizi dei loro procedimenti di formazione, 
ed � alla luce delle statuzioni di cui sopra, che va esaminata e 
risolta la questione di legittimit� costituzionale sollevata. 

_ Giova precisare che la difformit�. verificatasi alla Camera, fra il 
testo approvato da questa ed il testo approvato dal Senato, � la conseguenza 
della difformit�, verificatasi anteriormente al Senato, fra il testo 
approvato da questo ed il testo coordinato. Si pone, quindi, un triiplice 
interrogativo: se, avendo il testo coordinato ottenuto l'approvazione della 
sola Camera, possa dirsi che vi � stato l'incontro delle volont� di entrambi 
i rami del Parlamento; se il coordinamento ha comportato, o meno, una 
modifica sostanziale della legge; nell'ipotesi affermativa; se esso� ha viziato 
l'intero atto ovvero soltanto l'intera proposizione normativa ovvero ancora 
la sola patte coordinata. Il primo interrogativo chiama in causa l'art. 70 
Cost., tl quale dichiara che la funzione legislativa � esercitata �collettivamente 
dalle due Camere�; gli altri due chiamano in causa l'art. 72 
Cost., il quale detta, sl, la disciplina del procedimento legislativo, ma 
ne demanda l'integrazione all'autonomia normativa di ciascuna Camera. 

Ora, l'istituto del coordinamento � ignoto alla Costituzione, ma non 

anche ai regolamenti parlamentari. Il regolamento del Senato che era in 

vigore nel 1952, cio� al momento dell'approvazione della legge de qua, pre


vedeva all'art. 74, bench� non nominatim, il coordinamento, stabilendo, 

sotto il profilo contenutistico, che esso doveva intendersi consistere, non 

solo � nelle correzioni di forma che siano opportune �, ma anche nelle 

� necessarie modificazioni � � di quegli emendamenti gi� approvati che sem



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

884 

brino inconciliabili con lo scopo della legge o con alcune delle sue disposizioni 
� e, sotto dl profilo procedurale, che doveva essere deLiberato dal 
Senato � prima della votazione finale �. L'istituto � rimasto sostanzialmente 
immutato nel regolamento approvato il 17 febbraio 1971, ed oggi in vigore, 
il qua:le, al contrario di quello antedore, parla espressamente di � coordinamento
�, l� dove facoltizza le �modificazioni di coordinamento che 
appaiono opportune � (art. 103.1), prevedendo altres� il conferimento del� 
l'incarico alla � commissione di presentare le opportune proposte � (articolo 
103.2), �eventualmente accompagnate da una relazione� (art. 103.3), 
sulle quali �pu� �intervenire non pi� di un oratore per ciascun gruppo parlamentare 
e la votazione ha luogo per alzata di mano� (art. 103.4). Insomma, 
� di tutta evidenza che i~ ogni caso -si abbia riguardo alla nuova 

o alla cessata disciplina regolamentare -il coordinamento � in linea di 
principio legittimo, se avviene � prima della votazione finale �. 
Il coordinamento in esame � stato, viceversa, operato dopo la votazione 
finale, e _perci� stride con la f;ittispeoie astratta disegnata dall'articolo 
74 del cessato regolamento del Senato. In coerenza, tuttavia, con il 
costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, non pu� dirsi che la 
modifica ap:i;>ortata in sede di coordinamento all'art. 39, primo comma, 
ciella legge n. 703 del 1952 mediante il denunciato inserto sia di per s� costi� 
tuzionalmente viiziata e viziante. Ed invero, l'introduzione nell'impugnato 
articolo dell'inciso, su cui il Senato p.on fu poi chiamato a pronunciarsi, 
se per un verso � innegabilmente avvenuta in difformit� della norma regolamentare, 
per altro verso risulta operata in conformit� di una prassi tutt'altro 
che recente, la quale trova osservanza anche nell'altro ramo del 
Parlamento. In ordine a tale prassi, questa Corte, come si � gi� ricordato, 
ha statuito (sentenza n. 9 del 1959) -ed in 'considerazione, non gi� della 
sua annosit�, ma della necessit�, in taluni casi e circostanze, del ricorso 
ad essa al fine di assicurare la funzionalit� di organi collegia:Li particolarmente 
numerosi -non potersi ritenere � senz'altro contraria alla Costituzione
�. 

Non pu� non dirsi lo stesso per quanto concerne la modifica subita, 
ad opera dell'inciso �in argomento, dalla disposizione sospettata di illegittimit� 
costituzionale: la ricordata statuizione, infatti, vale a maggior ragione 
nel caso di specie, in cui il coordinamento risulta operato, non gi� dalla 
Presidenza, come nelle fattispecie di cui alle pronunce n. 9 del 1959 e n. 134 
del 1969, bens� dalla commissione competente. 

Si deve ora sottolinare che questa Corte non ha inteso, con le sentenze 
pi� volte richiamate, riconoscere in linea di principio, e perci� in ogni caso, 
la legittimit� della suddetta prassi del coordinamento, bens� ha anteso 
escluderne l'illegittimit� in quei soli casi, in cui la formulazione modificata 
�non alteri la sostanza de testo che aveva formato oggetto della votazione 
finale � (sentenza n. 9 del 1959). Con questa ultima precisazione, il problema 
diviene palesemente ermeneutico: in tanto sar� possibile, infatti, valutare 



.. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

se la modifica costituita dall'inserto abbia alterato la sostanza del testo, 
quale risulta approvato nella votazione finale dal plenum del Senato, in 
quanto sii conosca previamente l'effettiiva volont� espressa da questo, sia 
col voto sull'articolo, sia poi con la votazione finale. Ed a tale scopo, si 
richiede appunto un'indagine volta a cogliere l'esatta interpretazione dell'impugnato 
art. 39 nella versione approvata dal Senato (cio�, senza l'inciso) 
e, pi� precisamente, a stabilire se il Senato, disponendo l'aumento di 
40 volte, volle riferirsi alle tariffe originarie del 1931 ovvero a quelle quadruplicate 
del 1945. 

� questo il nodo che va preliminarmente sciolto; il nodo, cio�, form_atosi 
nell'ambito del Senato, come del resto si � gi� precisato pi� sopra, 
allorch� si � posto in rilievo che la difformit� fra i testi approvati dalle 
due Camere � la conseguenza della difformit�, verificatasi in Senato, fra 
il testo anteriormente approvato e quello successivamente coordinato. 

Non mancano elementi, i quali lascerebbero pensare che intenzione del 
Senato, pur in mancanza dell'inciso poi introdotto in sede di coordinamento 
era quella di aggiungere un ulteriore aumento alla quadruplicazione disposta 
nel 1945. 

Quando, infatti, la legge de qua veniva approvata, dopo una laboriosa 
gestazione triennale, era in vigore la tariffa, del 1945, non pi� quella del 
1931; e ci�, proprio per effetto del menzionato decreto legislativo luogotenenziale 
n. 62 del 1945, il cui art. 32 dispone testualmente che la misura 
della tassa in parola, quale stabilita nel 1931 dall'art. 198 t.u.fJ., � � modi� 
ficata �, e precisamente quadrupLicata. Poich� questa era la situazione nor� 
mativa del momento, non sembra che l'opinione secondo cui il Senato 
avrebbe avuto in mente, non gi� la tariffa in vigore, ma la tariffa abrogata, 
meriti maggior credito di quella inversa. Oltre tutto, se con l'ipotizz!'lta opinione 
i giudici a quibus intendessero sostenere che il denunciato art. 39 
della legge n. 703 del 1952 avrebbe implicitamente abrogato l'art. 32 del 

d.1.1. n. 62 del 1945 ed implicitamente ridato vigore all'art. 198 t.u.f.l., si porrebbe 
il problema, di non agevole soluzione, se possa ritenersi che l'abrogazione 
tacita di una norma successiva abbia di per s�, indipendentemente 
da un'apposita legge ripristinatoria, la virt� di far riivivere la norma anteriore 
espressamente abrogata -o � modificata � -, qual � appunto, nella 
specie, quella.che nel 1931 stabi1iva la tariffa della tassa in contestazione. 
Ed il dubbio sull'opinabilit� di tale tesi apparirebbe trovare riscontro 
nel diritto positivo a chi osservasse che proprio la legge in parola ubi 
voluit dixit: l'art. 31, primo comma, infatti, dopo avere espressamente disposto 
che �a decorrere dal 1� gennaio 1952, l'art. 29 del d.1.1. 8 marzo 
1945, n. 62 � abrogato�, soggiunge altrettanto espressamente, offrendo cos� 
un chiaro esempio di legge ripristinatoria, che � i Comuni, pertanto, deb� 
bono applicare l'imposta di patente secondo le norme dell'art. 166 t.u.f.l., 
e la misura ivi prevista pu� essere aumentata fino a quaranta volte �. 


886 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

N� pu� dirsi che sia priva cli alcun rilievo la constatazione che � dato 
fare nella relazione di maggioranza e, prima ancora, in quella governativa 
accompagnante il disegno di legge, ove risulta scritto che, stante ii � disavanzo 
talvolta pauroso � dei bilanci comunali ed in vista del foro risanamento, 
quegli � adeguamenti fiscali � venivano disposti � allo scopo di avvicinare 
i singoli tributi ad un livello non dissimile da quello prebellico �. 
Questa�risultando la ratio legis, non sarebbe corretto prescindere da essa, 
allorch� si tratti di valutare se intenzione del le~slatore sia stata quella 
di assumere come base la tariffa minima, �stabilita oltre vent'anni prima, 
in tempo di pace e di stabilit� economica, anzich� quella aumentata da 
poco pi� di cinque anni, pressoch� al termine della guerra (marzo 1945), e 
perci� in tempo di lievitazione delle spese. 

Inoltre: il Senato approv� all'unanimit�, nella votazione finale, il testo 
della legge de qua, ed H coordinamento venne operato, come gi� si � posto 
in rilievo, non dalla Presidenza, bens� dalla stessa commissione (Finanze e 
Tesoro), la quale, stante la sua competenza in materia, aveva esaminato e 
dibattuto in sede referente il disegno di legge. Ed allora, bench� non esistano 
verbali dei lavori della commissione in sede di coordinamento, appare 
tutt'altro che Jnattendibile la congettura che l'inciso di che trattasi sia 
stato inserito nel corpo dell'impugnato art. 39 nel convincimento che esso 
-cio� l'esplicito richiamo alle � successive modificazioni � -rendesse pienamente 
chiara la :volont� che il Senato aveva inteso effettivamente esprimere. 
Tanto pi� che la commissione procedette al coordinamento subito 
dopo la votazione finale, esaurendolo entro una dieoina di giorni -dal 
23 novembre 1952, data della suddetta votazione finale, al 5 dicembre 
successivo, data del messaggio di trasmissione �all'altra Camera-, quando 
era pi� sicura e viva la memoria del dibattito e del vero orientamento 
dell'assemblea. 

Le considerazioni test� esposte sembrano avvalorare l'interpretazione 
secondo cui il Senato, pur approvando l'impugnato art. 39 senza l'inciso, 
avrebbe inteso riferirsi alla tariffa come modificata dall'art. 32 del d.1.1. 

n. 62 �del 1945 -a quella quadruplicata, insomma, ed allora in vigore -, 
non gi� a quella del 1931, che da ben sette anni era-stata esplicitamente 
�modificata�, cio� abrogata, dallo stesso art. 32 del menzionato provvedimento 
legislativo. 
Se si accogliesse questa ricostruzione del pensiero del Senato, allora 
l'aggiunta dell'inciso (�e successive modificazioni�) potrebbe ritenersi, 
come afferma l'Avvocatura dello Stato, �meramente esplicativa del significato 
che scaturiva dal testo iniziale�, Conseguentemente, svanirebbe ogni 
dubbio sulla legittimit� costituzionale del denunciato art. 39: il coordina



. mento operato secondo prassi non sarebbe censurabile, e le due Camere 
avrebbero espresso la medesima volont� sul purito controverso. 
La disposizione in esame consente tuttavia di pervenire a conclusioni 
del tutto opposte. 

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PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDEN7..A COSTITUZIONALE 

La difesa della SIP sostiene nella sua elaborata memoria: che dalla 
relazione della commissione della Camera � rtis�lta... senz'altro pacifico e 
acquisito che 'l'aumento si riferisce esclusivamente alle tariffe fissate dal 

t.u. del 1931 �, cio� � propr:io alle misure originarie�; che il �riferimento 
fisso e non mobile � alle {ariffe originarie � implica in via generale... 
l'abrogazione tacita delle disposizioni in materia .introdotte successivamente
�, s:icch� �l'abrogazione espressa � st�ta superflua�; che �la semplice 
interpretazione dell'art. 39 rivela come esso o dica pi� di quanto si sia 
voluto, o viceversa ... gli si faccia dire pi� di quanto effettivamente dice �. 
E nella discussione orale la stessa difesa della SIP ha dedotto che, poich� 
�.l decreto ministeriale 26 febbraio 1933, richiamato nell'art. 39 in discorso, 
si riferisce esclusivamente al soprassuolo, ne deriverebbe la conseguenza 
-inaccettabile, e perci� stesso confermativa della giustezza della sua 
interpretazione -che l'aumento di 40 volte si applicherebbe esclusivamente 
all'occupazione del sottosuolo, mentre rimarrebbe invariata la tariffa per 
l'occupazione del soprassuolo. 
Dello stesso avviso sono, soprattutto, i giudici che hanno sollevato la 
questione in oggetto. Secondo la Corte d'appello di Milano, � la dizione 
approvata dal Senato con esclusivo riferimento alle tariffe originarie non 
lascia dubbi sull'intenzione del legislatore e di voler cio� fare riferimento 
proprio a 'quelle tariffe �, aggiungendo che � in tal senso � poi ancora la 
relazione della IV commissione permanente della Camera dei Deputati che 
prevedeva un preventivo di maggiori entrate... per 1.250 milioni �, anzich� 
per � 5.000 m:ilioni preventivabili in base alle tariffe come applicate dal 
convenuto �. 

Le argomentazioni che precedono :indurrebbero a concludere nel senso 
che il Senato, approvando l'impugnato art. 39 senza l'inciso, avrebbe inteso 
riferirsi alla tariffa quale stabilita originariamente dall'art. 198 del t.u.f.I. 
del 1931. E se questa diversa ricostruzione del pensiero del Senato fosse 
esatta, dovrebbe allora ritenersi che l'aggiunta, operata dalla commissione 
in sede di coordinamento, dell'inciso (�e successive modificazioni�) abbia 
alterato la sostanza della disposizione, qual era stata approvata dall'assemblea. 
Conseguentemente acquisterebbe consistenza il dubbio sulla legittimit� 
cost:ituzionale del denunciato art. 39: il coordinamento avvenuto secondo 
prassi sarebbe illegittimo e dovrebbe registrarsi la mancanza della comune 
volont� legislativa sul punto controverso. 

La disposizione in esame si presta, 'dunque, ad interpretazioni diverse 
e contrastanti. La difesa del Comune di Cinisello Balsamo e, come gi� ricordato, 
l'Avvocatura dello Stato sostengono che il riferimento sia stato fatto 
alle tariffe quadruplicate del 1945; per l'una, questo � il solo significato 
dell'art. 39, �con o senza l'inciso�, per l'altra, l'aggiunta dell'inciso � 
� meramente esplicativa �. Al contrario, la difesa della SIP ed i giudici 
a quibus ritengono che il riferimento sia stato fatto alle tariffe originarie 


888 

RASSF.GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

del 1931. Tuttavia, mentre per l'una l'aggiunta dell'inciso �pu� intendersi 
soltanto. come clausola di stile�, in quanto con essa �la commissione di 
coordinamento prima e la Camera p�i plus dixit quam voluit �, sicch� 
l'art. 39 � non ha sub�to alcuna modificazione sostanziale�, pertanto � � da 
ritenere che la questione di costituzionalit�... � infondata�, per i giudici a 
quibus, viceversa, il contestato inciso �non costituisce un semplice coordinamento 
degli articoli approvati..., ma integra una ~ffettiiva modifica legislativa
�, cio� �comporta una diversa statuizione normativa�, sicch� 
�l'eccezione di incostituzionalit� dell'art. 39... non � manifestamente infondata
�. 

Il dissidio fra le due letture dell'art. 39 � evidente e stridente, ma 
spetta ai giudici delle liti di comporlo. Compito di questa Corte, che non 
dispone di elementi tali, da indurla a disattendere la prospettazione 
offerta dalle ordinanze in esame, � quello di stabilire se il coordinamento 
de quo sia, o meno, costituzionalmente legittimo. E poich� la 
legittimit� costituzionale di un testo legislativo coordinato, non gi� 
secdhdo il regolamento, bens� secondo la prassi parlamentare, � condizionato 
alla portata del coordinamento, non pu� non riconoscersi che 
un siffatto coordinamento viola la Costituzione, e precisamente negli 
artt. 70 e 72, tutte le volte che provochi, nelle sedi interpretative ed 
applicative, grave incertezza sul significato del testo coordinato. Con 
riguardo al caso di specie, deve pertanto dirsi che il contestato inciso 
� costituzionalmente illegittimo per un duplice e concorrente motivo: 
non solo e non tarito, infatti, perch� � stato :inserito nelfart. 39 della 
legge n. 703 del 1952 mediante il coordinamento instauratosi per prassi 
che potrebbe cos� configurarsi addirittura come un emendamento aggiuntivo 
surretizio, ma anche e soprattutto perch� ha generato l'incertezza 
di cui si � detto sull'intenzione del legislatore. 

Dalla conclusiione test� enunciata non deriva, tuttavia, doversi disconoscere 
che si sia verificata convergenza delle volont� dei due rami 
del Parlamento. 

Intanto, gi� l'antico prihcipio, secondo ~ui utile per� inutile non 
vitiatur, impone di considerare che il vi~io si ann4ta in uno solo dei 
60 articoli di cui si compone la legge de qua -anzi, soltanto nel primo 
dei due commi, di cui si compone il denunciato art. 39 -e che la 
specificit� dell'oggetto disciplinato in tale comma confecisce alla relativa 
dispositlone piena autonomia rispetto all'intero testo, che, infatti, 
neppure le ordinanze in esame coinvolgono nella denuncia di .illegittimit� 
. costituzionale. E va 1:1ilevato altres� che la censura, bench� nei 
dispositivi delle ordinanze appaia impugnato tutto l'art. 39, investe 
esclusivamente il pcimo comma, nel quale appunto risulta illegittimamente 
inser.ito il contestato inciso. Ne consegue che, non riverberandosi 
il vitlo sull'intera legge, e neppure sull'intero art. 39, il cui secondo ed 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

889 

ultimo comma non concerne pi� la misura della tassa, ma le convenzioni 
stipulate dai Comuni per il 'pagamento di essa, questa Corte 
deve pronunciarsi sulla sola disposizione di cui al primo comma dell'art. 
�39, la sola passsibile di una sentenza caducatoria. 

Ma, pur circoscritta la questione nei suddetti termini, si impone 

� egualmente di valutare, in relazione al principio della salvezza dei valor� 
giuridici, se la pronuncia caducatoria debba travolgere l'intera 
disposizione ovvero possa limitarsi a colpire soltanto la parte viziata. 
Risulterebbe -noncurante del suddetto principio e non argomentata la 
scelta che venisse fatta tra le due alternative .in base alla semplicistica 
constatazione della non piena coincidenza tra le due formulazioni senza 
l'inciso e con l'�nciso -approvate dalle due Camere, deducendone 
che, quindi, sarebbe mancata la comune volont� legislativa 
sulla disposizione impugnata. Al contra:do, come a ci.guardo di qualsiasi 
atto, si deve tentare in caso di dubbio di interpretarlo nel senso che 
produca qualche effetto, anzich� nel senso che non ne produca alcuno, 
cos� a� riguardo della disposizione de qua, una volta epurata dell'inciso, 
si tratta di vedere se in essa non sia .individuabile �n punto di convergenza 
tra la volont� della Camera e la volont� del Senato. E piena 
convergenza si verific� �nnegabilmente sullo scopo, che era quello di 
maggiorare la tassa di occupazione del sottosuolo. Supposto pure, poi, 
che il Senato, approvando la disposizione senza l'inciso, intendesse 
l'iferirsi alla tariffa originaria stabi1ita nel 1931, e che la Camera, invece, 
approvando la disposizione con l'inciso, intendesse riferirsi alla tariffa 
modificata nel 1945, pu� bene affermarsi che tra le due Camere e le 

due volont� si verific� convergenza sino all'aumento minore, sicch� l'area 
della divergenza si riduce all'aumento maggiore. 

In applicazione, pertanto, del ricordato principio della conservazione 
dei valori giuridici, la dichiarazione di illegittimit� costituzionale 
pu� essere limitata al solo inserto (�e successive modificarioni �), facendo 
cos� salva, dopo l'eliminazione _della parte vitlata, la disposizione di 
cui all'art, 39, primo comma, legge n. 703 del 1952, la cui operativit� 
compete ai giudici del merito di stabilire. 

Questa Corte,. nel momento in cui, nell'eserci:llio del suo ruolo di 
garante della Costituzione, dichiara l'illegittimit� costituzionale di una 
disposizione di fegge per vizio procedurale, non pu� non segnalare 
l'indifferibilit� di un intervento del legislatore nella materia della finanza 
locale. Questa � ancor oggi governata da una normazione che si carat


' terizza, oltre che per la vetust� della disciplina di fondo -il t.u.f.l. 
ha ormai superato il mezzo secolo di vita -, anche per la incessante 
successione di provvedimenti legislativii, peraltro occasionali e volti per 
lo pi� a disporre maggiorazioni dei tributi. Non era ancora cessata la 
guerra, allorch� venne emanato il d.1.1. n. 62 del 1945 cui fecero seguito 

: ' 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELl..O STATO 

due provvedimenti nel 1946 (18 febbraio, n. 100 e 27 maggio n. 517), 
uno nel 1947 (29 marzo, n. 177), uno nel 1948 (26 marzo, n. 261), uno 
nel 1950 (30 luglio, n. 575), uno nel 1952 (la impugnata legge n. 703). 
Pi� di recente, poi, risultano adottati una serie di decreti legge, tra 
cui: uno nel 1980 (7 maggio, n. 153, convertito nella legge n. 299), due 
nel 1981 (28 febbraio, n. 38, convertito nella legge n. 153 e 22 dicembre, 

n. 786, convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 51), uno nel 1983 
(28 febbraio, n. 55, convertito nella legge n. 131). 
Gi� solo a riguardo degli aumenti. man mano disposti possono rta� 
scere, come nel caso di specie, dubbi interpretativi, che nei rapporti 
tra fisco e contribuenti nuocciono alla loro certezza e speditezza, risol� , 
vendosi altresl in aggravio per la gi� gravosa attivH� dei giudici di 
qualsiasi livello. E ci�, in conseguenza anche solo del generico richiamo 
ad imprecisate � successive modificazioni �. 

Il ricorso a cosiffatto rinvio � senza dubbio tanto consolidato e 
frequente, da sembrare che costituisca ormai un metodo di legifera� 
zione, ma non per questo � incensurabile, quando ne derivi ambiguit�. 
In caso contrario, si legittimerebbe persino la degenerazione della genericit� 
dell'abituale formula in evasivit�, come potrebbe dirsi accadere 
proprio nella legge n. 703 del 1952 (art. 7), ove .il rinvio risulta fatto 
addiritttura � ad analoghe eventuali successive modificazioni �. E ba� 
ster� aggiungere al riguardo che a problemi di compatibilit� con la 
normazione anteriore potrebbero dar luogo anche i provvedimenti adottati 
dal 1980 al 1983, i quali -pur se nei rispettivi titoli parlino di 
� norme per l'attivit� finanziaria degli enti locali �, di � provvedimenti 
finanziari per gli enti locali �, di � disposizioni in materia di finanza, 
locale�, di �provvedimenti urgenti per le finanze locali� -, in realt� 
si limitano per lo pi� a prescrivere aumenti di tariffe, richiamando 
peraltro pur sempre indeterminate �successive modificazioni ed integraziond 
�. Ma vale rilevare altres� che in materia oggi coperta da riserva 
di legge � riscontrabile anche -cos� infatti testualmente nell'art. 39, 
primo comma, legge n. 703 del 1952 -il rinvio a �norme provv~sorie 
aggiunte�, che, bench� disposte con decreto ministeriale, potrebbero, 
una volta fatte espressamente proprie da una legge, dar luogo a per� 
plessit� sulla loro collocazione nella scala dei valori normativi. 

Non occorrono altri rilievi o altre esemplificazioni a sostegno della 
asserzione di indifferibilit� di un intervento del legislatore nella materia 
della finanza locale, perch� provveda ad una revisione globale e sistematica 
-la quale tenga conto della novit� e complessit� delle artico-_ 
lazioni territoriali nel novus orda repubblicano e delle loro posizioni -o, 
quanto meno, perch� dissolva mediante interpretazioni autentiche quei 
dubbi che nascono dai disorganici aggiustamenti apportati al testo unico 
del 1931 nel corso del successivo cinquantennio. I_ 

;, 

): 

�-I ~ 


PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 dicembre 1984, n. 293 -Pres. Elia -Rel. 
Corasaniti -Pucello (avv. Muggia) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Azzzariti). 

Procedimento civile -Regolamento di giurisdizione -Sospensione dell'attivit� 
istruttoria del giudice � a quo � -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3 e 24; cod. proc. civ., artt. 41 e 367). 

Unicamente la Corte di Cassazione, adita con regolamento di giurisdizione, 
potrebbe prospettare un dubbio circa la legittimit� costituzionale 
della disciplina della istruttoria consentita nell'ambito di detto 
regolamento. � pertanto inammissibile il dubbio in proposito prospet� 
tato dal giudice del merito. 

Come si desume dalla. narrativa, il giudice a quo --\ discutendosi 
.se fa giurisdizione spettasse al giudice ordinario o a quello ammini� 

strativo, ed essendo stato proposto regolamento preventivo -ha so


spettato di illegiittimit� costituziona:le il combinato disposto degli arti


coli 41 e 367 c.p.c. sotto il particolare profilo dell'incidenza che esso 

spiega sulla prova in tema di giu:cisdizione. 

Ha sottolineato al riguardo come la normativa denunciata impon


ga, per il caso di .intervenuta proposizione del regolamento preventivo 

di giurisdizione, �fa sospensione di un'attivit� istruttoria in punto a giu


risdizione diretta, come quella del giudice a quo, all'accertamento dei 

fatti rilevanti senza limitazione di mezzi di prova, e devolva correlati


vamente il giudizio alle Sezioni Uruite della Corte di Cassazione, costret-� 

te dalla peculiarit� del rito a valutare i soli documenti gi� acquisiti 

(art. 372 c.p.c.) o al pi� (secondo un'interpretazione meno rigorosa della 

detta disposizione) ad acquisire soltanto nuovi documenti (con esclu


sione di altri mezzi di prova). 

L'illegittimit� del congelamento o della limitazione dell'attivit� istrut


toria che vengono in tal modo a determinarsi � prospettata con rifeci� 

mento a� due parametri: 

a) all'art. 3 Cost. in quanto, dandosi alla parte, al:la cui tesi in 

punto di giurisdizione siano favorevoli i risultati istruttori in un dato 

momento, il potere di determinare unilateralmente, mediante la pro


posizione del regolamento preventivo, gli effetti suindicati, sarebbe vio


lato iii principio della parit� delle parti nel processo (la regola del 

wmbattimento ad armi pari); 

b) all'art. 24 Cost. in quanto gli effetti suindicati costituirebbero 

comunque violazione del diritto di difesa considerato come diritto alla 

prova. 

Va tuttavia rilevato che i due profili di illegittimit� danno vita a 
una questione sostanzialmente unica. Invero, a parte che la violazione 


/ 

892 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

del principio.del �ombattimento giudiziale ad armi pari feriisce J'art. 24 
Cost. non meno eh~ l'art. 3 Cost., il vizio normativo denunciato consiiste, 
al di l� della prospettazione, non gi� nella possibilit� che ii.I congela� 
mento o la limitazione della prova intervengano su iniziativa della parte 
che in un dato momento la reputi a s� pi� favorevole e malgrado l'altra 
parte, bens� nella possibilit� stessa che il congelamento o la limita� 
zione in s� considerati intervengano. 

L'eccezione di inammissibilit� sollevata dall'interventore nella me� 
moria (sopravvenuta decisione del regolamento preventivo da parte del� 
la Corte regolatziice nel senso della negazione della giurisdizione del 
giudice a quo) -a parte ogni dubbio sulla sua fondatezza in relazione 
al carattere del dedotto ostacolo preclusivo (irrilevanza successiva) 
rimane comunque assorbita da una diversa e preliminare ragione di 
inammissibi1it� della questione stessa. 

L'illegittimit� prospettata risiede non tanto nella inibizione della 
attiv:i~� istruttoria nei confronti del giudice a quo e nella rimessione 
di tale attivit� ad altro giudice, quanto nelle peculiarit� probatorie del 
procedimento davanti al giudice ad quem, cio� alla Corte di Cassa� 
zione, o meglio nella loro estensione al giudizi~ della detta Corte sulla 
giurisdizione (solo indirettamente le denunciate carenze del procedi� 
mento davanti alla Cassazione possono riflettersi sulla legittimit� del� 
l'intero istituto del regolamento preventivo). Sicch� unicamente la, Cas� 
sazione, -di fronte a cui quel procedimento, con quelle peculiarit�, si 
svolge, ed ai fini del cui (solp) giudizio l'eliminazione del vizio � per� 
tanto rilevante -pu� postularla, e non anche il giudice a quo. N�, per 
giungere a conclusione opposta, varrebbero gli argomenti adducibili. a 
favore della rilevanza per il giudice a.dito ex art. 700 c.p.c. delle questioni 
relative alla legittimit� della privazione nei suoi confronti di 
un potere di decidere su richieste di provvedimenti di urgenza. antici� 
patori non devoluto medio tempore ad altro giudice. 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 dicembre 1984, n. 295 � Pres. Elia � Rel. 
La Pergola -S.r.l. Medusa Distribuzione ed altre (n.p.) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Onufrio). 

Diritto internazionale � Trattati internazionali � Accordo italo-francese di 
coproduzione cinematografica � Autorizzazione alla ratifica � Deve 
precedere questa -Ordine di esecuzione � Procedimento legislativo � 
Approvazione in commissione � Non � consentita. 
(Cost., artt. 72, 80, 81 e 87; legge 21 giugno 1975, n. 287, art. 20). 

La Costituzione vuole che le Camere valutino in anticipo il testo 
del trattato, al fine di rimuovere, in quanto organi autorizzanti, il limite 



PARTE I, SBZ. I, -OIURISPRUD}iNZA COSTITUZIONALE 

che, secondo le previsioni degli artt. 80 e 87 Cost., circonda l'esercizio 
del potere di ratifica; d'altro canto, anche se esplicitamente previstq. 
solo per la legge di autorizzazione alla ratifica, la competenza della as� 
semblea plenaria sussiste anche per l'ordine di esecuzione. 

La legge 4 novembre 1965, n. 1213 -modificata con la legge 21 
giugno 1975, n. 287 -reca provvedimenti a favore della cinematografia 
e fra l'altro contempla, in ordine ai lungometraggi� �nazionali�: la relativa 
ammissione alla programmmone obbligatoria (art. 5); incentJivi 
agli esercenti delle sale cinematografiche (art. 6); sovvenzioni ai produttori 
(art. 7); premi di qualit� al produttore e agli autori dei f.ilms; 
ulteriori abbuoni di diritti erariali agli esercenti delle sale cinematografiche 
(art. 9). La stessa legge prevede (art. 19) che detti benefici 
siano estesi a films realizzati, secondo speciali accordi internazionali di 
reciprocit�, in coproduzione con imprenditori stranieri. Il film risultante 
dalla coproduzione deve, a questo riguardo, esser dichiarato _� nazionale 
�. � prescritto che la quota Ininima cli partecipazione non sia 
inferiore al 30 % del costo del film, salvo deroghe eccezionali, le qual!i 
vanno prevedute negli accordi internazionali di reciprocit� e concesse 
previo parere di appos.:ita sottocommissione, istituita in seno alla comlll!
�ssione centrale per la cinematografia presso il Ministero per il turismo 
e lo spettacolo. L'art. 5 dell'accordo di coproduzione italo-francese 
del 1� agosto 1966 pone, a sua volta, nei paragrafi dal I al III, talune 
condizioni per l'applicabildt� del regime di coproduzione, con riferimento 
al costo del film, all'entit� della partecipazione minoritaria, alle 
c~ratteristiche qualitative prescritte per l'apporto del coproduttore minoritario; 
esso stabilisce tuttavda, al paragrafo IV, che deroghe eccezionali 
alle previsioni dei paragrafi precedenti possano essere accordate 
dalle autorit� dei due Paesi per films di indubbio valore artistico o 

\ . 

di carattere spettacolare. In relazione a quest'ultima categoria, � previsto 
che la partecipazione del coproduttore minoritario non possa essere 
in alcun caso inferiore al 20 % del costo del film. L'accordo internazionale 
in parola ha ricevuto attuazione" nell'ordinamento italiano per 
mezzo di due atti distJinti e successivi: prima con il decreto presidenziale 
28 aprile 1968, n. 1339, poi con l'art. 20, penultimo comma, della 
legge n. 287 del 1975. Quest'ultima norma d� esecuzione, dalla data <lella 
loro entrata in vigore, all'accordo bilaterale in esame e ad altri consimili, 
stretti fra l'Italia e vari paesi, disponendo inoltre che la ratifica 
di ogni ulteriore accordo, introduttivo delle deroghe previste dall'art. 19 
della legge 4 novembre 1965, n. 1213, va autorizzata con legge. 

La presente questione di legittimit� costituzionale trae origine dal 
procedimento !instaurato, davanti al Tribunale amministrativo regionale 
del Lazio, III Sezione, dalla S.r.l. Medusa Distribuzione e da altre societ�. 
Le ricorrenti hanno impugnato innanzi al giudice a quo il prov



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

vedimento ministeriale con il quale erano state annullate le dichiarazioni 
di nazionalit� di films da esse realizzati in regime di coproduzione 
italo-francese, nonch� il decreto di ammissione degli stessi films 
alla programmazione obbligatoria. 

Le societ� promotrici del giudizio a quo hanno dedotto avanti al 
TAR che, ai sensi delle disposizioni regolatrici della specie -artt. 19 
legge 4 novembre 1965, n. 1213, 20 legge 2 ~ugno 1975, n. 287 e 5 para-. 
grafo IV dell'accordo di co-produzione italo-francese (1� agosto 1966) la 
partecipazione del coproduttore minoritario pu� anche essere soltanto 
finanziaria, e dunque prescindere da apporti di natura tecnica 
ed artistica. Questo motivo del ricorso, soggiunge il giudice a quo, precede, 
in ordine logico, tutti gli altri sottoposti al suo esame, perch� 
riguarda l'iinterpretazione di quella norma dell'accordo di coproduzione 
cinematografiica italo-francese, sulla base della quale i Ministero resistente 
ha, con il contestato provvedimento, deciso di annullare gli atti 
emessi in precedenza per ammettere i films prodotti dalle ricorrenti aii 
benefici contemplati dalla citata legge del 1965. Il TAR, chiamato a 
pronunciarsi sull'esatto Slignificato della disposizione pattizia, si � posto 
in primo luogo il problema se questa faccia parte di un accordo validamente 
recepito nell'ordinamento italiano; ai fini dell'indagine ad esso 
demandata, il Collegio remittente ritiene di dover denunciare l'art. 20, 
penultimo comma, della legge 21 giugno 1975 n. 287, in riferimento agli 
artt. 80, 72, ultimo comma, 87, ottavo comma, e 81, quarto comma, Cost., 
nonch� l'articolo unico, lett. b, del d.P.R. 28 aprile 1968, n. 1339, per 
asserita violazione degli artt. 80 e 87 Cost. Tali statuizioni sono censurate 
nel presente giudizio come di seguito si precisa. 

Nel prospettare la questione, :il TAR muove da questo duplice' as


sunto: di decreto presidenziale emesso nel 1968 � inidoneo ad adeguare 

l'ordinamento interno alle esigenze dell'accordo di coproduzione italo


francese; d'altra parte, l'art. 19 della legge del 1965 non contiene, l� dove 

esso prevede che le sue disposizioni sono suscettibili di deroga me


diante accordo internazionale, alcuna delega che abiliti l'esecutivo a 

introdurre le suddette deroghe pattizie nell'ordinamento interno con pro


prio atto, senza previa autorizzazione del legislatore. Dopo di che, il 

disposto del penultimo comma dell'art. 20 della legge del 1975 risulte


rebbe sotto vario riguardo viziato di illegittimit� costituzionale: 

A) Difettando la legge di autorizzazione alla ratifica dell'accordo, 
l'asserita dnosservanza dell'art. 80 �cost. sussisterebbe a duplice titolo. 
H giudice a quo deduce, precisamente, che le statuizioni pattizie implichino, 
nel caso in esame, sia una modifica di quanto prevede l'art. 19 
della legge n. 1213 del 1965, sia maggiori oneri per le finanze, giacch� 
a suo avviso l'accordo italo-francese di coproduzione estende ad ipotesi 
non contemplate da detto articolo premi, o sovvenzioni, di cui frui



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

scono i films nazionali. Cos� atteggiandosi la specie, la norma denunciata 
offenderebbe altresl la prescrizione dell'art. 87, ottavo comma, 
secondo la. quale l'autorizzazione parlamentare, nei casi tin cui � richiesta, 
deve precedere la ratifica dell'accordo internazionale. 

B) L'interprete potrebbe per�, soggiunge il TAR, adottare il diverso 
punto di vista, secondo cui il citato art. 20 reca implicitamente 
l'autorizzazione alla ratifica degli accordi gi� stipulati, ai quali esso 
conferisce retroattivamente efficacia interna. Pur cosi intesa, tuttavia, 
la disposizione censurata non sfuggirebbe all'ulteriore rilievo che la 
legge, in cui essa � contenuta, � stata approvata in sede di commissione 
deliberante, invece che con la procedura normale, prescritta a 
norma dell'art. 72 Cost., per l'adozione delle leggi di autorizzazione alla 
rattifica dei trattati internazionali. 

C) La violazione dell'art. 81, quarto comma, Cost., � dedotta sotto 
altro ed autonomo profilo, che dovrebbe venire in considerazione qualora 
la Corte ritenga infondati i dubbi di .legittimit� costituzionale sopra 
esposti, facendo affidamento sulla circostanza che la legge n. 287 del 1975, 
in cui � posta la statuizione denunciata, ha rango pari alla legge n. 1213 
del 1965, e di questa pu� dunque innovare il contenuto: sempre che, 
beninteso, alla legge del 1975 si attribuisca il significato di aver recepito 
la disciplina pattizia, cui essa si riferisce nell'art. 20, solo materialmente, 
e quindi �a prescindere dalla ratifica,. dell'accordo internazionale 
in discorso. In quest'ipotesi, per�, la disposiizione in esame ver� 
rebbe ad offendere l'invocato precetto costituzionale, perch�, sti asserisce, 
essa manca di indicare come siano coperte le spese connesse con 
la prevista assegnazione di sovvenzioni e premi per coprod~Z!i.oni, nelle 
quali la partecipazione italiana � hlmitata al 20 % del costo del lungometraggio. 
La previsione di detti . benefici comporterebbe, infatti, oneri 
di pi� ampia portata rispetto a quelli scaturenti dalla legislarione pre� 
vigente. 

D) Deduce, infine, il giudice a quo che l'eventuale pronuncia di 
fondatezza di alcuna delle questioni prospettate pone il problema dell'illegittiimit� 
dell'articolo unico, lett. b, del d.P.R. 28 aprile 1968, n. 1339, 
come derivata, ex art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, dalla decisione che 
sar� adottata dalla Corte. (omissis). 

Correttamente l'Avvocatura eccepisce l'inammissibilit� dell'altra questione, 
prospettata dal TAR come conseguenziale all'accoglimento di 
quella che ha per oggetto l'art. 20 della citata legge del 1975. La censura 
investe in questo caso la dtisposizione di un atto -il d.P.R. 28 aprile 
1968 n. 1339 -che � privo della forza di legge e non pu� quindi essere 
impugnato avanti la Corte. 

Passando al merito della questione, s'impone un rilievo preliminare. 
Il penuitimo comma dell'art. 20 della legge del 1975 viene qui in rilievo, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

in quanto esso conferisce efficacia interna a quella clausola dell'accordo 
italo-francese di reciprocit�, della cui applicazione � investito il TAR: 
e H giudizio avanti detto Collegio riguarda, si � detto, le deroghe eccezionali 
in materia di apporti del coproduttore minoritario. Come risulta 
dal congegno, e dalla stessa formula, della statuizione censurata, l'in� 
tento manifestamente perseguito dal legislatore � quello di emanare un 
ordine di esecll2lione di pi� accordi internazionali, ivi incluso l'accordo 
italo-francese che interessa per l'attuale controversia. Nella specie, va 
altres� ricordato, l'ordine di esecuzione � posto nella forma della legge 
e vien fatto retroagire alla'data in cui sono entrate in vigore le cla~sole 
pattizie alle quali esso sii riferisce, che � poi quella della firma dell~ 

strumento internazionale (cfr. art. 15, primo comma, dell'accordo): per 
modo che esso dovrebbe sostituire, a tutti gli effetti; l'altro ordine di 
esecuzione, anteriormente emanato, sempre in relazione all'accordo in 
parola, con decreto presddenziale. 

� appena H caso di aggiungere come i'a�o del legislatore, in cui 
� contenuto un ordine di esecuzione, stia con Ja sottostante disciplina 
pattizia in quel particolare nesso funzionale, che �. caratteristico della 
normazione prodotta mediiante rinvio al trattato. Le norme poste nell'accordo 
devono, perch� possa funzionare questo tipo di adattamento, 
essere suscettibili di immediata applicazione: di guisa che da esse si 
estrae il contenuto delle corrispondenti norme immesse nell'ordinamento 
interno, la ct11i sfera di efficacia, soggettiva e temporale, dipende 'da 
quella de\le stesse statuizioni pattizie. Se cos� �, resta esclusa dall'indagine 
rimessa a questo Collegio l'ipotesi di sospetta violazione dell'art. 81, 
quarto comma, Cost., avanzata dal giudice a quo, in alternativa alle altre 
da esso prospettate, nel presupposto che la norma censurata abbia invece 
operato una semplice ed occasionale ricezione materiale delle disposizioni 
dell'accordo, e non risulti collegata con queste ultlime dal nesso 
funzionae sopra descritto. 

Ci� posto, delle censure che residuano all'esame della Corte con


viene considerare per prima quella concernente la violazione dell'art. 72, 

quarto comma, Cost. Si tratta, prcisamente, di verificare se l'ordine di 

esecu:llione del trattato sda stato adottato dal legislatore nel rispetto 

delle prescritte modalit� procedurali. Soltanto dopo che taile quesito 

fosse risolto in senso affermativo, potrebbe esser preso in considera


zione l'ulteriore problema posto nell'orctinanza di rinvio: il quale ha 

riguardo al vizio di dncostlituzionalit� che si assume inficiare fa norma 

di legge contenente l'ordine di esecuzione, per la dedotta inosservanza 

deMe altre prescrizioni costituzionali, concernenti fa previa autorizza


zione alla ratifica. 

Giova al corretto esame della specie ricordare che la legge di auto


rizzazione alla ratifica dei trattati internazionali � riservata al plenum 

dell'assemblea (cfr. artt. 72, quarto comma, Cast., 92 regolamento della 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Camera, 35 regolamento del Senato); fa ratifica deve, d'altra parte, essere 
autorizzata con legge quando -a parte le altre ipotesi �contemplate nel 
testo fondamentale -le disposizioni pattizie comportano modifiche del 
vigente ordinamento legislativo. Ora, il giudice a quo ravvisa nella denun� 
ciata previsione del penultimo comma dell'art. 20, adottata in sede di 
commissione deliberante, un'� implicita� autorizzazione alla ratifica del� 
l'accordo in considerazione. Di qui, appunto, eghi fa discendere la violazione 
della regol~ costituzionale che prescrive il ricorso alla procedura 
normale. 

La questione � fondata. Per raggiungere tale conclusione non occorre, 
per�, costruire la SJ?ecie come si vorrebbe nell'ordinanza di rinvio.� Il penultimo 
comma d�ll'art. 20 della legge del 1975 non contiene, neppure 
implicitamente, alcuna autorizzazione alla ratifica dell'accordo italo-fran� 
cese di reciprocit�, n� lo potrebbe. Ci� per il decisivo rilievo che la legge 
� intervenuta successivamente ali'entrata in vigore dell'accordo non sot� 
toposto a ratifica, mentre l'autonizzazione, qual � configurata nella Carta 
fondamentale, emana dal Parlamento necessariamente prima che il trat� 
tato sia ratificato. La Costituzione vuole che le Camere valutino in anti� 
cipo il testo del trattato, a:l fine di rimuovere, in quanto organi autorizzanti, 
il limite che, secondo le previsione degli artt. 80 e 87, circonda 
l'esercizio del potere di ratifica; ma la ratifica, nel caso in esame, non 
� stata nemmeno prevista, avendo le parti contraenti convenuto che 
l'accordo entrasse in vigore alla data della firma. 

Sta di fatto, �iunque, che la manifestazione di volont� dell'organo 

legislativo, in cui si concreta la norma oggetto di censura, serve a ren


dere efficaci disposizioni pattizie, rispetto alle quali le Camere non si 

erano ancora pronunziate. Vi �, poi, un profiilo della specie, che va chia� 

rito ed � di essenziale !importanza ai fini del decidere: lo stesso legi


slatore del 1975 mostra di ritenere che l'accordo internazionale, al quale 

fa riferimento la statuizione censurata, avrebbe -precisamente in ra


gione del suo contenuto precettivo, quale rileva nell'attuale contro


versia -richiesto l'intervento delle Camere, in sede sia di autorizzazione 

ailla ratifica, sia di ordine di esecuzione. Basta al riguardo riflettere su 

quel che, rispettivamente, dispongono il penultimo e l'ultimo comma del� 

l'art. 20: l'uno d� piena ed integrale esecuzlione alle norme dell'accordo 

di reciprocit� e alle successive modificazioni, fin dalla data, come si � 

avvertito, della relativa entrata in vigore; il'altro cosl testualmente sta� 

tuisce: � la �ratifica di ogni �lteriore accordo di reciprocit� in materia 

di coproduzione con imprese estere, che preveda la deroga di cui al se


condo comma dell'art. 19 della legge 4 novembre 1965, n. 1213, deve essere 

autorizzata con legge �. 

Vero � che la test� richiamata disposizione dell'art. 19 rinvia agli 

a~cordd internazionali di reciprocit� per l'eventuale previsione di dero


ghe eccezionaili alla quota di partecipazione artistica e tecnica, oltre che 


898 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO 

finanziaria, del coproduttore italiano (l'art. 19 detta, al tempo stesso, nor� 
me e criteri generali per il regime di coproduzione). Ma questo non 
significa ancora che tahi accordi siano stati esonerati dal rispetto della 
disciplina procedurale p~scritta, secondo Costituzione, per la categoria 
dei trattati, i quali incidono sulla sfera riservata alla legge. Ch� anzi, la 
norma censurata, e ~'altra che figura all'ultimo comma dell'art. 20 della 
legge del 1975, sono state poste successivamente, proprio per stabilire 
che le deroghe eccezionali, gi� previste o da introdurre nei suddetti 
accordi internazionali, ricadono pur sempre in un'area occupata dalla 
legge, e cos� non possono essere lasciate alla discrezionale valutazione 
degli orgaill� amministrativi, ma �sigono, per acquistare efficacia nell'am� 
bito dello S~ato, il ricorso ad un atto del potere legislativo: fermo restando, 
in conseguenza, che l'accordo in cui tali deroghe siano per il 
futuro prevedute, va soggetto a ratifica previa autorizzazione delle Ca� 
mere -evidentemente in quanto esso implica una sostanziale modifica� 
zione della legislazione ora vigente -e va per la stessa considerazione 
reso efficace con norme, che della legge abbiano la forma o la forza. 

Cos� si configura i1l caso in esame: non soltanto nel sistema della 

.... 

normativa del 1965 sulla cinematografia difettano, come rileva lo stesso 
giiudice a quo, gli estremi della delega; manca pure qualsiasi altro supporto 
per ritenere che le deroghe eccezionali al regime della coproduzione, 
di cui si occupa il T.A.R., siano rimesse alla fonte sublegisfativa. 
Non vi � dubbio, allora,. che sia stata correttamente denunciata l'inosservanza 
della procedura normale. Anche se testualmente prevista solo 
per la legge di autorizzaziiorie alla ratifica dei trattati, la garanzia connessa 
con la competenza dell'assemb:lea plenaria discende dal sistema 
delle norme costituzionali, che definiscono le attribuzioni delle Camere 
riguardo ai trattati internazionali (artL 80 e 87 Cost.): essa non pu� non 
valere anche per l'ordine di esecuzione, dove, come qui accade, questo 
sia emanato dal legislatore, per un verso in mancanza di previa autorizzazione 
alla ratifica, per l'altro in presenza di una disciplina pattizia, 
fa quale verte su. materia che lo stesso organo legislativo ha espressa� 
mente attratto nella propria sfera. Ci� esime la Corte dall'esaminare ogni 
altro profilo delle questioni prospettate. 

La dichiarazione di illegittimit� costituzionale del citato art. 20, penultimo 
comma, conseguente alla violazione dell'art. 72, quarto comma, 
Cost., va dichiarata, peraltro, limitatamente alle norme che nell'accordo 
italo-francese concernono la partecipazione del coproduttore minoritario: 
invero, � solo per quest'aspetto del regime dettato dall'accordo, che la 
Corte � chiamata a stabilire se il relativo ordine di esecuzione andava 
emesso con legge ed in conformit� della procedura prescritta per autorizzare 
la ratifica dei trattati internazionali. 


\�. 

~: 

j: 
I ~ 
I 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

p.p.m. 
~) dichiara inammissibile la questione di legittimit� costituzionale 
dell'articolo unico, lett b), del d.P.R. 28 aprile 1968, n. 1339, sollevata 
dal T.A.R. del Lazio con l'ordinanza in epigrafe; 

2) dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 20, penultimo comma, 
della legge 21 giugno 1975, n. 287, nella parie in cui d� piena e integI1ale 
esecu:llione alla previsione delle deroghe eccezionali di cui all'art. 5, 
paragrafo IV, deLl'accordo di coproduzione cinematografica italo-francese 
del 1� agosto 1966, e �alle successive modificazioni�. 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE * 


* NOTA: Nel corso del 1984, su 134 sentenze (escluse quelle in cause di personale) 
emesse dalla Corte di Giustizia delle Comunit� europee, 30 sono state pronunciate 
in cause alle quali ha partecipato l'Italia (9 in occasione di controversie 
dirette fra la Commissione e l'Italia, 1 in controversia fra la Commissione e 
altri Stati membri, nella quale � intervenuta 1'1-talia, 20 in cause pregiudiziali 
ad sensi dell'art. 177 del Trattato CEE o del protocollo allegato alla Convenzione 
di Bruxelles del 27 settembre 1%8). 
Oltre -alle sentenze pubblicate in questa Rassegna nel presente fascicolo 
e in quelli precedenti dell'annata in cprso, la Corte ha pronunciato le seguenti 
altre sentenze (alcune delle quali saranno pubblicate nei prossimi fascicoli): 

-9 febbraio 1984, nella causa 295/82, RhOne -Alpes Huiles e.a. c. Syndacat 
national des fabbricants ratfineurs d'huiles de graissage e.a., nella quale, 
in meteria di libera circolazione delle merci -oli usati, � stato dichiarato che 
�gli obiettivi della direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, n. 75/439, concernente 
l'eliminazione degli oli usati, e delle norme del Tiiattato CEE sulla 
libera circolazione delle merci richiedono che gli oli usati possono essere 
consegnati a un eliminatore di un altro Stato membro che ha ottenuto in 
questo Stato l'autorizzazione di cui all'art. 6 della direttiva, sia mediante un 
detentore che un raccoglitore autorizzato �; 

-27 marzo 1984, nella causa 169/82, Commissione c. Italia, in tema di aiuti 
all'agricoltura della Regione siciliana, nella q~ale la Corte ha parzdalmente 
accolto il ricorso della Commissione, ritenendo contrari al Trattato alcuni 
aiuti all'agricoltura disposti con leggi della Regione siciliana, per la produzione 
di grano duro, di uva da tavola e di pomodoro da avviare alla trasformazione; 
la Corte, invece, ha respinto il ricorso relativamente ad altre misure contestate 
(prestiti a tasso agevolato alle industrie conserviere, aiuti per �i settori delle 
mandorle, delle nocciole, dei pistacchi); 

-5 giugno 1984, nella causa 280/83, Commissione c. Italia, in tema di 
imposte diverse dall'imposta sulla cifra d'affari sul consumo dei tabacchi manifatturati, 
dove la Corte ha ritenuto che la Repubblica italiana, non adottando 
nel termine stabilito le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva 
del Consiglio 18 dicembre 1978, n. 79/32, � venuta meno agli obblighi ad essa 
incombenti in virt� del Trattato; 

-21 giugno 1984, nella causa 116/83, Bureau belge d'assurance c. Fantozzi 
:in materia di assicurazione obbligatoria autoveicoli, nella quale la Corte ha 
ribadito quanto gi� affermato con la propria sentenza 9 febbraio 1984, nella 
causa 64/83 (pubbl. in questa Rassegna, ante, pag. 689); 

-'11 luglio 1984, nella causa 130/83, Commissione c. Italia, ancora in tema 
di aiuti all'agricoltura della Regione siciliana: qui la Corte ha dichiarato inadempiente 
la RepubbHca italiana per non essere stata data esecuzione a una 
precedente decisione della Commissione, non impugnata, che aveva ritenuto 
incompatibili con il Trattato alcuni aiuti concessi nei settori vitivinicolo ed 
ortofrutticolo; 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

901 

-12 luglio 1984, nella causa 218/83, Le Rapides Savoyards {di prossima 
pubblicazione), sulla nozione di prodotti originari nell'ambito dell'accordo di 
libero scambio CEE-Confederazione elvetica, dove la Corte ha statuito che la 
Vlalutazione dei fattori rilevanti per determinare l'origine di un prodotto, e 
pertanto la sua ammissione al regime preferenziale, spettano. all'amministra� 
zione doganale dello Stato esportatore del prodotto�fui.ito, la quale applica agli 
elementi importati dai paesi terzi, al momento dell'importazione di questi 
elementi, le proprie norme rin fatto di valore doganale e di cambio; 

-12 luglio 1984, nella causa 242/83, Patteri (di prossima pubblicazione), 
in materia di previdenza sociale, nella quale la Corte ha stabilito che, se nel 
caso contemplato dall'art. 77, n. 2, lett. b), i), del reg. CEE 1408/71, l'importo 
delle prestazioni versate dallo Stato di residenza � inferiore a quello delle prestazioni 
corrisposte dall'altro Stato debitore, il lavoratore fruisce dell'importo 
pi� eleV1ato ed ha il diritto di ricevere, a carico dell'ente competente di questo 
ultimo Stato, un'integrarione delle prestazioni pari alla differenza fra i due 
importi; 

-18 settembre 1984, nella causa 221/83, Commissione c. Italia, rin tema 
di libera circolazione delle persone-veterinari, nella quale la Corte ha ritenuto 
inadempiente l'Italia per non: aver dato completa attuazione alle direttive CEE 
del Consiglio 78/1026 e 78/1027; � 

-19 settembre 1984, nella causa. ?4/83, Hejn {di prossima pubblicazione), 
in materia di antiparassitari su prodotti agricoli, dove 1a Corte ha statuito che 
� gli artt. 30 e 36 del Trattato non ostano �a che uno Stato membro vieti 
l'importazione di mele provenienti da un altro Stato membro in ragione della 
presenza, su o dentro queste mele, di una quantit� di vinclozolin superiore a 
quella prescritta dalla legge del primo Stato, anche �se il tenore massimo am� 
missibile di vinclozolin prescritto nel primo Stato membro � diverso da quello 
prescritto per altri generi �limentari o beV'ande �; 

-3 ottobre 1984, nella causa 279/83, Commissione c. Italia, riguardante 
l'assistenza reciproca in materia di IVA, dove l'Italia � stata ritenuta inadempiente 
per il mancato recepimento della direttiva 79/1071/CEE del Consiglio; 

-3 ottobre 1984, nella causa 254/84, Commissione c. Italia, nella quale la 
Corte ha ritenuto inadempiente la Repubblica italiana per la mancata adozione 
di alcune delle misure di applicazione del regolamento CEE 2%7 /76 del Con� 
siglio e 2785/80 della Commissione (in particolare delle misure sanzionatorie 
delle infrazioni), in materia di tenore d'acqua di pollame congelato; 

-13 novembre 1984, nella causa 191/83, Salzano (di prossima pubblicazione), 
in materia di previdenza sociale, in cui 1a Corte ha statuito che �la 
sospensione degli assegni familiari dovuti a norma dell'art. 73 del reg. CEE 

n. 1408/71 nel paese in cui lavora uno dei genitori non ha luogo allorch� l'altro , 
genitore risiede con i figli in un altro Stato membro e svolge in questo paese 
un'attivit� lavorativa, senza tuttavia ricevere assegni familiari per i figli in 
quanto non ricorrono tutti i presupposti ai quali la legge di questo Stato 
membro subordina l'effettiva fruizione di detti assegni f.amdliari �; 
-27 novembre 1984, nella causa 99/83, Fioravanti (di prossima pubblicazione), 
in materia di transito comunitario, nella quale 1a Corte ha delineato la 
nozione di transito comunitario in fattispecie in cui la merce passi per la 
Svizzera, precisando alcuni adempimenti e indicando a chii compete l'azione di 
recupero dei dazi evasi; 

-27 novembre 1984, nella causa 254/83, Cauzaturificio Brennero (di prossima 
pubblicazione), sulla convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 
relativa alla competenza giurisdizionale ed alla esecuzione delle decisioni, do\1\e 
1a Corte ha statuito che l'arL 38 della convenzione stessa deve essere inter� 


902 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

pretato nel senso che una giurisdizione adita in sede di ricorso contro l'exequatur 
non pu� subordinare l'esecutoriet� alla costituzione di una garanzia 
se non al momento della statuizione definitiva sul rico~so stesso; solo contro 
questa statuizione, ha aggiunto la Corte, � ammesso ricorso per cassazione; 

-13 dicembre 1984, nelLa causa 106/83, Soc. Sermide c. Cassa Conguaglio 
Zucchero e Min. Tesoro e Finanze (di prossima pubblicazione), dove sono stati 
disattesi i dubbi sulla validit� di alcune norme dci reg. CEE della Commissione 
n. 700/73 e 3358/81, che fissano determinate modalit� necessarie per l'applicazione 
del regime delle quote nel settore dello zucchero e gli importi dei 
contribuenti. � 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 13 marzo 1984, 
nella causa 16/83 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Slynn Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgericht di Monaco 
di Baviera nel procedimento penale c. Prantl -Interv.: Governi 
della Rep. fed. di Germama (ag. Lukes) e italiano (avv. Stato Braguglia) 
e Commissione delle C.E. (ag. Wainwright e Jansen). 

Comunit� Europee -Libera circolazion� delle merci � Misure di effetto 
equivalente a restrizioni quantitative all'importazione � Imbottiglia� 
mento di vini � Forma della bottiglia (Bocksbeutel). 
(Trattato CEE, art. 30; regolamenti CEE del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 337 e n. 355 

e della Commissione 8 agosto 1980, n. 2164, e 26 marzo 1981, n.: 997). 

Comunit� Europee � .Libera circolazione delle merci � Misure di effetto 
e'ltlivalente a restrizioni quantitative all'importazione � Imbottigliamento 
di vini � Forma della bottiglia (Bocksbeutel) � Motivi di ordine 
pubblico o di tutela della propriet� industriale o commerciale � 
Insussistenza. 
(Trattato CEE, art. 36). 

L'art. 30 del Trattato dev'essere interpretato nel senso che l'applicazione, 
da parte di uno Stato membro, all'importazione di vini originari 
di un altro Stato membrp, di una normativa nazionale che riservi l'impiego 
di bottiglie aventi ~na determinata forma a taluni produttori na� 
zionali costituisce misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa 
qualora l'impiego di bottiglie aventi la stessa forma o una forma 
simile sia conforme ad un uso correttamente e tradizionalmente praticato 
nello Stato d'origine (1). 

(1-2) Statui7Jione speculare rispetto a quella costante della Corte secondo cui 
sono vietate dall'art. 30 del Trattato le misure nazionali che impongono, per 
lo smercio, una determinata forma di presentazione del prodotto: cfr. sentenza 
19 febbraio 1981, nella causa 130/80, .KEl.LERMAN, in Racc. 1981, 527, e 10 novembre 
1982, nella causa 261/81, R.Av, in Racc., 1982, 3961. Quanto alla costante 
giurisprudenza della Corte secondo cui, in assenza di un'esauriente normativa 
comune in materia di confezionamento dei prodotti considerati, gli ostacoli 



PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

903 

L'art. 36 del Trattato dev'essere interpretato nel senso che le misure 
di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione derivanti' 
da una normativa nazionale che riservi l'impiego di bottiglie aventi una 
determinata forma a taluni produttori o commercianti nazionali non 
possono essere giustificate: 

-da motivi di ordine pubblico, indipendentemente dal fatto che 
detta normativa commini o no sanzioni penali; 

-da motivi attinenti alla tutela della' propriet� industriale e com� 
merciaie, in quanto siffatte bottiglie sono tradizionalm~nte usate dai 
produttori nazionali, qualora bottiglie identiche o simili siano impiegat� 
in un_ altro Stato membro in forza di usi correttamente e tradizionalmente 
praticati nel commercio di vini provenienti da questo Stato (2). 

(omissis) 1. � Con ordinanza 12 gennaio 1983, pervenuta in cancelleria 
il 28 gennaio 1983, il Landgericht di Monaco di Bariera II ha sottoposto 
a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni 
pregiudiziali relative all'interpretazione degli_ artt. 30 e 36 del Trat� 
tato CEE, per poter essere messo in grado di valutare la compatibilit� 
col diritto comunitario del � 17 del regolamento 15 luglio 1971 sul vino, 
sul vino liquoroso e sulle bevande a base di vino (Bundesgesetzblatt 1971, 
prima parte, pag. 926), in prosieguo: regolamento sul vino. 

2. � Dette questiorui. sono state sollevate nell'ambito di un procedi� 
mento penale nei confronti del sig. Prantl, cittadino italiano, commer� 
ciante di bevande, at quale si fa carico di avere, dal 3 dicembre 1980 
al 10 settembre 1981, con azione continuata, importato, detenuto e ven� 
duto nella Repubblica federale di Germania vino rosso iitaliano prove� 
niente dalle cantine Martini di Girlan (Bolzano), impiegando bottiglie 
dette � Bocksbeutel �, 
3. � La bottiglia � Bocksbeutel � � una bottiglia panciuta, di forma 
caratteristica, nella quale vengono messi in commercio i vini di qualit� 
(VQPRD) prodotti in Franconia, nella zona chiamata Franconia del Baden 
e in quattro comuni situati nella parte centrale del Baden. Nella Fran� 
conia questa bottiglia � tradizionalmente usata da parecchi secoli. 
risultanti, per la libera circolazione intracomunitaria, dalle disparit� delle norme 
nazionali devono essere accettate solo in quanto una disciplina nazionale del 
genere, che si applichi indistintamente alla merce nazionale e a quella importata, 
possa essere giustificata dalla necessit� di soddisfare esigenze imperative concernenti, 
in particolare, la tutela dei consumatori e la lealt� dei negozi com� 
merciali, cfr., fra le altre, le sentenze sopra citate nonch� le sentenze 20 feb� 
braio 1979, nella causa 120/78; REwE, in Racc. 1979, 649, e 26 giugno 1980, nella 
causa 788/79, GILLI, in Racc. 1980, 2071. 

6 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

4. -Anche in Italia, nella provincia cld Bolzano, la � Bocksbeutel � 
viene usata da oltre un secolo. La bottiglia italiana tradizionale del 
tipo � Bocksbeutel � � leggermente pi� rotonda ed ba il collo un po' pi� 
corto di quella della Franconia. 
5. -J.l � 17 del regolamento tedesco sul vino, nella versione in vigore 
al tempo dei fatti di causa, dispone: 
� Pu� essere posto in commercio in � Bocksbeutelflaschen � di tipo 
tradizionale solo vino con denominazione d,'origine controllata della specifica 
zona di produzione della Franconia, del Taubertal bavarese e dello 
Schiipfergrund nonch� dei comuni di Neuweier, Steinbach, Umweg e 
Vamahlt�. 

Il 
� 23, n. 2, dello stesso regolamento recita: 
�a norma del � 67, n. 5, punto-2, del Weingesetz [legge sul vino] 
� punito colui il quale, in spregio del � 17, mette in commercio in 
� Bocksbeutelflaschen � prodotti diversi da quelli ivi indicati�. 

6. -Il 6 luglio 1982, l'Amtsgericht di Miesbach, proscioglieva il Prantl 
co11siderando che, anche se le bottiglie da lui usate erano effettivamente 
del tipo � Bocksbeutel � tradizionaile, ai sensi del � 17 del regolamento 
sul vino, quest'ultima disposizione non poteva essere applicata in base 
agli artt. 30 e 36 del Trattato CEE. 
7. -Il Pubblico Ministero interponeva appello contro questa sentenza 
dinanzi al Landgericht di Monaco di Baviera II, sostenendo che 
il � 17 del regolamento sul vino non stabilisce una restrizione quantitativa 
all'importazione contrastante con l'art. 30 del Trattato CEE e 
comunque � giustificato dall'interesse del consumatore e dalla tutela della 
lealt� degli scambi commerciali. 
8. -Il Landgericht ritiene che le bottiglie usate dall'impresa del 
Prantl �assomiglino molto nella forma alla bottiglia � Bocksbeutel della 
Franconia � e che si tratti di bottiglie � Bocksbeutel � di tipo tradizionale 
ai sensi del � 17 del regolamento sul vino �. Tuttavia si chiede se questa 
disposizione, in caso d'importazione di vino da un altro Stato membro, 
sia compatibile con gli artt. 30 e 36 del Trattato CEE. 
9. -Pertanto, esso considera necessario, prima di emettere la sua 
sentenza, sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti ques1Jioni pregiudiziali: 
� l. Se il � 17 del regolamento 15 luglio 1971 sul vino, sul vino 
liquoroso e sulle bevande a base di vino (Wein-Verordnung) abbia effetto 
equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione vietata dall'art. 
30 del Trattato. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 90S 

2. Se, nelle particolari circostanze della presente fattispecie, il � 17 
della Wein-Verordnung possa venir applicato per la tutela dei beni giuridici 
indicati nell'art. 36 del Trattato CEE �. 
10. -Come ha giustamente osservato il Governo della Repubblica 
federale di Germania, nell'ambito dell'art. 177 del Trattato CEE la Corte 
di giustizia non pu� pronunziarsi sull'interpretazione e sulla validit� di 
norme giuridiche nazionali. Tuttavia la Corte, come essa ha pi� volte 
dichiarato, pu� fornire al giudice nazionale criteri per l'interpretazione 
del diritto comunitario che gli consentono clLi. risolvere il problema sottopostogli. 
11. -Lette alla luce di questa premessa, le. questioni del giudice a quo 
mirano a stabilire se gli artt. 30 e 36 dle Trattato debbano essere interpretati 
nel senso che essi ostano a disposiziorui come quelle contenute 
nella normativa nazionale di cui trattasi. 
Sull'applicazione della normativa comunitaria in materia di organizzazione 
comune del mercato vitivinicolo. 

12. -� opportuno esaminare innanzitutto le osservazioni formulate 
in. via principale dalla Commissione, la quale sostiene che nell'ambito 
dell'organizzazione comune del mercato vitivinicolo vige una normativa 
comunitaria esauriente che contiene tutte le disposizioni necessarie relative 
alla presentazione dei vini e all'impiego clLi. taluni recipienti per 
consentire di distinguere la qualit� e l'origine dei vini. La Commissione 
ne deduce che ormai esistono cl!i.sposizioni preminenti di diritto comunitario 
e che, dopo l'entrata in vigore di questa disciplina, gli Stati mem� 
bri non hanno pi� il potere di mantenere in vigore o emanare provvedimenti 
nazionali nel settore di cui trattasi. 
13. -� esatto che quando una normativa che istituisce un'organizzazione 
comune di mercato pu� essere considerata esauriente gli Stati 
membri non hanno pi� competenza in materia, salvo che non sia specificamente 
disposto in senso contranio. 
14. -Del pari, � vero che alil'epoca dei fatti cui si riferisce la causa 
principale le norme di diritto comunitario relative all'organizzazione comune 
del mercato vitivinicolo (e in particolare il regolamento del Consi� 
glio 5 febbraio 1979, n. 337, concernente l'organizzazione comune del mercato 
vitivinicolo -G. U. n. L 54, pag. 1; il regolamento del Consigilio 5 febbraio 
1979, n. 355, che stabilisce le norme generali per la designazione e 
la presentazione dei vini e dei mosti di uve -G. U. n. L 54, pag. 99; il regolamento 
della Commissione 8 agosto 1980, n. 2164, recante settima modifica 
del regolamento n. 1608/76, relativo a modalit� d'applicazione per 
la designazione e la presentazione dei vini e dei mosti di uve -G. U. n. L 214, 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

pag. 1; iJ. regolamento della Commissione 26 marzo 1981, n. 997, recante 
modalit� d'applicazione per la designazione e la presentazione dei vini 
e dei mosti di uve -G. U. n. L 106, pag. 1) potevano essere considerate 
come una disciplina esauriente, segnatamente in materia di prezili e di 
intervento, di scambi con i paesi terzi, di produzione e di talune pratiche 
enologiche, nonch� per quanto concerne la designazione dei wni e l'etichettatura. 


15. -Tuttavia, occorre rileyare che l'art. 54, n. l, del regolamento 
n. 337/79 dispone espressamente: � il Consiglio, che delibera a maggioranza 
qualificata su proposta della Commissione, stabilisce, se necessario, 
le norme relative alla designazione ed alla presentailione dei prodotti 
enumerati all'art. 1. Fino all'applicazione delle norme di cui al primo 
comma, le norme applicabili in materia sono quelle adottate dagli Stati 
membri�. Orbene, il regolamento n. 355/79 si � limitato a precisare, 
all'art. 40, che l'uso dei recipienti pu� essere subordinato a tailune condizioni 
da stabilire, che garantiscano, fra l'altro, la distinzione della qualit� 
e dell'origine della merce, e, all'art. 43, che la designazione e la presentazione 
dei vini non devono creare confusione sulla natura, sull'origine 
e sulla composizione del prodotto. A proposito della tutela da garantire 
a talune bottiglie di forma particolare, il regolamento n. 997/81 si � 
limitato, all'art. 18, a tutelare l'uso della bottiglia del tipo � fhlte d'Alsace �. 
16. -Per quanto riguarda il problema della forma delle bottiglie e 
della tutela di cui essa pu� fruire, problema che ha carattere accessorio 
rispetto a:i principi fondamentali dell'organizzazione comune di mercato, 
dalle disposiziol11i relative alla tutela della bottigia del tipo � fl�te d'Alsace 
� non � lecito dedurre che il legislatore comunitario ha esaurito 
la competenza attribuitagli dall'art~ 54 precitato. A sostegno di questa 
conclusione si pu� peraltro rilevare che da vari anni sono in corso trattative 
a l�vello comunitario per l'istituzione di una normativa che tuteli 
la � Bocksbeutel � e che a questo scopo sono state elaborate, infruttuosamente, 
numerose proposte di regolamento. Di conseguenza, il precitato 
art. 54, n. l, del regolamento n. 337/79 consente, in questa materia, 
la conservazione delle norme adottate dagli Stati membri, purch� esse 
non siano in contrasto con gli artt. 30 e segg. del Trattato. 
17. -Pertanto, le osservazioni presentate in via princip~le dalla Commissione 
non possono essere accettate ed occorre risolvere le questioni 
del .giudice nazionale relative all'interpretazione degli artt. 30 e 36 del 
Trattato. 
Sull'art. 30 del Trattato (prima questione) 

' 

18. -Con la prir_n.a questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, 
se l'art. 30 del Trattato debba essere interpretato nel senso che costi-
I 

I 
l) 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

tuisce misura d'effetto equivalente a una restrizione quantitativa l'applicazione, 
da parte di uno Stato membro, all'importazione di vino originario 
di un altro Stato membro, di una normativa che riservi l'uso di bottiglie 
aventi una determinata forma a talun� produttori nazionali e che commini 
sanzioni per l'uso di bottiglie simili da parte di qualsiasi altro 
operatore. 

19. -Il Governo della Repubblica federale di Germania ha sostenuto 
che la disposizione consdderata del regolamento sul vino non ricade 
sotto il divieto stabiLito dall'art. 30 del Trattato in quanto; 
-non costituisce un provvedimento nazionale atto a compromettere 
sensibilmente gli scambi commerciali intracomunitari; 
-si applica indistintamente alle merci nazionali e alle merci importate; 


-commina sanzioni solo per l'uso della � Bocksbeutel � originale e 
quindi non concerne, di regola, gli importatori che usano bottiglie simili, 
qualqra queste bottiglde presentino differenze, anche leggere, rispetto 
a quelle originali; 

-� giustificata da motivi inerenti alla protezione dei consumatori 
e alla lealt� degli scambi commerciali, poich� la � Bocksbeutel � originale 
dev'essere considerata come indica2Jione indiretta di provenienza geografica. 


20. -Occorre ricordare, in primo luogo, c}1e l'art. 30 del Trattato 
vieta nel commercio tra Stati membri qualsiasi misura di effetto equivalente 
a una restrizione quantitativa. Perch� una misura contrasti con 
questo ddvieto � sufficiente che essa sia idonea ad ostacolare, direttamente, 
o indirettamente, in atto o in potenza, g1i scambi tra gli Stati 
membri; non � necessario che il provvedi~ento comprometta sensibilmente 
gli scambi intracomunitari. 
21. -In secondo luogo si deve osservare che, come la Corte di giustizia 
ha pi� volte dichiarato, una normativa nazionale relativa alla messa 
in commercio di un prodotto, anche se si applichi indistintamente alle 
merci nazionald e a quelle importate, non sfugge al divieto sancito dall'art. 
30 del Trattato quando produca, di fatto, effetti protezionistici favorendo 
una produrione nazionale tipica e sfavorendo, nella stessa misura, 
varie categorie di prodotti di altri Stati membri. 
22. -S9tto questo profilo, una disciplina come quella dettata dal � 17 
del regolamento sul vino, ruservando l'uso di bottiglie aventi una determinata 
forma a taluni produttori di vini nazionali, produce effetti protezionistici 
in quanto favorisce questi produttori rispetto a quelli di altri 
Stati membri che imbottigliano tradizionalmente il loro vino in recipienti 
di forma identica o molto simile. 

908 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

23. -Infatti, i produttori dello Stato membro esportatore elle intendano 
smerciare il :loro vdno nello Stato membro in cui � stata emanata 
la disciplina oggetto della causa principale, sono obbligati a confezionare 
il vino, per un mercato determinato, in bottiglie diverse da quelle da 
loro tradizionalmente impdegate tanto nel loro paese d'origine quanto 
sul mercato degli altri Stati membri. La ~essa in commercio di questo 
vino � in tal modo resa pi� difficile o pi� onerosa, soprattutto in ragione 
delle ulteriod spese cagionate dalla necessit� di confezionare specificatamente 
il prodotto per renderlo conforme alle esigenze che prevalgono 
sul mercato cui � destinato. Inoltre, i suddetti produttori sono privati 
del vantaggio commerciale che pu�, per loro, rappresentare l'uso, sul mercato 
sul quale si applica la disciplina considerata, della confezione tradi2lionale 
nello Stato o nella regione d'origine. 
24. -Risulta pertanto che una normativa del genere, anche se si 
applica indistintamente alla merce. nazionale e a quella importata, produce 
in pratJica effetti protezionistici. Di conseguenza, essa non pu� sfuggire 
al divieto stabilito dall'art. 30 del Trattato. 

. I 

25. -In terzo luogo, � esatto che, come la Corte di giustizia ha pi� 
volte. dichiarato, in assenza di. una esauriente normativa comune I�.n 
materia di confezionamento dei prodotti consideratli, gli ostacoli risultanti, 
per ia libera circolazione intracomunitaria, dalle disparit� delle norme 
nazionali devono essere accettate in quanto una disciplina nazionale del 
genere, che si applichi indistintamente alla merce nazionale e a quel.la 
importata, possa essere giustificata dalla necessit� di soddisfare esigenze 
I�.mperative concernenti, in particolare, la tutela dei consumatori e la 
lealt� dei negozi commerciahl. 
26. -In via di principio non si pu� contestare la fogittimit� di norme 
giuridiche intese ad evitare che il consumatore confonda tra loro vini 
di origine e qualit� diverse. Questo intento � particolarmente ragguardevole 
in materia di vino, dove le tradizioni e le carattel'listiche specifiche 
hanno un ruolo importante. Peraltro, nel preambolo del regolamento 
n. 355/'79 si dichiara in proposito, al� secondo punto, che � lo scopo di 
qualsiasi designazione e presentazione dev'essere di fornire delle :informazioni 
quanto pi�.esatte e precise possibile per 11'apprezzamento della 
merce tanto da parte dell'eventuale acquirente quanto da parte degli 
enti pubblici incaricatli della gestione e del controllo del commercio dei 
prodotti in questione; che occorre pertanto stabilire delle norme atte 
a conseguire tale scopo�, e, al terzo punto, che �occorre ricercare una 
informazione ottimale degli interessati, pur tenendo conto deMa diver,.


sit� degli usi e delle tradizioni sia negli Stati membri che nei paesi � 

i:
terzi, nonch� dell'evoluzione del diritto comunitario �. 

~ 

.. I 
~: 


! 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 909 

21. -Tuttavia, trattandosi di stabilire se una normativa nazionale 
possa legittimamente, per tutelare una indicazione indiretta d'oI1igine geografica 
nell'interesse della protezione del consumatore, vietare la messa 
in commercio di vini importati in un determinato tipo dii bottiiglia, � necessario 
sottolineare che, in un regime di mercato comune, la tutela dei 
consumatori e la lealt� dei negozi commeraiahi in materia di presentazione 
dei vini devono essere garantite nel reciproco rispetto degli usi 
correttamente e tradirionalmente praticati nei vari Stati membI1i. 
28. -A questo proposiito, dalla discussione dinanzi alla Corte � risultato 
che bottiglie identiche� alla � Bocksbeutel � o che presentano, rispetto 
a questa, differenze impercettiibili al consumatore sono tradizionalmente 
impiegate per lo smercio dei vini originari di talune regioni 
italiane. L'esclusiva dell'uso di un tipo di bottiiglia, garantita da una normativa 
nazionale in uno Stato membro, non � pertanto oppombille all'importazione 
di vini originari di un altro Stato membro, confe2lionati in 
bottiglie di forma identica o simile in ragione di un uso correttamente 
e tradizionalmente praticato in questo Stato membro. 
25. � Il Governo della Repubblica federale di Germania sostiene che 
la messa in commercio di vini di provemenza diversa nello stesso tipo 
di bottiglia pu� indurre in errore ii consumatori. Va per� rilevato che le 
disposizioni comunitarie relative all'etichettatura dei vini, e in particolare 
gli artt. 12-18 del regolamento n. 355/79, concernenti l'etichettatura 
dei vini di qualit� prodotti in regioni determinate, costituiscono una normativa 
particolarmente elaborata, che consente di evitare le confusioni 
temute. 
30. -La pnima questione va pertanfo risolta come segue: l'art. 30 
del Trattato dev'essere dnterpretato nel senso che l'applicazione, da parte 
di uno Stato membro, all'importazione di vini originari di un altro Stato 
membro, di una normativa nazionale che riservi l'impiego dii bottiglie 
aventi una determinata forma a taluni produttori nazionali costituisce 
misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa quailora l'impiego 
di bottiglie aventi la stessa forma o una forma simile sia conforme 
ad un uso correttamente e tradizionalmente praticato nello Stato di 
origine. 
Sull'art. 36 del Trattato (seconda questione) 

31. -Con la seconda questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, 
se l'applicazione di una normativa che riservi l'impiego di bottiglie 
aventi una determinata forma a una categoria di produttori nazionali 
di vino possa essere !�iustificata da una delle deroghe al principio 
fondamentale della libera circolazione delle merci contemplate dall'art. 36 
del Trattato. 

RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DEI.LO STATO 

32. -A questo proposito il Governo della Repubblica federale dl 
Germania ha sostenuto, in primo luogo, che iil � 17 del regolamento sul 
vino � giustifiicato da moti.vi di ordine pubblico, ai sensi dell'art. 36 
del Trattato, poich� commina sanzioni penali per il caso di inosservanza 
di quantb da esso prescritto. 
33. -Occorre osservare che non basta, perch� una normativa rientri 
nella nozione di ordine pubbLico ai sensi dell'art. 36 del Trattato, che essa 
stabilisca sanzioni penali. 
34. -Il Governo della Repubblica federaile di Germania ha in S(;lcondo 
luogo asserito che la presentazdone del vino della Franconia e del Baden 
nella � bottiglia Bocksbeutel originale � costiituisce un'indicazione indiretta 
di provenienza geografica e, di conseguenza, un diritto di propriet� 
industriale e commerciale dei produttori aventi sede nella regione determinata, 
diritto che fa normativa controversa pu� validamente tutelare. 
35. -A questo proposito � sufficiente, senza che occorra risolvere. i 
problemi giuridici sollevati con questa asserzione, rilevare che comunque 
i produttori che impiegano tradi:llionalmente bottiglie di una determinata 
forma non possono richiamarsi efficacemente ad un diritto di propriet� 
industriale e commerciale per opporsi all'importazione di Vlini originari 
di un altro Stato membro e confezionati in bottiglie identiche o simili 
in forza di us� correttamente e tradizionalmente praticati in questo 
Stato. 
36. -Il Governo della Repubblica federaile di Germania ha infine fatto 
presente_ che l'associazione tedesca � Frankenwein-Frankenland e V.�, che 
ha lo .scopo, in particolare, di garantire la tutela del diritto dell'impiego 
esclusivo della � Bocksbeutel � per l'imbottigliamento del vin� della Franconia, 
ha depositato il 4 giugno 1978 un segno distintivo consistente nella 
riproduzione di una � Bocksbeutel originale� con un'etichetta figurata. 
Esso ne deduce che detta associazione � titolare dii un diritto di propriet� 
industriale e commerciale e che il valore del segno distiintivo de� 
positato sarebbe compromesso se la � Bocksbeutel � originaile potesse 
essere usata per l'imbottigliamento di vini di altra provenienza. 
37. -Occorre notare, su questo punto, che il deposito, da parte di 
un'associazione di produttori, di un segno distintivo consistente nella 
riproduzione dii una bottiglia avente una determinata forma con un'etichetta 
figurata e la. tutela che ne deriva sono del tutto iirrilevanti ai 
fini della questione se una normativa nazionale che riservi l'uso di una 
bottiglia. deMa stessa forma ai produttori di viini di talune regioni sia 
giiustificata in forza dell'art. 36 del Trattato. 
38. -La seconda questione del giudice naiionale va pertanto cos� 
risolta: l'art. 36 del Trattato dev'essere interpretato nel senso che le 
I'.: 

i: 
I 1: 

I

l 

, lj 


911

PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

misure di effetto equivalente a restrizioDI� quantitative all'importazione 
derivanti da una normativa nll7Jionale che riservi J'impiego di bottiglie 
aventi una determinata forma a taluni produttori o commercianti nazionaili 
non possono essere giustificate: 

-da motivi di ordine pubblico, indipendentemente dal fatto che 
detta normativa commini o no sanzioni penalti; 

-da motivi attinenti alla tutela della propriet� industriale e com� 
merciaie, in quanto siffatte bottiglie sono tradizionalmente usate dai 
produttori nazionali, qualora bottiglie identiche o simili siano impiegate 
in un altro Stato membro in forza fdi usi correttamente e tradizionalmente 
pratdcatii nel commercio di i. vini provenienti da questo Stato. 

(omissis) 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 7 giugno 1984, 
nella causa 129/83 . Pres. Koopmans � Avv. Gen. Mancini � Domanda 
di pronuncia pregiudiziale prop0sta dall'Oberlandesgericht di Monaco 
di Baviera nella causa Zelger c. Salinitri � Interv.: Governo 
italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Zimmerman). 


Comunit� Europee � Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla 
competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia 
civile e commerciale � Competenza giurisdizionale � Giudice successi� 
vamente adito � litispendenza. 
(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con 

legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 21). 

L'art. 21 della Convenzione 27 settembre 1968, concernen.te la competenza 
giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile 
e commerciale, va interpretato nel senso che deve considerarsi � preventivamente 
adito � il giudice dinanzi al quale sono stati soddisfatti 
in primo luogo i requisiti ai quali � subordinata la litispendenza definitiva; 
tali requisiti devono essere valutati in base alla legge nazionale 
di ciascuno dei giudici interessati (1). 

(11) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo -italiano, le cui 
osservazioni scritte qui di seguito si riportano. 
Il � giudice successivamente adito � nella convenzione di Bruxelles del 
27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale. 

(omissis) 2. �-La questione appare di agevole soluzione secondo la 
versione in lingua italiana dell'art. 21 d�lla Convenzione di Bruxelles. 
L'art. 21 � posto nella sezione intiitolata � litispendenza e connessione� e 
dispone che � qualora, davanti a giudici ~i Stati contraenti differenti e fra le 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) 1. -Con ordinanza 22 giugno 1983, pervenuta alla Corte 
1'8 luglio 1983, l'Oberlandesgericht di Monaco di Baviera ha sollevato, 
a nonna del Protocollo 3 giugno 1971, relativo all'interpretazione da parte 
della Corte di giustizrl.a della Convenzione 27 settembre 1968, concernente 
'1a competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia 
civile e commerciale (in seguito: la Convenzione), una questione pregiu� 
diziale vertente sull'interpretazione dell'art. 21 della Convenzione. 

2. -Le due parti nella causa principale sono commercianti: uno di 
Monaco di Baviera (Repubblica federale di Germania), l'altro di Mascali 
(Sicilia). L'attore citava il convenuto per fa restituzione della parte restante 
di un mutuo contratto neglii anni 1975 e 1976. L'atto di citazione 
veniva depositato il 5 agosto 1976 nella cancelleria del Landgericht di 
Monaco I e notificato al convenuto il 13 gennai:io 1977. L'attore esperiva 
poi un'altra azione, avente lo stesso oggetto e la ste8sa causa, dinanzi 
al Tribunale Civile di Catania, con citazrl.one depositata il 22 o 23 settembre 
1976 e notificata al convenut� il 23 settembre 1976. 
3. -lil Landgericht dichiarava la domanda irricevibile per mancanza 
di competenza internazionale: dinanzi a lui la causa era stata intentata 
solo il 13 gennajo 1977 con la notifica dell'atto di citazione (�� 261, n. l, e 
254, n. 1, della Zivilprozessordnung), mentre dinanzi al Tnibunale di Catania 
ci� era avvenuto gi� il 23 settembre 1976, in seguito alla notifica 
di un analogo atto processuale. A giudizio del Landgericht, la competenza 
spettava a!l Tribunale di Catania, ai sensi dell'art. 21 della Convenzione. 
stesse parti siano state proposte domande <aventi il medesimo oggetto e n 

medesimo titolo, il gii.udice successivamente adito deve, anche d'ufficio, dichia� 

rare la propria incompetenza a favore del giudice preventivamente adito �. 

Dal collegamento fra il titolo della sezione e la norma in essa contenuta 

si ricava che la convenzione intende riferirsi a due cause � pendenti �, con 

rinvio ai singoli ordinamenti nazionali per la identif�cazone� del momento �a 

partire dal quale ciascuna causa deve intendersi pendente; sicch� la � proposi


zione � della domanda, di cui parla la norma in questione, appare rilevante 

solo in quanto det�rmini -e dal momento in cui essa determina -la 

pendenza deUa lite secondo le norme dello Stato del giudice adito. 

La rilevanza esclusiva del concetto di pendenza e il rinvio agli ordinamenti 

nazionali per la determinazione dello stato di pendenza sono esplicitamente 

richiamati nella � Relazione � sulla convenzione (Boll. Comunit� europee, suppi. 

12/72), nelLa quale si legge: -che � in virt� dell'art. 21 i giudici di uno Stato 

contraente devono, anche d'ufficio, dichiararsi incompetenti per una lite di 

cui sono investiibi quando la stessa � gi� pendente davanti al giudice di un 

altro Stato �; -che il giudice dovr� procedere ad un esame d'ufficio quando 

supponga � che un identico processo potrebbe i;ssere pendente davanti ai 

giudici di un altro paese �; � infine che � il Comitato ha ritenuto non necessario 

precisare nel testo la data a decorrere dalla quale un gii.udizio deve essere 

considerato pendente, ed ha deciso quindi di lasciare la questione ai diritti 

nazionali �, 


913

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

4. -L'attore interponeva appello dinanzi all'Oberlandesgericht sostenendo 
che non si deve avere riguardo al momento della notifica della 
domanda, bens� al momento in cui la domanda � stata proposta al giudice. 
5. -R1tenendo che la controversia sollevi questioni d'iinterpretazione 
della Convenzione, l'Oberlandesgericht ha sospeso it1. procedimento ed ha 
sottoposto alla Corte, con ordinanza 22 giugno 1983, la seguente questione 
pregiudiziale: 
� Se, per stabilire quale giudice dii uno Stato contraente sia stato 
adito per primo (art. 21 della Convenzione), si debba aver riguardo al 
momento in cui � stata pr~posta la domanda (� Anhlingigkeit �) ovvero 
quello in cui H procedimento -in seguito alla notifica alfa controparte 
dell'atto di citazione -:-� pienamente avviato (� Rechtshangigkeit �). 

6. -L'art. 21 della Convenzione recita: 
\ 

� Qualora, davanti a giudici di .Stati contraenti differenti e tra le 
stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto 
e il medesimo titolo, il giudice successiva~ente adito deve, anche d'ufficio, 
dichiarare la propria incompetenza a favore del giudice preventJivamente 
adito. 

� Il giudice che dovrebbe dichiarare la propria incompetenza pu� 
sospendere il processo qualora venga eccepita l'incompetenza dell'altro 
giudice�. 

7. -L'attore nella causa principale sostiene che l'art. 21 della Convenzione 
considera quale momento della proposizione della domanda la 
data della sua presentazione al giudice. Il testo tedesco della Convenzione 
userebbe il termine � anhlingig � quale equivalente del termine � form�es � 
La prevenzione della lite, cui fa riferimento la convenzione, va determinata, 

dunque, con riferimento alla � pendenza � della causa, la quale va veril�cata 

secondo le singole norme nazionali. 

Per quanto riguarda l'ordinamento giuridico italiano, la lit>i.spendenm � 

disciplinata dall'art. 3.9 del codice di procedura civile, dl quale, con una termino


logia simile a quella dell'art. 21 della convenzione, stabilisce che � se una stessa 

causa � proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito... 

dichiara la litisp�ndenza �, e precisa che � la prevenzione � determinata dalla 

notificazione della citazione �. Questa norma, pur dettata per il processo civile 

ordinario, che viene introdotto con un atto di citazione notificato alla parte 

convenuta e solo successivamente depositato in Tribunale (per l'iscrizione a 

ruolo), � stata ritenuta applicabile dalla dottrina e dalla giurisprudenza, 


quale espressione di un principio generale che ricollega la pengenza della lite 

alla costituzione del contraddittorio -, anche a quei giudizi che si � propon


gono � con ricorso depositato presso n giudice prima ancora della notificazione 

al convenuto, allorch� la costituzione del contraddittorio sia necessaria (.ad 

esempio nelle oause in materia di lavoro): anche in tali casi la �proposizione� 



-


RASSEGNA DI..'AVVOCATURA DELLO STATO

914 

nella versione francese. Una Lite sarebbe � anhiingig � nel diritto tedesco 
gi� dal momento della presentazione al giudice della domanda giudiziale. 
Per contro, ne1l'art. 22 della Convenzione il termine � form�es �, figurante 
nel testo francese, sarebbe stato tradotto con il termine � erhoben ~ nel 
testo tedesco. L'attore ne deduce che la Convenzione ha operato una 
distinzione tra la nozione di proposizione della domanda ai sensi dell'art. 
21, per cui � sufficiente il semplice deposito, e la nozione di proposizione 
della domanda ai sensi dell'art. 22, per cui la lite deve essere 
definitivamente instaurata a norma del diritto interno dello Stato membro 
interessato. 

8. � Secondo ~�attore, nel diritto tedesco la notifica dell'atto di citazione 
al convenuto dev'essere effettuata dal giudice ed esula dall'attivit� 
delle parti. La c�mpetenza del giudice adito non potrebbe tuttavia dipendere 
da ritardi nella notifica, effettuata dallo stesso giudice. 
9. � H convenuto nella causa principale assume che la differenza tra 
i termini tedeschi usati negli artt. 21 e 22 della Convenzione come equivalenti 
del termine � form�es � nella versione francese non deve influire 
sull'interpretazione della Convenzione. A suo avwso, la nozione di domanda 
proposta ai sensi dell'art. 21 della Convenzione dev'essere interpretata 
nel senso d'instaurazione definitiva del giudizio e deve valutarsi 
con riferimento a1la lex fori del giudice adito. 
10. � Occorre sottolineare che 1e norme di procedura dei vari Stati 
contraenti non sono identiche per quel che riguarda la determinazione 
della data in cui il giudice viene adito. 
della causa � rilevante ai sensi dell'art. 39, cod. proc. civ., solo in quanto 
determini -e dal momento hi cui la dete11mma -la pendenza della lite con 
la notificazione alla parte {;Onvenuta. 

3. -Neanche in base alla versione in lingua francese della convenzione 
sembra che possano sorgere perplessit�. In questa versione, infatti, si parla, 
nel titolo della sezione, di � litispendance et connexit� '" e nell'art. 21 di � juridiction 
saisie en second liett � e � tribunal premier saisi �, per cui il rifer�� 
mento alle domande � form�es devant les juridictdon � appare anch'esso rile� 
vante in quanto e dal momento in cui si sia determinata una pendenza 
della lite. 
4. -Restano le versioni della convenzione in lingua tedesca e in lingua 
olandese. 
Nella versione dn liingua tedesca (e sembra che la terminologia' sii.a parallela 
in quella olandese), la sezione � intitolata � Rechtshii.ngigkeit und im Zusammenhang 
stehende Verfahren '" e l'art. 21 parla di causa � anhii.ngig gemacht 
'" nel qual caso il giudice ". spiiter angerufene � deve spogliarsi della 
causa. 

Il giudice tedesco espvime perplessit�, rilevando che nel dimtto proces� 
suale tedesco la pendenza di una lite si ha con la notificazione dell'atto introduttivo 
al convenuto e questo concetto si esprime con il termine � Rechts




PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

915 

11. -.Risulta infatti dalle dnformazioni di diJ:1i:tto comparato fornite 
alla Corte che in Francia, in Italia, in Lussemburgo e nei Paesi Bassi 
la lite si considera pendente dinanzi al gdudice a decorrere dal momento 
della notifica al convenuto della d9manda. In Belgio ha importanza decisiva 
il riguardo l'iscrizione della causa nel ruolo generale, la quale presuppone, 
in via cli principio, che l'atto di citazione sia gi� stato notificato 
al �convenuto. 
12. -Nella Repubblica federale di Gerinania, la domanda �, a norma 
del � 253, n. l, de1la Zivilprozessordnung, proposta a!l momento in cui 
l'atto di citazione � stato notificato al convenuto. La notifica � effettuata 
d'ufficio dal gdudice al quale l'atto � stato previamente presentato. La 
fase procedurale che si colloca tra la presentazione dell'atto al giudice 
e la notifica si chiama� � Anhlingigkeit �. La presentazione dell'atto di 
citazione � importante in materia di prescrizione e di rispetto dei termini 
processuali, ma non determina in nessun caso il momento della 
litispendenza. Dal combinato disposto del � 253 precitato e del � 261, n. l, 
della Zivilp:rozessordnung msulta'. che la litispendenza prende vita .a decorrere 
dalla notifica dell'atto di citazione al convenuto. 
13. -Dal raffronto di queste normative emerge che non si pu� desumere 
una nozione comune della litispendenza dall'accostamento del_!_7 
varie norme nazionaLi pertinenti. A maggior ragione non si pu� estendere 
a tutte le parti contraenti, come vorrepbe l'attore, una concezione propria 
del diritto tedesco, la quale, per le sue caratteristiche, non pu� 
essere trasposta negli altri ordinamenti giuridici interessati. 
hangigkeit �, mentre la � Anhiingigkeit � cui fa riferimento il testo dell'art. 21 
indica la proposizione del giudizio nel senso del deposito dell'atto presso il 
giudice. Di conseguenza, dice il giudice tedesco, pu� essere che la convenzione 
abbia voluto riferirsi, per stabilire la prevenzione, al momento della presentazione 
dell'atto al tribunale e non a quello in cui si determina la litispendenza. 
E ci� tanto pi�, si aggiunge, che nel successivo art. 22 non si parla di � Anhiingigkeit 
� ma di � Erhebung �, con il quale specificp � il riferimento alla 
notificazione dell'atto. 

Riteniamo che il testo tedesco (e cos� pure il testo olandese, che parla 
di domanda � aanhangig �) consenta letteralmente e logicamente un'intepretazione 
identica a quella che scaturisce dai testi italiano e francese. Malgrado 
che il testo parli di domande � anhangig � {e poi nell'art. 22 di domande 
� erhoben �, mentre in entrambi i casi il testo italiano parla di domande 
� proposte �, quello francese di domande � form�es " e quello olandese di 
domande � aanhangdg �), rilevanza� essenziale sembra doversi dare �al concetto 
di pendenza espresso nel titolo della sezione (� Rechtshangigkeit... �) e alla 
prevenzione del giudice (das spiiten angerufene Gericht -giudice successivamente 
adito -juridiction saisie en second lieu) riguardo al momento in �cui 
si determina la pendenza della �Lite, sicch� la � Anhiingigkeit � � di cui parla la 
norma assume rilevanza (al pari della � proposizione >>, termine pi� generico 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

916 

14. -Si pu� dedurre dall'art. 21, nel suo !insieme, che l'obbligo del 
giudlice di spogliarsi della competenza in favore di un a.itro giudice esiste 
solo quando sia assodato che una domanda � stata definitivamente proposta 
dinanzi al giudice di uno Stato diverso sullo stesso oggetto e tra 
le stesse parti. Per dl resto, l'art. 21 non fornisce indicazioni sulla natura 
delle formaliti:. procedurali da prendere in considerazlione al fine di ammettere 
l'esistenza di tale effetto; in particolare, non fornisce indicazioni 
sulla questione se la litispendenza risulti dal deposlito di una domanda 
presso un giudice o dalla sua notifica alla parte interessata. 
15. -Poich� la Convenzione non ha lo scopo di unificare queste formalit�, 
strettamente legate all'organizzazione della procedura giudiziaria 
nei vari Stati, la questione del momento in cui sussistono i presupposti 
per una liitispendenza definitiva ai sensi dell'art. 21 deve essere valutata 
e risolta, per ciascun giudice, in base al suo diritto nazionale. Questo 
metodci consente ad ogni giudice di stabilire con sufficiente certezza, 
con riferimento alla propria legge nazionale, per quel che �10 riguarda, 
ed alla legge nazlionale di qualsiasi altro giudice adito, per quel che 
riguarda quest'ultimo, l'ordine dli precedenza nel tempo tra pi� domande, 
proposte conformemente ai requisiti indicati da1la Convenzione. 
16. -La questione proposta dall'oberlandesgericht di Monaco di Baviera 
dev'essere quindi risolta come segue: l'art. 21 della Convenzlione 
va interpretato nel senso che deve considerarsi � preventivamente adito � 
il giudice dinanzi al quale sono stati soddisfatti in primo luogo i requisliti 
ai quali � subordinata la litispendenza definitiva; tali requisiti devono 
essere valutati in base alla legge nazionale di ciascuno dei giudici 
interessati. (omissis) 
adottato dal testo italiano) solo in quanto determini -e dal momento che 
determina -una pendenza della lite (Rechtshiingigkeit). 

5. -Naturalmente le quattro versioni linguistiche devono portare ad una 
unica interpreta2lione. Dal testo dtaliano e dal testo francese sembra ricavarsi 
agevolmente l'interpretazione sopraindicata, la quale non appare affatto incompatibile 
con il testo tedesco e il testo olandese. Una interpretazione ddversa non 
solo urterebbe contro la versione italiana e francese, ma risulterebbe illogica 
perch�, pur volendosi indubbiamente disciplinare la � litispendenza � (ldtiispendance, 
Rechtshangigkeit, Aanhiingigheid) si ancorerebbe la pronuncia di incompetenza 
del giudice � successivamnte adito" ad un momento (deposito 
dell'atto in tribunale) che pu� non essere determinante -e sembra non esserlo 
in alcun ordinamento nazionale -per la pendenza della lite. 
6. -Si propone, in conseguenza, di rispondere al quesito posto dal giudice 
tedesco nel senso che � per stabilire quale giuddce di uno Stato contraente sia 
stato �adito per primo, ai sensi dell'art. 21 della convenzione di Bruxelles, si 
deve aver riguardo al momento in cui si determina la pendenza di ciascuna 
Lite secondo gli ordinamenti giuridici nazionali �. 
OSCAR FIUMARA 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

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CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 19 g�ugno 1984, 
nella causa 71/83 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Slynn -Domanda 
di pronuJ?.cia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassailione 
belga nella causa soc. Partenrederei m.s. Tilly Russ c. soc. Haven e 
Vervoerbedrijf Nova -Interv.: Governi del Regno Unito (ag. Howes) 
e italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Zim� 
mermann e avv. Van Houtte). 

Comunit� Europee -Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla 
competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia 
civile e commerciale -Clausola attributiva di competenza inserita 
in una polizza di cari�o -Validit� nei rapporti fra il caricatore e il 
vettore -Validit� nei confronti del terzo portatore. 
(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con 

legge 21 giugno 1971, n. 804 art. 17). 

1. -La clausola attributiva di competenza figurante fra le condizioni 
stampate su una polizza di carico soddisfa i requisiti stabiliti dall'art. 17 
della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968: 
-se il consenso delle due parti circa l~ condizioni della polizza di 
carico confenenti detta clausola sia stato manifestato per iscritto; � 

-oppure se la clausola attributiva di competenza abbia costituito 
oggetto di un precedente accordo verbale fra le parti che la concerne 
espressamente e di cui la polizza di carico, firmata dal vettore, deve 
essere considerata la conferma scritta; 

-oppure se la polizza di carico rientri nell'ambito dei rapporti 
commerciali correnti fra le parti e sia in tal modo provato che detti 
rapporti sono disciplinati dalle condizioni generali contenenti tale clausola. 

2. -Quanto ai rapporti fra il vettore e il terzo portatore i requisiti 
stabiliti dall'art. 17 della, Convenzione sono soddisfatti se la clausola attributiva 
di competenza sia stata riconosciuta valida tra il caricatore e il 
vettore e, in base al dirittQ nazionale vigente, il terzo portatore, acquistando 
la polizza di carico, sia subentrato nei diritti e negli obblighi del 
caricatore (1). 
(1) Si trascrivono le osservazioni scritte presentate per il Governo italiano, 
sostanzialmente condivise dalla Corte. 
La clausola attributiva di competenza nelle polizze di carico. 
(omissis) 1. -I quesiti posti dal giudice belga alla Corte sono due: a) se, 
tenendo conto degli usi generalmente vigenti in materia, la polizza di carico 
rilasciata dal vettore marittimo al caricatore possa essere considerata, aii 
sensi dell'art. 17 della convenzione di Bn..elles del 27 settembre 1968, un 
� accordo scritto � ovvero un �accordo confermato per iscritto " fra le parti; 
b) se, in, caso di risposta affermativa al quesito precedente, ci� valga anche 
nei confrbnti del terzo portatore della poldzza di cari�o. 



918 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) 1. -Con ordinanza 8 aprile 1983, pervenuta in cancelrleria il 
28 aprile 1983 la Corte di cassazione belga ha sottoposto a questa Corte 
in forza del protocollo 3 !W.ugno 1971 relativo all'interpretazione, da 
parte della Corte di giustizia, della Convenzione 27 settembre 1968 concernente 
la competenza giu:nisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in 
materia civhle e commerciale (in prosieguo: la Convemione), una questione 
pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 17 di detta Convenzione. 


2. -La questione � stata sollevata nell'ambito di una lite che oppone 
la soaiet� anonima belga � Goeminne Hout � (in prosieguo: resistente in 
cassazione) alla societ� armatrice tedesca � Partenreederei ms: Tilly 
Russ � e al sig. Ernst Russ, ambedue di Amburgo (in prosieguo: Tilly 
Russ), e che concerne ila validit� di una clausola attributiva di competenza 
inserita nelle polizze di carico CT 108 e CT 118 del 16 agosto 1976. 
Riisulta dal fascicolo che le polizze di carico venivano emesse dalla 
Tolmar International Inc., Cleveland, in qualit� d'agente dell'Europe Canada 
Line Ernst Russ North America, Inc., Chicago, per conto del vettore 
all'ordine deil. caricatore American Lumber International Inc., Union 
City, Pennsylvail'ia, e indicavano quale � not~fy party� la resistente in 
cassazione e quale � exporting carrier � la TiiUy Russ. 
3. -Poich� all'atto della consegna della merce ad Anversa, il 7 settembre 
1976, llimballaggio di due partite risultava dmmeggiato e mancavano 
una decina di assi, la resistente in cassazione chiedeva la somma di 
304 dollal'li USA per risarcimento danni dinanzi al Rechtbank van Koophandel 
(Tribunale commerciale) del circondario di Anversa. 
2. -Quanto al primo quefilto, ricordiamo che la Corte ha ripetutamente 
affermato, -nelle sentenze 14 dicembre' 1976 (cause 24/76, EsrASIS SALOTTI, 
in Racc.;'pag. 1831, e 25/76, SEGOURA, in Racc., pag. 1851), 6 maggio 1980 (causa 
784/79, PORTA LEASING, in Racc., pag. 1517) e, da ultimo, 14 luglio 1983 (causa 
201/82, 'GERLING KONZERN SPEZIALE KREDITVERSICHERUNGS, dn Racc., pag. 2503: la 
sentenza � ora pubblicata in questa Rassegna, 1983, I, 676) -, che il requisito 
della forma scritta stabmto dall'art. 17 della Convenzione � inteso a garantire 
che il consenso delle parti; le quali, mediante la proroga di competenza, der<> 
g�ano ai principi generali in materia di competenza sanciti dagli artt. 2, 5 e 6 
della Convenzione, sia manifestato in maniera chiara e precisa e sia effettiva� 
mente provato. � 
Se, dunque, la clausola contenuta nella polizza di carico ha un contenuto 
inequivoco, indicando chiiaramente il giudice in cui favore � disposta la proroga, 
ed � facilmente conoscibile dalle parti, -e il relativo accertamento di fatto 
� ovviamente di competenza del giudice naziomrle dinanzi al quale � proposta 
la causa -, deve ritenersi che essa integri l'accordo scritto di cui all'art. 17 
della Convenzione di Bruxelles. Infatti la polizza di carico, che � titolo rappresentativo 
delle merci e documento probatorio del contratto di trasporto, � 
emesso in due originali: l'uno, ritenuto dal vettore, e non trasferibile, sottoscritto 
dal caricatore o da un suo rappresentante; l'altro, rilasciato al cari-

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 

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4. -La Tilly Russ eccepiva l'incompetenza del giudice di Anversa in 
quanto sul retro di ogni polizza figurava una clausola attributiva di competenza 
che recitava: � any dispute arising under this bill of lading shall 
be decided by the Hamburg courts � (competente a conoscere di qualsiasi 
controversia attinente alla presente polizza � il foro di Amburgo). 
5. -Ci� nonostante, con sentenza 31 ottobre 1978, il Tribunale di 
Anversa si dichiarava competent~ ed accoglieva la domanda della Goeminne 
Hout; pOlich� detta sentenza veniva confermata con sentenza 7 ottobre 
1981 dallo Hof van Beroep (Corte d'appello) dii Anversa, il 1� marzo 
1982 la Tilly Russ ricorreva per cassazione. 
6. -La Corte di cassazione ha chiesto alla Corte di giustizia delle 
Comunit� Europee di pronunciarsi in via .pregiud�ZI�ale sulla seguente 
questione: 
� Se, tenendo conto degld usi generalmente vigenti in materia, la 
polizza di carico rilasciata dal vettore mal1ittimo _al caricatore possa 
essere considerata, ai sensi dell'art. 17 della Convenzione 27 settembre 
1968, concernente la competenza giurisdizionale, e l'esecuzione delle 
decisioni in materna civile e commerciale, una " olausola ... scritta " 
OVvero una " clausola ... confermata per iscritto " fra le parti e, in caso 
affermativo se ci� valga anche nei confronti del terzo portatore della 
polizza di carico�. 

catore, e normalmente trasferibile, sottoscritto dal vettore, ovvero dal raccomandatario 
o dal comandante della nave in nome del vettore (cfr., �nell'ordinamento 
giuridico italiano, gli attt. 458 e 463 del codice della navigazione). V'� 
dunque un incontro delle volont� delle partii e la sottoscrizione dell'accordo 
da parte di entrambe. 

3. -Il secondo quesito si riferisce ad una situazione che presenta un 
certo parallelismo c�n quella dedotta nella causa 201/82, risolta con la sentenza 
14 luglio 1983 sopracitata. 
Ivi si discuteva della possibilit� da parte del terzo beneficiario del contratto 
di far valere la clausola di proroga della competenza sottoscritta dalle sole 
parti del contratto e non dal terzo stesso. E la Corte, anche indipendentemente 
dal disposto dell'art. 12 della convenzione in materia di assicurazione (richiamato 
solo per conferma), ha precisato che �l'art. 17 della convenzione, imponendo 
il requisito della forma scritta fra le parti, non ha lo scopo, n� l'effetto, 
di subordinare alla stessa condizione di forma la facolt�, per il terzo bene� 
ficiario del .contratto, di far valere, in una lite che Io opponga all'assicuratore, 
la clausola attributiva di competenza stipulata in suo favore �. Invero, aveva 
osservato il Governo italiano, nel contratto a favore di terzo, il terzo il quale 
intenda profittare della stipulazione m suo favore acquista i diritti che deri� 
vano dal contratto senza bisogno di alcuna accettazione per il solo effetto della 
stipulazione intervenuta fra le parti; e come egli si giova automaticamente dei 
benefici pattuiti fra altri e pu� agire per ottenere la soddisfazione dei diritti 
�he il contratto gli attribuisce, cos� egli pu� giovarsi anche della clausola che 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

7. -La questione va intesa nel senso che essa mira a stabilire se 
la clausola attributiva di competenza inserita nelle polizze di carico 
risponda ai requisiti posti dall'art. 17 della Convenzione per quanto concerne 
in primo luogo il rapporto tra �l caricatore ed il vettore ed in secondo 
luogo il rapporto tra il vettore e il terzo portatore. 
Sulla prima parte della questione 

8. -Secondo la ricorrente e la Commissione delle Comunit� Europee, 
l'art. 17 della Convenzione va interpretato nel senso che la clausola attributiva 
di competenza, qualora non sia stata espressamente accettata 
dal caricatore e dal vettore, non � valida ai sens� di questa disposizione. 
9. -La Commissione aggiunge tuttavia che tale clausola, anche se non 
� stata firmata dal caricatore, pu� nondimeno essere valdda ai sensi dell'art. 
17 della Convenzione purch� esistano fra le due parti rapporti 
commerciali correnti. 
10. -Il Governo italiano l1itiene che la polizza di carico sia un documento 
comprovante l'esistenza del contratto di trasporto e che pertanto 
la clausola attributiva di competenza costituisce un accordo verbale 
confermato per iscritto. Se ila clausola � stata sottoscritta dalla parte 
contro la quale � invocata e fa parte delle condizioni generali del contratto, 
essa pu� essere conforme all'art. 17 della Convenzione. Tuttavia 
spetterebbe al giudice na2lionale verificare se vi sia una sottoscrizione nel 
senso sopra indicato ed in quale modo la clausola attributiva di competenza 
sia stata inserita nella polizza di carico. 
gli consente di ricorrere ad un particolare giudice, senza che sia necessario, 
per l'esercizio chi tale facolt�, la sottoscrizione o la conferma per iscritto 
della clausola stessa. 

Mutatis mutandis, la soluzione sembra dover essere conforme anche 
nel caso del terzo portatore della polizza di carico: e ci� sia che la clausola 
venga invocata dal terzo, sia che essa venga invocata nei confronti del terzo. 
In effetti, l'originale della polizza di carico pu� essere trasfe:riito dal caricatore 
a un terzo nelle forme �onsentite dall'ordmamento e il possessore di esso, 
come � legittimato per l'esercizio del diritto men2lionato nel titolo (in base 
alla presentazione del titolo stesso o a una serie continua di-girate ovvero 
per effetto dell'intestazione � a suo favore, a seconda che il titolo sia al 
portatore, all'ordine o nominativo) nelle stesse condizioni in cui si trovava il 
caricatore (salve le eccezioni personali al possessore stesso), cosi � soggetto 
agli obblighi ed alle limitazioni o soggezioni che dal titolo stesso derivano, 
purch� appaiano chiaramente e inequivocabilmente dal tenore letterale del titolo 
medesimo. A garan2lia del terzo possessore, come pure delle stesse parti o di 
quella in cui favore la proroga di competenza � stata stabilita, sono da consi� 
derare sufficienti i requiSiiti di ordine generale di chiarezza e inequivocit� del 
patto di proroga indicati in precedenza. (omissis) 

OSCAR FIUMARA 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 921 

11. -All'udienza il Governo britannico, dopo aver insistito sul carattere 
fondamentale del problema sollevato, ha suggenito che la questione 
del giudice nazionale sia riformulata nel seguente modo: se la clausola 
attrtibutiva di competenza sia stata inserita neJJla � polizza cli carico in 
modo tale da dimostrare che vi era un reale accordo tra le due parti, 
anche c~n riguardo al principio della buona fede. Secondo il Governo 
britannico, tale questione pu� essere risolta solo se si conoscono gli 
antefatti specifici della causa principale; ora poich� questi f�tti non sono 
stati accertati nel caso presente, occorre evitare di forare una soluzione 
generale a questa prima questione poich� vi sono pi� soluzioni possibili 
e lasciare al giudice nazionale la cura di definire pi� precisamente la 
natura della polizza di carico. 
12. -Occorre in primo luogo ricordare che a tenore dell'art. 17, 1� 
comma, della Convenzione attualmente vigente � qualora, con clausola 
scritta, o con clausola verbale confermata per iscritto, le parti, di cui 
almeno una domiciliata nel territorio dello Stato contraente, abbiano 
convenuto la competenza di un giudice o dei giudici di uno Stato contr11ente 
a conoscere delle controversie, presenti o future, nate da un 
determinato rapporto giuridico, la competenza esclusiva spetta al giudice 
o ai giudici di quest'ultimo Stato contraente �, 
13. -Si deve rilevare preliminarmente che per l'applicazione dell'art. 
17 della Convenzione � necessario che almeno una delle parti sia 
domiciliata nel territorio di uno Stato contraente, fatto che spetta al 
giiudice nazionale accertare. 
14. -Come la Corte ha dichiarato nelle sentenze 14 dicembre 1976 
(cause 24/76, ESTASIS SALOTTI, Racc. pag. 1831, e . 25/76, SEGOURA, Racc. 
pag. 1851) e 6 maggio 1980 (causa 784/79, PORTA LEASING, Racc. pag. 1517), 
le condizioni alle quali l'art. 17 subordina la validit� deMa clausola attributiva 
di competenza vanno interpretate restrittivamente poich� l'art. 17 
� iinteso a garantire che il consenso delle parti le quali, mediante la 
proroga di competenza, derogano ai principi generali in materia di competenza 
sanciti dagli artt. 2, 5 e 6 della Convenzione, sia effettivamente 
provato e sia manifest~to in maniera chiara e precisa. 
15. -Per stabilire se le condizioni poste dall'art. 17 siano soddisfatte, 
� opportuno esaminare separatamente se il consenso delle parti sull'attribuzione 
di competenza sfa stato espresso sotto forma di clausola scritta 
o sotto forma di clausola verbale confermata per iscritto. 
16. -In primo luogo occorre constatare che, trattandosi di una clausola 
attributiva di competenza figurante fra le condizioni stampate sulla 
poliizza di carico firmata dal vettore, il reqUI�sito della � clausola scritta � 
ai sensi dell'art. 17 della Convenzione � rispettato solo se il caricatore 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

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abbia espresso per iscritto il proprio consenso quanto alle condizioni 
contenenti detta clausola, o sullo stesso documento di cl11i trattasi o in 
un documento separato. Si deve aggiiungere che il semplice fatto che sul 
retro del modulo della polizza di carico sia stampata una clausola attributiva 
di competenza non soddisfa i requisiti di cui all'art. 17 della Convemiione, 
poich� nessuna garanzia viene fornita da tale procediimento che 
la controparte abbia effettivamente aderito alla clausola che deroga alle 
norme generali della convenzione in fatto di competenza. 

17. -In secondo luogo occorre constatare che se fosse previsto che 
la clausola attributiva di competenza figurante tra le condizioni stampate 
sulla polizza dii carico ha costituito oggetto di un precedente accordo 
verbale tra le due part� che la concerneva espressamente e di cui la 
polizza di carico, firmata dal vettore, dev'essere considerata la conferma 
scritta, questa clausola soddisferebbe i requisiti di cui all'art. 17 della 
Convenzione, anche se non fosse firmata dal caricatore e recasse quindi 
soltanto la firma del vettore. In tal modo, dnfatti, viene rispettata non 
solo la lettera dell'art. 17, che contempla espressamente fa possibilit� di 
un accordo orale confermato per iscritto, ma anche la sua funzione, 
che consiste nel garantire che il consenso tra le due parti sia effettivamente 
provato. 
18. -Infine, tale clausola attributiva di competenza non firmata dal 
caricatore pu� soddisfare i requisiti di cui all'art. 17 della Convenzione 
anche in assenza di un precedente accordo verbale ad essa relativo a 
condizione, per�, che l'emissione della polizza di carico rientri nell'ambito 
dei rapporti commerciali correnti tra il caricatore ed il vettore e qualora 
sia in tal modo provato che detti rapporti sono disciplinati, nel loro 
insieme, dalle condizioni generali dell'autore della conferma scritta, nel 
caso presente il vettore (si veda la sentenza Segoura sopra memiionata), 
contenenti detta clausola attributiva di competenza, e che le p~lizze di 
carico sono tutte redatte su moduli prestampati che contengono sistematicamente 
tale clausola attributiva di competenza. In una situazione 
del genere sarebbe contrario alla buona fede negare l'esistenza dii una 
proroga di competenza. 
19. -Di conseguenza, la prima parte della questione sollevata deve 
essere risolta nel senso che la clausola attributiva di competenza figurante 
fra le condizionl�. stampate su di una polizza di carico soddisfa i 
requisiti stabiliti dall'art. 17 della Convenzione: 
-se il consenso delle due parti circa le condizioni della polizza di 
carico contenenti detta clausola sia stato manifestato per iscritto; 
-oppure se la clausola attributiva di competenza abbia costitl11ito 
oggetto di un precedente accordo verbale fra le parti che la concerne 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

espressamente e di cui la polizza di carico, firmata dal vettore, dev'essere 
considerata la conferma scritta; 

-oppure se la polizza di carico rientri nell'ambito dei rapporti 
commerciali correnti fra le parti e sia in tal modo provato che detti 
rapporti sono disciplinati dalle condiziond generali contenenti tale clausola. 

Sulla seconda parte della questione 

20. -Per quanto :riiguarda la validit� della clausola attributiva di 
competenza nei rapporti tra il vettore e il terzo portatore, la resistente 
in cassazJione e fa Commissione ritengono che, se il terzo portatore non 
ha firmato la polizza di carico, la clausola attributiva di comp�tenza 
ivi contenuta non possa essergli opposta perch� l'accordo fra le due parti 
non sussiste. 
21. -Secondo la Commissione, si pu� derogare a questa regola solo 
se nell'ordinamento giuridico nazionale linteressato esista una teoria della 
cessione secondo la quale il caricatore cede i suoi diritti e obblighi al 
terzo portatore. 
22. -I Governi della Repubblica italiana e del Regno Uruito osservano 
che la clausola attributiva di competenza, in quanto sia valida tra 
il caricatore ed il vettore, deve esserlo anche neli confronti del terzo portatore 
della polizza di carico, essenzialmente per la ragione che quest'ultimo, 
acquistando la polizza di carico, pu�, certo, esercitare i diritti 
ivi menzionati, ma � parimenti soggetto agli obblighi ed alle Hmitazioni 
che ne derivano; i due Governi basa.o la loro tesi sulla sentenm della 
Corte 14 luglio 1983 (causa 201/82, Gerling Konzern, Racc. pag. 2503). 
23. -Occorre in pr.imo luogo constatare che la sentenza nella causa 
GerHng Konzern si riferiva a1la possibilit�, per un terzo rispetto a un 
contratto di assicurazJione, beneficiario di una stipulazione a favore di 
terzi da parte dell'assicurato, di tinvocare la clausola attributiva di competenza 
nei confronti� dell'assicuratore, clausola ispirata, come ha rilevato 
la Corte, dalla preoccupazione di tutelare l'assicurato, il quale � � la 
persona economicamente pi� debole �. Le stesse consl�derazioni non sono 
necessariamente pertinenti nell'ambito del trasporto marittimo. 
24. -Qualora la clausola attributiva di competenza inserita in una 
polizza di carico sia valida ai sensi dell'art. 17 della Convenzlione nel 
rapporto tra il caricatpre ed il vettore e il terzo portatore, acqwistando la 
polizza di carico, sia subentrato al caricatore nei suoi diritti ed obblighi 
in forza del vigente diritto nazionale, non sl� pu� consentire al terzo 
portatore di sottrarsi all'obbligo derivante, in materia di foro, dalla 
polizza di carico perch� non ha dato il proprio consenso a quest'ultima; 

RASSEGijA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

infatti, ci� esulerebbe dallo scopo dell'art. 17, che mira a privare di efficacia 
le clausole contrattuali che rischiano di passare inosservate. 

25.. In effetti, nell'ipotesi sopra prospettata l'acquisto della pooizza 
di carico non pu� attribuire al terzo portatore pi� diritti di quanti ne 
aveva il caricatore. Il terzo portatore diventa cos� tli.tolare ad un tempo 
di tutti i diritti e di tutti gli obblighi derivanti dalla polizza di carico, 
compresi quelli relatiivi alla proroga di competenza. 

26.. Da tutto quanto precede risulta che da seconda parte della 
questione sollevata va risolta nel senso che i requisitli stabiliti dall'art. 
17 della Convenzione sono soddisfatti, trattandosi' di una clausola 
attributiva di competenza insenita in una polizza di cavico, allorch� questa 
clausola sia stata riconosciuta valida tra il caricatore ed !il vettore e, in 
base al diritto nazionale vigente, il terzo portatore, acquistando la polizza 
di carico, sia subentrato nei suoi diritti e negli obblighi del caricatore. 
(omissis) 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 11 luglio 1984, 
nella causa 51/83 � Pres. Mackenzie Stuart� Avv. Gen. Lenz � Commis� 
sione delle C.E. (ag. Prozzillo) c. Repubblica italiana (avv. Stato 
Braguglia). 

Comunit� Europee � Inadempimento di uno Stato membro � Procedimento 
di infrazione � Fase precontenzlosa � Lettera di intimazione � Delimi� 
tazione della materia del contendere. 
(Trattato CEE, art. 169). 

Comunit� Europee � ;Libera circolazione delle merci � Misure di effetto 
equivalente a restrizioni quantitative all'importazione � Gelatina ani~ 
male in prodotti dolciari importati. 
(Trattato CEE, artt. 30 e 36; direttive del Consiglio 18 giugno 1974, n. 74/329/CEE, 


artt. 2, 4 e 9, e 18 dicembre 1978, n. 79/112/CEE, art. 6, n. 5; decreti ministeriali 

20 ottobre 1978 e 14 aprile 1983). 

Nel procedimento per inadempimento di cui all'art. 169 del Trattato 
CEE la lettera di intimazione ha lo scopo di circoscrivere la materia del 
contendere e di fornire allo Stato membro invitato a presentare le sue 
osservazioni i dati che gli occorrono per predisporre la propria difesa: 
l'osservanza di tale garanzia � un presupposto della ritualit� della proce� 
dura per la dichiarazione della trasgressione di uno Stato membro (1). 

(1) Conformi le sentenze della Corte, citate in motivazione, 17 febbraio 1970, 
nella� causa 311/69, Commissione c. Italia, in Racc., 1970, 25, e 15 dicembre 1982, 
nella causa 211/81, Commissione c. Danimarca, in Racc., 1982, 4547, con la quale 
ultima � stato anche precisato, in conseguenza, che �poich� l'oggetto del ricorso 
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proposto ai sensi dell'art. 169 viene .stabildto dal parere mollivato della Com� 

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mj.ssione, i due atti devono essere basati� sui medesimi motivi e mezzi �, 

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PARTE I, SEZ, II, GlURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 925 

La Repubblica italiana, limitando l'importazione dei prodotti dol� 
ciari contenenti una quantit� di gelatina animale superiore all'l %, legal� 
mente fabbricati e posti in commercio in altri Stati membri, � venuta 
meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 30 del Trattato 
CEE (2). 

(omissis) 1. � Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della 
Corte il 29 marzo 1983, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, 
ai sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far 
constatare che la Repubbli�a italiana, Jimitando l'importazione di prodotti 
dolciari, di carni cotte e di gelati alimentari contenenti gelatina 
animale, legalmente fabbricati e posti in commercio in altri Stati mem� 
bri, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 30 
del Trattato CEE. 

Sulla ricevibilit� 

2. � La Repubblica italiana rileva che la lettera 24 marzo 1982, con 
cui la Commissione la invitava a presentare Je sue osservazioni sul� 
l'inadempimento che Je veniva contestato, si riferiva solo alla limitazion~ 
dell'dmpiego della gelatina nelle cara~elle mentre il parere motivato della 
Commissione del 24 novembre 1982, come pure il ricorso di cui la Corte 
� investita, si estendono, inoltre, a tutti li prodotti dolciari, alle carni 
i::otte e ai gelati. 
3. -Va ricordato che, in forza . dell'art. 169 del Trattato, fa Com� 
misslione pu� proporre alla Corte di giustizia un ricorso per inadempi� 
mento solo se lo Stato interessato non si conformi al parere motivato 
nel termine ivi da essa fissato. Essa emette il parere motivato solo 
dopo aver posto lo Stato membro interessato in condizioni di presen� 
tare le sue osservazioni. 
4. -Dalla funzione assegnata a tale fase precontenziosa del procedimento 
per !inadempimento, sii desume che la lettera di intimazione ha 
lo scopo di circoscrivere la materia del contendere e_ di fornire allo 
Stato membro invitato a presentare le sue osservazioni i dati che gli 
occorrono per predisporre la propria difesa. 
(2) Quanto alla giurisprudenza della Corte secondo la quale l'esigenza della 
tutela del consumatore pu� essere soddisfatta adottando mezzi appropriati che 
ostacolino il meno possibile il flusso degli scambi, quali ad esempio l'adeguata 
informazione del consumatore stesso, cfr. la sent. 19 febbraio 1981, nella causa 
130/81, KEl.DERMANN, �n Racc., 19811, 527, e, da ultimo, con :!1iguardo all'etkhet� 
tatura dei vini, la sentenza 13 marzo 1984, nella causa 16/83, PRANn., in questa 
Rassegna, supra, pag. 902. 

926 RASSEGNA DEIL'AWOCATURA DELLO STATO 

5. -Come la Corte ha dichiarato nelle sentenze 17 febbraio 1970 
(causa 31/69, Commissione c. Italia, Racc. pag. 25) e 15 dicembre 1982 (causa 
211/81, Commissione c. Regno di Danimarca, Racc. pag. 4547), poich� 
la facolt� concessa allo Stato membro interessato di presentare le sue 
osservazioni CO$tituisce -anche se esso preferisce non servirsene -una 
garanzia fondamentale voluta dal '.frattato, l'osservanza di tale garanzda 
� un presupposto della ritualit� della procedura per la dichiarziione della 
trasgressione di uno Stato membro. 
6. -Dai documenti agli atti risulta che, con la lettera di intimazione 
24 marzo 1982, :la Commissione ha specificato che l'tinadempimento contestato 
alla Repubblica dtaliana consisteva nella limitazione dell'uso della 
gelatina alimentare nella fabbricazione e nella messa in commercio di 
prodotti dolciari. Dopo le osservazioni del Governo italiano al riguardo, 
la Commissione, col parere motivato del 24 novembre 1982, seguito dal 
presente ricorso, ha ampmato l'ambito degli addebiti mossi alla Repubblica 
italiana aggiungendovi le carni cotte e li gelati, violando cos� iJ 
proprio obbligo di garantire il rispetto dcl diritto alla difesa del Governo 
italliano. 
7. -Tale irregolarit� non pu� ritenersi sanata per il fatto che la Repubblica 
italiana ha, in seguito, formulato osservazioni sul parere moti� 
vato del 24 novembre 1982. 
8. -Ne consegue che il ricorso � ricevibile solo nella misura in cui 
verte sulla limitazione dell'uso d�IJ.a gelatina animale nei prodotti doldari 
e va respinto in quanto irricevibile per il resto. 
9. -Il Governo italiano fa valere poi che, con decreto ministeriale 
14 aprile 1983 (G. U. 4 maggio 1983), la limitazione dell'uso della gela� 
tina alimentare nelle caramelle � stata soppressa. Esso sostiene che, dli 
conseguenza, � l'interesse della Commissione alla decisione del ricorso 
dovrebb� esser venuto meno �. 
10. -Al riguardo occorre rilevare che il succitato decreto ministeriale 
riguarda solo le caramelle, e non concerne, pertanto, gli altri prodotti 
dolciari. La Commissione mantiene quindi un interesse alla prosecuzione 
de1l'azione. 
Nel merito 

11. -Va ricordato che J'art. 30 del Trattato vieta le misure di effetto 
equivalente a restrizioni quantitative all'importaz~one di prodotti. legai� 
mente fabbricati e mesS!i in commercio in altri Stati membri. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

12. -Il Governo italiano sostiene, lin primo luogo, che l'uso della 
gelatina ailimentare si trova disciplinato da1la direttiva del Consiglio 
18 giugno 1974, n. 74/329, �relativa al ravvicinamento delle legislazioni 
degli Stat:Ji membri concernenti gli� emulsionanti, gli stabilizzanti, gli 
addensanti e i g~lificanti che possono essere impiegati nei prodotti alimentari
� (G. U. n. L 189, pag. 1), che introduce una libert� totale, da 
parte degli Stati membri, di adottare i provvedimenti ritenuti necessari 
senza che essi siano, di conseguenza, tenut:Ji ad osservare ili. divieto contenuto 
nel disposto dell'art. 30 del Trattato. 
13. -Tale argomento va respinto. Anche se la gelatina alimentare 
viene menzionata nella diirettiv~ del Consiglio n. 74/329, non risulta da 
alcuna delle sue disposizioni che g�i Stati membri siano dotati di tale 
libert� da potersi scostare dal divieto di cui all'art. 30 del Trattato nel� 
l'adozione di provvediimeriti relativi all'uso della gelatina animale. 
14. -Il Governo dtaliano fa poi valere che le disposizioni nazionali 
contestate mirano a soddisfare all'esigenza imperativa della tutela del 
consumatore che potrebbe essere indotto in inganno circa la consistenza 
dei prodotti conservati se la gelatina potesse essere impiegata in maniera 
illimitata nella loro composizione. 
15. -Va tuttavia rilevato al riguardo, in conformit� ad una costante 
giurisprudenza della Corte, che � possibile agli Stati membri soddisfare 
a tale esigenza imperativa adottando mezzi appropriati che ostacolino il 
meno possibile hl flusso degli scambi fra Stati membri, quale ad esempio 
l'adeguata informazione del consumatore.� 
16. -Il Governo italiano sostiene inoltre che i provvedimenti nazionali 
contestati sono necessari alla protezione deLla salute pubblica, tenuto 
conto del pericolo rappresentato da un impiego i1filmitato di gelatina 
animale nei prodotti alimentari. 
17. -Va constatato al riguardo che il Governo italiano non adduce, 
a sostegno di tale assunto, alcuna prova o indizio che consenta di stabilire 
l'esistenza di un pericolo reale incombente sulla salute pubblica a seguito 
dell'impiego di gelatina animale in misura superiore all'l % fissato dai 
provvedimenti contestati. 
18. -Va pertanto constatato che la Repubblica italiana, limitando 
l'importazione dei prodotti dolciari contenenti gelatina animale in quant:
Jit� superiore all'l %, legalmente fabbricati e posti in commercio in altri 
Stati membri, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti [n forza 
dell'art. 30 del Trattato CEE. (omissis) 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Ja sez., 12 luglio 
1984, nella causa 261/83 � Pres. Koopmans � Avv. Gen. Verloren 
van Themaat -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla 
Corte del :lavoro di Liegi nella causa Castelli c. Office natli.onal des 
pensions pour travaiJleurs salaries (0.N.P.T.S.) � Interv.: Governi del 
Regno unito (ag. Dagtoglou) e italiano (avv. Stato Fiumara) c. Com� 
missione delle C.E. (ag. Griesmer). 

Comunit� Europee � Libera circolazione delle persone � Reddito garantito 
alle persone anziane � . Parit� di trattamento. � 
(Regolamenti CEE del Consiglio 14 giugno 1971, n. 14911, artt. 1, 2, 3 e 4, e 15 ot� 

tobre 1968, n. 1612, artt. 7 e 10). 

L'art. 7, n. 2, del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, 
re,lativo alla libera circolazione dei lavoratori nell'ambito della Comunit� 
va interpretato nel senso che la concessione di un vantaggio sociale,� 
quale il reddito garantito alle pensane anziane dalla legge di uno Stato 
membro, agli ascendenti a carico del lavoratore non si pu� far dipendere 
dall'esistenza di un accordo di reciprocit� fra questo Stato membro 
e quello di cui l'ascendente � cittadino (1). 

(omissis) 1. � Con sentenza 4 novembre 1983, pervenuta in cancelleria 
il 21 novembre 1983, la Cour du travail di Liegi ha sottoposto a questa 
Corte, in forza dell'art. 177 del Trattato CEE, tre questioni pregiudiziali 
vertenti, in sostanza, sull'interpretazione del regolamento del Consiglio 
14 giugno 1971, n. 1408, relativo al!l'applica.iione dei regimi di previdenza 
sociale ai ilavoratori s~borddnati ed ai loro familiari che si spostano 
nell'ambito della Comunit� (G.U. n. L 149, pag. 2) e del regolamento 
del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione 
dei lavoratori nell'ambito .della Comunit� (G.U. n. L 257, pag. 2), in 
relazione all'applicazione della legge belg~ 1� aprile 1969 istli.tutiva di un 
reddito garantito per le persone anziane. 

(1) La Corte ha risposto -in senso conforme alle osservazioni dcl Governo 
italiano -solo ad uno dei quesiti posti dal giudice belga precisando che .la 
risposta data � dovrebbe essere sufficiente per consentdre al giudice di rinvio 
di pronunciarsi nella cau8a principale >>, sicch� � non � necessario esaminare la 
questione del se, nella situazione considerata, una cittadina di uno Stato 
membro possa pretendere, in forza del reg. 1408/71, il reddito garantito alle 
persone an2liane dalla legislazione di un altro Stato membro, sia in quanto 
familiare di un lavoratore migrante stabilito in tale Stato, sia in quanto essa 
stessa beneficiaria di una prestazione di previdenza sociale nel suo Stato di 
origine � (le sentenze della Corte 30 settembre 1985, nella causa 32/75, CRISTINI, 
e 14 gennaio :1982, nella causa 65/81, REINA, sono pubblicate in questa Rassegna, 
1975, I, 822, e 1982, I, 70, con note). 

929

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

2. . Le suddette questioni sono state sollevate nell'ambito di una 
controversia fra la signora Castelli e l'Office National des Pensions des 
Travailleurs Salari�s (0.N.P.T.S.). 
3. -La signora Castelli, oittadina italiana, fruisce in Italia di una 
pensione parziale di riversibilit�. DaJ maggio 1957 essa iii.siede nel Belgio 
presso il figlio, che � titolare di una pensione di anzianit� belga. La 
signora Castelli non ha mai lavorato in Belgio. 
4. � Con provvedimento in data 22 dicembre 1978, l'O.N.P.T.S. rifiutava 
alla Castelli il beneficio del reddito garantito a1le persone antiane 
ai sensi della legge 1� aprile 1969, in quanto la richiedente, non avendo la 
cittadinanza belga, non essendo cittadina di un paese con cUI� il Belgio ha 
concluso in materna un accordo di reciprocit� e non fruendo di una pen� 
sione di anzianit� o cli reversibilit� a carico del Belgio, non soddisfaceva 
requisiti sta,biJ.iti dall'art. 1 della suddetta legge. 

5. -La signora Castelli .impugnava il mfiuto dell'O.N.P.T.S. dinanzi al 
Tribunail du travail di Liegi, il quale, con sentenza 23 maggio 1980, respin� 
geva il ricorso. L'interessata interponeva allora appelilo dinanzi alla Cour 
du travail di Lle~, sostenendo che la condizione della reciprocit� posta 
dalla legge belga era in contrasto col diritto comunitario. 
Peraltro proprio sui quesiti cui la Corte non ha dato risposta si erano 
accese ae discussioni pi� interessanti, con la prospettazione di soluzioni opposte. 

Riteniamo opportuno riportare un estratto della discussione orale sul punto 

svolta per il Governo italiano. � 

REDDITO GARANTITO ALLE PERSONE ANZIANE: 
PARITA DI TRATTAMENTO 


1. -(omissis) Nelle varie osservazioni scritte che sono state presentate 
nella presente causa, � stato trattato in via prevalente il quesito posto dal 
giudice . nazionale belga con il quale si � chiesto se, a.i fini del godimento in 
Belgio del � reddito garantito " per le persone anziane, la posizione di chi gode 
di una pensione sociale in Italia (o in altro Stato membro diverso dal Belgio) 
sia assimilabile a quella di chi gode di una pensione sociale belga). 
Ci tratta, invero, del punto pi� complesso e controverso della questione. 

a) Base di partenza per la soluzione della questione ci sembra essere 
quanto � stato gi� affermato dalla Corte nella sentenza FRIU.I (22 giugno 1972, 
causa 1/72, in Racc., 1972, 457) circa la duplice funzione che assolve la legge 
belga: una, consistente nel garantire un minimo di mezzi di sussistenza a 
chi non sia coperto da un sistema di previdenza sociale; una seconda, consi� 
stente nel garantire un reddito complementare a beneficiari di prestazioni previdenziali 
insufficienti. 

b) Da questa prima considerazione ne scatwiisce una seconda. 

Nei confronti di un lavoratore (e qui parldamo di un lavoratore belga, 
che ha lavorato in Belgio), la legislazione sul �reddito garantito� si applica 
indipendentemente dal fatto che egli goda o meno di una penSlione sociale. Tale 
legislazione mira a garantire al lavoratore (ed\ eventualmente anche a chi .non ha 
lavorato: ma questo qui non ci interessa) un minimo tenore di vita. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

6 .. � -Ritenendo che, per emanare la propria sentenza, era necessaria 
una pronunzia di questa Corte, la Cour du travail di Liegi fo ha sottoposto 
le seguenti questiorui: 

�a) Se, tenuto conto del princo.p10 di parit� di trattamento posto 
dai regolamenti comunitari in materia di previdenza sociale, la mancanza 
di un accordo di reciprocit� tra due Statii membri della Comunit� possa 
porre ostacolo alla concessione del reddito garantito alle persone anziane 
allorch� la richiedente, bench� non abbia rrmi avuto la qualit� di lavoratrice 
dipendente sul territorio dello Stato in cui essa risiede al momento 
dehla domanda, abbia maturato la durata minima di residenza richiesta 
dalla normativa giuridica di questo Stato per la concessione della presta7lione 
sollecitata, sia a carico del figlio che ha lavorato in Belgio e ivi ha 
fruito del regime della pensione di vecchiaia anticipata o � pensionato, 
e benefici di una pensione parziale a carico del suo paese d'origine, l'Italia, 
paese membro della CEE, in forza del regime italiiano per lavoratori 
dipendenti. 

b) Se, tenuto conto del godimento da parte dell'appe1Iante di una 
pensione parziale in forza del regime italiano, il suo caso possa essere 
equiparato a quello di una persona che fruisce in Belgio di una pensione 

e) Dati questi presupposti, dobbiamo ritenere che tale legislazione trovi 
applicazione in favore di qualunque lavoratore, cittadino di uno degli Stati 
membri, che abbia lavorato in Belgio, iiindipendentemente dal fatto che egli 
goda o non goda :in tale paese di una pensione sociale: se cos� non fosse 
vd sarebbe una chiara disparit� di trattamento fra lavoratori belgi che abbiano 
lavorato in Belgio e lavoratori di altri paesi comunitari che anch'essi hanno 
lavorato in Belgio; e ci� � incompatibile con il principio della parit� di tratta� 
mento� voluta dal Trattato. 

d) Di conseguenza non pu� richiedersi come requisito per l'applicazione 
della legislazione di cui si tratta nei confronti di un lavoratore comunlitario 
non belga, che abbia lavorato in Belgio, il godimento da parte di esso di una 
prestazione previdenziale belga (in quanto tale requdsito non � richiesto per 
i lavoratori belgi). � vero che la Corte di giustizia -con la gi� richiamata 
sentenza PRILLI -ha fatto riferimento a � un lavoratore subordinato o assimi� 
lato che abbia svolto periodi lavorativi in Belgio, ivi risieda e ivi goda di una 

pensione sociale'" ma con tale riferimento -in particolare quello del godimento 
di una pensione sociale -si volevano indicare i� presupposti della fattispecie 
decisa, non i requisiti 'indispensabili per l'equiparazione del lavoratore 
straniero al lavoratore nazionale. Riteniamo cio� che il principio affermato dalla 
Corte nella sentenza F1m.u, disancorato dalla fattispecie� allora decisa, debba 
essere ietto in senso pi� ampio e cio�: �iii reddito garantito previsto da norme 
di carattere generale di uno Stato membro, le quali attribuiscono alle persone 
anziane residenti un minimo di pensione, va considerato, per quanto riguarda 
i lavoratori subordinatd e assimilati, che hanno lavorato nello Stato di cui 
trattasi, come una prestazione di vecchiaia�, con una sostituzione -cio� -dell'inciso 
� che godano nello Stato di cui trattasi del diritto alla pensione � con 
l'dnoiso �.che hanno lavorato nello Stato di cui trattasi �. 

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I 
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PARTE I, SEZ. II, GIURI$. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

931 

parziale belga di anzianit� o di reversibilit�, che giustifichi la concessione 
del complemento costituito dal reddito garanmto alle persone anziane. 

e) Se l'appellante possa essere considerata familiare, ai sensi dei 
regolamenti comunitari, in particolare nn. 1408/71 e 1612/68, del figlio che 
in Belgio ha svolto attivit� lavorativa subordinata, ha fruito del regime 
di pensione di vecchiaia anticipata e gode infine della normale pensione 
di vecchiaia�. 

7. � Le suddette questioni riguardano la situazione d[ una cittadina 
di uno Stato membro, fa quale fruisce di una prestazione di previdenza 
sociale in tale Stato e si � trasferita in un altro Stato membro, in cui 
,non ha mai lavorato e dove vive a carico del figlio, a sua volta titolare 
dii una prestazione di previdenza sociale in questo secondo Stato. Il 
giudice a quo mira in sostanza a stabilire se l'interessata possa pretendere 
il beneficio del reddito garantito alle persone anziane contemplato dalla 
legislazione di tale secondo Stato, o quanto meno della differenza fra 

.. 
detto reddito e l'importo meno elev:ato della prestazione previdenziale 
corrisposta dal primo Stato membro, sia a titolo di prestazione di vecchiaia 
ai sensi del summenzionato regolamento n. 1408/71, sia a titolo 
di vantaggio sociale ai sensi del regolamento del Consiglio n. 1612/68, 
anch'esso sopra menzionato. 

E ci� ripetiamo, perch� se il godimento di una pensione non � richiesto 
per il lavoratore nazionale, non si vede perch� un siffatto godimento dovrebbe 
essere richiesto per il lavoratore di altro Stato membro. Avremmo, in caso con� 
trarlo, l'assurdo che il lavoratore straniero il quale abbia lavorato nello Stato 
di. cui si tratta per un notevole periodo, senza per� maturare il diritto a pen� 
sione, si vedrebbe escluso dal beneficio del reddito garantito sol perch� non ha 
maturato la pensione! E questo sarebbe senza senso. 

2. -Vediamo ora che cosa pu� avvenire se 1a persona che, risiedendo in 
uno Stato membro, richieda il reddito garantito ivi previsto per le persone 
anziane abbia s� la qualifica di lavoratore (o assimilato), ma ci� in dipendenza 
di un'attivit� lavorativa svolta in altro Stato membro. 
A nostro avviso la saluzione del problema non pu� cambiare. Tale persona 
ha acquisito nell'ambito della Comunit� lo status di lavoratore e in forza di 
questo status egli deve godere in ogni parte della comunit� dello stesso trattamento 
che ad lavoratori � fatto, proprio in quanto lavoratori, da ciascuno Stato 
membro. Se la legislazione di uno Stato membro gar�ntisce ai propri lavoratori 
anziani, che hanno cessato la loro attdwt� lavo1mtiva, un minimo di reddito, 
cio� un minimo tenore di vita, e oi� appunto per il solo loro status acquisito, 
sembra giusto e conforme allo spirito del trattato che quella legislazione 
trovi applicazione nei confronti di qualsivoglia persona che quello status ha 
acquisito in ogni altra parte della Comunit�, una volta che si sia. verificata 
l'inerenza al territorio di tale persona attraverso la residenza. 

Noi ci rendiamo conto della puntualit� delle obiezioni mosse ad una siffatta 
soluzione dal Regno unito e dalla Commissione, laddove essi osservano 
che in tal modo potrebbe verificarsd una specie di reazione a catena: il lavoratore 
dello Stato n. 1 va nello Stato n. 2, in cui non ha mai lavorato, e acquisisce, 
solo in form della residenza ivi stabilita, un reddito garantito, che poi nes




932 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO� STATO 

8. -Questo problema dev'essere esaminato anzitutto dal punto di vista 
del regolamento n. 1612/68, cui si niferisce specificamente fa terza questione 
formulata dal giudice di rinvio. 
9. -L'art. 10 del regolamento n. 1612/68, attribuisce agli ascendenti a 
carico, qualunque sia la foro cittadinanza, il diritto di stabihirsi con il 
lavoratore cittadino di uno Stato membro, occupato nel territorio di 
un altro Stato membro. Quanto al diritto di rimanere nel territorio dli 
uno Stato membro, esso � stato esteso dal regolamento n. 1251/70 (G. U. 
n. L. 142, pag. 70) agli ascendenti a carico del cittadino di un altro Stato 
membro che sia occupato in qualit� di lavoratore dipendente nel primo 
Stato. a perci� manifesto che l'appellante ne1la causa prinaipaile fa parte 
della cerchia dei beneficiari del regolamento n. 1612/68. 
10. -In forza dell'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, il lavoratore 
cittadino di uno Stato membro gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali 
dei lavorat�ri nazionali. Come niswlta dalle sentenze 30 settembre 1975 
(causa 32/75, Cristini, Racc. pag. 1085) e 16 dicembre 1976 (causa 63/76, 
InziriUo, Racc. pag. 2057), la parit� di trattamento sancita dall'art. 7 del 
regolamento n. 1612/68 � intesa a vietare anche le discriminazioni a danno 
deglli ascendenm che siano a carico del lavoratore, come l'appellante nella 
causa principale. 
suno gli potr� pi� togliere, per effetto dell':iiirdlevanza delle clausole di resi� 
denza, quando egli ritorni nello Stato n. 1 o si trasferisca in uno Stato membro 
n. 3. 

Questo � possibile ed � vero. Ma diciamo anche francamente che ci� potr� 
accadere in un numero ridottissimo di oasi, essendo difficile pensare ad un vorticoso, 
frenetico spostarsi di persone anziane, che cambierebbero l'esidenza, 
Stato, abitudini, sol per lucrare eventualmente la differenza fra una prestazione 
maggiore di uno Stato e una prestazione minore di un altro: perch�, � ovvio, il 
reddito garantito �di cui si parla non potrebbe essere corrisposto se non per 
l'importo differenziale rispetto ad altre prestazioni. Del resto un limite naturale 
a siffatti abusi ~e ogni legge conosce il suo abuso!) sta nelle ridotte possibilit� 
di stabilire 1a propria residenza negli altri Stati membri al di fuori dello svolgimento 
di attivit� lavorative. 

Del resto non ci sarebbe neanche molto da meravigliarsi di eventualit� del 
genere, posto che non potrebbe essere negato il beneficio di cui si tratta al 
lavoratore straniero che, nello Stato che tale beneficio prevede, ha svolto una 
at1livdt� lavorativa molto ridotta. 

E la funzione sociale che il beneficio si prefigge dovrebbe comunque elim:i� 
nare ogni residua perplessit�. 

Sembra, quindi, che a chi si trovi nella posizione della Castelli spetti il 
beneficio del reddito garantito b�lga (ovviamente nella misura in cui questo 
superi la prestazione previdenziale goduta ,in Italia), trattandosi di persona assi� 
milata a lavoratore straniero che ha lavorato in uno Stato membro diverso 
e ha poi fissato la rresidenza nello Stato che prevede H beneficio. E ci� indipendentemente 
dalla sua posizione di familiare o persona a carico di altro lavoratore 
(il figlio) che abbia prestato la sua attivit� lavorativa in Belgio. (omissis) 

OSCAR FIUMARA 



PARTE I, gEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

11. -Come � stato pi� volte affermato dalla Corte (sentenze 31 maggio 
1979, causa 207/78, Even, Racc. pag. 2019, e 14 gennaio 1982, causa 
65/81, Reina, Racc. pag. 33), la nozione di vantaggio sociale comprende 
tutti i vantaggi �che, connessi o no ad un contratto di lavoro, sono. 
generalmente attribuiti ai lavoratori nazD.onaLi, a causa principalmente 
della loro qualit� obiettiva di lavoratori e del semplice fatto della loro 
residenza nel ten;itorio nazionale, .e la cui estensione ai lavoratori cittadinti 
di altri Stati membri appare quindi atta a facilitarne la mobilit� 
nell'ambito della Comunit� �. Questa definizione delila nozione di vantaggio 
sociale, costantemente ribadita dalla Corte, porta ad includervi il reddito 
garantito alle persone anziane contemplato dalla legge di uno Stato 
membro. 
12. -Si deve quindi dichiarare che l'art. 7, n. 2, del regolamento 
n. 1612/68 va intepretato nel senso che ila concessione di un vantaggio 
sociale, quale iii reddito garantito alle persone anZJ�.ane dalla legge dli 
uno Stato membro, agli ascendenti a carico del Javoratore non si pu� far 
dipendere dall'esistenza di un accordo di reciprocit� fra questo Stato 
membro e quello di cui l'ascendente � cittadino. 
13. -Poich� questa interpretazione dovrebbe essere sufficiente per 
c90sentire al giudice di rinvio di pronunziarsi nella causa principale, 
non � necessario esaminare ila questione del se, nella situazione consliderata, 
una cittadina di uno Stato membro possa pretendere, in forza 
del regolamento� n. 1408/71, il reddito garantito alle persone anziane 
dalla legislazione di un altro Stato membro, sia in quanto familiare 
di un lavoratore migrante stabilito in tale Stato, sia in quanto essa 
stessa beneficiaria di t.la prestaZJ�.one di previdenm sociale nel suo Stato 
d'origine. (omissis). 
CORTE DI GIUSTIZA DELLE COMUNJT� EUROPEE, 13 dicembre 1984, 
nella causa 113/83 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Lenz -Commissione 
delle Comunit� europee (ag. Marenco) c. Repubblica Italiana 
(avv. Stato Caramazza). 

Comunit� Europee -Trasporti -Contingente comunitario -Autorizzazioni Veicoli 
accoppiati. 
(Reg. CEE del Consiglio 16 dicembre 1976, n. 3164). 

La Repubbblica italiana, esigendo due autorizzazioni di trasporto nell'ambito 
del contingente comunitario allorch� un insieme di veicoli accoppiati, 
composto di elementi immatricolati in due Stati membri diversi, 
effettua un trasporto internazionale su strada, � venuta meno agli obbli



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ghi ad essa incombenti in forza del regolamento del Consiglio 16 dicembre 
1976, n, 3164 (1). 

1. � Con atto re~strato nella Cancelleria della Corte il 17 giugno 1983, 
la Commissione delle Comunit� Eur9pee ha proposto, a norma dell'arti� 
colo 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far constatare che la 
Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in 
base al regolamento (CEE) del Consiglio 16 dicembre 1976, n. 3164, relativo 
al contingente comunitar.io per i trasporti dii merci su strada effettuati 
fra Stati membri (G. U. n. L 357, pag. 1). 
2. -IJ regolamento n. 3164/76 dispone che il contingente comunitario 
delle autorizza7lioni, fissato ogni anno dal ConSliglio, � suddiviso fra 'gli 
Stati membri. Ogni Stato membro rilascia le autorizzazioni defila sua 
quota-parte ai vettori stabiliti nel suo territorio. Lo stesso regolamento 
prescrive all'art. 2, n. l, che le autorizzazioni comunitarie abilitano i 
loro titolari ad effettuare i trasporti �di merci su strada, per conto 
terzi, su tutte le relazioni di traffico tra gli Stati membri, ad esclusione 
di ogni traffico dnterno nel territorio dii uno Stato membro, nonch� a 
spostare a vuoto i loro veicoli in tutto il territorio della Comunit�. 
3. -Il n. 3 del medesimo articolo stabilisce che. le autorizzazioni comunitar.
ie sono redatte � a nome di un vettore �, che non possono essere 
trasferite da quest'ultimo a terzi, che ciascuna autorizzazione pu� essere 
utilizmta per un solo veicolo per volta, che essa deve accompagnare 
quest'ultimo e deve essere esibita ad ogni richiesta degli agenti addetti 
al controllo, e che � per veicolo, si dntende un veicolo isolato o un insieme 
di veicoli accoppiati �. 
(1) La sentenza in rassegna ha risolto il problema sottoposto al suo esame 
esprimendo adesione alla tesi della Commissione, con particolare riferimento a 
quella parte della normativa comunitaria citata che prescinde dall'identit� del 
veicolo. Sembra avere omesso, peraltro, l'analisi del problema di fondo, superato 
dalla Corte lussemburghese con la formula della � lacuna nell'ordinamento "� 
Tale problema era, infatti, se l'autorizzazione al trasporto su strada per 
conto terzi rilasciata da uno Stato membro nell'ambito del contingente comuni� 
tario conferisca al vettore beneficiario la tito1arit� di una situazione giuridica 
attiva non condizionata in alcun modo dalla narura, identit� e nazionalit� del 
veicolo, o se vi sia invece un inscindibile collegamento fra i tre elementi: autorizzazione-
veicolo-viaggio. 

L'assunto, fatto proprio dalla Corte, comporta che 1a stessa autorizzazione 
possa coprire, nell'arco di uno stesso � viaggio �, non solo mutamenti nella com� 
posizione del veicolo (ad es. per effetto di cambiamento .di motrice o di rimor� 
chio), ma addirittura mutamenti integrali di veicolo, sicch� un viaggio potrebbe 
essere, ad es., costituito da un percorso A�B compiuto dalla motrice x con il f: 
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rimorchio y, pi� un percorso B�C compiuto dalla motrice z con U rimorchio f 
y, pi� un percorso C-D compiuto dall'autocarro k e cosi via. f 

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PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

935 

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4. -L'art. 5 del medesimo regolamento contempla una �mutua assistenza 
fra gli Stati membri per l'applicazione ed il controllo del regolamento 
stesso. 
5. -Nell'esercizio di questi poteri di applicazione e di controllo, 
conferiti ad ogni Stato membro, le autorit� italiane, allorch� i due 
elementi di un veicolo composito effettuano un <trasporto internazionale 
su strada, in partenza dall'Italia, a destin�zione dell'Italia o in transito 
attraverso l'Italia, e sono immatricolati ciascuno dn uno Stato membro 
diverso, esigono due autorizzazioni, una per ,iil trattore e l'altra per il 
rimorchio. 
�. � La Commissione considera questa richiiesta incompatibdle con le 
disposizioni del regolamento n. 3164/76, Essa sostiene che l'art. 2 di 
quest'ultimo abilita i titol�ri delle automazioni comunitarie ad effettuare 
ii trasporti a certe condizioni, senza che nessuna norma del regolamen1o 
faccia distinzioni in ordine allo Stato in ctll� sono immatricolatd un veicolo 
isolato o gli elementi che compongono un insieme di veicoli accoppdati. 

7. -Il Governo dtaliano propugna una diversa dnterpretazione secondo 
cui il regolamento n. 3164/76, contemplando una sola autorizzazione di 
trasporto, anche per i trasporti effettuati da un dnsieme di veicoli accoppiati, 
si riferirebbe solamente ad casi in CUI� i due elementi costitutivi 
di questo insieme appartengono al medesimo vettore, tdtolare dell'autorizzazione, 
e, di conseguenza, sono immatricolati in un solo e medesimo 
Stato membro, e non si riferirebbe qUI�ndi ai casi in cui ciascuna parte 
del veicolo accoppiato � immatricolata in uno Stato membro diverso. 
Il Governo italiano sostiene che il regolamento n. 3164/76 riconosce implicitamente 
un nesso fra ogni autorizzazione di ,trasporto e lo Stato dn cui 
Tanto non sembra concordare con il combinato disposto� dell'art. 2 par. 3 
del regolamento 3164/76 e del punto 4 del relativo allegato II, da cui si evince 
che l'autorizzazione deve accompagnare il veli.colo nell'arco di un �viaggio � 

Orbene, per � viaggio � altro non pu� intendersi che spostamento di un sog. 
getto (od oggetto) da un punto dd partenza ad un punto di arrivo. Se manca la 
identit� fra soggetto (od oggetto) partito e soggetto (od oggetto) arrivato, manca 
il viaggio ad esso riferibile. Se con la 'Stessa autorizzazione si compiono una 
serie di percorsi inanellati utilizzando veicoli diversi non si avr�, quindi, il vii.aggio 
di un veicolo, ma tutt'al pi� il viaggio dell'autorizzazione, accompagnata 
nell'arco dei percorsi da veicoli diversi. Il che sembra contrastare con lo spirito 
e con la lettera del regolamento che prevede che sia il veicolo e non l'autorizzazione 
a compiere U vii.aggio e che sia l'autorizzazione ad accompagnare il 
veicolo e non viiceversa. 

Il � veicolo '" dunque, nella normativa comunitaria, anche se cosa composta 
ex inter se distantibus, ha una sua identit� inalterabile. 

Di pi�: esso ha un suo collegamento (necessariamente) unitario con un 
Paese, in quanto � previsto un suo �luogo di residenza abituale� (citato punto 
4). Concetto questo che, riferito ad un autoveicolo, non pu� significare altro 
che una localit� sita nel territorio di uno Stato di immatricolazione. 

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936 

RASSEGNA Dmi'AVVOCATURA DELLO STATO 

sono immatricolati i veicoli utilizzati in forza di questa autorizzazione. 
In sostanza esso rileva che il regolamento, pur non riferendosi espres� 
sament� all'immatricolazione, stabilisce tuttavia un nesso fra J'autorizzazione 
e, in pmmo Juogo, ['identit� del veicolo e, �in secondo luogo, il 
suo proprietario, dal che va dedotto che esso stabiliisce un nesso con lo 
Stato d'immatricolazione. 

8. -Il Governo italiano ammette che il regolamento non fa espresso 
riferimento neppure all'identit� deJ veicolo, n� al suo proprietario. Esso 
sostiene tuttavia che l'limportanza di questi due elementli va desunta 
in particolare dall'interpretazione di tafone disposizioni del regolamento 
in questione e dei suoi allegati. 
9. � Cosi, l'identit� del velicolo, come condizione per la concesslione 
dell'autorizzazione, si ricaverebbe dall'art. 2, n. � 3, secondo comma, deJ 
regolamento n. 3164/76, il quale dispone che �ciascuna autorizzazione pu� 
essere utilizzata per un solo veicooo per volta � e � deve accompagnare 
quest'ultimo �. La medesima condizione sii ricaverebbe altresl dall'art. 4 
delle � Disposlizioni generali� dell'allegato Il, di cui all'art. 4 di detto 
regolamento, il quale, esigendo un tesoconto per ciascun viaggio di ciascun 
velicolo, da!Lla partenza dal suo � luogo di reslidenza abituale fino al suo 
ritorno�, fa appunto riferimento a questo �luogo di residenza abituale�. 
10. -Per quel che riguarda l'importanza del propr~etario del veicolo, il 
Governo italiano sostiene .che le autorizzazioni sono rilasciate da ogni 
Stato membro ai suoi cittadini, anche se il dettato dell'art. 2, n. 6, del 
regolamento di cui trattasi, menzliona solamente i vettori � stabi.Iitli sfil suo 
Da ultimo deve rilevarsi che la tesi dd ritenere valida una sola autorizza� 
zione per veicoli composti le cui componenti siano immatricolate in Stati diversi 
non sembra potersi ~onsiderare conforme a diritto perch� contraria a ragione 
e quindi non congruente con quella trasposizione hegeliana in campo giuridico 
del principio di razionalit� che costituisce principio di diritto generale dd tutti 
gli ordinamenti. 

