-ANNO XXXVI -N. 6 NOVEMBRE -DICEMBRE 1984 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servtzio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1985 ABBONAMENTI ANNO 1985 ANNo. . . . . � . . . . . � . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 33.350 UN NUMERO SEPARATO ������������������������, � 6.100 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in ltalia -Printed in Italy Jl.utorlzzazlonc" Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lu11lio 1966 (6219206) Roma, 1984 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura delfavv. Franco Favara) . . . . . . pag. 837 sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura de//'avv. Oscar Fiumara) . . . li 900 Sezlcme terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDI. ZIONE (a cura-degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . . . li 939 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Paolo Cosentino e Anna Cenerini) . . . . . li 949 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli avvocati Raffaele Tamiozzo e G. P. Polizzi} , 968 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura delfav , vocato Carlo Baflle) 998 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) 11 1028 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati. Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . . � 1047 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO QUESTIONI pag.. 141 � RASSEGNA DI DOTTRINA � 151 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE � 167 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CONTU, Cagliari; Francesco GuiccrARDr, Genova; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino; Maurizfo DE FRANcHrs, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste.; Giancarlo MANDb, Venezia ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI CARAMAZZA I. F., L'accesso dei cittadini ai documenti della pubblica amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il, 141 FIUMARA O., Il � giudice successivamente adito � nella convenzione di Bruxelles del Zl settembre 1968 sulla competenza giurisdi zionale . . . . . . . . . . . . . I, 911 FIUMARA O.,La clausola attributiva di competenza nelle polizze di carico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 917 FIUMARA O., Reddito garantito alle persone anziane: parit� di trattamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 929 PoLIZZI G. P., Brevi note sulla pretesa incostituzionalit� dell'art. 85 t.u. d.P.R. 3/1957 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 974 VITIORIA P., I ricorsi ammi11istrativi in materia di revisione dei prezzi: orientamenti giurisprudenziali e modifiche _legslative . I, 1031 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Revi� sione dei prezzi -Determinazione specifica della P.A. in corso d'opepera sui criteri di liquidazione � Onere di impugnazione, con nota di P. VITTORIA, 1029. -Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Prezzi correnti alla data dell'offerta -Individuazione Tabelle note -Pubblicazione successiva di tabelle relative a periodi comprensivi della data dell'offerta Irrilevanza, con nota di P. VITTORIA, 1029. -Appalto di opere pubbliche -Revi� sione dei prezzi -Ricorso ex art. 4 dJ.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. �1051 Decisione -Competenza delle Pro� vince di Trento e Bolzano -Esclusione -Generico trasferimento delle materie lavori pubblici di interesse provinciale ed edilizia sovvenzionata -Irrilevanza, con nota di P. VITTORIA, 1028. - Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Ricorso ex art. 4 d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1051 Dichiarazione di voler attendere il parere della commissione -Adozio� ne e comunicazione del parere Inerzia dell'Amministrazione -Silenzio rigetto -Configurabilit� -Esclusione -Formazione del silenzio rifiuto -Necessit�, con nota di P. VITTORIA, 1028. - Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Ricorso ex art. 4 d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1051 Dichiarazione di voler attendere il parere della commissione -Effetti Spostamento della decorrenza del termine di decisione del ricorso alla data di comunicazione, obbligatoria, del parere, con nota di P. VITIO� RIA, 1029. - Revisione prezzi -Competenza statale o regionale, 987. AVVOCATURA DELLO STATO -A.I.M.A. -Patrocinio -:S obbligato� rio, 953. BELLEZZE NATURALI -Tutela del paesaggio -Ordine di de� molizione -Esistenza di altre situa� zioni lesive -Disparit� di trattamento -Non sussiste -Non necessariet� di licenza edilizia -Irrilev�nza, 992. -Tutela del paesaggio -Prefabbricato mobile in legno -Idoneit� a turbare l'aspetto dei luoghi -Sussiste, 992. BOLZANO -Provincia di Bolzano -Censimento generale popolazione -Dichiarazione appartenenza a gruppo linguistico Impossibilit� dichiarazione alloglotta o misti-lingua -lllegittiinit�, 981. -Provincia di Bolzano -Censimento generale popolazione -Dichiarazione appartenenza a gruppo linguistico Legittimit�, 980. COMUNIT� EUROPEE -Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale Clausola attributiva di competenza inserita in una polizza di carico Validit� nei rapporti fra il caricatore e il vettore -Validit� nei confronti del' terzo portatore, con nota di 0. FIUMARA, 917. �-Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdi� zionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale Competenza giurisdizionale -Giudice successivamente adito -Liti� spendenza, con riota di O. FIUMARA, 911. INDICB DELIA GIURISPRUDBNZA vn -Inadempimento di uno Stato membro -Procedimento di infrazione � Fase precontenziosa -Lettera di intimazione � Delimitazione della materia del contendere, 924. -Libera circolazione delle merci � Misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione -Gelatina animale in prodotti dolciari importati, 924. -Libera circolazione delle merci Misure di effetto equivalente. a restrizioni quantitative all'importazione -Imbottigliamento di vini -Forma della bottiglia (Bocksbeutel), 902. -Libera circolazione delle merci Misure di effetto �quivalente a restrizioni quantitative all'importazione -Imbottigliamento di vini -For� ma della bottiglia (Bocksbeutel) � Motivi di ordine pubblico o di tutela della propriet� industriale o com� merciale . Insussistenza, 902. -Libera circolazione delle persone Reddito garantito alle persone anziane -Parit� di trattamento, con nota di O. FIUMARA, 928. -Trasporti � Contingente comunitario � Autorizzazioni -Veicoli accoppiati, 933. CORTE COSTITUZIONALE -Giudizio incidentale di legittimit� costituzionale -Applicazione di una disposizione di dubbia costituzionalit� -Qu~do si ha, 863. -Giudizio incidentale di legittimit� costituzionale -Eliminazione di disposizione emessa in eccesso della delega . Contrariet� al principio di eguaglianza delle disposizioni residue . Rilevabilit�, 876. CORTE DEI CONTI -Decentramento di funzioni giurisdi� zionali � Sezione staccata per la Sardegna � Illegittimit� costituzionale, 859. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -Principio di eguaglianza � Libert� di adesione ad associazioni e for� mazioni sociali -Comunit� israelitiche -Adesione ope legis -Illegittimit� costituzionale, 872. DIRITTO INTERNAZIONALE -Trattati internazionali -Accordo itaJo-francese di coproduzione cinematografica -Autorizzazione alla ra� tifica -Deve precedere questa Ordine di esecuzione � Procedimento legislativo � Approvazione in commissione � Non � consentita, 892. EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE -Alloggi di servizio -Diversit� dei presupposti e delle procedure per l'assegnazione -Criteri per la qualificazione giuridica, 949. EI,.EZIONI -Elettorato passivo -Tutela dello jus officium -Competenza esclusiva delle Camere -Verifica dei poteri -Insindacabilit� in sede giuri-� sdizionale, 946. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -Indennit� -Determinazione in base alla legge 3'85/80 � Declaratoria di incostituzionalit� della predetta legge � Consegu~nze, 961. -Indennit� � Determinazione in base alla legge n. 385/80 -Declaratoria di incostituzionalit� della predetta legge � Conseguenze, 965. -Indennit� � Determinazione -Valutazione dei beni espropriati -Alla data dell'espropriazione, 961. -Pagamento dell'indennit� � Debito di valuta � Svalutazione monetaria Effetti, 961. FONTI DEL DIRITTO -Legge -Procedimento legislativo Modificazioni di coordinamento Condizioni e limiti � Difformit� tra i testi approvati dall1:1 due camere Effetti, 880. Vlll RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO GIURISDIZIONE CIVILE. -Appalto -Revisione prezzi -Riconoscimento spettanza -Contrasto sulla misura, 987. -Giurisdizione ordinaria e amminir strativa -Corte dei conti -Pensioni Diritto del coniuge divorziato a quota della pensione di riversibilit� spettante al coniuge superstite Giurisdizione dell'A.G.0. -Pensione a carico dello Stato -Deroga -Esclusione, 939. -Pensione -Recupero emolumenti non dovuti � Corte dei conti, 986. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Appello � Legittimazione -Interesse acquisito durante giudizio di I gra-. do -Possibilit�, 997. -Appello � Notifica sentenza presso procuratore non domiciliatario, 968. -Appello � Notifica sentenza presso segreteria T.A.R., 968. -Appello proposto dal controinteressato -Costituzione Amministrazione soccombente � Non necessit� d'impugnativa, 997. -Impugnazione -Contributo in conto interessi � Revoca per fatto dell'Istituto mutuante -Interesse all'impugnazione dell'Istituto, 996. IMPIEGO PUBBLICO -Destituzione di diritto -Condanna penale per delitto tentato -Equiparazione a condanna per delitto consumato � Questione legittimit� costituzionale, con nota di G. P. Pouzz1, 972. -Equo indennizzo -Limite del danno alla integrit� fisica � Legittimit� costituzionale, 853. -Insegnante -Risoluzione rapporto per condanna penale -Esclusione per beneficio condizionale -Condono della pena -Irrilevanza, con nota di G. P. Pouzzr, 973. -Silenzio rifiuto -Pretesa infondata riguardo scelta vincolata -Inconfigurabilit�, con nota di G. P. Pouzz1, 973. POSTE E TELECOMUNICAZIONI -Radiotelevisione -Emittenti locali private � Installazione ed esercizio di impianti senza previa autorizzazione amministrativa -Sanzione penale Legittimit� costituzionale, 863. PREVIDENZA E ASSISTENZA -Avvocati e procuratori -Concorso di due sistemi previdenziali obbligatori � Legittimit� costituzionale, 838. -Avvocati e procuratori -Corrispondenza tra contributi e prestazioni previdenziali -Non necessit�, 837. PROCEDIMENTO CIVILE -Regolamento di giurisdizione -Sospensione dell'attivit� istruttoria del giudice � a quo � -Legittimit� costituzionale, 891. REATO -Reati valutari -Art. 8 d.l. 4 marzo 1976, n. 31, sostituito dall'art. 1 legge 30 aprile 1976 n. 159 � Riferibilit� a tutte le ipotesi criminose previste nel d.l. citato, 1047. -Reati valutari -Art. 392, terzo comma, c.p.p. -Applicabilit�, 1047. -Reati valutari � Avocazione della istruzione sommaria da parte del Procuratore Generale presso la Corte d'Appello � Art. 4 d.l. 4 marzo 1976 n. 31 � Applicabilit�, 1047. -Reati valutari -Condanna generica al risarcimento danni a favore del Ministero del Tesoro costituitosi parte civile -Necessit� di prova della effettiva sussistenza del danno e del nesso di causalit� tra questo e l'autore dell'illecito -Insussistenza Accertamento di fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose -Sufficienza, 1057. -Reati valutari -Costituzione di parte civile del Ministero del Tesoro Danno risarcibile, 1047. -Reati valutari � Questione di illegittimit� costituzionale dell'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, mod. dall'art. 3 INDICE DELLA GIURISPRUDENZA legge 8 ottobre 1976 n. 689 per contrasto con l'art. 24 della Costituzione -Manifesta infondatezza, 1047. -Reati valutari -Questione di ilfegittimit� costituzionale dell'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, mod. dall'art. 3 legge 8 ottobre 1976 n. 689 per contrasto con art. 25 secondo comma Costituzione -Manifesta infondat~ zza, 1047. -Reati valutari -Questione di illegittimit� costituzionale degli artt. 1 e 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e dell'art. 27 codice penale per contr�sto con gli artt. 3 e 27 Cost. -Manifesta infondatezza, 1047. -Reati valutari -Questione di illegittimit� costituzionale degli artt. 105 e 107 c.p.p. per contrasto con l'arti. colo 24, secondo comma, Costituzione Manifesta infondatezza, 1047. -Reati valutari -Societ� per Azioni Fatti- reato addebitati a suoi amministratori -Citazione ad opera del Ministero del Tesoro, parte civile, della societ� quale responsabile civile -Legittimit�, 1047. REGIONI -Regioni a statuto speciale -Disposizioni di attuazione dello Statuto Potest� normativa permanente, 859. RESPONSABILIT� CIVILE -Occupazione illegittima -Responsa. bilit� del concessionario -Occupazioni illegittime poste in essere dalla S.A.R.A. -Decadenza dalla concessione -Responsabilit� dell'ANASSussiste, 953. TRENTINO ALTO-ADIGE -Istruzione secondaria -Istituzione di nuove scuole -Attribuzione della Provincia, 879. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Liquidazione di quota sociale comprensiva di avviamento -Dimostrazione di intento di speculazione -Necessit�, 1025. -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Tassazione separata -Natura -Addizionale straordinaria per l'anno 1974 -Non si applica ai redditi soggetti a tassazione separata, 1005. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Atti soggetti all'imposta sul valore aggiunto Beni relativi alla impresa -Determinazione, 999. -Imposta di registro -Concordato fallimentare -Assunzione di debiti Imposta proporzionale, 1002. -Prescrizioni -Interessi -Decorrenza -Credito non ancora definitivo Non ha inizio, 998. -Riscossione -Pagamento nelle mani dell'ufficiale giudiziario -Efficacia, 1013. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento -Contenzioso tributario -Rapporti -Difetto di motivazione -Conseguenze -Nullit� e illegittimit� -Motivazione insufficiente ma non totalmente mancante -Rinvio per nuova valutazfone estimativa, con nota di C. BAFILE, 1015. -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Imposta di registro Indagine sulla natura e gli effetti dell'atto -Apprezzamento del fatto ai fini della simulazione di atto a titolo gratuito -Deducibilit�, 1009. -Contenzioso tributario -Giudizio innanzi alle commissioni -Natura ed oggetto, con nota di C. BAFILE, 1014. -Contenzioso tributario -Necessit� di rinnovare il giudizio di valutazione -Giudice di rinvio -~ sempre la commissione di secondo grado, con nota di C. BAFILE, 1015. --Termini di decadenza e di prescrizione -Proroga -Legittimit� costituzionale, 868. URBANISTICA -Ingegneri e architetti -Maggiorazione del compenso per incarico parziale -Legittimit� costituzionale, 855. ff* .. �: X ff'.� , �. :iffi /l:""-; 7# .,. X X . .. X� X ~= . . . . , . . . . INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 4 maggio 1984, n. 132 4 maggio 1984, n. 133 "/ 11 luglio 1984, n. 191 11 luglio 1984, n. 192 18 luglio 1984, n. 212 30 luglio 1984, n. 237 30 luglio 1984, n. 238 30 luglio 1984, n. 239 3 dicembre 1984, n. 255 (in cam. cons.) 12 dicembre 1984, n. 279 19 dicembre 1984, n. 292 19 dicembre 1984, n. 293 19 dicembre 1984, n. 295 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 13 marzo 1984, nella causa 16/83 . . . . . . . . . . . . . 7 giugno 1984, nella causa 129/83 19 giugno 1984, nella causa 71/83 11 luglio 1984, nella causa 51/83 1� sez., 12 luglio 1984, nella causa 261/83 13 dicembre 1984, nella causa 113i83 .. GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 26 giugno 1984, n. 3717 . . . . . . . . . . Sez. I, 5 luglio 1984, n. 3942 . Sez. I, 10 luglio 1984, n. 4044 Sez. I, 10 luglio 1984, n. 4052 Sez. I, 12 luglio 1984, n. 4097 Sez. I, 12 luglio 1984, n. 4099 Sez. I, 30 luglio 1984, n. 4541 Sez. I, 30 luglio 1984, n. 4542 Sez. Un., 4 ottobre 1984, n. 4912 Sez. I, 4 ottobre 1984, n. 4915 . Sez. I, 8 ottobre 1984, n. 5017 . . Sez. I, 30 ottobre 1984, n. 5544 . Sez. I, 12 dicembre 1984, n. �6533 Sez. Un., 14 dicembre 1984, n. 6568 Sez. I, 18 dicembre 1984, n. 6631 . . pag. � � � � � � � � � � � � pag. � � � � � pag. � � � � � )) )) � � )) )) � ,; � . .I 837 838 853 855 859 863 868 872 876 879 880 891 892 902 911 917 924 928 933 998 999 1002 1005 1009 1013 1014 1025 939 949 953 953 961 946 965 INDICE CRONOLOGICO DEU.A GIURISPRUDENZA Xl GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen.~ 19 giugno 1984, n. 13 ..... pag. 968 Ad. Plen., ordinanza i29 giugno 1984, n. 15 � 972 Ad. Plen., 7 settembre 1984, n. 18 . . . � 1028 Sez. IV, 7 giugno 1984, n. 439 . . . . . . � 980 Sez. IV, ordinanza 21 giugno 1984, n. 480 � 986 Sez. IV, ordinanza 27 giugno 1984, n. 504 � 987 Sez. V, 12 giugno 1984, n. 455 � 997 Sez. V, 23 giugno 1984, n. 483 � 997 Sez. V, 23 luglio 1984, n. 565 . � 992 Sez. VI, 20 giugno 1984, n. 389 � 996 Sez. VI, 14 luglio 1~84, n. 441 � 973 TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER IL LAZIO Sez. III, 16 febbraio 1984, n. 91 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1028 GIURISDIZIONI PENALI CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sez. III, 5 novembre 1984, n. 1445 . . .............. pag. 1047 PARTE SECONDA Questioni pag. 141 Rassegna di dottrina pag. 151 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Leggi e decreti . . . . pag. 167 I � Norme dichiarate incostituzionali pag. 168 II � Questioni dichiarate non fondate � 170 III � Questioni proposte � 172 1] I i i �~ r11111111111;111111111;1111r1111f111:11m1111111111Jr1111r1111111111111 PARTE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I CORTE COSTITUZIONALE, 4 maggio 1984 n. 132 -Pres. Elia -Rel. Covasaniti �Setti (avv. Setti), Abaiz ed altri (avv. Sbaiz), Torricelli e altro (avv. Bari.le), Cassa previdenza avvocati e procuratori (avv. Pace e Berlini) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). Previdenza e assistenza � Avvocati e procuratori � Corrispondenza tra contributi e prestazioni previdenziali � Nori necessit�. (Cost., artt. 3, 4, 18, 31, 33, 35, 38; legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, 10 e 22). La non corrispondenza tra contributi e prestazioni previdenziali (e tra contributi e rischi) pu� essere giustificata dall'�dozione di un sistema di previdenza di tipo �solidaristico�; secondo un siffatto sistema il prelievo contributivo � eff~ttuato sulla base della � capacit� contributiva � mentre le .prestazioni sono proporzionate allo � stato di bisogno �. Non contrastano con la Costituzione (e segnatamente con gli artt. 3 e 38 Cost.) le disposizioni che impongono contributi (o pi� elevati contributi) non puntualmente correlati a prestazioni (o maggiori prestazioni) previdenziali, o che riducono queste ultime in presenza� di situazioni indicative di capacit� contributiva o di minor bisogno. I doveri di solida riet� cui si richiama l'art. 2 Cost. possono essere resi operanti anche all'interno di categorie circoscritte (nella specie, della categoria degli avvocati e procuratori) (1). (1-2) La sentenza n. 132 in rassegna, e in minor misura, la sentenza n. 133 fanno leva sui � doveri inderogabili di solidariet�" previsti dall'art. 2 Cost.; doveri peraltro ravvisati non soltanto a livello di collettivit� nazionale e/o locale-territoriale ma anche nel pi� (e diversamente circoscritto) ambito delle � categorie" professionali o produttive raffigurate come � collettivit� minori �. Questa applicazione ulteriore del principio solidaristico .-forse resa pi� agevole da ricorrenti dati lessicali -solleva per� problemi delicati, oltre che di cospicuo rilievo politico: v'� infatti da individuare un discrimine fra prelievo tributario e prelievo contributivo a titolo di solidariet�, se si vuole evitare che il secondo (il prelievo contributivo) tenga luogo del primo, si traduca cio� in non esplicita -e per ci� stesso meno razionale -sovraimposizione tributaria. 838 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO II CORTE COSTITUZIONALE, 4 maggio 1984, n. 133 -Pres. Elia -Rel. Corasaniti -De Luca Tamajo ed altri .(avv. Spagnuolo Vigorita), Scognamiglio ed altri (avv. Satta), Cassa previdenza avvocati e procuratori (avv. Pace e Berlisi) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato De Francisci). Previdenza e assistenza � Avvocati e procuratori � Concorso di due sistemi previdenziali obbligatori � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 2, 3, 38 e 53; legge 20 settembre� 1980, n. 576, art. 22; legge 5 luglio 1975, n. 798, art. 6). .Occorre distinguere tra l'ipotesi di due concorrenti sistemi previdenziali entrambi riferiti alla medesima attivit� lavorativa considerata tractu temporis e l'ipotesi di due concorrenti� sistemi previdenziali ciascuno riferito ad una distinta attivit� lavorativa: nella seconda ipotesi non v'� duplicazione (o eccesso) di tutela previdenziale,� non contrastano con la Costituzione (e segnatamente con gli artt. 2, 3, 38 e 53 Cost.) le disposizioni che sottopongono al sistema della previdenza forense anche le persone (nella specie, docenti universitari) gi� sottoposte ad altro sistema previdenziale (2). -I (omissis) Il sistema della previdenza forense risultante dalla legge n. 576 del 1980 viene censurato anzitutto mettendosi a raffronto la massima estensione soggettiva degli obblighi previdenziali e la limitatezza dei benefici previdenziali per alcuni soggetti. Si premette che, per effetto dell'art. 22, comma primo della legge e delle connesse norme sulla contribuzione, gli obblighi previdenziali gravano in modo incondizionato su tutti gli esercenti con continuit� la professione forense. Si premette altresi che gli attt. 4 e 5 dela legge escludono rispettivamente il diritto alla pensione di inabilit� e il diritto alla pensione di invalidit� per gli iscritti alla Cassa da data successiva al compimento del quarantesimo anno di et�, e che gli artt. 2 e 3 della legge subordinano rispettivamente il diritto alla pensione di vecchiada e il diritto alla pensione di anzianit� a condizioni (compimento di un periodo di iscrizione e Una concezione �alveolare� (ossia per piccoli comparti o segmenti della societ�) dei doveri cli solidariet�, se non coordinata con U �sistema � tribu� tarlo, pu� pervenire alla introduzione di cripto-addizionali, prelievi per certi versi avvicinabm alla censurata ILOR sul lavoro professionale, e che, per di pi�, possono influenzare negativaII'ente la effettivit� (oltre che U disegno comples ~J sivo) del predetto � sistema�. i: II !: .....,.......~ PARTE I, SBZ.' I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB di assicurazione cli almeno trenta anni per la pensione di vecchiaia, e di almeno trentacinque anni per la pensione di anzianit�) non realizzabili o difficilmente realizzabili da parte di coloro che siano stati iscritti (even tualmente senza loro colpa o addirittura loro malgrado) in et� avanzata. Si sospetta quindi che l'art. 22, comma primo della legge � e le� altre norme a esso collegate� siano in contrastp: a) con l'art. 3 Cost. in quanto introducono in pari tempo una ingiu stificata perequazione (negli obblighi di iscri2lione e di contribu2lione) fra professionisti di et� diversa e un'altrettanto ingiustificata sperequa2lione (nel conseguimento delle prestazioni previdenziali) in danno dei profes sionisti di et� pi� avanzata; b) con l'art. 4 Cost., in quanto determinano un onere ulteriore a carico del lavoro dei professionisti anziani e cosi un ostacolo al libero svolgimento di esso; e) con gli artt. 18 e 38 Cost., lin quanto determinano una compressione della libert� associativa non giustificata dal perseguimento di finalit� previdenziali, e anzi l'elusione delle dette finalit�, le quali, al pari d1 quelle della mutualit� ad esse strumentali, non ammettono che una parte dei mutuati, pur esposti ai rischi e soggetti ad contributi, siano esclusi, gi� in partenza, dalle relative prestazioni previdenziali. Il sistema previdenziale in discorso viene poi contestato in altro suo momento strutturale, mettendosi a raffronto il criterio -dettato dal l'art. 10, comma primo, della legge n. 576 del 1980 -di riparto dell'impo sizione contributiva fondamentale (cio� del contributo soggettivo dovuto, per effetto del combinato disposto del richiamato art. 10, comma primo e dell'art. 22, comma primo della legge, da ogni iscritto o tenuto a iscriversi alla Cassa di previdenza, e quindi da ogni esercente con continuit� la pro fessione forense), e il� criterio -stabiLito dall'art. 2, commi secondo e quinto, della legge -�di calcolo della pensione (di vecchiaia, ma esteso dalle successive disposizioni agli altri tipi di pensiione). Si premette che, secondo l'art. 10, comma. primo della legge, il con tributo soggettivo � calcolato in una percentuale del reddito professio nale, e cio�, (con gradualit� decrescente) nella Inisura del dieci per cento per la fascia di reddito fino a quaranta milioni, e nella misura del tre per � cento per il reddito eccedente. _.. Si premette altres� che, secondo 1l'art. 2, commi secondo e quinto della legge, la media dei redditi cui va commisurata la penSlione (art. 2, comma primo�della legge) va calcolata soltanto sui redditi rientranti nella pri� ma fascia. Si prospetta quindi la tesi che la cennata disciplina sia in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto introduce una sperequazione in danno dei pro duttori di redditi professionali superiori ai 40 milioni: produttori co RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 840 stretti a versare, per la fascia eccedente, contributi senza un corrispondente aumento deHa pensione (vale a dire senza oausa o a fondo perduto), o, se si vuole, esposti a percepire una pensione non proporzionata (cio� sproporzionata per difetto) ai contributi versati. Altre contestazioni vengono mosse per quanto concerne i'l trattamento previdenziale di coloro che, avendo conseguito nella previdenza forense !a pensione di vecchiaia, continuino a esercitare la professione legale. Si !ipotizza: (omissis) b) che l'obbligo della contribuzione fatto ad essi dall'art. 10, comma terzo della legge, messo in relazione con l'ulteriore trattamento pensionistico per essi preV'isto.dall'art. 2, comma ottavo della legge -consistente in un supplemento di pensione liquidabile una sola volta, e per di pi� subordinato al compimento di un quinquennio di iscrizione e di contribuzione, e ridotto nella misura (perch� calcolato sulla met� de1le percentuali delle medie dei redditi assunte a base del calcolo della pensione) -dia luogo a contrasto con l'art. 3, comma primo o comma secondo, nonch� con l'art. 38 Cost.; ai�, per un verso, a causa dell'irrazionalit� dell'imposi-. zione contributiva e comunque dell'onerosit� della contribuzione, avente incidenza negativa sulla pensione in godimento (per s� gi� inadeguata alle esigenze di vita dei pensionati) e, per altro verso, a causa dell'aleatoriet� e restrittivit� (quanto a!lle condizioni di acquisto) e della limitatezza (quanto alla misura) del trattamento pensionistico ulteriore: fattori en� trambi di scorrelazione fra contributi e prestazioni pensionistiche; e) che la riduzione a due terzi della pensione di vecchiaia in godi� mento prevista per essi dall'art. 2, comma sesto della legge, �oltre ai pro� fili di illegittimit� per contrasto con l'art. 3 Cost. come sopra denunciati a carico dell'art. 10, comma terzo della legge, ne presenti uno particolare o pi� accentuato; ci� ii.n quanto introdurrebbe fra pensionati una distin� zione sulla base di un elemento (la continuazione del:l'esercizio professionale) non compreso fra quelli costitutivi del diritto a pensione (l'anzianit� contributiva e l'et� pensionab!ile), concorrendo i quali il diritto stesso deve ritenersi acquisito intangibilmente, anzi sulla base di un elemento meramente formale, qual � l'inscrizione all'Albo. Per la soluzione delle questioni poste � necessario darsi carico della tipologia dei sistemi previdenziali e della collocazione in essa della previdenza forense. Come � noto, l'organizzazione giuridica della preV'idenza sociale presenta, sia con riguardo a categorie diverse, sia con riguardo a:lla stessa categoria in tempi diversi, una sensibile variet� di sistemi. Ci� implica qualche ostacolo all'individuazione dei tipi tanto in relazione alLa irripetibile individualit� di ogni sistema (sentenza Corte cost. n. 91 del 1972 e n. 62 del 1977), quanto in relazione alla gradualit� con la quale, in questa PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE materia, gli stessi tipi sono realizzati mediante soluzioni intermedie (sentenze Corte cost. n. 65 del 1979 e n. 128 del 1973). Con riferimento all'esperienza italiana � tuttavtla possibile enucleare due tipi, ai quali i singoli sistemi possono ricondursi: quello, prevalso soprattutto in passato, definibile come � mutualistico� e quello, che tende a prevalere nel presente momento storico, definibile come � solidaristico" � Il primo tipo � caratterizzato, per un verso, dalla riferibilit� dell'assunzione dei f.ini e degli oneri previdenziali ad.l'esigenza della divisione del rischio fra gli esposti e quindi dalla corrispondenza fra rischio e contribuzione, e, per a:ltro verso, da una rigorosa proporzionalit� fra contributi e prestazioni previdenzdali. � ravvisabile nei sistemi di tale prim�> tipo, particolarmente in riferimento alla cennata proporzionalit�, l'influenza del modello deH'assicurazione privata e del relativo nesso sinallagmatico fra premi e indennit� o rendite. Il tipo di previdenza solidaristico � invece caratterizzato, per un verso, da:lla riferibilit� dell'assunzione dei fini e degli oneri previdenziali, anzich� alla divisione del rischio fra gli espostli, a princ�pi di solidariet�, operanti all'interno di una categoria, con conseguente non corrispondenza fra rischio e contribuzione (cfr. S$!nt. n. 91 del 1976 in materia di assicurazione della materruit� a proposito -delle favoratrici sterili) e, per altro verso, dalla irrilevanza della proporzionalit� fra contributi e prestazioni previdenziali. Qui i contributi vengono in considerazione, in ragione del prelievo fra tutti gli appartenenti alla categoria secondo la loro capacit� contributiva, unicamente quale strumento finanziario della previdenza, mentre le prestazioni sono proporzionate soltanto allo stato di bisogno (sia esso considerato eguale o no per tutti i soggetti). � ravvisabile in tale secondo tipo l'influenza del modello della sicurezza sociale, per eccellenza informato a princ�pi di solidariet� operanti direttamente nei confronti dei membri della collettivit� generale, ma sempre secondo il criterio della capacit� contributiva. � Ora, sebbene la gradual!it� .ella realizzazione di un tipo, importi qualche parallela difficolt� anche nella qualificazione tipologica del singolo sistema considerato, tuttavia la qualificazione � consentita alla stregua dei caratteri prevalenti del sistema. E, per quanto concerne il sistema prevtldenziale forense, essa � stata operata da:lla sentenza di questa Corte n. 62 del 1977, la quale, anche se in riferimento alla disciplina recata dalla previgente legge 22 luglio 1975, n. 319, ha ricondotto il sistema in argomento al tipo solidaristico e ne ha affermato in tal modo la rispondenza agli artt. 2 e 38 Cost. In particolare � stato rilevato, con la detta sentenza di questa Corte n. 62 del 1977, che il sistema ha abbandonato la tecnica (propria del tipo �mutualistico�) dell'accreditamento dei contributi in conti individuali per far luogo a una gestione collettiva dei contributi stessi, ed ha abban~ 842 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO donato altres� il connesso criterio della proporzionalit� delle pensioni ai l contributi per far luogo a un trattamento pensionistico di categoria che I rientra, quanto ai mezzi e ai filni, � nel quadro generale dell'adempimento dei doveri di solidariet� cui si richiama l'art. 2 Cost. �. E ne � stata tratta la conclusione che �la.Cassa nazionale di previden� I za e assistenza degli Avvocati e Procuratori risponde a questi fini gene� rali nell'ambito dehla categoria, sicch� per essa resta superato il concetto stesso di semplice mutualit� per espandersi, apptinto, in quello di previ� denza � (vale a dire: di solidariet� nella previdenza). Conclu&ione che trova riscontro l� dove la stessa sentenza, richiamandosi alle precedenti sen� tenze n. 91 del 1972 e n. 23 del 1968, definisce come �tributaria� la natura della contribuzione previdenziale (almeno con riguardo al contributo � personale � -ora �soggettivo� -.che ne costituisce l'elemento qualificante). La qualificazione e la valutazione positiva del sistema allom operate vanno tenute ferm~. nonostante che spesso i concetti di mutualit� e di solidariet� siano promiscuamente ad.operati. Non importa indugiare sull'ipotesi che l'uso sia dovuto a vischiosit� concettuale ovvero ad apparente o a reale sopravvivenza di elementi mutualistici in sistemi previdenziali di tipo solidaristico, sopravvivenza che, anche se reale, sarebbe comunque priva di significanza in presenza della qualificazione tipologica del sistema cosi operata sulla base dei suoi oarat� teri prevalenti. Importa piuttosto negare risolutamente che la previdenza forense, e cos� del resto le altre previdenze concernenti professioni intellettuali, pos� sano qualificarsi di tipo mutualistico per essere organizzate sulla base del riferimento a date categorie professionali e alle rispettive attivit� tipiche, e secondo un criterio di accentuata autonomia strutturale e finan� ziaria sia reciprooa che rispetto all'assicura~ione generale obbligatoria e alle previdenze dell'impiego pubblico. Invero si tratta di scelte che sono compatibili con l'idea cli solidariet�, e che anzi ne rappresentano una specificazione, giustificata dal pluralismo che informa il nostro ordinamento: pluralismo che ammette solidariet� operanti nell'ambito di collettivit� minori. La qualificazione e la valuta2lione, allora formulate per il sistema quale risulta dalla legge n. 319 del 1975, non hanno ragione di mutare per il sistema quale risuta dalla vigente legge n. 576 del 1980, non essendo motivo idoneo a far ritenere che con quest'ultima legge il sistema sia stato rimodellato, almeno in parte, sul tipo mutualistico o addirittura sullo schema proprio dell'assicurazione privata. Non � decisiva, infatti, la restituzione dei contributi disposta, pera:l� tro con i soli interess�i legali, a favore degli iscritti che non abbiano maturato il diritto a pensione (art. 21, leg.ge n. 576 del 1980), perch� essa non implica necessariamente la corrispettivit� fra contributi e pensioni, PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 843 ma soltanto una partlicolare configurazione dei doveri di solidariet� posti comunque a carico di tutti gli iscritti. N� � decisiva la sostituzione, a una pensione eguale per tutti nell'ammontare, di una pensione � retributiva �, cio� commisurata a una certa media dell'ammontare degli ultimi redditi professionali, giacch� con tale criterio (accolto del resto anche nell'assicurazione generale obbligatoria), la pensione non � stata resa proporzionale o addirittura corrispettj. va ai contributi, ma � stata adeguata allo stato di bisogno, a sua volta non pi� considerato astrattamente � eguale �, ma qualificato in concreto dal reddito professionale venuto meno, e, �per questa via, dal lavoro svolto. Mentre � addirittur~ irrilevante fa sostituzione, per quanto concerne il prelievo e la destinazione dei contributi, al criterio della � capitalizzazione �, (secondo il quale la contribuzione � prelevata oggi in vista della erogazione delle pensioni, e quindi dei bisogni, di domani), del criterio della � ripartizione � (secondo il quale la contribuzione � prelevata oggi per sopperire all'erogazione delle pensioni, e quindi ai bisogni, di oggi). Ch� anzi il nuovo criterio � del tutto difforme dallo schema della corrispettivit� e del tutto conforme al principio dii solidariet�, �in quanto eli� mina ogni collegamento fra contributi versati e pensioni percepite dagli stessi soggetti, anche se considerati collettivamente (come dalla legge n. 319 del 1975). Dopo quanto fino,ad ora osservato circa la qualificazione tipologica del sistema e circa la rispondenza del tipo cui esso appartiene ai princ�pi _ espressi negli artt. 2 e 38 Cost., appare chiaro che � vano tanto addebitare al sistema stesso di non adeguarsi ad altri tipi e ai rispettivi modi di essere, quanto rappresentare come operazioni normative discriminatorie e/o arbitrarie quelli che sono momenti struttur�li o modalit� applicative di esso riferibili a modi di essere del tipo di apparteneip;a. Critiche del genere (non meno di quelle di inadeguatezza del sistema a perseguire i fini della previdenza, che vengano mosse senza darsi carico della inevita� bile gradualit� con la quale tali fini vengono realizzati e della correlativa modulazione del trattamento: cfr. sent. di questa Corte n. 65 del 1979) corrono il rischio di arenarsi sulle secche della insindacabilit� delle scelte di politica sociale operate dal legislatore. Ci� naturalmente non importa ritenere che � precluso a questa Corte il sindacato di ragionevolezza sull'esercizio della discrezionalit� che alle dette scelte presiede. Importa soltanto ritenere che � pi� conducente orientare il sindacato stesso alla verifica della coerenza interna del sistema, cio� della congruenza fra i singoli. strumenti giuridici adottati e i fim specificamente perseguiti, (per fini intendendosi la misura qualitativa e quantitativa degli obiettivi di fondo della previdenza che il legislatore si � determinato a realizzare), nonch� della conformit� dei detti strumenti ai principi e ai criteri cardine assunti. Principi e criteri cardine i quali, RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO nel caso del tlipo solidaristico, sono costituiti, per quanto concerne l'attribuzione e distribuzione degli oneri previdenziali, dall'adeguamento alla capacit� contributiva e, per quanto concerne l'attribuzione e la distribuzione dei benefici previdenziali, dall'adeguamento allo stato di bisogno. Se cos� �, perdono consistenza tutte le censure sopra riportate, relative a:lla violazione del principio di eguaglianza sotto i profili dell'irragionevolezza e deHa disparit� di trattamento. Infatti esse poggiano sul presupposto che ogni corretto sistema presenti il requisito della (pari) proporzionalit�, per ogni soggetto o classe di soggetti appartenente alla categoria protetta, fra costi e benefici della tutela, vale a dire fra oneri contributiW. e trattamento pensionistico. E solo in relazione a tale presupposto sono dirette a rappresentare la mancanza del requisito stesso come vizio --. di legittimit� del sistema previdenziale forense (quale risulta dalla legge n. 576 del 1980) per violazione del principio di eguaglianza. Una volta stabilito che il requisito � soltanto un mo.do cli essere proprio del tipo mutualistico e che, viceversa, l'abbandono di esso � un modo cli essere proprio del tipo solidaristico (cui il sistema in argomento si adegua), Je ~ensure stesse mostrano tutta la loro fragilit�. (omissis). Valgono per tali censure, e vanno pertanto ribadite e anzi riformulate in termini pi� generali, le conclusioni raggiunte dalla sentenza di questa Corte n. 62 del 1977, secondo le quali �l'assunto di irrazionalit� ai sensi dell'art. 3 Cost. del sistema vigente� (della previdenza forense, risultante dalla legge n. 319 del 1975 e, ora, dalla legge n. 576 del 1980) �per mancata proporzionale corrispondenza tra oneri personali contributivi e misura della pensione, non � accoglibiile �, In positivo � peraltro giustificato1 nell'ottica solidaristica: (I.) porre rla contribuzione (annua) a carico . di tutti gli esercenti con continuit� la professione� e proporzionarla nella misura al reddito professionale (annuo), correlandola cos� a:lla capacit� contributiva generica (desunta dall'esercizio professiionale) e specifica (desunta dal reddito dichiarato ai fini dell'IRPEF), e non gi� ai benefici previdenziali conseguibili in futuro da ciascun eserc~nte o gruppo di esercenti; e correlare invece tali benefiici, nelle condiziom di acquisto, agli specifici fini previdenziali insidacabilmente assunti dal legislatore sulla base della valutazione dei presupposti e del:le disponibilit� finanziarie, e, nella misura, allo stato di bisogno; b) applicare analoghi criteri, per quanto concerne l'imposizione contributiva, ai pensionati che continuino a esercitare la professione rimanendo iscritti all'albo. Non � irrazionale ravvisare anche per essi nell'esercizio professionale un segno della capacit� contributiva, n� presumere l'effettivo esercizio sulla base dell'iscrizione all'albo. N� si vede perch� la solidariet� contributiva dei pensionati stessi dovrebbe essere � gi� assolta in parte >>, mediante il versamento del contributo integrativo di cui all'art. 11 845 PARm I, SEZ: I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE della legge n. 576 del 1980 (a prescindere'dal fatto che, essendo ripetibile, tale contributo finisce per gravare su soggetti estranei alla categoria professionale e quindi non astretti dalla relativa solidariet�, non � esatto che soltanto esso, e non anche quello soggettivo, sia disancorato dalla corrispettivit� con la pensione); e) ridurre la misura della pensione in godimento nei confronti dei pensionati predetti, assumendosi la continuazione dell'esercizio professionale non soltanto come segno di capacit� contributiva, ma anche come sintomo di attenuazione dello stato di bisogno. Un criterio del genere, peraltro, ricorre anche nell'assicura2lione generale obbligatoria (cfr. sentenza cli questa Corte n. 155 del 1969). (omissis) -II (omissis) La norma, contenuta nell'art. 22, comma primo, della legge 20 settembre 1980, n. 576, definisce l'opera1livit� del sistema della previdenza forense assoggettando agli obblighi di iscrizione a:lla Cassa nazionale degli Avvocati e Procuratori e di versamento dei relativi contributi tutti gli esercenti con continuit� la professione forense. Ed essa � sospettata di illegittimit� sotto vari profili, ~n quanto comprende nella propria previsione (o almeno non esclude da essa) quegli esercenti i quali siano contemporaneamehte inseri1li in un altro sistema previdenziiale obbligatorio, e in particolare, i docenti nelle universit� o negli istituti di istruzione media, soggetti al sistema previdenziale istituito per i dipendenti dallo Stato. � stato ~zitutto sostenuto che la norma impugnata, nonostante l'assoluta latitudine della sua formulazione quanto all'obbligo di is<:rizione, � _sus�ettiva di interpretazione, asseritamente conforme alla Costituzione, nel senso di non riferirsi ai professionisti suindicati., Ci� evidentemente al fine di sollecitare una sentenza iinterpretativa di rigetto. � Una siffatta pronuncia richiederebbe, peraltro, secondo l'orientamento di questa Corte, che l'interpretazione asseritamente conforme a Costituzione fosse universalmente accolta o almeno prevalente nella giurisprudenza dei giudici chiamati ad applicarla e, soprattutto, della Corte di cassazione (diritto vivente). Ma tale ipotesi qui non si verifica, perch� la giurisprudenza di merito non � concorde, mentre la Corte di cassazione sembra orientata nel senso cli ritenere che la norma comprenda nel:la propria previsione anche i professionisti suindicati (sentenze Corte di cassazione n. 4091 del 1981 e-n. 299 del 1968). Sicch� non vi � ragione di discostarsi dall'interpretazione dei giudici a quibus e di negare ingresso alle sollevate questioni di legit� timit� costituzionale. / r11r1111m1:wi1ll1fliirl@rllifliwtllfttt�lgi:rriflil1f111111r1&1;1i11rrflrl&lf1~111r111111111'rlml 846 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO La questione avente carattere di centralit�, � se la norma di cui al� l'art. 22, comma primo, della legge n. 576 del 1980, dal contenuto dianzi descritto, in quanto prescriv� l'operativit� nei confronti dei medesimi soggetti di due sistemi previdenziali obbligatori, importi una duplicazione di tutela previdenziale (obbli.gatoria) in contrasto con l'art. 38 Cost., ovve� ro in pari tempo con l'art. 38 e con l'art. 2 Cost. Della denunciata duplicazione di trattamento previdenziale, in alcune ordinanze di rimessione, � sottolineato l'aspetto passivo di <eccesso di onerosit� contributiva, tenuto conto della limitatezza dei vantaggi e della consistenza degli inconvenienti, che il sistema offre e, rispettivamente, arreca ai professionisti considerati. Ovvero, e meglio, l'aspetto cli eccesso nella individuazione del contenuto dei doveri di solidariet� sociale enun� ciati dall'art. 2 Cost. e precisati nel senso della previdenza sociale dal� l'art. 38 Cost. In alcune delle ordinanze l'eccesso di solidariet� � visto in ci�, che i doveri a questa inerenti sarebbero gi� sodclisfatti col pagamento dei contributi � oggettivi � o dei contributi � integrativi �. In altre ordinanze sono messi in luce sia l'aspetto passivo che l'aspetto attivo, inteso questo come eccesso cli tutela; l'eccesso di tutela � visto evidentemente in relazione al fatto che ai professionisti considerati � gi� assticurato in prospettiva un trattamento pensionisti�o, q�elJo dei dipendenti statali, e al concetto che la garanzia di un trattamento pensionistico ulteriore sarebbe ingiustificata alla luce di un principio definibile come quello del minimo mezzo previdenziale. Come accennato, la questione � posta relativamente oltre che al detto art. 22 della legge n. 576 del 1980, alJ'art. 6, comma penultimo, della legge 5 luglio 1965, n. 798, ammissivo del cumulo fra trattamento pensionistico della previdenza forense e trattamento pensionistico dei dipendenti dallo Stato, la cui il.legittimit� sarebbe conseguenziale a quella dell'art. 22 della legge n. 576 del 1980. Al'l'mosservanza dell'asserito divieto di duplicazione, divieto che riflet� te in positivo un supposto precetto di unicit� della tutela previdenziale per ogni soggetto in quanto considerato come ,appartenente a una data categoria e, in prospettiva, di uni�:it� della detta tutela fra le varie categorie, si connettono, secondo le ordinanze dd rime$sione, due distinti ordini di violazioni del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Un primo ordine di violazioni si concreterebbe in una disparit� di trattamento fra soggetti all'interno della categoria forense, e quindi in una contraddizione interna del relativo sistema previdenziale. Nei con� fronti di soggetti.i quali versano (si afferma) in situazioni reciprocamen� te identiche -come i detti esercenti la professione rivestiti della qualit� di docenti alle dipendenze dello Stato da un lato, e dall'altro gli avvocati e i procuratori iscritti in elenchi speciali, esercenti la professione nell'aro� PARTB I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE bito di un rapporto di impiego -sarebbe adottato un regime differenziato, assoggettandosi quelli (art. 22, comma primo, della legge n. 576 del 1980) e non assoggettandosi invece, questi (art. 22, comma quinto, della stes,sa legge) agli obblighi previdenziali. Il secondo ordine di violazione del principio di eguaglianza si concreterebbe in una disparit� di trattamento fra soggetti in posizione analoga �a seconda delle categorie di appartenenza e dei relativi sistemi prevddenziali, e quindi in una contraddizione, per cosi dire, � esterna � del sistema considerato. E la disparit� di trattamento consisterebbe in ci�, che gli esercenti la professione forense rivestiti della qualit� di docenti alle dipendenze dello Stato sono assoggettati alla prev,idenza forense, mentre per gli esercenti altre professioni rivestiti dell'anzidetta qualit� il sistema previdenziale della categoria professionale (in particolare la legge n. 6 del 1981 per gli ingegneri e gli ar�hitetti) esclude la propria operativit�. (omissis) Questa Corte ha ritenuto, sempre con la sentenza n. 132 del 1984, che la qualificazione e la valutazione positiva allora operate vadano confermate, considerando fra l'altro che sarebbe incongruo ricondurre al tipo mutualistico, anzich� al tipo solidaristico, la previdenza forense, cosl come le altre previdenze concernenti professioni intellettuali, per ci� che esse sono organizzate sulla base del riferimento a date categorie professionali e alle rispettive attivdt� tipiche, e secondo criteri di accentuata autonomia strutturale e finanziaria sfa .. reciproca che rispetto all'assicurazione generale obbligatoria e alle previdenze dell'impiego pubblico. Al riguardo ha osservato che si tratta di scelte '1e quali sono compatibili con l'idea di solidariet� e anzi ne rappresentano una specificazione giustificata dal pluralismo che informa il nostro ordinamento: pluralismo che ammette solidariet� operanti nell'ambito di collettivit� minori. (omissis) La qualificazdone di appartenenza al tipo solidaristico del sistema previdenziale forense d� ragione della denunciata operativit� di esso e degli obblighi previdenziali cos� imposti anche ai professionisti considerati. Se i detti obblighi previdenziali non sono legati -all'esigenza della divisione del rischio n� tanto meno sono inseriti in una relazione di corrispettivdt� con i benefici previdenziali del sistema, ma costituiscono doveri di solidariet� nell'ambito della categoria professionale, si comprende come essi gravino, in modo .generalizzato e incondizionato, su tutti i membri della categoria, compresi coloro i quali, per particolari situazioni soggettive, non possano conseguire con certezza, o per intero, i benefici previdenziali del sistema considerato, ovvero non abbiano comunque necessit� n� intenzione di avvalersene, essendo destinatari di analoghi vantaggi altrimenti assicurati. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 848 Appaiono pertanto "insostenibili gi� per la loro impostazione, ripu-/ gnante all'ottica solidaristica del sistema, le censure di eccesso di onerosit�, e queile connesse di disparit� di trattamento in danno dei professionisti considerati. Non vale dunque argomentare, quanto all'onerosit�, dallo svantaggio, in termini d�. ristrettezza (nelle condizioni d'acquisto) dei benefici previdenziali conseguibili, derivante ai docenti universitari pubblici impiegati dalla tardivit� dell'liscrizione alla Cassa previdenziale, tardivit� connessa col fatto che in precedenza era fatto loro divieto di esercitare la professione, e quindi di iscriversi alla Cassa, in pendenza del rapporto d'impiego pubblico. Cos� come non vale argomentare dagli inconvel1lienti (ottenimento del rimborso dei soli contributi falcidiati dalla svalutazione monetaria nel caso di cessazione della attivit� professionale e necessit� del versamento di nuovi contributi rivalutati per ricostituire la continuit� del rapporto previdenziale nel caso di ripresa deU'attivit�, con conseguente disincentivazione di una mobilit� altrimenti consentita) ai quali vanno incontro i docenti che vogliano alternare, dopo la legge n. 382 del 1980, l'insegnamento e l'esercizio della professione. N� vale argomentare, quanto alla solidariet�, che i doveri ad essa inerenti sono gi� soddisfatti mediante il versamento del contributo � oggettivo � ovvero mediante il versamento del contributo � integrat�. vo �. Di codesti due ultimi assunti, il primo, che sembra alludere ai contributi di cui agli artt. 3 e 4 della legge 5 luglio 1965, n. 798, � infondato, perch� tali contributi gravano in defini1liva sugli utenti del servi:cio giudiziario (sentenza di questa Corte n. 23 del 1968) e pertanto non sono riferibili alla solidariet� di categoria. Il secondo assunto, che allude all'art. 11 della legge 11. 576 del 1980, � del pari infondato perch�, oltre a non tener conto che anche i contributi integrativi, in quanto ripetibili, finiscono per gravare su soggetti estranei alla categoria professionale e quindi non astretti dalla relat�.va solidariet�, poggia si.i un erroneo presupposto: che cio� solo tali contributi, e non anche quelli �soggettivi� (e ogni altro}, siano disancorati dalla corrispettivit� con la pensione. E, simmetricamente, appaiono insostenibili, per esserne l'imposta zione ripugnante all'ottica solidaristica, le censure volte a rappresentare l'operativit� del sistema nei confronti dei professionisti considerati come un eccesso di tutela e pertanto come causa di disparit� di trattamento a loro favore. I vi compresa la censura diretta a coinvolgyre la norma, contenuta nell'art. 6, comma penultimo, della legge 11. 798 del 1965, am missiva del cumulo della pensione forense con altra pensione (cfr. del PARTB ��I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE resto la prospettiva della giurtlsprudenza di questa Corte, secondo la quale la legittimit� del cumulo delle pensioni o della pensione e dei trattamenti retributivi va apprezzata soltanto alla stregua della adeguatezza del trattamento pensionistico allo stato di bisogno: sentenze di questa Corte n. 275 del 1976, n. 30 del 1976, n. 155 del 1969 e .n. 105 del 1963). Valgono, in definitiva, per tali censure, e vanno pertanto ribadite e anzi riformulate in. termini pi� generali, Ie conclusioni raggiunte dalla sentenza di questa'Corte n. 62 del 1977, secondo le quali �l'assunto di irrazionalit�: ai sensi dell'art. 3 Cost. del sistema vigente� (della previdenza forense, risultante dalla legge n. 319 del 1975 e, ora, dalla legge n. 576 del 1980) �per mancata proporzionale corrispondenza tra oneri personali contributivi e misura della pensione, non � accoglibile �. � Indipendentemente daH'dnconcihi.abilit� delle argomentazioni, . addotte a sostegno della denunciata illegittimit� costituzionale, con il carattere solidaristico della previdenza forense, non � condivisibile la tesi che l'osservanz� degli artt. 2 e 38 Cost. imponga in ogni caso a un sistema previdenziale di categoria, e in particolare a quello forense, di escludere la propria operativit� nei confronti di soggetti, pur rientranti nella categoria e svolgenti le attiv�it� alle quali esso sd riferisce, sol che siano assoggettati ad altro sistema previdenziale. Al riguardo � necessario distinguere fra 'l'ipotesi di due concorrenti sistemi previdenziali entrambi riferiti alla medesima attivit� lavorativa considerata tractu temporis e l'ipotesi di due concorrenti sistemi previdenziali riferiti ciascuno a una d� due attivit� lavorative non omogenee e pertanto ontologicamente distinte (anche se contemporanee): ipotesi, le quali non versano fra foro, come non versano le rispettive regolamentazioni normative se differenziate, nel rapporto che intercorre fra regola ed ecce:lli.one. Solo rispetto a11a prima ipotesi ha senso parlare di duplicazione di tutela e quindi porsi, con riferimento al sistema previdenziale considerato, il problema se, nella concorrenza di altra forma di previdenza obbLigatoria assistita da finanziamento pubblico, dJ sistema debba o non debba, ovvero possa o non possa legittimamente escludere la propri�. \ Per quanto concerne la previdenza forense, rientra nella prima ipotesi il caso di un'unica attivit� professionale svolta dn regime di impiego pubblico, caso previsto dall'art. 22, comma quinto, della legge n. 576 del 1980, che adotta per esso la soJuzione della esclusione della operativit� del sistema. Di ta'le soluzione, della cui doverosit� o legittimit� qui non si discute, non pu�, d'altronde, predicarsi ti.I carattere di regola generale, n� tanto meno quello di soluzione imposta dall'art. 38 Cost. anche per i casi non rientranti nell'ipotesi medesima. 850 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nelila seconda ipotesi invece -nella quale rientra, sotto l'aspetto della contemporanea operativit� di due tutele riferite a due attivit� ontologicamente diverse perch� non omogenee, anche se contemporanee, l'ipotesi dell'esercente (in regime di lavoro autonomo) la professione forense, che svolga (in regime di dipendenza pubblica) attivit� di dnsegnamento -� fuori di proposito parlare di duplicazione di tutele, e, quindi, porsi il problema suindicato. Del resto, a volere non solo trascurare la dnconciliabilit� delle suddette argomentazioni con l'ottica solidaristica del sistema, ma addirittura seguire per un momento la linea di esse, non pu� non. considerarsi che -stante la gi� rilevata autonomia dei sistemi previdenziali � professionali � -non � previsto alcun meccanismo per assicurare la tutela previdenziale dell'attivit� professionale forense ne1l'altro sistema speciale o generale concorrentemente operativo. Ad esempio non trova applicazione la � ricongiunzione� prevista dalla legge 7 febbraio 1979, n. 29 sulla pensione unica, che riguarda i soli periodi assicurativi che possano esser fatti valere nelle gestioni. sostitutive, esclusive (della) ed esonerative dailfa assicurazione generale obbligatoria e nelle gestioni speciali INPS. Mentre il riscatto ai fini del trattamento pensionistico statale � previsto per la limitata ipotesi dei periodi di iscrizione ad albi professionali, che siano richiesti per l'ammissione al servizio ex art. 13 del t.u. 2 dicembre 1973, .n. 1092. Cos� come, d'altro canto, non � previsto alcun meccanismo per dare protezione nel sistema previdenziale forense ad altre attivit� disomogenee, contemporanee o no, dello stesso soggetto. Se cos� �, non si vede come l'atteggdamento adottato dal sistema previdenziale nel caso dell'esercente la professione forense che svolga attivit� di insegnamento possa ritenersi in violazione di quella sorta di principio del minimo mezzo previdenziale, che alcune ordinanze di rimessione sembrano voler trarre dagli artt. 2 e 38 Cost. Come � stato prima osservato, non si ravvisa tale violazione, n� attesi la radicale diversit� dell'ipotesi di raffronto (ipotesi concernente un'unica tutela per un'unica attivit�) e il nesso razionale fra diversit� di situazione e diversit� di regime -quella delil'art. 3 Cost. denunciata in connes�sione con la prima, in riferimento al contrasto del detto addeggiamento con quello assunto dallo stesso sistema previdenziale forense rispetto al caso dell'esercente la professione forense nell'ambito di un rapporto di pubbldco impiego (art. 22, comma quinto, della legge n. 576 del 1980). Ma, per le considerazioni ora esposte, la violazione degli artt. 2 e 38 Cost. non si ravvisa neppure se il problema si pone, come va posto, in riferimento al caso, in s� considerato, di due tutele per due distinte attivit�. PARTE I, SllZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Mentre per escludere la vliolazione dell'art. 3 Cost., in relazione al fatto che opposta soluzione � stata adottata in analoga ipotesi dal sistema previdenziale degli Ingegneri e Architetti con la legge 3 gennaio 1981, n. 6 (art. 21), anzi gi� con ia precedente legge n. 1046 del 1971 (art. 2), � sufficiente dare atto della diversit� di situazioni derivanti dalla reciproca autonomia dei' sistemi. Non importa dunque chiedersi se la detta opposta soluzione sia pi� fedelmente, o al contrario, meno fedelmente attuativa dell'art. 38 Cost. Mentre si deve osservare che neanche di tale soluzione pu� senz'altro predicarsi il. carattere di soluzione imposta dall'art. 38 Cost., cio� di soluzione obbligata per l'attuazione di questo precett() costituzionale e quindi quasi di parametro mediato di costituzionalit�. Non � comunque esatto il presupposto dal quale vuol farsi discen� dere la suddetta qualit� del tertium comparationis, e cio� che la solu� zione adottata dalla legge sulla previdenza degli Ingegneri e Architetti si inserisca in un indirizzo legislativo uniforme e univoco per defini� zione scaturente dagli artt. 2 e 38 Cost. nel senso voluto dalle ordinanze di rimessione che vi si riportano. Anmtutto l'esclusione dell'operativit� del sistema previdenziale degli ingegneri e architetti per i professionisti i quali siano assoggettati ad altro sistema previdenziale era gi� stata introdotta con la legge 11 novembre 1971, n. 1046. Sicch� non pu� argomentarsi dai lavori preparatori della stessa legge n. 576 del 1980 e della legge sulla previdenza degli Ingegneri e _.Architetti n. 6 del 1981,. nei quali (cfr. per ii primi gli interventi svolti nella seduta 24 ottobre 1979, comm. riun. Giust. e Lav. Camera) si enunciano propositi� di uniformazione, e, in prospettiva, di unificazione dei sistemi previdenziali degli esercenti professioni intellet� tuali, per affermare che proprio la disposizione �in argomento (nella quale per di pi� la legge n. 6 del 1981 si discosta dalla legge n. 576 del 1980) sia dettata in attuazione di quei propositi. Ma, anche ad .ammettere che la soluzione in parola possa o debba qualificarsi per i suoi obiettivi caratteri in riferimento a una linea di tendenza nel senso ora indicato (dell'uniformazione e, per mezzo di questa, dell'unificazione dei sistemi previdenziali in argomento), non si pu� fare a meno di constatare che n� l'una (la soluzione come supposta espressione della tendenza) n� l'altra (la tendenza stessa) risultano altri� menti attuate. Per quanto attiene alla prima (cio� alla specifica soluzione), essa, contrariamente a quanto si sostiene, non appare adottata, o almeno non appare rigorosamente adottata, dalle norme sulla previdenza rispettiva� mente dei geometri e delle ostetriche (art. 22, legge 20 ottobre '1982, n. 773; art. 3, legge 2 aprile 1980, n. 127), le quali dispongono nel senso della facoltativit� della doppia iscrizione. Mentre la stessa soluzione non � adottata affatto dalle norme concernenti la previdenza dei sanitari, notai, -.-.::/. ��:::::_::;~;:::: �w ., .. ,,.��. �.-:m ....... � � � �� �� �.-�:-;.x:X ._}Y...::�:�:�����:���:��:�� 852 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dottori commercialisti (artt. 2 e 21 d.m. 29 ottobre 1977, per i farmacisti; artt. 10 e 21 d.lg.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 e 2 d.m. 18 novembre 1981, per i medici; art. 3 d.m. 26 aprile 1948, per i notad; art. 2 legge 3 febbraio 1963, n. 100 per i dottori commercialisti), le quali dispon� gono tutte nel senso dell'obbligatoriet� del sistema previdenziale professionale considerato anche nel caso di concorrenza per lo stesso-soggetto, in relazione ad altre attivit�, di altro sistema previdenziale. Per quanto attiene alla generale tendenza sopra indicata, essa non ha trovato affermazione in ordine .ai sistemi previdenziali relativi alle professionali intellettuali, giacch� la legge 7 febbraio 1979, n. 29, sulla � pensione unica�, che ne costituisce espressione, non si estende ai detti sistemi ma solo, come � gi� stato osservato, alle gestioni sostitutive, esclusive (della) ed esonerative dalla .assicurazione generale obbligatoria e alle g(!stioni speciali INPS (artt. 1 e 2). Ed anzi nei detti sistemi, ivi compreso quello� degli ingegneri e architetti quale risultante da:lla legge n. 6 del 1981, essa non trova riscontro, attesa la rilevata mancanza di meccanismi preordinati alla reciproca. utilizzazione, o all'utilizzazione in un sistema unico, dei contributi versati in ciascuno di essi. Cosicch� il ricorso a sistemi previdemi�li afferenti a categorie professionali diverse per reperirvi elementi di comparazione, rivelatori di princ�pi comuni traditi e di connesse "ingiustificate disparit�, finisce anche qui e ora -o almeno qui e ora, cio� in relazione alla questione che ci occupa e all'attuale stato della normativa -per infrangersi contro la osservaz�one, pi:� volte fatta da questa Corte, che ogni sistema prevtidenziale presenta una propria autonomia e che le rispettive soluzioni sono da riportare, in linea di principio, ad accertamento di presupposti, a determina:zJione di fini, a valutazioni di congruit� dei mezzi non estensibili fuori del sistema considerato (cfr. sentenze nn. 65 del 1979, 62 del 1977, 33 del 1975, 91 del 1972). Pi� breve discorso � sufficiente per fugare il sospetto che l'assoget� tament9 aglf obblighi previdenziali dei pnofessionisti surindicati, se viene giustificato in riferimento alla natura tributaria dei contributi, incorra nella vtlolazione dell'art. 53 Cost., per essere l'obbligo contributivo fatto dipendere dalla mera appartenenza a una categoria professionale, anzich� come prescritto dal cennato precetto costituzionale, dalla capacit� contributiva. Al riguardo � sufficiente osservare che la capacit� contributiva alla quale va commisurata anche la imposizione contributiva afferente alla previdenza forense (almeno per quanto riguarda il �contributo soggettivo �) -non �, nel detto sistema, desunta dalla mera appartenenza alla categoria, ma � individuata sulla base dell'esercizio della profes� sione con continuit�, e valutata sulla base dei redditi professionali dichiarati ai fini dell'IRPEF (artt. 10, comma primo e 22, comma primo, della legge n. 576 del 1980). (omissis) PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 11 lugli� 1984, n. 191 -Pres. Elia -Rel. Ferra~i Fortuna (avv. Benvenuti) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Impiego pubblico -Equo indennizzo � Limite del danno alla integrit� fisica � Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 97; d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 68). La disposizione che, per i dipendenti dello Stato, prevede un equo indennizzo solo nel caso di danno all'integrit� fisica non � censurabile sotto il profilo della legittimit� costituzionale per ci� che non prevede analogo equo indennizzo anche per altri danni economici. Con ricorso presentato al TAR del Veneto Ennio Fortuna chiedeva che gli si riconoscesse il diritto ad essere ritenuto indenne dall'Arami� nistrazione per i dannd patrimoniali subiti a causa delle funzioni eser� citate. Esponeva, in particolare, che la mattina del 16 dicembre 1974 persona rimasta ignota aveva sparato una raffica di mitra contro la saracinesca del locale di sua propriet� nel quale egli custodiva la propria autovettura provocandogli un danno complessivo di lire 453.750, ed assumeva che il danneggiamento in parola -rivendicato da una formazione politic� estremistica -fosse direttamente riferibile alla propria attivit� di mal?l�strato di Tribunale con funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia. (omissis) A sostegno della sollevata questione, il giudice a quo, dopo avere affermato l'inapplicabilit� al rapporto di pubblico impiego dei princ�pi e degli istituti privatistici -quali il mandato, la negotiorum gestio, il rischio professionale, 1a norma di chiusura di cui all'art. 2129 cod. civ. -, risultando tale rapporto regolato da una sua propria, autonoma e completa disciplina, osserva tuttavia che il principio dell'� indennizzabilit� del danno patrimoniale sofferto dal dipendente civile dello Stato a causa di servizio�, poich� risponde �a ragioni di sostanziale equit��, �dovrebbe poter essere ravvisabile nel sistema di norme che regolano il rapporto di pubblico impjego �. E ritiene appunto di ravvisare tal~ principio nell'art. 68, ottavo comma, -del .summenzionato decreto presidenziale n. 3 del 1957, a sensi del quale � per l'infermit� riconosciuta dipendente da causa di servizio, sono altres� a carico dell'amministrazione � non solo le spese di cura, ma anche �un equo indennizzo per la perdita dell'integrit� fisica eventualmente subita dall'impiegato �. Ora, vero � -si legge nell'ordinanza di rimessione -che � l'art. 68 sopra citato, con la sua portata restrittiva e limitatrice... non consente l'interpretazione estensiva nel senso prospettato nel ricorso�, ma vero altres� che esso �deve ritenersi inadeguato e soprattutto in contrasto con l'art. 97 -primo comma -della Costitu� zione, il quale � rivolto a garantire il buon andamento e l'dmparzialit� 854 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dell'attivit� dei pubblici poteri �, non potendosi conseguentemente escludere che � in caso contrario il pubblico dipendente potrebbe essere indotto ad assumere diversi o contrastanti comportamenti �. Insomma -conclude il TAR del Veneto-, � una �fondamentale esigenza� che sia garantita �al pubblico dipendente la effettiva possibilit� di essere sollevato, sia pure in via equitativa, da ogni danno o pregiudizio di ordine fisico ma anche ( ...) di ordine patrimoniale, che egli possa incontrare nell'esercizio delle sue funzioni e di cui non possa ottenere l'integrale risarcimento dal diretto responsabile �. La questione non � fondata. Secondo il giudice a quo, dunqu�, la mancata prev1s1one legislativa dell'inde:r�nizzabilit� del pregiudizio economico sofferto dal pubblico dipendente a causa del suo rapporto di impiego sd risolverebbe in violazione dell'art. 97, primo comma, Cost., nel senso che potrebbe indurre il pubblico dipendente a tenere comportamenti �diversi o contrastanti�; �diversi o contrastanti � ben s'intende, con i princ�pi del buon andamento e della imparzialit� della pubblbica amministrazione, che sono espressamente previsti nell'invocato parametro costituzionale ed espressamente indicati nell'ordinanza. � una motivazione, questa, la cui esilit� si coglie con immediatezza. A parte, infatti, ogni considerazione di carattere generale sulla dubbia pertinenza del richiamo all'art. 97, primo comma, Cost., appare implau� sibile -rispetto al principio generale, proprio del pubblico impiego, di osservanza dei d9veri di buon andamento e di imparzialit� -la prospettazione del ristoro del danno patrimoniale come il rimedio contro la violazione dei predetti doveri, quasi che non siano previsti appositi strumenti per assicurare l'osservanza; N� pu� dirsi che la esilit� di siffatta argomentazione sia sfuggita alla difesa della parte privata, la quale ha incentrato il suo dire prevalentemente sulla poliedricit� della persona umana pi).lttosto che sul primo comma dell'art. 97 Cost. In particolare ha sostenuto che, stante la rilevata poliedricit�, attivit� materiale e beni strumentali al completo svolgimento della personalit� vanno considerati �nscindibilmente connessi con la persona; non senza ragione -ha proseguito ....,. i princ�pi sui rapporti economici e, quindi, sulla propriet� precedono, in Costituzione, anche quelli sui rapporti politici, e conseguentemente � impensabile la non risarcibilit� del danno sofferto dalla persona nei suddetti beni strumentali, una volta che questi fanno anch'essi parte della persona al pari della salute. Neppure le surriportate considerazioni riescono tuttavia a dare una interpretazione accettabile della censura ed, amJi, vagliate nelle loro implicazioni, confermano la giustezza del rigetto della questione. Non sembra dubitabile, infatti,. che l'eventuale riconoscimento del principio dell'indennizzabilit� del danno patrimoniale -e, quindi, di qualsiasi danno PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE darebbe vita ad un fenomeno di incontenibile dimensione, che verrebbe reso ancor pi� complesso e gravoso dagli inevitabili e laboriosi accertamenti dell'esistenza del danno, del suo nesso col rapporto di servizio, dell'entit� di esso danno e della misura dell'indennizzo. Sono facilmente prevedibili l'imponenza e la gravit� delle conseguenze negative che verrebbe a subire proprio il principio di buon andamento, cui fa appello il giudice a quo. N� varrebbe osservare in contrario che tali conseguenze nori si verificherebbero, ove il riconoscimento dell'indennizzabi!Jit� del danno patrimoniale fosse limitato ai soli magistrati. Ad una soluzione nel senso. test� ipotizzato sarebbe di insormontabile ostacolo il principio fondamentale di parit� di trattamento, alla stregua del quale risulterebbe ingiustificata la estensione� del riconoscimento in parola ai soli magistrati nell'ambito delle categorie, previste dalla Costituzione, dei funzionari' e dei dipendenti dello Stato che subissero danni patrimoniali in occasione di disordini. La disciplina fa . quale prevede un equo indennizzo solo nel caso di danno all'integrit� fisica non � pertanto censurabile sotto il profilo della legittimit� costituzionale per il fatto che non preveda analogo equo indennizzo anche nel caso di danno economico. Certo, � auspicabile che possa nel nostro ordinamento pervenirsi. pure al ristoro di tale danno, ma rientra nei poteri del legislatore cli vruutare se e quando esistano le condizioni che consentano di farvi luogo. CORTE COST�TUZIONALE, 11 luglio 1984, n. 192 -Pres. Elia -Rel. La Pergola -Consiglio naz. ingegneri (avv. Rossano). Urbanistica -Ingegneri e architetti -Maggiorazione del compenso per incarico parziale -Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 18). La maggiorazione (del 25 %) del compenso per l'incarico parziale prevista dalla tariffa professionale degli ingegneri ed architetti ha razionale giustificazione in relazione alla natura ed alle modalit� dell'opera prestata da detti prof essionisti. (omissis) Giova al_ corretto esame del presente caso qualche considerazione di ordine preliminare. � dedotta in controversia quella statuizione del censurato art. 18 della legge n. 143 del 1949, nella quale � previsto l'aumento del 25 % con riguardo alla valutazione del compenso a percentuale; detto compenso va corrisposto sulla base delle aliquote specificate nell'apposita tabella, annessa alla legge (tabella B); ed �, precisamente, alla previsione tabellare, cos� individuata, che si applica la contestata maggiorazione dell'onorario professionale. a RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La disposizione oggetto di censura concerne ogni ipotesi in cui, come � ivi detto, � le prestazioni del professionista non seguono lo sviluppo completo dell'opera�. Ci� accade, pi� esattamente, in due distinti casi. L'incarico conferito all'ingegnere o all'architetto pu� essere in origine limitato ad alcuna soltanto delle funzioni che vanno dalla compilazione del progetto sommario della costruzione (o degli altri studi e calcolazioni di massima) fino alla liquidazione dei lavori, e si trovano elencate nell'art. 19 della stessa legge n. 143. In tale ultima norma � infatti detto quali operazioni sono comprese � nella prestazione complessiva del professionista per l'adempimento del suo mandato �. L'altra ipotesi � configurata nel primo comma dell'art. 10, di cui fa menzione lo stesso art. 18. Qui l'incarico diviene parziale, e come tale considerato ai fini del previsto , aumento sul compenso percentuale, in quanto, anche se conferito in origine per la prestazione complessiva, venga in seguito sospeso o revocato, � per qualsiasi motivo �, dal commdttente. Ora, tutti e .tre i provvedimenti di rimessione denunciano l'art. 18, limitatamente alla previsione del primo comma, che � la sola a rilevare ai fini del presente giudizio, ma con riguardo all'intero amb.i.to di essa: e dunque, a prescindere dalla circostanza che nella specie l'esecuzione parziale dell'opera sia dovuta alla limitazione originaria o alla successiva revoca (o sospensione) dell'incarico affidato al professionista. Infatti, nessun dubbio di legittimit� costituzionale � prospettato alla Corte per quanto concerne l'assimilazione -cosl com'� prevista nella norma in esame -fra l'uno e l'altro. caso in cui, ricorrendo gli estremi di una mancata prestazione complessiva del professionista, � fatto operare il supplemento della tariffa. La lesione del principio di uguaglianza � dedotta, come sopra si � visto, esclusivamente per il rilievo che vi �, comun� que, questa maggiorazione nel compenso dovuto secondo tabella. Ma la questione non � fondata. Nari si pu�, prima dd tutto, ritenere che il legislatore abbia nella specie ingiustificatamente derogato il disposto dell'art. 2237 del codice civile; n� si pu� dunque convenire con i giudici remittenti nel senso che la norma denunziata �intacchi la posizione riservata nel codice al committente, i� quale receda dal contratto, e privilegi al tempo stesso il trattamento dell'ingegnere o dell'architetto ai danni di quante altre categorie professionali non godano -se vi � recesso del cliente -di un pari aumento tariffario. Una pcima ed evidente insuffi�ien,za dell'argomento qui considerato sta in ci�, che esso concernerebbe, se mai, la sola sfera del recesso, o della limitazione sopravvenuta dell'incarico, mentre la questione abbraccia ogni ipotesi in cui l'opera non � compiutamente� realiz� zata. Deve comunque aggiungersi -sempre in relazione all'asserita divergenza fra la disciplina del caso ora considerato e lo schema del� l'art. 2337 del codice civile -che non sussiste alcuna offesa al precetto PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE de11'art. 3 Cost. Detta previsione del codice impone al cliente, che recede dal contratto, di rimborsare al prestatore d'opera le spese sostenute e di pagare il compenso per l'opera svolta. Il compenso del professionista, se non � convenuto dalle parti, va poi determinato, come vuole l'art. 2233 e.e., secondo tariffa. Se cos� �, la legge che, a sua volta, stabilisce la tariffa con riguardo a ciascuna categoria professionale, non deroga -o tanto meno contraddice -all'art. 2237, bens� ne integra il disposto, in conformit� al sistema del codice. Viene quindi a cadere la premessa da cui la Corte di Cassazione muove per avanzare l'ipotesi che, nel caso in esame, la � disciplina particolare � della tariffa diverga, senza alcuna giustificazione, dalla �disciplina ordinaria�, quale sarebbe fissata, nell'articolo 2237 del codice civile, indiscriminatamente per tutta la cerchia dei prestatori d'opera intellettuale. Il solo profilo della specie che residua all'esame di questa Corte riguarda allora, indipendentemente dalla test� citata disposizione del codice, la disparit� tra le tariffe professional�, che risulterebbe dalla maggiorazione prevista per l'incarico parziale: tale disciplina �, infatti, comunque denunciata davanti alla Corte, in quanto si assume che il legislatore abbia privilegiato la categoria degli ingegneri e degli architetti rispetto alle altre, con il risultato di offendere, in punto di ragionevolezza, il precetto dell'art. 3 Cost. Anche sotto questo ultimo riflesso, tuttavia, la statuizione dell'art. 18 esce indenne da censura. Gli stessi giudici remittenti non contestano che dl legislatore, nell'ordinare la materia dei compensi, potesse -di fronte a condizioni oggettive e soggettive diverse -differenziare i regimd tariffari a seconda della categoria professionale interessata. Il principio di eguaglianza si assume leso, precisamente in quanto la discriminazione fra la categoria degli ing�gneri ed architetti e le altre sarebbe andata oltre il ragionevole esercizio della discrezionalit� legislativa. Ora, un simile ordine di idee potrebbe essere condiviso solo se la censurata maggiorazione del 25% non trovasse rispondenza in quel che di peculiare l'opera professionale ha. nel caso di specie, o nel� modo come essa si svolge. Ma la scelta del legislatore non � certo viziata da una tale irrazionalit�. Essa � diretta a compensare il professionista per lo svantaggio che si connette in ogni caso con la parzialit� dell'incarico e si spiega in ragione del fatto che, diversamente da quanto avviene di solito in altre professioni, il mandato dell'ingegnere o dell'architetto � non infrequentemente conferito solo' per un qualche stadio della progettazione, con esclusione della fase nella quale l'opera � condotta a termine. Si pu� anche avvertii.re come la limitazione (o la revoca o sospensione) dell'incarico non siano, nel caso che qui interessa, necessariamente dovute a mancanza di' fiducia nel professionista, ma possano derivare da valutazioni di altro genere, dettate soprattutto dalla convenienza economica del cliente: dl quale, per parte sua, tiene in conto l'entit� della spesa che l'opera comporta ed il tempo occorrente per realizzarla. L'aumento in questione � stato, quindi, opportunamente disposto 858 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO in vista delle particolari esigenze che ineriscono alla disciplina della specie. Vi �, infatti, uno specifico e rilevante interesse dell'ingegnere od architetto a seguire lo sviluppo completo dell'opera; interesse, peraltro, evidentemente distinto da quello proprio di qualsiasi professionista, che aspiri ad un maggior volume di lavoro..Questo sotto un duplice profilo. � a) Un primo aspetto concerne la fedele esecuzione del progetto. Sia� mo di fronte ad un'opera dell'ingegno, sulla quale l'ingegnere o l'archi� tetto vantano il diritto di autore, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, che non a caso la tariffa in clis'corso ha richiamato, nell'art. 11, con J'aggiunta della seguente previsione: �la tutela della fedele esecuzione artistica o tecnica dei progetti approvati dal committente ed il loro svi� luppo nell'esecuzione spetta esclusivamente al progettista�. Al legislatore non � quindi" sfug~to che il mandato parziale, o la successiva sospensione dell'incarico, hanno come conseguenza un nocumento per il professioni� sta, almeno in quanto gli precludono la possibilit� di realizzare l'interesse alla fedele esecuzione dell'opera nel modo che per lui sarebbe il pi� van� taggioso e efficace: e cio�, con il sovraintendere direttamente all'integrale compimento dei lavori. . b) L'altro profilo ha riguardo al valore delle singole e distinte fasi in cui si articola lo svolgimento dell'opera, secondo le stesse previsioni della tariffa. Ciascuna delle opera2lioni occorrenti all'adempimento della serie completa delle prestazioni non � valutata soltanto alla stregua del suo immediato e caratteristico risultato; essa racchiude, altres�, un'utilit� potenziale, che viene concretamente in rilievo e si apprezza nei successivi stadi dell'attivit� professionale. Il che, come osserva la difesa di parte privata, � vero anche per la progettazione di massima, la cui importanza risiede non tanto nella quantit� del lavoro, alla quale del resto corrisponde in tariffa un'a:liquota tabellare di ammontare relativamente esiguo, quanto nella qualit�, appunto! anche virtuale, dell'impegno a quel punto gi� profuso dal professionista. Il progetto esige, invero, l'intuizione e fa soluzione dei �fondamentali problemi tecnico-architettonici che condizionano il compimento dell'opera: e di questa esso contiene, in nuci,_ i carat� teri e gli eventuali pre~. In conclusione: la maggiorazione del compenso per l'incarico parziale, ha nella specie un .sicuro e razionale nesso con la natura e le modalit� dell'opera prestata da ingegneri e architetti. La statuizione cen� surata, si deve dunque ritenere, non integra gli estremi di alcun arbitrario esercizio della discrezionalit�, che spetta al legislatore nel regolare la materia. Il risultato test� raggiunto esime la Corte dall'indagare se e come le altre tariffe professionali consentano che il compenso del pre� statore d'opera sia maggiorato, sempre nell'ipotesi della !!imitazione origi� naria o successiva dell'incarico. Si tratta infatti -anche nel caso del geometra, su cui la Corte di Cassazione ha fermato l'attenzione -di I l I PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA cosnruzIONALB altre e diy~rse categorie professionali: nelle quali, occorre precisare, la prestazione d'opera non giunge mai a rivestire le peculiari caratteristiche dell'attivit� dell'ingegnere o dell'archittetto. D'altra parte, lo stesso principio di eguaglianza esclude che situazioni non omogenee debbano andar soggette ad identica discipiina. Non �, quindi, in violazione di detto principio, che la previsione dedotta in giudizio discrimina tra la tariffa stabilita nel presente oaso e quelle delle differenti altre categorie professionali. CORTE COSTITUZIONALE, 18 luglio l984, n. 212 -Pres. Elia -Rel. Gallo Meloni (avv. Cogliani) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato De Francisci). Regioni � Regioni a statuto speciale � Disposizioni di attuazione dello Statuto � Potest� normativa permanente. Corte dei Conti � Decentramento di funzioni giurisdizionali � Sezione staccata per la Sardegna � Illegittimit� costituzionale. (Cost., art. 76; Statuto Sardegna, art. 56; d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240, tutti gli articoli). Gli Statuti regionali differenziati consentono in via permanente al Governo di dettare, ogni qualvolta sia necessario purch� nell'ambito dello Statuto e delle sue finalit�, norme di attuazione aventi rango non sottoordinato a quello della legge ordinaria. Premesso che il decentramento della giurisdizione amministrativa previsto dall'art. 125 Cost. non concerne la Corte dei Conti, non � desu mibile dallo Statuto per la Sardegna -e quindi non pu� essere disposta mediante disposizioni di attuazione di detto Statuto -la previsione della istituzione di sezioni staccate di organi giurisdizionali centrali. Tale Meloni Ave, vedova di dipendente dalla Regione Sardegna dece duto in servizio, aveva proposto ricorso alla Corte dei Conti -Sez. III giurisdizionale -sedente in Roma, per ottenere il riconoscimento del diritto a pensione privilegiata ordinaria indiretta anzich� a quella soltanto ordinaria che le era stata conferita: e ci� in quanto sosteneva la ricor rente che il marito era morto per causa dipendente dal servizio. Ma la Corte dei Conti, prima di entrare nel merito della vertenza, sollevava questione di legittimit� costituzionale. Osservava, infatti, quel Collegio che, essendo la Meloni residente in Sardegna gi� all'epoca della proposizione del ricorso, il giudizio -ai sensj dell'art. 11 del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240 -dovrebbe essere devoluto, nello stato in cui si trova, alla Sezione della _Corte dei Conti, con sede in Cagliari, jstituita col d.P.R. citato, competente a giudicare, in materia di trattamento di quiescenza, sui ricorsi proposti dai residenti nella Regione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 860 Senonch� rileva la Corte dei Conti che il decreto presidenziale di cwi s'� detto � stato emanato con riferimento all'art. 56 della l~gge 26 febbraio 1948, n. 3 (legg� costituzionale) che ha approvato lo Statuto speciale della Regione autonoma: e ci� in quanto la detta disposizione prevede che, mediante decreto legislaflivo, vengano date le norme di attuazione e quelle relative al passaggio di uffici e personale dallo Stato alla Regione. Poich� -soggiunge l'ordinanza della Corte -si tratta manifestamente di una deroga all'.art. 76 Cost., essa � per� operativa soltanto limitata� mente alle due materie espressamente menzionate. Ma la creazione di una Sezrlone giurisdizionale della Corte dei Conti nel territorio della Sardegna non sembra poter rientrare -ad avviso dei rimettenti -n� fra le norme di attuazione dello Statuto n� fra quelle che disciplinano il passaggio di uffici e personale da Stato a Regione: e ci� perch� trattasi di funzione giurisdizionale che la Costituzione riserva allo Stato, senza che sul punto lo Statuto della Regione contenga alcuna deroga. D'altra parte, non sii sarebbe nemmeno trattato di semplice passaggio di personale n� di creazione di un nuvo ufficio r�gionale, ma della istitu� zione di una Sezione decentrata della Corte dei Conti. Sicch� il d.P.R. im� pugnato viene per tal modo a collidere sia coll'art. 56 della legge cost. n. 3/1948, sia conseguentemente coll'art. 76 Cost. A proposito, poi, delle norme d'attuazione degli Statuti regionali, contesta l'ordinanza che e~se, per quanto non abbiano contenuto di mera esecuzione regolamentare, possano tuttavia ampliare o restringere lo Statuto; esse debbono mirare, invece, � secundum statutum � (e, perci�, n� contra n� praeter) a rendere compiutamente operative le norme statutarie. L'ordinanza cita, anzi, a sostegno del suo assunto, la sent. n. 20/1956 di questa Corte nonch� la sent. n. 30/1968, dalle quali emergerebbero la natura e i limiti di queste norme che, se non hanno carattere di mera esecuzione, non possono tut� tavia oltrepassare i confini della � attuazione �. Secondo la Corte dei Conti, peraltro, i decreti legislativi in parola riguardano soltanto la prima attuazione dello Statuto, per cui dovrebbero avere mero valore transi� torio e straordinario. (omissis) Va preliminarmente rilevato che la nozione data dalla Corte dei Conti, nell'ordinanza di rimessione, delle norme di attuazione degli Sta� tuti regionali � troppo angusta, e perci� non completamente aderente a quella risultante dalle sentenze nn. 20/1956 e 30/1968 di questa Corte. L'ordinanza, pur riconoscendo che tali norme non hanno contenuto di. mere disposizioni d� natura esecutiva regolamentare, ne restringe, tuttavia, la portata ad una funzione operativa � secondum legem �. In realt�, invece, [a giurisprudenza di questa Corte non ha escluso che le norme di attua� zione possano avere contenuto � praeter legem � nel senso di integrare le norme statutarie, anche � aggiungendo ad esse qualche cosa che le mede� sime non contenevano�, coll'unico limite della corrispondenza alle norme e alle finalit� di. attuazione de1lo Statuto, nel contesto del principio di PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB autonomia regionale (sent. 29 giugno 1956, ri. 20). Pi� incisivamente la Corte, sintetizzando i'l suo stesso pensiero, ritenne che � l'�sigenza delle norme di attuazione si \ manifesta nel bisogno di dar vita, nell'ambito delle ben definite autonomie regionali, ad una organizzazione dei pubblici uffici e delle pubbliche funzioni che si armonizzi con l'organizzazione dello Sfato nell'unit� dell'ordinamento giuridico (sent. 1� luglio 1969, n. 136). La Corte dei Conti ritiene poi che l'art. 56 della legge costituzionale. 