ANNO XXXV -N. 6 NOVEMBRE -DICEMBRE 1983 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1984 



ABBONAMENTI ANNO 1983 

ANNo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 29.000 
UN NUMERO SEPARATO ���� , � � � � . � � � � � � � � � � � � . . � 5.300 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in ltaly 
Autorizz.,,ione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


(5219127) Roma, 1984 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'
avv. Franco Favara} . . . . . . pag. 791 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
ZIONALE (a cura 
COMUNITARIA 
de/l'avv. Oscar 
E INTERNA� 
Fiumara} � 836 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio �ingolo} . . li 863 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati 
Antonio Catrical� e Paolo Cosentino} li 889 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli 
avvocati Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) 111 910 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 
vocato Carlo Bafi/e} 
(a cura de/l'avli 
922 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria} � 958 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni} � 975 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE � INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI � NOTIZIARIO 


QUESTIONI .. pag. 117 
LEGISLAZIONE � 161 


La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 

Glauco NORI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; 
Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, 
L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio 
MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco A.RGAN, Torino; MauriZio 
DE FRANcHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANOO, Venezia. 


ARTICULI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 


G. MANZARI, AVVOCATO GENERALE DELLO STATO: Legislazione speciale per 
combattere il terrorismo e la criminalit� organizzata nel rispetto 
delle garanzie costituzionali . . . . . . . . . . . . . . pag. V 
C. BAFILE: Considerazioni sugli effetti della dichiarazione . . . . . . I, 935 
F. GuccIARDI: Problematiche inerenti la confisca penale valutaria, con 
particolare riguardo alla confisca di azioni . . . . . . . . . . . I, '116 
G. PALMIERI: Nota minima in tema di responsabilit� precontrattuale 
della pubblica amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 864 
Atti ~ell'!ncontro di studio su " Il giudice nazionale e il diritto comunitario
� ............................. . II, 117 


PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


AMNISTIA E INDULTO 
-Legge di delegazione -� sufficiente 
la promulgazione anteriore al decreto 
presidenziale, 832. 
ARBITRATO 
-Clausola compromissoria in contratto 
della regione Sicilia -Richiamo 
al capitolato generale oo.pp. del 
1895 -Fonte negoziale dell'arbitrato 
obbligatorio -Sopravvenienza del capitolato 
generale oo.pp. del 1962 e 
delle leggi regionali n. 19 del 1972 
e n. 21 del 1973 -Derogabilit� della 
competenza arbitrale per unilaterale 
volont� di una parte -Esclusione, 
con nota di F. FRATTINI, 959. 
-Competenza arbitrale -Clausola compromissoria 
-Estensione a tutte le 
controversie aventi origine dal contratto, 
con nota di F. FRATTINI, 958. 
-Competenza arbitrale -Connessione 
con causa pendente dinanzi all'A.
G.O. -Prevalenza della competenza 
del giudice ordinario, con nota 
di F. FRATTINI, 958. 
ATTO AMMINISTRATIVO 
-Annullamento d'ufficio -Concessione 
di costruzione -Motivazione -Spe-
Annullamento d'ufficio -Tempestivit� 
-Sufficienza interesse pubblico 
al ripristino legalit�, 921. 
-Prova dei fatti -Facolt� di allegazione 
del privato e poteri istruttori 
della P.A., 816. 
AVVOCATI E PROCURATORI 
-Dipendente da un comune -Indennit� 
di toga � Inclusione nella base 
pensionabile, 821. 
CACCIA 
-Esercizio in luogo vietato -Sequestro 
dell'arma -Efficacia del prov� 
vedimento -Durata, 895. 
-Esercizio in luogo vietato -Verbale 
di contravvenzione -Pubblica fede 
-Limiti, 895. 
COMUNI 
-Delega di funzioni amministrative 
al Comune -Individuazione del� 
l'organo comunale competente -Fa� 
colt� del legislatore regionale, 829. 
COMUNIT� EUROPEE 
-Agricoltura -Integrazione di prez� 
zo ai produttori di olio di oliva 
ACQUE PUBBLICHE 

-Piano regolatore generale degli 
acqued�tti -Prescrizioni sull'uso 
delle acque non traducentiS!� in vincolo 
di portata -Effetti, 972. 

AGRICOLTURA E FORESTE 

-Terre incolte o insufficientemente 
coltivate -Concessione ai contadini 
-Legittimit� costituzionale, 816. 

cificazione ragione pubbico interesse 
-Affidamento del privato � Fat� 
tispecie, 920. 

-Annullamento d'ufficio � Giustificazione 
interesse pubblico -Non necessariet� 
per atto attributivo � sta� 
tus � illegittimo, 921. 

-Annullamento d'ufficio � Motivazione 
-Comparazione interesse pubbli� 
co e privato -Non necessariet� 
per interesse privato non merite� 
vole di tutela -Stipendi non dovuti, 
920. 


INDICE ANALITICO-ALFABBTICO DBLLA GIURISPRtJOONZA 

accordata da regolamenti comunitari 
-Termine per il pagamento Disciplina 
applicabile, 856. 

-Corte di giustizia -Domanda di 
pronuncia pregiudiziale -Giudice 
competente a proporla -Presidente 
del Tribunale nel procedimento 
per decreto ingiuntivo, con nota di 

S. 
LAPORTA, 848. 
-Libera circolazione delle merci -Restrizioni 
giustificate da motivi di tutela 
della � salute -Derrate alimentari 
-Aggiunta di vitamine -Disciplina 
nazionale, 836. 

-Libera circolazione delle merci -Restrizioni 
giustificate da motivi di tutela 
della salute -Derrate alimentari 
-Aggiunta di vitamine -' Poteri 
delle autorit� nazionali -Limiti, 836. 

-Unione doganale � Dazi doganali . 
Pagamento -Casi di dispensa -Perdita 
della merce � Furto -Irrilevanza, 
844. 

-Unione doganale � Rimborso o sgravio 
di diritti all'importazione o all'esportazione 
-Regolamento CEE 
del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430 Ambito 
di applicazione, con nota di 

S. 
LAP0RTA, 848. 
-Unione doganale � Tributi nazionali 
riscossi in contrasto con il diritto 
comunitario � Ripetizione -Ripercussione 
sul prezzo dei prodotti . 
Effetti, con nota di S. LAPORTA, 848. 

CONTRATTI (IN GENERALE) 

-Interruzione ingiustificata delle 
trattative -Responsabilit� precontrattuale 
-Sussiste, con nota di G. 
PALMIERI, 863. 

-Redazione scritta delle trattative 
svoltesi -Ipotesi della c.d. puntuazione 
� Recesso -� consentito Eventuale 
responsabilit� precontrat� 
tuale � Sussiste, con nota di G. PALMIERI, 
863. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Legittimazione a sollevare questione 
incidentale di legittimit� costituzionale 
-Pretore adito ex art. 700 
cod. proc. civ. -Limiti, 815. 

CORTE DEI CONTI 

-Giurisdizione contabile -Ente pubblico 
economico e suoi dipendenti 
� Non sussiste � L'ISVEIMER � 
ente pubblico economico -Giuri 
sdizione contabile da parte del1'
A.G.O., 882. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILITA 

-Accertamento dei presupposti e 
adozione del provvedimento abitatorio 
-Concentrazione delle due funzioni 
del medesimo organo -Legit� 
timit� costituzionale, 829. 