La regola indifferenziata che si � voluto leggere nella .o~ativa comuni� 
taria consente, infatti, a ciascuno Stato m~bro dd scegliere discrezionalmente 
quale dei due tipi di veicolo accoppiati (trattore o rimorchio) identificare per 
richiedere l'autorizmzione. Con risultati differenziali che non sembrano com� 
patibili con lo spirito comunitario prima ancora che con la lettera della norma. 

Allo stato, comunque, non rimane che auspicare un intervento normativo 
chiarificatore, d'altronde proposto dalla stessa Commissione in un testo del 
seguente testuale tenore: �Il regolamento (CEE) n. 3164/76 � modificato come 
segue: 1. All'articolo 2 paragrafo 3 � aggiunto il seguente testo: Nel caso di 
autoarticolati o autotreni, l'autorizzazione comunitaria � rilasciata per la motrice; 
essa pu� essere utilizzata per la trazione di un semirimorchio o di un rimor� 
chio, non immatricolati a nome del titolare dell'autorizzazione comunitaria o 
immatricolati in un altro Stato membro. L'autorizzazione si riferisce a tutto 
il complesso di veicoli �. 

IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

territorio "� e, di conseguenza, si riferiscono ai veicoli dei quali essi sono 
propri~tari, i quali .sarebbero � naturalm�nte � immatricolati in questo 
Stato membro. Esso sostiene aJtres� che la raccomandazione della Commissione 
9 giugno 1969, n. 69/191, lett. e) (G. U. n. L 165, pag. 7), stabilendo 
che il titolare dell'autorizzazione possa utilizzarla per veicoli di cui � il 
proprietario o per veicoID. presi in locazione, dimostra l'importanza della 
propriet� e, di conseguenza, dello Stato in cU!� il veicolo � immatricolato. 
Esso adduce un argomento fondato sulla direttiva del Consi~lio 13 maggio 
1965, n. 65/269, �che rende uniformi tailune norme riguardanti le 
autonizzazioni per i trasporti di merci su strada fra gli Stati membri � 

(G. U 24 maggio 1965, pag. 1469), il cui art. 1 prescrive che le autorizzazioni 
sono rilasciate dallo Stato membro in cui il veicolo � immatricolato. 
Esso aggiunge che Ja direttiva del Consiglio 19 gennaio 1982, 
n. 82/50, �che modifica la prima direttiva d�l Consiglio 23 luglio 1962, 
relativa all'emanairlone di norme comuni per talurii trasporti di merci 
su ~trada fra gli Stati membri� (G. f]. n. L 27, pag. 22), riguarda casi 
di sostituzione di un � veicolo divenuto inutiID.zzabile in uno Stato membro 
diverso da quello in cui � immatnicolato �, 
11. -Infine, il Governo italiano sostiene che la Commissione, nella 
sua proposta di modifica del regolamento n. 3164/76 lin data 15 dicembre 
1980 (G. U. n. C 350, pag. 18), stabilendo che l'autorizzazione sarebbe 
stata rilasciata in futuro per la motrice, stabliliva altres� che essa avrebbe 
potuto essere utilizzata � per la trazione di un semirimorchio o di un 
rimorchio... immatnicolati in un altro Stato-membro �, il che non sarebbe 
stato necessario se questa disposizione nisultasse gi� dal regolamento 
n. 3164/76. 
12.� La Commissione contesta �tutti questi argomenti. Essa sottolinea 

che, nel sistema istituito dal regolamento n. 3164/76, la concessione delle 

autorizzazioni non � condizionata n� .dall'identit� del proprietario del 

veicolo, n� dalla nazionalit� del titolare. Pi� in particolare, essa osserva 

che n� l'art. 2, n. 3, 2� comma, del regolamento, n� l'art. 4 delle � dispo


sizioni generali� dell'allegato II (abrogato dal regolamento 21 dicem


bre 1977, n. 3024, G. U. n. L 358, pag. 4), fissano condizioni per il rilascio 

delle autorizzazioni, ma solamente per la loro utilizzazione, mentre il 

� luogo di residenza abituale � non corrisponde del resto al luogo di imma. 
tricolazione del veicolo. 

13. � Essa osserva ancora che, secondo l'art. 2, n. 6, del regolamento 
n. 3164/76, le autorizzazioni sono rilasciate da ogni Stato membro, non 
ali suoi cittadini, bens� ai vettori stabiliti sll'l suo territonio. Secondo la 
Commissione; la raccomandazione 9 giugno 1969, n. 69/191, oltre al fatto 
che riguarda non la concessione, ma l'utilizzazione delle autorizzairloni, 
indica appunto che esse possono essere utilizzate anche per veicoli 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

presi in locazione. Essa sottolinea che la direttiva 13 maggio 1965, n. 65/269, 
non riguarda il contingente comunitario �. ma i contingenti bilaterali fra 
Stati membri e che la direttiva del Consiglio 19 gennaio 1982, n. 82/50, 
conferma tla sua tesi. 

14. � Infine, la Commissione rileva che la sua proposta 15 dicembre 
1980 em diretta alla soluzione del problema determinato dal fatto che 
nei casi di veicoli accoppiati taluni stati membri esigevano un'autoriz� 
zazione rilasciata a nome dell'impresa che disponeva della motrice, mentre 
altra esigevano un'autorizzazione a nome dell'impresa che disponeva 
del rimorchio, e che in occasione dell� soluzione dii questo problema, 
� stata aggiunta una frase secondama relativa ail problema in esame nella 
presente controversia ed il cui scopo era di chiarire e non di modificare 
il regolamento n. 3164/76. 
15. � Il punto di vista della Commissione va accettato. In effetti, 
nessuno degli argomenti del Governo italiano pu� essere accolto. Come 
giustamente rilevato dalla Commissione, nel sistema istituito datl regolamento 
n. 3164/76, cos� come si ricava dalle sue norme, ogni autori~zazione 
� rilasciata a nome dii un vettore e non a favore di un veicolo determinato, 
in modo che il titolare dell'autorizzazione possa effettuare il trasporto 
con un ' sua scelta, senza liimitazioni relative al
veicolo di proprietario 
o allo Stato in cui � immatricolato dl vedcolo. 

16. � Occorre poi sottolineare che, mentre il secondo comma del n. 3 
dell'art. 2 del regolamento n. 3164/76 dispone che �ciascuna autorizzazione 
pu� essere utilizzata ~r un solo veicolo per volta �, il terzo 
comma del medesdmo numero contempla espressamente, senza nessuna' 
ecc�zione o distinzione basata sull'immatricolazione, che-� per veicolo, 
s'intende un veicotlo isolato o un insieme di veicoli accoppiati�, il che 
esclude la necessit� di due automzzazioni per i veicolii accoppiati. Di 
conseguenza, l'argomento del Governo italiano fondato sulla presentazione, 
da parte della Commissione, di una proposta di regolamento 15 dicembre 
1980, non � di natura tale da inficiare questa interpretazione. 
17. � � vero che dl regolamento lascia irrisolto il problema di stabdlire 
a quale dei due elementi accoppiati vada ricollegata l'autorizzazione 
unica. Ma questa lacuna non pu� giustificare la ricbiesta, da parte di 
uno Stato membro, di due autorizza:zii.oni per un insieme di vedcolii 
accoppiati. 
18. -Va pertanto constatato che la Repubblica italiana, esigendo due 
autorizzazioni di trasporto nell'ambito del contingente comunitario al� 
lorch� un ii.nsieme di veicoli accoppdati, composto di elementi immatri� 
colati in due Stati membri diversi, effettua un trasporto internazionale 
su strada, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del 
regolamento del Consiglio 16 dicembre 1976, n. 3164. (omissis) 
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SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 ottobre 1984, n. 4912 � Pres. Moscone 
� Rel. Sensale � P. M. Sgroi (concl. conf.) -Min. Tesoro (avv. 
Stato De Franaisci) c. Merani Rosa. 

Giurisdizione civile � Giurisdizione ordinaria e amm.inistrativa � Corte 
dei� conti � Pensioni � Diritto del coniuge divorziato a quota della 
pensione di riversibillt� spettante al coniuge superstite � Gimisdizione 
dell'A.G.O. � Pensione a carico dello Stato � Deroga � Esclusione. 
(Art. 9 legge 1 dicembre 1970, n. 898; art. 1 legge 1 agosto 1978, n. 436; art. 81 d.P.R. 

29 dicembre 1973, n. 1092). 

Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario e non a quella 
della Corte dei conti sia la domanda del coniuge _divorziato diretta ad 
ottenere una quota della pen.Sione di riversibilit� che spetta o che spetterebbe 
al coniuge superstite, sia la domanda con cui il medesimo coniuge 
divorziato insorga contro i provvedimenti amministrativi di rifiuto di 
ottemperanza alla decisione gi� resa dal giudice ordinario (1). 

(omissis) Con sentenza del 9 agosto 1972, il Tribunale di Genova 
pronunci� lo scioglimento del matrimonio contratto 1'11 dicembre 1927 
da Rosa Meral1!� con Adolfo Querzolo, condannando quest'uJtimo a corrispondere 
ailla Merani un assegno m�nsile di L. 35.000. Il 23 dicembre 1972, 
il Querzolo, pensionato delle Ferrovie dello Stato, contrasse nuovo matrimonio 
con Maria Franzoni, ma decedette il 15 febbraio 1976, dopo che 
anche la seconda moglie era defunta in data 6 settembre 1973. 

Il 29 aprile 1976 la Merani, ai sensi de1l'art ..9 della Jegge 1� dricembre 
1970, n. 893, chiiese al Tribunale dri Genova l'attribuzione di una quota 
di pensione spettante al coniuge superstite. L'adito Tribunale, provvedendo, 
in camera di consil�lio, senza sentire l'ente tenuto alla .eroga:lli.one 
(poich� la norma allora vigente non lo prescriveva), dispose che alla 
Merani fosse attribuita una quota de!Ja penSli.one di riversibilit�, a carico 

(1) In senso conforme al pnnc1p10 affermato nella massima cfr. Cass., 
Sez. Un., 8 settembre 1983 n. 5521 (ed:ita in Foro it. 1983, 11, I, pag. 2721, con 
nota di E. AMADEI. Analoga a questa � la sentenza 4913/1984. 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

della Direzione proViinciale del tesoro di Bologna, nella misura del 25 % 
con decorrenza dalla data del decesso del Querzolo, ritenendo che, al 
fine considerato, non fosse indispensabile l'esistenza di un coniuge superstite 
cui sottrarre la quota di pensione da attribuire al coniuge divorziato. 

La istanza diretta ad ottenere la corresponsione di quanto attribuitole 
dal . giudice, proposta dalla Merani alla Direzione provinciale del tesoro 
di Bologna, fu da tak amministra:1llone respinta sul presupposto che, 
ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898/70, l'attribuzione di una quota di 
pensione al coniuge divorziato fosse possibile solo a condizione che 
esistesse i�l coniuge supers~ite avente diritto a pensione di �riversibilit�. 

Le Merani propose ricorso alla Corte dei conti, notificato anche alla 
Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, cui resistette il Ministero 
del tesoro, eccependo il difetto di giurisdiz1one della Corte adita tin 
base allo jus superveniens costituito daltl'art. 2 della legge 1� agosto 1978, 

n. 436, che aveva sostituito �l'art. 9 della legge 898/70. 
Richiamandosi alla stessa �norma il Procuratore generale presso la 
Corte dei conti concluse per l'accoglimento della domanda, sostenendo 
che in base alla sopravvenuta disciplina, di tribunale possa attribuire 
in tutto o in parte, ad coniuge divorziato la pensione e gli altri assegni 
che spetterebbero al coniuge superstite, anche nel caso in cui l'obbligato 
alla somministrazione dell'assegno periodico sia morto senza lasciare un 
coniuge superstite. 

La Corte dei conti ha affermato la propria giurisdizione, ritenendo 
che l'assegno iin questione, come disciplinato dalil'art. 9 della legge 898/70, 
abbia natura pensionistlica e che la fattispecie si concreti in un onere 
a carico dello Stato e de~i altri enti, rispetto ai quali sussiste, nella 
materia pensionistica e in base al principio dell'indiwduazione dell'ente 
erogatore, la giunisdizione della Corte dei conti a norma degli artt. 13 e 62 
del t.u. approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214; e precisando che la 
statuizione sull'an e sul quantum del giiudice ordinario attiene alil'integra:
1llone, per il caso concreto, della disciplina del conseguente rapporto 

pensionistico soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti, la quale 

non si limita ad una mera declaratoria dell'obbligo de1l'amrnlinistrazione 

di dare esecuzione ad un giudicato a11a stregua di un giudizio �di ottempe


ranza, ma decide nel senso di riconoscere o negare il diritto della parte 

ricorrente ed esamina altri aspetti del rapporto pensionistico, relativi, ad 

esempio, al tipo di pensione cli riversibilit� (normale o privilegiata) che 

sarebbe spettato al coniuge superstite, se esistente. 

Nel merito la Corte dei conti lia ritenuto a'obbligo dell'Amministrazione 
di corrispondere la quota di pensione richiesta dalla Merani, escludendo 
che, ai finii della relativa attribu11ione, sia indispensabile, secondo 
le norme vigenti, l'esistenza del coniuge �superstite. 

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PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESnONI DI GIURISDIZIONE 

Contro tale sentenza il Ministero del Tesoro ha proposto ricorso alle 
Sezioni Unite notificato alla Merand, che non si � costituita ~n questa 
sede. 

Motivi della decisione 

1. -L'Amministrazione ricorrente denunzia Ja violazione e falsa applicazione 
dell'art. 2 della legge 1� agosto 1978, n. 436, con riferimento agli 
artt. 103 e 111 Cost. e dagli artt. 13 e 62 del r.d. 12 lugltio 1934, n. 1214, 
ai sensi dell'art. 360, n. 1 cod. proc. Civ. (difetto di giurisdizione), nonch� 
il vizio d'insufficiente e contraddittoria motiv.azione su un punto decisivo 
della controversia, censurando la sentenza impugnata per avere attribuito 
al trattamento conferibile, �a seguito della morte dell'obbligato 
alla somministrazione dell'assegno periodico di cui all'art. S de11a legge 
1� dicembre 1970, n. 898, al coniuge rispetto �l quale � stata pronunifata 
la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, 
natura pensionistica, s� che quand� la fattispecie venga a concretarsi 
in un onere a carico dello Stato e degli altri enti rispetto ai quald 
sussiste la giurisdizione della Corte dei conti a norma degli artt. 13 e 62 
del t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, non vi sarebbe motivo per disattendere 
il criterio di riparto della giurisdizione dn base aJLl'individuazione dell'ente 
erogatore e della natura pensionistica del . trattamento erogabile e il 
provvedimento del tribunale avrebbe la, sola funzione di integrare, per il 
caso concreto, la disaiplina del rapporto pensionistico. 
Secondo l'AmministraZlione ricorrente, la impostazione seguita ne11a 
decisione <impugnata non rifilette il caso concreto, nel quale non si 
discute se fosse spettata, oppure no, la pensione di riversibilit� al 
coniuge superstite di Adolfo Querzolo, ma soltanto se una quota di 
siffatta pensione debbasi attribuire al coniuge divorziato Rosa Merani che 
ne aveva fatto richiesta, nell'ambito della norma di cui all'art. 2 della 
legge n. 346 del 1978, alla Corte dei conti e non al giudice ordinario. 

La lettera della norma ora citata, secondo l'amministrazione, non 
consente dubbi circa il difetto di giurisdizione della Corte dei conti e 
non si pone in contrasto con l'art. 103, secondo comma, Cost., ai sensi 
del quale lo stabilire i limiti esterni della giurisdizione della Corte dei 
conti � riservato al legislatore ordinario, cui non � precluso restringere 
l'ambito di tale giurisdizione in vista della peculiarit� della materia 
oggetto di pi� specifica disciplina, attribuendola al giudice ordinario, che 
avrebbe, in tale caso, anche il potere di statuire incidenter tantum sulle 
qu�stioni afferenti al trattamento pensionistico presupposto. 

Del resto, prosegue l'Amministrazione, ~�assegno di cui all'art. 2 della 
legge n. 436/78 si pone sullo stesso piano deLI'assegno di divorzio, e 
non su quello della pensione di r�versibmit� disciplinata dall'art. 81 del 

t.u. n. 1092 del 1973, avendo inteso -il legiislatore -rimediare alle 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEllO S'{ATO

942 

conseguenze di maggiore asprezza cui aveva dato luogo fa disciplina 
, dell'art. 9 della legge 898/70, col riconoscere ail coniuge divorziato il 
diritto di conseguire, anche dopo la morte dell'obbligato, un assegno 
di mantenimento, posto a carico di terzi, e per ci� limitato all'ipotesi in 
cui a carico dei predetti fosse stato configurabile un obbligo di corrispondere 
la pensione di riversibilit� , al coni�ge superstite, qualora 
vi fosse stato, e, in conseguenza, non oltre d J.imiti dd tale obbligo. 


Il ricorso, con le precisazioni che seguono, � fondato. 

2. -Occorre premettere che la questione circa l'applicabilit� dell'art. 9, 
nel suo testo originario (� in caso di morte dell'obbligato, dl tribunale 
p�� disporre che una quota della pensione o dli �altri assegni spettanti 
al coniuge superstite sia attribuita al coniuge o ai coniugi rispetto ai 
quaili sia stata pronunziata sentenza di scioglimento o di cessazione degld 
effetti civili del matrimonio�), anche nel caso di morte del soggetto 
obbligato quando non fosse esistente (o sopravvivente) il coniuge super� 
stite -cos� come la questione se la sopravvenienza nel corso del giudizio 
renda dmmediatamente applicabile la nuova disciplina posta con l'art. 2 
della legge n. 437/78 (che espressamente contempla l'ipotesi di morte 
dell'obbligato, senza lasciare un coniuge superstite, o prevede, anche in 
questa dpotesi, il potere del tribunale di attribuire, in tutto o in parte, 
al coniuge divorziato la pensione e gld altri assegni che spetterebbero 
al coniuge supestite; ...., �� questione di merito (non incidente sulla giurisdizione), 
il cui esame, inerendo alla dli.straibiildt� a favore del coniuge 
divorziato di una quota di pensione spettante (o che spetterebbe) al . 
coniuge superstite, in base alle norme citate, non pu� rimanere sottratta 
al giudice che sull'istanza dd attribuzione debba provvedere. Compito di 
questo, ove avesse dovuto provvedere ancora vigente l'art. 9 nel suo 
testo originario, sarebbe stato quello di giudicare se la norma potesse 
trovare applica7Jione anche mancando il coniuge superstite (e, nel caso 
concreto, tale giudizio fu espresso in termini affermativi dal 'Tribunale 
di Genova, il quale nel 1976, attribu� alla Merani una quota della pensione 
'che sarebbe spettata al coniuge superstite, se fosse esistito), cos� 
come compito dello stesso giudice sarebbe oggi stabilire se la sopravvenienza 
della nuova disciplina nel corso del processo (che non incide 
sulla giurisdizione, non potendo determinare �n mutamento del giudice 
cui la giurisdizione � attribuita sin dall'origine), possa dar luogo all'ac


. coglimento 
di una domanda che si sarebbe dovuto, eventualmente, 
respingere in base alla precedente disciplina. 

3. -Con riguardo alla proposta questione di gdurisdizione, deve innanzi 
tutto osservarsi che la disciplina giuridic� nel caso concreto non risiede 
nell'art. 81 del t.u. n, 1092/73, il quale regola -fissando le relative condizioni 
-il diritto alla pensione di riversibHit� della vedova del dipen

. PARm I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

dente statale o del pensionato e non gi� il mritto del coniuge divorziato (che 
postula quello del coniuge superstite, secondo la norma ora citata), trovando 
esso la sua necessaria e sufficiente disciplina nell'art. 9 della legge 

n. 898/70 (modificato dall'art. 21 della legge n. 436/78), fatto salvo dall'ultimo 
comma dell'art. 81 del t.u. 1092 del 1973,. in � virt� d� un rinvio 
formale aMa disciplina del divorzio, poich� con lo scioglimento (o con 
la cessazione degli effetti civili) del matrimonio, viene meno il vincolo 
matrimoniale e non � conf�gurabiJ.e in capo al coniuge d�vorziato lo 
stato vedovile che costituisce il presupposto clii applicabilit� dell'art. 81. 
Il problema da risolvere �, dunque, se, nel quadro dell'art. 9 della 
legge 1� cliicembre 1970, n. 898 e dell.e modifiche apportatevi con l'art. 2 
della legge 1� agosto 1978, n. 436, lo stabilire se, in caso di morte dell'obbligato, 
al coniuge divorziato debba attribuirsi una quota della pensione 

o degli altri. assegni spettanti al coniuge superstite -secondo iJl testo 
originario della norma -ovvero spettanti o che spetterebbero a questo 
se l'obbligato alla somministrazione dell'assegno periodico muore senza 
lasciare un coniuge superstite -sec�ndo il testo mocliificato -sia compito 
del giudice ordinari.o oppure della Corte dei conti nell'ambito dell.a sua 
..... giurisdizione pensionistica. 

Si � gi� riilevato, propri.o con riguardo ad una questione di giurisdizione 
(v. sent. n. 5521/83), che, nei suoi connotati essenziali, la norma, 
sia nel testo originario sia in quello modificato dalla legge n. 436 del 
1978, attribuendo al coniuge divorziato il cliiritto di percepire una quota 
di pensione o di altri assegrui spettanti (o che spetterebbero) al coniuge 
superstite, fo ha costituito beneficiario di un assegno che, pur avendo 
con~�nuto autonomo, h~ funzione e natura analoga a quello. di divorzio, 
�ome fasciano intendere il richiamo espresso all'art. 5 (che disciplina, 
tra l'altro, tale assegno) e la determinazione della quota a favore del 
coniuge divorziato non solo sull.a pensione spettante (o che spetterebbe) 
al coniuge superstite, ma anche su a~tri assegni. La norma, quindi, ha 
inteso non gi� operare una ripartizione della pensione e de~ altri assegni, 
considerati come tali, o istituire nuove forme previdenziali, ma disciplinare 
l'attribuzione di contributli dovuti ad altro titolo -e cio� nell'ambito di 
un rapporto diverso da quello pep.sionistico -a soggetti diversi dal 
titolare della pensione o degli assegni. 

Per le stesse ragioni � stata ritenuta manifestamente infondata la 
questione di legittimit� costituzionale (cui 'si accenna nel ricorso) del� 
l'art. 2 della legge n. 436/78, in relazione agli artt. 25 e 103 Cost. g 
evidente; infatti, che, attesa fa natura dell'attribuzione patrimoniale 
prevista dall'art. 2 a favore dell.'ex conduge, la norma non vio�a l'art. 103 
Cost., poich� non investe posizioni giuricliiche soggettive che la norma 
costituzionale attribuisca alla cognizione degH organi di giustima ammi� 
nistrat�.va o alla Corte dei conti, e sottopone, qwndi, la controversia al 
giudice naturale precostittiito per legge (sent. n. 5521/83). 


9+4 RASSEGNA Dl!LL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Che quello riconosciuto ad coniuge divorziato debba. considerarsi un 
diritto nuovo oppure un dir_itto riconducibile a quello avente per oggetto 
l'assegno di divorziio � questione che si riflette sui criteri di determinazione 
della quota da distrarsi a favore del coniuge divorziato, ma essa 
esula dalla presente indagine, in quanto non incide sulla giurisdizione. 
Invero la norma non altera, ed anzi presuppone, l'unica e vera titolarit� 
della pensione e degli assegni, tanto che anche letteralmente la legge 
parla di diritti �spettanti� al coniuge superstite; e, facendo riferimento 
alla morte dell'obbligato, lascia intendere che il potere di distrazione 
confe:rtito al giudice si� fonda sull'accertamento di un altro diritto, nascente 
dal diverso rapporto conseguente alla pronunzia di divorzio e che in 
nessun modo potrebbe radicarsi nel rapporto pensionistico, tanto � vero 
che la pronunzia del giudice, di attribuzione in tutto o in parte della 
pensi�one o degli alt:rti assegni, rimane condizionata all'effettiva liquida� 
zione che degli :stessi, con riguardo alla posi�zione del soggetto del rapporto 
pensionistico, verr� fatta nella sede competente. 

Occorre infatti tenere distinta la controversia� pensionistica -che 
pu� instaurarsi tra l'ente erogatore e il coniuge superstite nell'ambito 
dell'art. 81 del t.u. n. 1092/73 (sulla quale, ai sensi dell'art. 13 e 62 del t.u. 
12 luglio 1934 n. 1214, vi � la giurisdizione della Corte dei conti) -e la 
controversia avente ad oggetto la posizione del coniuge divorziato, a 
favore del quale pu� essere distratta, condizionatamente all'effettiva erogazione 
della pensione, una quota di essa, che appartiene, invece, alla giurisdizione 
ordinaria e precisamente alla c�gnizione del tribunale �nell'ambito 
del procedimento disciplinato dall'art. 9 �della legge n. 898/70. 

Alla diversa natura delle due controversi�e, fa riscontro la diversa legittimazione 
delle parti, che, in relazione alJ'azione diretta a conseguire 
la pensione, spetta aJ. coniuge superstite e non ad coniuge divorziato, 
il quale acquista successivamente un'analoga legittimazdone, nei limiti 
della quota distratta a suo fuvore, solo per effetto del provvedimento 
del tribunale; ma in tal caso fa quota di pensione potrebbe essergli 
rifiutata in sede amministrativa solo per motivi concernenti la posiZI�one 
del coniuge superstite (e contro il provvedimento amministrativo di rifiuto 
fil coniuge divorziiato dovrebbe adire Ja Corte dei conti per la soluzione 
di una questione avente squisita natura pensionistica) e non con riguardo 
alla posizione del coniuge divorziato, per valutazioni ormai precluse alla 

P. A., che contrastino con quelJe del tribunale, ii.I cui provvedimento (che, 
secondo la nuova disciplina, deve essere emesso con la partecipazione 
dell'ente erogatore, in modo che possa prenderne atto), fa, anzi, stato 
anche nei confronti dii tale ..ente. In questa ipotesii., fa Corte dei conti, 
adita dal coniuge divorziato con ricorso contro il provvedimento amministrativo
� che rifiuti di ottemperare alla decisione del giudice ordinario, 
non potrebbe provvedere in proposito senza eccedere dai limiti della sua !, 
l

I 

>: 

~ 


PARTB I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 945 

giurisdizjone e senza svolgere un giudizio di ottemperanza che la legge 
devolve in altra sede al giudice amministrativo. 

4. -La circostanza che nel caso in esame il tribunale si sia gi� pronunziato 
ai sensi dell'art. 9 della legge 898/70 e con il procechimento in essa 
previsto, attribuendo alla Merand una quota della pensione che sarebbe 
spettata al coniuge superstite, non altera i termini del problema. 
La questione se il tribunale abbia deciso esattamente, o meno, la 
controversia, con l'attribuire alla Merand una quota chi pensione, pur 
mancando il coniuge superstite (secondo un'dnterpretazione dell'art. 9, 
nel testo originario, in senso conforme al nuovo testo dettato dall'art. 2 
della legge 436/78), riguarda, come si � precedentemente chiarito, il merito 
di una controversia non avente natura pensdoillistica, e per� ci� devoluta' 
al tribunale, e non pu� formare oggetto di sindacato n� da parte della 

P. A. n� da parte della Corte dei conti, non essendo quello proposto 
dinanzi ad essa, come esattamente si osserva nella decisiOne impugnata, 
un giudizio di ottemperanza, che potr:ebbe se mai instaurarsi dlinanZJi. aw!i 
organi chi giustizia amministrativa ad esso preposti. 
N� rileva, ai fini che qui iinteressa, dl fatto che il precedente giudizio 
c�merale si sia svolto in assenza dell'ente erogatore (la cui presenza, 
soltanto con Ja novella del 1978 � stata espressamente prevista), circostanza 
questa, della quale peraltro l'Amministrazione ricorrente -unica 
interessata a farlo -non si � doluta in questa sede, poich� ['eventuale 
problema se quella decisione fa�oia stato nei confronti dell'ente erogatore 
(s� che questo debba obbligatoriamente uniformarvisi) oppure se, nella 
ipotesi negativa, la Merand debba munirsi di un titolo, questa volta 
formato secondo la disciplina processuale dettata dall'art. 2 della legge 

n. 436/78, non vale a trasferire nel campo pensionistico una controversia 
che rimane nell'ambito della diversa materia disciplinata dall'art. 9 e 
del procedimento in esso regolato, inerendo agli effetti del provvedimento 
adottato; n� deve, in questa sede risolversi, in quanto eccede 
dai lii.miti dell'impugnazione proposta e non ha ancora concreta attualit�, 
essendo anzi ragionevole ritenere che il provvedimento del Tribunale 
di Genova trow spontanea attuazione d.a parte de1la P. A. 
5. -Poich� la controversia esaminata dalla Corte dei conti non aveva 
ad oggetto il diritto alla pensione di riverstibilit� del coniuge superstite, 
ipotizzato come esistente, ma iii chiritto del coniuge divorziato ad ottenere 
una quota della pensione, che sarebbe spettata a questo e che, del 
resto, il tribunale di Genova le ha gi� rtlconosoiuto, la controversia medesima 
non ricadeva sotto la giurisdizione de1la Corte dei conti, la 
quale quinchi avrebbe dovuto dichiarare il proprio difetto di ~ucisdizione 
ed astenersi di pronunciare nel merito. Il ricorso va pertanto accolto, 
con la conseguente cassazione senza rinvio della decisione impugnata. 
(omissis). 


946 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE .DI CASSAZIONE, Sez. Un., 14 dicembre 1984, n. 6568 -Pres. 
Barba � Rel. Sensale -P. M. Caristo (conci. conf.) -Senato della Repubblica 
(avv. Stato Linguiti) c. Mazzeo (non cost.). 

Elezioni � Elettorato passivo � Tutela dello � jus officlum � � Competenza 
esclusiva delle Camere � Verifica dei poteri � Insindacabilit� in sede 
giurisdizionale. ' 

(Artt. 64, 66 Cost.; art. 25 legge 6 febbraio 1948, n. 29, modificato dalla legge 28 aprile 
1967, n. 262; art. 87 d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361; art. 2 legge 27 febbraio 1958, n. 64; 


art. 53 t.u. 16 maggio 1960, n. 570; art. 19 reg. Senato 1971). 

Nel vigente ordinamento costituzionale la tutela dei diritti soggettivi 
pubblici all'aequisizione di un mandato politico � affidata esclusivamente 
alle Camert; legislative, per mezzo dell'apposito organo (Giunta delle elezioni) 
e, in ultima istanza, all'assemblea delle Camere, nell'ambito del 
potere di controllo sulla validit� e regolarit� delle operazioni elettorali. 
Tale attivit� in sede di verifica dei poteri sfugge a qualsiasi sindacato 
alternativo, concorrente o successivo da parte di qualsiasi autorit� giurisdizionale 
(1). 

l 

Con la istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, si sostiene 
che il rimedio praticato dalla Mazzeo � del tutto estraneo all'ordinamento 

I 

dello Stato e confligge con il principio della divisione dei poteri, in attuazione 
del quale, in forza dell'art. 64 Cost., ciascuna Camera giudica dei f: 
titoli dii ammissione dei suoi componenti, secondo il regolamento adottato 
ai sensi dell'art.. 66 Cost., escluso l'intervento di qualsiasi organo 
giurisdizionale. Si deduce, in particolare, che Ja � verifilca dei poteri �, 


I

comprendente l'esame e la decisione su proteste e reclami circa le operazioni 
elettorali, spetta, -secondo l'art. 19 del regolamento del Senato, 1~ 
approvato il 17 dicembre 1971 -alla Giunta per le elezioni e per le immunit� 
parlamentari ed allo stesso Senato, dal che consegue l'assoluto difetto 
di giurisdizione, nella materia de qua, sia <,lei giudice ordinario sia 


I

(1) Cfr. Cass., 31 luglio 1%7, n. 2036, in Foro it., 11967, I, 2009; �in Giust. civ., 
1968, I, 317, in CUI�, in sede di regolamento di giurisdizione, venne dichiarata 
assolutamente improponibile� .la domanda proposta da chi, assumendosi illegittimamente 
. escluso, chiedeva il risarcimento dei danni nei confronti dello 
Stato e del Presidente dell'Ufficio elettorale regionale; id., 10 marzo 1971, n. 674, 
in Giur. it., 1971, I, 1, 811; in Giust. civ., 19711, I, 10%, con .ampia nota di richiami, 
in tema di controllo giurisdizionale sulle deliberazioni dell'Assemblea della regione 
siciliana in sede di verifica dei poteri; su cui cfr. id., 5 dicembre 1977, 
n. 5263, Mass., 1977. La sentenza Cass., S. U., .17 ottobre 1980, n. 5583, citata in 
motivazione, � pubblicata su Giust. civ., 1981, I, 44 e in Giur. it., 1981, I, il, 750 
con ampia nota di richiami giurisprudenziali e dottrinali. Per la giurisprudenza 
amministrativa cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 ottobre 1950 n. 504, in Cons. Stato, 
1950, I, 281. 

PARTB I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

947 

del giudiee amministrativo, essendo limitate le attribuzioni del T.A.R. al 

contenzioso elettorale ammin:istmtivo (art. 6 della legge n. 1034 del 1971). 

IJ ricorso � fondato. 

L'art. 64 Cost. stabilisce che ciascuna Camera adotta il proprio rego


lamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti; e, i11 base al successivo 
art. 66, ciascuna Camera giudica dei 1litoli di ammissione dei suoi 
componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilit� e di incompatibilit�. 
L'art. 62 del D.P.R. 5 febbraio 1948 n. 26 (ora art. 87 del D.P.R. 
30 marzo 1957 n. 361)..11i.serva alla Camera dei deputati la convalida della 
elezione dei propri componentJi., nonch� la pronunzia del giudizio definitivo 
su11e contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati 
agli uffici delle singole s�zioni elettorali o all'ufficio centrale durante 
la loro attivit� o posteriormente. Tali disposizioni, contenute nel 
testo unico delle norme per le elezioni alla Camera dei deputati, sono 
richiamate nella discipltlna delle elezioni al Senato (art. 25 de11a legge 
6 febbraio 1948 n. 29, modificata daHa legge 28 aprile 1967 n. 262; art. 2 
della legge 27 febbraio 1958 n. 64). 

In relazione alle citate norme detla Costituztlone, le Camere si sono 
date il proprio regolamento, in cui sono dettate, fra l'altro, anche fo norme 
relative alla verificaztlone delle elezioni e della nomina degli eletti. 
Per il Senato, nell'art. 7 del regolamento approvato hl 18 giugno 1948, 
ed ora nell'art. 19 del successivo regolamento approvato il 17 febbraio 
1971, sono previste composizione e materia riservata alla cognizione di 
un'apposita � Giunta delle elezioni e delle !immunit� parfamentari �, cui 
spetta la verificazione dehle eleziioni e delle nomine a senatore. 

In questo quadro normativo, ,1e Sezioni unite ebbero ad affermare 
il principio che, nel vigente ordinamento costituzionale, la tutela dei 
diritti soggettivi pubblici atl'acquisiztlone di un mandato poHtico � affidata 
escluslivamente alle Camere legislative, per mezzo dell'apposito organo 
(Giunta delle elezioni) e, in ultima istanza (eventualmente), all'assemblea 
delle Camere stesse, nell'ambito del potere di controllo sulla vallidit� 
e regolarit� delle opera7Jioni elettorali (sent. 2036/67), precisando successivamente 
(sent. 674/71) che l'attivit� deUe Camere Jegislative dello 
Stato in sede dli verifica di poteri sfugge a qualsiasi sindacato alternativo, 
concorrente o successivo da parte di qualsivoglia autorit� giurisdizionale, 
ordinaria o amministrativa. 

Questi princ�pi sono stati ribaditi, anche di recent� (sent. 5583/80), 
dalle Sezioni unite, le qualii hanno osservato che il sindaoato di legittimit� 
sud titoli di ammisslione dei componenti delle assemblee parlamentari si 
pu� realizzare, in astratto, attraverso molteplici sistemi, tra i quali il 
nostro Costituente ha prescelto quello c.d. della �verifica delle elezioni�, . 
affidando .detto sindacato alle stesse Camere: oi� secondo l'esempio di 
molti paesi europeli ed agltl uffici delle singole sezioni elettorali o all'ufficio 
centrale durante la loro attivit� o posteriormente. 

11111111111�10r111r111111.111=r111111111111111r111@1111ir111111111m11 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

948 

Con la sentenza 5583/80 si �, infine, osservato che eventuali questioni 
di legittimit� costituzionale delle norme ordinarne non potrebbero sollevarSI�. 
in questa sede, ma, se mai, nel procedimento di verifica par.lamentare 
dei poteri, posto pure che in esso sia possibile l'inserimento del 
processo pregiudiziale previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
e che, comunque, nessuna rilevanza assumerebbe in questa sede la risposta 
che volesse darsi all'interrogativo circa la natura di quel proced!imento, 
Jegiislativa in senso lato, obiettivamente amministrativa, intrinsecamente 
giurisdizionaile ovvero di mero �esercizio di un peculjare potere di 
controllo costituzionale. Che se poi -si � aggiunto -il procedimento 
davanti alle Camere non offre, nella fattualit�, le garanzie proprie della 
giurisdizione, e dunque non attua realmente il precetto insito nel termine 
� giud!ica � usato dall'art. 66 Cost., star� allo stesso Jegisfatore, in sede 
costituente e ai sensi della VI disp. trans., dettare Ja normativa alruopo 
eventualmente occorrente. 



/ 

SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 ottobre 1984, n. 4915 -Pres. Sandullii -
Rel. Rocchi -P. M. Valente (conf.) -Lazzarolli ed altri (avv. Piras) 

c. Ministero Difesa (avv. Stato Siconolfii). 
Edilizia economica e popolare -Alloggi di servizio -Diversit� dei presupposti 
e delle procedure per l'assegnazione � � Criteri per la qualificazione 
giuridica. 

Allorch� gli alloggi concessi in locazione dall'INCIS sono assegnati in 
base non ad un normale concorso aperto alla generalit� degli .impiegati 
dello Stato, bens� sulla base di una designazione dell'Amministrazione, e 
sul presupposto della qualit� di dipendenti di una specifica Amministrazione 
(nella specie l'Accademia Navale di Livorno) e della prestazione 
in loco di un determinato servizio, si versa in una situazione analoga a 
quella prevista dall'art. 381, 1� comma, T.U. 1165/39 sugli alloggi degli 
ufficiali e sottufficiali. Trattasi pertanto di alloggi di servizio esclusi dal 
riscatto, ai sensi dell'art. 2 lett. A, d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 (1). 

Con il primo motivo del ricorso principale -denunciandosi viola


zione deglii artt. 99 e segg., 105, 331 cod. proc. civ. -si deduce il difetto 

di legittima:llione dell'Amministrazione militare a proporre impugnazione 

innanzi fa Corte d'Appello, in quanto detta Amministrazi�ne aveva spie


gato nel giudizio intervento adesivo dipendente, e non adesivo autono


mo, che solo avrebbe integrato il diri.tto ahl'impugnazione, in via autono


ma, della decisione resa inter partes in prim� cure. 

La contestaz:ione della legittimazione ad impugnare, dedotta nei ter


mini indicati, presuppone quella circa l'eSlistenza, in capo all'Amministra


zione militare, di un diritto soggettivo alla disponibilit� degli alloggi di 

propriet� dell'IA.C.P. 

Con il secondo motivo del ricorso principale -denunciandosi viola. 
zione deM'art. 2 lettera A del D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 e norme richiia� 

(1) Cfr. Cass. 4' ottobre 1982 n. 5074, in questa. Rassegna 1983, I, 950. 
Sulla giurisdizione dell'A.G.0. a conoscere di una controversia tra Amrndnistrazione 
FF.SS. e un dipendente assegnatario di alloggio di tipo economico e 
popolare avente ad oggetto la sussistenza dei presupposti e requisiti .. per la 
cessione in propriet� v. Cass. 9 maggio 1983 n. 3150 fa Mass. Foro it., 1983. In 
dottrina sugli alloggi di servizio e case popolari v. G. PASINI -L. BALUCANI, 
I beni pubblici e relative concessioni, 1978, 603. 

950 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

mate -si sostiene il diritto dei ricorrenti al riscatto in propriet� degli 
ailloggi loro concessi, a suo tempo, in locazione, in base al reg:ime proprio 
dell'edili2'Jia economica e popolare. 

Entrambe le censure sono infondate. 

Il tema di fondo di entrambi i motivi � unitario e conStiste nell'accertamento 
dell'esatta qualificazione giuridica degli a1loggi per cui � 
ricorso: detta qualificazione, linfatti, consentir� di rispondere sia al 
quesito (sostanziale, con riflessi processuali) del se eStiste un diritto autotonomo 
dell'amministrazione militare in ordine alJ.a � disponiblilit� � degli. 
ailloggi de quibus; sia al quesito (sostan2'Jiale) del se i ricorrenti siano o 
meno titolari del dirotto di riscatt� azionato. 

Orbene, sostengono i ricorrenti di essere titolari di una normale 
assegnazione di case dell'INCIS, costruite per la generalit� degli impiegati 
dello Stato e finanziate a norme del D.L. C.P.S. 8 maggio 1947, n. 399, 
e agg:iungono di aver stlipulato con l'INCIS un contratto di locazione che, 
per l'ammontare del canone e in o~i altra clausola, non si differenzia dai! 
modello di norma utilizzato; riconoscono, peraltro, di aver usufrlllito di. 
una prelazione rispetto agli altri impiegati dello Stato, ali sensi dell'art. 378 
del tu. 28 aprile 1938, n. 1165, che, nel disciplinare i criteri da seguire 
nell'assegnazione degli alloggi INCIS, fa salvi i casi speqiali segnalati 
dalle amministrazioni de1lo Stato per esigenze dli servizio e quelli accertati 
direttamente dall'INCIS. 

In realt�, dall'intero contesto della vlicenda risulta che i ricorrenti usufruiscono 
di alloggi ubicati in un edificio destinato iJ1 blocco ab origine 
ai dipendenti dell'Accademia navale di Livorno ed assegnati dall'INCIS 
su designazione del Comando del!' Accademia. 

Detto edificio -contraddistinto con la lettera � M � venne costruito 
dall'INCIS in Livorno (Via Lepanto) su area gi� di pertinenza dell'Accademia 
Navale, ceduta gratuitamente all'Istlituto dal Ministero delle Finanze, 
Direzione Generale del Demanio, con atto del 3 marzo 1949.. 

Slia la dismissione dell'area, che la sua cessione aill'INCIS rappresentarono 
l'attuazione di accordi intervenuti anteriormente tra il Ministero 
della Marina e l'Istituto, dn base ai quali uno degli edifici costruendd sulfu 
predetta area (edificio � M �, con~enente venti alloggi) sarebbe stato riservato 
al personale in servizio presso l'Accademia Navale di Livorno e assegnato 
su sempliice designazione del Comando dell'Accademia stessa, a differenza 
degH altri allogg:i costruendi, da assegnare � mediante concorso 
secondo le vigenti norme �. 

I predetti accordii trovarono pieno riscontro nei fatti, allorch� i venti 
alloggi della palazzina � M � furono originariamente assegnati a dipendenti 
designatli dal Comando dell'Accademia, con i quaili l'INCIS stipul� 
regolare contratto di locazione, nel quale si puntualizzava, peraltro, che la 
cessazione del servi2'Jio presso l'Accademia avrebbe comportato automa� 
t�camente il venir meno dell'assegnazione. 

f. 
f 

~ 


PARTB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 951 

Le medesime modalit� vennero seguite per le successive assegnazioni. 

Orbene, tale successione di fatti dimostra che i ricorrenti hanno 
conseguito l'assegnazione non gi� in esito ad un normale concorso INCIS 
aperto aille generalit� degli impiegati dello Stato, ina avvalendosi della 
Joro qualit� di dipendenti dell'Accademia (o in genere del Ministero della 
Difesa -Marina) e sulla base della designazione dell'amministrazione militare, 
alla quale l'INCIS, nello stipulare i confratti di locazione, si � 
puntualmente attenuta. 

Si � venuta, in tal modo, a creare una situazione che si discosta nettamente 
da quella ipotizzata dall'art. 378 del T.U. n. 1165 del 1938 dianZJ� 
citato, e che si ddentifica, piuttosto, in quella di cui al precedente art. 381, 
1� comma, dello stesso T.U., faddove si disciplina la procedura di assegnazione 
degli alloggi per ufficiali e sottufficiali dell'esercito. 

Tale procedura prevede, infatti, che gli alloggi vengano concessi in 
affitto a ufficiali e sottufficiali su determinazioni dei Comandi militari, 
comunicare all'INCIS ai fini della stipulazione dei contratti di locazione. 

Analogamente, nella fattispecie che ci occupa le determinazioni in 
ordine dell'assegnazione""degli alloggi ossia in ordine al pres~pposto pubblicistico 
del conseguenziale e accessorio rapporto di locazione, sono 
state, fin dal 1950, adottate dal Comando dell'Accademia navale di Livorno; 
e, in relazione a ci� l'INCIS si � limitato a prendere atto delle 
decisioni di detto Comando ed a stipulare i contratti di locazione con 
i soggetti designati. 

Deducono, peraltro, al riguardo, i ricorrenti che, nella specie, non 
ricorre l'ipotesi di case costruite per ufficiali. e sottufficiali ex art. 343 
del T.U. del 1938; che gli alloggi di cui trattasi sono stati assegnati anche 
a dipendenti civiai del Ministero della Difesa ed anche a personale non 
dipendente dall'Accademia; che l'assegnazione non � stata, comunque, 
subordinata alla prestazione del servizio presso lAccademia. 

Tale d7duzione non appare, peraltro, concludente nel riflesso che, 
se dl procedimento seguito nella specie pu� essere stato atlipico ed irregolare, 
lo stesso non ha, comunque, compromesso o alterato il dato di 
fondo oggettivo, costituito, come detto, dalla circostanza che i ricorrenti 
usufruiscono di alloggi riservati ab origine ai dipendenti dell'Accademia 
navale ed assegnati dn base alle determinazioni vincolanti dell'Autorit� 
militare, al di fuori di un regolare concorso INCIS, e senza alcuna posSli.
bilit� di valutazione, di comparazione e di controllo da parte dello 
INCIS medesdmo. 

In detto quadro, appare del tutto logica ed incontrovertibile l'equiparazione 
degli a1loggi di cui trattasi agli alloggi di servizio esclusi dal 
riscatto ai sensi dell'art. 2, lett. A, del D.P.R. n. 2/1959. Equiparaziione evidenziata 
dall'essere gli alloggi in esame originariamente riservati ai dipendenti 
dell'Accademia navale in relaziione al servizio prestato dagld 
stessi presso l'Accademia medesima, circostanza questa che si traduce in 

.�:::�:

.... 


952 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
un connotato oggettivo degli alloggi e si riflette sUille modalit� ogget� 
tive della loro assegnazione, in tutto analoghe a quelle previste dall'art. 381 
del T.U. per gli alloggi riservati agli ufficiali. 
In detta prospettiva, l'esclusione del dimtto di riscatto nell'ipotesi 
di specie (e, per converso, mi profilo del diritto dell'amministrazione militare 
alla disponibilit� degli alloggi de quibus) sii delinea ulteriormente 
alila luce del disposto di cui alla lett. b), dell'art. 2 del D.P.R. citato, il 
quale esclude dalla concessione in propriet� gli alloggi conferiti in godimento 
per la prest�ztione in loco di un determinato servizio presso pubbliche 
amministrazioni. 

Disposizione questa che, per affermata giurisprudenza, va intesa nel 
senso che la detta deroga comprende non solo gli alloggi assegnati a singoli 
funzionari intuitu ministerii, e, cio�, in base ad un inscindibile collegamento 
con le funzioni esercitate, ma tutti quelli in cui l'assegnazione 
venga, comunque, condizionata alla . prestazione dii servdzio presso gli 
uffici del luogo in cui si trovi l'immobile (cfr., da ultimo, Cass. n. 3919/79). 

In conclusione, la condizione giuridica degli alloggi, qualtifilcata dal� 
l'originaria pertinenza dell'area edificatoria, nonch� dagli accordi intervenut� 
tra l'INCIS (oggi IA.C.P.) e il Ministero della Marina, al momento 
della loro costruzione, e, successivamente, dalla procedura di assegnazione, 
attribuisce ad un tempo all'Amministrazione militare una posizione 
processuale autonoma, in dipendenza della titolarit� di un dliriitto soggettivo 
perfetto alla dlisponibilit� degli immobili, ed esclude il diritto di 
riscatto, in capo ai ricorrenti, degli alloggi loro assegnati in locazione. 

Con il terzo ed ultimo motivo del ricorso principale, si deduce testualmente 
�che l'appello essendo inammissibile (quanto meno ex art. 311 
cod.� proc. civ.), la mancanza di una valida rimpugnaztione della decisione 
del Tribunale ed id decorso del tempo hanno ormai fatto passare in giudicato 
la sentenza di pri.mo grado �. 

La censura, in sostanza, ripropone la questione dell'ammissibilit� 
dell'appello in relazione alla legittimazione dell'amministrazione militare 
ad impugnare l~ decisione di primo grado e, come tale, deve considerarsi 
assorbita dalle considerazioni che precedono in risposta ai primi 
due motivi del ri.corso prnncipale. 

Con il ricorso incidentale, si censura, in linea subordinata, la sentenza 
della Corte d'Appello nella parte in cui i giudici del gravame hanno 
omesso di richiamare espressamente, sia nell'intestazione che nel dispositivo 
della sentenza l'I.A.C.P. di Livorno, al quale l'impugnaztione era 
stata ritualmente notificata; cos� denunziandosi la decisione della Corte 
di merito per violazione dell'art. 132 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360. 

n. 3, dello stesso codice. 
La censura deve considerarsi anch'essa assorbita in conseguenza del 
rigetto del ricorso principale, attesa la sua proposizione in linea subordi� 
nata all'accoglimento del detto ricorso. 


PAIUB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 953 

Conclusivamente, il ricorso principale va rigettato e il ricorso incidentale 
dichiarato assorbito. 
Motivi di opportunit� inducono Ja Corte a compensare interamente 
tra le parti le spese processuali del presente giudizio. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 ottobre 1984, n. 5017 � Pres. Santosuosso 
� Rel. Corda � P. M. Jannelli (diff.) � S.A.R.A. (avv. Creta) 

c. ANAS (avv. Stato Mataloni). 
Responsabilit� civile � Occupazione illegittima � Responsabilit� del concessionario 
� Occupazioni illegittime poste in essere dalla S.A.R.A. � 
Decadenza dalla concessione � Responsabilit� dell'ANAS � Sussiste. 

Ai sensi dell'art. 2 del D.L. 10 febbraio 1977 n. 19, convertito con modificazioni 
nella legge 6 aprile 1977, n. 106, successivamente alla decaden� 
za della concessione, l'ANAS succede alla S.A.R.A. in tutte le obbligazioni 
sorte alla stessa, sia di natur� negoziale sia a titolo di risarc�� 
mento dei danni per fatto illecito, purch� non vi sia gi� stato un accertamento 
definitivo di responsabilit� nei confronti della S.A.RA. (1). 

(,1) Non risultano precedenti: con questa sentenza infatti la Cassazione ha 
preso per la prima volta posizione sull'interpretazione dell'art. 2 del DL. 10 aprile 
19n n. 106, che ha dichiarato la SA.R.A. decaduta dalla concessione delle 
Autostrade romane e abruzzesi e ha regolato �i rapporti successori nei confronti 
dei terai. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 ottobre 1984, n. 5544 � Pres. Greco � 
Rel. Sensale -P. M. Minetti (conf.) � Cantina sociale Marsala (avv. 
Gratlani) ~-A.I.M.A. (avv. Stato Fiumara). 

Avvocatura dello Stato.� A~I.M.A. � Patrocinio � ~ obbligatorio. 

Attraverso la costituzione dell'A.I.M.A. la legge ha inteso realizzare 
fini propri dello Stato, il quale in tal modo si � reso adempiente degli 
obblighi derivantigli dalle norme comunitarie sul mercato agricolo; n� 
contrasta con tale inerenza all'amministraziOne dello Stato la circostanza 
che essa sia dotata di autonoma personalit� giuridica. Ne consegue 
che la rappresentanza in giudizio dell'A.I.M.A. per mezza dell'Avvoca� 
tura dello Stato � obbligatoria e non facoltativa e si applica all'A.I.M.A. 
il foro erariale previsto dall'art. 25 del cod. proc. civ. (1). 

(1) Non esistono precedenti specifici. Per quanto concerne il foro erariale 
degli enti mutualistici soppressi relativamente alle controversie concernenti 
operazioni di liquidazione che sono destinate ad essere assunte dall'apposito 

954 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO '� 

1. Con il primo motivo ila ricorrente sostiene che non � poss.ibile 
ritenere che il riconoscimento all'A.I.M.A. della personalit� giuridica, eseguita 
a mezzo. della legge istitutiva 13 maggio 1966, n. 303, abbia avuto 
effetti meramente formali, Slia perch� tale conclusione contrasta con i 
principi generali che regolano <le persone giuridiche e sia perch� essa non 
giustifica gli effetti giuridici patrimoniali connessi a tale riconoscimento 
espressamente previsti. da detta legge; e deduce in particolare che: 
a) le persone giuridiche pubbliche, cosl come le private, sono soggetti 
di diritto, con capacit� corrispondente a quella delle persone fisiche, 
centri autonomi di imputazione di fattispecie e conseguenze giuridiche, 
rivolti al conseguimento di fini propri, in nessun caso assimilabili ad 
organi dello Stato; 

b) l'attribuzione della personalit� giuridica a:ll'A.J.M.A. non pu� 
essere confusa con l'autonomia amministrativa richiamata dall'art. 1 

R.D. n. 1611/1983, in quanto tale ric9noscimento � attributivo di elementi 
distintivi e di effetti giuridici caratterizzanti, che hanno contenuti molto 
ampi e intensi rispetto a quelli delle amministrazioni dotate di semplice 
autonomia amministrativa; 
e) ai sensi dell'art. 20 della legge istitutiva, nel momento stesso deLla 
costitwione e del riconoscimento, l'AIMA � stata surrogata al Ministero 
de1l'agricoltura e foreste per tutte le obbligazioni giuridico-patrimoniali 
da questo assunte; 

d) le attribuzioni riconosciute al Consiglio di amministrazione del� 
l'ente dalil'art. 7 della legge istitutiva risultano in contrasto con la supposta 
�inerenza,. dell'Azienda all'amministrazione statale e dimostrano 
l'intento del legislatore di apprestare gli strumenti giuridici, amministra� 
tivi e patrimoniali per assicurare una posizione di autonomia ed autarchia 
del tutto particolare. 

Con ii.I secondo motivo la ricorrente sostiene che, ad esoludere l'obbligatbriet� 
deMa rappresentanza dell'AIMA da parte dell'Avvocatura de1lo 
Stato, valgono anche le seguenti considerazioni: 

1) la legge istitutiva, a differenza di quelle concernenti tutte le altre 
amministrazioni autonome, non prevede la rappresentanza in giudizio 
dell'AIMA da parte de1l'Avvocatura dello Stato; 

ufficio liquidazione del Ministero del Tesoro, vedi Cass. 13 maggio 1983 n. 3276 
in Foro it. 1984, I, 234; e con riferimento alle controversie concernenti la liquidazione 
degli enti soppressi v. Cass. 30 marzo 1984 n. 2142 in Foro it., I, 1847. 
Per quanto riguarda la Cassa del Mezzogiorno considerata in motivazione 

perch� anch'essa organo dotato di personalit� giuridica v. da ultimo Cass., 

28 luglio 1981, n. 4852 in Giust. civ. 1982, I, 3121 con nota di CARBONE C. 



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PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 955 

2) l'ente in questione non risulta nemmeno compreso tra quelli 
autorizzati ad avvalersi della rappresentanza e difesa dell'Avvocatura 
dello Stato; 

3) l'art. 7 iett. i) della legge n. 303/1966 riserva al Consiglio di amministrazione 
dell'A.I.M.A. il potere di �deliberare sulle transazioni e sulla 
opportunit� di promuovere azioni giudi7Jiarie o restistere nei giudizi �, il 
ch�: a) conferma la sostanziale, maggiore autonomia dell'A.IM.A. rispetto 
alJ.e altre aziende; b) comprova ulteriormente che la rappresentanza processuale 
di questo ente da parte dell'Avvocatura � da ritenere meramente 
discrezionale; 

4) conferma� che le disposizioilli sul foro eraliale Sii riferiscono ai1le 
sole controverstie nelle quali sia parte un'amministrazione de1lo Stato e 
non sono, pertanto, estensibili alle cailse con enti che abbiano soggettivit� 
giuridica distinta da que1la dello Stato, salvo diversa e specifica 
previsione normativa. 

Con il terzo motivo, infilne, la ricorrente sostiene che fa norma contenuta 
nell'art. 12 della legge 14 agosto 1982, n. 610, sul riordinamento 
dell'A.I.M.A. -con la quale si � stabilito che hei giudi7Ji attivi e passivi 
avanti l'autorit� giudiziaria ordinaria ed ai collegi arbitrali e giurisdi2lionali 
speciali, l'A.I.M.A. � rappresentafa datll'Avvocatura Generale dello 
Stato -innovatrice e non superflua (come ritenuto dalla Corte di Appello 
di Palermo), � di per s� idonea a fugare ogni dubbio in ordine alla 
rappresentanza processuale dell'azienda nel momento della propostizione 
della domanda introduttiva del presente giudizio, dovendo ritenersi -per 
le espressioni letterali usate e in base a un'adeguata valutazione del fondamento 
e dello scopo della disposizione -che con essa il legislatore 
abbia inteso rendere necessaria, da facoltativa che era ex art. 43 della 
legge n. 1611 del 1933, la rappresentanza processuale dell'A.I.M.A. da parte 
dell'Avvocatura dello Stato. 

Le suesposte� censure, che devono esaminarsi con~untamente essendo 
fra foro connesse, sono infondate. 

2. L'art. 25 cod. proc. civ. dispone che nelle cause nelle quali � parte 
un'amministrazione dello Stato � competente, a norma delle Jeggi speciahi 
sulla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio e nei casi ivi 
prev�sti, il giudice del Juogo ove ha sede l'ufficio deM'Avvocatura dello 
Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo 
ae norme ordinarie. IJ R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, cui l'art. 25 cod. proc. 
civ. rinvia, stabilisce ch� la rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in 
giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad 
ordinamento autonomo, spettano all'avvocatura dello Stato (art. 1) e 
che la competenza per Je cause nelle qua1i � parte un'amministrazione 
dello Stato spetta al tribunale o a1la corte d'appello del luogo dove ha 

RASSBGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATI> 

sede l'ufficio dcll'avvooatura dello Stato nel cwi distretto si trova il tri� 

bunale o la corte d'appel:lo che sarebbe competente secondo le norme 

ordinarie (art. 6). Il successivo art. 43 stabilisce, poi, che l'avvocatura 

dello Stato pu� assumere la rappresentanza e la difesa in giudizio dd 

amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati sottoposti a 

tutela o anche a sola vigtilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata da 

disposti di legge, dd regolamento o di altro provvedimento approvato con 

decreto. 

Da tali norme si trae la regola che la rappresentanza, il patrocinio e 
l'assistenza in� giudizio ad opera dell'avvocatura dello Stato sono obbtli� 
gatori per le amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordina� 
�mento autonomo, e sono facoltativi per le amministra2lioni pubbliche non 
statali e per gli enti sovvenzionati, sottoposti a tutela o vigiilanza dello 

Stato, e che la norma sul foro erariale opera solo nel primo caso. 

Per quanto la legge si sia preoccupata di indicare gli enti pubblici 
non statali per i quald � ma~tenuta ferm� l'autorizzazione ad avvalersi 
del patrocinio erariale nell'ambito di prC;!visiOne dell'art. 43 (v., ad esem� 
pio, iil R.D. 8 giugno 1940 n. 779, il D.P.R. 9 lugilio 1953 n. 693, il D.P.R. 
6 marzo 1978 n. 218, H D.P.R. 6 agosto 1978 n. 872), non sempre dl proble� 
ma � stato posto e risolto sul piano testuale C;! si � di volta �n volta ricer� 
cato se l'organizzazione autonoma, per la sua struttura e per i fini che 
persegue, possa dirsi inserita, oppure no, neLl'apparato dell'amministra� 
zione dello Stato. 

Itl. fatto che tale dnterrogativo non sempre riceva risposta nella legge 
spiega talune qsaiMazioni che non sono mancate nella giurisprudenza di 
questa Corte. 

A parte quelle ipotesi in cui, pur ponendosi l'accento sulla sogget� 
tivit� giuridica formalmente distinta da queLla dello Stato (quale elemento 
per escludere dl patrocilllio erariafo), tale esclusione si giustii�icava in 
realt� con il'estraneit� di taluni enti pubblici all'organizzazione sta4tle 

(v. sent. 384/67, per la Giovent� italiana; 774/75 e 464/78 per gli IACP e 
la Gescal; 548/77 e 2967/80 per le Gestiond provvisorie delle ferrovie in 
concessione; 374/80 e 2123/80 per I�l Poligrai�ico delilo Stato), le oscillazioni 
giurisprudenziali si sono manifestate, in modo particolare, con riferimento 
alla Cassa per il. Mezwgiomo, alla quale talvolta si � riconosciuta fa 
veste di organo dello Stato, pur se dotato di personalit� giuridica (sent. 
718/70, 4164/75, 2363/76), mentre altre volte le si � negato fil beneficio del 
foro erariale, sul presupposto della sua distinta soggettivit� giuridica 
(sent. 4150/78, 2967/80, 4852/81). Per contro, con riguardo al fondo di 
previdenza delle Dogane (sent. 2328/75, 2742/76, 2264/83) e alla Gestione 
commissariale dell'ENPAS (sent. 5030/80), si � ritenuto che la personalit� 
giuridica di cui tali enti sono dotati si concilia con il loro inserimento 
nell'amministrazione dello Stato e con la conseguente applicabilit� 
del foro erariale. 

PARTB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA ClVILB 

3. Il problema che si pone �, dunque, se le organizzazioni autonome 
delle amministrazioni dello Stato possano essere fornite di personalit� 
giuridica senza che vengano meno al loro inserimento nell'apparato organizzativo 
dello Stato e, conseguentemente, ila regola del patrocinio obbligatorio 
dell'Avvocatura dello, Stato; e se il conferimento ad una di tali 
organizzazioni della personalit� giuriddca la trasferisca, come sostiene fa 
ricorrente, nella previisione dell'art. 43 del R.D. 1611 del 1933, con la conseguenza 
della non obbligatoriet� del patrocinio suddetto e della sottrazione 
al foro erariale de1le cause in cui essa sia parte. 
La tesi, maggiormente accreditata presso la dottmna meno recente, 
dell'impossibilit� d'inserimento nell'organizzaziione dello Stato degli enti 
dotati cli personalit� giuridica (in quanto -si ddceva -il concetto di 
persona giuridica � non pu� scompaguarsd dall'idea di un ente rivolto al 
conseguimento di fini propri �), non ha retto di fronte altl.a considerazione 
che, in seguito aM'ampliamento dei compiti che lo Stato moderno sii � 
assunto e alla esigenza, da tale ampliamento derivata per alcuni settori 
dell'azione pubblica, di una maggiore semplicit� strutturale e di una 
maggiore agilit� fumrl.onale, il legislatore, quando ilo ha ritenuto necessario 
al pi� ,idoneo perseguimento dei fini dello St�to, ha preferito costituire 
talune organizzaziioni dell'amministrazione statale come distinti soggetti, 
dotati di patrimonio e di organizzazione autonoma. 

Muovendo da tali considerazioni, la pi� moderna dottrina, ponendosi 
il problema della conciliabilit� fra la personalit� ~uridica di taluni enti 
e la loro veste di organi dello Stato, ha osservato che la questione � 
di stretto diritto positivo, poich�, se di regola l'organo, essendo il normale 
mezzo d'impugnazione ad una persona giul1idica della sua azione, 
non ha a sua volta personalit� giuridica (esso, infatti, avrebbe poi bisogno 
di un altro mezzo per imputare fattispecie a se stesso in quanto persona 
giumdica), nel nostro ordinamento � accolto il pmncipio che taluni organi 

(e, a maggior ragione, talune organizzazioni, anche non legate da rapporto 
organico con lo Stato) possano ricevere la personalit� giumdica per 
effetto ,di norme eccezionali, in virt� delle qua1Ii l'organo-persona giuridica 
sd istituisce sempre e solo quando ricorrono particolari ragioni, di solito 
di carattere patrimoniaJe, cio� per dare all'organo maggiore ildbert� negoziale, 
con la possibilit� di percepire proventi ddretti in corrispettivo delle 
prestazioni erogate. 

La pecularit� dd ta1Ii soggetti � che essi, da un lato si inseriscono in 
un quadro di rapporti interorganici e sono soggetti, a seconda dei casi, a 
poteri gerarchici o di direttiva ed a controlli generali o speciali;_ dall'altro 
hanno propri rapporti patrimoniali, propria contabilit�, propria organizzazione 
e, spesso, proprio personale e propri beni. 

Nel trattare delle amministrazioni statali autonome,' si � recentemente 
precisato in dottrina che se, per lo pi�, esse sono prive di personalit� 
giuridica, nulla esclude che, in talUilli casi, esse assumano tale personali



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

t�, nel qua.J. caso gli organi ministeriali ad esse preposti acquistano anche 
la veste di organi dell'ente; e, fra queste amministrazioni statali autonome, 
si � espressamente indicata l'AIMA. 

4. Se, dunque, la controversia deve risolyersi sul piano deJ. diritto 
positivo, essendo irrilevante che l'AIMA sia dotata di personalit� giuridica, 
non v'� dubbio che essa -definita dalla legge dstitutiva � Azienda 
di Stato�, al pari di altre per le quali non si � mai dubitato dell'app.Jdca


I 
bilit� del foro eraniale -debba includersi fra Je amministrazioni de1lo 
Stato organizzate ad ordinamento autonomo, per le quali, ai sensi degM 
artt. 1 e 6 del R.D. 1611/1933, il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato 
� obbligatorio e trova applicazione l'art. 25 del cod. proc. civ. sul foro 
er�ria.J.e. 

L'Azienda di Stato per gli interventi. nel mercato agricolo fu istituita 
con legge 13 m~ggio 1966 n. 303 presso il Ministero dell'agricoltura e 
delle.,.,/_w�este per s:volgere i compiti di_ gfganismo d'intervento previsti 
daf<regolamento comunitario del 4 aprile'1962 n. 19 e quelli che le fossero 
statli. successivamente affidati, derivanti dalJ'applii.cazione di norme comunitarie 
(art. 3, primo e secondo comma, modificato, quest'ultimo, daill'art. 
1 della legge 31 marzo n. 144). 

Scopo dell'Azienda, come si desume dalle norme citate e dall'art. 1 
della legge istitutiva, � quello d'intervenire sui prezZJ� indicativi, su quelJi 
di intervento e sui prezzi di entrata dei prodotti di cui al citato regolamento 
CEE e di quelli che sarebbero stati successivamente emanati lin 
materia, in modo da determinarli in base ai criteri stabiliti da tali 
regolamenti e d�lle deliberazioni del ConSli.glio dei ministri deLla Comunit�;" 


Ci� risponde all'impegno, assunto dallo Stato italiano aderendo al 
Trattato istitutivo della CEE (ratificato e reso esecutivo con legge 
14 ottobre 1957 n. 1203), di adottare tutte Je misure di carattere generale 
e perticolare, atte ad assicurare l'esecuzione degld obblighi derivanti dal 
Trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunit� 
(art. 5) e di coordinare, in stretta collaborazione con tali istituzioni, la 
propnia politica economica (art. 6), iivi compresa la politica agricola 
(art. 38), attraverso la stabilizzazione dei mercati, la sicurezza degli , 
approvvigionamenti e .l'assicurazione di prezzi ragionevoli nelle consegne 
ai consumatoni (art. 39): impegno, che, se non mantenuto, legittli.ma H 
ricorso di ciascun altro Stato membro al!la Corte di giustizia (art. 170) 
ed obbliga lo Stato, la cui inosservanza sia stata riconosciuta dalla Corte, 

.a prendere i provvedimenti che l'esecuztlone della sentenza iimporta. 

Se questo � il compito fondamentale dell'A.I.M.A. (pur se ulteriori 
compiti possono esserle affidati ai sensi del 3� comma dell'art. 3 deMa 
legge istitutiva), non � dubbio che, attraverso la costituzione dell'Azienda, 
la legge abbia foteso realizzare fini propri dello Stato, che questo � tenu� 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 959' 

to a perseguire allo scopo di rendersi adempiente degli obblighi derivantigli 
dalile norme comunitarie sul mercato agricolo. Esattamente .si �, 
quindi, osservato neLla sentenza impugnata che non c'� nulla nelle norme, 
che riguardano l'AIMA, �che possa far riconoscere finalit� dell'Azii.enda 
che non siano dello Stato, essendovi una totale immedesimazione di scopi 
e non potendosi configurare un conflitto tra Azienda e Stato che non sia 
risolubile se non sul piano amministrativo. 

Coerenti con fa �natura de1l'AIMA quale organismo inserito neila 
organizzazione dello Stato, sono le norme sulla struttura di essa (istituzione 
dell'Azienda presso H Ministero dell'agricoltura e delle foreste; 
presidenza'. �ex lege del Ministro; partecipazione al consiglio di amministra2'
Jione del sottosegretario di Stato e di alcuni direttori generali di pi� 
Ministeri, nonch� dell'ispettore generale capo per gli affari economici 
del Ministero del Tesoro; dipendenza dell'Azii.enda da un direttore generale 
al quale � attribuito il coefficiente di stipendio 900; !istituzione presso 
l'Azienda di un apposito ufficio de1la Corte dei Conti, dn modo da rendere 
pi� pregnante il controllo rispetto a quello che essa esercita nei confronti 
degli enti pubblici non statali; assegnazione all'Azienda di personale 
del Mdnistero dell'agricoltura; obbligo per il Ministro di presentare annualmente 
al Parlamento una relazione sull'attivit� dell'Azienda; disciplina 
del1� gestione con degge o con il regolamento per ~�amministrazione del 
patrimonio e della contabilit� generale dello Stato; utilizzazione, da parte' 
deLl'AIMA, degl'ispettorati dell'agricoltura e de1l'alimentazione; assegnazione 
di apposita somma determinata con la degge di bilancio e iscritta 
nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'agricoltura). 

Con l'dnerenza deH'AIMA all'amministrazione dello Stato non contrastano 
la circostanza che essa sia dotata di autonomia patrimoniale 
e funzionale e di poteri gestionali propri n� la possibilit� di avvalersi, per 
l'espletamento del servizio, dell'opera di soggetti privati particolarmente 
attrezzati e capaci di assolvere determinati servizi. Come si � gi� accennato, 
ci� si giustifica con l'intento di creare.una struttura organizzativa 
avente connotati tali da realizzare una pi� efficiente ed agile erogazione 
del servizio affidatole, che tuttavia lo Stato utilizza per il conseguimento 
di fini cui avrebbe anche potuto provvedere direttamente.' 

Opportunamente, in prop�sito, la Corte di merito, a sostegno della 
tesi da .essa accolta, ha richiamato le relazioni di maggioranza alla Camera 
deii Deputati e al Senato, nelle quali si sottolineava che l'istituzione 
dell'AIMA era conseguenza dell'inderogabile esigenza di apprestare un 
organismo S'trutturato in modo da poter operare con fa dovuta agii:lit� e 
tt:(mpestivit�, per cui si era ritenuto che lo strumento pi� idoneo al 
fine fosse un'Azienda di Stato avente una particolare strutturazione e 
che, senza introdurre onerosi elementi di costo nell'esercizio delle pubbliche 
funzioni, fpsse in grado di conciliare la duplice esigenza di riser



960 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

vare allo Stato l'esercizio delle funzdoni stesse e di far salva, nel contempo, 
la possibilit� di avvalersi, per l'espletamento dei relativi servizi, dell'opera 
di soggetti privati. 

5. La qualii�icazione giuridica dell'AIMA quale organizzazione deMo 
Stato ad ordinamento autonomo. (se non di organo di esso), come tale 
obbligatoriamente patrocinata daill'avvocatura dello Stato e, quindi, beneficiaria 
del foro erariale, risulta chiaramente dalla legge istitu1Ji.va e da 
quelle successive: in particolare, dalla legge 31 marzo 1971 n. 144, sul 
i�inanziainento degli interventi di mercato svolti dall'AIMA; dad decreti 
presidenzdali 321/71, 1128/71, 853/72, 532/73, 727/74, emanati per l'attuazione 
di decisioni del Consiglio dei Ministri. della Comunit�; dal d.l. 24 luglio 
1973 n. 427, convertito in legge 4 agosto 1973, n. 496, che assegna 
all'AIMA, in aggiunta ai compiti previsti dalla legge 303/66, ove necessario 
e su autori.zzazione del Ministro dell'agricoltura di concerto con il Ministro 
del Tesoro, lo svolgimento di attivit� per la regolarizzazione del 
mercato interno concernente alcune merci e per fa loro immisSlione regolata 
sul mercato nazionale alle condizioni stabilite dal CIPE ~(ulteriori 
compiti volti alla~ealizzazione di fini che sono anch'essi direttamente 
dello Stato e che, d'altra parte, non fanno venir meno le fondamentali 
finalit� dell'AIMA come organismo d'intervento secondo quanto previsto 
dai regolamenti CEE relativi all'organizzazdone del mercato agricolo). 
Non pu�, quindi, dall'art. 12 della successiva legge 14 agosto 1982 

n. 610 (il quale prevede espressamente, per l'AIMA, le disposizioni vigenti 
in materia fiscale per le altre amministrazioni dello Stato e la rappresentanza 
in giudizio d�ll'Avvocatura dello Stato) trarsi argomento per 
sostenere che, secondo la disciplina vigente al momento della instauraziol}
e del giudizio 'tale rappresentanza (obbligatoria). non sussistesse. � 
La tesi non pu� trovare credito presso questa Corte, una volta che 
si consideri che, come si � osservato in precedenza, non sempre le leggi 
sugU enti pubblici (statali o non statali) contengono specifiche disposizioni 
circa la rappresentanza in giudizio di essi e che il rela1Ji.vo problema, 
nel silenzio della legge, richiede, di volta in volta, una indagine diretta 
a ricercare quale sia la posizione dell'ente -di inerenm o di estraneit� 
-rispetto all'organizzazione dello Stato. Da ci� deriva che favere 
le leggi relative all'AlMA taciuto circa la sua rappresentanza in giudizio 
non autorizzza a ritenere che si trattasse �di rappresentanza facoltatJiva e 
non obbligatori.a, potendosi, anzi, rilevare che proprio nella prima ipotesi, 
ai sensi dell'art. 6 del decreto 1611/33, sarebbe stata necessaria l'esistenza 
della previst,a autorizzazione contenuta in una disposizione di legge, 
di regolamento o di altro provvediment9 approvato con decreto; e che, 
di fronte alla natura di azienda facente parte dell'apparato statale, rivestita 
dall'AIMA, quale risultava chiaramente nella disciplina anteriore 
all'entrata in vigore della legge 610/82, le disposizioni dettate dall'art. 12 


PARTI! I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

961 

di tale legge hanno evidente funzione chiarificatrice e confermativa di un 
principio gi� contenuto nella precedente legi.Sl1azione, tanto nella parte 
(1� comma) in cui la natura di amministrazione dello Stato attribuita 
all'AIMA appare chiaramente indicata, tanto nella parte (2� comma) in 
cui, coerentemente col primo comma, si prevede espressamente la rappresentanza 
in giudizio dell'AIMA per mezzo dehl'avvocatura dello Stato. 

L'attribuire tale portata all'art. 12 appare in linea con lo scopo che 
la legge del 1982 si � prefisso, che � quello del riordinamento dell'AIMA 
e cio� di dare un assetto organico e completo ad una disciplina normativa 
che, dopo la legge istitutiva, si era frammentata nelle successive leggi, 
modificative o aggiuntive della prima. 

In questa prospettiva appare perfettamente rispondente aLle finalit� 
della nuova legge J'avere essa completato la discipliina dell'AIMA con 
l'affermazione della sua natura di amministrazione statale e, quindi, del 
suo patrocinio da parte dell'avvocatura dello Stato. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 dicembre 1984, n. 6533 � Pres. Scan~ 
zano -Rel. Contu � P. M. Martinelli (cono!. conf.). -A.N.A.S. (avv. 
Stato Laporta) c Petti ed altri (avv. Leone). 

Espropriazione per pubblica utilit� � Indennit� � Determinazione in base 
alla legge 385/80 � Declaratoria d'incostituzionalit� della predetta 
legge � Conseguenze. � 
(Legge 29 luglio 1980 n. 385; legge 25 giugno 1865 n. 2359). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Pagamento dell'indennit� -Debito 

di valuta � Svalutazione monetaria � Effetti. 

(Legge 25 giugno 1865, n. 2359; legge 29 luglio 1980, n. 385; art. 1224 codice civile). 

Espropriazione per pubblica utilit� � Indennit� � Determinazione � Valuta� 
zione dei beni espropriati � Alla data dell'espropriazione. 

Venuta meno la disciplina dell'indennit� di esproprio sancita dalla 
legge n. 385/80, per effetto della declaratoria d'incostituzionalit� della 
predetta legge (Corte Cost. 19 luglio 1983, n. 223), per la determinazione 
del valore� del bene deve farsi ricorso alle norme generali della legge 
25 giugno 1865 n. 2359 (1). 

(1) Cfr. Cass., S. U., 4 novembre 1980, n. 5904, in Foro it., 1980, I, 3004 con 
nota di M. GROSSI; id., 24 ottobre 1984, n. 5401, dn Giust. civ., 1984, I, 2711, la 
quale ha anche risolto il contrasto giurisprudenziale fra le sezioni semplici 
della Cassazione circa la rilevanza della motivazione delle sentenze della Corte 
Costituzionale ai fini dell'dnterpretazione della pronuncia con esse resa e dichiarata 
nel dispositivo; Cass., Sez. I, 29. maggio 1984, n. 3278, in Cons. Stato, 
1984, Il, 1360 in termini esatti. Cfr. da ultimo id., 16 gennaio 1985, n. 94. 
La sentenza della Corte Cost. 30 gennaio 1980 n. 5 � in Foro it., 1980, I, 273 
con nota di C. M. BARONE; in Cons. Stato, ;1980, Il, ,187 con commento dli KLITSCHB 

r11111�111111:1111111111111111111111r11r1r111r1111111t1r1111111111111@ 



962 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'indennit� di espropriazione per p.u. integra un debito di valuta 
soggetto al principio nominalistico e, pertanto, non � suscettibile di automatico 
adeguamento per effetto della sopravvenuta svalutazione monetaria, 
la quale pu� implicare solo motivo di maggior danno risarcibile 
ex art. 1224 cod. civ., in presenza di un ritardo colpevole del debitore, 
e sempre che il creditore deduca e dimostri di aver sub�to ulteriore. pregiudizio 
per la ritardata riscossione dell'indennit� stessa o, comunque, 
indichi elementi idonei all'individuazione, in via presuntiva, del pregiudizio 
stesso, in relazione alle sue qualit� e condizioni (2). 

Nella espropriazione per pubblica utilit�, agli effetti della determinazione 
dell'indennit�, la valutazione dei beni espropriati deve essere 
effettuata con riferimento alla data dell'espropriazione (3). 