26 febbraio 1948, n. 3 (Approvazione dello Statuto speciale Regione Sardegna), con riferimento al quale � stato emanato il d.P.R. in parola, rappresenta una deroga all'art. 76 Cost., che regola la delega della funzione . legislativa al governo. In� realt� -come pure � stato gi� precisato dalla giurisprudenza di questa Corte -la competenza conferita ai decreti legislativi di attuazione statutaria (preceduti dalle proposte o dai pareri di una commissione paritetica, composta da rappresentanti dello Stato e della Regione interessata) ha carattere �riservato e separato� rispetto a quella esercitabile dalle ordinarie leggi della Repubblica (cfr. sentenze 22 dicembre 1980, n. 180, 25 luglio 1983, n. 237). Ne deriva che le norme cos� prodotte si pongono con rango sicuramente non sottordinato a quello delle norme ordinarie, e con possibilit� quindi di derogarvi nell'ambito della loro specifica competenza. N� dall'affermazione della sent. n. 20/1956 secondo cui i decreti legislativ.i in parola � servono a porre in essere le norme di attuazione che dovevano accompagnare la nascita della regione e renderne partico farmente e giuridicamente possibile l'attivit��, � lecito arguire, come mostra di volere intendere la Corte dei Conti, che perci� il loro valore sarebbe meramente transitomo. Al contrario gli Statuti regionali diffe renziati consentono in via permanente a:l Governo di dettare norme di attuazione, ogni qualvolta sia necessario. Non �, quindi, in relazione alla natura delle norme di attuazione degli Statuti speciali che H sollevato problema di fondo potrebbe incontrare la soluzione auspicata dal Giudice remittente. Semmai, questa potrebbe con seguire al negativo accertamento di una qualche correlazione fre le norme attuative e quelle dello Statuto della regione Sardegna o le finalit� della sua attuazione, nel contesto dell'autonomia regionale e nel� rispetto dei � princ�pi costituzionali. Sotto questo riguardo, non pu� bastare, per�, ai fini dell'odierno giudizio di compatibilit� costituzionale, che -come osserva l'Avvocatu� ra -la Costituzione abbia assunto come principio programmatico, oltre al decentramento amministrativo (art. 5), anche quella della giurisdizione amministrativa (art. 125). Quest'ultima disposizione, infatti, non concerne sicuramente la Corte dei Conti. In mancanza, dunque, di un principio generale della Costituzione, esplicitamente o implicitamente recepito dallo Statuto, � a quest'ultimo 862 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO soltanto che deve aversi riguardo per decidere della legittimit� della contestata istituzione della sezione sarda della Corte dei Conti. in effetti, il d.P.R. che si va esaminando, oltre all'ovvio richiamo nel preambolo dell'intera legge costituzionale� 26 febbraiio 1948, n. J, che ha approvato lo Statuto speciale della regione autonoma della Sardegna, fa specifico riferimento all'art. 56 della legge stessa. Da questo, pertanto, traggono fondamento le disposizioni del decreto, iin quanto in esso � pre I I I visto che la Commissione paritetioa sottoponga al parere del ConsigLio Regionale, sia le .norme relative al passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione, sia le norme attuative dello Statuto stesso; norme tutte che verranno poi emanate con il decreto legislativo previsto dal quinto comma dell'art. 87 Cost., qual � appunto il decreto in parola. I Ebbene, deve senz'altro escludersi che Ja disciplina dettata dal decreto I possa rientrare fra le norme che regolano il passaggio degli uffici e del personale dallo Stato alla Regione. � evidente, infatti, che queste si collegano a quanto previsto nel terzo comma dell'VIII dispos~ione transiII I toria della Costituzione, in relazione a quel passaggio delle funzioni statali attribuite alle regioni, di cui � menzione nel secondo comma della I stessa disposizione. Ma quali siano tali funzioni � detto negli artt. da 117 a 120 Cost., che non menzionano certo quelle giurisdizionali; n� esiste altra 1 i legge dello Stato che, sulla base dell'art. 108, primo comma Cost., abbia ~ comunque previsto il passaggio di queste ultime alla �Regione sarda, sia i 1pure nei limiti della sua competenza territoriale. Non resta allora che esaminare l'alternativa concernente le norme attuative dello Statuto, delle quaLi pure � detto -come si � rilevato -nel citato art. 56 della legge. Senonch�, pur richiamandone la particolare natura pi� sopra riaffermata, e quindi anche la particolare competenza separata e riservata rispetI 1 to a quella esercitabile con leggi statali ordinarie di cui all'VIII Disp. \ trans. Cost., � comunque evidente che la loro capacit� additiva si esprime pur sempre nell'ambito dello spirito dello Statuto e delle sue finalit�, I e -come s'� pure rilevato -nel rispetto dei principi costituzionali. . Orbene, a differenza di quanto concerne il controllo di legittimit� sugLi atti amministrativi della regione, non � in alcun modo desumibile daUo Statuto della Regione Sardegna, n� dal suo spirito, n� dalle sue finalit�, che si sia inteso prevedere nemmeno per implicito Sezioni di orga� ni giurisdizionali centrali, neanche nei limiti degli affari concernenti la regione: e ci� a differenza di quanto -ad esempio -� invece espressamente stabilito per altre Regioni (art. 23 Statuto speciale regione Sicilia; art. 90 Statuto speciale TAA). Non pu�, quindi, ritenersi costituzionalmente legittimo l'art. 1 del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240 che istituisce per la Regione Sardegna una Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, con sede in Cagliiari: e ci� in relazione all'art. 56 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Conseguentemente va dichiarata atres� l'illegittimit� degli artt. 2, comma primo lett. c e d e 11 del decreto, cos� come richiesto dall'ordinanza di rimessione in quanto, venendo meno l'istituita Sezione, viene ovviamente a cessare la sua competenza sui ricorsi e sulle istanze in materia di pensioni, e logicamente l'obbligo di devoluzione a quella Sezione delle cause in corso presso la Corte dei Conti centrale; se di competenza della Sezione sarda secondo U disposto della lett. c dell'art. 2, comma primo, del decreto. Senonch�, fa riconosciuta illegittimit� dell'art. 1 del decreto trascina necessariame:nte nella stessa sorte l'intera discipliina dettata dal decreto per la competenza� ed il funzionamento della Sezione. Deve, perci�, darsi applicazione all'art. 27 dela legge 11 marzo 1953, n. 87 e dichiarare il'iHegittimit� costituzionale di tutta la residua normativa: in particolare anche di quell'art. 5 del decreto stesso, pure impugnato dall'ordinanza di rimessione, sebbene in relazione ad altro parametro, per avere Hlegittimamente ridotto a tre il numero dei votanti, mentre l'art. 2, .legge 21 marzo 1953, n. 161 impone, per ciascuna delle Sezioni giurisdizionali . della Corte dei Conti, il numero invariabile di cinque votanti. p.q.m. dichiara l'illegittimit� costituzionale degli artt. 1, 2, primo comma, lett. c e d, e 11 del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240; inoltre -applicato l'art. 27, legge 11 marzo 1953, n. 87 -dichiara l'illegittimit� costituzionale di ogni altra disposizione del citato decreto. CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1984, .n. 237 � Pres. De Stefano � Rel. Malagugini � Pieni ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Poste e Telecomunicazioni � Radiotelevisione � Exnittenti locali private � Installazione ed esercizio di impianti senza previa autorizzazione amxninistrativa -Sanzione penale -Legittixnit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 10, 21 e 27; d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, artt. 1, 183, 184, 195 e 334). Corte costituzionale -Giudizio incidentale di legittixnit� costituzionale � Applicazione di una disposizione di dubbia costituzionalit� -Quando si ha. Il principio di eguaglianza non pu� essere invocato assumendo come terti.um comparationis una situazione anomala determinata dall'inerzia del legislatore nel disciplinare una materia dopo un intervento demolitorio della Corte costituzionale; del resto, detta Corte ha confermato (nella sentenza n. 202 del 1976) la necessit� di una � previ� autorizzazione� alla RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 864 installazione ed all'esercizio di impianti per le trasmission.i radiotelevisive via etere in ambito locale da parte di privati (1). L'incidente di costituzionalit� � intempestivamente proposto dal giudice chiamato non ancora ad applicare la norma incriminatrice denunziata, bens� a compiere -in seguito a semplice notitia di un fatto -i normali atti di istruzione probatoria. (omissis) Il testo unico delle disposizioni legislative in materia postale di bancoposta e di telecomUllJi.cazioni approvato con d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, all'art. 1 riservava in esclusiva allo Stato, nei limiti previsti da quel testo, per quanto qui interessa � i servizi di telecomunicazion~ �. (omissis). Con le sentenze n. 225 e n. 226 del 1974 questa Corte ha dichiarato la illegittimit� costituzionale degli artt. i, 183 e 195 del succitato t.u. del 1973 � nella parte relativa ai servizi di radiotelediffusione. circolare a mez~ zo di onde elettromagnetiche�, nonch�, �nelle parti relative a�. servizi di televisione via cavo �. In ossequio, alle predette pronunzie, l'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 ha sostituito gli art. 1, 183 e 195 del citato testo unico. � sopra\rvenuta, infine, la sentenza n. 202 del 1976 con la quale questa Corte ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale degli artt. l, 2 e 45 della . legge 14 aprile 1975 n. 103 (nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva) � nella parte in cui non sono consentiti, previa autoriz~ zazione statale e nei sensi di cui in motivazione, l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l'ambito locale �. Con la medesima sentenza la Corte ha dichiarato altres� �l'illegittimit� costituzionale dell'art. 14 della citata legge n. 103 del 1975 nella parte in cui prevede la possibilit� che mediante le realizzazioni di impianti da parte della societ� concessionaria siano esaurite le disponibilit� consentite dalle frequenze assegnate all'Italia dagli accordi internazionali per i servizi di radiodiffusione �. (1) L'introduzione nel nostro Paese di un giudizio sulla legittimit� costitu� zionale delle leggi produttivo di effetti �demolitori� (sia pure limitatamente retroattivi) sta facendo emergere un delicato problema politico-istituzionale: produrre legge per �ricostruire� l'ordinamento normativo in una situazione di deregulation cagionata da atti solo demolitori � cosa ben diversa (e ben pi� difficile) che produrre leggi incidendo su un tessuto legislativo abbisognevole di modifiche ma ancora organico� ed operante. Altro � l'effetto di abrogazione � sottoprodotto � di un legge che � simultaneamente costruttiva (del nuovo) e distruttiva (del vecchio), altro � un effetto di eliminazione non sincronico con la ricostruzione. In teoria, se si lavora entro schemi solo giuri� dici, tale diversit� non dovrebbe sussistere, l'ordinamento essendo -per def�ni� zione -completo ed idoneo a � colmare le proprie lacune�; in realt�, nella realt� politica, le spinte al mantenimento di una situa7lione di deregulation possono risultare molto pii) efficaci (e quindi pi� forti) di quelle al mante� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 865 Quest'ultima sentenza ha, dunque, riconosciuto il diritto di dniziativa privata per l'installazione e l'esercizio di impianti per le trasmissioni via etere di programmi radiofonici e televisivi su scala locale. Nel riconoscere un tale diritto, questa Corte,. ha per� affermato anche � la necessit� dell'intervento del legislatore nazionale perch� stabilisca l'organo dell'amministrazione centrale dello Stato competente a provvedere all'assegnazione delle frequenze ed all'effettuazione dei conseguenti controlli e fissi le condizioni che consentano l'autor�.zzazione all'esercizio di tale diritto in modo che questo si armonizzi e non contrasti con fil preminente interesse generale (di cui sopra) e si svO'lga sempre nel rigoroso rispetto dei doveri ed obbLighi anche internazionali, conformi a Costituzione�. Tale esplicito invit� al legislatore, perch� intervenisse nella materia de qua, adeguandosi ad una serie di indicazioni specifich� (intervento presupposto anche nel dispositivo della sentenza) � rimasto, per�, sin qui inascoltato. Riassumendo, il d.P.R. n. 156 del 1973 e la legge n. 103 del 1975 regolano la materia delle trasmissioni radiofoniche e televisive in regime o di monopolio o di concessiope o di autor�.zzazione, mentre per quanto riguarda i servizi radioelettrici di telecomunicazione vige il principio del � regime Vlincolato �, Per le trasmissioni via etere a mezzo di ricetrasmittenti (anche quando si tratti di apparecchi di debole potenza installati in ausilio a servizi di imprese industriali, commerciali, artigiane ed agrarie (art. 334 n. 2 del t.u.) occorre cio� la concessione governativa (art. 322 del T.U.). . Dalla normativa qui considerata emerge, "'dunque, una regola generale, in forza della quale l'installazione, lo stabilimento e l'esercizio di impianti di telecomunicazione sono subordinati al previo ottenimento dell'autorizzazione o della concessione governativa, mentre fa trasmissione via etere su scala locale, esercitata dai privati, per effetto della citata nimento di una legge scritta vigente. Qualcosa di simile si pu� avvertire, oltre che in tema di radiotelevisioni private, ad esempio in tema di determinazione dell'indennit� di espropriazione per pubblica utilit�. Difficile intravvedere i possibili rimedi. Potrebbe pensarsi ad un maggior coinvolgimento della stessa Corte Costituzionale non solo nell'attenta e puntuale delimitazione della portata della proprie pronunce demolitorie, ma anche nel compito di ricerca ed indicazione delle conseguenze di tali pronunce; coinvolgimento -questo secondo --che per� presenterebbe non pochi e non lievi rischi in termini di correttezm dei rapporti tra istituzioni e -al limite -anche di prestigio dell'organo di giustizia costituzionale. Per il che non pu� che condi� vidersi la tendenza al self-restraint finora prevalsa. La specifica sentenza in rassegna pu� determinare una rottura della � tre� gua � di fatto avutasi negli ultimi anni tra autorit� pubbliche (amministrative e giurisdizionali) ed emittenti private, con prevedibile conseguente intervento del legislatore. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 866 sent. n. 202 del 1976, � assolutamente libera nel senso che si svolge � in regime di totale carenza legislativa�. Si � determinata in tal modo la situazione indubbiamente anomala e squilibrata, dalla quale prendono le mosse la maggior parte dei giudici rimettenti. (omissis). La questione da decidere (salve le precisazioni seguenti in questo stesso paragrafo) � essenzialmente quella avente ad oggetto l'art. 195 del T.U. del 1973, nel testo novellato. La norma cos� denunziata punisce (con la sola pena dell'ammenda se il fatto non si riferisce ad impianti radioelettrici; con fa pena dell'arresto e dell'ammenda se il fatto si riferisce ad impianti radioelettrici o televisivi via cavo) �chiunque installa, stabilisce od esercita impianto di telecomunicazione senza aver prima ottenuto la relativa concessione o l'a.torizzazione � (di cui al secondo comma. dell'art. 184 stesso T.U. e richiesta anche per gli dmpianti ripetitori via etere di programmi sonori e televisivi esteri o nazionali). II dubbio di costituzionalit� nasce dal confronto che i giudici a quibus istituiscono tra la situazione qui sopra descritta e quella di chi � senza concessione o autorizzazione � � esercita privatamente � � trasmissioni radiotelevisive via etere in ambito locale �. Cos� posta, la questione � chiaramente infondata. Ci� non tanto in base al rilievo per cui la fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 195 in esame presuppone l'obbligo del preventivo ottenimento della concessione o della Hcenza per l'esercizio delle attivit� ivi considerate, mentre un tale obbligo allo stato n.on sussiste nelle situazioni poste a confronto, per le quali quindi � del tutto gratuito parlare di esercizio senza concessione o autorizzazione. L'infondatezza della questione nasce dal pi� sostanziale rilievo che il principio di uguaglianza viene invocato dai giudici a quibus in senso inverso a quel:lo naturale, assumendo la situazione anomala (e, ci si augura, temporanea) determinata dall'inerzia del legislatore dopo la sentenza n. 202 del 1976 di questa Corte come metro di legittimit� della regola generale, di cui alla normativa denunziata, che vuole l'installazione e l'esercizio degli impianti di telecomunicazione subordinati alla concessione o all'autorizzazione governativa. Ci� tanto pi� quando, proprio con la sentenza n. 202 del 1976 la Corte, lungi dal prospettare una deroga alla predetta regola generale per l'installazione e l'esercizio di impianti per le trasmissioni radiotelevisive via etere in ambito locale da parte dei privati, ha, per quanto di sua competenza, riaffermato l'esigenza di una � prevda autorizzazione statale�. _ Vero �, del resto, che con la normativa della quaie si discute, il legislatore ha perseguito il fine, doveroso per lo_ Stato democratico, di garantire la funzionalit� di servizi essenziali per la vita del Paese, di PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 867 impedire il disordine e la sopraffazione nei campo considerato e di assicurare le condizioni per di rispetto del principio di uguaglianza. La questione, dunque, deve dichiararsi infondata, in coerenza con gli orientamenti ripetutamente espressi da questa Corte (cfr. sentt. nn. 42 del 1977; 71 del 1979; 162 del 1981; 168 del 1982 e 71 �del 1983). Per concludere sul punto, � bene aggiungere che le argomentazioni sin qui svolte e la conclusione raggiiunta non cambierebbero quand'anche si dovesse ritenere che i giudici a quibus abbiano inteso coinvolgere negli incidenti di costituz_ionalit� non le sole disposi:Zlioni sanzionatorie, ma l'intera, sebbene � incompleta� fattispecie contravvenzionale di cui al� l'art. 195 de T.U. del 1973, nel testo novellato, integrandone il precettd con i disposti di altri .articoli del T.U. medesimo. Ci� perch�, anche in siffatta ipotesi non muterebbero i termini e la caratteristica del, confronto istituito dai giudici medesimi per dedurne �la violazione del principio di eguaglianza. (omissis). Il pretore di Putignano solleva questione di legittimit� costituzionale degli artt. l, 183 e 195 del t.u. del 1973, nel testo novellato, in riferimento oltre che all'art..3, primo comma, nei termini pi� sopra riferiti, anche agli artt. 21 e 10 Cost. La questione viene sollevata dal giudice a quo, a seguito della richiie� sta di perquisizione domiciliare avanzata dalla Direzione compartimen� tale PP.TT. di Bari nei confronti di un soggetto indicato quale respon� sabile del reato di cui ai citati artt. 1, 183 e 195 del t.u. del 1973, �per aver usato un impianto ricetrasmittente di debole potenza senza la pre scritta concessione-,, governativa: richiesta che, come visulta dagli atti, traeva origine da una denuncia anonima relativa a molestie che sareb� bero state commesse con l'utilizzazione di tale impianto. L'incidente di costituzionalit� � stato proposto dal pretore di Puti-. gnano sulla base soltanto della citata richiesta della Direzione compar timentale PP.TT. di Bari, prima ancora di aver inviato all'indiziato comu� nicazione giiudiziaria per una specifica ipotesi di reato e prima di aver � compiuto una qualsiasi, sia pure �sommaria, indagine. Pu� allora dubitarsi che la questione sia stata sollevata nel corso di un giudizio, come esige l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, ma anche a negare fondatezza ad un tale dubbio, si deve riconoscere che la questione medesima � irrilevante. Invero, dal � sistema normativo risultante dall'art. 1 della legge co� stituzionale n. 1 del 1948 e dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953 si deduce che la pregiudizialit� necessaria della questione di costituzionalit� rispet� to alla decisione del giudice a quo va dntesa considerando tale decisione come conclusiva di un itinerario logico, ciascuno dei cui passaggi neces� sari pu� dar luogo ad un incidente di costituzionalit�,� ogniqualvolta il giudice dubita cl.ella l�gittimit� costituzionale delle disposizioni normative RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 868 che, in quel momento, � chiamato ad applicare per la prosecuzione e/o fa definizione del giudiz~o � (sent. n. 53 del 1982). L'osservanza dei riferiti criteri porta a ritenere che la semplice denunzia di un fatto di reato rende meramente eventuale, soltanto possibile, l'applicazione della norma dncriminatrice, i cui indispensabili presupposti devono ancora essere verificati. L'incidente di costituzionalit� � stato, dunque, proposto intempestivamente dal giudice a quo che, in quel moment�>, non era chiamato ad applicare la norma denunziata bens� a compiere atti di istruzione probatoria, in applicazione di norme del codice processuale penale. Ne consegue che le questioni proposte dal pretore� di Putignano vanno dichiarate inammissibili. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 30 lugLio 1984, n. 238 -Pres. De Stefano - Rel. Maccarone -Maggia ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Tributi (in generale) -Termini di decadenza e di prescrizione -Proroga Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 24; legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 19; d.1. 10 dicembre 1976 n. 798, art. 1 e legge 8 febbraio 1977, n. 16, di conversione del predetto d.I.). La posizione dello Stato e quella dei contribuenti non sono raffrontabili, ai fini dell'applicazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.): precipue esigenze finanziarie dello Stato possono giustificare disposizioni procedimentali asimmetriche. Il richiamare in vigore termini scaduti, per colmare un vuoto temporale privo di valide giustificazioni, non lede l'art. 24 Cost. (omissis) Con l'art. 19 della legge 2 dicembre 1975, n. 576, concernente disposizioni in materia dd imposte sui redditi e sulle successioni, i termini di prescrizione e di decadenza prorogati al 31 dicembre 1975 dal citato decreto n. 237 del 1974 e dalla relativa legge di conversione furono ulteriormente prorogati al 31 dicembre 1976. Inoltre, col secondo comma dello stesso articolo venne stabilita la sospensione per un anno dei termini in materia di prescrizione e cli decadenza � in corso � alla data . di entrata in vigore della legge e sca denti tra il 1� gennaio ed il 31 dicembre 1976. Con ci� mentre si intendeva ovviare ai perduranti descritti inconvenienti nell'Amministraizone finanziaria, si intendeva anche avviare alla normalizzazione il regime dei termini in esame. PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE A tal fine appare infatti specificamente diretta la norma di cui al secondo comma del citato art. 19, la quale, prendendo in considerazione in particolare i� termini �in corso� alla data di entrata in vigore della legge (5 dicembre 1975) e �scadenti fra il 1� genn~io ed il 31 dicembre 1976 �, e che, come tali, sarebbero stati esclusi dalla proroga dL cui al primo comma, estesa soltanto ai termini scadenti entro il 31 dicembre 1975, ne dispone la sospensione per un anno, a condi:zfone che i termini stessi siano � in corso � alla data di entrata in vigore della legge. Tale condizione restringeva il beneficio della sospensione mediante un riferimento temporale allo stato del termine, ed aveva il fine di armonizzare e coordinare in qualche modo il regime dei termini assoggettati alla serie organica delle proroghe precedenti con il regime di quei termini che, invece, come si � detto, per essere scadenti oltre il 31 dicembre 1975 sarebbero rimasti esclusi dalle proroghe precedenti. Inoltre con l'art. 1, primo comma, d.l. 10 dicembre 1976 n. 798 �i termini di prescrizione e di decadenza prorogati al 31 dicembre 1976 dall'art. l, primo comma, della citata legge n. 576 del 1975 � furono prorogati di altri sei mesi, Cio� fino al 30 giugno 1977; e col secondo comma i termini previsti dallo stesso art. 19 � che in virt� delle disposizioni ivi contenute, scadono tra il 1� gennaio ed il 4 dicembre 1977 � furono prorogati al 31 dicembre 1977; col terzo comma i termini in parola, compresi espressamente quelli concernenti il contenzioso tributario scadenti tra la data di entrata in vigore del decreto ed il 30 giugno 1978 furono prorogati a quest'ultima data. Con la legge di conversione n .. 16 del 1977, fu poi introdotta la proroga al 31 dicembre 1977 dei termini scaduti nel periodo compreso dal 5 dicembre 1976, scadenza della proroga del 1975, all'lt dicembre 1976, entrata in vigore della nuova proroga, e che risultavano pertanto scoperti da qualsiasi proroga. (omissis) Ci� premesso, conviene anzitutto esaminare la censura con cui si lamenta che l'art. 19, secondo comm!l della legge 2 dicembre 1975, n. 576, limitando la sospensione per un anno dei termini di prescrizione e di decadenza solo a quelli � in corso � alla data di entrata in vigore della legge stessa e scadenti nell'anno 1976 indurrebbe una disparit� di trattamento fra i contribuenti� e la pubblica amministrazione, a favore della quale rimarrebbe sempre �in vigore la proroga dei termini stabilita in via generale col primo comma dell'art. 19 stesso, il quale, infatti, dispone la proroga dei termini di prescrizione e di decadenza gi� precedentemente prorogati portandoli al 31 dicembre 1976, per cui i termini stessi rimarrebbero sempre in corso per l'amministrazione al 5 dicembre 1975, e beneficerebbero quindi sempre della sospensione, a differenza di quanto accadrebbe per i contribuenti, che potrebbero fruire della sospenstione solo per i termini effettivamente in corso al 5 dicembre 1975. (omissis). 870 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Quanto al merito deve osservarsi che la lamentata diversit� di trat tamento trova una sua ragione di essere in ci� che si � detto a proposito dei motivi che ispirarono al legislatore la disciplina denunziata. Invero regolare in via transitoria la scadenza dei termil11i nei sensi sopra esposti significava, sostanzialmente, da un lato, prolungarne il regime eccezionale per consentire la funzionalit� degli uffici e recuperare all'era� rio alcune migliaia di miliardi, come precisato nei lavori preparatori, e, dall'altro, porre una disciplina che rappresentava una via di transizione verso �il ritorno alla normalit� nel settore. La speciale considerazione dei termini � in corso � aveva, invero, come sd � detto, una fumione limitativa, rispondente a razionali motivi e tale quindi da escludere la violazione del principio di eguaglianza che, per costante giurisprudenza di questa Corte, � osservato quando la diversit� di disciplina fra situazioni omogenee � razionalmente giustificata. N� pu� tacersi che la posizione dello Stato e dei contribuenti nella situazione descritta non era raffrontabile, date le precipue esigenze finanziarie cui la discip1ina censurata corrispondeva. Ma, anche prescindendo da tali considerazioni, va rilevato che, non contenendo il_ testo normativo specifiche indicazioni circa i soggetti desti� natari, � da ritenere che la previsione riguardi sia_J'amministrazione che il contribuente. Ci� comporta parit� di trattamento normativo ed esclude, anche sotto tale profilo, la violazione del principio di eguaglianza. (omissis). � stata poi prospettata l'Hlegittimit� del terzo comma dell'art. 1 d.l. 10 dicembre 1976, n. 798, introdotto con la legge n. 16 del 1977 che estendeva la proroga dei termini in esame a quelli scaduti dal 5 all'll dicembre 1976, non rientranti tra quelli compresi nel periodo precedente. Si afferma al riguardo che i detti termini, appunto perch� non compresi nella proroga erano scaduti e pertanto la norma impugnata avrebbe in sostanza prodotto la reviviscenza di termini ormai esauriti, il che comporterebbe la violazione dell'art. 24 Cost. In proposito � da osservare, peraltro, che, come � pacifico; i termini cos� prorogati in realt� erano rimasti esclusi dalla proroga senza motivo, e solo a causa di un probabile difetto di coordinamento. Si legge appunto nei lavori preparatoci che al fine di eliminare l'esclusione, non' sorretta da alcun valido motivo, occorreva colmare il vuoto temporale cosi creatosi mediante la saldatq.ra dei periodi sopra spe� cificati. Il richiamare in vigore in tali circostanze termini scaduti non lede in alcun modo la garanzia costituzionale invocata, :limitandosi a rendere possibili, per ovvii motivi di razionalit�, attivit� altrimenti precluse. In relazione all'eventuale azione dell'amministrazione gli interessati potevano d'altra parte liberamente esercitare, a loro volta, il diritto di difesa senza :Limitazione alcuna. PARm I. SllZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB ,, A:ltra questione � stata sollevata circa la pretesa illegittimit� del l'art. 1 del d.l. 10 dicembre 1976, n. 798 in quanto sostanzialmente tale disposizione, coordinata con la precedente normativa in materia, non prevederebbe l'estensione della proroga precedentemente sancita anche a quei termini che avevano avuto :inizio nel periodo compreso fra il 5 dicembre 1975 (entrata, in vigore della legge n. 576 del 1975) ed il 5 ottobre 1976 (6()<> giorno antecedente al compimento dell'anno di sospen sione stabilito con la stessa legge n. 576 per i termini relativi ai ricorsi in materia di imposte). In tal modo, secondo la censura, risulterebbe violato anzitutto l'art. 3 Cost., perch� l'esclusione dalla proroga, sostanzialmente collegata all'ele mento occasionale ed aleatorio della data di notifica dell'accertamento, dalla quale appunto inizia il decorso del termine per il ricorso e conse guentemente dipende l'applicabilit� o meno della proroga, comporterebbe una disc11iminazione irrazionale e come tale contrastante con il principio di eguaglianza. Ma la questione non � fondata. Nel corso dei lavori preparatori della legge 8 febbraio 1977, n. 16, invero, il .problema della esclusione dei termini anzidetti dalla proroga fu espressamente trattato in sede di discussione di un emendamento all'uopo presentato, ma non trov� accog1imento da parte del Governo sulla basilare confilderazione che dopo l'approvazione della legge n. 576 del 1975 la tendenza era quella di normalizzare la materia della scadenza dei termini. Pertanto era da ritenere che i contribuenti i quali avevano . operato dopo l'entrata in vigore della legge stessa (5 dicembre 1975) erano in regime normale e di ci� dovevano essere consapevoli dato il preciso riferimento a tale data per l'operativit� del beneficio. L'accoglimento dell'emendamento, secondo il Governo, avrebbe anzi comportato la rimessione in termini di tutti coloro che li avt:vano lasciati decadere, ed avrebbe finito con il premiare i contribuenti che si erano comportati meno diligentemente di quelli che invece avevano pagato quanto dovuto. �Queste considerazioni costituiscono una valida e razionale giustifica zione dell'esclusione lamentata, e in funzione di esse si delinea in modo evidente la diversit� delle situazioni dei contribuenti che avevan� ope rato prima e dopo l'entrata in vigore della legge del 1975. Diversit� che vale ad escludere la sussistenza del lamentato wzio di legittimit�. Parallele considerazioni valgono anche ad escludere la disparit� fra contribuente e amministrazione, sostenuta in quanto gli avvisi di accer tamento in virt� della proroga potrebbero essere notificati dall'Ammini strazione in regime di favore. Invero la posizione della P.A. caratterizzata dalle descritte difficolt�, e quella dei contribuenti, non sono raffrontabili e come tali sfuggono al controllo di legittimit� in relazione all'art. 3 Cost. (omissis). 872 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1984, n. 239 -Pres. e rel. De Stefano -Meir (avv. Di Gravio e Rombol�), Comunit� dsraelitica di Roma (avv. Tedeschi e Giannini) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). Costituzione della Repubblica -Principio di eguaglianza -Libert� di adesione ad associazioni e formazioni sociali -Comunit� israelitiche Adesione � ope legis � -Illegittimit� costituzionale. (Cost., artt. 2, 3 e 18; r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731, art. 4). L'obbligatoria appartenenza ,alla Comunit� di un soggetto, per il solo fatto di essere � israelita � e di risiedere nel � territorio � di pertinenza della Comunit� medesima, senza che l'appartenenza sia accompagnata da alcuna manifestazione di volont� in tal senso, viola il principio di eguaglianza (art. 3 Cast.) concretando una disparit� di trattamento in ragione della religione e/o razza, e la libert� di aderire o non aderire (non solo ad associazioni ma anche) a � formazioni sociali � tutelata dagli artt. 2 e 18 Cast. 1 Il pretore di Roma, con ordinanza emessa il 16 maggio 1979, ha deferito a questa Corte la questione di legittimit� costituzionale, nei ter I mini esposti in narrativa, degli artt. 1, 4, 5, 15 lett. c), 24, 25, 26, 27, 28, 29 e 30 del r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731, �singolarmente considerati, nonch� i in rapporto al sistema normativo da essi derivante�, per contrasto con l gli artt. 3, 2 e 18, 23, 24 e 102, 53 della Costituzione. I Il menzionato decreto d�tta norme sulle Comunit� israelitiche e sulla Unione delle Comunit� medesime. L'art. 1 definisce le Comunit� israe I litiche � corpi morali che provvvedono al soddisfacimento dei bisogni ! religiosi degli israeliti secondo la legge e le tradizioni �braiche �; in rela I zione a tale finalit� ne specifica, al secondo comma, i compiti. Per ! ! l'art. 4 �appartengono di diritto alla Comunit� tutti gli israeliti che hanno residenza nel territorio di essa �. Il successivo art. 5 dispone che i �cessa di far parte della Comunit� chi passa ad un'altra religione o dichiara di non voler pi� essere considerato israelita agli effetti del l presente decreto�; colui che cessa di far parte della Comunit� perde iI diritto di valersi delle istituzioni israelitiche, e in particolare perde il diritto a prestazioni di atti rituali ed alla sepoltura nei cimiteri israelitici. Gli altri articoli denunciati (15, lett. e e da 24 a 30) disoipHnano il potere impositivo attribuito alla Comunit�, prevedendo la determinazione di un contributo annuo, cui sono tenuti tutti gli appartenenti alla Comunit� in ragione del rispettivo reddito complessivo. Il Consiglio della Comunit� fissa, anno per anno, l'aliquota del contributo, mentre spettano alla Giunta la valutazione del reddito complessivo di ciascun contribuente, la determinazione del reddito imponibile e del contributo, la PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE formazione della matricola dei contribuenti. Contro la determinazione dell'imponibile fatta dalla Giunta, il contribuente pu� presentare ricorso al Consiglio della Comunit�, e contro la decisione del Consiglio � ammesso dl ricorso ad una commissione arbitrale; avverso la decisione cli quest'ultima non � ammesso alcun gravame, salvo il ricorso all'autorit� giudiziaria nei soli casi di violazione di legge. (omissis). Nei termini anzidetti la questione � fondata. Giova ricordare che, anteriormente all'emanazione del r.d. n. 1731 del 1930, la disciplina del culto israelitico in Italia era diversa secondo le diverse regioni, corrispondenti agli ex Stati pre-unitari; e talvolta era diversa anche nell'�mbito di una stessa regione. La legge sarda 4 luglio 1857, n. 2325 (c.d. legge Rattazzi), operante in Piemonte ed in Liguria, ed estesa, all'atto della unificazione, all'Emilia ed alle Marche, disciplinava le Universit� isr~elitiche come persone giuridiche � pubbliche, necessariamente costituite da tutti gl'israeliti. domiciiliati nella loro circoscrizione, fornite del potere d'imposi~ione su di essi, e integralmente regolate, nella loro organizzazione e nelle loro funzioni, dal diritto dello Stato, secondo lo schema della legge comunale dell'epoca. Anche in Toscana, nel Veneto, nella provdncia di Mantova, nonch� nelle province annesse dopo la guerra 1915-18, continuando ad applicarsi ivi le preesistenti disposizioni, le Universit� israelitiche ave~ano natura di corporazioni pubbliche necessarie, con di potere d'imporre ai loro membri speciali tributi; ma, a differenza cli quelle che formavano oggetto della legge sarda, erano dotate di autonomia organizzativa, in quanto le leggi che le disciplinavano rinviavano a.i rispettivi statuti per il regolamento della loro struttura e per l'esercizio delle loro attribuzioni. Infine, in altre localit� (come, ad esempio, Roma, Napoli e Milano), �le organizzazioni israelitiche, operando nell'�mbdto del diritto comune, erano costituite in associazioni volontarie, dotate o meno cli personalit� giuridica, che provvedevano alle spese del culto con le volontarie contribuzioni dei loro aderenti. Le varie comunit�, obbligatorie e volontarie, tra loro assolutamente autonome e indipendenti, avevano poi dato vita ad un Consorzio volontario, sul piano nazionale, per la difesa e la cura dei comuni interessi. Con il r.d. n. 1731 del 1930, avente forza. di legge in virt� della �facolt� di rivedere le norme legislative esistenti che disciplinano i culti acattolici�, conferita al Governo dall'art. 14 del:la legge 24 giugno 1929, n. 1159, sull'esercizio dei culti ammessi nello Stato, s'intese apprestare un ordinamento uniforme per le Comunit� israelitiche di tutta l'Italia, e federarle in urla Unione obbligatoria. Nella relazione allo schema del decreto si legge, infatti, che esso � procede alla unificazione della legislazione sulle Universit� israelitiche, stabilendo per esse un ordinamento ed un s�istema uniforme di confrollo, ci� che nisponde all'indirizzo del moderno diritto pubblico, che vuole sottoposte all'autorit� RASSEGNA DBIL'AVVOCATURA DELLO STATO 874 dello Stato, ed opportunamente vigilate, tutte le forme di attivit�, specie quelle a b~se collettiva �. Si legge, ancora, che � il tipo di ordinamento prescelto si foggia essenzialmente su quello della legge sarda del 1857, che regoLa le Universit� israelit�che con criteri di compiutezza, a un dipresso come la legge comunale e provinciale.. regola i Comuni, non essendosi creduto di adottare il sistema austriaco, . vigente nelle nuove province, chei limitandosi alle norme fondamentali, lascia largo campo all'autonomia delle Comunit�, cui impone di farsi uno statuto �. Si rile v�, allora, in dottrina, che �le Comunit� israelitiche non solo appa riscono corporazioni cli dinitto pubblico, in quanto hanno c~rattere ter ritoriale e sono sottoposte a vigilanza e tutela, ma anche in quanto esercitano poteri d'impero, sono di creazione statale, sono regolate in teramente da una legge dello Stato, la quale ha fissato gli scopi, gli organi, 1a costituzione e J'amministrazione delle Comunit��: concretan dos�i, cos�, una sorta di � costituzione civile � di una confessione reli giosa ad opera. del legislatore stataJe; un � esempio, forse unico nel nostro ordinamento giuridico, di statuto di confessione reliigiosa formato ed emanato dallo Stato �. Fondamentale, nella nuova disciplina, ed in perfetta coerenza con lo spirito che tutta la permea, appare il precetto dell'art. 4, che ben pu� dirsi costituisca un caposaldo della rigida strutttura dettata dal legi� slatore statale per le Comullit� israelitiche. In proposito, la gi� citata relazione afferma che si � riconosciuto alle singole Comunit� � carat� tere di necessariet�, nel senso che di esse devono far parte tutti gli israeliti del luogo�, �Il principio accolto� -viene ancora ribadito � � che non � possibile pretendere, agli effetti civili, di essere israelita, -ma di non voler appartenere alla Comunit�, rifiutando cos� il proprio contributo finanziario all'organo riconosciuto, che rappresenta l'interesse superiore della collettivit� �. Gi� autorevole dottrina, subito dopo l'emanazione del decreto, non aveva dubbi nell'affermare che � gli ebrei appartengono obbligatoria-: mente, c�l fatto stesso di avere la residenza legale nel territorio di una Comunit� israelitica, alla Comunit� stessa �. Di appartenenia � neces saria�, �automatica�, che consegue �ipso iure� alla qualit� di israe lita� ed alla sua reS!i.denza nel territorio della Comunit�, pa-rla la suc cessiva dottrina, con una interpretazione della norma che pu� dirsi pressoch� costante, e >che s'identifica con quella accolta dal giudice a quo, il quale denuncia l'art. 4 appunto perch� statuisce ia � coattiva partecipazione� dell'israelita alla Comunit�. Che poi I'� appartenenza di diritto � valga -secondo rilevato in dottrina -a tutelare il �diritto all'appartenenza�, e cio� il diritto, non soggetto a valutazioni discrezionali da parte della Comunit�, del l'israelita � a partecipare ad un complesso di beni e di servizi espresso dalla Comunit� �, non comporta certo che siffatta tutela possa venir PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE realizzata unicamente mediante l'appartenenza � coattiva �; e d'altro canto ovviamente non esclude che � il diritto � medesimo venga incondizionatamente riconosciuto, verificandosene i presupposti, a chi abbia manifestato la volont� di esercitarlo. Il decreto del 1930 non indica chi debba considerarsi �israelita�, e quindi destinatario del precetto .dell'art. 4. Anche a questo riguardo si ha una interpretazione largamente prevalente, nel senso che il legislatore rinvii, per tale determinazione, alle norme ed aHe tradizioni ebraiche, secondo le quali � ebreo chiunque sia nato da madre ebrea, o sia stato accolto nell'ebraismo con i prescritti atti rituali. Alla luce di quanto precede, palese � il contrasto della norma m esame con il fondamentale principio sancito dall'art. 3 della Costituzione, che assevera l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, �senza distinzione�, fra l'altro, �cli razza� e �di religione�, Nel denunciato art. 4, invece, assumono essemiale rilievo appunto le caratteristiche religiose ed etniche, che confluiscono nella qualificazione di �israelita�; si concreta cos� una disparit� di trattamento tra i cittadini, che tale qualit�, d'ordine etnico-religioso, rivestano, e che, a cagione di essa, divenendo cos� obbligatoriamente destinata:rti degli effetti s_he da tale appartenenza discendono, anche nell'ordinamento statuale, e tutti gli altri cittadini, cui'la norma stessa �non si applica. A sostegno dell'infondatezza della questione la difesa della Comunit� e l'Avvocatura dello Stato si richiamano alla possdbilit� di recesso dalla Comunit�, prevista dal successivo art. 5 dello stesso decreto. In altri termini, la necessaria, automatica appartenenza non violerebbe il precetto dell'art. 3 della Costituzione, perch� sarebbe consentito, a chi lo volesse, di �uscire� dalla Comunit� con il passaggio ad altra religione o con la dissociazione. Ma � agevole replicare, in contrario, che la facolt� del � distacco � appare soltanto come un rimedio ex post ad una situazione che nel suo stesso realizzarsii gi� si pone in insanabile contrasto con il ricordato fondamentale principio dell'art. 3 della Costituzione. Violati dal denunciato art. 4 appaiono anche gli altri parametri costituzionali (artt. 2 e 18), indicati dal giudice a quo. La Corte ha gi� affermato (sentenza n. 69 del 1962) che il precetto costituzionale contenuto nell'art. 18 deve essere interpretato nel contesto storico che l'ha visto nascere e che porta a considerare, della proclamata libert� di associazione, non. soltanto l'aspetto che � stato definito � positivo �, ma anche l'altro �negativo�, quello che si risolve nella libert� di non associ.arsi� che dov� apparire al Costituente non meno essenziale dell'altra dopo un periodo nel quale la politica legislativa di un regime totalitario aveva mirato a inquadrare i fenomeni assc,>ciativd. nell'�mbito di strutture pubblicistiche e sotto di controllo dello Stato �. Periodo a cui appunto risale la normativa adesso sottoposta alla pronuncia della Corte. La stessa sentenza prosegue affermando che -� la libert� di non associarsi si deve 876 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO ritenere Vliolata tutte le volte in cui, costringendo gli appartenenti a un gruppo o a una categoria, ad associarsi tra di loro, si violi un diritto o una libert� o un principio costituzionalmente garantito�: quale, appunto, nella fattispecie ora in esame, il principio garantito dall'art. 3 della Costituzione. Non � qui necessario prendere posizione suHa natura �.associativa� o �istituzionale� delle Comunit� israelitiche, perch� fa �libert� di adesione �, nei suoi aspetti (�positivo� e �negativo�), dianzi indicati, va tutelata, come � diritto inviolabile �, nei confronti non solo delle associazioni, ma anche di quelle � formazioni sociali �, cui fa riferimento l'art. 2 della Costituzione, e tra le quali si possono ritenere comprese anche le �confessioni religiose. Libert� di aderire e di non aderire che, per quanto specificamente concerne l'appartenenza alle strutture di una confessione religiosa, negli aspetti che rilevano nell'ordinamento dello Stato, affonda le sue radici in quella �libert� di coscienza, riferita aHa professione sia di fede religiosa sfa di opinione in materia religiosa � (sentenza n. 117 del 1979), che � garantita dall'art. 19 della Costituzione, e che va annoverata anch'essa tra i �diritti inVlioLabili dell'uomo� (sentenza n. 14 del 1973). L'obbligatoria appartenenza alla Comunit� di un soggetto, per il solo fatto di essere � israelita � e di risiedere nel � tenitorio � di pertinenza della Comunit� medesima, senm che l'appartenenza sia accompagnata da alcuna manifestazione di volont� in tal senso, viola appunto quella �libert� di adesione� che � tutelata dagli artt. 2 e 18 della Costituzione. Conclusivamente, per le s. esposte considerazioni, va dichiarata la illegittimit� costituzionale dell'art. 4 del r.d. n. 1731 del 1930, per violazione degli artt. 2, 3 e 18 deUa Costituzione. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 3 dicembre 1984, n. 255 (in cam. cons.) � Pres. Elia -Rel. Paladin -Veneruso e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Cavalli). Corte costituzionale -Giudizio incidentale di legittimit� costitmionale � Eliminazione di disposizione emessa in eccesso dalla delega � Con� trariet� al principio di eguaglianza delle disposizioni residue � Rile vabilit�. (Cost., art. 76; d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 5). Alla pronuncia che dichiara la illegittimit� costituzionale per eccesso della delega (art. 76 Cast.) di una disposizione legislativa delegata pu� seguire una ulteriore pronuncia di illegittimit� costituzionale non sollecitata dal giudice a quo di altra disp�sizione contrastante con il principio PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 877 di eguaglianza (art. 3 Cast.) la quale diverrebbe operante per effetto della prima pronuncia (1). Con ordinanza emessa il 12 settembre 1977 -nel corso di un procedimento civile in cui si controverteva sulla spettanza dell'indennit� di buonuscita alla figlia nubile maggiorenne (ed orfana di madre) di un dipendente statale deceduto in attivit� di servizio il 20 febbraio 1975 il Pretore di Napoli ha sollevato questione di legittimit� costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 �testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato�). La norma impugnata violerebbe, infatti, J'art. 76 della Costituzione, da:l momento che avrebbe soppresso -in contrasto con l'ar ticolo 6 della legge delega 28 ottobre 1970, n. 775 -�il diritto delle figlie nubili maggiorenni a percepire l'indennit� di buonuscita spettante a genitore deceduto in attivit� di servizio �, gi� previsto dall'art. 5 della legge 27 novembre 1956, n. 1407. (omissis). Nei' testo originario -precedente la sostituzione operata dall'art. 7, secondo comma, della legge 29 aprile 1976, n. 177 -l'impugnato art. 5, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973; n. 1032, stabiliva che, �in caso di morte del dipendente statale in attivit� di servizdo �, l'indennit� di buonuscita spettasse, � nell'ordine, ral coniuge superstite e agli orfani, ai genitori, ai fratelli e sorelle�, che conseguissero �il diritto alla pen� sione di riversibilit� �. A sua volta, l'art. 82, primo� comma, del d.P.R . .29 dicembre 1973, n. 1092 (� testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato�, prevedeva e prevede che la pensione stessa � spetta anche agli orfani maggiorenni inabili a proficuo lavoro o in et� superiore a sessanta anni, conviventi a carico del dipendente o del pensionato e nullatenenti.�. Dal combinato disposto di queste due norme discendeva pertanto -come ha giustamente rilevato il giudice a quo -l'abrogazione dell'art. 5 apv. della legge 27 novembre 1956, n. 1407, per cui, �in mancanza del coniuge"� !"indennit� di cui si controverte competeva -fra l'altro -�alle figlie nubili maggiorenni, nonch� ai figli maggiorenni inabili a. proficuo lavoro �. Senonch�, precisamente in questo effetto abrogativo il Pretore di Napoli ravvisa un eccesso di delega, dato che il � testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali in favore dei dipendenti civili e militari dello Stato� non avrebbe in tal senso rispettato l'art. 6, terzo comma, della legge 28 ottobre i970, n. 775, in base al quale il Governo veniva bens� �delegato a provvedere, entro i:l 31 dicembre 1973, alla raccolta in testi unici, aventi (1) La sentenza amplia alquanto le possibilit� della Corte di incidere sul tessuto normativo. Forse una sentenza di non rilevanza o -come sostenuto in memoria dall'Avvocatura dello Stato -di manifesta infondatezza avrebbe potuto costituire una alternativa percorribile. 878 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO valore di leggi ordinarie, delle disposizioni in vigore concernenti le singole materie �, ma solo per apportare � ove d'uopo alle stesse le modit�ca11ioni ed tintegrazioni necessarie per i1 loro coordinamento ed ammodernamento, ai fini di una migliore accessibilit� e comprensibilit� delle norme medesime e sempre con i criteri indicati nel comma precedente� (ossia tendendo �alla semplificazione ed allo snelltimento delle procedure�). Posta in questi termini, la questione � fondata. Indubbiamente, il testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali non avrebbe potuto riprodurre senza alcurta modificazione l'art. 5 cpv. della legge n. 1407 del 1956, continuando a differenziare le � figlie nubili maggiorenni � dai � figli maggiorenni inabili a proficuo lavoro�: lo preclud~va, infatti, il principio d'eguaglianza senza distinzione di sesso, che vincola, imp1icitamente, al pari di qualunque altro precetto costituzionale, le stesse disposizioni dei testi unici di coordinamento; e, nella specie, il vincolo in questione risultava tanto pi� stringente, in quanto la Corte -'con decisioni n. 53 del 1969 e . n. 135 del 1971 -aveva gi� dichiarato costituzionalmente illegittima la disciplina che dava rilievo alla condizione del nubilato, sia pure in tema di trattamento di quiescenza e non di prestazioni previ� denziali (in ordine alle quali era stata anzi pronunciata la sentenza di rigetto n. 82 del 1973). Ma ci� non toglie che, sul punto, il legislatore delegato abbia realizzato la parit� di trattamento fra orfani ed orfane, privando le figlie nubili maggiorenni -attraverso un mero testo unico di un diritto che loro competeva, quand'anche esse non fossero nullatenenti, conviventi a carico del dipendente statale in serW.zio ed inabili a proficuo lavoro ovvero in et� superiore a sessant'anni; il che non si giustifica, n� in nome della semplificazione e dello snellimento del.le procedure, n� in vista della mig1iore accessibilit� e comprensibilit� delle norme previdenziali, di cui si ragiona nell'art. 6, terzo comma, della legge n. 775 dei 1970. D'altra parte, non giova replicare che il legislatore delegato avrebbe pur sempre perseguito, mediante l'impugnato art. 5 del d.P.R. n. 1032 del 1973, uno stretto coordinamento fra la disciplina delle prestazioni previ� denziali e quella del trattamento di quiescenza spettante ai superstiti dei dipendenti civili e militari dello Stato. La citata norma dti delegazione si limita, infatti, a considerare il coordinamento � delle disposizioni in vigore concernenti le singole materie �, �� senza alcun riferimento all'armonizzazione delle normative niguardanti materie. diverse. Ed il collegamento fra i regimi previdenziale e pensi�nistico, gi� introdotto dalla norma in discussione, non rappresentava e non rappresenta affatto una soluzione obbligata o comunque preferibile sul piano legislativo, tanto � vero che l'art. 7, secondo comma, della legge n. 177 del 1976, concernente il �diritto all'indennit� di buonuscita �, ha interrotto il nesso stabilito dall'art. 5 del d.P.R. n. 1032 del 1973, disponendo senz'altro che, �in caso di morte del dipendente statale in attivit� di servizio �,l'indennit� competa, nella stes PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB sa misura che sarebbe spettata al dipendente, � al coniuge superstite e agli orfani, ai .genitori, ai fratelli e sorelle �. La : richiesta pronuncia di accoglimento non si pu� certamente risolvere, per�, nella restaurazione di quanto gi� previsto dall'art. 5 cpv. della legge n. 1407 del 1956: una siffatta soluzione non sarebbe, nonch� indispensabile sul piano costituzionale, nemmeno conforme all'art. 3 della Costituzione, poich� rinnoverebbe la preesistente disparit� di trattamento tra le figlie ed i figli maggftorenni. N� pu� ipotizzarsi la radicale dichiarazione d'illegittimit� costituzionale del riferimento -contenuto nella norma impugnata. -agli �orfani... che conseguano il diritto alla pensione di riversibilit� �: poich� una tale pronuncia verrebbe nuovamente a contraddire il principio generale d'eguaglianza, negando agli orfani in genere il diritto all'indennit� di buonuscita, a beneficio di altre categorie di superstiti, non considerati dalla legge n. 1407 del 1956 e quindi posposti agli orfani stessi, sia dal d.P.R. n. 1032 del 1973 sia dalla legge n. 177 del 1976. Ne segue che la soluzione costituzionalmente obbligata del problema in esame consiste, invece, nel fare cadere le condizioni previste dal d.P.R. n. 1032, in collegamento con il d.P.R. n. 1092 del 1973, affinch� gli orfani maggiorenni potessero vedersi corrispondere l'indennit� di buonuscita: cos� anticipando, sotto il profilo in questione, l'appliciibilit� del regime pi� favorevole ai superstiti, introdotto dall'art. 7, secondo comma, della legge n. 177 del 1976. p.q.m. dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 5, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (�testo unico delle norme s~lle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato�), nella par,te in cui prevede che gli orlani maggiorenni abbiano diritto all'in� dennit� di buonuscita solo quando conseguano il diritto alla pensione di riversibilit�. CORTE COSTITUZIONALE, 12 dicembre 1984, n. 279 -Pres. Elia � Rel. Ferrari -Provincia di Bolzano (avv. Panunzio) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Trentino-Alto Adige � Istruzione secondaria � Istituzione di nuove scuole � Attribuzione della Provincia. La potest� di istituire nel territorio .della provincia di Bolzano scuole del grado e del tipo di cui all'art. 9, n. 2, d.P.R. n. 670 del 1972 spetta alla Provincia. L'esercizio di tale potest� � subordinato all'intesa con il ministero per la pubblica istruzione, ma limitatamente agli oneri per il personale a carico dello Stato ed alle variazioni degli organici; conseguentemente, allo Stato spetta. soltanto di disporre in ordine alle suddette variazioni degli organici ed allo stato giuridico ed economico del personale insegnante. 880 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 19 dicembre 1984, n. 292 -Pres. Elia -Rel. Ferrari -S.I.P. (avv. Satta) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Siconolfi). Fonti del diritto -Legge -Procedhnento legislativo -Modifi�azloni di coordinamento -Condizioni e limiti -Difformit� tra i testi approvati dalle due camere -Effetti. ,,,.. (Cost., artt. 70 e 72; legge 2 luglio 1952, n. 703, art. 39). Il � coordinamento � previsto dall'art. 103 del regolamento del Senato dovrebbe avvenire �prima della votazione finale�; peraltro, esso pu�__aversi (come per prassi) anche dopo la votazione purch� non ne risulti alterata la sostanza del testo e non si verifichino, nelle sedi interpretative ed applicative, incertezze gravi sul suo significato. Quando non si ha la convergenza della volont� dei due rami del Parlamento, la pronuncia caducatrice per illegittimit� costituzionale deve colpire la disposizione esaminata solo per la parte affetta dal predetto vizio ogni qualvolta sia possibile applicare il principio di conservazione dei valori giuridici (1). Il testo unico per la finanza locale (t.u.f.l.) approvato con il r.d. 14 settembre 1931, n. 1175 conosce, fra le altre entrate dei Comuni, la ((tassa e per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche�, disciplinata negli artt. 192-200. Per quanto riguarda pi� proplliamente l'occupazione del sottosuolo mediante � condutture, cavi ed impianti in genere�, tale tassa cosi ai sensi del dato testuale dell'art. 198, primo comma, lettera a), Ǐ applicata... a metro lineare�, � in base alla.. tariffa massima � di iire 0,50 ovvero di lire 1, secondo che le suindicate apparecchiature abbiano un diametro inferiore o superiore a centimetri 20. La tariffa massima come sopra stabilita venne poi quadruplicata con l'art. 32, lettera a), del decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 62, che, iinfatti, la (1) � ... e successive modificazioni�: chiunque abbia pratica di cose gIUl'l� ddche sa bene che questa espressione � molto frequente, e non solo in materia di finanza locale e di leggi tributarie -in genere. Indubbiamente, trattasi. di espressione poco chiara, originata spesso dalla frettolosit� dei lavori di produzione legislativa (anche quando effettuati all'm� terno degli uffici legislativi) e talvolta da intendimenti di cautela (pu� accadere che neppure chi inserisce le parole in questione sappia esattamente quante e quali siano le �successive modificazioni� cui allude). Deplorare una siffatta � tecnica � sarebbe agevole: basti pensare alle moltitudini dei � non addetti ai lavori� ai quali pure la legge � indirizzata e che hanno il dovere (e quindi anche il diritto) di � conoscerla �; ed alle quali paradossali formule ricordate nella ultima parte della sentenza in rassegna, ove peraltro non si rammenta il caso -verificatosi -di richiamo di � successive modificazioni �... mai intervenute. Tuttavia, uno sforzo di � comprensione � deve essere fatto: non sempre i lavori parlamentari e pre-parlament�ri possono avere ritmi lenti e pacati e PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 881 elev�, rispettivamente, a lire 2 e lire 4, e nuovamente �aumentata di quaranta volte�, a decorrere dal 1� gennaio 1952, con gli artt. 39, primo comma, e 44 della legge 2 luglio 1952, n. 703 ( � disposizioni in materia di finanza locale�). Per l'esattezza, mentre il Senato approvava la disposizione nel seguente testo: �la tariffa massima di cui all'art. 198 del testo unico 14 settembre 1931, n. 1175, e al decreto ministeriale 26 febbraio 1933, concernente le norme provvisorie aggiunte di applicazione dello stesso testo unico in materia di tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche � aumentata di 40 volte �, H menzionato art. 39, primo comma, cos� recita, Vliceversa, nel testo approvato dalla Camera, promulgato dal Presidente della Repubblioa, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ed inserito nella Raccolta ufficiale .delle leggi e dei decreti della Repubblica: � La tariffa massima di cui all'art. 198 del testo unico per la finanza locale 14 settembre 1931, n. 1175, e successive modificazion�, e al decreto mini-. steriale 26 febbraio 1933, concernente le norme provvisorie aggiunte di applicazione dello stesso testo unico .in materia di tassa per l'occupa2lione di spazi ed aree pubbliche, � aumentata di quaranta volte �. (omissis) La Corte d'appello di Milano, con ordinanza emessa il 13 novembre 1979, ed il Tribunale di Lucca, con ordinanze emesse il 10 novembre 1982 e 1'8 febbraio 1984, dato preliminarmente atto che non era contestato dalle parti che l'art. 39 fu approvato dal Senato senm l'inciso ( � e successive modificazioni�) e che tale inciso venne introdotto, dopo la votazione finale, � dalla commissione di coordinamento del Senato �, Ia quale poi non rimise pi� il testo coordinato al plenum, osserviano concordemente che: �i due testi approvati dal Senato e dalla Camera sono tra loro totalmente difformi�; l'inciso �non costituisce un semplice coordinamento..., ma un'effettiva modifica legislativa�; �la rilevata difformit� comporta una diversa statuizione normativa�. Osservato altres� (anche se possono raggiungere quei livelli di approfondimento consentiti ad esempio nelle pi� serene sedi scientifiche. Un rimedio di portata generale potrebbe essere costituito da qualche norma, non rileva se scritta o giurisprudenziale, di semantica legislativa, da qualche norma cio� che puntualizzi il significato da attribuirsi ad espressioni quale quella di che trattasi. Potrebbe cosi stabilirsi, una volta per tutte (se si vuole per convenzione), che il richiamo di� una disposizione si intende effettuato con riferimento al testo come modificato esplicitamente o implicita� mente (di non poca delicatezza infatti anche il proj)lema delle modificazioni implicite) da norme vigenti nel momento anteriore a quello della innovazione legislativa. Meno risolutore appare -malgrado l'ottimismo palesato dalla Corte il rimedio della compilazione di testi unici o di nuove leggi organiche � confer mative � .ed interpretative: spesso i problemi che tali fonti pongono sono pi� numerosi e complessi di quelli che esse risolvono (ovviamente si parla di leggi che non innovano sostanzialmente, posto che l'opportunit� o meno di queste ultime va valutata con criteri del tutto diversi). 882 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dal solo Tribunale di Lucca) che cos� � non risulta rispettata la regola fondamentale del bicameralismo "� i due giudici a quibus hanno sollevato, in riferimento agli artt. 70 e 72 Cost., la questione di legittimit� costi� tuzionale dell'intero art. 39 della legge n. 703 del 1952. (omissis). Con 1a sentenza n. 9 del 1959, questa Corte ha affrontato per la prima volta, in tema di procedimento legislativo, la problematica cui d� vita la constatazione della difformit� fra il testo approvato da una Camera e quello approvato dall'altra Camera. Con tale pronuncia, dopo ayere riconosciuto la propria competenza in via: generale � a controllare la legittimit� costituzionale di una legge per quanto concerne il procedi� mento della sua formazione � e, quindi, che l'attestazione contenuta nel messaggio che accompagna la trasmissione di un testo di legge da un ramo all'altro del Parlamento ~on preclude il sindacato del giudice delle leggi sugli atti anteriori, essa statu� tin particolare che: a) la prassi del coordinamento, autorizzato dalla Camera (o da una commissione in sede legislativa) �ed operato dalla Presidenza, �in quanto risponde ad esigenze del funzionamento di organi collegiali, rion pu� ritenersi senz'altro contraria alfa Costituzione�, se poi il testo del disegno di legge, una volta coordinato, � non � ripresentato alla Camera (o alla commissione competente) per una nuova votazione finale�; b) tuttavia, �il testo coordinato, in tanto pu� non essere sottoposto ad una nuova votazione finale, in quanto abbia una formulazione che non alteri la sostanza del testo che aveva formato oggetto della votazione finale; e) l'accertamento se la formulazione del testo coordinato � si � mantenuta (nei limiti nei quali il coordinamento � stato autonizzato), in modo che'esso esprima J'effettiva volont� della Camera e sia idoneo a concorrere con una identica volont� dell'altra Camera a produrre la legge � va compiuto dalla Corte �caso per caso �, ed all'uopo � � rilevante il raffronto fra il testo votato... con riserva del coordinamento ed il testo coordinato e poi promulgato�; d) � in conclusione �, se non risultano �modificazioni di sostanza�, �l'eccezione di legittimit� costituzionale... per assunta difformit�. dei testi votati...�, pu� dichiararsi non fondata. Successivamente alla nicordata pronuncia, la competenza di CI,Uesta Corte a sindacare il processo fon;nativo delle leggi non � stata pi� giudizialmente posta in discussione, sicch� pu� dirsi costituire ormai uno dei principi del nostro ordinamento costituzionale, e le statuizioni di cui sopra sono state poi ribadite ed applicate in altre due sentenze pronunciate peraltro, la prima delle due su difformit� tra testo approvato e testo prol}lulgato, ed entrambe su difformit� conseguente ad errore materiale verificatosi nella trascrizione -, sicch� possono dirsi costituire ormai giurisprudenza costante di questa Corte. Tali due sentenze, infatti, hanno precisato, l'una a riguardo della facolt� di coordinamento (sentenza n. 134 del 1969), che �nella nozione pi� restnittiva che sd voglia dame� non rientra soltanto � .la correzione di errori materiali �, ma �anche la PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE eventuale correzione lessicale dei testi per conformarne la dizione alla sostanza�, e l'altra a riguardo dell'accertamento �caso per caso� (sentenza n. 152 del 1982), che �non si pu� ragionare astrattamente e meccanicamente dei vizi formali di legittimit� costituzionale delle leggi�, dovendosi, invece, non solo �tener conto della effettiva volont� d.elle Camere�, ma anche �valutare il rilievo che l'errore potrebbe assumere nelle sedi interpretativa ed applicativa � della disposizione impugnata. Ma particolare risalto merita quest'ultima sentenza (n. 152 del 1982), per la statuizione d�l tutto nuova, che essa enuncia e che si aggiunge a quelle pi� sopra riportate, integrando la visione di questa Corte �in tema di coordinamento delle leggi. In ordine al dilemma, infatti, se ii vizio dell'iter procedimentale produca effetti limitati alla sola disposizione -o parte viziata ovvero travolga l'intero atto, essa ha statuito che: e) � deve farsi... applicazione del principio generale di conservazione degli atti � e che per ci� il � vizio formale ... non comporta -per s� considerato -l'annullamento integrale della legge ..., ma pu� solo incidere, in ipotesi, sulla parte specificamente viziata�: Ritiene questa Corte che non vi sono motivi, i quali sospingano a variare� il rievocato indirizzo giurisprudenziale o anche solo a discostarsene. � pertanto sulla base del principio generale della sindacabilit�, in questa sede, delle leggi anche per vizi dei loro procedimenti di formazione, ed � alla luce delle statuzioni di cui sopra, che va esaminata e risolta la questione di legittimit� costituzionale sollevata. _ Giova precisare che la difformit�. verificatasi alla Camera, fra il testo approvato da questa ed il testo approvato dal Senato, � la conseguenza della difformit�, verificatasi anteriormente al Senato, fra il testo approvato da questo ed il testo coordinato. Si pone, quindi, un triiplice interrogativo: se, avendo il testo coordinato ottenuto l'approvazione della sola Camera, possa dirsi che vi � stato l'incontro delle volont� di entrambi i rami del Parlamento; se il coordinamento ha comportato, o meno, una modifica sostanziale della legge; nell'ipotesi affermativa; se esso� ha viziato l'intero atto ovvero soltanto l'intera proposizione normativa ovvero ancora la sola patte coordinata. Il primo interrogativo chiama in causa l'art. 70 Cost., tl quale dichiara che la funzione legislativa � esercitata �collettivamente dalle due Camere�; gli altri due chiamano in causa l'art. 72 Cost., il quale detta, sl, la disciplina del procedimento legislativo, ma ne demanda l'integrazione all'autonomia normativa di ciascuna Camera. Ora, l'istituto del coordinamento � ignoto alla Costituzione, ma non anche ai regolamenti parlamentari. Il regolamento del Senato che era in vigore nel 1952, cio� al momento dell'approvazione della legge de qua, pre vedeva all'art. 74, bench� non nominatim, il coordinamento, stabilendo, sotto il profilo contenutistico, che esso doveva intendersi consistere, non solo � nelle correzioni di forma che siano opportune �, ma anche nelle � necessarie modificazioni � � di quegli emendamenti gi� approvati che sem RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 884 brino inconciliabili con lo scopo della legge o con alcune delle sue disposizioni � e, sotto dl profilo procedurale, che doveva essere deLiberato dal Senato � prima della votazione finale �. L'istituto � rimasto sostanzialmente immutato nel regolamento approvato il 17 febbraio 1971, ed oggi in vigore, il qua:le, al contrario di quello antedore, parla espressamente di � coordinamento �, l� dove facoltizza le �modificazioni di coordinamento che appaiono opportune � (art. 103.1), prevedendo altres� il conferimento del� l'incarico alla � commissione di presentare le opportune proposte � (articolo 103.2), �eventualmente accompagnate da una relazione� (art. 103.3), sulle quali �pu� �intervenire non pi� di un oratore per ciascun gruppo parlamentare e la votazione ha luogo per alzata di mano� (art. 103.4). Insomma, � di tutta evidenza che i~ ogni caso -si abbia riguardo alla nuova o alla cessata disciplina regolamentare -il coordinamento � in linea di principio legittimo, se avviene � prima della votazione finale �. Il coordinamento in esame � stato, viceversa, operato dopo la votazione finale, e _perci� stride con la f;ittispeoie astratta disegnata dall'articolo 74 del cessato regolamento del Senato. In coerenza, tuttavia, con il costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, non pu� dirsi che la modifica ap:i;>ortata in sede di coordinamento all'art. 39, primo comma, ciella legge n. 703 del 1952 mediante il denunciato inserto sia di per s� costi� tuzionalmente viiziata e viziante. Ed invero, l'introduzione nell'impugnato articolo dell'inciso, su cui il Senato p.on fu poi chiamato a pronunciarsi, se per un verso � innegabilmente avvenuta in difformit� della norma regolamentare, per altro verso risulta operata in conformit� di una prassi tutt'altro che recente, la quale trova osservanza anche nell'altro ramo del Parlamento. In ordine a tale prassi, questa Corte, come si � gi� ricordato, ha statuito (sentenza n. 9 del 1959) -ed in 'considerazione, non gi� della sua annosit�, ma della necessit�, in taluni casi e circostanze, del ricorso ad essa al fine di assicurare la funzionalit� di organi collegia:Li particolarmente numerosi -non potersi ritenere � senz'altro contraria alla Costituzione �. Non pu� non dirsi lo stesso per quanto concerne la modifica subita, ad opera dell'inciso �in argomento, dalla disposizione sospettata di illegittimit� costituzionale: la ricordata statuizione, infatti, vale a maggior ragione nel caso di specie, in cui il coordinamento risulta operato, non gi� dalla Presidenza, come nelle fattispecie di cui alle pronunce n. 9 del 1959 e n. 134 del 1969, bens� dalla commissione competente. Si deve ora sottolinare che questa Corte non ha inteso, con le sentenze pi� volte richiamate, riconoscere in linea di principio, e perci� in ogni caso, la legittimit� della suddetta prassi del coordinamento, bens� ha anteso escluderne l'illegittimit� in quei soli casi, in cui la formulazione modificata �non alteri la sostanza de testo che aveva formato oggetto della votazione finale � (sentenza n. 9 del 1959). Con questa ultima precisazione, il problema diviene palesemente ermeneutico: in tanto sar� possibile, infatti, valutare .. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE se la modifica costituita dall'inserto abbia alterato la sostanza del testo, quale risulta approvato nella votazione finale dal plenum del Senato, in quanto sii conosca previamente l'effettiiva volont� espressa da questo, sia col voto sull'articolo, sia poi con la votazione finale. Ed a tale scopo, si richiede appunto un'indagine volta a cogliere l'esatta interpretazione dell'impugnato art. 39 nella versione approvata dal Senato (cio�, senza l'inciso) e, pi� precisamente, a stabilire se il Senato, disponendo l'aumento di 40 volte, volle riferirsi alle tariffe originarie del 1931 ovvero a quelle quadruplicate del 1945. � questo il nodo che va preliminarmente sciolto; il nodo, cio�, form_atosi nell'ambito del Senato, come del resto si � gi� precisato pi� sopra, allorch� si � posto in rilievo che la difformit� fra i testi approvati dalle due Camere � la conseguenza della difformit�, verificatasi in Senato, fra il testo anteriormente approvato e quello successivamente coordinato. Non mancano elementi, i quali lascerebbero pensare che intenzione del Senato, pur in mancanza dell'inciso poi introdotto in sede di coordinamento era quella di aggiungere un ulteriore aumento alla quadruplicazione disposta nel 1945. Quando, infatti, la legge de qua veniva approvata, dopo una laboriosa gestazione triennale, era in vigore la tariffa, del 1945, non pi� quella del 1931; e ci�, proprio per effetto del menzionato decreto legislativo luogotenenziale n. 62 del 1945, il cui art. 32 dispone testualmente che la misura della tassa in parola, quale stabilita nel 1931 dall'art. 198 t.u.fJ., � � modi� ficata �, e precisamente quadrupLicata. Poich� questa era la situazione nor� mativa del momento, non sembra che l'opinione secondo cui il Senato avrebbe avuto in mente, non gi� la tariffa in vigore, ma la tariffa abrogata, meriti maggior credito di quella inversa. Oltre tutto, se con l'ipotizz!'lta opinione i giudici a quibus intendessero sostenere che il denunciato art. 39 della legge n. 703 del 1952 avrebbe implicitamente abrogato l'art. 32 del d.1.1. n. 62 del 1945 ed implicitamente ridato vigore all'art. 198 t.u.f.l., si porrebbe il problema, di non agevole soluzione, se possa ritenersi che l'abrogazione tacita di una norma successiva abbia di per s�, indipendentemente da un'apposita legge ripristinatoria, la virt� di far riivivere la norma anteriore espressamente abrogata -o � modificata � -, qual � appunto, nella specie, quella.che nel 1931 stabi1iva la tariffa della tassa in contestazione. Ed il dubbio sull'opinabilit� di tale tesi apparirebbe trovare riscontro nel diritto positivo a chi osservasse che proprio la legge in parola ubi voluit dixit: l'art. 31, primo comma, infatti, dopo avere espressamente disposto che �a decorrere dal 1� gennaio 1952, l'art. 29 del d.1.1. 8 marzo 1945, n. 62 � abrogato�, soggiunge altrettanto espressamente, offrendo cos� un chiaro esempio di legge ripristinatoria, che � i Comuni, pertanto, deb� bono applicare l'imposta di patente secondo le norme dell'art. 166 t.u.f.l., e la misura ivi prevista pu� essere aumentata fino a quaranta volte �. 886 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N� pu� dirsi che sia priva cli alcun rilievo la constatazione che � dato fare nella relazione di maggioranza e, prima ancora, in quella governativa accompagnante il disegno di legge, ove risulta scritto che, stante ii � disavanzo talvolta pauroso � dei bilanci comunali ed in vista del foro risanamento, quegli � adeguamenti fiscali � venivano disposti � allo scopo di avvicinare i singoli tributi ad un livello non dissimile da quello prebellico �. Questa�risultando la ratio legis, non sarebbe corretto prescindere da essa, allorch� si tratti di valutare se intenzione del le~slatore sia stata quella di assumere come base la tariffa minima, �stabilita oltre vent'anni prima, in tempo di pace e di stabilit� economica, anzich� quella aumentata da poco pi� di cinque anni, pressoch� al termine della guerra (marzo 1945), e perci� in tempo di lievitazione delle spese. Inoltre: il Senato approv� all'unanimit�, nella votazione finale, il testo della legge de qua, ed H coordinamento venne operato, come gi� si � posto in rilievo, non dalla Presidenza, bens� dalla stessa commissione (Finanze e Tesoro), la quale, stante la sua competenza in materia, aveva esaminato e dibattuto in sede referente il disegno di legge. Ed allora, bench� non esistano verbali dei lavori della commissione in sede di coordinamento, appare tutt'altro che Jnattendibile la congettura che l'inciso di che trattasi sia stato inserito nel corpo dell'impugnato art. 39 nel convincimento che esso -cio� l'esplicito richiamo alle � successive modificazioni � -rendesse pienamente chiara la :volont� che il Senato aveva inteso effettivamente esprimere. Tanto pi� che la commissione procedette al coordinamento subito dopo la votazione finale, esaurendolo entro una dieoina di giorni -dal 23 novembre 1952, data della suddetta votazione finale, al 5 dicembre successivo, data del messaggio di trasmissione �all'altra Camera-, quando era pi� sicura e viva la memoria del dibattito e del vero orientamento dell'assemblea. Le considerazioni test� esposte sembrano avvalorare l'interpretazione secondo cui il Senato, pur approvando l'impugnato art. 39 senza l'inciso, avrebbe inteso riferirsi alla tariffa come modificata dall'art. 32 del d.1.1. n. 62 �del 1945 -a quella quadruplicata, insomma, ed allora in vigore -, non gi� a quella del 1931, che da ben sette anni era-stata esplicitamente �modificata�, cio� abrogata, dallo stesso art. 32 del menzionato provvedimento legislativo. Se si accogliesse questa ricostruzione del pensiero del Senato, allora l'aggiunta dell'inciso (�e successive modificazioni�) potrebbe ritenersi, come afferma l'Avvocatura dello Stato, �meramente esplicativa del significato che scaturiva dal testo iniziale�, Conseguentemente, svanirebbe ogni dubbio sulla legittimit� costituzionale del denunciato art. 39: il coordina . mento operato secondo prassi non sarebbe censurabile, e le due Camere avrebbero espresso la medesima volont� sul purito controverso. La disposizione in esame consente tuttavia di pervenire a conclusioni del tutto opposte. rJr111t111&11a111121111111111�1111111111111:1111-11111f111111i PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDEN7..A COSTITUZIONALE La difesa della SIP sostiene nella sua elaborata memoria: che dalla relazione della commissione della Camera � rtis�lta... senz'altro pacifico e acquisito che 'l'aumento si riferisce esclusivamente alle tariffe fissate dal t.u. del 1931 �, cio� � propr:io alle misure originarie�; che il �riferimento fisso e non mobile � alle {ariffe originarie � implica in via generale... l'abrogazione tacita delle disposizioni in materia .introdotte successivamente �, s:icch� �l'abrogazione espressa � st�ta superflua�; che �la semplice interpretazione dell'art. 39 rivela come esso o dica pi� di quanto si sia voluto, o viceversa ... gli si faccia dire pi� di quanto effettivamente dice �. E nella discussione orale la stessa difesa della SIP ha dedotto che, poich� �.l decreto ministeriale 26 febbraio 1933, richiamato nell'art. 39 in discorso, si riferisce esclusivamente al soprassuolo, ne deriverebbe la conseguenza -inaccettabile, e perci� stesso confermativa della giustezza della sua interpretazione -che l'aumento di 40 volte si applicherebbe esclusivamente all'occupazione del sottosuolo, mentre rimarrebbe invariata la tariffa per l'occupazione del soprassuolo. Dello stesso avviso sono, soprattutto, i giudici che hanno sollevato la questione in oggetto. Secondo la Corte d'appello di Milano, � la dizione approvata dal Senato con esclusivo riferimento alle tariffe originarie non lascia dubbi sull'intenzione del legislatore e di voler cio� fare riferimento proprio a 'quelle tariffe �, aggiungendo che � in tal senso � poi ancora la relazione della IV commissione permanente della Camera dei Deputati che prevedeva un preventivo di maggiori entrate... per 1.250 milioni �, anzich� per � 5.000 m:ilioni preventivabili in base alle tariffe come applicate dal convenuto �. Le argomentazioni che precedono :indurrebbero a concludere nel senso che il Senato, approvando l'impugnato art. 39 senza l'inciso, avrebbe inteso riferirsi alla tariffa quale stabilita originariamente dall'art. 198 del t.u.f.I. del 1931. E se questa diversa ricostruzione del pensiero del Senato fosse esatta, dovrebbe allora ritenersi che l'aggiunta, operata dalla commissione in sede di coordinamento, dell'inciso (�e successive modificazioni�) abbia alterato la sostanza della disposizione, qual era stata approvata dall'assemblea. Conseguentemente acquisterebbe consistenza il dubbio sulla legittimit� cost:ituzionale del denunciato art. 39: il coordinamento avvenuto secondo prassi sarebbe illegittimo e dovrebbe registrarsi la mancanza della comune volont� legislativa sul punto controverso. La disposizione in esame si presta, 'dunque, ad interpretazioni diverse e contrastanti. La difesa del Comune di Cinisello Balsamo e, come gi� ricordato, l'Avvocatura dello Stato sostengono che il riferimento sia stato fatto alle tariffe quadruplicate del 1945; per l'una, questo � il solo significato dell'art. 39, �con o senza l'inciso�, per l'altra, l'aggiunta dell'inciso � � meramente esplicativa �. Al contrario, la difesa della SIP ed i giudici a quibus ritengono che il riferimento sia stato fatto alle tariffe originarie 888 RASSF.GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del 1931. Tuttavia, mentre per l'una l'aggiunta dell'inciso �pu� intendersi soltanto. come clausola di stile�, in quanto con essa �la commissione di coordinamento prima e la Camera p�i plus dixit quam voluit �, sicch� l'art. 39 � non ha sub�to alcuna modificazione sostanziale�, pertanto � � da ritenere che la questione di costituzionalit�... � infondata�, per i giudici a quibus, viceversa, il contestato inciso �non costituisce un semplice coordinamento degli articoli approvati..., ma integra una ~ffettiiva modifica legislativa �, cio� �comporta una diversa statuizione normativa�, sicch� �l'eccezione di incostituzionalit� dell'art. 39... non � manifestamente infondata �. Il dissidio fra le due letture dell'art. 39 � evidente e stridente, ma spetta ai giudici delle liti di comporlo. Compito di questa Corte, che non dispone di elementi tali, da indurla a disattendere la prospettazione offerta dalle ordinanze in esame, � quello di stabilire se il coordinamento de quo sia, o meno, costituzionalmente legittimo. E poich� la legittimit� costituzionale di un testo legislativo coordinato, non gi� secdhdo il regolamento, bens� secondo la prassi parlamentare, � condizionato alla portata del coordinamento, non pu� non riconoscersi che un siffatto coordinamento viola la Costituzione, e precisamente negli artt. 70 e 72, tutte le volte che provochi, nelle sedi interpretative ed applicative, grave incertezza sul significato del testo coordinato. Con riguardo al caso di specie, deve pertanto dirsi che il contestato inciso � costituzionalmente illegittimo per un duplice e concorrente motivo: non solo e non tarito, infatti, perch� � stato :inserito nelfart. 39 della legge n. 703 del 1952 mediante il coordinamento instauratosi per prassi che potrebbe cos� configurarsi addirittura come un emendamento aggiuntivo surretizio, ma anche e soprattutto perch� ha generato l'incertezza di cui si � detto sull'intenzione del legislatore. Dalla conclusiione test� enunciata non deriva, tuttavia, doversi disconoscere che si sia verificata convergenza delle volont� dei due rami del Parlamento. Intanto, gi� l'antico prihcipio, secondo ~ui utile per� inutile non vitiatur, impone di considerare che il vi~io si ann4ta in uno solo dei 60 articoli di cui si compone la legge de qua -anzi, soltanto nel primo dei due commi, di cui si compone il denunciato art. 39 -e che la specificit� dell'oggetto disciplinato in tale comma confecisce alla relativa dispositlone piena autonomia rispetto all'intero testo, che, infatti, neppure le ordinanze in esame coinvolgono nella denuncia di .illegittimit� . costituzionale. E va 1:1ilevato altres� che la censura, bench� nei dispositivi delle ordinanze appaia impugnato tutto l'art. 39, investe esclusivamente il pcimo comma, nel quale appunto risulta illegittimamente inser.ito il contestato inciso. Ne consegue che, non riverberandosi il vitlo sull'intera legge, e neppure sull'intero art. 39, il cui secondo ed PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 889 ultimo comma non concerne pi� la misura della tassa, ma le convenzioni stipulate dai Comuni per il 'pagamento di essa, questa Corte deve pronunciarsi sulla sola disposizione di cui al primo comma dell'art. �39, la sola passsibile di una sentenza caducatoria. Ma, pur circoscritta la questione nei suddetti termini, si impone � egualmente di valutare, in relazione al principio della salvezza dei valor� giuridici, se la pronuncia caducatoria debba travolgere l'intera disposizione ovvero possa limitarsi a colpire soltanto la parte viziata. Risulterebbe -noncurante del suddetto principio e non argomentata la scelta che venisse fatta tra le due alternative .in base alla semplicistica constatazione della non piena coincidenza tra le due formulazioni senza l'inciso e con l'�nciso -approvate dalle due Camere, deducendone che, quindi, sarebbe mancata la comune volont� legislativa sulla disposizione impugnata. Al contra:do, come a ci.guardo di qualsiasi atto, si deve tentare in caso di dubbio di interpretarlo nel senso che produca qualche effetto, anzich� nel senso che non ne produca alcuno, cos� a� riguardo della disposizione de qua, una volta epurata dell'inciso, si tratta di vedere se in essa non sia .individuabile �n punto di convergenza tra la volont� della Camera e la volont� del Senato. E piena convergenza si verific� �nnegabilmente sullo scopo, che era quello di maggiorare la tassa di occupazione del sottosuolo. Supposto pure, poi, che il Senato, approvando la disposizione senza l'inciso, intendesse l'iferirsi alla tariffa originaria stabi1ita nel 1931, e che la Camera, invece, approvando la disposizione con l'inciso, intendesse riferirsi alla tariffa modificata nel 1945, pu� bene affermarsi che tra le due Camere e le due volont� si verific� convergenza sino all'aumento minore, sicch� l'area della divergenza si riduce all'aumento maggiore. In applicazione, pertanto, del ricordato principio della conservazione dei valori giuridici, la dichiarazione di illegittimit� costituzionale pu� essere limitata al solo inserto (�e successive modificarioni �), facendo cos� salva, dopo l'eliminazione _della parte vitlata, la disposizione di cui all'art, 39, primo comma, legge n. 703 del 1952, la cui operativit� compete ai giudici del merito di stabilire. Questa Corte,. nel momento in cui, nell'eserci:llio del suo ruolo di garante della Costituzione, dichiara l'illegittimit� costituzionale di una disposizione di fegge per vizio procedurale, non pu� non segnalare l'indifferibilit� di un intervento del legislatore nella materia della finanza locale. Questa � ancor oggi governata da una normazione che si carat ' terizza, oltre che per la vetust� della disciplina di fondo -il t.u.f.l. ha ormai superato il mezzo secolo di vita -, anche per la incessante successione di provvedimenti legislativii, peraltro occasionali e volti per lo pi� a disporre maggiorazioni dei tributi. Non era ancora cessata la guerra, allorch� venne emanato il d.1.1. n. 62 del 1945 cui fecero seguito : ' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELl..O STATO due provvedimenti nel 1946 (18 febbraio, n. 100 e 27 maggio n. 517), uno nel 1947 (29 marzo, n. 177), uno nel 1948 (26 marzo, n. 261), uno nel 1950 (30 luglio, n. 575), uno nel 1952 (la impugnata legge n. 703). Pi� di recente, poi, risultano adottati una serie di decreti legge, tra cui: uno nel 1980 (7 maggio, n. 153, convertito nella legge n. 299), due nel 1981 (28 febbraio, n. 38, convertito nella legge n. 153 e 22 dicembre, n. 786, convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 51), uno nel 1983 (28 febbraio, n. 55, convertito nella legge n. 131). Gi� solo a riguardo degli aumenti. man mano disposti possono rta� scere, come nel caso di specie, dubbi interpretativi, che nei rapporti tra fisco e contribuenti nuocciono alla loro certezza e speditezza, risol� , vendosi altresl in aggravio per la gi� gravosa attivH� dei giudici di qualsiasi livello. E ci�, in conseguenza anche solo del generico richiamo ad imprecisate � successive modificazioni �. Il ricorso a cosiffatto rinvio � senza dubbio tanto consolidato e frequente, da sembrare che costituisca ormai un metodo di legifera� zione, ma non per questo � incensurabile, quando ne derivi ambiguit�. In caso contrario, si legittimerebbe persino la degenerazione della genericit� dell'abituale formula in evasivit�, come potrebbe dirsi accadere proprio nella legge n. 703 del 1952 (art. 7), ove .il rinvio risulta fatto addiritttura � ad analoghe eventuali successive modificazioni �. E ba� ster� aggiungere al riguardo che a problemi di compatibilit� con la normazione anteriore potrebbero dar luogo anche i provvedimenti adottati dal 1980 al 1983, i quali -pur se nei rispettivi titoli parlino di � norme per l'attivit� finanziaria degli enti locali �, di � provvedimenti finanziari per gli enti locali �, di � disposizioni in materia di finanza, locale�, di �provvedimenti urgenti per le finanze locali� -, in realt� si limitano per lo pi� a prescrivere aumenti di tariffe, richiamando peraltro pur sempre indeterminate �successive modificazioni ed integraziond �. Ma vale rilevare altres� che in materia oggi coperta da riserva di legge � riscontrabile anche -cos� infatti testualmente nell'art. 39, primo comma, legge n. 703 del 1952 -il rinvio a �norme provv~sorie aggiunte�, che, bench� disposte con decreto ministeriale, potrebbero, una volta fatte espressamente proprie da una legge, dar luogo a per� plessit� sulla loro collocazione nella scala dei valori normativi. Non occorrono altri rilievi o altre esemplificazioni a sostegno della asserzione di indifferibilit� di un intervento del legislatore nella materia della finanza locale, perch� provveda ad una revisione globale e sistematica -la quale tenga conto della novit� e complessit� delle artico-_ lazioni territoriali nel novus orda repubblicano e delle loro posizioni -o, quanto meno, perch� dissolva mediante interpretazioni autentiche quei dubbi che nascono dai disorganici aggiustamenti apportati al testo unico del 1931 nel corso del successivo cinquantennio. I_ ;, ): �-I ~ PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 19 dicembre 1984, n. 293 -Pres. Elia -Rel. Corasaniti -Pucello (avv. Muggia) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzzariti). Procedimento civile -Regolamento di giurisdizione -Sospensione dell'attivit� istruttoria del giudice � a quo � -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 24; cod. proc. civ., artt. 41 e 367). Unicamente la Corte di Cassazione, adita con regolamento di giurisdizione, potrebbe prospettare un dubbio circa la legittimit� costituzionale della disciplina della istruttoria consentita nell'ambito di detto regolamento. � pertanto inammissibile il dubbio in proposito prospet� tato dal giudice del merito. Come si desume dalla. narrativa, il giudice a quo --\ discutendosi .se fa giurisdizione spettasse al giudice ordinario o a quello ammini� strativo, ed essendo stato proposto regolamento preventivo -ha so spettato di illegiittimit� costituziona:le il combinato disposto degli arti coli 41 e 367 c.p.c. sotto il particolare profilo dell'incidenza che esso spiega sulla prova in tema di giu:cisdizione. Ha sottolineato al riguardo come la normativa denunciata impon ga, per il caso di .intervenuta proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, �fa sospensione di un'attivit� istruttoria in punto a giu risdizione diretta, come quella del giudice a quo, all'accertamento dei fatti rilevanti senza limitazione di mezzi di prova, e devolva correlati vamente il giudizio alle Sezioni Uruite della Corte di Cassazione, costret-� te dalla peculiarit� del rito a valutare i soli documenti gi� acquisiti (art. 372 c.p.c.) o al pi� (secondo un'interpretazione meno rigorosa della detta disposizione) ad acquisire soltanto nuovi documenti (con esclu sione di altri mezzi di prova). L'illegittimit� del congelamento o della limitazione dell'attivit� istrut toria che vengono in tal modo a determinarsi � prospettata con rifeci� mento a� due parametri: a) all'art. 3 Cost. in quanto, dandosi alla parte, al:la cui tesi in punto di giurisdizione siano favorevoli i risultati istruttori in un dato momento, il potere di determinare unilateralmente, mediante la pro posizione del regolamento preventivo, gli effetti suindicati, sarebbe vio lato iii principio della parit� delle parti nel processo (la regola del wmbattimento ad armi pari); b) all'art. 24 Cost. in quanto gli effetti suindicati costituirebbero comunque violazione del diritto di difesa considerato come diritto alla prova. Va tuttavia rilevato che i due profili di illegittimit� danno vita a una questione sostanzialmente unica. Invero, a parte che la violazione / 892 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del principio.del �ombattimento giudiziale ad armi pari feriisce J'art. 24 Cost. non meno eh~ l'art. 3 Cost., il vizio normativo denunciato consiiste, al di l� della prospettazione, non gi� nella possibilit� che ii.I congela� mento o la limitazione della prova intervengano su iniziativa della parte che in un dato momento la reputi a s� pi� favorevole e malgrado l'altra parte, bens� nella possibilit� stessa che il congelamento o la limita� zione in s� considerati intervengano. L'eccezione di inammissibilit� sollevata dall'interventore nella me� moria (sopravvenuta decisione del regolamento preventivo da parte del� la Corte regolatziice nel senso della negazione della giurisdizione del giudice a quo) -a parte ogni dubbio sulla sua fondatezza in relazione al carattere del dedotto ostacolo preclusivo (irrilevanza successiva) rimane comunque assorbita da una diversa e preliminare ragione di inammissibi1it� della questione stessa. L'illegittimit� prospettata risiede non tanto nella inibizione della attiv:i~� istruttoria nei confronti del giudice a quo e nella rimessione di tale attivit� ad altro giudice, quanto nelle peculiarit� probatorie del procedimento davanti al giudice ad quem, cio� alla Corte di Cassa� zione, o meglio nella loro estensione al giudizi~ della detta Corte sulla giurisdizione (solo indirettamente le denunciate carenze del procedi� mento davanti alla Cassazione possono riflettersi sulla legittimit� del� l'intero istituto del regolamento preventivo). Sicch� unicamente la, Cas� sazione, -di fronte a cui quel procedimento, con quelle peculiarit�, si svolge, ed ai fini del cui (solp) giudizio l'eliminazione del vizio � per� tanto rilevante -pu� postularla, e non anche il giudice a quo. N�, per giungere a conclusione opposta, varrebbero gli argomenti adducibili. a favore della rilevanza per il giudice a.dito ex art. 700 c.p.c. delle questioni relative alla legittimit� della privazione nei suoi confronti di un potere di decidere su richieste di provvedimenti di urgenza. antici� patori non devoluto medio tempore ad altro giudice. CORTE COSTITUZIONALE, 19 dicembre 1984, n. 295 � Pres. Elia � Rel. La Pergola -S.r.l. Medusa Distribuzione ed altre (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Onufrio). Diritto internazionale � Trattati internazionali � Accordo italo-francese di coproduzione cinematografica � Autorizzazione alla ratifica � Deve precedere questa -Ordine di esecuzione � Procedimento legislativo � Approvazione in commissione � Non � consentita. (Cost., artt. 72, 80, 81 e 87; legge 21 giugno 1975, n. 287, art. 20). La Costituzione vuole che le Camere valutino in anticipo il testo del trattato, al fine di rimuovere, in quanto organi autorizzanti, il limite PARTE I, SBZ. I, -OIURISPRUD}iNZA COSTITUZIONALE che, secondo le previsioni degli artt. 80 e 87 Cost., circonda l'esercizio del potere di ratifica; d'altro canto, anche se esplicitamente previstq. solo per la legge di autorizzazione alla ratifica, la competenza della as� semblea plenaria sussiste anche per l'ordine di esecuzione. La legge 4 novembre 1965, n. 1213 -modificata con la legge 21 giugno 1975, n. 287 -reca provvedimenti a favore della cinematografia e fra l'altro contempla, in ordine ai lungometraggi� �nazionali�: la relativa ammissione alla programmmone obbligatoria (art. 5); incentJivi agli esercenti delle sale cinematografiche (art. 6); sovvenzioni ai produttori (art. 7); premi di qualit� al produttore e agli autori dei f.ilms; ulteriori abbuoni di diritti erariali agli esercenti delle sale cinematografiche (art. 9). La stessa legge prevede (art. 19) che detti benefici siano estesi a films realizzati, secondo speciali accordi internazionali di reciprocit�, in coproduzione con imprenditori stranieri. Il film risultante dalla coproduzione deve, a questo riguardo, esser dichiarato _� nazionale �. � prescritto che la quota Ininima cli partecipazione non sia inferiore al 30 % del costo del film, salvo deroghe eccezionali, le qual!i vanno prevedute negli accordi internazionali di reciprocit� e concesse previo parere di appos.:ita sottocommissione, istituita in seno alla comlll! �ssione centrale per la cinematografia presso il Ministero per il turismo e lo spettacolo. L'art. 5 dell'accordo di coproduzione italo-francese del 1� agosto 1966 pone, a sua volta, nei paragrafi dal I al III, talune condizioni per l'applicabildt� del regime di coproduzione, con riferimento al costo del film, all'entit� della partecipazione minoritaria, alle c~ratteristiche qualitative prescritte per l'apporto del coproduttore minoritario; esso stabilisce tuttavda, al paragrafo IV, che deroghe eccezionali alle previsioni dei paragrafi precedenti possano essere accordate dalle autorit� dei due Paesi per films di indubbio valore artistico o \ . di carattere spettacolare. In relazione a quest'ultima categoria, � previsto che la partecipazione del coproduttore minoritario non possa essere in alcun caso inferiore al 20 % del costo del film. L'accordo internazionale in parola ha ricevuto attuazione" nell'ordinamento italiano per mezzo di due atti distJinti e successivi: prima con il decreto presidenziale 28 aprile 1968, n. 1339, poi con l'art. 20, penultimo comma, della legge n. 287 del 1975. Quest'ultima norma d� esecuzione, dalla data <lella loro entrata in vigore, all'accordo bilaterale in esame e ad altri consimili, stretti fra l'Italia e vari paesi, disponendo inoltre che la ratifica di ogni ulteriore accordo, introduttivo delle deroghe previste dall'art. 19 della legge 4 novembre 1965, n. 1213, va autorizzata con legge. La presente questione di legittimit� costituzionale trae origine dal procedimento !instaurato, davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, III Sezione, dalla S.r.l. Medusa Distribuzione e da altre societ�. Le ricorrenti hanno impugnato innanzi al giudice a quo il prov RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vedimento ministeriale con il quale erano state annullate le dichiarazioni di nazionalit� di films da esse realizzati in regime di coproduzione italo-francese, nonch� il decreto di ammissione degli stessi films alla programmazione obbligatoria. Le societ� promotrici del giudizio a quo hanno dedotto avanti al TAR che, ai sensi delle disposizioni regolatrici della specie -artt. 19 legge 4 novembre 1965, n. 1213, 20 legge 2 ~ugno 1975, n. 287 e 5 para-. grafo IV dell'accordo di co-produzione italo-francese (1� agosto 1966) la partecipazione del coproduttore minoritario pu� anche essere soltanto finanziaria, e dunque prescindere da apporti di natura tecnica ed artistica. Questo motivo del ricorso, soggiunge il giudice a quo, precede, in ordine logico, tutti gli altri sottoposti al suo esame, perch� riguarda l'iinterpretazione di quella norma dell'accordo di coproduzione cinematografiica italo-francese, sulla base della quale i Ministero resistente ha, con il contestato provvedimento, deciso di annullare gli atti emessi in precedenza per ammettere i films prodotti dalle ricorrenti aii benefici contemplati dalla citata legge del 1965. Il TAR, chiamato a pronunciarsi sull'esatto Slignificato della disposizione pattizia, si � posto in primo luogo il problema se questa faccia parte di un accordo validamente recepito nell'ordinamento italiano; ai fini dell'indagine ad esso demandata, il Collegio remittente ritiene di dover denunciare l'art. 20, penultimo comma, della legge 21 giugno 1975 n. 287, in riferimento agli artt. 80, 72, ultimo comma, 87, ottavo comma, e 81, quarto comma, Cost., nonch� l'articolo unico, lett. b, del d.P.R. 28 aprile 1968, n. 1339, per asserita violazione degli artt. 80 e 87 Cost. Tali statuizioni sono censurate nel presente giudizio come di seguito si precisa. Nel prospettare la questione, :il TAR muove da questo duplice' as sunto: di decreto presidenziale emesso nel 1968 � inidoneo ad adeguare l'ordinamento interno alle esigenze dell'accordo di coproduzione italo francese; d'altra parte, l'art. 19 della legge del 1965 non contiene, l� dove esso prevede che le sue disposizioni sono suscettibili di deroga me diante accordo internazionale, alcuna delega che abiliti l'esecutivo a introdurre le suddette deroghe pattizie nell'ordinamento interno con pro prio atto, senza previa autorizzazione del legislatore. Dopo di che, il disposto del penultimo comma dell'art. 20 della legge del 1975 risulte rebbe sotto vario riguardo viziato di illegittimit� costituzionale: A) Difettando la legge di autorizzazione alla ratifica dell'accordo, l'asserita dnosservanza dell'art. 80 �cost. sussisterebbe a duplice titolo. H giudice a quo deduce, precisamente, che le statuizioni pattizie implichino, nel caso in esame, sia una modifica di quanto prevede l'art. 19 della legge n. 1213 del 1965, sia maggiori oneri per le finanze, giacch� a suo avviso l'accordo italo-francese di coproduzione estende ad ipotesi non contemplate da detto articolo premi, o sovvenzioni, di cui frui PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE scono i films nazionali. Cos� atteggiandosi la specie, la norma denunciata offenderebbe altresl la prescrizione dell'art. 87, ottavo comma, secondo la. quale l'autorizzazione parlamentare, nei casi tin cui � richiesta, deve precedere la ratifica dell'accordo internazionale. B) L'interprete potrebbe per�, soggiunge il TAR, adottare il diverso punto di vista, secondo cui il citato art. 20 reca implicitamente l'autorizzazione alla ratifica degli accordi gi� stipulati, ai quali esso conferisce retroattivamente efficacia interna. Pur cosi intesa, tuttavia, la disposizione censurata non sfuggirebbe all'ulteriore rilievo che la legge, in cui essa � contenuta, � stata approvata in sede di commissione deliberante, invece che con la procedura normale, prescritta a norma dell'art. 72 Cost., per l'adozione delle leggi di autorizzazione alla rattifica dei trattati internazionali. C) La violazione dell'art. 81, quarto comma, Cost., � dedotta sotto altro ed autonomo profilo, che dovrebbe venire in considerazione qualora la Corte ritenga infondati i dubbi di .legittimit� costituzionale sopra esposti, facendo affidamento sulla circostanza che la legge n. 287 del 1975, in cui � posta la statuizione denunciata, ha rango pari alla legge n. 1213 del 1965, e di questa pu� dunque innovare il contenuto: sempre che, beninteso, alla legge del 1975 si attribuisca il significato di aver recepito la disciplina pattizia, cui essa si riferisce nell'art. 20, solo materialmente, e quindi �a prescindere dalla ratifica,. dell'accordo internazionale in discorso. In quest'ipotesi, per�, la disposiizione in esame ver� rebbe ad offendere l'invocato precetto costituzionale, perch�, sti asserisce, essa manca di indicare come siano coperte le spese connesse con la prevista assegnazione di sovvenzioni e premi per coprod~Z!i.oni, nelle quali la partecipazione italiana � hlmitata al 20 % del costo del lungometraggio. La previsione di detti . benefici comporterebbe, infatti, oneri di pi� ampia portata rispetto a quelli scaturenti dalla legislarione pre� vigente. D) Deduce, infine, il giudice a quo che l'eventuale pronuncia di fondatezza di alcuna delle questioni prospettate pone il problema dell'illegittiimit� dell'articolo unico, lett. b, del d.P.R. 28 aprile 1968, n. 1339, come derivata, ex art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, dalla decisione che sar� adottata dalla Corte. (omissis). Correttamente l'Avvocatura eccepisce l'inammissibilit� dell'altra questione, prospettata dal TAR come conseguenziale all'accoglimento di quella che ha per oggetto l'art. 20 della citata legge del 1975. La censura investe in questo caso la dtisposizione di un atto -il d.P.R. 28 aprile 1968 n. 1339 -che � privo della forza di legge e non pu� quindi essere impugnato avanti la Corte. Passando al merito della questione, s'impone un rilievo preliminare. Il penuitimo comma dell'art. 20 della legge del 1975 viene qui in rilievo, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in quanto esso conferisce efficacia interna a quella clausola dell'accordo italo-francese di reciprocit�, della cui applicazione � investito il TAR: e H giudizio avanti detto Collegio riguarda, si � detto, le deroghe eccezionali in materia di apporti del coproduttore minoritario. Come risulta dal congegno, e dalla stessa formula, della statuizione censurata, l'in� tento manifestamente perseguito dal legislatore � quello di emanare un ordine di esecll2lione di pi� accordi internazionali, ivi incluso l'accordo italo-francese che interessa per l'attuale controversia. Nella specie, va altres� ricordato, l'ordine di esecuzione � posto nella forma della legge e vien fatto retroagire alla'data in cui sono entrate in vigore le cla~sole pattizie alle quali esso sii riferisce, che � poi quella della firma dell~ strumento internazionale (cfr. art. 15, primo comma, dell'accordo): per modo che esso dovrebbe sostituire, a tutti gli effetti; l'altro ordine di esecuzione, anteriormente emanato, sempre in relazione all'accordo in parola, con decreto presddenziale. � appena H caso di aggiungere come i'a�o del legislatore, in cui � contenuto un ordine di esecuzione, stia con Ja sottostante disciplina pattizia in quel particolare nesso funzionale, che �. caratteristico della normazione prodotta mediiante rinvio al trattato. Le norme poste nell'accordo devono, perch� possa funzionare questo tipo di adattamento, essere suscettibili di immediata applicazione: di guisa che da esse si estrae il contenuto delle corrispondenti norme immesse nell'ordinamento interno, la ct11i sfera di efficacia, soggettiva e temporale, dipende 'da quella de\le stesse statuizioni pattizie. Se cos� �, resta esclusa dall'indagine rimessa a questo Collegio l'ipotesi di sospetta violazione dell'art. 81, quarto comma, Cost., avanzata dal giudice a quo, in alternativa alle altre da esso prospettate, nel presupposto che la norma censurata abbia invece operato una semplice ed occasionale ricezione materiale delle disposizioni dell'accordo, e non risulti collegata con queste ultlime dal nesso funzionae sopra descritto. Ci� posto, delle censure che residuano all'esame della Corte con viene considerare per prima quella concernente la violazione dell'art. 72, quarto comma, Cost. Si tratta, prcisamente, di verificare se l'ordine di esecu:llione del trattato sda stato adottato dal legislatore nel rispetto delle prescritte modalit� procedurali. Soltanto dopo che taile quesito fosse risolto in senso affermativo, potrebbe esser preso in considera zione l'ulteriore problema posto nell'orctinanza di rinvio: il quale ha riguardo al vizio di dncostlituzionalit� che si assume inficiare fa norma di legge contenente l'ordine di esecuzione, per la dedotta inosservanza deMe altre prescrizioni costituzionali, concernenti fa previa autorizza zione alla ratifica. Giova al corretto esame della specie ricordare che la legge di auto rizzazione alla ratifica dei trattati internazionali � riservata al plenum dell'assemblea (cfr. artt. 72, quarto comma, Cast., 92 regolamento della PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Camera, 35 regolamento del Senato); fa ratifica deve, d'altra parte, essere autorizzata con legge quando -a parte le altre ipotesi �contemplate nel testo fondamentale -le disposizioni pattizie comportano modifiche del vigente ordinamento legislativo. Ora, il giudice a quo ravvisa nella denun� ciata previsione del penultimo comma dell'art. 20, adottata in sede di commissione deliberante, un'� implicita� autorizzazione alla ratifica del� l'accordo in considerazione. Di qui, appunto, eghi fa discendere la violazione della regol~ costituzionale che prescrive il ricorso alla procedura normale. La questione � fondata. Per raggiungere tale conclusione non occorre, per�, costruire la SJ?ecie come si vorrebbe nell'ordinanza di rinvio.