-Occupazione � Occupazione d'urgenza 
� Edilizia scolastica � Rapporti 
tra Ministero dei LL.PP. e Amministrazioni 
provinciali -Schema dell'affidamento 
in concessione, 892. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Regolamento di giurisdizione -Riforma 
fondiaria � Assegnazione con 
patto di riservato dominio -Reces� 
so dell'assegnatario -Spettanze conseguenti 
-Concessione di beni patrimoniali 
indisponibili -Art. 5 legge 
6 dicembre 1971, n. 1034 -Giurisdi 
zione esclusiva del giudice amministrativo 
-Non compromettibilit� in 
arbitri, 879. 

..... 
Regolamento -Procuratore generale 
della Corte dei conti -Avvocatura 
dello Stato -Rappresentanza in giudizio 
-� inammissibile, 881. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Incompetenza territoriale -Regolamento 
di competenza -Questione di 
costituzionalit� manifestamente infondata, 
916. 

-Notificazione del ricorso all'autorit� 
emanante -Regione Sardegna -Notificazione 
al Presidente della Giunta 
-Validit� anche per impugnazione 
di atto di un assessore -Piano 
di zona per l'edilizia economica e 
popolare, 914. 


VDJ INDICB ANALITICO-ALFABBTIOO DBLLA GIURISPRUDENZA 

-Sospensione Occupazione d'urgen� 
za � Obbligo di restituzione � Realizzazione 
opera pubblica -Irreversibilit� 
dell'occupazione, 910. � 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Atto formale di nomina � Illegitti� 
mo � Controversia di lavoro � Giu� 
risdizione amministrativa � Fattispecie, 
con .nota di G. PALMIERI, 874. 

-Dirigente � Responsabilit� dirigenziale 
� Caratteristiche, 915. 

-Dirigente � Responsabilit� dirigenziale 
� Contraddittorio � Fatti con� 
testati, 915. 

-Dirigente � Responsabilit� dirigen� 
ziale per atti del Ministro � Valutabilit�, 
915. 

-Dirigente � Responsabilit� dirigenziale 
-Valutazione -Disfunzioni oggettive 
� Incensurabilit�, 915. 

-Ente pubblico non economico � Atto 
formale di nomina -Carenza -Controversia 
di lavoro � Giurisdizione 
amministrati.va � Fattispecie, con 
nota di G. PALMIERI, 875. 

IMPUGNAZIONI PENALI 

-Sentenza emessa dalla Corte di appello 
in sede di rinvio della Cassazione 
relativamente a sola misura 
di sicurezza � Ricorso per cassazione 
� Inammissibilit�, '175. 

LAVORO 

-Braccianti agricoli � Indennit� di 
maternit� � Requisiti instaurazione 
di un valido rapporto assicurativo � 
Maturazione delle 51 giornate lavorative 
� Necessit�, 895. 

-Danni da infortunio sul lavoro � 
Credito per risarcimento . Privile� 
gio generale, 834. 

-Infortuni � Diritto alla rendita . Dipendenti 
P.T. addetti agli uffici � 
Condizioni, 889. 

OPERE PUBBLICHE 

-Appalto � Licitazione privata � Diniego 
approvazione � Aggiudicazione 
-Gravi motivi -Convenienza 
nuova gara -Idoneit�, 913. 

-Appalto -Licitazione privata -Diniego 
approvazione -Aggiudicazione 
Gravi motivi -Eccezionalit� Motivazione, 
913. 

-Appalto -Licitazione privata -Diniego 
approvazione -Aggiudicazione 
-Gravi motivi -Sindacabilit� 
della coerenza e logica dell'azione 
amministrativa, 913. 

PROCEDIMENTO PENALE 

-Connessione e competenza Concorso 
di minorenni e maggiorenni 
nello stesso reato -Evoluzione dell'ordinamento, 
794. 

-Estinzione del reato per amnistia 

o indulto -Appellabilit� della sentenza, 
799. 
-Preistruttoria di polizia -Immediata 
perquisizione sul posto � Possibilit� 
di farsi assistere da un difensore 
-Mancata previsione -Legittimit� 
costituzionale, 810. 

-Rito direttissimo -Interesse dell'imputato 
a separata fase istruttoria Non 
� costituzionalmente garantito 
-Termine per la presentazione 
al dibattimento -Mancata determinazione 
ex lege -Legittimit� costituzionale, 
791. 

REATO 

-Reato valutario previsto dall'art. 2 
legge 30 aprile 1'176, n. 159 e suc� 
cessive modifiche -Confisca di azioni 
-Ordine di annotazione della 
sentenza nei registri dei soci; con 
nota di F. GUICCIARDI, 97'5. 

-Reato valutario previsto dall'art. 2 
legge 30 aprile 1976, n. 159 e suc� 
cessive modifiche -Confisca prevista 
dall'art. 240 cod. pen. -Op� 
portunit� di disporla ove permanga 
la disponibilit� all'estero, con nota 
di F. GUICCIARDI, 975. 


INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

REGIONI 

-Costruzione di asili nido -Rientra 
nella materia lavori pubblici di interesse 
regionale, 829. 

-Lavori pubblici di esclusivo interesse 
regionale -Opere portuali Classificazione 
dei porti -� attri� 
buzione amministrativa dello Stato, 

812. 
SANIT� 

-Convenzionamento esterno -Accordo 
Nazionale -Decreto presidenzia� 
le di esecuzione -Impugnazione � 
� lus superveniens � -Irrilevanza, 

917. 
-Accordo nazionale -Convenzionamento 
esterno -Dereto presidenziale 
di esecuzione -Impugnazione Regione 
-Controinteressati -Esclusione, 
916. 

-Convenzionamento esterno -Accordo 
nazionale -Decreto presidenziale 
di esecuzione -Impugnazione Regione 
-Intervento -Ammissibilit�, 
916. 

-Convenzionamento esterno -Accordo 
nazionale -Decreto presidenziale 
di esecuzione -Impugnazione Soggetti 
legittimati, 916. 

-Servizio Sanitario nazionale -Principio 
generale libera scelta -Inesistenza, 
917. 

- 
Servizio Sanitario nazionale -Strutture 
pubbliche -Presidi privati convenzionati 
-Pari ordinazione -Utilizzabilit� 
presidi privati solo in difetto 
tempestiva prestazione struttura 
pubblica -Illegittimit�, 917. 

TRENTINO ALTO ADIGE 

-Provincia di Bolzano -Parificazione 
delle lingue italiana e tedesca -Riserva 
di norme di attuazione dello 
statuto -Non sussiste -Effettivo 
bilinguismo degli addetti a pubbliche 
funzioni od a servizi di pubblico 
interesse -Obbligo -Farmacisti 
-Sono addetti a servizio di 
pubblico interesse, 823. 

TRIBUTI (IN GENERE). 

-Contenzioso tributario -Procedimento 
innanzi alle commissioni 


Appello -Notifica ad istanza di 
parte e successivo deposito nella 
segreteria -�Nullit� -Sanatoria Esclusione, 
954. 

-Contenzioso tributario -Ricorso alla 
commissione centrale -Motivazione 
-Finalit� -Requisiti, 948. 

-Dichiarazione -Effetti -Rettifica 
a favore del contribuente -Esclusione, 
con nota di C. BAFILE, 935. 