Con l'unico motivo del ricorso l'ANAS -denunciando violazione dell'art. 
4 del decreto-legge 2 maggio 1974, n. 115, come convertdto dalla legge 
27 giug'no 1974, n. 247, e dall'art. 3 della legge 29 luglio 1980, n�. 385, con 
riferimento all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. -deduce che la Corte d'Appello 
di Napo1i avrebbe erroneamente escluso l'applicabilit� alla fattispecie 

DE LA GRANGE; in Giur. cast., 1980, I, 590 con nota di N. LIPARI; ibidem, 481 con 
nota di LoMBARDI; in Riv. giur. ed., 1980, I, 17 con nota di PEccERIU.o. 
La sentenza 119 luglio 1983, n. 223 � in-Foro it., 1983, I, 2057, con nota di 

C. M. BARONE; in Giur. it., 1984, I, 1, 620 con� nota di GABRIELE; in Riv. giur. ed., 
1983, I, 1, 743 con nota d!i ALPA; iin Giust. civ., 1983, I, 2538; mGiur. cost., 1983, 
1331 con nota di LoMBARDI. 
(2) Giurisprudenza costante. Cfr. Cass., 26 febbraio 1979, n. 1255, Mass., 
1979; id., .11 ottobre 1979, n. 5275, ibidem, per le quali il r'itardo trova compenso 
nel diritto agli interessi sulla maggior somma fissata dal giudice rispetto a 
quella indicata nel decreto ablativo; id., 9 novembre 1983, n. 6619, ivi, 1983; id., 
3 dicembre 1983, n. 7243, ibidem; id., 23 dicembre, n. 7585, ibidem; da ultimo id. 
18 dicembre 1984, n. 6626. 
Con specifico riferimento �all'iindennit� aggiuntiva prevista in favore dei 
coltivatori diretti, Trib. sup. aa.pp., 18 marzo 1983, n. 7, in Cons. Stato, 1983, 
II, 413.. 

Cfr. in dottrina A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 
Jovene, 1984, p. 839 e LANDI, L'espropriazione per pubblica utilit�, Milano, Giuffr�, 
1984. 

Per una ricostruzione puntuale dell'evoluzione giurisprudenziale sull'argomento 
cfr. MARUOTTI, L'evoluzione giurisprudenziale in tema di incidenza della 
svalutazione monetaria (sulla indennit� di esproprio) intervenuta nel periodo 
di mora debendi, nota a Oass., 1 aprile J981, n. 1852, in questa Rassegna, 1981, 
I, 522. 

(3) Giurisprudenza conforme. Cfr. per tutte, Cass. 25 febbraio 1980, n..1311, 
in Giust. civ., 1980, I, 770. 
Nella sentenza iin epigrafe si precisa che, sotto tale profilo, acquista 11ilevanza 
la svalutazione monetaria, sia pure limitatamente all'adeguamento della 
indennit� per rapportarla al momento dell'espropriazione, mentre per il resto 
valgono le considerazioni di cui supra. Sull'indennit� di esproprio cfr. Relazione 
Avv. Stato, anni 1976-1980, voi. Ili, pp. 408 e ss. ed, in particolare, sul punto p. 428. 


PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDBNZA CIVILB 

dei criteri di determinazione dell'indennit� di espropriazione stabiliti dalla 
legge n~ 385 del 1980 (sostitutiva delle disposizioni della legge n. 865 
del 1971 di�hiarata costituzionalmente illegittima). Sostiene, al riguardo, 
che l'applicazione della nuova normativa, oltre a non trovare preclusione 
nell'art. 4 della legge abolitrice d�l contenz�oso amministrativo 
per l'inconf�gurabilit� del giudizio di opposizione alla stima come giudizio 
su un atto amministrativo, non era impedita dalle deduzioni 
delle parti, volta a richiedere l'individuazione da parte della Corte del 
merito della legge regolatrice dei criteri dndennitari. 

La censura � infondata. Il problema relativo alla determinazione dell'indennit� 
espropriativa originariamente sogg~tta ai criteri dettati dall'art. 
15, 5-6-7� comma, della legge 22 ottobre 1977, n. 865 (c�me modifilcato 
dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10) venne risolto dal legislatore, 
dopo la dichiarazione di illegittimit� costiituzionaie di tali norme (sent. 

n. 5 del 1980 della Corte CostitUZJi.onaJ.e), con l'emanazione di una normativa 
di carattere provvisorio, che comportava l'applicabilit� di criteri. di 
stima analoghi, salvo conguaglio, fino all'entrata in vigore di apposita 
legge sostitutiva delle disposiziioni dichiarate illegittime. Detta normativa, 
sancita con la legge 29 luglio 1980 n. 385, � stata a sua volta dichiarata 
costituzionalmente illegittima con la recente sentenza 19 luglio 1983, n. 223, 
della Corte Costituzionale, per violazione degli artt. 42, 3� comma, e 136, 
1� comma del.fa Costituzione, e non � pi� applicabile, con la conseguenza 
che � venuto a mancare il supporto legislativo su cui l'ANAS fonda le 
censure relative al criterio seguito dalla corte del merito per la determi� 
nazione dell'indennit� di espropriazione. 
Con riferimento alle sentenze della Corte Costituzionale sopra citate 
� ipotizzabile una questione interpretativa sui loro Iimitii, dovendo essere 
stabilito se la dichiarazione di costituzionalit� investa la normativa esaminata 
in tutto l'ambito della sua previsione,.. come sembrerebbe doversi 
desumere dal dispositivo, o soltanto, invece, in quanto riferita alle aree 
edificabili, come potrebbe argomentarsi dalle motivazioni. La questione 
� per� estranea alla presente controversia, non essendo sorta contesta� 
zione sull'accertamento dei giudici del merito relativo 8!lla natura edifi� 
catoria dei beni espropriati, ed essendo perci� indiscutibile la riferi.bilit� 

ad essi delle pronunzie della Corte Costituzionale. 

Deve perci� concludersi che, una volta venuta meno la disciplina della 
indennit� di esproprio sancita dalla legge n. 385 dei-1980, per la determi� 
nazione del valore del bene deve farsi ricorso alle nonne generali della 
legge 25 giugno 1865, n. 2359. L'applicazione alla fattispecie di questa normativa, 
contenuta nella sentenza impugnata, � quindi immune da cri.tiche, 
pur dovendosi rilevare che la sua sostanziale esattezza va posta in relazione 
con H mutamento di disciplina legislativa intervenuto nelle more del giudizio 
piuttosto che con le ragioni giuridiche addotte a sostegno della 
decisione. 


96'4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il ricorso principale dell'ANAS dev~ essere pertanto rigettato, con la 
conseguenza che resta assorbito quello incidentale condizionato proposto 
dalla Petti e dalle Guarini. 

Con il primo motivo del ricorso n. 7086/81 si denuncia, con rifenimento 
aJl'iindennit� liquidata a favore della Petti e di Simonetta Guarini, violazione 
e falsa applicazione degli artt. 1224 e segg. cod. aiv., nonch� omessa 
ed insufffi.ciente motivazione su un punto decisivo, sostenendosi che era 
stato chiesto il maggior danno da svalutazione monetaria conseguente 
alla mora del debitore e che la relativa istanza venne nigettata senza un 
esame approfondiito delle ragioni addotte per giustificarla. 

Tale censura non � fondata. ~ noto che l'indennit� di espropriazione 
per pubbJdca utilit� integra un debito di va'luta, soggetto al principio nominalistico 
e, pertanto non � suscettibile di automatico adeguamento per 
effetto della sopravvenuta svalutazione monet�ria, la quale pu� implicare 
solo ragione di maggiior danno risarcibile, ai sensi dell'art. 1224 cod. civ., 
in presenza di un ritardo colpevole. del debitore sull'inadempimento, e 
sempre che il creditore deduca e dimostri di. aver subito un ulteriore 
pregiudizio per la ritardata riscossione dell'indennit� medesima o comunque 
indichi elementi idonei alla individuazione in via presuntiva del pregiudizio 
stesso, in relazione alle sue qualit� e condizioni (Cass. 830/82, 4364/82, 
1852/81). Non merita perci� censura la sentenza impugnata per aver 
escluso la rivalutazione automatica dell'indennit�, per adeguarla al diminuito 
potere di acquisto della moneta. 

N� pu� sostenersi che il problema della rivalut�zione monetaria 
dovesse tro_vare ingresso soto il profilo risarcitorio, a' sensi dell'art. 1224 
cod. proc. civ., poich� in tali termini esso venne proposto dinanzi alla 
corte del meri.to solo con la comparsa conclusionale, mentre in precedenza 
si era insistito su una rivalutazione pura e .semplice; deve rilevarsi, inoltre, 
che non risulta assolto l'onere dell'allega:llione dei fatti costitutivi delrulteriore 
pregiudizio nisarcibile. 

Ne consegue che la sentenza impugnata non merita censura per aver 
omeso di esaminare una domanda risarcitoria proposta irritualmente a 
contraddittorio ormai chiuso, talch� non � configurabile il dedotto vizio di 
motivazione. Ed � giuridicamente corretto che la stessa sia stata esaminata 
solo sotto il profilo della rivalutazione automatica, posto che � mancata 
da parte delle deducenti, la dovuta ~pecificazione del danno ricollegabile 
alla pretesa mora del debitore. 

Con il secondo motivo dello stesso ricorso, relativo alla determinazione 
dell'indennit� spettante alla Petti ed a Grazia Guarini, si denuncia 
viola:llione degli artt. 39, 40, 50 e 51 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, 
e succesSJive modifica:1lioni, nonch� dell'art. 42 della Costituzione, con riferimento 
all'art. 360, n. 3 e 5 cod. proc. civ. Si deduce, al riguardo, che 
l'indennit� di espropriazione venne erroneamente liquidata secondo i 
valoni riferiti al 1977, pur essendo :l'atto ablatorio intervenuto nel 1979. 



PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVlLB 965 

Tale censura � fondata. La corte del menito ha valutato i beni espropriati 
con identici parametri, senza consider�re che, essendo l'espropriazione 
avvenuta in tempi diversi, doveva accertarsi se i relativi valori fossero 
rimasti immutatii od avessero sublto modificazioni. Non potevano 
perci�, valutarsi i terrellli espropriati nel 1979 cori dei criteri relativi al 
valore� venale che gli stessi avevano nel 1977, ed era invece necessario 
accertare se detto valore avesse sub�to una lievitazione per ragioni di 
mercato od �anche per effetto della svalutazione monetaria. Tale indagine 
� mancata ed � stato perci� violato il principio che la valutazione dei beni 
espropriati, agli effetti de1Ia determinaziione dell'indennit�, deve essere 
effettuata con riferimento alla data della espropriazione. Sotto tale prof�ilo 
la svalutazione monetaria acquista perci� niievanza, sia pure :limitatamente 
all'adeguamento dell'indennit� per rapportarla al momento dell'espropriazione, 
mentre per il resto valgono anche per l'espropriazione 
in parola le considerazioni svolte a proposito del primo motivo dello stesso 
ricorso. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 dicembre 1984, n. 6631 -Pres. Falcone " 
Rel. Sgro.i -P. M. Morozzo della Rocca (conci . .diff.) -A.N.A.S. (vice 
avv. gen. Stato Del Greco) c. Calefati di Canalotti (avv. D'Amelio e 
Orlando). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Indennit� � Determinazione in base 

alla legge n.385/80 � Declaratoria di incostituzionalit� della predetta 

legge � Conseguenze. 

(Legge 29 lu\llio 1980, n. 385; d.!. 26 luglio 1981, n. 396; legge 25 settembre 1981, n. 1535; 
d.!. 29 ma\lgio 1982, n. 298; legge 29 luglio 1982, n. 481; legge 23 dicembre 1982, n. 943; 
legge 25 giugno 1865, n. 2359). � 

Venute meno le norme provvisorie sull'indennit� di espropriazione 
delle aree fabbricabili, per effetto della declaratoria d'incostituzionalit� 
(Corte Cast. 19 luglio 1983 n. 223), si riespande e diventa applicabile la 
precedente disciplina sulle espropriazioni per pubblica utilit� (1). 

Con l'unico motivo l'A.N.A.S. deduce la violazione dell'art. 16 della 
fegge 22 ottobre 1971 n. 865, in relazione all'art. 4 del dJ. 2 maggio 1974 

n. 115, conv. in legge 27 giugno 1974 n. 247; dell'art. 11 delle preleggi e 
dell'art. 51 della legge 24 giugno 1865, n. 2359; nonch� omessa motivazione 
su fatto decisivo, in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 cod. pr.oc. civ., 
lamentando che la Corte d'appello avesse negato J'app!Jicazione delle norme 
della legge n. 865 del 1971 in base ad una serie di considerazioni prive 
(1) Cfr. Cass., l2 dicembre 1984, n. 6533, supra con nota di precedenti. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cli pregio. Invero, le clisposdzioni della predetta legge del 1971 SI� applicano 
a tutte �le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione dii opere 

o interventi da parte dello Stato, delle Regioni, delle province, dei comuni 
o cli altri enti pubblici anche non territoriali, a seguito dell'entrata in vigore 
del dl. n. 115 del 1974 e della legge n. 247 del 1974, per cui i criteri di 
stima previsti dal titolo II della legge del 1971 sono tassativi, con esclusione 
di ogilli. altro sistema e con obbligo del giuddce dell'opposizione alla 
stiima di applicare l'anzidetta normativa. 
La ricorrente Azienda delle Strade Statali osserva che non ha alcuna 
rilevanza. che alcune disposizioni dell'art. 16 della legge n. 865 del 1971 
siano state dichiarate costituzionalmente illegittime, essendo intervenuta 
la legge 29 luglio 1980, n. 385. 

Jl ricorso � infondato. Esso � tutto affidato 'al vtigore della legge 

n. 385 del 1980 (in relazione all'epoca -febbraio 1982 -della sua proposizione); 
ma con sentenza n. 223 del 19 luglio.1983 (in Gazzetta Ufficiale 
27 luglio 1983) la Corte Costdtuzionale ha dichiarato l'dllegittimit� costdtuzionale, 
per violazione dell'art. 136 Cost., degli artt. 1, 2 e 3 della legge 
29 luglio 1980 n. 385 e cli tutte le successive leggi di proroga (d.l. 28 luglio 
1981 n. 396, conv. in legge 25 settembre 1981 n. 1535; d.l. 29 maggio 1982 
n. 298, conv. in legge 29 luglio 1982 n. 481; legge 23 dicembre 1982 n. 943). 
Una volta annullate le no~e provvisorie sull'indennit� di espropriazione 
delle aree fabbricabili, si riespand� e diventa applicabil.e la precedente 
disciplina sulle espropriazioni per causa di p.u. (Cass., sez. un., 4 novembre 
1980 n. 5904; Cass., Sez. I, 20 febbraio 1984 n. 1197). E pertanto, la 
statuizione della Corte d'appello, che ha applicato i criteri stabiliti dagli 
artt. 39 e 40 della �legge sulle espropriazioni del 1865, deve rimanere ferma 
(a prescindere dalla motivazione ivi contenuta) in relazione all'impossibilit� 
di fare ricorso (neppure dn via provvisoria) ai criteri di cui all'articolo 
16 della legge n. 865 del 1971 e successive modificazioni. 
Il P.M., pur aderendo a tale impostazione, ha �ritenuto che il ricorso 
vada'I>er� accolto, per quanto di ragione, in relazione cio� a quella parte 
dell'indennit� dii espropriazione che concerne terreni agricoli, perch� le 
dichiarazioni di illegittimit� costitU2lionale contenute nelle sentenze della 
Corte Cost. n. 5 del 30 gennaio 1980 e n. 223 del 1983 sono limitate alle 
norme gi� citate, in quanto applicate ai terrend che abbiano destinazione 
edificatoria. Tale assunto non pu� essere segwito. Come � stato ricordato 
in narrativa, la Corte d'appello ha ritenuto che tutto il terreno del Calafati 
ricadesse in zona con destinazione edificatoria-turistico-alberghiera; 
ed ha fatto propria la valutazione del terreno stesso operata dal C.T.U. � 
che, con riguardo alle �fasce di rispetto� stabilite dall'art. 9 della legge 
24 lugli~ 1961 n. 729 sulle nuove costruzioni autostradali, e succ. modif., ha 
ritenuto di dare una valutazione � agricola �. Si tratta dii un critetjo di 
pura e semplice valutazione di una diminuzione dii valore del terreno 
edificabile che non � indennizzabile, secondo la costante giurisprudenza di ! 
i: 

1: 
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i ~: 
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............



PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 

967 

questa Corte, dn quanto non dipende daH'espropria2li.one, ma afferente a 
tutte Je propriet� situate a certe distanze dalle autostrade. Il criterio, peraltro, 
rileva soltanto in sede di attribuzione del valore, ma non esclude 
aa natura edificatoria astrattamente attribuibile al terreno, indipendentemente 
dal vdncolo, che -appunto -presuppone l'edificabilit� perch� 
attiene al � divieto di costruire �. Pertanto, non � dato operare fa distinzione 
postulata dal . P .M. 

�i 

SEZIONE QUINTA 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 
SEZIONE QUINTA 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 
CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 19 giugno 1984, n. 13 -Pres. Pescatore Est. 
Baccarini-Bottiglione (avv. Lazzara) c. Ministero delle Poste e Tele 
comunicazioni (avv. Stato Carbone). 

'"Giustizia at.ministrativa � Appello � Notifica sentenza presso procUl'atore 

non domiciliatario. 

(Art. 285 e 170 cod. proc. civ.). 

Giustizia amministrativa � Appello � Notifica sentenza presso segreteteria 
T.A.R. 

(T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 35). 
E ido~ea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione la 
notifica della sentenza del T.A.R. effettuata presso il procuratore costituito, 
anche se la parte non abbia nel ricorso eletto domicilio presso il 
procuratore stesso (1). 

E idon~a a far decorrere il termine breve per l'impugnazione la 
notifica della sentenza effettuata presso la Segreteria del T.A.R. quando 
il procuratore costituito della parte, essendo iscritto nell'albo di altra 
circoscrizione, non abbia eletto il proprio domicilio nel luogo ove ha 
sede il T.A.R. adito (2). 

DIRITTO -1) La questione preliminare che l'ordinanza di. rimessione 
della VI Se:l'J�one ha devoluto alla cognizione dell'Adunanza plenari.a Sti appunta 
sulla ricevibilit� dell'appello in relazione alla controversa validit� 

(1-2) Le questioni erano state rimesse all'Adunanza Plenaria dalla Sez. VI 
con ord. 27 febbraio 1984, n. 1l()C) (in Cons. St. 1984, I, 198) la quale aveva ipotizzato 
che nel caso di specie l'unica forma di valida notifica potesse essere 
quella effettuata al domicilio proprio del ricorrente. 

L'Ad. Plen. nel solco della precedente sentenza 3/84 continua coerentemente 
nell'opera di ricostruzlione del sistema processuale mutuando gli i�stituti e le 
regole principali del giudizio civile, facendo ricorso per un verso agli articoli 170 
e 285 c.p.c. relativamente alla notifica presso il procuratore e per l'altro all'articolo 
82 r.d. 22 gennaio 1934 n. 37 quanto all'onere di indicare il domicilio nena 
sede del giudice adito. Da segna1are che � rimasta assorbita l'altra questione sollevata 
della Sez. VI circa il regime da applicare in caso di decadenza dell'impiego 
quando gli effetti della condanna penale 1si.ano �stati elusi per effetto dell'applicata 
amnistia. 

La problematica dei rapport-i tra giudizio penale di condanna e provvedimento 
disciplinare si trova per� riproposta e divernamente valutata nella ord 
15/84 dell'Ad. Plen. e nella sent. 441/84 che si riportano in questo stesso numero. 

! 

' ! 

llllilllllriflllllilllllllllllllfllllillll:911fllllfll!fllllll�I~ 



PARm I, Sl!2:. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

delle due notificazioni della sentenza di primo grado eseguite dall'Amministrazione 
al procuratore del ricorrente costJi.tuito in primo grado 
l'una nel -domicilio reale e l'altra presso :la segreteria del T.A.R. 

In punto di fatto, occorre precisare che nel giudizio di primo grado 
il ricorrente non aveva dichiarato di eleggere domioillio presso il procuratore 
e che quest'ultimo aveva indicato il proprio domicilio in 
Brindisi, e pertanto in Juogo sito fuori. della circoscrizione del T.A.R. della 
Basilicata presso il quale si svolgeva il giudizio, senza eleggere domicilio 
nel luogo dove aveva sede il T.A.R. 

In tale situazione processuale, l'Amministrazione vincitrice aveva 
eseguito la notificazione della sentenza di primo grado al procuratore 
costituito sia nel domicillio reale che presso fa segreteria del T.A.R. 

2) Quanto alla validit� deHa prima notificazione al procuratore (presso 
lil domicilio reale), i dubbi prospettati nell'ordinanza di rimessione non 
resistono ad una approfondita riflessione. 

Giova premettere che, nel quadro normativo conseguente all'emanazione 
della L. 3 aprile 1979 n. 103, la controversa questione del :luogo 
di noticazione della sentenza di primo grado ha� trovato ila sua definitiva 
soluzione con la sentenza 5 aprile 1984 n. 8 di questa Ap. che, riconoscendo 
ia portata generaie del pr~naipio della notificazione al procuratore 
costituito di cui agli artt. 285 e 170 c.p.c., ha operato la necessaria 
reductio ad unitatem dell'istituto. 

Ci� posto, la mancanza, nel caso di specie, dell'elezione di domicilio 
del ricorrente presso il procuratore, evidenziata dall'ordinanza di 
rimessione, � indnfluente. 

Ed invero, la parte, per legge, � presente in giudizio a mezzo del 
procuratore. Ci� � reso necessario dal tecnicismo del processo, che richiede 
una formazione cuiturad.e che la parte generalmente non possiede.. 

Da:lla sostituzione procuratoria discend� come fogico corollario la 
regola generale, posta dall'art. 170 c.p.c., richiamato dall'art. 285 stesso 
codice per la notificazione della sentenza di primo grado, secondo la quale 
dopo la costituzione in giudizio � �l procuratore, e non ila parte, il naturale 
destinatanio degli atti processuali. 

Altrimenti detto, il procuratore � destinatario degli atti processuali 
in quanto tale, cio� ;in quanto sostituto necessario della parte, e non in 
quanto suo domiciliatario, con la necessaria ulteriore conseguenza che 

� la mancata dichiarazione di elezione di domicillio deHa parte presso iii 
procuratore, che � cosa distinta dal conferimento della rappresentanza 
procurator�a (cfr. Cass. 1� agosto 1980 n. 4909), � ininfluente sul regime 
delle notificazioni. 

Applicando i suesposti principi al caso �di specie, si osserva che ritualmente 
l'Amministraztlone vincitrice ha notificato la sentenza di primo 
grado al procuratore costituito nel domicilio reale, che risultava dalla 
stampigliatura apposta sul ricorso dii primo grado, a nulla rilevando 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

che ivi la parte non avesse dichiarato di eleggere domicilio presso il 
procuratore. ' 

3) L'ordinanza di rimessione ha altresl devoluto rul'Adunanza plenaria 
la questione dehla validit� della notificalJione della sentenza di 
primo grado eseguita presso la segreteria del T .A.R. al procuratore costituito 
. che, essendo assegnato ad altro Tribunale, non aveva eletto domi� 
cilio nel luogo dove aveva sede}l T.A.R. adito. 

La questione va risolta affermativamente. 

Nell'ordinanza di rimessione la VI Sezione dubita dell'applicabildt� 
al caso di specie, per quanto di ragione, dell'art. 35 cpv. T.U. n. 1054 
del 1924, in base al quale �il ricorrente che non abbia eletto nel ricorso 
domicilio . in Roma Sii. :intender� averlo eletto, per gli atti e gli effetti 
del �ricorso,' presso la segreteria del Consiglio di Stato�, potendo trat� 
tarsi di norma di stretta interpretazione, inidonea a regolare la notificazione 
deHa sentenza. 

� da osservare in contrario cl!.e ~i ordinamenti processuali, in fun. 
zione dell'interesse superindividuale alla speditezza del rito, impongono 
costantemente, e sempre pi� incisivamente, alle parti l'obbligo di dichiarare 
o di eleggere domicilio, di regola in un luogo collegato con ' 
l'ufficio procedente, sanzionandone l'inosservanza con la notificabi�lit� degli 
atti processuali in un domicilio de jure, di regola individuato nella 
cancelleria o segreteI1ia dell'ufficio procedente. 

Ed invero, nel proc�sso tributario, ai sensi dell'art. 32 bis d.P.R. 
26 ottobre 1972 n. 636 sub art. 20 d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, se mancano 
la ,dichiarazione della residenza o ['elezione di domicilio, che hanno 
effetto anche per i successivi gradi del processo, se per. la foro assoluta 
incertezza la notificaZJione non � possibile o se la parte non indica la 
residenza nel territorio dello Stato o non vi elegge domicilio, gli atti 
del procedimento sono comunicati o notificati presso la segreteria della 
Commissione tributaria. 

Nel processo penale, nel quale � in gii.oco �l bene stesso della. libert� 
person�le dei consociati, ai sensi dell'art. 171, quinto e sesto comma c.p.p. 
novellato dall'art. 4 della L. 8 agosto 1977 n. 534, Je notificazioni �ll'!nd~ziato 
e all'imputato, se mancano o sono dnsuificienti o inidonee fa dichiarazione 
o l'elezione di domicilio o se le notificazioni sono divenute impossibi1i 
nel domicilio ,dichiarato o eletto, sono eseguite mediante deposito 
nella cancelleria o segreteria dell'ufficio giudiziario nel quale si 
procede e con immediato avviso al difensore. 

� Inoltre, ci� che pi� conta, nella fase dell'istruzione, ai sensi dell'art. 4 
disp. att. c.p.p. (d.P.R. 25 ottobre 195$ n. 932), il difensore dell'imputato 
che non risieda n� abbia domicilio nel luogo ove ha sede l'ufficio giudiziario 
presso cui � in corso l'istruzione penale deve, ai fini cl.elle notificazioni 
degli avvisi Indicati negli artt. 304 ter e 304 quater c.p.p., eleggere 
domicilio o indicare un sostituto in detto luogo; in mancanza, l'auto



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINIS�.PUTIVA 

ri.t� procedente dispone che la notificazione sia eseguita presso il ]i>re


sidente del consiglio dell'ordine degli avvocati se questo ha sede nel 

luogo in cui si procede o, in difetto, mediante deposito nella cancel


leria o segreteria. ' 

Nel processo civile, l'obbligo delle parti di dichiarare la residenza 

o eleggere domicilio nel . Comune dove ha sede l'ufficio giudiziario � 
espressamente enunciato per il p~ocedimento dinanzi al Pretore e al 
conciliatore (artt. 314 cpv. e 58 dtisp. att. c.p.c.) e per il giudizio di cassazione 
(art. 366 secondo comma c.p.c.), con la conseguenza che, in difetto 
le notificazioni sono fatte in cancelleria. 
Al di fuori di queste fattispecie, soccorre la norma generale dell'ordinamento 
professionale -art. 82 r.d. 22 gennaio 1934 n. 37 -secondo 
la quale -ed � l'ipotesi che qui Iii.corre -i procuratori i quali esercitano 
til proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione 
del Tribunale al quale sono assegnati devono, all'atto della costituzione 
nel l.?iiudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l'autorit� 
giudiziaria presso la quale il giudiz�o � in corso; in mane~ delrla 
elezione �di domicilio, questo si intende eletto presso la cancelleria della 
stessa autorit� l.?iiudtiziaria . 

Di quest'ultima norma la Corte di cassazione ha costantemente affermato 
la perdurante vigenza anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 170 

c.p.c. (Cass., sentenze n. 2807 del 1983, n. 402 del 1979, n. 5422, 3386, 3313 
e 916 del 1977, n. 3018 del 1976, n. 2053 del 1975, n. 1919 del 1965, n. 2631 
del 1958, n, 1377 del 1956) e l'applicabilit� anche alla notificazione della 
sentenza per gli effetti del decorso del termine per l'impugnazione (Cass., 
sentenze n. 6477, 2142, 1770 e 854 del 1983, n. 256 del 1982, n. 4151 e 377 
del 1981). 
In questo-quadro di ri.feri.men1li normativi, la disppsizione dell'art. 35 
cpv. t.u. n. 1054 del 1924, che stabilisce per il ricorrente dinanzi al Consiglio 
di Stato l'obbligo di eleggere domicilio in Roma, a parte il rilievo 
dell'evidente parallelismo della formula normativa con le analoghe dispo� 

. sizioni vigenti per Je altre giurisdizioni superiori (art. 366, secondo comma, 

c.p.c. per i giudizi dinanzi alla Corte di cassa:vione; art. l, ultimo comma 
r.d. 13 agosto 1933 n. 1038 per i . giudizi dinanzi alla Corte deii. conti), 
costituisce non gi� norma di stretta dnterpretazlione, come ipotizzato nell'ordinanza 
di rimessione, bens� invece punto di emersione di una costante 
~inea di tendenza normativa intesa a garantire, dinanzi ali giudici 
non soltanto di unico grado ma di ognd grado, la speditezza del processo 
con l'imposizione dell'obbligo dell'elezione del domicilio nel luogo ove 
ha sede 1H giudice che procede e con la determinazione, in difetto, di 
un domicilio de jure. 
La vigenza di questo principio generale va quindi affermata anche per 
i giudizi dinanzi ai T.A.R., in relazione sia alla specifica fattispecie legale 


dell'art. 82 r.d. 22 gennaio 1934 n. 31, che regola il �caso �di specie (pro. 
curatore appartenente ad altro foro), sia al generale� schema normativo 
dell'art. 35 cpv. T.U. n. 1054 del 1924 in rifenimento al rinvlio di cui 
all'art. 19, primo comma legge n. 1034 del 1971. 

E il carattere generale della regola, letta sotto H profilo teleologico, 
ne implica la necessaria applicaziOne alla generalit� delle notificazioni 
degli atti processuali, avi compresa la notificazione della sentenza ai fini 
della decorrenza del termine breve per appellare. 

Nel caso di specie, quindi, anche la notificazione della sentenza presso 
la segreteria del T.A.R. deve considerarsi validamente compiuta dall'Amministrazione 
vincitrice, ferma restando, peraltro, la concorrente 
valtidit� della notificazione nel domicilio reale (cfr. Cass. 9 marzo 1971 

n. 976). 
Ne consegue che il presente appello, notificato il 15 febbraio 1982 
dopo che la sentenza di primo grado era stata validamente notificata al 
procuratore costittllito in primo grado sia il 14 novembre 198i presso la 
segreteria del T.A.R. che il 18 novembre 1981 nel domicilio reale, � tardivo 
e va pertanto dichiarato irricevlibiJ.e. 

Ogni altra questione resta assorbita. 

I 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., ordinanza 29 giugno 1984, .n. 15 -Pres. 
Pescatore -Est. Bozzi -Ministero delle Poste e Telecomunicazioni 
(avv. Stato Zotta) c. Coco (avv. Scoca). 

Impiego pubblico -Destituzione di diritto -Condanna penale per delitto 
tentato -Equiparazione a condanna per delitto coQsumato -Questione 
legittimit� costituzionale. 

(T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85, lett. A). 
Non � manifestamente infondata la questione di costituzionalit� della 
norma che prevede la destituzione di diritto del pubblico impiegato, 
che sia stato condannato per delitto tentato, in relazione al principio di 
eguaglianza ed a quello di ragionevolezza per l'identit� di trattamento 
rispetto alla fattispecie di condanna per delitto consumato. (1). 

(1) La questione era stata rimessa all'Ad. Plen. da Sez. VI 27 febbraio 
1984 n. 110 (in Cons. St. 1984, 201) la quale pure dubitava della legittimit� costituzionale 
della nornna, seppure in via subordinata rispetto alla perplessit� concernente 
l'appli�abilit� della !Stessa al caso di specie. 
Alla base di entrambi <i dubbi sta la ricerca nell'ipotesi criminosa dell'elemento 
da ritenere idoneo a provocare la destiituzione di diritto, non risultando 
chiaro se esso sia dato dal carattere oggettivo dell':illecito (nel qual caso il ten



PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

973 

II 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 14 lugliio 1984 n. 441 -Pres. Quartulli Est. 
Pauciullo della Valle -Ministero della Pubblica Istruzione (avv. 
Stato Oingolo) c. Uggenti (n.c.). 

Impiego pubblico -Silenzio rifiuto � Pretesa infondata riguardo scelta 
vincolata � lnconfigurabilit�. 

Impiego pubblico � Insegnante � Risoluzione rapporto per condanna 

penale � Esclusione per beneficio condizionale � Condono della pena � 

Irrilevanza. � 

(Legge 19 marzo 1955, n. 160, art. 22; cod. pen. artt. 133, 163/68 e 174). 

Non � configurabile il silenzio rifiuto della P. A. o comunque esso � 
giustificato, quando riguatdi delle pretese infondate relative a scelte od 
attivit� vincolate (2). 

La>� risoluzione di diritto del rapporto d'impiego del professore in 
caso di condanna definitiva alla reclusione � esclusa solo quando venga 
concesso all'insegnante il beneficio della condizionale e non anche quando 
la pena venga condonata (3). 

I 

DIRITTO -Oggetto del giudizio � il provvedimento con il quale il 
sig. Giovanni Coco, dipendente del Mimstero delle poste e telecomunicazioni, 
� stato destit�ito di diritto in seguito a:l passag~o in giudicato 
della condanna per �l reato di tentata concussione contiinuat�, nello svolgimento 
dell'attivit� di consigliere comunale. 

La disposi:lli.one applicata nei suoi confronti � la lett. a) dell'art. 85 
del T.U. approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, m base alla quale 
l'impiegato incorre nella destituzione, esoluso il�� procedimento <lisci


tativo sarebbe certamente un minus) o dall'aspetto soggettivo riguardando aJ 
quale, (salva l'ipotesi del recesso attivo) non si potrebbero fare differenze tra 
delitto tentato e consumato. 

(3) Nella sentenza 441/84 l'attenzione si sposta apparentemente dal reato 
alla pena, dato che si ha riguardo all'efficacia esimente rispetto alla destituzione 
dei due istituti della condizionale e del condono, giudicandosi non estensibile 
alla seconda ipotesi il beneficio a'CCordato dalla legge per la prima. Ma anche� 
qui a ben guardare la motivazione, flinisce con J'essere determinante di rilievo 
soggettivo in quanto si avalla la distinzione, ritenendo che la condizionale presuppone 
un giudizio favorevole al reo (sulla sua ipotizzabdle correttezza futura), 
che dl condono !invece non implica. 
Sicch� in definitiva sembra accolta !'�impostazione secondo la quale la destituzione 
automatica dipende dru venir meno del rapporto di fiducia con l'im� 
piegato e sotto questo profilo non dovrebbe neppure dubdtarsi dell'equriparaz!
ione del tentativo al delitto consumato. 



974 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

plinare, per condanna, passata in giudicato, per il delitto, fra altri, di 
concussione. 

Come esposto in narrativa, iii T.A.R. per l'Abruzzo ha accolto il 
ricorso proposto dal Coco sulla motivazione che presupposto per la destituzione 
d� diritto sarebbe la� condanna per un delitto consumato e non 
anche per un delitto tentato, come nel caso in esame. 

L'Amministrazione, a sostegno de1.l'appel:lo, richiama il costante orien. 
tamento giur�sprudenziale del Consiglio di Stato, secondo cui la ratio 
dell'art. 85 citato, quanto alla previsione della destituzione ex lege dall'impiego, 
� quella di collegare in modo automatico ia destituzione alla 
condanna per delitti a rivestire la qualit� di pubblico impiegato; sicch� 
la legittimit� del provvedimento di destituzione di diritto conseguente a 
condanna per un delitto tentato, consisterebbe nel fatto che nessuna 
rilevanza assumerebbe la -circostanza che H delitto non sia stato consumato, 
risultando parimenti evidente dal tentativo quella dmmoralit� che 
la l,egge riconosce os,tativa alla prosecuzione del rapporto di pubblico 
impiego (IV Sez., 9 marzo 1976 n. 154; VI Sez., 9 novembre 1965 n. 806). 

Tale orientamento � noto all'Ap., �come del resto era ben noto alla 
VI Sez. allorch� rimise il ricorso in esame, e sulla sua validit� non 
possono sussiistere dubbi poich� esso � aderente allo spirito e alla finalit� 
della norma, la quale nella sua previsione ha inteso collocare nello stesso 
ambito e sullo stesso piano tanto l'ipotesi dei delitti consumati (da essa 
tassativamente indicati), quanto l'ipotesi del � tentativo � degli stessi delittli, 
sulla sostanziale considerazione che i:l � tentativo� ripete l'essenza 
e le caratteristiiche del reato tipico cui si riferisce. 

I 

! 

I

I

Brevi note sulla pretesa incostituzionalit� dell'art. 85 T.U. D.P.R. 3/1957. 

L'ordinanza con la quale il Consiglio �li. Stato si allontana da un antico 
orientamento offre l'occasione per alcune osservazioni sia per quanto concerne le 1 
motivazioni su cui � fondata sii.a per gli effetti cui essa mira. 

I 

Quanto alle motivazioni esse sono sostailllialmente riprese dall'ordinanza 
della Sez. IV 27 febbraio 1984 n. 110, la quale aveva approfittato, per portare la I

I

questione all'attenzione della Plenaria, di talune voci dissenzienti rispetto al


I

l'dndirizzo dei T.A.R., ed aveva utilizzato altresl Ja tecnica del confldtto poten


I

ziale, ovvero destinato ad insorgere sol per effetto della propria implicita con� 
tratiet�. I 


. l 

La prima delle motivaziond in esame � costituita dal richiamo di precedente I 
I 
ordinanza (8 giugno 1982 n. 337)' con cui sempre la IV Sezione ha sollevato l'in� 
cidente di costituzionalit� relativ�mente all'art. 85 d.P.R. 3/1957, in quanto nonna I 
che vincola la P.A. ad applicare la sanzione massiima del1a destituzione dd diritto, 
senza avere il minimo margine di discrezionalit� per poter graduare la sanzione in 
relazione alla gravit� del fatto, all'incidenza di esso sulla regolarit� del servizio 
etc. La lettura della citata ordinanza (in Cons. St. 1982 n. 781) rivela anzitutto 
che la situazione iin esame costituiva proprio uno dd quei casi Mmite dn cui 
l'operatore del diritto avverte che la norma, dettata indifferentemente per una 



975

PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

' .. 

Si deve tuttavia osservare che, pur senza sottovalutare la giurisprudenza 
sin qui intervenuta, l'indagine su una vasta serie di elementi e clii 
considerazioni pu� condurre alla prospettazione di fondati dubbi circa 
la legittimit�, sotto il profilo costitUZJi.onale, defila disposizione contenuta 
nel pi� volte citato art. 85. 

Sulla rilevanza della questione non possono sorgere dubbi, essendo 
evadente che nell'ipotesi in cui il giudizio di costitu2lionalit� dovesse concludersi 
con una pronuncia di i1legittimit� costituzionale della norma 
anzidetta, il provvedimento di destituzione si rivelerebbe illegittimo, 
salvo il potere dell'Amministrazione di provvedere con la stessa o con 
ailtra sanzione, preceduta, tuttavia, da procedimento disciplinare. 

Va in primo luogo posto in evidenza che l'orientamento giurispruden2liale 
dianzi richiamato � stato sottoposto ad una . par2liale � riconsiderazione
� nella recente ordinanza (n. 337 dell'8 giugno 1982), con la 
quale la IV Sez. di questo Consiglio ha ritenuto non manifestamente infondata 
la questione di costituzionalit� dell'art. 85 ait. e deH'art. 41 della 

L. 5 marzo 1961 n. 90 (che ha esteso la nermativa del T.U. del 1957 agli 
operai dello Stato), per contrasto con J'art. 3 Cost., sul rildevo che quelle 
norme vincolano '1'Amministrazione ad applicare fa massima ' sanzione 
(qual'� la destituzione) �clii diritto� e cio� senza alcun margine di discre2lionaldt� 
in ordine alla eventuale graduazione della sanzione in rapporto 
alla grayit� del fatto ed aLla sua incidenza sulla regolarit� del servizio, 
nonch� aUa compatibilit� fra il precedente penale e ii.I mantenimento in 
servizio dell'impiegato. 
pluralit� di situazioni tra loro �assimilabild, dovrebbe essere applicata allo scalino 
pi� basso di questa ipotetica scala di ipotesi, che, in quanto tale, risulta 
assai pi� vicino ~d un'altra scala assoggettata a diverso trattamento. 

Posto iinfatti che tra tuttd i reati la cui condanna determina la destituzione 

automatica ex articolo 85 cit. il furto risulta essere nell'attuale considermone 

sociale il meno rilevante, e che nel caso all'esame della Sez. PV si trattava di furto 

di merce per un valore di L. 3.980 effettuato mediante prelievo dai banchi 

di un grande magazzino ed omessa (consapevole � no?) presentazione alla 

cassa, � evidente che siffatta vicenda aveva determinato il G.A. a ricercare una 

possibile scappatoia all'applicazione automatica della destituzione e tale tenta� 

tivo era approdato alla denuncia dii incostdtuzionalit�, traendo lo spunto dal 

parere 24 giugno 1981 n. 1083 della Sez. I. 

A questo parere occorre accennare, poich� esso viiene richiamato anche nella 

decisione in epigrafe, la quale fo adduce a riprova dell'attenuazione dell'orien� 

tamento favorevole a11a destituzione anche in ipotesi di delitto tentato: esso fu 

pronunciato nella deliicata vicenda dei pubblici funzionari risultati affiliati alla 

P2, per affermare che le sanzioni previste dall'art. 212 T.U. p.s. (destituzione o 

rimozione dal grado o dall'impiego o comunque licenziamento), in forza del 

vinvio formale alle leggi sullo stato giuridico dei pubblici dJipendenti, dovevano 

mtenersi superate dai sistemi sanzionatori ivi successivamente introdotti, iin con� 

siderazione dell'estraneit� del criterio delle pene l�isse alte vigenti normative 

dJisciplinari. 



976 

RASSEGNA OOU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 

Va poi ricordato che, come � stato esattamente posto in rilievo nella 
richiamata ordinanza deJda IV Sez., la costanza dell'orientamento giuni.
sprudenziale sembra avere sub�to un'altra notevole attenuazione per 
effetto del parere n. 1083 del 24 giugno 1981 deMa I Sez. di questo Consiglio, 
dal quale emerge una .tendenza sfavorevole alla applicazione di 
sanzioni disciplinari �rigide�, cio� non graduate in rapporto al caso 
concreto . 

N� pu� essere dimenticato il principio, affermato dalla Corte costituzionale, 
secondo cui le pene vanno commisurate non in maniera fissa, 
bens� in misura viariabile, iin modo che sia consentito al giudice di graduarle, 
in relazione all'entit� e alle specifiche esigenze dei singoli casi 
(2-14 aprile 1980 n. 50). 

Sin qui l'esame della giurisprudenza pi� recente, che, come appare 
evidente, induce ad una seria medtitazione sulla effettiva rispondenza del� 
l'art. 85 del T.U. n. 3 del 1957 ai principi di uguaglianza e di ragiionevolezza. 


:Ma l'Ap. � dell'opinione che anche l'esame della normativa in materia 
conduca a motivi di concreta perplessit� sulla costituzionallit� dell'art. 85 
oit., in relazione alla preVlisione, in esso contenuta, dell'u~le trattamento 
usato nei riguardi degli impiegati civili. dello Stato condannati per la 
consumazione di uno d~i delitti ivi preVlisti e di quell;i condannati per 
il � tentativo � degli stessi delitti. � 

Innanzi tutto, va richiamato l'art. 123 de1la L. 26 marzo 1958 n. 425 
(che regola il rapporto del personale delle ferrovie dello Stato): questa 
disposizione, nel prevedere che � til tentativo, quando sia configurabile 

Senza entrare nel merito del J:icordato parere � comunque evidente che 
qu�ndo ivi si fa menzione del sistema graduato dli sanzioni ci� avviene con rife� 
rimento alle diverse sanzioni disciplinari che il legislatore ha introdotto in relazione 
alle distinte ipotesi .raggruppate in categorie uniformi negli articoli 7'8-85 

d.P.R. 3/1957 e non con riguardo alla necessit� dli operare delle ulteriori sottograduazioni 
all'interno di ciascuna categoria. 
S�guita la motivazione dell'ordinanza ricordando la sentenza 50/1980 della 
Corte Costituzionale secondo la quale le pene andrebbero commisurate non in 
maniera fissa ma variabile, lasciando al giudice il compito di graduarle. 

Il richiamo appare, solo in certi limiti, pertinente: difatti con la suddetta decisione 
la Corte riteneva infondata la questione di costituzionalit� dell'art. 121 

d.P.R. 393/1959 nella parte in cui prevede una pena fissa per chi circoli con un 
veicolo avente un certo sovraccarico, e�10 faceva dopo aver s� predicato l'oppor~ 
tunit� di una �proporzione,. della pena rispetto alle �personali� responsabilit�, 
ma non senza soggiungere che� il dubbio d'illegittimit� costituzionale potr� essere, 
caso per caso superato a condizione che, per la natura dell'illecito sanzionato 
e per la misura della sanzione prevista, quest'ultima Slia ragionevolmente propor� 
zionata ,. rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo� specifico 
tipo di reato. 
In altre parole non sembra potersi criticare la legge per non avere previsto 
che un certo reato possa atteggiarsi in modi particolarmente lievi e meno gravi 


!: 

i: 
1= 

f: 
. . I 



PARm X, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

977 

e non sia c�ntemplato espressamente come mancanza .autonoma, � pu� 

nito con la sanzione prevista per la mancanza perfetta, diminuita di un 

grado�, si riferisce di certo ai comportamenti individuati dad precedenti 

artt. 116, 117 e 118 e cio� a fatti che sono contemplati come �mancanze� 

e puniti con sanzioni disciplinari, indipendentemente dalla foro rile


vanza penale. 

Circa quest'ultimo aspetto resta, da. ultima, la considerazione del 
� diverso trattamento che la legge penale prevede per dl delitto consumato 
e per iJ. delitto tentato. 

L'art. 56 c.p., infatti, diminuisce, al capoverso, la pena del delitto 

tentato in confronto con quella del delitto consumato, � ci� perch� il 

tentativo � un � reato secondario � previsto in relazione a un reato prin� 

cipale: il tentativo, cio�, � � un altro reato � che la legge clasSI�fica e 

punisce come re�to di pericolo. 

Tanto premesso, sulla base delle considel1a2lioni esposte si pu� con� 

figurare il dubbio di legittimit� costituzionale deH'art. 85, lett. a), parte 

seconda, del T.U. approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, per contrasto 

con l'art. 3 della Costitu21ione, sotto i profili: 1) della violazione del prin� 

cipio della ragionevolezza, per irragionevole equiparazione della con


danna penale per il reato di tentata concussione con. la condanna penale 

per il reato di concussione; 2) della violazione del principio di ugua


glianza per ingiustificata imposizione, a situazioni che in base alla legge 

penale (artt. 317 e S6 c.p.) sono oggettivamente diverse, di un'identica 

disciplina legislativa, mentre costituisce un principio fermo quello se


condo cui la sanzione unica pu� essere giustificata solamente quando, 

rispetto ad altri, senza aver riguardo all'intera gamma dei comportamenti che 

rientrano -in quel reato e valutare la proporzionalit� rispetto al tipo medio di 

essi e non a quello eccezionale. 

Da ultimo l'ordinanza per evidenziare la disparit� di trattamento ricorda 

l'art. l.23 della legge 26 marzo 1958 n. 425 �sui provvedimenti disciplinari nei con� 

fronti del personale delle FF.SS. secondo dl quale � i1 tentativo, �quando sia 

configurabile e non sia contemplato espressamente come mancanza autonoma, 

� punito con la sanzione prevista per la mancanza perfetta, diminuita di un 

grado"� Orbene il G.A. riconosce che tale forma di riferisce ai comportamenti in� 

dividuatii negli artt. 116, 117 e 118 e cio� a fatti sanzionati indipendentemente 

dalla loro rilevanza penale, ma trascura il fatto che l'elemento pi� &i.gxlificativo 

della disciplina sotto il profilo in esame, ovverosia l'art. 119, proprio come 

il d.P.R. 3/1957 art. 85, prevede la destituzione di diritto, esclusa qualunque 

procedura disciplinare, in ipotesi di condanna per una serie di delitti che 

corrispondono a quelli della norma ora sospettata di incostitu:ZJionalit�. 

Non si vede quindi come possa istituirsi un valido raffronto con un'altra 

disciplina, utilizzando come �metro di paragone non l'analogo istituto della desti� 

tuzione di diritto che pure ivi compare, bensl quello delle sanzioni per le 

mancanze disciplinari minori. 



RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO 

per la sua misura e per la natura dell'lillecito, essa possa ragionevolmente 
considerarsi proporzionata all'intera gamma di comportamenti, riconducibili 
allo specifico tipo di reato (Corte cost., n. 50 del 1980, cit.); 3) della 
violazione del principio di uguaglianza per la ingiustificata discriminazione 
(in relazione all'art. 123 della L. 25 marzo 1958 n. 425) degJJi impiegati 
delle ferrovie dello Stato. 

Nei sensi e nei limiti dianzli esposti va pertanto sollevata la questione 
di legittimit� costituzionale dell'art. 85, lett. a), parte seconda, del T.U. 
approvato con d.P.R. 10 gennnado 1957 n. 3, in riferimento all'art. 3 della 
Costituzione, disponendosi la trasmlissione degli atti alla Corte costituzionale, 
previ gli �dempimenti di rlito, ai sensi dell'art. 23 deMa L. 11 marzo 
1953 n. 87 e disponendosi altres� la sospensione dli questo giudizio 
sino all'esdto del giudizio !ncidentale di le~ttimit� costituzionale. 

II 

(omissis) Ci� posto, vanno esaminate le censure sollevate dall.'Amministrazione 
in appello, per quanto concerne la dichiarazione dell'obbligo 
del Provveditore agli Studi di pronunciarsi in ordine alla sorte del rapporto 
d'impiego del Prof. Uggenti. Invero, detta dichiarazione, nell'appellata 
sentenza, � for,idata slllll'assunto che l'autorit� scolastica, a seguito 
della condanna definitiva riportata dall'Uggenti, dovesse pronunciarsi in 

Gi� si � sottolineato nelle brev�i oonsiderazioni sopra esposte che l'a$pirazione 
alla pi� perfetta proporzionalit� della pena rispetto al fatto sanzionato 
viene predicata con riguardo alle sanzioni applicate dall'autorit� giudiziaria, la 
culi terziet� garantisce una valutazione equa che tenga conto delle esigenze contvapposte, 
rappresentate dalla difesa e da1la pubblica accusa. 

Ma questo postulato della terziet� � proprio quanto non potrebbe realizzavsi 
relativamente alle sanzioni d~sciplinard, le quali naturalmente devono essere 
applicate dalla stessa P. A. e sqno di regola assoggettate all'esame del giudice 
(amministrativo) solo �su ~stanza del soggetto cui vengono applicate. 

Dimodoch� � evidente come la privazione di discrezionalit�, nelle intenzioni 

del legislatore, lungi dall'essere uno strumento di ingiustizia, costituisce un 

mezzo di tutela della stessa �mministrazione contro decisioni per essa dan


nose, che potrebbero essere adottate facendo un .uso troppo ampio della di


screzionalit�, che nessuno poi potrebbe sindacare per mancanza di interesse. 

Un minimo cli esperienza in questo campo basta per rilevare che molto spesso 

provvedimenti disciplinari di lievissima entit� vengono adottati proprio perch� 

le autorit� competenti non si sentono di assumere atteggiamenti pi� rigorosi, 

anche necessari, sol perch� estremamente pregiudi7lievo1i del bene della vita, 

oggi assai prezioso, del pubblico -dmpiego. In questa ottica non pu� neppure 

a tutt'oggi apparire incongruo un sistema di sanzioni che, nelle ipotesi di con


danna penale per �reati di una certa gravit�, preveda un'applicazione rigida ed 

automatica della destituzione. 

GIAN PAOLO POLIZZI 


PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

ordine alla sorte di detto rapporto e che, inoltre -essendo stata la 
nomina dello stesso, quale docente a tempo dndeterminato, adottata dal 
Provveditore agli studi -alla medesima autorit� spettasse :la pronuncia 
sull'intervento o meno e.Il cause estintive del rapporto di dmpiego. 

In proposito, va rilevato che la diffida di cui innan2J� -come dedotto 
nell'appello in esame -era rivolta specificamente al Preside e che il 
Provveditore agH studi era meramente sollecitato a far cessare il silenzio-
rifiuto de:l Preside, in ordine alla richiesta di riammissione in servizio 
del, Prof. Uggenti; onde, intervenuto ii1. riscontro del PreSlide a tale 
diffida, con la citata nota n. 7 del 12 ottobre 1977 -a prescindere dal 
contenuto di essa, diverso da quello richiesto dall'interessato -non � 
censurabile il sdlenzio del Provveditore agli Studi, che, in concreto, non 
aveva alcuna sollecitazione da svolgere nei confronti de:l Preside. 

Nel caso de quo, riguardato dall'art. 22 legge 160 del 1955, trattasi di 
risoluzione di diritto del rapporto di impiego, non discrezionale e verificantesd 
pur in mancanza di qualsiasi atto espldcito della P.A.; onde non 
� configurabile, anche, al riguardo, il silenzio-rifiuto su una istanza volta, 
invece, alla riammissione in servizio, a sollecitare cio� un ,provvedimento 
ali' Amministrazione stessa preoluso. 

In conseguenza, � parimenti fondata la doglianza dell'Amministra� 
zione appellante, proposta contro l'appellata sentenza, per non avere 
esaminato -prima di affermare l'eSlistenza del preteso obbligo del Provveditore 
agli studi all'espressa pronuncia--' il fondamento o meno dell'anzidetta 
pretesa dell'interessato. All'uopo, va infatti osservato che, nell'ipotesi 
di infondatezza di pretese riguardanti scelte o attivit� vdncolate 
dalla P.A., non s~rebbe utile imporre all'Amministrazione l'obbligo di 
una pronuncia (v. Cons. Stato VI, n. 92 del 26 febbraio 1982), e che, in 
tal caso -come nella fattispecie -il silenzio-rifiuto � giustificato. In 
effetti, il Prof. Uggenti, docente non di ruolo, aveva riportato condanna 
definitiva alla reclusione, senza il beneficio della condanna condizionale. 
Epper�, la pena veniva dichiarata interamente �ondonata, onde lo stesso 
docente sosteneva, al riguardo, di non aver goduto del beneficio della 
sospensione della pena, per ragioni, che ne impediscono la concessione, 
perch�, concesso il condono, sarebbe stata impossibile l'applicazione del 
primo beneficio. Premesso che l'articolo 22 primo comma della L. 19 mar� 
zo 1955 n. 160 dispone che � il professore non di ruolo, che riporti condanna 
definitiva alla reclusione, senza il beneficio della condanna condizionale, 
cessa dal servizio ed il rapporto d'impiego � risolto di diritto�, 
il Collegio ritiene fondate le deduzioni dell'Amministrazione appellante 
sulla necessit� di rigorosa interpretazione di una norma, che, come quella 
su citata, contiene una sola, specifica, eccezione, e sull'impossibilit� di 
confusione, in essa, dei due diversi istituti della condanna condizionale 
-della quale � fatto cenno -e del condono. 


980 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Tali istituti, !infatti, non sono accomunabili, differenziandosi oggetti� 
vamente, per i presupposti, per i limiti e per '1e condiziorni, alle quali 
sono a~mess.i, nonch� negli effetti, come evinc�si dalle relative disposizioni 
del Codice penale, ed, in particolare, dagLi artt. 163/168 Cod. pen., 
per la sospensione condizionale de11a pena, e dall'art. 174 Cod. pen., per 
l'indulto; onde non � dato pensare che, nel cit. art. 22 legge 155 del 1960, 
il 'legislatore abbia .inteso riferirsi ad un istituto diverso da quello specificamente 
.ivi contemplato. D'altra parte, le situazioni giuridiche, scaturenti 
dall'applicazione dell'uno o dell'altro istituto, non sono identiche, 
atteso che la sospensione condiliionale della pena, decorso il tempo stabilito, 
� causa estintiva del reato; l'indulto, invece, � causa di estinzione 
della sola pena. 

Peraltro, la sospensione condiizionale � concessa, quando hl giudice, 
avuto riguardo alle circostanze indioate nell'art. 133 c.p., presume che il 
colpevole si asterr� dal commettere ulteriori reati ed il relativo� beneficio 
� revocato, se commesso altro reato. L'indulto, invece, trova il suo presupposto 
in un eccezionale provvedimento di clemenza del Capo dello 
Stato, delegato dal legislatore; onde l'assunto del Prof. Uggentd, secondo 
cUli. la Corte d'Appello non avrebbe potuto concedere .la sospensfone 
condizionale, essendo la pena condonata, non ha alcun fondamento, tanto 
pi� che la sospensione condizionale della pena prevaile sull'indplto. 

In relazione al disposto del su richiamato art. 22 legge 155 del 1960 
ed alla non assimilabHit� dei due anzidetti dstituti, non ha rnlevanza, 
come motivo, l'assunto che ,l'appellato non ab'Qia potuto concretamente 
fruire della sospensione condizionaile della pena, rilevando, invece, che 
questa, in effetti, non abbia avuto luogo. 

Non sussistendo, pertanto, nella fattispecie, le condiizioni impeditive, 
nel senso del suo richiamato art. 2.2 legge 155 del 1960, della risoluzione 
di diritto del rapporto d'impiego del Prof. Uggenti, il silenzio-rifiuto del 
Provveditore agli Studi alla riammissione in servizio di detto docente 
era, anche sotto tale aspetto, incensurabile. 

Di conseguenza, il ricorso in appello, che si esamina, va accolto, con 
la riforma della sentenza oggetto di gravame. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 7 giugno 1984 n. 439 . Pres. Crisci � 
Est. Lignani � Jerkovic ed altri (av\r. Dragogna, Lanzinger, Emeri e 
Giannini) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri ed altri (avv. Stato 
Bruno) ed altro (n.c.) con intervento della Provincia di Bolzano (avv. 
Guarino). 

Bolzano � Provincia di Bolzano � Censimento generale popolazione Dichiarazione 
appartenenza a gruppo linguistico � Legittimit�. 

(D.P.R. 28 settembre 1981, n. 542; Statuto Spec. Trentino d.P.R. 31 agosto 1972 n, 670; 
d.P.R. 24 marzo 1981, n. 216). 
. . 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 981 

Bolzano � Provincia di Bolzano � Censimento generale popolazione . 

Dichiarazione appartenenza a gruppo linguistico � Impossibilit� dichia


razione aUoglotta o misti-lingua � Illegittimit�. 

(D.P.R. 28 settembre 1981. n. 542; Statuto Spec. Trentino Alto Adige d.P.R. 31 agosto1972, n. 670; Cost., artt. 3, 6 e 21). 
Sono legittime le disposizioni di attuazione del dodicesimo censimento 
generale della popol�zione che prevedono la speciale dichiarazione 
di appartenenza ai gruppi linguistici per i cittadini residenti nella 
provincia di Bolzano in quanto l'istituto della dichiarazione di apparte� 
nenza � regolato dall'art. 89 dello Statuto Speciale del Trentino Alto Adige 
e dal D.P.R. 24 marzo 1981 n. 216 (1). 

Sono illegittime le disposizioni di attuazione del dodicesimo censimento 
generale della popolazione che per i cittadini residenti nella provincia 
di Bolzano escludono la possibilit� di dichiararsi alloglotti o. mistilingui 
(2). 

(omissis) Ci� premesso, si pu� dire senz'altro che sono infondate tutte 
le doglianze con le quali i ricorrenti contestano, in principio, il fatto stesso 
che le r.ilevazioni del censimento comprendano, per i residenti nella Provincia 
di Bolzano, anche la dichiara1Jione in parola (doglianze prospettate 
con riferimento a1l'asserita violazione del principio di anonimit� e segretezza 
dei dati del censimento all'asserita violaziione del precetto costitu1Jionale 
per cui nessuna prestazione personale pu� essere imposta se non 
in base alla legge, ecc.). 

Ed invero, tutte queste doglianze appaiono formulate nell'erroneo presupposto 
che il Governo, emanando le disposizioni di attuazione del censimento, 
dovesse e potesse ci.ferirsi unicamente alle Jeggi generali in materia 
.di cen&limento, e non anche alla normativa speciale dettata, in proposito, 
per la Provincia di Bolzano. 

Sta di fiatto, invece, che l'istituto della dichiarazione di appartenenza 
ai gruppi liifiguistici, da rendere in occasdone del censimento, � espressa


(1-2) Sui problemi connessi al bilinguismo si ricorda Cons. St., VI ord., 
3 luglio 1981, n. 34tl, che ha sollevato la questione di costituzionalit� del d.P.R. 
26 luglio 1976 n. 752 nella parte in cui pone delle limitazioni alla carriera dei 
dipendenti cli lingua italiana, non essendo loro impondbile la conoscenza della 
lingua tedesca, nonostante il diritto riconosciuto ai cittadini di lingua tedesca 
di usare tale lingua nei rapporti con i pubblici uffici, e Corte cost., 18 ottobre 
1983 n. 312 che ha giudicato legittimo l'art. 1 legge prov. Bolzano 3 settembre 
1979, n. 12 che impone la conoscenza delle due lingue agli aspiranti all'esercizio 
di attivit� nel campo del .servizio sanitario nazionale. Ulteriori problemi sono 
sorti per i territori ladini dove le lingue sono tre, soprattutto a proposito dell'insegnamento 
nelle scuole (cfr. VI, 19 ottobre 1976, n. 325). 

La presente decisione affronta invece un altro aspetto della complessa problematica 
legato alla presenza di gruppi mistilingui o alloglotti ed il dinitto 
alla � riservatezza � dei cittadini sulla questione della lingua. Essa accoglie la 
tesi della Ammimstrazione resistente per quanto concerne la necessit� della 



982 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBl.J.O STATO 

mente previsto dall'art. 89 dello Statuto speciale del Trentino Alto Adige 
(Testo unico emanato con D.P.R. 31 agosto 1972 n. 670, ma formato con 
disposizioni approvate con leggi costituzionaili, e pertanto avente esso 
stesso valore di legge costituzionale). 

Vart. 89, al terzo comma, dispone che i posti dci ruoli provinciali del 
personale statale � sor,to riservati a cittadini appartenenti a ciascuno dei 
tre gruppi linguistici, in rapporto alla consistenza dei gruppi stessi, quale 
risulta dalle dichiarazioni di appartenenm rese nel .censimento ufficiale 
dehla popolazione �. 

Come si vede, non si tratta di una mera rilevazione quantitativa (come 
potrebbe essere, ad esempio, quella deHa distribuzione dei cittadini in 
classi di et�) ma di una � dichiarazione (personale) di appartenenza �, 
tenuto altres� conto che, l'appartenenza ad un determinato grqppo viene 
assunta quale requisito per accedere ai posti riservati al gruppo stesso. 

7. -Anche ammettendo, peraltro, che l'art. 89 dello Statuto lasci un 
margine di dubbio circa il fatto che esso possa riferirsi anche a dichiarazioni 
anonime, utilizzabili solo a fini statistici, sta di fatto che del tutto 
inequivoche, sul punto, sono le disposizioni di attuazione dello Statuto 
medesimo, contenute (per la materia in esame) nel D.P.R. 24 marzo 1981 
n. 216. Esse, infatti, configurano esplicitamente la dichiarazione di appartenenza 
come una dichiarazione personale, nominativa, sottoscriitta dal 
dichiarante, e des1linata a valere come punto di riferimento per riconoscere 
l'appartenenza . dell'interessato ad un determinato gruppo, ogni 
volta che da tale appartenenza discendano conseguenze giuridicamente 
rilevanti. 
Il decreto presidenziale n. 216 del 1981, emanato dn base all'art. 107 
dello Statuto, � decreto legislativo (d,elegato), ed ha, quindi. valore di 
legge ordinaria; ne consegue, tra l'altro, che le sue diisposizioni non possono 
. essere disapplicate dal gdudice ord!inario, n� annullate dal giudice 
amministrativo, ma, semmai, denunciate alla Corte costlituzionale per 
sospetta incostituzionalit�. 

dichiarazione della lingua facendo leva sulla norma de1lo Statuto (art. 89) che 

proporziona la :riserva dei posti a1la consistenza dei gruppi linguistici rilevata 

dal censimento, ma riconosce H diritto degli alloglotti e mistilingua a dichia


rarsi appartenenti ad un gruppo autonomo rispetto ai tre confluenti attorno 

alle tre lingue principali, non senza tuttavia sottolineare implicitamente il 

pericolo (da evitare de iure condendo) per costoro di vedersi escludere proprio 

per tale dichiarazione da1l'accesso agli dmpieghi ed �agli altri benefici colle


gati all'appartenenza di uno dei tre gruppi principali. 

La sentenza riconosce legittJima anche la imposizione dell'obbligo di ren


dere la dichiarazione per -ri minorenni da parte dei legali iiappresentanti in 

forza del d.P.R. 216/81; per qualche rifeci.mento cfr. VI, .19 ottobre 1976 n. 325 

cit., secondo� la quale la scelta dell'indirizzo linguistico nelle scuole rion � 

affidata alla volont� del genitore, ma � la consegn.:nza obiettiva della lingua 

parlata in famiglia. 


PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 983 

Nel caso in esame, peraltro, i ricorrenti non hanno sollevato alcuna 
precisa questione di costituzionalit� nei confronti del suddetto decreto, 
n� ritiene il C~llegio di dover procedere d'ufficio a sollevare tale giustizia 
per il profilo che qui interessa (configurazione della dichiarazione cli 
appartenenza come una dichiarazione personale e nominativa, anzich� 
anonima e puramente statistica). 

Le doglianze mosse contro l'istituto deHa ddchiarazione di appartenenza, 
in s� considerato, sono dunque da rigettare. 

8. -Analogamente, sono da rigettare le doglianze (di contenuto p1u 
circoscritto) mo~se contro il provvedimento impugnato nella parte in cui 
impone di rendere la dichiarazione in parola non solo ai cittadini maggiorenni, 
per s� stessi, ma anche ai legali rappresentanti (genitori o tutori) 
dei minorenni, per i minorenni stessi. 
L'art. 89 dello Statuto, ~� citato, dice chiaramente che 1o scopo (o 
uno degli scopi) dehla dichiarazione di appartenenza � quello di accertare 
la consistenza dei gruppi linguistici, al fine del riparto proporzionale 
dei posti nell'impiego statale; pare, dunque, altrettanto chiaro che la 
rilevazione debba essere estesa � ,tutta la popolazione, co:mpresi i minorenni. 


Anche su questo punto, del resto, ogni ipotetico dubbio � risolto dalle 
norme di attuazione di cui al D.P.R. n. 216 del 1981. Esse dispongono 
testualmente che la dichiarazione � viene resa... da ogni cittadino maggiorenne... 
o dal legale rappresentante�; e pi� avanti, trattando delle 
dichiarazioni straordinarie che, in certi casi, � consentito rendere tra un 
censimento e l'altro, prevede es:eressamente il caso del cittadino che 
� nel periodo intercensuario, raggiunge la maggiore et�... ed intende modificare 
la dichiarazione resa dal legale rappresentante nel censimento ȥ. 

Non ha quindi alcun fondamento la singolare tesi dei ricorrenti, 
secondo cui il D.P.R. n. 216 del 1981 non contemplerebbe la dichiarazione 
resa dai genitori per i figli minori. 

9. -Altre doglianze, ancora pi� circoscritte, vengono mosse contro il 
provvedimento impugnato nella parte in cui non Sii limita a disciplinare 
le modalit� della dichiarazione di appartenenza ai gruppi linguistici, ma 
esclude la possibilit�. di dichiararSl:i appartenenti a gruppi linguistici 
diversi dai tre �ufficiali� (caso dei cittadini di origne straniera o provenienti 
dati gruppi alloglotti insediati in varie Regioni d'Italia) oppure 
appartenenti a pi� di un gruppo linguistico (caso dei cittadini mistilingui, 
ad es. perch� nati da coppie miste). 
Conviene sottolineare che non vi � controversia sul punto che il decreto 
impugnato debba essere interpretato nel senso in cui lo interpretano 
i ricorrenti. N� lo Stato, n� la Provincia, infatti, sostengono che il 
decreto stesso possa essere interpretato nel senso che esso, in realt�, 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU:.0 STATO

984 

consenta dichiarazioni diverse; se cos� fosse, non vi sarebbe ragione di 
contendere. 

Si tratta, dunque, di valutare <la legittimit� di un sistema che non solo 
richiede ai cittadini residenti in Provincia di Bolzano di dichiarare ufficialmente 
l'appartenenza ad un gruppo linguistico in sede di censimento (il 
che, come si � visto, � immune da censure) ma, altres�, restringe la 
scelta (se di scelta si pu� parlare) ai tre gruppi �ufficiali� con esclusione 
di ogni possibile alternativa. 

Dalle difese dei ricorrenti, peraltro, sembra emergere una contestazione 
pi� ampia, diretta contro il principio stesso della � proporzionale � 
(s�ncito, come si � vtisto, dallo Statuto speciale con riferimento alfimpie-go 
statale) o comunque contro la generalizzazione della � proporzionale 
�, adottata da leggi provinciali ordinarie per disciplinare una quantit� 
di rapporti e di situazioni (es. assegna.2J�one di alloggi popolari). 
�, per�, questo un problema che non pu� essere affrontato in questa 
sede siccome estraneo ail:l'oggetto del giudizio, rappresentato solo d0l 
provvedimento impugnato. 

Allo stesso modo, � per le stesse ragioni, non si pu� ora affrontare il 
problema se l'ordinamento vigente nella Provincia di Bolzano possa considerarsi 
di~criminante nei confronti delle altre minoranze linguistiche, e 
se, ammesso che discriminazione vi sia, essa possa essere considerata compatiibiie 
con i principi fondamentali della Costituzione. 

In conclusione, la materia del contendere � ristretta (come pi� volte 
accennato) alla le~ttimit� delle disposizioni che precludonq la possibilit� 
di rendere dichiara.2J�oni di appartenenza comunque diverse dalle 
tre prestabilite. 

10. � Per risolvere tale questione, occorre prima di tutto stabilire la 
natura della dichiarazione in parola; e cio� se essa sia una mera opzione, 
priva di ogni necessario collegamento con la realt� delle cose, o se~ 
all'opposto, il dichiarante sia tenuto a dti.chiarare la verit� ogget_tiva. 
La prima soluzione sembra appoggiarsi sulla considerazione che non 
sono previsti (almeno apparentemente) controlli sulla veridicit� delle 
dichiarazioni rese, e sulla circostanza che l'ordinamento espressamente 
consente di modificare la dichiarazione ogni volta che si procede af 
censimento, ed, eccezionalmente, anche I�ll altri casi. 

Sembra, tuttavia, preferibile la tesi contraria, perch� pi� rispondente 
alle finalit� ed alle linee generali della � proporzionale � e degli altri 
meccanismi di tutela dei gruppi linguistici. Non vi � dubbio che questi 
istituti sarebbero snaturati, se si ammettesse la possibilit�, per chiunque,. 
di � [scriversi � ad un gruppo diverso da quello cui effettivamente appartiene, 
ad esempio per godere di maggiori opportunit� nell'accesso a determinati 
impieghi o .benefici. Il sistema complessivo, in altre parole, appare 
costruito sul presupposto che le dichiarazioill� rispondano alla realt� og-

I 

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PARm l, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

gettiva. In questa luce, la possibilit� di modificare l'appartenenza appare 

piuttosto un correttivo per casi particolari e marginali, che non l'espressione 
di una facolt� di l!ibera opzione. 

11. -Se cos� �, per�, ne consegue che non � concepibile che l'ordina� 
mento vieti di dichiarare la verit� (ed anzi imponga una dichiarazione 
non veritiera) a tutte quelle persone che non appartengono ad alcuno dei 
tre gruppi � uffilciali �, o si ritengono appartenenti ad_ ugual titolo a pi� 
di un gruppo; casi, questi, relativamente rari ma prevedibilmente destinati. 
a diventare pi� frequenti col passare del tempo. L'ordinamento non 
pu� imporre ad alcuno di occultare la propria identit� culturale e linguisti.
ca (lo vietano gli articoli 2, 3 e 6 della Costituzione), o di espr�mere 
liberamente il proprio pensiero al riguardo (art. 21 Cost.). 
In effetti, all'art. 89 dello Statuto speciale non pu� essere attribui,to 
questo significato. Pur trattandosi di norma di livello costituzionale, esso 
deve essere interpretato in armonia con ii principi fondamentali della 
Costituzione; e, del resto, la sua formulazione letterale e la sua stessa 
ratio non impediscono una "interpretazione coerente con quei principi. 
Altro � dire che la consistenza dei tre gruppi linguistici principali viene 
rilevata in certi modi e con certe conseguenze in sede di censimento e 
altro � dire che non sono ammesse dichiarazioni diverse anche se corrispo:
iidentii alla realt� effettiva, in contrasto fra l'altro con le norme che 
impongono, in sede di censimento, l'effettuazione di dichiarazioni veritiere. 
La presenza di un certo numero di dichiarazioni � non classificabili 
� non impedisce la determinazione. dei rapporti quantitativi tra i gruppi 
ufficiali, cos� come nelle elezioni politiche la presenza di un certo numero 
di schede bianche o di voti dispersi non impedisce la ripartizione proporzionale 
dei seggi tra le liste che abbiano raccolto sufficienti voti. 

Ci si .potr� chiedere, semmai, quale sia il trattamento spettante agli 
alloglotti (intendendosi pe!'." tali quelli che non appartengono ad alcuno dei 
gruppi ufficial!i) ed ai mistilingui, in ordine all'accesso agli impieghi e 
agli altri benefici; la soluzione dovr� essere data (de iure condito o de 
iure condendo) tenendo presente l'es;igenza di non dar luogo, per costoro, 
n� adiscriminazioni, n� ad ingiusti privilegi; ma �, anche questa, materia 
estranea al giudizio, ed il Collegio non pu� pronunciarsi in proposito. 

12. � L'interpretazione ora data all'art. 89 dello Statuto pu� esser data 
anche al D.P.R. n. 216 del 1981 (norme di attuazione' dello Stato). 
Se � vero che questo testo parla, ripetutamente, di � dichiaraziione di 
appartenenza ad uno dei tre gruppi linguistici�, � anche vero che esso si 
riferisce palesemente all'ipotesi normale, e non contempla espressamente 
i casi (eccezionali) degli alloglotti e dei mistilingui, n�, tanto meno, afferma 
espressamente che essi debbano necessariamente classificarsi in uno 
dei tre gruppi ufficiali. Pertanto ammesso che il testo, in s� considerato 
consenta pi� di una interpretazione, si dovr� prefer.ire queHa che � in 


986 

RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DELLO STATO 

accordo con i principi costituzionali generali e speciali; se il testo, invece, 
si dovesse necessariamente interpretare in senso pi� restrittivo, il decreto 
legislativo non si sottrarrebbe, ad avviso del Collegio, ad una censura 
d'incostituzionalit�. 

13. -In conclusione, si deve dire che la lesione lamentata �dai ricorrenti 
(e cio� il divieto di rendere una dichiarazione di appartenenza verii.tiera 
ma difforme dalle tre consentite) dipende unicamente dalle disposizioni 
di attuazione del censimento (atto ~mministratdvo). Esse, pertanto, 
risultano illegittime, per l'aspetto qui considerato, per contrasto 
. non solo con i principi generali, ma anche con l'art. 89 dello Statuto e 
con il D.P.R. 216 del 1981, i quali, come sd � visto, non possono essere 
interpretati come contenenti analogo divieto. 

Il D.P.R. 28 settembre 1981 n. 542, dunque, deve essere annullato nella 
parte in cui esclude che i cittadini residenti in Provincia di Bolzano, rendendo 
(personalmente o' a mezw del legale rappresentante, se minori o 
incapaci), la speciale dichiarazione di appartenenza a gruppi linguistici, 
a norma dell'al"t. 89 dello Statuto speciale e delle relative norme di attuazione, 
possano dichiararsi (tale essendo la loro effettiva condizione) 
alloglotti o mistilingui. 

Resta impregiudicata, siccome estranea all'oggetto del giudizio, ogni 
questione relativa allo status dei soggetti dichiaratisi alloglotti o misti� 
lingui, per quanto attiene ai casi nei quali l'ordinamento speciale della 
Provincia di Bolzano prende in considerarione il gruppo linguistico di 
appartenenza. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, Ordinanza 21 giugno 1984 n. 480 -Pres. 
De Roberto -Est. Grassd -Ministero del Tesoro (avv. Stato Carbone) 

c. Cammarata (n.c.). 
Giurisdizione civile -Pensione -Recupero emolumenti non dovuti -Corte 
dei conti. 

La questione concernente la giurisdizione nelle controversie sulla 
legittimit� del recupero di somme indebitamente corrisposte a titolo di 
pensione ai pubblici dipendenti deve essere rimessa all'Adunanza Plenaria 
dopo la sentenza delle Sezioni Unite che ha atf ermato la giurisdizione in 
materia della Corte dei Conti (1). 

(1) Sembra, con questa ordinanza, avviarsi a solU7J�one l'annoso conflitto 
in materia tra Cassazione e Consiglio cli Stato, in quanto questo ultimo, dando. 
prova di considerevole sensibilit� per la certezza del diritto, ha affidato alla 
Plenaria il compito cli rivedere il proprio orientamento, dopo che il precedente 
era stato disatteso dalla Corte regolatrice. 

PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRADVA 

987 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, Ord!i.nanza 27 giugno 1984 p.. 504 -Pres. 
Mezzanotte -Est. Giovannini -Frapiocind (avv. Steccani) c. I.A.C.P. di 
Macerata (avv. Felici) e Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Del 
Greco). 

Giurisdizione civile � Appalto � Revisione prezzi � Riconoscimento spettanza 
� Contrasto sulla misura. 

(D. lgs. 6 dicembre 1947, n. 1501; e 22 febbraio 1973, n. 37). 
Appalto � Revisione prezzi � Competenza statale o regionale. 

(D. lgs. 6 dicembre 1947�� n. 1501; legge 22 ottobre 1971, n. 85; d.P.R. 15 gennaio 1m, 
n. 8, art. 2; d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1036; d.P.R. 24 agosto 1m, n. 616, art. 87). 
Deve rimettersi all'Adunanza Plenaria la decisione circa i criteri per 
individuare la giurisdizione in materia di revisione di prezzi di appalto 
quando 1i'Amm. abbia riconosciuto la sussistenza dei presupposti per la 
revisione, ma permangono contestazioni sul quantum della stessa (1) 

Deve rimettersi all'Adunanza Plenaria la questione concernente la titolarit� 
della potest� decisionaria in tema di revisione prezzi prevista 
dagli articoli 4 e 55 D.Lgs. C.p.s. 6 dicembre 1947 n. 1501, originariamente 
spettante allo Stato, dopo il trasferimento alle regioni a statuto ordina� 
rio delle materie dei lavori pubblici di interesse locale e dell'edilizia residenziale 
pubblica (2). 

Diritto -Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi i quali, 
concernendo sentenze di prime cure di analogo contenuto, si palesano 
manifestamente connessi. 

Giusta gi� innanzi evidenziato, riguardo ad entrambi si pongono questioni 
di carattere pregiudi2liale di particolare delicatezza come, primariamente, 
quella relativa all'identificazione della natura delle posizioni giuridiche 
soggettive pertinenti nella specie alle parti, nonch� quella relati.va 
alila sussistenza o meno dn capo al Ministero dei lavori pubblici della competenza 
a pronunciarsi, ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. C.p.s. 6 dicembre 

(1) La necessit� di rimettere all'Ad. Plen. la questione nasce non tanto 
dai contrasti giurisprudenziali all'interno del Consiglio di Stato quanto dalle 
osoillazioni della giurigprudenza della Cassll7li.one, quali si evincono anche dal 
semplice raffronto tra Sez. Un. 22 luglio 1982 n. 4288 (in Riv. giur. edil. 1982, 
p. 874) e Sez. Un. 23 febbraio 1983 n. 1365 e 1366 (in questa Rassegna 1983, 
I, 403 oltre che in Gdust. civ. 83, 3320, sulla quale si segnala la nota di PIACENTINI 
Nuovi orientamenti giurisprudenziali in tema di revisione di preui). 

(2) Interessante risulta anche la seconda questione rimessa all'Adunanza 
Plenaria, nei sensi di cui alla massima. L'orientamento della Sezione 5embra 
per la verit� propenso ad escludere il trasferimento alle Regioni della delicata 
funzione, considerando preferibile conseI"Varla ad un organo unico per tutto 
il territorio nazionale, a garanzia dell'uniformit�' di giudizi ed dn considerazione 

RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DEU.O STATO

988 

1947 n. 1501 sui gravami amministrativi proposti avverso d provvedimenti 
assunti nel caso. dall'Istituto autonomo per le case popolari della Provincia 
di Macerata. 