� Il penultimo comma d�ll'art. 20 della legge del 1975 non contiene, neppure implicitamente, alcuna autorizzazione alla ratifica dell'accordo italo-fran� cese di reciprocit�, n� lo potrebbe. Ci� per il decisivo rilievo che la legge � intervenuta successivamente ali'entrata in vigore dell'accordo non sot� toposto a ratifica, mentre l'autonizzazione, qual � configurata nella Carta fondamentale, emana dal Parlamento necessariamente prima che il trat� tato sia ratificato. La Costituzione vuole che le Camere valutino in anti� cipo il testo del trattato, a:l fine di rimuovere, in quanto organi autorizzanti, il limite che, secondo le previsione degli artt. 80 e 87, circonda l'esercizio del potere di ratifica; ma la ratifica, nel caso in esame, non � stata nemmeno prevista, avendo le parti contraenti convenuto che l'accordo entrasse in vigore alla data della firma. Sta di fatto, �iunque, che la manifestazione di volont� dell'organo legislativo, in cui si concreta la norma oggetto di censura, serve a ren dere efficaci disposizioni pattizie, rispetto alle quali le Camere non si erano ancora pronunziate. Vi �, poi, un profiilo della specie, che va chia� rito ed � di essenziale !importanza ai fini del decidere: lo stesso legi slatore del 1975 mostra di ritenere che l'accordo internazionale, al quale fa riferimento la statuizione censurata, avrebbe -precisamente in ra gione del suo contenuto precettivo, quale rileva nell'attuale contro versia -richiesto l'intervento delle Camere, in sede sia di autorizzazione ailla ratifica, sia di ordine di esecuzione. Basta al riguardo riflettere su quel che, rispettivamente, dispongono il penultimo e l'ultimo comma del� l'art. 20: l'uno d� piena ed integrale esecuzlione alle norme dell'accordo di reciprocit� e alle successive modificazioni, fin dalla data, come si � avvertito, della relativa entrata in vigore; il'altro cosl testualmente sta� tuisce: � la �ratifica di ogni �lteriore accordo di reciprocit� in materia di coproduzione con imprese estere, che preveda la deroga di cui al se condo comma dell'art. 19 della legge 4 novembre 1965, n. 1213, deve essere autorizzata con legge �. Vero � che la test� richiamata disposizione dell'art. 19 rinvia agli a~cordd internazionali di reciprocit� per l'eventuale previsione di dero ghe eccezionaili alla quota di partecipazione artistica e tecnica, oltre che 898 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO finanziaria, del coproduttore italiano (l'art. 19 detta, al tempo stesso, nor� me e criteri generali per il regime di coproduzione). Ma questo non significa ancora che tahi accordi siano stati esonerati dal rispetto della disciplina procedurale p~scritta, secondo Costituzione, per la categoria dei trattati, i quali incidono sulla sfera riservata alla legge. Ch� anzi, la norma censurata, e ~'altra che figura all'ultimo comma dell'art. 20 della legge del 1975, sono state poste successivamente, proprio per stabilire che le deroghe eccezionali, gi� previste o da introdurre nei suddetti accordi internazionali, ricadono pur sempre in un'area occupata dalla legge, e cos� non possono essere lasciate alla discrezionale valutazione degli orgaill� amministrativi, ma �sigono, per acquistare efficacia nell'am� bito dello S~ato, il ricorso ad un atto del potere legislativo: fermo restando, in conseguenza, che l'accordo in cui tali deroghe siano per il futuro prevedute, va soggetto a ratifica previa autorizzazione delle Ca� mere -evidentemente in quanto esso implica una sostanziale modifica� zione della legislazione ora vigente -e va per la stessa considerazione reso efficace con norme, che della legge abbiano la forma o la forza. Cos� si configura i1l caso in esame: non soltanto nel sistema della .... normativa del 1965 sulla cinematografia difettano, come rileva lo stesso giiudice a quo, gli estremi della delega; manca pure qualsiasi altro supporto per ritenere che le deroghe eccezionali al regime della coproduzione, di cui si occupa il T.A.R., siano rimesse alla fonte sublegisfativa. Non vi � dubbio, allora,. che sia stata correttamente denunciata l'inosservanza della procedura normale. Anche se testualmente prevista solo per la legge di autorizzaziiorie alla ratifica dei trattati, la garanzia connessa con la competenza dell'assemb:lea plenaria discende dal sistema delle norme costituzionali, che definiscono le attribuzioni delle Camere riguardo ai trattati internazionali (artL 80 e 87 Cost.): essa non pu� non valere anche per l'ordine di esecuzione, dove, come qui accade, questo sia emanato dal legislatore, per un verso in mancanza di previa autorizzazione alla ratifica, per l'altro in presenza di una disciplina pattizia, fa quale verte su. materia che lo stesso organo legislativo ha espressa� mente attratto nella propria sfera. Ci� esime la Corte dall'esaminare ogni altro profilo delle questioni prospettate. La dichiarazione di illegittimit� costituzionale del citato art. 20, penultimo comma, conseguente alla violazione dell'art. 72, quarto comma, Cost., va dichiarata, peraltro, limitatamente alle norme che nell'accordo italo-francese concernono la partecipazione del coproduttore minoritario: invero, � solo per quest'aspetto del regime dettato dall'accordo, che la Corte � chiamata a stabilire se il relativo ordine di esecuzione andava emesso con legge ed in conformit� della procedura prescritta per autorizzare la ratifica dei trattati internazionali. \�. ~: j: I ~ I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE p.p.m. ~) dichiara inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell'articolo unico, lett b), del d.P.R. 28 aprile 1968, n. 1339, sollevata dal T.A.R. del Lazio con l'ordinanza in epigrafe; 2) dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 20, penultimo comma, della legge 21 giugno 1975, n. 287, nella parie in cui d� piena e integI1ale esecu:llione alla previsione delle deroghe eccezionali di cui all'art. 5, paragrafo IV, deLl'accordo di coproduzione cinematografica italo-francese del 1� agosto 1966, e �alle successive modificazioni�. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE * * NOTA: Nel corso del 1984, su 134 sentenze (escluse quelle in cause di personale) emesse dalla Corte di Giustizia delle Comunit� europee, 30 sono state pronunciate in cause alle quali ha partecipato l'Italia (9 in occasione di controversie dirette fra la Commissione e l'Italia, 1 in controversia fra la Commissione e altri Stati membri, nella quale � intervenuta 1'1-talia, 20 in cause pregiudiziali ad sensi dell'art. 177 del Trattato CEE o del protocollo allegato alla Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1%8). Oltre -alle sentenze pubblicate in questa Rassegna nel presente fascicolo e in quelli precedenti dell'annata in cprso, la Corte ha pronunciato le seguenti altre sentenze (alcune delle quali saranno pubblicate nei prossimi fascicoli): -9 febbraio 1984, nella causa 295/82, RhOne -Alpes Huiles e.a. c. Syndacat national des fabbricants ratfineurs d'huiles de graissage e.a., nella quale, in meteria di libera circolazione delle merci -oli usati, � stato dichiarato che �gli obiettivi della direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, n. 75/439, concernente l'eliminazione degli oli usati, e delle norme del Tiiattato CEE sulla libera circolazione delle merci richiedono che gli oli usati possono essere consegnati a un eliminatore di un altro Stato membro che ha ottenuto in questo Stato l'autorizzazione di cui all'art. 6 della direttiva, sia mediante un detentore che un raccoglitore autorizzato �; -27 marzo 1984, nella causa 169/82, Commissione c. Italia, in tema di aiuti all'agricoltura della Regione siciliana, nella q~ale la Corte ha parzdalmente accolto il ricorso della Commissione, ritenendo contrari al Trattato alcuni aiuti all'agricoltura disposti con leggi della Regione siciliana, per la produzione di grano duro, di uva da tavola e di pomodoro da avviare alla trasformazione; la Corte, invece, ha respinto il ricorso relativamente ad altre misure contestate (prestiti a tasso agevolato alle industrie conserviere, aiuti per �i settori delle mandorle, delle nocciole, dei pistacchi); -5 giugno 1984, nella causa 280/83, Commissione c. Italia, in tema di imposte diverse dall'imposta sulla cifra d'affari sul consumo dei tabacchi manifatturati, dove la Corte ha ritenuto che la Repubblica italiana, non adottando nel termine stabilito le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, n. 79/32, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in virt� del Trattato; -21 giugno 1984, nella causa 116/83, Bureau belge d'assurance c. Fantozzi :in materia di assicurazione obbligatoria autoveicoli, nella quale la Corte ha ribadito quanto gi� affermato con la propria sentenza 9 febbraio 1984, nella causa 64/83 (pubbl. in questa Rassegna, ante, pag. 689); -'11 luglio 1984, nella causa 130/83, Commissione c. Italia, ancora in tema di aiuti all'agricoltura della Regione siciliana: qui la Corte ha dichiarato inadempiente la RepubbHca italiana per non essere stata data esecuzione a una precedente decisione della Commissione, non impugnata, che aveva ritenuto incompatibili con il Trattato alcuni aiuti concessi nei settori vitivinicolo ed ortofrutticolo; PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 901 -12 luglio 1984, nella causa 218/83, Le Rapides Savoyards {di prossima pubblicazione), sulla nozione di prodotti originari nell'ambito dell'accordo di libero scambio CEE-Confederazione elvetica, dove la Corte ha statuito che la Vlalutazione dei fattori rilevanti per determinare l'origine di un prodotto, e pertanto la sua ammissione al regime preferenziale, spettano. all'amministra� zione doganale dello Stato esportatore del prodotto�fui.ito, la quale applica agli elementi importati dai paesi terzi, al momento dell'importazione di questi elementi, le proprie norme rin fatto di valore doganale e di cambio; -12 luglio 1984, nella causa 242/83, Patteri (di prossima pubblicazione), in materia di previdenza sociale, nella quale la Corte ha stabilito che, se nel caso contemplato dall'art. 77, n. 2, lett. b), i), del reg. CEE 1408/71, l'importo delle prestazioni versate dallo Stato di residenza � inferiore a quello delle prestazioni corrisposte dall'altro Stato debitore, il lavoratore fruisce dell'importo pi� eleV1ato ed ha il diritto di ricevere, a carico dell'ente competente di questo ultimo Stato, un'integrarione delle prestazioni pari alla differenza fra i due importi; -18 settembre 1984, nella causa 221/83, Commissione c. Italia, rin tema di libera circolazione delle persone-veterinari, nella quale la Corte ha ritenuto inadempiente l'Italia per non: aver dato completa attuazione alle direttive CEE del Consiglio 78/1026 e 78/1027; � -19 settembre 1984, nella causa. ?4/83, Hejn {di prossima pubblicazione), in materia di antiparassitari su prodotti agricoli, dove 1a Corte ha statuito che � gli artt. 30 e 36 del Trattato non ostano �a che uno Stato membro vieti l'importazione di mele provenienti da un altro Stato membro in ragione della presenza, su o dentro queste mele, di una quantit� di vinclozolin superiore a quella prescritta dalla legge del primo Stato, anche �se il tenore massimo am� missibile di vinclozolin prescritto nel primo Stato membro � diverso da quello prescritto per altri generi �limentari o beV'ande �; -3 ottobre 1984, nella causa 279/83, Commissione c. Italia, riguardante l'assistenza reciproca in materia di IVA, dove l'Italia � stata ritenuta inadempiente per il mancato recepimento della direttiva 79/1071/CEE del Consiglio; -3 ottobre 1984, nella causa 254/84, Commissione c. Italia, nella quale la Corte ha ritenuto inadempiente la Repubblica italiana per la mancata adozione di alcune delle misure di applicazione del regolamento CEE 2%7 /76 del Con� siglio e 2785/80 della Commissione (in particolare delle misure sanzionatorie delle infrazioni), in materia di tenore d'acqua di pollame congelato; -13 novembre 1984, nella causa 191/83, Salzano (di prossima pubblicazione), in materia di previdenza sociale, in cui 1a Corte ha statuito che �la sospensione degli assegni familiari dovuti a norma dell'art. 73 del reg. CEE n. 1408/71 nel paese in cui lavora uno dei genitori non ha luogo allorch� l'altro , genitore risiede con i figli in un altro Stato membro e svolge in questo paese un'attivit� lavorativa, senza tuttavia ricevere assegni familiari per i figli in quanto non ricorrono tutti i presupposti ai quali la legge di questo Stato membro subordina l'effettiva fruizione di detti assegni f.amdliari �; -27 novembre 1984, nella causa 99/83, Fioravanti (di prossima pubblicazione), in materia di transito comunitario, nella quale 1a Corte ha delineato la nozione di transito comunitario in fattispecie in cui la merce passi per la Svizzera, precisando alcuni adempimenti e indicando a chii compete l'azione di recupero dei dazi evasi; -27 novembre 1984, nella causa 254/83, Cauzaturificio Brennero (di prossima pubblicazione), sulla convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 relativa alla competenza giurisdizionale ed alla esecuzione delle decisioni, do\1\e 1a Corte ha statuito che l'arL 38 della convenzione stessa deve essere inter� 902 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pretato nel senso che una giurisdizione adita in sede di ricorso contro l'exequatur non pu� subordinare l'esecutoriet� alla costituzione di una garanzia se non al momento della statuizione definitiva sul rico~so stesso; solo contro questa statuizione, ha aggiunto la Corte, � ammesso ricorso per cassazione; -13 dicembre 1984, nelLa causa 106/83, Soc. Sermide c. Cassa Conguaglio Zucchero e Min. Tesoro e Finanze (di prossima pubblicazione), dove sono stati disattesi i dubbi sulla validit� di alcune norme dci reg. CEE della Commissione n. 700/73 e 3358/81, che fissano determinate modalit� necessarie per l'applicazione del regime delle quote nel settore dello zucchero e gli importi dei contribuenti. � CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 13 marzo 1984, nella causa 16/83 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Slynn Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgericht di Monaco di Baviera nel procedimento penale c. Prantl -Interv.: Governi della Rep. fed. di Germama (ag. Lukes) e italiano (avv. Stato Braguglia) e Commissione delle C.E. (ag. Wainwright e Jansen). Comunit� Europee -Libera circolazion� delle merci � Misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione � Imbottiglia� mento di vini � Forma della bottiglia (Bocksbeutel). (Trattato CEE, art. 30; regolamenti CEE del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 337 e n. 355 e della Commissione 8 agosto 1980, n. 2164, e 26 marzo 1981, n.: 997). Comunit� Europee � .Libera circolazione delle merci � Misure di effetto e'ltlivalente a restrizioni quantitative all'importazione � Imbottigliamento di vini � Forma della bottiglia (Bocksbeutel) � Motivi di ordine pubblico o di tutela della propriet� industriale o commerciale � Insussistenza. (Trattato CEE, art. 36). L'art. 30 del Trattato dev'essere interpretato nel senso che l'applicazione, da parte di uno Stato membro, all'importazione di vini originari di un altro Stato membrp, di una normativa nazionale che riservi l'impiego di bottiglie aventi ~na determinata forma a taluni produttori na� zionali costituisce misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa qualora l'impiego di bottiglie aventi la stessa forma o una forma simile sia conforme ad un uso correttamente e tradizionalmente praticato nello Stato d'origine (1). (1-2) Statui7Jione speculare rispetto a quella costante della Corte secondo cui sono vietate dall'art. 30 del Trattato le misure nazionali che impongono, per lo smercio, una determinata forma di presentazione del prodotto: cfr. sentenza 19 febbraio 1981, nella causa 130/80, .KEl.LERMAN, in Racc. 1981, 527, e 10 novembre 1982, nella causa 261/81, R.Av, in Racc., 1982, 3961. Quanto alla costante giurisprudenza della Corte secondo cui, in assenza di un'esauriente normativa comune in materia di confezionamento dei prodotti considerati, gli ostacoli PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 903 L'art. 36 del Trattato dev'essere interpretato nel senso che le misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione derivanti' da una normativa nazionale che riservi l'impiego di bottiglie aventi una determinata forma a taluni produttori o commercianti nazionali non possono essere giustificate: -da motivi di ordine pubblico, indipendentemente dal fatto che detta normativa commini o no sanzioni penali; -da motivi attinenti alla tutela della' propriet� industriale e com� merciaie, in quanto siffatte bottiglie sono tradizionalm~nte usate dai produttori nazionali, qualora bottiglie identiche o simili siano impiegat� in un_ altro Stato membro in forza di usi correttamente e tradizionalmente praticati nel commercio di vini provenienti da questo Stato (2). (omissis) 1. � Con ordinanza 12 gennaio 1983, pervenuta in cancelleria il 28 gennaio 1983, il Landgericht di Monaco di Bariera II ha sottoposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli_ artt. 30 e 36 del Trat� tato CEE, per poter essere messo in grado di valutare la compatibilit� col diritto comunitario del � 17 del regolamento 15 luglio 1971 sul vino, sul vino liquoroso e sulle bevande a base di vino (Bundesgesetzblatt 1971, prima parte, pag. 926), in prosieguo: regolamento sul vino. 2. � Dette questiorui. sono state sollevate nell'ambito di un procedi� mento penale nei confronti del sig. Prantl, cittadino italiano, commer� ciante di bevande, at quale si fa carico di avere, dal 3 dicembre 1980 al 10 settembre 1981, con azione continuata, importato, detenuto e ven� duto nella Repubblica federale di Germania vino rosso iitaliano prove� niente dalle cantine Martini di Girlan (Bolzano), impiegando bottiglie dette � Bocksbeutel �, 3. � La bottiglia � Bocksbeutel � � una bottiglia panciuta, di forma caratteristica, nella quale vengono messi in commercio i vini di qualit� (VQPRD) prodotti in Franconia, nella zona chiamata Franconia del Baden e in quattro comuni situati nella parte centrale del Baden. Nella Fran� conia questa bottiglia � tradizionalmente usata da parecchi secoli. risultanti, per la libera circolazione intracomunitaria, dalle disparit� delle norme nazionali devono essere accettate solo in quanto una disciplina nazionale del genere, che si applichi indistintamente alla merce nazionale e a quella importata, possa essere giustificata dalla necessit� di soddisfare esigenze imperative concernenti, in particolare, la tutela dei consumatori e la lealt� dei negozi com� merciali, cfr., fra le altre, le sentenze sopra citate nonch� le sentenze 20 feb� braio 1979, nella causa 120/78; REwE, in Racc. 1979, 649, e 26 giugno 1980, nella causa 788/79, GILLI, in Racc. 1980, 2071. 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 4. -Anche in Italia, nella provincia cld Bolzano, la � Bocksbeutel � viene usata da oltre un secolo. La bottiglia italiana tradizionale del tipo � Bocksbeutel � � leggermente pi� rotonda ed ba il collo un po' pi� corto di quella della Franconia. 5. -J.l � 17 del regolamento tedesco sul vino, nella versione in vigore al tempo dei fatti di causa, dispone: � Pu� essere posto in commercio in � Bocksbeutelflaschen � di tipo tradizionale solo vino con denominazione d,'origine controllata della specifica zona di produzione della Franconia, del Taubertal bavarese e dello Schiipfergrund nonch� dei comuni di Neuweier, Steinbach, Umweg e Vamahlt�. Il � 23, n. 2, dello stesso regolamento recita: �a norma del � 67, n. 5, punto-2, del Weingesetz [legge sul vino] � punito colui il quale, in spregio del � 17, mette in commercio in � Bocksbeutelflaschen � prodotti diversi da quelli ivi indicati�. 6. -Il 6 luglio 1982, l'Amtsgericht di Miesbach, proscioglieva il Prantl co11siderando che, anche se le bottiglie da lui usate erano effettivamente del tipo � Bocksbeutel � tradizionaile, ai sensi del � 17 del regolamento sul vino, quest'ultima disposizione non poteva essere applicata in base agli artt. 30 e 36 del Trattato CEE. 7. -Il Pubblico Ministero interponeva appello contro questa sentenza dinanzi al Landgericht di Monaco di Baviera II, sostenendo che il � 17 del regolamento sul vino non stabilisce una restrizione quantitativa all'importazione contrastante con l'art. 30 del Trattato CEE e comunque � giustificato dall'interesse del consumatore e dalla tutela della lealt� degli scambi commerciali. 8. -Il Landgericht ritiene che le bottiglie usate dall'impresa del Prantl �assomiglino molto nella forma alla bottiglia � Bocksbeutel della Franconia � e che si tratti di bottiglie � Bocksbeutel � di tipo tradizionale ai sensi del � 17 del regolamento sul vino �. Tuttavia si chiede se questa disposizione, in caso d'importazione di vino da un altro Stato membro, sia compatibile con gli artt. 30 e 36 del Trattato CEE. 9. -Pertanto, esso considera necessario, prima di emettere la sua sentenza, sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti ques1Jioni pregiudiziali: � l. Se il � 17 del regolamento 15 luglio 1971 sul vino, sul vino liquoroso e sulle bevande a base di vino (Wein-Verordnung) abbia effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione vietata dall'art. 30 del Trattato. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 90S 2. Se, nelle particolari circostanze della presente fattispecie, il � 17 della Wein-Verordnung possa venir applicato per la tutela dei beni giuridici indicati nell'art. 36 del Trattato CEE �. 10. -Come ha giustamente osservato il Governo della Repubblica federale di Germania, nell'ambito dell'art. 177 del Trattato CEE la Corte di giustizia non pu� pronunziarsi sull'interpretazione e sulla validit� di norme giuridiche nazionali. Tuttavia la Corte, come essa ha pi� volte dichiarato, pu� fornire al giudice nazionale criteri per l'interpretazione del diritto comunitario che gli consentono clLi. risolvere il problema sottopostogli. 11. -Lette alla luce di questa premessa, le. questioni del giudice a quo mirano a stabilire se gli artt. 30 e 36 dle Trattato debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a disposiziorui come quelle contenute nella normativa nazionale di cui trattasi. Sull'applicazione della normativa comunitaria in materia di organizzazione comune del mercato vitivinicolo. 12. -� opportuno esaminare innanzitutto le osservazioni formulate in. via principale dalla Commissione, la quale sostiene che nell'ambito dell'organizzazione comune del mercato vitivinicolo vige una normativa comunitaria esauriente che contiene tutte le disposizioni necessarie relative alla presentazione dei vini e all'impiego clLi. taluni recipienti per consentire di distinguere la qualit� e l'origine dei vini. La Commissione ne deduce che ormai esistono cl!i.sposizioni preminenti di diritto comunitario e che, dopo l'entrata in vigore di questa disciplina, gli Stati mem� bri non hanno pi� il potere di mantenere in vigore o emanare provvedimenti nazionali nel settore di cui trattasi. 13. -� esatto che quando una normativa che istituisce un'organizzazione comune di mercato pu� essere considerata esauriente gli Stati membri non hanno pi� competenza in materia, salvo che non sia specificamente disposto in senso contranio. 14. -Del pari, � vero che alil'epoca dei fatti cui si riferisce la causa principale le norme di diritto comunitario relative all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo (e in particolare il regolamento del Consi� glio 5 febbraio 1979, n. 337, concernente l'organizzazione comune del mercato vitivinicolo -G. U. n. L 54, pag. 1; il regolamento del Consigilio 5 febbraio 1979, n. 355, che stabilisce le norme generali per la designazione e la presentazione dei vini e dei mosti di uve -G. U. n. L 54, pag. 99; il regolamento della Commissione 8 agosto 1980, n. 2164, recante settima modifica del regolamento n. 1608/76, relativo a modalit� d'applicazione per la designazione e la presentazione dei vini e dei mosti di uve -G. U. n. L 214, RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO pag. 1; iJ. regolamento della Commissione 26 marzo 1981, n. 997, recante modalit� d'applicazione per la designazione e la presentazione dei vini e dei mosti di uve -G. U. n. L 106, pag. 1) potevano essere considerate come una disciplina esauriente, segnatamente in materia di prezili e di intervento, di scambi con i paesi terzi, di produzione e di talune pratiche enologiche, nonch� per quanto concerne la designazione dei wni e l'etichettatura. 15. -Tuttavia, occorre rileyare che l'art. 54, n. l, del regolamento n. 337/79 dispone espressamente: � il Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, stabilisce, se necessario, le norme relative alla designazione ed alla presentailione dei prodotti enumerati all'art. 1. Fino all'applicazione delle norme di cui al primo comma, le norme applicabili in materia sono quelle adottate dagli Stati membri�. Orbene, il regolamento n. 355/79 si � limitato a precisare, all'art. 40, che l'uso dei recipienti pu� essere subordinato a tailune condizioni da stabilire, che garantiscano, fra l'altro, la distinzione della qualit� e dell'origine della merce, e, all'art. 43, che la designazione e la presentazione dei vini non devono creare confusione sulla natura, sull'origine e sulla composizione del prodotto. A proposito della tutela da garantire a talune bottiglie di forma particolare, il regolamento n. 997/81 si � limitato, all'art. 18, a tutelare l'uso della bottiglia del tipo � fhlte d'Alsace �. 16. -Per quanto riguarda il problema della forma delle bottiglie e della tutela di cui essa pu� fruire, problema che ha carattere accessorio rispetto a:i principi fondamentali dell'organizzazione comune di mercato, dalle disposiziol11i relative alla tutela della bottigia del tipo � fl�te d'Alsace � non � lecito dedurre che il legislatore comunitario ha esaurito la competenza attribuitagli dall'art~ 54 precitato. A sostegno di questa conclusione si pu� peraltro rilevare che da vari anni sono in corso trattative a l�vello comunitario per l'istituzione di una normativa che tuteli la � Bocksbeutel � e che a questo scopo sono state elaborate, infruttuosamente, numerose proposte di regolamento. Di conseguenza, il precitato art. 54, n. l, del regolamento n. 337/79 consente, in questa materia, la conservazione delle norme adottate dagli Stati membri, purch� esse non siano in contrasto con gli artt. 30 e segg. del Trattato. 17. -Pertanto, le osservazioni presentate in via princip~le dalla Commissione non possono essere accettate ed occorre risolvere le questioni del .giudice nazionale relative all'interpretazione degli artt. 30 e 36 del Trattato. Sull'art. 30 del Trattato (prima questione) ' 18. -Con la prir_n.a questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, se l'art. 30 del Trattato debba essere interpretato nel senso che costi- I I l) PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE tuisce misura d'effetto equivalente a una restrizione quantitativa l'applicazione, da parte di uno Stato membro, all'importazione di vino originario di un altro Stato membro, di una normativa che riservi l'uso di bottiglie aventi una determinata forma a talun� produttori nazionali e che commini sanzioni per l'uso di bottiglie simili da parte di qualsiasi altro operatore. 19. -Il Governo della Repubblica federale di Germania ha sostenuto che la disposizione consdderata del regolamento sul vino non ricade sotto il divieto stabiLito dall'art. 30 del Trattato in quanto; -non costituisce un provvedimento nazionale atto a compromettere sensibilmente gli scambi commerciali intracomunitari; -si applica indistintamente alle merci nazionali e alle merci importate; -commina sanzioni solo per l'uso della � Bocksbeutel � originale e quindi non concerne, di regola, gli importatori che usano bottiglie simili, qualqra queste bottiglde presentino differenze, anche leggere, rispetto a quelle originali; -� giustificata da motivi inerenti alla protezione dei consumatori e alla lealt� degli scambi commerciali, poich� la � Bocksbeutel � originale dev'essere considerata come indica2Jione indiretta di provenienza geografica. 20. -Occorre ricordare, in primo luogo, c}1e l'art. 30 del Trattato vieta nel commercio tra Stati membri qualsiasi misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa. Perch� una misura contrasti con questo ddvieto � sufficiente che essa sia idonea ad ostacolare, direttamente, o indirettamente, in atto o in potenza, g1i scambi tra gli Stati membri; non � necessario che il provvedi~ento comprometta sensibilmente gli scambi intracomunitari. 21. -In secondo luogo si deve osservare che, come la Corte di giustizia ha pi� volte dichiarato, una normativa nazionale relativa alla messa in commercio di un prodotto, anche se si applichi indistintamente alle merci nazionald e a quelle importate, non sfugge al divieto sancito dall'art. 30 del Trattato quando produca, di fatto, effetti protezionistici favorendo una produrione nazionale tipica e sfavorendo, nella stessa misura, varie categorie di prodotti di altri Stati membri. 22. -S9tto questo profilo, una disciplina come quella dettata dal � 17 del regolamento sul vino, ruservando l'uso di bottiglie aventi una determinata forma a taluni produttori di vini nazionali, produce effetti protezionistici in quanto favorisce questi produttori rispetto a quelli di altri Stati membri che imbottigliano tradizionalmente il loro vino in recipienti di forma identica o molto simile. 908 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 23. -Infatti, i produttori dello Stato membro esportatore elle intendano smerciare il :loro vdno nello Stato membro in cui � stata emanata la disciplina oggetto della causa principale, sono obbligati a confezionare il vino, per un mercato determinato, in bottiglie diverse da quelle da loro tradizionalmente impdegate tanto nel loro paese d'origine quanto sul mercato degli altri Stati membri. La ~essa in commercio di questo vino � in tal modo resa pi� difficile o pi� onerosa, soprattutto in ragione delle ulteriod spese cagionate dalla necessit� di confezionare specificatamente il prodotto per renderlo conforme alle esigenze che prevalgono sul mercato cui � destinato. Inoltre, i suddetti produttori sono privati del vantaggio commerciale che pu�, per loro, rappresentare l'uso, sul mercato sul quale si applica la disciplina considerata, della confezione tradi2lionale nello Stato o nella regione d'origine. 24. -Risulta pertanto che una normativa del genere, anche se si applica indistintamente alla merce. nazionale e a quella importata, produce in pratJica effetti protezionistici. Di conseguenza, essa non pu� sfuggire al divieto stabilito dall'art. 30 del Trattato. . I 25. -In terzo luogo, � esatto che, come la Corte di giustizia ha pi� volte. dichiarato, in assenza di. una esauriente normativa comune I�.n materia di confezionamento dei prodotti consideratli, gli ostacoli risultanti, per ia libera circolazione intracomunitaria, dalle disparit� delle norme nazionali devono essere accettate in quanto una disciplina nazionale del genere, che si applichi indistintamente alla merce nazionale e a quel.la importata, possa essere giustificata dalla necessit� di soddisfare esigenze I�.mperative concernenti, in particolare, la tutela dei consumatori e la lealt� dei negozi commerciahl. 26. -In via di principio non si pu� contestare la fogittimit� di norme giuridiche intese ad evitare che il consumatore confonda tra loro vini di origine e qualit� diverse. Questo intento � particolarmente ragguardevole in materia di vino, dove le tradizioni e le carattel'listiche specifiche hanno un ruolo importante. Peraltro, nel preambolo del regolamento n. 355/'79 si dichiara in proposito, al� secondo punto, che � lo scopo di qualsiasi designazione e presentazione dev'essere di fornire delle :informazioni quanto pi�.esatte e precise possibile per 11'apprezzamento della merce tanto da parte dell'eventuale acquirente quanto da parte degli enti pubblici incaricatli della gestione e del controllo del commercio dei prodotti in questione; che occorre pertanto stabilire delle norme atte a conseguire tale scopo�, e, al terzo punto, che �occorre ricercare una informazione ottimale degli interessati, pur tenendo conto deMa diver,. sit� degli usi e delle tradizioni sia negli Stati membri che nei paesi � i: terzi, nonch� dell'evoluzione del diritto comunitario �. ~ .. I ~: ! PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 909 21. -Tuttavia, trattandosi di stabilire se una normativa nazionale possa legittimamente, per tutelare una indicazione indiretta d'oI1igine geografica nell'interesse della protezione del consumatore, vietare la messa in commercio di vini importati in un determinato tipo dii bottiiglia, � necessario sottolineare che, in un regime di mercato comune, la tutela dei consumatori e la lealt� dei negozi commeraiahi in materia di presentazione dei vini devono essere garantite nel reciproco rispetto degli usi correttamente e tradirionalmente praticati nei vari Stati membI1i. 28. -A questo proposiito, dalla discussione dinanzi alla Corte � risultato che bottiglie identiche� alla � Bocksbeutel � o che presentano, rispetto a questa, differenze impercettiibili al consumatore sono tradizionalmente impiegate per lo smercio dei vini originari di talune regioni italiane. L'esclusiva dell'uso di un tipo di bottiiglia, garantita da una normativa nazionale in uno Stato membro, non � pertanto oppombille all'importazione di vini originari di un altro Stato membro, confe2lionati in bottiglie di forma identica o simile in ragione di un uso correttamente e tradizionalmente praticato in questo Stato membro. 25. � Il Governo della Repubblica federale di Germania sostiene che la messa in commercio di vini di provemenza diversa nello stesso tipo di bottiglia pu� indurre in errore ii consumatori. Va per� rilevato che le disposizioni comunitarie relative all'etichettatura dei vini, e in particolare gli artt. 12-18 del regolamento n. 355/79, concernenti l'etichettatura dei vini di qualit� prodotti in regioni determinate, costituiscono una normativa particolarmente elaborata, che consente di evitare le confusioni temute. 30. -La pnima questione va pertanfo risolta come segue: l'art. 30 del Trattato dev'essere dnterpretato nel senso che l'applicazione, da parte di uno Stato membro, all'importazione di vini originari di un altro Stato membro, di una normativa nazionale che riservi l'impiego dii bottiglie aventi una determinata forma a taluni produttori nazionali costituisce misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa quailora l'impiego di bottiglie aventi la stessa forma o una forma simile sia conforme ad un uso correttamente e tradizionalmente praticato nello Stato di origine. Sull'art. 36 del Trattato (seconda questione) 31. -Con la seconda questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, se l'applicazione di una normativa che riservi l'impiego di bottiglie aventi una determinata forma a una categoria di produttori nazionali di vino possa essere !�iustificata da una delle deroghe al principio fondamentale della libera circolazione delle merci contemplate dall'art. 36 del Trattato. RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DEI.LO STATO 32. -A questo proposito il Governo della Repubblica federale dl Germania ha sostenuto, in primo luogo, che iil � 17 del regolamento sul vino � giustifiicato da moti.vi di ordine pubblico, ai sensi dell'art. 36 del Trattato, poich� commina sanzioni penali per il caso di inosservanza di quantb da esso prescritto. 33. -Occorre osservare che non basta, perch� una normativa rientri nella nozione di ordine pubbLico ai sensi dell'art. 36 del Trattato, che essa stabilisca sanzioni penali. 34. -Il Governo della Repubblica federaile di Germania ha in S(;lcondo luogo asserito che la presentazdone del vino della Franconia e del Baden nella � bottiglia Bocksbeutel originale � costiituisce un'indicazione indiretta di provenienza geografica e, di conseguenza, un diritto di propriet� industriale e commerciale dei produttori aventi sede nella regione determinata, diritto che fa normativa controversa pu� validamente tutelare. 35. -A questo proposito � sufficiente, senza che occorra risolvere. i problemi giuridici sollevati con questa asserzione, rilevare che comunque i produttori che impiegano tradi:llionalmente bottiglie di una determinata forma non possono richiamarsi efficacemente ad un diritto di propriet� industriale e commerciale per opporsi all'importazione di Vlini originari di un altro Stato membro e confezionati in bottiglie identiche o simili in forza di us� correttamente e tradizionalmente praticati in questo Stato. 36. -Il Governo della Repubblica federaile di Germania ha infine fatto presente_ che l'associazione tedesca � Frankenwein-Frankenland e V.�, che ha lo .scopo, in particolare, di garantire la tutela del diritto dell'impiego esclusivo della � Bocksbeutel � per l'imbottigliamento del vin� della Franconia, ha depositato il 4 giugno 1978 un segno distintivo consistente nella riproduzione di una � Bocksbeutel originale� con un'etichetta figurata. Esso ne deduce che detta associazione � titolare dii un diritto di propriet� industriale e commerciale e che il valore del segno distiintivo de� positato sarebbe compromesso se la � Bocksbeutel � originaile potesse essere usata per l'imbottigliamento di vini di altra provenienza. 37. -Occorre notare, su questo punto, che il deposito, da parte di un'associazione di produttori, di un segno distintivo consistente nella riproduzione dii una bottiglia avente una determinata forma con un'etichetta figurata e la. tutela che ne deriva sono del tutto iirrilevanti ai fini della questione se una normativa nazionale che riservi l'uso di una bottiglia. deMa stessa forma ai produttori di viini di talune regioni sia giiustificata in forza dell'art. 36 del Trattato. 38. -La seconda questione del giudice naiionale va pertanto cos� risolta: l'art. 36 del Trattato dev'essere interpretato nel senso che le I'.: i: I 1: I l , lj 911 PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE misure di effetto equivalente a restrizioDI� quantitative all'importazione derivanti da una normativa nll7Jionale che riservi J'impiego di bottiglie aventi una determinata forma a taluni produttori o commercianti nazionaili non possono essere giustificate: -da motivi di ordine pubblico, indipendentemente dal fatto che detta normativa commini o no sanzioni penalti; -da motivi attinenti alla tutela della propriet� industriale e com� merciaie, in quanto siffatte bottiglie sono tradizionalmente usate dai produttori nazionali, qualora bottiglie identiche o simili siano impiegate in un altro Stato membro in forza fdi usi correttamente e tradizionalmente pratdcatii nel commercio di i. vini provenienti da questo Stato. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 7 giugno 1984, nella causa 129/83 . Pres. Koopmans � Avv. Gen. Mancini � Domanda di pronuncia pregiudiziale prop0sta dall'Oberlandesgericht di Monaco di Baviera nella causa Zelger c. Salinitri � Interv.: Governo italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Zimmerman). Comunit� Europee � Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale � Competenza giurisdizionale � Giudice successi� vamente adito � litispendenza. (Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 21). L'art. 21 della Convenzione 27 settembre 1968, concernen.te la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, va interpretato nel senso che deve considerarsi � preventivamente adito � il giudice dinanzi al quale sono stati soddisfatti in primo luogo i requisiti ai quali � subordinata la litispendenza definitiva; tali requisiti devono essere valutati in base alla legge nazionale di ciascuno dei giudici interessati (1). (11) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo -italiano, le cui osservazioni scritte qui di seguito si riportano. Il � giudice successivamente adito � nella convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale. (omissis) 2. �-La questione appare di agevole soluzione secondo la versione in lingua italiana dell'art. 21 d�lla Convenzione di Bruxelles. L'art. 21 � posto nella sezione intiitolata � litispendenza e connessione� e dispone che � qualora, davanti a giudici ~i Stati contraenti differenti e fra le RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) 1. -Con ordinanza 22 giugno 1983, pervenuta alla Corte 1'8 luglio 1983, l'Oberlandesgericht di Monaco di Baviera ha sollevato, a nonna del Protocollo 3 giugno 1971, relativo all'interpretazione da parte della Corte di giustizrl.a della Convenzione 27 settembre 1968, concernente '1a competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in seguito: la Convenzione), una questione pregiu� diziale vertente sull'interpretazione dell'art. 21 della Convenzione. 2. -Le due parti nella causa principale sono commercianti: uno di Monaco di Baviera (Repubblica federale di Germania), l'altro di Mascali (Sicilia). L'attore citava il convenuto per fa restituzione della parte restante di un mutuo contratto neglii anni 1975 e 1976. L'atto di citazione veniva depositato il 5 agosto 1976 nella cancelleria del Landgericht di Monaco I e notificato al convenuto il 13 gennai:io 1977. L'attore esperiva poi un'altra azione, avente lo stesso oggetto e la ste8sa causa, dinanzi al Tribunale Civile di Catania, con citazrl.one depositata il 22 o 23 settembre 1976 e notificata al convenut� il 23 settembre 1976. 3. -lil Landgericht dichiarava la domanda irricevibile per mancanza di competenza internazionale: dinanzi a lui la causa era stata intentata solo il 13 gennajo 1977 con la notifica dell'atto di citazione (�� 261, n. l, e 254, n. 1, della Zivilprozessordnung), mentre dinanzi al Tnibunale di Catania ci� era avvenuto gi� il 23 settembre 1976, in seguito alla notifica di un analogo atto processuale. A giudizio del Landgericht, la competenza spettava a!l Tribunale di Catania, ai sensi dell'art. 21 della Convenzione. stesse parti siano state proposte domande <aventi il medesimo oggetto e n medesimo titolo, il gii.udice successivamente adito deve, anche d'ufficio, dichia� rare la propria incompetenza a favore del giudice preventivamente adito �. Dal collegamento fra il titolo della sezione e la norma in essa contenuta si ricava che la convenzione intende riferirsi a due cause � pendenti �, con rinvio ai singoli ordinamenti nazionali per la identif�cazone� del momento �a partire dal quale ciascuna causa deve intendersi pendente; sicch� la � proposi zione � della domanda, di cui parla la norma in questione, appare rilevante solo in quanto det�rmini -e dal momento in cui essa determina -la pendenza deUa lite secondo le norme dello Stato del giudice adito. La rilevanza esclusiva del concetto di pendenza e il rinvio agli ordinamenti nazionali per la determinazione dello stato di pendenza sono esplicitamente richiamati nella � Relazione � sulla convenzione (Boll. Comunit� europee, suppi. 12/72), nelLa quale si legge: -che � in virt� dell'art. 21 i giudici di uno Stato contraente devono, anche d'ufficio, dichiararsi incompetenti per una lite di cui sono investiibi quando la stessa � gi� pendente davanti al giudice di un altro Stato �; -che il giudice dovr� procedere ad un esame d'ufficio quando supponga � che un identico processo potrebbe i;ssere pendente davanti ai giudici di un altro paese �; � infine che � il Comitato ha ritenuto non necessario precisare nel testo la data a decorrere dalla quale un gii.udizio deve essere considerato pendente, ed ha deciso quindi di lasciare la questione ai diritti nazionali �, 913 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 4. -L'attore interponeva appello dinanzi all'Oberlandesgericht sostenendo che non si deve avere riguardo al momento della notifica della domanda, bens� al momento in cui la domanda � stata proposta al giudice. 5. -R1tenendo che la controversia sollevi questioni d'iinterpretazione della Convenzione, l'Oberlandesgericht ha sospeso it1. procedimento ed ha sottoposto alla Corte, con ordinanza 22 giugno 1983, la seguente questione pregiudiziale: � Se, per stabilire quale giudice dii uno Stato contraente sia stato adito per primo (art. 21 della Convenzione), si debba aver riguardo al momento in cui � stata pr~posta la domanda (� Anhlingigkeit �) ovvero quello in cui H procedimento -in seguito alla notifica alfa controparte dell'atto di citazione -:-� pienamente avviato (� Rechtshangigkeit �). 6. -L'art. 21 della Convenzione recita: \ � Qualora, davanti a giudici di .Stati contraenti differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successiva~ente adito deve, anche d'ufficio, dichiarare la propria incompetenza a favore del giudice preventJivamente adito. � Il giudice che dovrebbe dichiarare la propria incompetenza pu� sospendere il processo qualora venga eccepita l'incompetenza dell'altro giudice�. 7. -L'attore nella causa principale sostiene che l'art. 21 della Convenzione considera quale momento della proposizione della domanda la data della sua presentazione al giudice. Il testo tedesco della Convenzione userebbe il termine � anhlingig � quale equivalente del termine � form�es � La prevenzione della lite, cui fa riferimento la convenzione, va determinata, dunque, con riferimento alla � pendenza � della causa, la quale va veril�cata secondo le singole norme nazionali. Per quanto riguarda l'ordinamento giuridico italiano, la lit>i.spendenm � disciplinata dall'art. 3.9 del codice di procedura civile, dl quale, con una termino logia simile a quella dell'art. 21 della convenzione, stabilisce che � se una stessa causa � proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito... dichiara la litisp�ndenza �, e precisa che � la prevenzione � determinata dalla notificazione della citazione �. Questa norma, pur dettata per il processo civile ordinario, che viene introdotto con un atto di citazione notificato alla parte convenuta e solo successivamente depositato in Tribunale (per l'iscrizione a ruolo), � stata ritenuta applicabile dalla dottrina e dalla giurisprudenza, quale espressione di un principio generale che ricollega la pengenza della lite alla costituzione del contraddittorio -, anche a quei giudizi che si � propon gono � con ricorso depositato presso n giudice prima ancora della notificazione al convenuto, allorch� la costituzione del contraddittorio sia necessaria (.ad esempio nelle oause in materia di lavoro): anche in tali casi la �proposizione� - RASSEGNA DI..'AVVOCATURA DELLO STATO 914 nella versione francese. Una Lite sarebbe � anhiingig � nel diritto tedesco gi� dal momento della presentazione al giudice della domanda giudiziale. Per contro, ne1l'art. 22 della Convenzione il termine � form�es �, figurante nel testo francese, sarebbe stato tradotto con il termine � erhoben ~ nel testo tedesco. L'attore ne deduce che la Convenzione ha operato una distinzione tra la nozione di proposizione della domanda ai sensi dell'art. 21, per cui � sufficiente il semplice deposito, e la nozione di proposizione della domanda ai sensi dell'art. 22, per cui la lite deve essere definitivamente instaurata a norma del diritto interno dello Stato membro interessato. 8. � Secondo ~�attore, nel diritto tedesco la notifica dell'atto di citazione al convenuto dev'essere effettuata dal giudice ed esula dall'attivit� delle parti. La c�mpetenza del giudice adito non potrebbe tuttavia dipendere da ritardi nella notifica, effettuata dallo stesso giudice. 9. � H convenuto nella causa principale assume che la differenza tra i termini tedeschi usati negli artt. 21 e 22 della Convenzione come equivalenti del termine � form�es � nella versione francese non deve influire sull'interpretazione della Convenzione. A suo avwso, la nozione di domanda proposta ai sensi dell'art. 21 della Convenzione dev'essere interpretata nel senso d'instaurazione definitiva del giudizio e deve valutarsi con riferimento a1la lex fori del giudice adito. 10. � Occorre sottolineare che 1e norme di procedura dei vari Stati contraenti non sono identiche per quel che riguarda la determinazione della data in cui il giudice viene adito. della causa � rilevante ai sensi dell'art. 39, cod. proc. civ., solo in quanto determini -e dal momento hi cui la dete11mma -la pendenza della lite con la notificazione alla parte {;Onvenuta. 3. -Neanche in base alla versione in lingua francese della convenzione sembra che possano sorgere perplessit�. In questa versione, infatti, si parla, nel titolo della sezione, di � litispendance et connexit� '" e nell'art. 21 di � juridiction saisie en second liett � e � tribunal premier saisi �, per cui il rifer�� mento alle domande � form�es devant les juridictdon � appare anch'esso rile� vante in quanto e dal momento in cui si sia determinata una pendenza della lite. 4. -Restano le versioni della convenzione in lingua tedesca e in lingua olandese. Nella versione dn liingua tedesca (e sembra che la terminologia' sii.a parallela in quella olandese), la sezione � intitolata � Rechtshii.ngigkeit und im Zusammenhang stehende Verfahren '" e l'art. 21 parla di causa � anhii.ngig gemacht '" nel qual caso il giudice ". spiiter angerufene � deve spogliarsi della causa. Il giudice tedesco espvime perplessit�, rilevando che nel dimtto proces� suale tedesco la pendenza di una lite si ha con la notificazione dell'atto introduttivo al convenuto e questo concetto si esprime con il termine � Rechts PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 915 11. -.Risulta infatti dalle dnformazioni di diJ:1i:tto comparato fornite alla Corte che in Francia, in Italia, in Lussemburgo e nei Paesi Bassi la lite si considera pendente dinanzi al gdudice a decorrere dal momento della notifica al convenuto della d9manda. In Belgio ha importanza decisiva il riguardo l'iscrizione della causa nel ruolo generale, la quale presuppone, in via cli principio, che l'atto di citazione sia gi� stato notificato al �convenuto. 12. -Nella Repubblica federale di Gerinania, la domanda �, a norma del � 253, n. l, de1la Zivilprozessordnung, proposta a!l momento in cui l'atto di citazione � stato notificato al convenuto. La notifica � effettuata d'ufficio dal gdudice al quale l'atto � stato previamente presentato. La fase procedurale che si colloca tra la presentazione dell'atto al giudice e la notifica si chiama� � Anhlingigkeit �. La presentazione dell'atto di citazione � importante in materia di prescrizione e di rispetto dei termini processuali, ma non determina in nessun caso il momento della litispendenza. Dal combinato disposto del � 253 precitato e del � 261, n. l, della Zivilp:rozessordnung msulta'. che la litispendenza prende vita .a decorrere dalla notifica dell'atto di citazione al convenuto. 13. -Dal raffronto di queste normative emerge che non si pu� desumere una nozione comune della litispendenza dall'accostamento del_!_7 varie norme nazionaLi pertinenti. A maggior ragione non si pu� estendere a tutte le parti contraenti, come vorrepbe l'attore, una concezione propria del diritto tedesco, la quale, per le sue caratteristiche, non pu� essere trasposta negli altri ordinamenti giuridici interessati. hangigkeit �, mentre la � Anhiingigkeit � cui fa riferimento il testo dell'art. 21 indica la proposizione del giudizio nel senso del deposito dell'atto presso il giudice. Di conseguenza, dice il giudice tedesco, pu� essere che la convenzione abbia voluto riferirsi, per stabilire la prevenzione, al momento della presentazione dell'atto al tribunale e non a quello in cui si determina la litispendenza. E ci� tanto pi�, si aggiunge, che nel successivo art. 22 non si parla di � Anhiingigkeit � ma di � Erhebung �, con il quale specificp � il riferimento alla notificazione dell'atto. Riteniamo che il testo tedesco (e cos� pure il testo olandese, che parla di domanda � aanhangig �) consenta letteralmente e logicamente un'intepretazione identica a quella che scaturisce dai testi italiano e francese. Malgrado che il testo parli di domande � anhangig � {e poi nell'art. 22 di domande � erhoben �, mentre in entrambi i casi il testo italiano parla di domande � proposte �, quello francese di domande � form�es " e quello olandese di domande � aanhangdg �), rilevanza� essenziale sembra doversi dare �al concetto di pendenza espresso nel titolo della sezione (� Rechtshangigkeit... �) e alla prevenzione del giudice (das spiiten angerufene Gericht -giudice successivamente adito -juridiction saisie en second lieu) riguardo al momento in �cui si determina la pendenza della �Lite, sicch� la � Anhiingigkeit � � di cui parla la norma assume rilevanza (al pari della � proposizione >>, termine pi� generico RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 916 14. -Si pu� dedurre dall'art. 21, nel suo !insieme, che l'obbligo del giudlice di spogliarsi della competenza in favore di un a.itro giudice esiste solo quando sia assodato che una domanda � stata definitivamente proposta dinanzi al giudice di uno Stato diverso sullo stesso oggetto e tra le stesse parti. Per dl resto, l'art. 21 non fornisce indicazioni sulla natura delle formaliti:. procedurali da prendere in considerazlione al fine di ammettere l'esistenza di tale effetto; in particolare, non fornisce indicazioni sulla questione se la litispendenza risulti dal deposlito di una domanda presso un giudice o dalla sua notifica alla parte interessata. 15. -Poich� la Convenzione non ha lo scopo di unificare queste formalit�, strettamente legate all'organizzazione della procedura giudiziaria nei vari Stati, la questione del momento in cui sussistono i presupposti per una liitispendenza definitiva ai sensi dell'art. 21 deve essere valutata e risolta, per ciascun giudice, in base al suo diritto nazionale. Questo metodci consente ad ogni giudice di stabilire con sufficiente certezza, con riferimento alla propria legge nazionale, per quel che �10 riguarda, ed alla legge nazlionale di qualsiasi altro giudice adito, per quel che riguarda quest'ultimo, l'ordine dli precedenza nel tempo tra pi� domande, proposte conformemente ai requisiti indicati da1la Convenzione. 16. -La questione proposta dall'oberlandesgericht di Monaco di Baviera dev'essere quindi risolta come segue: l'art. 21 della Convenzlione va interpretato nel senso che deve considerarsi � preventivamente adito � il giudice dinanzi al quale sono stati soddisfatti in primo luogo i requisliti ai quali � subordinata la litispendenza definitiva; tali requisiti devono essere valutati in base alla legge nazionale di ciascuno dei giudici interessati. (omissis) adottato dal testo italiano) solo in quanto determini -e dal momento che determina -una pendenza della lite (Rechtshiingigkeit). 5. -Naturalmente le quattro versioni linguistiche devono portare ad una unica interpreta2lione. Dal testo dtaliano e dal testo francese sembra ricavarsi agevolmente l'interpretazione sopraindicata, la quale non appare affatto incompatibile con il testo tedesco e il testo olandese. Una interpretazione ddversa non solo urterebbe contro la versione italiana e francese, ma risulterebbe illogica perch�, pur volendosi indubbiamente disciplinare la � litispendenza � (ldtiispendance, Rechtshangigkeit, Aanhiingigheid) si ancorerebbe la pronuncia di incompetenza del giudice � successivamnte adito" ad un momento (deposito dell'atto in tribunale) che pu� non essere determinante -e sembra non esserlo in alcun ordinamento nazionale -per la pendenza della lite. 6. -Si propone, in conseguenza, di rispondere al quesito posto dal giudice tedesco nel senso che � per stabilire quale giuddce di uno Stato contraente sia stato �adito per primo, ai sensi dell'art. 21 della convenzione di Bruxelles, si deve aver riguardo al momento in cui si determina la pendenza di ciascuna Lite secondo gli ordinamenti giuridici nazionali �. OSCAR FIUMARA PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 917 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 19 g�ugno 1984, nella causa 71/83 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Slynn -Domanda di pronuJ?.cia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassailione belga nella causa soc. Partenrederei m.s. Tilly Russ c. soc. Haven e Vervoerbedrijf Nova -Interv.: Governi del Regno Unito (ag. Howes) e italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Zim� mermann e avv. Van Houtte). Comunit� Europee -Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale -Clausola attributiva di competenza inserita in una polizza di cari�o -Validit� nei rapporti fra il caricatore e il vettore -Validit� nei confronti del terzo portatore. (Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 21 giugno 1971, n. 804 art. 17). 1. -La clausola attributiva di competenza figurante fra le condizioni stampate su una polizza di carico soddisfa i requisiti stabiliti dall'art. 17 della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968: -se il consenso delle due parti circa l~ condizioni della polizza di carico confenenti detta clausola sia stato manifestato per iscritto; � -oppure se la clausola attributiva di competenza abbia costituito oggetto di un precedente accordo verbale fra le parti che la concerne espressamente e di cui la polizza di carico, firmata dal vettore, deve essere considerata la conferma scritta; -oppure se la polizza di carico rientri nell'ambito dei rapporti commerciali correnti fra le parti e sia in tal modo provato che detti rapporti sono disciplinati dalle condizioni generali contenenti tale clausola. 2. -Quanto ai rapporti fra il vettore e il terzo portatore i requisiti stabiliti dall'art. 17 della, Convenzione sono soddisfatti se la clausola attributiva di competenza sia stata riconosciuta valida tra il caricatore e il vettore e, in base al dirittQ nazionale vigente, il terzo portatore, acquistando la polizza di carico, sia subentrato nei diritti e negli obblighi del caricatore (1). (1) Si trascrivono le osservazioni scritte presentate per il Governo italiano, sostanzialmente condivise dalla Corte. La clausola attributiva di competenza nelle polizze di carico. (omissis) 1. -I quesiti posti dal giudice belga alla Corte sono due: a) se, tenendo conto degli usi generalmente vigenti in materia, la polizza di carico rilasciata dal vettore marittimo al caricatore possa essere considerata, aii sensi dell'art. 17 della convenzione di Bn..elles del 27 settembre 1968, un � accordo scritto � ovvero un �accordo confermato per iscritto " fra le parti; b) se, in, caso di risposta affermativa al quesito precedente, ci� valga anche nei confrbnti del terzo portatore della poldzza di cari�o. 918 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) 1. -Con ordinanza 8 aprile 1983, pervenuta in cancelrleria il 28 aprile 1983 la Corte di cassazione belga ha sottoposto a questa Corte in forza del protocollo 3 !W.ugno 1971 relativo all'interpretazione, da parte della Corte di giustizia, della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giu:nisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civhle e commerciale (in prosieguo: la Convemione), una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 17 di detta Convenzione. 2. -La questione � stata sollevata nell'ambito di una lite che oppone la soaiet� anonima belga � Goeminne Hout � (in prosieguo: resistente in cassazione) alla societ� armatrice tedesca � Partenreederei ms: Tilly Russ � e al sig. Ernst Russ, ambedue di Amburgo (in prosieguo: Tilly Russ), e che concerne ila validit� di una clausola attributiva di competenza inserita nelle polizze di carico CT 108 e CT 118 del 16 agosto 1976. Riisulta dal fascicolo che le polizze di carico venivano emesse dalla Tolmar International Inc., Cleveland, in qualit� d'agente dell'Europe Canada Line Ernst Russ North America, Inc., Chicago, per conto del vettore all'ordine deil. caricatore American Lumber International Inc., Union City, Pennsylvail'ia, e indicavano quale � not~fy party� la resistente in cassazione e quale � exporting carrier � la TiiUy Russ. 3. -Poich� all'atto della consegna della merce ad Anversa, il 7 settembre 1976, llimballaggio di due partite risultava dmmeggiato e mancavano una decina di assi, la resistente in cassazione chiedeva la somma di 304 dollal'li USA per risarcimento danni dinanzi al Rechtbank van Koophandel (Tribunale commerciale) del circondario di Anversa. 2. -Quanto al primo quefilto, ricordiamo che la Corte ha ripetutamente affermato, -nelle sentenze 14 dicembre' 1976 (cause 24/76, EsrASIS SALOTTI, in Racc.;'pag. 1831, e 25/76, SEGOURA, in Racc., pag. 1851), 6 maggio 1980 (causa 784/79, PORTA LEASING, in Racc., pag. 1517) e, da ultimo, 14 luglio 1983 (causa 201/82, 'GERLING KONZERN SPEZIALE KREDITVERSICHERUNGS, dn Racc., pag. 2503: la sentenza � ora pubblicata in questa Rassegna, 1983, I, 676) -, che il requisito della forma scritta stabmto dall'art. 17 della Convenzione � inteso a garantire che il consenso delle parti; le quali, mediante la proroga di competenza, der<> g�ano ai principi generali in materia di competenza sanciti dagli artt. 2, 5 e 6 della Convenzione, sia manifestato in maniera chiara e precisa e sia effettiva� mente provato. � Se, dunque, la clausola contenuta nella polizza di carico ha un contenuto inequivoco, indicando chiiaramente il giudice in cui favore � disposta la proroga, ed � facilmente conoscibile dalle parti, -e il relativo accertamento di fatto � ovviamente di competenza del giudice naziomrle dinanzi al quale � proposta la causa -, deve ritenersi che essa integri l'accordo scritto di cui all'art. 17 della Convenzione di Bruxelles. Infatti la polizza di carico, che � titolo rappresentativo delle merci e documento probatorio del contratto di trasporto, � emesso in due originali: l'uno, ritenuto dal vettore, e non trasferibile, sottoscritto dal caricatore o da un suo rappresentante; l'altro, rilasciato al cari- l i I I I I ' PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 919 4. -La Tilly Russ eccepiva l'incompetenza del giudice di Anversa in quanto sul retro di ogni polizza figurava una clausola attributiva di competenza che recitava: � any dispute arising under this bill of lading shall be decided by the Hamburg courts � (competente a conoscere di qualsiasi controversia attinente alla presente polizza � il foro di Amburgo). 5. -Ci� nonostante, con sentenza 31 ottobre 1978, il Tribunale di Anversa si dichiarava competent~ ed accoglieva la domanda della Goeminne Hout; pOlich� detta sentenza veniva confermata con sentenza 7 ottobre 1981 dallo Hof van Beroep (Corte d'appello) dii Anversa, il 1� marzo 1982 la Tilly Russ ricorreva per cassazione. 6. -La Corte di cassazione ha chiesto alla Corte di giustizia delle Comunit� Europee di pronunciarsi in via .pregiud�ZI�ale sulla seguente questione: � Se, tenendo conto degld usi generalmente vigenti in materia, la polizza di carico rilasciata dal vettore mal1ittimo _al caricatore possa essere considerata, ai sensi dell'art. 17 della Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale, e l'esecuzione delle decisioni in materna civile e commerciale, una " olausola ... scritta " OVvero una " clausola ... confermata per iscritto " fra le parti e, in caso affermativo se ci� valga anche nei confronti del terzo portatore della polizza di carico�. catore, e normalmente trasferibile, sottoscritto dal vettore, ovvero dal raccomandatario o dal comandante della nave in nome del vettore (cfr., �nell'ordinamento giuridico italiano, gli attt. 458 e 463 del codice della navigazione). V'� dunque un incontro delle volont� delle partii e la sottoscrizione dell'accordo da parte di entrambe. 3. -Il secondo quesito si riferisce ad una situazione che presenta un certo parallelismo c�n quella dedotta nella causa 201/82, risolta con la sentenza 14 luglio 1983 sopracitata. Ivi si discuteva della possibilit� da parte del terzo beneficiario del contratto di far valere la clausola di proroga della competenza sottoscritta dalle sole parti del contratto e non dal terzo stesso. E la Corte, anche indipendentemente dal disposto dell'art. 12 della convenzione in materia di assicurazione (richiamato solo per conferma), ha precisato che �l'art. 17 della convenzione, imponendo il requisito della forma scritta fra le parti, non ha lo scopo, n� l'effetto, di subordinare alla stessa condizione di forma la facolt�, per il terzo bene� ficiario del .contratto, di far valere, in una lite che Io opponga all'assicuratore, la clausola attributiva di competenza stipulata in suo favore �. Invero, aveva osservato il Governo italiano, nel contratto a favore di terzo, il terzo il quale intenda profittare della stipulazione m suo favore acquista i diritti che deri� vano dal contratto senza bisogno di alcuna accettazione per il solo effetto della stipulazione intervenuta fra le parti; e come egli si giova automaticamente dei benefici pattuiti fra altri e pu� agire per ottenere la soddisfazione dei diritti �he il contratto gli attribuisce, cos� egli pu� giovarsi anche della clausola che 7 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 7. -La questione va intesa nel senso che essa mira a stabilire se la clausola attributiva di competenza inserita nelle polizze di carico risponda ai requisiti posti dall'art. 17 della Convenzione per quanto concerne in primo luogo il rapporto tra �l caricatore ed il vettore ed in secondo luogo il rapporto tra il vettore e il terzo portatore. Sulla prima parte della questione 8. -Secondo la ricorrente e la Commissione delle Comunit� Europee, l'art. 17 della Convenzione va interpretato nel senso che la clausola attributiva di competenza, qualora non sia stata espressamente accettata dal caricatore e dal vettore, non � valida ai sens� di questa disposizione. 9. -La Commissione aggiunge tuttavia che tale clausola, anche se non � stata firmata dal caricatore, pu� nondimeno essere valdda ai sensi dell'art. 17 della Convenzione purch� esistano fra le due parti rapporti commerciali correnti. 10. -Il Governo italiano l1itiene che la polizza di carico sia un documento comprovante l'esistenza del contratto di trasporto e che pertanto la clausola attributiva di competenza costituisce un accordo verbale confermato per iscritto. Se ila clausola � stata sottoscritta dalla parte contro la quale � invocata e fa parte delle condizioni generali del contratto, essa pu� essere conforme all'art. 17 della Convenzione. Tuttavia spetterebbe al giudice na2lionale verificare se vi sia una sottoscrizione nel senso sopra indicato ed in quale modo la clausola attributiva di competenza sia stata inserita nella polizza di carico. gli consente di ricorrere ad un particolare giudice, senza che sia necessario, per l'esercizio chi tale facolt�, la sottoscrizione o la conferma per iscritto della clausola stessa. Mutatis mutandis, la soluzione sembra dover essere conforme anche nel caso del terzo portatore della polizza di carico: e ci� sia che la clausola venga invocata dal terzo, sia che essa venga invocata nei confronti del terzo. In effetti, l'originale della polizza di carico pu� essere trasfe:riito dal caricatore a un terzo nelle forme �onsentite dall'ordmamento e il possessore di esso, come � legittimato per l'esercizio del diritto men2lionato nel titolo (in base alla presentazione del titolo stesso o a una serie continua di-girate ovvero per effetto dell'intestazione � a suo favore, a seconda che il titolo sia al portatore, all'ordine o nominativo) nelle stesse condizioni in cui si trovava il caricatore (salve le eccezioni personali al possessore stesso), cosi � soggetto agli obblighi ed alle limitazioni o soggezioni che dal titolo stesso derivano, purch� appaiano chiaramente e inequivocabilmente dal tenore letterale del titolo medesimo. A garan2lia del terzo possessore, come pure delle stesse parti o di quella in cui favore la proroga di competenza � stata stabilita, sono da consi� derare sufficienti i requiSiiti di ordine generale di chiarezza e inequivocit� del patto di proroga indicati in precedenza. (omissis) OSCAR FIUMARA I II PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 921 11. -All'udienza il Governo britannico, dopo aver insistito sul carattere fondamentale del problema sollevato, ha suggenito che la questione del giudice nazionale sia riformulata nel seguente modo: se la clausola attrtibutiva di competenza sia stata inserita neJJla � polizza cli carico in modo tale da dimostrare che vi era un reale accordo tra le due parti, anche c~n riguardo al principio della buona fede. Secondo il Governo britannico, tale questione pu� essere risolta solo se si conoscono gli antefatti specifici della causa principale; ora poich� questi f�tti non sono stati accertati nel caso presente, occorre evitare di forare una soluzione generale a questa prima questione poich� vi sono pi� soluzioni possibili e lasciare al giudice nazionale la cura di definire pi� precisamente la natura della polizza di carico. 12. -Occorre in primo luogo ricordare che a tenore dell'art. 17, 1� comma, della Convenzione attualmente vigente � qualora, con clausola scritta, o con clausola verbale confermata per iscritto, le parti, di cui almeno una domiciliata nel territorio dello Stato contraente, abbiano convenuto la competenza di un giudice o dei giudici di uno Stato contr11ente a conoscere delle controversie, presenti o future, nate da un determinato rapporto giuridico, la competenza esclusiva spetta al giudice o ai giudici di quest'ultimo Stato contraente �, 13. -Si deve rilevare preliminarmente che per l'applicazione dell'art. 17 della Convenzione � necessario che almeno una delle parti sia domiciliata nel territorio di uno Stato contraente, fatto che spetta al giiudice nazionale accertare. 14. -Come la Corte ha dichiarato nelle sentenze 14 dicembre 1976 (cause 24/76, ESTASIS SALOTTI, Racc. pag. 1831, e . 25/76, SEGOURA, Racc. pag. 1851) e 6 maggio 1980 (causa 784/79, PORTA LEASING, Racc. pag. 1517), le condizioni alle quali l'art. 17 subordina la validit� deMa clausola attributiva di competenza vanno interpretate restrittivamente poich� l'art. 17 � iinteso a garantire che il consenso delle parti le quali, mediante la proroga di competenza, derogano ai principi generali in materia di competenza sanciti dagli artt. 2, 5 e 6 della Convenzione, sia effettivamente provato e sia manifest~to in maniera chiara e precisa. 15. -Per stabilire se le condizioni poste dall'art. 17 siano soddisfatte, � opportuno esaminare separatamente se il consenso delle parti sull'attribuzione di competenza sfa stato espresso sotto forma di clausola scritta o sotto forma di clausola verbale confermata per iscritto. 16. -In primo luogo occorre constatare che, trattandosi di una clausola attributiva di competenza figurante fra le condizioni stampate sulla poliizza di carico firmata dal vettore, il reqUI�sito della � clausola scritta � ai sensi dell'art. 17 della Convenzione � rispettato solo se il caricatore RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 922 abbia espresso per iscritto il proprio consenso quanto alle condizioni contenenti detta clausola, o sullo stesso documento di cl11i trattasi o in un documento separato. Si deve aggiiungere che il semplice fatto che sul retro del modulo della polizza di carico sia stampata una clausola attributiva di competenza non soddisfa i requisiti di cui all'art. 17 della Convemiione, poich� nessuna garanzia viene fornita da tale procediimento che la controparte abbia effettivamente aderito alla clausola che deroga alle norme generali della convenzione in fatto di competenza. 17. -In secondo luogo occorre constatare che se fosse previsto che la clausola attributiva di competenza figurante tra le condizioni stampate sulla polizza dii carico ha costituito oggetto di un precedente accordo verbale tra le due part� che la concerneva espressamente e di cui la polizza di carico, firmata dal vettore, dev'essere considerata la conferma scritta, questa clausola soddisferebbe i requisiti di cui all'art. 17 della Convenzione, anche se non fosse firmata dal caricatore e recasse quindi soltanto la firma del vettore. In tal modo, dnfatti, viene rispettata non solo la lettera dell'art. 17, che contempla espressamente fa possibilit� di un accordo orale confermato per iscritto, ma anche la sua funzione, che consiste nel garantire che il consenso tra le due parti sia effettivamente provato. 18. -Infine, tale clausola attributiva di competenza non firmata dal caricatore pu� soddisfare i requisiti di cui all'art. 17 della Convenzione anche in assenza di un precedente accordo verbale ad essa relativo a condizione, per�, che l'emissione della polizza di carico rientri nell'ambito dei rapporti commerciali correnti tra il caricatore ed il vettore e qualora sia in tal modo provato che detti rapporti sono disciplinati, nel loro insieme, dalle condizioni generali dell'autore della conferma scritta, nel caso presente il vettore (si veda la sentenza Segoura sopra memiionata), contenenti detta clausola attributiva di competenza, e che le p~lizze di carico sono tutte redatte su moduli prestampati che contengono sistematicamente tale clausola attributiva di competenza. In una situazione del genere sarebbe contrario alla buona fede negare l'esistenza dii una proroga di competenza. 19. -Di conseguenza, la prima parte della questione sollevata deve essere risolta nel senso che la clausola attributiva di competenza figurante fra le condizionl�. stampate su di una polizza di carico soddisfa i requisiti stabiliti dall'art. 17 della Convenzione: -se il consenso delle due parti circa le condizioni della polizza di carico contenenti detta clausola sia stato manifestato per iscritto; -oppure se la clausola attributiva di competenza abbia costitl11ito oggetto di un precedente accordo verbale fra le parti che la concerne PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE espressamente e di cui la polizza di carico, firmata dal vettore, dev'essere considerata la conferma scritta; -oppure se la polizza di carico rientri nell'ambito dei rapporti commerciali correnti fra le parti e sia in tal modo provato che detti rapporti sono disciplinati dalle condiziond generali contenenti tale clausola. Sulla seconda parte della questione 20. -Per quanto :riiguarda la validit� della clausola attributiva di competenza nei rapporti tra il vettore e il terzo portatore, la resistente in cassazJione e fa Commissione ritengono che, se il terzo portatore non ha firmato la polizza di carico, la clausola attributiva di comp�tenza ivi contenuta non possa essergli opposta perch� l'accordo fra le due parti non sussiste. 21. -Secondo la Commissione, si pu� derogare a questa regola solo se nell'ordinamento giuridico nazionale linteressato esista una teoria della cessione secondo la quale il caricatore cede i suoi diritti e obblighi al terzo portatore. 22. -I Governi della Repubblica italiana e del Regno Uruito osservano che la clausola attributiva di competenza, in quanto sia valida tra il caricatore ed il vettore, deve esserlo anche neli confronti del terzo portatore della polizza di carico, essenzialmente per la ragione che quest'ultimo, acquistando la polizza di carico, pu�, certo, esercitare i diritti ivi menzionati, ma � parimenti soggetto agli obblighi ed alle Hmitazioni che ne derivano; i due Governi basa.o la loro tesi sulla sentenm della Corte 14 luglio 1983 (causa 201/82, Gerling Konzern, Racc. pag. 2503). 23. -Occorre in pr.imo luogo constatare che la sentenza nella causa GerHng Konzern si riferiva a1la possibilit�, per un terzo rispetto a un contratto di assicurazJione, beneficiario di una stipulazione a favore di terzi da parte dell'assicurato, di tinvocare la clausola attributiva di competenza nei confronti� dell'assicuratore, clausola ispirata, come ha rilevato la Corte, dalla preoccupazione di tutelare l'assicurato, il quale � � la persona economicamente pi� debole �. Le stesse consl�derazioni non sono necessariamente pertinenti nell'ambito del trasporto marittimo. 24. -Qualora la clausola attributiva di competenza inserita in una polizza di carico sia valida ai sensi dell'art. 17 della Convenzlione nel rapporto tra il caricatpre ed il vettore e il terzo portatore, acqwistando la polizza di carico, sia subentrato al caricatore nei suoi diritti ed obblighi in forza del vigente diritto nazionale, non sl� pu� consentire al terzo portatore di sottrarsi all'obbligo derivante, in materia di foro, dalla polizza di carico perch� non ha dato il proprio consenso a quest'ultima; RASSEGijA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO infatti, ci� esulerebbe dallo scopo dell'art. 17, che mira a privare di efficacia le clausole contrattuali che rischiano di passare inosservate. 25.. In effetti, nell'ipotesi sopra prospettata l'acquisto della pooizza di carico non pu� attribuire al terzo portatore pi� diritti di quanti ne aveva il caricatore. Il terzo portatore diventa cos� tli.tolare ad un tempo di tutti i diritti e di tutti gli obblighi derivanti dalla polizza di carico, compresi quelli relatiivi alla proroga di competenza. 26.. Da tutto quanto precede risulta che da seconda parte della questione sollevata va risolta nel senso che i requisitli stabiliti dall'art. 17 della Convenzione sono soddisfatti, trattandosi' di una clausola attributiva di competenza insenita in una polizza di cavico, allorch� questa clausola sia stata riconosciuta valida tra il caricatore ed !il vettore e, in base al diritto nazionale vigente, il terzo portatore, acquistando la polizza di carico, sia subentrato nei suoi diritti e negli obblighi del caricatore. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 11 luglio 1984, nella causa 51/83 � Pres. Mackenzie Stuart� Avv. Gen. Lenz � Commis� sione delle C.E. (ag. Prozzillo) c. Repubblica italiana (avv. Stato Braguglia). Comunit� Europee � Inadempimento di uno Stato membro � Procedimento di infrazione � Fase precontenzlosa � Lettera di intimazione � Delimi� tazione della materia del contendere. (Trattato CEE, art. 169). Comunit� Europee � ;Libera circolazione delle merci � Misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione � Gelatina ani~ male in prodotti dolciari importati. (Trattato CEE, artt. 30 e 36; direttive del Consiglio 18 giugno 1974, n. 74/329/CEE, artt. 2, 4 e 9, e 18 dicembre 1978, n. 79/112/CEE, art. 6, n. 5; decreti ministeriali 20 ottobre 1978 e 14 aprile 1983). Nel procedimento per inadempimento di cui all'art. 169 del Trattato CEE la lettera di intimazione ha lo scopo di circoscrivere la materia del contendere e di fornire allo Stato membro invitato a presentare le sue osservazioni i dati che gli occorrono per predisporre la propria difesa: l'osservanza di tale garanzia � un presupposto della ritualit� della proce� dura per la dichiarazione della trasgressione di uno Stato membro (1). (1) Conformi le sentenze della Corte, citate in motivazione, 17 febbraio 1970, nella� causa 311/69, Commissione c. Italia, in Racc., 1970, 25, e 15 dicembre 1982, nella causa 211/81, Commissione c. Danimarca, in Racc., 1982, 4547, con la quale ultima � stato anche precisato, in conseguenza, che �poich� l'oggetto del ricorso f proposto ai sensi dell'art. 169 viene .stabildto dal parere mollivato della Com� f: mj.ssione, i due atti devono essere basati� sui medesimi motivi e mezzi �, ' ~ ~ f. ' I� f ! f ' PARTE I, SEZ, II, GlURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 925 La Repubblica italiana, limitando l'importazione dei prodotti dol� ciari contenenti una quantit� di gelatina animale superiore all'l %, legal� mente fabbricati e posti in commercio in altri Stati membri, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 30 del Trattato CEE (2). (omissis) 1. � Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 29 marzo 1983, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far constatare che la Repubbli�a italiana, Jimitando l'importazione di prodotti dolciari, di carni cotte e di gelati alimentari contenenti gelatina animale, legalmente fabbricati e posti in commercio in altri Stati mem� bri, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 30 del Trattato CEE. Sulla ricevibilit� 2. � La Repubblica italiana rileva che la lettera 24 marzo 1982, con cui la Commissione la invitava a presentare Je sue osservazioni sul� l'inadempimento che Je veniva contestato, si riferiva solo alla limitazion~ dell'dmpiego della gelatina nelle cara~elle mentre il parere motivato della Commissione del 24 novembre 1982, come pure il ricorso di cui la Corte � investita, si estendono, inoltre, a tutti li prodotti dolciari, alle carni i::otte e ai gelati. 3. -Va ricordato che, in forza . dell'art. 169 del Trattato, fa Com� misslione pu� proporre alla Corte di giustizia un ricorso per inadempi� mento solo se lo Stato interessato non si conformi al parere motivato nel termine ivi da essa fissato. Essa emette il parere motivato solo dopo aver posto lo Stato membro interessato in condizioni di presen� tare le sue osservazioni. 4. -Dalla funzione assegnata a tale fase precontenziosa del procedimento per !inadempimento, sii desume che la lettera di intimazione ha lo scopo di circoscrivere la materia del contendere e_ di fornire allo Stato membro invitato a presentare le sue osservazioni i dati che gli occorrono per predisporre la propria difesa. (2) Quanto alla giurisprudenza della Corte secondo la quale l'esigenza della tutela del consumatore pu� essere soddisfatta adottando mezzi appropriati che ostacolino il meno possibile il flusso degli scambi, quali ad esempio l'adeguata informazione del consumatore stesso, cfr. la sent. 19 febbraio 1981, nella causa 130/81, KEl.DERMANN, �n Racc., 19811, 527, e, da ultimo, con :!1iguardo all'etkhet� tatura dei vini, la sentenza 13 marzo 1984, nella causa 16/83, PRANn., in questa Rassegna, supra, pag. 902. 926 RASSEGNA DEIL'AWOCATURA DELLO STATO 5. -Come la Corte ha dichiarato nelle sentenze 17 febbraio 1970 (causa 31/69, Commissione c. Italia, Racc. pag. 25) e 15 dicembre 1982 (causa 211/81, Commissione c. Regno di Danimarca, Racc. pag. 4547), poich� la facolt� concessa allo Stato membro interessato di presentare le sue osservazioni CO$tituisce -anche se esso preferisce non servirsene -una garanzia fondamentale voluta dal '.frattato, l'osservanza di tale garanzda � un presupposto della ritualit� della procedura per la dichiarziione della trasgressione di uno Stato membro. 6. -Dai documenti agli atti risulta che, con la lettera di intimazione 24 marzo 1982, :la Commissione ha specificato che l'tinadempimento contestato alla Repubblica dtaliana consisteva nella limitazione dell'uso della gelatina alimentare nella fabbricazione e nella messa in commercio di prodotti dolciari. Dopo le osservazioni del Governo italiano al riguardo, la Commissione, col parere motivato del 24 novembre 1982, seguito dal presente ricorso, ha ampmato l'ambito degli addebiti mossi alla Repubblica italiana aggiungendovi le carni cotte e li gelati, violando cos� iJ proprio obbligo di garantire il rispetto dcl diritto alla difesa del Governo italliano. 7. -Tale irregolarit� non pu� ritenersi sanata per il fatto che la Repubblica italiana ha, in seguito, formulato osservazioni sul parere moti� vato del 24 novembre 1982. 8. -Ne consegue che il ricorso � ricevibile solo nella misura in cui verte sulla limitazione dell'uso d�IJ.a gelatina animale nei prodotti doldari e va respinto in quanto irricevibile per il resto. 9. -Il Governo italiano fa valere poi che, con decreto ministeriale 14 aprile 1983 (G. U. 4 maggio 1983), la limitazione dell'uso della gela� tina alimentare nelle caramelle � stata soppressa. Esso sostiene che, dli conseguenza, � l'interesse della Commissione alla decisione del ricorso dovrebb� esser venuto meno �. 10. -Al riguardo occorre rilevare che il succitato decreto ministeriale riguarda solo le caramelle, e non concerne, pertanto, gli altri prodotti dolciari. La Commissione mantiene quindi un interesse alla prosecuzione de1l'azione. Nel merito 11. -Va ricordato che J'art. 30 del Trattato vieta le misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importaz~one di prodotti. legai� mente fabbricati e mesS!i in commercio in altri Stati membri. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 12. -Il Governo italiano sostiene, lin primo luogo, che l'uso della gelatina ailimentare si trova disciplinato da1la direttiva del Consiglio 18 giugno 1974, n. 74/329, �relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stat:Ji membri concernenti gli� emulsionanti, gli stabilizzanti, gli addensanti e i g~lificanti che possono essere impiegati nei prodotti alimentari � (G. U. n. L 189, pag. 1), che introduce una libert� totale, da parte degli Stati membri, di adottare i provvedimenti ritenuti necessari senza che essi siano, di conseguenza, tenut:Ji ad osservare ili. divieto contenuto nel disposto dell'art. 30 del Trattato. 13. -Tale argomento va respinto. Anche se la gelatina alimentare viene menzionata nella diirettiv~ del Consiglio n. 74/329, non risulta da alcuna delle sue disposizioni che g�i Stati membri siano dotati di tale libert� da potersi scostare dal divieto di cui all'art. 30 del Trattato nel� l'adozione di provvediimeriti relativi all'uso della gelatina animale. 14. -Il Governo dtaliano fa poi valere che le disposizioni nazionali contestate mirano a soddisfare all'esigenza imperativa della tutela del consumatore che potrebbe essere indotto in inganno circa la consistenza dei prodotti conservati se la gelatina potesse essere impiegata in maniera illimitata nella loro composizione. 15. -Va tuttavia rilevato al riguardo, in conformit� ad una costante giurisprudenza della Corte, che � possibile agli Stati membri soddisfare a tale esigenza imperativa adottando mezzi appropriati che ostacolino il meno possibile hl flusso degli scambi fra Stati membri, quale ad esempio l'adeguata informazione del consumatore.� 16. -Il Governo italiano sostiene inoltre che i provvedimenti nazionali contestati sono necessari alla protezione deLla salute pubblica, tenuto conto del pericolo rappresentato da un impiego i1filmitato di gelatina animale nei prodotti alimentari. 17. -Va constatato al riguardo che il Governo italiano non adduce, a sostegno di tale assunto, alcuna prova o indizio che consenta di stabilire l'esistenza di un pericolo reale incombente sulla salute pubblica a seguito dell'impiego di gelatina animale in misura superiore all'l % fissato dai provvedimenti contestati. 18. -Va pertanto constatato che la Repubblica italiana, limitando l'importazione dei prodotti dolciari contenenti gelatina animale in quant: Jit� superiore all'l %, legalmente fabbricati e posti in commercio in altri Stati membri, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti [n forza dell'art. 30 del Trattato CEE. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Ja sez., 12 luglio 1984, nella causa 261/83 � Pres. Koopmans � Avv. Gen. Verloren van Themaat -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte del :lavoro di Liegi nella causa Castelli c. Office natli.onal des pensions pour travaiJleurs salaries (0.N.P.T.S.) � Interv.: Governi del Regno unito (ag. Dagtoglou) e italiano (avv. Stato Fiumara) c. Com� missione delle C.E. (ag. Griesmer). Comunit� Europee � Libera circolazione delle persone � Reddito garantito alle persone anziane � . Parit� di trattamento. � (Regolamenti CEE del Consiglio 14 giugno 1971, n. 14911, artt. 1, 2, 3 e 4, e 15 ot� tobre 1968, n. 1612, artt. 7 e 10). L'art. 7, n. 2, del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, re,lativo alla libera circolazione dei lavoratori nell'ambito della Comunit� va interpretato nel senso che la concessione di un vantaggio sociale,� quale il reddito garantito alle pensane anziane dalla legge di uno Stato membro, agli ascendenti a carico del lavoratore non si pu� far dipendere dall'esistenza di un accordo di reciprocit� fra questo Stato membro e quello di cui l'ascendente � cittadino (1). (omissis) 1. � Con sentenza 4 novembre 1983, pervenuta in cancelleria il 21 novembre 1983, la Cour du travail di Liegi ha sottoposto a questa Corte, in forza dell'art. 177 del Trattato CEE, tre questioni pregiudiziali vertenti, in sostanza, sull'interpretazione del regolamento del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo al!l'applica.iione dei regimi di previdenza sociale ai ilavoratori s~borddnati ed ai loro familiari che si spostano nell'ambito della Comunit� (G.U. n. L 149, pag. 2) e del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori nell'ambito .della Comunit� (G.U. n. L 257, pag. 2), in relazione all'applicazione della legge belg~ 1� aprile 1969 istli.tutiva di un reddito garantito per le persone anziane. (1) La Corte ha risposto -in senso conforme alle osservazioni dcl Governo italiano -solo ad uno dei quesiti posti dal giudice belga precisando che .la risposta data � dovrebbe essere sufficiente per consentdre al giudice di rinvio di pronunciarsi nella cau8a principale >>, sicch� � non � necessario esaminare la questione del se, nella situazione considerata, una cittadina di uno Stato membro possa pretendere, in forza del reg. 1408/71, il reddito garantito alle persone an2liane dalla legislazione di un altro Stato membro, sia in quanto familiare di un lavoratore migrante stabilito in tale Stato, sia in quanto essa stessa beneficiaria di una prestazione di previdenza sociale nel suo Stato di origine � (le sentenze della Corte 30 settembre 1985, nella causa 32/75, CRISTINI, e 14 gennaio :1982, nella causa 65/81, REINA, sono pubblicate in questa Rassegna, 1975, I, 822, e 1982, I, 70, con note). 929 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 2. . Le suddette questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia fra la signora Castelli e l'Office National des Pensions des Travailleurs Salari�s (0.N.P.T.S.). 3. -La signora Castelli, oittadina italiana, fruisce in Italia di una pensione parziale di riversibilit�. DaJ maggio 1957 essa iii.siede nel Belgio presso il figlio, che � titolare di una pensione di anzianit� belga. La signora Castelli non ha mai lavorato in Belgio. 4. � Con provvedimento in data 22 dicembre 1978, l'O.N.P.T.S. rifiutava alla Castelli il beneficio del reddito garantito a1le persone antiane ai sensi della legge 1� aprile 1969, in quanto la richiedente, non avendo la cittadinanza belga, non essendo cittadina di un paese con cUI� il Belgio ha concluso in materna un accordo di reciprocit� e non fruendo di una pen� sione di anzianit� o cli reversibilit� a carico del Belgio, non soddisfaceva requisiti sta,biJ.iti dall'art. 1 della suddetta legge. 