-Sanzioni -Provvedimento di irrogazione 
-Natura dichiarativa -Nascita 
dell'obbligazione al momento 
della commissione, 949. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Imposta complementare progressisa 
sul reddito complessivo -Partecipazione 
in societ� di persone -Determinazione 
con riferimento alla 
quota del reddito sociale -Effettiva 
percezione da parte del socio Irrilevanza, 
953. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
-Soggetto passivo -Tassazione 
facoltativa in base a bilancio -Societ� 
di capitali trasformata in societ� 
di persone -Domanda espressa 
-� necessaria, 922. 

-Imposta sulle societ� -Agevolazione 
per il Mezzogiorno -Societ� per 
l'esercizio di cantieri edili -Si estende, 
945. 

-Imposta sul reddito delle persone 
fisiche -Oneri deducibili -Omessa 
documentazione -Ricorso contro il 
ruolo -Dimostrazione -Ammissibilit�, 
943. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro -Trasferimento 
di immobili -Vendita forzata senza 
incanto, 834. 

-Imposta sul valore aggiunto (IV A) Evasione 
-Misure cautelari a garan� 
zia del credito per pena pecuniaria 
-Iscrizione d'ipoteca -Competenza 
a richiederla -Spetta all'Intendente 
di finanza, 904. 

-Imposte di fabbricazione -Interessi 
su pagamento dilazionato-Articolo 
3-quater d.l. 6 luglio 1974, n. 251 
introdotto con legge di conversione 


X 

INDICB ANALITIOO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

14 agosto 1974, n. 346 -Entrata in 
vigore -Data di pubblicazione del� 
la legge di conversione, 925. 

-Imposte doganali � Correzione della 
liquidazione -Applicazione di una 
diversa voce di tariffa -Ingiunzione 
� Legittimit� -Revisione dell'accertamento 
� Non necessaria, 932. 

-Imposte doganali -Ingiunzione � 
Motivazione -Requisiti, 932. 

-Imposte in surrogazione del bollo 
e del registro � Credito a medio e 
lungo termine -Regime sostitutivo . 
Contratto condizionato di mutuo Risoluzione 
consensuale -Applicabilit�, 
928. 

TRIBUTI LOCALI 

-Imposta comunale sull'incremento 
degli immobili � Rettifica del valo


re finale � Adeguamento del valore 
iniziale dichiarato da parte dell'ufficio 
o del giudice -Esclusione Impugnazione 
del contribuente 
contribuente -Aumento del valore 
iniziale dichiarato -Ammissibilit� . 
Limiti, con nota di C. BAFILE, 935. 

INVIM � Applicazione per decorso del 
decennio -Determinazione del va� 
lore iniziale � Legittimit� costituzionale, 
802. 

INVIM � Base imponibile . Inclusione 
in essa della componente imputa� 
bile alla svalutazione monetaria 
Legittimit� costituzionale, 802. 

INVIM � Trasferimento di immobili 
In regime IVA -Esclusione della 
rettifica del corrispettivo fatturato . 
Legittimit� costituzionale, 803. 

k 

.. Ir. 

~.,~~~*74~~ 



INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 

CORTE COSTITUZIONALE 

13 giugno 1983, n. 164 

18 luglio 1983, n. 222 

21 luglio 1983, n. 224 . 

25 luglio 1983, n. 239 . 

26 settembre 1983, n. 261 

26 settembre 1983, n. 262 

29 settembre 1983, n. 276 

29 settembre 1983, n. 286 (ord.) 

10 ottobre 1963, n. 301 
10 ottobre 1983, n. 302 
_18 ottobre 1983, n. 312 
20 ottobre 1983, n. 319 
20 ottobre 1983, n. 321 

28 novembre 1983, n. 326 

28 novembre 1983, n. 328 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

Sez. V, 14 luglio 1983, nella causa 174/82 . . . . . . 
Sez. IV, 5 ottobre 1983, nelle cause riunite 186 e 187/82 
9 novembre 1983, nella causa 199/82 ...... . 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. III, 15 luglio 1982, n. 4171 

Sez. I, 20 luglio 1982, n. 4257 . 

Sez. Un., 15 gennaio 1983, n. 320 

Sez. Un., 9 maggio 1983, n. 3152 

Sez. I, 9 giugno 1983, n. 3952 

Sez. I, 16 giugno 1983, n. 4123 

Sez. I, 16 giugno 1983, n. 4126 

Sez. I, 20 giugno 1983, n. 4229 

Sez. Lavoro, 2 luglio 1983, n. 4452 

Sez. I, 4 luglio 1983, n. 4470 

Sez. I, 6 luglio 1983, n. 4527 

Sez. I, 6 luglio 1983, n. 4531 

pag. 791 
� 794 
� 799 
� 802 
� 810 
)) 803 
)) 812 
� 815 
� 816 
)) 821 
� 823 
)) 829 
� 832 
� 834 
� 834 

pag. 836 
)) 844 
� 848 

pag. 958 
� 958 
� 889 
)) 863 
� 892 
)) 922 
)) 925 
� 959 
)) 895 
� 928 
� 932 
)) 935 


XD INDICE CRONOLOGICO Dfll.LA GIURISPRUDENZA 

Sez. I, 12 luglio 1983, n. 4730 pag. 943 
Sez. I, 12 luglio 1983, n. 4731 � 945 
Sez. I, 15 luglio 1983, n. 4868 � 948 
Sez. Un., 20 luglio 1983, n. 5002 � 874 
Sez. Un., 20 luglio 1983, n. 5003 � 875 
Sez. I, 13 settembre 1983, n. 5552 � 949 
Sez. I, 16 settembre 1983, n. 5583 � 953 
Sez. I, 26 settembre 1983, n. 5692 � 954 
Sez. Un., 12 ottobre 1983, n. 5924 � 879 
Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6178 � 881 
Sez. I, 9 novembre 1983, n. 6628 � 895 
Sez. I, 12 novembre 1983, n. 6738 � 856 
Sez. I, 29 novembre 1983, n. 7162 � 904 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE 

19 ottobre 1983, n. 38 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 972 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., ordinanza 1� giugno 1983, n. 14 pag. 910 
Sez. IV, 11 aprile 1983, n. 223 � 913 
Sez. IV, 9 maggio 1983, n. 285 )) 914 
Sez. IV, 24 maggio 1983, n. 330 � 915 
Sez. V, 25 marzo 1983, n. 112 

)) 916 
Sez. V, 1 agosto 1983, n. 342 

� 920 
Sez. VI, 13 gennaio 1983', n. 2 

� 920 
Sez. VI, 4 ottobre 1983, n. 682 � 

921 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. III Pen., 18 novembre 1983, n. 1832 . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 975 

CORTE DI APPELLO DI GENOVA 

Sez. I-A, 15 marzo 1983, n. 418 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 975 


PARTE SECONDA 

QUESTIONI 

Atti dell'incontro di studio su �Il giudice nazionale e il diritto 
comunitario� . . . . . . . . . . . . . pag. 117 

LEGISLAZIONE 

I. � Norme dichiarate incostituzionali pag. 161 
II. � Questioni dichiarate non fondate � 161 
III. -Questioni proposte � 162 

LEGISLAZIONE SPECIALE PER COMBATTERE IL TERRORISMO 
E LA CRIMINALIT� ORGANIZZATA 
NEL RISPETTO DELLE GARANZIE COSTITUZIONALI (*) 


I 

1. -POSIZIONE DEL PROBLEMA. 
� stato notato giustamente che � impossibile costruire una categoria 
unitaria del terrorismo, a meno di non cadere in astrazioni metafisiche. 