In ordine alla prima questione va ricordato che, secondo la costante 

giurisprudenza del Consiglio di Stato, le determinazioni delle amministrazioni 
in tema di revisione prezzi nei pubblici appalti costituiscono esercizio 
di potest� autoritativo-discrezionali ed involgono, di conseguenza, 
posizioni giuridiche private di mero interesse legittimo (IV Sez., 29 lu� 
glio 1980 n. 785; IV Sez., 30 novembre 1973 n. 1140; IV Sez., 29 maggio 
1971 n. 583. La medesima giurisprudenza ha, peraltro, nel contempo preci� 
sato che ove le pl;).rti abbiano fatto uso della facolt�, loro attribuita dall'art. 
I D.Lgs. cit., di stipulare �patti in contrario� rispetto alla disciplina 
legislativa, sancendo convenzionalmente l'obbligato!iet� della revisione 
prezzi, si instaura tra le stesse al riguardo un rapporto di diritto-obbligo, 
le cui controversie rientrano nella _giurisdizione dell'autorit� giudiziaria 
ordinaria (VI Sez., 17 gennaio 1984 n. 14; IV Sez., 19 novembre 1975 n. 1042, 
IV Sez., 2 marzo 1971 n. 190). 

Pi� articolata appare la giurisprudenza della Corte di cassazione la 
quale, pur muovendo dalla generale premessa della natura pubblica della 
potest� ex lege di revisione prezzi (Cass., 22 luglio 1982 n. 4288; Cass., 
23 febbraio 1978 n. 888; Cass., 27 febbraio 1976 n. 631; Cass., 27 i:p.arzo 
1975 n. 1157), individua in suo luogo la sussistenza di un rapporto di 
diritto-obbligo non soltanto l� dove sia intervenuto un patto in contrario 
-patto di cui �,. peraltro, ora sottolineata l'invalidit� per effetto di 
quanto previsto dall'art. 2 legge 22 febbraio 1973 n. 37 (Cass., 22 luglio 
1982 n. 4288; Cass., 23 febbraio 1978 n. 888 cit.) ma anche allorch� l'�rnministrallione 
si sia positivamente determinata circa l'An debeatur si che iJ 
tema del contend�re attenga esclusivamente al gradato profilo dcl quan


tum (giur. ult. cit. nonch� Cass., 8 febbraio 1979 n. 857; Cass., 2.7 febbraio 
1976 n. 658). 

della funzione giustiziale attribuita alla procedura di decisione dei ricorsi in 
materia, sottolineata dalla composizione della Commissione consultiva di cui 
all'art. 4 e dai suoi poteri di determinazione anche sulle spese del procedimento. 


Peraltro sulla natura non giurisdizionale del provvedimento decisorio del 

II 


ricorso in parola si . era espressa la Sez. IV con sent. 25 maggio 1976 n. 364, 
onde escludere l'applicazione della sospensione feriale al termine dvi prevdsto 
per la proposizione del ricorso. 

Il favore� per tale soluzione risulta accentuato dall'ipotesi subordinata 
formulata (della quale non si � dato conto nella massima per non appesantirla) 
di ritenere ancora operante il partdcolare ricorso. come previsto nell'art. 4 cit. 
almeno fino a quando le Regioni non avranno istdtu4to nella loro, determinanda, 
competenza uno -strumento �garantistico di pari valenza�. 


PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Circa quest'ultimo punto si pongono, peraltro, problemi in orcltine ai 

criteri in virt� dei quali Slia possibile definire una controversda come atti


nente esclusivamente al profilo del quantum debeatur. 

A tal riguardo � utile notare che, con sentenza 10. ottobre 1979 n. 5249, 
la Cassazione ha negato l'esistenza di un rapporto di diritto-obbligo l� 
dove il riconoscimento dell'amministrazione sia stato parziale anche s_olo 
quanto al tempo rispetto al quale stabilire le variazioni cui va raccordata 
la liquidazione per corrispettivo prezzi. A sostegno di questo indirizzo si 
� infatti osservato, con la successiva sentenza 1� ottobre 1980 n. 5333, 
-che l'apprezzamento del profilo cronologico rientra pur esso � ��� nell'area 
del potere pubblico di accoJ:idare o negare fa revdsione prezzi, questa 
essendo concessa, in principio, per determinati lavori in base a certe 
variazioni di costo intervenute per � quel � t!ipo di lavori durante � quel � 
periodo di tempo. Sicch� -ancora dn linea di principio -l'acconto per 
�revisione prezzi, riferendosi a ben individuati lavoii realizzati in un altrettanto 
individuato tempo prestabilito, mai pu� assumersi a riconoscimento 
del diritto alla revisione stessa per altri. lavori compiuti in un periodo 

di tempo successivo a quello considerato. 

Con sentenza 23 febbraio 1983 n. 136~ sussistenza clti un rapporto di 

diritto-obbligo la Cassazione ha, viceversa, ravvisato l� dove, dopo il 

riconoscimento da parte della Pubblica �amministrazione sul punto del� 

l'An debeatur, residui la necessit� di individuare i parametri per la 

monetizzazione delle differenze di prezzo dovute in ciascun caso concreto 

e nei relativi calcoli, trattandosi di � ... una operazlione che, non compor� 

tando una scelta fra interessi pubbliici concorrenti ... non lascia spazio, per 

sua natura, a:lla discrezionalit� ed �, quindi, al di fuori de1l'esercmo del 

potere, concernendo il modo d'essere del rapporto obbligatori.o venuto 

ad esistenza per effetto di quell'esercizio �. � 

Ci� stante, ai fillli della definiZlione della questione� pregiudiziale in 

esame, occorre preliminarmente statuire: 

a) se detto orientamento della Corte di cassazione meriti di venir 

condiviso, tenuto conto che in un caso (IV Sez., 9 dicembre 1983 n. 910) 

questo Congresso ha negato il sorgere di un rapporto di diritto-obbligo 

in dipendenza di un avvenuto riconoscimento parziale della revisione 

prezzi; 

b) in ipotesi positiva, quali siiano i criteri di carattere generale in 

virt� dei quali Slia possibile discernere la controversia che attiene al mero 

quantum rispetto a quella che tale non �. 

Qualora, poi, in relazione alla soluzione data ai quesiti di cui sopra 
ed alle concrete situazioni dedotte nei presenti giudizi (ove, giiusta notato 
nella pregressa esposizione in fatto, le liquidazioni operate dall'Istituto 
autonomo per le case popolari della Provincia di Macerata sono state 
contestate dall'Impresa Frapicoini� perch� ispirate al criterio dell'anda



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mento -teorico anzich� di quello reale dei lavori e perch� escludenti i 
periodi interessati dai provvedimenti di proroga del termine finale dei 
lavori medesimi) avesse a concludersi per la presenza nel1a specie di un 
rapporto di potest� amministrativa-interesse legittimo eppertanto, ritenuta 
la giurisdizione del giudice amministrativo, dovesse passarsi allo 
ulteriore esame dei ricorsi, di particolar~ delicatezza apparirebbe altresl 
la seconda delle due cennate questioni pregiudiziali. Questione come si � 
detto, concerne il punto se, a seguito del trasferimento alle Regioni a 
statuto ordinario delle materie dei lavori pubblici dii interesse locale 
e dell'edilizia residenziale pubblica (legge 22 ottobre 1971 n. 85; art. 2 
1:>.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8; D.P.R. 30 dicembre 1972 n. 1036; artt. 87 ss. 

D.P.R. 24 agosto 1977 n. 616), sia attualmente di pertinenza delle Regioni 
medesime anche la potest� decisoria prevista in tema di revisione prezzi 
dagli. artt. 4 e ss. D.Lgs. C.p.s. 6 dicembre 1947 n. 1501 e successive modificazioni, 
ovvero se essa sia rimasta nella sfera di competenza dello Stato. 
Alla prima soluzione potrebbe pervenirsi nel presupposto di una normale 
inerenza dell'istituto della revisione prem alle materie pred~tte e, 
di qui, sulla scort~ del generale principio secondo cui, .. come � noto, il 
passaggio di materie alle Regioni comporta, in una con il mantenimento 
delle norme statuali dli carattere sostanziale regolanti quelle materie fin 
quando le Regioni non abbiano autonomamente legiferato (cfr. Cons. St., 
VI Sez., 14 luglio 1981 n. 411; V Sez., 24 ottobre 1980 n. 895; VI Sez., 5 giugno 
1979 n. 432), l'immediato spossessamento delle pregresse competenze 
facenti capo agli organi statali. 

Alla seconda conclusione potrebbe, viceversa, pervenirsi individuando 
nella legislazione di cui al citato D.Lgs. C.p.s. 6 dicembre 1947 n. 1501 una 
preminente funzione giustiziale destinata, a garanzia dell'uniformit� dei 
giudi2li, ad essere esercitata da un unico organo per tutto il territorio 
nazionale e tale, dunque, da comportare l'esclusione -almeno in assenza 
di espresse previsioni in contrario -della potest� deciso~a in questione 
dal trasferimento che delle materie predette sia fatto alle Regioni. 

Che, invero, la legislazione de qua presenti una preminente funzione 
giustiziale emerge, in primo luogo,. dalla stessa generalit� di applicazione 
del proceddmento gravatorio da essa regolato, il quale investe i rapporti 
d'appalto facenti capo, oltrech� allo Stato, anche a tutti gli altri enti 
pubbliici (art. 1 D.Lgs. C.p.S. cit.; art. 1 L. 23 ottobre 1963 n. 1481; artt. 1, 
3 e 5 L. 21 giugno 1964 n. 463; art. 3 L. 19 febbraio 1970 n. 76; art. 2 

L. 22 .febbraio 197~ n. 37); emerge, in secondo luogo, dalle garanzie poste 
a base dell'esercizio di essa funzione medesima, quali principalmente 
costlituite dalla piena operativit� del principio del contraddittorio (artt. 5 
e 7 D.Lgs. C.p.S. cit.) e, soprattutto, dalla peculiare composizione della 
commissione chiamata ad esprimere parere sui gravami, commissione la 
I.I: 
1: 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 

quale, in quanto formata da magistrati e da esponenti. dell'Avvocatura 
deHo Stato, di ,diverse pubbliche Amministratloni e di organizzazioni di 
settore, si connota come palesemente dotata dell'attributo della c.d. � terziet� 
� (n�, in via sintomatica, � da sottacere l'elemento dato, ex art. 4,. 
terz'ultimo comma, D.Lgs. C.p.S., dalla potest� della commissione di condannare 
il soccombente, in tutto o in parte, alla rifusione delle spese 
della procedura, conformemente 'alla nota regol~ propria dei procedimenti 
giurisdizionali). 

Che, d'altro canto, la presenza di simile preminente funzione giustiziale 
sia suscettiva di� escludere la competenza [n questione dal trattamento 
operato dall'ordinamento in sede di determinazione delle attribuzioni 
delle Regioni a statuto ordinario relativamente ai compiti delle 
commissioni di vigilanza sull'edilizia economica e popolare, organi parimenti 
dotati di poteri contenziosi in funzione gustiziale (cfr. artt. 129' 
ss. R.D. 28 aprile 1938 n. 1165; artt. 19 ss. D.P.R. 23 maggio 1964 n. 655). Noto 
� infatti, che mentre con l'art. 93 D.P.R., 24 agosto� 1977 n. 616 � stata 
genericamente trasferita a dette Regioni Ja materia dell'e&lizia reSli.denziale 
pubblica, solo con norma a parte, il successivo art. 94, significativamente 
intitolato �ulteriori trasferimenti dn materia di edilizia pubblica 
�, sono state altres� trasferite le funzioni amministrative. esercitate 
da dette commissioni. Manifestazione questa evidente del convincimento. 
del legislatore circa la necessit� di disposizioni ad hoc ai fini del trasferimento 
di funzioni siffatte. 

In wa subordinata, le esposte considerazfoni potrebbero, comv.nque~ 
valere a riconoscere allo strumento gravatorio in esame un tale rilievo 
da doversi lo stesso ritenere conservato nella sua attuale connotazione� 
fin quando le Regioni non introducano nella rispettiva legislazione un 
meccanismo garantisuco di pari valenza. 

� da aggiungere che l'esposta problematica non sembra possa essere 
superata aHa stregua della tesi del tribunale regionale, che ha radicate> 
la competenza nella specie del Ministro dei lavori pubblici sul disposte> 

' 
dell'art. 125 secondo comma D.P.R. 24 agosto 1977 n. 616. Dal complessivo 
contest~ detta disposizione appare, infatu, riferirsi alle sole materne 
rimaste fino al 31 dicembre 1977 di pertinenza dello Stato (donde l'ob� 
bligo, sancito dal primo comma, degli organi di quest'ultimo di consegnare 
a ciascuna Regione interessata entro il successivo 31 gennafo 1978 
gli atti inerenti le funzioni trasferite con il d.P.R. esistenti presso i rispettivi 
uffici), laddove, come sd � mnanzi rilevato, i compdti di realizzazione 
degli alloggi di edilizia residenziale pubblica gi� erano da tempo stati 
dismessi dallo Stato (L. 22 ottobre 1971 n. 865; d.P.R. 30 dlicembre 1972 

n. 1036), cui continuavano a far campo unicamente poteri dd finanziamento. 

'992 RASSEGNA lll!LL'AVVOCATURA DEllO STATO 

Attesa la particolare delicatezza delle questioni prospettate e la pos.
sibilit� che in ordine alla loro soluzione insorgano contrasti di giurisprudenza 
fra le Sezioni, appare opportuno rimettere i ricorsi all'Adunanza 
plenaria ai sensi dell'art. 45 secondo comma R.D. 26 giugno 
1924 n. 1-054. 

CONS. STNI'O, SEZ. V, 23 luglio 1984, n. 565 -Pres. Santaniello � Est. 
Cossu: Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (Avv. Stato 
Tarin) c. Salvatori (avv. vespasiani). 

Bellezze naturali � l'utela del paesaggio � Prefabbricato mobile in legno � 
Idoneit� a turbare l'aspetto dei luoghi � Sussiste. 

Bellezze naturali � Tutela del paesaggio � Ordine di demolizione � Esistenza 
di altre situazioni lesive � Disparit� di trattamento � Non sussiste Non 
necessarlet� di licenza edilizia � Irrilevanza. 

Il presupposto per la applicazione delle norme a tutela del pae� 
.saggio di cui alla legge 29 giugno 1939 n. 1497 consiste nella alterazione 
in senso negativo dell'aspetto del bene protetto,� di conseguenza, rica.
dono nel divieto sancito dall'art. 7 della legge citata e sono quindi as


soggettati alla sanzione prevista dal successivo art. 15 tutti quei manufatti 
.od oggetti che -pur non essendo qualificabili come immobili ai 
sensi delle norme civilistiche o urbanistiche. -sono comunque idonei, 
in ragione della loro collocazione non transitoria e non occasionale a 
�compromettere la bellezza dei luoghi (1). 

La accertata idoneit� di un manufatto a pregiudicare la zana vincolata 
rende irrilevante la circostanza che. esso possa essere realizzato 
.senza licenza edilizia (2). 

(1-2) Nella fattispecie oggetto della decisione, � stato 'ritenuto lesivo del~ 
t'assetto paesistico un prefabbricato in legno montato su ruote, poggiato al 
suolo e reso stabile con l'ausilio di martinetti. 

Il ricorrente aveva impugn�to avanti al TAR Lazio l'ordine di rimozione 
del prefabbricato, emesso con decreto del Ministro per i Beni Culturalii e 
Ambientali, asserendo che detto bene -in quanto mobile -sfugge ai divieti 
posti dalla legge urbanistica e, pertanto, � insuscettibile di arrecare pregiudizio 
.alle bellezze naturali. 

Il TAR .Lazio con deciSiione n. 495 del 26 s�ttembre 11977, aveva accolto 
il ricorso ritenendo che la natura di bene mobile del prefabbricato non consentisse 
alla Pubblica Amministrazione l'appldcazione dell'art. .15 legge 1497/ 
1939, che ha riguardo alle sole costruzioni per le quali � previsto il rilascio 
<della licenza. 

Il Consiglio di Stato, nel riformare la pronunzia di primo grado, ha enun:
Diato due principi di fondamentale :importanza in materia di tutela dell'aro� 
biente. In primo luogo � stato ribadito che la ratio della normativa di cui 



PARTE I, SBZ. V, GIUltISPRUDBNZA AMMINISTRATIVA 

993 

La sentenza appellata ha ritenuto illegittima la ordinanza ex artt. 7 
e 15 della 1. 29 giugno 1939, n. 1497 con la quale sd imponeva all'appellato 
Salvatori di rimuovere un � prefiabbricato mobile in legno � abusivamente 
installato in zona soggetta a ,tutela paesaggistica, sul rilievo 
che il manufatto -da qualificare bene mobile perch� non stabilmente 
incorporato al suolo -cosi come � realizzazbile senza Licenza edilizia, 
egualmente non pu� soggiacere agli interventi repressivi.i del'Ammirustrazione 
dei beni culturali. 

� del tutto pacific� che il manufatto � un prefabbricato in Jegno 
montato su ruote, poggiato al suolo e reso stabile con l'ausdlio di martinetti: 
e, del resto, il provved�mento impugnato correttamente lo qualifica 
come �prefabbricato mobile in legno�. Va comunque notato che 
il manufatto -sito in zona montana e destinato ad esercizio commerciale 
(noleggio al pubblico di attrezzi per ia pratica degli sport 
invernali) -pur poggiato al suolo e non ad esso dncorporato, � tuttavia 
ivi collocato in via permanente come risulta dalle fotografie esibite 
dall'appellato, talune delle quali eseguite in epoca non invernale 
(o comunque tin assenza di n~ve) nella quale, cio�, ila cennata attivit� 
di noleggio non pu� aver luogo. Oi� comporta che il manufatto, an-� 
corch� mobile, risulta essere collocato al suolo non in via meramente 
temporanea o anche soltanto stagionale ma a tempo .indeterminato. 

E, se cosi �, il presupposto per la applicazione delle norme a tutela 
del paesaggio certamente sussiste, in quanto anche manufatti od oggetti 
-pt.ir non qualificabili come immobili ai sensi delle norme civilistiche 
o urbanistiche -sono tuttavia idonei, in ragione della loro 
collocaziom~ non meramente transitoria od occasionale ad incidere negativamente 
sull'aspetto delle zone protette. 

alla legge 1497/1939 risiede nella esigenza di conservazione dell'aspetto delle 
zone tutelate; ne consegue che il vincolo panoramico si �Stende su tutte. le 
attivit� U cui risultato possa essere un'alterazione dello stato delle cose e dei 
luoghi idonea a deturpare quella loro fisionomia esteriore nella quale risiede 
il loro valore di bellezza della natura (in dottrina v. in, senso conforme: ALIBRANDI-
Fl!RRI: I beni culturali e ambientali, Milano 1978, pag. 544 e segg.; 

v. anche: SANDULLI, Natura ed effetti dell'imposizione di vincoli paesaggistici, 
in � Atti del Convegno di Studi Giuridici sulla tutela del paesaggio�, Milano 
1963, 87). 
Ci� significa che presupposto immediato per l'operativit� dei limiti e . 
delle sanzioni previsti dalla nornnativa !in questJione � :la mera idoneit� della 
modifica a pregiudicare l'aspetto paesistico. 

In presenza di tale idoneit�, secondo il Consiglio di Stato, VMlllO superati 
i problemi interpretativi posti dal tenore letterale delle norme. 

Cosi deve ritenersi illegittima in virt� dell'art. 7, 1. 1497/1939 ogni modificazione 
dello stato dei luoghi, indipendentemente dalla natura di beni mobili o 
immobili assunta dall'elemento modfficatore. 

Cos�, parimentJi, devono superarsi i dubbi relativi alla irrogabilit� della sanzione 
della demolizione ex art. 15 1. 1497/1939 anche con riferimento a quei 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

994 


N� vale obiettare che J'articolo 7 della i. 29 giugno 1939, n. 1497 
fa divieto di introdurre modifiche ai titolari o detentori degli � im~ , 
mobili � siti in zona vincolata e che il successivo articolo 15 imp�n,, 
di � demolire � le opere eseguite senza il prescritto nulla osta: tale 
terminologia infatti non impedisce di intendere il precetto per la sua 
reale portata, in relazione allo. scopo che � quello di conservare inalterate 
le zone vincolate o di consentire -con apposita val�tazione 
caso per caso -soltanto ile modifiche che non compromettano la bellezza 
dei luoghi: e tale compromissione pu� indifferentemente essere 
cagionata sia da immobili in senso tecnico, sia da altri manufatti comunjlue 
idonei a modificare la situazione dei luoghi. 

, Tali\ conclusioni, del resto, trovano conforto lin precedenti giurispi\\
cie~1ald di questo Consiglio che hanno ritenuto legittimi provvedimenti'analoghi 
a quello. oggi dn discussione, adottati in fattispecie nelle 
quali l'alterazione all'ambiente fu cagionata non da edifici (mobili o 
immobili. che fossero) ma dalla installazione di un deposito di auto 
in demolizione e ci� sul rilievo che anche la presenza di tali beni � 
idonea a turbare l'aspetto esteriore dei [uoghi (Sez. VI, 17 ottobre 1972, 

n. 532). E la stessa decisione ha precisato che l'art 15 della I. n. 1497 
del 1939 � appllicabi:le non solo in ii.potesi di costruzione abusiva di 
immobili ma anche m altre ipotesi anomale non espressamente previste 
per le quali non possa parlarsi di � demolizione � secondo il 
ristretto significato corrente di tale termine, non potendosi ammettere 
che altre compromissioni all'interesse pubblico tutelato possano sfuggire 
a sanzione solo perch� derivanti da attivit� diversa dalla realiz. 
zazione di edifici. 
manufatti che -non essendo munobili -non sono suscettibili di demolizione 
in senso tet:nico. 

In particolare, la saJl2lione amministrativa della demolizione, avendo natura 
strumentale con riguardo alla tutela dei luoghi, e quindi mirando alla riduzione 
in pristino, deve potersi applicare pure a tutte quelle ipotesi. anomale 
che sono eliminabili solo attraverso un'attivit� repressiva diversa (rimozione, 
distruzione ecc.), e che non possono rimanere impunite per il solo fatto che 
non sono assoggettabiilii a demolizione nel ristretto significato del termine. 

Una diversa interpretazione avrebbe come abnorme conseguenza che alcune 
violazioni dell'interesse protetto, magari gravisstime, rimarrebbero prive di adeguata 
sanzione. (Per analoghe affermazioni cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 
decisione 17 ottobre .1972, n. 532; in Cons. Stato 1972, .1737, nella quale venne 
ritenuto legittimo l'ordine di rimozione di un deposito di auto in demolizi9ne). 

Per quanto riguarda la natura discrezionale dell'ordine di demolizione e 
il relativo obbMgo di motivazione v. Cons. Stato 16 dicembre 1977 n. 931, in 
Cons. Stato 1977, I, 1977; Consiglio di Stato, VI Sez. 21 novembre 1980 n. 1120, 
in Cons. Stato 1980, I, 1578; Consiglio di Stato, Se~ .VI, 19 maggio 19&1 n. 220. 

In secondo luogo � stato affennato nella decisione massimata che l'idoneit� 
di un bene a pregiudicare la zona vincql�ta prescinde completamente 



PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

995 

E sotto altro aspetto, ma giungendo ad analoghe conclusioni, la 
Sezione V, con decisione 9 aprile 1974, n. 305, ha I1itenuto irrilevante 
la circostanza che un manufatto possa essere realizzato senza licenza 
edilizia: ci� che conta � sempre !'.idoneit� a pregiudicare la zona 
vincolata e di conseguenza, da un lato, chi intende realizzare l'opera 
non � esentato .dal chiedere ed ottenere il nulla osta e, dall'altro, l'autorit� 
., preposta alla tutela delle bellezze naturali ben pu� ordine la 
�demolizione� (e cio� a seconda dei casi la distnl2l�one, la rii.mozione 

o comunque l'attivit� necessaria a .rimettere in pristino il bene paesistico 
protetto) sul solo rilievo che si � immutato lo stato dei luoghi senza 
il prescritto nulla osta. 
In epoca pi� recente, infine, la Sez. VI, con decisione 26 ottobre 
1979, n. 735 ha affermato l'iirrilevanza del fatto che ile opere realizzate 
senza nulla osta siano amovibili poich� la amovibilit� non impedisce 
che per volont� dell'interessato la attuale collocazione del manufatto 
perduri a tempo indeterminato, e che per egual tempo perdtiri il pregiudizio 
recato al paesaggio. 

La riconosciuta fondatezza delil'appello impone al Colle~o di esaminare 
i motivi dell'originario ricorso del Salvatori e che il primo . 
giudice non ha esaminato perch� dichiarati assorbiti. 

Tali motivti., come riproposti con comparsa di costituzione in appello, 
denunciano nell'ordine, eccesso di potere per difetto di motivamone 
e per disparit� di trattamento. 

Il primo profilo � per� infondato, essendo sufficiente, a motivare 
il provvedimento adottato, il richiamo alla mancanza dell'autorizzazione 
prescrJ.tta ed il contrasto tra iJ manufatto e le caratteristiche della 
zona (da ultimo, Sez. VI, 19 maggio 1981, n. 220 -11 marzo 1980, n. 304); 
e l'atto impugnato si d� cartico, sinteticamente ma in modo sufficiente, 

dalla conformit�, anzi dalla non difformit� di detto bene dalle prescrizioni 
urbanistiche. 

L'affermazione deve �ssere intesa come una necessaria applicazione del 
principio, pi� volte ribadito, secondo il quale nell'ambito dei J>iani paesistici 
l'autorizzazione dell'Autorit� comi>etente e la licenza edilizia sono atti autonomi, 
dntesi alla cura di interessi pubblici diversi e differenti per presupJ>Osti, anche 
se rivolti al medesimo oggetto (v. Cass. SSUU 8 febbraio 1972 n. 310; in Giust. 

civ. 1972, 685; Consiglio. di Stato, Sez. VI 18 gennaio 1977 n. 25, Consiglio di 
Stato, Sez. VI, 17 gennaio 1978, nn. 76 e 77; Consiglio di Stato Sez. VI, 30 
settembre 1980 n. 793). 
Ci� comporta da un lato che il precedente ottenimento della licenza ediliizia 
non impedisce che la costruzione sia ritenuta dalla competente autorit� 
lesiva dell'aspetto paesistico, dall'altro lato che la non necessariet� della licenza 
edilizia per opere non assoggettabili alla disciplina urbanistica non � idonea a 
svincolare il privato dai limitd e dagli obblighi di cui alla legge 29 giugno 
1939 n. 1497 (v. Consiglio di Stato Sez. IV, 9 aprile 1974 n. 305 in Cons. 
Stato 1974, I, 533). 



RASSEGNA DEU..'AWOCATURA DELLO STATO 

di indicare che il manufatto -abusivo perch� non autorizzato -pregiudica 
il paesaggio: se poi, l'originario ricorrente ed attuale appellante 
intende dolersi dell'apprezzamento operato dall'Amministrazione 
ai.rea la portata e l'incidenza del pregiudiizio arreoato al bene protetto, 
la censura attiene al merito ed � quindi inammissibile in sede di 
legittimit�. 

Parimenti infondato � l'ulteriore profilo di eccesso di potere per 
disparit� di trattamento: e ci� sia perch� nel caso di specie l'attivit� 
dell'amministrazione � vincolata ed il vizio dedotto attiene soltanto 
all'attiv.it� discrezionale; sia perch� anche l'esistenza di eventuali opere 
abusive non perseguite non impone cli motivare circa il diverso criterio 
seguito nel caso specifico (da ultimo, sul punto, Se;z. VI, 30 ottobre 
1981, n. 600). Ci� non significa ovviamente che, ove la situazione affermata 
dal Salvatori corrisponda al vero, l'amministrazione sia esonerata 
dal valutare se ~cl�e le altre costruzioni o manufatti -eventualmente 
non autorizzati -siano tali da pregiudicare l'ambiente e 
dall'adottare, in caso positivo, i provvedimenti di legge. Significa soltanto 
che una eventuale ingiustificata inerzia in altre ipotesi non pu� 
essere addotta, da chi si trova comunque in� situazione di difetto, per 
pretendere che anche nei suoi confronti si faccia luogo ad una ulteriore 
illegittima omissione. 

L'appello va dunque accolto e la sentenza appellata va riformata. 

I 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 20 giugno 1984 n. 389 -Pres. CaianeHo, 
Est. Barberio Corsetti -Istituto regionale credito agrario Emilia 
Romagna (avv. Roversi Monaco) c. Ministero commercio estero ed 
altro (avv. Stato Fiorilli). 

Giustizia amministrativa -Impugnazione -Contributo in conto interessi Revoca 
per fatto dell'Istituto mutuante -Interesse all'impugnazione 
dell'Istituto. 

Il decr~to di revoca del contributo in conto interessi gi� concesso 
ad una ditta, disposto a causa della mancata produzione da parte dell'Istituto 
mutuante della documentazione tecnica, pu� essere impugnato 
dall'Istituto stesso in forza del suo interesse ad evitare la responsabilit� 
civile nei confronti della ditta mutuata (1). 

(1-3) Le tre sentenze in epigrafe si segnalano per I'fateresse connesso alle 
questioni processuali risolte. 

La 389 rivela l'intendimento del Consiglio di Stato di concedere la massima 
ampiezza alla nozione di .interesse che legittima la parte alla -impugnazione. 
In proposito basta rinviare alla sent. V 49/84 pubblicata in questa Ras



997

PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

II 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 23 giugno 1984 n. 483 � Pres. Salvatore 

P. � Est. Salvatore V: � Cavallo (avv. Pellegrino) c. USL BR n. 6(
avv. Sticchi Damiani) e Sava (avv. Lubrano e Massari). 
Giustizia amministrativa � Appello � Legittimazione � Interesse acquisitodurante 
giudizio di I grado � Possibilit�. 

� legittimato a proporre appello contro la sentenza che accoglie 
un ricorso anche il soggetto che abbia acquisito un interesse alla conservazione 
del prowedimento -impugnato in epoca successiva alla instaurazione 
del giudizio di I grado e che quindi non sia stato controinteressato 
in quel giudizio (2). 

III 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 12 giugno 1984 n. 455 -Pres. (FF) Adobbati 
-Est. Santoro -Foni (avv.ti Giuffr� e Soncini) c. Comune di 
Langhirano (avv.ti Bassi e Scoca), Cavazzini (avv.ti Cugurra e Mi-rabelli) 
ed altro (n.c.). 

Giustizia amministrativa -Appello proposto dal controinteressato � Costituzione 
Amministrazione soccombente � Non necessit� d'impugnativa �. 

Annullato in primo grado il prqwedimento impugnato, la p.a. che� 
l'aveva emanato pu� nel giudizio d'appello proposto da altra parte costituirsi 
con semplice memoria senza proporre appello a sua volta, nel 
qual caso essa non pu� chiedere la riforma della sentenza 'impugnata,. 
che pu� essere decisa in accoglimento delle censure della parte appellante 
(3). 

segna 1984, p. 287 ed all'ampia citazione di precedenti ivi contenuta, sottoli� 
rieando come nella presente fattdspecie il G. A. ha fatto nascere l'interesse in 
questione dalla possibilit� per l'Istituto mutuante di essere chiamato a rispondere 
del proprio operato da parte della ditta beneficiaria del mutuo. 

La sentenza 483 individua un'ipotesi di interesse alla conservazione del 
provvedimento impugnato nascente in epoca successiva alla proposizione del 
ricorso, traendone la logica conseguenza, per un verso della non necessariet� 
della notifica al titolare di esso del ricorso stesso, e per altro verso della 
legittimazione del titolare stesso alla proposizione di appello ovvero la sentenza 
di accoglimento del ricorso. 

Infine la sentenza 455 chiarisce la posiZlione dell'AmrIJ. che rimasta soccombente 
in primo grado non propone appello limitandosi a costituirsi nel giudizi<> 
proposto dal controinteressato, ed assimila tale posizione a quella dell'interveniente 
le cud prospettazioni devono confluire nelle richieste proposte dalla. 
parte principale. 



SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 giugno 1984, n. 3717 -Pres. Greco 


Est. Pannella -P. M. Antoci (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. 

Stato Vittoria) c. De Vita. 

Tributi erariali indiretti �. Prescrizioni � Interessi -Decorrenza � Credjto 
non ancora definitivo � Non ha inizio. 

La decorrenza della prescrizione degli interessi sui tributi indiretti 
coincide con la data della esigibilit� e quindi con la data della definitivit� 
dell'accertamento del tributo al quale gli interessi accedono (1). 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso, la ricorrente denunciando la 
violazione degli artt. 2935 e.e., 1 e segg~ 1. 26 gennaio 1961 n. 29, 1 l. 28 mar-
zo 1%2 n. 147 nonch� omessa ed insufficiente motivazione, sostiene che il 
giorno, a partire dal quale l'Amministrazione finanziaria poteva far valere 
il diritto al pagamento degli interessi moratori coincidente con quello di 
inizio della decorrenza del termine della prescrizione ai sensi dell'articolo 
2935 e.e., era quello in cui era stato definito il procedimento di determinazione 
dell'imponibile e cio� il 26 novembre 1963. 

Il mezzo � fondato. 

Invero vale il principio secondo il quale l'esigibilit� degli interessi 

di cui alle leggi n. 29/61 e 147/62, anche al fine dell'ini2iio del decorso della 

prescrizione, poggia sulla definitivit� dell'accertamento inerente al tributo 

al quale gli interessi accedono (sent. 4 novembre 1980 n. 5915). 

Nella fattispecie in esame sembra evidente che \'entit� della imposta 

<:omplementare, su cui calcolare gli interessi nella misura del 3 % seme


strale (art. 1 I. n. 29/61), � stata definita nel momento in cui l'Ufficio 

finanziario, accettando la proposta dei contribuenti, ne ha concordata la 

misura in L. 43.250.000, accettando, altres�, il pagamento dell'acconto nella 

stessa data del 26 novembre 1963. 

Da questo giorno � cominciato a decorrere il termine della prescri


zione quinquennale relativa agli interessi, che devono essere calcolati con 

decorrenza dalla data di entrata in vigore della I. n. 29/61, in applicazione 

della regola dell'art. 3 I. 29/61, secondo cui -nell'ipotesi di insufficiente 

denuncia -gli interessi si computano dal giorno in cui l'imposta sarebbe 

(1) La decisione � ineccepibile e assai opportunamente elimina i dubbi che 
aveva posto qualche anteriore decisione (v. Relazione Avv. Stato, 1976-80, Il, 
428 nonch� Cass. 2 ottobre 1980 n. 5343, m questa Rassegna, 1981, I, 547). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 999 

stata dovuta se la denuncia presentata fosse stata fedele, temperata dal 
principio di cui all'art. 11 delle preleggi, secondo cui la legge non dispone 
che per l'avvenire. 

Quanto sopra induce a considerare che alla data del 15 novembre 1968 
(data di ingiunzione fatta ai contribuenti.per il pagamento degli interessi 
moratori), non era ancora decorso il quinquennio per la interruzione della 
prescrizione (decorso che avrebbe av.to luogo solamente il 26 novembre 
1968), sicch� quell'ingiunzione � stata utilmente eseguita per il pagamento 
di tutti gli interessi anteriori, a partite dalla data di entrata in 
vigore della legge istitutiva di essi. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 luglio 1984, n. 3942 -Pres. Bologna Est. 
Contu -P. M. Leo (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato 
.., Zotta) c. Pasino (avv. Paladino). 

Tributi erariali indiretti � Imposta di registro -Atti soggetti all'imposta 
sul valore aggiunto -Beni relativi alla impresa -Determinazione. 

(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 38; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4; d.P.R. 
23 dicembre 1974, n. 689, art. 1). 

Non � soggetta all'imposta proporzionale di registro in quanto soggetta 
all'imposta sul valore aggiunto la cessione dei beni relativi all'impresa; 
sono tali i beni, anche diversi da quelli strumentali, che per 
volont� dell'imprenditore siano destinati all'azienda (1).

I 

(omissis) Con l'unico motivo l'Amministrazi9ne Finanziaria dello Stato 
denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 4 d.P.R. 26 otto-. 
bre 1972, n. 633; 38 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634; 1 d.P.R. 23 dicembre 
1974, n. 689; omessa o insufficiente motivazion� su punto decisivo della 
controversia. 

(1) La decisione pu� apparire non del tutto convincente. Se � vero che, sia ai 
fini dell'IRPEF che ai fini dell'IVA possano essere � relativi all'impresa " anche 
beni diversi da quelli strumentali (ci� si evince con certezza dall'art. 52 secondo 
comma del d.P.R. n. 597/1973) non sembra che possa condividersi la 
affermazione che l'inserimento di qualunque bene nell'impresa dipende esclusivamente 
dalla volont� dell'imprenditore. Meno che mai questo inserimento 
pu� dipendere, piuttosto che da atti di contenuto economico-produttivo, da una 
semplice �esposizione contabile (sia quella di portata transitoria prevista dall'art. 
1 del d.P.R. 23 dicembre 1974 n. 689 sia quella ordinaria dell'inventario). 
Anche se oggi � diminuita, ai fini dell'imposta sul reddito, l'importanza della 
collocazione in una o altra categoria, sono tuttavia ancora presenti le ragioni, 
e lo sono maggio:rmente ai fini delle imposte indirette, per ritenere che il 
ricomprendere o non un cespite nell'attivdt� dell'impresa deve rispondere a 
criteri oggettivi. 
12 



1000 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

A suo avviso la commissione tributaria centrale non avrebbe considerato 
che l'assoggettamento ad IV A non riguarda ogni cessione di beni 

o prestazione di servizi, ma solamente le operazioni effettuate nell'esercizio 
dell'impresa. Ed al riguardo � pacifico che mentre i beni facenti 
parte del patrimonio di una societ� sono sempre relativi all'impresa, 
altrettanto non pu� dirsi con riferimento ad un'impresa individuale, nei 
cui confronti la disciplina dell'IVA � applicabile solo per la cessione di 
beni esplicitamente inerenti all'esercizio dell'impresa; quali macchinari 
ed attrezzature, tra i quali non rientrano, ad esempio, l'alloggio dell'imprenditore 
o la sua autovettura utilizzata non per ragioni di lavoro. 
Nel caso specifico, tratandosi di cessione, da parte di un imprenditore 
individuale, di un immobile mai utilizzato nell'esercizio dell'impresa 
non potrebbe perci� parlarsi di bene inerente all'esercizio dell'impresa. 
N� potrebbero invocarsi le norme del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 689 
-sulla obbligatoriet� del prospetto dei beni dell'impresa con effetto 
retroattivo -sia perch� le stesse erano intervenute dopo la registrazione 
dell'atto di cui� trattasi, sia perch� dall'adempimento di detta formalit�, 
che aveva il fine di agevolare l'accertamento delle imposte sul reddito, 
non potevano ricavarsi presunzioni assolute per l'accertamento di imposte 
diverse da quelle sul reddito. 

L'amministrazione Finanziaria sostiene, inoltre, che il decreto n. 689 
del 1974 ripete la dizione dell'art. 4 della legge sull'IVA laddove prescrive 
le indicazioni in inventario delle attivit� e passivit� relative alle imprese, 
con la conseguenza che anche a' sensi di tale normativa l'inserzione nel 
prospetto pu� riguardare solo i beni ricompresi nel processo produttivo 
e non pu� servire ad attribuire ad un bene la qualifica di bene dell'impresa. 
Se, pertanto, l'inserimento nel prospetto riguarda -come nella 
fattispecie -un bene estraneo all'esercizio dell'impresa, tale qualifica 
deve essere esclusa in concreto e la cessione deve essere assoggettata 
all'imposta proporzionale di registro. 

Tali censure J)On sono fondate. 
� noto che l'imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni cli 
beni effettuate nell'esercizio di impresa, ed � la stessa legge istitutiva 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) che, all'art. 4, chiarisce il significato della 
locuzione � esercizio di imprese �. Questa norma ha subito delle modificazioni 
ma alla fattispecie � applicabile nella formulazione originaria, 
secondo la quale �si considerano effettuate nell'esercizio di imprese le 
cessioni di beni relativi all'impresa �. 
L'ampia previsione normativa induce a ritenere che la disposizione 
di �egge riguardi tutti i beni dell'impresa, anche se non strumentali in senso 
proprio. Devono perci� considerarsi relativi all'impresa i beni facenti , 
parte del patrimonio aziendale, e per stabilire tale rapporto di destinazione 
deve necessariamente farsi riferimento alla volont� dell'imprenditore, 
essendo a lui riferibile la formazione dell'azienda e la correlativa� distin



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

zione fra i beni da includere nel patrimonio aziendale e quelli da lasciare 
nel suo patrimonio personale. 

L'individuazione dei � beni relativi ,all'impresa � implica cos� un problema 
di prova che talvolta pu� presentarsi di non facile soluzione. Nella 
fattispecie, per�, la commissione tributaria centrale lo ha risolto attribuendo 
valore decisivo all'inserimento del bene di cui trattasi nel prospetto 
redatto dal Pasino a' sensi del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 689, 
avendo ritenuto che i beni inseriti dall'imprenditore nel prospetto per 
sua libera scelta, oltre ad assumere una destinazione finalizzata all'esercizio 
dell'impresa, venivano a costituire, agli effetti dell'imposta sul reddito, 
il patrimonio dell'impresa, il quale acquistava cos�, ai fini fiscali, 
una sua autonomia e si distingueva da quello generale dell'imprenditore. 

Siffatto apprezzamento appare corretto sotto il profilo logico-giuridico 
e si sottrae alle critiche del ricorrente. 

Non � decisivo, al riguardo, che la normativa applicata sia entrata 
in vigore dopo la registrazione del contratto di compravendita di cui 
trattasi, poich� il prospetto da essa reso obbligatorio doveva riferirsi a 
tutti i beni esistenti al 1� gennaio 1974, cio� a data anteriore al contratto, 
e poteva essere perd� utilizzato pet stabilire_ la consistenza del patrimonio 
azi�hdale a quella data che -� bene sottolinearlo -era anteriore alla 
registrazione dell'atto di cui trattasi. Sarebbe infatti illogico ritenere che 
un bene dovesse essere ricompreso nel patrimonio aziendale fin dal 1� gennaio 
1974 a determinati effetti tributari, ed esserne invece escluso ad altri 
effetti, pur sempre tributari anche se inerenti ad imposte diverse. � invece 
pi� aderente ad una corretta sistematica giuridica ritenere che il riconoscimento 
dell'appartenenza di un bene al patrimonio aziendale dell'imprenditore, 
effettuato dall'Amministrazione Finanziaria, abbia valore ed 
effetti di carattere generale, almeno fino a quando non venga dimostrato 
che il bene fosse stato inserito nel prospetto a scopo fraudolento ed in 
palese contrasto con la realt� della situazione. 

Del resto la stessa Amministrazione Finanziaria ha ammesso nel ricorso 
che le circostanze acquisite in sede di adempimento di obblighi imposti per 
l'accertamento di un'imposta possano essere utilizzate, come elementi aventi 
valore presuntivo juris tantum, nell'ambito di un diverso rapporto tributario; 
tuttavia non ha tratto le debite conclusioni da tali affermazioni, 
giacch� ha omesso di considerare che non erano stati dedotti n� pro~ati 
elementi di fatto idonei a vincere detta presu~ione, con la conseguenza 
che non pu� contestarsi il valore probatorio ad essa attribuito dalla 
commissione tributaria centrale. 

N� pu� avere rilevanza che l'immobile in questione non fosse stato 
mai usato dal Pasino come sede , dell'impresa. Si � gi� posto in rilievo, 
infatti, che il patrimonio dell'impresa si estende anche ai beni non strettamente 
strumentali, ed a tale criterio si � espressamente attenuta la 


1002 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

comm1ss1one tributaria centrale, la quale ha giustamente affermato che 
l'art. 1 del citato decreto n. 689 del 1974 lasciava agli imprenditori ampia 
libert� di inserire nel prospetto qualsiasi bene, al fine di formare il patrimonio 
�dell'impresa, ma nello stesso tempo prevedeva che, per effetto di 
tale autonoma decisione, il valore dei beni inseriti sarebbe stato definitivamente 
preso a base per l'accertamento e l'applicazione dell'imposta sul 
reddito (art. 12). 

Giova ancora rilevare che, nella fattispecie, dall'inserimento del bene 
nel prospetto obbligatorio derivavano sicuramente, ai fini dell'imposta sul 
reddito cui era specificamente preordinato, effetti di carattere tributario 
per il periodo d'imposta successivo al 1� gennaio 1974, pur essendo stato 
esso redatto dopo che il Pasino aveva perso la propriet� del bene di cui , 
trattasi. � perci� logicamente conseguenziale che tale rilevanza tributaria, 
essendo relativa a profili giuridici di un rapporto che deve essere necessariamente 
valutato unitariamente, non pu� essere circoscritta alla sola 
imposta sul reddito ma, riferendosi ad elementi e circostanze che si atteggiano 
allo stesso modo anche con riferimento ad altri tributi, � suscettibile 
c� essere estesa a rapporti tributari di, altra natura. Queste considerazioni 
trovano poi conferma nella sostanziale identit� di espressione 
nell'art. 4 della legge sull'IVA (�beni relativi all'impresa�) e dall'art. 2, 

n. 2 di quella sull'obbligo del prospetto (�attivit� e passivit� relative alle 
imprese�), il che implica che lo stesso bene non pu� essere soggetto a 
qualificazione diversa a seconda che venga preso in considerazione con 
riferimento ~l'una o all'altra norma. 
La decisione impugnata, con la quale � stato affermato che la vendita 
di cui trattasi era soggetta ad IVA e non all'imposta proporzionale di 
registro (art. 38 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634), � dunque giuridicamente 
corretta ed immune da vizi logici, e non merita censura. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 luglio 1984 n. 4044 -Pres. Santosuosso; 
Est. Sgroi -P. M. Benanti (conf.). Guarnieri c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Concordato fallimentare Assunzione 
di debiti � Imposta proporzionale. 
(D.P,R. 26 ottobre 1972, n. 634, artt. 14 e 26 tariffa A, art. 8, lett. e e lett. f e 9). 

� soggetta all'imposta proporzionale di registro la sentenza di omologazione 
del concordato fallimentare per la parte che prevede l'accollo dei 
debiti da parte dell'assuntore (1). 

(:1) La decisione riconferma l'esatto pnnc1pio gi� affermato con la sentenza 
11 agosto 1982 n. 4520, in questa Rassegna, 1983, I, 175. ~ da segnalare il 
collegamento operato con la interpretazione giurisprudenziale affermatasi sulla 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1003 

(omissis) Con il primo motivo,H Guamieri deduce la violazione e falsa 
applicazione dell'art. 8 tariffa All. A al d.P.R. n. 634 del 1972, in relazione 
all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., affermando che nella nuova disciplina si 
deve �scludere che la sentenza di omologazione del concordato fallimentare 
sia assoggettabile ad imposta proporzionale, in quanto essa � una 
sentenza di carattere costitutivo che la legge sottopone a tassa fissa, 
mentre gli atti omologati non sono suscettibili di tassazione n� in quanto 
rilevati dalla sentenza n� in quanto forniscono a tale sentenza gli elem�nti 
su cui statuire. La convenzione o accordo fra i creditori ed il loro debitore, 
che costituiva un'ipotesi autonoma nella precedente legge di registro, 
non ha conservato, nella vigente normativa, un carattere autonomo e 
pertanto, secondo il ricorrente, anche le sentenze che prevedono obbligazioni 
ed oneri patrimoniali per l'assuntore devono essere ricompresi 
nell'art. 8 (e non nell'art. 9 della tariffa, come pretende l'ufficio). 

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione 
dell'art. 8 della predetta tariffa e, comunque, contraddittoria motivazione, 
osservando che la sentenza di omologa, pur presentando un 
contenuto costitutivo, deve essere sottoposta a tassa fissa e� non a tassa 
proporzionale. Aggiunge il ricorrente che non si verifica una successione 
a titolo particolare nel debito e che l'assunzione degli obblighi del concordato, 
da parte di un terzo, non implica la liberazione del fallito, di modo 
che gli effetti a carico dell'assuntore trovano il loro titolo nella sentenza 
di omologazione, rispetto alla quale gli elementi di natura negoziale 
hanno il ruolo di semplici presupposti. 

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione .e falsa applicazione 
dell'art. 132 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 n. 5 
cod. proc. civ., perch� -a suo dire -nell'impugnata sentenza non sono 
stati indicati i criteri seguiti per ritenere la sentenza di omologa del 
concordato fallimentare assoggettata ad imposta di registro. 

Il ricorso � infondato. L'ultimo motivo � puramente assertivo, perch� 
smentito dall'ampia motivazione, in fatto e in diritto, contenuta 
nella sentenza impugnata. Vero � che la suddetta motivazione � in parte 
errata, ma a ci� supplisce il potere correttivo affidato a questa Corte 
dall'art. 384 cod: proc. civ., posto che l'atto da tassare rientra in un'ipotesi 
diversa da quella indicata dalla Commissione Centrale, ma tassato con 
la medesima aliquota. Invero, come ha gi� statuito questa Corte con 
sentenza 11 agosto 1982 n. 4520, la sentenza di omologazione del concordato 
� soggetta all'imposta proporzionale di registro ai sensi dell'art. 8 

legislazione anteriore (6 gennaiio 1980 n. 119; 14 aprile 1981 n. 2227; 15 ottobre 
1981, n. 5401, in questa Rassegna, 1980 I, 631; 1981, I, 824; 1982, I, 776) per 
ritenere che atto soggetto a registra2lione siano non tanto ,le convenzioni 
presupposte o enunziate nella sentenza, ma la stessa sentemla di omologazione 
che imprime efficacia agli atti di un procedimento complesso. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

lettera e) della tariffa all. A al d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, per la 
parte in cui prevede l'acco.o dei debiti da parte dell'assuntore. 

Si deve premettere che esula dal ricorso che si sta esaminando 
l'ulteriore problema della tassabilit� separata della cessione dei beni dell'assuntore, 
essendo oggetto di questa controversia soltanto la tassazione 
dell'accollo dei debiti a carico del medesimo. 

L'interpretazione dell'art. 8 lett. f) della tariffa all. A p,arte prima, 
che sottopone a tassa fissa gli atti di omologazione emessi dall'autorit� 
giudiziaria, non pu� prescindere dal riferimento al testo della legge, l� 
dove richiama i predetti atti. 

L'art. 14. nel regolare la registrazione degli atti soggetti ad omologazione, 
impone chiaramente la registrazione, secondo il tasso che gli � 
proprio, dell'atto omologato, come � ribadito dall'art. 26 sesto comma, 
a tenore del quale gli atti indicati nell'art. 14, quando intervenga l'omologazione, 
sono soggetti all'imposta nella misura indicata nella tariffa. 
E pertanto, l'atto del terzo assuntore, contenente la promessa di pagare 
la percentuale di debiti fallimentari (art. 124 legge fallimentare) non 
potrebbe sfuggire a tale tassazione proporzionale, a prescinpere dalla 
sentenza di omologazione (soggetta, a sua volta, a tassa fissa), in base 
all'art. 9 della tariffa, in cui indubbiamente rientra l'assunzione dell'obbligo 
di pagare un debito altrui, a prescindere da ogni precisazione sulla 
sua configurabilit� come accollo in senso stretto o come altra figura di 
modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio, dalla parte del debitore 
(cfr. Cass. 27 maggio 1971 n. 1580, in motivazione). Era questo 
l'orientamento pacifico della giurisprudenza formatosi sotto la vecchia 
legge di registro. 

Tuttavia, la promulgazione della nuova legge di registro in un periodo 
nel quale era affermato dalla giurisprudenza (cfr., in particolare, Cass. 
26 agosto 1971 n. 2576; Cass. 25 ottobre 1972 n. 2331) che le obbligazioni 
ed i diritti del terzo assuntore trovano il loro. titolo nella sentenza di 
omologazione, nella quale restano assorbiti e trasfusi (costituendone solo 
un presupposto) gli accordi fra il fallito e l'assuntore e quelli fra quest'ultimo 
ed i creditori, di modo che si ha una composiZione giudiziale . del 
dissesto, mediante un regolamento negoziato ed omologato (cfr. Cass. 
29 settembre 1977 n. 4159), induce a ritenere pi� consono �lla ratio legis 
del nuovo testo, che la tassazione colpisca non tanto la promessa del 
terzo, considerata come separata da un atto estrinseco di controllo giudiziario, 
quanto l'atto giudiziario in s� stesso. La sentenza di omologazione 
� infatti una pronuncia nella quale si trova contenuto (anche per 
relationem) il regolamento dei debiti dell'assunto, di modo che non 
appare pertinente il richiamo alla lettera f) dell'art. 8 della tariffa (che 
presuppone una distinzione fra l'atto stragiudiziale e la mera omologazione 
di esso), mentre � evidente l'inquadrabilit� della sentenza, al di l� 
della terminologia che non ne esprime con completezza il contenuto, nel


, 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1005 

l'ambito delle pronuncie indicate nella lettera c), e cio� di quelle pronuncie 
che sanzionano, tra l'altro, obbligazioni di somme di. denaro, Imponendone 
l'adempimento a carico di un soggetto (nella specie, l'assuntore). 


Le considerazioni fatte implicano l'irrilevanza del richiamo all'ipotesi 
dell'enunciazione (ai sensi dell'art. 21 terzo comma e 35 del d.P.R. n. 634), 
appena accennata nella sentenza di questa Corte n. 4520 del 1982 (anche 
se nella massima ufficiale si d� risalto a tale profilo), posto che l'art. 21 
terzo comma riguarda l'enunciazione di un atto non soggetto a registrazione 
in termine fisso, mentre -come si � gi� detto -non si sfugge 
alla gi� indicata alternativa: a) o la proposta su cui deve deliberare il 
Tribunale fallimentare � considerata come atto autonomo, necessariamente 
scritto, e quindi soggetto a registrazione in termine fisso, sia pure 
con la decorrenza indicata dall'art. 14 del d.P.R. n. 634); b) ovvero tale 
proposta viene considerata come un atto del procedimento giudiziario 
che conduce alla sentenza, come tale esente da registrazione (art. 2 Tariffa 
all. B). 

Da ultimo, � appena il caso di sottolineare che l'inquadramento 
dell'atto de quo in uno piuttosto che in un altro articolo della tariffa, 
� questione di qualificazione giuridica che appartiene al giudizio di legittimit�, 
a prescindere dalla tesi delle parti, dato che non viene mutato 
il tasso dell'imposta (1,50 per cento, all'epoca della sentenza tassata). 
� sintomatico che il decreto-legge 23 dicembre 1976 n. 854, conv. in legge 
21 febbraio 1977 n. 36 abbia elevato al 2 per cento, contestualmente, la 
aliquote stabilite dall'art. 8 lett. c) e dall'art. 9 della parte prima all. A 
della tariffa. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 luglio 1984, n. 4052 -Pres. Santosuosso 
-Est. Gualtieri -P. M. Iannelli (conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Angelini Rota) c. Garinoni (avv. Ermetes). 

Tributi erariali diretti � Imposta sul reddito delle persone fisiche � 
Tassazione separata � Natura � Addizionale straordinaria per l'anno 
1974 -Non si applica ai redditi soggetti a tassazione separata. 
(D,P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 12 e 13; d.l. 6 luglio 1974, n. 259 e legge di 

conversione 17 agosto 1974, n. 384, art. 1). 

Poich� la tassazione separata � una forma di imposizione diversa 
da quella sul reddito delle persone fisiche, l'addizionale straordinaria per 
l'anno 1974 di cui all'art. 1 del 4.1. 6 luglio 1974, n. 259 convertito con 
modificazioni nella legge 17 agosto 1974 n. 384, non si applica ai proventi 
per i quali � prevista la tassazione separata (1). 

(1) Per la risoluzione cli una questione di specie e transitoria la sentenza 
si spinge ad affermazioni che destano perplessit�. Che possa esser dubbia la 
11111111J:t11111111r11r1r111r111r1rr11r11111rrr1r1111111r1111111111111r11.4'11 



1006 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Con un unico motivo la ricorrente denunciando violazione 
dell'art. 1 decreto legge 6 luglio 1974, n. 259, convertito nella legge 17 agosto 
1974, n. 384 e dei principi sulla tassazione" separata di cui all'art. 13 

D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, deduc!'l che la Commissione centrale confonde 
le nozioni, tra loro diversissime, di reddito imponibile ai fini dell'imposta 
delle persone fisiche e di tassazione separata. 
Ed invero, quando la legge 9 ottobre 1971, n. 825, di delega per la 
riforma tributaria, all'art. 2 n. 19, dispone l'esclusione dell'indennit� di 
fine rapporto del reddito complessivo non intende certo sottrarre tale 
indennit� all'imposta sul reddito delle persone fisiche, ma persegue solo 
l'obbiettivo di evitare il cumulo delle indennit� stesse con gli altri redditi 
percepiti nello stesso anno e di evitare, quindi, la tassazione con 
l'aliquota pi� elevata corrispondente alla somma dei . redditi conseguiti 
in quel determinato periodo di imposta. 

_ Pertanto, la commisurazione dell'aliquota a quella corrispondente alla 
met� della somma dei_ redditi del precedente biennio non � che un correttivo 
alla rigida applicazione dell'aliquota in base al complesso dei 
redditi conseguiti nel periodo di imposta. 

Al riguardo, rileva, la ricorrente, che quando gli artt. 12 e 13 del 

D.P.R. n. 597 del 1973, enunciati nella legge delega prevedono che l'indennit� 
di anzianit� sia soggetta a tassazione separata non sanciscono affatto 
che alla indennit� sia applicata una imposta diversa da quella sul reddito 
delle persone fisiche, ma si limitano a disporre che la tassazione 
avvenga con un'aliquota diversa da quella corrispondente al cumulo dell'indennit� 
con gli altri redditi dell'anno. 
Pertanto, l'istituto della tassazione separata non signific~ esenzione 
dell'imposta sul reddito o esclusione dei redditi del contribuente, ma 
significa soltanto tassazione con un'aliquota diversa da quella che sarebbe 
altrimenti applicabile per effetto della somma dei redditi conseguiti. 

In conclusione, secondo la ricorrente, l'indennit� di anzianit� � soggetta 
all'aliquota sul reddito nell'anno di percezione e che ci� che di-

estensione della addizionale straordinaria, istituita per un solo anno, a redditi 
che hanno un riferimento ad un lungo periodo non si pu� disconoscere. Ma ci� 
non rendeva necessaria l'affermazione che il regime di tassazione separata sia 
una �imposizione estranea all'IRPEF e del tutto autonoma Addirittura, esponendo 
una def�niizione abbastanza esatta di reddito, si mette in dubbio che i 
ricavi definiti nell'art. 13 del d.P.R. n. 597/1973 siano redditi. E cosa mai 
sarebbero e che specie di imposta verrebbe ad essere quella a tassazione 
separata? 

Non si pu� disconoscere che taluni redditi siano. assoggettati a tassazione 
separata (dal reddito complessivo) esclusivamente a causa della progressivit� 
dell'aliquota e per determinare una particolare m~sura d'imposta. Ed infatti 
quegli stessi proventi rientrano nel reddito complessivo delle persone giuridi� 
che perch� ai fini dell'IRPEG, non progressiva, la tassazione separata non 
ha ragione d'essere. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

stingue tale reddito da tutti gli altri percepiti nello stesso periodo di 
imposta � solo la diversa modalit� di determinazione dell'aliquota, per 
cui l'indennit� percepita dal contribuente nel 1974 non pu� non essere 
soggetta anche all'addizionale dell'imposta sul reddito delle persone 
fisiche. 

Il complesso motivo � privo di fondamento. 

La" questione su cui si incentrano le opposte tesi delle parti � se 
l'addizionale straordiriaria dell'imposta suJ reddito delle persone fisiche, 
istituita per l'anno 1974 dal d.l. 6 luglio 1974, � n. 259, convertito nella 
legge 17 agosto 1974, n. 384, fosse dovuta sui redditi soggetti, nel predetto 
anno, a tassazione separata, ai sensi degli artt. 12 e 13 del D.P.R. 
29 settembre 1973, n. 597. 

Tale questione va risolta, come ha ritenuto la Commissione Tributaria 
Centrale, nella decisione ora impugnata, nel senso che detta addizionale 
non � applicabile alla indennit� una tantum di fine rapport0> 
poich� tale indennit� non concorre a formare il reddito complessivosoggetto 
all'IRPEF, avendo lo stesso legislatore delegante prescritto il 
diverso sistema della tassazione separata (legge 9 ottobre 1971, n. 825. 
art. 2, n. 19). 

Va anche precisato �che il legislatore delegato ha ripetuto che l'indennit� 
di fine rapporto non costituisce materia imponibile ai fini dell'IRPEF, 
ma � soggetta a tassazione separata (d.P.R. 29 settembre 19n 

n. 
597, art. 12, lett. e). 
L'ampia dizione dell'art. 12 non autorizza a considerare tassabile qualsiasi 
erogazione fatta al dipendente alla fine del rapporto di lavoro. 
. A tale scopo � necessaria la ricorrenza di due essenziali presupposti,. 
cio� che l'erogazione costituisca un reddito e, in secondo luogo, ove di 
reddito si tratti, che esso sia legato da nesso di causalit� con la presta


zione di lavoro dipendente. 

La necessit� del primo presupposto deriva dall'art. 1 d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 597, secondo cui �presupposto dell'imposta sul reddito 
delle persone fisiche � il possesso di redditi in danaro o in natura, continuativi 
od occasionali, provenienti da qualsiasi fonte �. 

g stato rilevato che per � reddito �, in linea di. massima, si intende il 
frutto, la retribuzione o comunque l'utilit� o ricchezza nuova che viene 
ad incrementare in modo continuo o variabile o periodico il patrimonio 
di taluno in quanto prestatore d'opera o possessore di mezzi di produzione 
o che impieghi dei capitali. 

Esso � dunque un quid novi, di aggiuntivo, e che costituisce nuova 
ricchezza. 

Al reddito si contrappone il capitale che �, al contrario, un patrimonio 
insuscettibile di per s� di creare ricchezza nuova, ossia reddito, 
se non impiegato e quindi tendenzialmente stabile ed immutabile. 


RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DELLO STATO 

-Ouanto sopra esposto, devesi rilevare che l'Amministrazione ricorrente 
ha confuso le nozioni di reddito imponibile ai fini dell'IRPEF e di tassazione 
separata, comportando quest'ultima solo l'applicazione di una 
aliquota diversa, per cui non potrebbe non considerarsi soggetta anche 
all'addizionale istituita nel 1974. 

Orbene, gi� tenendo presente nel suo testo letterale la norma (art. l, 
quarto e quinto comma del D.L. 6 luglio 1974, n. 259, convertito nella 
legge 17 agosto 1974, n. 384) istitutiva dell'addizionale di cui trattasi, 
risulta che il legislatore, per soddisfare ad una straordinaria esigenza 
finanziaria dello Stato, volle istituire un tributo ad hoc, denominato, 
appunto � addizionale straordinaria�; cio� non fece luogo ad un aumento 
delle aliquote, come avrebbe agevolmente potuto, stabilite nella tabella 
allegata al d.P.R. 29 setembre 1973, n. 597. 

L'autonomia di siffat.ta imposizione, gi� chiara nel quarto comma, � 
pi� evidenziata dal successivo quinto comma, che ne stabilisce la riscossione, 
in forma altres� autonoma, mediante ruoli, mentre avrebbe dovuto 
essere riscossa con l'IRPEF se si fosse trattato di una sempllce 
elevazione, come sostiene la ricorrente, delle relative aliquote. 

Aggiungasi che una autorevole dottrina, in sede di esame � ex professo 
� della materia, � pervenuta alla conclusione che il predetto sistema 
d� luogo ad una tassazione completamente separata rispetto a quella 
del r.eddito complessivo in quanto tutti gli articoli nei quali si accenna 
alla tassazione separata sono redatti in modo tale da legittimare la conclusione 
che questa � una vera e propria tassazione per s� stante e non un 
semplice modo di calcolare l'imposta. 

Inoltre, l'imposta commisurata al reddito complessivo netto � liquidata 
dallo stesso contribuente e versata, tramite banca, alla Tesoreria dello 
Stato entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione 
dei redditi. 

Invece, l'imposta dovuta per i redditi soggetti a tassazione separata � 
liquidata dall'Ufficio delle imposte, iscritta a ruolo, e pagata nei termini, 
stabiliti dal d.P.R. n. 602. 

Una volta provato che la tassazione separata di cui trattasi genera 
un'obbligazione di imposta distinta da quella relativa all'imposta dovuta 
sul reddito complessivo, ne discende che l'addizionale straordinaria si 
riferisce solo a quest'ultima poich� ha come propri destinatari i titolari 
di quel rapporto tributario che ha come presupposto il reddito delle 
persone fisiche e, come contenuto dell'obbligazione, la relativa imposta, e 
non i titolari di quel diverso rapporto tributario che, secondo l'esatto 
giudizio del resistente, ha per presupposto le entrate da assoggettare a 
tassazione separata ed ha a proprio contenuto l'obbligazione di imposta 
<:onseguente alla tassazione separata. 

Una diversa interpretazione, ha esattamente evidenziato il medesimo 
resistente, porterebbe�fatalmente a dover dubitare della legittimit� costi



PARTE I, SEZ. vt, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1009 

tuzionale della norma contenuta nella legge n. 384/1974 in quanto la 
<:ontestata applicazione porterebbe ad una riduzione dell'indennit� di 
anzianit� (che � retri12.:uzione differita) superiore a quella riferentesi 
all'ultimo biennni.o, per cui il lavoratore cessato dal rapporto nel 1974 
si troverebbe in posizione nettamente deteriore rispetto a quelli cessati 
nel 1973 o nel 1975. La contestata applicazione porterebbe altresi alla 
tassazione con una addizionale valida per il solo anno 19:74 di redditi 
prodottisi in pi� anni e per i quali il lavoratore non ha avuto modo di 
scegliere a quale regime tributario soggiacere, venendo a trovarsi in condizioni 
di radicale diversit� rispetto a chi ha percepito lo stesso reddito 
nel 1973,,o nel 1975. _ 

Il tutto, infatti, si porrebbe in contrasto con il principio di uguaglianza 
(art. 3 Costituzione), che si articola, in campo tributario, nel 
principio qella parit� di trattamento e parit� di capacit� contributiva. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 luglio 1984, n. 4097 -Pres. Sandulli Est. 
Sensale -P. M. Ferraiuolo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato D'Amico) c. Soc. Manifatture Gallo. 

Tributi in genere � Contenzioso tributarlo � Giudizio di terzo grado � 
Imposta di registro � Indagine sulla natura e gli effetti dell'atto � 
Apprezzamento del fatto ai fini della� simulazione di atto a titolo 
gratuito � Deducibilit�. 

(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 8; d.!. 
8 marzo 1945, n. 90, art. 5). 
Rientra nei poteri del giudice di terza grado l'apprezzamento dei fatii 
necessari per determinare, agli effetti dell'art. 8 dell'abrogata legge di 
registro, l'intrinseca natura e gli effetti dell'atto anche nel caso che debba 
stabilirsi se l'atto a titolo oneroso simuli un trasferimento a titolo gratuito. 

(1) Decisione ineccepibile. Va intanto segnalata la riassuntiva ma assai 
completa e attenta definizione dell'ambito del giudizio di terzo grado. La giurisprudenza 
� stata non sempre costante, ma ormaii si sta rafforzando la linea 
che intende la valutazione estimativa, come comprensiva delle questioni di 
fatto attinenti all'esistenza del reddito o del cespite o del presupposto materiale 
e oggettivo del tributo; tutto il resto � ricompreso nell'area del terzo 
grado (v. la sent. delle Sez. Un. 13 ottobre 1983 n. 5960, in questa Rassegna, 
1984, 1, 135, con richiami). 

Il problema specifico era di pi� facile soluzione; nelle <imposte indirette 
� netta la separazione tra pura e semplice stima della base imponibile, senza 
che su di essa influiscano questioni pregiudiziali di diritto, e applicazione della 
legge. Si � sempre affermato che l'apprezzamento dei fatti necessari per la retta 
applicazione d�lla legge non esorbita dai poteri. della Commissione centrale. 
Lo stabilire se un determinato atto, per gli effetti che esso produce ex art. 8 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

1010 


I 

(omissis) Con il primo motivo l'Amministrazione delle finanze denuncia 
la vjolazione dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, in relazione 
all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., deducendo che, contrariamente a quanto 
affermato dalla Commissione tributaria centrale, le questioni di fatto 
(come quella relativa alla effettiva destinazione degli importi di cui alla 
riduzione del capitale) non esorbitano dalle attribuzioni della Commissione 
tributaria centrale, cui � sottratta la cognizione delle sole questioni di 
estimazione semplice. 

L'Amministrazione delle finanze sostiene, poi, con il secondo motivo 
(nel quale denunzia il vizio di omessa o insufficiente motivazione su punto 
decisivo della controversia), che, se ha inteso ,confermare la decisione di 
secondo grado, la Commissione tributaria centrale � incorsa nel vizio di 
motivazione, come risulta evidente dal fatto che la questione � stata ritenuta 
decisa per implicito dalla decisione di secondo grado. 

Con il terzo motivo, infine, l'Amministrazione ricorrente denunzia. la 
violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269; 
dell'art. 88 della tariffa all. A; degli artt. 2700 e 2727 cod. civ., in relazione 
all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., censurando la decisione impugnata nella 
parte in cui sembra volere affermare che l'ufficio non potesse disattendere 
le dichiarazioni contenute nell'atto sulla base di circostanze (mancanza di 
scritture contabili) estranee all'atto stesso. Sostiene, per contro, l'Amministrazione 
che le dichiarazioni in questione erano state correttamente 
disattese per la loro genericit� estrema a fronte dell'entit� della somma 
(pari a quasi l'intero capitale sociale) destinato a �copertura di passivit� 
,. senza alcuna loro specificazione, a � nuovi investimenti �, senza indicazioni 
ulteriori e senza riscontro nei libri contabili, si che, in tali condizioni, 
del tutto giustificata era la presunzione che la riduzione del capitale 
sociale costituisse il mezzo per eliminare l'obbligo dei residui versamenti 
di quota in vista della difficile situazione della societ�. 

Le suesposte censure, essendo fra loro connesse, possono esaminarsi 

congiuntamente. 

Occorre premettere che questa Corte -dopo avere ritenuto in via 

generale, con sentenza n. 338/71 (ma con espresso riguardo al procedi


mento di opposizione ad ingiunzione fiscale) che l'Amministrazione finan


della abrogata legge di registro, � a titolo gratuito o a titolo oneroso o � 
un negozio mixtum cum donatione costituisce una operazione cli qualilicazione 
giuridica che non ha nulla a che fare con la valutazione estimativa. � 

Un isolo appunto pu� essere mosso alla sentenza refativamente all'ultlima 
proposizione. 

Quando l'impugnazione concerne questioni driverse dalla valutazione esti


mativa non vi � luogo a verifica della motivazione, perch� il giudizio � di . 

merito e la decisione del giudice di terzo grado, che definisce la controversria, 

sostituisce la decisione impugnata assorbendone gli eventuali vizi; solo nelle 

questioni di valutazione estimativa l'impugnazione di sola legittimit� tendente 

ad un annullamento con rinvio, fa emergere il vizio di difetto di motivazione. � 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

ziaria pu� proporre, per l'ipotesi che la ingiunzione venga giudicat~ illegittima, 
una domanda riconvenzionale per far valere un diverso titolo a 
giustificazione della pretesa tributaria -con la sentenza n. 2853/72 ha 
statuito che l'Amministrazione finanziaria, creditrice dell'imposta di registro, 
ha facolt� d'impugnare di simulazione l'atto di vendita presentato 
per la registrazione e per il quale non operi la presunzione stabilita 
dall'art. 5 del d.l. lgt. 8 marzo 1945 n. 90, al fine di far dichiarare che esso 
� in toto un atto di liberalit� o che lo � solo per il maggior valore dei 
, beni trasferiti rispetto al prezzo che risulta pagato; e che, fuori dall'ipotesi 
della simulazione, l'Amministrazione pu�, sulla base della effettiva obiettiva 
sproporzione tra prezzo e valore venale in comune commercio dei 
beni trasferiti, prospettare la esistenza del cosiddetto negotium mixtum 
cum donatione, tassabile in relazione al suo __effettivo contenuto ed alla 
intrinseca natura, quali risultano dall'atto, in considerazione dei suoi 
effetti, sempre che sia raggiunta la prova, anche presuntiva, circa la reale 

finalit� del negozio intercorso fra le parti. 

Occorre aggiungere che, con la decisione n. 3024/72, questa Corte ha 

affermato che l'Amministrazione non pu� chiedere, ai fini dell'applicazione 
. dell'imposta di registro, che sia accertata la realt� di un diverso negozio 
dissimulato sotto l'apparenza del negozio dichiarato non risultante dallo 
stesso atto. 

Peraltro, le richiamate decisioni, come si evince dalla lettura delle 

rispettive motivazioni, al di l� dei contrasti che esse manifestano, con


cordano sul punto che, ai fini dell'imposta di registro, deve tenersi conto 

dell'art. 8 del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269 (applicabile nel caso concreto, 

trattandosi di fattispecie impositiva completatasi anteriormente alla rifor


ma tributaria), in base al quale �le tasse sono applicate secondo l'intrin


seca natura e gli effetti degli atti o dei trasferimenti, se anche non vi 

corrisponda il titolo o la forma apparente �. 

Da tale premessa si traggono i seguenti corollari: a) il contenuto e 

la natura dell'atto da registrare devono ricavarsi dalle clausole di esso, 

senza possibilit� d'integrarne i risultati in virt� di elementi aliunde 

desunti, poich� -salva la possibilit� di: ac�ertare con tutti, i mezzi 

consentiti all'Amministrazione delle finanze la produzione di redditi in 

conseguenza dell'atto, da assoggettare ai vigenti tributi diretti -l'impo


sta di registro colpisce l'atto per quello che esso dichiara e per gli effetti 

che, come tale, � idoneo a produrre; b) tuttavia, quando al titolo o alla 

forma apparente non corrispondano la intrinseca natura e gli effetti 

dell'atto (sulla necessit� di tale presupposto, v. sent. 780 e 2036/68, 388/69 . 

e 493/71), non � precluso al giudice interpretare e qualificare l'intrinseca 

natura e gli effetti giuridici dell'atto, quali si possono desumere dalla 

oggettivit� del suo contenuto e della ricognizione positiva del suo signifi


cato, e, quindi, accertare la sirriulazione che pregiudichi il diritto della 

Amministrazione alla percezione dell'esatto tributo; 


!ASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dm.LO STATO

1012 

Posto che, nei limiti suddetti e nell'ambito dell'art. 8, la indagine sulla 
simulazione non � preclusa in sede di contenzioso tributario, occorre ulteriormente 
precisare che essa � consentita anche alla Commissione centrale, 
ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636. 

Le Sezioni �unite hanno di recente affermato al riguardo che nel 
sistema del nuovo contenzioso tributario � conservata alla Commissione 
tributaria centrale la medesima sfera di competenza che le veniva attribuita 
secondo la disciplina previgente, eliminandosi peraltro le ragioni 
d'incertezza che in queste erano insite grazie al superamento, alla stregua 
di un pi� razionale criterio di discriminazione, della nozione di estimazione 
complessa, la quale non ha pi� ragione di essere, perch� ormai tutte le 
questioni di fatto estranee alla valutazione estimativa, oltre a tutte le 
questioni di diritto, sono indiscutibilmente attratte nella cognizione piena 
della Commissione tributaria centrale (e della Corte d'appello); e tale 
valutazione estimativa, come attivit� di giudizio, comprende non solo la 
mera quantificazione, ma anche le questioni di fatto relative alla esistenza 
del reddito o del cespite e, in genere, della base imponibile e del presupposto 
materiale ed oggettivo del tributo, restandone escluse -in quanto 
non relative a valutazione estimativa -le questioni concernenti la indivi~ 
duazione dei soggetti passivi del rapporto tributario e la loro qualit� e 
modo di essere, nonch� la tassabilit� o meno del reddito o del cespite, 
in relazione, ad esempio, al concorso di ulteriori condizioni richieste dalla 
legge per la integrazione della fattispecie impositiva o alla spettanza di 
esenzioni, agevolazioni o detrazioni, al cui fine non � precluso alla 
Commissione centrale l'accertamento degli elementi di fatto che quelle 
condizioni realizzino o che diano diritto a quelle esenzioni, agevolazioni 

o detrazioni, appunto perch� integranti questioni di fatto non relative a 
valutazione estimativa e non strettamente implicate da questa (sentenza 
n. 5960/83). 
Nella motivazione della richiamata decisione si � precisato, con 
riguardo alle imposte indirette, che � questione di fatto relativa a valutazione 
estimativa l'accertamento della esistenza del negozio che costituisce 
il presupposto della imposizione, ma non anche la qualificazione di esso, 
che postula il compimento di una operazione giuridica. 

Poich�, nel caso in esame, l'indagine circa l'intrinseca natura dell'atto 
e dei suoi effetti richiede l'esplicazione di un'attivit� interpretativa 
di un negozio giuridico, non contestato nella sua oggettiva esistenza, cio� 
il compimento di un'operazione giuridica, nella quale si risolvono l'interpretazione 
e la qualificazione dell'atto ai fini della individuazione degli 
effetti che esso � idoneo a produrre, l'indagine suddetta ri�ntrava nei 
compiti della Commissione tributaria centrale. 

Orbene, nel caso concreto, questa ha enunciato il principio di diritto 
(e cio� che la simulazione non pu� essere desunta da elementi estrinseci 
all'atto sottoposto a registrazione), ma non ha svolto alcuna indagine di



PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 

retta ad accertare l'intrinseca natura dell'atto e dei suoi effetti giuridici, 
con riguafdo alla dedotta genericit� di esso, che -si assume -contiene 
mere dichiarazioni d'intenzione senza nessuna indicazione delle passivit� 
che la riduzione del capitale sociale era destinata a coprire n� degli 
investimenti da operare e delle somme a tal fine necessarie; e non si 
� posto il problema se, accertata eventualmente la simulazione, l'atto non 
potesse produrre direttamente l'effetto di esonerare i soci dall'obblig0> 
dei versamenti necessari al perseguimento dello scopo sociale. 

Infine, se tale accertamento era stato compiuto dalla commissione di 
secondo grado, la Commissione centrale non avrebbe potuto esimersi dall'esame 
della relativa motivazione, posto che l'impugnazione dinanzi ad 
essa proponibile concerne ogni violazione di legge, ivi compreso il viziodi 
motivazione o l'errata risoluzione di questioni di fatto, escluse soltanto 
quelle relative a valutazione estimativa nel senso precisato nella 
richiamata sentenza delle Sezioni unite (cfr. sent. 1307 e 6678/81). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 luglio 1984 n. 4099 -Pres. Scanzano 
-Est. Virgilio -P. M. Zema (conf.). Ministero delle Finanze (avv .. 
Stato Salimei) c. Giurin (aw. Laudati). 

Tributi erariali indiretti � Riscossione � Pagamento nelle mani dell'ufficiale 
giudiziario � Efficacia. 
(COii. proc. civ., art. 494). 

Il pagamento nelle mani dell'ufficiale giudiziario a norma dell'articolo 
494 cod. proc. civ. non soltanto � solutorio per il debitore, ma deve 
considerarsi a tutti gli effetti come eseguito presso l'ufficio tributario 
(applicazione alla data di decorrenza del termine per l'accertamento) (1). 

(omissis) La ricorrente in .via principale deduce che erroneamente 
la Corte di appello ha ritenuto effettuato il pagamento gi� all'atto del 
versamento della somma nelle mani dell'ufficiale giudiziario incaricatodi 
eseguire il pignoramento, mentre l'effetto solutorio si ha ~oltanto� 
nel momento dell'incasso del denaro da parte dell'ufficio fiscale, non 
avendo l'ufficiale procedente la veste di contabile dell'amministrazione 
e di legittimato a rilasciare ,quietanza. 

Perci�, il termine di decadenza non poteva cominciare a decorrere 
se non dal momento in cui l'amministrazione finanziaria ebbe diretta 
conoscenza dell'evento cui la decadenza era collegata (momento cio� del 
pignoramento), in quanto tale momento � stato indicato nell'art. 21 del 

D.L. n. 1639 del 1936 non con riferimento all'efficacia liberatoria del d~bi(
1) .Questione nuova della cui soluzione deve prendersi atto. 

1014 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tore, ma quale momento in cui l'~mministrazione viene a conoscenza che 
si � conclusa la fase dell'accertamento e della percezione dell'imposta 
principale, e pu� aprirsi quella dell'accertamento dell'imposta complementare. 


La censura non � fondata. 

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 2092 del 1966 
.e n. 2560 del 1969), il versamento nelle mani dell'ufficiale giudiziario, 
legittimato ex lege a riceverlo, della somma per cui si procede e dell'importo 
delle spese, con l'incarico di consegnarli al creditore -effettuato 
<lai debitore ai sensi dell'art. 494 cod. proc. civ., al fine di evitare il 
pignoramento, ha contenuto e valore di pagamento e produce, perci�, 
�effetti liberatori immediati, mentre questi non si verificano soltanto 
se il versamento sia fatto con riserva di ripetizione e non implichi quindi 
in alcun modo riconoscimento del debito e rinunzia alla contestazione 
<li esso. 