5. -La signora Castelli .impugnava il mfiuto dell'O.N.P.T.S. dinanzi al Tribunail du travail di Liegi, il quale, con sentenza 23 maggio 1980, respin� geva il ricorso. L'interessata interponeva allora appelilo dinanzi alla Cour du travail di Lle~, sostenendo che la condizione della reciprocit� posta dalla legge belga era in contrasto col diritto comunitario. Peraltro proprio sui quesiti cui la Corte non ha dato risposta si erano accese ae discussioni pi� interessanti, con la prospettazione di soluzioni opposte. Riteniamo opportuno riportare un estratto della discussione orale sul punto svolta per il Governo italiano. � REDDITO GARANTITO ALLE PERSONE ANZIANE: PARITA DI TRATTAMENTO 1. -(omissis) Nelle varie osservazioni scritte che sono state presentate nella presente causa, � stato trattato in via prevalente il quesito posto dal giudice . nazionale belga con il quale si � chiesto se, a.i fini del godimento in Belgio del � reddito garantito " per le persone anziane, la posizione di chi gode di una pensione sociale in Italia (o in altro Stato membro diverso dal Belgio) sia assimilabile a quella di chi gode di una pensione sociale belga). Ci tratta, invero, del punto pi� complesso e controverso della questione. a) Base di partenza per la soluzione della questione ci sembra essere quanto � stato gi� affermato dalla Corte nella sentenza FRIU.I (22 giugno 1972, causa 1/72, in Racc., 1972, 457) circa la duplice funzione che assolve la legge belga: una, consistente nel garantire un minimo di mezzi di sussistenza a chi non sia coperto da un sistema di previdenza sociale; una seconda, consi� stente nel garantire un reddito complementare a beneficiari di prestazioni previdenziali insufficienti. b) Da questa prima considerazione ne scatwiisce una seconda. Nei confronti di un lavoratore (e qui parldamo di un lavoratore belga, che ha lavorato in Belgio), la legislazione sul �reddito garantito� si applica indipendentemente dal fatto che egli goda o meno di una penSlione sociale. Tale legislazione mira a garantire al lavoratore (ed\ eventualmente anche a chi .non ha lavorato: ma questo qui non ci interessa) un minimo tenore di vita. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 6 .. � -Ritenendo che, per emanare la propria sentenza, era necessaria una pronunzia di questa Corte, la Cour du travail di Liegi fo ha sottoposto le seguenti questiorui: �a) Se, tenuto conto del princo.p10 di parit� di trattamento posto dai regolamenti comunitari in materia di previdenza sociale, la mancanza di un accordo di reciprocit� tra due Statii membri della Comunit� possa porre ostacolo alla concessione del reddito garantito alle persone anziane allorch� la richiedente, bench� non abbia rrmi avuto la qualit� di lavoratrice dipendente sul territorio dello Stato in cui essa risiede al momento dehla domanda, abbia maturato la durata minima di residenza richiesta dalla normativa giuridica di questo Stato per la concessione della presta7lione sollecitata, sia a carico del figlio che ha lavorato in Belgio e ivi ha fruito del regime della pensione di vecchiaia anticipata o � pensionato, e benefici di una pensione parziale a carico del suo paese d'origine, l'Italia, paese membro della CEE, in forza del regime italiiano per lavoratori dipendenti. b) Se, tenuto conto del godimento da parte dell'appe1Iante di una pensione parziale in forza del regime italiano, il suo caso possa essere equiparato a quello di una persona che fruisce in Belgio di una pensione e) Dati questi presupposti, dobbiamo ritenere che tale legislazione trovi applicazione in favore di qualunque lavoratore, cittadino di uno degli Stati membri, che abbia lavorato in Belgio, iiindipendentemente dal fatto che egli goda o non goda :in tale paese di una pensione sociale: se cos� non fosse vd sarebbe una chiara disparit� di trattamento fra lavoratori belgi che abbiano lavorato in Belgio e lavoratori di altri paesi comunitari che anch'essi hanno lavorato in Belgio; e ci� � incompatibile con il principio della parit� di tratta� mento� voluta dal Trattato. d) Di conseguenza non pu� richiedersi come requisito per l'applicazione della legislazione di cui si tratta nei confronti di un lavoratore comunlitario non belga, che abbia lavorato in Belgio, il godimento da parte di esso di una prestazione previdenziale belga (in quanto tale requdsito non � richiesto per i lavoratori belgi). � vero che la Corte di giustizia -con la gi� richiamata sentenza PRILLI -ha fatto riferimento a � un lavoratore subordinato o assimi� lato che abbia svolto periodi lavorativi in Belgio, ivi risieda e ivi goda di una pensione sociale'" ma con tale riferimento -in particolare quello del godimento di una pensione sociale -si volevano indicare i� presupposti della fattispecie decisa, non i requisiti 'indispensabili per l'equiparazione del lavoratore straniero al lavoratore nazionale. Riteniamo cio� che il principio affermato dalla Corte nella sentenza F1m.u, disancorato dalla fattispecie� allora decisa, debba essere ietto in senso pi� ampio e cio�: �iii reddito garantito previsto da norme di carattere generale di uno Stato membro, le quali attribuiscono alle persone anziane residenti un minimo di pensione, va considerato, per quanto riguarda i lavoratori subordinatd e assimilati, che hanno lavorato nello Stato di cui trattasi, come una prestazione di vecchiaia�, con una sostituzione -cio� -dell'inciso � che godano nello Stato di cui trattasi del diritto alla pensione � con l'dnoiso �.che hanno lavorato nello Stato di cui trattasi �. I i I I . I PARTE I, SEZ. II, GIURI$. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 931 parziale belga di anzianit� o di reversibilit�, che giustifichi la concessione del complemento costituito dal reddito garanmto alle persone anziane. e) Se l'appellante possa essere considerata familiare, ai sensi dei regolamenti comunitari, in particolare nn. 1408/71 e 1612/68, del figlio che in Belgio ha svolto attivit� lavorativa subordinata, ha fruito del regime di pensione di vecchiaia anticipata e gode infine della normale pensione di vecchiaia�. 7. � Le suddette questioni riguardano la situazione d[ una cittadina di uno Stato membro, fa quale fruisce di una prestazione di previdenza sociale in tale Stato e si � trasferita in un altro Stato membro, in cui ,non ha mai lavorato e dove vive a carico del figlio, a sua volta titolare dii una prestazione di previdenza sociale in questo secondo Stato. Il giudice a quo mira in sostanza a stabilire se l'interessata possa pretendere il beneficio del reddito garantito alle persone anziane contemplato dalla legislazione di tale secondo Stato, o quanto meno della differenza fra .. detto reddito e l'importo meno elev:ato della prestazione previdenziale corrisposta dal primo Stato membro, sia a titolo di prestazione di vecchiaia ai sensi del summenzionato regolamento n. 1408/71, sia a titolo di vantaggio sociale ai sensi del regolamento del Consiglio n. 1612/68, anch'esso sopra menzionato. E ci� ripetiamo, perch� se il godimento di una pensione non � richiesto per il lavoratore nazionale, non si vede perch� un siffatto godimento dovrebbe essere richiesto per il lavoratore di altro Stato membro. Avremmo, in caso con� trarlo, l'assurdo che il lavoratore straniero il quale abbia lavorato nello Stato di. cui si tratta per un notevole periodo, senza per� maturare il diritto a pen� sione, si vedrebbe escluso dal beneficio del reddito garantito sol perch� non ha maturato la pensione! E questo sarebbe senza senso. 2. -Vediamo ora che cosa pu� avvenire se 1a persona che, risiedendo in uno Stato membro, richieda il reddito garantito ivi previsto per le persone anziane abbia s� la qualifica di lavoratore (o assimilato), ma ci� in dipendenza di un'attivit� lavorativa svolta in altro Stato membro. A nostro avviso la saluzione del problema non pu� cambiare. Tale persona ha acquisito nell'ambito della Comunit� lo status di lavoratore e in forza di questo status egli deve godere in ogni parte della comunit� dello stesso trattamento che ad lavoratori � fatto, proprio in quanto lavoratori, da ciascuno Stato membro. Se la legislazione di uno Stato membro gar�ntisce ai propri lavoratori anziani, che hanno cessato la loro attdwt� lavo1mtiva, un minimo di reddito, cio� un minimo tenore di vita, e oi� appunto per il solo loro status acquisito, sembra giusto e conforme allo spirito del trattato che quella legislazione trovi applicazione nei confronti di qualsivoglia persona che quello status ha acquisito in ogni altra parte della Comunit�, una volta che si sia. verificata l'inerenza al territorio di tale persona attraverso la residenza. Noi ci rendiamo conto della puntualit� delle obiezioni mosse ad una siffatta soluzione dal Regno unito e dalla Commissione, laddove essi osservano che in tal modo potrebbe verificarsd una specie di reazione a catena: il lavoratore dello Stato n. 1 va nello Stato n. 2, in cui non ha mai lavorato, e acquisisce, solo in form della residenza ivi stabilita, un reddito garantito, che poi nes 932 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO� STATO 8. -Questo problema dev'essere esaminato anzitutto dal punto di vista del regolamento n. 1612/68, cui si niferisce specificamente fa terza questione formulata dal giudice di rinvio. 9. -L'art. 10 del regolamento n. 1612/68, attribuisce agli ascendenti a carico, qualunque sia la foro cittadinanza, il diritto di stabihirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato membro, occupato nel territorio di un altro Stato membro. Quanto al diritto di rimanere nel territorio dli uno Stato membro, esso � stato esteso dal regolamento n. 1251/70 (G. U. n. L. 142, pag. 70) agli ascendenti a carico del cittadino di un altro Stato membro che sia occupato in qualit� di lavoratore dipendente nel primo Stato. a perci� manifesto che l'appellante ne1la causa prinaipaile fa parte della cerchia dei beneficiari del regolamento n. 1612/68. 10. -In forza dell'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, il lavoratore cittadino di uno Stato membro gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavorat�ri nazionali. Come niswlta dalle sentenze 30 settembre 1975 (causa 32/75, Cristini, Racc. pag. 1085) e 16 dicembre 1976 (causa 63/76, InziriUo, Racc. pag. 2057), la parit� di trattamento sancita dall'art. 7 del regolamento n. 1612/68 � intesa a vietare anche le discriminazioni a danno deglli ascendenm che siano a carico del lavoratore, come l'appellante nella causa principale. suno gli potr� pi� togliere, per effetto dell':iiirdlevanza delle clausole di resi� denza, quando egli ritorni nello Stato n. 1 o si trasferisca in uno Stato membro n. 3. Questo � possibile ed � vero. Ma diciamo anche francamente che ci� potr� accadere in un numero ridottissimo di oasi, essendo difficile pensare ad un vorticoso, frenetico spostarsi di persone anziane, che cambierebbero l'esidenza, Stato, abitudini, sol per lucrare eventualmente la differenza fra una prestazione maggiore di uno Stato e una prestazione minore di un altro: perch�, � ovvio, il reddito garantito �di cui si parla non potrebbe essere corrisposto se non per l'importo differenziale rispetto ad altre prestazioni. Del resto un limite naturale a siffatti abusi ~e ogni legge conosce il suo abuso!) sta nelle ridotte possibilit� di stabilire 1a propria residenza negli altri Stati membri al di fuori dello svolgimento di attivit� lavorative. Del resto non ci sarebbe neanche molto da meravigliarsi di eventualit� del genere, posto che non potrebbe essere negato il beneficio di cui si tratta al lavoratore straniero che, nello Stato che tale beneficio prevede, ha svolto una at1livdt� lavorativa molto ridotta. E la funzione sociale che il beneficio si prefigge dovrebbe comunque elim:i� nare ogni residua perplessit�. Sembra, quindi, che a chi si trovi nella posizione della Castelli spetti il beneficio del reddito garantito b�lga (ovviamente nella misura in cui questo superi la prestazione previdenziale goduta ,in Italia), trattandosi di persona assi� milata a lavoratore straniero che ha lavorato in uno Stato membro diverso e ha poi fissato la rresidenza nello Stato che prevede H beneficio. E ci� indipendentemente dalla sua posizione di familiare o persona a carico di altro lavoratore (il figlio) che abbia prestato la sua attivit� lavorativa in Belgio. (omissis) OSCAR FIUMARA PARTE I, gEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 11. -Come � stato pi� volte affermato dalla Corte (sentenze 31 maggio 1979, causa 207/78, Even, Racc. pag. 2019, e 14 gennaio 1982, causa 65/81, Reina, Racc. pag. 33), la nozione di vantaggio sociale comprende tutti i vantaggi �che, connessi o no ad un contratto di lavoro, sono. generalmente attribuiti ai lavoratori nazD.onaLi, a causa principalmente della loro qualit� obiettiva di lavoratori e del semplice fatto della loro residenza nel ten;itorio nazionale, .e la cui estensione ai lavoratori cittadinti di altri Stati membri appare quindi atta a facilitarne la mobilit� nell'ambito della Comunit� �. Questa definizione delila nozione di vantaggio sociale, costantemente ribadita dalla Corte, porta ad includervi il reddito garantito alle persone anziane contemplato dalla legge di uno Stato membro. 12. -Si deve quindi dichiarare che l'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 va intepretato nel senso che ila concessione di un vantaggio sociale, quale iii reddito garantito alle persone anZJ�.ane dalla legge dli uno Stato membro, agli ascendenti a carico del Javoratore non si pu� far dipendere dall'esistenza di un accordo di reciprocit� fra questo Stato membro e quello di cui l'ascendente � cittadino. 13. -Poich� questa interpretazione dovrebbe essere sufficiente per c90sentire al giudice di rinvio di pronunziarsi nella causa principale, non � necessario esaminare ila questione del se, nella situazione consliderata, una cittadina di uno Stato membro possa pretendere, in forza del regolamento� n. 1408/71, il reddito garantito alle persone anziane dalla legislazione di un altro Stato membro, sia in quanto familiare di un lavoratore migrante stabilito in tale Stato, sia in quanto essa stessa beneficiaria di t.la prestaZJ�.one di previdenm sociale nel suo Stato d'origine. (omissis). CORTE DI GIUSTIZA DELLE COMUNJT� EUROPEE, 13 dicembre 1984, nella causa 113/83 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Lenz -Commissione delle Comunit� europee (ag. Marenco) c. Repubblica Italiana (avv. Stato Caramazza). Comunit� Europee -Trasporti -Contingente comunitario -Autorizzazioni Veicoli accoppiati. (Reg. CEE del Consiglio 16 dicembre 1976, n. 3164). La Repubbblica italiana, esigendo due autorizzazioni di trasporto nell'ambito del contingente comunitario allorch� un insieme di veicoli accoppiati, composto di elementi immatricolati in due Stati membri diversi, effettua un trasporto internazionale su strada, � venuta meno agli obbli RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ghi ad essa incombenti in forza del regolamento del Consiglio 16 dicembre 1976, n, 3164 (1). 1. � Con atto re~strato nella Cancelleria della Corte il 17 giugno 1983, la Commissione delle Comunit� Eur9pee ha proposto, a norma dell'arti� colo 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far constatare che la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in base al regolamento (CEE) del Consiglio 16 dicembre 1976, n. 3164, relativo al contingente comunitar.io per i trasporti dii merci su strada effettuati fra Stati membri (G. U. n. L 357, pag. 1). 2. -IJ regolamento n. 3164/76 dispone che il contingente comunitario delle autorizza7lioni, fissato ogni anno dal ConSliglio, � suddiviso fra 'gli Stati membri. Ogni Stato membro rilascia le autorizzazioni defila sua quota-parte ai vettori stabiliti nel suo territorio. Lo stesso regolamento prescrive all'art. 2, n. l, che le autorizzazioni comunitarie abilitano i loro titolari ad effettuare i trasporti �di merci su strada, per conto terzi, su tutte le relazioni di traffico tra gli Stati membri, ad esclusione di ogni traffico dnterno nel territorio dii uno Stato membro, nonch� a spostare a vuoto i loro veicoli in tutto il territorio della Comunit�. 3. -Il n. 3 del medesimo articolo stabilisce che. le autorizzazioni comunitar. ie sono redatte � a nome di un vettore �, che non possono essere trasferite da quest'ultimo a terzi, che ciascuna autorizzazione pu� essere utilizmta per un solo veicolo per volta, che essa deve accompagnare quest'ultimo e deve essere esibita ad ogni richiesta degli agenti addetti al controllo, e che � per veicolo, si dntende un veicolo isolato o un insieme di veicoli accoppiati �. (1) La sentenza in rassegna ha risolto il problema sottoposto al suo esame esprimendo adesione alla tesi della Commissione, con particolare riferimento a quella parte della normativa comunitaria citata che prescinde dall'identit� del veicolo. Sembra avere omesso, peraltro, l'analisi del problema di fondo, superato dalla Corte lussemburghese con la formula della � lacuna nell'ordinamento "� Tale problema era, infatti, se l'autorizzazione al trasporto su strada per conto terzi rilasciata da uno Stato membro nell'ambito del contingente comuni� tario conferisca al vettore beneficiario la tito1arit� di una situazione giuridica attiva non condizionata in alcun modo dalla narura, identit� e nazionalit� del veicolo, o se vi sia invece un inscindibile collegamento fra i tre elementi: autorizzazione- veicolo-viaggio. L'assunto, fatto proprio dalla Corte, comporta che 1a stessa autorizzazione possa coprire, nell'arco di uno stesso � viaggio �, non solo mutamenti nella com� posizione del veicolo (ad es. per effetto di cambiamento .di motrice o di rimor� chio), ma addirittura mutamenti integrali di veicolo, sicch� un viaggio potrebbe essere, ad es., costituito da un percorso A�B compiuto dalla motrice x con il f: [:'. rimorchio y, pi� un percorso B�C compiuto dalla motrice z con U rimorchio f y, pi� un percorso C-D compiuto dall'autocarro k e cosi via. f f i: I! :.; PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 935 .. 4. -L'art. 5 del medesimo regolamento contempla una �mutua assistenza fra gli Stati membri per l'applicazione ed il controllo del regolamento stesso. 5. -Nell'esercizio di questi poteri di applicazione e di controllo, conferiti ad ogni Stato membro, le autorit� italiane, allorch� i due elementi di un veicolo composito effettuano un <trasporto internazionale su strada, in partenza dall'Italia, a destin�zione dell'Italia o in transito attraverso l'Italia, e sono immatricolati ciascuno dn uno Stato membro diverso, esigono due autorizzazioni, una per ,iil trattore e l'altra per il rimorchio. �. � La Commissione considera questa richiiesta incompatibdle con le disposizioni del regolamento n. 3164/76, Essa sostiene che l'art. 2 di quest'ultimo abilita i titol�ri delle automazioni comunitarie ad effettuare ii trasporti a certe condizioni, senza che nessuna norma del regolamen1o faccia distinzioni in ordine allo Stato in ctll� sono immatricolatd un veicolo isolato o gli elementi che compongono un insieme di veicoli accoppdati. 7. -Il Governo dtaliano propugna una diversa dnterpretazione secondo cui il regolamento n. 3164/76, contemplando una sola autorizzazione di trasporto, anche per i trasporti effettuati da un dnsieme di veicoli accoppiati, si riferirebbe solamente ad casi in CUI� i due elementi costitutivi di questo insieme appartengono al medesimo vettore, tdtolare dell'autorizzazione, e, di conseguenza, sono immatricolati in un solo e medesimo Stato membro, e non si riferirebbe qUI�ndi ai casi in cui ciascuna parte del veicolo accoppiato � immatricolata in uno Stato membro diverso. Il Governo italiano sostiene che il regolamento n. 3164/76 riconosce implicitamente un nesso fra ogni autorizzazione di ,trasporto e lo Stato dn cui Tanto non sembra concordare con il combinato disposto� dell'art. 2 par. 3 del regolamento 3164/76 e del punto 4 del relativo allegato II, da cui si evince che l'autorizzazione deve accompagnare il veli.colo nell'arco di un �viaggio � Orbene, per � viaggio � altro non pu� intendersi che spostamento di un sog. getto (od oggetto) da un punto dd partenza ad un punto di arrivo. Se manca la identit� fra soggetto (od oggetto) partito e soggetto (od oggetto) arrivato, manca il viaggio ad esso riferibile. Se con la 'Stessa autorizzazione si compiono una serie di percorsi inanellati utilizzando veicoli diversi non si avr�, quindi, il vii.aggio di un veicolo, ma tutt'al pi� il viaggio dell'autorizzazione, accompagnata nell'arco dei percorsi da veicoli diversi. Il che sembra contrastare con lo spirito e con la lettera del regolamento che prevede che sia il veicolo e non l'autorizzazione a compiere U vii.aggio e che sia l'autorizzazione ad accompagnare il veicolo e non viiceversa. Il � veicolo '" dunque, nella normativa comunitaria, anche se cosa composta ex inter se distantibus, ha una sua identit� inalterabile. Di pi�: esso ha un suo collegamento (necessariamente) unitario con un Paese, in quanto � previsto un suo �luogo di residenza abituale� (citato punto 4). Concetto questo che, riferito ad un autoveicolo, non pu� significare altro che una localit� sita nel territorio di uno Stato di immatricolazione. 8 .) 936 RASSEGNA Dmi'AVVOCATURA DELLO STATO sono immatricolati i veicoli utilizzati in forza di questa autorizzazione. In sostanza esso rileva che il regolamento, pur non riferendosi espres� sament� all'immatricolazione, stabilisce tuttavia un nesso fra J'autorizzazione e, in pmmo Juogo, ['identit� del veicolo e, �in secondo luogo, il suo proprietario, dal che va dedotto che esso stabiliisce un nesso con lo Stato d'immatricolazione. 8. -Il Governo italiano ammette che il regolamento non fa espresso riferimento neppure all'identit� deJ veicolo, n� al suo proprietario. Esso sostiene tuttavia che l'limportanza di questi due elementli va desunta in particolare dall'interpretazione di tafone disposizioni del regolamento in questione e dei suoi allegati. 9. � Cosi, l'identit� del velicolo, come condizione per la concesslione dell'autorizzazione, si ricaverebbe dall'art. 2, n. � 3, secondo comma, deJ regolamento n. 3164/76, il quale dispone che �ciascuna autorizzazione pu� essere utilizzata per un solo veicooo per volta � e � deve accompagnare quest'ultimo �. La medesima condizione sii ricaverebbe altresl dall'art. 4 delle � Disposlizioni generali� dell'allegato Il, di cui all'art. 4 di detto regolamento, il quale, esigendo un tesoconto per ciascun viaggio di ciascun velicolo, da!Lla partenza dal suo � luogo di reslidenza abituale fino al suo ritorno�, fa appunto riferimento a questo �luogo di residenza abituale�. 10. -Per quel che riguarda l'importanza del propr~etario del veicolo, il Governo italiano sostiene .che le autorizzazioni sono rilasciate da ogni Stato membro ai suoi cittadini, anche se il dettato dell'art. 2, n. 6, del regolamento di cui trattasi, menzliona solamente i vettori � stabi.Iitli sfil suo Da ultimo deve rilevarsi che la tesi dd ritenere valida una sola autorizza� zione per veicoli composti le cui componenti siano immatricolate in Stati diversi non sembra potersi ~onsiderare conforme a diritto perch� contraria a ragione e quindi non congruente con quella trasposizione hegeliana in campo giuridico del principio di razionalit� che costituisce principio di diritto generale dd tutti gli ordinamenti. La regola indifferenziata che si � voluto leggere nella .o~ativa comuni� taria consente, infatti, a ciascuno Stato m~bro dd scegliere discrezionalmente quale dei due tipi di veicolo accoppiati (trattore o rimorchio) identificare per richiedere l'autorizmzione. Con risultati differenziali che non sembrano com� patibili con lo spirito comunitario prima ancora che con la lettera della norma. Allo stato, comunque, non rimane che auspicare un intervento normativo chiarificatore, d'altronde proposto dalla stessa Commissione in un testo del seguente testuale tenore: �Il regolamento (CEE) n. 3164/76 � modificato come segue: 1. All'articolo 2 paragrafo 3 � aggiunto il seguente testo: Nel caso di autoarticolati o autotreni, l'autorizzazione comunitaria � rilasciata per la motrice; essa pu� essere utilizzata per la trazione di un semirimorchio o di un rimor� chio, non immatricolati a nome del titolare dell'autorizzazione comunitaria o immatricolati in un altro Stato membro. L'autorizzazione si riferisce a tutto il complesso di veicoli �. IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA i: i: t t ;: ; i: ~� i ~ ! t I I . l PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE territorio "� e, di conseguenza, si riferiscono ai veicoli dei quali essi sono propri~tari, i quali .sarebbero � naturalm�nte � immatricolati in questo Stato membro. Esso sostiene aJtres� che la raccomandazione della Commissione 9 giugno 1969, n. 69/191, lett. e) (G. U. n. L 165, pag. 7), stabilendo che il titolare dell'autorizzazione possa utilizzarla per veicoli di cui � il proprietario o per veicoID. presi in locazione, dimostra l'importanza della propriet� e, di conseguenza, dello Stato in cU!� il veicolo � immatricolato. Esso adduce un argomento fondato sulla direttiva del Consi~lio 13 maggio 1965, n. 65/269, �che rende uniformi tailune norme riguardanti le autonizzazioni per i trasporti di merci su strada fra gli Stati membri � (G. U 24 maggio 1965, pag. 1469), il cui art. 1 prescrive che le autorizzazioni sono rilasciate dallo Stato membro in cui il veicolo � immatricolato. Esso aggiunge che Ja direttiva del Consiglio 19 gennaio 1982, n. 82/50, �che modifica la prima direttiva d�l Consiglio 23 luglio 1962, relativa all'emanairlone di norme comuni per talurii trasporti di merci su ~trada fra gli Stati membri� (G. f]. n. L 27, pag. 22), riguarda casi di sostituzione di un � veicolo divenuto inutiID.zzabile in uno Stato membro diverso da quello in cui � immatnicolato �, 11. -Infine, il Governo italiano sostiene che la Commissione, nella sua proposta di modifica del regolamento n. 3164/76 lin data 15 dicembre 1980 (G. U. n. C 350, pag. 18), stabilendo che l'autorizzazione sarebbe stata rilasciata in futuro per la motrice, stabliliva altres� che essa avrebbe potuto essere utilizzata � per la trazione di un semirimorchio o di un rimorchio... immatnicolati in un altro Stato-membro �, il che non sarebbe stato necessario se questa disposizione nisultasse gi� dal regolamento n. 3164/76. 12.� La Commissione contesta �tutti questi argomenti. Essa sottolinea che, nel sistema istituito dal regolamento n. 3164/76, la concessione delle autorizzazioni non � condizionata n� .dall'identit� del proprietario del veicolo, n� dalla nazionalit� del titolare. Pi� in particolare, essa osserva che n� l'art. 2, n. 3, 2� comma, del regolamento, n� l'art. 4 delle � dispo sizioni generali� dell'allegato II (abrogato dal regolamento 21 dicem bre 1977, n. 3024, G. U. n. L 358, pag. 4), fissano condizioni per il rilascio delle autorizzazioni, ma solamente per la loro utilizzazione, mentre il � luogo di residenza abituale � non corrisponde del resto al luogo di imma. tricolazione del veicolo. 13. � Essa osserva ancora che, secondo l'art. 2, n. 6, del regolamento n. 3164/76, le autorizzazioni sono rilasciate da ogni Stato membro, non ali suoi cittadini, bens� ai vettori stabiliti sll'l suo territonio. Secondo la Commissione; la raccomandazione 9 giugno 1969, n. 69/191, oltre al fatto che riguarda non la concessione, ma l'utilizzazione delle autorizzairloni, indica appunto che esse possono essere utilizzate anche per veicoli RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO presi in locazione. Essa sottolinea che la direttiva 13 maggio 1965, n. 65/269, non riguarda il contingente comunitario �. ma i contingenti bilaterali fra Stati membri e che la direttiva del Consiglio 19 gennaio 1982, n. 82/50, conferma tla sua tesi. 14. � Infine, la Commissione rileva che la sua proposta 15 dicembre 1980 em diretta alla soluzione del problema determinato dal fatto che nei casi di veicoli accoppiati taluni stati membri esigevano un'autoriz� zazione rilasciata a nome dell'impresa che disponeva della motrice, mentre altra esigevano un'autorizzazione a nome dell'impresa che disponeva del rimorchio, e che in occasione dell� soluzione dii questo problema, � stata aggiunta una frase secondama relativa ail problema in esame nella presente controversia ed il cui scopo era di chiarire e non di modificare il regolamento n. 3164/76. 15. � Il punto di vista della Commissione va accettato. In effetti, nessuno degli argomenti del Governo italiano pu� essere accolto. Come giustamente rilevato dalla Commissione, nel sistema istituito datl regolamento n. 3164/76, cos� come si ricava dalle sue norme, ogni autori~zazione � rilasciata a nome dii un vettore e non a favore di un veicolo determinato, in modo che il titolare dell'autorizzazione possa effettuare il trasporto con un ' sua scelta, senza liimitazioni relative al veicolo di proprietario o allo Stato in cui � immatricolato dl vedcolo. 16. � Occorre poi sottolineare che, mentre il secondo comma del n. 3 dell'art. 2 del regolamento n. 3164/76 dispone che �ciascuna autorizzazione pu� essere utilizzata ~r un solo veicolo per volta �, il terzo comma del medesdmo numero contempla espressamente, senza nessuna' ecc�zione o distinzione basata sull'immatricolazione, che-� per veicolo, s'intende un veicotlo isolato o un insieme di veicoli accoppiati�, il che esclude la necessit� di due automzzazioni per i veicolii accoppiati. Di conseguenza, l'argomento del Governo italiano fondato sulla presentazione, da parte della Commissione, di una proposta di regolamento 15 dicembre 1980, non � di natura tale da inficiare questa interpretazione. 17. � � vero che dl regolamento lascia irrisolto il problema di stabdlire a quale dei due elementi accoppiati vada ricollegata l'autorizzazione unica. Ma questa lacuna non pu� giustificare la ricbiesta, da parte di uno Stato membro, di due autorizza:zii.oni per un insieme di vedcolii accoppiati. 18. -Va pertanto constatato che la Repubblica italiana, esigendo due autorizzazioni di trasporto nell'ambito del contingente comunitario al� lorch� un ii.nsieme di veicoli accoppdati, composto di elementi immatri� colati in due Stati membri diversi, effettua un trasporto internazionale su strada, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del regolamento del Consiglio 16 dicembre 1976, n. 3164. (omissis) f I' f ' ! i i SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 4 ottobre 1984, n. 4912 � Pres. Moscone � Rel. Sensale � P. M. Sgroi (concl. conf.) -Min. Tesoro (avv. Stato De Franaisci) c. Merani Rosa. Giurisdizione civile � Giurisdizione ordinaria e amm.inistrativa � Corte dei� conti � Pensioni � Diritto del coniuge divorziato a quota della pensione di riversibillt� spettante al coniuge superstite � Gimisdizione dell'A.G.O. � Pensione a carico dello Stato � Deroga � Esclusione. (Art. 9 legge 1 dicembre 1970, n. 898; art. 1 legge 1 agosto 1978, n. 436; art. 81 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092). Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario e non a quella della Corte dei conti sia la domanda del coniuge _divorziato diretta ad ottenere una quota della pen.Sione di riversibilit� che spetta o che spetterebbe al coniuge superstite, sia la domanda con cui il medesimo coniuge divorziato insorga contro i provvedimenti amministrativi di rifiuto di ottemperanza alla decisione gi� resa dal giudice ordinario (1). (omissis) Con sentenza del 9 agosto 1972, il Tribunale di Genova pronunci� lo scioglimento del matrimonio contratto 1'11 dicembre 1927 da Rosa Meral1!� con Adolfo Querzolo, condannando quest'uJtimo a corrispondere ailla Merani un assegno m�nsile di L. 35.000. Il 23 dicembre 1972, il Querzolo, pensionato delle Ferrovie dello Stato, contrasse nuovo matrimonio con Maria Franzoni, ma decedette il 15 febbraio 1976, dopo che anche la seconda moglie era defunta in data 6 settembre 1973. Il 29 aprile 1976 la Merani, ai sensi de1l'art ..9 della Jegge 1� dricembre 1970, n. 893, chiiese al Tribunale dri Genova l'attribuzione di una quota di pensione spettante al coniuge superstite. L'adito Tribunale, provvedendo, in camera di consil�lio, senza sentire l'ente tenuto alla .eroga:lli.one (poich� la norma allora vigente non lo prescriveva), dispose che alla Merani fosse attribuita una quota de!Ja penSli.one di riversibilit�, a carico (1) In senso conforme al pnnc1p10 affermato nella massima cfr. Cass., Sez. Un., 8 settembre 1983 n. 5521 (ed:ita in Foro it. 1983, 11, I, pag. 2721, con nota di E. AMADEI. Analoga a questa � la sentenza 4913/1984. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO della Direzione proViinciale del tesoro di Bologna, nella misura del 25 % con decorrenza dalla data del decesso del Querzolo, ritenendo che, al fine considerato, non fosse indispensabile l'esistenza di un coniuge superstite cui sottrarre la quota di pensione da attribuire al coniuge divorziato. La istanza diretta ad ottenere la corresponsione di quanto attribuitole dal . giudice, proposta dalla Merani alla Direzione provinciale del tesoro di Bologna, fu da tak amministra:1llone respinta sul presupposto che, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898/70, l'attribuzione di una quota di pensione al coniuge divorziato fosse possibile solo a condizione che esistesse i�l coniuge supers~ite avente diritto a pensione di �riversibilit�. Le Merani propose ricorso alla Corte dei conti, notificato anche alla Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, cui resistette il Ministero del tesoro, eccependo il difetto di giurisdiz1one della Corte adita tin base allo jus superveniens costituito daltl'art. 2 della legge 1� agosto 1978, n. 436, che aveva sostituito �l'art. 9 della legge 898/70. Richiamandosi alla stessa �norma il Procuratore generale presso la Corte dei conti concluse per l'accoglimento della domanda, sostenendo che in base alla sopravvenuta disciplina, di tribunale possa attribuire in tutto o in parte, ad coniuge divorziato la pensione e gli altri assegni che spetterebbero al coniuge superstite, anche nel caso in cui l'obbligato alla somministrazione dell'assegno periodico sia morto senza lasciare un coniuge superstite. La Corte dei conti ha affermato la propria giurisdizione, ritenendo che l'assegno iin questione, come disciplinato dalil'art. 9 della legge 898/70, abbia natura pensionistlica e che la fattispecie si concreti in un onere a carico dello Stato e de~i altri enti, rispetto ai quali sussiste, nella materia pensionistica e in base al principio dell'indiwduazione dell'ente erogatore, la giunisdizione della Corte dei conti a norma degli artt. 13 e 62 del t.u. approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214; e precisando che la statuizione sull'an e sul quantum del giiudice ordinario attiene alil'integra: 1llone, per il caso concreto, della disciplina del conseguente rapporto pensionistico soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti, la quale non si limita ad una mera declaratoria dell'obbligo de1l'amrnlinistrazione di dare esecuzione ad un giudicato a11a stregua di un giudizio �di ottempe ranza, ma decide nel senso di riconoscere o negare il diritto della parte ricorrente ed esamina altri aspetti del rapporto pensionistico, relativi, ad esempio, al tipo di pensione cli riversibilit� (normale o privilegiata) che sarebbe spettato al coniuge superstite, se esistente. Nel merito la Corte dei conti lia ritenuto a'obbligo dell'Amministrazione di corrispondere la quota di pensione richiesta dalla Merani, escludendo che, ai finii della relativa attribu11ione, sia indispensabile, secondo le norme vigenti, l'esistenza del coniuge �superstite. I I ~ PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESnONI DI GIURISDIZIONE Contro tale sentenza il Ministero del Tesoro ha proposto ricorso alle Sezioni Unite notificato alla Merand, che non si � costituita ~n questa sede. Motivi della decisione 1. -L'Amministrazione ricorrente denunzia Ja violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della legge 1� agosto 1978, n. 436, con riferimento agli artt. 103 e 111 Cost. e dagli artt. 13 e 62 del r.d. 12 lugltio 1934, n. 1214, ai sensi dell'art. 360, n. 1 cod. proc. Civ. (difetto di giurisdizione), nonch� il vizio d'insufficiente e contraddittoria motiv.azione su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per avere attribuito al trattamento conferibile, �a seguito della morte dell'obbligato alla somministrazione dell'assegno periodico di cui all'art. S de11a legge 1� dicembre 1970, n. 898, al coniuge rispetto �l quale � stata pronunifata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, natura pensionistica, s� che quand� la fattispecie venga a concretarsi in un onere a carico dello Stato e degli altri enti rispetto ai quald sussiste la giurisdizione della Corte dei conti a norma degli artt. 13 e 62 del t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, non vi sarebbe motivo per disattendere il criterio di riparto della giurisdizione dn base aJLl'individuazione dell'ente erogatore e della natura pensionistica del . trattamento erogabile e il provvedimento del tribunale avrebbe la, sola funzione di integrare, per il caso concreto, la disaiplina del rapporto pensionistico. Secondo l'AmministraZlione ricorrente, la impostazione seguita ne11a decisione <impugnata non rifilette il caso concreto, nel quale non si discute se fosse spettata, oppure no, la pensione di riversibilit� al coniuge superstite di Adolfo Querzolo, ma soltanto se una quota di siffatta pensione debbasi attribuire al coniuge divorziato Rosa Merani che ne aveva fatto richiesta, nell'ambito della norma di cui all'art. 2 della legge n. 346 del 1978, alla Corte dei conti e non al giudice ordinario. La lettera della norma ora citata, secondo l'amministrazione, non consente dubbi circa il difetto di giurisdizione della Corte dei conti e non si pone in contrasto con l'art. 103, secondo comma, Cost., ai sensi del quale lo stabilire i limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti � riservato al legislatore ordinario, cui non � precluso restringere l'ambito di tale giurisdizione in vista della peculiarit� della materia oggetto di pi� specifica disciplina, attribuendola al giudice ordinario, che avrebbe, in tale caso, anche il potere di statuire incidenter tantum sulle qu�stioni afferenti al trattamento pensionistico presupposto. Del resto, prosegue l'Amministrazione, ~�assegno di cui all'art. 2 della legge n. 436/78 si pone sullo stesso piano deLI'assegno di divorzio, e non su quello della pensione di r�versibmit� disciplinata dall'art. 81 del t.u. n. 1092 del 1973, avendo inteso -il legiislatore -rimediare alle RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEllO S'{ATO 942 conseguenze di maggiore asprezza cui aveva dato luogo fa disciplina , dell'art. 9 della legge 898/70, col riconoscere ail coniuge divorziato il diritto di conseguire, anche dopo la morte dell'obbligato, un assegno di mantenimento, posto a carico di terzi, e per ci� limitato all'ipotesi in cui a carico dei predetti fosse stato configurabile un obbligo di corrispondere la pensione di riversibilit� , al coni�ge superstite, qualora vi fosse stato, e, in conseguenza, non oltre d J.imiti dd tale obbligo. Il ricorso, con le precisazioni che seguono, � fondato. 2. -Occorre premettere che la questione circa l'applicabilit� dell'art. 9, nel suo testo originario (� in caso di morte dell'obbligato, dl tribunale p�� disporre che una quota della pensione o dli �altri assegni spettanti al coniuge superstite sia attribuita al coniuge o ai coniugi rispetto ai quaili sia stata pronunziata sentenza di scioglimento o di cessazione degld effetti civili del matrimonio�), anche nel caso di morte del soggetto obbligato quando non fosse esistente (o sopravvivente) il coniuge super� stite -cos� come la questione se la sopravvenienza nel corso del giudizio renda dmmediatamente applicabile la nuova disciplina posta con l'art. 2 della legge n. 437/78 (che espressamente contempla l'ipotesi di morte dell'obbligato, senza lasciare un coniuge superstite, o prevede, anche in questa dpotesi, il potere del tribunale di attribuire, in tutto o in parte, al coniuge divorziato la pensione e gld altri assegni che spetterebbero al coniuge supestite; ...., �� questione di merito (non incidente sulla giurisdizione), il cui esame, inerendo alla dli.straibiildt� a favore del coniuge divorziato di una quota di pensione spettante (o che spetterebbe) al . coniuge superstite, in base alle norme citate, non pu� rimanere sottratta al giudice che sull'istanza dd attribuzione debba provvedere. Compito di questo, ove avesse dovuto provvedere ancora vigente l'art. 9 nel suo testo originario, sarebbe stato quello di giudicare se la norma potesse trovare applica7Jione anche mancando il coniuge superstite (e, nel caso concreto, tale giudizio fu espresso in termini affermativi dal 'Tribunale di Genova, il quale nel 1976, attribu� alla Merani una quota della pensione 'che sarebbe spettata al coniuge superstite, se fosse esistito), cos� come compito dello stesso giudice sarebbe oggi stabilire se la sopravvenienza della nuova disciplina nel corso del processo (che non incide sulla giurisdizione, non potendo determinare �n mutamento del giudice cui la giurisdizione � attribuita sin dall'origine), possa dar luogo all'ac . coglimento di una domanda che si sarebbe dovuto, eventualmente, respingere in base alla precedente disciplina. 3. -Con riguardo alla proposta questione di gdurisdizione, deve innanzi tutto osservarsi che la disciplina giuridic� nel caso concreto non risiede nell'art. 81 del t.u. n, 1092/73, il quale regola -fissando le relative condizioni -il diritto alla pensione di riversibHit� della vedova del dipen . PARm I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE dente statale o del pensionato e non gi� il mritto del coniuge divorziato (che postula quello del coniuge superstite, secondo la norma ora citata), trovando esso la sua necessaria e sufficiente disciplina nell'art. 9 della legge n. 898/70 (modificato dall'art. 21 della legge n. 436/78), fatto salvo dall'ultimo comma dell'art. 81 del t.u. 1092 del 1973,. in � virt� d� un rinvio formale aMa disciplina del divorzio, poich� con lo scioglimento (o con la cessazione degli effetti civili) del matrimonio, viene meno il vincolo matrimoniale e non � conf�gurabiJ.e in capo al coniuge d�vorziato lo stato vedovile che costituisce il presupposto clii applicabilit� dell'art. 81. Il problema da risolvere �, dunque, se, nel quadro dell'art. 9 della legge 1� cliicembre 1970, n. 898 e dell.e modifiche apportatevi con l'art. 2 della legge 1� agosto 1978, n. 436, lo stabilire se, in caso di morte dell'obbligato, al coniuge divorziato debba attribuirsi una quota della pensione o degli altri. assegni spettanti al coniuge superstite -secondo iJl testo originario della norma -ovvero spettanti o che spetterebbero a questo se l'obbligato alla somministrazione dell'assegno periodico muore senza lasciare un coniuge superstite -sec�ndo il testo mocliificato -sia compito del giudice ordinari.o oppure della Corte dei conti nell'ambito dell.a sua ..... giurisdizione pensionistica. Si � gi� riilevato, propri.o con riguardo ad una questione di giurisdizione (v. sent. n. 5521/83), che, nei suoi connotati essenziali, la norma, sia nel testo originario sia in quello modificato dalla legge n. 436 del 1978, attribuendo al coniuge divorziato il cliiritto di percepire una quota di pensione o di altri assegrui spettanti (o che spetterebbero) al coniuge superstite, fo ha costituito beneficiario di un assegno che, pur avendo con~�nuto autonomo, h~ funzione e natura analoga a quello. di divorzio, �ome fasciano intendere il richiamo espresso all'art. 5 (che disciplina, tra l'altro, tale assegno) e la determinazione della quota a favore del coniuge divorziato non solo sull.a pensione spettante (o che spetterebbe) al coniuge superstite, ma anche su a~tri assegni. La norma, quindi, ha inteso non gi� operare una ripartizione della pensione e de~ altri assegni, considerati come tali, o istituire nuove forme previdenziali, ma disciplinare l'attribuzione di contributli dovuti ad altro titolo -e cio� nell'ambito di un rapporto diverso da quello pep.sionistico -a soggetti diversi dal titolare della pensione o degli assegni. Per le stesse ragioni � stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale (cui 'si accenna nel ricorso) del� l'art. 2 della legge n. 436/78, in relazione agli artt. 25 e 103 Cost. g evidente; infatti, che, attesa fa natura dell'attribuzione patrimoniale prevista dall'art. 2 a favore dell.'ex conduge, la norma non vio�a l'art. 103 Cost., poich� non investe posizioni giuricliiche soggettive che la norma costituzionale attribuisca alla cognizione degH organi di giustima ammi� nistrat�.va o alla Corte dei conti, e sottopone, qwndi, la controversia al giudice naturale precostittiito per legge (sent. n. 5521/83). 9+4 RASSEGNA Dl!LL'AVVOCATURA DELLO STATO Che quello riconosciuto ad coniuge divorziato debba. considerarsi un diritto nuovo oppure un dir_itto riconducibile a quello avente per oggetto l'assegno di divorziio � questione che si riflette sui criteri di determinazione della quota da distrarsi a favore del coniuge divorziato, ma essa esula dalla presente indagine, in quanto non incide sulla giurisdizione. Invero la norma non altera, ed anzi presuppone, l'unica e vera titolarit� della pensione e degli assegni, tanto che anche letteralmente la legge parla di diritti �spettanti� al coniuge superstite; e, facendo riferimento alla morte dell'obbligato, lascia intendere che il potere di distrazione confe:rtito al giudice si� fonda sull'accertamento di un altro diritto, nascente dal diverso rapporto conseguente alla pronunzia di divorzio e che in nessun modo potrebbe radicarsi nel rapporto pensionistico, tanto � vero che la pronunzia del giudice, di attribuzione in tutto o in parte della pensi�one o degli alt:rti assegni, rimane condizionata all'effettiva liquida� zione che degli :stessi, con riguardo alla posi�zione del soggetto del rapporto pensionistico, verr� fatta nella sede competente. Occorre infatti tenere distinta la controversia� pensionistica -che pu� instaurarsi tra l'ente erogatore e il coniuge superstite nell'ambito dell'art. 81 del t.u. n. 1092/73 (sulla quale, ai sensi dell'art. 13 e 62 del t.u. 12 luglio 1934 n. 1214, vi � la giurisdizione della Corte dei conti) -e la controversia avente ad oggetto la posizione del coniuge divorziato, a favore del quale pu� essere distratta, condizionatamente all'effettiva erogazione della pensione, una quota di essa, che appartiene, invece, alla giurisdizione ordinaria e precisamente alla c�gnizione del tribunale �nell'ambito del procedimento disciplinato dall'art. 9 �della legge n. 898/70. Alla diversa natura delle due controversi�e, fa riscontro la diversa legittimazione delle parti, che, in relazione alJ'azione diretta a conseguire la pensione, spetta aJ. coniuge superstite e non ad coniuge divorziato, il quale acquista successivamente un'analoga legittimazdone, nei limiti della quota distratta a suo fuvore, solo per effetto del provvedimento del tribunale; ma in tal caso fa quota di pensione potrebbe essergli rifiutata in sede amministrativa solo per motivi concernenti la posiZI�one del coniuge superstite (e contro il provvedimento amministrativo di rifiuto fil coniuge divorziiato dovrebbe adire Ja Corte dei conti per la soluzione di una questione avente squisita natura pensionistica) e non con riguardo alla posizione del coniuge divorziato, per valutazioni ormai precluse alla P. A., che contrastino con quelJe del tribunale, ii.I cui provvedimento (che, secondo la nuova disciplina, deve essere emesso con la partecipazione dell'ente erogatore, in modo che possa prenderne atto), fa, anzi, stato anche nei confronti dii tale ..ente. In questa ipotesii., fa Corte dei conti, adita dal coniuge divorziato con ricorso contro il provvedimento amministrativo � che rifiuti di ottemperare alla decisione del giudice ordinario, non potrebbe provvedere in proposito senza eccedere dai limiti della sua !, l I >: ~ PARTB I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 945 giurisdizjone e senza svolgere un giudizio di ottemperanza che la legge devolve in altra sede al giudice amministrativo. 4. -La circostanza che nel caso in esame il tribunale si sia gi� pronunziato ai sensi dell'art. 9 della legge 898/70 e con il procechimento in essa previsto, attribuendo alla Merand una quota della pensione che sarebbe spettata al coniuge superstite, non altera i termini del problema. La questione se il tribunale abbia deciso esattamente, o meno, la controversia, con l'attribuire alla Merand una quota chi pensione, pur mancando il coniuge superstite (secondo un'dnterpretazione dell'art. 9, nel testo originario, in senso conforme al nuovo testo dettato dall'art. 2 della legge 436/78), riguarda, come si � precedentemente chiarito, il merito di una controversia non avente natura pensdoillistica, e per� ci� devoluta' al tribunale, e non pu� formare oggetto di sindacato n� da parte della P. A. n� da parte della Corte dei conti, non essendo quello proposto dinanzi ad essa, come esattamente si osserva nella decisiOne impugnata, un giudizio di ottemperanza, che potr:ebbe se mai instaurarsi dlinanZJi. aw!i organi chi giustizia amministrativa ad esso preposti. N� rileva, ai fini che qui iinteressa, dl fatto che il precedente giudizio c�merale si sia svolto in assenza dell'ente erogatore (la cui presenza, soltanto con Ja novella del 1978 � stata espressamente prevista), circostanza questa, della quale peraltro l'Amministrazione ricorrente -unica interessata a farlo -non si � doluta in questa sede, poich� ['eventuale problema se quella decisione fa�oia stato nei confronti dell'ente erogatore (s� che questo debba obbligatoriamente uniformarvisi) oppure se, nella ipotesi negativa, la Merand debba munirsi di un titolo, questa volta formato secondo la disciplina processuale dettata dall'art. 2 della legge n. 436/78, non vale a trasferire nel campo pensionistico una controversia che rimane nell'ambito della diversa materia disciplinata dall'art. 9 e del procedimento in esso regolato, inerendo agli effetti del provvedimento adottato; n� deve, in questa sede risolversi, in quanto eccede dai lii.miti dell'impugnazione proposta e non ha ancora concreta attualit�, essendo anzi ragionevole ritenere che il provvedimento del Tribunale di Genova trow spontanea attuazione d.a parte de1la P. A. 5. -Poich� la controversia esaminata dalla Corte dei conti non aveva ad oggetto il diritto alla pensione di riverstibilit� del coniuge superstite, ipotizzato come esistente, ma iii chiritto del coniuge divorziato ad ottenere una quota della pensione, che sarebbe spettata a questo e che, del resto, il tribunale di Genova le ha gi� rtlconosoiuto, la controversia medesima non ricadeva sotto la giurisdizione de1la Corte dei conti, la quale quinchi avrebbe dovuto dichiarare il proprio difetto di ~ucisdizione ed astenersi di pronunciare nel merito. Il ricorso va pertanto accolto, con la conseguente cassazione senza rinvio della decisione impugnata. (omissis). 946 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE .DI CASSAZIONE, Sez. Un., 14 dicembre 1984, n. 6568 -Pres. Barba � Rel. Sensale -P. M. Caristo (conci. conf.) -Senato della Repubblica (avv. Stato Linguiti) c. Mazzeo (non cost.). Elezioni � Elettorato passivo � Tutela dello � jus officlum � � Competenza esclusiva delle Camere � Verifica dei poteri � Insindacabilit� in sede giurisdizionale. ' (Artt. 64, 66 Cost.; art. 25 legge 6 febbraio 1948, n. 29, modificato dalla legge 28 aprile 1967, n. 262; art. 87 d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361; art. 2 legge 27 febbraio 1958, n. 64; art. 53 t.u. 16 maggio 1960, n. 570; art. 19 reg. Senato 1971). Nel vigente ordinamento costituzionale la tutela dei diritti soggettivi pubblici all'aequisizione di un mandato politico � affidata esclusivamente alle Camert; legislative, per mezzo dell'apposito organo (Giunta delle elezioni) e, in ultima istanza, all'assemblea delle Camere, nell'ambito del potere di controllo sulla validit� e regolarit� delle operazioni elettorali. Tale attivit� in sede di verifica dei poteri sfugge a qualsiasi sindacato alternativo, concorrente o successivo da parte di qualsiasi autorit� giurisdizionale (1). l Con la istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, si sostiene che il rimedio praticato dalla Mazzeo � del tutto estraneo all'ordinamento I dello Stato e confligge con il principio della divisione dei poteri, in attuazione del quale, in forza dell'art. 64 Cost., ciascuna Camera giudica dei f: titoli dii ammissione dei suoi componenti, secondo il regolamento adottato ai sensi dell'art.. 66 Cost., escluso l'intervento di qualsiasi organo giurisdizionale. Si deduce, in particolare, che Ja � verifilca dei poteri �, I comprendente l'esame e la decisione su proteste e reclami circa le operazioni elettorali, spetta, -secondo l'art. 19 del regolamento del Senato, 1~ approvato il 17 dicembre 1971 -alla Giunta per le elezioni e per le immunit� parlamentari ed allo stesso Senato, dal che consegue l'assoluto difetto di giurisdizione, nella materia de qua, sia <,lei giudice ordinario sia I (1) Cfr. Cass., 31 luglio 1%7, n. 2036, in Foro it., 11967, I, 2009; �in Giust. civ., 1968, I, 317, in CUI�, in sede di regolamento di giurisdizione, venne dichiarata assolutamente improponibile� .la domanda proposta da chi, assumendosi illegittimamente . escluso, chiedeva il risarcimento dei danni nei confronti dello Stato e del Presidente dell'Ufficio elettorale regionale; id., 10 marzo 1971, n. 674, in Giur. it., 1971, I, 1, 811; in Giust. civ., 19711, I, 10%, con .ampia nota di richiami, in tema di controllo giurisdizionale sulle deliberazioni dell'Assemblea della regione siciliana in sede di verifica dei poteri; su cui cfr. id., 5 dicembre 1977, n. 5263, Mass., 1977. La sentenza Cass., S. U., .17 ottobre 1980, n. 5583, citata in motivazione, � pubblicata su Giust. civ., 1981, I, 44 e in Giur. it., 1981, I, il, 750 con ampia nota di richiami giurisprudenziali e dottrinali. Per la giurisprudenza amministrativa cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 ottobre 1950 n. 504, in Cons. Stato, 1950, I, 281. PARTB I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 947 del giudiee amministrativo, essendo limitate le attribuzioni del T.A.R. al contenzioso elettorale ammin:istmtivo (art. 6 della legge n. 1034 del 1971). IJ ricorso � fondato. L'art. 64 Cost. stabilisce che ciascuna Camera adotta il proprio rego lamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti; e, i11 base al successivo art. 66, ciascuna Camera giudica dei 1litoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilit� e di incompatibilit�. L'art. 62 del D.P.R. 5 febbraio 1948 n. 26 (ora art. 87 del D.P.R. 30 marzo 1957 n. 361)..11i.serva alla Camera dei deputati la convalida della elezione dei propri componentJi., nonch� la pronunzia del giudizio definitivo su11e contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati agli uffici delle singole s�zioni elettorali o all'ufficio centrale durante la loro attivit� o posteriormente. Tali disposizioni, contenute nel testo unico delle norme per le elezioni alla Camera dei deputati, sono richiamate nella discipltlna delle elezioni al Senato (art. 25 de11a legge 6 febbraio 1948 n. 29, modificata daHa legge 28 aprile 1967 n. 262; art. 2 della legge 27 febbraio 1958 n. 64). In relazione alle citate norme detla Costituztlone, le Camere si sono date il proprio regolamento, in cui sono dettate, fra l'altro, anche fo norme relative alla verificaztlone delle elezioni e della nomina degli eletti. Per il Senato, nell'art. 7 del regolamento approvato hl 18 giugno 1948, ed ora nell'art. 19 del successivo regolamento approvato il 17 febbraio 1971, sono previste composizione e materia riservata alla cognizione di un'apposita � Giunta delle elezioni e delle !immunit� parfamentari �, cui spetta la verificazione dehle eleziioni e delle nomine a senatore. In questo quadro normativo, ,1e Sezioni unite ebbero ad affermare il principio che, nel vigente ordinamento costituzionale, la tutela dei diritti soggettivi pubblici atl'acquisiztlone di un mandato poHtico � affidata escluslivamente alle Camere legislative, per mezzo dell'apposito organo (Giunta delle elezioni) e, in ultima istanza (eventualmente), all'assemblea delle Camere stesse, nell'ambito del potere di controllo sulla vallidit� e regolarit� delle opera7Jioni elettorali (sent. 2036/67), precisando successivamente (sent. 674/71) che l'attivit� deUe Camere Jegislative dello Stato in sede dli verifica di poteri sfugge a qualsiasi sindacato alternativo, concorrente o successivo da parte di qualsivoglia autorit� giurisdizionale, ordinaria o amministrativa. Questi princ�pi sono stati ribaditi, anche di recent� (sent. 5583/80), dalle Sezioni unite, le qualii hanno osservato che il sindaoato di legittimit� sud titoli di ammisslione dei componenti delle assemblee parlamentari si pu� realizzare, in astratto, attraverso molteplici sistemi, tra i quali il nostro Costituente ha prescelto quello c.d. della �verifica delle elezioni�, . affidando .detto sindacato alle stesse Camere: oi� secondo l'esempio di molti paesi europeli ed agltl uffici delle singole sezioni elettorali o all'ufficio centrale durante la loro attivit� o posteriormente. 11111111111�10r111r111111.111=r111111111111111r111@1111ir111111111m11 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 948 Con la sentenza 5583/80 si �, infine, osservato che eventuali questioni di legittimit� costituzionale delle norme ordinarne non potrebbero sollevarSI�. in questa sede, ma, se mai, nel procedimento di verifica par.lamentare dei poteri, posto pure che in esso sia possibile l'inserimento del processo pregiudiziale previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; e che, comunque, nessuna rilevanza assumerebbe in questa sede la risposta che volesse darsi all'interrogativo circa la natura di quel proced!imento, Jegiislativa in senso lato, obiettivamente amministrativa, intrinsecamente giurisdizionaile ovvero di mero �esercizio di un peculjare potere di controllo costituzionale. Che se poi -si � aggiunto -il procedimento davanti alle Camere non offre, nella fattualit�, le garanzie proprie della giurisdizione, e dunque non attua realmente il precetto insito nel termine � giud!ica � usato dall'art. 66 Cost., star� allo stesso Jegisfatore, in sede costituente e ai sensi della VI disp. trans., dettare Ja normativa alruopo eventualmente occorrente. / SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 ottobre 1984, n. 4915 -Pres. Sandullii - Rel. Rocchi -P. M. Valente (conf.) -Lazzarolli ed altri (avv. Piras) c. Ministero Difesa (avv. Stato Siconolfii). Edilizia economica e popolare -Alloggi di servizio -Diversit� dei presupposti e delle procedure per l'assegnazione � � Criteri per la qualificazione giuridica. Allorch� gli alloggi concessi in locazione dall'INCIS sono assegnati in base non ad un normale concorso aperto alla generalit� degli .impiegati dello Stato, bens� sulla base di una designazione dell'Amministrazione, e sul presupposto della qualit� di dipendenti di una specifica Amministrazione (nella specie l'Accademia Navale di Livorno) e della prestazione in loco di un determinato servizio, si versa in una situazione analoga a quella prevista dall'art. 381, 1� comma, T.U. 1165/39 sugli alloggi degli ufficiali e sottufficiali. Trattasi pertanto di alloggi di servizio esclusi dal riscatto, ai sensi dell'art. 2 lett. A, d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 (1). Con il primo motivo del ricorso principale -denunciandosi viola zione deglii artt. 99 e segg., 105, 331 cod. proc. civ. -si deduce il difetto di legittima:llione dell'Amministrazione militare a proporre impugnazione innanzi fa Corte d'Appello, in quanto detta Amministrazi�ne aveva spie gato nel giudizio intervento adesivo dipendente, e non adesivo autono mo, che solo avrebbe integrato il diri.tto ahl'impugnazione, in via autono ma, della decisione resa inter partes in prim� cure. La contestaz:ione della legittimazione ad impugnare, dedotta nei ter mini indicati, presuppone quella circa l'eSlistenza, in capo all'Amministra zione militare, di un diritto soggettivo alla disponibilit� degli alloggi di propriet� dell'IA.C.P. Con il secondo motivo del ricorso principale -denunciandosi viola. zione deM'art. 2 lettera A del D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 e norme richiia� (1) Cfr. Cass. 4' ottobre 1982 n. 5074, in questa. Rassegna 1983, I, 950. Sulla giurisdizione dell'A.G.0. a conoscere di una controversia tra Amrndnistrazione FF.SS. e un dipendente assegnatario di alloggio di tipo economico e popolare avente ad oggetto la sussistenza dei presupposti e requisiti .. per la cessione in propriet� v. Cass. 9 maggio 1983 n. 3150 fa Mass. Foro it., 1983. In dottrina sugli alloggi di servizio e case popolari v. G. PASINI -L. BALUCANI, I beni pubblici e relative concessioni, 1978, 603. 950 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO mate -si sostiene il diritto dei ricorrenti al riscatto in propriet� degli ailloggi loro concessi, a suo tempo, in locazione, in base al reg:ime proprio dell'edili2'Jia economica e popolare. Entrambe le censure sono infondate. Il tema di fondo di entrambi i motivi � unitario e conStiste nell'accertamento dell'esatta qualificazione giuridica degli a1loggi per cui � ricorso: detta qualificazione, linfatti, consentir� di rispondere sia al quesito (sostanziale, con riflessi processuali) del se eStiste un diritto autotonomo dell'amministrazione militare in ordine alJ.a � disponiblilit� � degli. ailloggi de quibus; sia al quesito (sostan2'Jiale) del se i ricorrenti siano o meno titolari del dirotto di riscatt� azionato. Orbene, sostengono i ricorrenti di essere titolari di una normale assegnazione di case dell'INCIS, costruite per la generalit� degli impiegati dello Stato e finanziate a norme del D.L. C.P.S. 8 maggio 1947, n. 399, e agg:iungono di aver stlipulato con l'INCIS un contratto di locazione che, per l'ammontare del canone e in o~i altra clausola, non si differenzia dai! modello di norma utilizzato; riconoscono, peraltro, di aver usufrlllito di. una prelazione rispetto agli altri impiegati dello Stato, ali sensi dell'art. 378 del tu. 28 aprile 1938, n. 1165, che, nel disciplinare i criteri da seguire nell'assegnazione degli alloggi INCIS, fa salvi i casi speqiali segnalati dalle amministrazioni de1lo Stato per esigenze dli servizio e quelli accertati direttamente dall'INCIS. In realt�, dall'intero contesto della vlicenda risulta che i ricorrenti usufruiscono di alloggi ubicati in un edificio destinato iJ1 blocco ab origine ai dipendenti dell'Accademia navale di Livorno ed assegnati dall'INCIS su designazione del Comando del!' Accademia. Detto edificio -contraddistinto con la lettera � M � venne costruito dall'INCIS in Livorno (Via Lepanto) su area gi� di pertinenza dell'Accademia Navale, ceduta gratuitamente all'Istlituto dal Ministero delle Finanze, Direzione Generale del Demanio, con atto del 3 marzo 1949.. Slia la dismissione dell'area, che la sua cessione aill'INCIS rappresentarono l'attuazione di accordi intervenuti anteriormente tra il Ministero della Marina e l'Istituto, dn base ai quali uno degli edifici costruendd sulfu predetta area (edificio � M �, con~enente venti alloggi) sarebbe stato riservato al personale in servizio presso l'Accademia Navale di Livorno e assegnato su sempliice designazione del Comando dell'Accademia stessa, a differenza degH altri allogg:i costruendi, da assegnare � mediante concorso secondo le vigenti norme �. I predetti accordii trovarono pieno riscontro nei fatti, allorch� i venti alloggi della palazzina � M � furono originariamente assegnati a dipendenti designatli dal Comando dell'Accademia, con i quaili l'INCIS stipul� regolare contratto di locazione, nel quale si puntualizzava, peraltro, che la cessazione del servi2'Jio presso l'Accademia avrebbe comportato automa� t�camente il venir meno dell'assegnazione. f. f ~ PARTB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 951 Le medesime modalit� vennero seguite per le successive assegnazioni. Orbene, tale successione di fatti dimostra che i ricorrenti hanno conseguito l'assegnazione non gi� in esito ad un normale concorso INCIS aperto aille generalit� degli impiegati dello Stato, ina avvalendosi della Joro qualit� di dipendenti dell'Accademia (o in genere del Ministero della Difesa -Marina) e sulla base della designazione dell'amministrazione militare, alla quale l'INCIS, nello stipulare i confratti di locazione, si � puntualmente attenuta. Si � venuta, in tal modo, a creare una situazione che si discosta nettamente da quella ipotizzata dall'art. 378 del T.U. n. 1165 del 1938 dianZJ� citato, e che si ddentifica, piuttosto, in quella di cui al precedente art. 381, 1� comma, dello stesso T.U., faddove si disciplina la procedura di assegnazione degli alloggi per ufficiali e sottufficiali dell'esercito. Tale procedura prevede, infatti, che gli alloggi vengano concessi in affitto a ufficiali e sottufficiali su determinazioni dei Comandi militari, comunicare all'INCIS ai fini della stipulazione dei contratti di locazione. Analogamente, nella fattispecie che ci occupa le determinazioni in ordine dell'assegnazione""degli alloggi ossia in ordine al pres~pposto pubblicistico del conseguenziale e accessorio rapporto di locazione, sono state, fin dal 1950, adottate dal Comando dell'Accademia navale di Livorno; e, in relazione a ci� l'INCIS si � limitato a prendere atto delle decisioni di detto Comando ed a stipulare i contratti di locazione con i soggetti designati. Deducono, peraltro, al riguardo, i ricorrenti che, nella specie, non ricorre l'ipotesi di case costruite per ufficiali. e sottufficiali ex art. 343 del T.U. del 1938; che gli alloggi di cui trattasi sono stati assegnati anche a dipendenti civiai del Ministero della Difesa ed anche a personale non dipendente dall'Accademia; che l'assegnazione non � stata, comunque, subordinata alla prestazione del servizio presso lAccademia. Tale d7duzione non appare, peraltro, concludente nel riflesso che, se dl procedimento seguito nella specie pu� essere stato atlipico ed irregolare, lo stesso non ha, comunque, compromesso o alterato il dato di fondo oggettivo, costituito, come detto, dalla circostanza che i ricorrenti usufruiscono di alloggi riservati ab origine ai dipendenti dell'Accademia navale ed assegnati dn base alle determinazioni vincolanti dell'Autorit� militare, al di fuori di un regolare concorso INCIS, e senza alcuna posSli. bilit� di valutazione, di comparazione e di controllo da parte dello INCIS medesdmo. In detto quadro, appare del tutto logica ed incontrovertibile l'equiparazione degli a1loggi di cui trattasi agli alloggi di servizio esclusi dal riscatto ai sensi dell'art. 2, lett. A, del D.P.R. n. 2/1959. Equiparaziione evidenziata dall'essere gli alloggi in esame originariamente riservati ai dipendenti dell'Accademia navale in relaziione al servizio prestato dagld stessi presso l'Accademia medesima, circostanza questa che si traduce in .�:::�: .... 952 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO un connotato oggettivo degli alloggi e si riflette sUille modalit� ogget� tive della loro assegnazione, in tutto analoghe a quelle previste dall'art. 381 del T.U. per gli alloggi riservati agli ufficiali. In detta prospettiva, l'esclusione del dimtto di riscatto nell'ipotesi di specie (e, per converso, mi profilo del diritto dell'amministrazione militare alla disponibilit� degli alloggi de quibus) sii delinea ulteriormente alila luce del disposto di cui alla lett. b), dell'art. 2 del D.P.R. citato, il quale esclude dalla concessione in propriet� gli alloggi conferiti in godimento per la prest�ztione in loco di un determinato servizio presso pubbliche amministrazioni. Disposizione questa che, per affermata giurisprudenza, va intesa nel senso che la detta deroga comprende non solo gli alloggi assegnati a singoli funzionari intuitu ministerii, e, cio�, in base ad un inscindibile collegamento con le funzioni esercitate, ma tutti quelli in cui l'assegnazione venga, comunque, condizionata alla . prestazione dii servdzio presso gli uffici del luogo in cui si trovi l'immobile (cfr., da ultimo, Cass. n. 3919/79). In conclusione, la condizione giuridica degli alloggi, qualtifilcata dal� l'originaria pertinenza dell'area edificatoria, nonch� dagli accordi intervenut� tra l'INCIS (oggi IA.C.P.) e il Ministero della Marina, al momento della loro costruzione, e, successivamente, dalla procedura di assegnazione, attribuisce ad un tempo all'Amministrazione militare una posizione processuale autonoma, in dipendenza della titolarit� di un dliriitto soggettivo perfetto alla dlisponibilit� degli immobili, ed esclude il diritto di riscatto, in capo ai ricorrenti, degli alloggi loro assegnati in locazione. Con il terzo ed ultimo motivo del ricorso principale, si deduce testualmente �che l'appello essendo inammissibile (quanto meno ex art. 311 cod.� proc. civ.), la mancanza di una valida rimpugnaztione della decisione del Tribunale ed id decorso del tempo hanno ormai fatto passare in giudicato la sentenza di pri.mo grado �. La censura, in sostanza, ripropone la questione dell'ammissibilit� dell'appello in relazione alla legittimazione dell'amministrazione militare ad impugnare l~ decisione di primo grado e, come tale, deve considerarsi assorbita dalle considerazioni che precedono in risposta ai primi due motivi del ri.corso prnncipale. Con il ricorso incidentale, si censura, in linea subordinata, la sentenza della Corte d'Appello nella parte in cui i giudici del gravame hanno omesso di richiamare espressamente, sia nell'intestazione che nel dispositivo della sentenza l'I.A.C.P. di Livorno, al quale l'impugnaztione era stata ritualmente notificata; cos� denunziandosi la decisione della Corte di merito per violazione dell'art. 132 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360. n. 3, dello stesso codice. La censura deve considerarsi anch'essa assorbita in conseguenza del rigetto del ricorso principale, attesa la sua proposizione in linea subordi� nata all'accoglimento del detto ricorso. PAIUB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 953 Conclusivamente, il ricorso principale va rigettato e il ricorso incidentale dichiarato assorbito. Motivi di opportunit� inducono Ja Corte a compensare interamente tra le parti le spese processuali del presente giudizio. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 ottobre 1984, n. 5017 � Pres. Santosuosso � Rel. Corda � P. M. Jannelli (diff.) � S.A.R.A. (avv. Creta) c. ANAS (avv. Stato Mataloni). Responsabilit� civile � Occupazione illegittima � Responsabilit� del concessionario � Occupazioni illegittime poste in essere dalla S.A.R.A. � Decadenza dalla concessione � Responsabilit� dell'ANAS � Sussiste. Ai sensi dell'art. 2 del D.L. 10 febbraio 1977 n. 19, convertito con modificazioni nella legge 6 aprile 1977, n. 106, successivamente alla decaden� za della concessione, l'ANAS succede alla S.A.R.A. in tutte le obbligazioni sorte alla stessa, sia di natur� negoziale sia a titolo di risarc�� mento dei danni per fatto illecito, purch� non vi sia gi� stato un accertamento definitivo di responsabilit� nei confronti della S.A.RA. (1). (,1) Non risultano precedenti: con questa sentenza infatti la Cassazione ha preso per la prima volta posizione sull'interpretazione dell'art. 2 del DL. 10 aprile 19n n. 106, che ha dichiarato la SA.R.A. decaduta dalla concessione delle Autostrade romane e abruzzesi e ha regolato �i rapporti successori nei confronti dei terai. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 ottobre 1984, n. 5544 � Pres. Greco � Rel. Sensale -P. M. Minetti (conf.) � Cantina sociale Marsala (avv. Gratlani) ~-A.I.M.A. (avv. Stato Fiumara). Avvocatura dello Stato.� A~I.M.A. � Patrocinio � ~ obbligatorio. Attraverso la costituzione dell'A.I.M.A. la legge ha inteso realizzare fini propri dello Stato, il quale in tal modo si � reso adempiente degli obblighi derivantigli dalle norme comunitarie sul mercato agricolo; n� contrasta con tale inerenza all'amministraziOne dello Stato la circostanza che essa sia dotata di autonoma personalit� giuridica. Ne consegue che la rappresentanza in giudizio dell'A.I.M.A. per mezza dell'Avvoca� tura dello Stato � obbligatoria e non facoltativa e si applica all'A.I.M.A. il foro erariale previsto dall'art. 25 del cod. proc. civ. (1). (1) Non esistono precedenti specifici. Per quanto concerne il foro erariale degli enti mutualistici soppressi relativamente alle controversie concernenti operazioni di liquidazione che sono destinate ad essere assunte dall'apposito 954 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO '� 1. Con il primo motivo ila ricorrente sostiene che non � poss.ibile ritenere che il riconoscimento all'A.I.M.A. della personalit� giuridica, eseguita a mezzo. della legge istitutiva 13 maggio 1966, n. 303, abbia avuto effetti meramente formali, Slia perch� tale conclusione contrasta con i principi generali che regolano <le persone giuridiche e sia perch� essa non giustifica gli effetti giuridici patrimoniali connessi a tale riconoscimento espressamente previsti. da detta legge; e deduce in particolare che: a) le persone giuridiche pubbliche, cosl come le private, sono soggetti di diritto, con capacit� corrispondente a quella delle persone fisiche, centri autonomi di imputazione di fattispecie e conseguenze giuridiche, rivolti al conseguimento di fini propri, in nessun caso assimilabili ad organi dello Stato; b) l'attribuzione della personalit� giuridica a:ll'A.J.M.A. non pu� essere confusa con l'autonomia amministrativa richiamata dall'art. 1 R.D. n. 1611/1983, in quanto tale ric9noscimento � attributivo di elementi distintivi e di effetti giuridici caratterizzanti, che hanno contenuti molto ampi e intensi rispetto a quelli delle amministrazioni dotate di semplice autonomia amministrativa; e) ai sensi dell'art. 20 della legge istitutiva, nel momento stesso deLla costitwione e del riconoscimento, l'AIMA � stata surrogata al Ministero de1l'agricoltura e foreste per tutte le obbligazioni giuridico-patrimoniali da questo assunte; d) le attribuzioni riconosciute al Consiglio di amministrazione del� l'ente dalil'art. 7 della legge istitutiva risultano in contrasto con la supposta �inerenza,. dell'Azienda all'amministrazione statale e dimostrano l'intento del legislatore di apprestare gli strumenti giuridici, amministra� tivi e patrimoniali per assicurare una posizione di autonomia ed autarchia del tutto particolare. Con ii.I secondo motivo la ricorrente sostiene che, ad esoludere l'obbligatbriet� deMa rappresentanza dell'AIMA da parte dell'Avvocatura de1lo Stato, valgono anche le seguenti considerazioni: 1) la legge istitutiva, a differenza di quelle concernenti tutte le altre amministrazioni autonome, non prevede la rappresentanza in giudizio dell'AIMA da parte de1l'Avvocatura dello Stato; ufficio liquidazione del Ministero del Tesoro, vedi Cass. 13 maggio 1983 n. 3276 in Foro it. 1984, I, 234; e con riferimento alle controversie concernenti la liquidazione degli enti soppressi v. Cass. 30 marzo 1984 n. 2142 in Foro it., I, 1847. Per quanto riguarda la Cassa del Mezzogiorno considerata in motivazione perch� anch'essa organo dotato di personalit� giuridica v. da ultimo Cass., 28 luglio 1981, n. 4852 in Giust. civ. 1982, I, 3121 con nota di CARBONE C. :--/,� .. :::::.~����� . .x , ..~-i:.�w.@ �:--.:X ..... � PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 955 2) l'ente in questione non risulta nemmeno compreso tra quelli autorizzati ad avvalersi della rappresentanza e difesa dell'Avvocatura dello Stato; 3) l'art. 7 iett. i) della legge n. 303/1966 riserva al Consiglio di amministrazione dell'A.I.M.A. il potere di �deliberare sulle transazioni e sulla opportunit� di promuovere azioni giudi7Jiarie o restistere nei giudizi �, il ch�: a) conferma la sostanziale, maggiore autonomia dell'A.IM.A. rispetto alJ.e altre aziende; b) comprova ulteriormente che la rappresentanza processuale di questo ente da parte dell'Avvocatura � da ritenere meramente discrezionale; 4) conferma� che le disposizioilli sul foro eraliale Sii riferiscono ai1le sole controverstie nelle quali sia parte un'amministrazione de1lo Stato e non sono, pertanto, estensibili alle cailse con enti che abbiano soggettivit� giuridica distinta da que1la dello Stato, salvo diversa e specifica previsione normativa. Con il terzo motivo, infilne, la ricorrente sostiene che fa norma contenuta nell'art. 12 della legge 14 agosto 1982, n. 610, sul riordinamento dell'A.I.M.A. -con la quale si � stabilito che hei giudi7Ji attivi e passivi avanti l'autorit� giudiziaria ordinaria ed ai collegi arbitrali e giurisdi2lionali speciali, l'A.I.M.A. � rappresentafa datll'Avvocatura Generale dello Stato -innovatrice e non superflua (come ritenuto dalla Corte di Appello di Palermo), � di per s� idonea a fugare ogni dubbio in ordine alla rappresentanza processuale dell'azienda nel momento della propostizione della domanda introduttiva del presente giudizio, dovendo ritenersi -per le espressioni letterali usate e in base a un'adeguata valutazione del fondamento e dello scopo della disposizione -che con essa il legislatore abbia inteso rendere necessaria, da facoltativa che era ex art. 43 della legge n. 1611 del 1933, la rappresentanza processuale dell'A.I.M.A. da parte dell'Avvocatura dello Stato. Le suesposte� censure, che devono esaminarsi con~untamente essendo fra foro connesse, sono infondate. 2. L'art. 25 cod. proc. civ. dispone che nelle cause nelle quali � parte un'amministrazione dello Stato � competente, a norma delle Jeggi speciahi sulla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio e nei casi ivi prev�sti, il giudice del Juogo ove ha sede l'ufficio deM'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo ae norme ordinarie. IJ R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, cui l'art. 25 cod. proc. civ. rinvia, stabilisce ch� la rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spettano all'avvocatura dello Stato (art. 1) e che la competenza per Je cause nelle qua1i � parte un'amministrazione dello Stato spetta al tribunale o a1la corte d'appello del luogo dove ha RASSBGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATI> sede l'ufficio dcll'avvooatura dello Stato nel cwi distretto si trova il tri� bunale o la corte d'appel:lo che sarebbe competente secondo le norme ordinarie (art. 6). Il successivo art. 43 stabilisce, poi, che l'avvocatura dello Stato pu� assumere la rappresentanza e la difesa in giudizio dd amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati sottoposti a tutela o anche a sola vigtilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata da disposti di legge, dd regolamento o di altro provvedimento approvato con decreto. Da tali norme si trae la regola che la rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in� giudizio ad opera dell'avvocatura dello Stato sono obbtli� gatori per le amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordina� �mento autonomo, e sono facoltativi per le amministra2lioni pubbliche non statali e per gli enti sovvenzionati, sottoposti a tutela o vigiilanza dello Stato, e che la norma sul foro erariale opera solo nel primo caso. Per quanto la legge si sia preoccupata di indicare gli enti pubblici non statali per i quald � ma~tenuta ferm� l'autorizzazione ad avvalersi del patrocinio erariale nell'ambito di prC;!visiOne dell'art. 43 (v., ad esem� pio, iil R.D. 8 giugno 1940 n. 779, il D.P.R. 9 lugilio 1953 n. 693, il D.P.R. 6 marzo 1978 n. 218, H D.P.R. 6 agosto 1978 n. 872), non sempre dl proble� ma � stato posto e risolto sul piano testuale C;! si � di volta �n volta ricer� cato se l'organizzazione autonoma, per la sua struttura e per i fini che persegue, possa dirsi inserita, oppure no, neLl'apparato dell'amministra� zione dello Stato. Itl. fatto che tale dnterrogativo non sempre riceva risposta nella legge spiega talune qsaiMazioni che non sono mancate nella giurisprudenza di questa Corte. A parte quelle ipotesi in cui, pur ponendosi l'accento sulla sogget� tivit� giuridica formalmente distinta da queLla dello Stato (quale elemento per escludere dl patrocilllio erariafo), tale esclusione si giustii�icava in realt� con il'estraneit� di taluni enti pubblici all'organizzazione sta4tle (v. sent. 384/67, per la Giovent� italiana; 774/75 e 464/78 per gli IACP e la Gescal; 548/77 e 2967/80 per le Gestiond provvisorie delle ferrovie in concessione; 374/80 e 2123/80 per I�l Poligrai�ico delilo Stato), le oscillazioni giurisprudenziali si sono manifestate, in modo particolare, con riferimento alla Cassa per il. Mezwgiomo, alla quale talvolta si � riconosciuta fa veste di organo dello Stato, pur se dotato di personalit� giuridica (sent. 718/70, 4164/75, 2363/76), mentre altre volte le si � negato fil beneficio del foro erariale, sul presupposto della sua distinta soggettivit� giuridica (sent. 4150/78, 2967/80, 4852/81). Per contro, con riguardo al fondo di previdenza delle Dogane (sent. 2328/75, 2742/76, 2264/83) e alla Gestione commissariale dell'ENPAS (sent. 5030/80), si � ritenuto che la personalit� giuridica di cui tali enti sono dotati si concilia con il loro inserimento nell'amministrazione dello Stato e con la conseguente applicabilit� del foro erariale. PARTB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA ClVILB 3. Il problema che si pone �, dunque, se le organizzazioni autonome delle amministrazioni dello Stato possano essere fornite di personalit� giuridica senza che vengano meno al loro inserimento nell'apparato organizzativo dello Stato e, conseguentemente, ila regola del patrocinio obbligatorio dell'Avvocatura dello, Stato; e se il conferimento ad una di tali organizzazioni della personalit� giuriddca la trasferisca, come sostiene fa ricorrente, nella previisione dell'art. 43 del R.D. 1611 del 1933, con la conseguenza della non obbligatoriet� del patrocinio suddetto e della sottrazione al foro erariale de1le cause in cui essa sia parte. La tesi, maggiormente accreditata presso la dottmna meno recente, dell'impossibilit� d'inserimento nell'organizzaziione dello Stato degli enti dotati cli personalit� giuridica (in quanto -si ddceva -il concetto di persona giuridica � non pu� scompaguarsd dall'idea di un ente rivolto al conseguimento di fini propri �), non ha retto di fronte altl.a considerazione che, in seguito aM'ampliamento dei compiti che lo Stato moderno sii � assunto e alla esigenza, da tale ampliamento derivata per alcuni settori dell'azione pubblica, di una maggiore semplicit� strutturale e di una maggiore agilit� fumrl.onale, il legislatore, quando ilo ha ritenuto necessario al pi� ,idoneo perseguimento dei fini dello St�to, ha preferito costituire talune organizzaziioni dell'amministrazione statale come distinti soggetti, dotati di patrimonio e di organizzazione autonoma. Muovendo da tali considerazioni, la pi� moderna dottrina, ponendosi il problema della conciliabilit� fra la personalit� ~uridica di taluni enti e la loro veste di organi dello Stato, ha osservato che la questione � di stretto diritto positivo, poich�, se di regola l'organo, essendo il normale mezzo d'impugnazione ad una persona giul1idica della sua azione, non ha a sua volta personalit� giuridica (esso, infatti, avrebbe poi bisogno di un altro mezzo per imputare fattispecie a se stesso in quanto persona giumdica), nel nostro ordinamento � accolto il pmncipio che taluni organi (e, a maggior ragione, talune organizzazioni, anche non legate da rapporto organico con lo Stato) possano ricevere la personalit� giumdica per effetto ,di norme eccezionali, in virt� delle qua1Ii l'organo-persona giuridica sd istituisce sempre e solo quando ricorrono particolari ragioni, di solito di carattere patrimoniaJe, cio� per dare all'organo maggiore ildbert� negoziale, con la possibilit� di percepire proventi ddretti in corrispettivo delle prestazioni erogate. La pecularit� dd ta1Ii soggetti � che essi, da un lato si inseriscono in un quadro di rapporti interorganici e sono soggetti, a seconda dei casi, a poteri gerarchici o di direttiva ed a controlli generali o speciali;_ dall'altro hanno propri rapporti patrimoniali, propria contabilit�, propria organizzazione e, spesso, proprio personale e propri beni. Nel trattare delle amministrazioni statali autonome,' si � recentemente precisato in dottrina che se, per lo pi�, esse sono prive di personalit� giuridica, nulla esclude che, in talUilli casi, esse assumano tale personali RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO t�, nel qua.J. caso gli organi ministeriali ad esse preposti acquistano anche la veste di organi dell'ente; e, fra queste amministrazioni statali autonome, si � espressamente indicata l'AIMA. 4. Se, dunque, la controversia deve risolyersi sul piano deJ. diritto positivo, essendo irrilevante che l'AIMA sia dotata di personalit� giuridica, non v'� dubbio che essa -definita dalla legge dstitutiva � Azienda di Stato�, al pari di altre per le quali non si � mai dubitato dell'app.Jdca I bilit� del foro eraniale -debba includersi fra Je amministrazioni de1lo Stato organizzate ad ordinamento autonomo, per le quali, ai sensi degM artt. 1 e 6 del R.D. 1611/1933, il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato � obbligatorio e trova applicazione l'art. 25 del cod. proc. civ. sul foro er�ria.J.e. L'Azienda di Stato per gli interventi. nel mercato agricolo fu istituita con legge 13 m~ggio 1966 n. 303 presso il Ministero dell'agricoltura e delle.,.,/_w�este per s:volgere i compiti di_ gfganismo d'intervento previsti daf<regolamento comunitario del 4 aprile'1962 n. 19 e quelli che le fossero statli. successivamente affidati, derivanti dalJ'applii.cazione di norme comunitarie (art. 3, primo e secondo comma, modificato, quest'ultimo, daill'art. 1 della legge 31 marzo n. 144). Scopo dell'Azienda, come si desume dalle norme citate e dall'art. 1 della legge istitutiva, � quello d'intervenire sui prezZJ� indicativi, su quelJi di intervento e sui prezzi di entrata dei prodotti di cui al citato regolamento CEE e di quelli che sarebbero stati successivamente emanati lin materia, in modo da determinarli in base ai criteri stabiliti da tali regolamenti e d�lle deliberazioni del ConSli.glio dei ministri deLla Comunit�;" Ci� risponde all'impegno, assunto dallo Stato italiano aderendo al Trattato istitutivo della CEE (ratificato e reso esecutivo con legge 14 ottobre 1957 n. 1203), di adottare tutte Je misure di carattere generale e perticolare, atte ad assicurare l'esecuzione degld obblighi derivanti dal Trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunit� (art. 5) e di coordinare, in stretta collaborazione con tali istituzioni, la propnia politica economica (art. 6), iivi compresa la politica agricola (art. 38), attraverso la stabilizzazione dei mercati, la sicurezza degli , approvvigionamenti e .l'assicurazione di prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatoni (art. 39): impegno, che, se non mantenuto, legittli.ma H ricorso di ciascun altro Stato membro al!la Corte di giustizia (art. 170) ed obbliga lo Stato, la cui inosservanza sia stata riconosciuta dalla Corte, .a prendere i provvedimenti che l'esecuztlone della sentenza iimporta. Se questo � il compito fondamentale dell'A.I.M.A. (pur se ulteriori compiti possono esserle affidati ai sensi del 3� comma dell'art. 3 deMa legge istitutiva), non � dubbio che, attraverso la costituzione dell'Azienda, la legge abbia foteso realizzare fini propri dello Stato, che questo � tenu� PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 959' to a perseguire allo scopo di rendersi adempiente degli obblighi derivantigli dalile norme comunitarie sul mercato agricolo. Esattamente .si �, quindi, osservato neLla sentenza impugnata che non c'� nulla nelle norme, che riguardano l'AIMA, �che possa far riconoscere finalit� dell'Azii.enda che non siano dello Stato, essendovi una totale immedesimazione di scopi e non potendosi configurare un conflitto tra Azienda e Stato che non sia risolubile se non sul piano amministrativo. Coerenti con fa �natura de1l'AIMA quale organismo inserito neila organizzazione dello Stato, sono le norme sulla struttura di essa (istituzione dell'Azienda presso H Ministero dell'agricoltura e delle foreste; presidenza'. �ex lege del Ministro; partecipazione al consiglio di amministra2' Jione del sottosegretario di Stato e di alcuni direttori generali di pi� Ministeri, nonch� dell'ispettore generale capo per gli affari economici del Ministero del Tesoro; dipendenza dell'Azii.enda da un direttore generale al quale � attribuito il coefficiente di stipendio 900; !istituzione presso l'Azienda di un apposito ufficio de1la Corte dei Conti, dn modo da rendere pi� pregnante il controllo rispetto a quello che essa esercita nei confronti degli enti pubblici non statali; assegnazione all'Azienda di personale del Mdnistero dell'agricoltura; obbligo per il Ministro di presentare annualmente al Parlamento una relazione sull'attivit� dell'Azienda; disciplina del1� gestione con degge o con il regolamento per ~�amministrazione del patrimonio e della contabilit� generale dello Stato; utilizzazione, da parte' deLl'AIMA, degl'ispettorati dell'agricoltura e de1l'alimentazione; assegnazione di apposita somma determinata con la degge di bilancio e iscritta nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'agricoltura). Con l'dnerenza deH'AIMA all'amministrazione dello Stato non contrastano la circostanza che essa sia dotata di autonomia patrimoniale e funzionale e di poteri gestionali propri n� la possibilit� di avvalersi, per l'espletamento del servizio, dell'opera di soggetti privati particolarmente attrezzati e capaci di assolvere determinati servizi. Come si � gi� accennato, ci� si giustifica con l'intento di creare.una struttura organizzativa avente connotati tali da realizzare una pi� efficiente ed agile erogazione del servizio affidatole, che tuttavia lo Stato utilizza per il conseguimento di fini cui avrebbe anche potuto provvedere direttamente.' Opportunamente, in prop�sito, la Corte di merito, a sostegno della tesi da .essa accolta, ha richiamato le relazioni di maggioranza alla Camera deii Deputati e al Senato, nelle quali si sottolineava che l'istituzione dell'AIMA era conseguenza dell'inderogabile esigenza di apprestare un organismo S'trutturato in modo da poter operare con fa dovuta agii:lit� e tt:(mpestivit�, per cui si era ritenuto che lo strumento pi� idoneo al fine fosse un'Azienda di Stato avente una particolare strutturazione e che, senza introdurre onerosi elementi di costo nell'esercizio delle pubbliche funzioni, fpsse in grado di conciliare la duplice esigenza di riser 960 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vare allo Stato l'esercizio delle funzdoni stesse e di far salva, nel contempo, la possibilit� di avvalersi, per l'espletamento dei relativi servizi, dell'opera di soggetti privati. 5. La qualii�icazione giuridica dell'AIMA quale organizzazione deMo Stato ad ordinamento autonomo. (se non di organo di esso), come tale obbligatoriamente patrocinata daill'avvocatura dello Stato e, quindi, beneficiaria del foro erariale, risulta chiaramente dalla legge istitu1Ji.va e da quelle successive: in particolare, dalla legge 31 marzo 1971 n. 144, sul i�inanziainento degli interventi di mercato svolti dall'AIMA; dad decreti presidenzdali 321/71, 1128/71, 853/72, 532/73, 727/74, emanati per l'attuazione di decisioni del Consiglio dei Ministri. della Comunit�; dal d.l. 24 luglio 1973 n. 427, convertito in legge 4 agosto 1973, n. 496, che assegna all'AIMA, in aggiunta ai compiti previsti dalla legge 303/66, ove necessario e su autori.zzazione del Ministro dell'agricoltura di concerto con il Ministro del Tesoro, lo svolgimento di attivit� per la regolarizzazione del mercato interno concernente alcune merci e per fa loro immisSlione regolata sul mercato nazionale alle condizioni stabilite dal CIPE ~(ulteriori compiti volti alla~ealizzazione di fini che sono anch'essi direttamente dello Stato e che, d'altra parte, non fanno venir meno le fondamentali finalit� dell'AIMA come organismo d'intervento secondo quanto previsto dai regolamenti CEE relativi all'organizzazdone del mercato agricolo). Non pu�, quindi, dall'art. 12 della successiva legge 14 agosto 1982 n. 610 (il quale prevede espressamente, per l'AIMA, le disposizioni vigenti in materia fiscale per le altre amministrazioni dello Stato e la rappresentanza in giudizio d�ll'Avvocatura dello Stato) trarsi argomento per sostenere che, secondo la disciplina vigente al momento della instauraziol} e del giudizio 'tale rappresentanza (obbligatoria). non sussistesse. � La tesi non pu� trovare credito presso questa Corte, una volta che si consideri che, come si � osservato in precedenza, non sempre le leggi sugU enti pubblici (statali o non statali) contengono specifiche disposizioni circa la rappresentanza in giudizio di essi e che il rela1Ji.vo problema, nel silenzio della legge, richiede, di volta in volta, una indagine diretta a ricercare quale sia la posizione dell'ente -di inerenm o di estraneit� -rispetto all'organizzazione dello Stato. Da ci� deriva che favere le leggi relative all'AlMA taciuto circa la sua rappresentanza in giudizio non autorizzza a ritenere che si trattasse �di rappresentanza facoltatJiva e non obbligatori.a, potendosi, anzi, rilevare che proprio nella prima ipotesi, ai sensi dell'art. 6 del decreto 1611/33, sarebbe stata necessaria l'esistenza della previst,a autorizzazione contenuta in una disposizione di legge, di regolamento o di altro provvediment9 approvato con decreto; e che, di fronte alla natura di azienda facente parte dell'apparato statale, rivestita dall'AIMA, quale risultava chiaramente nella disciplina anteriore all'entrata in vigore della legge 610/82, le disposizioni dettate dall'art. 12 PARTI! I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 961 di tale legge hanno evidente funzione chiarificatrice e confermativa di un principio gi� contenuto nella precedente legi.Sl1azione, tanto nella parte (1� comma) in cui la natura di amministrazione dello Stato attribuita all'AIMA appare chiaramente indicata, tanto nella parte (2� comma) in cui, coerentemente col primo comma, si prevede espressamente la rappresentanza in giudizio dell'AIMA per mezzo dehl'avvocatura dello Stato. L'attribuire tale portata all'art. 12 appare in linea con lo scopo che la legge del 1982 si � prefisso, che � quello del riordinamento dell'AIMA e cio� di dare un assetto organico e completo ad una disciplina normativa che, dopo la legge istitutiva, si era frammentata nelle successive leggi, modificative o aggiuntive della prima. In questa prospettiva appare perfettamente rispondente aLle finalit� della nuova legge J'avere essa completato la discipliina dell'AIMA con l'affermazione della sua natura di amministrazione statale e, quindi, del suo patrocinio da parte dell'avvocatura dello Stato. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 dicembre 1984, n. 6533 � Pres. Scan~ zano -Rel. Contu � P. M. Martinelli (cono!. conf.). -A.N.A.S. (avv. Stato Laporta) c Petti ed altri (avv. Leone). Espropriazione per pubblica utilit� � Indennit� � Determinazione in base alla legge 385/80 � Declaratoria d'incostituzionalit� della predetta legge � Conseguenze. � (Legge 29 luglio 1980 n. 385; legge 25 giugno 1865 n. 2359). Espropriazione per pubblica utilit� -Pagamento dell'indennit� -Debito di valuta � Svalutazione monetaria � Effetti. (Legge 25 giugno 1865, n. 2359; legge 29 luglio 1980, n. 385; art. 1224 codice civile). Espropriazione per pubblica utilit� � Indennit� � Determinazione � Valuta� zione dei beni espropriati � Alla data dell'espropriazione. Venuta meno la disciplina dell'indennit� di esproprio sancita dalla legge n. 385/80, per effetto della declaratoria d'incostituzionalit� della predetta legge (Corte Cost. 19 luglio 1983, n. 223), per la determinazione del valore� del bene deve farsi ricorso alle norme generali della legge 25 giugno 1865 n. 2359 (1). (1) Cfr. Cass., S. U., 4 novembre 1980, n. 5904, in Foro it., 1980, I, 3004 con nota di M. GROSSI; id., 24 ottobre 1984, n. 5401, dn Giust. civ., 1984, I, 2711, la quale ha anche risolto il contrasto giurisprudenziale fra le sezioni semplici della Cassazione circa la rilevanza della motivazione delle sentenze della Corte Costituzionale ai fini dell'dnterpretazione della pronuncia con esse resa e dichiarata nel dispositivo; Cass., Sez. I, 29. maggio 1984, n. 3278, in Cons. Stato, 1984, Il, 1360 in termini esatti. Cfr. da ultimo id., 16 gennaio 1985, n. 94. La sentenza della Corte Cost. 30 gennaio 1980 n. 5 � in Foro it., 1980, I, 273 con nota di C. M. BARONE; in Cons. Stato, ;1980, Il, ,187 con commento dli KLITSCHB r11111�111111:1111111111111111111111r11r1r111r1111111t1r1111111111111@ 962 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'indennit� di espropriazione per p.u. integra un debito di valuta soggetto al principio nominalistico e, pertanto, non � suscettibile di automatico adeguamento per effetto della sopravvenuta svalutazione monetaria, la quale pu� implicare solo motivo di maggior danno risarcibile ex art. 1224 cod. civ., in presenza di un ritardo colpevole del debitore, e sempre che il creditore deduca e dimostri di aver sub�to ulteriore. pregiudizio per la ritardata riscossione dell'indennit� stessa o, comunque, indichi elementi idonei all'individuazione, in via presuntiva, del pregiudizio stesso, in relazione alle sue qualit� e condizioni (2). Nella espropriazione per pubblica utilit�, agli effetti della determinazione dell'indennit�, la valutazione dei beni espropriati deve essere effettuata con riferimento alla data dell'espropriazione (3). Con l'unico motivo del ricorso l'ANAS -denunciando violazione dell'art. 4 del decreto-legge 2 maggio 1974, n. 115, come convertdto dalla legge 27 giug'no 1974, n. 247, e dall'art. 3 della legge 29 luglio 1980, n�. 