Si pu�, in generale, dire che quello itaiLiiano contemporaneo corriiisiponde 

a.i connotati del terrorismo urbano della �nuova smistra�, cui appartengono 
anche i simbionesi americani e la Rote Armee Fraktion tedesca ed 
�, come quelli, caratterizzato dalla sua organizzazione criminale. 
2. -CRIMINE ORGANIZZATO E DIRITTO PENALE. 
La risposta dell'ordinamento penale alla criminalit� organizzata deve 
necessariamente adeguarsi all'entit� del fenomeno: quando, infatti, l'organizzazione 
superi una certa soglia dimensionale, quantitativa o qualitativa, 
essa minaccia di diventare eversiva del sistema. La minaccia � 
proporzionale all'estendersi dell'organizzazione in un determinato territorio, 
al crescere dell'elemer.to personale rappresentato dagli aderenti, al 
costituirsi di un ordinamento giuridico al suo interno, alla proclamazione 
di valori-guida, ovviamente contrapposti a quelli statuali. 

In tali circostanze il conflitto con l'organizzazione statuale pu� assumere 
le forme della guerriglia (quando non si trasformi in guerra civile) 
e pu� sollecitare misure di reazione di tipo militare con sospensione 
delle garanzie costituzionali. 

Il fenomeno si � variamente atteggiato in Italia, come in rapida sintesi 
mi propongo di esporre per l'inquadramento nel contesto storico dei 
problemi giuridici da valutare. 

(*) Nello scorso dicembre, l'Avvocato Generale dello Stato � stato invitato a 
tenere, negli Stati Uniti, una serie di Conferenze sul terrorismo e .fa criminalit� 
organizzata in Italda. 

Viene qui pubblicata quella tenuta all'Universit� di Berkeley. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

XVI 

II 

3. -LA CRIMINALIT� ORGANIZZATA E IL TERRORISMO IN ITALIA PRIMA DEL 1970. 
Si pu�, con qualche necessaria approssimazione, assumere il 1970 
come l'anno in cui si verifica in Italia un �salto di qualit�� nei fenomeni 
di criminalit� comune organizzata. e di terrorismo. 

Le forme di criminalit� organizzata fino allora operanti possono schematicamente 
ricondursi ai seguenti cinque ceppi criminologici: 

-la malavita dell'Italia settentrionale, che operava con organizzazione 
di modesta dimensione secondo uno schema comune a quello di tutte le 
societ� opulente (ad es. il classico �milieu� francese); 

-il banditismo sardo, che si ricollegava alla � sottocultura violenta � 
di una societ� �separata� -in particolare in Barbagia -che si rifiutava 
d'integrarsi nello Stato, restando chiusa per ragioni storiche, geografiche e 
sociologiche in un sistema agro-pastorale, in cui abigeato, rapina, omicidio 
costituivano quasi norme di vita; 

-la �camorra� napoletana,, la �'ndrangheta� calabrese, la �mafia� 
siciliana: queste tre forme si caratterizzavano per essere legate a societ� 
agricole di modeste dimensioni economiche, per avere qualche ispirazione 
sociale di tipo hobsbamwiano e per la pretesa di � supplenza � nei confronti 
del potere statale sentito come assente o nemico. 

Complessivamente nessuno degli indicati fenomeni appariva tanto 
minaccioso da richiedere una particolare reazione e si confidava -negli 
anni '50 e '60 -nel superamento della criminalit� organizzata, tipica del 
Mezzogiorno, con lo sviluppo della civilt� e del benessere. 

Anche il terrorismo non dest� in quel periodo preoccupazioni gravi, 
limitato, com'era, a due settori: quello alto-atesino e quello neofascista. 

Il primo, insorto in seno al gruppo linguistico tedesco del Trentino 
Alto-Adige, appariva ricalcare schemi di stampo ribellistico ottocentesco, 
vicini alla visione romantica cara a Shelley della � tempestosa bellezza 
del terrore� e generalmente si rivolgeva solo contro le cose (come i tralicci 
dell'alta tensione). 

L'altra forma non preoccupava per la scarsa consistenza oggettiva 
delle sue manifestazioni, per l'evanescenza della struttura organizzativa 
di appoggio e per la scarsa idoneit� degli ideali retrostanti a coagulare 
simpatia e consenso. 

4. -LA RISPOSTA DELL'ORDINAMENTO. 
Il codice penale del 1930 si limitava a considerare come aggravante 
la partecipazione al reato di pi� di cinque persone e configurava come 


NOTA REDAZIONALE xvn 

reati a s� l'associazione a delinquere semplice o qualificata da particolari 
finalit� illegali. 

Nel dopoguerra, la legge n. 42 del 1948 si limit� a vietare le Associazioni 
militari, e, poi, la Costituzione repubblicana viet� le as,sociazioni 
segrete e quelle militari con scopi politici. Furono in seguito emanate 
le leggi n. 1423 del 1956 e 575 del 1965 che prevedevano misure di prevenzione 
nei confronti di persone pericolose per la sicurezza pubblica 
e la pubblica moralit� e indiziate di appartenenza ad associazioni ma� 
fiose. 

L'idea go.ida del legislatore fu quella di sradicare il soggetto pericoloso 
dal suo territorio in modo da disintegrare l'organizzazione locale 
per poi eliminarla: l'effetto fu opposto, perch� il trapianto di focolai 
della malavita meridionale ne favor� il dilagare nell'ambito della pi� ricca 
economia dei luoghi di soggiorno. 

Quanto alla normazione processuale del codice di rito -fedele ad 
uno schema di tipo schiettamente inquisitorio, coerente con l'epoca 
della sua emanazione, coeva al codice sostantivo -si ebbe negli anni 
del dopoguerra un fenomeno di liberalizzazione, grazie a interventi legislativi 
novellistici ed a pronuncie della Corte costituzionale, che accentuarono 
le garanzie del diritto alla difesa e limitarono i poteri di polizia 
giudiziaria e la durata della carcerazione preventiva. 

L'ultima iniziativa legislativa in tal senso fu la legge n. 98 del 1974 
in tema di intercettazioni t~lefoniche. 

III 

5. -CRIMINALIT� ORGANIZZATA E TERRORISMO DOPO IL 1970. 
Il panorama cambia radicalmente negli anni settanta: in essi mala� 
vita e terrorismo si sviluppano in maniera sconcertante dando luogo a 
fenomeni di interconnessione sempre pi� gravi e allarmanti. 

Accanto al terrorismo nero, divenuto pi� feroce ed efficiente (strage 
di Brescia, treno Italicus, strage di Bologna) sorge quello rosso, alimentato 
dall'ampio retroterra di una cultura di sinistrn e sostenuto da un'area 
di simpatizzanti che era, almeno all'inizio, tale da consentire agli aderenti 
di nuotarvi dentro come �pesci�, secondo la classica immagine 
di Mao. 

Viene raggiunta un'organizzazione particolarmente efficiente che � 
stata ricostruita ed � emersa in pieno nel corso del processo Moro. 
Vale la pena di farne un cenno: essa prevedeva al vertice una 
Direzione strategica coadiuvata da un Consiglio, cui spettava, insieme 


xvm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

all'alta direzione politica, quello che in termini di dottrina dello Stato 
potrebbe definirsi il potere legislativo. 
Accanto alla direzione strategica era previsto un Comitato esecutivo 
che praticamente riuniva il potere esecutivo e quello giudiziario. 