~i tratta di un principio di carattere generale, che trova applicazione 
anche nei rapporti riguardanti la riscossione dei tributi mediante pro.
cedura esecutiva in cui interviene l'ufficiale giudiziario, perch� anche in 
tali rapporti, mancando una diversa disposizione, il pagamento nelle mani 
dell'ufficiale procedente, che per legge diventa delegato a ricevere la 
somma per conto dell'amministrazione creditrice, produce gli stessi effetti 
del pagamento effettuato direttamente all'Ufficio fiscale. 

Perci�, anche dal punto di vista dell'individuazione del momento 
in cui deve considerarsi giuridicamente avvenuto il pagamento, occorre 
in questi casi aver riguardo alla data del ricevimento della somma 
<la parte dell'ufficiale giudiziario. 

La distinzione che la ricorrente vorrebbe introdurre tra momento 

<lel versamento della somma nelle mani dell'ufficiale giudiziario e mo


mento dell'effettivo incasso della somma stessa da parte dell'amministra


zione (al fine di far coincidere con questo secondo momento il dies a 

quo del termine annuale di decadenza prescritto dall'art. 21 del D.L. 

7 agosto 1936 n. 1639 per la notifica dell'accertamento di valore) non 

trova alcun fondamento nella norma perch� il citato art. 21 si limita 

.a far decorrere l'anno dal � pagamento�, e perci� a tale termine deve 

.attribuirsi il peculiare significato tecnico-giuridico di carattere gene


rale di cui si � detto, con tutte le conseguenze. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 luglio 1984 n. 4541 -Pres. Santosuosso 
-Est. Di Salvo -P. M. Benanti (conf.). Cicolani (avv. Manfredonia) 
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi in genere � Contenzioso tributarlo -Giudizio innanzi alle commissioni 
� Natura ed oggetto. 



PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1015 

Tributi in genere � Accertamento � Contenzioso tributarlo � Rapporti � 
Difetto di motivazione � Conseguenze � Nullit� e illegittimit� � Motivazione 
insufficiente ma non totalmente mancante � Rinvio per nuova 
valutazione estimativa. 

Tributi in genere -Contenzioso tributarlo � Necessit� di rinnovare il 
giudizio di valutazione � Giudice di rinvio � n sempre la commissione 
di secondo grado. � ' 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 24 e 29). 
Le commissioni tributarie sono organi di giurisdizione specale, tuttavia 
ben diversificati dagli organi di giustizia amministrativa. Poich� 
l'oggetto della giurisdizione tributaria � costituito dalla verifica dei presupposti 
dell'imposizione tributaria e degli effetti del rapporto (processo 
di accertamento dell'esistenza dell'obbligazione pubblica o di impugnazione-
merito), la pronunzia di accoglimento non si risolve necessariamente 
nell'annullamento dell'atto impugnato, anche se l'accertamento 
contenuto nella decisione impone all'ufficio di rinnovare gli atti 
incompatibili cor� il rapporto tributario come definito �in sede cont~nziosa 
(1). � 

La nullit� dell'avviso di accertamento pu� essere pronunziata solo 
nei casi di totale mancanza della motivazione o casi ad essa equiparabili 
quali l'esistenza di una motivazione soltanto apparente di mero stile che 
per la sua genericit� sarebbe applicabile a qualsiasi accertamento. L'accertamento 
con motivazone insufficiente � illegittimo ma non nullo e 
all'insufficienza pu� sopperirsi attraverso la motivazione della decisione, 
mentre nel caso che l'insufficienza venga rilevata in terzo grado si 
rende necessario il rinvio per un'eventuale modifica del quantum, evitando 
comunque il rimedio estremo dell'annullamento dell'accertamento 
e quindi la sottrazione di un cespite, di etti si � accertata l'esistenza, 
all'imposizione tributaria, contro il principio dell'art. 53 Cost. Ci� non 

(1-3) La sentenza, di grande portata, verosimilmente susciter� ampie discussioni. 
Essa ha rigettato il ricorso contro la decisione della Commissione 
centrale 27 marzo 1981 n. 3011 molto criticata (TINELLI, Osservazioni sull'integrazione 
in sede contenziosa della motivazione dell'accertamento, in Riv. dir. 
Finanz., 1981, Il, 250; MERCATALI, L'illegittimit� dell'avviso di accertamento di 
maggior valore: conseguenze sostanziali e processuali; in Dir. prat. trib., 1981, 
Il, 464; TEsAURO, La motivazione degli avvisi di accertamento di valori immobiliari 
in una recente decisione della Commissione centrale, in Boll. trib. 1981, 
804) e ripudiata dalla giurisprudenza successiva della stessa Commissione 
centrale. 

La Corte di Cassazione si muove, con molta saggezza e coerenza, su un 
terreno assai realistico evitando gli eccessi a cui era andata incontro la 
Commisione centrale. Questa, giudicando su un accertamento in materia di 
imposta. di registro, aveva premesso, sulla base di una interpretazione ingiu


13 



I 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ.O STA1'0

1016 

� in contrasto con l'art. 21 del D.P.R.� 26 ottobre 1972 n. 636, perch� non 
cade in questione la rinnovazione .di un accertamento nullo (2). 

Il rinvio alla commissione di primo grado � previsto dagli articoli 
24 e 29 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 soltanto in presenza di vizi 
radicali che determinano l'inesistenza della decisione; va sempre disposto 
il rinvio alla. Commissione di secqndo grado quando si presenti una 
questione di valutazione estimativa anche se sorge per la prima volta 
a seguito della pronunzia di terzo grado (3). 

(omissis) L Con il primo mezzo del ricorso si sostiene, denunciando 
la violazione e la falsa applicazione degli artt. 48 e 49 del d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 634, che la Commissione tributaria centrale, avendo statuito 
l'illegittimit� dell'accertamento in contestazione, per inosservanza e violazione 
delle predette norme, avrebbe dovuto pronunciare l'annullamento 
dell'accertamento stesso; con �il secondo motivo, si censura la 
stessa .decisione per violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 10 e 
35 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in quanto erroneamente essa 
avrebbe affermato che le commissioni tributarie sono � organi speciali 
di giurisdizione�, mentre esse non potrebbero avere tale natura perch� 
a ci� osterebbe l'art. 102 Cost., che riserva ai magistrati ordinari l'esercizio 
delle funzioni giurisdizionali e vieta l'istituzione di giudici speciali 

o straordinari; di tali commissioni andrebbe invece affermata soltanto 
la natura giurisdizionale e la loro funzione �indirizzata unicamente 
all'applicazione della legge in base all'obiettivo apprezzamento degli elestificatamente 
rigorosa degli artt. 48 e 49 del d.P.R. n. 634/1972, che l'accerta� 
mento pot~va essere motivato esclusivamente <in base ai criteri stabiliti in 
detta norma (valore comparativo e capitalizzazione del reddito); ma poi, forse 
allarmata delle conseguenze, aveva affermato che le commissioni avessero un 
illim<itato potere (e dovere) di procedere di ufficio ad un'autonoma valutazione 
da sostituire a quella dell'ufficio. Bench� il ricorso sia stato rigettato, la 
decisione della centrale non pu� dirsi confermata nella sua impostazione. 

I mezzi e i criteri dell'accertamento e la relativa esternazione nella motivazione 
non sono tanto rigidi e formali (sull'argomento v. C. BAFILE, Considerazioni 
sui criteri di valutazione e sulla motivazione dell'accertamento nelle 
imposte indirette sui trasferimenti, in Riv. dir. finanz. 1983, II, 61); l'accertamento 
� nullo solo quando la motivazione � totalmente mancante o � solo 
apparente, � cio� una formula che sarebbe adatta a qualunque caso. Un 
accertamento con motivazione povera non � nullo e consente che sulla controversia 
di valutazione venga pronunciata una decisione di merito. E qui, con 
la affermazione pi� coraggiosa contenuta nella sentenza, si dice che la commissione 
pu� sopperire alla insufficienza della motivazione dell'accertamento 
con la motivazione della decisione, piuttosto che dichiarare la nullit� dell'accertamento 
che premierebbe ingiustificatamente n contribuente. 

Con altra recente sentenza la S. C. aveva affermato, in materia di imposte 
dirette, che quando l'accertamento contiene un minimo di motivazione, � consentito 
all'ufficio integrarla in giudizio con le deduzioni difensive (7 febbraio 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1017 

menti di giudizio (art. 10, d.P.R. 636/1972) �, quali giudici di cognizione 
dei fatti dedotti in causa dalle parti (art. 35 d.P.R. cit.). Da .tali premesse 
i ricorrenti deducono che alle commissioni tributarie sarebbe 
devoluto unicamente il sindacato di legittimit� dell'atto oggetto della 
controversia, con la conseguenza che, riconosciuta l'illegittimit� dell'atto 
amministrativo, non potrebbe � non conseguire la pronuncia di 
illegittimit� dalla quale discende l'immediata sanzione dell'annullamento
� che, comunque, si dovrebbe ritenere implicita; le commissioni tributarie 
non potrebbero, quindi, invocando il principio inquisitorio contenuto 
nell'art. 35 del d.P.R. n. 636 del 1972 sostituire il provvedimento 
impugnato. 

I due motivi del ricorso, poich� sostanzialmente prospettano la' stessa 
censura muovendo dall'esame della natura giuridica delle commissioni 
tributarie e dai loro poteri (il secondo) e prospettando (sia l'uno che 
l'altro) l'obbligo delle stesse di pronunciare l'annullamento dell'accertamento 
ritenuto illegittimo, con esclusione del potere di disporre il rinvio 
alle commissioni di merito per una nuova val.tazione del quantum 
imponibile, debbono essere esan�nati congiuntamente. 

Ritiene. il collegio che i motivi prospettati non meritino accoglimento. 

2. La natura giuridica degli organi del contenzioso tributario � .ormai 
chiaramente definita, per cui nessun dubbio pu� sollevarsi in 01~dine ad 
essa. Nella precedente normativa, le commissioni tributarie, invero, erano 
qualificate come organi per la risoluzione delle controversie in materia 
di imposte dirette e di imposte sui trasferimenti di ricchezza (titolo V 
1984 n. 932 in questa Rassegna, 1984, I, 354); all'opposto la Commissione centrale 
aveva affermato che � la Commissione a poter procedere. ad una autonoma 
valutazione; in posizione intermedia la declsdone che si commenta che 
reputa legittimo che la commissione possa non gi� fare una sua valutazione 
(un autonomo accertamento), ma completare la motivazione dell'ufficio. 

Queste differenze non sono in definitiva molto rilevanti. L'importante � 
la impostazione della questione che tocca concettd di portata fondamentale. 
Posto che il processo tributario non � di annullamento dell'atto amministrativo 
ma di accertamento del rapporto, o di impugnazione-merito ~su ci� la giurisprudenza 
� ormai fermissima, v. da ultdmo 17 maggio 1984 n. 3047 in questa 
Rassegna, 1984, I, 583) e che la pronunzia delle commissioni di primo e secondo 
grado ha per oggetto questioni di diritto soggettivo ed � di accertamento 
costitutivo in quanto modifica nel quantum l'imposdzione determinata dall'ufficio, 
� naturale che nella discussdone di merito, con ampiezza di istruttoria, 
perda valore la motivazione, come requisito dell'atto, perch� la materia controversa 
� la valutazione in s� non la legittimazione dell'atto che la contiene. Il 
processo in sostanza non pu� essere allo stesso tempo di legittimit� e di 
merito. Ecco allora che la motiivmone dell'accertamento ha un valore processuale 
(litis contestatio) tale da consentire al soggetto passivo di proporre il 
ricorso su un oggetto determinato; ma quando questa esigenza sia stata rispettata, 
nel processo nel quale le parti si trovano in posiziione paritetica � certamente 
possibile addurre, a favore e contro, deduzioni e prove che porter�nno 



1018 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


del DL. 7 agosto 1976, n. 1639 e successive modifiche) ed ad esse era 
demandata � la risoluzione in via amministrativa � (art. 22 e 28) delle 
controversie stesse. Questa formulazione leg�slativa ha accreditato nel 
passato la tesi di considerarle organi amministrativi; ma dottrina e giurisprudenza 
hanno contribuito all'evoluzione di tale concezione, nella 
consapevolezza che soltanto un organo giurisdizionale avrebbe potuto 
garantire la piena tutela dei diritti dei contribuenti; di conseguenza, la 
giurisprudenza, sia di questa Corte che della Corte costituzionale (Corte 
Cost. 18 gennaio 1957, n. 12; 11 marzo 1957, n. 41 e 42; 13 luglio 1963, , 

n. 132; 7 dicembre 1964, n. 103), ne ha affermato la natura giurisdizionale. 
Solo successivamente e per un breve periodo, fino all'istituzione 
dei nuovi organi del contenzioso tributario, la Corte Costituzionale ha 
ritenuto la natura amministrativa delle commissioni, cos� come disciplinata 
dal vecchio ordinamento (sentenza 6 febbraio 1969, n. 6 e 10 
febbraio 1969, n. 10), in considerazione della loro composizione, della 
fonte della nomina dei loro componenti, della loro organizzazione, delle 
modalit� del loro funzionamento e della natura di taluni poteri ad 
essi spettanti (poteri di aumentare d'ufficio la base imponibile senza 
essere condizionato dal principio della domanda, riesaminabilit� della 
de�:isione da parte dello stesso organo che l'aveva emessa, indipendentemente 
dai casi di revocazione) non consueti per un organo giurisdizionale. 
Tale indirizzo � stato, per�, del tutto abbandonato (Corte Cost. 
27 dicembre 1974 n. 287) in seguito alla riforma degli organi del contenzioso 
tributario effettuata con il D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, in forza 
ad una decisione sulla valutazione indipendente dall'accertamento. (C. BAFILB, 

I poteri del giudice di terzo grado sulla motivazione e sulla prova dell'accerta


mento, in Riv. dir. finanz. 1984, II, 228). 

:e per questo che non interessa tanto integrare la motivazione dell'accertamento 
dell'ufficio, ma consentire che, salvaguardando il diritto di difesa, possa 
pervenirsi ad �na decisione che dichiara l'obbligazione lasciando alle spalle 
l'accertamento. 

Naturalmente il minimo di motivazione richiesto perch� possa incardinarsi 
un normale contraddittorio varia a seconda del contenuto dell'accertamento; 
ma in ogni caso la motivazione dell'accertamento non pu� avere un valore 
processuale preclusivo superiore a quello di ogni atto introduttivo del processo. 

Corretta � quindi l'ulteriore conseguenza che se per la prima volta in 
terzo grado si rileva che l'accertamento non � sorretto da solida e persuasiva 
motivazione (con il che necessariamente si afferma che non � soddisfacente 
la motivazione della decisione che ha rigettato il ricorso), si emetter� pronunzia 
di annullamento con rinvio non tanto per integrare la motivazione ma piuttosto 
per eseguire una nuova valutazione. 

Ed � ovvio che giudice del rinvio sar� sempre la commissione di secondo 
grado, anche quando dovr� eseguire per la prima volta (nell'art. 29 si usa 
l'espressione rinnovare, ma non necessariamei;ite un giudizio di valutazione � 

stato gi� fatto) la valutazione estimativa. 
C. BAFILE 

PARTE I, SFZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

della delega data dal Parlamento al Governo con la legge 9 ottobre 1971, 

n. 825, il cui art. 10, n. 14, prevedeva la �revisione della composizione, 
del funzionamento e delle competenze funzionali delle commissioni tributarie; 
anche al fine di assicurarne� l'autonomia e l'indipendenza ed in 
modo da garantire l'imparziale applicazione della legge �. 
La predetta sentenza ha, infatti, constatato che �nella legge delegata 
sono stati accuratamente eliminati gli aspetti dai . quali traeva fonda� 
mento la tesi della natura amministrativa ed accentuati i caratteri in 
base ai quali le commissioni venivano considerate come organi giurisdizio�ali 
�. La predetta sentenza della Corte costituzionale (cos� come le 
successive 3 agosto 1976, n. 214 e 215), ha espressamente qualificato le 
commissioni tributarie come � organi speciali di giurisdizione � che il 
legislatore aveva legittimamente sottoposto a revisione ai sensi della 
VI disp. trans. Cost. La stessa natura di organi speciali di giurisdizione 
� stata ininterrottamente attribuita alle Commissioni tributarie da questa 
Corte di Cassazione (n. 2175, n. 2177 e 2201 del 1969; n. 1181, 1653, 
2001, del 1970; 488, 489, 1660, 1669, 3352, 3014, 2371, 2827, 2082, 2068, 1471, 565, 
90, 83 del 1971) la quale ha pure affermato (S.U. 5 marzo 1980 n. 1472) 
clie esse sono � del tutto diversificate dagli organi della giustizia amministrativa
�, in quanto �innanzi ad esse, il giudizio tributario -ancorch� 
costruito come ricorso contro un atto dell'ente impositore ha 
per oggetto il completo riesame del merito del rapporto�, trattandosi 
-secondo la pi� autorevole dottrina -di un giudizio d'impugnazione 
-nie;rito (e non di� impugnazione annullamento) �. 

Il primo profilo della censura fo~ulata nei confronti della decisione 
impugnata dalla ricorrente, la quale sostiene che erroneamente 
la commissione trlbutaria centrale ha qualificato come organi di giurisdizione 
speciale gli organi del contenzioso tributario �, pertanto, del 
tutto infondato. L'oggetto della giurisdizione tributaria � infatti, costituito 
dalla verifica dei presupposti dell'imposizione tributaria e degli 
effetti del rapporto; esso �, quindi, un processo di accertamento della 
esistenza e del contenuto dell'obbligazione pubblica che si conclude con 
una pronuncia che, essendo dichiarativa dell'obbligazione ex lege, non 
deve necessariamente concludersi con l'annullamento dell'atto impugnato. 
In ogni caso, per�, per effetto dell'accertamento effettuato dagli 
organi della giurisdizione tributaria, sorge l'obbligo degli organi della 
amministrazione di rimuovere l'atto impugnato e di accettare il rapporto 
tributario, cos� come definito in sede contenziosa. 

3. Da tali premesse consegue la soluzione dell'altra censura formulata 
dai ricorrenti, secondo. cui, premesso l'obbligo della Commissione 
Tributaria centrale di annullare l'accertamento illegittimo, dovrebbe escludersi 
il potere di rinviare il giudizio alle commissioni di merito per la 
formulazione del giudizio estimativo. 

1020 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La soluzione della questione prospettata impone l'esame della natura 
dei poteri attribuiti ai vari organi della giurisdizione tributaria. Questa 
giurisdizione ha per oggetto questioni di diritto subiettivo, anche se si 
dev� valutare l'esercizio da parte dell'amministrazione di criteri di 
discrezionalit�, che non pu� non essere tecnica, perch� la legge non 
lascia margini per l'esercizio della discrezionalit� amministrativa in 
senso proprio. Gli organi del contenzioso esercitano, quindi, una giurisdizione 
di diritto obiettivo che, come si � visto; ha per oggetto il 
completo riesame del merito amministrativo. Ai fini della decisione che 
questa suprema Corte deve adottare, non � per� necessario seguire i 
ricorrenti nella ulteriore qualificazione di questa giurisdizione per stabilire 
se essa sia di annullamento ovvero sia una giurisdizione sul 
rapporto, cio� sull'esistenza e la misura dell'obbligazione tributaria, problema 
sul quale la dottrina � divisa, ritenendo taluni che essa debba 
essere cos� qualificata (ed in questo senso � la prassi giurisprudenziale 
degli organi del contenzioso tributario e, talvolta, anche di �questa Corte 
che ha adottato obiter dictu tale definizione senza; per�, uno specifico 
approfondimento: Cass. 10 febbraio 1977 n. 605) e sostenendo altri che 
essa debba essere qualificata come giurisdizione sul merito dell'atto 
amministrativo impugnato. , 

� sufficiente, infatti, rilevare la diversa sfera di poteri attribuita 
rispettivamente alle commissioni di I e II grado, da una parte, ed alla 
Commissione tributaria centrale ed alla Corte d'appello, dall'altra;� le 
prime hanno una competenza piena, mentre le seconde hanno una competenza 
limitata alla violazione di legge ed alle questioni di fatto, escluse 
quelle relative a valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie. 
L'ambito di tale giurisdizione, pertanto, -pur essendo pi� ampio 
di quello attribuito a questa Suprema Corte, perch� involge, oltre la 
cognizione dei fatti che attengono all'applicazione delle norme di proced�ra, 
anche quelle attinenti alla legge sostanziale ivi compresa l'interpretazione 
dell'atto giuridico che � il presupposto dell'imposizione o 
comunque � ad essa collegato -esclude in ogni caso la valutazione 
estimativa, cio� tutte le questioni concernenti la misurazione della 
base imponibile; che deve essere effettuata non soltanto alla stregua 
delle norme giuridiche che regolano la materia, ma altres�, con l'ausilio 
di regole di esperienza tratte da altre discipline che sono necessarie 
per accertare l'cs1istenza della base imponibile e per quantificarla. 

Le commissioni tributarie di I e II grado possono, quindi, emettere 

decisioni di accertamento costitutivo, modificando nel quantum l'im


posizione determinata dagli uffici con l'avviso di accertamento. In pro


posito questa Suprema Corte ha gi� avuto modo di statuire (Cass. 22 gen


naio 1980, n. 493; 3 novembre 1981, n: 5787) che all'insufficienza di moti


vazione dell'atto di accertamento pu� validamente sopperirsi attraverso 



PARTE I, SF.Z. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

la motivazione delle pronunce delle commissioni tributarie, precisando 
che ad una conclusione rigorosa come la pronuncia della nullit� dell'avviso 
stesso, che importa la nullit� dell'imposizione, si pu� giungere 
solo se per le lacune contenute nell'accertamento il contribuente non 
sia stato posto in grado di proporre le proprie difese in sede giurisdizionale. 


La nullit� dell'avviso� di accertamento deve, pertanto, essere pronunciata 
limitatamente ai casi di totale mancanza della motivazione -ovvero 
nei casi ad essa equiparabili, quali l'esistenza di una motivazione 
soltanto apparente di mero stile, che per la sua genericit� sarebbe applicabile 
a qualsiasi accertamento, essendo priva di riferimenti al caso 
concreto; ipotesi questa che � stata esclusa nella decisione impugnata. 

4. La Commissione tributaria centrale non pu�, invece, a differenza 
delle commissioni di merito, esercitare tali poteri di accertamento costitutivo 
della base imponibile sostituendo la propria valutazione estimativa 
a quella contenuta nell'avviso di accertamento, a causa della gi� esaminata 
limitazione di suoi poteri di cognizione. Pertanto, l'unitariet� e 
la coerenza del sistema dell'ordinamento degli organi del contenzioso 
tributario esige che, ove l'insufficienza della motivazione dell'a\iviso di 
accertamerito venga dichiarata da essa, sia possibile, -cosl come lo �, 
quando essa venga dichiarata dalle commissioni di merito -modificare 
-il quantum dell'accertamento evitando il rimedio estremo dell'annullamento 
dell'atto di imposizione e, quindi, la sottrazione di un cespite, 
di cui pure si � accertata l'esistenza, all'imposizione tributaria; conseguenza 
questa che non sarebbe compatibile con il principio della capacit� 
contributiva (art. 52 Cost.). 
Lo strumento giuridico proprio di ogni sistema processuale � in questo 
caso quello del rinvio dall'�rgano di giurisdizione di legittimit� o 
comunque di giurisdizione limitata agli organi dotati di giurisdizione 
piena; principio che pu� considerarsi, quindi, generale dell'ordinamento 
e del quale la disciplina contenuta nelle singole norme, non ne costituisce 
che una manifestazione nelle singole fattispecie, senza per� esaurirne 
ogni potenzialit�. 

La conclusione cui si � pervenuti � ulteriormente rafforzata dalla 
considerazione che l'ordinamento ha attribuito alle commissioni tributarie 
particolari poteri di indagini e di istruzione probatoria che prescindono 
dall'iniziativa delle parti (art. 35 e 36 del d.P.R. n. 636/1972), in 
quanto il processo � dominato dal principio inquisitorio. 

Esattamente, quindi la Commissione tributaria centrale, avendo stabilito 
che l'avviso di accertamento era stato notificato nel termine di 
decadenza stabilito dalla: legge; che esso, non era perfettamente aderente 
alle regole giuridiche che regolano il' tributo, ed era quindi illegittimo, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

1022 

ma non nullo, ha stabilito i criteri che dovevano essere seguiti nell'effettuare 
la quantificazione della base imponjbile ed ha rimesso, il processo 
alla commissione di merito per la valutazione stimativa. 

5. L'adozione di tale provvedimento di remissione che, come si � 
visto, � perfettamente aderente ai princ�pi del sistema processuale, non 
trova alcun ostacolo in singole norme che disciplinano il rito tributario; 
anzi dall'interpretazione coordinata degli artt. 29 e 26 del D.P.R. n. 636/ 
1972, si desume che la Commissione centrale deve rinviare alla competente 
commissione di merito gotata di tutti i poteri di cognizione tutte le 
volte che in conseguenza dell'accoglimento del ricorso per violazione di 
legge o per effetto dell'esame delle quesioni di fatto ad essa devolute 
si debba provyedere su questioni di valutazione estimativa o di quantificazione 
delle pene pecuniarie (Cass. 5 marzo 1979, n. 1363). 
Il provvdimento di rinvio non trova, in particolare, alcun ostacolo 
nel disposto dell'art. 21 del d.P.R. 636/1972 (anche nella nuova fonnulazione 
prevista dal d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739) in quanto questo 
prevede' soltanto il divieto di rinnovazione dell'atto impugnato affetto 
dal vizio di motivazione ovvero dell'atto notificato dopo la scadenza del 
termine stabilito a pena di decadenza; ipotesi che non si verificano nel 
c~so in esame perch� la notifica � stata effettuata -come ha accertato 
la Commisione tributaria centrale e come si � gi� rilevato -entro 

. il termine prescritto e perch� non � stata disposta la rinnovazione del-
l'atto impugnato, ma soltanto il rinvio del processo alla commissione di 
merito (e non all'ufficio) per il compimento della valutazione estimativa 
resa necessaria daila motivazjone insufficiente, ma non nulla, contenuta 
nell'avviso impugnato. 

Elementi significativi per pervenire ad una diversa interpretazione 
delle norme non si desumono, peraltro, nemmeno dalla relazione ministeriale 
che accompagna il d.P.R. n. 739 del 1981, la quale spiega che 
il divieto di rinnovazione dell'atto viziato per difetto di motivazione � 
parso necessario per non lasciare spazio ad accertamenti innovativi 
e per non vanificare una garanzia fondamentale nell'interesse sia del 
contribuente sia. della correttezza dei rapporti tributari. Invero, il divieto 
cui essa fa cenno concerne la rinnovazione dell'atto impugnato ad 
opera dell'ufficio, eventualmente per effetto di un provvedimento delle 
commissioni tributarie, ma non riguarda l'accertamento dell'imponibile 
effettuato dalle commissioni tributarie a seguito dell'uso dei poteri di 
istruzione probatoria ad esse conferiti (art. 35 e 36, d.P.R. 636/1972), 
nel corso di un giudizio avente per effetto un avviso di accertamento 
non viziato da nullit� costituita dalla mancanza assoluta di motivazione 

o da una motivazione soltanto apparente, perch� non conforme ai criteri 
stabiliti dalle singole leggi di imposta, ovvero perch� concretizzan

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

tesi in mere affermazioni astratte senza concreti riferimenti alla base 
iinponibile, e, pertanto, priva di effettivo contenuto. 

Le conclusioIJ� cui questo Collegio � pervenuto non contrastano con 
la precedente sentenza della Suprema Corte 10 novembre 1979, n. 5789, 
nella quale l'oggetto della controversia tributaria non era �una questione 
di valutazione estimativa, ma la legittimit� dell'iscrizione a ruolo, 
in relazione alla nullit� della notificazione dell'accertamento �, n� 
con la sentenza 9 agosto 1983, n. 5325, la quale ha esaminato una fattispecie 
in cui la Commissione tributaria centrale aveva pronunciato la 
nullit� dell'accertamento per la sostanziale mancanza della motivazione; 
in tal caso, esistendo un vizio che atteneva alla formazione del rapporto 
giuridico d'imposta (motivazione generica a mezzo di stampigliatura), 
essa non poteva restare sanata per effetto dell'opposizione 
del contribuente. 

Questa Corte deve, infine, esaminare la questione concernente l'identificazione 
del giudice d� rinvio competente a riesaminare la controversia 
di cui trattasi essendo necessario stabilire se esso debba essere 
individuato nella commissione tributaria di primo grado o in quella di 
secondo grado. 

La questione non � stata sollevata in modo esplicito dalle parti, ma 
essa pu� essere rilevata d'ufficio, trattandos(di .competenza funzionale 
inderogabile. 

Il rinvio alle commissioni di merito da parte della Commissione 
tributaria centrale � previsto dagli artt. 24 e 29 del cJ..P.R. 26 ottobre 
1972, Il, 636. 

L'art. 24 cpv disciplina i casi di rinvio da parte della Commissione 
di II grado alla Commissione di I grado stabilendo che esso deve essere 
disposto quando sia emerso che innanzi ad essa il� contraddittorio non 
sia stato costituito regolarmente ovvero quando tale irregolarit� concerna 
la composizione del collegio; trattasi, quindi, di vizi cos� radicali 
che determinano l'inesistenza della decisione di I grado. 

L'art. 29 dello stesso decreto concerne, invece, il rinvio disposto 

dalla Commissione centrale in seguito all'accoglimento del ricorso, nelle 

ipotesi in cui si renda necessario rinnovare il giudizio su questioni di 

valutazione estimativa ovvero relative alla misura delle pene pecunia


rie e stabilisce che il rinvio deve essere effettuato ad altra sezione 

della Commissione di II grado che aveva gi� pronunciato o, in mancanza,. 

ad altra Commissione di II grado. 

Il II comma dello stesso art. 29 dispone, poi, in ordine all'ipotesi 

in cui i vizi previsti dal precedente art. 24 (irregolare costituzione del 

contraddittorio -in;egolare composizione del collegio) si siano verifi


cati innanzi alle commissioni di I grado ma siano stati rilevati dalla 

Commissione centrale, stabilisce che, in tal caso, il rinvio deve essere 


1024 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
effettuato innanzi alla commissione di I grado, dato che la gravit� del 
,.,vizio riscontrato ha fatto venir meno l'esistenza stessa del giudizio. 
Nella fattispecie in esame l'annullamento della decisione della Commissione 
di II grado � stato disposto, come ha rilevato la stessa decisione 
impugnata, perch� la Commissione centrale ha ritenuto necessario 
un nuovo accertamento per verificare la fondatezza della pret�sa dell'amministrazione 
alla luce del principio di legalit� sancito dall'art. 23 
Cost. 
Pertanto, a differenza di quanto ritenuto dalla di::_cisione in esame, 
l'a~t. 24, che concerne il rinvio ad opera della commissione di II grado, 
non � applicabile nella fattispecie; ove fossero stati riscontrati i vizi 
prima richiamati che determinano l'inesistenza del provvedimento impugnato, 
sarebbe applicabile il II comma dell'art. 29, ma poich�, invece, 
il motivo del rinviO rientra nella previsione del primo comma dell'art. 29 
e non � in alcun modo riconducibile alle ipotesi richiamate dal secondo 
comma (medjante l'indicazione dell'art. 24) le quali sono tipiche ed 
insuscettibili di estensione ad altre ipotesi diverse da quelle previste 
dalla norma, il rinvio deve essere disposto innanzi ad altra sezione della � 
commissione di II grado. 
Il criterio adottato per il rinvio conseguente all'annullamento, da 
parte della Commissione centrale, delle decisioni delle commissioni di 
merito � del tutto analogo a quello previsto per '1a giurisdizione civile 
(art. 38,3 cod. proc. civ.) e penale (art. 543 cod.. proc. civ.) per �cui 
pu�� ritenersi che il rinvio ad un giudice di grado pari a quello che ha 
pronunciato la sentenza annullata costituisca un principio generale dell'ordinamento 
processuale che non pu� in alcun modo ritenersi contrastante 
con la tutela del contraddittorio e del diritto di difesa -come 
ha, invece, ritenuto la sentenza impugnata. 
Invero, l'art. 24 Cost. non esige che il giudizio di rinvio si svolga 
anch'esso in doppio grado; esso, l�tngi dall'essere un giudizio autonomo 
e totalmente avulso dai precedenti gradi di merito e di legittimit� 
svoltisi in precedenza � una continuazione degli stessi per cui l'unico 
giudizio viene ad articolarsi in . un numero di gradi superiori al consueto; 
solo per incidens pu�, quindi, ricordarsi che la regola del doppio 
grado della cognizione di merito non ha rilevanza costituzionale e non 
inerisce per necessaria implicazione alla garanzia della difesa (Corte. 
Cost. n. 41/65; 117/1973; 22/1973). 
La decisione impugnata deve, quindi, essere cassata limitatamente 
a tale aspetto e, poich� non rieJ,ltra nei� poteri di questa Corte disporre 
il rinvio direttamente innanzi alla Commissione tributaria di merito, la 
controversia deve essere rimessa alla Commissione tributaria centrale 
che si atterr� al principio di diritto enunciato da questa Corte Suprema. 
(omissis) 
! 
I 

� 


PARTE I; SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1025 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 luglio 1984, n. 4542 �-Pres. Santosuosso 
-Est. Contu -P~ M. �Morozzo della Rocca (conf.)'. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. Onofri. 

Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusva


lenza -Liquldazione di quota soci�le comprensiva di avviamento 


Dimostrazione di int~nto di speculazione � Necessit�. 

(T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). 
Il realizza da parte del socio di societ� di persone di un maggior 
valore nella liquidazione della quota sociale � tassabile soltanto ove 
sia dimostrato un intento di speculazione (1). 

(omissis) Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione e 
falsa applicazione degli artt. 81 T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, 1325 n. 2 
e 1965 cod. civ. nonch� insufficienza di motivazione, con riferimento all'art. 
360 n. 3 e 5 cod proc. civ. 

Nel censurare la sentenza impugnata per aver negato, in via di 
principio, che un atto di transazione -come quello a mezzo del quale 
si procedette, nella specie, allo scioglimento del rapporto sociale nei 
confronti dell'Onofri ed alla conseguente liquidazione della quota di 
sua spettanza -possa integrare un'operazione dettata da fini speculativi 
agli effetti dell'art. 81 T.U. del 1958 n. 645, deduce che la liquidazione 
della quota all'Onofri, ancorch� realizzata transattivamente per 
definire la lite originata dall'esclusione del socio, ben poteva concretare 
un'operazione speculativa. Si duole, peraltro, che la Corte d'appello 
di Milano abbia esaminato la questione in astratto e non in concreto 
ed abbia omesso di motivare adeguatamente in ordine alla sussistenza 
dell'operazione speculativa �posta a fondamento dell'accertamento tributario. 


Anche queste censure sono infondate. 

Questa Corte Suprema ha gi� affermato che, ai fini dell'imposta di 

ricchezza mobile, la cessione da parte di un socio della quota sociale 

di una societ� di persone ad altro soggetto non � tassabile sotto il pro


{1) La sentenza non convince alla pari di quella :invocata come precedente 
(Cass. 12 marzo 1979, n. 1537 in questa Rassegna 1979, I, 531, alla cui annotazione 
si r.invia). La sentenza 24 luglio 1980 n. 4808 (ivi, 1981, I, 397) d� invece 
per certo che l'assegnazione di beni al socio, sia se effettuata durante la 
vita della ,societ� a causa di recesso, morte, esclUSI�one, sia se conseguente 
a cause estintive o mod~filcative della societ� costituisce realizzo di plusvalenza. 

Se pure non si volesse ammettere che l'intendimento di speculazione � 
presunto nella operazione di costitUlire una societ� commerciale di persone, si 
deve riconoscere che l'intento di speculazione sufficiente per la tassabilit� � 
quello generico consistente nel proposito di trarre un profitto, sotto qualsiasi 
forma .(perce7iione di utili o incremento di capitale) dal conferimento. 

Diventa allora assai difficile escludere un tale intento in chi opera attra


verso una societ�. 



1026 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
filo della plusvalenza, n� ai sensi dell'art. 106, n� ai sensi dell'art. 100 
del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (norme richiamate nel secondo com� 
ma dell'art. 81 del medesimo testo unico delle imposte dirette) poich� la 
prima norma disciplina la� tassazione delle plusvalenze di beni appar� 
tenenti a soggetti tassabili in base a bilancio, tra i quali non rientrano 
le societ� di persone, mentre la seconda norma consente la tassazione 
dell'avviamento, quale plusvalenza derivante dal realizzo del valore dei 
beni relativo all'impresa (solo) nel caso in cui la societ� venga a cessare, 
con trasferimento dell'intera azienda ad altra societ� o con la 
concentrazione delle quote sociali nella persona di un unico socio. Pertanto, 
quando muta soltanto la posizione patrimoniale del singolo socio, 
senza che si verifichi alcun realizzo di beni sociali o di avviamento, il 
plusvalore conseguente al trasferimento di una quota sociale pu� essere 
sottoposto a tassazione nei confronti del socio cedente; a norma del 
capoverso del citato art. 81 solo se, in concreto, resti accertato che esso 
� conseguenza di un'operazione speculativa del socio (Cass. 1537/79). 

Da tali principi non vi � ragione di discostarsi ed, in realt�, la loro 
esattezza non � sostanzialmente contestata neppure dalla ricorrente, la 
quale ha criticato l'iter logico attraverso cui la Corte del merito ha 
escluso la sussistenza dell'operazione speculativa, ma non ha affatto 
sostenuto che nella fattispecie sia ravvisabile un'attivit� presunta di 
speculazione, riconducibile all'art. 100 del T.U. sulle imposte dirette. 

La questione attiene, pertanto, all'applicabilit� del citato art. 81 del 

T.U. sulle imposte dirette, ed in tal senso � stata impostata correttamente 
dalla Corte del merito, la quale ha svolto a tale riguardo un'indagine 
di fatto, intesa ad accertare se con la cessione della quota 
l'Onofri abbia posto in essere una vera e propria attivit� di speculazione. 
Al quesito � stata data risposta negativa "in quanto si � ritenuto 
che, a causa del lungo lasso di tempo intercorso fra la costituzio.ne del 
rapporto sociale e la perdita della qualit� di socio con conseguente 
liquidazione della quota, �non potesse configurarsi un intento speculativo, 
tanto pi� che la cessione della quota venne realizzata transattivamente 
per definire una controversia avente per oggetto la legittimit� 
dell'esclusione dell'Onofri da socio. Il giudizio cos� espresso costituisce 
indubbiamente un apprezzamento di fatto, che, essendo sorretto .da motivazione 
concisa ma sufficiente, non � censurabile in questa sede. 
N� pu� avere rilievo che la sentenza impugnata abbia affermato 
l'incompatibilit� dell'intento speculativo con Ja composizione transat� 
tiva di un conflitto di interessi poich�, pur non potendosi condividere 
l'esattezza di tale affermazione sotto un profilo generale, in quanto � 
possibile che una speculazione possa realizzarsi in concreto attraverso 
lo strumento della transazione, deve tuttavia rilevarsi che le altre argomentazioni 
addotte per dimostrare la mancanza dell'intento speculativo 
sono sufficienti per sorreggere la decisione finale. 


PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 

Sul punto in discussione la decisione appare, del resto, conforme 
alla giurisprudenza di questa Corte Suprema, la quale ha affermato che 
l'intento speculativo, che costituisce condizione per l'assoggettamento 
ad imposta d� ricchezza mobile, ai sensi e nel vigore dell'art. 81 d.P.R. 
29 gennaio 1958, n. 645, delle plusvalenze realizzate da un soggetto non 
imprenditore e rappresentate dall'aumento del valore di scambio che 
assume nel tempo un cespite patrimoniale rispetto al costo iniziale, non 
pu� essere genericamente supposto, ma va accertato, sia pure per mezzo 
di presunzioni, alla stregua di ogni modalit� e circostanza inerente 
alle relative operazioni, tenendo conto che esso postula un comportamento 
del venditore logicamente e cronologicamente precedente l'atto 
di cessione, e strumentale rispetto all'incremento di valore, che pu� 
essere insito nello stesso acquisto, se accompagnato dalla sua preordinazione 
al conseguimento della plusvalenza, ovvero in un'attivit� su�cessiva, 
rivolta ad agevolare o potenziare l'incidenza di fattori incrementativi 
(Cass. 5960/83). 

� palese che la decisione impugnata non si discosta da questi principi, 
dei quali ha fatto corretta applicazione quando ha ricollegato la 
mancanza dell'intento speculativo al comportamento dell'Onofri, valutato 
con riferimento alla durata della sua partecipazion~ alla societ� ed 
alla mancanza di elementi che denotassero la preordinazione al conseguimento 
della plusvalenza. E sotto tale profilo non pu� negarsi che, 
per escludere in concreto l'esistenza dell'intento speculativo, sia valutabile 
il fatto che alla cessione della quota si sia addivenuti mediante 
transazione anzich� attraverso una contrattazione svincolata dalla comune 
volont� di giungere alla definizione di una controversia giudiziaria 
in atto. In tale ottica, quindi, anche il riferimento alla transazione 
appare giuridicamente corretto, poich� la stessa � stata v~lutata quale 
circostanza di fatto da cui trarre elementi idonei ad accertare la volont� 
delle parti e l'intento perseguito da ciascuna di 'esse. In altri termini, 
non vi � dubbio che la Corte del merito, al di l� delle espressioni 
letterali usate, abbia valutato in concreto e non in astratto che la 
liquidazione della quota fosse avvenuta mediante transazione e ne abbia 
tratto argomento per raffqrzare la tesi dell'esclusione dell'intento speculativo 
nell'operazione economica di cui trattasi. 

In definitiva la sentenza impugnata non � censurabile n� sotto il 
prof�lo giuridico n� sotto quello della motivazione, in quanto ha posto 
adeguatamente in evidenza che l'intento speculativo dell'Onofri, ben lungi 
dall'essere dimostrato, doveva essere addirittura escluso in concreto, 
talch� la, cessione della quota sociale, essendo qualificabile come un 
mero fatto di realizzo patrimapiale da parte del socio cedente e non 
come una vera e propria attivit� di speculazione, non era assoggettabile 
all'imposta di ricchezza mobile. (omissis) 


SEZIONE SETTIMA 
,_ 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 
I 
SEZIONE SETTIMA 
,_ 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 
I 
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO, Sez. Ili, 
16 febbraio 1984, n. 91 � Pres. ed Est. Buonopane � Soc. Servizio 
segnalaziond stradali (avv. Rossini) c. Ministero dei trasporti (avv. 
Stato Onufrio). 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Revisione dei prezzi � Ricorso 
ex art. 4 d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947 n. 1501 � Dichiarazione di voler 
attendere il parere deUa commissione -� Adozione �e comunicazione del 
parere � Inerzia dell'Amministrazione � Silenzio rigetto � Configurabi� 
lit� � Esclusione � Formazione di silenzio rifiuto � Necessit�. 

(D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 4 e ss.; le~e 10 dicembre 1981, n. 741, art. 17; 
d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 6; legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 20 e 29; 
t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 25). 
L'appaltatore che, proposto ricorso amministrativo contro l'atto che 
nega o accorda parzialmente la revisione, dichiari all'autorit� adita di 
voler attendere il parere della commissione, ha l'onere di provocare 
la formazione del silenzio-rifiuto prima di poter proporre ricorso giurisdizionale, 
quante volte, emesso dalla commissione il parere, il Ministero 
manchi di pronunziarsi sul ricorso a lui indirizzato (1). 

II 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 7 settembre 1984, n. 18 � Pres. Pescatore 
-Est. Addobati -Impresa ingg. Lino e Ito Del Favero S.p.A. 
(avv. Rossini) c. Istituto trentino per �l.'edilizia abitatJiva � ITEA (avv. 
Pompermaier) e Provincia autonoma di Trento. 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Revisione dei prezzi � Ricorso 
ex art. 4 dJ.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501 � Decisione � Competenza 
delle Province di Trento e Bolzano .: Esclusione � Generico trasferi� 
mento delle materie lavori pubblici di interesse provinciale ed edilizia 
sovvenzionata � Irrilevanza. 

(D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, artt. 4 e ss.; d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, art. 8, 
n. 10 e 17; d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, artt. 1, 3 e 18). 
(14) Dopo la decisione dell'Adunanza plenaria � stata pubblicata la legge 
6 ottobre 1984 n. 687 che, con l'art. 6 primo comma, ha dettato una norma 
di interpretazione auten1.1ica del primo comma, dell'art. 17 della legge 10 dicem

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1029 

Appalto� -Appalto di opere pubbliche � RevisiQne dei prezzi � Determina� 
zione specifica della P. A. in corso d'opera sui criteri di liquidazione Onere 
di impugnazione. 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Revisione dei prezzi � Ricorso 
ex art. 4 d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501 � Dichiarazione di voler 
attendere il parere della commissione � Effetti � Spostamento della 
decorrenza del termine di decisione del ricorso alla data di comunicazione, 
obbligatoria, ' del parere. 

(D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, artt. 4 e ss.; legge 10 dicembre 1981, n. 741, art. 17). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Prezzi cor� 
renti alla data dell'offerta � Individuazione � Tabelle note -Pubblicazione 
successiva di tabelle relative a periodi comprensivi della data 
dell'offerta � Irrilevanza. � 

(D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 1). 
L'attribuzione alla Provincia di Trento d�lle materie lavori pubblici 
di interesse provinciale ed edilizia sovvenzionata, e la sostituzione in 
tali materie degli organi della provincia a quelli centrali e periferici 
dello Stato nell'esercizio delle relative funzioni amministrative, non ha 
comportato per s� il trasferimento della competenza a decidere dei ricorsi 
in materia di revisione dei prezzi preveduti dall'art. 4 d.l.C.p.S. 
6 dicembre 1947 n. 1501, che ha perci� continuato a dover Iessere esercitata 
nei modi' e dagli organi preveduti nello stesso decreto, in assenza 
di norme di legge provinciale che avessero diversamente regolato la 
materia (2). 

bre ~981 n. 741, disponendo che il richiamo all'art. 29 della legge 6 dicembre 
1971 n. 1034 in essq contenuto deve intendersi riferito all'art. 20 della medesima 
legge. 

Con il secondo comma dell'art. 6 della legge 8 ottobre 1984 n. 687 sono 
stati aggiunti alla disposizione i seguenti altri commi: 
-�L'Amministrazione a cui il parere � rivolto deve provvedere entro sessanta 
giorni dal ricevimento dello stesso� (comma 3); 
-�Il silemfo dell'Amministrazione, decorso tale termine, equivale a provvedimento 
conforme al parere� (comma 4). 

(2) L'ordinanza 13 febbraio 1984 n. 90 della sez. IV, che aveva rimesso la 
questione all'Adunanza Plenaria, pu� leggersi in Cons. Stato .1984, I, 148. For� 
mulata in termini analoghi � poi stata pubblicata l'ordinanza 27 giugno 1984 
n. 
504, sempre della IV sezione, che pu� leggersi in Cons. Stato 1984, I, 729. 
La decisfone, dell'Adunanza plenaria rifiuta la prima delle soluzioni pro.
spettate nell'ordinanza (immediato spossessamento delle pregresse competenze 
facenti capo ad organi statali) e presta adesione alla seconda (la preminente 
funzione giustiziale del rimedio in questione esclude che la potest� di deciderne 
sia ricompresa tra le funzioni amministrative attribuite alle Regioni o 
alle Province di Trento e Bolzano per effetto del trasferimento delle materi� 
lavori pubblici di interesse regionale (o provinciale) e edilizia residenziale 
pubblica). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO

1030 

Ha natura di provvedimento e determina l'onere di immediata im� 
pugnazione, l'atto dell'ente appaltante che, in risposta a specifica ri� 
chiesta dell'appaltatore intesa a che siano tenuti a calcolo gli aumenti 
dei prezzi derivanti da contratti aziendali, nega riguardo ad essi la revi� 
sione del prezzo (3). 

La dichiarazione dell'appaltatore di volersi avvalere della facolt� di 
attendere l'emissione del parere della commissione ha l'effetto di spostare 
alla data di comunicazione del parere, ora divenuta obbligatoria, 
la decorrenza del termine di novanta giorni per la decisione del ricorso 
previsto dall'art. 4 d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501 in materia di revi� 
sione dei prezzi degli appalti di opere pubbbliche (4). 

I costi della mano d'opera da considerare correnti alla data del� 
l'offerta sono quelli risultanti dalle tabelle n�te all'epoca in cui l'of� 
ferta � fatta e non quelli resi noti da tabelle pubblicate successivamente, 
ma applicabili con effetto retroattivo a periodi in cui ricade la data 
dell'offerta (5). 

I 

(omissis) DIRITTO. � Risulta dagli atti di causa ch�, in data 14 luglio 
1982, � stato emesso il certificato per il pagamento della prima rata di 

L. 63.056.590, per l'esecuzione dei lavori di installazione di impianti, aeroportuali 
T/VASISAT/VASIS, a suo tempo aggiudica1li dal Ministero dei 
L'ordinanza aveva prospettato la soluzione subordinata per culi il rimedio 
dovesse comunque ritenerisi conservato n�lla sua attuale connotazione sin 
quando Regioni e Province non avessero introdotto nella rispettiva legislazione 
un meccanismo garantistico di pari valenza. 

L'Adunanza plenaria d� atto del fatto che la Provincia cLi Trento, con Ia 
legge 3 gennaio 1983 n. 2, ha emanato norme per l'attribuzione del contenzioso 
revisionale agli organi locali. Trattandosi nel caso di decidere su ricorsi 
giurisdizionali proposti prima dell'entrata in vigore della legge provinciale, si � 
limitata a trarre da questa argomento dli. conferma del non esse11si avuta 
sostituzione degli organi provinciali a quelli statuali prima dell'emanazione 
della stessa legge. 

In precedenza la Commissio:p.e ministeriale aveva affermato la persistente 
competenza degli organi statali (par. 1 luglio 1980 n. 2489, Arch. giur. op. pubbl. 
1981, III, 89; 28 aprile 1981 n. 2545, ivi 1982, III, 420), anche in considerazione 
del fatto che la Provincia non aveva ancora esercitato in materia la propria 
competenza legislativa (par. 20 ottobre 1981 n. 2578,-ibidem, 1982, III, 463). 

Sull'argomento, cfr., ancora, T.A.R. Toscana 26 febbraio 1981, 'n. 110, Trib. 
Amm. Reg. 1981, I, 1306; T.A.R. Marche 25 marzo 1981 n. 172, ivi, 1981, I, 1798. 

(3) Per analoga soluzione quanto alla configurazione dell'atto dell'amministrazione 
come provvedimento da impugnarsi immediatamente, cfr. Cons. St., 
sez. IV, 9 dicembre 1983 n. 905, Arch. giur. op. pubbl. 1984, 223 e Cons. Stato 
1983, I, 1314. 
(5) Non constano precedenti in termini. La decisione � in linea con l'indi� 
rizzo costantemente seguito dalla Commissione ministeriale sul pi� generale 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1031 

trasporti alla Societ� Servizio segnalaiioni stradali S.p.A., attuale ricorrente. 


L'Amministrazione ha liquidato fa somma suddetta quale �cconto 
revisionale sul compenso relativo al p:nimo stato di avanzamento dei 
lavori in questione. 

Avverso la relativa determinazione l'Impresa ha proposto ricorso 
in sede amministrativa, a norma degli artt. 4 e segg. del d.l.C.p.S. 
6 dicembre 1947 n. 1501, con atto notificato 1'11 agosto 1982. Tale ricorso 
appare tempestivo :nispetto al termine dii trenta giorni previsto dall'art. 
5 del citato decreto legislativo. 

Quanto alla verifica della tempestivit� del ricorso successivamente 
proposto dinanzi a questo Tribunale, va considerato che: 

-come si desume dalla nota 6 dicembre 1982, la Societ� Servizio 
segnalazioni stradali si � avvalsa della facolt�, prevista dall'art. 17 
della 1. 10 dicembre 1981 n. 741, di attendere l'emissione del parere della � 
Commissione di cui al citato art. 4; 

-il parere di cui trattasi � stato formulato nella adunanza del 28 
settembre 1982 ed � stato comunicato alla Societ� ricorrente con nota 
del 7 dicembre 1982. 

Dai dati sopra riportatii appare evidente che, ove dovesse farsi riferimento 
alla data di conoscenza del parere in questione e, a maggior 
ragione, ad eventuali circostanze e situazioni successive, rilevanti ai 
considerati effetti giuri.dici, non potrebbe mettersi in dubbio la ricevibilit� 
del ricorso, atteso che esso � stato notificato il 3 febbraio 1983 

argomento dell'efficacia di modifiche apportate alle tabelle con riferimento a 
periodi anteriori alla loro pubblicazione, efficacia sempre negata: cfr. pareri 
28 settembre 1982 n. 2656 in Arch. giur. op, pubbl. 1984, 148; 26 gennaio 1982 

n. 2616, ivi, 1983, .III, 234; 17 marzo 1981 n. 2532 e 11 novembre 1980 n. 2515, 
ibidem, 1982, III, 202 e 193. 
(1-4) I ricorsi amministrativi in materia di revisione dei prezzi: orienta� 
menti giurisprudenziali ' e modifiche legislative. 

1. -La legge 10� dicembre 1981, n. 741, .all'art. 17 ha dettato una disposizione 
in materia di revisione dei prezzi. 
L'art. 17 recita al primo comma: �Ai ricorsi di cui all'art. 4, primo 
comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 
1947, n. 1501, non si applicano l'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 
24 novembre 1971, n. 1199 e l'art. 29 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 �. 
Con l'art. 6, primo com�a, della legge 8 ottobre 1984, n. 687, la norma � stata 
fatta oggetto di interpretazione autentica, nel senso che il richiamo all'art. 29 
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 deve intendersi riferito all'art. 20 della 
medesima legge. 

Recita al secondo comma: � � Scaduto il termine di novanta giorni dalla 
presentazione del ricorso di cui all'art. 4, primo comma, del decreto legislativo 
del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 1947, n. 1501, il ricorrente 
pu� dichiarare, nei successivi sessanta giorni, all'autorit� adita di volersi avvalere 
della facolt� di attendere l'emissione del parere di cui al secondo comma 

14 



1032 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1032 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
e, quindi, sicuramente prima della scadenza dei sessanta giorni dalla 

conoscenza anzidetta. 

Del resto, la stessa diifesa dell'Amm�.Il!�strazione si � espressa, alla 
udienza di discussione, nel senso che potevano ritenersi superab.ili i 
rilievi formulati in ordine ,alla tempestivit� del gravame, pur rimettendo 
al Collegio le valutazioni -assumibili, peraltro, anche d'ufficio sulla 
pregiudiziale eccezione di inammissibilit�, sotto il profilo della 
mancata formazione, nella spede, del silenzio-rigetto e, comunque, dell'omessa 
impugnazione di siffatta forma di reiezione. 


Per l'esame del profilo test� riferito, appare opportuno muovere 
l'indagine della verifica della portata innovativa ascrivibile all'art. 17 della 
legge n. 741 del 1981 � nell'amb.ito della disciplina, a suo tempo posta dalla 
ricordata normativa dt:l 1947, per l'esperimento di rimedio amministrativo 
in materia di revisione dei prezzi contrattuali degli appalti di opere 
pubbliche. 


Stabiliva, dunque, il pmmo comma del citato art. 17 che � ai ricorsi 
di cui all'art. 4 primo comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio 
dello Stato 6 dicembre 1947 n. 1501, non si applicano l'art. 6 del 


d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, e l'art. 29 della 1. 6 dicembre 1971 
n. 1034 �. � 
H secondo comma deLlo stesso art. 7 cos� recita: �Scaduto il termine 
di 90 giorni dalla presentazione del ricorso di cui all'art. 4 primo 
comma, del decreto legislativo .del Capo provvisorio dc;:llo Stato 6 di-


dell'art. 4 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 
1947, n. 1501, prima dell'eventuale adW.one del giudice amministrativo�. 


Con il secondo comma dell'art. 6 della legge 8 ottobre 1984, n. 687, sono 
stati aggiunti alla disposizione i seguenti altri commi: -� L'amministrazionr 
a cui il parere � rivolto deve provvedere entro sessanta giorni dal ricevimento 
dello stesso" (comma 3). �Il silenzio dell'amministrazione, decorso tale termine, 
equivale a provvedimento conforme al parere � (comma 4). 


L'interpretazione dell'art. 17 nel testo originario ha sollevato pi� d'un 
problema. Le modifiche apportatevi ne pongono ora degli altri. 


2. -Un primo aspetto problematico � rappresentato dal valore che va attri 
buito alla espressione � prima dell'eventuale adizione del giudice amministrativo 
�, in rapporto al noto problema della appartenenza delle questioni sulla 
revisione dei prez2li, alla giurisdizione del giudice amministrativo o di quello 
ordinario. Sul punto, cfr. in dottrina: PIACENTINI, La revisione dei prezzi nei 
pubblici appalti. Storia e problemi di un istituto, in Arch. giur. op. pubbl., 
1982, I, 1 e 74 ss., il quale esclude che la norma abbia inteso configurare 
una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva e ritiene che, preisupponendo l'orientamento 
della giurisprudenza della Corte di cassazione sull'appartenenza della 
materia all'area degli interessi legittimi (orientamento di cui costituiva al momento 
la pi� recente manifestazione Cass. l ottobre 1980 n. 5333 in Foro it. 
1980, I, 3013) il legrslatore abbia solo inteso � ���confermare ad abundantiam, ~ 
l'ordinaria giurisdi2Jione di legittimit� del giudice amministrativo �; ACQUARONE, 
~ 

Rilevanza del programma dei lavori ai fini della revisione nell'appalto di opere f 
) pubbliche, Arch. giur. op. pubbl., 1983, I, 1 e 23 ss., il quale parimenti perviene i 

I 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1033 

cembre 1947 n. 1501, il ricorrente pu� dichiarare, n~i successivi sessanta 
giorni, alla autorit� adita di volersi avvalere della facolt� di attendere 
l'emissione del parere di cui al secondo comma dell'art. 4 del dl:C.p.S. 
6 dicembre 1947 n. 1501, prima dell'eventuale adizione del �giudice amministrativo 
�. 

Nel caso di specie, non vii � contestazione circa l'avvenuta manifestazione, 
da parte della societ� ricorrente, della volont� di avvalersi della 
prevista facolt�. E che la relativa dichiarazione sia stata effettuata 
entro il prescritto termine nemmeno pu� revocarsi in dubbio, considerato 
che il termine stesso non era ancora scaduto neppure alla data 
sotto la quale � stato notificato il ricorso giurisdizionale. 

Ci� posto, sembra che la formulazione, invero non perspicua, delle 
riferite disposizioni non consenta di ritenere -quanto meno nell'ipotesi 
di esercizio delJa facolt� di opzione -che il decorso di un certo 
periodo di tempo, dopo la pronuncia e la comunicazione del parere, 
produca l'effetto di qualificare l'inerzia dell'Ammiillistrazione come reiezione 
del reclamo ad essa rivolto. Un tale effetto, che ordinariamente 
discende dalla previsione di cui all'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971, �, 
infatti, precluso, nella materia de qua, proprio per Ja denegata applicabil!
it� dell'articolo in questione. 

� pur vero, d'altra parte, che Ja normativa di cui al primo comma 
del citato art. 17, nel far riferimento all'art. 29 della '1. 6 dicembre 1971 

n. 1034, parrebbe lasciare impregiudicata l'applicabilit� del precedente 
alla conclusione che la norma non abbia inteso con1�igurare un'ipotesi di giurisdizione 
escluSliva e prospetta come la norma sarebbe da considerare costituzionalmente 
illegittima per contrasto con l'art. 103 Cost., ove dovesse accedersi 
alla impostazione che l'interesse alla reWsione ha natura di diritto soggettivo. 
' 

ln giurisprudenza, cfr. Cass. 22 luglio 1982 n. 4288 in questa Rassegna 1983, 
I, 404 e 414 e ivi l'affermazione che la norma � ���conferma esplicitamente la 
giurisdizfone del giudice amminlistrativo in materia di revisione dei prezzi di 
appalto delle opere pubbliche� (ma, come nota il PIACENTINI, op. cit., Arch. 
giur. op. pubbl. 1982, I, 1 e 79, il richiamo non � presente nelle p:i� recenti 
decisioni della Corte di cassazione, che hanno certo riconosciuto la configurabilit� 
di controversie su diritti soggettivi anche in materia di revisione dei 
prezzi: cfr. Cass. 23 febbraio 1983 n. 1366, dn questa Rassegna J.983, I, 403, 
in Foro it. 1983, I, 639, in Giust. civ. 1983, I, 3320 con nota di PIACENTINI, Nuovi 
orientamenti giurisprudenziali in materia di revisione dei prezzi, e in Arch. 
giur. op. pubbl. 1983, II, 55; nonch� le coeve Cass. 23 febbraio 1983 n. 1363 
a 1369 in Arch. giur. op. pubbl. 1983, Il, 49 ss.); TAR Sicilia -Catania, 20 febbraio 
1984 n. 76 in Trib. Amm. Reg. 1984, I, 1435, secondo il quale � ��la 
citata norma attribuisce inequivocabilmente i ricorsi giurisdizionali in materia 
di revisione prezzi alla cognizione del giudice amministrativo '" ma che ha 
deciso lil ricorso considerandolo -anche alla stregua della pi� recente giurisprudenza 
della Cassazione -�vertere su interessi legittimi; T.A.R. Liguria 
5 maggio 1983 n. 2&1 in Trib. Amni. Reg. 1983, I, 2087, che ha parimenti osservato 
avere il legislatore -con l'art. 17 legge 10 dicembre 1981, n. 741 -� ���ricono




RASSEGNA 'DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

1034 

art. 20, secondo il quale, nei casi in cui Sii sia presentato ricorso in 
via gerarchica contro atti o provvedimenti emessi da organi periferici 
dello Stato o di EnH pubblici a carattere ultraregionale, � proponibile 
ricorso al T.A.R. contro il provvedimento impugnato, se nel termine 
di novanta giorni, la Pubblica amministrazione non abbia comunicato 
la decisdone all'interessato. 

Ma anche a /voler tralasciare ogni questdone in ordine alla portata 
del menzionato riferimento (che, secondo la �logica della introdotta costruzione 
normativa, dovrebbe rivolgersi proprio all'art. 20), si osserva 
che fa posl;,;ione di attesa del parere della CommisSlione, cos� come 
delineata dalla disciplina in esame, appare del tutto svincolata da qualsiasi 
limite cronologico non solo per quanto concerne la effettiva emissione 
del parere stesso, ma anche per quanto riguarda -l'adozione . del 
provvedimento decisionale cui quest'ultimo � preordinato. In assenza di 
siffatti limiti' (l'unico limite cronologico essendo posto per la proposizione 
della dichiarazione di attesa), deve disconoscersi la sussistenza del 
presupposto (decorso dei termillli) a cui l'art. 20 collega la � mancanza 
� della decisione gerarchica e J'inizio dei termini di decadenza per 
adire il giudice amministrativo. 

Peraltro, va considerato, in v�1a puramente� teorica e sempre nell'ambito 
dell'affacciata !i.potesi di applicabilit� dell'art. 20, che l'istante 
potrebbe invocare il principio� che la giurisprudenza ha desunto dalla 
disciplina posta da ,detto artJi.colo, secondo il quale il rimedio gerar


sciuto esplicitamente in materia di rev1s1one dei� prezzi la: giurisdizione del 
giudice amministrativo, talch� oggi non � pi�� possibile, in caso di. diniego o di 
accoglimento parziale della revisione prezzi in aumento, ovvero di imposizione 
di revisione in diminuzione da parte della P .A.. eccepirne il difetto... '" Anche 
in questo caso, poich� s'era rifiiutata la revisione in base a clausola contrat� 
tuale, nulla ex lege 37 del 1973, che la escludeva, si versava in ipotesi di 
giurisdizione general� di legittimit� (nel senso che tale controversia appartenga 
appunto alla. giurisdizione generale di legittimit�, Cons. St., sez. IV, 9 dicembre 
1983 n. 910, in Arch. giur. op. pubbl. 1984, 225, che annulla T.A.R. Lazio, sez. Ili, 
10 maggio 1982 n. 561, in Trib. Amm. Reg. 1982, I. 1517; contra, Cons. St., 
sez. VI, 17 gennaio 1984 n. 14, in Cons. Stato 1984, I, 71). 

Al di l� delle segnalate affermazioni e come pu� desumersi dalle due 

decisioni del Consiglio di Stato da ulti.io richiamate, all'art. 17 della legge 10 

dicembre 1981 n. 741 � piuttosto riconosciuta la portata di norma che recepisce 

la soluzione giurisprudenziale, per cui revisionare il prezzo � manifestazione 

di un potere della P.A. e non contenuto di un, suo obbligo contrattuale, che 

la portata di norma che configura una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva. 

Per stabilire se sia da condividere il nuovo orientamento della Cassazione 

e, iin caso positivo, quali siano i criteri per discriminare le controversie sul 

quantum dalla revisione dalle altre, Cons. St., sez. IV, ord. 27 giugno 1984, 

n. 504 (in Cons. Stato 1984, I, 730) ha rimesso la questione all'adunanza plena:riia. 
3. -Altra questione propostasi quella del significato da attribuire al primo 
comrria dell'art. 17, cio� al non applicarsi al ricorso di cui all'art. 4 del d.1.C.P.S. 
1501 del 1947 le disposizioni dettate dall'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971 
'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�"<�"�--�.�.�.-.-.-.-.�.��'.�"-:-�-:-�.-.-.-.�.�.�.�.-.�.�.'.-".".-.-.�.�.��:��.-.�.�-:�:.-.-.-.�.-.�.�:.�.-.�.�.�:.�:.�.--��-.�.-.-.-.-.-.-.-.�.-.-.-.-.�::.-�.�.�.-.�.�:.-.-.".".�.-.�.�:.�:.-



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBUCI 1035 

chico � soltanto facoltativo e, quindi, aggiuntivo rispetto alla tutela 

giurisdizionale, sicch� quest'ultima pu� essere liberame.nte prescelta sei1za 

vincolare il ricorrente ad attendere comunque la decisione sull'impugna


tiva amministrativa. 

Una simile opzione, per�, se posta in essere, disinserisce dal sistema 

di tutela che si era prescelto la fase connessa all'esperimento del ri


medio amministrativo, con la conseguenza che i tempi di espletamento 

prev�sti per la rel~tiva definizione non rilevano pi� ai fini della tem


pestiwt� dell'azione in sede giurisdizionale. Ne conseguirebbe, cio�, che 

il termine per la proposizione del ricorso in tale sed� debba farsi de


correre non pi� dalla comunicazione della pronuncia amministrativa o 

dalla insorgenza de1Ja situazione equiparata aHa pronuncia di reiezione, 

ma dal momento a cui risale la piena conoscenza dell'atto originario 

ritenuto lesivo. 

Nel caso di specie, la ricorrente non ha interesse ad invocare il 

principio di cui si � fatto cenno, atteso che la conoscenza del prov. 
vedimento impugnato risale sicuramente, quanto meno alla data deH'll 
agosto 1982 sotto la quale la Societ� istante � stata in grado di predisporre 
il ricorso ex art. 4 d.l.C.p.S. n. 1501/1947. Rispetto a tale data 


il ricorso g�urisdizionale, notificato il 3 .febbraio 1983, sarebbe tardivo. � 

Dovendosli, dunque, rimanere nell'ottica del procedimento articolato 

su due fasi, di cui la prima � quella costituita dall'esperimento del 

rimedio amministrativo, non pu� non constatarsi, alla stregua delle con-

n. 1199 e dall'art. 20 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034. Le disposizioni che il 
primo comma dell'art. 17 dic� non si applichino riguardano la formazione del 
silenzio-rigetto e il successivo onere di impugnazione giurisdizionale, del provvedimento 
prima impugnato in via amministrativa, nel sessantesimo giorno 
successivo al formarsi del silenzio-rigetto. 
T.A.R. Lazio, sez. III, 28 febbrflio 1983 n. 169 in Arch. giur. op. pubbl. 
1983, II, 372 e Trib. Amm. Reg. 1983, I, 851, ha ritenuto che la norma vada 
intesa non gi� nel senso che la disciplina del silenzio-rigetto sia per s� inapplicabile, 
ma che l'effetto dell'inutile decorso del termine di novanta giorni 
pu� essere posto nel nulla se, prima che scada il successivo termine di sessanta 
giorni per :il ricoi:iso giurisdizionale, la parte dichiari di voler attendere iil 
parere della commissiione. Questa interpretazione � stata ora condivisa dalla 
Adunanza plenaria. 
Al ricorrente si presentano cos� due alternative, della cui rispettiva disciplina 
� opportuno fissare i tratti. 
Si consideri prima dl caso che la parte non faccia la dichiaraZlione preveduta 
dal secondo comma dell'art. 17. 

Letta la norma nel senso seguito dalla III Sezione del T.A.R. del Lazio 
nella decisione 28 febbraio 1983 n. 169 ora richlamata ed adesso dall'Adunanza 
plenaria con la decisione in rassegna, ne risulta confe.rmato U precedente 
indirizzo giurisprudenziale, affatto prevalente, per cui il termine cli formazione 
del silenzo-rigetto decorre -secondo dl tenore letterale del secondo comma 
dell'art. 17 -dalla presen�azione del ricorso e non dall'emriissione del parere 
della commissione (le d~isioni edite dopo l'entrata in vigore della legge 741, 



1036 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

siderazioni in precedenza esposte, che, nella specie, non si sono verificate 
le condizioni cui � subordinata la qualificazione giuridica dell'inerzia 
dell'AmmiDfistrazione, a sua volta posta a base della successiva fase 
giurisdizionale. Sarebbe stato, perci�, necessario costituire in mora 
l'Amministrazione medesima ai fini della pronuncia sul ricorso amministrativo, 
sia pure attraverso il procedimento contemplato dall'art. 25 
del T.U. �10 gennaio 1957 n. 3, con la connessa possibilit� di adire il 
giudice amministrativo nel caso di persistente inerzia dell'Autorit� amministrativa. 


Viceversa, la Societ� ricorrente, pur dopo aver dichiarato di voler 
attendere il parere della Commissione ministeci.ale, non ha dato luogo, 
in assenza di un atto conclusivo esplicito, alla formarione di presupposti 
idonei a produrre una situazione sostitutiva. 

Non appaiono rilevantii, a questo proposito, le argomentaziorui addotte 
dalla difesa dell'Amministrazione, secondo le quaJi verrebbe considerato 
� inesistente � l'intervenuto parere, in quanto pronunciato dall'qrgano 
collegiale in una composizione che' si assume irregolare. Una 
tale risoluzione sarebbe stata dmpugnabile, ove avesse formato oggetto 
di atto provvedimentale avente contenuto di segno contrario a quello 
del parere, che � favorevole a11'accoglimento del ricorso. Ed � chiaro 
che, qualora un atto siffatto dovesse essere comunicato alla ricorrente, 
quest'ultima dovrebbe ritenersi sottratta aH'onere di porre in mora 

pubblicate solo in massima, non consentono dii stabilire se si tratti o meno 
di fattt:ispecie cli silenzio maturatesi successivamente. Nel senso ora indicato 
cfr., tra le pi� recenti decisioni, T.A.R. Abruzzo -L'Aquila 7 dicembre 1982 

n. 619 in Arch. giur. op. pubbl. 1983, II, 335 dove -nell'annotazione -s'avverte 
trattarsi cli fattispecie anteriore; in senso contrario, T.A.R. Abruzzo -Pescara 
10 giugno 1983 n. 262, dn Trib. Amm. Reg. 1983, I, 2621). 
Si esaminano, ora, gli effetti qella dichiarazione. 

L'Adunanza plenaria ha ritenuto che, per effetto della dichiarazione, lo 

spatium deliberandi attribuito all'autorit� decidente illl�2lier� a decorrere dalla 

data della comunicazione del parere emesso dalla commissione. 

La soluzione vista dal Consiglio di Stato sembra esser stata quella di una 

comunicazione del parere, da parte della commissione, al ricorrente, allo scopo 

di fissare, in modo noto allo stesso ricorrente, l'inizio del termine della fase 

di decisione; e d'un� successiva trasmissione del parere all'amministrazione com� 

petente a decidere. L'Adunanza plenaria parla [nvero di una � comunicazione 

anche prima effettuata in via di fatto, ma che ora deve considerarsi un 

adempimento necessario per l'operativit� della norma� e sembra evddente che 

non possa riferivsi se non ad una comunicazione al ricorrente, essendo la 

trasmissione del parere all'amministrazione implicitamente preveduta dalla 

norma. 

L'Adunanza plenaria ha cos� scartato la soluzione del silenzio-rifiuto, che 
era stata invece accolta dal T.A.R. del Lazio con la decisione in rassegna. 
La soluzione, per una parte, � in linea con quella ora introdotta dalla legge 
8 ottobre 1984 n. 687, nel senso che all'amministrazione � assegnato per� 
decidere uno spazio di tempo successivo all'emissione del parere. 



PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE BD APPALTI PUBBLICI 1037 

l'Amministrazione, in quanto posta di fronte ad atto idoneo a definire, 
sia pure in modo negativo, il proposto gravame amministrativo. 
Per quanto si � dianzi premesso, il ricorso proposto dn questa sede 
va dichiarato inammissdbile. -(omissis) 

II 

(omissis). -1) Comune a tutti i ricorsi � ;il problema se, a seguito 
del trasferimento alle Province di Trento e di Bolzano delle materie 
dei lavori pubblici di interesse provinciale, nonch� dell'edilizia residenziale 
pubblioa, con particolare riguardo -rispetto a quest'ultima all'esecuzione 
delle relative opere, sia attualmente di pertinenza delle 
province medesime anche la potest� decisoria prevista in tema dd revisione 
prezzi dagli artt. 4 e ss. del d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501 
e successive modificazioni, ovvero se essa sia rimasta nella sfera di 
competenm dello Stato. 

Ad avviso dell'Adunanza Plenaria, deve ritenersi esatta la seconda 
solu2lione. 
L'Ente resistente, a sostegno della tesi della competenza provinciale, 
pone in sostanza due argoment�zioni: 

a) L'Istituto Trentino per l'EdilJizia Abitativa, istituito con legge 
provinciale, � sottoposto al controllo ed alla vigilanza -tutela della 

4. � Come si � veduto all'inizio, la legge 687 del 1984 ha aggiunto all'art. 17 
due commi, dn cui si delinea un diyerso modulo di conclusione del procedimento. 
La norma si appliche:r;� riguardo a fattispecie che non possano considerarsi 
concluse attraverso silenzio-rigetto, formatosi alla stregua della interpretazione 
dell'art. 17 data dall'Adunanza plenaria: si ripropone qui il medesimo 
problema di diritto dntertemporale affacciatosi con l'emanazione dell'art. 
17, a proposito della applicabilit� della dichiarazione di voler attendere 
il parere, a situazioni di silenzio-rigetto gi� formatesi in base agli artt. 6 d.P.R. 
1199 e 20 legge 1034 del 1971, problema risolto in senso negatdvo, come 
gi� detto, da T.A.R. Lazio, sez. Ili, 28 febbraio 1983 n. 169. 

Il primo dei commi aggiunti dispone, come si � veduto, che � l'Ammini


strazione a cui il parere � rivolto deve provvedere entro sessanta giorni dal 

ricevimento dello stesso �. 

Rispetto a quella che si � vista essere l'interpretazione data dal Consigldo 

di Stato al secondo comma dell'art. 17, il nuovo terzo comma conduce ad 

individuare il dies a quo per l'esercizio del potere di decidere, nella data 

di ricezione del potere da parte deU'amminiistrazione competente e non in 

quella della sua comunicazione alla parte privata. 

Il termine di sessanta giorni � dato per � provvedere � e si tratta allora 

di stabilire se prima della sua scadenza sia sufficiente che la decisione sia 

adottata o sia anche necessario che sia comunicata. 

La risposta non pu� dipendere dal fatto che il termine sia stabilito 
per provvedere e non per comunicare la decisione: la giurisprudenza ha ad 



1038 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Provdncia, dai cui stanziamenti assume i fondi per la .propria attivit�; 
sarebbe, dunque, singolare ritenere che li Ministero. d�i LL.PP., senm 
avere alcun rapporto con l'ITEA, dovesse occuparsene solo in sede di 
ricorso gerarchico in tema di revisione dei prezzi; . 

b) l'art. 1 del d.P.R. 22 ml}rzo 1974, n. 381, stabilisce che le attri� 
buzioni dell'Amministrazione dello Stato dn materfa (tra l'altro) di edi� 
:tizia comunque sovvenzionata e di lavori pubblici di interesse provin� 
ciale sono esercitate, per il rispettivo territorio dalle province di Trento 
e dii BOlzano; l'art. 3 seguente dispone che, nelle dette materie, sono 
esercitate dalle Province le funzioni amministrative, ivi comprese quelle 
di vigilanza e di tutela, gi� spe~tanti agli organi centrali e periferici 
dello Stato; l'avt. 18 dello stesso testo ribadisce che si intendono sosti� 
tuiti gli organi centrali e periferici dello Stato con gli organi deUa 
Provincia in tutti li casi in cui le disposizioni vigenti nelle materie stesse 
facciano riferimento a funzioni amministrative degli organi o degli uffici 
centrali o periferici dello Stato; pertanto, in mancanza di una riserva 
a favore de11o Stato in merito ai ~�J>rsi relativi alla revisione prezzi, 
la potest� decisoria de~ stessi dovrebbe. ritenersi senz'altro di perti� 
nenza delle Province. 

Al riguardo si osserva che fa prima argomentazione non apporta 
alcun contributo alla. risoluzione del problema, dato c~e il mezzo di tutela 
previsto e disciplinato dagli artt. 4, 7 ed 8 del d.l.C.p.S. n. 1501/1947 

es. accolto la seconda soluzione. per l'annullamento di ufficio delle licenze 
di costruzione illegittime ex art. 7 I. 6 agosto 1967 n. 765 (Cons. St., Ap., 25 
febbraio 1980 n. 8 in Cons. Stato 11980, I, .136) anche se dopo aver seguito un 
costante indirizzo contrario (a partire da Cons. St., rsez. IV, 21 dicembre 1971 

n. 1284 in Cons. Stato 1971, I, 2429 sino a Cons. St., sez. IV, 4 marzo 1975 n. 232 
in Con.S. Stato 1975, I, 25�), mentre .segue il primo indirizzo in tema di 
controllo sugli atti degli enti locali e dell� regioni (Cons. St., sez. V, 28 agosto 
1981 n. 378 iin Cons. Stato, 1981, I, 925; Cons. St., sez. II, 27 gennaio 1976 
n. 142/75, ivi, 1979, I, 76; T.A.R. Lazio, sez. I, 1 febbraio 1984 n. 123, in 
Trib; Amm. Reg. 1984, I, 785). 
Va piuttosto considerato che le disposizioni che si commentano concor� 
rono a dettare la regolamentazione dii un procedimento su ricorso, sicch� 
. l'interpretazione ne va condotta alla stregua della disciplina dei ricorsi am� 
ministrativi, quale risulta dal d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e dall'art. 20 
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Ora, secondo questa disciplina, l'organo 
cui spetta decidere iii ricovso esercita il suo potere quando, nel termine asse� 
gnatogli dalla legge, assume una decisione espressa e la comunica..Nella disci� 
plina comune, l'alternativa al mancato esercizio del potere � costituita dal 
rigetto per silenzio. In quella speciale, l'alternativa � costituita dalla qualifica� 
rione del parere come atto di decisione. 

Al di l� della modifica del termine e della sua decorrenza (sessap.ta giorni, 
anzich� novanta; ricezione del parere, amich� del ricol"so) � giustificato � ritenere 
che il modo di esercizio del potere di decisione, per comunicaxione della 
decisione, non sia mutato. Questa conclusione � congrua sia al dato 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1039 

costituisce un ricorso atipico (c.d. ricorso gerarchico impr9prio), che 
prescinde da:1l'appartenenza dell'organo decidente all'amministrazione 
attiva della materia ed anche dal rapporto di vigilanza. 

La seconda argomentazione, poi, d� 'per scontato che la potest� 
decisoria di cui al decreto legislativo del 1947 rientri tra le generiiche 
attribuzioni di amministrazione attiva in' materia di edilizia sovvenzionata 
e di lavori pubblici, considerate dalle norme richiamate del 

d.P.R. n. 381/1974, come tale da ritenersi senz'altro trasferita. Ma � 
proprio in questo postulato che si annida J'erroneit� della tesi del resistente. 
Invero, nella legislazione di cui al cit. d.l.C.p.S. n. 1501/1947, va 
ravvisata una preminente funzione giustiziale, destinata, a garanzia della 
uniformit� dei giudizi, ad essere esercitata sulla base del parere di una 
commissione Ull!�ca (integrata con il rappresentante dell'Amministrazione 
interessata) da un organo centrale per tutto il territorio nazionale e .tale, 
dunque, da comportare l'esclusione -almeno in assenza di espresse 
P,_revisioni in contrario -della potest� decisoria in questione dal trasferimento 
che delle materie suddette sia stato fatto alle Regioni (o 
alie Province di Trento e di Bolmno). 