385, con riferimento all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. -deduce che la Corte d'Appello di Napo1i avrebbe erroneamente escluso l'applicabilit� alla fattispecie DE LA GRANGE; in Giur. cast., 1980, I, 590 con nota di N. LIPARI; ibidem, 481 con nota di LoMBARDI; in Riv. giur. ed., 1980, I, 17 con nota di PEccERIU.o. La sentenza 119 luglio 1983, n. 223 � in-Foro it., 1983, I, 2057, con nota di C. M. BARONE; in Giur. it., 1984, I, 1, 620 con� nota di GABRIELE; in Riv. giur. ed., 1983, I, 1, 743 con nota d!i ALPA; iin Giust. civ., 1983, I, 2538; mGiur. cost., 1983, 1331 con nota di LoMBARDI. (2) Giurisprudenza costante. Cfr. Cass., 26 febbraio 1979, n. 1255, Mass., 1979; id., .11 ottobre 1979, n. 5275, ibidem, per le quali il r'itardo trova compenso nel diritto agli interessi sulla maggior somma fissata dal giudice rispetto a quella indicata nel decreto ablativo; id., 9 novembre 1983, n. 6619, ivi, 1983; id., 3 dicembre 1983, n. 7243, ibidem; id., 23 dicembre, n. 7585, ibidem; da ultimo id. 18 dicembre 1984, n. 6626. Con specifico riferimento �all'iindennit� aggiuntiva prevista in favore dei coltivatori diretti, Trib. sup. aa.pp., 18 marzo 1983, n. 7, in Cons. Stato, 1983, II, 413.. Cfr. in dottrina A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, Jovene, 1984, p. 839 e LANDI, L'espropriazione per pubblica utilit�, Milano, Giuffr�, 1984. Per una ricostruzione puntuale dell'evoluzione giurisprudenziale sull'argomento cfr. MARUOTTI, L'evoluzione giurisprudenziale in tema di incidenza della svalutazione monetaria (sulla indennit� di esproprio) intervenuta nel periodo di mora debendi, nota a Oass., 1 aprile J981, n. 1852, in questa Rassegna, 1981, I, 522. (3) Giurisprudenza conforme. Cfr. per tutte, Cass. 25 febbraio 1980, n..1311, in Giust. civ., 1980, I, 770. Nella sentenza iin epigrafe si precisa che, sotto tale profilo, acquista 11ilevanza la svalutazione monetaria, sia pure limitatamente all'adeguamento della indennit� per rapportarla al momento dell'espropriazione, mentre per il resto valgono le considerazioni di cui supra. Sull'indennit� di esproprio cfr. Relazione Avv. Stato, anni 1976-1980, voi. Ili, pp. 408 e ss. ed, in particolare, sul punto p. 428. PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDBNZA CIVILB dei criteri di determinazione dell'indennit� di espropriazione stabiliti dalla legge n~ 385 del 1980 (sostitutiva delle disposizioni della legge n. 865 del 1971 di�hiarata costituzionalmente illegittima). Sostiene, al riguardo, che l'applicazione della nuova normativa, oltre a non trovare preclusione nell'art. 4 della legge abolitrice d�l contenz�oso amministrativo per l'inconf�gurabilit� del giudizio di opposizione alla stima come giudizio su un atto amministrativo, non era impedita dalle deduzioni delle parti, volta a richiedere l'individuazione da parte della Corte del merito della legge regolatrice dei criteri dndennitari. La censura � infondata. Il problema relativo alla determinazione dell'indennit� espropriativa originariamente sogg~tta ai criteri dettati dall'art. 15, 5-6-7� comma, della legge 22 ottobre 1977, n. 865 (c�me modifilcato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10) venne risolto dal legislatore, dopo la dichiarazione di illegittimit� costiituzionaie di tali norme (sent. n. 5 del 1980 della Corte CostitUZJi.onaJ.e), con l'emanazione di una normativa di carattere provvisorio, che comportava l'applicabilit� di criteri. di stima analoghi, salvo conguaglio, fino all'entrata in vigore di apposita legge sostitutiva delle disposiziioni dichiarate illegittime. Detta normativa, sancita con la legge 29 luglio 1980 n. 385, � stata a sua volta dichiarata costituzionalmente illegittima con la recente sentenza 19 luglio 1983, n. 223, della Corte Costituzionale, per violazione degli artt. 42, 3� comma, e 136, 1� comma del.fa Costituzione, e non � pi� applicabile, con la conseguenza che � venuto a mancare il supporto legislativo su cui l'ANAS fonda le censure relative al criterio seguito dalla corte del merito per la determi� nazione dell'indennit� di espropriazione. Con riferimento alle sentenze della Corte Costituzionale sopra citate � ipotizzabile una questione interpretativa sui loro Iimitii, dovendo essere stabilito se la dichiarazione di costituzionalit� investa la normativa esaminata in tutto l'ambito della sua previsione,.. come sembrerebbe doversi desumere dal dispositivo, o soltanto, invece, in quanto riferita alle aree edificabili, come potrebbe argomentarsi dalle motivazioni. La questione � per� estranea alla presente controversia, non essendo sorta contesta� zione sull'accertamento dei giudici del merito relativo 8!lla natura edifi� catoria dei beni espropriati, ed essendo perci� indiscutibile la riferi.bilit� ad essi delle pronunzie della Corte Costituzionale. Deve perci� concludersi che, una volta venuta meno la disciplina della indennit� di esproprio sancita dalla legge n. 385 dei-1980, per la determi� nazione del valore del bene deve farsi ricorso alle nonne generali della legge 25 giugno 1865, n. 2359. L'applicazione alla fattispecie di questa normativa, contenuta nella sentenza impugnata, � quindi immune da cri.tiche, pur dovendosi rilevare che la sua sostanziale esattezza va posta in relazione con H mutamento di disciplina legislativa intervenuto nelle more del giudizio piuttosto che con le ragioni giuridiche addotte a sostegno della decisione. 96'4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il ricorso principale dell'ANAS dev~ essere pertanto rigettato, con la conseguenza che resta assorbito quello incidentale condizionato proposto dalla Petti e dalle Guarini. Con il primo motivo del ricorso n. 7086/81 si denuncia, con rifenimento aJl'iindennit� liquidata a favore della Petti e di Simonetta Guarini, violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e segg. cod. aiv., nonch� omessa ed insufffi.ciente motivazione su un punto decisivo, sostenendosi che era stato chiesto il maggior danno da svalutazione monetaria conseguente alla mora del debitore e che la relativa istanza venne nigettata senza un esame approfondiito delle ragioni addotte per giustificarla. Tale censura non � fondata. ~ noto che l'indennit� di espropriazione per pubbJdca utilit� integra un debito di va'luta, soggetto al principio nominalistico e, pertanto non � suscettibile di automatico adeguamento per effetto della sopravvenuta svalutazione monet�ria, la quale pu� implicare solo ragione di maggiior danno risarcibile, ai sensi dell'art. 1224 cod. civ., in presenza di un ritardo colpevole. del debitore sull'inadempimento, e sempre che il creditore deduca e dimostri di. aver subito un ulteriore pregiudizio per la ritardata riscossione dell'indennit� medesima o comunque indichi elementi idonei alla individuazione in via presuntiva del pregiudizio stesso, in relazione alle sue qualit� e condizioni (Cass. 830/82, 4364/82, 1852/81). Non merita perci� censura la sentenza impugnata per aver escluso la rivalutazione automatica dell'indennit�, per adeguarla al diminuito potere di acquisto della moneta. N� pu� sostenersi che il problema della rivalut�zione monetaria dovesse tro_vare ingresso soto il profilo risarcitorio, a' sensi dell'art. 1224 cod. proc. civ., poich� in tali termini esso venne proposto dinanzi alla corte del meri.to solo con la comparsa conclusionale, mentre in precedenza si era insistito su una rivalutazione pura e .semplice; deve rilevarsi, inoltre, che non risulta assolto l'onere dell'allega:llione dei fatti costitutivi delrulteriore pregiudizio nisarcibile. Ne consegue che la sentenza impugnata non merita censura per aver omeso di esaminare una domanda risarcitoria proposta irritualmente a contraddittorio ormai chiuso, talch� non � configurabile il dedotto vizio di motivazione. Ed � giuridicamente corretto che la stessa sia stata esaminata solo sotto il profilo della rivalutazione automatica, posto che � mancata da parte delle deducenti, la dovuta ~pecificazione del danno ricollegabile alla pretesa mora del debitore. Con il secondo motivo dello stesso ricorso, relativo alla determinazione dell'indennit� spettante alla Petti ed a Grazia Guarini, si denuncia viola:llione degli artt. 39, 40, 50 e 51 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, e succesSJive modifica:1lioni, nonch� dell'art. 42 della Costituzione, con riferimento all'art. 360, n. 3 e 5 cod. proc. civ. Si deduce, al riguardo, che l'indennit� di espropriazione venne erroneamente liquidata secondo i valoni riferiti al 1977, pur essendo :l'atto ablatorio intervenuto nel 1979. PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVlLB 965 Tale censura � fondata. La corte del menito ha valutato i beni espropriati con identici parametri, senza consider�re che, essendo l'espropriazione avvenuta in tempi diversi, doveva accertarsi se i relativi valori fossero rimasti immutatii od avessero sublto modificazioni. Non potevano perci�, valutarsi i terrellli espropriati nel 1979 cori dei criteri relativi al valore� venale che gli stessi avevano nel 1977, ed era invece necessario accertare se detto valore avesse sub�to una lievitazione per ragioni di mercato od �anche per effetto della svalutazione monetaria. Tale indagine � mancata ed � stato perci� violato il principio che la valutazione dei beni espropriati, agli effetti de1Ia determinaziione dell'indennit�, deve essere effettuata con riferimento alla data della espropriazione. Sotto tale prof�ilo la svalutazione monetaria acquista perci� niievanza, sia pure :limitatamente all'adeguamento dell'indennit� per rapportarla al momento dell'espropriazione, mentre per il resto valgono anche per l'espropriazione in parola le considerazioni svolte a proposito del primo motivo dello stesso ricorso. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 dicembre 1984, n. 6631 -Pres. Falcone " Rel. Sgro.i -P. M. Morozzo della Rocca (conci . .diff.) -A.N.A.S. (vice avv. gen. Stato Del Greco) c. Calefati di Canalotti (avv. D'Amelio e Orlando). Espropriazione per pubblica utilit� -Indennit� � Determinazione in base alla legge n.385/80 � Declaratoria di incostituzionalit� della predetta legge � Conseguenze. (Legge 29 lu\llio 1980, n. 385; d.!. 26 luglio 1981, n. 396; legge 25 settembre 1981, n. 1535; d.!. 29 ma\lgio 1982, n. 298; legge 29 luglio 1982, n. 481; legge 23 dicembre 1982, n. 943; legge 25 giugno 1865, n. 2359). � Venute meno le norme provvisorie sull'indennit� di espropriazione delle aree fabbricabili, per effetto della declaratoria d'incostituzionalit� (Corte Cast. 19 luglio 1983 n. 223), si riespande e diventa applicabile la precedente disciplina sulle espropriazioni per pubblica utilit� (1). Con l'unico motivo l'A.N.A.S. deduce la violazione dell'art. 16 della fegge 22 ottobre 1971 n. 865, in relazione all'art. 4 del dJ. 2 maggio 1974 n. 115, conv. in legge 27 giugno 1974 n. 247; dell'art. 11 delle preleggi e dell'art. 51 della legge 24 giugno 1865, n. 2359; nonch� omessa motivazione su fatto decisivo, in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 cod. pr.oc. civ., lamentando che la Corte d'appello avesse negato J'app!Jicazione delle norme della legge n. 865 del 1971 in base ad una serie di considerazioni prive (1) Cfr. Cass., l2 dicembre 1984, n. 6533, supra con nota di precedenti. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cli pregio. Invero, le clisposdzioni della predetta legge del 1971 SI� applicano a tutte �le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione dii opere o interventi da parte dello Stato, delle Regioni, delle province, dei comuni o cli altri enti pubblici anche non territoriali, a seguito dell'entrata in vigore del dl. n. 115 del 1974 e della legge n. 247 del 1974, per cui i criteri di stima previsti dal titolo II della legge del 1971 sono tassativi, con esclusione di ogilli. altro sistema e con obbligo del giuddce dell'opposizione alla stiima di applicare l'anzidetta normativa. La ricorrente Azienda delle Strade Statali osserva che non ha alcuna rilevanza. che alcune disposizioni dell'art. 16 della legge n. 865 del 1971 siano state dichiarate costituzionalmente illegittime, essendo intervenuta la legge 29 luglio 1980, n. 385. Jl ricorso � infondato. Esso � tutto affidato 'al vtigore della legge n. 385 del 1980 (in relazione all'epoca -febbraio 1982 -della sua proposizione); ma con sentenza n. 223 del 19 luglio.1983 (in Gazzetta Ufficiale 27 luglio 1983) la Corte Costdtuzionale ha dichiarato l'dllegittimit� costdtuzionale, per violazione dell'art. 136 Cost., degli artt. 1, 2 e 3 della legge 29 luglio 1980 n. 385 e cli tutte le successive leggi di proroga (d.l. 28 luglio 1981 n. 396, conv. in legge 25 settembre 1981 n. 1535; d.l. 29 maggio 1982 n. 298, conv. in legge 29 luglio 1982 n. 481; legge 23 dicembre 1982 n. 943). Una volta annullate le no~e provvisorie sull'indennit� di espropriazione delle aree fabbricabili, si riespand� e diventa applicabil.e la precedente disciplina sulle espropriazioni per causa di p.u. (Cass., sez. un., 4 novembre 1980 n. 5904; Cass., Sez. I, 20 febbraio 1984 n. 1197). E pertanto, la statuizione della Corte d'appello, che ha applicato i criteri stabiliti dagli artt. 39 e 40 della �legge sulle espropriazioni del 1865, deve rimanere ferma (a prescindere dalla motivazione ivi contenuta) in relazione all'impossibilit� di fare ricorso (neppure dn via provvisoria) ai criteri di cui all'articolo 16 della legge n. 865 del 1971 e successive modificazioni. Il P.M., pur aderendo a tale impostazione, ha �ritenuto che il ricorso vada'I>er� accolto, per quanto di ragione, in relazione cio� a quella parte dell'indennit� dii espropriazione che concerne terreni agricoli, perch� le dichiarazioni di illegittimit� costitU2lionale contenute nelle sentenze della Corte Cost. n. 5 del 30 gennaio 1980 e n. 223 del 1983 sono limitate alle norme gi� citate, in quanto applicate ai terrend che abbiano destinazione edificatoria. Tale assunto non pu� essere segwito. Come � stato ricordato in narrativa, la Corte d'appello ha ritenuto che tutto il terreno del Calafati ricadesse in zona con destinazione edificatoria-turistico-alberghiera; ed ha fatto propria la valutazione del terreno stesso operata dal C.T.U. � che, con riguardo alle �fasce di rispetto� stabilite dall'art. 9 della legge 24 lugli~ 1961 n. 729 sulle nuove costruzioni autostradali, e succ. modif., ha ritenuto di dare una valutazione � agricola �. Si tratta dii un critetjo di pura e semplice valutazione di una diminuzione dii valore del terreno edificabile che non � indennizzabile, secondo la costante giurisprudenza di ! i: 1: fo i ~: i! ............ PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 967 questa Corte, dn quanto non dipende daH'espropria2li.one, ma afferente a tutte Je propriet� situate a certe distanze dalle autostrade. Il criterio, peraltro, rileva soltanto in sede di attribuzione del valore, ma non esclude aa natura edificatoria astrattamente attribuibile al terreno, indipendentemente dal vdncolo, che -appunto -presuppone l'edificabilit� perch� attiene al � divieto di costruire �. Pertanto, non � dato operare fa distinzione postulata dal . P .M. �i SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 19 giugno 1984, n. 13 -Pres. Pescatore Est. Baccarini-Bottiglione (avv. Lazzara) c. Ministero delle Poste e Tele comunicazioni (avv. Stato Carbone). '"Giustizia at.ministrativa � Appello � Notifica sentenza presso procUl'atore non domiciliatario. (Art. 285 e 170 cod. proc. civ.). Giustizia amministrativa � Appello � Notifica sentenza presso segreteteria T.A.R. (T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 35). E ido~ea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione la notifica della sentenza del T.A.R. effettuata presso il procuratore costituito, anche se la parte non abbia nel ricorso eletto domicilio presso il procuratore stesso (1). E idon~a a far decorrere il termine breve per l'impugnazione la notifica della sentenza effettuata presso la Segreteria del T.A.R. quando il procuratore costituito della parte, essendo iscritto nell'albo di altra circoscrizione, non abbia eletto il proprio domicilio nel luogo ove ha sede il T.A.R. adito (2). DIRITTO -1) La questione preliminare che l'ordinanza di. rimessione della VI Se:l'J�one ha devoluto alla cognizione dell'Adunanza plenari.a Sti appunta sulla ricevibilit� dell'appello in relazione alla controversa validit� (1-2) Le questioni erano state rimesse all'Adunanza Plenaria dalla Sez. VI con ord. 27 febbraio 1984, n. 1l()C) (in Cons. St. 1984, I, 198) la quale aveva ipotizzato che nel caso di specie l'unica forma di valida notifica potesse essere quella effettuata al domicilio proprio del ricorrente. L'Ad. Plen. nel solco della precedente sentenza 3/84 continua coerentemente nell'opera di ricostruzlione del sistema processuale mutuando gli i�stituti e le regole principali del giudizio civile, facendo ricorso per un verso agli articoli 170 e 285 c.p.c. relativamente alla notifica presso il procuratore e per l'altro all'articolo 82 r.d. 22 gennaio 1934 n. 37 quanto all'onere di indicare il domicilio nena sede del giudice adito. Da segna1are che � rimasta assorbita l'altra questione sollevata della Sez. VI circa il regime da applicare in caso di decadenza dell'impiego quando gli effetti della condanna penale 1si.ano �stati elusi per effetto dell'applicata amnistia. La problematica dei rapport-i tra giudizio penale di condanna e provvedimento disciplinare si trova per� riproposta e divernamente valutata nella ord 15/84 dell'Ad. Plen. e nella sent. 441/84 che si riportano in questo stesso numero. ! ' ! llllilllllriflllllilllllllllllllfllllillll:911fllllfll!fllllll�I~ PARm I, Sl!2:. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA delle due notificazioni della sentenza di primo grado eseguite dall'Amministrazione al procuratore del ricorrente costJi.tuito in primo grado l'una nel -domicilio reale e l'altra presso :la segreteria del T.A.R. In punto di fatto, occorre precisare che nel giudizio di primo grado il ricorrente non aveva dichiarato di eleggere domioillio presso il procuratore e che quest'ultimo aveva indicato il proprio domicilio in Brindisi, e pertanto in Juogo sito fuori. della circoscrizione del T.A.R. della Basilicata presso il quale si svolgeva il giudizio, senza eleggere domicilio nel luogo dove aveva sede il T.A.R. In tale situazione processuale, l'Amministrazione vincitrice aveva eseguito la notificazione della sentenza di primo grado al procuratore costituito sia nel domicillio reale che presso fa segreteria del T.A.R. 2) Quanto alla validit� deHa prima notificazione al procuratore (presso lil domicilio reale), i dubbi prospettati nell'ordinanza di rimessione non resistono ad una approfondita riflessione. Giova premettere che, nel quadro normativo conseguente all'emanazione della L. 3 aprile 1979 n. 103, la controversa questione del :luogo di noticazione della sentenza di primo grado ha� trovato ila sua definitiva soluzione con la sentenza 5 aprile 1984 n. 8 di questa Ap. che, riconoscendo ia portata generaie del pr~naipio della notificazione al procuratore costituito di cui agli artt. 285 e 170 c.p.c., ha operato la necessaria reductio ad unitatem dell'istituto. Ci� posto, la mancanza, nel caso di specie, dell'elezione di domicilio del ricorrente presso il procuratore, evidenziata dall'ordinanza di rimessione, � indnfluente. Ed invero, la parte, per legge, � presente in giudizio a mezzo del procuratore. Ci� � reso necessario dal tecnicismo del processo, che richiede una formazione cuiturad.e che la parte generalmente non possiede.. Da:lla sostituzione procuratoria discend� come fogico corollario la regola generale, posta dall'art. 170 c.p.c., richiamato dall'art. 285 stesso codice per la notificazione della sentenza di primo grado, secondo la quale dopo la costituzione in giudizio � �l procuratore, e non ila parte, il naturale destinatanio degli atti processuali. Altrimenti detto, il procuratore � destinatario degli atti processuali in quanto tale, cio� ;in quanto sostituto necessario della parte, e non in quanto suo domiciliatario, con la necessaria ulteriore conseguenza che � la mancata dichiarazione di elezione di domicillio deHa parte presso iii procuratore, che � cosa distinta dal conferimento della rappresentanza procurator�a (cfr. Cass. 1� agosto 1980 n. 4909), � ininfluente sul regime delle notificazioni. Applicando i suesposti principi al caso �di specie, si osserva che ritualmente l'Amministraztlone vincitrice ha notificato la sentenza di primo grado al procuratore costituito nel domicilio reale, che risultava dalla stampigliatura apposta sul ricorso dii primo grado, a nulla rilevando RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che ivi la parte non avesse dichiarato di eleggere domicilio presso il procuratore. ' 3) L'ordinanza di rimessione ha altresl devoluto rul'Adunanza plenaria la questione dehla validit� della notificalJione della sentenza di primo grado eseguita presso la segreteria del T .A.R. al procuratore costituito . che, essendo assegnato ad altro Tribunale, non aveva eletto domi� cilio nel luogo dove aveva sede}l T.A.R. adito. La questione va risolta affermativamente. Nell'ordinanza di rimessione la VI Sezione dubita dell'applicabildt� al caso di specie, per quanto di ragione, dell'art. 35 cpv. T.U. n. 1054 del 1924, in base al quale �il ricorrente che non abbia eletto nel ricorso domicilio . in Roma Sii. :intender� averlo eletto, per gli atti e gli effetti del �ricorso,' presso la segreteria del Consiglio di Stato�, potendo trat� tarsi di norma di stretta interpretazione, inidonea a regolare la notificazione deHa sentenza. � da osservare in contrario cl!.e ~i ordinamenti processuali, in fun. zione dell'interesse superindividuale alla speditezza del rito, impongono costantemente, e sempre pi� incisivamente, alle parti l'obbligo di dichiarare o di eleggere domicilio, di regola in un luogo collegato con ' l'ufficio procedente, sanzionandone l'inosservanza con la notificabi�lit� degli atti processuali in un domicilio de jure, di regola individuato nella cancelleria o segreteI1ia dell'ufficio procedente. Ed invero, nel proc�sso tributario, ai sensi dell'art. 32 bis d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 sub art. 20 d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, se mancano la ,dichiarazione della residenza o ['elezione di domicilio, che hanno effetto anche per i successivi gradi del processo, se per. la foro assoluta incertezza la notificaZJione non � possibile o se la parte non indica la residenza nel territorio dello Stato o non vi elegge domicilio, gli atti del procedimento sono comunicati o notificati presso la segreteria della Commissione tributaria. Nel processo penale, nel quale � in gii.oco �l bene stesso della. libert� person�le dei consociati, ai sensi dell'art. 171, quinto e sesto comma c.p.p. novellato dall'art. 4 della L. 8 agosto 1977 n. 534, Je notificazioni �ll'!nd~ziato e all'imputato, se mancano o sono dnsuificienti o inidonee fa dichiarazione o l'elezione di domicilio o se le notificazioni sono divenute impossibi1i nel domicilio ,dichiarato o eletto, sono eseguite mediante deposito nella cancelleria o segreteria dell'ufficio giudiziario nel quale si procede e con immediato avviso al difensore. � Inoltre, ci� che pi� conta, nella fase dell'istruzione, ai sensi dell'art. 4 disp. att. c.p.p. (d.P.R. 25 ottobre 195$ n. 932), il difensore dell'imputato che non risieda n� abbia domicilio nel luogo ove ha sede l'ufficio giudiziario presso cui � in corso l'istruzione penale deve, ai fini cl.elle notificazioni degli avvisi Indicati negli artt. 304 ter e 304 quater c.p.p., eleggere domicilio o indicare un sostituto in detto luogo; in mancanza, l'auto PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINIS�.PUTIVA ri.t� procedente dispone che la notificazione sia eseguita presso il ]i>re sidente del consiglio dell'ordine degli avvocati se questo ha sede nel luogo in cui si procede o, in difetto, mediante deposito nella cancel leria o segreteria. ' Nel processo civile, l'obbligo delle parti di dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel . Comune dove ha sede l'ufficio giudiziario � espressamente enunciato per il p~ocedimento dinanzi al Pretore e al conciliatore (artt. 314 cpv. e 58 dtisp. att. c.p.c.) e per il giudizio di cassazione (art. 366 secondo comma c.p.c.), con la conseguenza che, in difetto le notificazioni sono fatte in cancelleria. Al di fuori di queste fattispecie, soccorre la norma generale dell'ordinamento professionale -art. 82 r.d. 22 gennaio 1934 n. 37 -secondo la quale -ed � l'ipotesi che qui Iii.corre -i procuratori i quali esercitano til proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del Tribunale al quale sono assegnati devono, all'atto della costituzione nel l.?iiudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l'autorit� giudiziaria presso la quale il giudiz�o � in corso; in mane~ delrla elezione �di domicilio, questo si intende eletto presso la cancelleria della stessa autorit� l.?iiudtiziaria . Di quest'ultima norma la Corte di cassazione ha costantemente affermato la perdurante vigenza anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 170 c.p.c. (Cass., sentenze n. 2807 del 1983, n. 402 del 1979, n. 5422, 3386, 3313 e 916 del 1977, n. 3018 del 1976, n. 2053 del 1975, n. 1919 del 1965, n. 2631 del 1958, n, 1377 del 1956) e l'applicabilit� anche alla notificazione della sentenza per gli effetti del decorso del termine per l'impugnazione (Cass., sentenze n. 6477, 2142, 1770 e 854 del 1983, n. 256 del 1982, n. 4151 e 377 del 1981). In questo-quadro di ri.feri.men1li normativi, la disppsizione dell'art. 35 cpv. t.u. n. 1054 del 1924, che stabilisce per il ricorrente dinanzi al Consiglio di Stato l'obbligo di eleggere domicilio in Roma, a parte il rilievo dell'evidente parallelismo della formula normativa con le analoghe dispo� . sizioni vigenti per Je altre giurisdizioni superiori (art. 366, secondo comma, c.p.c. per i giudizi dinanzi alla Corte di cassa:vione; art. l, ultimo comma r.d. 13 agosto 1933 n. 1038 per i . giudizi dinanzi alla Corte deii. conti), costituisce non gi� norma di stretta dnterpretazlione, come ipotizzato nell'ordinanza di rimessione, bens� invece punto di emersione di una costante ~inea di tendenza normativa intesa a garantire, dinanzi ali giudici non soltanto di unico grado ma di ognd grado, la speditezza del processo con l'imposizione dell'obbligo dell'elezione del domicilio nel luogo ove ha sede 1H giudice che procede e con la determinazione, in difetto, di un domicilio de jure. La vigenza di questo principio generale va quindi affermata anche per i giudizi dinanzi ai T.A.R., in relazione sia alla specifica fattispecie legale dell'art. 82 r.d. 22 gennaio 1934 n. 31, che regola il �caso �di specie (pro. curatore appartenente ad altro foro), sia al generale� schema normativo dell'art. 35 cpv. T.U. n. 1054 del 1924 in rifenimento al rinvlio di cui all'art. 19, primo comma legge n. 1034 del 1971. E il carattere generale della regola, letta sotto H profilo teleologico, ne implica la necessaria applicaziOne alla generalit� delle notificazioni degli atti processuali, avi compresa la notificazione della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve per appellare. Nel caso di specie, quindi, anche la notificazione della sentenza presso la segreteria del T.A.R. deve considerarsi validamente compiuta dall'Amministrazione vincitrice, ferma restando, peraltro, la concorrente valtidit� della notificazione nel domicilio reale (cfr. Cass. 9 marzo 1971 n. 976). Ne consegue che il presente appello, notificato il 15 febbraio 1982 dopo che la sentenza di primo grado era stata validamente notificata al procuratore costittllito in primo grado sia il 14 novembre 198i presso la segreteria del T.A.R. che il 18 novembre 1981 nel domicilio reale, � tardivo e va pertanto dichiarato irricevlibiJ.e. Ogni altra questione resta assorbita. I CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., ordinanza 29 giugno 1984, .n. 15 -Pres. Pescatore -Est. Bozzi -Ministero delle Poste e Telecomunicazioni (avv. Stato Zotta) c. Coco (avv. Scoca). Impiego pubblico -Destituzione di diritto -Condanna penale per delitto tentato -Equiparazione a condanna per delitto coQsumato -Questione legittimit� costituzionale. (T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85, lett. A). Non � manifestamente infondata la questione di costituzionalit� della norma che prevede la destituzione di diritto del pubblico impiegato, che sia stato condannato per delitto tentato, in relazione al principio di eguaglianza ed a quello di ragionevolezza per l'identit� di trattamento rispetto alla fattispecie di condanna per delitto consumato. (1). (1) La questione era stata rimessa all'Ad. Plen. da Sez. VI 27 febbraio 1984 n. 110 (in Cons. St. 1984, 201) la quale pure dubitava della legittimit� costituzionale della nornna, seppure in via subordinata rispetto alla perplessit� concernente l'appli�abilit� della !Stessa al caso di specie. Alla base di entrambi <i dubbi sta la ricerca nell'ipotesi criminosa dell'elemento da ritenere idoneo a provocare la destiituzione di diritto, non risultando chiaro se esso sia dato dal carattere oggettivo dell':illecito (nel qual caso il ten PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 973 II CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 14 lugliio 1984 n. 441 -Pres. Quartulli Est. Pauciullo della Valle -Ministero della Pubblica Istruzione (avv. Stato Oingolo) c. Uggenti (n.c.). Impiego pubblico -Silenzio rifiuto � Pretesa infondata riguardo scelta vincolata � lnconfigurabilit�. Impiego pubblico � Insegnante � Risoluzione rapporto per condanna penale � Esclusione per beneficio condizionale � Condono della pena � Irrilevanza. � (Legge 19 marzo 1955, n. 160, art. 22; cod. pen. artt. 133, 163/68 e 174). Non � configurabile il silenzio rifiuto della P. A. o comunque esso � giustificato, quando riguatdi delle pretese infondate relative a scelte od attivit� vincolate (2). La>� risoluzione di diritto del rapporto d'impiego del professore in caso di condanna definitiva alla reclusione � esclusa solo quando venga concesso all'insegnante il beneficio della condizionale e non anche quando la pena venga condonata (3). I DIRITTO -Oggetto del giudizio � il provvedimento con il quale il sig. Giovanni Coco, dipendente del Mimstero delle poste e telecomunicazioni, � stato destit�ito di diritto in seguito a:l passag~o in giudicato della condanna per �l reato di tentata concussione contiinuat�, nello svolgimento dell'attivit� di consigliere comunale. La disposi:lli.one applicata nei suoi confronti � la lett. a) dell'art. 85 del T.U. approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, m base alla quale l'impiegato incorre nella destituzione, esoluso il�� procedimento <lisci tativo sarebbe certamente un minus) o dall'aspetto soggettivo riguardando aJ quale, (salva l'ipotesi del recesso attivo) non si potrebbero fare differenze tra delitto tentato e consumato. (3) Nella sentenza 441/84 l'attenzione si sposta apparentemente dal reato alla pena, dato che si ha riguardo all'efficacia esimente rispetto alla destituzione dei due istituti della condizionale e del condono, giudicandosi non estensibile alla seconda ipotesi il beneficio a'CCordato dalla legge per la prima. Ma anche� qui a ben guardare la motivazione, flinisce con J'essere determinante di rilievo soggettivo in quanto si avalla la distinzione, ritenendo che la condizionale presuppone un giudizio favorevole al reo (sulla sua ipotizzabdle correttezza futura), che dl condono !invece non implica. Sicch� in definitiva sembra accolta !'�impostazione secondo la quale la destituzione automatica dipende dru venir meno del rapporto di fiducia con l'im� piegato e sotto questo profilo non dovrebbe neppure dubdtarsi dell'equriparaz! ione del tentativo al delitto consumato. 974 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO plinare, per condanna, passata in giudicato, per il delitto, fra altri, di concussione. Come esposto in narrativa, iii T.A.R. per l'Abruzzo ha accolto il ricorso proposto dal Coco sulla motivazione che presupposto per la destituzione d� diritto sarebbe la� condanna per un delitto consumato e non anche per un delitto tentato, come nel caso in esame. L'Amministrazione, a sostegno de1.l'appel:lo, richiama il costante orien. tamento giur�sprudenziale del Consiglio di Stato, secondo cui la ratio dell'art. 85 citato, quanto alla previsione della destituzione ex lege dall'impiego, � quella di collegare in modo automatico ia destituzione alla condanna per delitti a rivestire la qualit� di pubblico impiegato; sicch� la legittimit� del provvedimento di destituzione di diritto conseguente a condanna per un delitto tentato, consisterebbe nel fatto che nessuna rilevanza assumerebbe la -circostanza che H delitto non sia stato consumato, risultando parimenti evidente dal tentativo quella dmmoralit� che la l,egge riconosce os,tativa alla prosecuzione del rapporto di pubblico impiego (IV Sez., 9 marzo 1976 n. 154; VI Sez., 9 novembre 1965 n. 806). Tale orientamento � noto all'Ap., �come del resto era ben noto alla VI Sez. allorch� rimise il ricorso in esame, e sulla sua validit� non possono sussiistere dubbi poich� esso � aderente allo spirito e alla finalit� della norma, la quale nella sua previsione ha inteso collocare nello stesso ambito e sullo stesso piano tanto l'ipotesi dei delitti consumati (da essa tassativamente indicati), quanto l'ipotesi del � tentativo � degli stessi delittli, sulla sostanziale considerazione che i:l � tentativo� ripete l'essenza e le caratteristiiche del reato tipico cui si riferisce. I ! I I Brevi note sulla pretesa incostituzionalit� dell'art. 85 T.U. D.P.R. 3/1957. L'ordinanza con la quale il Consiglio �li. Stato si allontana da un antico orientamento offre l'occasione per alcune osservazioni sia per quanto concerne le 1 motivazioni su cui � fondata sii.a per gli effetti cui essa mira. I Quanto alle motivazioni esse sono sostailllialmente riprese dall'ordinanza della Sez. IV 27 febbraio 1984 n. 110, la quale aveva approfittato, per portare la I I questione all'attenzione della Plenaria, di talune voci dissenzienti rispetto al I l'dndirizzo dei T.A.R., ed aveva utilizzato altresl Ja tecnica del confldtto poten I ziale, ovvero destinato ad insorgere sol per effetto della propria implicita con� tratiet�. I . l La prima delle motivaziond in esame � costituita dal richiamo di precedente I I ordinanza (8 giugno 1982 n. 337)' con cui sempre la IV Sezione ha sollevato l'in� cidente di costituzionalit� relativ�mente all'art. 85 d.P.R. 3/1957, in quanto nonna I che vincola la P.A. ad applicare la sanzione massiima del1a destituzione dd diritto, senza avere il minimo margine di discrezionalit� per poter graduare la sanzione in relazione alla gravit� del fatto, all'incidenza di esso sulla regolarit� del servizio etc. La lettura della citata ordinanza (in Cons. St. 1982 n. 781) rivela anzitutto che la situazione iin esame costituiva proprio uno dd quei casi Mmite dn cui l'operatore del diritto avverte che la norma, dettata indifferentemente per una 975 PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA ' .. Si deve tuttavia osservare che, pur senza sottovalutare la giurisprudenza sin qui intervenuta, l'indagine su una vasta serie di elementi e clii considerazioni pu� condurre alla prospettazione di fondati dubbi circa la legittimit�, sotto il profilo costitUZJi.onale, defila disposizione contenuta nel pi� volte citato art. 85. Sulla rilevanza della questione non possono sorgere dubbi, essendo evadente che nell'ipotesi in cui il giudizio di costitu2lionalit� dovesse concludersi con una pronuncia di i1legittimit� costituzionale della norma anzidetta, il provvedimento di destituzione si rivelerebbe illegittimo, salvo il potere dell'Amministrazione di provvedere con la stessa o con ailtra sanzione, preceduta, tuttavia, da procedimento disciplinare. Va in primo luogo posto in evidenza che l'orientamento giurispruden2liale dianzi richiamato � stato sottoposto ad una . par2liale � riconsiderazione � nella recente ordinanza (n. 337 dell'8 giugno 1982), con la quale la IV Sez. di questo Consiglio ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzionalit� dell'art. 85 ait. e deH'art. 41 della L. 5 marzo 1961 n. 90 (che ha esteso la nermativa del T.U. del 1957 agli operai dello Stato), per contrasto con J'art. 3 Cost., sul rildevo che quelle norme vincolano '1'Amministrazione ad applicare fa massima ' sanzione (qual'� la destituzione) �clii diritto� e cio� senza alcun margine di discre2lionaldt� in ordine alla eventuale graduazione della sanzione in rapporto alla grayit� del fatto ed aLla sua incidenza sulla regolarit� del servizio, nonch� aUa compatibilit� fra il precedente penale e ii.I mantenimento in servizio dell'impiegato. pluralit� di situazioni tra loro �assimilabild, dovrebbe essere applicata allo scalino pi� basso di questa ipotetica scala di ipotesi, che, in quanto tale, risulta assai pi� vicino ~d un'altra scala assoggettata a diverso trattamento. Posto iinfatti che tra tuttd i reati la cui condanna determina la destituzione automatica ex articolo 85 cit. il furto risulta essere nell'attuale considermone sociale il meno rilevante, e che nel caso all'esame della Sez. PV si trattava di furto di merce per un valore di L. 3.980 effettuato mediante prelievo dai banchi di un grande magazzino ed omessa (consapevole � no?) presentazione alla cassa, � evidente che siffatta vicenda aveva determinato il G.A. a ricercare una possibile scappatoia all'applicazione automatica della destituzione e tale tenta� tivo era approdato alla denuncia dii incostdtuzionalit�, traendo lo spunto dal parere 24 giugno 1981 n. 1083 della Sez. I. A questo parere occorre accennare, poich� esso viiene richiamato anche nella decisione in epigrafe, la quale fo adduce a riprova dell'attenuazione dell'orien� tamento favorevole a11a destituzione anche in ipotesi di delitto tentato: esso fu pronunciato nella deliicata vicenda dei pubblici funzionari risultati affiliati alla P2, per affermare che le sanzioni previste dall'art. 212 T.U. p.s. (destituzione o rimozione dal grado o dall'impiego o comunque licenziamento), in forza del vinvio formale alle leggi sullo stato giuridico dei pubblici dJipendenti, dovevano mtenersi superate dai sistemi sanzionatori ivi successivamente introdotti, iin con� siderazione dell'estraneit� del criterio delle pene l�isse alte vigenti normative dJisciplinari. 976 RASSEGNA OOU.'AVVOCATURA DEU.O STATO Va poi ricordato che, come � stato esattamente posto in rilievo nella richiamata ordinanza deJda IV Sez., la costanza dell'orientamento giuni. sprudenziale sembra avere sub�to un'altra notevole attenuazione per effetto del parere n. 1083 del 24 giugno 1981 deMa I Sez. di questo Consiglio, dal quale emerge una .tendenza sfavorevole alla applicazione di sanzioni disciplinari �rigide�, cio� non graduate in rapporto al caso concreto . N� pu� essere dimenticato il principio, affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui le pene vanno commisurate non in maniera fissa, bens� in misura viariabile, iin modo che sia consentito al giudice di graduarle, in relazione all'entit� e alle specifiche esigenze dei singoli casi (2-14 aprile 1980 n. 50). Sin qui l'esame della giurisprudenza pi� recente, che, come appare evidente, induce ad una seria medtitazione sulla effettiva rispondenza del� l'art. 85 del T.U. n. 3 del 1957 ai principi di uguaglianza e di ragiionevolezza. :Ma l'Ap. � dell'opinione che anche l'esame della normativa in materia conduca a motivi di concreta perplessit� sulla costituzionallit� dell'art. 85 oit., in relazione alla preVlisione, in esso contenuta, dell'u~le trattamento usato nei riguardi degli impiegati civili. dello Stato condannati per la consumazione di uno d~i delitti ivi preVlisti e di quell;i condannati per il � tentativo � degli stessi delitti. � Innanzi tutto, va richiamato l'art. 123 de1la L. 26 marzo 1958 n. 425 (che regola il rapporto del personale delle ferrovie dello Stato): questa disposizione, nel prevedere che � til tentativo, quando sia configurabile Senza entrare nel merito del J:icordato parere � comunque evidente che qu�ndo ivi si fa menzione del sistema graduato dli sanzioni ci� avviene con rife� rimento alle diverse sanzioni disciplinari che il legislatore ha introdotto in relazione alle distinte ipotesi .raggruppate in categorie uniformi negli articoli 7'8-85 d.P.R. 3/1957 e non con riguardo alla necessit� dli operare delle ulteriori sottograduazioni all'interno di ciascuna categoria. S�guita la motivazione dell'ordinanza ricordando la sentenza 50/1980 della Corte Costituzionale secondo la quale le pene andrebbero commisurate non in maniera fissa ma variabile, lasciando al giudice il compito di graduarle. Il richiamo appare, solo in certi limiti, pertinente: difatti con la suddetta decisione la Corte riteneva infondata la questione di costituzionalit� dell'art. 121 d.P.R. 393/1959 nella parte in cui prevede una pena fissa per chi circoli con un veicolo avente un certo sovraccarico, e�10 faceva dopo aver s� predicato l'oppor~ tunit� di una �proporzione,. della pena rispetto alle �personali� responsabilit�, ma non senza soggiungere che� il dubbio d'illegittimit� costituzionale potr� essere, caso per caso superato a condizione che, per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest'ultima Slia ragionevolmente propor� zionata ,. rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo� specifico tipo di reato. In altre parole non sembra potersi criticare la legge per non avere previsto che un certo reato possa atteggiarsi in modi particolarmente lievi e meno gravi !: i: 1= f: . . I PARm X, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 977 e non sia c�ntemplato espressamente come mancanza .autonoma, � pu� nito con la sanzione prevista per la mancanza perfetta, diminuita di un grado�, si riferisce di certo ai comportamenti individuati dad precedenti artt. 116, 117 e 118 e cio� a fatti che sono contemplati come �mancanze� e puniti con sanzioni disciplinari, indipendentemente dalla foro rile vanza penale. Circa quest'ultimo aspetto resta, da. ultima, la considerazione del � diverso trattamento che la legge penale prevede per dl delitto consumato e per iJ. delitto tentato. L'art. 56 c.p., infatti, diminuisce, al capoverso, la pena del delitto tentato in confronto con quella del delitto consumato, � ci� perch� il tentativo � un � reato secondario � previsto in relazione a un reato prin� cipale: il tentativo, cio�, � � un altro reato � che la legge clasSI�fica e punisce come re�to di pericolo. Tanto premesso, sulla base delle considel1a2lioni esposte si pu� con� figurare il dubbio di legittimit� costituzionale deH'art. 85, lett. a), parte seconda, del T.U. approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, per contrasto con l'art. 3 della Costitu21ione, sotto i profili: 1) della violazione del prin� cipio della ragionevolezza, per irragionevole equiparazione della con danna penale per il reato di tentata concussione con. la condanna penale per il reato di concussione; 2) della violazione del principio di ugua glianza per ingiustificata imposizione, a situazioni che in base alla legge penale (artt. 317 e S6 c.p.) sono oggettivamente diverse, di un'identica disciplina legislativa, mentre costituisce un principio fermo quello se condo cui la sanzione unica pu� essere giustificata solamente quando, rispetto ad altri, senza aver riguardo all'intera gamma dei comportamenti che rientrano -in quel reato e valutare la proporzionalit� rispetto al tipo medio di essi e non a quello eccezionale. Da ultimo l'ordinanza per evidenziare la disparit� di trattamento ricorda l'art. l.23 della legge 26 marzo 1958 n. 425 �sui provvedimenti disciplinari nei con� fronti del personale delle FF.SS. secondo dl quale � i1 tentativo, �quando sia configurabile e non sia contemplato espressamente come mancanza autonoma, � punito con la sanzione prevista per la mancanza perfetta, diminuita di un grado"� Orbene il G.A. riconosce che tale forma di riferisce ai comportamenti in� dividuatii negli artt. 116, 117 e 118 e cio� a fatti sanzionati indipendentemente dalla loro rilevanza penale, ma trascura il fatto che l'elemento pi� &i.gxlificativo della disciplina sotto il profilo in esame, ovverosia l'art. 119, proprio come il d.P.R. 3/1957 art. 85, prevede la destituzione di diritto, esclusa qualunque procedura disciplinare, in ipotesi di condanna per una serie di delitti che corrispondono a quelli della norma ora sospettata di incostitu:ZJionalit�. Non si vede quindi come possa istituirsi un valido raffronto con un'altra disciplina, utilizzando come �metro di paragone non l'analogo istituto della desti� tuzione di diritto che pure ivi compare, bensl quello delle sanzioni per le mancanze disciplinari minori. RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO per la sua misura e per la natura dell'lillecito, essa possa ragionevolmente considerarsi proporzionata all'intera gamma di comportamenti, riconducibili allo specifico tipo di reato (Corte cost., n. 50 del 1980, cit.); 3) della violazione del principio di uguaglianza per la ingiustificata discriminazione (in relazione all'art. 123 della L. 25 marzo 1958 n. 425) degJJi impiegati delle ferrovie dello Stato. Nei sensi e nei limiti dianzli esposti va pertanto sollevata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 85, lett. a), parte seconda, del T.U. approvato con d.P.R. 10 gennnado 1957 n. 3, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, disponendosi la trasmlissione degli atti alla Corte costituzionale, previ gli �dempimenti di rlito, ai sensi dell'art. 23 deMa L. 11 marzo 1953 n. 87 e disponendosi altres� la sospensione dli questo giudizio sino all'esdto del giudizio !ncidentale di le~ttimit� costituzionale. II (omissis) Ci� posto, vanno esaminate le censure sollevate dall.'Amministrazione in appello, per quanto concerne la dichiarazione dell'obbligo del Provveditore agli Studi di pronunciarsi in ordine alla sorte del rapporto d'impiego del Prof. Uggenti. Invero, detta dichiarazione, nell'appellata sentenza, � for,idata slllll'assunto che l'autorit� scolastica, a seguito della condanna definitiva riportata dall'Uggenti, dovesse pronunciarsi in Gi� si � sottolineato nelle brev�i oonsiderazioni sopra esposte che l'a$pirazione alla pi� perfetta proporzionalit� della pena rispetto al fatto sanzionato viene predicata con riguardo alle sanzioni applicate dall'autorit� giudiziaria, la culi terziet� garantisce una valutazione equa che tenga conto delle esigenze contvapposte, rappresentate dalla difesa e da1la pubblica accusa. Ma questo postulato della terziet� � proprio quanto non potrebbe realizzavsi relativamente alle sanzioni d~sciplinard, le quali naturalmente devono essere applicate dalla stessa P. A. e sqno di regola assoggettate all'esame del giudice (amministrativo) solo �su ~stanza del soggetto cui vengono applicate. Dimodoch� � evidente come la privazione di discrezionalit�, nelle intenzioni del legislatore, lungi dall'essere uno strumento di ingiustizia, costituisce un mezzo di tutela della stessa �mministrazione contro decisioni per essa dan nose, che potrebbero essere adottate facendo un .uso troppo ampio della di screzionalit�, che nessuno poi potrebbe sindacare per mancanza di interesse. Un minimo cli esperienza in questo campo basta per rilevare che molto spesso provvedimenti disciplinari di lievissima entit� vengono adottati proprio perch� le autorit� competenti non si sentono di assumere atteggiamenti pi� rigorosi, anche necessari, sol perch� estremamente pregiudi7lievo1i del bene della vita, oggi assai prezioso, del pubblico -dmpiego. In questa ottica non pu� neppure a tutt'oggi apparire incongruo un sistema di sanzioni che, nelle ipotesi di con danna penale per �reati di una certa gravit�, preveda un'applicazione rigida ed automatica della destituzione. GIAN PAOLO POLIZZI PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA ordine alla sorte di detto rapporto e che, inoltre -essendo stata la nomina dello stesso, quale docente a tempo dndeterminato, adottata dal Provveditore agli studi -alla medesima autorit� spettasse :la pronuncia sull'intervento o meno e.Il cause estintive del rapporto di dmpiego. In proposito, va rilevato che la diffida di cui innan2J� -come dedotto nell'appello in esame -era rivolta specificamente al Preside e che il Provveditore agH studi era meramente sollecitato a far cessare il silenzio- rifiuto de:l Preside, in ordine alla richiesta di riammissione in servizio del, Prof. Uggenti; onde, intervenuto ii1. riscontro del PreSlide a tale diffida, con la citata nota n. 7 del 12 ottobre 1977 -a prescindere dal contenuto di essa, diverso da quello richiesto dall'interessato -non � censurabile il sdlenzio del Provveditore agli Studi, che, in concreto, non aveva alcuna sollecitazione da svolgere nei confronti de:l Preside. Nel caso de quo, riguardato dall'art. 22 legge 160 del 1955, trattasi di risoluzione di diritto del rapporto di impiego, non discrezionale e verificantesd pur in mancanza di qualsiasi atto espldcito della P.A.; onde non � configurabile, anche, al riguardo, il silenzio-rifiuto su una istanza volta, invece, alla riammissione in servizio, a sollecitare cio� un ,provvedimento ali' Amministrazione stessa preoluso. In conseguenza, � parimenti fondata la doglianza dell'Amministra� zione appellante, proposta contro l'appellata sentenza, per non avere esaminato -prima di affermare l'eSlistenza del preteso obbligo del Provveditore agli studi all'espressa pronuncia--' il fondamento o meno dell'anzidetta pretesa dell'interessato. All'uopo, va infatti osservato che, nell'ipotesi di infondatezza di pretese riguardanti scelte o attivit� vdncolate dalla P.A., non s~rebbe utile imporre all'Amministrazione l'obbligo di una pronuncia (v. Cons. Stato VI, n. 92 del 26 febbraio 1982), e che, in tal caso -come nella fattispecie -il silenzio-rifiuto � giustificato. In effetti, il Prof. Uggenti, docente non di ruolo, aveva riportato condanna definitiva alla reclusione, senza il beneficio della condanna condizionale. Epper�, la pena veniva dichiarata interamente �ondonata, onde lo stesso docente sosteneva, al riguardo, di non aver goduto del beneficio della sospensione della pena, per ragioni, che ne impediscono la concessione, perch�, concesso il condono, sarebbe stata impossibile l'applicazione del primo beneficio. Premesso che l'articolo 22 primo comma della L. 19 mar� zo 1955 n. 160 dispone che � il professore non di ruolo, che riporti condanna definitiva alla reclusione, senza il beneficio della condanna condizionale, cessa dal servizio ed il rapporto d'impiego � risolto di diritto�, il Collegio ritiene fondate le deduzioni dell'Amministrazione appellante sulla necessit� di rigorosa interpretazione di una norma, che, come quella su citata, contiene una sola, specifica, eccezione, e sull'impossibilit� di confusione, in essa, dei due diversi istituti della condanna condizionale -della quale � fatto cenno -e del condono. 980 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Tali istituti, !infatti, non sono accomunabili, differenziandosi oggetti� vamente, per i presupposti, per i limiti e per '1e condiziorni, alle quali sono a~mess.i, nonch� negli effetti, come evinc�si dalle relative disposizioni del Codice penale, ed, in particolare, dagLi artt. 163/168 Cod. pen., per la sospensione condizionale de11a pena, e dall'art. 174 Cod. pen., per l'indulto; onde non � dato pensare che, nel cit. art. 22 legge 155 del 1960, il 'legislatore abbia .inteso riferirsi ad un istituto diverso da quello specificamente .ivi contemplato. D'altra parte, le situazioni giuridiche, scaturenti dall'applicazione dell'uno o dell'altro istituto, non sono identiche, atteso che la sospensione condiliionale della pena, decorso il tempo stabilito, � causa estintiva del reato; l'indulto, invece, � causa di estinzione della sola pena. Peraltro, la sospensione condiizionale � concessa, quando hl giudice, avuto riguardo alle circostanze indioate nell'art. 133 c.p., presume che il colpevole si asterr� dal commettere ulteriori reati ed il relativo� beneficio � revocato, se commesso altro reato. L'indulto, invece, trova il suo presupposto in un eccezionale provvedimento di clemenza del Capo dello Stato, delegato dal legislatore; onde l'assunto del Prof. Uggentd, secondo cUli. la Corte d'Appello non avrebbe potuto concedere .la sospensfone condizionale, essendo la pena condonata, non ha alcun fondamento, tanto pi� che la sospensione condizionale della pena prevaile sull'indplto. In relazione al disposto del su richiamato art. 22 legge 155 del 1960 ed alla non assimilabHit� dei due anzidetti dstituti, non ha rnlevanza, come motivo, l'assunto che ,l'appellato non ab'Qia potuto concretamente fruire della sospensione condizionaile della pena, rilevando, invece, che questa, in effetti, non abbia avuto luogo. Non sussistendo, pertanto, nella fattispecie, le condiizioni impeditive, nel senso del suo richiamato art. 2.2 legge 155 del 1960, della risoluzione di diritto del rapporto d'impiego del Prof. Uggenti, il silenzio-rifiuto del Provveditore agli Studi alla riammissione in servizio di detto docente era, anche sotto tale aspetto, incensurabile. Di conseguenza, il ricorso in appello, che si esamina, va accolto, con la riforma della sentenza oggetto di gravame. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 7 giugno 1984 n. 439 . Pres. Crisci � Est. Lignani � Jerkovic ed altri (av\r. Dragogna, Lanzinger, Emeri e Giannini) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri ed altri (avv. Stato Bruno) ed altro (n.c.) con intervento della Provincia di Bolzano (avv. Guarino). Bolzano � Provincia di Bolzano � Censimento generale popolazione Dichiarazione appartenenza a gruppo linguistico � Legittimit�. (D.P.R. 28 settembre 1981, n. 542; Statuto Spec. Trentino d.P.R. 31 agosto 1972 n, 670; d.P.R. 24 marzo 1981, n. 216). . . PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 981 Bolzano � Provincia di Bolzano � Censimento generale popolazione . Dichiarazione appartenenza a gruppo linguistico � Impossibilit� dichia razione aUoglotta o misti-lingua � Illegittimit�. (D.P.R. 28 settembre 1981. n. 542; Statuto Spec. Trentino Alto Adige d.P.R. 31 agosto1972, n. 670; Cost., artt. 3, 6 e 21). Sono legittime le disposizioni di attuazione del dodicesimo censimento generale della popol�zione che prevedono la speciale dichiarazione di appartenenza ai gruppi linguistici per i cittadini residenti nella provincia di Bolzano in quanto l'istituto della dichiarazione di apparte� nenza � regolato dall'art. 89 dello Statuto Speciale del Trentino Alto Adige e dal D.P.R. 24 marzo 1981 n. 216 (1). Sono illegittime le disposizioni di attuazione del dodicesimo censimento generale della popolazione che per i cittadini residenti nella provincia di Bolzano escludono la possibilit� di dichiararsi alloglotti o. mistilingui (2). (omissis) Ci� premesso, si pu� dire senz'altro che sono infondate tutte le doglianze con le quali i ricorrenti contestano, in principio, il fatto stesso che le r.ilevazioni del censimento comprendano, per i residenti nella Provincia di Bolzano, anche la dichiara1Jione in parola (doglianze prospettate con riferimento a1l'asserita violazione del principio di anonimit� e segretezza dei dati del censimento all'asserita violaziione del precetto costitu1Jionale per cui nessuna prestazione personale pu� essere imposta se non in base alla legge, ecc.). Ed invero, tutte queste doglianze appaiono formulate nell'erroneo presupposto che il Governo, emanando le disposizioni di attuazione del censimento, dovesse e potesse ci.ferirsi unicamente alle Jeggi generali in materia .di cen&limento, e non anche alla normativa speciale dettata, in proposito, per la Provincia di Bolzano. Sta di fiatto, invece, che l'istituto della dichiarazione di appartenenza ai gruppi liifiguistici, da rendere in occasdone del censimento, � espressa (1-2) Sui problemi connessi al bilinguismo si ricorda Cons. St., VI ord., 3 luglio 1981, n. 34tl, che ha sollevato la questione di costituzionalit� del d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752 nella parte in cui pone delle limitazioni alla carriera dei dipendenti cli lingua italiana, non essendo loro impondbile la conoscenza della lingua tedesca, nonostante il diritto riconosciuto ai cittadini di lingua tedesca di usare tale lingua nei rapporti con i pubblici uffici, e Corte cost., 18 ottobre 1983 n. 312 che ha giudicato legittimo l'art. 1 legge prov. Bolzano 3 settembre 1979, n. 12 che impone la conoscenza delle due lingue agli aspiranti all'esercizio di attivit� nel campo del .servizio sanitario nazionale. Ulteriori problemi sono sorti per i territori ladini dove le lingue sono tre, soprattutto a proposito dell'insegnamento nelle scuole (cfr. VI, 19 ottobre 1976, n. 325). La presente decisione affronta invece un altro aspetto della complessa problematica legato alla presenza di gruppi mistilingui o alloglotti ed il dinitto alla � riservatezza � dei cittadini sulla questione della lingua. Essa accoglie la tesi della Ammimstrazione resistente per quanto concerne la necessit� della 982 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBl.J.O STATO mente previsto dall'art. 89 dello Statuto speciale del Trentino Alto Adige (Testo unico emanato con D.P.R. 31 agosto 1972 n. 670, ma formato con disposizioni approvate con leggi costituzionaili, e pertanto avente esso stesso valore di legge costituzionale). Vart. 89, al terzo comma, dispone che i posti dci ruoli provinciali del personale statale � sor,to riservati a cittadini appartenenti a ciascuno dei tre gruppi linguistici, in rapporto alla consistenza dei gruppi stessi, quale risulta dalle dichiarazioni di appartenenm rese nel .censimento ufficiale dehla popolazione �. Come si vede, non si tratta di una mera rilevazione quantitativa (come potrebbe essere, ad esempio, quella deHa distribuzione dei cittadini in classi di et�) ma di una � dichiarazione (personale) di appartenenza �, tenuto altres� conto che, l'appartenenza ad un determinato grqppo viene assunta quale requisito per accedere ai posti riservati al gruppo stesso. 7. -Anche ammettendo, peraltro, che l'art. 89 dello Statuto lasci un margine di dubbio circa il fatto che esso possa riferirsi anche a dichiarazioni anonime, utilizzabili solo a fini statistici, sta di fatto che del tutto inequivoche, sul punto, sono le disposizioni di attuazione dello Statuto medesimo, contenute (per la materia in esame) nel D.P.R. 24 marzo 1981 n. 216. Esse, infatti, configurano esplicitamente la dichiarazione di appartenenza come una dichiarazione personale, nominativa, sottoscriitta dal dichiarante, e des1linata a valere come punto di riferimento per riconoscere l'appartenenza . dell'interessato ad un determinato gruppo, ogni volta che da tale appartenenza discendano conseguenze giuridicamente rilevanti. Il decreto presidenziale n. 216 del 1981, emanato dn base all'art. 107 dello Statuto, � decreto legislativo (d,elegato), ed ha, quindi. valore di legge ordinaria; ne consegue, tra l'altro, che le sue diisposizioni non possono . essere disapplicate dal gdudice ord!inario, n� annullate dal giudice amministrativo, ma, semmai, denunciate alla Corte costlituzionale per sospetta incostituzionalit�. dichiarazione della lingua facendo leva sulla norma de1lo Statuto (art. 89) che proporziona la :riserva dei posti a1la consistenza dei gruppi linguistici rilevata dal censimento, ma riconosce H diritto degli alloglotti e mistilingua a dichia rarsi appartenenti ad un gruppo autonomo rispetto ai tre confluenti attorno alle tre lingue principali, non senza tuttavia sottolineare implicitamente il pericolo (da evitare de iure condendo) per costoro di vedersi escludere proprio per tale dichiarazione da1l'accesso agli dmpieghi ed �agli altri benefici colle gati all'appartenenza di uno dei tre gruppi principali. La sentenza riconosce legittJima anche la imposizione dell'obbligo di ren dere la dichiarazione per -ri minorenni da parte dei legali iiappresentanti in forza del d.P.R. 216/81; per qualche rifeci.mento cfr. VI, .19 ottobre 1976 n. 325 cit., secondo� la quale la scelta dell'indirizzo linguistico nelle scuole rion � affidata alla volont� del genitore, ma � la consegn.:nza obiettiva della lingua parlata in famiglia. PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 983 Nel caso in esame, peraltro, i ricorrenti non hanno sollevato alcuna precisa questione di costituzionalit� nei confronti del suddetto decreto, n� ritiene il C~llegio di dover procedere d'ufficio a sollevare tale giustizia per il profilo che qui interessa (configurazione della dichiarazione cli appartenenza come una dichiarazione personale e nominativa, anzich� anonima e puramente statistica). Le doglianze mosse contro l'istituto deHa ddchiarazione di appartenenza, in s� considerato, sono dunque da rigettare. 8. -Analogamente, sono da rigettare le doglianze (di contenuto p1u circoscritto) mo~se contro il provvedimento impugnato nella parte in cui impone di rendere la dichiarazione in parola non solo ai cittadini maggiorenni, per s� stessi, ma anche ai legali rappresentanti (genitori o tutori) dei minorenni, per i minorenni stessi. L'art. 89 dello Statuto, ~� citato, dice chiaramente che 1o scopo (o uno degli scopi) dehla dichiarazione di appartenenza � quello di accertare la consistenza dei gruppi linguistici, al fine del riparto proporzionale dei posti nell'impiego statale; pare, dunque, altrettanto chiaro che la rilevazione debba essere estesa � ,tutta la popolazione, co:mpresi i minorenni. Anche su questo punto, del resto, ogni ipotetico dubbio � risolto dalle norme di attuazione di cui al D.P.R. n. 216 del 1981. Esse dispongono testualmente che la dichiarazione � viene resa... da ogni cittadino maggiorenne... o dal legale rappresentante�; e pi� avanti, trattando delle dichiarazioni straordinarie che, in certi casi, � consentito rendere tra un censimento e l'altro, prevede es:eressamente il caso del cittadino che � nel periodo intercensuario, raggiunge la maggiore et�... ed intende modificare la dichiarazione resa dal legale rappresentante nel censimento ȥ. Non ha quindi alcun fondamento la singolare tesi dei ricorrenti, secondo cui il D.P.R. n. 216 del 1981 non contemplerebbe la dichiarazione resa dai genitori per i figli minori. 9. -Altre doglianze, ancora pi� circoscritte, vengono mosse contro il provvedimento impugnato nella parte in cui non Sii limita a disciplinare le modalit� della dichiarazione di appartenenza ai gruppi linguistici, ma esclude la possibilit�. di dichiararSl:i appartenenti a gruppi linguistici diversi dai tre �ufficiali� (caso dei cittadini di origne straniera o provenienti dati gruppi alloglotti insediati in varie Regioni d'Italia) oppure appartenenti a pi� di un gruppo linguistico (caso dei cittadini mistilingui, ad es. perch� nati da coppie miste). Conviene sottolineare che non vi � controversia sul punto che il decreto impugnato debba essere interpretato nel senso in cui lo interpretano i ricorrenti. N� lo Stato, n� la Provincia, infatti, sostengono che il decreto stesso possa essere interpretato nel senso che esso, in realt�, RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU:.0 STATO 984 consenta dichiarazioni diverse; se cos� fosse, non vi sarebbe ragione di contendere. Si tratta, dunque, di valutare <la legittimit� di un sistema che non solo richiede ai cittadini residenti in Provincia di Bolzano di dichiarare ufficialmente l'appartenenza ad un gruppo linguistico in sede di censimento (il che, come si � visto, � immune da censure) ma, altres�, restringe la scelta (se di scelta si pu� parlare) ai tre gruppi �ufficiali� con esclusione di ogni possibile alternativa. Dalle difese dei ricorrenti, peraltro, sembra emergere una contestazione pi� ampia, diretta contro il principio stesso della � proporzionale � (s�ncito, come si � vtisto, dallo Statuto speciale con riferimento alfimpie-go statale) o comunque contro la generalizzazione della � proporzionale �, adottata da leggi provinciali ordinarie per disciplinare una quantit� di rapporti e di situazioni (es. assegna.2J�one di alloggi popolari). �, per�, questo un problema che non pu� essere affrontato in questa sede siccome estraneo ail:l'oggetto del giudizio, rappresentato solo d0l provvedimento impugnato. Allo stesso modo, � per le stesse ragioni, non si pu� ora affrontare il problema se l'ordinamento vigente nella Provincia di Bolzano possa considerarsi di~criminante nei confronti delle altre minoranze linguistiche, e se, ammesso che discriminazione vi sia, essa possa essere considerata compatiibiie con i principi fondamentali della Costituzione. In conclusione, la materia del contendere � ristretta (come pi� volte accennato) alla le~ttimit� delle disposizioni che precludonq la possibilit� di rendere dichiara.2J�oni di appartenenza comunque diverse dalle tre prestabilite. 10. � Per risolvere tale questione, occorre prima di tutto stabilire la natura della dichiarazione in parola; e cio� se essa sia una mera opzione, priva di ogni necessario collegamento con la realt� delle cose, o se~ all'opposto, il dichiarante sia tenuto a dti.chiarare la verit� ogget_tiva. La prima soluzione sembra appoggiarsi sulla considerazione che non sono previsti (almeno apparentemente) controlli sulla veridicit� delle dichiarazioni rese, e sulla circostanza che l'ordinamento espressamente consente di modificare la dichiarazione ogni volta che si procede af censimento, ed, eccezionalmente, anche I�ll altri casi. Sembra, tuttavia, preferibile la tesi contraria, perch� pi� rispondente alle finalit� ed alle linee generali della � proporzionale � e degli altri meccanismi di tutela dei gruppi linguistici. Non vi � dubbio che questi istituti sarebbero snaturati, se si ammettesse la possibilit�, per chiunque,. di � [scriversi � ad un gruppo diverso da quello cui effettivamente appartiene, ad esempio per godere di maggiori opportunit� nell'accesso a determinati impieghi o .benefici. Il sistema complessivo, in altre parole, appare costruito sul presupposto che le dichiarazioill� rispondano alla realt� og- I I I PARm l, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA gettiva. In questa luce, la possibilit� di modificare l'appartenenza appare piuttosto un correttivo per casi particolari e marginali, che non l'espressione di una facolt� di l!ibera opzione. 11. -Se cos� �, per�, ne consegue che non � concepibile che l'ordina� mento vieti di dichiarare la verit� (ed anzi imponga una dichiarazione non veritiera) a tutte quelle persone che non appartengono ad alcuno dei tre gruppi � uffilciali �, o si ritengono appartenenti ad_ ugual titolo a pi� di un gruppo; casi, questi, relativamente rari ma prevedibilmente destinati. a diventare pi� frequenti col passare del tempo. L'ordinamento non pu� imporre ad alcuno di occultare la propria identit� culturale e linguisti. ca (lo vietano gli articoli 2, 3 e 6 della Costituzione), o di espr�mere liberamente il proprio pensiero al riguardo (art. 21 Cost.). In effetti, all'art. 89 dello Statuto speciale non pu� essere attribui,to questo significato. Pur trattandosi di norma di livello costituzionale, esso deve essere interpretato in armonia con ii principi fondamentali della Costituzione; e, del resto, la sua formulazione letterale e la sua stessa ratio non impediscono una "interpretazione coerente con quei principi. Altro � dire che la consistenza dei tre gruppi linguistici principali viene rilevata in certi modi e con certe conseguenze in sede di censimento e altro � dire che non sono ammesse dichiarazioni diverse anche se corrispo: iidentii alla realt� effettiva, in contrasto fra l'altro con le norme che impongono, in sede di censimento, l'effettuazione di dichiarazioni veritiere. La presenza di un certo numero di dichiarazioni � non classificabili � non impedisce la determinazione. dei rapporti quantitativi tra i gruppi ufficiali, cos� come nelle elezioni politiche la presenza di un certo numero di schede bianche o di voti dispersi non impedisce la ripartizione proporzionale dei seggi tra le liste che abbiano raccolto sufficienti voti. Ci si .potr� chiedere, semmai, quale sia il trattamento spettante agli alloglotti (intendendosi pe!'." tali quelli che non appartengono ad alcuno dei gruppi ufficial!i) ed ai mistilingui, in ordine all'accesso agli impieghi e agli altri benefici; la soluzione dovr� essere data (de iure condito o de iure condendo) tenendo presente l'es;igenza di non dar luogo, per costoro, n� adiscriminazioni, n� ad ingiusti privilegi; ma �, anche questa, materia estranea al giudizio, ed il Collegio non pu� pronunciarsi in proposito. 12. � L'interpretazione ora data all'art. 89 dello Statuto pu� esser data anche al D.P.R. n. 216 del 1981 (norme di attuazione' dello Stato). Se � vero che questo testo parla, ripetutamente, di � dichiaraziione di appartenenza ad uno dei tre gruppi linguistici�, � anche vero che esso si riferisce palesemente all'ipotesi normale, e non contempla espressamente i casi (eccezionali) degli alloglotti e dei mistilingui, n�, tanto meno, afferma espressamente che essi debbano necessariamente classificarsi in uno dei tre gruppi ufficiali. Pertanto ammesso che il testo, in s� considerato consenta pi� di una interpretazione, si dovr� prefer.ire queHa che � in 986 RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DELLO STATO accordo con i principi costituzionali generali e speciali; se il testo, invece, si dovesse necessariamente interpretare in senso pi� restrittivo, il decreto legislativo non si sottrarrebbe, ad avviso del Collegio, ad una censura d'incostituzionalit�. 13. -In conclusione, si deve dire che la lesione lamentata �dai ricorrenti (e cio� il divieto di rendere una dichiarazione di appartenenza verii.tiera ma difforme dalle tre consentite) dipende unicamente dalle disposizioni di attuazione del censimento (atto ~mministratdvo). Esse, pertanto, risultano illegittime, per l'aspetto qui considerato, per contrasto . non solo con i principi generali, ma anche con l'art. 89 dello Statuto e con il D.P.R. 216 del 1981, i quali, come sd � visto, non possono essere interpretati come contenenti analogo divieto. Il D.P.R. 28 settembre 1981 n. 542, dunque, deve essere annullato nella parte in cui esclude che i cittadini residenti in Provincia di Bolzano, rendendo (personalmente o' a mezw del legale rappresentante, se minori o incapaci), la speciale dichiarazione di appartenenza a gruppi linguistici, a norma dell'al"t. 89 dello Statuto speciale e delle relative norme di attuazione, possano dichiararsi (tale essendo la loro effettiva condizione) alloglotti o mistilingui. Resta impregiudicata, siccome estranea all'oggetto del giudizio, ogni questione relativa allo status dei soggetti dichiaratisi alloglotti o misti� lingui, per quanto attiene ai casi nei quali l'ordinamento speciale della Provincia di Bolzano prende in considerarione il gruppo linguistico di appartenenza. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, Ordinanza 21 giugno 1984 n. 480 -Pres. De Roberto -Est. Grassd -Ministero del Tesoro (avv. Stato Carbone) c. Cammarata (n.c.). Giurisdizione civile -Pensione -Recupero emolumenti non dovuti -Corte dei conti. La questione concernente la giurisdizione nelle controversie sulla legittimit� del recupero di somme indebitamente corrisposte a titolo di pensione ai pubblici dipendenti deve essere rimessa all'Adunanza Plenaria dopo la sentenza delle Sezioni Unite che ha atf ermato la giurisdizione in materia della Corte dei Conti (1). (1) Sembra, con questa ordinanza, avviarsi a solU7J�one l'annoso conflitto in materia tra Cassazione e Consiglio cli Stato, in quanto questo ultimo, dando. prova di considerevole sensibilit� per la certezza del diritto, ha affidato alla Plenaria il compito cli rivedere il proprio orientamento, dopo che il precedente era stato disatteso dalla Corte regolatrice. PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRADVA 987 CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, Ord!i.nanza 27 giugno 1984 p.. 504 -Pres. Mezzanotte -Est. Giovannini -Frapiocind (avv. Steccani) c. I.A.C.P. di Macerata (avv. Felici) e Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Del Greco). Giurisdizione civile � Appalto � Revisione prezzi � Riconoscimento spettanza � Contrasto sulla misura. (D. lgs. 6 dicembre 1947, n. 1501; e 22 febbraio 1973, n. 37). Appalto � Revisione prezzi � Competenza statale o regionale. (D. lgs. 6 dicembre 1947�� n. 1501; legge 22 ottobre 1971, n. 85; d.P.R. 15 gennaio 1m, n. 8, art. 2; d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1036; d.P.R. 24 agosto 1m, n. 616, art. 87). Deve rimettersi all'Adunanza Plenaria la decisione circa i criteri per individuare la giurisdizione in materia di revisione di prezzi di appalto quando 1i'Amm. abbia riconosciuto la sussistenza dei presupposti per la revisione, ma permangono contestazioni sul quantum della stessa (1) Deve rimettersi all'Adunanza Plenaria la questione concernente la titolarit� della potest� decisionaria in tema di revisione prezzi prevista dagli articoli 4 e 55 D.Lgs. C.p.s. 6 dicembre 1947 n. 1501, originariamente spettante allo Stato, dopo il trasferimento alle regioni a statuto ordina� rio delle materie dei lavori pubblici di interesse locale e dell'edilizia residenziale pubblica (2). Diritto -Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi i quali, concernendo sentenze di prime cure di analogo contenuto, si palesano manifestamente connessi. Giusta gi� innanzi evidenziato, riguardo ad entrambi si pongono questioni di carattere pregiudi2liale di particolare delicatezza come, primariamente, quella relativa all'identificazione della natura delle posizioni giuridiche soggettive pertinenti nella specie alle parti, nonch� quella relati.va alila sussistenza o meno dn capo al Ministero dei lavori pubblici della competenza a pronunciarsi, ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. C.p.s. 6 dicembre (1) La necessit� di rimettere all'Ad. Plen. la questione nasce non tanto dai contrasti giurisprudenziali all'interno del Consiglio di Stato quanto dalle osoillazioni della giurigprudenza della Cassll7li.one, quali si evincono anche dal semplice raffronto tra Sez. Un. 22 luglio 1982 n. 4288 (in Riv. giur. edil. 1982, p. 874) e Sez. Un. 23 febbraio 1983 n. 1365 e 1366 (in questa Rassegna 1983, I, 403 oltre che in Gdust. civ. 83, 3320, sulla quale si segnala la nota di PIACENTINI Nuovi orientamenti giurisprudenziali in tema di revisione di preui). (2) Interessante risulta anche la seconda questione rimessa all'Adunanza Plenaria, nei sensi di cui alla massima. L'orientamento della Sezione 5embra per la verit� propenso ad escludere il trasferimento alle Regioni della delicata funzione, considerando preferibile conseI"Varla ad un organo unico per tutto il territorio nazionale, a garanzia dell'uniformit�' di giudizi ed dn considerazione RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DEU.O STATO 988 1947 n. 1501 sui gravami amministrativi proposti avverso d provvedimenti assunti nel caso. dall'Istituto autonomo per le case popolari della Provincia di Macerata. In ordine alla prima questione va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, le determinazioni delle amministrazioni in tema di revisione prezzi nei pubblici appalti costituiscono esercizio di potest� autoritativo-discrezionali ed involgono, di conseguenza, posizioni giuridiche private di mero interesse legittimo (IV Sez., 29 lu� glio 1980 n. 785; IV Sez., 30 novembre 1973 n. 1140; IV Sez., 29 maggio 1971 n. 583. La medesima giurisprudenza ha, peraltro, nel contempo preci� sato che ove le pl;).rti abbiano fatto uso della facolt�, loro attribuita dall'art. I D.Lgs. cit., di stipulare �patti in contrario� rispetto alla disciplina legislativa, sancendo convenzionalmente l'obbligato!iet� della revisione prezzi, si instaura tra le stesse al riguardo un rapporto di diritto-obbligo, le cui controversie rientrano nella _giurisdizione dell'autorit� giudiziaria ordinaria (VI Sez., 17 gennaio 1984 n. 14; IV Sez., 19 novembre 1975 n. 1042, IV Sez., 2 marzo 1971 n. 190). Pi� articolata appare la giurisprudenza della Corte di cassazione la quale, pur muovendo dalla generale premessa della natura pubblica della potest� ex lege di revisione prezzi (Cass., 22 luglio 1982 n. 4288; Cass., 23 febbraio 1978 n. 888; Cass., 27 febbraio 1976 n. 631; Cass., 27 i:p.arzo 1975 n. 1157), individua in suo luogo la sussistenza di un rapporto di diritto-obbligo non soltanto l� dove sia intervenuto un patto in contrario -patto di cui �,. peraltro, ora sottolineata l'invalidit� per effetto di quanto previsto dall'art. 2 legge 22 febbraio 1973 n. 37 (Cass., 22 luglio 1982 n. 4288; Cass., 23 febbraio 1978 n. 888 cit.) ma anche allorch� l'�rnministrallione si sia positivamente determinata circa l'An debeatur si che iJ tema del contend�re attenga esclusivamente al gradato profilo dcl quan tum (giur. ult. cit. nonch� Cass., 8 febbraio 1979 n. 857; Cass., 2.7 febbraio 1976 n. 658). della funzione giustiziale attribuita alla procedura di decisione dei ricorsi in materia, sottolineata dalla composizione della Commissione consultiva di cui all'art. 4 e dai suoi poteri di determinazione anche sulle spese del procedimento. Peraltro sulla natura non giurisdizionale del provvedimento decisorio del II ricorso in parola si . era espressa la Sez. IV con sent. 25 maggio 1976 n. 364, onde escludere l'applicazione della sospensione feriale al termine dvi prevdsto per la proposizione del ricorso. Il favore� per tale soluzione risulta accentuato dall'ipotesi subordinata formulata (della quale non si � dato conto nella massima per non appesantirla) di ritenere ancora operante il partdcolare ricorso. come previsto nell'art. 4 cit. almeno fino a quando le Regioni non avranno istdtu4to nella loro, determinanda, competenza uno -strumento �garantistico di pari valenza�. PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Circa quest'ultimo punto si pongono, peraltro, problemi in orcltine ai criteri in virt� dei quali Slia possibile definire una controversda come atti nente esclusivamente al profilo del quantum debeatur. A tal riguardo � utile notare che, con sentenza 10. ottobre 1979 n. 5249, la Cassazione ha negato l'esistenza di un rapporto di diritto-obbligo l� dove il riconoscimento dell'amministrazione sia stato parziale anche s_olo quanto al tempo rispetto al quale stabilire le variazioni cui va raccordata la liquidazione per corrispettivo prezzi. A sostegno di questo indirizzo si � infatti osservato, con la successiva sentenza 1� ottobre 1980 n. 5333, -che l'apprezzamento del profilo cronologico rientra pur esso � ��� nell'area del potere pubblico di accoJ:idare o negare fa revdsione prezzi, questa essendo concessa, in principio, per determinati lavori in base a certe variazioni di costo intervenute per � quel � t!ipo di lavori durante � quel � periodo di tempo. Sicch� -ancora dn linea di principio -l'acconto per �revisione prezzi, riferendosi a ben individuati lavoii realizzati in un altrettanto individuato tempo prestabilito, mai pu� assumersi a riconoscimento del diritto alla revisione stessa per altri. lavori compiuti in un periodo di tempo successivo a quello considerato. Con sentenza 23 febbraio 1983 n. 136~ sussistenza clti un rapporto di diritto-obbligo la Cassazione ha, viceversa, ravvisato l� dove, dopo il riconoscimento da parte della Pubblica �amministrazione sul punto del� l'An debeatur, residui la necessit� di individuare i parametri per la monetizzazione delle differenze di prezzo dovute in ciascun caso concreto e nei relativi calcoli, trattandosi di � ... una operazlione che, non compor� tando una scelta fra interessi pubbliici concorrenti ... non lascia spazio, per sua natura, a:lla discrezionalit� ed �, quindi, al di fuori de1l'esercmo del potere, concernendo il modo d'essere del rapporto obbligatori.o venuto ad esistenza per effetto di quell'esercizio �. � Ci� stante, ai fillli della definiZlione della questione� pregiudiziale in esame, occorre preliminarmente statuire: a) se detto orientamento della Corte di cassazione meriti di venir condiviso, tenuto conto che in un caso (IV Sez., 9 dicembre 1983 n. 910) questo Congresso ha negato il sorgere di un rapporto di diritto-obbligo in dipendenza di un avvenuto riconoscimento parziale della revisione prezzi; b) in ipotesi positiva, quali siiano i criteri di carattere generale in virt� dei quali Slia possibile discernere la controversia che attiene al mero quantum rispetto a quella che tale non �. Qualora, poi, in relazione alla soluzione data ai quesiti di cui sopra ed alle concrete situazioni dedotte nei presenti giudizi (ove, giiusta notato nella pregressa esposizione in fatto, le liquidazioni operate dall'Istituto autonomo per le case popolari della Provincia di Macerata sono state contestate dall'Impresa Frapicoini� perch� ispirate al criterio dell'anda RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento -teorico anzich� di quello reale dei lavori e perch� escludenti i periodi interessati dai provvedimenti di proroga del termine finale dei lavori medesimi) avesse a concludersi per la presenza nel1a specie di un rapporto di potest� amministrativa-interesse legittimo eppertanto, ritenuta la giurisdizione del giudice amministrativo, dovesse passarsi allo ulteriore esame dei ricorsi, di particolar~ delicatezza apparirebbe altresl la seconda delle due cennate questioni pregiudiziali. Questione come si � detto, concerne il punto se, a seguito del trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle materie dei lavori pubblici dii interesse locale e dell'edilizia residenziale pubblica (legge 22 ottobre 1971 n. 85; art. 2 1:>.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8; D.P.R. 30 dicembre 1972 n. 1036; artt. 87 ss. D.P.R. 24 agosto 1977 n. 616), sia attualmente di pertinenza delle Regioni medesime anche la potest� decisoria prevista in tema di revisione prezzi dagli. artt. 4 e ss. D.Lgs. C.p.s. 6 dicembre 1947 n. 1501 e successive modificazioni, ovvero se essa sia rimasta nella sfera di competenza dello Stato. Alla prima soluzione potrebbe pervenirsi nel presupposto di una normale inerenza dell'istituto della revisione prem alle materie pred~tte e, di qui, sulla scort~ del generale principio secondo cui, .. come � noto, il passaggio di materie alle Regioni comporta, in una con il mantenimento delle norme statuali dli carattere sostanziale regolanti quelle materie fin quando le Regioni non abbiano autonomamente legiferato (cfr. Cons. St., VI Sez., 14 luglio 1981 n. 411; V Sez., 24 ottobre 1980 n. 895; VI Sez., 5 giugno 1979 n. 432), l'immediato spossessamento delle pregresse competenze facenti capo agli organi statali. Alla seconda conclusione potrebbe, viceversa, pervenirsi individuando nella legislazione di cui al citato D.Lgs. C.p.s. 6 dicembre 1947 n. 1501 una preminente funzione giustiziale destinata, a garanzia dell'uniformit� dei giudi2li, ad essere esercitata da un unico organo per tutto il territorio nazionale e tale, dunque, da comportare l'esclusione -almeno in assenza di espresse previsioni in contrario -della potest� deciso~a in questione dal trasferimento che delle materie predette sia fatto alle Regioni. Che, invero, la legislazione de qua presenti una preminente funzione giustiziale emerge, in primo luogo,. dalla stessa generalit� di applicazione del proceddmento gravatorio da essa regolato, il quale investe i rapporti d'appalto facenti capo, oltrech� allo Stato, anche a tutti gli altri enti pubbliici (art. 1 D.Lgs. C.p.S. cit.; art. 1 L. 23 ottobre 1963 n. 1481; artt. 1, 3 e 5 L. 21 giugno 1964 n. 463; art. 3 L. 19 febbraio 1970 n. 76; art. 2 L. 22 .febbraio 197~ n. 37); emerge, in secondo luogo, dalle garanzie poste a base dell'esercizio di essa funzione medesima, quali principalmente costlituite dalla piena operativit� del principio del contraddittorio (artt. 5 e 7 D.Lgs. C.p.S. cit.) e, soprattutto, dalla peculiare composizione della commissione chiamata ad esprimere parere sui gravami, commissione la I.I: 1: PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. quale, in quanto formata da magistrati e da esponenti. dell'Avvocatura deHo Stato, di ,diverse pubbliche Amministratloni e di organizzazioni di settore, si connota come palesemente dotata dell'attributo della c.d. � terziet� � (n�, in via sintomatica, � da sottacere l'elemento dato, ex art. 4,. terz'ultimo comma, D.Lgs. C.p.S., dalla potest� della commissione di condannare il soccombente, in tutto o in parte, alla rifusione delle spese della procedura, conformemente 'alla nota regol~ propria dei procedimenti giurisdizionali). Che, d'altro canto, la presenza di simile preminente funzione giustiziale sia suscettiva di� escludere la competenza [n questione dal trattamento operato dall'ordinamento in sede di determinazione delle attribuzioni delle Regioni a statuto ordinario relativamente ai compiti delle commissioni di vigilanza sull'edilizia economica e popolare, organi parimenti dotati di poteri contenziosi in funzione gustiziale (cfr. artt. 129' ss. R.D. 28 aprile 1938 n. 1165; artt. 19 ss. D.P.R. 23 maggio 1964 n. 655). Noto � infatti, che mentre con l'art. 93 D.P.R., 24 agosto� 1977 n. 616 � stata genericamente trasferita a dette Regioni Ja materia dell'e&lizia reSli.denziale pubblica, solo con norma a parte, il successivo art. 94, significativamente intitolato �ulteriori trasferimenti dn materia di edilizia pubblica �, sono state altres� trasferite le funzioni amministrative. esercitate da dette commissioni. Manifestazione questa evidente del convincimento. del legislatore circa la necessit� di disposizioni ad hoc ai fini del trasferimento di funzioni siffatte. In wa subordinata, le esposte considerazfoni potrebbero, comv.nque~ valere a riconoscere allo strumento gravatorio in esame un tale rilievo da doversi lo stesso ritenere conservato nella sua attuale connotazione� fin quando le Regioni non introducano nella rispettiva legislazione un meccanismo garantisuco di pari valenza. � da aggiungere che l'esposta problematica non sembra possa essere superata aHa stregua della tesi del tribunale regionale, che ha radicate> la competenza nella specie del Ministro dei lavori pubblici sul disposte> ' dell'art. 125 secondo comma D.P.R. 24 agosto 1977 n. 616. Dal complessivo contest~ detta disposizione appare, infatu, riferirsi alle sole materne rimaste fino al 31 dicembre 1977 di pertinenza dello Stato (donde l'ob� bligo, sancito dal primo comma, degli organi di quest'ultimo di consegnare a ciascuna Regione interessata entro il successivo 31 gennafo 1978 gli atti inerenti le funzioni trasferite con il d.P.R. esistenti presso i rispettivi uffici), laddove, come sd � mnanzi rilevato, i compdti di realizzazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica gi� erano da tempo stati dismessi dallo Stato (L. 22 ottobre 1971 n. 865; d.P.R. 30 dlicembre 1972 n. 1036), cui continuavano a far campo unicamente poteri dd finanziamento. '992 RASSEGNA lll!LL'AVVOCATURA DEllO STATO Attesa la particolare delicatezza delle questioni prospettate e la pos. sibilit� che in ordine alla loro soluzione insorgano contrasti di giurisprudenza fra le Sezioni, appare opportuno rimettere i ricorsi all'Adunanza plenaria ai sensi dell'art. 45 secondo comma R.D. 26 giugno 1924 n. 1-054. CONS. STNI'O, SEZ. V, 23 luglio 1984, n. 565 -Pres. Santaniello � Est. Cossu: Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (Avv. Stato Tarin) c. Salvatori (avv. vespasiani). Bellezze naturali � l'utela del paesaggio � Prefabbricato mobile in legno � Idoneit� a turbare l'aspetto dei luoghi � Sussiste. Bellezze naturali � Tutela del paesaggio � Ordine di demolizione � Esistenza di altre situazioni lesive � Disparit� di trattamento � Non sussiste Non necessarlet� di licenza edilizia � Irrilevanza. Il presupposto per la applicazione delle norme a tutela del pae� .saggio di cui alla legge 29 giugno 1939 n. 1497 consiste nella alterazione in senso negativo dell'aspetto del bene protetto,� di conseguenza, rica. dono nel divieto sancito dall'art. 7 della legge citata e sono quindi as soggettati alla sanzione prevista dal successivo art. 15 tutti quei manufatti .od oggetti che -pur non essendo qualificabili come immobili ai sensi delle norme civilistiche o urbanistiche. -sono comunque idonei, in ragione della loro collocazione non transitoria e non occasionale a �compromettere la bellezza dei luoghi (1). La accertata idoneit� di un manufatto a pregiudicare la zana vincolata rende irrilevante la circostanza che. esso possa essere realizzato .senza licenza edilizia (2). (1-2) Nella fattispecie oggetto della decisione, � stato 'ritenuto lesivo del~ t'assetto paesistico un prefabbricato in legno montato su ruote, poggiato al suolo e reso stabile con l'ausilio di martinetti. Il ricorrente aveva impugn�to avanti al TAR Lazio l'ordine di rimozione del prefabbricato, emesso con decreto del Ministro per i Beni Culturalii e Ambientali, asserendo che detto bene -in quanto mobile -sfugge ai divieti posti dalla legge urbanistica e, pertanto, � insuscettibile di arrecare pregiudizio .alle bellezze naturali. Il TAR .Lazio con deciSiione n. 495 del 26 s�ttembre 11977, aveva accolto il ricorso ritenendo che la natura di bene mobile del prefabbricato non consentisse alla Pubblica Amministrazione l'appldcazione dell'art. .15 legge 1497/ 1939, che ha riguardo alle sole costruzioni per le quali � previsto il rilascio <della licenza. Il Consiglio di Stato, nel riformare la pronunzia di primo grado, ha enun: Diato due principi di fondamentale :importanza in materia di tutela dell'aro� biente. In primo luogo � stato ribadito che la ratio della normativa di cui PARTE I, SBZ. V, GIUltISPRUDBNZA AMMINISTRATIVA 993 La sentenza appellata ha ritenuto illegittima la ordinanza ex artt. 7 e 15 della 1. 29 giugno 1939, n. 1497 con la quale sd imponeva all'appellato Salvatori di rimuovere un � prefiabbricato mobile in legno � abusivamente installato in zona soggetta a ,tutela paesaggistica, sul rilievo che il manufatto -da qualificare bene mobile perch� non stabilmente incorporato al suolo -cosi come � realizzazbile senza Licenza edilizia, egualmente non pu� soggiacere agli interventi repressivi.i del'Ammirustrazione dei beni culturali. � del tutto pacific� che il manufatto � un prefabbricato in Jegno montato su ruote, poggiato al suolo e reso stabile con l'ausdlio di martinetti: e, del resto, il provved�mento impugnato correttamente lo qualifica come �prefabbricato mobile in legno�. Va comunque notato che il manufatto -sito in zona montana e destinato ad esercizio commerciale (noleggio al pubblico di attrezzi per ia pratica degli sport invernali) -pur poggiato al suolo e non ad esso dncorporato, � tuttavia ivi collocato in via permanente come risulta dalle fotografie esibite dall'appellato, talune delle quali eseguite in epoca non invernale (o comunque tin assenza di n~ve) nella quale, cio�, ila cennata attivit� di noleggio non pu� aver luogo. Oi� comporta che il manufatto, an-� corch� mobile, risulta essere collocato al suolo non in via meramente temporanea o anche soltanto stagionale ma a tempo .indeterminato. E, se cosi �, il presupposto per la applicazione delle norme a tutela del paesaggio certamente sussiste, in quanto anche manufatti od oggetti -pt.ir non qualificabili come immobili ai sensi delle norme civilistiche o urbanistiche -sono tuttavia idonei, in ragione della loro collocaziom~ non meramente transitoria od occasionale ad incidere negativamente sull'aspetto delle zone protette. alla legge 1497/1939 risiede nella esigenza di conservazione dell'aspetto delle zone tutelate; ne consegue che il vincolo panoramico si �Stende su tutte. le attivit� U cui risultato possa essere un'alterazione dello stato delle cose e dei luoghi idonea a deturpare quella loro fisionomia esteriore nella quale risiede il loro valore di bellezza della natura (in dottrina v. in, senso conforme: ALIBRANDI- Fl!RRI: I beni culturali e ambientali, Milano 1978, pag. 544 e segg.; v. anche: SANDULLI, Natura ed effetti dell'imposizione di vincoli paesaggistici, in � Atti del Convegno di Studi Giuridici sulla tutela del paesaggio�, Milano 1963, 87). Ci� significa che presupposto immediato per l'operativit� dei limiti e . delle sanzioni previsti dalla nornnativa !in questJione � :la mera idoneit� della modifica a pregiudicare l'aspetto paesistico. In presenza di tale idoneit�, secondo il Consiglio di Stato, VMlllO superati i problemi interpretativi posti dal tenore letterale delle norme. Cosi deve ritenersi illegittima in virt� dell'art. 7, 1. 1497/1939 ogni modificazione dello stato dei luoghi, indipendentemente dalla natura di beni mobili o immobili assunta dall'elemento modfficatore. Cos�, parimentJi, devono superarsi i dubbi relativi alla irrogabilit� della sanzione della demolizione ex art. 15 1. 1497/1939 anche con riferimento a quei RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 994 N� vale obiettare che J'articolo 7 della i. 29 giugno 1939, n. 1497 fa divieto di introdurre modifiche ai titolari o detentori degli � im~ , mobili � siti in zona vincolata e che il successivo articolo 15 imp�n,, di � demolire � le opere eseguite senza il prescritto nulla osta: tale terminologia infatti non impedisce di intendere il precetto per la sua reale portata, in relazione allo. scopo che � quello di conservare inalterate le zone vincolate o di consentire -con apposita val�tazione caso per caso -soltanto ile modifiche che non compromettano la bellezza dei luoghi: e tale compromissione pu� indifferentemente essere cagionata sia da immobili in senso tecnico, sia da altri manufatti comunjlue idonei a modificare la situazione dei luoghi. , Tali\ conclusioni, del resto, trovano conforto lin precedenti giurispi\\ cie~1ald di questo Consiglio che hanno ritenuto legittimi provvedimenti'analoghi a quello. oggi dn discussione, adottati in fattispecie nelle quali l'alterazione all'ambiente fu cagionata non da edifici (mobili o immobili. che fossero) ma dalla installazione di un deposito di auto in demolizione e ci� sul rilievo che anche la presenza di tali beni � idonea a turbare l'aspetto esteriore dei [uoghi (Sez. VI, 17 ottobre 1972, n. 532). E la stessa decisione ha precisato che l'art 15 della I. n. 1497 del 1939 � appllicabi:le non solo in ii.potesi di costruzione abusiva di immobili ma anche m altre ipotesi anomale non espressamente previste per le quali non possa parlarsi di � demolizione � secondo il ristretto significato corrente di tale termine, non potendosi ammettere che altre compromissioni all'interesse pubblico tutelato possano sfuggire a sanzione solo perch� derivanti da attivit� diversa dalla realiz. zazione di edifici. manufatti che -non essendo munobili -non sono suscettibili di demolizione in senso tet:nico. In particolare, la saJl2lione amministrativa della demolizione, avendo natura strumentale con riguardo alla tutela dei luoghi, e quindi mirando alla riduzione in pristino, deve potersi applicare pure a tutte quelle ipotesi. anomale che sono eliminabili solo attraverso un'attivit� repressiva diversa (rimozione, distruzione ecc.), e che non possono rimanere impunite per il solo fatto che non sono assoggettabiilii a demolizione nel ristretto significato del termine. Una diversa interpretazione avrebbe come abnorme conseguenza che alcune violazioni dell'interesse protetto, magari gravisstime, rimarrebbero prive di adeguata sanzione. (Per analoghe affermazioni cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, decisione 17 ottobre .1972, n. 532; in Cons. Stato 1972, .1737, nella quale venne ritenuto legittimo l'ordine di rimozione di un deposito di auto in demolizi9ne). Per quanto riguarda la natura discrezionale dell'ordine di demolizione e il relativo obbMgo di motivazione v. Cons. Stato 16 dicembre 1977 n. 931, in Cons. Stato 1977, I, 1977; Consiglio di Stato, VI Sez. 21 novembre 1980 n. 1120, in Cons. Stato 1980, I, 1578; Consiglio di Stato, Se~ .VI, 19 maggio 19&1 n. 220. In secondo luogo � stato affennato nella decisione massimata che l'idoneit� di un bene a pregiudicare la zona vincql�ta prescinde completamente PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 995 E sotto altro aspetto, ma giungendo ad analoghe conclusioni, la Sezione V, con decisione 9 aprile 1974, n. 305, ha I1itenuto irrilevante la circostanza che un manufatto possa essere realizzato senza licenza edilizia: ci� che conta � sempre !'