L'apparato militare era composto di colonne -autosufficienti e indipendenti 
organizzativamente -in cui confluivano brigate -dotate di 
autonomia tattica -a loro volta suddivise in cellule di non meno di 3 
e non pi� di 5 unit�, che formavano i minimi nuclei operativi. 

Tutta l'organizzazione era dominata dal principio di compartimentazione 
in senso verticale e orizzontale nei rapporti con superiori e collaterali. 


Parallelamente all'organizzazione militare si svilupp� un'organizzazione 
politica costituita dai Comitati rivoluzionari affiancati alle colonne. 
In un secondo momento intervennero i Fronti, organi di mediazione 
politica tra Direzione strategica e colonne. 

Una struttura complessa e articolata, che ricorda quella di organizzazione 
della guerra partigiana e che riecheggia per molti aspetti la 
doppia subordinazione del sistema costituzionale-amministrativo sovietico. 

Le B.R. avevano inoltre istituito una rete di contatti con altri gruppi 
di analoga matrice, tra i quali si possono ricordare P.L. e N.A.P. A tali 
organizzazioni risalgono i feroci omicidi di decine di politici, di magistrati, 
giornalisti, avvocati, sindacalisti, il sequestro e l'assassinio dell'on. 
Moro, che segn� il punto pi� alto e pi� tragico dell'attacco portato 
�al cuore dello Stato�. 

In quel torno di tempo il fenomeno della malavita comune organizzata 
si acutizzava con l'estendersi dei suoi allacciamenti e con la 
tendenza a fondersi tra loro delle organizzazioni tradiz�onali. Queste 
perdevano via via il retaggio di qualche valore positivo, anche se deviante, 
con l'abbandono del settore povero dell'economia agricola e la 
penetrazione in quelli pi� ricchi dell'edilizia privata e pubblica e del-
l'industria. Traffico di droga e racket del commercio diventano vere 
e proprie industrie ramificate ormai sul territorio nazionale, conservando� 
tuttavia delle origini tutta l'efficacia intimidatoria e la legge ferrea del-
l'omert�. 

Il banditismo sardo esporta nel continente il � know-how � del sequestro 
di persone. Si intensificano i contatti oggettivi e soggettivi tra 
malavita comune e malavita politica per il diffondersi, da una parte, 
della pratica dell'autofinanziamento mediante i reati comuni, con il 
proliferare, dall'altra, delle � conversioni � ideologiche, specie nelle carceri, 
dei delinquenti comuni sotto l'incalzare del �proselitismo� politico. 

Il crimine organizzato -ormai non pi� nettamente distinguibile tra 
malavita e terrorismo -penetra e si diffonde nei settori pi� ricchi della 


NOTA REDAZIONALE 

economia italiana ed i proventi criminali raggiungono dimensioni rile� 
vantissime infiltrando tutto il tesssuto economico col riciclaggio attra� 
verso le banche, le case da gioco, l'esportazione e importazione di valuta. 

Sembra che si verifichi per le org�nizzazioni criminali non pi� con� 
finate in sacche localizzate una sorta di metastasi, che aggredisce la 
societ� civile dovunque e a tutti i livelli. 

6. -LA RISPOSTA DELL'ORDINAMENTO. 
a) La legislazione d'emergenza -antiterrorismo. 

Vincendo la tentazione del ricorso a misure straordinarie (lo stato 

di guerra) il legislatore italiano reag� al terrorismo con una serie di 

normative che ancorch� frammentarie e disorganiche, non sono risultate 

-sia detto senza trionfalismi -prive di successo. 

Il drammatico crescendo di tali misure viene significativamente 

espresso dall'intitolazione delle leggi: 

si va dalla legge n. 497 del 1974 intitolata �nuove norme contro la 

criminalit�� alla legge n. 152 del 1975 e 533 del 1977 intitolate alla �tutela 

dell'ordine pubblico� e si arriva poi al d.l. n. 625 del 1979 (convertito in 

legge n. 15 del 1980) intitolato alla �difesa dell'ordine democratico� e alla 

legge n. 646 del 1982, intitolata alla �difesa dell'ordinamento costitu


zionale�. 

Senza poter esaminare i numerosi articoli che la compongono cer


cher� di sintetizzzare le direttive di tale normazione, che risultano le 

seguenti: 

i) interventi strumentali indiretti come la disciplina delle armi 

(anche improprie) e degli esplosivi; il divieto di uso di caschi e altri 

mezzi idonei a rendere difficile il riconoscimento; l'obbligo di comunicare 

alla polizia gli atti di disposizione di immobili; il sequestro obbligatorio 

di immobili in cui siano rinvenute armi ed esplosivi; 

ii) potenziamento dei poteri di polizia: in particolare il fermo e la 

perquisizione anche fuori dei casi di flagranza, salvo il controllo succes


sivo dell'autorit� giudiziaria; la possibilit� di perquisizione di interi bloc


chi di edifici su autorizzazione del Procuratore generale della Repubblica; 

iii) strumenti processuali: come l'ampliamento del giudizio diret


tissimo, l'obbligatoriet� del mandato di cattura, il diniego della conces


sione della �libert� provvisoria�; la proroga fino ad un terzo della durata 

della carcerazione preventiva per i reati aggravati da finalit� di ter


rorismo; 


xx RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

iv) strumenti sostanziali: in particolare la creazione di nuove ipotesi 
di reato come l'associazione con finalit� di terrorismo e di eversione 
dell'ordinamento democratico, l'aggravamento di pene per reati connessi 
col terrorismo (ad es. sequestri di persona) e la previsione generale di 
aggravante per tutti i reati con finalit� terroristica; 

v) nuove esimenti ed attenuanti: queste sono state previste per 
ipotesi di dissociazione e di pentimento a favore dei compartecipi che 
si risolvano a collaborare con la giustizia. Tale normativa, che rappresenta 
un'assoluta novit� nel sistema italiano dove l'azione penale � obbligatoria 
e irretrattabile, sembra aver notevolmente contribuito ai successi ottenuti 
ultimamente. 

b) La legislazione antimafia. 

Senza indugiare su misure minori come l'obbligo di identificazione di 
chi compia operazioni bancarie o presso pubblici uffici d'importo ecce� 
dente i 20 milioni (legge n. 533 del 1975), ovvero come la sospensione 
dell'amministrazione dei beni personali -esclusi quelli destinati alla 
professione o ad attivit� produttive (legge n. 152 del 1975) -va ricordata 
la svolta decisiva che si � avuta con la legge n. 646 del 1982, che individua 
una nuova figura di reato � l'associazione di tipo mafioso � che si ha 
� quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione 
del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di 
omert� che ne deriva, per commettere delitti, per acquisire in modo 
dii.retto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attivit� economiche, 
di concessioni, di autorizzazione, appalti o servizi pubblici o per 
realizzare profitti o vantaggi ingiusti per s� o per altri�. 

Si tratta di una previsione normativa ad ampio spettro che mira 
a colpire tutte le forme di delinquenza organizzata proprio nel momento 
pi� pericoloso, che � quello della loro infiltrazione nell'economia pubblica. 


Allo scopo sono previste misure strumentali: come l'attribuzione al 
Procuratore della Repubblica di speciali poteri d'indagine sul tenore 
di vita, sulle disponibilit� finanziarie e sul patrimonio degli indiziati, del 
coniuge, dei figli e di chi abbia convissuto negli ultimi quattro anni, 
nonch� delle persone giuridiche su cui l'indiziato abbia il controllo pi� 

o meno esteso. 
Sono altres� previste misure cautelari come il sequestro dei beni ritenuti 
di illecita provenienza o derivanti dal reimpiego, salva la confisca 
in caso di condanna. 