Come � stato esattamente rilevato nell'ordinanza di rimessione 
della Sezione IV, la preminente funzione ~ustiziale, nella legislazione 
de qua, � evidenziata, 'in primo luogo, dal carattere di generalit� del procedimento 
grav3:torio da essa regolato, il quale � applicabile per le deter


strutturale, secondo il quale il modulo � dichiarazione di voler attendere il 
parere -comunicazione del parere -inerzia � si pone con la decisione espres� 
sa nello stesso rapporto di alternativa del modulo � ricorso-inerzia �; sia al 
dato funzionale, giacch� la ragione per cui si � dettata la disciplina speciale 
dei ricorsi in materi� di rev,isione dei prezzi � stata quella di conservare 
effettivit� al congegno rappresentato dal parere della commissione, ed � perci� 
conforme a questa ratio l'interpretazione che maggiormente ne assicura 
la stabilit�. Ci� che, del resto, � .in consonanza anche con la riduzione del 
termine per 1a decisione, da novanta a sessanta giorni. 

5. � Sebbene costituisca ipotesi di scuola, va considerato il oaso che il 
parere sopravvenga, sia cio� . comunicato al ministero competente e al ricorrente 
prima che questi abbia dichiarato all'autorit� adita di volers.i. � avvalere 
della facolt� di attenderlo. 
Poich� il passaggio dal modulo decisorio ordinario a quello speciale avviiene 
non per effetto dell'emissione del parere, ma della dichiarazione del 
ricorrente, � da ritenere che essa sia necessaria anche in questo caso. 

6. � Nella decisione in rassegna � prospettato un t�rzo profilo controverso 
della interpretazione dell'art. 17, quello del rapporto tra ricorso amministrativo 
e ricorso giurisdizionale, se cio�, in materia di revisione, il previo esperimento 
del ricorso amministrativo sia necessario o facoltativo e se perci� 
il ricorso giurisdizionale sia esperibile prima ancora della decisione di quello 
amministrativo (secondo quanto ritenuto da Cons. St., Ap. 3 febbraio 1978 
n. 3, in Cons. Stato, 1978, I, 141). Se dell'art. 17 si d� la lettura restrittiva 
cui s'� attenuta la decisione T.A.R. Lazio, sez. III, 28 f�ebbraio 1983 n. 169 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

minazioni in materia di revisione dei prezzi di appalto adottate, oltre che 
dallo Stato, da �tutti gli altri enti pubblici, territoriali e non (art. 1 

d.1.C.p.S. n. 1501/1947; art. 11. n. 1481/1963; artt. l, 3 e 5 1. n. 463/1964; art. 3 
1. 76/1970; art. 2 1. n. 37/1973), anche per opere non assistite dal contributo 
dello Stato; emerge, in secondo luogo, dalile garanzie poste a base dell'eserci:
�o della funzione medesima, quali principalmente quelle costituite 
dali'operativit� del principio del contraddittorio (artt. 5 e 7 d.1.C.p.S. 
cit.) e dalla peculiare composizione de1la commissione chiamata ad esprimere 
parere sui ricorsi, la quale, in quanto composta da magistrati e 
da esponenti di diverse pubbliche amministrazioni e di organizzazioni di 
settore, si connota come palesemente dotata dell'attributo della c.d. 
<�terziet� � (n� � da sottacere, almeno come elemento sintomatico, il 
potere della commissione -previsto dall'art. 4, 6� comma, del d.1.C.p.S. di 
provvedere, secondo i principi della soccombenza, in ordine alla 
rifusione delle spese della procedura, conformemente alla regola propria 
dei procedimenti giurisdizionali). 

D'altra parte, che Ja presenza di ,tale preminente funzione giustiziale 
sia idonea ad escludere la competenza in questione dal generico trasferimento 
della materia -cui essa pur attiene -alle Regioni (ed alle 
Province di Trento e di Bolzano), pu� argomentarsi dn via di interpretazione 
sistematica, dal trattamento operato dall'ordinamento, in sede 
di determinazione delle attribuzioni delle Regioni a statuto ordinario, 
relativamente ai compiti delle commissioni di vigHanza sull'edilizia economica 
e popolare, cui parimenti sono attribuiti poteri decisori di carattere 
giustiziale, in posizione di terziet�. (art. 119 ss. r.d. n. 1265/1938; artt. 19 ss. 

.... 

d.P.R. n. 655/1964; Ad. Pl. C. di S. 11 lugldo 1983 n. 18). Invero, mentre 
con l'art. 93 del d.P.R. 24 luglio 1-977, n. 616, � stata genericamente trasferita 
a tutte le Regioni la materia dell'edilizia residenziale pubblica, solo 
pi� volte richiamata; se soprattutto, si ritiene che non dall'art. 20 legge 
1034 del 1971, ma dagli artt. 2 e 3 della stessa legge derivi l'ammissibilit� 
del ricorso contro provvedimenti non definitivi (cfr. DE ROBERTO, Sulla facoltativit� 
dei rimedi amministrativi avverso atti non definitivi dopo le recenti 
riforme, Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1973, 664 e 670), la proposizione contenuta 
nell'art. 17 della l�gge 741 del 1981 non viene ad innovare il regime preesistente 
e deve intendersi che U ricorso ex art. 4 dl.C.P.S. 6 dicembre 1947 

n. 1501 sia facoltativo (nel senso della facoltativit�, senza che anche qui risulti 
dalla massima, se si trattasse di ricorso anteriore o successivo alla legge 
741, T.A.R. Piemonte 21 ottobre 1983 n. 54 in Trib. Amm. Reg. 1983, I, 3514; 
T.A.R. Piemonte 13 luglio 1982 n. 461 in Arch. giur. op. pubbl. 1983, Il, 128; 
TA.R. Lombardia -Brescia 16 dicembre 1980 n. 386 in Arch. giur. op. pitbbl. 
1981, Il, 156; contra, T.A.R. Abruzzo -Pescara 22 febbraio ,1983 n. 73 in Arch. 
giur. op. pubbl. 1983, Il, 368). 
PAOLO VITTORIA 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURI$. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1041 

con .norma a parte -il successivo art. 94, significativamente intitolato 
� ulteriori trasferimenti in materia cli edilizia pubblica � -�sono state 
� altres� � trasferite le funzioni amministrative esercitate da dette commissioill�. 
Manifestazione questa evidente del convincimento del leg.islatore 
circa la necessit� di disposizoni ad hoc ai fini del trasferimento di funzioni 
siffatte. ; 

Altri argomenti testuali confortano la soluzione qui accolta. 

Iri tema di disciplina della revisione dei prezzi degli appalti delle 
opere pubbliche -che, rispetto all'ordinaria normativa contrattuale di 
essi (impostata sul principio della indifferenza alle sopravvenienze e quindi 
della invariabilit� del prezzo: art. 326 della I. 20 marzo 1865 n. 2248, 
all. F), Sii pone (quanto a presupposti, limiti e mezzi di tutela) come uno 
ius. singulare -iil legislatore statale ha continuato ad emanare disposizioni, 
anche dopo il trasferimento alle regioni (ed ialle Province di Trento 
e di Bolzano) delle materie dei Lavori pubblici (di interesse locale) e della 
edil.izia re&idenziale pubblica. 

Con l'art. 2 della :I. 22 febbraio 1973 n. 37 si sono rafforzati i caratteri 
generale ed inderogabile della disciphlna revisionale, stabilendosi che, 
per tutti i lavori appaltati dalle amministrazioni o aziende dello Stato, 
anche con ordinamento autonomo, dagli enti locali e dagli altri enti 
pubblici, la facolt� di procedere alla revisione dei prezzi � ammessa con 
esclusione di qualsia&i patto in contrario o in deroga. 

Con la legge 21 dicembre 1974 n. 700 sono state introdotte, ancora 
in via generale, nuove disposizioni per il pagamento degli acconti sulla 
revisione dei prezzi. Anche pi� indicativa, ai fini in esame, � la fogge 
10 dicembre 1981 n. 741, ,}a quale -dopo avere dettato nuove norme, 
sempre con carattere di generalit�, in o:rx:line al calcolo ed al pagamento 
della revisione -con l'art. 17 ha rivalutato il procedimento gravatorio 
regolato dal decreto legislativo n. 1501/1947, svincolando dalla rigorosa 
disciplina del silemJi.o sui ricorsi gerarchici, prevista dall'art. 6 del d.P.R. 

n. 1199/1971, �i ricorsi di cui all'art. 4, primo comma� del d.l.C.p.S. 
n. 1501/1947 ed attribuendo ,al rucorrente la facolt� di �attendere l'emissione 
del parere di cui �al secondo comma dell'art. 4 � del detto decreto 
legislativo, prima dell'eventuale ricorso giurisdizionale. 
Orbene, poich� i ricorsi di cui all'art. 4, primo comma, del citato 
decreto sono quelli ammessi contro le determinazioni in materia revisionale 
adottate dall'Amministrazione pubblica in generale ed il parere, di 
cui al secondo comma dello stesso art. 4, � quello della speciale commissione,. 
preovdinato al decreto ministeriale decisorio, da tali disposizioni 
sembra potersi desumere la conferma dell'esclusione della potest� in 
questione dal generico trasferimento delle materie suddette alle Regioni 
(ed alle Province di Trento e di Bolzano). 

Del resto, il fatto che solo con la legge provinciale trentina 3 gennaio 
1983 n. 2 siano state emanate norme particolari per l'attribuzione 


RASSI:<GNA DELL'AVVOCATURA Dfll.O STATO 

deLcontenzioso rev~sionale,agli -0rgani locahi, �-,dimostmtivo quanto meno 

della incertezza, da parte della stessa Provincia, in ordine al trasferimento 
ad essa della competenza in materia. 

Pertanto, i ricorsi nn. 811, 812 e 813 del 1982 vanno dichiarati irrice 
vtibili, in quanto ~ ricorsi gerarchici impropni alla Provincia di Tre~to, 
che li hanno preceduti, non essendo previsti dalla legge, non sono idonei 
ad impedir~ la decadenza. (art. 2966 cod. civ.). 

2) Il ricorso n. 569 del 1979 va dichiarato inammissibile per difetto 
di interesse. 

Con .le due lettere nn. 1958 e 1959 del 30 dicembre 1978 l'impresa 
ricorrente aveva richiesto al resistente I.T.E.A., rispettivamente per i 
contratti delle torri 12 e 14, il riconoscimento dei maggiori oneni riguardanti 
il costo della mano d'opera, m dipendenza del contratto aziendale 
da essa stipulato in data 23 settembre 1976, richiamandosi alla circolare 
del Ministero dei LL.PP. n. 1952 dell'll marzo 1978. 

Con nota raccomandata del 12 gennaio 1979 n. 128, il Presidente 
dell'I.T.E.A. rispondeva che, in riferimento alle predette Jettere, si doveva 
tenere conto della circolare del Ministero dei LL.PP. n. 7595 del 29 novembre 
1978, con la quale si era conclusivamente escluso, che gli accordi 
aziendali, anche per il Limitato peniodo transitorio intercorrente tra 
l'ottobre 1976 e foglio 1977, potessero essere compresi tra ~i accordi ed i 
contratti collettivi considerati dall'art. 1 della 1. n. 463/1964 e J>Otessero 
avere rilevanza ai fini della revisione dei prez7Ji; ed aggiungeva che � oi� 
premesso la vostra richiesta non pu� essere presa in esame ed� � superfluo 
qualsiasi altro incombente da entrambe le parti �. 

Orbene, tale nota conteneva Ia determinazione, concreta e definitiva 
(come � reso palese dall'ultima frase), dell'Ente di negare la revisione dei 
prezzi, per la parte afferente ai maggiori oneri derivanti dal contratto 
aziendale; e contro questo atto, pertanto, l'Impresa avrebbe dovuto proporre 
gravame, nei termini di legge. 

Invece l'Impresa, con nota n. 139 del 29 gennaio 1979, insisteva nella 
propria richiesta. Ed il Pre&idente dell'Ente, Con nota 14 febbraio 1979 

n. 1524, rispondeva che ,l'Istituto non poteva che confermare quanto 
contenuto nella precedente nota, , ribadendo che l'ultima circolare ministeriale 
era categorica ndl'affermare che gli accordi aziendali, anche per 
il periodo transitorio ottobre 1976-lugLio 1977, non potessero avere rilevanza 
mfini della revisione dei prezzi. 
!

Contro questa nota l'Impresa ~a proposto, in data 8 marzo 1979, 
ricors� amministrativo al Ministro dei LL.PP. e poi,' decorso inutilmente 
n termine di 90 giorni, queno giurisdizionale n. 569 del. 17 settembre 1979. 

I 

Ma l'atto cos� impugnato -in quanto emanato dalla stessa Autorit� che I 
': 
aveva adottato il precedente provvedimento, nella medesima situazione 

l 

di fatto e di diritto e senza alcun rilevante profilo di novit� -ha natura 

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/ 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1043 

meramente confermativa del provvedimento del 12 gennaio 1979, come 
ha esattamente eccepito il resti.stente. 

Nessun vantaggio potrebbe derivare, pertanto, dall'annullamento di 
tale atto alla lii.corrente, il cui interesse continuerebbe ad essere inoppugnabilmente 
leso dal provvedimento confermato. 

Infondata �, �invece, la medesima eccezione formulata dall'I.T.E.A. 
nei confronti dei ricorsi nn. 259, 260 e 261 del 1983, proposti contro le 
determinazioni 11 novembre 1981 di approvazione dei conti finali e di 
determinazione definitiva della revisione prezzi, relativamente ai tre appalti 
per la costruzione delle torri 13, 14 e 12. 

Assume la difesa del r�sistente che, in ordine alla questione delle 
tabelle dei prezzi della mano d'opera da considerare come dato di partenza 
della revisione (oggetto di tali ricorsti.) l'Ente aveva gi� da tempo manife� 
stato l'intento di tener conto, non delle fa.belle � cognite �, ma di quelle 
comunque vigenti al momento delle offerte; e ci� con precedenti .atti 
amministrativi, che erano stati anche impugnati. 

Ma tale assunto non risulta dimostrato. 

Anzi, nella decisione 27 ottobre 1981 n. 800 della Sezione IV di questo 
Consiglio, emessa tra le stesse parti in ordine all'impugnativ� della nota 
6 luglio 1978 dell'I.T.E.A., si legge che tale nota non conteneva alcuna 
determinazione concreta di diniego (totale o parziale) della revisdone, ma 
semplicemente una precisazione sulle tabelle dei costi della mano d'opera 
da considerarsi nel calcolo revisionale (rdspetto alla quale non sorgeva, 
dunque, un obbligo di pronuncia da parte dell'autorit� adita in via amministrativa, 
con la conseguente irricevibilit� del rncorso). 

Ora, � evidente che quando l'atto precedente non costituisca un vero 
e proprio provvedimento amministrativo, il problema della conformativit� 
o meno dell'atto successivo -per gli effetti in esame -non sorge 
neppure. 

3) Ma l'esame dei ricorsi nn. 259, 260 e 261 dei 1983-implica la risoluzione 
ili un ulteriore problema. 

Come si � ricordato nell'esposi2lione in fatto, alla loro proposizione 
l'Impresa iistante � pervenuta esperendo previamente i gravami amministrativi 
di cui al ridetto d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, e dichiarando di 
volere attendere l'emissione dei pareri della commissione consultiva 
anche oltre il novantesimo giorno, secondo quanto ora consentita dal: 
l'art. 17 della 1. n. 741/1981. Parern questi che sono stati� in effetti emessi, 
mentre il Ministro dei LL.PP. non ha adottato le proprie decisioni, neppure 
a seguito di diffide a provvedere, notificate ai sensi dell'art. 25 del 

t.u. n. 3/1957 e prodotte in atti. 
Si deve, quindi, decidere se ci si trovi di fronte ad ipotesi di silenziorigetto 
o di silenzio-rifiuto, al fine di determinare l'ambito della cognizione 
del giudice, che -com'� noto -nel primo caso Sii estende all'esame della 
legittimit� o meno dei provvedimenti gravati in via amministrativa, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEI.LO STATO

1044 

mentre nel secondo caso � limitato all'esame della giustifi.cabilit� o meno 
del rifiuto della pubblica amministrazione a pronunciarsi. 

L'art. 17 della detta legge, con il primo comma, ha dichiarato inapplicabm 
ad ricorsi in questione f'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971 e l'art. 20 
della I. n. 1034/1971; con il secondo comma, ha disposto: �Scaduto il 
t�rmine di novanta giorni dalla presentazione del nicorso di cui all'art. 4, 
primo comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 
6 dicembre 1947, n. 1501, il nicorrente pu� dichiarare, nei successivi sessanta 
giorni, all'autorit� adita di volersi avvalere della facolt� di attendere 
l'emissione del parere di cui al secondo comma dell'art. 4 del decreto 
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 1947, n. 1501, 
prima dell'eventuale adizione del giiudice amministrativo�. 

La disposi2lione -aggiunta al testo, a quanto rJsulta, in sede di 
discussione in aula e non bene coordinata con i pnincipi del sistema risulta 
di difficile interpretazione, sul piano letterale. L'interpretazione 
letterale va, quindi, integrata con quella logica, tenendo conto delle 
vicende cui la norma Sii riconnette e della finalit�, che essa persegue; 
nonch� con quella sistematica. 

Come � noto, -l'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971 dispone che, trascorsi 
novanta giiorni dalla data della presentazione del ricorso (gerarchico) 
senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si 
intende respinto a tutti gli effetti, con la conseguenza che contro il provvedimento 
impugnato � esperibile il ricorso all'autorit� giunisdizionale 
competente o quello straordinario al Presidente della Repubblica. 

Rispetto ai ricorsi di cui al decreto legislativo n. 1501/1947, la giurisprudenza 
di questo Consiglio aveva inizialmente ritenuto che il termine 
di novanta giorni per la forma:ziione del silenzio-rigetto iniiziasse a decorrere 
solo dopo che su di essi fosse intervenuto il previo parere obbligatorio 
della commissione ministeriale, in quanto, sino a quel momento, 
l'Autorit� decidente non avrebbe avuto la disponibiilit� del ricorso e non 
sarebbe stata -in concreto e legalmente -in grado di provvedere. 

Ma questo orientamento era stato poi superato, perch�, essendo stato 
affermato (Ad. pl. 7 febbraio 1978 n.. 4) il pnincipfo che la disciplina prevista 
dall'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971 � applicabile ad ogni tipo di ricorso 
amministrativo, sia esso gerarchico proprio che improprio o atipico -si 
era nitenuto che a non diversa solu2lione potesse condurre la previsione, 

nella materia de qua, di un parere obbhlgatorio da parte della commissione 
ministeriale, atteso che il termine prescritto dal citato art~ 6 -di 
carattere tassativo e perentorio -in nessun caso risultava correlato dalla 
legge all'articolazione in pi� fasi, anche di carattere obbligatorio, del 
procedimento stesso (Sez. IV, 15 dicembre 1978, n. 1242). 

Ma la soluzione, da ultimo accolta dalla giurisprudenza, rendeva 
praticamente impossibile -attesa la brevit� del termine -l'esercizio 
delle funzionii della menzionata commissJone (che spesso si trova nella 

............................. ... .......................... .. 
...-..,,..,..........,.~~..,�~~� ............J 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1045 

necessit� di esperire mezzi istruttori di non rapido espletamento, anche 
per potersi esprimere su questioni di ordine tecnico o di merito), preclu� 
dendo cos� l'esercizio del potere decisorfo del Ministro, ben pi� pene� 
trante di quello -di sola legittimit� -del giudice amministrativo. 

Per risolvere questo problema, molto sentito dalla categoria interessata, 
� stata prevista la disposizione dell'art. 17, la quale, dunque, perse� 
gue iil fine (per quanto qui interessa) di � recuperare � �il ricorso amministrativo 
ed il relativo procedimento, disciplinati dal decreto del 1947 
(e successive modifiche), nel rispetto delle esigenze di maggiore tutela 
espresse dal d.P.R. n. 1199/1971. 

Si � attribuito, perci�, all'interessato una facolt� di scelta: eglii, infatti, 
nei sessanta giorni successivi alla scadenza del termiine (di novanta 
giorni) per la formazione del silenzio-rigetto, pu� proporre il ricorso giurisdizionale 
contro il provvedimento impugnat�> ovvero pu� dichiarare 
all'Autorit� adita con il ricorso amminiistrativo di voler attendere l'emis� 
sione del parere della Commissione ministeriiale, prima dell'eventuale 
� adizione del giudice amministrativo �. 

Ma, affinch� la disposiizione consegua pienamente il suo scopo, deve 
riconoscersi -ad avviso del Collegio -alla dichiarazione del ricorrente 
(cui appunto compete la facolt� dispositiva al ci.guardo) l'effetto di spostare 
a dopo la comunicazione dell'emissione del detto parere il decorso 
dello spatium deliberandi, attribuito all'Autorit� decidente. 

In altre parole, dalla data della comunicazione della emissione del 
parere della commissione (comunicazione anche prima effettuata in via 
di fatto, ma che ora deve considerarsi un adempimento necessario per 
l'operativit� della norma) inizia a decorrere iil termine di novanta giornii 
per la comunicazione della decisione del ricorso. Dall'Jnutile decorso di 
questo termine inizia a decorrere, poi, quello di sessanta giorni per la 
proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento impugnato 
in sede amministrativa (mentre il termine dii sessanta giorni per 1a 
proposizione del gravame contro la decisione, se emessa e comurucata nei 
novanta giorni, decorre ovviamente dalla comunicazione della stessa). 

Non pu�, invero, condiividersi l'opiinione della difesa dell'Impresa 
-ispirava ad una interpretazione soltanto letterale della norma -secondo 
cui la dichiarazione del ricorrente comporterebbe J'effetto di differire 
la sola proposizion~ del ricors~>, il cui termine ini:ziierebbe a decorrere 
dalla comunicazione della emissione del parere, perch�, in tale caso, la 
portata della disposizione risulterebbe assai modesta: infatU, il parere 
� obbl.iigatorio, ma non vincolante e, d'altra parte, fa riistrettezza del 
termine di sessanta giorni costringerebbe l'interessato a proporre quasi 
sempre, e come prima, il ricorso giurisdizionale contro il provvedimento 
orginario. N� pu� condiviidersi l'avviso, espresso in dottrina, secondo 
cui la dichiarazione suddetta opererebbe bens� rispetto al solo ricorso 
giurisdizionale ma, il termine per proporlo inizierebbe a decorrere dalla 


1046 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

comunica7lione, non del parere, ma del decreto decisorio del ricorso, 

per�h�, in tal caso, l'interessato rimarrebbe privo di un efficiente mezzo 

di tutela contro l'inerzia. 

Alla stregua dell'interpretazione accolta e del ridetto art. 17, sd deve, 

dunque, ritenere che, nella specie, ci si troVli di fr�nte ad ipotesi di 

silenzio-rigetto, in quanto, per effetto delle dichiarazioni rese dall'Impresa 

nei' tre procedimenti dal 21 gennaio 1983 (data di comunicazione della 

emissione dei pareri), � iniziato il decorso del termine di novanta giorni 

per deliberare sui ricorsi; e che le diffide, notificate (il 21 febbraio 1983) 

durante tale spazio di tempo, hanno avuto solo funzione sollecitativa e 

comunque non hanno modificato l'effetto del comportamento omissiivo. 

Benvero, anche i'ricorsi giurisdizionali sono stati notificati (il 10 mar


zo 1983) nel corso del suddetto termine. Ma l'errore (se vi �:_ V. Ad. Pl. 

27 gennaio 1978 n. 2) appare scusabile, considerata la� novit� e comples


sit� della questione; e, d'altra parte, il Mj.nistro non ha provveduto sui 

ricorsi, n� durante lo spatiwn deliberandi, n� dopo. 

4) Nel merito, i ricorsi nn. 259, 260 e 261 del 1983 sono fondati. 

Pacifici essendo gli 'estremi di fatto, Si deve decidere se -come dato 

di partenza della revisione -debbano essere assunti i costi della mano 

d'opera resi noti dopo la data delle offerte ma applicabili con effetto 

l

retroattivo a pemodi comprensivi delle offerte (come ha operato l'Ente f 
appaltante), oppure debbano. essere utilizz�ti quelli risultanti� dalle tabelle ~


�

gi� note all'epoca delle offerte (come pretende l'Impresa). ~ 

~ 

Il collegio ritiene esatta la seconda soluzione. La legge (art. 1 d.1.C.p.S. f: 

n. 1501/1947) pone il preciso criterio del riferimento ai prezzi correnti 
~ 

all'epoca dell'offerta; e sono corren1li i prezzi che, in un determinato 

i 
~ 

periodo servono a compensare la prestazione alla quale si riferiscono, e 
quindi quelli noti. 
Nella specie, l'Impresa, al momento delle offerte del 13 aprile 1976 
per gli appalti delle Torri 12 e 14, si � basata evidentemente sui costi 


I 

della mano d'opera risultanti dalla tabella 133, che era quella nota; non 

I

sui costi della tabella 134, che doveva essere ancora pubblicata. 
Parimenti, al momento dell'offerta del 18 novembre 1976 per l'appalto 


I 

I 
! 

della Torre 13, l'Impresa 'si �. basata sulla tabella 138 e non sulla tabella ! 
� 139, cognita H 19 novembre 1976. , 

� Che le tabelle 134 e 139 siano entrate I�n vigore con effetto retroattivo, 

rispettivamente dal 1� aprile 1976 e dal 1� novembre 1976, non �, quindi, 

rilevante ai fini revisionali. 

I 

I ricorsi suddetti vanno, quindi, �accolti e le determinazioni dell'I.
T.E.A. in data 11 novembre 1981 (comunicate con note-23 novembre 1981 


I 

nn. 10852, 10853 e 10854) vanno annullate, limitatamente all'errore di cal-~ ' 
colo derivante dall'avere assunto -come dato di partenza della revil 


sione -costi della mano d'opera non msultanti dalle tabelle gi� 
al momento delle offerte. (omissis) 

note ! 

I 

I 

f 

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i 

I 


SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sez. III, 5 novembre 1984, n. 1445 � 
Pres. Radaelli -Rel. Damasco -Rie. P. G. -parte civile Ministero del . 
Tesoro (avv. dello Stato Fiumara) e Zanon di Valgiurata ed altri. 

Reato -Reati valutari -Art. 392, terzo comma, c.p.p. -Applicabilit�. 

Reato -Reati valutari -Avocazione della istruzione sommaria da parte 
del Procuratore Generale presso la Corte di Appello -Art. 4 dJ. 4 marzo 
1976 n. 31 -Applicabilit�. 

Reato -Reati valutari � Questione di illegittimit� costituzionale dell'art. 
2 legge 30 aprile 1976 n. 159, mod. dall'�rt. 3 legge 8 ottobre 1976 

n. 689 per contrasto con l'art. 25, secondo comma, Costituzione -Manifesta 
infondatezza. 
Reato -Reati valutari -Questione di illegittimit� costituzionale dell'art. 2 
legge 30 aprile 1976 n. 159, mod. dall'art. 3 legge 8 ottobre 1976 n. 689 
per� contra8to con l'art. 24 della Costituzione -Manifesta infondatezza. 

Reato -. Reati valutari -Questione di illegittimit� costituzionale degli 
artt. 1 e 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e dell'art. 27 codice penale per 
contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. -Manifesta infondatezza. 

Reato -Reati valutari � Questione di illegittimit� costituzionale degli 
artt. 105 e 107 c.p.p. per contrasto con l'art. 24, secondo comma, 
Costituzione -Manifesta infondatezza. 

Reato -Reati valutari -Art. 8 dJ. 4 marzo 1976, n. 31, sostituito dall'art. 1 
legge 30 aprile 1976 n. 159 -Riferibilit� a tutte le ipotesi criminose 
previste nel dJ. citato. 

Reato -Reati valutari -Societ� per Azioni -Fatti-reato addebitati a suoi 
amministratori -Citazione ad opera del Ministero del Tesoro, parte 
civile, della societ� quale responsabile civile -Legittimit�. 

� Reato -Reati valutari -Costituzione di parte civile del Ministero del 
� Tesoro -Danno risarcibile. 

Reato -Reati valutari -Condanna generica al risarcimento danni a favore 
del Ministero del Tesoro costituitosi parte civile -Necessit� di prova 
della effettiva sussistenza del danno e del nesso di causalit� tra 
questo e l'autore dell'illecito � Insussistenza -Accertamento di fatto 
potenzialmente produttivo di conseguenze dannose -Sufficienza. 

Il terzo comma dell'art. 392 cod. proc. pen. (avocazione della istruzione 
sommaria da parte del Procuratore Generale presso la Corte di Appello) 
trova applicazione anche in tema di reati valutari. 

15 



1048 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In tema di reati valutari il Procuratore Generale presso la Corte 
di Appello, che ha avocato �a s� l'istruzione sommaria, � competente a 
richiedere al Tribunale il giudizio direttissimo pre1Jisto dall'art. 4 d.l. 
4 marzo 1976 n. 31. 

� manifestamente infondata la questione di, illegittimit� costituzionale 
dell'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, modificato dall'art. 3 legge 8 ottobre 
1976 n. 689, per contrasto con l'art. 25, secondo comma, Costituzione. 

� manifestamente infondata la questione di illegittimit� costituzionale 
dell'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, modificato dall'art. 3 legge 
8 ottobre 1976 n. 689, per contrasto con l'art. 24 Costituzione. 

� manifestamente infondata la questione di il.}egittimit� costituzionale 
degli artt. 1 e 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e dell'art. 27 cod. pen., per 
contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione. 

E manifestamente infondata la questione di illegittimit� costituzionale 
degli artt. 105 e 107 cod. proc. pen. per contrasto con l'art. 24, secondo 
comma, Costituzione. 

L'art. 8 del d.l. 4 marzo 1976 n. 31, sostituito dall'art. 1 della legge 

i 
30 aprile 1976 n. 159, � riferibile -a tutte le ipotesi criminose previste 

~ 

nel d.l. citato. l 

Qualora siano contestati agli imputati illeciti valutari commessi i 
agendo quali amministratori di societ� per azioni, � legittima la citazione 
ad opera del Ministero del Tesoro, costituitosi parte civile, della societ� 

l 

quale responsabile civile ai sensi dell'art. 105 cod. proc. pen. i 
In procedimento penale per reati valutari previsti dall'art. 1 d.l. 4 mar' 


~ 

zo 1976 n. 31 e dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, il Ministero del i 
Tesoro � legittimato a costituirsi parte civile solo per il danno connesso 

!

agli interventi imposti a detto Ministero per porre rimedio al disavanzo i 
della bilancia dei pagamenti conseguente al reato. ! 

In tema di reati valutari, per aversi condanna generica degli imputati I 
e del responsabile civile al risarcimento del danno subito dal Ministero I del Tesoro costituitosi parte civile, non � necessaria la prova della l 
effettiva sussistenza del danno e del nesso di causalit� tra questo e l'autore 
dell'illecito, ma � sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente 

I 

i

produttivo di conseguenze dannose. 

(omissis) Ai fini di una organica valutazione delle varie questioni 
sottoposte al giudizio di questa Suprema Corte, appare opportuno esaminare, 
innanzi tutto e singolarmente, le numerose questioni pre~udiziali 
che, se pur sollevate da alcuni solo dei ricorrenti, interessano peraltro 
la posizione di tutti e, solo successivamente passare all'esame di quelle 
particolari riguardanti i singoli. 

1) Questioni di legittimit� costituzionale. 
Da parte di alcuni ricorrenti (soc. La Centrale Finanziaria Generale, 
Antonio Tonello, Giuseppe Zanon di Valgiurata) sono state r�iproposte 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

in questa sede le questioni di legittimit� costituzionale degli artt 1 e 2 
della legge 30 aprile 1976 n. 319, per asserito contrasto con gli artt. \3, 24, 

. 2~ e 27 della Costituzione, nonch� -da parte della sola Centrale -anche 
la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 185 e 107 cod. proc. 
pen., per asserito contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione. 
Tale ultima questione, peraltro, � stata sollevata solo in via subordinata 
e per il caso di mancato accoglimento di una tesi in diritto avanzata, 
in via principale, dallo stesso ricorrente con il primo motivo di ricorso. 
Ne deriva, quindi, la necessit� di rinviare l'esame di tale questione 
al momento in ctii sar� esaminato il fondamento della tesi principale 
della Centrale. 
Ci� premesso osserva la Corte: 
� stata, in primo luogo, eccepita la illegittimit� costituzionale 
dell'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, mod. dall'art. 3 della legge 8 ottobre 
1976' n. 689, per contrasto con il principio di irretroattivit� della legge 
penale sancito dall'art. 25 della Costituzione; e ci� in quanto -cos� 
� si assume -la menzionata norma valutaria, anche se apparentemente 
incrimina l'omesso rientro di disponibilit� valutarie od attivit� costituite 
all'estero anteriormente al 6 marzo 1976, in realt� finirebbe col rendere 
punibile proprio il pregresso illecito amministrativo; il che sarebbe 
dimostrato anche dal fatto che la pena da irrogare per il reato sarebbe 
fissata in misura proporzionale al quantum. delle disponibilit� possedute. 
L'assunto � palesemente infondato, in quanto non considera che in 
base alla nuova normativa del 1976 la pregressa illegittima costituzione 
di �ttivit� o disponibilit� valutarie all'estero costituisce mero presupposto 
di fatto del reato, il quale invece si realizza e si perfeziona esclusivamente 
per effetto della mancata osservanza del � nuovo obbligo � imposto dalla 
legge di denunciare l'esistenza illegittima di capitali all'estero e di farli 
rientrare in Italia. 
Non quindi sanzione penale per un pregresso illecito amministrativo 
(che continua, per quanto attiene al passato, a conservare tale sua specifica 
natura), bens� sanzione penale per un �nuovo comportamento� 
posto in essere dall'imputato successivamente all'entrata in vjgore della 
legge. 
Del resto, che esuli totalmente dall'ambito della norma la repressione 
penale del pregresso illecito amministrativo (costituente, come si 
� detto, mero presupposto di fatto del reato) � dimostrato altres� dall'ulteriore 
decisiva considerazione che in tanto pu� sussistere l'obbligo 
di denuncia e di rientro in quanto, al momento dell'entrata in vigore della 
legge del 1976, le menzionate disponibilit� si trovino ancora all'estero e, 
per converso, che la entit� della sanzione penale da comminare per la 
perpetrazione della nuova figura di reato deve essere correlata non gi� 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

alla situazione esistente al momento in cui venne commesso l'illecito 
amministrativo, ma a quello diverso in cui, per la prima volta, sono stati 
imposti gli obblighi de quibus (e, quindi, tenendo conto degli eventuali, 
jntervenuti aumenti o diminuzioni di �disponibilit� verificatisi nel frattempo). 


L'illegittimit� costituzionale dell'art. 2 della legge del 1976 � stata , 
dedotta (dal ricorrente Zanon) anche con riferimento all'art. 24 della 
Costituzione, sotto il profilo che la dichiarazione all'Ufficio dei Cambi 
imposta dalla menzionata norma valutaria comporterebbe, di per s�, 
oltre alla confessione dell'illecito amministrativo (per il quale � stabilita 
la sanatoria), anche quella di fatti diversi previsti dalla legge come reato 
e, quindi, un illegittimo obbligo di autodenuncia contrastante con il 
principio del. nemo tenetur se detegere. 

Anche tale assunto � manifestamente infondato; e ci� per un duplice 
ordine di considerazioni: 

Innanzi tutto; perch� la legge impone esclusivamente di dichiarare 
il pregresso illecito amministrativo e non pure altri fatti diversi integranti 
eventualmente la figura di reato; per cui l'eventuale scoperta di 
illeciti penali connessi con quello ammiriistrativo costituisce semmai il 
frutto di autonome e diverse indagini effettuate dagli organi dello Stato; 
indagini che, quindi, si presentano collegate alla dichiarazione de qua da 
un mero rapporto di occasionalit� e non. certo da un rapporto diretto 
e necessario. 

In secondo luogo e comunque, perch� -come � stato gi� osservato 
da questa Suprema Corte con sentenza n. 7096 del 26 aprile 1984, rie. 
Della Piazza + 1 "'"--nessun contrasto pu� essere ravvisato tra la disciplina 
dettata dalla citata norma valutaria e l'art. 24 della Costituzione. 

Proprio in relazione ad un'caso in cui si sollevava questione di costituzionalit� 
relativamente ad una norma che imponeva a determinati cittadini 
di denunciare all'autorit� di vigilanza e di controllo un loro futuro 
comportamento che, se messo in atto, costituiva reato, la Corte Costituzionale, 
con sentenza n. 10 del 10 febbraio 1963, ha dichiarato la manifesta 
infondatezza della questione, osservando che l'art. 24 della Costituzione, 
in tutto il suo contenuto (oltre che per il suo secondo comma 
che, nel parlare in particolare del diritto di difesa, stabilisce essere la 
difesa diritto inviolabile �in ogni' stato e grado del procedimento�), si 
riferisce esclusivamente al giudizio ed alle garanzie assicurate a �hi 
deve agire in giudizio o comunque subire un giudizio, e non si estende a 
considerare i momenti anteriori dai quali esso trae origine. 

Tale principio � stato, poi, ulteriormente ribadito dalla Corte Costituzionale 
con la successiva sentenza n. 149 del 15 dicembre 1967, ed altre, 
fra cui notevole la sent. n. 236 di quest'anno, intervenuta nel frattempo, 
proprio in termini. 

I 

I 

I 

I 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

� stata, infine, .sollevata (dal ricorrente Tonello) questione di legittimit� 
costituzionale degli artt. 1 e 2 della citata legge n. 319 del 1976 
e 27 cod. pen., per asserito contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione. 

In particolare, si assume che il sistema adottato dagli artt. 1 e 2 della 
legge, in conformit� all'art. 27 cod. pen. (irrogazione di pene pecuniarie 
proporzionali all'entit� delle somme esportate o no. rimpatriate) darebbe 
luogo ad una sanzione irragionevolmente sproporzionata� alla� colpevolezza 
del soggetto (con violazione dell'art. 3 della Costituzione) e si 
porrebbe in contrasto con il principio di � umanit� � della pena consacrato 
dall'art. 27, secondo comma della Carta Costituzionale. 

Inoltre, il criterio adottato nella specie dal legislatore -in quanto 
fondato su di un calcolQ � estrinseco.� alla sfera del condannato importerebbe 
la violazione del principio di personalit� della responsabilit� 
di cui all'art. 27, primo comma, della Costituzione. 

Anche tale questione (sulla quale gi� si � pronunciata la Corte Costituzionale 
con sentenza �n. 167 , del 1971) si presenta manifestamente 
infondata. 

Non sussiste, infatti, violazione del principio secondo il quale la 
]:'.esponsabilit� penale � personale, in quanto l'entit�� della pena pecuniaria 
da infliggere al condanmlto � stata dalla legge agganciata proprio 
all'entit� del fatto-reato commesso da costui. 

Nemmeno, poi, pu� parlarsi di violazione del principio di � umanit�� 
della pena, sia perch� l'effettivo pagamento della pena pecuniaria jnflitta 
risulta pur sempre condizionato dall'effettiva entit� del patrimonio del 
condannato, sia perch�, in caso di effettiva insolvibilit� di costui, non 
pu� farsi luogo alla espiazione di pena alternatiya, stante l'illegittimit� 
costituzionale della conversion~. delle pene pecuniarie in pene detentive, 
dichiarata dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza 21 novembre 
1979 n. 131. 

� 2) Dedotta incompetenza funzionale del Procuratore Generale a 

promuovere �il giudizio dir�ttissimo e nullit� degli atti istruttori da 

questi compiuti. 

Con riferimento all'avocazione ed alla successiva attivit� posta in 

essere dal Procuratore Generale ih relazione al procedimento per reati 

valutari originariamente affidato alle cure del Sostituto Procuratore della 

Repubblica, � stata eccepita la violazione dell'art. 185 n. 2 cod. proc. pen., 

in relazione agli artt. 74, 232, 234, 391, 392, ultimo comma e 502 stesso 

codice; degli artt. 70 e 74 dell'ordinamento giudiziario, nonch� dell'art. 4 

del d.l. 4 marzo 1976 n. 31, integrato dall'art. 1 della legge 30 marzo 1976 

n. 159. 
In particolare � stata dedotta la totale illegittimit� della disposta 
avocazione, in quanto contrastante con la natura eccezionale dell'istituto, 
non suscettibile di applicazione analogica e, quindi, non utilizzabile. in 
casi diversi da quelli tassativamente previsti dalla legge .. 


1052 RASSllGNA DBU.'AVVOCATURA DF.LLO STATO 

L'assunto non pu� esere accolto, in quanto postula, in radice, la 
tesi di una limitata titolarit� della iniziativa penale da parte del Procuratore 
Generale, tesi contrastante col sistema desumibile dall'art. 112 
della Costituzione e dagli artt. 74, 220, 233, 234, primo 'comma, e 392, terzo 
comma cod. proc. pen. 

La citata norma costituzionale, infatti, nel sancire l'obbligo incondizionato 
di esercizio dell'azione penale, fa riferimento comprensivo all'istituto 
del Pubblico Ministero, cio� ad un organo che secondo le leggi comprende 
sia il Procuratore Generale che il Procuratore della Repubblica; 
si riferisce, �io�, al P. M. come istituto organicamente concepito dalle 
leggi, in sede locale, nel modo che risulta altresl dall'art. 74 cod. proc. pen.; 
tale norma, proprio con riferimento all'esercizio dell'azione penale, parla 
anch'essa genericamente di Pubblico Ministero, con ampia accezione 
comprensiva di entrambi gli organi locali di esso, confermata sia 
dall'art. 233 cod. proc. pen., che impone al Procuratore della Repubblica 
di informare il Procuratore Generale presso la Corte d'appello � delle 
querele, delle denunce ... e di ogni altra notizia di reato � a lui pervenuta, 
sia dall'art. 234, primo comma, stesso codice, che abilita il detto Procuratore 
Generale ad esercitare la facolt� attribuita al Procuratore della 
Repubblica dall'art. 232 cod. proc. pen. di procedere, anche direttamente, 
ad atti di polizia giudiziaria, ovvero di espletare egli stesso l'istruzione 
sommaria. (Si tenga conto anche dell'art. 220 cod. proc. pen. circa la 
contemporanea subordinazione degli organi di polizia giudiziaria al Procuratore 
Generale e al Procuratore della Repubblica). 

In tale ultima ipotesi (c.d. potere di sostituzione) al Procuratore 
Generale sono dunque riconosciuti tutti i poteri preliminari, di iniziativa 
penale e di istruzione spettanti al J>rocuratore della Repubblica; in pari 
modo, coerentemente col sistema descritto, gli va riconosciuto di norma 
quello di avocazione attribuitogli dall'art. 392, terzo comma, cod~ proc. pen. 

In particolare -per quanto attiene ali~ avocazione ed alla sostituzione 
-� il caso di sottolineare come, con numerose pronunce (cfr. principalmente 
C. C. 19/27 novem,bre 1963 n. 148 e 18 marzo/2 aprile 1964 

n. 32), la Corte Costituzionale, pur effettuando una parziale revisione delle 
norme relative, ha riconosciuto, peraltro, la legittimit� costituzionale 
dei due istituti, in quanto non spostano la competenza di alcun giudice, 
ma attengono unicamente ai rapporti tra due uffici del Pubblico Ministero 
e rispondono ad esigenze strettamente connesse al miglior funzionamento 
dell'attivit� giudiziaria. � 
Una volta ammessa l'ampiezza dei poteri come sopra riconosciuti dalla 
legge al Procuratore Generale preso la Corte d'Appello, non sembra a 
questa Corte che, per escludere la legittimit� dell'avocazione di un giudizio 
direttissimo' da parte del Procuratore Generale medesimo, possa 
fondatamente invocarsi il contenuto dell'art. 502 cod. proc. pen., e ci� 
per le seguenti considerazioni: innanzitutto va rilevato -bench� non 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1053 

sia di per s� argomento decisivo -che la detta norma � posta tra quelle 
che regolano lo svolgimento dei giudizi (Capo IV del libro III) e non 
tra quelle sopra esaminate che, invece ed esplicitamente, riguardano i 
poteri e le attribuzioni del P.M. In secondo luogo, nell'art. 502 la menzione 
del solo Procuratore della Repubblica ha una sua particolare e 
specifica ragion d'essere, che la rende inestensibile ad altre ipotesi. Nel 
giudizio direttissimo di cui al detto articolo l'arrestato deve necessariamente 
essere presentato al Procuratore della Repubblica (art. 244 
cod. proc. pen.); � quindi logico che la norma menzioni solo costui, 
tacendo del Procuratore Generale. Nella materia valutaria si verte in 
una ipotesi speciale di giudizio direttissimo, introdotta dal legislatore al 
fine di ottenere, in tale materia, una pi� rapida pronuncia, anche al di 
fuo~i dei presupposti stabiliti dal citato art. 502 cod. proc. pen., il cui 
dettato conseguentemente non pu� essere preso come paradigma ad 
ogni fine. 

Egualmente, poi, non pu� essere accolta l'eccezione di nullit� degli 
atti istruttori compiuti nella specie dal Procuratore Generale, formante 
oggetto di separato motivo di ricorso da parte della Centrale. 

Sul punto, infatti, non pu� non osservarsi, innanzi tutto, che lo 
stesso disposto dell'art. 502 cod. proc. pen. prescrive che il Procuratore 
della Repubblica procede all'interrogatorio, sia pure sommario, dell'arrestato. 


Come � stato, inoltre, gi� altra volta precisato da questa Suprema 
Corte (cfr. Cass. 27/6/77, n. 1671 in c. Marini Giorgio), in caso di giudizio 
direttissimo, il P. M. pu� compiere l'attivit� di acquisizione probatoria 
strettamente necessaria ai fini della ricerca di sufficienti indizi di colpevolezza. 
Nel caso di specie �si verte in materia di giudizio direttissimo 
speciale, voluto dal legislatore per una situazione diversa da quella. contemplata 
dall'art. 502 cod. proc. pen., e, quindi, anche per casi indiziari; 
per cui, per esso, pu� diventare addirittura indispensabile -soprattutto 
nell'interesse degli imputati -l'espletamento di un minimo di attivit� 
intesa ad accertare l'effettiva presenza di sufficienti indizi di colpevolezza. 

D'altra parte, non pu� non sottolinearsi la carenza di interesse degli 
imputati a dolersi del fatto che il loro interrogatorio si sia svolto con 
tutte le garanzie� di difesa assicurate dall'interrogatorio formale. 

3) Violazione del principio di� correlazione tra accusa �e sentenza. 

In relazione alla contestazione di cui al capo a), si assume dai 

ricorrenti Tonello, .Zanon e soc. La Centrale la violazione dell'art. 477 

cod. proc. pen., sotto il profilo che, mentre con tale contestazione si 

faceva loro carico di non aver provveduto alla dichiarazione all'U.I.C. ed 

al rientro in Italia di una disponibilit� valutaria di lire 23.579.574.150 

posseduta all'estero dalla Centrale e costituita nel novembre 1975 mediante 

acquisto di n. 1.110.934 azioni Toro ad un prezzo unitario superiore di 

lire 21.225 a quello di mercato, con la sentenza di secondo grado, la Corte 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1055' 

delle azioni Toro del novembre 1975 venne effettuato ad un prezzo unitario 
di ben 21225 lire superiore-a quello di mercato, � pur vero, peral~ 
tro, che viene altres� e contemporaneamente detto che, in realt�, k 
stesse azioni erano state gi� acquistate dalla Centrale sin dal 1973. 

Il che significa che, fermo rimanendo il centrale e principale addebito 
circa l'effettiva esis.tenza di una disponibilit� valutaria all'ester0> 
e circa il mancato rientro di essa in Italia, nonch� la prescritta denuncia 
all'U.l.C. (e, cio�, la I condotta criminosa prevista e punita dal-l'art. 
2 legge n. 159 del 1976), per quanto attiene all'entit� ed alle modalit� 
relative alla pregressa costituzione di tale disponibilit� valutaria_ 
vengono, invece, prospet.tate due ipotesi aternative: o che il capitalecostituito 
all'estero sarebbe rappresentato dalla differenza tra prezzo apparentemente 
stipulato e-prezzo di mercato del 1975 (ipotesi accolta pal' 
Tribunale), ovvero dall'intero ammoQtare della valuta esportata all'estero� 
a titolo di prezzo per il fittizio acquisto del 1975 (tesi accolta dalla Corte 
d'Appello che, sulla scorta degli atti e delle risultanze processuali, ha. 
motivatamente spiegato le ragioni di tale decisione). 

N� -ai fini del decidere -pu� darsi rilievo alla circostanza cher 
a proposito della apparente intestazione delle azioni a societ� estere,. 
nel detto capo di imputazione si parla di � vendite fiduciarie �, anzich�di 
� vendite simulate � effettuate dalla Centrale, palese essendo che -al 
di l� della impropriet� dell'espressione usata -il concetto ivi espresso� 
era (ed � quello) di significare che durante tutto il periodo di parcheggio. 
delle azioni all'estero la titolarit� delle azioni medesime rimase sempre�

1 

alla Centrale.-� 

Ne consegue, quindi, che nessuna violazione del diritto di difesa pu�� 
essere ipotizzata nella specie, dato che le due ipotesi alternative furono. 
sicuramente contestate agli imputati sin dalla contestazione originaria 
e, quindi, gli imputati si trovarono, sin dall'inizio, nella possibilit� di 
difendersi, sia nei confronti dell'una che nei confronti dell'altra. 

La violazione dell'art: 477 cod. proc. pen. � stata denunciata anche� 
dal ricorrente Cappugi sotto il diverso profilo che nell'originario capo. 
di imputazione di cui al capo b) della rubrica gli sarebbe stata attri-buita 
la erronea qualifica di appartenente al Consiglio di amministrazione 
della soc. La Centrale, anzich� quella esatta di Direttore generale� 
di tale societ� e di Amministratore Delegato della soc. SPARFIN. 

La censura � del tutto inconsistente, in quanto -a prescindere dalla� 
considerazione che tale erronea indicazione venne immediatamente corretta 
nel giudizio di primo grado -l'erronea indicazione della vera 
qualifica spettante al Cappugi costitu� palesemente una mera inesattezza 
formale, che in nessun modo pot� pregiudicare i diritti di difesa dell'imputato, 
'che non poteva certo ignorare quale fosse la sua effettiva 
posizione nell'interno delle due societ�. 


PARTI! I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA P�NALE 

dall'art. 475 n. 3 cod. proc. pen. e, quindi, deducibile dinanzi alla Suprema 
Corte, a norma dell'art. 524 n. 3 stesso codice. 

b) Ricorsi del Procuratore Generale e della Parte Civile relativamente 
al proscioglimento di Giuseppe Zanon di V algiurata e Mario Valeri 
Manera (con formula piena), nonch� di Aladino Minciaroni (con formula 
dubitativa) dal reato di cui al capo b). 

Anche tale parte dei ricorsi non pu� che essere rigettata, atteso 
che i relativi motivi -anche se formalmente rivolti a dedurre un'asserita 
(ma .inesistente) carenza o contraddittoriet� di motivazione -in 
realt� si risolvono in una serie di critiche circa la valutazione dei fatti 
e delle prove compiuta dal giudice di merito, contrapponendo ad essa, 
una diversa valutazione opposta e contraria. 

e) Ricorsi di Giuseppe Zanon di Valgiurata e di Aladino Minciaroni 
ayverso i capi della sentenza con i quali venivano giudicati limitatamente 
ai reati loro rispettivamente �ascritti alle lettere a) e b) del capo di 
imputazione. 

I ricorsi -si presentano fondati, in quanto indubbiamente contraddittoria 
si presenta la motivazione della sentenza adottata dalla Corte 
a sostegno delle emesse pronunzie di condanna ed assolutoria con formula 
dubitativa. 

Ed invero, contraddittoria si presenta la sentenza per quanto attiene 
alla posizione dello Zarion, dato che i giudici di merito, dopo 
avere con ampia motivazione (cfr. f. 35 e sgg. e f. 102) precisato che 
costui sicuramente si indusse alla stipula del patto di sindacato con 
la Centrale � per non perdere il �ontrollo della Toro Assicurazioni �, 
nella quale � deteneva il dominio di fatto, graiie al possesso del 25 % 
delle azioni ordinarie� e dopo aver altres� affermato che l'operazione 
di acquisto (da parte della Centrale) delle azioni Toro non destinate 
al patto di sindacato sicuramente si poneva in contrasto con gli obbiettivi 
dello Zanon, essendo evidente che l'acquisizione, da parte della 
Centrale, della maggioranza assoluta nella societ�, automaticamente toglieva 
ogni potere allo Zanon, afferma poi che il detto Zanon avrebbe 
invece collaborato a far acquisire alla Centrale la detta maggioranza 
assoluta: e ci� senza spiegare per quali nuove intervenute ragioni lo 
Zanon avrebbe avuto interesse a partecipare ad una operazione in contrasto 
con I suoi interessi, ma fondando tale suo convincimento sul solo 
ambiguo dato che � lo Zanon ebbe ad intermediare la negoziazione delle 
Toro che dalla SAI pervennero alla finanziaria estera E.P.I., una delle venditrici 
del 1975 �. � 

Ora � palese la inidoneit� di tale dato a dimostrare una eventuale 
coincidenza o identit� di interessi tra Zanon e Centrale, ove sol si consideri 
che le dette azioni SAI (cui bisogna aggiungere 20.400 azioni 
Midana) erano solo 40.600 e che, in realt�, tali azioni furono vendute 
in Italia (nel luglio del 1973) al Banco di Napoli; per cui -in difetto 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

1058 

di altri e p1u convincenti argomenti -non pu� certo affermarsi con 
sicurezza che lo Zanon -facendosi intermediatore di tali vendite sapesse 
verament~ che tali azioni dovevano andare all'estero per essere 
ivi parcheggiate per conto della Centrale. 

Egualmente censurabile ' si presenta la sentenza per quanto attiene 
alla valutazione della posizione del Minciaroni. 

Ed invero, gi� nella sentenza del Tribunale, l'emessa pronuncia 
assolutoria con formula . dubitativa non si concilia con la motivazione 
della sentenza che, sul punto, si limita unicamente a dire che � il fatto 
che egli fosse presidente della Sparfin con poteri eguali a quelli del!'
Amministratore delegato non ha significato probatorio una volta che 
consti, come consta (tenuto presente il ruolo puramente strumentale 
della Sparfin) che era stato l'amministratore delegato Cappugi ad operare 
in concreto e che il presidente Minciaroni aveva avuto notizia dello 
acquisto del 29 novembre 1976 � solo a seguito del.la riunione del Consigl�o 
di Amministrazione della Sparfin del 21 dicembre 1976 ed a seguito 
della relazione ivi fatta dall'amministratore delegato Cappugi. 

La situazione non. migliora, poi, con la sentenza di . secondo grado. 
atteso che quest'ultima, . pur affermando che, .in realt�, dagli atti processuali 
risultava che la persona del Minciaroni � si appalesa del tutto 
sostituita, nell'ambito della Sparfin, da quella del Cappugi ,., richiama, 
poi, proprio la posizione del Minciaroni al vertice della societ� per motivare 
il proprio dubbio e, quindi, l'emessa pronuncia assolutoria con 
formula dubitativa. 

Conseguentemente -e limitatamente a tali capi -la impugnata 
sentenza deve essere annullata per difetto di motivazione ed il giudizio 
rinviato, per nuovo esame, ad, altra Sezione della Corte d'Appello di 

Milano. 

d) Ricorso di Antoni� Tonello, condannato alla pena di anni 1, mesi 6 
di reclusione e lire 6 miliardi di multa (oltre pena eccessoria) per i reati 
di cui ai capi a) e b). 

Con il proposto ricorso, il Tonello -in aggiunta ai motivi di ricorso 
sopra esaminati e rigettati -censura la sentenza impugnata per carenza 
di motivazione in ordine alla sua penale responsabilit� e per violazione 
degli artt. 40 e 110 cod. pen., nonch� dell'art. 8 decreto-legge 4 marzo 
1976 n. 31. 

Esaminando singolarmente tali motivi, osserva la crirte: 

-Deduce, innanzi tutto il ricorrente che la motivazione della' sen


teriza sarebbe, in realt�,. meramente apparente, in. quanto l'emesso giu


dizio di colpevolezza, anzich� su prove, si baserebbe su argomentazioni 

del tutto generiche e di nessuna forza probante, nonch� su mere con


getture. 

La censura non pu� essere accolta. j 

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............�r.-c..................................c.-.....r.-c.,............................................./...........................................;.....,..J 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1059 

Ed invero, non pu�, innanzi tutto, convenirsi sull'affermata irrilevanza 
delle �Considerazioni generali� premesse dalfa Corte d'Appello 
all'esame dettagliato della posizione dei singoli imputati, in quanto esse 
-come � stato del resto sottolineato dallo stesso giudice di merito -, 
pur non potendo da solo costituire base sufficiente per un giudizio di 
colpevolezza (avendo, comunque bisogno di essere ancorate al � concreto � 
della fattispecie), si fondano pur sempre su indubbie massime di esperienza, 
e quindi, in base al criterio della probabilit�, costituiscono sicuramente 
indizi da poter utilizzare, in concorso con altri indizi o presunzioni, 
a fondamento di un giudizio di colpevolezza. 

Del resto, l'indubbio ancoraggio delle menzionate considerazioni di 
carattere generale alla comune esperienza non sembra che possa essere 
seriamente negata, ove sol si considera che -come esattamente osservato 
dal giudice di merito -� proprio in base alla comune esperienza 
che deve considerarsi normale che in un organismo societario le operazioni 
pi� importanti siano oggetto di esame, di discussio.e e di preventivi 
accordi, almeno tra le massime cariche; per cui � difficilmente 
credibile che una persona posta ai vertici di una societ� e dotata di 
indubbie capacit� professionali possa effettivamente ignorare il contenuto 
,e la portata di tali pi� importanti _operazioni. 

Ma -e con ci� la Corte passa all'esame del secondo rilievo -nel 
caso in esame il giudice di secondo grado non ha basato l'emesso giudizio 
di colpevolezza sulle sole considerazioni generali; ma -come 
sopra si .� precisato -si � dato cura di confrontare tali considerazioni 
generali con il � concreto � processuale riguardante la struttura della 
Centrale, la personalit� del Tonello e la sua, posizione nella societ�, ricavando 
da tale complesso esame, una serie, non gi� di mere supposizioni, 
ma di specifici indizi che, visti nella loro globalit�, convergevano univocamente 
nel dimostrare che l'imputato era perfettamente a conoscenza 
delle finalit� e della portata delle operazioni Toro e Credito Varesino; 
� pervenuto, cio�, ad uri giudizio finale di merito che, per essere immune 
da vizi logico-giuridici, sfugge, come tale, al sindacato di legittimit� 
di questa Suprema Corte.� 

Egualmente inconsistenti si presentano i restanti motivi di ricorso. 

Non � ravvisabile, infatti, la dedotta violazione degli artt. 10 e 110 
cod. pen. (denunciata specialmente con riferimento all'imputazione sub a), 
es�sendo di palmare evidenza che il Tonello, essendo a perfetta conoscenza 
dei fatti, era anche lui personalmente tenuto -quale vice presidente 
della societ� -a controllare e ad attivarsi affinch� fossero 
puntualmente eseguiti gli adempimenti imposti dall'art. 2 della citata 
legge n. 159 del 1976, avvalendosi, se del caso, dei poteri vicari a lui 
spettanti di sostituire il Presidente inadempiente e, comunque, chiedendo 
la immediata convocazione del Consiglio di Amministrazione. 

--... -------... --........../. -----,. -----,-.,. . ----------------------. -----------------------� ------.-.-.-.-.-.-.-.----� ----.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.�.-.-.-.-.-.�.��'.�'.-'.�:�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�>'.�'.�'.�'.�'.�'.�'. '.~�'.-'.�'.�'. 



1060 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

N� � a dire che, fino a quando non fosse scaduto il termine fissato 
dalla legge, il Tonello non aveva motivo di pensare che la prescritta 
denuncia all'U.I.C. non sarebbe stata presentata, dato che anche la pi� 
semplice dichiarazione ha pur sempre bisogno di un'attivit� preparatoria. 
preliminare: attivit� quest'ultima la cui mancanza non pot� non essere 
notata dal Tonello che, pertanto, ignorandola, dimostr� di essere consenziente 
nel non far effettuare la dichiarazione. 


Ne~meno sussiste la denunciata violazione dell'art. 8 d.l. 4 marzo 
1976 n. 31, dato che -come � stato gi� precisato da questa Suprema 
Corte con sentenza 27 aprile 1984, rie. Guarnaccia -a seguito delle 
modifiche apportate a tale decreto dalla legge di conversione 30 aprile 
1976 n. 159, la norma di cui all'art. 8 di tale decreto (conversione delle 
sanzioni . amministrative in pena accessoria) deve intendersi riferita a 
tutte le ipotesi criminose previste dal decreto-legge come sopra modificato. 


e) Ricorso di Giorgio Cappugi. 

I 

I

Risulta dagli atti che il giudice d'appello ha concesso all'imputato 
le circostanze attenuanti generiche, dichiarandole equivalenti alla cir! 
costanza aggravante contestata ex art. 1, quarto comma, della legge 
30 aprile 1976 n. 159 e lo ha conseguentemente condannato alla sola pena 

I 

pecuniaria prevista (anteriormente alla modifica apportata alla struttura 

del reato de quo con l'art. 2 della legge 23 dicembre 1976 n. 863) per 

I 

il reato-base dall'art. 1, primo comma della citata legge n. 159. 

Ne deriva, quindi, che, poich� la data del commesso reato deve I 
essere fissata al 29 novembre 1976, il termine massimo per la sua prei 
._scrizione deve -a norma degli artt. 157 n. 5 e 160 cod. pen. -essere ! 

fissato al pi� tardi al 29 maggio 1984. 
Consegiiente:mente -dato atto di tale intervenuta causa estintiva 
del reato e considerato altresl che, nella specie, non pu� trovare appli


I

cazione il disposto del capoverso dell'art. 152 cod. proc. pen. (non risul


tando evidente dagli atti che l'imputato non commise i fatti a lui ascritti 

o che gli stessi non costituiscono reato) ritiene la Corte di dover pronunciare, 
per tale causale, l'annullamento senza rinvio della impugnata 
sentenza. 
f) Azione risarcitoria esercitata nel processo penale contro il responsabile 
civile. 


Contesta, innanzitutto, la s.p.a. la Centrale Finanziaria Generale 
la propda legittimazione passiva ad essere convenuta nel presente processo 
in veste di responsabile civile per i fatti-reato addebitati ai suoi 
amministratori, in, quanto -Cos� assume -in forza del nesso organico 
sussistente tra gli amministratori e la societ�, la responsabilit� 
civile di essa La Centrale dovrebbe essere qualificata come � diretta '" 
mentre presupposto inderogabile per l'assunzione della qualit� di re




PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

sponsabile civile nel processo penale sarebbe, invece, la natura �indi


retta � di tale responsabilit�. 

Ed, a sostegno del proprio assunto, invoca il disposto dell'art. 107 

cod. proc. pen. (dove si parla di responsabilit� per fatto dell'imputato), 

nonch�, principalmente, quello dell'art. 185 cod. pen. che, ponendo l'ob


bligo del risarcimento del danno a carico del � colpevole � e delle persone 

� che a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui >>, 

chiaramente rivelerebbe che alla responsabilit� civile per fatto � pro


prio � dell'imputato pu� essere aggiunta esclusivamente quella di sog


getti che, pur non essendo colpevoli, sarebbero peraltro tenuti a' rispon


dere civilmente del fatto altrui. 

L'assunto non pu� essere accolto, in quanto non considera che quando 

nell'art. 185 cod. pen. il legislatore parla delle � persone che, a norma 

delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto dell'imputato �, non 

ha certo inteso riferirsi ali.a (oltretutto non sempre pacifica) distinzione 

civilistica tra responsabilit� diretta ed indiretta, ma unicamente preci


sare il ben diverso concetto che la responsabilit� civile per il reato si 

e.~tende oltre la persona del colpevole (penalmente). Il motivo di ricorso 

non considera, perci�, che l'accoglimento di tale assunto comporterebbe 

una irrazionale limitazione della portata della norma, il cui fine, invece, 

� quello di consentire alla persona danneggiata dal reato di portare la 

sua pretesa risarcitoria non solo contro il � colpevole � del reato, bens� 

pure contro tutti coloro che, non essendo ritf;:nuti penalmente colpevoli, 

debbono tuttavia rispondere delle conseguenze dannose del fatto-reato. 

La stessa sottolineata contrapposizione messa in luce dal ricorrente 

tra �colpevolezza� (dell'imputato) e �non colpevolezza� (del responsa


bile civile) chiaramente si riferisce (e non pu� che rif�rirsi) al concetto 

penalistico di colpevolezza e non pure a quello civilistico di essa, notorio 

essendo che, anche in caso di responsabilit� civile indiretta, ricorre 

spesso un aspetto di colpa. 

Lo stesso metro vale per l'espressione �fatto dell'imputato�, di cui 

all'art. 107 cod. proc. pen.; essa deve essere intesa nel senso proprio 

di � fatto-reato � dell'imputato e non gi�, invece, come fatto-illecito 

civile del solo imputato. 

Ulteriore conforto alla esattezza della interpretazione qui accolta viene 

infine dalla considerazione che l'azipne risarcitoria contro il responsa


bile civile in sede penale � sempre stata ammessa nei confronti della 

Pubblica Amministrazione (cfr. da ultimo Cass. 14 aprile 1981 n. 7231, 

De Palo; id. 12 febbraio 1981, Cavani), nonostante che, per consolidata 

giurisprudenza di questa Suprema Cort~ (cfr. Cass. 16 dicembre 1981 

n. 693~; id. 10 ottobre 1979 n. 5428; id. 23 maggio 1962 n. 1187; id. 2() 
�luglio 
1953 n. 6934), la responsabilit� per fatto illecito della Pubblica 
Amministrazione e degli enti pubblici non tragga fondamento dalla 
norma dell'art. 2049 cod. civ. (responsabilit� indiretta per fatto del pre



1062 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

posto, presupponente una culpa in eligendo od in vigilando del preponente), 
ma costituisca invece una ipotesi di responsabilit� diretta per 
fatto proprio ex art. 2043 cod. civ., in quanto dipende dal rapporto organico 
che lega il funzionario o il dipendente all'ente ed in forza del quale 
si ha, di fronte ai terzi, identit� tra ente pubblico e dipendente. 

In via subordinata, la soc. La Centrale solleva altres� questione di 
legittimit�. costituzionale dei citati artt. 185 cod. pen. e 107 cod. proc. 
pen., per asserito contrasto con l'art. 24, secondo comma della Costituzione. 
Ed a tal fine deduce che, una volta riconosciuta la possibilit� 
di attribuire ad una persona giuridica la posizione di responsabile civile 
per i fatti addebitati ai suoi amministratori, la detta persona giuriclica 
si verrebbe a trovare -con enorme pregiudizio per il suo diritto di 
-difesa -in una duplice antitetica posizione per il medesimo fatto, dato 
�che -per quanto attiene alla pretesa risarcitoria della parte civile essa 
non avrebbe altra difesa che quella di far propria la linea difensiva 
degli imputati, mentre -per quanto attiene ai suoi rapporti diretti con 
gli amministratori -avrebbe invece interesse a far valere nei loro confronti 
Una vera e propria azione civile. di responsabilit�. 

Col suo assunto, il ricorrente intende denunciare un'asserita violazione 
del diritto di difesa, derivante dalla impossibilit� di far valere in 
sede penale eventuali azioni di rivalsa, di regresso o di responsabilit� 
�da parte del responsabile civile nei confronti dell'imputato. La Corte, 
per�, non pu� che dichiarare la JI1.anifesta infondatezza della sollevata 
.questione di legittimit� costituzionale. La voluta limitazione delle azioni 
civili esercitabili in sede penale esclusivamente a quelle per il risarcimento 
del danno e per le restituzioni avanzate dal danneggiato del reato 
nei confronti dell'imputato e del responsabile civile non si pone, infatti, 
in contrasto con la citata norma costituzionale, sia perch� trova il suo 
ragionevole fondamento nella necessit� di non ampliare eccessivamente 
l'ambito del processo penale, sia perch� -limitando l'incidenza della 
controversia civile ivi risolta ai soli rapporti tra parte civile, da un lato, 
�ed imputato e responsabile civile, dall'altro -non pregiudica in .alcun 
mod� i diritti di difesa del responsabile civile, dato che fa salva ed 
impregiudicata ogni e qualsiasi ragione di controversia attinente al rapporto 
interno tra costui e l'imputato; rapporto interno che ben potr� 
essere successivamente devoluto alla cognizione del competente giudice 
-civile. 

g) Con altro motivo di ricorso, la Soc. La Centrale contesta altres� 

la legittimazione attiva del Ministero del Tesoro a costituirsi parte 

-civile nel presente giudizio, sotto il profilo che i reati come sopra con


testati agli imputati non lederebbero alcun diritto patrimoniale dello 

.Stato, ma un mero interesse, non assurgente al rango di diritto sogget


_tivo, che si colloca, come tale, fuori dalla sfera di protezione dell'art. 2043 
� sgg. cod. civ. 



PARTI! I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

Pi� in particolare, con tale motivo viene anzitutto criticata la tesi 
della Corte di merito che ha ritenuto la sussistenza di un danno patrimoniale 
dello Stato e la conseguente legittimazione attiva del Ministero 
del Tesoro sotto il triplice profilo del lucro cessante per la sottrazione 
di un reddito a determinate imposte; del pregiudizio all'equilibrio economico 
dello Stato, derivante dalla sottraz�one di valuta alla disponibilit� 
dell'economia nazionale; degli �interventi imposti al Ministero del 
Tesoro per porre rimedio al conseguente disavanzo della bilancia dei 
pagamenti. 

Questo Collegio, pur condividendo in parte le argomentazioni della 
difesa, non pu� tuttavia che confermare la legittimazione del Tesoro a 
richiedere il risarcimento del danno derivante dal duplice reato valutario 
di cui � causa. 

Ed invero, deve condividersi con la difesa, con riguardo al primo 
dei detti profili, .l'osservazione che non � detto che le somme indebitamente 
esportate avrebbero prodotto un reddito sottoponibile a tributi, 
trattand,osi di una mera eventualit� non certa; soprattutto poi � giusto 
sostenere che,� a seguito della mancata riscossione di tributi, spetterebbe 
semmai al Ministero delle Finanze e non a quello del Tesoro far valere 
la pretesa derivante dalla sottrazione di reddito imponibile. 

Sotto il profilo del danno arrecato all'economia nazionale, pur sostenuto 
ad altri fini. anche dall'autorevole giurisprudenza citata dalla Corte 
di merito, non si pu� che negarne la risarcibilit� in favore del Tesoro, 
incidendo esso su interessi diffusi in seno alla comunit�, interessi assai 
cospicui, ma non determinabili n� 'precisabili in alcun modo; non riconducibili 
inoltre ad una situazione patrimoniale dello Stato che possa 
dirsi direttamente protetta dall'ordinamento n� lesa dalle azioni in contestazione, 
interessi comunque non impersonati o rappresentati come 
tali dall'Amministrazione del Tesoro. 

� sotto il terzo profilo, invece, quello degli interventi imposti agli 
organi dello Stato a seguito della ingente sottrazione di valuta alla sua 
disponibilit�, che pu� dirsi verificato un danno di natura patrimoniale, 
ricadente sul bilancio del Tesoro, anche se, in sede di liquidazione, la 
determinazione del quantum � destinata ad incontrare �non lievi difficolt�. 


Stante il regime di monopolio valutario vigente nel Paese, regime 
che per il decreto luogotenenziale 17 maggio 1945 n. 331 fa .capo all'Ufficio 
Italiano dei Cambi (art. 2), allo stesso incombe il compito di mantenere, 
oltre che controllare, l'equilibrio valutario, attingendo se del caso 
alle proprie riserve o svolgendo quelle operazioni anche con l'estero che 
si rendano necessarie all'uopo. L'una e l'altra ipotesi sono �ordinariamente 
suscettibili di produrre un danno, per la riduzione degli utili sulle 
riserve e/o per l'acquisto di valuta ad un cambio eventualmente sfa� 
vorevole. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� bensl vero che tale danno, in entrambe le ipotesi, ricade prima~ 

riamente sull'U.I:C.; ma esso si ripercu!'.>te necessariamente anche sul 

Ministero del Tesoro, per il collegamento finanziario stabilito con esso 

dalla richiamata legge istitutiva~ ed in particolare dagli artt. 8, 9 e 10. 
Non vale il dedurre che nel caso in esame non sarebbe stata in 
realt� fornita la prova, piena e convincente, dell'effettiva sussistenza 
di tale asserito danno, dato che in contrario non pu� non osservarsi 
che -come � stato ormai ripetutamente precisato, con giurisprudenza 
eonsolidata, da questa Suprema Corte (cfr. da ultimo, Cass. Civ. 24 febbraio 
1982 n. 1169; id. 29 aprile 1981 n. 2630; id. 22 maggio 1980 n. 3379; 
id. 21 marzo 1980 n. 1911; id. 22 ottobre 1979 n. 5486; Cass. Pen. 21 novembre 
1983 n. 798) -ai fini della pronuncia di condanna generica al. 
risarcimento dei danni, non � necessario che il danneggiato dia la prova 
della loro effettiva sussistenza e del nesso di causalit� tra questi e l'autore 
dell'illecito, ma � sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente 
produttivo di conseguenze dannose, costituendo la predetta pronuncia 
una mera declaratoria iuris, da cui esula ogni accertamento relativo sia 
alla misura che alla stessa esistenza del danno, il quale � rimesso, invece, 
al giudice della liquidazione. Nemmeno, poi, vale il richiamare l'affermazione 
(contenuta nella citazione del giudizio per risarcimento del 
danno erariale instaurato dalla Procura Generale della Corte dei Conti 
nei confronti del Banco Ambrosiano, quale Banca agente) secondo la 
-,quale, ove � il Ministero del Tesoro dovesse conseguire in sede penale 

risarcimento di danni da parte di soggetti dichiarati colpevoli, gli im


porti cosl conseguiti dovranno essere detratti dalle somme oggetto di 

una eventuale condanna che la Corte in questa sede dovesse pronunciare �. 

1Trattasi, infatti, del mero richiamo al noto principio di diritto con


sacrato nell'art. 1292 cod. civ., in forza del quale quando pi� debitori sono 

obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno pu� 

essere costretto all'adempimento per la totalit�, l'adempimento parziale 

del debito da parte di uno di essi giova anche agli altri, che rimangono 

pertanto obbligati al pagamento del solo debito residuo. 

Egualmente, infine, non pu� essere accolto il quarto motivo di ricorso 

de L~ Centrale (illegittimit� della sua condanna in relazione al fatto di 

cui al capo b), in quanto dimentica che -come accertato in punto di 

fatto dal giudice di merito -le azioni del Credito Varesino, illegitti


mamente esportate all'estero, solo apparentemente furono vendute dal 

gruppo INVEST alla Dunlac, alla Gestivaleur ed alla SA.PI.SA, mentre, 

in realt�, effettiva acquirente di esse fu proprio La Centrale. 

In definitiva, e conclusivamente, ritiene la Corte di dovere, per le 

suesposte considerazioni, dichiarare la manifesta. infondatezza delle sol


levate questioni di legittimit� costituzionale; di dover pronunciare l'an


nullamento senza rinvio della impugnata sentenza nei confronti di Gior


gio Cappugi, perch� il reato ascrittogli � estinto per prescrizione; di do



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

vere, inoltre, ed in accoglimento dei ricorsi di Giuseppe Zanon di Valgiurata 
e di Aladino Minciaroni, pronunciare l'annullamento con rinvio 
della medesima sentenza, per difetto di motivazione, limitatamente ai 
reati rispettivamente ascritti ai detti ricorrenti alle lettere a) e b) del 
capo di imputazione; nonch�, infine, di rigettare i restanti motivi di 
ricorso, con ogni conseguenza di legge. (omissis) 


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PiARTE SECONDA 

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QUESTIONI 


L'ACCESSO DEI CITTADINI 
AI DOCUMENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 


Introduzione all'incontro-dibattito organizzato dal CEVAR 
(Centro per la promozione e valorizzazione della ricerca) 
tenuto presso il C.N.R. il 12 novembre 1984 

1. -Introduzione. 
Nelle dichiarazioni programmatiche del Governo dell'agosto 1983 
veniva affermata la necessit� di por m�no ad un complesso di riforme 
istituzionali quale tema centrale della IX Legislatura. Fra queste, particolare 
importanza assumeva la riforma della Pubblica Amministrazione 
lungo la triplice direttiva della democraticit�, dell'efficienza e della semplificazione. 
In particolare � stata sottolineata l'esigenza di porre fine 
alla � imperscrutabilit� ... dei comportamenti amministrativi � e di affermare 
il � diritto del cittadino all'acquisizione di dati e informazioni sul 
funzionamento dei servizi che lo interessano � in nome di un principio 
di � trasparenza �. 

Veniva cos� enunciata la necessit� di introdurre nel nostro ordinamento 
l'istituto del diritto di accesso ai documenti della Pubblica 
Amministrazione. 

Ratione materiae il relativo compito fu affidato, quindi, alla Sottocommissione 
incaricata dello studio della riforma del procedimento 
amministrativo, anche se ci� ha comportato un ampliam'ento di competenze 
in quanto il diritto di accesso, indubbiamente connesso con il 
procedimento, � concepibile per� anche al di fuori di esso. 

Esso si pone, infatti, in connessione con tre possibili diritti del cittadino 
nei confronti della Pubblica Amministrazione: quello di difesa in 
giudizio, quello di partecipazione al procedimento e quello generico alla 
informazione. _ 

Il primo si correla, in particolare, con la regola di giudizio del processo 
amministrativo e con l'istituto dei motivi aggiunti nonch� con 
la nota giurisprudenza elaborata in tema di elementi di prova tratti 
dalla inottemperanza dell'Amministrazione all'ordine di esibizione; il secondo 
discende da una concezione partecipativa del procedimento amministrativo 
e da una piena esplicazione in esso del principio del contraddittorio; 
il terzo, infine, corrisponde ad un principio liberale avanzato 
di trasparenza che dovrebbe condurre ad una amministrazione � dai cassetti 
aperti � o � casa di vetro � (naturalmente con eccezioni funzionali 
di segretezza in campi quali la difesa esterna, l'ordine pubblico interno, 
la privacy, ecc.). 

rrll!lllllllllllllllllllllllrtlllllillllll11JlllllllillllllllJIMlllllJI 



1.42 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DllLLO STATO 
In questa sua ultima e pi� comprensiva accezione il diritto di accesso 
rappresenta il verso di una medaglia che porta sul recto l'istituto del 
segreto amministrativo discrezionale. Non a caso si � parlato in proposito 
di un discrimine di civilt�: da una parte quella del diritto di 
accesso e dall'altra quella del segreto amministrativo. 
La tradizion� italiana � indubbiamente quella . del segreto e ci� non 
pu�, d'altronde, costituire taccia di particolare arretratezza perch�, come 
si vedr� subito, fino a pochissimi anni or sono la situazione era comune 
a quasi tutti i Paesi del mondo. 
.<-:� 
2.� Il segreto amministrativo, 
Il problema affrontato dalla Commissione riguarda, dunque, sia pure 
in chiave positiva, l'attualissimo problema del � segreto � un problema 
di cui opinione pubblica, dottrina e legislatore italiani hanno di recente 

avuto varie occasioni per occuparsi. Basti ricordare in �proposito le 
vicende che condussero alla riforma dei servizi segreti (1), con sostitu~ 
zione del segreto di Stato al segreto politico-militare e quelle che portarono 
alla attuazione dell'art. 18 della Costituzione con introduzione del di� 
vieto penalmente sanzionato di associarsi segretamente (2) e tutto il quadr� 
di polemiche, di vicende giudiziarie e di dibattiti dottrinali in cui le due 
normative ora citate si collocano. Non � certo questa la sede per tentare 
di cimentarsi in quel vero e proprio sesto grado del diritto che � la 
definizione dogmatica del segreto. Converr� limitarsi pragm�ticamente ad 
alcune osservazioni. La prima da farsi sembra essere quella �he occorre 
gui:rrdarsi dalla istintiva valutazione del segreto come valore negativo. 
Vi sono in realt� dei segreti che esprimono valori positivi, come quello 
professionale e sono addirittura tutelati a livello costituziOnale, come 
quello epistolare. Sembra, quindi, di poter dir� che il segreto non � 
un valore, ma un concetto relazionale polivalente e che acquista dunque 
un segno positivo, negativo o neutro a seconda dell'interesse a tutela 
del quale si pone. Cosl il segreto assumer� connotazione negativa quando 
sia volto a coprire una associazione che abbia per scopo fini politici; 
sar� indifferente per l'ordinamento quando i fini di quella stessa associazione 
siano non politici; assumer� un valore positivo quando sia volto 
a proteggere un interesse giuridico tutelato, quale� ad esempio, quello 
della riservatezza o quello al corretto svolgimento di una funzione. Cos� 
accade, ad esempio, per il segreto istruttorio nel processo penale, essendo 
tale segreto finalizzato, secondo la concezione tradizionale, a garantire 
la funzionalit� del processo stesso. 