.idoneit� a pregiudicare la zona vincolata e di conseguenza, da un lato, chi intende realizzare l'opera non � esentato .dal chiedere ed ottenere il nulla osta e, dall'altro, l'autorit� ., preposta alla tutela delle bellezze naturali ben pu� ordine la �demolizione� (e cio� a seconda dei casi la distnl2l�one, la rii.mozione o comunque l'attivit� necessaria a .rimettere in pristino il bene paesistico protetto) sul solo rilievo che si � immutato lo stato dei luoghi senza il prescritto nulla osta. In epoca pi� recente, infine, la Sez. VI, con decisione 26 ottobre 1979, n. 735 ha affermato l'iirrilevanza del fatto che ile opere realizzate senza nulla osta siano amovibili poich� la amovibilit� non impedisce che per volont� dell'interessato la attuale collocazione del manufatto perduri a tempo indeterminato, e che per egual tempo perdtiri il pregiudizio recato al paesaggio. La riconosciuta fondatezza delil'appello impone al Colle~o di esaminare i motivi dell'originario ricorso del Salvatori e che il primo . giudice non ha esaminato perch� dichiarati assorbiti. Tali motivti., come riproposti con comparsa di costituzione in appello, denunciano nell'ordine, eccesso di potere per difetto di motivamone e per disparit� di trattamento. Il primo profilo � per� infondato, essendo sufficiente, a motivare il provvedimento adottato, il richiamo alla mancanza dell'autorizzazione prescrJ.tta ed il contrasto tra iJ manufatto e le caratteristiche della zona (da ultimo, Sez. VI, 19 maggio 1981, n. 220 -11 marzo 1980, n. 304); e l'atto impugnato si d� cartico, sinteticamente ma in modo sufficiente, dalla conformit�, anzi dalla non difformit� di detto bene dalle prescrizioni urbanistiche. L'affermazione deve �ssere intesa come una necessaria applicazione del principio, pi� volte ribadito, secondo il quale nell'ambito dei J>iani paesistici l'autorizzazione dell'Autorit� comi>etente e la licenza edilizia sono atti autonomi, dntesi alla cura di interessi pubblici diversi e differenti per presupJ>Osti, anche se rivolti al medesimo oggetto (v. Cass. SSUU 8 febbraio 1972 n. 310; in Giust. civ. 1972, 685; Consiglio. di Stato, Sez. VI 18 gennaio 1977 n. 25, Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 gennaio 1978, nn. 76 e 77; Consiglio di Stato Sez. VI, 30 settembre 1980 n. 793). Ci� comporta da un lato che il precedente ottenimento della licenza ediliizia non impedisce che la costruzione sia ritenuta dalla competente autorit� lesiva dell'aspetto paesistico, dall'altro lato che la non necessariet� della licenza edilizia per opere non assoggettabili alla disciplina urbanistica non � idonea a svincolare il privato dai limitd e dagli obblighi di cui alla legge 29 giugno 1939 n. 1497 (v. Consiglio di Stato Sez. IV, 9 aprile 1974 n. 305 in Cons. Stato 1974, I, 533). RASSEGNA DEU..'AWOCATURA DELLO STATO di indicare che il manufatto -abusivo perch� non autorizzato -pregiudica il paesaggio: se poi, l'originario ricorrente ed attuale appellante intende dolersi dell'apprezzamento operato dall'Amministrazione ai.rea la portata e l'incidenza del pregiudiizio arreoato al bene protetto, la censura attiene al merito ed � quindi inammissibile in sede di legittimit�. Parimenti infondato � l'ulteriore profilo di eccesso di potere per disparit� di trattamento: e ci� sia perch� nel caso di specie l'attivit� dell'amministrazione � vincolata ed il vizio dedotto attiene soltanto all'attiv.it� discrezionale; sia perch� anche l'esistenza di eventuali opere abusive non perseguite non impone cli motivare circa il diverso criterio seguito nel caso specifico (da ultimo, sul punto, Se;z. VI, 30 ottobre 1981, n. 600). Ci� non significa ovviamente che, ove la situazione affermata dal Salvatori corrisponda al vero, l'amministrazione sia esonerata dal valutare se ~cl�e le altre costruzioni o manufatti -eventualmente non autorizzati -siano tali da pregiudicare l'ambiente e dall'adottare, in caso positivo, i provvedimenti di legge. Significa soltanto che una eventuale ingiustificata inerzia in altre ipotesi non pu� essere addotta, da chi si trova comunque in� situazione di difetto, per pretendere che anche nei suoi confronti si faccia luogo ad una ulteriore illegittima omissione. L'appello va dunque accolto e la sentenza appellata va riformata. I CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 20 giugno 1984 n. 389 -Pres. CaianeHo, Est. Barberio Corsetti -Istituto regionale credito agrario Emilia Romagna (avv. Roversi Monaco) c. Ministero commercio estero ed altro (avv. Stato Fiorilli). Giustizia amministrativa -Impugnazione -Contributo in conto interessi Revoca per fatto dell'Istituto mutuante -Interesse all'impugnazione dell'Istituto. Il decr~to di revoca del contributo in conto interessi gi� concesso ad una ditta, disposto a causa della mancata produzione da parte dell'Istituto mutuante della documentazione tecnica, pu� essere impugnato dall'Istituto stesso in forza del suo interesse ad evitare la responsabilit� civile nei confronti della ditta mutuata (1). (1-3) Le tre sentenze in epigrafe si segnalano per I'fateresse connesso alle questioni processuali risolte. La 389 rivela l'intendimento del Consiglio di Stato di concedere la massima ampiezza alla nozione di .interesse che legittima la parte alla -impugnazione. In proposito basta rinviare alla sent. V 49/84 pubblicata in questa Ras 997 PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA II CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 23 giugno 1984 n. 483 � Pres. Salvatore P. � Est. Salvatore V: � Cavallo (avv. Pellegrino) c. USL BR n. 6( avv. Sticchi Damiani) e Sava (avv. Lubrano e Massari). Giustizia amministrativa � Appello � Legittimazione � Interesse acquisitodurante giudizio di I grado � Possibilit�. � legittimato a proporre appello contro la sentenza che accoglie un ricorso anche il soggetto che abbia acquisito un interesse alla conservazione del prowedimento -impugnato in epoca successiva alla instaurazione del giudizio di I grado e che quindi non sia stato controinteressato in quel giudizio (2). III CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 12 giugno 1984 n. 455 -Pres. (FF) Adobbati -Est. Santoro -Foni (avv.ti Giuffr� e Soncini) c. Comune di Langhirano (avv.ti Bassi e Scoca), Cavazzini (avv.ti Cugurra e Mi-rabelli) ed altro (n.c.). Giustizia amministrativa -Appello proposto dal controinteressato � Costituzione Amministrazione soccombente � Non necessit� d'impugnativa �. Annullato in primo grado il prqwedimento impugnato, la p.a. che� l'aveva emanato pu� nel giudizio d'appello proposto da altra parte costituirsi con semplice memoria senza proporre appello a sua volta, nel qual caso essa non pu� chiedere la riforma della sentenza 'impugnata,. che pu� essere decisa in accoglimento delle censure della parte appellante (3). segna 1984, p. 287 ed all'ampia citazione di precedenti ivi contenuta, sottoli� rieando come nella presente fattdspecie il G. A. ha fatto nascere l'interesse in questione dalla possibilit� per l'Istituto mutuante di essere chiamato a rispondere del proprio operato da parte della ditta beneficiaria del mutuo. La sentenza 483 individua un'ipotesi di interesse alla conservazione del provvedimento impugnato nascente in epoca successiva alla proposizione del ricorso, traendone la logica conseguenza, per un verso della non necessariet� della notifica al titolare di esso del ricorso stesso, e per altro verso della legittimazione del titolare stesso alla proposizione di appello ovvero la sentenza di accoglimento del ricorso. Infine la sentenza 455 chiarisce la posiZlione dell'AmrIJ. che rimasta soccombente in primo grado non propone appello limitandosi a costituirsi nel giudizi<> proposto dal controinteressato, ed assimila tale posizione a quella dell'interveniente le cud prospettazioni devono confluire nelle richieste proposte dalla. parte principale. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 giugno 1984, n. 3717 -Pres. Greco Est. Pannella -P. M. Antoci (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato Vittoria) c. De Vita. Tributi erariali indiretti �. Prescrizioni � Interessi -Decorrenza � Credjto non ancora definitivo � Non ha inizio. La decorrenza della prescrizione degli interessi sui tributi indiretti coincide con la data della esigibilit� e quindi con la data della definitivit� dell'accertamento del tributo al quale gli interessi accedono (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso, la ricorrente denunciando la violazione degli artt. 2935 e.e., 1 e segg~ 1. 26 gennaio 1961 n. 29, 1 l. 28 mar- zo 1%2 n. 147 nonch� omessa ed insufficiente motivazione, sostiene che il giorno, a partire dal quale l'Amministrazione finanziaria poteva far valere il diritto al pagamento degli interessi moratori coincidente con quello di inizio della decorrenza del termine della prescrizione ai sensi dell'articolo 2935 e.e., era quello in cui era stato definito il procedimento di determinazione dell'imponibile e cio� il 26 novembre 1963. Il mezzo � fondato. Invero vale il principio secondo il quale l'esigibilit� degli interessi di cui alle leggi n. 29/61 e 147/62, anche al fine dell'ini2iio del decorso della prescrizione, poggia sulla definitivit� dell'accertamento inerente al tributo al quale gli interessi accedono (sent. 4 novembre 1980 n. 5915). Nella fattispecie in esame sembra evidente che \'entit� della imposta <:omplementare, su cui calcolare gli interessi nella misura del 3 % seme strale (art. 1 I. n. 29/61), � stata definita nel momento in cui l'Ufficio finanziario, accettando la proposta dei contribuenti, ne ha concordata la misura in L. 43.250.000, accettando, altres�, il pagamento dell'acconto nella stessa data del 26 novembre 1963. Da questo giorno � cominciato a decorrere il termine della prescri zione quinquennale relativa agli interessi, che devono essere calcolati con decorrenza dalla data di entrata in vigore della I. n. 29/61, in applicazione della regola dell'art. 3 I. 29/61, secondo cui -nell'ipotesi di insufficiente denuncia -gli interessi si computano dal giorno in cui l'imposta sarebbe (1) La decisione � ineccepibile e assai opportunamente elimina i dubbi che aveva posto qualche anteriore decisione (v. Relazione Avv. Stato, 1976-80, Il, 428 nonch� Cass. 2 ottobre 1980 n. 5343, m questa Rassegna, 1981, I, 547). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 999 stata dovuta se la denuncia presentata fosse stata fedele, temperata dal principio di cui all'art. 11 delle preleggi, secondo cui la legge non dispone che per l'avvenire. Quanto sopra induce a considerare che alla data del 15 novembre 1968 (data di ingiunzione fatta ai contribuenti.per il pagamento degli interessi moratori), non era ancora decorso il quinquennio per la interruzione della prescrizione (decorso che avrebbe av.to luogo solamente il 26 novembre 1968), sicch� quell'ingiunzione � stata utilmente eseguita per il pagamento di tutti gli interessi anteriori, a partite dalla data di entrata in vigore della legge istitutiva di essi. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 luglio 1984, n. 3942 -Pres. Bologna Est. Contu -P. M. Leo (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato .., Zotta) c. Pasino (avv. Paladino). Tributi erariali indiretti � Imposta di registro -Atti soggetti all'imposta sul valore aggiunto -Beni relativi alla impresa -Determinazione. (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 38; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4; d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 689, art. 1). Non � soggetta all'imposta proporzionale di registro in quanto soggetta all'imposta sul valore aggiunto la cessione dei beni relativi all'impresa; sono tali i beni, anche diversi da quelli strumentali, che per volont� dell'imprenditore siano destinati all'azienda (1). I (omissis) Con l'unico motivo l'Amministrazi9ne Finanziaria dello Stato denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 4 d.P.R. 26 otto-. bre 1972, n. 633; 38 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634; 1 d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 689; omessa o insufficiente motivazion� su punto decisivo della controversia. (1) La decisione pu� apparire non del tutto convincente. Se � vero che, sia ai fini dell'IRPEF che ai fini dell'IVA possano essere � relativi all'impresa " anche beni diversi da quelli strumentali (ci� si evince con certezza dall'art. 52 secondo comma del d.P.R. n. 597/1973) non sembra che possa condividersi la affermazione che l'inserimento di qualunque bene nell'impresa dipende esclusivamente dalla volont� dell'imprenditore. Meno che mai questo inserimento pu� dipendere, piuttosto che da atti di contenuto economico-produttivo, da una semplice �esposizione contabile (sia quella di portata transitoria prevista dall'art. 1 del d.P.R. 23 dicembre 1974 n. 689 sia quella ordinaria dell'inventario). Anche se oggi � diminuita, ai fini dell'imposta sul reddito, l'importanza della collocazione in una o altra categoria, sono tuttavia ancora presenti le ragioni, e lo sono maggio:rmente ai fini delle imposte indirette, per ritenere che il ricomprendere o non un cespite nell'attivdt� dell'impresa deve rispondere a criteri oggettivi. 12 1000 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO A suo avviso la commissione tributaria centrale non avrebbe considerato che l'assoggettamento ad IV A non riguarda ogni cessione di beni o prestazione di servizi, ma solamente le operazioni effettuate nell'esercizio dell'impresa. Ed al riguardo � pacifico che mentre i beni facenti parte del patrimonio di una societ� sono sempre relativi all'impresa, altrettanto non pu� dirsi con riferimento ad un'impresa individuale, nei cui confronti la disciplina dell'IVA � applicabile solo per la cessione di beni esplicitamente inerenti all'esercizio dell'impresa; quali macchinari ed attrezzature, tra i quali non rientrano, ad esempio, l'alloggio dell'imprenditore o la sua autovettura utilizzata non per ragioni di lavoro. Nel caso specifico, tratandosi di cessione, da parte di un imprenditore individuale, di un immobile mai utilizzato nell'esercizio dell'impresa non potrebbe perci� parlarsi di bene inerente all'esercizio dell'impresa. N� potrebbero invocarsi le norme del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 689 -sulla obbligatoriet� del prospetto dei beni dell'impresa con effetto retroattivo -sia perch� le stesse erano intervenute dopo la registrazione dell'atto di cui� trattasi, sia perch� dall'adempimento di detta formalit�, che aveva il fine di agevolare l'accertamento delle imposte sul reddito, non potevano ricavarsi presunzioni assolute per l'accertamento di imposte diverse da quelle sul reddito. L'amministrazione Finanziaria sostiene, inoltre, che il decreto n. 689 del 1974 ripete la dizione dell'art. 4 della legge sull'IVA laddove prescrive le indicazioni in inventario delle attivit� e passivit� relative alle imprese, con la conseguenza che anche a' sensi di tale normativa l'inserzione nel prospetto pu� riguardare solo i beni ricompresi nel processo produttivo e non pu� servire ad attribuire ad un bene la qualifica di bene dell'impresa. Se, pertanto, l'inserimento nel prospetto riguarda -come nella fattispecie -un bene estraneo all'esercizio dell'impresa, tale qualifica deve essere esclusa in concreto e la cessione deve essere assoggettata all'imposta proporzionale di registro. Tali censure J)On sono fondate. � noto che l'imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni cli beni effettuate nell'esercizio di impresa, ed � la stessa legge istitutiva (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) che, all'art. 4, chiarisce il significato della locuzione � esercizio di imprese �. Questa norma ha subito delle modificazioni ma alla fattispecie � applicabile nella formulazione originaria, secondo la quale �si considerano effettuate nell'esercizio di imprese le cessioni di beni relativi all'impresa �. L'ampia previsione normativa induce a ritenere che la disposizione di �egge riguardi tutti i beni dell'impresa, anche se non strumentali in senso proprio. Devono perci� considerarsi relativi all'impresa i beni facenti , parte del patrimonio aziendale, e per stabilire tale rapporto di destinazione deve necessariamente farsi riferimento alla volont� dell'imprenditore, essendo a lui riferibile la formazione dell'azienda e la correlativa� distin PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA zione fra i beni da includere nel patrimonio aziendale e quelli da lasciare nel suo patrimonio personale. L'individuazione dei � beni relativi ,all'impresa � implica cos� un problema di prova che talvolta pu� presentarsi di non facile soluzione. Nella fattispecie, per�, la commissione tributaria centrale lo ha risolto attribuendo valore decisivo all'inserimento del bene di cui trattasi nel prospetto redatto dal Pasino a' sensi del d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 689, avendo ritenuto che i beni inseriti dall'imprenditore nel prospetto per sua libera scelta, oltre ad assumere una destinazione finalizzata all'esercizio dell'impresa, venivano a costituire, agli effetti dell'imposta sul reddito, il patrimonio dell'impresa, il quale acquistava cos�, ai fini fiscali, una sua autonomia e si distingueva da quello generale dell'imprenditore. Siffatto apprezzamento appare corretto sotto il profilo logico-giuridico e si sottrae alle critiche del ricorrente. Non � decisivo, al riguardo, che la normativa applicata sia entrata in vigore dopo la registrazione del contratto di compravendita di cui trattasi, poich� il prospetto da essa reso obbligatorio doveva riferirsi a tutti i beni esistenti al 1� gennaio 1974, cio� a data anteriore al contratto, e poteva essere perd� utilizzato pet stabilire_ la consistenza del patrimonio azi�hdale a quella data che -� bene sottolinearlo -era anteriore alla registrazione dell'atto di cui trattasi. Sarebbe infatti illogico ritenere che un bene dovesse essere ricompreso nel patrimonio aziendale fin dal 1� gennaio 1974 a determinati effetti tributari, ed esserne invece escluso ad altri effetti, pur sempre tributari anche se inerenti ad imposte diverse. � invece pi� aderente ad una corretta sistematica giuridica ritenere che il riconoscimento dell'appartenenza di un bene al patrimonio aziendale dell'imprenditore, effettuato dall'Amministrazione Finanziaria, abbia valore ed effetti di carattere generale, almeno fino a quando non venga dimostrato che il bene fosse stato inserito nel prospetto a scopo fraudolento ed in palese contrasto con la realt� della situazione. Del resto la stessa Amministrazione Finanziaria ha ammesso nel ricorso che le circostanze acquisite in sede di adempimento di obblighi imposti per l'accertamento di un'imposta possano essere utilizzate, come elementi aventi valore presuntivo juris tantum, nell'ambito di un diverso rapporto tributario; tuttavia non ha tratto le debite conclusioni da tali affermazioni, giacch� ha omesso di considerare che non erano stati dedotti n� pro~ati elementi di fatto idonei a vincere detta presu~ione, con la conseguenza che non pu� contestarsi il valore probatorio ad essa attribuito dalla commissione tributaria centrale. N� pu� avere rilevanza che l'immobile in questione non fosse stato mai usato dal Pasino come sede , dell'impresa. Si � gi� posto in rilievo, infatti, che il patrimonio dell'impresa si estende anche ai beni non strettamente strumentali, ed a tale criterio si � espressamente attenuta la 1002 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO comm1ss1one tributaria centrale, la quale ha giustamente affermato che l'art. 1 del citato decreto n. 689 del 1974 lasciava agli imprenditori ampia libert� di inserire nel prospetto qualsiasi bene, al fine di formare il patrimonio �dell'impresa, ma nello stesso tempo prevedeva che, per effetto di tale autonoma decisione, il valore dei beni inseriti sarebbe stato definitivamente preso a base per l'accertamento e l'applicazione dell'imposta sul reddito (art. 12). Giova ancora rilevare che, nella fattispecie, dall'inserimento del bene nel prospetto obbligatorio derivavano sicuramente, ai fini dell'imposta sul reddito cui era specificamente preordinato, effetti di carattere tributario per il periodo d'imposta successivo al 1� gennaio 1974, pur essendo stato esso redatto dopo che il Pasino aveva perso la propriet� del bene di cui , trattasi. � perci� logicamente conseguenziale che tale rilevanza tributaria, essendo relativa a profili giuridici di un rapporto che deve essere necessariamente valutato unitariamente, non pu� essere circoscritta alla sola imposta sul reddito ma, riferendosi ad elementi e circostanze che si atteggiano allo stesso modo anche con riferimento ad altri tributi, � suscettibile c� essere estesa a rapporti tributari di, altra natura. Queste considerazioni trovano poi conferma nella sostanziale identit� di espressione nell'art. 4 della legge sull'IVA (�beni relativi all'impresa�) e dall'art. 2, n. 2 di quella sull'obbligo del prospetto (�attivit� e passivit� relative alle imprese�), il che implica che lo stesso bene non pu� essere soggetto a qualificazione diversa a seconda che venga preso in considerazione con riferimento ~l'una o all'altra norma. La decisione impugnata, con la quale � stato affermato che la vendita di cui trattasi era soggetta ad IVA e non all'imposta proporzionale di registro (art. 38 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634), � dunque giuridicamente corretta ed immune da vizi logici, e non merita censura. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 luglio 1984 n. 4044 -Pres. Santosuosso; Est. Sgroi -P. M. Benanti (conf.). Guarnieri c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Concordato fallimentare Assunzione di debiti � Imposta proporzionale. (D.P,R. 26 ottobre 1972, n. 634, artt. 14 e 26 tariffa A, art. 8, lett. e e lett. f e 9). � soggetta all'imposta proporzionale di registro la sentenza di omologazione del concordato fallimentare per la parte che prevede l'accollo dei debiti da parte dell'assuntore (1). (:1) La decisione riconferma l'esatto pnnc1pio gi� affermato con la sentenza 11 agosto 1982 n. 4520, in questa Rassegna, 1983, I, 175. ~ da segnalare il collegamento operato con la interpretazione giurisprudenziale affermatasi sulla PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1003 (omissis) Con il primo motivo,H Guamieri deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 8 tariffa All. A al d.P.R. n. 634 del 1972, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., affermando che nella nuova disciplina si deve �scludere che la sentenza di omologazione del concordato fallimentare sia assoggettabile ad imposta proporzionale, in quanto essa � una sentenza di carattere costitutivo che la legge sottopone a tassa fissa, mentre gli atti omologati non sono suscettibili di tassazione n� in quanto rilevati dalla sentenza n� in quanto forniscono a tale sentenza gli elem�nti su cui statuire. La convenzione o accordo fra i creditori ed il loro debitore, che costituiva un'ipotesi autonoma nella precedente legge di registro, non ha conservato, nella vigente normativa, un carattere autonomo e pertanto, secondo il ricorrente, anche le sentenze che prevedono obbligazioni ed oneri patrimoniali per l'assuntore devono essere ricompresi nell'art. 8 (e non nell'art. 9 della tariffa, come pretende l'ufficio). Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 8 della predetta tariffa e, comunque, contraddittoria motivazione, osservando che la sentenza di omologa, pur presentando un contenuto costitutivo, deve essere sottoposta a tassa fissa e� non a tassa proporzionale. Aggiunge il ricorrente che non si verifica una successione a titolo particolare nel debito e che l'assunzione degli obblighi del concordato, da parte di un terzo, non implica la liberazione del fallito, di modo che gli effetti a carico dell'assuntore trovano il loro titolo nella sentenza di omologazione, rispetto alla quale gli elementi di natura negoziale hanno il ruolo di semplici presupposti. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione .e falsa applicazione dell'art. 132 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., perch� -a suo dire -nell'impugnata sentenza non sono stati indicati i criteri seguiti per ritenere la sentenza di omologa del concordato fallimentare assoggettata ad imposta di registro. Il ricorso � infondato. L'ultimo motivo � puramente assertivo, perch� smentito dall'ampia motivazione, in fatto e in diritto, contenuta nella sentenza impugnata. Vero � che la suddetta motivazione � in parte errata, ma a ci� supplisce il potere correttivo affidato a questa Corte dall'art. 384 cod: proc. civ., posto che l'atto da tassare rientra in un'ipotesi diversa da quella indicata dalla Commissione Centrale, ma tassato con la medesima aliquota. Invero, come ha gi� statuito questa Corte con sentenza 11 agosto 1982 n. 4520, la sentenza di omologazione del concordato � soggetta all'imposta proporzionale di registro ai sensi dell'art. 8 legislazione anteriore (6 gennaiio 1980 n. 119; 14 aprile 1981 n. 2227; 15 ottobre 1981, n. 5401, in questa Rassegna, 1980 I, 631; 1981, I, 824; 1982, I, 776) per ritenere che atto soggetto a registra2lione siano non tanto ,le convenzioni presupposte o enunziate nella sentenza, ma la stessa sentemla di omologazione che imprime efficacia agli atti di un procedimento complesso. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lettera e) della tariffa all. A al d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, per la parte in cui prevede l'acco.o dei debiti da parte dell'assuntore. Si deve premettere che esula dal ricorso che si sta esaminando l'ulteriore problema della tassabilit� separata della cessione dei beni dell'assuntore, essendo oggetto di questa controversia soltanto la tassazione dell'accollo dei debiti a carico del medesimo. L'interpretazione dell'art. 8 lett. f) della tariffa all. A p,arte prima, che sottopone a tassa fissa gli atti di omologazione emessi dall'autorit� giudiziaria, non pu� prescindere dal riferimento al testo della legge, l� dove richiama i predetti atti. L'art. 14. nel regolare la registrazione degli atti soggetti ad omologazione, impone chiaramente la registrazione, secondo il tasso che gli � proprio, dell'atto omologato, come � ribadito dall'art. 26 sesto comma, a tenore del quale gli atti indicati nell'art. 14, quando intervenga l'omologazione, sono soggetti all'imposta nella misura indicata nella tariffa. E pertanto, l'atto del terzo assuntore, contenente la promessa di pagare la percentuale di debiti fallimentari (art. 124 legge fallimentare) non potrebbe sfuggire a tale tassazione proporzionale, a prescinpere dalla sentenza di omologazione (soggetta, a sua volta, a tassa fissa), in base all'art. 9 della tariffa, in cui indubbiamente rientra l'assunzione dell'obbligo di pagare un debito altrui, a prescindere da ogni precisazione sulla sua configurabilit� come accollo in senso stretto o come altra figura di modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio, dalla parte del debitore (cfr. Cass. 27 maggio 1971 n. 1580, in motivazione). Era questo l'orientamento pacifico della giurisprudenza formatosi sotto la vecchia legge di registro. Tuttavia, la promulgazione della nuova legge di registro in un periodo nel quale era affermato dalla giurisprudenza (cfr., in particolare, Cass. 26 agosto 1971 n. 2576; Cass. 25 ottobre 1972 n. 2331) che le obbligazioni ed i diritti del terzo assuntore trovano il loro. titolo nella sentenza di omologazione, nella quale restano assorbiti e trasfusi (costituendone solo un presupposto) gli accordi fra il fallito e l'assuntore e quelli fra quest'ultimo ed i creditori, di modo che si ha una composiZione giudiziale . del dissesto, mediante un regolamento negoziato ed omologato (cfr. Cass. 29 settembre 1977 n. 4159), induce a ritenere pi� consono �lla ratio legis del nuovo testo, che la tassazione colpisca non tanto la promessa del terzo, considerata come separata da un atto estrinseco di controllo giudiziario, quanto l'atto giudiziario in s� stesso. La sentenza di omologazione � infatti una pronuncia nella quale si trova contenuto (anche per relationem) il regolamento dei debiti dell'assunto, di modo che non appare pertinente il richiamo alla lettera f) dell'art. 8 della tariffa (che presuppone una distinzione fra l'atto stragiudiziale e la mera omologazione di esso), mentre � evidente l'inquadrabilit� della sentenza, al di l� della terminologia che non ne esprime con completezza il contenuto, nel , PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1005 l'ambito delle pronuncie indicate nella lettera c), e cio� di quelle pronuncie che sanzionano, tra l'altro, obbligazioni di somme di. denaro, Imponendone l'adempimento a carico di un soggetto (nella specie, l'assuntore). Le considerazioni fatte implicano l'irrilevanza del richiamo all'ipotesi dell'enunciazione (ai sensi dell'art. 21 terzo comma e 35 del d.P.R. n. 634), appena accennata nella sentenza di questa Corte n. 4520 del 1982 (anche se nella massima ufficiale si d� risalto a tale profilo), posto che l'art. 21 terzo comma riguarda l'enunciazione di un atto non soggetto a registrazione in termine fisso, mentre -come si � gi� detto -non si sfugge alla gi� indicata alternativa: a) o la proposta su cui deve deliberare il Tribunale fallimentare � considerata come atto autonomo, necessariamente scritto, e quindi soggetto a registrazione in termine fisso, sia pure con la decorrenza indicata dall'art. 14 del d.P.R. n. 634); b) ovvero tale proposta viene considerata come un atto del procedimento giudiziario che conduce alla sentenza, come tale esente da registrazione (art. 2 Tariffa all. B). Da ultimo, � appena il caso di sottolineare che l'inquadramento dell'atto de quo in uno piuttosto che in un altro articolo della tariffa, � questione di qualificazione giuridica che appartiene al giudizio di legittimit�, a prescindere dalla tesi delle parti, dato che non viene mutato il tasso dell'imposta (1,50 per cento, all'epoca della sentenza tassata). � sintomatico che il decreto-legge 23 dicembre 1976 n. 854, conv. in legge 21 febbraio 1977 n. 36 abbia elevato al 2 per cento, contestualmente, la aliquote stabilite dall'art. 8 lett. c) e dall'art. 9 della parte prima all. A della tariffa. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 luglio 1984, n. 4052 -Pres. Santosuosso -Est. Gualtieri -P. M. Iannelli (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Garinoni (avv. Ermetes). Tributi erariali diretti � Imposta sul reddito delle persone fisiche � Tassazione separata � Natura � Addizionale straordinaria per l'anno 1974 -Non si applica ai redditi soggetti a tassazione separata. (D,P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 12 e 13; d.l. 6 luglio 1974, n. 259 e legge di conversione 17 agosto 1974, n. 384, art. 1). Poich� la tassazione separata � una forma di imposizione diversa da quella sul reddito delle persone fisiche, l'addizionale straordinaria per l'anno 1974 di cui all'art. 1 del 4.1. 6 luglio 1974, n. 259 convertito con modificazioni nella legge 17 agosto 1974 n. 384, non si applica ai proventi per i quali � prevista la tassazione separata (1). (1) Per la risoluzione cli una questione di specie e transitoria la sentenza si spinge ad affermazioni che destano perplessit�. Che possa esser dubbia la 11111111J:t11111111r11r1r111r111r1rr11r11111rrr1r1111111r1111111111111r11.4'11 1006 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con un unico motivo la ricorrente denunciando violazione dell'art. 1 decreto legge 6 luglio 1974, n. 259, convertito nella legge 17 agosto 1974, n. 384 e dei principi sulla tassazione" separata di cui all'art. 13 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, deduc!'l che la Commissione centrale confonde le nozioni, tra loro diversissime, di reddito imponibile ai fini dell'imposta delle persone fisiche e di tassazione separata. Ed invero, quando la legge 9 ottobre 1971, n. 825, di delega per la riforma tributaria, all'art. 2 n. 19, dispone l'esclusione dell'indennit� di fine rapporto del reddito complessivo non intende certo sottrarre tale indennit� all'imposta sul reddito delle persone fisiche, ma persegue solo l'obbiettivo di evitare il cumulo delle indennit� stesse con gli altri redditi percepiti nello stesso anno e di evitare, quindi, la tassazione con l'aliquota pi� elevata corrispondente alla somma dei . redditi conseguiti in quel determinato periodo di imposta. _ Pertanto, la commisurazione dell'aliquota a quella corrispondente alla met� della somma dei_ redditi del precedente biennio non � che un correttivo alla rigida applicazione dell'aliquota in base al complesso dei redditi conseguiti nel periodo di imposta. Al riguardo, rileva, la ricorrente, che quando gli artt. 12 e 13 del D.P.R. n. 597 del 1973, enunciati nella legge delega prevedono che l'indennit� di anzianit� sia soggetta a tassazione separata non sanciscono affatto che alla indennit� sia applicata una imposta diversa da quella sul reddito delle persone fisiche, ma si limitano a disporre che la tassazione avvenga con un'aliquota diversa da quella corrispondente al cumulo dell'indennit� con gli altri redditi dell'anno. Pertanto, l'istituto della tassazione separata non signific~ esenzione dell'imposta sul reddito o esclusione dei redditi del contribuente, ma significa soltanto tassazione con un'aliquota diversa da quella che sarebbe altrimenti applicabile per effetto della somma dei redditi conseguiti. In conclusione, secondo la ricorrente, l'indennit� di anzianit� � soggetta all'aliquota sul reddito nell'anno di percezione e che ci� che di- estensione della addizionale straordinaria, istituita per un solo anno, a redditi che hanno un riferimento ad un lungo periodo non si pu� disconoscere. Ma ci� non rendeva necessaria l'affermazione che il regime di tassazione separata sia una �imposizione estranea all'IRPEF e del tutto autonoma Addirittura, esponendo una def�niizione abbastanza esatta di reddito, si mette in dubbio che i ricavi definiti nell'art. 13 del d.P.R. n. 597/1973 siano redditi. E cosa mai sarebbero e che specie di imposta verrebbe ad essere quella a tassazione separata? Non si pu� disconoscere che taluni redditi siano. assoggettati a tassazione separata (dal reddito complessivo) esclusivamente a causa della progressivit� dell'aliquota e per determinare una particolare m~sura d'imposta. Ed infatti quegli stessi proventi rientrano nel reddito complessivo delle persone giuridi� che perch� ai fini dell'IRPEG, non progressiva, la tassazione separata non ha ragione d'essere. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA stingue tale reddito da tutti gli altri percepiti nello stesso periodo di imposta � solo la diversa modalit� di determinazione dell'aliquota, per cui l'indennit� percepita dal contribuente nel 1974 non pu� non essere soggetta anche all'addizionale dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. Il complesso motivo � privo di fondamento. La" questione su cui si incentrano le opposte tesi delle parti � se l'addizionale straordiriaria dell'imposta suJ reddito delle persone fisiche, istituita per l'anno 1974 dal d.l. 6 luglio 1974, � n. 259, convertito nella legge 17 agosto 1974, n. 384, fosse dovuta sui redditi soggetti, nel predetto anno, a tassazione separata, ai sensi degli artt. 12 e 13 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. Tale questione va risolta, come ha ritenuto la Commissione Tributaria Centrale, nella decisione ora impugnata, nel senso che detta addizionale non � applicabile alla indennit� una tantum di fine rapport0> poich� tale indennit� non concorre a formare il reddito complessivosoggetto all'IRPEF, avendo lo stesso legislatore delegante prescritto il diverso sistema della tassazione separata (legge 9 ottobre 1971, n. 825. art. 2, n. 19). Va anche precisato �che il legislatore delegato ha ripetuto che l'indennit� di fine rapporto non costituisce materia imponibile ai fini dell'IRPEF, ma � soggetta a tassazione separata (d.P.R. 29 settembre 19n n. 597, art. 12, lett. e). L'ampia dizione dell'art. 12 non autorizza a considerare tassabile qualsiasi erogazione fatta al dipendente alla fine del rapporto di lavoro. . A tale scopo � necessaria la ricorrenza di due essenziali presupposti,. cio� che l'erogazione costituisca un reddito e, in secondo luogo, ove di reddito si tratti, che esso sia legato da nesso di causalit� con la presta zione di lavoro dipendente. La necessit� del primo presupposto deriva dall'art. 1 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, secondo cui �presupposto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche � il possesso di redditi in danaro o in natura, continuativi od occasionali, provenienti da qualsiasi fonte �. g stato rilevato che per � reddito �, in linea di. massima, si intende il frutto, la retribuzione o comunque l'utilit� o ricchezza nuova che viene ad incrementare in modo continuo o variabile o periodico il patrimonio di taluno in quanto prestatore d'opera o possessore di mezzi di produzione o che impieghi dei capitali. Esso � dunque un quid novi, di aggiuntivo, e che costituisce nuova ricchezza. Al reddito si contrappone il capitale che �, al contrario, un patrimonio insuscettibile di per s� di creare ricchezza nuova, ossia reddito, se non impiegato e quindi tendenzialmente stabile ed immutabile. RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DELLO STATO -Ouanto sopra esposto, devesi rilevare che l'Amministrazione ricorrente ha confuso le nozioni di reddito imponibile ai fini dell'IRPEF e di tassazione separata, comportando quest'ultima solo l'applicazione di una aliquota diversa, per cui non potrebbe non considerarsi soggetta anche all'addizionale istituita nel 1974. Orbene, gi� tenendo presente nel suo testo letterale la norma (art. l, quarto e quinto comma del D.L. 6 luglio 1974, n. 259, convertito nella legge 17 agosto 1974, n. 384) istitutiva dell'addizionale di cui trattasi, risulta che il legislatore, per soddisfare ad una straordinaria esigenza finanziaria dello Stato, volle istituire un tributo ad hoc, denominato, appunto � addizionale straordinaria�; cio� non fece luogo ad un aumento delle aliquote, come avrebbe agevolmente potuto, stabilite nella tabella allegata al d.P.R. 29 setembre 1973, n. 597. L'autonomia di siffat.ta imposizione, gi� chiara nel quarto comma, � pi� evidenziata dal successivo quinto comma, che ne stabilisce la riscossione, in forma altres� autonoma, mediante ruoli, mentre avrebbe dovuto essere riscossa con l'IRPEF se si fosse trattato di una sempllce elevazione, come sostiene la ricorrente, delle relative aliquote. Aggiungasi che una autorevole dottrina, in sede di esame � ex professo � della materia, � pervenuta alla conclusione che il predetto sistema d� luogo ad una tassazione completamente separata rispetto a quella del r.eddito complessivo in quanto tutti gli articoli nei quali si accenna alla tassazione separata sono redatti in modo tale da legittimare la conclusione che questa � una vera e propria tassazione per s� stante e non un semplice modo di calcolare l'imposta. Inoltre, l'imposta commisurata al reddito complessivo netto � liquidata dallo stesso contribuente e versata, tramite banca, alla Tesoreria dello Stato entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione dei redditi. Invece, l'imposta dovuta per i redditi soggetti a tassazione separata � liquidata dall'Ufficio delle imposte, iscritta a ruolo, e pagata nei termini, stabiliti dal d.P.R. n. 602. Una volta provato che la tassazione separata di cui trattasi genera un'obbligazione di imposta distinta da quella relativa all'imposta dovuta sul reddito complessivo, ne discende che l'addizionale straordinaria si riferisce solo a quest'ultima poich� ha come propri destinatari i titolari di quel rapporto tributario che ha come presupposto il reddito delle persone fisiche e, come contenuto dell'obbligazione, la relativa imposta, e non i titolari di quel diverso rapporto tributario che, secondo l'esatto giudizio del resistente, ha per presupposto le entrate da assoggettare a tassazione separata ed ha a proprio contenuto l'obbligazione di imposta <:onseguente alla tassazione separata. Una diversa interpretazione, ha esattamente evidenziato il medesimo resistente, porterebbe�fatalmente a dover dubitare della legittimit� costi PARTE I, SEZ. vt, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1009 tuzionale della norma contenuta nella legge n. 384/1974 in quanto la <:ontestata applicazione porterebbe ad una riduzione dell'indennit� di anzianit� (che � retri12.:uzione differita) superiore a quella riferentesi all'ultimo biennni.o, per cui il lavoratore cessato dal rapporto nel 1974 si troverebbe in posizione nettamente deteriore rispetto a quelli cessati nel 1973 o nel 1975. La contestata applicazione porterebbe altresi alla tassazione con una addizionale valida per il solo anno 19:74 di redditi prodottisi in pi� anni e per i quali il lavoratore non ha avuto modo di scegliere a quale regime tributario soggiacere, venendo a trovarsi in condizioni di radicale diversit� rispetto a chi ha percepito lo stesso reddito nel 1973,,o nel 1975. _ Il tutto, infatti, si porrebbe in contrasto con il principio di uguaglianza (art. 3 Costituzione), che si articola, in campo tributario, nel principio qella parit� di trattamento e parit� di capacit� contributiva. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 luglio 1984, n. 4097 -Pres. Sandulli Est. Sensale -P. M. Ferraiuolo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico) c. Soc. Manifatture Gallo. Tributi in genere � Contenzioso tributarlo � Giudizio di terzo grado � Imposta di registro � Indagine sulla natura e gli effetti dell'atto � Apprezzamento del fatto ai fini della� simulazione di atto a titolo gratuito � Deducibilit�. (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 8; d.!. 8 marzo 1945, n. 90, art. 5). Rientra nei poteri del giudice di terza grado l'apprezzamento dei fatii necessari per determinare, agli effetti dell'art. 8 dell'abrogata legge di registro, l'intrinseca natura e gli effetti dell'atto anche nel caso che debba stabilirsi se l'atto a titolo oneroso simuli un trasferimento a titolo gratuito. (1) Decisione ineccepibile. Va intanto segnalata la riassuntiva ma assai completa e attenta definizione dell'ambito del giudizio di terzo grado. La giurisprudenza � stata non sempre costante, ma ormaii si sta rafforzando la linea che intende la valutazione estimativa, come comprensiva delle questioni di fatto attinenti all'esistenza del reddito o del cespite o del presupposto materiale e oggettivo del tributo; tutto il resto � ricompreso nell'area del terzo grado (v. la sent. delle Sez. Un. 13 ottobre 1983 n. 5960, in questa Rassegna, 1984, 1, 135, con richiami). Il problema specifico era di pi� facile soluzione; nelle <imposte indirette � netta la separazione tra pura e semplice stima della base imponibile, senza che su di essa influiscano questioni pregiudiziali di diritto, e applicazione della legge. Si � sempre affermato che l'apprezzamento dei fatti necessari per la retta applicazione d�lla legge non esorbita dai poteri. della Commissione centrale. Lo stabilire se un determinato atto, per gli effetti che esso produce ex art. 8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1010 I (omissis) Con il primo motivo l'Amministrazione delle finanze denuncia la vjolazione dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., deducendo che, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione tributaria centrale, le questioni di fatto (come quella relativa alla effettiva destinazione degli importi di cui alla riduzione del capitale) non esorbitano dalle attribuzioni della Commissione tributaria centrale, cui � sottratta la cognizione delle sole questioni di estimazione semplice. L'Amministrazione delle finanze sostiene, poi, con il secondo motivo (nel quale denunzia il vizio di omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia), che, se ha inteso ,confermare la decisione di secondo grado, la Commissione tributaria centrale � incorsa nel vizio di motivazione, come risulta evidente dal fatto che la questione � stata ritenuta decisa per implicito dalla decisione di secondo grado. Con il terzo motivo, infine, l'Amministrazione ricorrente denunzia. la violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269; dell'art. 88 della tariffa all. A; degli artt. 2700 e 2727 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., censurando la decisione impugnata nella parte in cui sembra volere affermare che l'ufficio non potesse disattendere le dichiarazioni contenute nell'atto sulla base di circostanze (mancanza di scritture contabili) estranee all'atto stesso. Sostiene, per contro, l'Amministrazione che le dichiarazioni in questione erano state correttamente disattese per la loro genericit� estrema a fronte dell'entit� della somma (pari a quasi l'intero capitale sociale) destinato a �copertura di passivit� ,. senza alcuna loro specificazione, a � nuovi investimenti �, senza indicazioni ulteriori e senza riscontro nei libri contabili, si che, in tali condizioni, del tutto giustificata era la presunzione che la riduzione del capitale sociale costituisse il mezzo per eliminare l'obbligo dei residui versamenti di quota in vista della difficile situazione della societ�. Le suesposte censure, essendo fra loro connesse, possono esaminarsi congiuntamente. Occorre premettere che questa Corte -dopo avere ritenuto in via generale, con sentenza n. 338/71 (ma con espresso riguardo al procedi mento di opposizione ad ingiunzione fiscale) che l'Amministrazione finan della abrogata legge di registro, � a titolo gratuito o a titolo oneroso o � un negozio mixtum cum donatione costituisce una operazione cli qualilicazione giuridica che non ha nulla a che fare con la valutazione estimativa. � Un isolo appunto pu� essere mosso alla sentenza refativamente all'ultlima proposizione. Quando l'impugnazione concerne questioni driverse dalla valutazione esti mativa non vi � luogo a verifica della motivazione, perch� il giudizio � di . merito e la decisione del giudice di terzo grado, che definisce la controversria, sostituisce la decisione impugnata assorbendone gli eventuali vizi; solo nelle questioni di valutazione estimativa l'impugnazione di sola legittimit� tendente ad un annullamento con rinvio, fa emergere il vizio di difetto di motivazione. � PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ziaria pu� proporre, per l'ipotesi che la ingiunzione venga giudicat~ illegittima, una domanda riconvenzionale per far valere un diverso titolo a giustificazione della pretesa tributaria -con la sentenza n. 2853/72 ha statuito che l'Amministrazione finanziaria, creditrice dell'imposta di registro, ha facolt� d'impugnare di simulazione l'atto di vendita presentato per la registrazione e per il quale non operi la presunzione stabilita dall'art. 5 del d.l. lgt. 8 marzo 1945 n. 90, al fine di far dichiarare che esso � in toto un atto di liberalit� o che lo � solo per il maggior valore dei , beni trasferiti rispetto al prezzo che risulta pagato; e che, fuori dall'ipotesi della simulazione, l'Amministrazione pu�, sulla base della effettiva obiettiva sproporzione tra prezzo e valore venale in comune commercio dei beni trasferiti, prospettare la esistenza del cosiddetto negotium mixtum cum donatione, tassabile in relazione al suo __effettivo contenuto ed alla intrinseca natura, quali risultano dall'atto, in considerazione dei suoi effetti, sempre che sia raggiunta la prova, anche presuntiva, circa la reale finalit� del negozio intercorso fra le parti. Occorre aggiungere che, con la decisione n. 3024/72, questa Corte ha affermato che l'Amministrazione non pu� chiedere, ai fini dell'applicazione . dell'imposta di registro, che sia accertata la realt� di un diverso negozio dissimulato sotto l'apparenza del negozio dichiarato non risultante dallo stesso atto. Peraltro, le richiamate decisioni, come si evince dalla lettura delle rispettive motivazioni, al di l� dei contrasti che esse manifestano, con cordano sul punto che, ai fini dell'imposta di registro, deve tenersi conto dell'art. 8 del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269 (applicabile nel caso concreto, trattandosi di fattispecie impositiva completatasi anteriormente alla rifor ma tributaria), in base al quale �le tasse sono applicate secondo l'intrin seca natura e gli effetti degli atti o dei trasferimenti, se anche non vi corrisponda il titolo o la forma apparente �. Da tale premessa si traggono i seguenti corollari: a) il contenuto e la natura dell'atto da registrare devono ricavarsi dalle clausole di esso, senza possibilit� d'integrarne i risultati in virt� di elementi aliunde desunti, poich� -salva la possibilit� di: ac�ertare con tutti, i mezzi consentiti all'Amministrazione delle finanze la produzione di redditi in conseguenza dell'atto, da assoggettare ai vigenti tributi diretti -l'impo sta di registro colpisce l'atto per quello che esso dichiara e per gli effetti che, come tale, � idoneo a produrre; b) tuttavia, quando al titolo o alla forma apparente non corrispondano la intrinseca natura e gli effetti dell'atto (sulla necessit� di tale presupposto, v. sent. 780 e 2036/68, 388/69 . e 493/71), non � precluso al giudice interpretare e qualificare l'intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto, quali si possono desumere dalla oggettivit� del suo contenuto e della ricognizione positiva del suo signifi cato, e, quindi, accertare la sirriulazione che pregiudichi il diritto della Amministrazione alla percezione dell'esatto tributo; !ASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dm.LO STATO 1012 Posto che, nei limiti suddetti e nell'ambito dell'art. 8, la indagine sulla simulazione non � preclusa in sede di contenzioso tributario, occorre ulteriormente precisare che essa � consentita anche alla Commissione centrale, ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636. Le Sezioni �unite hanno di recente affermato al riguardo che nel sistema del nuovo contenzioso tributario � conservata alla Commissione tributaria centrale la medesima sfera di competenza che le veniva attribuita secondo la disciplina previgente, eliminandosi peraltro le ragioni d'incertezza che in queste erano insite grazie al superamento, alla stregua di un pi� razionale criterio di discriminazione, della nozione di estimazione complessa, la quale non ha pi� ragione di essere, perch� ormai tutte le questioni di fatto estranee alla valutazione estimativa, oltre a tutte le questioni di diritto, sono indiscutibilmente attratte nella cognizione piena della Commissione tributaria centrale (e della Corte d'appello); e tale valutazione estimativa, come attivit� di giudizio, comprende non solo la mera quantificazione, ma anche le questioni di fatto relative alla esistenza del reddito o del cespite e, in genere, della base imponibile e del presupposto materiale ed oggettivo del tributo, restandone escluse -in quanto non relative a valutazione estimativa -le questioni concernenti la indivi~ duazione dei soggetti passivi del rapporto tributario e la loro qualit� e modo di essere, nonch� la tassabilit� o meno del reddito o del cespite, in relazione, ad esempio, al concorso di ulteriori condizioni richieste dalla legge per la integrazione della fattispecie impositiva o alla spettanza di esenzioni, agevolazioni o detrazioni, al cui fine non � precluso alla Commissione centrale l'accertamento degli elementi di fatto che quelle condizioni realizzino o che diano diritto a quelle esenzioni, agevolazioni o detrazioni, appunto perch� integranti questioni di fatto non relative a valutazione estimativa e non strettamente implicate da questa (sentenza n. 5960/83). Nella motivazione della richiamata decisione si � precisato, con riguardo alle imposte indirette, che � questione di fatto relativa a valutazione estimativa l'accertamento della esistenza del negozio che costituisce il presupposto della imposizione, ma non anche la qualificazione di esso, che postula il compimento di una operazione giuridica. Poich�, nel caso in esame, l'indagine circa l'intrinseca natura dell'atto e dei suoi effetti richiede l'esplicazione di un'attivit� interpretativa di un negozio giuridico, non contestato nella sua oggettiva esistenza, cio� il compimento di un'operazione giuridica, nella quale si risolvono l'interpretazione e la qualificazione dell'atto ai fini della individuazione degli effetti che esso � idoneo a produrre, l'indagine suddetta ri�ntrava nei compiti della Commissione tributaria centrale. Orbene, nel caso concreto, questa ha enunciato il principio di diritto (e cio� che la simulazione non pu� essere desunta da elementi estrinseci all'atto sottoposto a registrazione), ma non ha svolto alcuna indagine di PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA retta ad accertare l'intrinseca natura dell'atto e dei suoi effetti giuridici, con riguafdo alla dedotta genericit� di esso, che -si assume -contiene mere dichiarazioni d'intenzione senza nessuna indicazione delle passivit� che la riduzione del capitale sociale era destinata a coprire n� degli investimenti da operare e delle somme a tal fine necessarie; e non si � posto il problema se, accertata eventualmente la simulazione, l'atto non potesse produrre direttamente l'effetto di esonerare i soci dall'obblig0> dei versamenti necessari al perseguimento dello scopo sociale. Infine, se tale accertamento era stato compiuto dalla commissione di secondo grado, la Commissione centrale non avrebbe potuto esimersi dall'esame della relativa motivazione, posto che l'impugnazione dinanzi ad essa proponibile concerne ogni violazione di legge, ivi compreso il viziodi motivazione o l'errata risoluzione di questioni di fatto, escluse soltanto quelle relative a valutazione estimativa nel senso precisato nella richiamata sentenza delle Sezioni unite (cfr. sent. 1307 e 6678/81). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 luglio 1984 n. 4099 -Pres. Scanzano -Est. Virgilio -P. M. Zema (conf.). Ministero delle Finanze (avv .. Stato Salimei) c. Giurin (aw. Laudati). Tributi erariali indiretti � Riscossione � Pagamento nelle mani dell'ufficiale giudiziario � Efficacia. (COii. proc. civ., art. 494). Il pagamento nelle mani dell'ufficiale giudiziario a norma dell'articolo 494 cod. proc. civ. non soltanto � solutorio per il debitore, ma deve considerarsi a tutti gli effetti come eseguito presso l'ufficio tributario (applicazione alla data di decorrenza del termine per l'accertamento) (1). (omissis) La ricorrente in .via principale deduce che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto effettuato il pagamento gi� all'atto del versamento della somma nelle mani dell'ufficiale giudiziario incaricatodi eseguire il pignoramento, mentre l'effetto solutorio si ha ~oltanto� nel momento dell'incasso del denaro da parte dell'ufficio fiscale, non avendo l'ufficiale procedente la veste di contabile dell'amministrazione e di legittimato a rilasciare ,quietanza. Perci�, il termine di decadenza non poteva cominciare a decorrere se non dal momento in cui l'amministrazione finanziaria ebbe diretta conoscenza dell'evento cui la decadenza era collegata (momento cio� del pignoramento), in quanto tale momento � stato indicato nell'art. 21 del D.L. n. 1639 del 1936 non con riferimento all'efficacia liberatoria del d~bi( 1) .Questione nuova della cui soluzione deve prendersi atto. 1014 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tore, ma quale momento in cui l'~mministrazione viene a conoscenza che si � conclusa la fase dell'accertamento e della percezione dell'imposta principale, e pu� aprirsi quella dell'accertamento dell'imposta complementare. La censura non � fondata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 2092 del 1966 .e n. 2560 del 1969), il versamento nelle mani dell'ufficiale giudiziario, legittimato ex lege a riceverlo, della somma per cui si procede e dell'importo delle spese, con l'incarico di consegnarli al creditore -effettuato <lai debitore ai sensi dell'art. 494 cod. proc. civ., al fine di evitare il pignoramento, ha contenuto e valore di pagamento e produce, perci�, �effetti liberatori immediati, mentre questi non si verificano soltanto se il versamento sia fatto con riserva di ripetizione e non implichi quindi in alcun modo riconoscimento del debito e rinunzia alla contestazione <li esso. ~i tratta di un principio di carattere generale, che trova applicazione anche nei rapporti riguardanti la riscossione dei tributi mediante pro. cedura esecutiva in cui interviene l'ufficiale giudiziario, perch� anche in tali rapporti, mancando una diversa disposizione, il pagamento nelle mani dell'ufficiale procedente, che per legge diventa delegato a ricevere la somma per conto dell'amministrazione creditrice, produce gli stessi effetti del pagamento effettuato direttamente all'Ufficio fiscale. Perci�, anche dal punto di vista dell'individuazione del momento in cui deve considerarsi giuridicamente avvenuto il pagamento, occorre in questi casi aver riguardo alla data del ricevimento della somma <la parte dell'ufficiale giudiziario. La distinzione che la ricorrente vorrebbe introdurre tra momento <lel versamento della somma nelle mani dell'ufficiale giudiziario e mo mento dell'effettivo incasso della somma stessa da parte dell'amministra zione (al fine di far coincidere con questo secondo momento il dies a quo del termine annuale di decadenza prescritto dall'art. 21 del D.L. 7 agosto 1936 n. 1639 per la notifica dell'accertamento di valore) non trova alcun fondamento nella norma perch� il citato art. 21 si limita .a far decorrere l'anno dal � pagamento�, e perci� a tale termine deve .attribuirsi il peculiare significato tecnico-giuridico di carattere gene rale di cui si � detto, con tutte le conseguenze. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 luglio 1984 n. 4541 -Pres. Santosuosso -Est. Di Salvo -P. M. Benanti (conf.). Cicolani (avv. Manfredonia) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi in genere � Contenzioso tributarlo -Giudizio innanzi alle commissioni � Natura ed oggetto. PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1015 Tributi in genere � Accertamento � Contenzioso tributarlo � Rapporti � Difetto di motivazione � Conseguenze � Nullit� e illegittimit� � Motivazione insufficiente ma non totalmente mancante � Rinvio per nuova valutazione estimativa. Tributi in genere -Contenzioso tributarlo � Necessit� di rinnovare il giudizio di valutazione � Giudice di rinvio � n sempre la commissione di secondo grado. � ' (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 24 e 29). Le commissioni tributarie sono organi di giurisdizione specale, tuttavia ben diversificati dagli organi di giustizia amministrativa. Poich� l'oggetto della giurisdizione tributaria � costituito dalla verifica dei presupposti dell'imposizione tributaria e degli effetti del rapporto (processo di accertamento dell'esistenza dell'obbligazione pubblica o di impugnazione- merito), la pronunzia di accoglimento non si risolve necessariamente nell'annullamento dell'atto impugnato, anche se l'accertamento contenuto nella decisione impone all'ufficio di rinnovare gli atti incompatibili cor� il rapporto tributario come definito �in sede cont~nziosa (1). � La nullit� dell'avviso di accertamento pu� essere pronunziata solo nei casi di totale mancanza della motivazione o casi ad essa equiparabili quali l'esistenza di una motivazione soltanto apparente di mero stile che per la sua genericit� sarebbe applicabile a qualsiasi accertamento. L'accertamento con motivazone insufficiente � illegittimo ma non nullo e all'insufficienza pu� sopperirsi attraverso la motivazione della decisione, mentre nel caso che l'insufficienza venga rilevata in terzo grado si rende necessario il rinvio per un'eventuale modifica del quantum, evitando comunque il rimedio estremo dell'annullamento dell'accertamento e quindi la sottrazione di un cespite, di etti si � accertata l'esistenza, all'imposizione tributaria, contro il principio dell'art. 53 Cost. Ci� non (1-3) La sentenza, di grande portata, verosimilmente susciter� ampie discussioni. Essa ha rigettato il ricorso contro la decisione della Commissione centrale 27 marzo 1981 n. 3011 molto criticata (TINELLI, Osservazioni sull'integrazione in sede contenziosa della motivazione dell'accertamento, in Riv. dir. Finanz., 1981, Il, 250; MERCATALI, L'illegittimit� dell'avviso di accertamento di maggior valore: conseguenze sostanziali e processuali; in Dir. prat. trib., 1981, Il, 464; TEsAURO, La motivazione degli avvisi di accertamento di valori immobiliari in una recente decisione della Commissione centrale, in Boll. trib. 1981, 804) e ripudiata dalla giurisprudenza successiva della stessa Commissione centrale. La Corte di Cassazione si muove, con molta saggezza e coerenza, su un terreno assai realistico evitando gli eccessi a cui era andata incontro la Commisione centrale. Questa, giudicando su un accertamento in materia di imposta. di registro, aveva premesso, sulla base di una interpretazione ingiu 13 I RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ.O STA1'0 1016 � in contrasto con l'art. 21 del D.P.R.� 26 ottobre 1972 n. 636, perch� non cade in questione la rinnovazione .di un accertamento nullo (2). Il rinvio alla commissione di primo grado � previsto dagli articoli 24 e 29 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 soltanto in presenza di vizi radicali che determinano l'inesistenza della decisione; va sempre disposto il rinvio alla. Commissione di secqndo grado quando si presenti una questione di valutazione estimativa anche se sorge per la prima volta a seguito della pronunzia di terzo grado (3). (omissis) L Con il primo mezzo del ricorso si sostiene, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 48 e 49 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, che la Commissione tributaria centrale, avendo statuito l'illegittimit� dell'accertamento in contestazione, per inosservanza e violazione delle predette norme, avrebbe dovuto pronunciare l'annullamento dell'accertamento stesso; con �il secondo motivo, si censura la stessa .decisione per violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 10 e 35 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in quanto erroneamente essa avrebbe affermato che le commissioni tributarie sono � organi speciali di giurisdizione�, mentre esse non potrebbero avere tale natura perch� a ci� osterebbe l'art. 102 Cost., che riserva ai magistrati ordinari l'esercizio delle funzioni giurisdizionali e vieta l'istituzione di giudici speciali o straordinari; di tali commissioni andrebbe invece affermata soltanto la natura giurisdizionale e la loro funzione �indirizzata unicamente all'applicazione della legge in base all'obiettivo apprezzamento degli elestificatamente rigorosa degli artt. 48 e 49 del d.P.R. n. 634/1972, che l'accerta� mento pot~va essere motivato esclusivamente <in base ai criteri stabiliti in detta norma (valore comparativo e capitalizzazione del reddito); ma poi, forse allarmata delle conseguenze, aveva affermato che le commissioni avessero un illim<itato potere (e dovere) di procedere di ufficio ad un'autonoma valutazione da sostituire a quella dell'ufficio. Bench� il ricorso sia stato rigettato, la decisione della centrale non pu� dirsi confermata nella sua impostazione. I mezzi e i criteri dell'accertamento e la relativa esternazione nella motivazione non sono tanto rigidi e formali (sull'argomento v. C. BAFILE, Considerazioni sui criteri di valutazione e sulla motivazione dell'accertamento nelle imposte indirette sui trasferimenti, in Riv. dir. finanz. 1983, II, 61); l'accertamento � nullo solo quando la motivazione � totalmente mancante o � solo apparente, � cio� una formula che sarebbe adatta a qualunque caso. Un accertamento con motivazione povera non � nullo e consente che sulla controversia di valutazione venga pronunciata una decisione di merito. E qui, con la affermazione pi� coraggiosa contenuta nella sentenza, si dice che la commissione pu� sopperire alla insufficienza della motivazione dell'accertamento con la motivazione della decisione, piuttosto che dichiarare la nullit� dell'accertamento che premierebbe ingiustificatamente n contribuente. Con altra recente sentenza la S. C. aveva affermato, in materia di imposte dirette, che quando l'accertamento contiene un minimo di motivazione, � consentito all'ufficio integrarla in giudizio con le deduzioni difensive (7 febbraio PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1017 menti di giudizio (art. 10, d.P.R. 636/1972) �, quali giudici di cognizione dei fatti dedotti in causa dalle parti (art. 35 d.P.R. cit.). Da .tali premesse i ricorrenti deducono che alle commissioni tributarie sarebbe devoluto unicamente il sindacato di legittimit� dell'atto oggetto della controversia, con la conseguenza che, riconosciuta l'illegittimit� dell'atto amministrativo, non potrebbe � non conseguire la pronuncia di illegittimit� dalla quale discende l'immediata sanzione dell'annullamento � che, comunque, si dovrebbe ritenere implicita; le commissioni tributarie non potrebbero, quindi, invocando il principio inquisitorio contenuto nell'art. 35 del d.P.R. n. 636 del 1972 sostituire il provvedimento impugnato. I due motivi del ricorso, poich� sostanzialmente prospettano la' stessa censura muovendo dall'esame della natura giuridica delle commissioni tributarie e dai loro poteri (il secondo) e prospettando (sia l'uno che l'altro) l'obbligo delle stesse di pronunciare l'annullamento dell'accertamento ritenuto illegittimo, con esclusione del potere di disporre il rinvio alle commissioni di merito per una nuova val.tazione del quantum imponibile, debbono essere esan�nati congiuntamente. Ritiene. il collegio che i motivi prospettati non meritino accoglimento. 2. La natura giuridica degli organi del contenzioso tributario � .ormai chiaramente definita, per cui nessun dubbio pu� sollevarsi in 01~dine ad essa. Nella precedente normativa, le commissioni tributarie, invero, erano qualificate come organi per la risoluzione delle controversie in materia di imposte dirette e di imposte sui trasferimenti di ricchezza (titolo V 1984 n. 932 in questa Rassegna, 1984, I, 354); all'opposto la Commissione centrale aveva affermato che � la Commissione a poter procedere. ad una autonoma valutazione; in posizione intermedia la declsdone che si commenta che reputa legittimo che la commissione possa non gi� fare una sua valutazione (un autonomo accertamento), ma completare la motivazione dell'ufficio. Queste differenze non sono in definitiva molto rilevanti. L'importante � la impostazione della questione che tocca concettd di portata fondamentale. Posto che il processo tributario non � di annullamento dell'atto amministrativo ma di accertamento del rapporto, o di impugnazione-merito ~su ci� la giurisprudenza � ormai fermissima, v. da ultdmo 17 maggio 1984 n. 3047 in questa Rassegna, 1984, I, 583) e che la pronunzia delle commissioni di primo e secondo grado ha per oggetto questioni di diritto soggettivo ed � di accertamento costitutivo in quanto modifica nel quantum l'imposdzione determinata dall'ufficio, � naturale che nella discussdone di merito, con ampiezza di istruttoria, perda valore la motivazione, come requisito dell'atto, perch� la materia controversa � la valutazione in s� non la legittimazione dell'atto che la contiene. Il processo in sostanza non pu� essere allo stesso tempo di legittimit� e di merito. Ecco allora che la motiivmone dell'accertamento ha un valore processuale (litis contestatio) tale da consentire al soggetto passivo di proporre il ricorso su un oggetto determinato; ma quando questa esigenza sia stata rispettata, nel processo nel quale le parti si trovano in posiziione paritetica � certamente possibile addurre, a favore e contro, deduzioni e prove che porter�nno 1018 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del DL. 7 agosto 1976, n. 1639 e successive modifiche) ed ad esse era demandata � la risoluzione in via amministrativa � (art. 22 e 28) delle controversie stesse. Questa formulazione leg�slativa ha accreditato nel passato la tesi di considerarle organi amministrativi; ma dottrina e giurisprudenza hanno contribuito all'evoluzione di tale concezione, nella consapevolezza che soltanto un organo giurisdizionale avrebbe potuto garantire la piena tutela dei diritti dei contribuenti; di conseguenza, la giurisprudenza, sia di questa Corte che della Corte costituzionale (Corte Cost. 18 gennaio 1957, n. 12; 11 marzo 1957, n. 41 e 42; 13 luglio 1963, , n. 132; 7 dicembre 1964, n. 103), ne ha affermato la natura giurisdizionale. Solo successivamente e per un breve periodo, fino all'istituzione dei nuovi organi del contenzioso tributario, la Corte Costituzionale ha ritenuto la natura amministrativa delle commissioni, cos� come disciplinata dal vecchio ordinamento (sentenza 6 febbraio 1969, n. 6 e 10 febbraio 1969, n. 10), in considerazione della loro composizione, della fonte della nomina dei loro componenti, della loro organizzazione, delle modalit� del loro funzionamento e della natura di taluni poteri ad essi spettanti (poteri di aumentare d'ufficio la base imponibile senza essere condizionato dal principio della domanda, riesaminabilit� della de�:isione da parte dello stesso organo che l'aveva emessa, indipendentemente dai casi di revocazione) non consueti per un organo giurisdizionale. Tale indirizzo � stato, per�, del tutto abbandonato (Corte Cost. 27 dicembre 1974 n. 287) in seguito alla riforma degli organi del contenzioso tributario effettuata con il D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, in forza ad una decisione sulla valutazione indipendente dall'accertamento. (C. BAFILB, I poteri del giudice di terzo grado sulla motivazione e sulla prova dell'accerta mento, in Riv. dir. finanz. 1984, II, 228). :e per questo che non interessa tanto integrare la motivazione dell'accertamento dell'ufficio, ma consentire che, salvaguardando il diritto di difesa, possa pervenirsi ad �na decisione che dichiara l'obbligazione lasciando alle spalle l'accertamento. Naturalmente il minimo di motivazione richiesto perch� possa incardinarsi un normale contraddittorio varia a seconda del contenuto dell'accertamento; ma in ogni caso la motivazione dell'accertamento non pu� avere un valore processuale preclusivo superiore a quello di ogni atto introduttivo del processo. Corretta � quindi l'ulteriore conseguenza che se per la prima volta in terzo grado si rileva che l'accertamento non � sorretto da solida e persuasiva motivazione (con il che necessariamente si afferma che non � soddisfacente la motivazione della decisione che ha rigettato il ricorso), si emetter� pronunzia di annullamento con rinvio non tanto per integrare la motivazione ma piuttosto per eseguire una nuova valutazione. Ed � ovvio che giudice del rinvio sar� sempre la commissione di secondo grado, anche quando dovr� eseguire per la prima volta (nell'art. 29 si usa l'espressione rinnovare, ma non necessariamei;ite un giudizio di valutazione � stato gi� fatto) la valutazione estimativa. C. BAFILE PARTE I, SFZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA della delega data dal Parlamento al Governo con la legge 9 ottobre 1971, n. 825, il cui art. 10, n. 14, prevedeva la �revisione della composizione, del funzionamento e delle competenze funzionali delle commissioni tributarie; anche al fine di assicurarne� l'autonomia e l'indipendenza ed in modo da garantire l'imparziale applicazione della legge �. La predetta sentenza ha, infatti, constatato che �nella legge delegata sono stati accuratamente eliminati gli aspetti dai . quali traeva fonda� mento la tesi della natura amministrativa ed accentuati i caratteri in base ai quali le commissioni venivano considerate come organi giurisdizio�ali �. La predetta sentenza della Corte costituzionale (cos� come le successive 3 agosto 1976, n. 214 e 215), ha espressamente qualificato le commissioni tributarie come � organi speciali di giurisdizione � che il legislatore aveva legittimamente sottoposto a revisione ai sensi della VI disp. trans. Cost. La stessa natura di organi speciali di giurisdizione � stata ininterrottamente attribuita alle Commissioni tributarie da questa Corte di Cassazione (n. 2175, n. 2177 e 2201 del 1969; n. 1181, 1653, 2001, del 1970; 488, 489, 1660, 1669, 3352, 3014, 2371, 2827, 2082, 2068, 1471, 565, 90, 83 del 1971) la quale ha pure affermato (S.U. 5 marzo 1980 n. 1472) clie esse sono � del tutto diversificate dagli organi della giustizia amministrativa �, in quanto �innanzi ad esse, il giudizio tributario -ancorch� costruito come ricorso contro un atto dell'ente impositore ha per oggetto il completo riesame del merito del rapporto�, trattandosi -secondo la pi� autorevole dottrina -di un giudizio d'impugnazione -nie;rito (e non di� impugnazione annullamento) �. Il primo profilo della censura fo~ulata nei confronti della decisione impugnata dalla ricorrente, la quale sostiene che erroneamente la commissione trlbutaria centrale ha qualificato come organi di giurisdizione speciale gli organi del contenzioso tributario �, pertanto, del tutto infondato. L'oggetto della giurisdizione tributaria � infatti, costituito dalla verifica dei presupposti dell'imposizione tributaria e degli effetti del rapporto; esso �, quindi, un processo di accertamento della esistenza e del contenuto dell'obbligazione pubblica che si conclude con una pronuncia che, essendo dichiarativa dell'obbligazione ex lege, non deve necessariamente concludersi con l'annullamento dell'atto impugnato. In ogni caso, per�, per effetto dell'accertamento effettuato dagli organi della giurisdizione tributaria, sorge l'obbligo degli organi della amministrazione di rimuovere l'atto impugnato e di accettare il rapporto tributario, cos� come definito in sede contenziosa. 3. Da tali premesse consegue la soluzione dell'altra censura formulata dai ricorrenti, secondo. cui, premesso l'obbligo della Commissione Tributaria centrale di annullare l'accertamento illegittimo, dovrebbe escludersi il potere di rinviare il giudizio alle commissioni di merito per la formulazione del giudizio estimativo. 1020 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La soluzione della questione prospettata impone l'esame della natura dei poteri attribuiti ai vari organi della giurisdizione tributaria. Questa giurisdizione ha per oggetto questioni di diritto subiettivo, anche se si dev� valutare l'esercizio da parte dell'amministrazione di criteri di discrezionalit�, che non pu� non essere tecnica, perch� la legge non lascia margini per l'esercizio della discrezionalit� amministrativa in senso proprio. Gli organi del contenzioso esercitano, quindi, una giurisdizione di diritto obiettivo che, come si � visto; ha per oggetto il completo riesame del merito amministrativo. Ai fini della decisione che questa suprema Corte deve adottare, non � per� necessario seguire i ricorrenti nella ulteriore qualificazione di questa giurisdizione per stabilire se essa sia di annullamento ovvero sia una giurisdizione sul rapporto, cio� sull'esistenza e la misura dell'obbligazione tributaria, problema sul quale la dottrina � divisa, ritenendo taluni che essa debba essere cos� qualificata (ed in questo senso � la prassi giurisprudenziale degli organi del contenzioso tributario e, talvolta, anche di �questa Corte che ha adottato obiter dictu tale definizione senza; per�, uno specifico approfondimento: Cass. 10 febbraio 1977 n. 605) e sostenendo altri che essa debba essere qualificata come giurisdizione sul merito dell'atto amministrativo impugnato. , � sufficiente, infatti, rilevare la diversa sfera di poteri attribuita rispettivamente alle commissioni di I e II grado, da una parte, ed alla Commissione tributaria centrale ed alla Corte d'appello, dall'altra;� le prime hanno una competenza piena, mentre le seconde hanno una competenza limitata alla violazione di legge ed alle questioni di fatto, escluse quelle relative a valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie. L'ambito di tale giurisdizione, pertanto, -pur essendo pi� ampio di quello attribuito a questa Suprema Corte, perch� involge, oltre la cognizione dei fatti che attengono all'applicazione delle norme di proced�ra, anche quelle attinenti alla legge sostanziale ivi compresa l'interpretazione dell'atto giuridico che � il presupposto dell'imposizione o comunque � ad essa collegato -esclude in ogni caso la valutazione estimativa, cio� tutte le questioni concernenti la misurazione della base imponibile; che deve essere effettuata non soltanto alla stregua delle norme giuridiche che regolano la materia, ma altres�, con l'ausilio di regole di esperienza tratte da altre discipline che sono necessarie per accertare l'cs1istenza della base imponibile e per quantificarla. Le commissioni tributarie di I e II grado possono, quindi, emettere decisioni di accertamento costitutivo, modificando nel quantum l'im posizione determinata dagli uffici con l'avviso di accertamento. In pro posito questa Suprema Corte ha gi� avuto modo di statuire (Cass. 22 gen naio 1980, n. 493; 3 novembre 1981, n: 5787) che all'insufficienza di moti vazione dell'atto di accertamento pu� validamente sopperirsi attraverso PARTE I, SF.Z. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA la motivazione delle pronunce delle commissioni tributarie, precisando che ad una conclusione rigorosa come la pronuncia della nullit� dell'avviso stesso, che importa la nullit� dell'imposizione, si pu� giungere solo se per le lacune contenute nell'accertamento il contribuente non sia stato posto in grado di proporre le proprie difese in sede giurisdizionale. La nullit� dell'avviso� di accertamento deve, pertanto, essere pronunciata limitatamente ai casi di totale mancanza della motivazione -ovvero nei casi ad essa equiparabili, quali l'esistenza di una motivazione soltanto apparente di mero stile, che per la sua genericit� sarebbe applicabile a qualsiasi accertamento, essendo priva di riferimenti al caso concreto; ipotesi questa che � stata esclusa nella decisione impugnata. 4. La Commissione tributaria centrale non pu�, invece, a differenza delle commissioni di merito, esercitare tali poteri di accertamento costitutivo della base imponibile sostituendo la propria valutazione estimativa a quella contenuta nell'avviso di accertamento, a causa della gi� esaminata limitazione di suoi poteri di cognizione. Pertanto, l'unitariet� e la coerenza del sistema dell'ordinamento degli organi del contenzioso tributario esige che, ove l'insufficienza della motivazione dell'a\iviso di accertamerito venga dichiarata da essa, sia possibile, -cosl come lo �, quando essa venga dichiarata dalle commissioni di merito -modificare -il quantum dell'accertamento evitando il rimedio estremo dell'annullamento dell'atto di imposizione e, quindi, la sottrazione di un cespite, di cui pure si � accertata l'esistenza, all'imposizione tributaria; conseguenza questa che non sarebbe compatibile con il principio della capacit� contributiva (art. 52 Cost.). Lo strumento giuridico proprio di ogni sistema processuale � in questo caso quello del rinvio dall'�rgano di giurisdizione di legittimit� o comunque di giurisdizione limitata agli organi dotati di giurisdizione piena; principio che pu� considerarsi, quindi, generale dell'ordinamento e del quale la disciplina contenuta nelle singole norme, non ne costituisce che una manifestazione nelle singole fattispecie, senza per� esaurirne ogni potenzialit�. La conclusione cui si � pervenuti � ulteriormente rafforzata dalla considerazione che l'ordinamento ha attribuito alle commissioni tributarie particolari poteri di indagini e di istruzione probatoria che prescindono dall'iniziativa delle parti (art. 35 e 36 del d.P.R. n. 636/1972), in quanto il processo � dominato dal principio inquisitorio. Esattamente, quindi la Commissione tributaria centrale, avendo stabilito che l'avviso di accertamento era stato notificato nel termine di decadenza stabilito dalla: legge; che esso, non era perfettamente aderente alle regole giuridiche che regolano il' tributo, ed era quindi illegittimo, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1022 ma non nullo, ha stabilito i criteri che dovevano essere seguiti nell'effettuare la quantificazione della base imponjbile ed ha rimesso, il processo alla commissione di merito per la valutazione stimativa. 5. L'adozione di tale provvedimento di remissione che, come si � visto, � perfettamente aderente ai princ�pi del sistema processuale, non trova alcun ostacolo in singole norme che disciplinano il rito tributario; anzi dall'interpretazione coordinata degli artt. 29 e 26 del D.P.R. n. 636/ 1972, si desume che la Commissione centrale deve rinviare alla competente commissione di merito gotata di tutti i poteri di cognizione tutte le volte che in conseguenza dell'accoglimento del ricorso per violazione di legge o per effetto dell'esame delle quesioni di fatto ad essa devolute si debba provyedere su questioni di valutazione estimativa o di quantificazione delle pene pecuniarie (Cass. 5 marzo 1979, n. 1363). Il provvdimento di rinvio non trova, in particolare, alcun ostacolo nel disposto dell'art. 21 del d.P.R. 636/1972 (anche nella nuova fonnulazione prevista dal d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739) in quanto questo prevede' soltanto il divieto di rinnovazione dell'atto impugnato affetto dal vizio di motivazione ovvero dell'atto notificato dopo la scadenza del termine stabilito a pena di decadenza; ipotesi che non si verificano nel c~so in esame perch� la notifica � stata effettuata -come ha accertato la Commisione tributaria centrale e come si � gi� rilevato -entro . il termine prescritto e perch� non � stata disposta la rinnovazione del- l'atto impugnato, ma soltanto il rinvio del processo alla commissione di merito (e non all'ufficio) per il compimento della valutazione estimativa resa necessaria daila motivazjone insufficiente, ma non nulla, contenuta nell'avviso impugnato. Elementi significativi per pervenire ad una diversa interpretazione delle norme non si desumono, peraltro, nemmeno dalla relazione ministeriale che accompagna il d.P.R. n. 739 del 1981, la quale spiega che il divieto di rinnovazione dell'atto viziato per difetto di motivazione � parso necessario per non lasciare spazio ad accertamenti innovativi e per non vanificare una garanzia fondamentale nell'interesse sia del contribuente sia. della correttezza dei rapporti tributari. Invero, il divieto cui essa fa cenno concerne la rinnovazione dell'atto impugnato ad opera dell'ufficio, eventualmente per effetto di un provvedimento delle commissioni tributarie, ma non riguarda l'accertamento dell'imponibile effettuato dalle commissioni tributarie a seguito dell'uso dei poteri di istruzione probatoria ad esse conferiti (art. 35 e 36, d.P.R. 636/1972), nel corso di un giudizio avente per effetto un avviso di accertamento non viziato da nullit� costituita dalla mancanza assoluta di motivazione o da una motivazione soltanto apparente, perch� non conforme ai criteri stabiliti dalle singole leggi di imposta, ovvero perch� concretizzan PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tesi in mere affermazioni astratte senza concreti riferimenti alla base iinponibile, e, pertanto, priva di effettivo contenuto. Le conclusioIJ� cui questo Collegio � pervenuto non contrastano con la precedente sentenza della Suprema Corte 10 novembre 1979, n. 5789, nella quale l'oggetto della controversia tributaria non era �una questione di valutazione estimativa, ma la legittimit� dell'iscrizione a ruolo, in relazione alla nullit� della notificazione dell'accertamento �, n� con la sentenza 9 agosto 1983, n. 5325, la quale ha esaminato una fattispecie in cui la Commissione tributaria centrale aveva pronunciato la nullit� dell'accertamento per la sostanziale mancanza della motivazione; in tal caso, esistendo un vizio che atteneva alla formazione del rapporto giuridico d'imposta (motivazione generica a mezzo di stampigliatura), essa non poteva restare sanata per effetto dell'opposizione del contribuente. Questa Corte deve, infine, esaminare la questione concernente l'identificazione del giudice d� rinvio competente a riesaminare la controversia di cui trattasi essendo necessario stabilire se esso debba essere individuato nella commissione tributaria di primo grado o in quella di secondo grado. La questione non � stata sollevata in modo esplicito dalle parti, ma essa pu� essere rilevata d'ufficio, trattandos(di .competenza funzionale inderogabile. Il rinvio alle commissioni di merito da parte della Commissione tributaria centrale � previsto dagli artt. 24 e 29 del cJ..P.R. 26 ottobre 1972, Il, 636. L'art. 24 cpv disciplina i casi di rinvio da parte della Commissione di II grado alla Commissione di I grado stabilendo che esso deve essere disposto quando sia emerso che innanzi ad essa il� contraddittorio non sia stato costituito regolarmente ovvero quando tale irregolarit� concerna la composizione del collegio; trattasi, quindi, di vizi cos� radicali che determinano l'inesistenza della decisione di I grado. L'art. 29 dello stesso decreto concerne, invece, il rinvio disposto dalla Commissione centrale in seguito all'accoglimento del ricorso, nelle ipotesi in cui si renda necessario rinnovare il giudizio su questioni di valutazione estimativa ovvero relative alla misura delle pene pecunia rie e stabilisce che il rinvio deve essere effettuato ad altra sezione della Commissione di II grado che aveva gi� pronunciato o, in mancanza,. ad altra Commissione di II grado. Il II comma dello stesso art. 29 dispone, poi, in ordine all'ipotesi in cui i vizi previsti dal precedente art. 24 (irregolare costituzione del contraddittorio -in;egolare composizione del collegio) si siano verifi cati innanzi alle commissioni di I grado ma siano stati rilevati dalla Commissione centrale, stabilisce che, in tal caso, il rinvio deve essere 1024 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO effettuato innanzi alla commissione di I grado, dato che la gravit� del ,.,vizio riscontrato ha fatto venir meno l'esistenza stessa del giudizio. Nella fattispecie in esame l'annullamento della decisione della Commissione di II grado � stato disposto, come ha rilevato la stessa decisione impugnata, perch� la Commissione centrale ha ritenuto necessario un nuovo accertamento per verificare la fondatezza della pret�sa dell'amministrazione alla luce del principio di legalit� sancito dall'art. 23 Cost. Pertanto, a differenza di quanto ritenuto dalla di::_cisione in esame, l'a~t. 24, che concerne il rinvio ad opera della commissione di II grado, non � applicabile nella fattispecie; ove fossero stati riscontrati i vizi prima richiamati che determinano l'inesistenza del provvedimento impugnato, sarebbe applicabile il II comma dell'art. 29, ma poich�, invece, il motivo del rinviO rientra nella previsione del primo comma dell'art. 29 e non � in alcun modo riconducibile alle ipotesi richiamate dal secondo comma (medjante l'indicazione dell'art. 24) le quali sono tipiche ed insuscettibili di estensione ad altre ipotesi diverse da quelle previste dalla norma, il rinvio deve essere disposto innanzi ad altra sezione della � commissione di II grado. Il criterio adottato per il rinvio conseguente all'annullamento, da parte della Commissione centrale, delle decisioni delle commissioni di merito � del tutto analogo a quello previsto per '1a giurisdizione civile (art. 38,3 cod. proc. civ.) e penale (art. 543 cod.. proc. civ.) per �cui pu�� ritenersi che il rinvio ad un giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza annullata costituisca un principio generale dell'ordinamento processuale che non pu� in alcun modo ritenersi contrastante con la tutela del contraddittorio e del diritto di difesa -come ha, invece, ritenuto la sentenza impugnata. Invero, l'art. 24 Cost. non esige che il giudizio di rinvio si svolga anch'esso in doppio grado; esso, l�tngi dall'essere un giudizio autonomo e totalmente avulso dai precedenti gradi di merito e di legittimit� svoltisi in precedenza � una continuazione degli stessi per cui l'unico giudizio viene ad articolarsi in . un numero di gradi superiori al consueto; solo per incidens pu�, quindi, ricordarsi che la regola del doppio grado della cognizione di merito non ha rilevanza costituzionale e non inerisce per necessaria implicazione alla garanzia della difesa (Corte. Cost. n. 41/65; 117/1973; 22/1973). La decisione impugnata deve, quindi, essere cassata limitatamente a tale aspetto e, poich� non rieJ,ltra nei� poteri di questa Corte disporre il rinvio direttamente innanzi alla Commissione tributaria di merito, la controversia deve essere rimessa alla Commissione tributaria centrale che si atterr� al principio di diritto enunciato da questa Corte Suprema. (omissis) ! I � PARTE I; SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1025 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 luglio 1984, n. 4542 �-Pres. Santosuosso -Est. Contu -P~ M. �Morozzo della Rocca (conf.)'. Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. Onofri. Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusva lenza -Liquldazione di quota soci�le comprensiva di avviamento Dimostrazione di int~nto di speculazione � Necessit�. (T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). Il realizza da parte del socio di societ� di persone di un maggior valore nella liquidazione della quota sociale � tassabile soltanto ove sia dimostrato un intento di speculazione (1). (omissis) Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 81 T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, 1325 n. 2 e 1965 cod. civ. nonch� insufficienza di motivazione, con riferimento all'art. 360 n. 3 e 5 cod proc. civ. Nel censurare la sentenza impugnata per aver negato, in via di principio, che un atto di transazione -come quello a mezzo del quale si procedette, nella specie, allo scioglimento del rapporto sociale nei confronti dell'Onofri ed alla conseguente liquidazione della quota di sua spettanza -possa integrare un'operazione dettata da fini speculativi agli effetti dell'art. 81 T.U. del 1958 n. 645, deduce che la liquidazione della quota all'Onofri, ancorch� realizzata transattivamente per definire la lite originata dall'esclusione del socio, ben poteva concretare un'operazione speculativa. Si duole, peraltro, che la Corte d'appello di Milano abbia esaminato la questione in astratto e non in concreto ed abbia omesso di motivare adeguatamente in ordine alla sussistenza dell'operazione speculativa �posta a fondamento dell'accertamento tributario. Anche queste censure sono infondate. Questa Corte Suprema ha gi� affermato che, ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, la cessione da parte di un socio della quota sociale di una societ� di persone ad altro soggetto non � tassabile sotto il pro {1) La sentenza non convince alla pari di quella :invocata come precedente (Cass. 12 marzo 1979, n. 1537 in questa Rassegna 1979, I, 531, alla cui annotazione si r.invia). La sentenza 24 luglio 1980 n. 4808 (ivi, 1981, I, 397) d� invece per certo che l'assegnazione di beni al socio, sia se effettuata durante la vita della ,societ� a causa di recesso, morte, esclUSI�one, sia se conseguente a cause estintive o mod~filcative della societ� costituisce realizzo di plusvalenza. Se pure non si volesse ammettere che l'intendimento di speculazione � presunto nella operazione di costitUlire una societ� commerciale di persone, si deve riconoscere che l'intento di speculazione sufficiente per la tassabilit� � quello generico consistente nel proposito di trarre un profitto, sotto qualsiasi forma .(perce7iione di utili o incremento di capitale) dal conferimento. Diventa allora assai difficile escludere un tale intento in chi opera attra verso una societ�. 