Misure sostanziali vengono adottate prevedendo nuove figure di reati, 
quali la concorrenza con violenza o �minaccia in attivit� commerciali 

o comunque produttive, e come l'incriminazione dei pubblici dipendenti 
e amministratori che non osservino le norme restrittive prescritte per 

NOTA REDAZIONALE 

il rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni, ecc., o non applichino le 
misure di ritiro o di decadenza prescritte dalla legge. 

Numerose altres� le norme strumentali di incidenza fiscale o valutaria 
come la prescrizione, in caso di sentenza anche non definitiva di 
condanna, alla Guardia di Finanza di procedere alla valutazione della 
posizione fiscale, anche con riguardo a illeciti valutari e societari; la 
previsione della cattura obbligatoria in caso di accertamento positivo, e 
l'iscrizione dell'esito in apposita �banca dati� presso il Ministero dell'interno. 
� istituito un regime di controllo patrimoniale dei dieci anni 
successivi all'emanazione della condanna, con obbligo di comunicare 
tutte le variazioni patrimoniali superiori ai 20 milioni e con l'elevazione 
a specifico reato dell'eventuale inadempimento a tale obbligo. 

Va anche ricordata la creazione di una Commissione parlamentare 
sul terrorismo e la mafia e di un Alto Commissario per il coordinamento 
con poteri straordinari d'indagine. 

Si pu�, infine, ricordare la legge n. 17 del 1982, emanata in occasione 
dello scioglimento della Loggia P2 che, in attuazione dell'art. 28 
della Costituzione, ha definito la figura del reato di associazione segreta. 

IV 

8. -PROBLEMI DI COSTITUZIONALIT�. 
La legislazione di emergenza ha sollevato problemi di compatibilit� 
di alcune norme con i principi della carta costituzionale, segnatamente 
quelli dell'inviolabilit� della libert� personale e domiciliare, della durata 
della carcerazione preventiva e della difesa dell'imputato. Altri problemi 
potrebbero prospettarsi per la legislazione antimafia in relazione ai principi 
di rispetto della propriet� e dell'iniziativa economica privata. 

La Corte costituzionale ha avuto occasione di enunziare una serie 
di principi che consentono di ritenere che anche la pi� recente normativa 
in esame, pur assai severa, non travalichi i limiti della legalit� democratica 
costituzionalmente garantita. 

Con le due importanti sentenze n. 125 del 1979 e n. 15 del 1982 la 
Corte ha indicato tre criteri alla luce dei quali va condotta l'indagine 
della legislazione antiterrorismo (e il principio sembra doversi estendere 
a quella antimafia): l'effettivit�, la ragionevolezza e l'emergenza. 

L'effettivit� -riferita al diritto di difesa -comporta di valutare 
se a ciascuno � consentita in concreto una difesa adeguata e congruente 
con riferimento al tipo di procedimento cui � assoggettato. 

Il principio, affermato per escludere il diritto all'autodifesa in sede 
penale, costituisce un parametro generale che sembra idoneo ad esclu



XXII RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

dere che la legislazione in esame abbia violato il diritto alla difesa, 
dato che essa mette sempre gli interessati in condizione di tutelare 
i propri interessi. 

Il principio di ragionevolezza legittima una reazione normativa pi� 
severa per comportamenti indubbiamente pi� gravi e pericolosi di 
quelli di criminalit� comune. 

La constatazione di un'emergenza in atto, infine, giustifica sia 
pure con implicito riferimento ad una necessaria temporaneit� dei ri� 
medi -un rigore commisurato alle difficolt� del momento. 

Del resto il nostro ordinamento ha apprestato una misura particolarmente 
importante di garanzia come l'istituzione del Tribunale della 
libert� (legge n. 532 del 1982). Esso assicura inoltre l'importante tutela 
di ben tre gradi di giurisdizione, ed offre .il presidio del principio 
costituzionale della presunzione di non colpevolezza dell'imputato. 

Si pu� concludere, come � stato ritenuto da molti studiosi, che la 
normativa considerata, anche se ispirata dal principio salits reipublicae 
suprema lex, resta al di qua dei limiti della costituzionalit�, anche se � 
ad essi assai vicina. 


PARTE PRIMA 



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GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 13 giugno 1983, n. 164 -Pres. EJ.ia -Rel. Saja Gallina 
(n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato 
Chiarotti). 

Procedimento penale -Rito direttissimo -Interesse dell'imputato a sepa


rata fase istruttoria -Non � costituzionalmente garantito � Termine 

per la presentazione al dibattimento � Mancata determinazione ex lege � 

Legittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3, 24 e 25; I. 14 ottobre 1974, n. 497, art. 2). 

Non � costituzionalmente protetto l'interesse dell'imputato a che si 
abbia un'autonoma fase (istruttoria) anteriore al dibattimento. Quando 
si deve procedere con il rito direttissimo, il pubblico ministero � sempre 
tenuto ad investire il giudice del dibattimento con la massima possibile 
rapidit�, e, se l'imputato � detenuto, deve essere osservato il termine di 
40 giorni stabilito dall'art. 272 cod. pen. 

(omissis) Con l'ordinanza in epigrafe il tribUIIlale di Larino denuncia 
l'art. 2 legge 14 ottobre 1974 n. 497, relativa a nuove norme sulla criminalit�, 
il qua�le per alcuni delilitti, tra cui quelli concernenti le armi e 
gli esplosivi, prevede in ogni caso il giudizio direttissimo in deroga a 
quanto previsto dal primo comma dell'art. 502 cod. proc. penale. 

Sembra al giudice a quo che la norma suddetta contrasti: a) con 
l'art. 3 Cost. per irrazionale disparit� di trattamento, in quanto gli imputati 
dei reati suddetti -a differenza di coloro che debbono rispondere 
di altri delitti -non ipossono usufruire della fase istruttoria, nella quale 
potrebbero ottenere il proscioglimento, ma hanno l'onere di presentarsi 
al dibattimento; la norma risulterebbe poi irrazionale anche intrinsecamente 
perch�, da un lato prescrive il procedimento direttissimo e, dall'altro, 
non fissa alcun termine per l'esercizio del ll'elativo potere-dovere 
da parte del pubblico ministero, ~l quale pertanto potrebbe dtardare iHi� 
mitatamente il giudizio; b) con l'art. 24 secondo comma Cost. perch� limita 
il diritto di difesa, il quale, per effetto della soppressione della fase 
istruttoria, pu� essell'e esercitato soltanto nel dibattimento; e) con l'articolo 
25 primo comma Cost. perch�, in violazione del principio del giudice 
naturale, il pubblico ministero, peraltro non vincolato dall'osservanza di 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

792 

un termine, pu� stabi1ire con illimitata discreziomclit� la data dell'udienza 
e quindi ha la possibilit� di scegliere la sezione ovvero la specifica composizione 
dell'organo giudicante. (omissis) 

Pi� consistente sembra l'altro profilo, con cui Sii denuncia l'intrinseca 
irrazionalit� della norma perch� prescrive il giudizio direttissimo, ma 
non pone al riguardo alcun termine, sicch� il pubblico ministero -secondo 
quanto si deduce -potrebbe vanificare il fine perseguito dalla 
legge ri.ta:ridando a suo arbitrfo H dibattimento. 