{1) Legge 14 ottobre 1977, n. 801. 
{2) Legge 25 gennaio 1982, n. 17. 



PARTE II, QUESTIONI 

Sullo stesso piano del segreto istruttorio penale si pone, nella nostra 
tradizione, il segreto amministrativo: garanzia, secondo una tradizionale 
dottrina modellata sugli schemi francesi, non solo di � tranquillit� del 
funzionario �, ma anche di efficacia dell'azione amministrativa. Secondo 
tale tradizionale dottrina �il diritto comune � il segreto, l'accesso l'eccezione 
�, e � l'autorit� si afferma nella misura della distanza cui � tenuto 
l'interessato� (3).� \ 

3. -Cenni storici e di diritto comparato. 
Una tale affermazione di un potere generale di segretazione discrezionale 
attribuita, fino a tempi r~ntissimi. all'amministrazione nei confronti 
del cittadino � valida -quanto meno a livello di diritto di 
accesso indifferenziato (e cio� non correlato con un processo o con un 
procedimento) -per tutti i Paesi del mondo con due sole eccezioni, 
delle quali l'una prova troppo e l'altra non abbastanza. 

La prima � quella della Svezia che, con l'eccezione di una breve parentesi 
a cavallo tra il 700 e 1'800, riconosce un diritto di accesso generalizzato 
ai cittadini sin dal 1766 (4). Ma, si sa, in materia di democrazia avanzata, 
la Svezia suole essere un � ellfant prodige � ed ogni comparazione 
con essa risulta scarsamente producente. 

La seconda eccezione � quella degli Stati Uniti d'America in cui si 
� da sempre affermato, con riferimento al primo emendamento della 
Costituzione, il � rigl;lt to know �. Sta di fatto, per�, che alla generale 
affermazione di principio (5) non corrispondette, fino al 1967, negli Stati 

. Uniti, un effettivo diritto di accesso, s� che il famoso � right to know � 
doveva considerarsi nulla pi� che uno slogan giornalistico (6). La prima 
timida regolamentazione la si trova, infatti, nella legge generale di 
procedura del 1946 (7) nella quale, peraltro, il diritto di accesso. aveva 
le seguenti notevolissime limitazioni: era riconosciuto soltanto ai diretti 
interessati, a fronte della richiesta di accesso l'Amministrazione poteva 
opporre un segreto desunto da clausole generali quale � l'interesse pub


(3) M. J. C. Bo,ULAIU>, Rapporto nazionale sulla Francia in � Le Secret Administratif 
dans les Pays d�v�lopp�s, Institut Intemational .des Sciences Administratives, 
Cujas 1977, J.70. 
(4) M. SIGVARD HoLSTAD, Rapporto nazionale sulla Svezia, in � Le Secret 
Administratif �, cit., 55 ss. . 
(5) Dettata pi� che altro da una diffidenza nei riguardi dell'Amministrazione 
inesistente nel Vecchio Continente .e ispirata dal ricordo di un �privilegio 
della Corona� sentito come odiosa sopraffazione: cfr. A. HmumoNNBR, 
Prefazione al � Secret Administratif �, oit. 
(6) B. ScHWARTZ, Administrative Law -A. Casebook, Little Brown and 
Company, Boston and Toronto, 1982, 239. 
(7) Federai Administrative Procedure Act, 11 giugno 1946. 

144 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA l>Ef.to STATO 

blico � e la � confidenzialit� � della notizia; non era prevista, infine, alcuna 
possibilit� di ricorso al giudice ~vverso la decisione amministrativa di 
segretazione (8). 

-$i pu�, dunque, concludere che negli Stati Uniti d'America, anche 
dopo il 1946 (e, come si vedr�, fino al 1967), sotto l'egida di una formale 
enunciazione del diritto di accesso vigeva il principio del segreto amministrativo. 


In Europa, poi, con quell'unica eccezione svedese sopra citata, fino 
a pochissimi anni fa alla disciplina sostanziale si accompagnava anche 
l'enunciazione teorizzata dal principio del segreto amministrativo discrezionale. 
Il che non deve, d'altronde, stupire, quando si pensi a tutta 
una serie di circostanze e di fattori. Alla vischiosit� delle prerogative 
reali, innanzitutto: l'ammiilistrazione del monarca assoluto era stata 
istituzionalmente una amministrazione segreta. Logico, quindi, che tale 
caratteristica sia stata conservata -per tradizione e per comodit� anche 
dopo la fine dell'� Ancien R�gime �. Secondo importante fattore 
� la limitatezza delle funzioni assunte al suo nascere dallo Stato liberale: 
esso era, infatti, uno �Stato carabiniere� con compiti limitati a settori 
-quali la difesa, l'ordine pubblico e simili -in cui il segreto appariva 
funzionalmente giustificato (tanto che ancora oggi esso � conservato 
come tale -seppure in via di eccezione -anche nelle pi� avanzate 
legislazioni sull'accesso). � logico quindi che. esso venisse mantenuto 
anche dopo il passaggio dallo stato liberale allo stato sociale, e quindi 
dopo l'avocazione alla mano pubblica di funzioni con cui il segreto appariva 
meno o per nulla congruente, in virt� di tradizione e di isteresi 
burocratica. Un terzo aspetto da considerare � che prima della rivoluzione 
tecnologica portata da macchine da scrivere, fotocopi~trici e 
simili, il documento amministrativo era un prezioso e costoso esemplare 
unico da proteggere gelosamente con una disciplina che, per traslato, 
si estendeva dall'oggetto alle notizie in esso contenute. 

4. -L'evoluzione europea. 
Nell'evoluzione europea della disciplina del diritto di accesso, possiamo 
riconoscere tre tappe logiche (e temporali) fondamentali. 

Nella prima, l'area coperta dal segreto amministrativo discrezionale 
era praticamente indefinita e si estendeva a tutti i casi non diversamente 
regolati con norme espresse. Era questo il regime vigente fino 
a pochissimi anni fa, ad esempio, in Italia (9) ed in Francia (10) dove 

(8) M. MICHAEL JAY SINGER, Rapporto Nazionale sugli U.S.A., in �Le Secret 
Administratif � cit., 322. 
(9) A. M. SANDUU.I, Documento, voce Enc. dir. 
(10) Consiglio di Stato francese, Botton, 7 giugno 1935, Miara 21 luglio 1950 
e Gauthier 12 marzo 1954. 

PARTB U, QUESTIONI 1.4) 

solo l'azione evolutiva della giurisprudenza introdusse -in sede di giustizia 
amministrativa -un diritto di accesso funzionalizzato al diritto 
di difesa (11). 

In altri Paesi l'area del segreto amministrativo era gi� da tempo 
invece, limitata ai soggetti non interessati, in quanto l'accesso era 
riconosciuto in linea di principio da normative generali sul procedimento 
introdotte a partire dal tempo fra le due guerre e che contemplavano il 
diritto dei privati alla partecipazione al procedimento stesso (Austria, 
Germania, Jugoslavia, Polonia e in genere Paesi dell'Est europeo) (12). 

La linea di tendenza di ammettere un diritto . di accesso dell'interessato 
agli atti del procedimento ha fatto poi breccia pi� di recente -pur 
in carenza di normativa sul punto -anche nei Paesi in cui la tradizione 
del segreto amministrativo era pi� fortemente radicata come la Francia 
e l'Italia (13). 

L'ultima tappa � quella della piena� liberalizzazione, cio� dell'affermazione 
di un diri.tto all'accesso limitato soltanto da espressi divieti, con 
configurazione, quindi, di un diritto all'informazione limitato soltanto 
dalla tutela di altri diritti o valori con esso confliggenti, quali sicurezza 
interna, difesa esterna, privacy, ecc. :S il caso di tutti i Paesi scandinavi 
che in questo dopoguerra si sono, in date varie, adeguati alla normativa 
svedese (14) e della Francia a partire dal 1978 (15). 

5. -L'esperienza francese. 
La sottocommissione incaricata dello studio della riforma del procedimento, 
per quanto riguarda il problema dell'accesso, si � mossa sulla 
falsariga dell'esperienza francese e americana, predisponendo un testo 
dishiaratamente sperimentale. Cos� le prove fatte oltr'Alpe, come quelle 
�effettuate oltre Atlantico, hanno dimostrato, infatti, la necessit� di procedere 
ad aggiustamenti e correzioni di tiro nell'introduzione di una normativa 
che innova cos� radicalmente. Per cominciare con l'esempio francese, 
giover� notare, in proposito, che l'originaria legge 17 luglio 1978 n. 753 
richiedette delle modifiche ad appena un anno di distanza dalla sua 
�entrata in vigore (legge 11 luglio 1979, n. 587). 

(11) Consiglio di Stato francese, Barel, 28 maggio 1954; Consiglio di Stato 
italiano, VI, 22 aprile 1969, n. 205. 
(12) G. PASTORI, La Procedura Amministrativa, Neri Pozza, Vicenza 1964, 
passim. s. BERENYI, T. G. NAGY e M. Pm'ROVIC: Rapporti nazionali ungherese 
e jugoslavo in u Le Secret Administratif ,. oit. 
(13) Consiglio di Stato francese, Rousselot 17 dicembre 1971. Consiglio di 
Stato italiano, Ad. Plen. 10 giugno 1980 n. 22. 
(14) T. MODEEN, N. EILSCHOV�HOLM, A. FRIHAGEN, Rapporti nazionali finlandese, 
danese e norvegese in u Le Secret Administratif � cit. 
(15) Legge 17 luglio 1978, n. 753. 

RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO

146 

Il meccanismo della legge francese che si apre -nel testo novellato con 
la enunciazione del riconoscimento � a chiunque � del diritto di accesso, 
� fondato s~ una distinzione tra atto nominativo e non nominativo, 
su di una elencazione tassativa dei casi in cui pu� essere opposto iil 
segreto al richiedente (e che riguardano i soliti casi di difesa nazion!tle, 
sicurezza interna, privacy, ecc.) e sulla piena tutela giurisdizionale garantita 
.al cittadino nei confronti del rifiuto di accesso dinanzi al giudice 
amministrativo. Elemento caratteristico della normativa francese � l'istituzione 
di una Commissione dell'accesso: organo collegiale incaricato di 
vigilar~ sul rispetto della legge, di rendere pareri su richiesta delle 
Amministrazioni o di cittadini (16) ed infine di redigere un rapporto 
annuale sulla applicazione della legge. 

L'esperienza sin qui maturata ha dimostrato una forte resistenza 
dell'amministrazione francese di fronte all'esercizio del diritto all'accesso: 
il parere della Commissione in caso di rifiuto ha dato, infatti, ragione al 
cittadino in circa il 90 % dei casi (circa 300 annui) e molte volte la 
semplice adizione della Commissione � bastata per indurre l'Amministrazione 
a consentire l'accesso richiesto (17). 

6. -L'esperienza americana. 
Negli Stati Uniti d'America il diritto di accesso, nel pi� comprensivo 
senso del termine, fu effettivamente introdotto soltanto con il Freedom 
of Information Act (18) che introdusse i seguenti principi: 

-riconoscimento a tutti del diritto di accesso a qualunque docu


mento identificabile dietro pagamento di un � diritto � non quantificato, 

fatti salvi soltanto nove tipi di notizie tassativamente elencati; 

-attribuzione al richiedente che si veda rifiutata una notizia di 

un'azione dinanzi al giudice che pu� emettere ingiunzione nei confronti 

dell'Amministrazione; 

-capovolgimento del principio di presunzione di legittimit� del


l'azione amministrativa: compete infatti all'Amministrazione provare la 

legittimit� del diniego e non al richiedente provare la fondatezza della 

sua richiesta; 

(16) La richiesta di parere da parte del cittadino � condizione di ammissibilit� 
del ricorso giurisdizionale: Consiglio di Stato francese, Commaret, 
19 febbraio 1982. 
(17) D. JANICOT, L'acc�s aux documents administraft (Premies rapport 
d'activit� de la Commission d'acc�s a�x documents administratifs .1979-1980), 
La documentation fran�adse,' Parigi,. 1981. 
(18) F.O.LA. approvato il 4 luglio 1967. 

147

PARTI! II, QUESTIONI 

-particolare disciplina della,� judicial review � azionata in subiecta 
materia dal privato e non limitata ad un giudizio di tipo cassatorio ma 
consistente in un riesame completo (de novo) della questione; 

-procedura d'urgenza prevista per la � judicial review � stessa . 

. 

L'Act fu emendato nel 1974-1975 (19) e le modifiche rivelano in modo 
assai chiaro quali disfunzioni si fossero verificate. La novella del '75 introdusse, 
infatti, le seguenti innovazioni: 

-Determinazione, per i diritti di copia, del tetto di un ragionevole 
standard di costo vivo, con libert� per l'Amministrazione soltanto di 
ridurlo. 

-Previsione per l'Amministrazione di un termine di 10 giorni per 
rispondere alla richiesta di informazioni con atto ricorribile gerarchicamente 
al Capo dell'Amministrazione, tenuto a decidere nei venti giorni 
successivi. Il mancato rispetto dei termini di cui sopra � stato equiparato 
all'esaurimento delle vie di . ricorso amministrative con conseguente 
accedibilit� alla � judicial review �, salv� la facolt� per il giudice, in �casi 
particolari, di accordare all'Amministrazione un termine di grazia nel 
corso del giudizio. 

-Espressa previsione -nell'ambito del riesame de novo -del 
potere del giudice di esaminare in Camera di Consiglio tutti i documenti 
e di decidere quali -o in quale parte -siano .ostensibili. 

-Obbligo dell'Amministrazione di. costituirsi in giudizio -esponendo 
le sue ragioni nei 30 giorni successivi alla notifica dell'atto 
introduttivo. 

-Possibilit� per il giudice di� condannare l'Amministrazione alle 
spese di lite. 

-Trasmissione degli atti all'Amministrazione� per l'inizio dell'azione 
disciplinare in caso di condanna alle spese di lite e se il rifiuto di 
documenti sia stato ritenuto � arbitrario � o � capriccioso �. 

/:.._ Obbligo di porre in calce ad ogni dinie~ di informazione nomi e 
qualifiche dei funzionari resppnsabili. 

-La principale eccezione al diritto di accesso, che nel testo origi� 
nario veniva individuata nelle materie che dovevai;io �rimanere segrete 
nell'interesse della difesa nazionale o della politica estera su � ordine 
dell'Esecutivo �, risult� radicalmente trasformata dalla novella del '75, 
che concesse al giudice il potere di sindacare se la � segretazione � corrisponda 
effettivamente a criteri generali previamente stabiliti d�ll'Esecutivo 
nell'interesse della difesa nazionale e della politica estera. 

(19) Emendamento approvato il 19 febbraio 1975. 

1.48 RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Nel 1981 la prima Amministrazione Reagan propose sostanziali 
modifiche al F.O.I.A. In particolare, per quanto riguarda la segretazione 
da ultimo considerata, la proposta mirava a restringere i poteri del 
giudice a quelli classici della � judicial review � con esclusione del de 
novo standard. L'ingiunzione di esibizione sarebbe prevista, infatti, soltanto.
in caso di rifiuto � arb�\rario � o �capriccioso�. La proposta prevedeva 
inoltre due ulteriori eccezioni al diritto di accesso, la libert� per 
le Amministrazioni di rispondere alle richieste non in termini perentori 
ma nel � tempo ragionevolmente necessario � e la facolt� per le Amministrazioni 
di pretendere il rimborso dell'intero costo del servizio di ricerca 
e copia. 
Non consta se tale proposta abbia avuto un seguito. Essa appare 
tuttavia indicativa di quel che si ritiene essere il mal funzionamento della 
legge sul versante dell'autorit�. 
7. -Il progetto di disegno di legge italiano predisposto dalla Sottocommissione. 
Il progetto si apre con una enunciazione� di principio consistente nel 
riconoscimento � a tutti � del diritto di accesso ai documenti ammini. 
strativi al f�.nel di assicurare la libera circolazione delle informazioni, la 
trasparenza e lo svolgimento imparziale dell'attivit� amministrativa. 
Sono inoltre precisati l'oggetto del diritto (individuato in ogni rappresentazione 
grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque 
altra specie del contenuto di atti formati dalla pubblica amministrazione 
o comunque utilizzati ai fini dell'attivit� amministrativa) ed i soggetti 
nei cui confronti esso si eserciti, individuati nelle amministrazioni dello 
Stato, ivi comprese le Aziende autonome e gli Enti pubblici e nei Concessionari 
di pubblici servizi. 
Le modalit� per l'accesso sono state disciplinate attraverso la previsione 
di una pubblicazione di tutti gli atti a carattere generale e attraverso 
la possibilit� per il pubblico di prendere visione dei documenti e 
di estrarne copia a prezzo di costo. �Le eccezioni al diritto di accesso sono 
state tassativamente elencate con riferimento ai classici valori della 
difesa nazionale, della sicurezza int~rna, della riservatezza, ecc. 
La tutela giurisdizionale dell'accesso � stata prevista attraverso l'obbligo 
di motivazione del rifiuto, del differimento e della limitazione di 
esso con previsione di una procedura a termini abbreviati dinanzi al . 
giudice amministrativo. Ad esso viene attribuita competenza in sede di 
giurisdizione esclusiva estesa al merito ed il potere di prendere riservatamente 
visione di ogni documento necessario alla pronuncia, ad eccezione 
di quelli coperti dal segreto di Stato. 
Sulla falsariga dell'esempio francese � stata inoltre prevista l'istituzione, 
presso la Presidenza del Consiglio, di una Commissione per l'accesso 
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149

PARTE II, QUESTIONI 

con il compito di vigilare sulla osservanza della legge, rendere pareri alle 
Amministrazioni interessate, formulare raccomandazioni, riferire annual-. 
mente alle Camere e alla Presidenza del C�nsiglio dei Ministri, formulare 
proposte di modifiche legislative o regolamentari atte ad assicurare la 
effettivit� del diritto all'accesso. 

In considerazione del carattere fortemente innovativo della legge e 
dell'esperienza effettuata in altri Paesi, in cui a breve distanza di tempo 
si son.o rese necessarie modifiche, il progetto stesso � stato concepito 
in forma sperimentale ed � stato quindi� espressamente previsto che, a 
tre anni dall'entrata in vigore della legge, il Presidente del Consiglio dei 
Ministri, sulla base dei rapporti della Commissione, riferisca al Parlamento 
e proponga le modifiche eventualmente necessarie. 

IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA 


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RASSEGNA DI DOTTRINA 


INDICE -SOMMARIO DELLE RECENSIONI DI ARTICOLI 

DIRITTO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO 

M. CERCHIARA: Normativa italiana sull'incameramento della cauzione per 
pagamenti anticipa# ed ordinamento comunitario. 
DIRITTO COSTITUZIONALE 

G. ILLUMINATI: Obbligo di testimoniare del tossicodipendente e diritto di 
difesa. 
G. MANGIA: Nota redazionale a Pretura Palestrina 20 ottobre 1983. 
D. REsTA: Magistratura, Potere politico e attivit� di indirizzo politico. 
A. VIRGILIO: Decisioni giurisprudenziali e provvedimenti legislativi. 
DIRITTO AMMINISTRATIVO 

A. ANGIULI: Silenzio-assenso in materia di concessioni edilizie e provvedimenti 
cautelari del giudice amministrativo. 
G. BERLIRI: La giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di 
giurisdizione contabile. 
D. BONAMORE: La �parit�" per le scuole non statali (art. 33 Cost.) in rapporto 
al servizio dei docenti. 
F. CARINCI: Fenomeno burocratico e anzianit� di servizio. 
S. CASSARINO: Tendenze riformatrici della giustizia amministrativa. 
S. CASSESE: Le ingiustizie della giustizia amministrativa. 
N. COVIELLO: Contributo allo studio dell'espropriazione per motivi di interesse 
generale. 
F. GARRI: Il giudizio di ottemperanza. 
C. ME!..IDORO: Alcuni particolari aspetti pubblicistici e privatistici nella contrattazione 
amministrativa. 
D. RESTA: Alcune osservazioni in margine al sistema delle partecipazioni 
pubbliche. 
G. SANVITI: Limiti e alternative della giurisdizione amministrativa. 
17 



1J2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

A. ScHREIBER: Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di tutela delle 
minoranze linguistiche. 
G. VACIRCA: Atti amministl"ativi di scelta del procedimento di contrattazione 
e tutela giurisdizionale. 
ACQUE ED APPALTI 

A. CLARizu: Associazione temporanea tra imprese e consorzi nell'esecuzione 
delle opere pubbliche: profili amministrativistici. 
A. ScoLA: Riflessioni in tema di interessi per ritardato pagamento, rivalutazione 
dei prezzi e collaudi negli appalti pubblici. 
DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

F. CIPRIANI: La sospensione del processo civile per pregiudizialit�. 
F. CIPRIANI: Omessa sospensione per regolamento di giurisdizione e potere 
del giudice dell'impugnazione. 
G. CosTANTINO: Note sulle forme di tutela espropriativa dei crediti assistiti 
da garanzie mobiliari specifiche. 
A. IACONO: L'ordinanza di rilascio di immobile locato e l'estinzione det 
processo. 
R. l.ANZILLO: I contratti di fornitura di elaboratori elettronici. 
F. MAZZARELLA: Sull'efficacia e l'impugnabilita dei lodi dopo la legge di 
riforma del 9 febbraio 1983. 
A. NICITA: Note sulle forme di chiusura della procedura di amministrazione 
straordinaria. 
G. PERA: Sulla costituzionalit� o no del decreto-legge del govern� Craxi 
sulla contingenza. 
VARIE 

P. GALLERANI MONACI: Il centro elaborazione dati presso il Ministero dell'Interno. 
Problemi e prospettive. 

PARTE ll, RASSEGNA DI DOTTRINA tn 

DIRITTO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO 

MAURIZIO CERCHIARA, Normativa italiana sull'incameramento della cauzione per 
pagamenti anticipati ed ordinamento comunitario, in Giustizia Civile, maggio 
1984, pp. 1633-1635. 

Alla luce della recente giurisprudenza comunitaria e nazionale si indaga 
sulla cortetta interpretazione da dare al termine � importazione ,. di cui alla 
legge n. 1126/52 e sulla compatibilit� di detta normativa con l'ordinamento 
comunitario; si svolgono, infine, alcune considerazioni sulla portata del d.m. 
4 agosto 1982 (M. Salvatorelli) 

DIRITTO COSTITUZIONALE 

GIULIO ILLUMINATI, Obbligo di testimoniare del tossicodipendente e diritto di 
difesa, in Giur. Cost., fase. 9 novembre 1983, pp. 1832-1840. 

Nella nota alla sentenza del 5 ottobre 1983 della Corte Costituzionale, 
l'Autore richiama l'attenzione sull'art. 82 della legge n. 685 del 22 dicembre 1975 
(la c.d. legge sugli stupefacenti) che impone al tossicodipendente prosciolto 
il dovere di testimoniare anche quando debba rivelare il nome di coloro che 
gli hanno fornito la droga. Da tale norma, infatti, deriverebbe una inaccettabile 
compressione del diritto di difesa del tossicodipendente prosciolto non per la 
semplice imposizione dell'obbligo di t�stimoniare, di per s� solo non lesivo 
del principio nemo tenetur edere contra se, ma �perch�, sotto il profilo del 
principio di eguaglianza sancito nell'art. 3 Cost., al medesimo appare negata 

o fortemente ridotta una tutela che peraltro trova fondamento nell'art. 24 della 
Costituzione. Problema centrale � quindi quello di conciliare le esigenze di 
accertamento dei fatti e il rispetto del diritto di difesa. Problema cui forse 
potrebbe offrire una soluzione la diversa disciplina adottata nel progetto ,preliminare 
del nuovo codice di procedura penale: l'art. 189 secondo comma stabilisce 
che il testimone non ha l'obbligo di rispondere alle domande quando ci� 
potrebbe fare emergere una sua responsabilit� penale. (N. Palmieri) 
GABRIELLA MANGIA: Nota redazionale a Pret. Palestrina 20 ottobrfi 1983, in Giur. 
Cost., fase. 9 novembre 1983, pp. 2239-2246. 

Nella nota si pone in risalto come la giurisprudenza, ancora una volta, 
ribadisca che l'attivit� privata di trasmissione radiotelevisiva, che si svolga 
su scala sostanzialmente nazionale, � contra legem e il relativo esercizio � 
penalmente sanzionato dall'art. 195 d.P.R. n. 156 del 1973 (cosi come modificato 
dall'art. 45 legge n. 103 del 1975 e dalla sentenza n. 202 del 1976 della Corte 
Costituzionale). 

Dopo aver sottolineato la uniformit� dell'indirizzo giurisprudenziale in tale 
materia -collocandosi anche questa decisione nel solco gi� tracciato dalla 
Corte Costituzionale con la pronuncia n. 148 del 1981 -si rileva come, al 



if4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

contrario, la dottrina appaia divisa: per uri.a parte di essa infatti, almeno fino 
a quando il legislatore statale non intervenga con una apposita disciplina, si 
deve ritenere vigente un regime c.d. di � libert� di antenna �, Ribadito, per�, 
che a tutt'oggi il territorio regionale costituisce ancora il limite massimo di \) 
espansione consentito alle emittenti private, stante il monopolio pubblico relativo 
all'attivit� di trasmissioni radiotelevisive su scala nazionale, l'Autore 
richiama dottrina e giurisprudenza sugli ulteriori punti esaminati -dalla sen


tenza: ruolo delle Regioni nel sistema dei controlli in riferimento all'esercizio 
della attivit� radiotelevisiva privata; competenza della P.A. nell'assegnazione 
delle frequenze; necessit� della autorizzazione per l'esercizio delle emittenti 
priv<i.te in ambito locale; rapporti tra emittenza pubblica e privata. (N. Palmieri) 

DOMENICO REsTA, Magistratura, Potere politico e attivit� di indirizZo politico, 
in Il Consiglio di Stato, 1984, n. 5 (maggio), p. 709 e ss. 

Dopo talune considerazioni generali, viene esaminato il rapporto fra Magistratura 
e Potere politico nella Costituzione. Seguono poi considerazioni sul 
ruolo assunto dal �Consiglio Superiore della M;agistratura dopo la pi� recente 
legge di riforma. 

Da ultimo viene affrontato il quesito se nell'esercizio della funzione giuri


sdizionale possa ravvisarsi una forma di partecipazione alla funzione politica. 

(G. Lancia) 
ALBERTO VIRGILIO, Decisioni giurisprudenziali e provvedimenti legislativi (nota 
a Cass. 31 maggio 1984 n� 3316) in Foro Italiano n. 6, giugno 1984, I, 1492. 

L'autore, prendendo spunto dalla decisione della 1S.C. di Cassazione sulla 
nota vertenza relativa alla determinazione delle retribuzioni di tutte le magi� 
strature, critica il proposito, da pi� parti manifestato, di non dare esecuzione 
al giudicato cosi formatosi, attraverso il ricorso al diniego ad adottare i 
necessari atti di autorizzazione alla spesa, stante la insufficienza di fondi nel 
bilancio dello Stato. Viene censurato_ altres� il ricorso alla , interpretazione 
autentica della normativa applicata in sede giudiziaria al fine di attribuirle 
un significato diverso da quello di cui alla sentenza annotata. (E. Figliolia) 

DIRITTO AMMINISTRATIVO 

ANNAMARIA ANGIULI, Silenzio-assenso in materia di concessioni edilizie e prov� 
vedimenti cautelari del giudice , amministrativo in i'.A.R., febbraio 1984, 
parte Il, pp. 71-85. 


Alla luce delle innovazioni normative (legge 25 marzo 198� n. 94) e della 
recente giurisprudenza amministrativa in tema di tutela cautelare, � si esami" 



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PARIB II, RASSEGNA DI DOTTRINA 1.Jf 

nano le varie ipotesi configurabili nel caso in cui, successivamente ad una 
pronunzia sospensiva (o di diniego) in sede cautelare, sia rinnottata una istanza 
di concessione (uguale o difforIIij') dalla precedente) sulla quale la Autorit� 
amministrativa competente lasci perfezionare il silenzio-assenso; si considerano, 
in particolare, gli strumenti posti in tal caso a disposizione del controinteressato, 
e si configura un obbligo della P.A. � di pronunciarsi espressamente 
sulla nuova istanza. (M. Salvatorelli) 

GIUSEPPE BERURI, La giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di 
�giurisdizione contabile, in Il Consiglio di Stato n. 4 (Aprile) p. 541 e ss. 

L'Autore, premesse t~une considerazioni sulla responsabilit� dei pubblici 
dipendenti, esamina le questioni relative all'ambito della giurisdizione della Corte 
dei Conti, riportando la giurisprudenza costituzionale in materia. Vengono poi 
indicati i principi costituzionali dei giudizi di conto e di responsabilit�. 

(G. Lancia) 
DANIELE BoNAMORE, La parit� per le scuole non :;tatali (artt. 33 Cost.) in rapporto 
al servizio dei docenti (nota a ord. T.A.R. Friuli-Venezia Giulia n. 50 
dell'll aprile 1983), in Foro Amm.vo n. 1 -gennaio 1984 p. 130 ss. 

Prendendo spunto dall'ordinanza con la quale il Tribunale Amministrativo 
ha rimesso all'esame della Corte Costituzionale l'art. 1 d.l. 19 giugno 1970 n. 370 
per possibile contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'Autore esamina il quadro 
della normativa vigente in materia di scuole non statali, rilevandone la vetust� 
e la non completa rispondenza alla previsione della Carta Costituzionale 
(art. 33), che prevede esclusivamente l'istituto della �parit�'" senza distinzione 
fra � parificazione� e � pareggiamento�. Osserva inoltre come gli � attuali due 
tipi di scuola non statale, oltre a svolgere funzione sostanzialmente identica a 
quella della scuola statale, sono dalla costante prassi applicativa dcl competente 
Ministero del tutto assimilate fra di loro. (A. D'Elia) 

FRANCO CARINCI, Fenomeno burocratico e anzianit� di servizio, in Riv. trim. di 
dir. e proc. civ., 1984, 2, 437-507. 

L'Autore analizza il fenomeno burocratico (assumendo come pw1te di riferimento 
la c.d. variante pura di W�ber e la critica di Crozier) e la tipologia 
dell'anzianit� di servizio sulle tracce della distinzione, propria della esperienza 
collettiva nord� americana, fra� � competitive status seniority � e � benefit seniority 
'" alla� quale corrisponde grosso modo, la distinzione tra anzianit� di servizio 
relativa ed assoluta, delineandone la diversa rilevanza . nel pubblico impiego. 

L'A. ricostruisce, infine, il quadro generale della vicenda del pubblico 
impiego fino alla stabilizzazione del 1923. (G. Lancia) 


1J6 RASSEGNA DllLL'AVVOCATURA DELLO STATO 

SEBASTIANO CASSARINO, Tendenze riformatrici della giustizia amministrativa� in 
Italia, in Foro Amm.vo n. 1 -�gennaio 1984, p. 259 ss. 

Premesso un cenno storico all'evoluzione del sistema giurisdizionale amministrativo 
italiano dalla formazione dello Stato unitario fino alla Costituzione 
repubblicana, l'Autore esamina le innovazioni ni� importanti realizzate negli 
ultimi decenni, tutte intese allo sfoltimento ed alla semplificazione del complesso 
di organi giurisdizionali. Rileva poi il perdurare di una disorganicit� 
sostanziale del sistema, nonch� l'incertezza dei criteri su cui si basa la distinzione 
fra le due sfere giurisdizionali ed i problemi che si pongono nel concreto 
ricorso alla tutela. Auspica, infine, l'avvento di una riforma istituzionale di larga 
portata, che semplifichi la ripartizione delle competenze fra i due ordini 
giurisdizionali. (A. D'Elia) 

SABINO CASSESE, Le ingiustizie della giustizia amministrativa italiana, in Riv. 
trim. dir. e proc. civ., 1984, 2, 422-36. 

Si tratta della relazione che l'Autore ha tenuto alla Tavola rotanda diAix-
en-Provence su � Administration et administr�s; les insuffisances du contr�le 
jurisdictionnel et des modes de protection non jurisdictionels" (21-22 otto
�,
bre 1983); relazione nella quale, ad un lucido esame delle carenze dell'attuale 
sistema giudiziario amministrativo, si accompagna l'analisi dei tipi di controllo 
non giurisdizionale e di � controllo-partecipazione� che il soggetto privato 
pu� esercitare sull'operato della P.A. (G. Palmieri) 

NICOLA COVIELLO, Contributo allo studio dell'espropriazione per motivi di interesse 
generale, in Riv. Amministrativa 1984, 304 ss. 

Prendendo spunto dalla nota sentenza n. 223/83 della Corte Costituzionale 
in tema di indennizzo, "l'Autore esamina alcuni profili, in materia di espropriazione, 
tra i quali l'applicabilit� dell'Istituto ai beni pubblici ed il possibile 
contenuto espropriativo degli strumenti urbanistici. La nozione elaborata dalla 
Corte Costituzionale di indennizzo come � serio ristoro � viene poi analiticamente 
esaminata, con particolare riferimento alla ipotesi della c.d. � espropriazione 
parziale�. (V. Nunziata) 

FRANCESCO GARRI, Il giudizio di ottemperanza, in Foro amministrativo, n. 1, gen
�naio 1984, p. 265 ss. 

Dopo aver sottolineato la centralit�, sotto molteplici aspetti, del problema 
astratto dell'ottemperanza, l'Autore compie una diffusa analisi dei profili istituzionali 
e strutturali del giudizio di ottemperanza nel sistema positivo, nonch� 
dell'elaborazione giurisprudenziale compiuta nella materia. 


PARTE II, RASSEGNA DI OOTTRINA 1J7 

Si riporta fl sommario: 

1. -Delimitazione del tema. 2. � Cenni sul � conformarsi � alle sentenze 
del giudice ordinario. 3. � Giudizio di ottemperanza e comportamento dell'Amministrazione 
dopo la sentenza di annullamento del giudice amministrativo. 
4. � Giudizio di ottemperanza e tutela dell'interesse sostanziale del ricorrente. 
5. � Giudizio di ottemperanza e immanenza del potere amministrativo. 6.� Nuova 
disciplina in adempimento del giudicato e impugnativa. 7. � Effettiva tutela del 
ricorrente e tempi dei giudizi amministrativi, l'adempimento delle ordinanze di 
sospensione. 8. � La pubblica amministrazione in stato di accusa e tutela dell'interesse 
pubblico. (A. D'Elia) 

CARMINE Mm.moRO, Alcuni particolari aspetti pubblicistici e privatistici nella 
contrattazione amministrativa, in T.A.R., marzo, 1984, parte II, pp. 123-144. 

-.. 

Nell'ambito del fenomeno delle attivit� di diritto privato della pubblica 
Amministrazione, si passano in rassegna alcuni dei problemi di maggior momento 
ove si manifesta la tendenza a non applicare, nei confronti dell'ente pubblico, 
�l diritto comune. 

In particolare si affrontano i temi della responsabilit� precontrattuale, delle 

c.d. clausole vessatorie contenute nelle condizioni generali � di contratto, della 
azione di ingiustificato arricchimento, per concludere in tutte le ipotesi per la 
applicabilit� -in linea di principio -della normativa civilistica. (M. Salvatorelli) 
DoMENICO RllsTA, Alcune osservazioni m margine al sistema delle partecipazioni 
pubbliche, in Riv. Amministrativa, 1984, 279 ss. 

L'Autore tratta delle societ� per azioni a partecipazione pubblica individuandone 
la comune caratteristica nell'esser lo strumento di diritto privato per lo 
Stato per il conseguimento di fini pubblici. 

Viene in particolare giustificata l'impossibilit� di giungere ad una precisa 
definizione del concetto di � impresa pubblica"� per la sostanziale inadeguatezza 
delle norme civilistiche a regolamentare l'intervento pubblico nel settore 
societario. 

L'Autore esamina inoltre dettagliatamente la normativa speciale in materia 
nonch� gli aspetti che maggiormente caratterizzano la partecipazione azionaria 
dello Stato rispetto al comune fenomeno societario. (V. Nunziata) 

GIUSEPPE SANVITI, Limiti e alternativa della giurisdizione amministrativa, in 
Riv. trim. dir. pubbl. 1984, 49 ss. 

L'Autore si diffonde in una approfondita analisi del sistema di giustizia 
amministrativa vigente in Italia, con particolare riferimento ai principi costituzionali, 
alla 1. 1034/71 istitutrice dei T.A.R. ed alla I. 186/82; questa ultima, 
a giudizio dell'Autore, � quella che maggiormente ha inciso sul sistema, perse



118 RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA DELLO STATO 
guelido la finalit� delle parificazioni delle carriere e delle funzioni dei magistrati 
amministrativi nonch� istituendo il Consiglio di Presidenza quale organo di 
autogoverno. 

Vengono inoltre prese in esame le ragioni e le modalit� della c.d. �fuga 
dalla giustizia�, a giudizio dell'Autore frequente anche nel settore della giustizia 
amministrativa. (V. Nunziata) 

ADR�ANO ScHREIBER, Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di tutela delle 
minoranze linguistiche, in Foro Amm.vo, n. l, gennaio 1984, p. 295 ss. 

L'evoluzione dell'interpretazione giurisprudenziale fornita dai giudici amministrativi 
e dalla Corte Costituzionale viene analizzata con riferimento alla 
portata dell'art. 6 della Costituzione (norma � di principio�, o di ripartizione 
delle competenze fra Stato e Regioni?) ed alla legittimit� della legiferazione in 
subiecta materia da parte delle Regioni. (A. D'Elia) 

GIOVANNI VACIRCA, Atti amministrativi di scelta del procedimento di contratta�� 
zione e tutela giurisdizionale (nota a Cons. Stato, V, 18 gennaio 1984 n. 49). 
in F�ro Amm.vo n. l, gennaio 1984, p. 67 ss. 

La nota commenta adesivamente il punto della decisione col quale il Consiglio 
di Stato, per la prima volta, ammette la confi.gural?ilit� di un interesse legittimo 
alla corretta scelta del procedimento di contrattazione da parte della P. A. 
Tale scelta viene considerata come esercizio di una potest�, e l'atto in cui si 
concreta come atto amministrativo. 

La posizione giuridica del privato rispetto a quest'ultimo pu�, secondo il 
notista, essere qualificata di interesse legittimo (con la conseguente possibilit� 
di impugnare l'atto medesimo), in quanto coincide con l'interesse pubblico alla 
tutela del libero esercizio dell'attivit� imprenditoriale. (A. D'Elia) 

/ 

ACQUE ED APPALTI~ 

ANGELO CLARIZIA, Associazione temporanea tra imprese e consorzi nell'esecuzione 
delle opere pubbliche: profili amministrativistici, in T.A.R., marzo, 84, parte 
II, pp. 101-121. 

L'Autore passa in rassegna la disciplina posta, per la collaborazione interimprenditoriale 
negli appalti pubblici, dalla legge n. 584/77 in attuazione delle 
direttive comunitarie. Si esaminano, pertanto, con �ostante riferimento alla 
ratio della legislazione -volta a fornire adeguate garanzie al contraente pub� 
blieo -, le nozioni di integrazione e.cl. � orizzontale � e �verticale �, la natura 
giuridica dell'associazione temporanea -distinta da altre figure affini -, 
l'ambito di applicazione della normativa. In particolare, l'indagine si foca



PARTE li, ~SSEGNA DI DOTI'RINA 1J9 

lizza sul rapporto di mandato che lega le imprese riunite, sulla responsabilit� 
solidale, sulla figura dell'impresa capogruppo, sulle particolarit� che si manifestano 
nella fase di aggiudicazio.ne. (M. Salvatorelli) 

Awo ScoLA, Riflessioni in tema di interessi per ritardato pagamento, rivalutazione 
dei prezzi e collaudi negli appalti pubblici, in Foro amm,vo n. 1, gennai<> 
1984, p. 285 ss. 

L'articolo contien~ un'alitica espos1Z1one della disciplina dell'appalto pubblico 
ed alcuni raffronti fra questa ~ quella dell'appalto di diritto privato. 

Ci si sofferma in particolare sui problemi inerenti al compenso dell'appaltatore, 
alla revisione prezzi (come regolata dalla pi� recente normativa), al1'" 
equo compenso�. per difficolt� impreviste, ed agli interessi per. il ritardato. 
paiamento, nonch� alla natura giuridica ed agli effetti del collaudo. (A. D'Elia} 

DIRITTO E PROCEDURA CIVJ,LE 

FRANCO CIPRIANI, Le sospensioni del processo civile per pregiudizialit�, in Riv. 
dir. processuale 1984, Il, 239 .ss. 

L'Autore si sofferma in un'ampia disamina dell'istituto della sospensione del 
processo civile, con particolare riferimento alle ipotesi previste dagli artt. 295; 
e 337 II comma, cod. proc. civ. Vengono quindi analizzate le varie posizioni della 
dottrina che ha tentato cli coordinar.e le due disposizioni, giungendosi alla conclusione 
della sostanziale superfluit� della seconda; ci�, a giudizio dell'Autore, 
anche per effetto di quella prevalente interpretazione giurisprudenziale che ha 
trasformato la sospensione ex art. 295 �od. proc. civ. da necessaria in discrezionale. 
(V. Nunziata) 

FRANCO CIPRIANI, Omessa sospensione per regolamento di giurisdizione e poteri 
del giudice dell'impugnazione (MOT. a Cass. 28 aprile 1984 n. 2145 e 12 gennaio 
1984 n. 222) in Foro lt., n. 6, giugno 1984, I, 1533. 

L'autore della nota critica l'orientamento accolto dalle sentenze annotate 
riguardo alla cassazione della pronuncia del giudice d'appello, con rinvio, per 
la ripetizione del giudizio, al giudice di primo grado, allorquando quest'ultimo 
abbia omesso di sospendere ex art. 367 c.p.c. stante la proposizione del regolamento 
di giurisdizione poi conch,1sosi con il riconoscimento della stessa. 
A parere dell'Autore � necessario poi differenziare l'ipotesi in cui la sentenza 
sul regolamento sia intervenuta a giudizio d'appello ormai concluso da quella 
in cui questo sia ancora in itinere. (E. Figliolia) 


' 

160 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

GIORGIO COSTANTINO, Note sulle� forme di tutela espropriativa dei crediti assistiti 
da garanzie mobiliari specifiche. (Nota a Pretura Firenze 2 marzo 1984 in 
Foro It. If.� 6, giugno 1984, I, 1715. 

L'Autore, prendendo spunto da un provvedimento pretorile di re1ez1one di 
ricorso ex art. 700 c.p.c. a petto di intimazione di pagamento di credito privilegiato 
ai sensi degli artt. 2756 e 2797 cod. civ., si sofferma su quei particolari 
tipi di tutela espropriativa in cui si perviene alla vendita forzata prescindendo 
dal pignoramento. (E. Figliolia) 

A. 
IACO!<IO, L'ordinanza di rilascio di immobile locato e l'estinzione del processo, 
in Dir. e Giur. 1984, n. l, p. 131. 
Nell'articolo viene sottoposta a critica l'opinione secondo cui l'estinzione 
del processo non travolge l'ordinanza di rilascio dovendosi riportare quest'ultimo 
provvedimento nella categoria di condanna con riserva. (G. Lancia) 

R. 
LANZILLO, I contratti di fornitura di elaboratori elettronici, in Il Foro Padano 
1983, n. 3, p. 158. 
L'Autore, premesse alcune nozioni fondamentali sugli elaboratori elettronici, 
esamina le clausole pi� frequenti nei contratti di fornitura e manutenzione 
<:!egli stessi. Si sottolinea che parte dell'articolo � dedicata ai contratti di cui 
sia parte la P.A. In appendice sono riportati gli schemi di contratto predisposti 

.dall'Assoc�azione nazionale dei produttori di elaboratori. (G. Lancia) 

FERDINANDO MAZZARELLA, Sull'efficacia e l'impugnabilit� dei lodi dopo la legge 
di riforma del 9 febbraio 1983, in Foro It. n. 6, giugno 1984, V, 181. 

L'autore dell'articolo svolge alcune considerazioni in ordine alla problematica 
relativa alla tutela che compete al soccombente nel giudiizo arbitrale, che, 
in forza della novella di cui alla legge 28/1983, mette capo ad una decisione 
immediatamente vincolante, anteriormente ed indipendentemente dalla omologazione 
pretorile. Dopo una ampia disamina dell'istituto in questione, espone 
perplessit� in ordine all'orientamento dottrinale che sostiene l'esperibilit� 
immediata dei mezzi di impugnazione tipici avverso il lodo vincolante ma non 

:ancora omologato. (E. Figliolia) 

.ANTONIO NICITA,. Note sulle forme di chiusura della procedura di amministrazione 
straordinaria, in Giustizia civile, maggio 1984, parte II, pp. 200-219. 

I 

Si passano in rassegna le varie ipotesi di chiusura della procedura istituita 
dalla c.d. � Legge Prodi �; si discute, in particolare, della compatibilit� della 
liquidazione (art. 313 L.F.) e del concordato (art. 214 L.F.) con la finalit� della 
Amministrazione straordinaria, identificata come distinta ed autonoma proce



PARTB II, RASSEGNA DI OOlTRINA 1.61. 

dura concorsuale. Si esamina, ancora, l'ipotesi del ritorno in bonis dell'impresa 
(non considerato testualmente dal legislatore, bench� a ci�, in sostanza, tenda 
la procedura), e dell'applicabilit� dell'art. 118 n. 2 L.F. (M. Salvatorelli) 

GIUSEPPE PERA, Sulla costituzionalit� o no del decreto legge del governo Craxi 
sulla contingenza, in Giustizia civile, maggio 1984, pp. 1652-4. 

Prendendo spunto dalla ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale 
del Pretore di Bologna in data 12 marzo 1984 si formulano alcune riflessioni 
sulla questione, alla luce degli orientamenti della Corte Costituzionale. (M. Sal� 
vatorelli) 

VARIE 

PAOLA GALLERANI MONACI, Il Centro Elaborazione dati presso il Ministero del� 
l'Interno. Problemi e prospettive, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1984, 2, 
54-0-570. 

L'Autrice, dopo un'introduzione generale sugli archivi elettronici, descrive 
il fu�lzionamento del centro elaborazione dati, costituito presso il Ministero 
dell'Interno al fine di tutelare la sicurezza dello Stato e dell'ordine pubblico 
e di reprimere la criminalit� politica e comune (legge n. 121/81) e con il divieto 
assoluto sia di fare un uso discriminatorio delle notizie acquisite, sia di raccogliere 
notizie discriminatorie. 

L'Autrice esamina, inoltre, gli eventuali effetti negativi derivanti dall'utilizzazione 
degli archivi elettronici e affronta l'aspetto relativo alla tutela degli 
interessi del singolo, del suo diritto alla riservatezza e del suo potere di reazione 
contro gli eventuali abusi. (G. Palmieri) 

" 


162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

SEGNALAZIONE DI NUOVE PUBBLICAZIONI 
RECENSITE DALLE RIVISTE ESAMINATE 


DIRITTO AMMINISTRATIVO 

NICOLA ASSINI, LUCIA MAROTTA, La concessione di opere pubbliche, Padova, 1981. 

Il volume prende in esame innanzitutto i caratteri e la natura della concessione 
di opere pubbliche, dell'attivit� che precede l'emanazione dell'atto di 
concessione nonch� la scelta del concessionario. Vengono poi analizzati i problemi 
relativi all'equilibrio finanziario della concessione, al corrispettivo e al 
finanziamento del concessionario, nonch� quelli riguardanti la decadenza e 
revoca della concessione. (V. Nunziata) 


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FIALE A., Diritlo urbanistico, Simone, Napoli 1983. 

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Esposizione aggiornata ed organica della m~teria urbanistica. Il manuale 
� completato da un'appendice legislativa essenziale. (G. Lancia) 

I

GIULIANI G., Manuale dell'I.V.A., Giuffr�, Milano, 1984. 

L'opera giunta alla VII edizione � una completa raccolta di legislazione, 

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norme amministrative, decisioni giurisprudenziali. (G. Lancia) 

I 

SPAGNA Musso E., Corso di diritto regionale, CEDAM, Padova, 1984, pp. 293. 

L'opera raccoglie una serie di scritti diversi sul diritto regionale, coordinati 
al fine di offrire allo studioso un quadro sistematico . generale della materia. 

(M. Salvatorelli) 
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MARIO NIGRO, Giustizia amministrativa, Il Mulino, Bologna, 1983. '

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L'opera giunta alla III edizione, � stata integralmente aggiornata e riveduta. 

{G. Lancia) 
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PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA 

QUAGLIA M.A., L'onerosit� della concessione edilizia, Quaderno 6 della Collan� 
�Territorio e casa,., Milano, 1983. 

L'Autore esamina i profili dell'onerosit� della concessione edilizia, introdotta 
dalla legge n. 10 del 1977, nonch� tutta la problematica del � regime dei suoli " 
e dello scorporo del potere di edifii:are dal diritto di propriet�, di cui il contributo 
della concessione edilizia doveva rappresentare una componente fon� 
damentale. 

Vopera � arricchita da un completo apparato bibliografico e giurisprudenziale. 
(V. Nunziata) 

CARMINE'Russo, La legge-quadro sul pubblico impiego, Roma, 1983. 

Si tratta di un comm�nto alla legge n. 93/83, della quale si espongono la 
genesi, i contenuti e le finalit�. Particolare attenzione � dedicata alla individuazione 
dei destinatari delle � 1eggi, alla struttura della contrattazione e alle 
materie contrattabili, alla regolamentazione del diritto. di sciopero dei pubblici 
dipendenti. (V. Nunziata) 

M. 
SCORDA, L'equo indennizzo per i dipendenti pubblici, Edizioni C.I.S.P., Roma, 
pp. 227. 
L'opera passa in rassegn� la vigente normativa in materia,. suddivisa a 
seconda delle varie categorie di pubblici dipendenti alle quali � applicabile. 

(M. Salvatorelli) 
ROBERTO TORRIGIANI, I c;ontrolli sulla finanza pubblica. Profili evolutivi, Roma, 1984. 

L'opera tratta esaurientemente la materia suddivisa in due capitoli, il primo 
relativo ai controlli sulle finanze ddlo Stato e degli enti pubblici, il secondo 
relativo ai controlli sulle �finanze dei livelli di governo regionale e locale. 

In 
appendice un'ampia bibliografia. (V. Nunziata) 

PIETRO VIRGA, Diritto amministrativo, Giuffr�, 1983. 

Primo dei tre volumi di un nuovo manuale. (G. Lancia) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

APPALTI E ACQUE PUBBLICHE 

GIOVANNI LEoNE, Opere pubbliche tra appalto e concessione, Padova, CEDAM, 
1983, pp. 218. 

L'Autore, dopo aver esaminato l'istituto della concessione di opere pubbliche 
alla luce delle elaborazioni dottrinali e della pi� recente disciplina legislativa, 
individua gli elementi distintivi fra tale concessione e lo strumento alternativo 
dell'appalto di opere pubbliche e si sofferma sui problemi specificamente atti


, nenti all'applicazione dell'istituto della concessione di opere pubbliche. (G. Palmieri) 


DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

Gumo ALPA � MARio BESSONE, I fatti illeciti e la responsabilit� civile, in Trattato 
di diritto privato, diretto da Pietro Rescigno, VI, Utet; Torino, 1982, pp. 467. 

L'opera, impostata secondo i criteri caratteristici delle altre opere degli A.A., 
si divide. in cinque capitoli. Il secondo, in particolare, analizza dettagliatamente 
le ipotesi tipiche di responsabilit� della P.A. (opere pubbliche; manutenzione 
stradale, ferroviaria; attivit� contrattuale, informativa, fatto dei dipendenti, usi 
civici, attivit� di imperio-inerzia). (G. Palmieri) 

MARIO BESSONE, Nuovi saggi di diritto civile, Giuffr�, Milano, 1980. 

Raccolta dei pi� recenti scritti di Bessone gi� pubblicati, sparsi su varie 
riviste giuridiche, nella quale l'indagine sugli interessi meritevoli di tutela che 
caratterizzano questo� momento storico � svolta con i metodi di ricerca gi� 
sperimentati nelle altre opere di Bessone e, cio�, con particolare riguardo alla 
progressiva evoluzione della giurisprudenza e della dottrina, alla politica de1 
diritto civile e all'analisi comparativa con il diritto inglese e americano. (G. Palmieri) 


AA.W., Le successioni testamentarie, U.T.E.T., 1983. 

Il volume fa parte della collana � Giurisprudenza sistematica di diritto civile � 
diretta dal Bigravi. (G. Lancia) 

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PARTE Il, RASSEGNA DI DOTrRINA 
16Y 

CARP. F., CoLESANTI V., TARUFFOM, Commen(ario breve al codice di procedura 
civile, CEDAM, Padova, 1984. 

Nuovo volume della serie � Breviaria curis "� Ogni articolo del codice viene 
sinteticamente ma completamente commentato con la dottrina e la giurisprudenza. 
(G. Lancia) 

DIRITTO PENALE 

A. 
ROMANO, Le modifiche al sistema penale �nei confronti delle violazioni del 
codice stradale e dei regolamenti comunali, Ed. Barbieri e Noccioli, Empoli, 
1984, pp. 371. 
Il volume offre una sistematica esposizione delle violazioni per le quali, a 
seguito dell'entrata in vigore della legge n. 689/81, � applicabile una sanzione 
amministrativa, segnalandosi soprattuto per essere destinato direttamente agli 
operatori del ramo. 



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LEGISLAZIONE 


LEGGI E DECRETI (*) 

Legge 10 luglio 1984, n. 292, � Nuove norme in materia di assetto giuridico 
ed economico del personale dell'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato � 

(G. U. n. 193 del 14 luglio 1984); 
legge 10 luglio 1984, n. 301, � Norme di accesso alla dirigenza statale � , 

(G. U. n. 194 del 16 luglio 1984); 
legge 12 luglio 1984, n. 348, � Ratifica ed esecuzione dell'accordo tra il 
governo della Repubblica Italiana ed il governo del Regno del Marocco sull'indennizzo 
dei beni italiani trasferiti allo Stato marocchino, firmato a Rabat 
il 25 maggio 1982 (suppi. ord. G. U. n. 100 del 21 luglio 19~); 

legge 25 luglio 1984, n. 381, " Conversione in legge con modificazioni del 
decreto-legge 29 maggio 1984, n. 176, concernente misure urgenti in materia 
di tutela ambientale� (G. U. n. 206 del 27 luglio 1984); 

legge 4 luglio 1984, n. 388, ~Rendiconto generale dell'Amministrazione dello 
Stato per l'esercizio finanziario 1980" (suppi. ord. G. U. n. 2fJ7 del 28 luglio 1984); 

legge 4 luglio 1984, n. 389, �Rendiconto generale dell'Amministrazione dello 
Stato per l'esercizio finanziario 1981 � (suppi. ord. G. U. n. 2fJ7 del 28 luglio 1984); 

legge 26 luglio 1984, n. 392, � lnte1pretazione autentica dell'art. 1 della 
legge 11 febbraio 1980, n. 18, in materia di indennit� di accompagnamento 
agli invalidi civili totalmente inabili� (G. U. n. 209 del 31 luglio 1984); 

legge 27 luglio 1984, n. 397, � Modifiche dell'arresto obbligatorio e facoltativo 
in flagranza -Giudizio direttissimo davanti al Pretore� (G. U. n. 210 del 1� agosto 
1984); 

legge 28 luglio 1984, n. 398, � Nuove norme relative alla diminuzione dei 
termini di carcerazione cautelare ed alla concessione della libert� provvisoria � 

(G. U. n. 210 del 1� agosto 1984); 
legge 30 luglio 1984, n. 399, � Aumento dei limiti di competenza del conciliatore 
e del pretore� (G. U. n. 210 del 1� agosto 1984); 

legge 31 luglio 1984, n. 400, � Nuove norme sulla competenza penale e sull'appello 
contro le sentenze del Pretore� (G. U. n. 210 del 1� agosto 1984); 

(*) Si segnalano alcuni tra i provvedimenti normativi pubblicati nella 
Gazzetta Ufficiale nei mesi di luglio e agosto. 

18 



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168 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 4 agosto 1984, n. 423, � Scioglimento dell'Ente Nazionale di Lavoro 
per i ciechi e provvidenze per i lavoratori delle aziende dipendenti dal disciolto 
ente� (G. U. n. 217 dell'8 agosto 1984); � 

legge 4 agosto 1984, n. 428, � Integrazione del fondo per i contributi sui 
finanziamenti destinati allo sviluppo del settore della stampa quotidiana e 
periodica di cui all'art. 29 della legge 5 agosto 1981, n. 416 � (G. U. n. 279 del 
9 agosto 1984); 

legge 4 agosto 1984, n. 508, �Rendiconto generale dell'Amministrazione 
dello Stato per l'anno finanziario 1982 � (suppl. ord. G. U. n. 235 dcl 27 agosto 
1984); 

legge 6 agosto 1984, n. 425, � Disposizioni relative al trattamento economico 
dei magistrati� (G. U. n. 217 dell'8 agosto 1984); 

d.P.R. 6 �agosto 1984, n. 426, � Norme di attuazione dello Statuto Speciale 
per la Regione Trentino-Alto Adige concernenti istituzione del Tribunale Amministrativo 
Regionale di Trento e della sezione autonoma di Bolzano (G. U. 
n. 217 dell'8 agosto 1984); 
dP.R. 6 agosto 1984, � Soppressione e liquidazione della Cassa per il Mezzogiorno" 
(G. U. n. 217 dell'8 agosto 1984); 

d.P.R. 6 agosto 1984, �Attribuzione della gestione dei prestiti contratti 
all'estero dalla Cassa per il Mezzogiorno, ai sensi dell'art. 29, secondo comma, 
del testo delle leggi sul Mezzogiorno approvato con d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 �, 
(G. U. n. 217 dell'8 agosto 1984); 
legge 6 agosto 1984, n. 457, � Norme per il coordinamento della finanza della 
Regione Friuli-Venezia Giulia con la riforma tributaria� (G. U. n. 223 del 
14 agosto 1984); 

legge 11 agosto 1984, n. 449, � Norme per la regolamentazione dei rapporti 
tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla .Tavola valdese � (G. U. 11. 225 del 
13 agosto 1984); 

d.l. 29 agosto 1984, n. 521, � Sostituzione del sistema di tesoreria unica per 
enti ed organismi pubblici� (G. U. n. 239 del 30 agosto 1984). 
NORME SOTTOPOSTE A GIUDIZIO 
DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 


-I NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Legge 2 luglio 1952, n. 703, art. 39, primo comma, limitatamente alle parole 
" e successive modificazioni �. 

Sent�nza 19 dicembre 1984, 11. 292, G. U. 27 dicembre 1984, n. 354. 

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PARTE II, RASSEGNA DELLA LEGISLAZIONE 

d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, art. 8, lett. b), nella parte in cui ai fini dell'at� 
tribuzione degli assegni familiari non assimila all'ipotesi di morte del genitore 
l'abbandono da parte di questi. 
Sentenza 19 dicembre 1984, n. 291, G. U. 27 dicembre 1984, n. 354. 

legge 5 marzo 1961, n. 90, artt. 29, 30 e 34 e legge 18 marzo 1968, n. 249, 
art. 23, nella parte in cui non determinano nello stesso modo previsto per gli 
impiegati dello Stato la durata massima dell'assenza, con conservazione del 
posto, degli operai dello Stato per motivi di salute e la dispensa dal servizio 
dei medesimi quando, per infermit�, risultino in condizione di non poter 
riprendere la propria attivit�. 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 247, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge 18 marzo 1968, n. 249, art. 23 e legge 5 marzo l961, n. 90, artt. 29, 

30 e 34, nella parte in cui non determinano nello stesso modo previsto per gli 

impiegati dello Stato la durata massima dell'assenza, con conservazione dcl 

posto, degli operai dello Stato per motivi di salute e la dispensa dal servizio 

dei medesimi quando, per infermit�, risultino in condizione di non poter 
� riprendere la propi:ia attivit�. 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 247, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

dP.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 5, primo comma, nella parte in cui 
prevede che gli orfani maggiorenni abbiano diritto all'indennit� di buonuscita 
solo quando conseguano il diritto alla pensione di riversibilit� 

Sentenza 3 dicembre 1984, n. 255, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. 

legge 21 giugno 1975, n. 287, art. 20, penultimo comma, nella parte in cui 
d� piena e integrale esecuzione alla previsione delle deroghe eccezionali di 
cui all'art. 5, paragrafo IV, dell'accordo di coproduzione cinematografica italoo 
francese del 1� agosto 1966, e �alle successive modificazioni"� 

Sentenza 19 dicembre 1984, n. 295, G. U. 27 dicembre 1984, n. 354. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 7, tredicesimo comma, nella parte in cui 
prevede che, per la copertura dei disavanzi delle aziende di trasporto pubblico 
locale, non ripianabili con i contributi regionali di esercizio di cui 
all'art. 5 della legge n. 151/1981, le regioni sono tenute -anzich� facoltizzate a 
prelevare i fondi necessari dalla quota del fondo comune di cui all'art. 8 
della legge n. 281/1970, quanto alle regioni a statuto ordinario, e dalle corri� 
spondenti entrate di parte corrente previste dai rispettivi ordinamenti, quanto 
alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome. 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 19, terzo comma, nella parte in cui 
non prevede che siano le regioni -�ar�zich� il Presidente del Consiglio dei 
Ministri, previa deliberazione del Consiglio . stesso, sentito il Ministro dcl 
tesoro -a determinare, valutate le eventuali necessit�, i singoli casi in cui 
sia indispensabile procedere ad assunzione di personale presso gli enti ammi� 
nistrativi dipendenti dalle regioni medesime, ferme restando le funzioni di 
indirizzo e coordinamento previste per le amministrazioni regionali dall'art. 9, 
quinto comma, della legge n. 130/1983. 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 


170 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 29, secondo comma, n. 1, nella parte in cui 
prevede che, per ripianare il disavanzo delle unit� sanitarie locali, le regioni 

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sono tenute -anzich� facoltizzate -a prelevare i fondi necessari dalla quota 
del fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281/1970, quanto alle regioni 
a statuto ordinario, e dalle corrispondenti entrate di parte corrente previste 
dai rispettivi ordinamenti, quanto alle regioni a statuto speciale ed alle province 
autonome. 

1Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 31, primo comma. 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

Codice di procedura civile, art. 444, secondo comma ,(artt. 3, 24 e 38, della 
Costituzione). I 

Sentenza 12 dicembre 1984, n. 282, G. U. 19 dicembre 1984, n. 348. 

r.d. 16 luglio 1905, n. 646, art. 20 (artt. 3, primo comma, e 24 secondo comma, 
della Costituzione). 
Sentenza 14 novembre 1984, n. 249, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. 

regolamento allegato A al r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, artt. 18, prlino e quarto 
comma, e 1, terzo e quarto coip.ma (art. 35 della Costituzione). 

Sentenza 3 dicembre 1984, n. 257, G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. 

legge 22 luglio 1966, n. 607, art. 18, secondo comma (artt. 3, 42, terzo comma, 
della Costituzione). 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 246, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge 30 marzo 1971, n. 118, art. 13, primo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 12 dicembre 1984, n. 278, G. U. 19 dicembre 1984, n. 348. 

dP.R. 26 ottobre 1972, n. 642, art. 1 (art. 24 della Costituzione). 

Sentenza 6 dicembre 1984, n. 268, G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 46 e 48 (artt. 36 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 6 dicembre 1984, n. 277, G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (artt. 36 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 6 dicembre 1984, n. 277, G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. 
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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
171 

legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9, ultimo comma, parte seconda (artt. 3, 
36, 38 e 42 della Costituzione). 

Sentenza 12 dicembre 1984, n. 280, G. U. 19 dicembre 1984, n. 348. 

legge n luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65. 

Sentenza 12 dicembre 1984, n. 281, G. U. 19 dicembre 1984, n. 348. 

legge 17 agosto 1979, n. 38, artt. 40 e 48 (artt. 3, 35, 36 e <J7 della Costituzione). 
Sentenza 19 dicembre 1984, n. 296, G. U. 'J:J dicembre 1984, n. 354. 

disegno di legge reg. Veneto approvato il 2 aprile 1980 e riapprovato il 
18 dicembre 1980 (artt. 3, 36, <J7, 117 e 119 della Costituzione). 

Sentenza 19 dicembre 1984, n. 290, G. U. 'J:J dicembre 1984, n. 354. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 7, undicesimo comma (artt. 5, 81, quarto 
comma, 117, 118 e 119 della Costituzione). 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge n dicembre 1983, n. 730, art. 7, dodicesimo comma (artt. 5, 81, quarto 
comma. 117, 118 e 119 della Costituzione). 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge. n dicembre 1983, n. 730, art. 19, terzo comma (artt. 5, 115, 117 e 118 
della Costituzione). 

Sentenza' 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge n dicembre 1983, n. 730, art. 19, quarto comma (artt. 5, 115, 117 e 118 
della Costituzione). 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 24, primo comma, lett. b) (art. 117 della 
Costituzione). 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge n dicembre 1983, n. 730, art. 25, secondo comma (artt. 4, n. 7, 9, n. 10, 
16 e 54, n. 5 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 25, terzo comma (artt. 32, primo comma, 
e 119 della Costituzione e 19 dello statuto Regione Siciliana). 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 25, terzo comma, ultimo periodo (artt. 4 

n. 
7, 8, n. 1, 9, n. 10, e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

172 

'RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBU.O STATO 

legge 'J:1 dicembre 1983, n. 730, art. '1:1, primo ed ultimo comma (artt. 9, 

n. 10, 16 e 78 dello statuto speciaie per il Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 28 (artt. 5, 115, 117, 118, 123 e 130 della 
Costituzione). 

Sentenza 30 ottobre �1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 31, secondo comma (artt. 5, 115, 117 e 
118 della Costituzione e 17 e 20 dello statuto Regione Sicilana). 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 32, quinto comma (artt. 117 e 130 della 
Costituzione). 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730; art. 35, quattordicesimo comma (art: 119 della 
Costituzione). 

Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 

III -QU.ESTIONI PROPOSTE 

Disposizioni sulla legge in generale, che precedono il testo del codice civile, 
art. 18 (artt. 3 e 29 della Costituzione). 

Tribunale di Palermo, ordinanza 30 marzo 1984, n. 864, G. U. 21 novembre 
1984, n. 321. 

codice penale, art. 590 (art. 3 della Costituzi�ne). 

Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 16 marzo 1984, n. 823, G. U. 
21 novembre 1984, n. 321. 

codice di procedura penale, artt. 171 e 509, primo comma (art. 24 della 
Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 21 marzo 1984, n. 845, G. U. 21 novembre 
1984, n. 321. 

d.l. 28 febbraio 1939, n." 334, art. 23, primo comma [conv. in legge 2 giugno 
1939, n. 739] (art. 53 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 6 marzo 1984, n. 830, G. U. 7 novembre 
1984, n. 3ff7. I 

r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, allegate tabelle A e B (artt. 3, 36, 38 e 53 della 
Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 819/84, G. U. 7 novembre 
1984, n. 307. 



PARTE II, RASSEGNA,DI LEGISLAZIONE 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 21 e 91 (artt. 3, 23 e 36 della Costituzione). 
Tribunale di Orvieto, ordinanza 10 maggio 1984, n. 903, G U. 21 novembre 
1984, n. 321. 

_r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, primo comma (art. 24 della Costituzione). 

Tribunale di Ravenna, ordinanza 29 marzo 1984, n. 803, G. U. 7 novembre 
1984, n. 307. 

d.P.R. 29 novembre 1952, n. 2768 (artt. 43, 44, 76 e 77 della Costituzione). 
Tribunale di Firenze, oi;,dinanza 11 aprile 1983, n. 880/84, G. U. 5 dicembre 
1984, n. 335. 

d.P.R. 27 dicembre 1952, n. 3939 (artt. 43, 44, 76 e 77 della Costituzione). 
Tribunale di Firenze, ordinanza 11 aprile 1983, n. 880/84, G. U. 5 dicembre 
1984, n. 335. 

d.P.R. 21 giugno 1955 (artt. 43, 44, 76 e 77 della Costituzione). 
Tribunale di Firenze, ordinanza 11 aprile 1983, n. 880/84, G. U. 5 dicembre 
1984, n. 335. 

t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 92 (artt. 3, 21, 24, 25, 27 e 36 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 28 gennaio 
1976, n. 858/84, G. U. 21 dicembre 1984, n. 354. 

legge 13 marzo 1958, n. 365, artt. 1 cpv., 4, 5 lett. a), e 7 lett. a) (art. 3 della 
, 'Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 23 giugn_o 
1983, n. 841/84, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n: 393, art. 91 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 16 marzo 1984, n. 823, G. U. 21 novembre 
1984, n. 321. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo com11:1a, lett. a) (art. 3 della 
<Costituzione). 

Pretore di Ancona, ordinanza 31 gennaio 1984, n. 815, G. U. 7 novembre 
1984, n, 307. 

Pretore di Taranto, ordinanza 2 febbraio 1984, n. 817, G. U. 21 novembre 
ll984, n. 321. 

legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 6, ultimo comma (art. 3 della Co'.
Stituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 9 maggio 1977, n. 885/84, G. U. 21 novembre 
il.9.84., n. 321. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, primo e quarto comma (artt. 3 e 38 
della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 8 marzo 1984, n. 802, G. U. 7 novembre 1984, 

n. 307. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 1 e 4 (artt. 35 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 3 aprile 1984, n. 1235, G. U. 5 dicembre 1984, 
n. 335. 
legge 12 febbraio 1968, n. 132, art. 43, lett. d) (artt. 3, 4 e 97 della Costi� 
tuzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 23 giugno 
1976, n. 843/84, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. 

d.P.R. 27 aprile 1968, n. 468, art. 5 (artt. 3, .36, 38 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 819/84, G. U. 7 novembre 
1984, n. 307. 

d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 18, ter:to comma (art. 38 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 10 novembre 1983, n. 861/84, G. U. 21 novembre 
1984, n. 321. 

d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 18, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Genova, ordinanza 28 maggio 1984, n. 955, G. U. 5 dicembre 
1984, n. 335. 

d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, artt. 47, primo e terzo comma, e 133 (artt. 3, 
4 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 23 giugno 1976, 

n. 843/84, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. 
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della � 
Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 819/84, G. U. 7 novembre 
1984, n. 3fY'l. 

legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 17 (art. 76 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 26 giugno 1984, 

n. 1185, G. U. 28 novembre 1984, n. 328. 
d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 20, primo comma (artt. 3, 36 e 97 della 
Costituzione). 
Consiglio di Stato, ordinanza 22 marzo 1983, n. 797/84, G. U. 7 novembre 
1984, n. 3fY'l. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 55 (art. 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Bologna, ordinanza 4 maggio 
1979, n. 909/84, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. 

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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 17f 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 77, secondo comma (art. 73 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Bologna, ordinanza 4 maggio 1979, 

n. 909/84, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12 e 46 (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). 
Tribunale di Trani, ordinanza 12 aprile 1984, n. 816, G. U. 7 novembre 
1984, n. 3Cfl. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 13 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Corte Costituzionale, ordinanza 19 giugno 1984, n. 1104, G. U. 12 dicembre 
1984, n. 341. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 23 febbraio� 
1984, n. 799, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. 
Commissione tributaria di secondo grado di Rovigo, ordinanza 2-0. marz0> 
1984, n. 809, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, quarto comma (artt. 2, 3, 24 e 53, 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 19 gennaio1984, 
n. 905, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, 39, 53 e 54 (artt. 24 ~. 113 della 
Costituzione). 
Pretore di Caltanissetta, ordinanze (sei) 12 aprile 1984, nn. 914-919, G. U. 19 dicembre 
1984, n. 348. 

legge 15 febbraio 1974, n. .36, art. 1, primo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 22 marzo 1984, n. 910, G. U. 28 novembre 
1984, n. 328. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, artt. 10, sesto comma, e 26 (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale di Cremona, ordinanza 30 marzo 1984, n. 811, G. U. 5 dicembre 
1984, n. 335. 

legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 27, terzo comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della 
Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 819/84, G. U. 7 novembre 
1984, n. 307. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 69, quinto comma (art. 24 della Costituzione). 

Magistrato di sorveglianza di Padova, ordinanza 22 marzo 1984, n. 862, 

G. U. 21 novembre 1984, n. 321. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge � prov. di Trento 3 settembre 1977, n. 24, art. 28, secondo comma 
{art. 3 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 20 dicembre 
1983, n. 842/84, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. 

legge 23 dicembre 1977, n. 952, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Macerata, ordinanza 11 aprile 
1984, n. 888, G. U. 21 novembte 1984, n. 321. 

legge 27 luglio 197~, n. 392, art. 27, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Forl�, ordinanza 15 marzo 1984, n. 805,. G. U. 7 nov�mbre 1984, 

n. 307. � 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 30, 46 e 84 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 7 aprile 1984, n. 818, G. U. 5 dicembre 
1984, n. 335. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 62 e 71 (art. 3 della Costituzione). 

Giudice. conciliatore di Roma, ordinanza 27 aprile 1984, n. 838, G. U. 28 novembre 
1984, n. 328. 

legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 2, terzo comma (artt. 3 e 37 della Costituzione). 


Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Sicilia, ordinanza 
19 gennaio 1984, n. 937, G. U. 28 novembre 1984, n. 328. 

legge 26 gennaio 1980, n. 16, art. 5, secondo comma, seconda parte (art. 3 
<lella Costituzione). 

Corte d'appello di Roma, ordinanza 14 febbraio 1984, n. 950, G. U. 12 dicembre 
1984, n. 341. 

legge 24 aprile 1980, n. 146, art. 48 (art. 76 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 26 giugno 1984, 

n. 1185, G. U. 28 novembrp 1984, n. 328. 
legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 4 (artt. 3 e 37 della Costituzione). 

Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Sicilia, ordinanza '� 
19 gennaio 1984, n. 937, G. U. 28 novembre 1984, n. 328. 

d.I. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [convertito in legge 26 settembre 1981, 
n. 537] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 5 aprile 1984, n. 813 G. U. 5 dicembre 1984, 

n. 335. 
d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, art. 27 (artt. 25, 76, 77 e 108 della Costituzione). 
Consiglio di Stato, seziorie quarta giurisdizionale, ordinanza 26 giugno 1984, 

n. 1185, G. U. 28 novembre 1984, n. 328. 

PARTE II. RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 177 

. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Livorno, ordinanza 18 aprile 1984, n. 808, G. U. 7 novembre 1984, 

n. 307. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Palmi, ordinanza 21 febbraio 1984, n. 824, G. U. 21 novembre 1984,' 

n. 321. 
� legge 24 novembre 1981, 11. 689, artt. 60, ultimo comma, e 77, secondo comma 
(artt. 3 e 26 della Costituzione). 

, Pretore di Brunico, ordinanza 28 febbraio 1984, n. 820, G. U. 7 novembre 
1984, n. 307. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 62, primo comma (art. 24 della Costituzione). 


Pretore di Menaggio, ordinanze (sette) 4 aprile 1984, nn. 965-971, G. U. 
19 dicembre 1984, n. 348. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di La Spezia, ordinanza 17 aprile 1984, n. 832, G. U. 7 novembre 
1984, n. 307. 
Pretore di Portoferraio, ordinanza 18 gennaio 1984, n. 836, G. U. 21 novero� 
bre 1984, n. 321. 
Pretore di Portoferraio, ordinanza 12 novembre 1983, n. 839/84, G. U. 5 dicembre 
1984, n. 335. � 
Pretore di Asti, ordinanza 27 aprile 1984, n. 868, G. U. 21 dicembre 1984, 

n. 354. 
dJ. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15�bis [convertito in legge 25 marzo 1982, 

n. 94] (art. 3 della Costituzione). � 
Pretore di MilaI\O, ordinanza 31 gennaio 1984, n. 825, G. U. 21 novembre 
1984, n. 321. � 

Pretore di S. Benedetto del Tronto, ordinanza 29 marzo 1984, n. 840, 

G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. 
legge 25 marzo 1982, �n. 94, art. lS.bis (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Livorno, ordinanza 18 aprile 1984, n. 807, G. U. 7 novembre 1984, 

n. 307. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 5 aprile 1984; n. 813, G. U. 5 dicembre 1984, 
Il. 335. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42, 43 e 44 
della Costituzione): 

Tribunale di Chieti, ordinanza 21 dicembre 1983, n. 514/84, G. U. 21 novembre 
1984, n. 321. 


legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). 


Pretore di Piombino, ordinanza 28 giugno 1984, n. 1070, G. U. 7 novembre 
1984, n. 3'Yl. 

I 

legge 7 agosto 1982, n. 512, artt. 2 e3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

\ 
178 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42 e 44 della 
Costituzione). 
Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 10 febbraio 1984, n. 814, G; U. 7 novembre 
1984, n. ?JJl. 
legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 76 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, ordinanze (due) 26 novembre 
1983, nn. 942 e 943/84, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335 e G. U. 12 dicembre 1984, 
n. 341. 
Tribunale di Pesaro, ordinanza 17 dicembre 1983, n. 904/84, G. U. 21 novem


I 

bre 1984, n. 321. 

d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, artt. 1 e 2 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
I

Tribunale di Pesaro, ordinanza 17 dicembre 1983, n. 904/84, G. U. 21 novemi 
bre 1984, n. 321. 

I 

legge 13 settembre 1982, n. 646, art. 21 (art. 3 della Costituzione). ~ 

Pretore di Foggia, ordinanza 27 marzo 1984, n. 947, G. U. 5 dicembre 1984, 

�~ 

n. 335. 
d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 19 e 20, quinto, sesto, decimo e undiceshnocomma 
[convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131) (artt. 3, 23 e 53 deila 
Costituzione). 

l 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordin�nza 13 apri~: 
�: 
le 1984, n. 957, G. U. 28 novembre 1984, n. 328. 

~ 

d.L 12 settembre 1983, n. 463, art. 14 [convertito in legge 11 novembre 1983, 
n. 638) (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 5 aprile 1984, n. 813, G. U. 5 dicembre 1984, 

n. 335. 
d.l. 15 febbr~o 1984, n. 10, art. 3 (artt. 3, 36 e 39 della Costituzione). 
Pretore di Genova, ordinanza 31 marzo 1984, n. 847, G. U. 19 dicembre 1984, 

n. 348. 
legge reg. Lazio approvata 1'8 maggio 1984, riapprovata il 24 settembre 1984 
e comunicata il 28 settembre 1984 (artt. 51, 97, 81 e 117 della Costituzione). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 22 ottobre 1984, n. 35, G. U. 
14 novembre 1984, n. 314. 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISL\ZIONE 

legge reg~ Calabria approvata il 10 luglio 1984, riapprovata il 3 ottobre 1984 
e comunicata 1'8 ottobre 1984 (artt. 51, 97 e 117 della Costituzione). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 30 ottobre 1984, n. 38, G. U 
14 novembre 1984, n. 314. 

legge reg. Liguria approvata il 25 luglio 1984, riapprovata ':I 26 settembre 1984 
e comunicata il 27 settembre 1984 (artt. 51, 97 e 117 della Costituzione). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 19 ottobre 1984, n. 34, G. U. 
7 novembre 1984, n. 307. 

d.P.R. 18 settembre 1984, n. 581, artt. 6, 7, 9, 10 e 11 (artt. 3, 21, 117, 118 
e 119 della Costituzione). 
Regione Liguria, ricorso 26 ottobre 1984, n. 37, G. U. 14 novembre 1984, 

n. 314. 
d.I. 18 settembre 1984, n. 582 in toto e in particolare artt. 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 
10, 11, 12, 13 e 15 (artt. 3, terzo comma, 8, n. 10, 16 e 78 dello statuto per il Trentino-
Alto Adige). 
Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 26 ottobre 1984, n. 36, G. U. 
14 novembre 1984, n. 314. 

legge reg. Lazio riapprovata il 17 ottobre 1984 (art. 117 della Costituzione). 

Presidenza Consiglio dei Ministri, ricorso 13 novembre 1984, n. 39, G. U. 
5 dicembre 1984, n. 335. 

legge 29 ottobre 1984, n. 720 (artt. 3, 117 e 119 della Costituzione). 

Regione Toscana, ricorso 5 dicembre 1984, n. 40, G. U. 27 dicembre 1984, 

n. 354. 

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