1026 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO filo della plusvalenza, n� ai sensi dell'art. 106, n� ai sensi dell'art. 100 del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (norme richiamate nel secondo com� ma dell'art. 81 del medesimo testo unico delle imposte dirette) poich� la prima norma disciplina la� tassazione delle plusvalenze di beni appar� tenenti a soggetti tassabili in base a bilancio, tra i quali non rientrano le societ� di persone, mentre la seconda norma consente la tassazione dell'avviamento, quale plusvalenza derivante dal realizzo del valore dei beni relativo all'impresa (solo) nel caso in cui la societ� venga a cessare, con trasferimento dell'intera azienda ad altra societ� o con la concentrazione delle quote sociali nella persona di un unico socio. Pertanto, quando muta soltanto la posizione patrimoniale del singolo socio, senza che si verifichi alcun realizzo di beni sociali o di avviamento, il plusvalore conseguente al trasferimento di una quota sociale pu� essere sottoposto a tassazione nei confronti del socio cedente; a norma del capoverso del citato art. 81 solo se, in concreto, resti accertato che esso � conseguenza di un'operazione speculativa del socio (Cass. 1537/79). Da tali principi non vi � ragione di discostarsi ed, in realt�, la loro esattezza non � sostanzialmente contestata neppure dalla ricorrente, la quale ha criticato l'iter logico attraverso cui la Corte del merito ha escluso la sussistenza dell'operazione speculativa, ma non ha affatto sostenuto che nella fattispecie sia ravvisabile un'attivit� presunta di speculazione, riconducibile all'art. 100 del T.U. sulle imposte dirette. La questione attiene, pertanto, all'applicabilit� del citato art. 81 del T.U. sulle imposte dirette, ed in tal senso � stata impostata correttamente dalla Corte del merito, la quale ha svolto a tale riguardo un'indagine di fatto, intesa ad accertare se con la cessione della quota l'Onofri abbia posto in essere una vera e propria attivit� di speculazione. Al quesito � stata data risposta negativa "in quanto si � ritenuto che, a causa del lungo lasso di tempo intercorso fra la costituzio.ne del rapporto sociale e la perdita della qualit� di socio con conseguente liquidazione della quota, �non potesse configurarsi un intento speculativo, tanto pi� che la cessione della quota venne realizzata transattivamente per definire una controversia avente per oggetto la legittimit� dell'esclusione dell'Onofri da socio. Il giudizio cos� espresso costituisce indubbiamente un apprezzamento di fatto, che, essendo sorretto .da motivazione concisa ma sufficiente, non � censurabile in questa sede. N� pu� avere rilievo che la sentenza impugnata abbia affermato l'incompatibilit� dell'intento speculativo con Ja composizione transat� tiva di un conflitto di interessi poich�, pur non potendosi condividere l'esattezza di tale affermazione sotto un profilo generale, in quanto � possibile che una speculazione possa realizzarsi in concreto attraverso lo strumento della transazione, deve tuttavia rilevarsi che le altre argomentazioni addotte per dimostrare la mancanza dell'intento speculativo sono sufficienti per sorreggere la decisione finale. PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA Sul punto in discussione la decisione appare, del resto, conforme alla giurisprudenza di questa Corte Suprema, la quale ha affermato che l'intento speculativo, che costituisce condizione per l'assoggettamento ad imposta d� ricchezza mobile, ai sensi e nel vigore dell'art. 81 d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, delle plusvalenze realizzate da un soggetto non imprenditore e rappresentate dall'aumento del valore di scambio che assume nel tempo un cespite patrimoniale rispetto al costo iniziale, non pu� essere genericamente supposto, ma va accertato, sia pure per mezzo di presunzioni, alla stregua di ogni modalit� e circostanza inerente alle relative operazioni, tenendo conto che esso postula un comportamento del venditore logicamente e cronologicamente precedente l'atto di cessione, e strumentale rispetto all'incremento di valore, che pu� essere insito nello stesso acquisto, se accompagnato dalla sua preordinazione al conseguimento della plusvalenza, ovvero in un'attivit� su�cessiva, rivolta ad agevolare o potenziare l'incidenza di fattori incrementativi (Cass. 5960/83). � palese che la decisione impugnata non si discosta da questi principi, dei quali ha fatto corretta applicazione quando ha ricollegato la mancanza dell'intento speculativo al comportamento dell'Onofri, valutato con riferimento alla durata della sua partecipazion~ alla societ� ed alla mancanza di elementi che denotassero la preordinazione al conseguimento della plusvalenza. E sotto tale profilo non pu� negarsi che, per escludere in concreto l'esistenza dell'intento speculativo, sia valutabile il fatto che alla cessione della quota si sia addivenuti mediante transazione anzich� attraverso una contrattazione svincolata dalla comune volont� di giungere alla definizione di una controversia giudiziaria in atto. In tale ottica, quindi, anche il riferimento alla transazione appare giuridicamente corretto, poich� la stessa � stata v~lutata quale circostanza di fatto da cui trarre elementi idonei ad accertare la volont� delle parti e l'intento perseguito da ciascuna di 'esse. In altri termini, non vi � dubbio che la Corte del merito, al di l� delle espressioni letterali usate, abbia valutato in concreto e non in astratto che la liquidazione della quota fosse avvenuta mediante transazione e ne abbia tratto argomento per raffqrzare la tesi dell'esclusione dell'intento speculativo nell'operazione economica di cui trattasi. In definitiva la sentenza impugnata non � censurabile n� sotto il prof�lo giuridico n� sotto quello della motivazione, in quanto ha posto adeguatamente in evidenza che l'intento speculativo dell'Onofri, ben lungi dall'essere dimostrato, doveva essere addirittura escluso in concreto, talch� la, cessione della quota sociale, essendo qualificabile come un mero fatto di realizzo patrimapiale da parte del socio cedente e non come una vera e propria attivit� di speculazione, non era assoggettabile all'imposta di ricchezza mobile. (omissis) SEZIONE SETTIMA ,_ GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI I SEZIONE SETTIMA ,_ GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI I TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO, Sez. Ili, 16 febbraio 1984, n. 91 � Pres. ed Est. Buonopane � Soc. Servizio segnalaziond stradali (avv. Rossini) c. Ministero dei trasporti (avv. Stato Onufrio). Appalto � Appalto di opere pubbliche � Revisione dei prezzi � Ricorso ex art. 4 d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947 n. 1501 � Dichiarazione di voler attendere il parere deUa commissione -� Adozione �e comunicazione del parere � Inerzia dell'Amministrazione � Silenzio rigetto � Configurabi� lit� � Esclusione � Formazione di silenzio rifiuto � Necessit�. (D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 4 e ss.; le~e 10 dicembre 1981, n. 741, art. 17; d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 6; legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 20 e 29; t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 25). L'appaltatore che, proposto ricorso amministrativo contro l'atto che nega o accorda parzialmente la revisione, dichiari all'autorit� adita di voler attendere il parere della commissione, ha l'onere di provocare la formazione del silenzio-rifiuto prima di poter proporre ricorso giurisdizionale, quante volte, emesso dalla commissione il parere, il Ministero manchi di pronunziarsi sul ricorso a lui indirizzato (1). II CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 7 settembre 1984, n. 18 � Pres. Pescatore -Est. Addobati -Impresa ingg. Lino e Ito Del Favero S.p.A. (avv. Rossini) c. Istituto trentino per �l.'edilizia abitatJiva � ITEA (avv. Pompermaier) e Provincia autonoma di Trento. Appalto � Appalto di opere pubbliche � Revisione dei prezzi � Ricorso ex art. 4 dJ.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501 � Decisione � Competenza delle Province di Trento e Bolzano .: Esclusione � Generico trasferi� mento delle materie lavori pubblici di interesse provinciale ed edilizia sovvenzionata � Irrilevanza. (D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, artt. 4 e ss.; d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, art. 8, n. 10 e 17; d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, artt. 1, 3 e 18). (14) Dopo la decisione dell'Adunanza plenaria � stata pubblicata la legge 6 ottobre 1984 n. 687 che, con l'art. 6 primo comma, ha dettato una norma di interpretazione auten1.1ica del primo comma, dell'art. 17 della legge 10 dicem PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1029 Appalto� -Appalto di opere pubbliche � RevisiQne dei prezzi � Determina� zione specifica della P. A. in corso d'opera sui criteri di liquidazione Onere di impugnazione. Appalto � Appalto di opere pubbliche � Revisione dei prezzi � Ricorso ex art. 4 d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501 � Dichiarazione di voler attendere il parere della commissione � Effetti � Spostamento della decorrenza del termine di decisione del ricorso alla data di comunicazione, obbligatoria, ' del parere. (D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, artt. 4 e ss.; legge 10 dicembre 1981, n. 741, art. 17). Appalto � Appalto di opere pubbliche -Revisione dei prezzi -Prezzi cor� renti alla data dell'offerta � Individuazione � Tabelle note -Pubblicazione successiva di tabelle relative a periodi comprensivi della data dell'offerta � Irrilevanza. � (D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 1). L'attribuzione alla Provincia di Trento d�lle materie lavori pubblici di interesse provinciale ed edilizia sovvenzionata, e la sostituzione in tali materie degli organi della provincia a quelli centrali e periferici dello Stato nell'esercizio delle relative funzioni amministrative, non ha comportato per s� il trasferimento della competenza a decidere dei ricorsi in materia di revisione dei prezzi preveduti dall'art. 4 d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947 n. 1501, che ha perci� continuato a dover Iessere esercitata nei modi' e dagli organi preveduti nello stesso decreto, in assenza di norme di legge provinciale che avessero diversamente regolato la materia (2). bre ~981 n. 741, disponendo che il richiamo all'art. 29 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 in essq contenuto deve intendersi riferito all'art. 20 della medesima legge. Con il secondo comma dell'art. 6 della legge 8 ottobre 1984 n. 687 sono stati aggiunti alla disposizione i seguenti altri commi: -�L'Amministrazione a cui il parere � rivolto deve provvedere entro sessanta giorni dal ricevimento dello stesso� (comma 3); -�Il silemfo dell'Amministrazione, decorso tale termine, equivale a provvedimento conforme al parere� (comma 4). (2) L'ordinanza 13 febbraio 1984 n. 90 della sez. IV, che aveva rimesso la questione all'Adunanza Plenaria, pu� leggersi in Cons. Stato .1984, I, 148. For� mulata in termini analoghi � poi stata pubblicata l'ordinanza 27 giugno 1984 n. 504, sempre della IV sezione, che pu� leggersi in Cons. Stato 1984, I, 729. La decisfone, dell'Adunanza plenaria rifiuta la prima delle soluzioni pro. spettate nell'ordinanza (immediato spossessamento delle pregresse competenze facenti capo ad organi statali) e presta adesione alla seconda (la preminente funzione giustiziale del rimedio in questione esclude che la potest� di deciderne sia ricompresa tra le funzioni amministrative attribuite alle Regioni o alle Province di Trento e Bolzano per effetto del trasferimento delle materi� lavori pubblici di interesse regionale (o provinciale) e edilizia residenziale pubblica). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 1030 Ha natura di provvedimento e determina l'onere di immediata im� pugnazione, l'atto dell'ente appaltante che, in risposta a specifica ri� chiesta dell'appaltatore intesa a che siano tenuti a calcolo gli aumenti dei prezzi derivanti da contratti aziendali, nega riguardo ad essi la revi� sione del prezzo (3). La dichiarazione dell'appaltatore di volersi avvalere della facolt� di attendere l'emissione del parere della commissione ha l'effetto di spostare alla data di comunicazione del parere, ora divenuta obbligatoria, la decorrenza del termine di novanta giorni per la decisione del ricorso previsto dall'art. 4 d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501 in materia di revi� sione dei prezzi degli appalti di opere pubbbliche (4). I costi della mano d'opera da considerare correnti alla data del� l'offerta sono quelli risultanti dalle tabelle n�te all'epoca in cui l'of� ferta � fatta e non quelli resi noti da tabelle pubblicate successivamente, ma applicabili con effetto retroattivo a periodi in cui ricade la data dell'offerta (5). I (omissis) DIRITTO. � Risulta dagli atti di causa ch�, in data 14 luglio 1982, � stato emesso il certificato per il pagamento della prima rata di L. 63.056.590, per l'esecuzione dei lavori di installazione di impianti, aeroportuali T/VASISAT/VASIS, a suo tempo aggiudica1li dal Ministero dei L'ordinanza aveva prospettato la soluzione subordinata per culi il rimedio dovesse comunque ritenerisi conservato n�lla sua attuale connotazione sin quando Regioni e Province non avessero introdotto nella rispettiva legislazione un meccanismo garantistico di pari valenza. L'Adunanza plenaria d� atto del fatto che la Provincia cLi Trento, con Ia legge 3 gennaio 1983 n. 2, ha emanato norme per l'attribuzione del contenzioso revisionale agli organi locali. Trattandosi nel caso di decidere su ricorsi giurisdizionali proposti prima dell'entrata in vigore della legge provinciale, si � limitata a trarre da questa argomento dli. conferma del non esse11si avuta sostituzione degli organi provinciali a quelli statuali prima dell'emanazione della stessa legge. In precedenza la Commissio:p.e ministeriale aveva affermato la persistente competenza degli organi statali (par. 1 luglio 1980 n. 2489, Arch. giur. op. pubbl. 1981, III, 89; 28 aprile 1981 n. 2545, ivi 1982, III, 420), anche in considerazione del fatto che la Provincia non aveva ancora esercitato in materia la propria competenza legislativa (par. 20 ottobre 1981 n. 2578,-ibidem, 1982, III, 463). Sull'argomento, cfr., ancora, T.A.R. Toscana 26 febbraio 1981, 'n. 110, Trib. Amm. Reg. 1981, I, 1306; T.A.R. Marche 25 marzo 1981 n. 172, ivi, 1981, I, 1798. (3) Per analoga soluzione quanto alla configurazione dell'atto dell'amministrazione come provvedimento da impugnarsi immediatamente, cfr. Cons. St., sez. IV, 9 dicembre 1983 n. 905, Arch. giur. op. pubbl. 1984, 223 e Cons. Stato 1983, I, 1314. (5) Non constano precedenti in termini. La decisione � in linea con l'indi� rizzo costantemente seguito dalla Commissione ministeriale sul pi� generale PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1031 trasporti alla Societ� Servizio segnalaiioni stradali S.p.A., attuale ricorrente. L'Amministrazione ha liquidato fa somma suddetta quale �cconto revisionale sul compenso relativo al p:nimo stato di avanzamento dei lavori in questione. Avverso la relativa determinazione l'Impresa ha proposto ricorso in sede amministrativa, a norma degli artt. 4 e segg. del d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947 n. 1501, con atto notificato 1'11 agosto 1982. Tale ricorso appare tempestivo :nispetto al termine dii trenta giorni previsto dall'art. 5 del citato decreto legislativo. Quanto alla verifica della tempestivit� del ricorso successivamente proposto dinanzi a questo Tribunale, va considerato che: -come si desume dalla nota 6 dicembre 1982, la Societ� Servizio segnalazioni stradali si � avvalsa della facolt�, prevista dall'art. 17 della 1. 10 dicembre 1981 n. 741, di attendere l'emissione del parere della � Commissione di cui al citato art. 4; -il parere di cui trattasi � stato formulato nella adunanza del 28 settembre 1982 ed � stato comunicato alla Societ� ricorrente con nota del 7 dicembre 1982. Dai dati sopra riportatii appare evidente che, ove dovesse farsi riferimento alla data di conoscenza del parere in questione e, a maggior ragione, ad eventuali circostanze e situazioni successive, rilevanti ai considerati effetti giuri.dici, non potrebbe mettersi in dubbio la ricevibilit� del ricorso, atteso che esso � stato notificato il 3 febbraio 1983 argomento dell'efficacia di modifiche apportate alle tabelle con riferimento a periodi anteriori alla loro pubblicazione, efficacia sempre negata: cfr. pareri 28 settembre 1982 n. 2656 in Arch. giur. op, pubbl. 1984, 148; 26 gennaio 1982 n. 2616, ivi, 1983, .III, 234; 17 marzo 1981 n. 2532 e 11 novembre 1980 n. 2515, ibidem, 1982, III, 202 e 193. (1-4) I ricorsi amministrativi in materia di revisione dei prezzi: orienta� menti giurisprudenziali ' e modifiche legislative. 1. -La legge 10� dicembre 1981, n. 741, .all'art. 17 ha dettato una disposizione in materia di revisione dei prezzi. L'art. 17 recita al primo comma: �Ai ricorsi di cui all'art. 4, primo comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 1947, n. 1501, non si applicano l'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199 e l'art. 29 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 �. Con l'art. 6, primo com�a, della legge 8 ottobre 1984, n. 687, la norma � stata fatta oggetto di interpretazione autentica, nel senso che il richiamo all'art. 29 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 deve intendersi riferito all'art. 20 della medesima legge. Recita al secondo comma: � � Scaduto il termine di novanta giorni dalla presentazione del ricorso di cui all'art. 4, primo comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 1947, n. 1501, il ricorrente pu� dichiarare, nei successivi sessanta giorni, all'autorit� adita di volersi avvalere della facolt� di attendere l'emissione del parere di cui al secondo comma 14 1032 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1032 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e, quindi, sicuramente prima della scadenza dei sessanta giorni dalla conoscenza anzidetta. Del resto, la stessa diifesa dell'Amm�.Il!�strazione si � espressa, alla udienza di discussione, nel senso che potevano ritenersi superab.ili i rilievi formulati in ordine ,alla tempestivit� del gravame, pur rimettendo al Collegio le valutazioni -assumibili, peraltro, anche d'ufficio sulla pregiudiziale eccezione di inammissibilit�, sotto il profilo della mancata formazione, nella spede, del silenzio-rigetto e, comunque, dell'omessa impugnazione di siffatta forma di reiezione. Per l'esame del profilo test� riferito, appare opportuno muovere l'indagine della verifica della portata innovativa ascrivibile all'art. 17 della legge n. 741 del 1981 � nell'amb.ito della disciplina, a suo tempo posta dalla ricordata normativa dt:l 1947, per l'esperimento di rimedio amministrativo in materia di revisione dei prezzi contrattuali degli appalti di opere pubbliche. Stabiliva, dunque, il pmmo comma del citato art. 17 che � ai ricorsi di cui all'art. 4 primo comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 1947 n. 1501, non si applicano l'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, e l'art. 29 della 1. 6 dicembre 1971 n. 1034 �. � H secondo comma deLlo stesso art. 7 cos� recita: �Scaduto il termine di 90 giorni dalla presentazione del ricorso di cui all'art. 4 primo comma, del decreto legislativo .del Capo provvisorio dc;:llo Stato 6 di- dell'art. 4 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 1947, n. 1501, prima dell'eventuale adW.one del giudice amministrativo�. Con il secondo comma dell'art. 6 della legge 8 ottobre 1984, n. 687, sono stati aggiunti alla disposizione i seguenti altri commi: -� L'amministrazionr a cui il parere � rivolto deve provvedere entro sessanta giorni dal ricevimento dello stesso" (comma 3). �Il silenzio dell'amministrazione, decorso tale termine, equivale a provvedimento conforme al parere � (comma 4). L'interpretazione dell'art. 17 nel testo originario ha sollevato pi� d'un problema. Le modifiche apportatevi ne pongono ora degli altri. 2. -Un primo aspetto problematico � rappresentato dal valore che va attri buito alla espressione � prima dell'eventuale adizione del giudice amministrativo �, in rapporto al noto problema della appartenenza delle questioni sulla revisione dei prez2li, alla giurisdizione del giudice amministrativo o di quello ordinario. Sul punto, cfr. in dottrina: PIACENTINI, La revisione dei prezzi nei pubblici appalti. Storia e problemi di un istituto, in Arch. giur. op. pubbl., 1982, I, 1 e 74 ss., il quale esclude che la norma abbia inteso configurare una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva e ritiene che, preisupponendo l'orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione sull'appartenenza della materia all'area degli interessi legittimi (orientamento di cui costituiva al momento la pi� recente manifestazione Cass. l ottobre 1980 n. 5333 in Foro it. 1980, I, 3013) il legrslatore abbia solo inteso � ���confermare ad abundantiam, ~ l'ordinaria giurisdi2Jione di legittimit� del giudice amministrativo �; ACQUARONE, ~ Rilevanza del programma dei lavori ai fini della revisione nell'appalto di opere f ) pubbliche, Arch. giur. op. pubbl., 1983, I, 1 e 23 ss., il quale parimenti perviene i I �������.�.�.�.�.�.�.�/.�.�00UOO�O ..O� ..�d�������ǥO"'OOOO���"��ooooOoOOUo��"���.���U�����000�odoo����'-""""""'"""'""'"""'"""""""'"'"'"�""''"""'"""�'������������U�o�0�........................ ,.,,,, ����� , ��� ,.,.,,.,, ...................1 r111�1~1l11~i11;;1111&r111;:1:1111t11:1111fli~1111111ill11r:1&ra1011=1iirlJlfllir11111111� PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1033 cembre 1947 n. 1501, il ricorrente pu� dichiarare, n~i successivi sessanta giorni, alla autorit� adita di volersi avvalere della facolt� di attendere l'emissione del parere di cui al secondo comma dell'art. 4 del dl:C.p.S. 6 dicembre 1947 n. 1501, prima dell'eventuale adizione del �giudice amministrativo �. Nel caso di specie, non vii � contestazione circa l'avvenuta manifestazione, da parte della societ� ricorrente, della volont� di avvalersi della prevista facolt�. E che la relativa dichiarazione sia stata effettuata entro il prescritto termine nemmeno pu� revocarsi in dubbio, considerato che il termine stesso non era ancora scaduto neppure alla data sotto la quale � stato notificato il ricorso giurisdizionale. Ci� posto, sembra che la formulazione, invero non perspicua, delle riferite disposizioni non consenta di ritenere -quanto meno nell'ipotesi di esercizio delJa facolt� di opzione -che il decorso di un certo periodo di tempo, dopo la pronuncia e la comunicazione del parere, produca l'effetto di qualificare l'inerzia dell'Ammiillistrazione come reiezione del reclamo ad essa rivolto. Un tale effetto, che ordinariamente discende dalla previsione di cui all'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971, �, infatti, precluso, nella materia de qua, proprio per Ja denegata applicabil! it� dell'articolo in questione. � pur vero, d'altra parte, che Ja normativa di cui al primo comma del citato art. 17, nel far riferimento all'art. 29 della '1. 6 dicembre 1971 n. 1034, parrebbe lasciare impregiudicata l'applicabilit� del precedente alla conclusione che la norma non abbia inteso con1�igurare un'ipotesi di giurisdizione escluSliva e prospetta come la norma sarebbe da considerare costituzionalmente illegittima per contrasto con l'art. 103 Cost., ove dovesse accedersi alla impostazione che l'interesse alla reWsione ha natura di diritto soggettivo. ' ln giurisprudenza, cfr. Cass. 22 luglio 1982 n. 4288 in questa Rassegna 1983, I, 404 e 414 e ivi l'affermazione che la norma � ���conferma esplicitamente la giurisdizfone del giudice amminlistrativo in materia di revisione dei prezzi di appalto delle opere pubbliche� (ma, come nota il PIACENTINI, op. cit., Arch. giur. op. pubbl. 1982, I, 1 e 79, il richiamo non � presente nelle p:i� recenti decisioni della Corte di cassazione, che hanno certo riconosciuto la configurabilit� di controversie su diritti soggettivi anche in materia di revisione dei prezzi: cfr. Cass. 23 febbraio 1983 n. 1366, dn questa Rassegna J.983, I, 403, in Foro it. 1983, I, 639, in Giust. civ. 1983, I, 3320 con nota di PIACENTINI, Nuovi orientamenti giurisprudenziali in materia di revisione dei prezzi, e in Arch. giur. op. pubbl. 1983, II, 55; nonch� le coeve Cass. 23 febbraio 1983 n. 1363 a 1369 in Arch. giur. op. pubbl. 1983, Il, 49 ss.); TAR Sicilia -Catania, 20 febbraio 1984 n. 76 in Trib. Amm. Reg. 1984, I, 1435, secondo il quale � ��la citata norma attribuisce inequivocabilmente i ricorsi giurisdizionali in materia di revisione prezzi alla cognizione del giudice amministrativo '" ma che ha deciso lil ricorso considerandolo -anche alla stregua della pi� recente giurisprudenza della Cassazione -�vertere su interessi legittimi; T.A.R. Liguria 5 maggio 1983 n. 2&1 in Trib. Amni. Reg. 1983, I, 2087, che ha parimenti osservato avere il legislatore -con l'art. 17 legge 10 dicembre 1981, n. 741 -� ���ricono RASSEGNA 'DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1034 art. 20, secondo il quale, nei casi in cui Sii sia presentato ricorso in via gerarchica contro atti o provvedimenti emessi da organi periferici dello Stato o di EnH pubblici a carattere ultraregionale, � proponibile ricorso al T.A.R. contro il provvedimento impugnato, se nel termine di novanta giorni, la Pubblica amministrazione non abbia comunicato la decisdone all'interessato. Ma anche a /voler tralasciare ogni questdone in ordine alla portata del menzionato riferimento (che, secondo la �logica della introdotta costruzione normativa, dovrebbe rivolgersi proprio all'art. 20), si osserva che fa posl;,;ione di attesa del parere della CommisSlione, cos� come delineata dalla disciplina in esame, appare del tutto svincolata da qualsiasi limite cronologico non solo per quanto concerne la effettiva emissione del parere stesso, ma anche per quanto riguarda -l'adozione . del provvedimento decisionale cui quest'ultimo � preordinato. In assenza di siffatti limiti' (l'unico limite cronologico essendo posto per la proposizione della dichiarazione di attesa), deve disconoscersi la sussistenza del presupposto (decorso dei termillli) a cui l'art. 20 collega la � mancanza � della decisione gerarchica e J'inizio dei termini di decadenza per adire il giudice amministrativo. Peraltro, va considerato, in v�1a puramente� teorica e sempre nell'ambito dell'affacciata !i.potesi di applicabilit� dell'art. 20, che l'istante potrebbe invocare il principio� che la giurisprudenza ha desunto dalla disciplina posta da ,detto artJi.colo, secondo il quale il rimedio gerar sciuto esplicitamente in materia di rev1s1one dei� prezzi la: giurisdizione del giudice amministrativo, talch� oggi non � pi�� possibile, in caso di. diniego o di accoglimento parziale della revisione prezzi in aumento, ovvero di imposizione di revisione in diminuzione da parte della P .A.. eccepirne il difetto... '" Anche in questo caso, poich� s'era rifiiutata la revisione in base a clausola contrat� tuale, nulla ex lege 37 del 1973, che la escludeva, si versava in ipotesi di giurisdizione general� di legittimit� (nel senso che tale controversia appartenga appunto alla. giurisdizione generale di legittimit�, Cons. St., sez. IV, 9 dicembre 1983 n. 910, in Arch. giur. op. pubbl. 1984, 225, che annulla T.A.R. Lazio, sez. Ili, 10 maggio 1982 n. 561, in Trib. Amm. Reg. 1982, I. 1517; contra, Cons. St., sez. VI, 17 gennaio 1984 n. 14, in Cons. Stato 1984, I, 71). Al di l� delle segnalate affermazioni e come pu� desumersi dalle due decisioni del Consiglio di Stato da ulti.io richiamate, all'art. 17 della legge 10 dicembre 1981 n. 741 � piuttosto riconosciuta la portata di norma che recepisce la soluzione giurisprudenziale, per cui revisionare il prezzo � manifestazione di un potere della P.A. e non contenuto di un, suo obbligo contrattuale, che la portata di norma che configura una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva. Per stabilire se sia da condividere il nuovo orientamento della Cassazione e, iin caso positivo, quali siano i criteri per discriminare le controversie sul quantum dalla revisione dalle altre, Cons. St., sez. IV, ord. 27 giugno 1984, n. 504 (in Cons. Stato 1984, I, 730) ha rimesso la questione all'adunanza plena:riia. 3. -Altra questione propostasi quella del significato da attribuire al primo comrria dell'art. 17, cio� al non applicarsi al ricorso di cui all'art. 4 del d.1.C.P.S. 1501 del 1947 le disposizioni dettate dall'art. 6 del d.P.R. 24 novembre 1971 '.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�"<�"�--�.�.�.-.-.-.-.�.��'.�"-:-�-:-�.-.-.-.�.�.�.�.-.�.�.'.-".".-.-.�.�.��:��.-.�.�-:�:.-.-.-.�.-.�.�:.�.-.�.�.�:.�:.�.--��-.�.-.-.-.-.-.-.-.�.-.-.-.-.�::.-�.�.�.-.�.�:.-.-.".".�.-.�.�:.�:.- PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBUCI 1035 chico � soltanto facoltativo e, quindi, aggiuntivo rispetto alla tutela giurisdizionale, sicch� quest'ultima pu� essere liberame.nte prescelta sei1za vincolare il ricorrente ad attendere comunque la decisione sull'impugna tiva amministrativa. Una simile opzione, per�, se posta in essere, disinserisce dal sistema di tutela che si era prescelto la fase connessa all'esperimento del ri medio amministrativo, con la conseguenza che i tempi di espletamento prev�sti per la rel~tiva definizione non rilevano pi� ai fini della tem pestiwt� dell'azione in sede giurisdizionale. Ne conseguirebbe, cio�, che il termine per la proposizione del ricorso in tale sed� debba farsi de correre non pi� dalla comunicazione della pronuncia amministrativa o dalla insorgenza de1Ja situazione equiparata aHa pronuncia di reiezione, ma dal momento a cui risale la piena conoscenza dell'atto originario ritenuto lesivo. Nel caso di specie, la ricorrente non ha interesse ad invocare il principio di cui si � fatto cenno, atteso che la conoscenza del prov. vedimento impugnato risale sicuramente, quanto meno alla data deH'll agosto 1982 sotto la quale la Societ� istante � stata in grado di predisporre il ricorso ex art. 4 d.l.C.p.S. n. 1501/1947. Rispetto a tale data il ricorso g�urisdizionale, notificato il 3 .febbraio 1983, sarebbe tardivo. � Dovendosli, dunque, rimanere nell'ottica del procedimento articolato su due fasi, di cui la prima � quella costituita dall'esperimento del rimedio amministrativo, non pu� non constatarsi, alla stregua delle con- n. 1199 e dall'art. 20 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034. Le disposizioni che il primo comma dell'art. 17 dic� non si applichino riguardano la formazione del silenzio-rigetto e il successivo onere di impugnazione giurisdizionale, del provvedimento prima impugnato in via amministrativa, nel sessantesimo giorno successivo al formarsi del silenzio-rigetto. T.A.R. Lazio, sez. III, 28 febbrflio 1983 n. 169 in Arch. giur. op. pubbl. 1983, II, 372 e Trib. Amm. Reg. 1983, I, 851, ha ritenuto che la norma vada intesa non gi� nel senso che la disciplina del silenzio-rigetto sia per s� inapplicabile, ma che l'effetto dell'inutile decorso del termine di novanta giorni pu� essere posto nel nulla se, prima che scada il successivo termine di sessanta giorni per :il ricoi:iso giurisdizionale, la parte dichiari di voler attendere iil parere della commissiione. Questa interpretazione � stata ora condivisa dalla Adunanza plenaria. Al ricorrente si presentano cos� due alternative, della cui rispettiva disciplina � opportuno fissare i tratti. Si consideri prima dl caso che la parte non faccia la dichiaraZlione preveduta dal secondo comma dell'art. 17. Letta la norma nel senso seguito dalla III Sezione del T.A.R. del Lazio nella decisione 28 febbraio 1983 n. 169 ora richlamata ed adesso dall'Adunanza plenaria con la decisione in rassegna, ne risulta confe.rmato U precedente indirizzo giurisprudenziale, affatto prevalente, per cui il termine cli formazione del silenzo-rigetto decorre -secondo dl tenore letterale del secondo comma dell'art. 17 -dalla presen�azione del ricorso e non dall'emriissione del parere della commissione (le d~isioni edite dopo l'entrata in vigore della legge 741, 1036 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO siderazioni in precedenza esposte, che, nella specie, non si sono verificate le condizioni cui � subordinata la qualificazione giuridica dell'inerzia dell'AmmiDfistrazione, a sua volta posta a base della successiva fase giurisdizionale. Sarebbe stato, perci�, necessario costituire in mora l'Amministrazione medesima ai fini della pronuncia sul ricorso amministrativo, sia pure attraverso il procedimento contemplato dall'art. 25 del T.U. �10 gennaio 1957 n. 3, con la connessa possibilit� di adire il giudice amministrativo nel caso di persistente inerzia dell'Autorit� amministrativa. Viceversa, la Societ� ricorrente, pur dopo aver dichiarato di voler attendere il parere della Commissione ministeci.ale, non ha dato luogo, in assenza di un atto conclusivo esplicito, alla formarione di presupposti idonei a produrre una situazione sostitutiva. Non appaiono rilevantii, a questo proposito, le argomentaziorui addotte dalla difesa dell'Amministrazione, secondo le quaJi verrebbe considerato � inesistente � l'intervenuto parere, in quanto pronunciato dall'qrgano collegiale in una composizione che' si assume irregolare. Una tale risoluzione sarebbe stata dmpugnabile, ove avesse formato oggetto di atto provvedimentale avente contenuto di segno contrario a quello del parere, che � favorevole a11'accoglimento del ricorso. Ed � chiaro che, qualora un atto siffatto dovesse essere comunicato alla ricorrente, quest'ultima dovrebbe ritenersi sottratta aH'onere di porre in mora pubblicate solo in massima, non consentono dii stabilire se si tratti o meno di fattt:ispecie cli silenzio maturatesi successivamente. Nel senso ora indicato cfr., tra le pi� recenti decisioni, T.A.R. Abruzzo -L'Aquila 7 dicembre 1982 n. 619 in Arch. giur. op. pubbl. 1983, II, 335 dove -nell'annotazione -s'avverte trattarsi cli fattispecie anteriore; in senso contrario, T.A.R. Abruzzo -Pescara 10 giugno 1983 n. 262, dn Trib. Amm. Reg. 1983, I, 2621). Si esaminano, ora, gli effetti qella dichiarazione. L'Adunanza plenaria ha ritenuto che, per effetto della dichiarazione, lo spatium deliberandi attribuito all'autorit� decidente illl�2lier� a decorrere dalla data della comunicazione del parere emesso dalla commissione. La soluzione vista dal Consiglio di Stato sembra esser stata quella di una comunicazione del parere, da parte della commissione, al ricorrente, allo scopo di fissare, in modo noto allo stesso ricorrente, l'inizio del termine della fase di decisione; e d'un� successiva trasmissione del parere all'amministrazione com� petente a decidere. L'Adunanza plenaria parla [nvero di una � comunicazione anche prima effettuata in via di fatto, ma che ora deve considerarsi un adempimento necessario per l'operativit� della norma� e sembra evddente che non possa riferivsi se non ad una comunicazione al ricorrente, essendo la trasmissione del parere all'amministrazione implicitamente preveduta dalla norma. L'Adunanza plenaria ha cos� scartato la soluzione del silenzio-rifiuto, che era stata invece accolta dal T.A.R. del Lazio con la decisione in rassegna. La soluzione, per una parte, � in linea con quella ora introdotta dalla legge 8 ottobre 1984 n. 687, nel senso che all'amministrazione � assegnato per� decidere uno spazio di tempo successivo all'emissione del parere. PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE BD APPALTI PUBBLICI 1037 l'Amministrazione, in quanto posta di fronte ad atto idoneo a definire, sia pure in modo negativo, il proposto gravame amministrativo. Per quanto si � dianzi premesso, il ricorso proposto dn questa sede va dichiarato inammissdbile. -(omissis) II (omissis). -1) Comune a tutti i ricorsi � ;il problema se, a seguito del trasferimento alle Province di Trento e di Bolzano delle materie dei lavori pubblici di interesse provinciale, nonch� dell'edilizia residenziale pubblioa, con particolare riguardo -rispetto a quest'ultima all'esecuzione delle relative opere, sia attualmente di pertinenza delle province medesime anche la potest� decisoria prevista in tema dd revisione prezzi dagli artt. 4 e ss. del d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501 e successive modificazioni, ovvero se essa sia rimasta nella sfera di competenm dello Stato. Ad avviso dell'Adunanza Plenaria, deve ritenersi esatta la seconda solu2lione. L'Ente resistente, a sostegno della tesi della competenza provinciale, pone in sostanza due argoment�zioni: a) L'Istituto Trentino per l'EdilJizia Abitativa, istituito con legge provinciale, � sottoposto al controllo ed alla vigilanza -tutela della 4. � Come si � veduto all'inizio, la legge 687 del 1984 ha aggiunto all'art. 17 due commi, dn cui si delinea un diyerso modulo di conclusione del procedimento. La norma si appliche:r;� riguardo a fattispecie che non possano considerarsi concluse attraverso silenzio-rigetto, formatosi alla stregua della interpretazione dell'art. 17 data dall'Adunanza plenaria: si ripropone qui il medesimo problema di diritto dntertemporale affacciatosi con l'emanazione dell'art. 17, a proposito della applicabilit� della dichiarazione di voler attendere il parere, a situazioni di silenzio-rigetto gi� formatesi in base agli artt. 6 d.P.R. 1199 e 20 legge 1034 del 1971, problema risolto in senso negatdvo, come gi� detto, da T.A.R. Lazio, sez. Ili, 28 febbraio 1983 n. 169. Il primo dei commi aggiunti dispone, come si � veduto, che � l'Ammini strazione a cui il parere � rivolto deve provvedere entro sessanta giorni dal ricevimento dello stesso �. Rispetto a quella che si � vista essere l'interpretazione data dal Consigldo di Stato al secondo comma dell'art. 17, il nuovo terzo comma conduce ad individuare il dies a quo per l'esercizio del potere di decidere, nella data di ricezione del potere da parte deU'amminiistrazione competente e non in quella della sua comunicazione alla parte privata. Il termine di sessanta giorni � dato per � provvedere � e si tratta allora di stabilire se prima della sua scadenza sia sufficiente che la decisione sia adottata o sia anche necessario che sia comunicata. La risposta non pu� dipendere dal fatto che il termine sia stabilito per provvedere e non per comunicare la decisione: la giurisprudenza ha ad 1038 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Provdncia, dai cui stanziamenti assume i fondi per la .propria attivit�; sarebbe, dunque, singolare ritenere che li Ministero. d�i LL.PP., senm avere alcun rapporto con l'ITEA, dovesse occuparsene solo in sede di ricorso gerarchico in tema di revisione dei prezzi; . b) l'art. 1 del d.P.R. 22 ml}rzo 1974, n. 381, stabilisce che le attri� buzioni dell'Amministrazione dello Stato dn materfa (tra l'altro) di edi� :tizia comunque sovvenzionata e di lavori pubblici di interesse provin� ciale sono esercitate, per il rispettivo territorio dalle province di Trento e dii BOlzano; l'art. 3 seguente dispone che, nelle dette materie, sono esercitate dalle Province le funzioni amministrative, ivi comprese quelle di vigilanza e di tutela, gi� spe~tanti agli organi centrali e periferici dello Stato; l'avt. 18 dello stesso testo ribadisce che si intendono sosti� tuiti gli organi centrali e periferici dello Stato con gli organi deUa Provincia in tutti li casi in cui le disposizioni vigenti nelle materie stesse facciano riferimento a funzioni amministrative degli organi o degli uffici centrali o periferici dello Stato; pertanto, in mancanza di una riserva a favore de11o Stato in merito ai ~�J>rsi relativi alla revisione prezzi, la potest� decisoria de~ stessi dovrebbe. ritenersi senz'altro di perti� nenza delle Province. Al riguardo si osserva che fa prima argomentazione non apporta alcun contributo alla. risoluzione del problema, dato c~e il mezzo di tutela previsto e disciplinato dagli artt. 4, 7 ed 8 del d.l.C.p.S. n. 1501/1947 es. accolto la seconda soluzione. per l'annullamento di ufficio delle licenze di costruzione illegittime ex art. 7 I. 6 agosto 1967 n. 765 (Cons. St., Ap., 25 febbraio 1980 n. 8 in Cons. Stato 11980, I, .136) anche se dopo aver seguito un costante indirizzo contrario (a partire da Cons. St., rsez. IV, 21 dicembre 1971 n. 1284 in Cons. Stato 1971, I, 2429 sino a Cons. St., sez. IV, 4 marzo 1975 n. 232 in Con.S. Stato 1975, I, 25�), mentre .segue il primo indirizzo in tema di controllo sugli atti degli enti locali e dell� regioni (Cons. St., sez. V, 28 agosto 1981 n. 378 iin Cons. Stato, 1981, I, 925; Cons. St., sez. II, 27 gennaio 1976 n. 142/75, ivi, 1979, I, 76; T.A.R. Lazio, sez. I, 1 febbraio 1984 n. 123, in Trib; Amm. Reg. 1984, I, 785). Va piuttosto considerato che le disposizioni che si commentano concor� rono a dettare la regolamentazione dii un procedimento su ricorso, sicch� . l'interpretazione ne va condotta alla stregua della disciplina dei ricorsi am� ministrativi, quale risulta dal d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e dall'art. 20 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Ora, secondo questa disciplina, l'organo cui spetta decidere iii ricovso esercita il suo potere quando, nel termine asse� gnatogli dalla legge, assume una decisione espressa e la comunica..Nella disci� plina comune, l'alternativa al mancato esercizio del potere � costituita dal rigetto per silenzio. In quella speciale, l'alternativa � costituita dalla qualifica� rione del parere come atto di decisione. Al di l� della modifica del termine e della sua decorrenza (sessap.ta giorni, anzich� novanta; ricezione del parere, amich� del ricol"so) � giustificato � ritenere che il modo di esercizio del potere di decisione, per comunicaxione della decisione, non sia mutato. Questa conclusione � congrua sia al dato PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1039 costituisce un ricorso atipico (c.d. ricorso gerarchico impr9prio), che prescinde da:1l'appartenenza dell'organo decidente all'amministrazione attiva della materia ed anche dal rapporto di vigilanza. La seconda argomentazione, poi, d� 'per scontato che la potest� decisoria di cui al decreto legislativo del 1947 rientri tra le generiiche attribuzioni di amministrazione attiva in' materia di edilizia sovvenzionata e di lavori pubblici, considerate dalle norme richiamate del d.P.R. n. 381/1974, come tale da ritenersi senz'altro trasferita. Ma � proprio in questo postulato che si annida J'erroneit� della tesi del resistente. Invero, nella legislazione di cui al cit. d.l.C.p.S. n. 1501/1947, va ravvisata una preminente funzione giustiziale, destinata, a garanzia della uniformit� dei giudizi, ad essere esercitata sulla base del parere di una commissione Ull!�ca (integrata con il rappresentante dell'Amministrazione interessata) da un organo centrale per tutto il territorio nazionale e .tale, dunque, da comportare l'esclusione -almeno in assenza di espresse P,_revisioni in contrario -della potest� decisoria in questione dal trasferimento che delle materie suddette sia stato fatto alle Regioni (o alie Province di Trento e di Bolmno). Come � stato esattamente rilevato nell'ordinanza di rimessione della Sezione IV, la preminente funzione ~ustiziale, nella legislazione de qua, � evidenziata, 'in primo luogo, dal carattere di generalit� del procedimento grav3:torio da essa regolato, il quale � applicabile per le deter strutturale, secondo il quale il modulo � dichiarazione di voler attendere il parere -comunicazione del parere -inerzia � si pone con la decisione espres� sa nello stesso rapporto di alternativa del modulo � ricorso-inerzia �; sia al dato funzionale, giacch� la ragione per cui si � dettata la disciplina speciale dei ricorsi in materi� di rev,isione dei prezzi � stata quella di conservare effettivit� al congegno rappresentato dal parere della commissione, ed � perci� conforme a questa ratio l'interpretazione che maggiormente ne assicura la stabilit�. Ci� che, del resto, � .in consonanza anche con la riduzione del termine per 1a decisione, da novanta a sessanta giorni. 5. � Sebbene costituisca ipotesi di scuola, va considerato il oaso che il parere sopravvenga, sia cio� . comunicato al ministero competente e al ricorrente prima che questi abbia dichiarato all'autorit� adita di volers.i. � avvalere della facolt� di attenderlo. Poich� il passaggio dal modulo decisorio ordinario a quello speciale avviiene non per effetto dell'emissione del parere, ma della dichiarazione del ricorrente, � da ritenere che essa sia necessaria anche in questo caso. 6. � Nella decisione in rassegna � prospettato un t�rzo profilo controverso della interpretazione dell'art. 17, quello del rapporto tra ricorso amministrativo e ricorso giurisdizionale, se cio�, in materia di revisione, il previo esperimento del ricorso amministrativo sia necessario o facoltativo e se perci� il ricorso giurisdizionale sia esperibile prima ancora della decisione di quello amministrativo (secondo quanto ritenuto da Cons. St., Ap. 3 febbraio 1978 n. 3, in Cons. Stato, 1978, I, 141). Se dell'art. 17 si d� la lettura restrittiva cui s'� attenuta la decisione T.A.R. Lazio, sez. III, 28 f�ebbraio 1983 n. 169 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO minazioni in materia di revisione dei prezzi di appalto adottate, oltre che dallo Stato, da �tutti gli altri enti pubblici, territoriali e non (art. 1 d.1.C.p.S. n. 1501/1947; art. 11. n. 1481/1963; artt. l, 3 e 5 1. n. 463/1964; art. 3 1. 76/1970; art. 2 1. n. 37/1973), anche per opere non assistite dal contributo dello Stato; emerge, in secondo luogo, dalile garanzie poste a base dell'eserci: �o della funzione medesima, quali principalmente quelle costituite dali'operativit� del principio del contraddittorio (artt. 5 e 7 d.1.C.p.S. cit.) e dalla peculiare composizione de1la commissione chiamata ad esprimere parere sui ricorsi, la quale, in quanto composta da magistrati e da esponenti di diverse pubbliche amministrazioni e di organizzazioni di settore, si connota come palesemente dotata dell'attributo della c.d. <�terziet� � (n� � da sottacere, almeno come elemento sintomatico, il potere della commissione -previsto dall'art. 4, 6� comma, del d.1.C.p.S. di provvedere, secondo i principi della soccombenza, in ordine alla rifusione delle spese della procedura, conformemente alla regola propria dei procedimenti giurisdizionali). D'altra parte, che Ja presenza di ,tale preminente funzione giustiziale sia idonea ad escludere la competenza in questione dal generico trasferimento della materia -cui essa pur attiene -alle Regioni (ed alle Province di Trento e di Bolzano), pu� argomentarsi dn via di interpretazione sistematica, dal trattamento operato dall'ordinamento, in sede di determinazione delle attribuzioni delle Regioni a statuto ordinario, relativamente ai compiti delle commissioni di vigHanza sull'edilizia economica e popolare, cui parimenti sono attribuiti poteri decisori di carattere giustiziale, in posizione di terziet�. (art. 119 ss. r.d. n. 1265/1938; artt. 19 ss. .... d.P.R. n. 655/1964; Ad. Pl. C. di S. 11 lugldo 1983 n. 18). Invero, mentre con l'art. 93 del d.P.R. 24 luglio 1-977, n. 616, � stata genericamente trasferita a tutte le Regioni la materia dell'edilizia residenziale pubblica, solo pi� volte richiamata; se soprattutto, si ritiene che non dall'art. 20 legge 1034 del 1971, ma dagli artt. 2 e 3 della stessa legge derivi l'ammissibilit� del ricorso contro provvedimenti non definitivi (cfr. DE ROBERTO, Sulla facoltativit� dei rimedi amministrativi avverso atti non definitivi dopo le recenti riforme, Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1973, 664 e 670), la proposizione contenuta nell'art. 17 della l�gge 741 del 1981 non viene ad innovare il regime preesistente e deve intendersi che U ricorso ex art. 4 dl.C.P.S. 6 dicembre 1947 n. 1501 sia facoltativo (nel senso della facoltativit�, senza che anche qui risulti dalla massima, se si trattasse di ricorso anteriore o successivo alla legge 741, T.A.R. Piemonte 21 ottobre 1983 n. 54 in Trib. Amm. Reg. 1983, I, 3514; T.A.R. Piemonte 13 luglio 1982 n. 461 in Arch. giur. op. pubbl. 1983, Il, 128; TA.R. Lombardia -Brescia 16 dicembre 1980 n. 386 in Arch. giur. op. pitbbl. 1981, Il, 156; contra, T.A.R. Abruzzo -Pescara 22 febbraio ,1983 n. 73 in Arch. giur. op. pubbl. 1983, Il, 368). PAOLO VITTORIA ! f r: i I ~ f ~ PARTE I, SEZ. VII, GIURI$. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1041 con .norma a parte -il successivo art. 94, significativamente intitolato � ulteriori trasferimenti in materia cli edilizia pubblica � -�sono state � altres� � trasferite le funzioni amministrative esercitate da dette commissioill�. Manifestazione questa evidente del convincimento del leg.islatore circa la necessit� di disposizoni ad hoc ai fini del trasferimento di funzioni siffatte. ; Altri argomenti testuali confortano la soluzione qui accolta. Iri tema di disciplina della revisione dei prezzi degli appalti delle opere pubbliche -che, rispetto all'ordinaria normativa contrattuale di essi (impostata sul principio della indifferenza alle sopravvenienze e quindi della invariabilit� del prezzo: art. 326 della I. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F), Sii pone (quanto a presupposti, limiti e mezzi di tutela) come uno ius. singulare -iil legislatore statale ha continuato ad emanare disposizioni, anche dopo il trasferimento alle regioni (ed ialle Province di Trento e di Bolzano) delle materie dei Lavori pubblici (di interesse locale) e della edil.izia re&idenziale pubblica. Con l'art. 2 della :I. 22 febbraio 1973 n. 37 si sono rafforzati i caratteri generale ed inderogabile della disciphlna revisionale, stabilendosi che, per tutti i lavori appaltati dalle amministrazioni o aziende dello Stato, anche con ordinamento autonomo, dagli enti locali e dagli altri enti pubblici, la facolt� di procedere alla revisione dei prezzi � ammessa con esclusione di qualsia&i patto in contrario o in deroga. Con la legge 21 dicembre 1974 n. 700 sono state introdotte, ancora in via generale, nuove disposizioni per il pagamento degli acconti sulla revisione dei prezzi. Anche pi� indicativa, ai fini in esame, � la fogge 10 dicembre 1981 n. 741, ,}a quale -dopo avere dettato nuove norme, sempre con carattere di generalit�, in o:rx:line al calcolo ed al pagamento della revisione -con l'art. 17 ha rivalutato il procedimento gravatorio regolato dal decreto legislativo n. 1501/1947, svincolando dalla rigorosa disciplina del silemJi.o sui ricorsi gerarchici, prevista dall'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971, �i ricorsi di cui all'art. 4, primo comma� del d.l.C.p.S. n. 1501/1947 ed attribuendo ,al rucorrente la facolt� di �attendere l'emissione del parere di cui �al secondo comma dell'art. 4 � del detto decreto legislativo, prima dell'eventuale ricorso giurisdizionale. Orbene, poich� i ricorsi di cui all'art. 4, primo comma, del citato decreto sono quelli ammessi contro le determinazioni in materia revisionale adottate dall'Amministrazione pubblica in generale ed il parere, di cui al secondo comma dello stesso art. 4, � quello della speciale commissione,. preovdinato al decreto ministeriale decisorio, da tali disposizioni sembra potersi desumere la conferma dell'esclusione della potest� in questione dal generico trasferimento delle materie suddette alle Regioni (ed alle Province di Trento e di Bolzano). Del resto, il fatto che solo con la legge provinciale trentina 3 gennaio 1983 n. 2 siano state emanate norme particolari per l'attribuzione RASSI:<GNA DELL'AVVOCATURA Dfll.O STATO deLcontenzioso rev~sionale,agli -0rgani locahi, �-,dimostmtivo quanto meno della incertezza, da parte della stessa Provincia, in ordine al trasferimento ad essa della competenza in materia. Pertanto, i ricorsi nn. 811, 812 e 813 del 1982 vanno dichiarati irrice vtibili, in quanto ~ ricorsi gerarchici impropni alla Provincia di Tre~to, che li hanno preceduti, non essendo previsti dalla legge, non sono idonei ad impedir~ la decadenza. (art. 2966 cod. civ.). 2) Il ricorso n. 569 del 1979 va dichiarato inammissibile per difetto di interesse. Con .le due lettere nn. 1958 e 1959 del 30 dicembre 1978 l'impresa ricorrente aveva richiesto al resistente I.T.E.A., rispettivamente per i contratti delle torri 12 e 14, il riconoscimento dei maggiori oneni riguardanti il costo della mano d'opera, m dipendenza del contratto aziendale da essa stipulato in data 23 settembre 1976, richiamandosi alla circolare del Ministero dei LL.PP. n. 1952 dell'll marzo 1978. Con nota raccomandata del 12 gennaio 1979 n. 128, il Presidente dell'I.T.E.A. rispondeva che, in riferimento alle predette Jettere, si doveva tenere conto della circolare del Ministero dei LL.PP. n. 7595 del 29 novembre 1978, con la quale si era conclusivamente escluso, che gli accordi aziendali, anche per il Limitato peniodo transitorio intercorrente tra l'ottobre 1976 e foglio 1977, potessero essere compresi tra ~i accordi ed i contratti collettivi considerati dall'art. 1 della 1. n. 463/1964 e J>Otessero avere rilevanza ai fini della revisione dei prez7Ji; ed aggiungeva che � oi� premesso la vostra richiesta non pu� essere presa in esame ed� � superfluo qualsiasi altro incombente da entrambe le parti �. Orbene, tale nota conteneva Ia determinazione, concreta e definitiva (come � reso palese dall'ultima frase), dell'Ente di negare la revisione dei prezzi, per la parte afferente ai maggiori oneri derivanti dal contratto aziendale; e contro questo atto, pertanto, l'Impresa avrebbe dovuto proporre gravame, nei termini di legge. Invece l'Impresa, con nota n. 139 del 29 gennaio 1979, insisteva nella propria richiesta. Ed il Pre&idente dell'Ente, Con nota 14 febbraio 1979 n. 1524, rispondeva che ,l'Istituto non poteva che confermare quanto contenuto nella precedente nota, , ribadendo che l'ultima circolare ministeriale era categorica ndl'affermare che gli accordi aziendali, anche per il periodo transitorio ottobre 1976-lugLio 1977, non potessero avere rilevanza mfini della revisione dei prezzi. ! Contro questa nota l'Impresa ~a proposto, in data 8 marzo 1979, ricors� amministrativo al Ministro dei LL.PP. e poi,' decorso inutilmente n termine di 90 giorni, queno giurisdizionale n. 569 del. 17 settembre 1979. I Ma l'atto cos� impugnato -in quanto emanato dalla stessa Autorit� che I ': aveva adottato il precedente provvedimento, nella medesima situazione l di fatto e di diritto e senza alcun rilevante profilo di novit� -ha natura I I I I I I / PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1043 meramente confermativa del provvedimento del 12 gennaio 1979, come ha esattamente eccepito il resti.stente. Nessun vantaggio potrebbe derivare, pertanto, dall'annullamento di tale atto alla lii.corrente, il cui interesse continuerebbe ad essere inoppugnabilmente leso dal provvedimento confermato. Infondata �, �invece, la medesima eccezione formulata dall'I.T.E.A. nei confronti dei ricorsi nn. 259, 260 e 261 del 1983, proposti contro le determinazioni 11 novembre 1981 di approvazione dei conti finali e di determinazione definitiva della revisione prezzi, relativamente ai tre appalti per la costruzione delle torri 13, 14 e 12. Assume la difesa del r�sistente che, in ordine alla questione delle tabelle dei prezzi della mano d'opera da considerare come dato di partenza della revisione (oggetto di tali ricorsti.) l'Ente aveva gi� da tempo manife� stato l'intento di tener conto, non delle fa.belle � cognite �, ma di quelle comunque vigenti al momento delle offerte; e ci� con precedenti .atti amministrativi, che erano stati anche impugnati. Ma tale assunto non risulta dimostrato. Anzi, nella decisione 27 ottobre 1981 n. 800 della Sezione IV di questo Consiglio, emessa tra le stesse parti in ordine all'impugnativ� della nota 6 luglio 1978 dell'I.T.E.A., si legge che tale nota non conteneva alcuna determinazione concreta di diniego (totale o parziale) della revisdone, ma semplicemente una precisazione sulle tabelle dei costi della mano d'opera da considerarsi nel calcolo revisionale (rdspetto alla quale non sorgeva, dunque, un obbligo di pronuncia da parte dell'autorit� adita in via amministrativa, con la conseguente irricevibilit� del rncorso). Ora, � evidente che quando l'atto precedente non costituisca un vero e proprio provvedimento amministrativo, il problema della conformativit� o meno dell'atto successivo -per gli effetti in esame -non sorge neppure. 3) Ma l'esame dei ricorsi nn. 259, 260 e 261 dei 1983-implica la risoluzione ili un ulteriore problema. Come si � ricordato nell'esposi2lione in fatto, alla loro proposizione l'Impresa iistante � pervenuta esperendo previamente i gravami amministrativi di cui al ridetto d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, e dichiarando di volere attendere l'emissione dei pareri della commissione consultiva anche oltre il novantesimo giorno, secondo quanto ora consentita dal: l'art. 17 della 1. n. 741/1981. Parern questi che sono stati� in effetti emessi, mentre il Ministro dei LL.PP. non ha adottato le proprie decisioni, neppure a seguito di diffide a provvedere, notificate ai sensi dell'art. 25 del t.u. n. 3/1957 e prodotte in atti. Si deve, quindi, decidere se ci si trovi di fronte ad ipotesi di silenziorigetto o di silenzio-rifiuto, al fine di determinare l'ambito della cognizione del giudice, che -com'� noto -nel primo caso Sii estende all'esame della legittimit� o meno dei provvedimenti gravati in via amministrativa, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEI.LO STATO 1044 mentre nel secondo caso � limitato all'esame della giustifi.cabilit� o meno del rifiuto della pubblica amministrazione a pronunciarsi. L'art. 17 della detta legge, con il primo comma, ha dichiarato inapplicabm ad ricorsi in questione f'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971 e l'art. 20 della I. n. 1034/1971; con il secondo comma, ha disposto: �Scaduto il t�rmine di novanta giorni dalla presentazione del nicorso di cui all'art. 4, primo comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 1947, n. 1501, il nicorrente pu� dichiarare, nei successivi sessanta giorni, all'autorit� adita di volersi avvalere della facolt� di attendere l'emissione del parere di cui al secondo comma dell'art. 4 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 1947, n. 1501, prima dell'eventuale adizione del giiudice amministrativo�. La disposi2lione -aggiunta al testo, a quanto rJsulta, in sede di discussione in aula e non bene coordinata con i pnincipi del sistema risulta di difficile interpretazione, sul piano letterale. L'interpretazione letterale va, quindi, integrata con quella logica, tenendo conto delle vicende cui la norma Sii riconnette e della finalit�, che essa persegue; nonch� con quella sistematica. Come � noto, -l'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971 dispone che, trascorsi novanta giiorni dalla data della presentazione del ricorso (gerarchico) senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, con la conseguenza che contro il provvedimento impugnato � esperibile il ricorso all'autorit� giunisdizionale competente o quello straordinario al Presidente della Repubblica. Rispetto ai ricorsi di cui al decreto legislativo n. 1501/1947, la giurisprudenza di questo Consiglio aveva inizialmente ritenuto che il termine di novanta giorni per la forma:ziione del silenzio-rigetto iniiziasse a decorrere solo dopo che su di essi fosse intervenuto il previo parere obbligatorio della commissione ministeriale, in quanto, sino a quel momento, l'Autorit� decidente non avrebbe avuto la disponibiilit� del ricorso e non sarebbe stata -in concreto e legalmente -in grado di provvedere. Ma questo orientamento era stato poi superato, perch�, essendo stato affermato (Ad. pl. 7 febbraio 1978 n.. 4) il pnincipfo che la disciplina prevista dall'art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971 � applicabile ad ogni tipo di ricorso amministrativo, sia esso gerarchico proprio che improprio o atipico -si era nitenuto che a non diversa solu2lione potesse condurre la previsione, nella materia de qua, di un parere obbhlgatorio da parte della commissione ministeriale, atteso che il termine prescritto dal citato art~ 6 -di carattere tassativo e perentorio -in nessun caso risultava correlato dalla legge all'articolazione in pi� fasi, anche di carattere obbligatorio, del procedimento stesso (Sez. IV, 15 dicembre 1978, n. 1242). Ma la soluzione, da ultimo accolta dalla giurisprudenza, rendeva praticamente impossibile -attesa la brevit� del termine -l'esercizio delle funzionii della menzionata commissJone (che spesso si trova nella ............................. ... .......................... .. ...-..,,..,..........,.~~..,�~~� ............J PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 1045 necessit� di esperire mezzi istruttori di non rapido espletamento, anche per potersi esprimere su questioni di ordine tecnico o di merito), preclu� dendo cos� l'esercizio del potere decisorfo del Ministro, ben pi� pene� trante di quello -di sola legittimit� -del giudice amministrativo. Per risolvere questo problema, molto sentito dalla categoria interessata, � stata prevista la disposizione dell'art. 17, la quale, dunque, perse� gue iil fine (per quanto qui interessa) di � recuperare � �il ricorso amministrativo ed il relativo procedimento, disciplinati dal decreto del 1947 (e successive modifiche), nel rispetto delle esigenze di maggiore tutela espresse dal d.P.R. n. 1199/1971. Si � attribuito, perci�, all'interessato una facolt� di scelta: eglii, infatti, nei sessanta giorni successivi alla scadenza del termiine (di novanta giorni) per la formazione del silenzio-rigetto, pu� proporre il ricorso giurisdizionale contro il provvedimento impugnat�> ovvero pu� dichiarare all'Autorit� adita con il ricorso amminiistrativo di voler attendere l'emis� sione del parere della Commissione ministeriiale, prima dell'eventuale � adizione del giudice amministrativo �. Ma, affinch� la disposiizione consegua pienamente il suo scopo, deve riconoscersi -ad avviso del Collegio -alla dichiarazione del ricorrente (cui appunto compete la facolt� dispositiva al ci.guardo) l'effetto di spostare a dopo la comunicazione dell'emissione del detto parere il decorso dello spatium deliberandi, attribuito all'Autorit� decidente. In altre parole, dalla data della comunicazione della emissione del parere della commissione (comunicazione anche prima effettuata in via di fatto, ma che ora deve considerarsi un adempimento necessario per l'operativit� della norma) inizia a decorrere iil termine di novanta giornii per la comunicazione della decisione del ricorso. Dall'Jnutile decorso di questo termine inizia a decorrere, poi, quello di sessanta giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento impugnato in sede amministrativa (mentre il termine dii sessanta giorni per 1a proposizione del gravame contro la decisione, se emessa e comurucata nei novanta giorni, decorre ovviamente dalla comunicazione della stessa). Non pu�, invero, condiividersi l'opiinione della difesa dell'Impresa -ispirava ad una interpretazione soltanto letterale della norma -secondo cui la dichiarazione del ricorrente comporterebbe J'effetto di differire la sola proposizion~ del ricors~>, il cui termine ini:ziierebbe a decorrere dalla comunicazione della emissione del parere, perch�, in tale caso, la portata della disposizione risulterebbe assai modesta: infatU, il parere � obbl.iigatorio, ma non vincolante e, d'altra parte, fa riistrettezza del termine di sessanta giorni costringerebbe l'interessato a proporre quasi sempre, e come prima, il ricorso giurisdizionale contro il provvedimento orginario. N� pu� condiviidersi l'avviso, espresso in dottrina, secondo cui la dichiarazione suddetta opererebbe bens� rispetto al solo ricorso giurisdizionale ma, il termine per proporlo inizierebbe a decorrere dalla 1046 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO comunica7lione, non del parere, ma del decreto decisorio del ricorso, per�h�, in tal caso, l'interessato rimarrebbe privo di un efficiente mezzo di tutela contro l'inerzia. Alla stregua dell'interpretazione accolta e del ridetto art. 17, sd deve, dunque, ritenere che, nella specie, ci si troVli di fr�nte ad ipotesi di silenzio-rigetto, in quanto, per effetto delle dichiarazioni rese dall'Impresa nei' tre procedimenti dal 21 gennaio 1983 (data di comunicazione della emissione dei pareri), � iniziato il decorso del termine di novanta giorni per deliberare sui ricorsi; e che le diffide, notificate (il 21 febbraio 1983) durante tale spazio di tempo, hanno avuto solo funzione sollecitativa e comunque non hanno modificato l'effetto del comportamento omissiivo. Benvero, anche i'ricorsi giurisdizionali sono stati notificati (il 10 mar zo 1983) nel corso del suddetto termine. Ma l'errore (se vi �:_ V. Ad. Pl. 27 gennaio 1978 n. 2) appare scusabile, considerata la� novit� e comples sit� della questione; e, d'altra parte, il Mj.nistro non ha provveduto sui ricorsi, n� durante lo spatiwn deliberandi, n� dopo. 4) Nel merito, i ricorsi nn. 259, 260 e 261 del 1983 sono fondati. Pacifici essendo gli 'estremi di fatto, Si deve decidere se -come dato di partenza della revisione -debbano essere assunti i costi della mano d'opera resi noti dopo la data delle offerte ma applicabili con effetto l retroattivo a pemodi comprensivi delle offerte (come ha operato l'Ente f appaltante), oppure debbano. essere utilizz�ti quelli risultanti� dalle tabelle ~ � gi� note all'epoca delle offerte (come pretende l'Impresa). ~ ~ Il collegio ritiene esatta la seconda soluzione. La legge (art. 1 d.1.C.p.S. f: n. 1501/1947) pone il preciso criterio del riferimento ai prezzi correnti ~ all'epoca dell'offerta; e sono corren1li i prezzi che, in un determinato i ~ periodo servono a compensare la prestazione alla quale si riferiscono, e quindi quelli noti. Nella specie, l'Impresa, al momento delle offerte del 13 aprile 1976 per gli appalti delle Torri 12 e 14, si � basata evidentemente sui costi I della mano d'opera risultanti dalla tabella 133, che era quella nota; non I sui costi della tabella 134, che doveva essere ancora pubblicata. Parimenti, al momento dell'offerta del 18 novembre 1976 per l'appalto I I ! della Torre 13, l'Impresa 'si �. basata sulla tabella 138 e non sulla tabella ! � 139, cognita H 19 novembre 1976. , � Che le tabelle 134 e 139 siano entrate I�n vigore con effetto retroattivo, rispettivamente dal 1� aprile 1976 e dal 1� novembre 1976, non �, quindi, rilevante ai fini revisionali. I I ricorsi suddetti vanno, quindi, �accolti e le determinazioni dell'I. T.E.A. in data 11 novembre 1981 (comunicate con note-23 novembre 1981 I nn. 10852, 10853 e 10854) vanno annullate, limitatamente all'errore di cal-~ ' colo derivante dall'avere assunto -come dato di partenza della revil sione -costi della mano d'opera non msultanti dalle tabelle gi� al momento delle offerte. (omissis) note ! I I f !I i I SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sez. III, 5 novembre 1984, n. 1445 � Pres. Radaelli -Rel. Damasco -Rie. P. G. -parte civile Ministero del . Tesoro (avv. dello Stato Fiumara) e Zanon di Valgiurata ed altri. Reato -Reati valutari -Art. 392, terzo comma, c.p.p. -Applicabilit�. Reato -Reati valutari -Avocazione della istruzione sommaria da parte del Procuratore Generale presso la Corte di Appello -Art. 4 dJ. 4 marzo 1976 n. 31 -Applicabilit�. Reato -Reati valutari � Questione di illegittimit� costituzionale dell'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, mod. dall'�rt. 3 legge 8 ottobre 1976 n. 689 per contrasto con l'art. 25, secondo comma, Costituzione -Manifesta infondatezza. Reato -Reati valutari -Questione di illegittimit� costituzionale dell'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, mod. dall'art. 3 legge 8 ottobre 1976 n. 689 per� contra8to con l'art. 24 della Costituzione -Manifesta infondatezza. Reato -. Reati valutari -Questione di illegittimit� costituzionale degli artt. 1 e 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e dell'art. 27 codice penale per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. -Manifesta infondatezza. Reato -Reati valutari � Questione di illegittimit� costituzionale degli artt. 105 e 107 c.p.p. per contrasto con l'art. 24, secondo comma, Costituzione -Manifesta infondatezza. Reato -Reati valutari -Art. 8 dJ. 4 marzo 1976, n. 31, sostituito dall'art. 1 legge 30 aprile 1976 n. 159 -Riferibilit� a tutte le ipotesi criminose previste nel dJ. citato. Reato -Reati valutari -Societ� per Azioni -Fatti-reato addebitati a suoi amministratori -Citazione ad opera del Ministero del Tesoro, parte civile, della societ� quale responsabile civile -Legittimit�. � Reato -Reati valutari -Costituzione di parte civile del Ministero del � Tesoro -Danno risarcibile. Reato -Reati valutari -Condanna generica al risarcimento danni a favore del Ministero del Tesoro costituitosi parte civile -Necessit� di prova della effettiva sussistenza del danno e del nesso di causalit� tra questo e l'autore dell'illecito � Insussistenza -Accertamento di fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose -Sufficienza. Il terzo comma dell'art. 392 cod. proc. pen. (avocazione della istruzione sommaria da parte del Procuratore Generale presso la Corte di Appello) trova applicazione anche in tema di reati valutari. 15 1048 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In tema di reati valutari il Procuratore Generale presso la Corte di Appello, che ha avocato �a s� l'istruzione sommaria, � competente a richiedere al Tribunale il giudizio direttissimo pre1Jisto dall'art. 4 d.l. 4 marzo 1976 n. 31. � manifestamente infondata la questione di, illegittimit� costituzionale dell'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, modificato dall'art. 3 legge 8 ottobre 1976 n. 689, per contrasto con l'art. 25, secondo comma, Costituzione. � manifestamente infondata la questione di illegittimit� costituzionale dell'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, modificato dall'art. 3 legge 8 ottobre 1976 n. 689, per contrasto con l'art. 24 Costituzione. � manifestamente infondata la questione di il.}egittimit� costituzionale degli artt. 1 e 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e dell'art. 27 cod. pen., per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione. E manifestamente infondata la questione di illegittimit� costituzionale degli artt. 105 e 107 cod. proc. pen. per contrasto con l'art. 24, secondo comma, Costituzione. L'art. 8 del d.l. 4 marzo 1976 n. 31, sostituito dall'art. 1 della legge i 30 aprile 1976 n. 159, � riferibile -a tutte le ipotesi criminose previste ~ nel d.l. citato. l Qualora siano contestati agli imputati illeciti valutari commessi i agendo quali amministratori di societ� per azioni, � legittima la citazione ad opera del Ministero del Tesoro, costituitosi parte civile, della societ� l quale responsabile civile ai sensi dell'art. 105 cod. proc. pen. i In procedimento penale per reati valutari previsti dall'art. 1 d.l. 4 mar' ~ zo 1976 n. 31 e dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, il Ministero del i Tesoro � legittimato a costituirsi parte civile solo per il danno connesso ! agli interventi imposti a detto Ministero per porre rimedio al disavanzo i della bilancia dei pagamenti conseguente al reato. ! In tema di reati valutari, per aversi condanna generica degli imputati I e del responsabile civile al risarcimento del danno subito dal Ministero I del Tesoro costituitosi parte civile, non � necessaria la prova della l effettiva sussistenza del danno e del nesso di causalit� tra questo e l'autore dell'illecito, ma � sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente I i produttivo di conseguenze dannose. (omissis) Ai fini di una organica valutazione delle varie questioni sottoposte al giudizio di questa Suprema Corte, appare opportuno esaminare, innanzi tutto e singolarmente, le numerose questioni pre~udiziali che, se pur sollevate da alcuni solo dei ricorrenti, interessano peraltro la posizione di tutti e, solo successivamente passare all'esame di quelle particolari riguardanti i singoli. 1) Questioni di legittimit� costituzionale. Da parte di alcuni ricorrenti (soc. La Centrale Finanziaria Generale, Antonio Tonello, Giuseppe Zanon di Valgiurata) sono state r�iproposte PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE in questa sede le questioni di legittimit� costituzionale degli artt 1 e 2 della legge 30 aprile 1976 n. 319, per asserito contrasto con gli artt. \3, 24, . 2~ e 27 della Costituzione, nonch� -da parte della sola Centrale -anche la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 185 e 107 cod. proc. pen., per asserito contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Tale ultima questione, peraltro, � stata sollevata solo in via subordinata e per il caso di mancato accoglimento di una tesi in diritto avanzata, in via principale, dallo stesso ricorrente con il primo motivo di ricorso. Ne deriva, quindi, la necessit� di rinviare l'esame di tale questione al momento in ctii sar� esaminato il fondamento della tesi principale della Centrale. Ci� premesso osserva la Corte: � stata, in primo luogo, eccepita la illegittimit� costituzionale dell'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, mod. dall'art. 3 della legge 8 ottobre 1976' n. 689, per contrasto con il principio di irretroattivit� della legge penale sancito dall'art. 25 della Costituzione; e ci� in quanto -cos� � si assume -la menzionata norma valutaria, anche se apparentemente incrimina l'omesso rientro di disponibilit� valutarie od attivit� costituite all'estero anteriormente al 6 marzo 1976, in realt� finirebbe col rendere punibile proprio il pregresso illecito amministrativo; il che sarebbe dimostrato anche dal fatto che la pena da irrogare per il reato sarebbe fissata in misura proporzionale al quantum. delle disponibilit� possedute. L'assunto � palesemente infondato, in quanto non considera che in base alla nuova normativa del 1976 la pregressa illegittima costituzione di �ttivit� o disponibilit� valutarie all'estero costituisce mero presupposto di fatto del reato, il quale invece si realizza e si perfeziona esclusivamente per effetto della mancata osservanza del � nuovo obbligo � imposto dalla legge di denunciare l'esistenza illegittima di capitali all'estero e di farli rientrare in Italia. Non quindi sanzione penale per un pregresso illecito amministrativo (che continua, per quanto attiene al passato, a conservare tale sua specifica natura), bens� sanzione penale per un �nuovo comportamento� posto in essere dall'imputato successivamente all'entrata in vjgore della legge. Del resto, che esuli totalmente dall'ambito della norma la repressione penale del pregresso illecito amministrativo (costituente, come si � detto, mero presupposto di fatto del reato) � dimostrato altres� dall'ulteriore decisiva considerazione che in tanto pu� sussistere l'obbligo di denuncia e di rientro in quanto, al momento dell'entrata in vigore della legge del 1976, le menzionate disponibilit� si trovino ancora all'estero e, per converso, che la entit� della sanzione penale da comminare per la perpetrazione della nuova figura di reato deve essere correlata non gi� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO alla situazione esistente al momento in cui venne commesso l'illecito amministrativo, ma a quello diverso in cui, per la prima volta, sono stati imposti gli obblighi de quibus (e, quindi, tenendo conto degli eventuali, jntervenuti aumenti o diminuzioni di �disponibilit� verificatisi nel frattempo). L'illegittimit� costituzionale dell'art. 2 della legge del 1976 � stata , dedotta (dal ricorrente Zanon) anche con riferimento all'art. 24 della Costituzione, sotto il profilo che la dichiarazione all'Ufficio dei Cambi imposta dalla menzionata norma valutaria comporterebbe, di per s�, oltre alla confessione dell'illecito amministrativo (per il quale � stabilita la sanatoria), anche quella di fatti diversi previsti dalla legge come reato e, quindi, un illegittimo obbligo di autodenuncia contrastante con il principio del. nemo tenetur se detegere. Anche tale assunto � manifestamente infondato; e ci� per un duplice ordine di considerazioni: Innanzi tutto; perch� la legge impone esclusivamente di dichiarare il pregresso illecito amministrativo e non pure altri fatti diversi integranti eventualmente la figura di reato; per cui l'eventuale scoperta di illeciti penali connessi con quello ammiriistrativo costituisce semmai il frutto di autonome e diverse indagini effettuate dagli organi dello Stato; indagini che, quindi, si presentano collegate alla dichiarazione de qua da un mero rapporto di occasionalit� e non. certo da un rapporto diretto e necessario. In secondo luogo e comunque, perch� -come � stato gi� osservato da questa Suprema Corte con sentenza n. 7096 del 26 aprile 1984, rie. Della Piazza + 1 "'"--nessun contrasto pu� essere ravvisato tra la disciplina dettata dalla citata norma valutaria e l'art. 24 della Costituzione. Proprio in relazione ad un'caso in cui si sollevava questione di costituzionalit� relativamente ad una norma che imponeva a determinati cittadini di denunciare all'autorit� di vigilanza e di controllo un loro futuro comportamento che, se messo in atto, costituiva reato, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 10 del 10 febbraio 1963, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione, osservando che l'art. 24 della Costituzione, in tutto il suo contenuto (oltre che per il suo secondo comma che, nel parlare in particolare del diritto di difesa, stabilisce essere la difesa diritto inviolabile �in ogni' stato e grado del procedimento�), si riferisce esclusivamente al giudizio ed alle garanzie assicurate a �hi deve agire in giudizio o comunque subire un giudizio, e non si estende a considerare i momenti anteriori dai quali esso trae origine. Tale principio � stato, poi, ulteriormente ribadito dalla Corte Costituzionale con la successiva sentenza n. 149 del 15 dicembre 1967, ed altre, fra cui notevole la sent. n. 236 di quest'anno, intervenuta nel frattempo, proprio in termini. I I I I PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE � stata, infine, .sollevata (dal ricorrente Tonello) questione di legittimit� costituzionale degli artt. 1 e 2 della citata legge n. 319 del 1976 e 27 cod. pen., per asserito contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione. In particolare, si assume che il sistema adottato dagli artt. 1 e 2 della legge, in conformit� all'art. 27 cod. pen. (irrogazione di pene pecuniarie proporzionali all'entit� delle somme esportate o no. rimpatriate) darebbe luogo ad una sanzione irragionevolmente sproporzionata� alla� colpevolezza del soggetto (con violazione dell'art. 3 della Costituzione) e si porrebbe in contrasto con il principio di � umanit� � della pena consacrato dall'art. 27, secondo comma della Carta Costituzionale. Inoltre, il criterio adottato nella specie dal legislatore -in quanto fondato su di un calcolQ � estrinseco.� alla sfera del condannato importerebbe la violazione del principio di personalit� della responsabilit� di cui all'art. 27, primo comma, della Costituzione. Anche tale questione (sulla quale gi� si � pronunciata la Corte Costituzionale con sentenza �n. 167 , del 1971) si presenta manifestamente infondata. Non sussiste, infatti, violazione del principio secondo il quale la ]:'.esponsabilit� penale � personale, in quanto l'entit�� della pena pecuniaria da infliggere al condanmlto � stata dalla legge agganciata proprio all'entit� del fatto-reato commesso da costui. Nemmeno, poi, pu� parlarsi di violazione del principio di � umanit�� della pena, sia perch� l'effettivo pagamento della pena pecuniaria jnflitta risulta pur sempre condizionato dall'effettiva entit� del patrimonio del condannato, sia perch�, in caso di effettiva insolvibilit� di costui, non pu� farsi luogo alla espiazione di pena alternatiya, stante l'illegittimit� costituzionale della conversion~. delle pene pecuniarie in pene detentive, dichiarata dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza 21 novembre 1979 n. 131. � 2) Dedotta incompetenza funzionale del Procuratore Generale a promuovere �il giudizio dir�ttissimo e nullit� degli atti istruttori da questi compiuti. Con riferimento all'avocazione ed alla successiva attivit� posta in essere dal Procuratore Generale ih relazione al procedimento per reati valutari originariamente affidato alle cure del Sostituto Procuratore della Repubblica, � stata eccepita la violazione dell'art. 185 n. 2 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 74, 232, 234, 391, 392, ultimo comma e 502 stesso codice; degli artt. 70 e 74 dell'ordinamento giudiziario, nonch� dell'art. 4 del d.l. 4 marzo 1976 n. 31, integrato dall'art. 1 della legge 30 marzo 1976 n. 159. In particolare � stata dedotta la totale illegittimit� della disposta avocazione, in quanto contrastante con la natura eccezionale dell'istituto, non suscettibile di applicazione analogica e, quindi, non utilizzabile. in casi diversi da quelli tassativamente previsti dalla legge .. 1052 RASSllGNA DBU.'AVVOCATURA DF.LLO STATO L'assunto non pu� esere accolto, in quanto postula, in radice, la tesi di una limitata titolarit� della iniziativa penale da parte del Procuratore Generale, tesi contrastante col sistema desumibile dall'art. 112 della Costituzione e dagli artt. 74, 220, 233, 234, primo 'comma, e 392, terzo comma cod. proc. pen. La citata norma costituzionale, infatti, nel sancire l'obbligo incondizionato di esercizio dell'azione penale, fa riferimento comprensivo all'istituto del Pubblico Ministero, cio� ad un organo che secondo le leggi comprende sia il Procuratore Generale che il Procuratore della Repubblica; si riferisce, �io�, al P. M. come istituto organicamente concepito dalle leggi, in sede locale, nel modo che risulta altresl dall'art. 74 cod. proc. pen.; tale norma, proprio con riferimento all'esercizio dell'azione penale, parla anch'essa genericamente di Pubblico Ministero, con ampia accezione comprensiva di entrambi gli organi locali di esso, confermata sia dall'art. 233 cod. proc. pen., che impone al Procuratore della Repubblica di informare il Procuratore Generale presso la Corte d'appello � delle querele, delle denunce ... e di ogni altra notizia di reato � a lui pervenuta, sia dall'art. 234, primo comma, stesso codice, che abilita il detto Procuratore Generale ad esercitare la facolt� attribuita al Procuratore della Repubblica dall'art. 232 cod. proc. pen. di procedere, anche direttamente, ad atti di polizia giudiziaria, ovvero di espletare egli stesso l'istruzione sommaria. (Si tenga conto anche dell'art. 220 cod. proc. pen. circa la contemporanea subordinazione degli organi di polizia giudiziaria al Procuratore Generale e al Procuratore della Repubblica). In tale ultima ipotesi (c.d. potere di sostituzione) al Procuratore Generale sono dunque riconosciuti tutti i poteri preliminari, di iniziativa penale e di istruzione spettanti al J>rocuratore della Repubblica; in pari modo, coerentemente col sistema descritto, gli va riconosciuto di norma quello di avocazione attribuitogli dall'art. 392, terzo comma, cod~ proc. pen. In particolare -per quanto attiene ali~ avocazione ed alla sostituzione -� il caso di sottolineare come, con numerose pronunce (cfr. principalmente C. C. 19/27 novem,bre 1963 n. 148 e 18 marzo/2 aprile 1964 n. 32), la Corte Costituzionale, pur effettuando una parziale revisione delle norme relative, ha riconosciuto, peraltro, la legittimit� costituzionale dei due istituti, in quanto non spostano la competenza di alcun giudice, ma attengono unicamente ai rapporti tra due uffici del Pubblico Ministero e rispondono ad esigenze strettamente connesse al miglior funzionamento dell'attivit� giudiziaria. � Una volta ammessa l'ampiezza dei poteri come sopra riconosciuti dalla legge al Procuratore Generale preso la Corte d'Appello, non sembra a questa Corte che, per escludere la legittimit� dell'avocazione di un giudizio direttissimo' da parte del Procuratore Generale medesimo, possa fondatamente invocarsi il contenuto dell'art. 502 cod. proc. pen., e ci� per le seguenti considerazioni: innanzitutto va rilevato -bench� non PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1053 sia di per s� argomento decisivo -che la detta norma � posta tra quelle che regolano lo svolgimento dei giudizi (Capo IV del libro III) e non tra quelle sopra esaminate che, invece ed esplicitamente, riguardano i poteri e le attribuzioni del P.M. In secondo luogo, nell'art. 502 la menzione del solo Procuratore della Repubblica ha una sua particolare e specifica ragion d'essere, che la rende inestensibile ad altre ipotesi. Nel giudizio direttissimo di cui al detto articolo l'arrestato deve necessariamente essere presentato al Procuratore della Repubblica (art. 244 cod. proc. pen.); � quindi logico che la norma menzioni solo costui, tacendo del Procuratore Generale. Nella materia valutaria si verte in una ipotesi speciale di giudizio direttissimo, introdotta dal legislatore al fine di ottenere, in tale materia, una pi� rapida pronuncia, anche al di fuo~i dei presupposti stabiliti dal citato art. 502 cod. proc. pen., il cui dettato conseguentemente non pu� essere preso come paradigma ad ogni fine. Egualmente, poi, non pu� essere accolta l'eccezione di nullit� degli atti istruttori compiuti nella specie dal Procuratore Generale, formante oggetto di separato motivo di ricorso da parte della Centrale. Sul punto, infatti, non pu� non osservarsi, innanzi tutto, che lo stesso disposto dell'art. 502 cod. proc. pen. prescrive che il Procuratore della Repubblica procede all'interrogatorio, sia pure sommario, dell'arrestato. Come � stato, inoltre, gi� altra volta precisato da questa Suprema Corte (cfr. Cass. 27/6/77, n. 1671 in c. Marini Giorgio), in caso di giudizio direttissimo, il P. M. pu� compiere l'attivit� di acquisizione probatoria strettamente necessaria ai fini della ricerca di sufficienti indizi di colpevolezza. Nel caso di specie �si verte in materia di giudizio direttissimo speciale, voluto dal legislatore per una situazione diversa da quella. contemplata dall'art. 502 cod. proc. pen., e, quindi, anche per casi indiziari; per cui, per esso, pu� diventare addirittura indispensabile -soprattutto nell'interesse degli imputati -l'espletamento di un minimo di attivit� intesa ad accertare l'effettiva presenza di sufficienti indizi di colpevolezza. D'altra parte, non pu� non sottolinearsi la carenza di interesse degli imputati a dolersi del fatto che il loro interrogatorio si sia svolto con tutte le garanzie� di difesa assicurate dall'interrogatorio formale. 3) Violazione del principio di� correlazione tra accusa �e sentenza. In relazione alla contestazione di cui al capo a), si assume dai ricorrenti Tonello, .Zanon e soc. La Centrale la violazione dell'art. 477 cod. proc. pen., sotto il profilo che, mentre con tale contestazione si faceva loro carico di non aver provveduto alla dichiarazione all'U.I.C. ed al rientro in Italia di una disponibilit� valutaria di lire 23.579.574.150 posseduta all'estero dalla Centrale e costituita nel novembre 1975 mediante acquisto di n. 1.110.934 azioni Toro ad un prezzo unitario superiore di lire 21.225 a quello di mercato, con la sentenza di secondo grado, la Corte PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1055' delle azioni Toro del novembre 1975 venne effettuato ad un prezzo unitario di ben 21225 lire superiore-a quello di mercato, � pur vero, peral~ tro, che viene altres� e contemporaneamente detto che, in realt�, k stesse azioni erano state gi� acquistate dalla Centrale sin dal 1973. Il che significa che, fermo rimanendo il centrale e principale addebito circa l'effettiva esis.tenza di una disponibilit� valutaria all'ester0> e circa il mancato rientro di essa in Italia, nonch� la prescritta denuncia all'U.l.C. (e, cio�, la I condotta criminosa prevista e punita dal-l'art. 2 legge n. 159 del 1976), per quanto attiene all'entit� ed alle modalit� relative alla pregressa costituzione di tale disponibilit� valutaria_ vengono, invece, prospet.tate due ipotesi aternative: o che il capitalecostituito all'estero sarebbe rappresentato dalla differenza tra prezzo apparentemente stipulato e-prezzo di mercato del 1975 (ipotesi accolta pal' Tribunale), ovvero dall'intero ammoQtare della valuta esportata all'estero� a titolo di prezzo per il fittizio acquisto del 1975 (tesi accolta dalla Corte d'Appello che, sulla scorta degli atti e delle risultanze processuali, ha. motivatamente spiegato le ragioni di tale decisione). N� -ai fini del decidere -pu� darsi rilievo alla circostanza cher a proposito della apparente intestazione delle azioni a societ� estere,. nel detto capo di imputazione si parla di � vendite fiduciarie �, anzich�di � vendite simulate � effettuate dalla Centrale, palese essendo che -al di l� della impropriet� dell'espressione usata -il concetto ivi espresso� era (ed � quello) di significare che durante tutto il periodo di parcheggio. delle azioni all'estero la titolarit� delle azioni medesime rimase sempre� 1 alla Centrale.-� Ne consegue, quindi, che nessuna violazione del diritto di difesa pu�� essere ipotizzata nella specie, dato che le due ipotesi alternative furono. sicuramente contestate agli imputati sin dalla contestazione originaria e, quindi, gli imputati si trovarono, sin dall'inizio, nella possibilit� di difendersi, sia nei confronti dell'una che nei confronti dell'altra. La violazione dell'art: 477 cod. proc. pen. � stata denunciata anche� dal ricorrente Cappugi sotto il diverso profilo che nell'originario capo. di imputazione di cui al capo b) della rubrica gli sarebbe stata attri-buita la erronea qualifica di appartenente al Consiglio di amministrazione della soc. La Centrale, anzich� quella esatta di Direttore generale� di tale societ� e di Amministratore Delegato della soc. SPARFIN. La censura � del tutto inconsistente, in quanto -a prescindere dalla� considerazione che tale erronea indicazione venne immediatamente corretta nel giudizio di primo grado -l'erronea indicazione della vera qualifica spettante al Cappugi costitu� palesemente una mera inesattezza formale, che in nessun modo pot� pregiudicare i diritti di difesa dell'imputato, 'che non poteva certo ignorare quale fosse la sua effettiva posizione nell'interno delle due societ�. PARTI! I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA P�NALE dall'art. 475 n. 3 cod. proc. pen. e, quindi, deducibile dinanzi alla Suprema Corte, a norma dell'art. 524 n. 3 stesso codice. b) Ricorsi del Procuratore Generale e della Parte Civile relativamente al proscioglimento di Giuseppe Zanon di V algiurata e Mario Valeri Manera (con formula piena), nonch� di Aladino Minciaroni (con formula dubitativa) dal reato di cui al capo b). Anche tale parte dei ricorsi non pu� che essere rigettata, atteso che i relativi motivi -anche se formalmente rivolti a dedurre un'asserita (ma .inesistente) carenza o contraddittoriet� di motivazione -in realt� si risolvono in una serie di critiche circa la valutazione dei fatti e delle prove compiuta dal giudice di merito, contrapponendo ad essa, una diversa valutazione opposta e contraria. e) Ricorsi di Giuseppe Zanon di Valgiurata e di Aladino Minciaroni ayverso i capi della sentenza con i quali venivano giudicati limitatamente ai reati loro rispettivamente �ascritti alle lettere a) e b) del capo di imputazione. I ricorsi -si presentano fondati, in quanto indubbiamente contraddittoria si presenta la motivazione della sentenza adottata dalla Corte a sostegno delle emesse pronunzie di condanna ed assolutoria con formula dubitativa. Ed invero, contraddittoria si presenta la sentenza per quanto attiene alla posizione dello Zarion, dato che i giudici di merito, dopo avere con ampia motivazione (cfr. f. 35 e sgg. e f. 102) precisato che costui sicuramente si indusse alla stipula del patto di sindacato con la Centrale � per non perdere il �ontrollo della Toro Assicurazioni �, nella quale � deteneva il dominio di fatto, graiie al possesso del 25 % delle azioni ordinarie� e dopo aver altres� affermato che l'operazione di acquisto (da parte della Centrale) delle azioni Toro non destinate al patto di sindacato sicuramente si poneva in contrasto con gli obbiettivi dello Zanon, essendo evidente che l'acquisizione, da parte della Centrale, della maggioranza assoluta nella societ�, automaticamente toglieva ogni potere allo Zanon, afferma poi che il detto Zanon avrebbe invece collaborato a far acquisire alla Centrale la detta maggioranza assoluta: e ci� senza spiegare per quali nuove intervenute ragioni lo Zanon avrebbe avuto interesse a partecipare ad una operazione in contrasto con I suoi interessi, ma fondando tale suo convincimento sul solo ambiguo dato che � lo Zanon ebbe ad intermediare la negoziazione delle Toro che dalla SAI pervennero alla finanziaria estera E.P.I., una delle venditrici del 1975 �. � Ora � palese la inidoneit� di tale dato a dimostrare una eventuale coincidenza o identit� di interessi tra Zanon e Centrale, ove sol si consideri che le dette azioni SAI (cui bisogna aggiungere 20.400 azioni Midana) erano solo 40.600 e che, in realt�, tali azioni furono vendute in Italia (nel luglio del 1973) al Banco di Napoli; per cui -in difetto RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1058 di altri e p1u convincenti argomenti -non pu� certo affermarsi con sicurezza che lo Zanon -facendosi intermediatore di tali vendite sapesse verament~ che tali azioni dovevano andare all'estero per essere ivi parcheggiate per conto della Centrale. Egualmente censurabile ' si presenta la sentenza per quanto attiene alla valutazione della posizione del Minciaroni. Ed invero, gi� nella sentenza del Tribunale, l'emessa pronuncia assolutoria con formula . dubitativa non si concilia con la motivazione della sentenza che, sul punto, si limita unicamente a dire che � il fatto che egli fosse presidente della Sparfin con poteri eguali a quelli del!' Amministratore delegato non ha significato probatorio una volta che consti, come consta (tenuto presente il ruolo puramente strumentale della Sparfin) che era stato l'amministratore delegato Cappugi ad operare in concreto e che il presidente Minciaroni aveva avuto notizia dello acquisto del 29 novembre 1976 � solo a seguito del.la riunione del Consigl�o di Amministrazione della Sparfin del 21 dicembre 1976 ed a seguito della relazione ivi fatta dall'amministratore delegato Cappugi. La situazione non. migliora, poi, con la sentenza di . secondo grado. atteso che quest'ultima, . pur affermando che, .in realt�, dagli atti processuali risultava che la persona del Minciaroni � si appalesa del tutto sostituita, nell'ambito della Sparfin, da quella del Cappugi ,., richiama, poi, proprio la posizione del Minciaroni al vertice della societ� per motivare il proprio dubbio e, quindi, l'emessa pronuncia assolutoria con formula dubitativa. Conseguentemente -e limitatamente a tali capi -la impugnata sentenza deve essere annullata per difetto di motivazione ed il giudizio rinviato, per nuovo esame, ad, altra Sezione della Corte d'Appello di Milano. d) Ricorso di Antoni� Tonello, condannato alla pena di anni 1, mesi 6 di reclusione e lire 6 miliardi di multa (oltre pena eccessoria) per i reati di cui ai capi a) e b). Con il proposto ricorso, il Tonello -in aggiunta ai motivi di ricorso sopra esaminati e rigettati -censura la sentenza impugnata per carenza di motivazione in ordine alla sua penale responsabilit� e per violazione degli artt. 40 e 110 cod. pen., nonch� dell'art. 8 decreto-legge 4 marzo 1976 n. 31. Esaminando singolarmente tali motivi, osserva la crirte: -Deduce, innanzi tutto il ricorrente che la motivazione della' sen teriza sarebbe, in realt�,. meramente apparente, in. quanto l'emesso giu dizio di colpevolezza, anzich� su prove, si baserebbe su argomentazioni del tutto generiche e di nessuna forza probante, nonch� su mere con getture. La censura non pu� essere accolta. j i i I ! ~ Z�'.�'.�Z�Z�Z�Z�'.�'.�'.�Z�Z�Z�ZC�'.�'.�Z�"�z�:�:�:�Z�Z�'.�'.�Z�Z� .. �=�����Z'�'. ......., ...........�.z�:�:�:�ZC�>'.�Z�'.�Z�ZCC�'.�:�Z�Z�Z�:�:�Z�ZC�:Mzc-�.�.wm ............�r.-c..................................c.-.....r.-c.,............................................./...........................................;.....,..J PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1059 Ed invero, non pu�, innanzi tutto, convenirsi sull'affermata irrilevanza delle �Considerazioni generali� premesse dalfa Corte d'Appello all'esame dettagliato della posizione dei singoli imputati, in quanto esse -come � stato del resto sottolineato dallo stesso giudice di merito -, pur non potendo da solo costituire base sufficiente per un giudizio di colpevolezza (avendo, comunque bisogno di essere ancorate al � concreto � della fattispecie), si fondano pur sempre su indubbie massime di esperienza, e quindi, in base al criterio della probabilit�, costituiscono sicuramente indizi da poter utilizzare, in concorso con altri indizi o presunzioni, a fondamento di un giudizio di colpevolezza. Del resto, l'indubbio ancoraggio delle menzionate considerazioni di carattere generale alla comune esperienza non sembra che possa essere seriamente negata, ove sol si considera che -come esattamente osservato dal giudice di merito -� proprio in base alla comune esperienza che deve considerarsi normale che in un organismo societario le operazioni pi� importanti siano oggetto di esame, di discussio.e e di preventivi accordi, almeno tra le massime cariche; per cui � difficilmente credibile che una persona posta ai vertici di una societ� e dotata di indubbie capacit� professionali possa effettivamente ignorare il contenuto ,e la portata di tali pi� importanti _operazioni. Ma -e con ci� la Corte passa all'esame del secondo rilievo -nel caso in esame il giudice di secondo grado non ha basato l'emesso giudizio di colpevolezza sulle sole considerazioni generali; ma -come sopra si .� precisato -si � dato cura di confrontare tali considerazioni generali con il � concreto � processuale riguardante la struttura della Centrale, la personalit� del Tonello e la sua, posizione nella societ�, ricavando da tale complesso esame, una serie, non gi� di mere supposizioni, ma di specifici indizi che, visti nella loro globalit�, convergevano univocamente nel dimostrare che l'imputato era perfettamente a conoscenza delle finalit� e della portata delle operazioni Toro e Credito Varesino; � pervenuto, cio�, ad uri giudizio finale di merito che, per essere immune da vizi logico-giuridici, sfugge, come tale, al sindacato di legittimit� di questa Suprema Corte.� Egualmente inconsistenti si presentano i restanti motivi di ricorso. Non � ravvisabile, infatti, la dedotta violazione degli artt. 10 e 110 cod. pen. (denunciata specialmente con riferimento all'imputazione sub a), es�sendo di palmare evidenza che il Tonello, essendo a perfetta conoscenza dei fatti, era anche lui personalmente tenuto -quale vice presidente della societ� -a controllare e ad attivarsi affinch� fossero puntualmente eseguiti gli adempimenti imposti dall'art. 2 della citata legge n. 159 del 1976, avvalendosi, se del caso, dei poteri vicari a lui spettanti di sostituire il Presidente inadempiente e, comunque, chiedendo la immediata convocazione del Consiglio di Amministrazione. --... -------... --........../. -----,. -----,-.,. . ----------------------. -----------------------� ------.-.-.-.-.-.-.-.----� ----.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.�.-.-.-.-.-.�.��'.�'.-'.�:�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�>'.�'.�'.�'.�'.�'.�'. '.~�'.-'.�'.�'. 