Ma ritiene 1a Corte che, in realt�, neppure tale rilievo possa essere 
condiviso. 

:� vero che, secondo la ricordata giurisprudenza o:ridinairia, non � 
dato trarre dalla il.1orma in esame una specifica previsione di carattere 
temporale, ma ci� non significa che in subiecta materia non sussista 
alcun termine e il pubblico ministero possa conseguentemente agire con 
una discrezionalit� talmente illimitata da sconfinare nell'arbitrio. Anzitutto, 
se l'imputato � detenuto soccorre il prevalente orientamento giurisprudenzia!
le, secondo cui, anche nel caso di giudizio direttissimo atipico 
obbligatorio previsto dalla norma denunciata, deve essere osservato 
il termine di quaranta giorni stabilito dall'art. 272 secondo comma cod. 
proc. penale. 

Peral1.Jro, in via generale, non pu� dubitarsi che sussista sempre H 
dovere del pubblico ministero, desumibile dalla stessa natura del giudizio 
direttissimo, di investire di giudice del d1battimento con la massima 
rapidit� possibile (cfr. in tali sensi la sentenza di questa Corte 12 dicembre 
1972, n. 170). E va osservato che, se � vero che la violazione di ta:le 
dovere non produce nullit�, non � men vero che sussiste rpUII' sempre 
t'obbligo di osservarlo (art. 154 primo comma cod. proc. pen.), con la 
conseguenza che, in �caso di colposa omissione, il magistrato � soggetto 
alle sanzioni disciplinari previste dalla legge sull'ordinamento giudiziario. 
Inoltre, anche in V<ia :preventiva non � che manchi qualsiasi controllo, 
essendo tenuto il rprocuratore generale della Corte d'appello ad esercitare 
la vigilanza sul procuratore della Rerpu"'lblica (a cui spetta di promuovere 
il giudizio direttissimo) per la rigorosa osservanza delle norme processuali 
(cit. art. 154 ultimo comma), tra le quali rientra sicuramente anche 
que1la concernente il ricordato dovere di tempestivit�. 

Le precedenti considerazioni .escludono che possa riscontrarsi il de


nunciato vizio di .irrazionalt�, ma la Corte non pu� non constatare la 

indifferibilit� -relativamente non solo al giudizio direttissimo 'in esame, 

ma anche agli altru analoghi casi di giudizio direttissimo atipico obbliga


torio -di una disciplina pi� incisiva, puntuale e organica. 

Su qd~sta linea, del resto, si muove il testo unificato deHa commis


sione giustiziia della Camera dei deputati approvato il 15 luglio 1982, in 

relazione al disegno di legge n. 845 e alla proposta di legge n. 112 dell'VIII 

legislatura, H quale ha fissato all'art. 2 n. 40 dei termini precisi applicabili 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

nel giudizio � immediato � (nel cui ambito � compreso il giudizio direttissimo), 
variandoli a seconda che l'imputato sia detenuto (dieci giorni) 
ovvero libero (sessanta giorni). 

Relativamente aHa seconda censura, osserva preliminarmente la Corte 
che essa investe non solo l'ipotesi a cui espressamente � riferita dal giudice 
a quo, ma il giudizio direttissimo nel suo complesso, sia esso tipico 
ovvero atipico, facoltativo o obb1igatorfo, in quanto concerne la insussistenza 
di una fase istruttoria, la quale costituisce la nota essenziale e. 
caratteristica di quel giudizio. In proposito per� gi� questa Corte ha 
avvertito come non possa ritenersi sussistente un interesse dell'imputato, 
costituzionalmente protetto, a che il riconoscimento della sua �innocenza 
avvenga in :un'autonoma fase anteviore al dibattito (cfr. in tali sensi ll:a 
dee. 12 dicembre 1972, n. 172). 

E tale orientamento va confermato e ribadito in quanto la scelta 
della struttura del processo si risolve in un problema di politica legislativa, 
come tale rimesso al legislatore ordinario, il quale pu� .raziionalmente 
. iprescin!dere dallo sohema tradi2lionale e provvedere in base a specifiche 
va1uta:zrl.oni di politica criminale, senza che ci� incida affatto sul 
diritto di difesa che ben potr� essere esercitato nel �dibattimento in tutta 
la sua pienezza. 

Il che trova riscontro nel gi� cit. art. 2 n. 40 dell'indicato testo unificato, 
i!1 quale ha reintrodotto il giudizio direttissimo (l'istituto, pur essendo 
egualmente denominato, non coincide tuttavfa col giudizio immediato 
di cui all'art. 2, n. 39, legge 3 aprile 1974, n. 108, contenente fa delega 
per il nuovo codice di procedura penale) nella piena consapevolezza ohe 
esso non offende affatto il diritto d!i difesa. 

&rai non �pu� tacersi di una notevole tendenza, chiaramente espressa 
daMa legge ora indicata, verso il giudizio accusatorio, diretto ad attenuare 
grandemente la funzione dell'istruzione e spostare il fulcro del giudizio 
alla fase dibattimentale. 

Peraltro, anche de jure condito va rilevato che H giudizio direttissimo 
non si risolve necessariamente in un danno per fimputato il quale anzi 
potr� evitare le lungaggini, purtroppo normali, dell'1istruzione e ottenere 
prontamente H riconoscimento della sua innocenza con una decsione idonea 
a diventare irrevocabile: caratteristica questa esclusiva delle sentenze 
emesse nel dibattimento, mentre il proscioglimento pronunziato in istruttoria 
non � mai definitivo, essendo sempre possibile la riapertura della 
istruzione secondo la disciplina previista dagli artt. 402 e segg. cod. proc. 
penale. 

Anche la terza censura non pu� essere condiviisa e gi� questa Corte 
ripetute volte ha ritenuto infondata la relativa questione (cfr. sent. nn. 170 
e 172 del 1974; n. 146 del 1969). Invero il potere del rpubblico ministero di 
fare comparire l'imputato per il giudiziio direttissimo avanti alla seziione 
ovvero al collegio scelti nell'ambito dell'ufficio competente non sembra 


794 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

offendere il principio del giudice naturale, il quale, secondo il comune orientamento, 
si identifica in un giudice imparziale precostituito secondo le 
norme dell'ordinamento giudiziario. 

Si tratta, in J:ealt�, della possibilit� di una scelta ohe trova fondamento 
nell'intento di assicurare la necessaria efficienza del giudizio direttissimo 
mediante forme semplici e rapide dirette alla realizzazione della 
tipica funzione dell'istituto. 

Comunque, la Corte non pu� non auspicare che anche su tal punto la 
disciplina venga adeguatamente migliorata e l'udienza per il giudizio direttissimo 
sia fissata mediante il normale meccanismo della legge predisposto 
per gli altri processi, pm con i necessari adeguamenti alla rapidit� 
che � propria di detto giudizio. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983, n. 222 -Pres. Elia -Rel. De Stefano 
-Pietropaolo ed altro (n.p.). 

Procedimento penale -Connessione e competenza -Concorso di minorenni 
e maggiorenni nello stesso reato -Evoluzione dell'ol'dinamento. 

I 

(Cost., art. 3; r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9). 