1060 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N� � a dire che, fino a quando non fosse scaduto il termine fissato dalla legge, il Tonello non aveva motivo di pensare che la prescritta denuncia all'U.I.C. non sarebbe stata presentata, dato che anche la pi� semplice dichiarazione ha pur sempre bisogno di un'attivit� preparatoria. preliminare: attivit� quest'ultima la cui mancanza non pot� non essere notata dal Tonello che, pertanto, ignorandola, dimostr� di essere consenziente nel non far effettuare la dichiarazione. Ne~meno sussiste la denunciata violazione dell'art. 8 d.l. 4 marzo 1976 n. 31, dato che -come � stato gi� precisato da questa Suprema Corte con sentenza 27 aprile 1984, rie. Guarnaccia -a seguito delle modifiche apportate a tale decreto dalla legge di conversione 30 aprile 1976 n. 159, la norma di cui all'art. 8 di tale decreto (conversione delle sanzioni . amministrative in pena accessoria) deve intendersi riferita a tutte le ipotesi criminose previste dal decreto-legge come sopra modificato. e) Ricorso di Giorgio Cappugi. I I Risulta dagli atti che il giudice d'appello ha concesso all'imputato le circostanze attenuanti generiche, dichiarandole equivalenti alla cir! costanza aggravante contestata ex art. 1, quarto comma, della legge 30 aprile 1976 n. 159 e lo ha conseguentemente condannato alla sola pena I pecuniaria prevista (anteriormente alla modifica apportata alla struttura del reato de quo con l'art. 2 della legge 23 dicembre 1976 n. 863) per I il reato-base dall'art. 1, primo comma della citata legge n. 159. Ne deriva, quindi, che, poich� la data del commesso reato deve I essere fissata al 29 novembre 1976, il termine massimo per la sua prei ._scrizione deve -a norma degli artt. 157 n. 5 e 160 cod. pen. -essere ! fissato al pi� tardi al 29 maggio 1984. Consegiiente:mente -dato atto di tale intervenuta causa estintiva del reato e considerato altresl che, nella specie, non pu� trovare appli I cazione il disposto del capoverso dell'art. 152 cod. proc. pen. (non risul tando evidente dagli atti che l'imputato non commise i fatti a lui ascritti o che gli stessi non costituiscono reato) ritiene la Corte di dover pronunciare, per tale causale, l'annullamento senza rinvio della impugnata sentenza. f) Azione risarcitoria esercitata nel processo penale contro il responsabile civile. Contesta, innanzitutto, la s.p.a. la Centrale Finanziaria Generale la propda legittimazione passiva ad essere convenuta nel presente processo in veste di responsabile civile per i fatti-reato addebitati ai suoi amministratori, in, quanto -Cos� assume -in forza del nesso organico sussistente tra gli amministratori e la societ�, la responsabilit� civile di essa La Centrale dovrebbe essere qualificata come � diretta '" mentre presupposto inderogabile per l'assunzione della qualit� di re PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE sponsabile civile nel processo penale sarebbe, invece, la natura �indi retta � di tale responsabilit�. Ed, a sostegno del proprio assunto, invoca il disposto dell'art. 107 cod. proc. pen. (dove si parla di responsabilit� per fatto dell'imputato), nonch�, principalmente, quello dell'art. 185 cod. pen. che, ponendo l'ob bligo del risarcimento del danno a carico del � colpevole � e delle persone � che a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui >>, chiaramente rivelerebbe che alla responsabilit� civile per fatto � pro prio � dell'imputato pu� essere aggiunta esclusivamente quella di sog getti che, pur non essendo colpevoli, sarebbero peraltro tenuti a' rispon dere civilmente del fatto altrui. L'assunto non pu� essere accolto, in quanto non considera che quando nell'art. 185 cod. pen. il legislatore parla delle � persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto dell'imputato �, non ha certo inteso riferirsi ali.a (oltretutto non sempre pacifica) distinzione civilistica tra responsabilit� diretta ed indiretta, ma unicamente preci sare il ben diverso concetto che la responsabilit� civile per il reato si e.~tende oltre la persona del colpevole (penalmente). Il motivo di ricorso non considera, perci�, che l'accoglimento di tale assunto comporterebbe una irrazionale limitazione della portata della norma, il cui fine, invece, � quello di consentire alla persona danneggiata dal reato di portare la sua pretesa risarcitoria non solo contro il � colpevole � del reato, bens� pure contro tutti coloro che, non essendo ritf;:nuti penalmente colpevoli, debbono tuttavia rispondere delle conseguenze dannose del fatto-reato. La stessa sottolineata contrapposizione messa in luce dal ricorrente tra �colpevolezza� (dell'imputato) e �non colpevolezza� (del responsa bile civile) chiaramente si riferisce (e non pu� che rif�rirsi) al concetto penalistico di colpevolezza e non pure a quello civilistico di essa, notorio essendo che, anche in caso di responsabilit� civile indiretta, ricorre spesso un aspetto di colpa. Lo stesso metro vale per l'espressione �fatto dell'imputato�, di cui all'art. 107 cod. proc. pen.; essa deve essere intesa nel senso proprio di � fatto-reato � dell'imputato e non gi�, invece, come fatto-illecito civile del solo imputato. Ulteriore conforto alla esattezza della interpretazione qui accolta viene infine dalla considerazione che l'azipne risarcitoria contro il responsa bile civile in sede penale � sempre stata ammessa nei confronti della Pubblica Amministrazione (cfr. da ultimo Cass. 14 aprile 1981 n. 7231, De Palo; id. 12 febbraio 1981, Cavani), nonostante che, per consolidata giurisprudenza di questa Suprema Cort~ (cfr. Cass. 16 dicembre 1981 n. 693~; id. 10 ottobre 1979 n. 5428; id. 23 maggio 1962 n. 1187; id. 2() �luglio 1953 n. 6934), la responsabilit� per fatto illecito della Pubblica Amministrazione e degli enti pubblici non tragga fondamento dalla norma dell'art. 2049 cod. civ. (responsabilit� indiretta per fatto del pre 1062 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO posto, presupponente una culpa in eligendo od in vigilando del preponente), ma costituisca invece una ipotesi di responsabilit� diretta per fatto proprio ex art. 2043 cod. civ., in quanto dipende dal rapporto organico che lega il funzionario o il dipendente all'ente ed in forza del quale si ha, di fronte ai terzi, identit� tra ente pubblico e dipendente. In via subordinata, la soc. La Centrale solleva altres� questione di legittimit�. costituzionale dei citati artt. 185 cod. pen. e 107 cod. proc. pen., per asserito contrasto con l'art. 24, secondo comma della Costituzione. Ed a tal fine deduce che, una volta riconosciuta la possibilit� di attribuire ad una persona giuridica la posizione di responsabile civile per i fatti addebitati ai suoi amministratori, la detta persona giuriclica si verrebbe a trovare -con enorme pregiudizio per il suo diritto di -difesa -in una duplice antitetica posizione per il medesimo fatto, dato �che -per quanto attiene alla pretesa risarcitoria della parte civile essa non avrebbe altra difesa che quella di far propria la linea difensiva degli imputati, mentre -per quanto attiene ai suoi rapporti diretti con gli amministratori -avrebbe invece interesse a far valere nei loro confronti Una vera e propria azione civile. di responsabilit�. Col suo assunto, il ricorrente intende denunciare un'asserita violazione del diritto di difesa, derivante dalla impossibilit� di far valere in sede penale eventuali azioni di rivalsa, di regresso o di responsabilit� �da parte del responsabile civile nei confronti dell'imputato. La Corte, per�, non pu� che dichiarare la JI1.anifesta infondatezza della sollevata .questione di legittimit� costituzionale. La voluta limitazione delle azioni civili esercitabili in sede penale esclusivamente a quelle per il risarcimento del danno e per le restituzioni avanzate dal danneggiato del reato nei confronti dell'imputato e del responsabile civile non si pone, infatti, in contrasto con la citata norma costituzionale, sia perch� trova il suo ragionevole fondamento nella necessit� di non ampliare eccessivamente l'ambito del processo penale, sia perch� -limitando l'incidenza della controversia civile ivi risolta ai soli rapporti tra parte civile, da un lato, �ed imputato e responsabile civile, dall'altro -non pregiudica in .alcun mod� i diritti di difesa del responsabile civile, dato che fa salva ed impregiudicata ogni e qualsiasi ragione di controversia attinente al rapporto interno tra costui e l'imputato; rapporto interno che ben potr� essere successivamente devoluto alla cognizione del competente giudice -civile. g) Con altro motivo di ricorso, la Soc. La Centrale contesta altres� la legittimazione attiva del Ministero del Tesoro a costituirsi parte -civile nel presente giudizio, sotto il profilo che i reati come sopra con testati agli imputati non lederebbero alcun diritto patrimoniale dello .Stato, ma un mero interesse, non assurgente al rango di diritto sogget _tivo, che si colloca, come tale, fuori dalla sfera di protezione dell'art. 2043 � sgg. cod. civ. PARTI! I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE Pi� in particolare, con tale motivo viene anzitutto criticata la tesi della Corte di merito che ha ritenuto la sussistenza di un danno patrimoniale dello Stato e la conseguente legittimazione attiva del Ministero del Tesoro sotto il triplice profilo del lucro cessante per la sottrazione di un reddito a determinate imposte; del pregiudizio all'equilibrio economico dello Stato, derivante dalla sottraz�one di valuta alla disponibilit� dell'economia nazionale; degli �interventi imposti al Ministero del Tesoro per porre rimedio al conseguente disavanzo della bilancia dei pagamenti. Questo Collegio, pur condividendo in parte le argomentazioni della difesa, non pu� tuttavia che confermare la legittimazione del Tesoro a richiedere il risarcimento del danno derivante dal duplice reato valutario di cui � causa. Ed invero, deve condividersi con la difesa, con riguardo al primo dei detti profili, .l'osservazione che non � detto che le somme indebitamente esportate avrebbero prodotto un reddito sottoponibile a tributi, trattand,osi di una mera eventualit� non certa; soprattutto poi � giusto sostenere che,� a seguito della mancata riscossione di tributi, spetterebbe semmai al Ministero delle Finanze e non a quello del Tesoro far valere la pretesa derivante dalla sottrazione di reddito imponibile. Sotto il profilo del danno arrecato all'economia nazionale, pur sostenuto ad altri fini. anche dall'autorevole giurisprudenza citata dalla Corte di merito, non si pu� che negarne la risarcibilit� in favore del Tesoro, incidendo esso su interessi diffusi in seno alla comunit�, interessi assai cospicui, ma non determinabili n� 'precisabili in alcun modo; non riconducibili inoltre ad una situazione patrimoniale dello Stato che possa dirsi direttamente protetta dall'ordinamento n� lesa dalle azioni in contestazione, interessi comunque non impersonati o rappresentati come tali dall'Amministrazione del Tesoro. � sotto il terzo profilo, invece, quello degli interventi imposti agli organi dello Stato a seguito della ingente sottrazione di valuta alla sua disponibilit�, che pu� dirsi verificato un danno di natura patrimoniale, ricadente sul bilancio del Tesoro, anche se, in sede di liquidazione, la determinazione del quantum � destinata ad incontrare �non lievi difficolt�. Stante il regime di monopolio valutario vigente nel Paese, regime che per il decreto luogotenenziale 17 maggio 1945 n. 331 fa .capo all'Ufficio Italiano dei Cambi (art. 2), allo stesso incombe il compito di mantenere, oltre che controllare, l'equilibrio valutario, attingendo se del caso alle proprie riserve o svolgendo quelle operazioni anche con l'estero che si rendano necessarie all'uopo. L'una e l'altra ipotesi sono �ordinariamente suscettibili di produrre un danno, per la riduzione degli utili sulle riserve e/o per l'acquisto di valuta ad un cambio eventualmente sfa� vorevole. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � bensl vero che tale danno, in entrambe le ipotesi, ricade prima~ riamente sull'U.I:C.; ma esso si ripercu!'.>te necessariamente anche sul Ministero del Tesoro, per il collegamento finanziario stabilito con esso dalla richiamata legge istitutiva~ ed in particolare dagli artt. 8, 9 e 10. Non vale il dedurre che nel caso in esame non sarebbe stata in realt� fornita la prova, piena e convincente, dell'effettiva sussistenza di tale asserito danno, dato che in contrario non pu� non osservarsi che -come � stato ormai ripetutamente precisato, con giurisprudenza eonsolidata, da questa Suprema Corte (cfr. da ultimo, Cass. Civ. 24 febbraio 1982 n. 1169; id. 29 aprile 1981 n. 2630; id. 22 maggio 1980 n. 3379; id. 21 marzo 1980 n. 1911; id. 22 ottobre 1979 n. 5486; Cass. Pen. 21 novembre 1983 n. 798) -ai fini della pronuncia di condanna generica al. risarcimento dei danni, non � necessario che il danneggiato dia la prova della loro effettiva sussistenza e del nesso di causalit� tra questi e l'autore dell'illecito, ma � sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, costituendo la predetta pronuncia una mera declaratoria iuris, da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura che alla stessa esistenza del danno, il quale � rimesso, invece, al giudice della liquidazione. Nemmeno, poi, vale il richiamare l'affermazione (contenuta nella citazione del giudizio per risarcimento del danno erariale instaurato dalla Procura Generale della Corte dei Conti nei confronti del Banco Ambrosiano, quale Banca agente) secondo la -,quale, ove � il Ministero del Tesoro dovesse conseguire in sede penale risarcimento di danni da parte di soggetti dichiarati colpevoli, gli im porti cosl conseguiti dovranno essere detratti dalle somme oggetto di una eventuale condanna che la Corte in questa sede dovesse pronunciare �. 1Trattasi, infatti, del mero richiamo al noto principio di diritto con sacrato nell'art. 1292 cod. civ., in forza del quale quando pi� debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno pu� essere costretto all'adempimento per la totalit�, l'adempimento parziale del debito da parte di uno di essi giova anche agli altri, che rimangono pertanto obbligati al pagamento del solo debito residuo. Egualmente, infine, non pu� essere accolto il quarto motivo di ricorso de L~ Centrale (illegittimit� della sua condanna in relazione al fatto di cui al capo b), in quanto dimentica che -come accertato in punto di fatto dal giudice di merito -le azioni del Credito Varesino, illegitti mamente esportate all'estero, solo apparentemente furono vendute dal gruppo INVEST alla Dunlac, alla Gestivaleur ed alla SA.PI.SA, mentre, in realt�, effettiva acquirente di esse fu proprio La Centrale. In definitiva, e conclusivamente, ritiene la Corte di dovere, per le suesposte considerazioni, dichiarare la manifesta. infondatezza delle sol levate questioni di legittimit� costituzionale; di dover pronunciare l'an nullamento senza rinvio della impugnata sentenza nei confronti di Gior gio Cappugi, perch� il reato ascrittogli � estinto per prescrizione; di do PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE vere, inoltre, ed in accoglimento dei ricorsi di Giuseppe Zanon di Valgiurata e di Aladino Minciaroni, pronunciare l'annullamento con rinvio della medesima sentenza, per difetto di motivazione, limitatamente ai reati rispettivamente ascritti ai detti ricorrenti alle lettere a) e b) del capo di imputazione; nonch�, infine, di rigettare i restanti motivi di ricorso, con ogni conseguenza di legge. (omissis) / - PiARTE SECONDA � I ! I ~ II ! I l i' i I I I ! I i I QUESTIONI L'ACCESSO DEI CITTADINI AI DOCUMENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Introduzione all'incontro-dibattito organizzato dal CEVAR (Centro per la promozione e valorizzazione della ricerca) tenuto presso il C.N.R. il 12 novembre 1984 1. -Introduzione. Nelle dichiarazioni programmatiche del Governo dell'agosto 1983 veniva affermata la necessit� di por m�no ad un complesso di riforme istituzionali quale tema centrale della IX Legislatura. Fra queste, particolare importanza assumeva la riforma della Pubblica Amministrazione lungo la triplice direttiva della democraticit�, dell'efficienza e della semplificazione. In particolare � stata sottolineata l'esigenza di porre fine alla � imperscrutabilit� ... dei comportamenti amministrativi � e di affermare il � diritto del cittadino all'acquisizione di dati e informazioni sul funzionamento dei servizi che lo interessano � in nome di un principio di � trasparenza �. Veniva cos� enunciata la necessit� di introdurre nel nostro ordinamento l'istituto del diritto di accesso ai documenti della Pubblica Amministrazione. Ratione materiae il relativo compito fu affidato, quindi, alla Sottocommissione incaricata dello studio della riforma del procedimento amministrativo, anche se ci� ha comportato un ampliam'ento di competenze in quanto il diritto di accesso, indubbiamente connesso con il procedimento, � concepibile per� anche al di fuori di esso. Esso si pone, infatti, in connessione con tre possibili diritti del cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione: quello di difesa in giudizio, quello di partecipazione al procedimento e quello generico alla informazione. _ Il primo si correla, in particolare, con la regola di giudizio del processo amministrativo e con l'istituto dei motivi aggiunti nonch� con la nota giurisprudenza elaborata in tema di elementi di prova tratti dalla inottemperanza dell'Amministrazione all'ordine di esibizione; il secondo discende da una concezione partecipativa del procedimento amministrativo e da una piena esplicazione in esso del principio del contraddittorio; il terzo, infine, corrisponde ad un principio liberale avanzato di trasparenza che dovrebbe condurre ad una amministrazione � dai cassetti aperti � o � casa di vetro � (naturalmente con eccezioni funzionali di segretezza in campi quali la difesa esterna, l'ordine pubblico interno, la privacy, ecc.). rrll!lllllllllllllllllllllllrtlllllillllll11JlllllllillllllllJIMlllllJI 1.42 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DllLLO STATO In questa sua ultima e pi� comprensiva accezione il diritto di accesso rappresenta il verso di una medaglia che porta sul recto l'istituto del segreto amministrativo discrezionale. Non a caso si � parlato in proposito di un discrimine di civilt�: da una parte quella del diritto di accesso e dall'altra quella del segreto amministrativo. La tradizion� italiana � indubbiamente quella . del segreto e ci� non pu�, d'altronde, costituire taccia di particolare arretratezza perch�, come si vedr� subito, fino a pochissimi anni or sono la situazione era comune a quasi tutti i Paesi del mondo. .<-:� 2.� Il segreto amministrativo, Il problema affrontato dalla Commissione riguarda, dunque, sia pure in chiave positiva, l'attualissimo problema del � segreto � un problema di cui opinione pubblica, dottrina e legislatore italiani hanno di recente avuto varie occasioni per occuparsi. Basti ricordare in �proposito le vicende che condussero alla riforma dei servizi segreti (1), con sostitu~ zione del segreto di Stato al segreto politico-militare e quelle che portarono alla attuazione dell'art. 18 della Costituzione con introduzione del di� vieto penalmente sanzionato di associarsi segretamente (2) e tutto il quadr� di polemiche, di vicende giudiziarie e di dibattiti dottrinali in cui le due normative ora citate si collocano. Non � certo questa la sede per tentare di cimentarsi in quel vero e proprio sesto grado del diritto che � la definizione dogmatica del segreto. Converr� limitarsi pragm�ticamente ad alcune osservazioni. La prima da farsi sembra essere quella �he occorre gui:rrdarsi dalla istintiva valutazione del segreto come valore negativo. Vi sono in realt� dei segreti che esprimono valori positivi, come quello professionale e sono addirittura tutelati a livello costituziOnale, come quello epistolare. Sembra, quindi, di poter dir� che il segreto non � un valore, ma un concetto relazionale polivalente e che acquista dunque un segno positivo, negativo o neutro a seconda dell'interesse a tutela del quale si pone. Cosl il segreto assumer� connotazione negativa quando sia volto a coprire una associazione che abbia per scopo fini politici; sar� indifferente per l'ordinamento quando i fini di quella stessa associazione siano non politici; assumer� un valore positivo quando sia volto a proteggere un interesse giuridico tutelato, quale� ad esempio, quello della riservatezza o quello al corretto svolgimento di una funzione. Cos� accade, ad esempio, per il segreto istruttorio nel processo penale, essendo tale segreto finalizzato, secondo la concezione tradizionale, a garantire la funzionalit� del processo stesso. {1) Legge 14 ottobre 1977, n. 801. {2) Legge 25 gennaio 1982, n. 17. PARTE II, QUESTIONI Sullo stesso piano del segreto istruttorio penale si pone, nella nostra tradizione, il segreto amministrativo: garanzia, secondo una tradizionale dottrina modellata sugli schemi francesi, non solo di � tranquillit� del funzionario �, ma anche di efficacia dell'azione amministrativa. Secondo tale tradizionale dottrina �il diritto comune � il segreto, l'accesso l'eccezione �, e � l'autorit� si afferma nella misura della distanza cui � tenuto l'interessato� (3).� \ 3. -Cenni storici e di diritto comparato. Una tale affermazione di un potere generale di segretazione discrezionale attribuita, fino a tempi r~ntissimi. all'amministrazione nei confronti del cittadino � valida -quanto meno a livello di diritto di accesso indifferenziato (e cio� non correlato con un processo o con un procedimento) -per tutti i Paesi del mondo con due sole eccezioni, delle quali l'una prova troppo e l'altra non abbastanza. La prima � quella della Svezia che, con l'eccezione di una breve parentesi a cavallo tra il 700 e 1'800, riconosce un diritto di accesso generalizzato ai cittadini sin dal 1766 (4). Ma, si sa, in materia di democrazia avanzata, la Svezia suole essere un � ellfant prodige � ed ogni comparazione con essa risulta scarsamente producente. La seconda eccezione � quella degli Stati Uniti d'America in cui si � da sempre affermato, con riferimento al primo emendamento della Costituzione, il � rigl;lt to know �. Sta di fatto, per�, che alla generale affermazione di principio (5) non corrispondette, fino al 1967, negli Stati . Uniti, un effettivo diritto di accesso, s� che il famoso � right to know � doveva considerarsi nulla pi� che uno slogan giornalistico (6). La prima timida regolamentazione la si trova, infatti, nella legge generale di procedura del 1946 (7) nella quale, peraltro, il diritto di accesso. aveva le seguenti notevolissime limitazioni: era riconosciuto soltanto ai diretti interessati, a fronte della richiesta di accesso l'Amministrazione poteva opporre un segreto desunto da clausole generali quale � l'interesse pub (3) M. J. C. Bo,ULAIU>, Rapporto nazionale sulla Francia in � Le Secret Administratif dans les Pays d�v�lopp�s, Institut Intemational .des Sciences Administratives, Cujas 1977, J.70. (4) M. SIGVARD HoLSTAD, Rapporto nazionale sulla Svezia, in � Le Secret Administratif �, cit., 55 ss. . (5) Dettata pi� che altro da una diffidenza nei riguardi dell'Amministrazione inesistente nel Vecchio Continente .e ispirata dal ricordo di un �privilegio della Corona� sentito come odiosa sopraffazione: cfr. A. HmumoNNBR, Prefazione al � Secret Administratif �, oit. (6) B. ScHWARTZ, Administrative Law -A. Casebook, Little Brown and Company, Boston and Toronto, 1982, 239. (7) Federai Administrative Procedure Act, 11 giugno 1946. 144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA l>Ef.to STATO blico � e la � confidenzialit� � della notizia; non era prevista, infine, alcuna possibilit� di ricorso al giudice ~vverso la decisione amministrativa di segretazione (8). -$i pu�, dunque, concludere che negli Stati Uniti d'America, anche dopo il 1946 (e, come si vedr�, fino al 1967), sotto l'egida di una formale enunciazione del diritto di accesso vigeva il principio del segreto amministrativo. In Europa, poi, con quell'unica eccezione svedese sopra citata, fino a pochissimi anni fa alla disciplina sostanziale si accompagnava anche l'enunciazione teorizzata dal principio del segreto amministrativo discrezionale. Il che non deve, d'altronde, stupire, quando si pensi a tutta una serie di circostanze e di fattori. Alla vischiosit� delle prerogative reali, innanzitutto: l'ammiilistrazione del monarca assoluto era stata istituzionalmente una amministrazione segreta. Logico, quindi, che tale caratteristica sia stata conservata -per tradizione e per comodit� anche dopo la fine dell'� Ancien R�gime �. Secondo importante fattore � la limitatezza delle funzioni assunte al suo nascere dallo Stato liberale: esso era, infatti, uno �Stato carabiniere� con compiti limitati a settori -quali la difesa, l'ordine pubblico e simili -in cui il segreto appariva funzionalmente giustificato (tanto che ancora oggi esso � conservato come tale -seppure in via di eccezione -anche nelle pi� avanzate legislazioni sull'accesso). � logico quindi che. esso venisse mantenuto anche dopo il passaggio dallo stato liberale allo stato sociale, e quindi dopo l'avocazione alla mano pubblica di funzioni con cui il segreto appariva meno o per nulla congruente, in virt� di tradizione e di isteresi burocratica. Un terzo aspetto da considerare � che prima della rivoluzione tecnologica portata da macchine da scrivere, fotocopi~trici e simili, il documento amministrativo era un prezioso e costoso esemplare unico da proteggere gelosamente con una disciplina che, per traslato, si estendeva dall'oggetto alle notizie in esso contenute. 4. -L'evoluzione europea. Nell'evoluzione europea della disciplina del diritto di accesso, possiamo riconoscere tre tappe logiche (e temporali) fondamentali. Nella prima, l'area coperta dal segreto amministrativo discrezionale era praticamente indefinita e si estendeva a tutti i casi non diversamente regolati con norme espresse. Era questo il regime vigente fino a pochissimi anni fa, ad esempio, in Italia (9) ed in Francia (10) dove (8) M. MICHAEL JAY SINGER, Rapporto Nazionale sugli U.S.A., in �Le Secret Administratif � cit., 322. (9) A. M. SANDUU.I, Documento, voce Enc. dir. (10) Consiglio di Stato francese, Botton, 7 giugno 1935, Miara 21 luglio 1950 e Gauthier 12 marzo 1954. PARTB U, QUESTIONI 1.4) solo l'azione evolutiva della giurisprudenza introdusse -in sede di giustizia amministrativa -un diritto di accesso funzionalizzato al diritto di difesa (11). In altri Paesi l'area del segreto amministrativo era gi� da tempo invece, limitata ai soggetti non interessati, in quanto l'accesso era riconosciuto in linea di principio da normative generali sul procedimento introdotte a partire dal tempo fra le due guerre e che contemplavano il diritto dei privati alla partecipazione al procedimento stesso (Austria, Germania, Jugoslavia, Polonia e in genere Paesi dell'Est europeo) (12). La linea di tendenza di ammettere un diritto . di accesso dell'interessato agli atti del procedimento ha fatto poi breccia pi� di recente -pur in carenza di normativa sul punto -anche nei Paesi in cui la tradizione del segreto amministrativo era pi� fortemente radicata come la Francia e l'Italia (13). L'ultima tappa � quella della piena� liberalizzazione, cio� dell'affermazione di un diri.tto all'accesso limitato soltanto da espressi divieti, con configurazione, quindi, di un diritto all'informazione limitato soltanto dalla tutela di altri diritti o valori con esso confliggenti, quali sicurezza interna, difesa esterna, privacy, ecc. :S il caso di tutti i Paesi scandinavi che in questo dopoguerra si sono, in date varie, adeguati alla normativa svedese (14) e della Francia a partire dal 1978 (15). 5. -L'esperienza francese. La sottocommissione incaricata dello studio della riforma del procedimento, per quanto riguarda il problema dell'accesso, si � mossa sulla falsariga dell'esperienza francese e americana, predisponendo un testo dishiaratamente sperimentale. Cos� le prove fatte oltr'Alpe, come quelle �effettuate oltre Atlantico, hanno dimostrato, infatti, la necessit� di procedere ad aggiustamenti e correzioni di tiro nell'introduzione di una normativa che innova cos� radicalmente. Per cominciare con l'esempio francese, giover� notare, in proposito, che l'originaria legge 17 luglio 1978 n. 753 richiedette delle modifiche ad appena un anno di distanza dalla sua �entrata in vigore (legge 11 luglio 1979, n. 587). (11) Consiglio di Stato francese, Barel, 28 maggio 1954; Consiglio di Stato italiano, VI, 22 aprile 1969, n. 205. (12) G. PASTORI, La Procedura Amministrativa, Neri Pozza, Vicenza 1964, passim. s. BERENYI, T. G. NAGY e M. Pm'ROVIC: Rapporti nazionali ungherese e jugoslavo in u Le Secret Administratif ,. oit. (13) Consiglio di Stato francese, Rousselot 17 dicembre 1971. Consiglio di Stato italiano, Ad. Plen. 10 giugno 1980 n. 22. (14) T. MODEEN, N. EILSCHOV�HOLM, A. FRIHAGEN, Rapporti nazionali finlandese, danese e norvegese in u Le Secret Administratif � cit. (15) Legge 17 luglio 1978, n. 753. RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 146 Il meccanismo della legge francese che si apre -nel testo novellato con la enunciazione del riconoscimento � a chiunque � del diritto di accesso, � fondato s~ una distinzione tra atto nominativo e non nominativo, su di una elencazione tassativa dei casi in cui pu� essere opposto iil segreto al richiedente (e che riguardano i soliti casi di difesa nazion!tle, sicurezza interna, privacy, ecc.) e sulla piena tutela giurisdizionale garantita .al cittadino nei confronti del rifiuto di accesso dinanzi al giudice amministrativo. Elemento caratteristico della normativa francese � l'istituzione di una Commissione dell'accesso: organo collegiale incaricato di vigilar~ sul rispetto della legge, di rendere pareri su richiesta delle Amministrazioni o di cittadini (16) ed infine di redigere un rapporto annuale sulla applicazione della legge. L'esperienza sin qui maturata ha dimostrato una forte resistenza dell'amministrazione francese di fronte all'esercizio del diritto all'accesso: il parere della Commissione in caso di rifiuto ha dato, infatti, ragione al cittadino in circa il 90 % dei casi (circa 300 annui) e molte volte la semplice adizione della Commissione � bastata per indurre l'Amministrazione a consentire l'accesso richiesto (17). 6. -L'esperienza americana. Negli Stati Uniti d'America il diritto di accesso, nel pi� comprensivo senso del termine, fu effettivamente introdotto soltanto con il Freedom of Information Act (18) che introdusse i seguenti principi: -riconoscimento a tutti del diritto di accesso a qualunque docu mento identificabile dietro pagamento di un � diritto � non quantificato, fatti salvi soltanto nove tipi di notizie tassativamente elencati; -attribuzione al richiedente che si veda rifiutata una notizia di un'azione dinanzi al giudice che pu� emettere ingiunzione nei confronti dell'Amministrazione; -capovolgimento del principio di presunzione di legittimit� del l'azione amministrativa: compete infatti all'Amministrazione provare la legittimit� del diniego e non al richiedente provare la fondatezza della sua richiesta; (16) La richiesta di parere da parte del cittadino � condizione di ammissibilit� del ricorso giurisdizionale: Consiglio di Stato francese, Commaret, 19 febbraio 1982. (17) D. JANICOT, L'acc�s aux documents administraft (Premies rapport d'activit� de la Commission d'acc�s a�x documents administratifs .1979-1980), La documentation fran�adse,' Parigi,. 1981. (18) F.O.LA. approvato il 4 luglio 1967. 147 PARTI! II, QUESTIONI -particolare disciplina della,� judicial review � azionata in subiecta materia dal privato e non limitata ad un giudizio di tipo cassatorio ma consistente in un riesame completo (de novo) della questione; -procedura d'urgenza prevista per la � judicial review � stessa . . L'Act fu emendato nel 1974-1975 (19) e le modifiche rivelano in modo assai chiaro quali disfunzioni si fossero verificate. La novella del '75 introdusse, infatti, le seguenti innovazioni: -Determinazione, per i diritti di copia, del tetto di un ragionevole standard di costo vivo, con libert� per l'Amministrazione soltanto di ridurlo. -Previsione per l'Amministrazione di un termine di 10 giorni per rispondere alla richiesta di informazioni con atto ricorribile gerarchicamente al Capo dell'Amministrazione, tenuto a decidere nei venti giorni successivi. Il mancato rispetto dei termini di cui sopra � stato equiparato all'esaurimento delle vie di . ricorso amministrative con conseguente accedibilit� alla � judicial review �, salv� la facolt� per il giudice, in �casi particolari, di accordare all'Amministrazione un termine di grazia nel corso del giudizio. -Espressa previsione -nell'ambito del riesame de novo -del potere del giudice di esaminare in Camera di Consiglio tutti i documenti e di decidere quali -o in quale parte -siano .ostensibili. -Obbligo dell'Amministrazione di. costituirsi in giudizio -esponendo le sue ragioni nei 30 giorni successivi alla notifica dell'atto introduttivo. -Possibilit� per il giudice di� condannare l'Amministrazione alle spese di lite. -Trasmissione degli atti all'Amministrazione� per l'inizio dell'azione disciplinare in caso di condanna alle spese di lite e se il rifiuto di documenti sia stato ritenuto � arbitrario � o � capriccioso �. /:.._ Obbligo di porre in calce ad ogni dinie~ di informazione nomi e qualifiche dei funzionari resppnsabili. -La principale eccezione al diritto di accesso, che nel testo origi� nario veniva individuata nelle materie che dovevai;io �rimanere segrete nell'interesse della difesa nazionale o della politica estera su � ordine dell'Esecutivo �, risult� radicalmente trasformata dalla novella del '75, che concesse al giudice il potere di sindacare se la � segretazione � corrisponda effettivamente a criteri generali previamente stabiliti d�ll'Esecutivo nell'interesse della difesa nazionale e della politica estera. (19) Emendamento approvato il 19 febbraio 1975. 1.48 RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DELLO STATO Nel 1981 la prima Amministrazione Reagan propose sostanziali modifiche al F.O.I.A. In particolare, per quanto riguarda la segretazione da ultimo considerata, la proposta mirava a restringere i poteri del giudice a quelli classici della � judicial review � con esclusione del de novo standard. L'ingiunzione di esibizione sarebbe prevista, infatti, soltanto. in caso di rifiuto � arb�\rario � o �capriccioso�. La proposta prevedeva inoltre due ulteriori eccezioni al diritto di accesso, la libert� per le Amministrazioni di rispondere alle richieste non in termini perentori ma nel � tempo ragionevolmente necessario � e la facolt� per le Amministrazioni di pretendere il rimborso dell'intero costo del servizio di ricerca e copia. Non consta se tale proposta abbia avuto un seguito. Essa appare tuttavia indicativa di quel che si ritiene essere il mal funzionamento della legge sul versante dell'autorit�. 7. -Il progetto di disegno di legge italiano predisposto dalla Sottocommissione. Il progetto si apre con una enunciazione� di principio consistente nel riconoscimento � a tutti � del diritto di accesso ai documenti ammini. strativi al f�.nel di assicurare la libera circolazione delle informazioni, la trasparenza e lo svolgimento imparziale dell'attivit� amministrativa. Sono inoltre precisati l'oggetto del diritto (individuato in ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti formati dalla pubblica amministrazione o comunque utilizzati ai fini dell'attivit� amministrativa) ed i soggetti nei cui confronti esso si eserciti, individuati nelle amministrazioni dello Stato, ivi comprese le Aziende autonome e gli Enti pubblici e nei Concessionari di pubblici servizi. Le modalit� per l'accesso sono state disciplinate attraverso la previsione di una pubblicazione di tutti gli atti a carattere generale e attraverso la possibilit� per il pubblico di prendere visione dei documenti e di estrarne copia a prezzo di costo. �Le eccezioni al diritto di accesso sono state tassativamente elencate con riferimento ai classici valori della difesa nazionale, della sicurezza int~rna, della riservatezza, ecc. La tutela giurisdizionale dell'accesso � stata prevista attraverso l'obbligo di motivazione del rifiuto, del differimento e della limitazione di esso con previsione di una procedura a termini abbreviati dinanzi al . giudice amministrativo. Ad esso viene attribuita competenza in sede di giurisdizione esclusiva estesa al merito ed il potere di prendere riservatamente visione di ogni documento necessario alla pronuncia, ad eccezione di quelli coperti dal segreto di Stato. Sulla falsariga dell'esempio francese � stata inoltre prevista l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio, di una Commissione per l'accesso ' f�: f f ~� > ......,~ 149 PARTE II, QUESTIONI con il compito di vigilare sulla osservanza della legge, rendere pareri alle Amministrazioni interessate, formulare raccomandazioni, riferire annual-. mente alle Camere e alla Presidenza del C�nsiglio dei Ministri, formulare proposte di modifiche legislative o regolamentari atte ad assicurare la effettivit� del diritto all'accesso. In considerazione del carattere fortemente innovativo della legge e dell'esperienza effettuata in altri Paesi, in cui a breve distanza di tempo si son.o rese necessarie modifiche, il progetto stesso � stato concepito in forma sperimentale ed � stato quindi� espressamente previsto che, a tre anni dall'entrata in vigore della legge, il Presidente del Consiglio dei Ministri, sulla base dei rapporti della Commissione, riferisca al Parlamento e proponga le modifiche eventualmente necessarie. IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA - I I I I I I! ~ RASSEGNA DI DOTTRINA INDICE -SOMMARIO DELLE RECENSIONI DI ARTICOLI DIRITTO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO M. CERCHIARA: Normativa italiana sull'incameramento della cauzione per pagamenti anticipa# ed ordinamento comunitario. DIRITTO COSTITUZIONALE G. ILLUMINATI: Obbligo di testimoniare del tossicodipendente e diritto di difesa. G. MANGIA: Nota redazionale a Pretura Palestrina 20 ottobre 1983. D. REsTA: Magistratura, Potere politico e attivit� di indirizzo politico. A. VIRGILIO: Decisioni giurisprudenziali e provvedimenti legislativi. DIRITTO AMMINISTRATIVO A. ANGIULI: Silenzio-assenso in materia di concessioni edilizie e provvedimenti cautelari del giudice amministrativo. G. BERLIRI: La giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di giurisdizione contabile. D. BONAMORE: La �parit�" per le scuole non statali (art. 33 Cost.) in rapporto al servizio dei docenti. F. CARINCI: Fenomeno burocratico e anzianit� di servizio. S. CASSARINO: Tendenze riformatrici della giustizia amministrativa. S. CASSESE: Le ingiustizie della giustizia amministrativa. N. COVIELLO: Contributo allo studio dell'espropriazione per motivi di interesse generale. F. GARRI: Il giudizio di ottemperanza. C. ME!..IDORO: Alcuni particolari aspetti pubblicistici e privatistici nella contrattazione amministrativa. D. RESTA: Alcune osservazioni in margine al sistema delle partecipazioni pubbliche. G. SANVITI: Limiti e alternative della giurisdizione amministrativa. 17 1J2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO A. ScHREIBER: Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di tutela delle minoranze linguistiche. G. VACIRCA: Atti amministl"ativi di scelta del procedimento di contrattazione e tutela giurisdizionale. ACQUE ED APPALTI A. CLARizu: Associazione temporanea tra imprese e consorzi nell'esecuzione delle opere pubbliche: profili amministrativistici. A. ScoLA: Riflessioni in tema di interessi per ritardato pagamento, rivalutazione dei prezzi e collaudi negli appalti pubblici. DIRITTO E PROCEDURA CIVILE F. CIPRIANI: La sospensione del processo civile per pregiudizialit�. F. CIPRIANI: Omessa sospensione per regolamento di giurisdizione e potere del giudice dell'impugnazione. G. CosTANTINO: Note sulle forme di tutela espropriativa dei crediti assistiti da garanzie mobiliari specifiche. A. IACONO: L'ordinanza di rilascio di immobile locato e l'estinzione det processo. R. l.ANZILLO: I contratti di fornitura di elaboratori elettronici. F. MAZZARELLA: Sull'efficacia e l'impugnabilita dei lodi dopo la legge di riforma del 9 febbraio 1983. A. NICITA: Note sulle forme di chiusura della procedura di amministrazione straordinaria. G. PERA: Sulla costituzionalit� o no del decreto-legge del govern� Craxi sulla contingenza. VARIE P. GALLERANI MONACI: Il centro elaborazione dati presso il Ministero dell'Interno. Problemi e prospettive. PARTE ll, RASSEGNA DI DOTTRINA tn DIRITTO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO MAURIZIO CERCHIARA, Normativa italiana sull'incameramento della cauzione per pagamenti anticipati ed ordinamento comunitario, in Giustizia Civile, maggio 1984, pp. 1633-1635. Alla luce della recente giurisprudenza comunitaria e nazionale si indaga sulla cortetta interpretazione da dare al termine � importazione ,. di cui alla legge n. 1126/52 e sulla compatibilit� di detta normativa con l'ordinamento comunitario; si svolgono, infine, alcune considerazioni sulla portata del d.m. 4 agosto 1982 (M. Salvatorelli) DIRITTO COSTITUZIONALE GIULIO ILLUMINATI, Obbligo di testimoniare del tossicodipendente e diritto di difesa, in Giur. Cost., fase. 9 novembre 1983, pp. 1832-1840. Nella nota alla sentenza del 5 ottobre 1983 della Corte Costituzionale, l'Autore richiama l'attenzione sull'art. 82 della legge n. 685 del 22 dicembre 1975 (la c.d. legge sugli stupefacenti) che impone al tossicodipendente prosciolto il dovere di testimoniare anche quando debba rivelare il nome di coloro che gli hanno fornito la droga. Da tale norma, infatti, deriverebbe una inaccettabile compressione del diritto di difesa del tossicodipendente prosciolto non per la semplice imposizione dell'obbligo di t�stimoniare, di per s� solo non lesivo del principio nemo tenetur edere contra se, ma �perch�, sotto il profilo del principio di eguaglianza sancito nell'art. 3 Cost., al medesimo appare negata o fortemente ridotta una tutela che peraltro trova fondamento nell'art. 24 della Costituzione. Problema centrale � quindi quello di conciliare le esigenze di accertamento dei fatti e il rispetto del diritto di difesa. Problema cui forse potrebbe offrire una soluzione la diversa disciplina adottata nel progetto ,preliminare del nuovo codice di procedura penale: l'art. 189 secondo comma stabilisce che il testimone non ha l'obbligo di rispondere alle domande quando ci� potrebbe fare emergere una sua responsabilit� penale. (N. Palmieri) GABRIELLA MANGIA: Nota redazionale a Pret. Palestrina 20 ottobrfi 1983, in Giur. Cost., fase. 9 novembre 1983, pp. 2239-2246. Nella nota si pone in risalto come la giurisprudenza, ancora una volta, ribadisca che l'attivit� privata di trasmissione radiotelevisiva, che si svolga su scala sostanzialmente nazionale, � contra legem e il relativo esercizio � penalmente sanzionato dall'art. 195 d.P.R. n. 156 del 1973 (cosi come modificato dall'art. 45 legge n. 103 del 1975 e dalla sentenza n. 202 del 1976 della Corte Costituzionale). Dopo aver sottolineato la uniformit� dell'indirizzo giurisprudenziale in tale materia -collocandosi anche questa decisione nel solco gi� tracciato dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 148 del 1981 -si rileva come, al if4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO contrario, la dottrina appaia divisa: per uri.a parte di essa infatti, almeno fino a quando il legislatore statale non intervenga con una apposita disciplina, si deve ritenere vigente un regime c.d. di � libert� di antenna �, Ribadito, per�, che a tutt'oggi il territorio regionale costituisce ancora il limite massimo di \) espansione consentito alle emittenti private, stante il monopolio pubblico relativo all'attivit� di trasmissioni radiotelevisive su scala nazionale, l'Autore richiama dottrina e giurisprudenza sugli ulteriori punti esaminati -dalla sen tenza: ruolo delle Regioni nel sistema dei controlli in riferimento all'esercizio della attivit� radiotelevisiva privata; competenza della P.A. nell'assegnazione delle frequenze; necessit� della autorizzazione per l'esercizio delle emittenti priv<i.te in ambito locale; rapporti tra emittenza pubblica e privata. (N. Palmieri) DOMENICO REsTA, Magistratura, Potere politico e attivit� di indirizZo politico, in Il Consiglio di Stato, 1984, n. 5 (maggio), p. 709 e ss. Dopo talune considerazioni generali, viene esaminato il rapporto fra Magistratura e Potere politico nella Costituzione. Seguono poi considerazioni sul ruolo assunto dal �Consiglio Superiore della M;agistratura dopo la pi� recente legge di riforma. Da ultimo viene affrontato il quesito se nell'esercizio della funzione giuri sdizionale possa ravvisarsi una forma di partecipazione alla funzione politica. (G. Lancia) ALBERTO VIRGILIO, Decisioni giurisprudenziali e provvedimenti legislativi (nota a Cass. 31 maggio 1984 n� 3316) in Foro Italiano n. 6, giugno 1984, I, 1492. L'autore, prendendo spunto dalla decisione della 1S.C. di Cassazione sulla nota vertenza relativa alla determinazione delle retribuzioni di tutte le magi� strature, critica il proposito, da pi� parti manifestato, di non dare esecuzione al giudicato cosi formatosi, attraverso il ricorso al diniego ad adottare i necessari atti di autorizzazione alla spesa, stante la insufficienza di fondi nel bilancio dello Stato. Viene censurato_ altres� il ricorso alla , interpretazione autentica della normativa applicata in sede giudiziaria al fine di attribuirle un significato diverso da quello di cui alla sentenza annotata. (E. Figliolia) DIRITTO AMMINISTRATIVO ANNAMARIA ANGIULI, Silenzio-assenso in materia di concessioni edilizie e prov� vedimenti cautelari del giudice , amministrativo in i'.A.R., febbraio 1984, parte Il, pp. 71-85. Alla luce delle innovazioni normative (legge 25 marzo 198� n. 94) e della recente giurisprudenza amministrativa in tema di tutela cautelare, � si esami" �-�.x_._m� *-xllXx�x;:::: . . @ x .., . ..,.;.� PARIB II, RASSEGNA DI DOTTRINA 1.Jf nano le varie ipotesi configurabili nel caso in cui, successivamente ad una pronunzia sospensiva (o di diniego) in sede cautelare, sia rinnottata una istanza di concessione (uguale o difforIIij') dalla precedente) sulla quale la Autorit� amministrativa competente lasci perfezionare il silenzio-assenso; si considerano, in particolare, gli strumenti posti in tal caso a disposizione del controinteressato, e si configura un obbligo della P.A. � di pronunciarsi espressamente sulla nuova istanza. (M. Salvatorelli) GIUSEPPE BERURI, La giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di �giurisdizione contabile, in Il Consiglio di Stato n. 4 (Aprile) p. 541 e ss. L'Autore, premesse t~une considerazioni sulla responsabilit� dei pubblici dipendenti, esamina le questioni relative all'ambito della giurisdizione della Corte dei Conti, riportando la giurisprudenza costituzionale in materia. Vengono poi indicati i principi costituzionali dei giudizi di conto e di responsabilit�. (G. Lancia) DANIELE BoNAMORE, La parit� per le scuole non :;tatali (artt. 33 Cost.) in rapporto al servizio dei docenti (nota a ord. T.A.R. Friuli-Venezia Giulia n. 50 dell'll aprile 1983), in Foro Amm.vo n. 1 -gennaio 1984 p. 130 ss. Prendendo spunto dall'ordinanza con la quale il Tribunale Amministrativo ha rimesso all'esame della Corte Costituzionale l'art. 1 d.l. 19 giugno 1970 n. 370 per possibile contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'Autore esamina il quadro della normativa vigente in materia di scuole non statali, rilevandone la vetust� e la non completa rispondenza alla previsione della Carta Costituzionale (art. 33), che prevede esclusivamente l'istituto della �parit�'" senza distinzione fra � parificazione� e � pareggiamento�. Osserva inoltre come gli � attuali due tipi di scuola non statale, oltre a svolgere funzione sostanzialmente identica a quella della scuola statale, sono dalla costante prassi applicativa dcl competente Ministero del tutto assimilate fra di loro. (A. D'Elia) FRANCO CARINCI, Fenomeno burocratico e anzianit� di servizio, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 1984, 2, 437-507. L'Autore analizza il fenomeno burocratico (assumendo come pw1te di riferimento la c.d. variante pura di W�ber e la critica di Crozier) e la tipologia dell'anzianit� di servizio sulle tracce della distinzione, propria della esperienza collettiva nord� americana, fra� � competitive status seniority � e � benefit seniority '" alla� quale corrisponde grosso modo, la distinzione tra anzianit� di servizio relativa ed assoluta, delineandone la diversa rilevanza . nel pubblico impiego. L'A. ricostruisce, infine, il quadro generale della vicenda del pubblico impiego fino alla stabilizzazione del 1923. (G. Lancia) 1J6 RASSEGNA DllLL'AVVOCATURA DELLO STATO SEBASTIANO CASSARINO, Tendenze riformatrici della giustizia amministrativa� in Italia, in Foro Amm.vo n. 1 -�gennaio 1984, p. 259 ss. Premesso un cenno storico all'evoluzione del sistema giurisdizionale amministrativo italiano dalla formazione dello Stato unitario fino alla Costituzione repubblicana, l'Autore esamina le innovazioni ni� importanti realizzate negli ultimi decenni, tutte intese allo sfoltimento ed alla semplificazione del complesso di organi giurisdizionali. Rileva poi il perdurare di una disorganicit� sostanziale del sistema, nonch� l'incertezza dei criteri su cui si basa la distinzione fra le due sfere giurisdizionali ed i problemi che si pongono nel concreto ricorso alla tutela. Auspica, infine, l'avvento di una riforma istituzionale di larga portata, che semplifichi la ripartizione delle competenze fra i due ordini giurisdizionali. (A. D'Elia) SABINO CASSESE, Le ingiustizie della giustizia amministrativa italiana, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, 2, 422-36. Si tratta della relazione che l'Autore ha tenuto alla Tavola rotanda diAix- en-Provence su � Administration et administr�s; les insuffisances du contr�le jurisdictionnel et des modes de protection non jurisdictionels" (21-22 otto �, bre 1983); relazione nella quale, ad un lucido esame delle carenze dell'attuale sistema giudiziario amministrativo, si accompagna l'analisi dei tipi di controllo non giurisdizionale e di � controllo-partecipazione� che il soggetto privato pu� esercitare sull'operato della P.A. (G. Palmieri) NICOLA COVIELLO, Contributo allo studio dell'espropriazione per motivi di interesse generale, in Riv. Amministrativa 1984, 304 ss. Prendendo spunto dalla nota sentenza n. 223/83 della Corte Costituzionale in tema di indennizzo, "l'Autore esamina alcuni profili, in materia di espropriazione, tra i quali l'applicabilit� dell'Istituto ai beni pubblici ed il possibile contenuto espropriativo degli strumenti urbanistici. La nozione elaborata dalla Corte Costituzionale di indennizzo come � serio ristoro � viene poi analiticamente esaminata, con particolare riferimento alla ipotesi della c.d. � espropriazione parziale�. (V. Nunziata) FRANCESCO GARRI, Il giudizio di ottemperanza, in Foro amministrativo, n. 1, gen �naio 1984, p. 265 ss. Dopo aver sottolineato la centralit�, sotto molteplici aspetti, del problema astratto dell'ottemperanza, l'Autore compie una diffusa analisi dei profili istituzionali e strutturali del giudizio di ottemperanza nel sistema positivo, nonch� dell'elaborazione giurisprudenziale compiuta nella materia. PARTE II, RASSEGNA DI OOTTRINA 1J7 Si riporta fl sommario: 1. -Delimitazione del tema. 2. � Cenni sul � conformarsi � alle sentenze del giudice ordinario. 3. � Giudizio di ottemperanza e comportamento dell'Amministrazione dopo la sentenza di annullamento del giudice amministrativo. 4. � Giudizio di ottemperanza e tutela dell'interesse sostanziale del ricorrente. 5. � Giudizio di ottemperanza e immanenza del potere amministrativo. 6.� Nuova disciplina in adempimento del giudicato e impugnativa. 7. � Effettiva tutela del ricorrente e tempi dei giudizi amministrativi, l'adempimento delle ordinanze di sospensione. 8. � La pubblica amministrazione in stato di accusa e tutela dell'interesse pubblico. (A. D'Elia) CARMINE Mm.moRO, Alcuni particolari aspetti pubblicistici e privatistici nella contrattazione amministrativa, in T.A.R., marzo, 1984, parte II, pp. 123-144. -.. Nell'ambito del fenomeno delle attivit� di diritto privato della pubblica Amministrazione, si passano in rassegna alcuni dei problemi di maggior momento ove si manifesta la tendenza a non applicare, nei confronti dell'ente pubblico, �l diritto comune. In particolare si affrontano i temi della responsabilit� precontrattuale, delle c.d. clausole vessatorie contenute nelle condizioni generali � di contratto, della azione di ingiustificato arricchimento, per concludere in tutte le ipotesi per la applicabilit� -in linea di principio -della normativa civilistica. (M. Salvatorelli) DoMENICO RllsTA, Alcune osservazioni m margine al sistema delle partecipazioni pubbliche, in Riv. Amministrativa, 1984, 279 ss. L'Autore tratta delle societ� per azioni a partecipazione pubblica individuandone la comune caratteristica nell'esser lo strumento di diritto privato per lo Stato per il conseguimento di fini pubblici. Viene in particolare giustificata l'impossibilit� di giungere ad una precisa definizione del concetto di � impresa pubblica"� per la sostanziale inadeguatezza delle norme civilistiche a regolamentare l'intervento pubblico nel settore societario. L'Autore esamina inoltre dettagliatamente la normativa speciale in materia nonch� gli aspetti che maggiormente caratterizzano la partecipazione azionaria dello Stato rispetto al comune fenomeno societario. (V. Nunziata) GIUSEPPE SANVITI, Limiti e alternativa della giurisdizione amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl. 1984, 49 ss. L'Autore si diffonde in una approfondita analisi del sistema di giustizia amministrativa vigente in Italia, con particolare riferimento ai principi costituzionali, alla 1. 1034/71 istitutrice dei T.A.R. ed alla I. 186/82; questa ultima, a giudizio dell'Autore, � quella che maggiormente ha inciso sul sistema, perse 118 RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA DELLO STATO guelido la finalit� delle parificazioni delle carriere e delle funzioni dei magistrati amministrativi nonch� istituendo il Consiglio di Presidenza quale organo di autogoverno. Vengono inoltre prese in esame le ragioni e le modalit� della c.d. �fuga dalla giustizia�, a giudizio dell'Autore frequente anche nel settore della giustizia amministrativa. (V. Nunziata) ADR�ANO ScHREIBER, Recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di tutela delle minoranze linguistiche, in Foro Amm.vo, n. l, gennaio 1984, p. 295 ss. L'evoluzione dell'interpretazione giurisprudenziale fornita dai giudici amministrativi e dalla Corte Costituzionale viene analizzata con riferimento alla portata dell'art. 6 della Costituzione (norma � di principio�, o di ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni?) ed alla legittimit� della legiferazione in subiecta materia da parte delle Regioni. (A. D'Elia) GIOVANNI VACIRCA, Atti amministrativi di scelta del procedimento di contratta�� zione e tutela giurisdizionale (nota a Cons. Stato, V, 18 gennaio 1984 n. 49). in F�ro Amm.vo n. l, gennaio 1984, p. 67 ss. La nota commenta adesivamente il punto della decisione col quale il Consiglio di Stato, per la prima volta, ammette la confi.gural?ilit� di un interesse legittimo alla corretta scelta del procedimento di contrattazione da parte della P. A. Tale scelta viene considerata come esercizio di una potest�, e l'atto in cui si concreta come atto amministrativo. La posizione giuridica del privato rispetto a quest'ultimo pu�, secondo il notista, essere qualificata di interesse legittimo (con la conseguente possibilit� di impugnare l'atto medesimo), in quanto coincide con l'interesse pubblico alla tutela del libero esercizio dell'attivit� imprenditoriale. (A. D'Elia) / ACQUE ED APPALTI~ ANGELO CLARIZIA, Associazione temporanea tra imprese e consorzi nell'esecuzione delle opere pubbliche: profili amministrativistici, in T.A.R., marzo, 84, parte II, pp. 101-121. L'Autore passa in rassegna la disciplina posta, per la collaborazione interimprenditoriale negli appalti pubblici, dalla legge n. 584/77 in attuazione delle direttive comunitarie. Si esaminano, pertanto, con �ostante riferimento alla ratio della legislazione -volta a fornire adeguate garanzie al contraente pub� blieo -, le nozioni di integrazione e.cl. � orizzontale � e �verticale �, la natura giuridica dell'associazione temporanea -distinta da altre figure affini -, l'ambito di applicazione della normativa. In particolare, l'indagine si foca PARTE li, ~SSEGNA DI DOTI'RINA 1J9 lizza sul rapporto di mandato che lega le imprese riunite, sulla responsabilit� solidale, sulla figura dell'impresa capogruppo, sulle particolarit� che si manifestano nella fase di aggiudicazio.ne. (M. Salvatorelli) Awo ScoLA, Riflessioni in tema di interessi per ritardato pagamento, rivalutazione dei prezzi e collaudi negli appalti pubblici, in Foro amm,vo n. 1, gennai<> 1984, p. 285 ss. L'articolo contien~ un'alitica espos1Z1one della disciplina dell'appalto pubblico ed alcuni raffronti fra questa ~ quella dell'appalto di diritto privato. Ci si sofferma in particolare sui problemi inerenti al compenso dell'appaltatore, alla revisione prezzi (come regolata dalla pi� recente normativa), al1'" equo compenso�. per difficolt� impreviste, ed agli interessi per. il ritardato. paiamento, nonch� alla natura giuridica ed agli effetti del collaudo. (A. D'Elia} DIRITTO E PROCEDURA CIVJ,LE FRANCO CIPRIANI, Le sospensioni del processo civile per pregiudizialit�, in Riv. dir. processuale 1984, Il, 239 .ss. L'Autore si sofferma in un'ampia disamina dell'istituto della sospensione del processo civile, con particolare riferimento alle ipotesi previste dagli artt. 295; e 337 II comma, cod. proc. civ. Vengono quindi analizzate le varie posizioni della dottrina che ha tentato cli coordinar.e le due disposizioni, giungendosi alla conclusione della sostanziale superfluit� della seconda; ci�, a giudizio dell'Autore, anche per effetto di quella prevalente interpretazione giurisprudenziale che ha trasformato la sospensione ex art. 295 �od. proc. civ. da necessaria in discrezionale. (V. Nunziata) FRANCO CIPRIANI, Omessa sospensione per regolamento di giurisdizione e poteri del giudice dell'impugnazione (MOT. a Cass. 28 aprile 1984 n. 2145 e 12 gennaio 1984 n. 222) in Foro lt., n. 6, giugno 1984, I, 1533. L'autore della nota critica l'orientamento accolto dalle sentenze annotate riguardo alla cassazione della pronuncia del giudice d'appello, con rinvio, per la ripetizione del giudizio, al giudice di primo grado, allorquando quest'ultimo abbia omesso di sospendere ex art. 367 c.p.c. stante la proposizione del regolamento di giurisdizione poi conch,1sosi con il riconoscimento della stessa. A parere dell'Autore � necessario poi differenziare l'ipotesi in cui la sentenza sul regolamento sia intervenuta a giudizio d'appello ormai concluso da quella in cui questo sia ancora in itinere. (E. Figliolia) ' 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO GIORGIO COSTANTINO, Note sulle� forme di tutela espropriativa dei crediti assistiti da garanzie mobiliari specifiche. (Nota a Pretura Firenze 2 marzo 1984 in Foro It. If.� 6, giugno 1984, I, 1715. L'Autore, prendendo spunto da un provvedimento pretorile di re1ez1one di ricorso ex art. 700 c.p.c. a petto di intimazione di pagamento di credito privilegiato ai sensi degli artt. 2756 e 2797 cod. civ., si sofferma su quei particolari tipi di tutela espropriativa in cui si perviene alla vendita forzata prescindendo dal pignoramento. (E. Figliolia) A. IACO!<IO, L'ordinanza di rilascio di immobile locato e l'estinzione del processo, in Dir. e Giur. 1984, n. l, p. 131. Nell'articolo viene sottoposta a critica l'opinione secondo cui l'estinzione del processo non travolge l'ordinanza di rilascio dovendosi riportare quest'ultimo provvedimento nella categoria di condanna con riserva. (G. Lancia) R. LANZILLO, I contratti di fornitura di elaboratori elettronici, in Il Foro Padano 1983, n. 3, p. 158. L'Autore, premesse alcune nozioni fondamentali sugli elaboratori elettronici, esamina le clausole pi� frequenti nei contratti di fornitura e manutenzione <:!egli stessi. Si sottolinea che parte dell'articolo � dedicata ai contratti di cui sia parte la P.A. In appendice sono riportati gli schemi di contratto predisposti .dall'Assoc�azione nazionale dei produttori di elaboratori. (G. Lancia) FERDINANDO MAZZARELLA, Sull'efficacia e l'impugnabilit� dei lodi dopo la legge di riforma del 9 febbraio 1983, in Foro It. n. 6, giugno 1984, V, 181. L'autore dell'articolo svolge alcune considerazioni in ordine alla problematica relativa alla tutela che compete al soccombente nel giudiizo arbitrale, che, in forza della novella di cui alla legge 28/1983, mette capo ad una decisione immediatamente vincolante, anteriormente ed indipendentemente dalla omologazione pretorile. Dopo una ampia disamina dell'istituto in questione, espone perplessit� in ordine all'orientamento dottrinale che sostiene l'esperibilit� immediata dei mezzi di impugnazione tipici avverso il lodo vincolante ma non :ancora omologato. (E. Figliolia) .ANTONIO NICITA,. Note sulle forme di chiusura della procedura di amministrazione straordinaria, in Giustizia civile, maggio 1984, parte II, pp. 200-219. I Si passano in rassegna le varie ipotesi di chiusura della procedura istituita dalla c.d. � Legge Prodi �; si discute, in particolare, della compatibilit� della liquidazione (art. 313 L.F.) e del concordato (art. 214 L.F.) con la finalit� della Amministrazione straordinaria, identificata come distinta ed autonoma proce PARTB II, RASSEGNA DI OOlTRINA 1.61. dura concorsuale. Si esamina, ancora, l'ipotesi del ritorno in bonis dell'impresa (non considerato testualmente dal legislatore, bench� a ci�, in sostanza, tenda la procedura), e dell'applicabilit� dell'art. 118 n. 2 L.F. (M. Salvatorelli) GIUSEPPE PERA, Sulla costituzionalit� o no del decreto legge del governo Craxi sulla contingenza, in Giustizia civile, maggio 1984, pp. 1652-4. Prendendo spunto dalla ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale del Pretore di Bologna in data 12 marzo 1984 si formulano alcune riflessioni sulla questione, alla luce degli orientamenti della Corte Costituzionale. (M. Sal� vatorelli) VARIE PAOLA GALLERANI MONACI, Il Centro Elaborazione dati presso il Ministero del� l'Interno. Problemi e prospettive, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1984, 2, 54-0-570. L'Autrice, dopo un'introduzione generale sugli archivi elettronici, descrive il fu�lzionamento del centro elaborazione dati, costituito presso il Ministero dell'Interno al fine di tutelare la sicurezza dello Stato e dell'ordine pubblico e di reprimere la criminalit� politica e comune (legge n. 121/81) e con il divieto assoluto sia di fare un uso discriminatorio delle notizie acquisite, sia di raccogliere notizie discriminatorie. L'Autrice esamina, inoltre, gli eventuali effetti negativi derivanti dall'utilizzazione degli archivi elettronici e affronta l'aspetto relativo alla tutela degli interessi del singolo, del suo diritto alla riservatezza e del suo potere di reazione contro gli eventuali abusi. (G. Palmieri) " 162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO SEGNALAZIONE DI NUOVE PUBBLICAZIONI RECENSITE DALLE RIVISTE ESAMINATE DIRITTO AMMINISTRATIVO NICOLA ASSINI, LUCIA MAROTTA, La concessione di opere pubbliche, Padova, 1981. Il volume prende in esame innanzitutto i caratteri e la natura della concessione di opere pubbliche, dell'attivit� che precede l'emanazione dell'atto di concessione nonch� la scelta del concessionario. Vengono poi analizzati i problemi relativi all'equilibrio finanziario della concessione, al corrispettivo e al finanziamento del concessionario, nonch� quelli riguardanti la decadenza e revoca della concessione. (V. Nunziata) I . J FIALE A., Diritlo urbanistico, Simone, Napoli 1983. Ii Esposizione aggiornata ed organica della m~teria urbanistica. Il manuale � completato da un'appendice legislativa essenziale. (G. Lancia) I GIULIANI G., Manuale dell'I.V.A., Giuffr�, Milano, 1984. L'opera giunta alla VII edizione � una completa raccolta di legislazione, I! norme amministrative, decisioni giurisprudenziali. (G. Lancia) I SPAGNA Musso E., Corso di diritto regionale, CEDAM, Padova, 1984, pp. 293. L'opera raccoglie una serie di scritti diversi sul diritto regionale, coordinati al fine di offrire allo studioso un quadro sistematico . generale della materia. (M. Salvatorelli) I '�! MARIO NIGRO, Giustizia amministrativa, Il Mulino, Bologna, 1983. ' \ i ' L'opera giunta alla III edizione, � stata integralmente aggiornata e riveduta. {G. Lancia) I ! I I PARTE II, RASSEGNA DI DOTTRINA QUAGLIA M.A., L'onerosit� della concessione edilizia, Quaderno 6 della Collan� �Territorio e casa,., Milano, 1983. L'Autore esamina i profili dell'onerosit� della concessione edilizia, introdotta dalla legge n. 10 del 1977, nonch� tutta la problematica del � regime dei suoli " e dello scorporo del potere di edifii:are dal diritto di propriet�, di cui il contributo della concessione edilizia doveva rappresentare una componente fon� damentale. Vopera � arricchita da un completo apparato bibliografico e giurisprudenziale. (V. Nunziata) CARMINE'Russo, La legge-quadro sul pubblico impiego, Roma, 1983. Si tratta di un comm�nto alla legge n. 93/83, della quale si espongono la genesi, i contenuti e le finalit�. Particolare attenzione � dedicata alla individuazione dei destinatari delle � 1eggi, alla struttura della contrattazione e alle materie contrattabili, alla regolamentazione del diritto. di sciopero dei pubblici dipendenti. (V. Nunziata) M. SCORDA, L'equo indennizzo per i dipendenti pubblici, Edizioni C.I.S.P., Roma, pp. 227. L'opera passa in rassegn� la vigente normativa in materia,. suddivisa a seconda delle varie categorie di pubblici dipendenti alle quali � applicabile. (M. Salvatorelli) ROBERTO TORRIGIANI, I c;ontrolli sulla finanza pubblica. Profili evolutivi, Roma, 1984. L'opera tratta esaurientemente la materia suddivisa in due capitoli, il primo relativo ai controlli sulle finanze ddlo Stato e degli enti pubblici, il secondo relativo ai controlli sulle �finanze dei livelli di governo regionale e locale. In appendice un'ampia bibliografia. (V. Nunziata) PIETRO VIRGA, Diritto amministrativo, Giuffr�, 1983. Primo dei tre volumi di un nuovo manuale. (G. Lancia) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO APPALTI E ACQUE PUBBLICHE GIOVANNI LEoNE, Opere pubbliche tra appalto e concessione, Padova, CEDAM, 1983, pp. 218. L'Autore, dopo aver esaminato l'istituto della concessione di opere pubbliche alla luce delle elaborazioni dottrinali e della pi� recente disciplina legislativa, individua gli elementi distintivi fra tale concessione e lo strumento alternativo dell'appalto di opere pubbliche e si sofferma sui problemi specificamente atti , nenti all'applicazione dell'istituto della concessione di opere pubbliche. (G. Palmieri) DIRITTO E PROCEDURA CIVILE Gumo ALPA � MARio BESSONE, I fatti illeciti e la responsabilit� civile, in Trattato di diritto privato, diretto da Pietro Rescigno, VI, Utet; Torino, 1982, pp. 467. L'opera, impostata secondo i criteri caratteristici delle altre opere degli A.A., si divide. in cinque capitoli. Il secondo, in particolare, analizza dettagliatamente le ipotesi tipiche di responsabilit� della P.A. (opere pubbliche; manutenzione stradale, ferroviaria; attivit� contrattuale, informativa, fatto dei dipendenti, usi civici, attivit� di imperio-inerzia). (G. Palmieri) MARIO BESSONE, Nuovi saggi di diritto civile, Giuffr�, Milano, 1980. Raccolta dei pi� recenti scritti di Bessone gi� pubblicati, sparsi su varie riviste giuridiche, nella quale l'indagine sugli interessi meritevoli di tutela che caratterizzano questo� momento storico � svolta con i metodi di ricerca gi� sperimentati nelle altre opere di Bessone e, cio�, con particolare riguardo alla progressiva evoluzione della giurisprudenza e della dottrina, alla politica de1 diritto civile e all'analisi comparativa con il diritto inglese e americano. (G. Palmieri) AA.W., Le successioni testamentarie, U.T.E.T., 1983. Il volume fa parte della collana � Giurisprudenza sistematica di diritto civile � diretta dal Bigravi. (G. Lancia) i 1 ' I I I I . I PARTE Il, RASSEGNA DI DOTrRINA 16Y CARP. F., CoLESANTI V., TARUFFOM, Commen(ario breve al codice di procedura civile, CEDAM, Padova, 1984. Nuovo volume della serie � Breviaria curis "� Ogni articolo del codice viene sinteticamente ma completamente commentato con la dottrina e la giurisprudenza. (G. Lancia) DIRITTO PENALE A. ROMANO, Le modifiche al sistema penale �nei confronti delle violazioni del codice stradale e dei regolamenti comunali, Ed. Barbieri e Noccioli, Empoli, 1984, pp. 371. Il volume offre una sistematica esposizione delle violazioni per le quali, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 689/81, � applicabile una sanzione amministrativa, segnalandosi soprattuto per essere destinato direttamente agli operatori del ramo. I I m I I ~ I ~ LEGISLAZIONE LEGGI E DECRETI (*) Legge 10 luglio 1984, n. 292, � Nuove norme in materia di assetto giuridico ed economico del personale dell'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato � (G. U. n. 193 del 14 luglio 1984); legge 10 luglio 1984, n. 301, � Norme di accesso alla dirigenza statale � , (G. U. n. 194 del 16 luglio 1984); legge 12 luglio 1984, n. 348, � Ratifica ed esecuzione dell'accordo tra il governo della Repubblica Italiana ed il governo del Regno del Marocco sull'indennizzo dei beni italiani trasferiti allo Stato marocchino, firmato a Rabat il 25 maggio 1982 (suppi. ord. G. U. n. 100 del 21 luglio 19~); legge 25 luglio 1984, n. 381, " Conversione in legge con modificazioni del decreto-legge 29 maggio 1984, n. 176, concernente misure urgenti in materia di tutela ambientale� (G. U. n. 206 del 27 luglio 1984); legge 4 luglio 1984, n. 388, ~Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 1980" (suppi. ord. G. U. n. 2fJ7 del 28 luglio 1984); legge 4 luglio 1984, n. 389, �Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 1981 � (suppi. ord. G. U. n. 2fJ7 del 28 luglio 1984); legge 26 luglio 1984, n. 392, � lnte1pretazione autentica dell'art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18, in materia di indennit� di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili� (G. U. n. 209 del 31 luglio 1984); legge 27 luglio 1984, n. 397, � Modifiche dell'arresto obbligatorio e facoltativo in flagranza -Giudizio direttissimo davanti al Pretore� (G. U. n. 210 del 1� agosto 1984); legge 28 luglio 1984, n. 398, � Nuove norme relative alla diminuzione dei termini di carcerazione cautelare ed alla concessione della libert� provvisoria � (G. U. n. 210 del 1� agosto 1984); legge 30 luglio 1984, n. 399, � Aumento dei limiti di competenza del conciliatore e del pretore� (G. U. n. 210 del 1� agosto 1984); legge 31 luglio 1984, n. 400, � Nuove norme sulla competenza penale e sull'appello contro le sentenze del Pretore� (G. U. n. 210 del 1� agosto 1984); (*) Si segnalano alcuni tra i provvedimenti normativi pubblicati nella Gazzetta Ufficiale nei mesi di luglio e agosto. 18 ./ 168 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 4 agosto 1984, n. 423, � Scioglimento dell'Ente Nazionale di Lavoro per i ciechi e provvidenze per i lavoratori delle aziende dipendenti dal disciolto ente� (G. U. n. 217 dell'8 agosto 1984); � legge 4 agosto 1984, n. 428, � Integrazione del fondo per i contributi sui finanziamenti destinati allo sviluppo del settore della stampa quotidiana e periodica di cui all'art. 29 della legge 5 agosto 1981, n. 416 � (G. U. n. 279 del 9 agosto 1984); legge 4 agosto 1984, n. 508, �Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'anno finanziario 1982 � (suppl. ord. G. U. n. 235 dcl 27 agosto 1984); legge 6 agosto 1984, n. 425, � Disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati� (G. U. n. 217 dell'8 agosto 1984); d.P.R. 6 �agosto 1984, n. 426, � Norme di attuazione dello Statuto Speciale per la Regione Trentino-Alto Adige concernenti istituzione del Tribunale Amministrativo Regionale di Trento e della sezione autonoma di Bolzano (G. U. n. 217 dell'8 agosto 1984); dP.R. 6 agosto 1984, � Soppressione e liquidazione della Cassa per il Mezzogiorno" (G. U. n. 217 dell'8 agosto 1984); d.P.R. 6 agosto 1984, �Attribuzione della gestione dei prestiti contratti all'estero dalla Cassa per il Mezzogiorno, ai sensi dell'art. 29, secondo comma, del testo delle leggi sul Mezzogiorno approvato con d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 �, (G. U. n. 217 dell'8 agosto 1984); legge 6 agosto 1984, n. 457, � Norme per il coordinamento della finanza della Regione Friuli-Venezia Giulia con la riforma tributaria� (G. U. n. 223 del 14 agosto 1984); legge 11 agosto 1984, n. 449, � Norme per la regolamentazione dei rapporti tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla .Tavola valdese � (G. U. 11. 225 del 13 agosto 1984); d.l. 29 agosto 1984, n. 521, � Sostituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici� (G. U. n. 239 del 30 agosto 1984). NORME SOTTOPOSTE A GIUDIZIO DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE -I NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Legge 2 luglio 1952, n. 703, art. 39, primo comma, limitatamente alle parole " e successive modificazioni �. Sent�nza 19 dicembre 1984, 11. 292, G. U. 27 dicembre 1984, n. 354. ������mm�������mml PARTE II, RASSEGNA DELLA LEGISLAZIONE d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, art. 8, lett. b), nella parte in cui ai fini dell'at� tribuzione degli assegni familiari non assimila all'ipotesi di morte del genitore l'abbandono da parte di questi. Sentenza 19 dicembre 1984, n. 291, G. U. 27 dicembre 1984, n. 354. legge 5 marzo 1961, n. 90, artt. 29, 30 e 34 e legge 18 marzo 1968, n. 249, art. 23, nella parte in cui non determinano nello stesso modo previsto per gli impiegati dello Stato la durata massima dell'assenza, con conservazione del posto, degli operai dello Stato per motivi di salute e la dispensa dal servizio dei medesimi quando, per infermit�, risultino in condizione di non poter riprendere la propria attivit�. Sentenza 30 ottobre 1984, n. 247, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge 18 marzo 1968, n. 249, art. 23 e legge 5 marzo l961, n. 90, artt. 29, 30 e 34, nella parte in cui non determinano nello stesso modo previsto per gli impiegati dello Stato la durata massima dell'assenza, con conservazione dcl posto, degli operai dello Stato per motivi di salute e la dispensa dal servizio dei medesimi quando, per infermit�, risultino in condizione di non poter � riprendere la propi:ia attivit�. Sentenza 30 ottobre 1984, n. 247, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. dP.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 5, primo comma, nella parte in cui prevede che gli orfani maggiorenni abbiano diritto all'indennit� di buonuscita solo quando conseguano il diritto alla pensione di riversibilit� Sentenza 3 dicembre 1984, n. 255, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. legge 21 giugno 1975, n. 287, art. 20, penultimo comma, nella parte in cui d� piena e integrale esecuzione alla previsione delle deroghe eccezionali di cui all'art. 5, paragrafo IV, dell'accordo di coproduzione cinematografica italoo francese del 1� agosto 1966, e �alle successive modificazioni"� Sentenza 19 dicembre 1984, n. 295, G. U. 27 dicembre 1984, n. 354. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 7, tredicesimo comma, nella parte in cui prevede che, per la copertura dei disavanzi delle aziende di trasporto pubblico locale, non ripianabili con i contributi regionali di esercizio di cui all'art. 5 della legge n. 151/1981, le regioni sono tenute -anzich� facoltizzate a prelevare i fondi necessari dalla quota del fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281/1970, quanto alle regioni a statuto ordinario, e dalle corri� spondenti entrate di parte corrente previste dai rispettivi ordinamenti, quanto alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome. Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 19, terzo comma, nella parte in cui non prevede che siano le regioni -�ar�zich� il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio . stesso, sentito il Ministro dcl tesoro -a determinare, valutate le eventuali necessit�, i singoli casi in cui sia indispensabile procedere ad assunzione di personale presso gli enti ammi� nistrativi dipendenti dalle regioni medesime, ferme restando le funzioni di indirizzo e coordinamento previste per le amministrazioni regionali dall'art. 9, quinto comma, della legge n. 130/1983. Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 170 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 29, secondo comma, n. 1, nella parte in cui prevede che, per ripianare il disavanzo delle unit� sanitarie locali, le regioni I sono tenute -anzich� facoltizzate -a prelevare i fondi necessari dalla quota del fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281/1970, quanto alle regioni a statuto ordinario, e dalle corrispondenti entrate di parte corrente previste dai rispettivi ordinamenti, quanto alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome. 1Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 31, primo comma. Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice di procedura civile, art. 444, secondo comma ,(artt. 3, 24 e 38, della Costituzione). I Sentenza 12 dicembre 1984, n. 282, G. U. 19 dicembre 1984, n. 348. r.d. 16 luglio 1905, n. 646, art. 20 (artt. 3, primo comma, e 24 secondo comma, della Costituzione). Sentenza 14 novembre 1984, n. 249, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. regolamento allegato A al r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, artt. 18, prlino e quarto comma, e 1, terzo e quarto coip.ma (art. 35 della Costituzione). Sentenza 3 dicembre 1984, n. 257, G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. legge 22 luglio 1966, n. 607, art. 18, secondo comma (artt. 3, 42, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 30 ottobre 1984, n. 246, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge 30 marzo 1971, n. 118, art. 13, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 12 dicembre 1984, n. 278, G. U. 19 dicembre 1984, n. 348. dP.R. 26 ottobre 1972, n. 642, art. 1 (art. 24 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1984, n. 268, G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 46 e 48 (artt. 36 e 53 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1984, n. 277, G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (artt. 36 e 53 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1984, n. 277, G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. I I mr::t:t?X@b,.?:Ki:::: ' := ;::::::::::::::::: :: : :; ;:::;;::::;::::::::::;::: ::: ,,,..z,. ,.,:,,:,, : ,:,, ,:, ,: ,:,: ,: :,: ,: :::::: : ::: 2L ::: ;::::;::;:;;;., ''.::::: ;; :::. :::;:;:::::::;;;:zSi?Uii:;rnn;;;j WIWMIBlmWf&iflfitWMl!fii?�Jfiltfffffflrifltft@ff@Nffitfillfli@IWifffffflf!TtWffii!fiff11f@fflf1�Hf PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 171 legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9, ultimo comma, parte seconda (artt. 3, 36, 38 e 42 della Costituzione). Sentenza 12 dicembre 1984, n. 280, G. U. 19 dicembre 1984, n. 348. legge n luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65. Sentenza 12 dicembre 1984, n. 281, G. U. 19 dicembre 1984, n. 348. legge 17 agosto 1979, n. 38, artt. 40 e 48 (artt. 3, 35, 36 e <J7 della Costituzione). Sentenza 19 dicembre 1984, n. 296, G. U. 'J:J dicembre 1984, n. 354. disegno di legge reg. Veneto approvato il 2 aprile 1980 e riapprovato il 18 dicembre 1980 (artt. 3, 36, <J7, 117 e 119 della Costituzione). Sentenza 19 dicembre 1984, n. 290, G. U. 'J:J dicembre 1984, n. 354. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 7, undicesimo comma (artt. 5, 81, quarto comma, 117, 118 e 119 della Costituzione). Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge n dicembre 1983, n. 730, art. 7, dodicesimo comma (artt. 5, 81, quarto comma. 117, 118 e 119 della Costituzione). Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge. n dicembre 1983, n. 730, art. 19, terzo comma (artt. 5, 115, 117 e 118 della Costituzione). Sentenza' 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge n dicembre 1983, n. 730, art. 19, quarto comma (artt. 5, 115, 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 24, primo comma, lett. b) (art. 117 della Costituzione). Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge n dicembre 1983, n. 730, art. 25, secondo comma (artt. 4, n. 7, 9, n. 10, 16 e 54, n. 5 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 25, terzo comma (artt. 32, primo comma, e 119 della Costituzione e 19 dello statuto Regione Siciliana). Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 25, terzo comma, ultimo periodo (artt. 4 n. 7, 8, n. 1, 9, n. 10, e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. 172 'RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBU.O STATO legge 'J:1 dicembre 1983, n. 730, art. '1:1, primo ed ultimo comma (artt. 9, n. 10, 16 e 78 dello statuto speciaie per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 28 (artt. 5, 115, 117, 118, 123 e 130 della Costituzione). Sentenza 30 ottobre �1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 31, secondo comma (artt. 5, 115, 117 e 118 della Costituzione e 17 e 20 dello statuto Regione Sicilana). Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 32, quinto comma (artt. 117 e 130 della Costituzione). Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge 27 dicembre 1983, n. 730; art. 35, quattordicesimo comma (art: 119 della Costituzione). Sentenza 30 ottobre 1984, n. 245, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. III -QU.ESTIONI PROPOSTE Disposizioni sulla legge in generale, che precedono il testo del codice civile, art. 18 (artt. 3 e 29 della Costituzione). Tribunale di Palermo, ordinanza 30 marzo 1984, n. 864, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. codice penale, art. 590 (art. 3 della Costituzi�ne). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 16 marzo 1984, n. 823, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. codice di procedura penale, artt. 171 e 509, primo comma (art. 24 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 21 marzo 1984, n. 845, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. d.l. 28 febbraio 1939, n." 334, art. 23, primo comma [conv. in legge 2 giugno 1939, n. 739] (art. 53 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 6 marzo 1984, n. 830, G. U. 7 novembre 1984, n. 3ff7. I r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, allegate tabelle A e B (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 819/84, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. PARTE II, RASSEGNA,DI LEGISLAZIONE r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 21 e 91 (artt. 3, 23 e 36 della Costituzione). Tribunale di Orvieto, ordinanza 10 maggio 1984, n. 903, G U. 21 novembre 1984, n. 321. _r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, primo comma (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 29 marzo 1984, n. 803, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. d.P.R. 29 novembre 1952, n. 2768 (artt. 43, 44, 76 e 77 della Costituzione). Tribunale di Firenze, oi;,dinanza 11 aprile 1983, n. 880/84, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. d.P.R. 27 dicembre 1952, n. 3939 (artt. 43, 44, 76 e 77 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 11 aprile 1983, n. 880/84, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. d.P.R. 21 giugno 1955 (artt. 43, 44, 76 e 77 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 11 aprile 1983, n. 880/84, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 92 (artt. 3, 21, 24, 25, 27 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 28 gennaio 1976, n. 858/84, G. U. 21 dicembre 1984, n. 354. legge 13 marzo 1958, n. 365, artt. 1 cpv., 4, 5 lett. a), e 7 lett. a) (art. 3 della , 'Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 23 giugn_o 1983, n. 841/84, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. d.P.R. 15 giugno 1959, n: 393, art. 91 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 16 marzo 1984, n. 823, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo com11:1a, lett. a) (art. 3 della <Costituzione). Pretore di Ancona, ordinanza 31 gennaio 1984, n. 815, G. U. 7 novembre 1984, n, 307. Pretore di Taranto, ordinanza 2 febbraio 1984, n. 817, G. U. 21 novembre ll984, n. 321. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 6, ultimo comma (art. 3 della Co'. Stituzione). Corte dei conti, ordinanza 9 maggio 1977, n. 885/84, G. U. 21 novembre il.9.84., n. 321. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO . d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, primo e quarto comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 8 marzo 1984, n. 802, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 1 e 4 (artt. 35 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 3 aprile 1984, n. 1235, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. legge 12 febbraio 1968, n. 132, art. 43, lett. d) (artt. 3, 4 e 97 della Costi� tuzione). Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 23 giugno 1976, n. 843/84, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 468, art. 5 (artt. 3, .36, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 819/84, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 18, ter:to comma (art. 38 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 10 novembre 1983, n. 861/84, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 18, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 28 maggio 1984, n. 955, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, artt. 47, primo e terzo comma, e 133 (artt. 3, 4 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 23 giugno 1976, n. 843/84, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della � Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 819/84, G. U. 7 novembre 1984, n. 3fY'l. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 17 (art. 76 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 26 giugno 1984, n. 1185, G. U. 28 novembre 1984, n. 328. d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 20, primo comma (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanza 22 marzo 1983, n. 797/84, G. U. 7 novembre 1984, n. 3fY'l. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 55 (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Bologna, ordinanza 4 maggio 1979, n. 909/84, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. ~ 'i !i ~ ~ PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 17f d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 77, secondo comma (art. 73 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Bologna, ordinanza 4 maggio 1979, n. 909/84, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12 e 46 (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). Tribunale di Trani, ordinanza 12 aprile 1984, n. 816, G. U. 7 novembre 1984, n. 3Cfl. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 13 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Corte Costituzionale, ordinanza 19 giugno 1984, n. 1104, G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 23 febbraio� 1984, n. 799, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. Commissione tributaria di secondo grado di Rovigo, ordinanza 2-0. marz0> 1984, n. 809, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, quarto comma (artt. 2, 3, 24 e 53, della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 19 gennaio1984, n. 905, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, 39, 53 e 54 (artt. 24 ~. 113 della Costituzione). Pretore di Caltanissetta, ordinanze (sei) 12 aprile 1984, nn. 914-919, G. U. 19 dicembre 1984, n. 348. legge 15 febbraio 1974, n. .36, art. 1, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 22 marzo 1984, n. 910, G. U. 28 novembre 1984, n. 328. legge 18 aprile 1975, n. 110, artt. 10, sesto comma, e 26 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Cremona, ordinanza 30 marzo 1984, n. 811, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 27, terzo comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 819/84, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 69, quinto comma (art. 24 della Costituzione). Magistrato di sorveglianza di Padova, ordinanza 22 marzo 1984, n. 862, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge � prov. di Trento 3 settembre 1977, n. 24, art. 28, secondo comma {art. 3 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 20 dicembre 1983, n. 842/84, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. legge 23 dicembre 1977, n. 952, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Macerata, ordinanza 11 aprile 1984, n. 888, G. U. 21 novembte 1984, n. 321. legge 27 luglio 197~, n. 392, art. 27, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Forl�, ordinanza 15 marzo 1984, n. 805,. G. U. 7 nov�mbre 1984, n. 307. � legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 30, 46 e 84 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 7 aprile 1984, n. 818, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 62 e 71 (art. 3 della Costituzione). Giudice. conciliatore di Roma, ordinanza 27 aprile 1984, n. 838, G. U. 28 novembre 1984, n. 328. legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 2, terzo comma (artt. 3 e 37 della Costituzione). Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Sicilia, ordinanza 19 gennaio 1984, n. 937, G. U. 28 novembre 1984, n. 328. legge 26 gennaio 1980, n. 16, art. 5, secondo comma, seconda parte (art. 3 <lella Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 14 febbraio 1984, n. 950, G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. legge 24 aprile 1980, n. 146, art. 48 (art. 76 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 26 giugno 1984, n. 1185, G. U. 28 novembrp 1984, n. 328. legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 4 (artt. 3 e 37 della Costituzione). Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Sicilia, ordinanza '� 19 gennaio 1984, n. 937, G. U. 28 novembre 1984, n. 328. d.I. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [convertito in legge 26 settembre 1981, n. 537] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 5 aprile 1984, n. 813 G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, art. 27 (artt. 25, 76, 77 e 108 della Costituzione). Consiglio di Stato, seziorie quarta giurisdizionale, ordinanza 26 giugno 1984, n. 1185, G. U. 28 novembre 1984, n. 328. PARTE II. RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 177 . legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Livorno, ordinanza 18 aprile 1984, n. 808, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Palmi, ordinanza 21 febbraio 1984, n. 824, G. U. 21 novembre 1984,' n. 321. � legge 24 novembre 1981, 11. 689, artt. 60, ultimo comma, e 77, secondo comma (artt. 3 e 26 della Costituzione). , Pretore di Brunico, ordinanza 28 febbraio 1984, n. 820, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 62, primo comma (art. 24 della Costituzione). Pretore di Menaggio, ordinanze (sette) 4 aprile 1984, nn. 965-971, G. U. 19 dicembre 1984, n. 348. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 17 aprile 1984, n. 832, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. Pretore di Portoferraio, ordinanza 18 gennaio 1984, n. 836, G. U. 21 novero� bre 1984, n. 321. Pretore di Portoferraio, ordinanza 12 novembre 1983, n. 839/84, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. � Pretore di Asti, ordinanza 27 aprile 1984, n. 868, G. U. 21 dicembre 1984, n. 354. dJ. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15�bis [convertito in legge 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3 della Costituzione). � Pretore di MilaI\O, ordinanza 31 gennaio 1984, n. 825, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. � Pretore di S. Benedetto del Tronto, ordinanza 29 marzo 1984, n. 840, G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. legge 25 marzo 1982, �n. 94, art. lS.bis (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Livorno, ordinanza 18 aprile 1984, n. 807, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 5 aprile 1984; n. 813, G. U. 5 dicembre 1984, Il. 335. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42, 43 e 44 della Costituzione): Tribunale di Chieti, ordinanza 21 dicembre 1983, n. 514/84, G. U. 21 novembre 1984, n. 321. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 5, terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Pretore di Piombino, ordinanza 28 giugno 1984, n. 1070, G. U. 7 novembre 1984, n. 3'Yl. I legge 7 agosto 1982, n. 512, artt. 2 e3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). \ 178 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 10 febbraio 1984, n. 814, G; U. 7 novembre 1984, n. ?JJl. legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 76 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, ordinanze (due) 26 novembre 1983, nn. 942 e 943/84, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335 e G. U. 12 dicembre 1984, n. 341. Tribunale di Pesaro, ordinanza 17 dicembre 1983, n. 904/84, G. U. 21 novem I bre 1984, n. 321. d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, artt. 1 e 2 (artt. 3 e 53 della Costituzione). I Tribunale di Pesaro, ordinanza 17 dicembre 1983, n. 904/84, G. U. 21 novemi bre 1984, n. 321. I legge 13 settembre 1982, n. 646, art. 21 (art. 3 della Costituzione). ~ Pretore di Foggia, ordinanza 27 marzo 1984, n. 947, G. U. 5 dicembre 1984, �~ n. 335. d.!. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 19 e 20, quinto, sesto, decimo e undiceshnocomma [convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131) (artt. 3, 23 e 53 deila Costituzione). l Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordin�nza 13 apri~: �: le 1984, n. 957, G. U. 28 novembre 1984, n. 328. ~ d.L 12 settembre 1983, n. 463, art. 14 [convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638) (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 5 aprile 1984, n. 813, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. d.l. 15 febbr~o 1984, n. 10, art. 3 (artt. 3, 36 e 39 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 31 marzo 1984, n. 847, G. U. 19 dicembre 1984, n. 348. legge reg. Lazio approvata 1'8 maggio 1984, riapprovata il 24 settembre 1984 e comunicata il 28 settembre 1984 (artt. 51, 97, 81 e 117 della Costituzione). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 22 ottobre 1984, n. 35, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISL\ZIONE legge reg~ Calabria approvata il 10 luglio 1984, riapprovata il 3 ottobre 1984 e comunicata 1'8 ottobre 1984 (artt. 51, 97 e 117 della Costituzione). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 30 ottobre 1984, n. 38, G. U 14 novembre 1984, n. 314. legge reg. Liguria approvata il 25 luglio 1984, riapprovata ':I 26 settembre 1984 e comunicata il 27 settembre 1984 (artt. 51, 97 e 117 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 19 ottobre 1984, n. 34, G. U. 7 novembre 1984, n. 307. d.P.R. 18 settembre 1984, n. 581, artt. 6, 7, 9, 10 e 11 (artt. 3, 21, 117, 118 e 119 della Costituzione). Regione Liguria, ricorso 26 ottobre 1984, n. 37, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. d.I. 18 settembre 1984, n. 582 in toto e in particolare artt. 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 15 (artt. 3, terzo comma, 8, n. 10, 16 e 78 dello statuto per il Trentino- Alto Adige). Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 26 ottobre 1984, n. 36, G. U. 14 novembre 1984, n. 314. legge reg. Lazio riapprovata il 17 ottobre 1984 (art. 117 della Costituzione). Presidenza Consiglio dei Ministri, ricorso 13 novembre 1984, n. 39, G. U. 5 dicembre 1984, n. 335. legge 29 ottobre 1984, n. 720 (artt. 3, 117 e 119 della Costituzione). Regione Toscana, ricorso 5 dicembre 1984, n. 40, G. U. 27 dicembre 1984, n. 354. / ~