I 1: 

L'evoluzione dell'ordinamento processuale penale dimostra che il timore 
del possibile conflitto di giudicati per effetto della separazione dei 
procedimenti pi� non prevale su altre esigenze parimenti meritevoli di 
tutela. Contrasta con l'art. 3 Cost., l'art. 9 del r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404 
(istituzione e funzionamento del tribunale per i minorenni), convertito con 
modificazioni nella legge 27 maggio 1935, n. 835, nella parte in cui sottrae 

I 

alla competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti penali a 
carico di minori coimputati con maggiorenni per concorso nello stesso 

I

reato. i:i 

I 
I
fil 

(omissis) La deroga alla competenza del tribunale per i minorenni 
quando nel procedimento vi siano coimputati maggiorenni, ha gi� pi� 
volte formato oggetto del sindacato di legittimit� costituzionale. Questa fil

@

Corte, con ,sentenza n. 130 del 1963, ha ritenuto che tale deroga non contrasti 
con l'art 25 della Costituzione, atteso che Ǐ evidente in questa 
disposizione '1'-ispirazione alla necessit� del simultaneus processus per il 
motivo della connessione�, ohe costituisce �un criterio fondamentale di 
attribuzione della competenza �. Circa, poi, la possibilit� della separazione 
dei procedimenti, prevista nello stesso comma secondo dell'art. 9, ove i�: 
l'unico processo non sia r.itenuto indispensabile, la Corte, con la mede


f 
~: 

sima sentenza, ha ritenuto la norma scindibile nelle sue proposizioni, e 
ne ha dichiarato la iHegittimit� costituzionale, per Vliolazione dell'art. 25 -;:: 
della Costituzione, limitatamente alla parte in cui, affidando al procuratore ~:

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(.: 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

generale della Corte di appello ogni decisione sull'opportunit� dello spostamento 
di competenza, gH dava' poteri espressamente qualificati come 
esenti da qualsiasi sindacato. 

Alla medesima �esigenza di uniformit� nel giudizio sull'accertamento 
del fatto e sulla sua valutazione� la Corte ha fatto appello, nella successiva 
sentenza n. 10 del 1966, per negare che la deroga in parola contrasti 
con l'art. 3 della Costituzione; e si � richiamata alla precedente sentenza, 
dianzi menzionata, che faceva � salva una nuova disciplina della materia �, 
rilevando che � la mancanza attuale di questa nuova normativa n� include 
l'illegittimit� costituzionale del principio ,di separabilit� dei procedimooti, 
n� travolge nell'illegittimit� costituzionale la regola che unifica il processo 
innanzi all'organo ordinario, ove debba essere :ritenuto inscindibile�. 

Nella dtata sentenza n. 198 del 1972, infine, si � affermato che �la 
necessit� del simultaneus processus che Ia Corte nella sua precedente 
decisione ha posto a giustificazione della deroga alla competenza del tribunale 
per i minorenni per >l'ipotesi di procedimenti contro minOTi e 
maggiori coimputati dello stesso reato, non ricorre quando il reato commesso 
dal minore... sia distinto e diverso da quello compiuto dal maggore 
degli anni diciotto, anche se fra tali ,reati sussiste connessione�; 
pertanto, come gi� !l"icordato, Ia COTte ha !l"iconosoiuto che la norma impugnata 
contrastava con l'art. 3 della Costituzione nella :parte in cui non 
limitava la competenza del giudice oodinario nei confronti dei coimputati 
minori al caso di procedimenti nei quali minori e maggiori degli 
anni diciotto siano coimputati dello stesso reato. 

Le tre pronunce della Corte, dunque, per giustificare la deroga hanno 
fatto tutte leva sulla esiigenza del simultaneus processus, considerata preminente 
rispetto alla ratio ispiratrice dell'istituzione di un giudice specializzato 
per gl'Qmputati minorenni. In particolare, per quanto concerne 
il rispetto del principio di eguaglianza, 1a ragionevolezza deHa disparit� 
del trattamento riservato a minori autori del medesimo reato, giucl!icati 
da organi a composizione diversa e con diverso procedimento, a seconda 
vi siano o meno coimputati maggiorenni, � stata dedotta daill'ordinamento, 
frn esso ravvisando una sorta di preponderante favor per il cumulo 
processuale, ritenuto necessario per prevenire l'eventualit� di giudizi difformi. 


Ma posteriormente alle richiamate decisioni di questa Corte, il sistema 
del codice di procedura penale appare sensibilmente modificato, per 
quanto concerne gli effetti della connessione, da un complesso di disposizioni, 
dalle quali emerge un deciso orientamento in senso riduttivo. 

Giova in proposito ricordare che, in correlazione con l'accentuato 
ricorso, per varie categorie cl!i reati, al giudizio direttissimo, si pone 
come regola, nell'ambito della connessione, la separazione dei procedimenti. 
Ed invero, l'art. 35 della legge 18 aprile 1975, n. 110, in materia 
di controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi, nel prescrivere, 


796 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

per i reati da essa previsti, H rito direttissimo, stabilisce che � per i 
reati connessi si procede, di regola, previa separazione dei giudizi�. Del 
pari gli artt. 17 e 26 della legge 22 maggio 1975, n. 152, recante disposizioni 
a tute1a dell'ordine pubblico, nel prevedere il giudizio direttissimo per 
determinati reati, stabiliscono che �la connessione opera soltanto se � 
indispensabile per l'accertamento dei reati medesimi o della responsabilit� 
dell'imputato�. Formule ,analoghe, procedendosi con giudizio direttissimo, 
si ritrovano in successive leggi: art. 4 del d.l. 4 marzo 1976, n. 31, 
convertito con modificazioni in legge 30 aprile 1976, n. 159, recante disposizfoni 
penali in materia d'infrazioni valutarie; art. 80 della legge 1� apr�.le 
1981, n. 121, per taluni delitti commessi da appartenenti a11'Amministrazione 
della pubblica sicurezza. 

Anche al di fuori della instaurazione del procedimento direttissimo, 
il legislatore nell'ultimo decennio ha inciso in senso limitativo sui casi 
e sugli effetti della connessione nel processo penale. Cos� l'art. 31 della 
gi� citata legge n. 152 del 1975 ha introdotto un'ulteriore deroga, disponendo 
che i reati commessi da ufficiali o agenti di polizia per fatti compiuti 
in servizio e relativi all'uso delle 'armi � sono di regola giudicati 
separatamente �, Sempre nella stessa linea di tendenza, ma con portata 
di carattere generale, va soprattutto tenuta presente la �novella� dell'art. 
48-bis (art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 534), in punto di � rilevanza 
della connessione �, secondo cui la connessione non produce effetti 
n� sulla competenza n� ai fini delLa riunione, rispetto ai procedimenti 
relativi a reati commessi da arrestati, detenuti o internati, ai reati per 
i quali l'imputato o gli imputati sono stati sorpresi in flagranza e ai reati 
per i quali la prova appare evidente, procedendosi in questi casi separatamente 
per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati. Norma, quest'ultima, 
operante pure nella ipotesi di connessione per concorso di persone 
nel medesimo reato, e che � stata ritenuta dalla Corte di cassazione 
applicabile anche per il concorso del minore con il maggiore di et�, 
ove il primo soltanto sia stato sorpreso in flagranza. 

Della citata legge n. 534 del 1977 va del pari ricordato, nella stessa 

prospettiva, l'art. 10, che ha sostituito il testo dell'art. 414 del codice di 

procedura penale, disponendo che qualora l'ordinanza di rinvio a giudi


zio o la richiesta o il decreto di citazione abbiano per oggetto un reato 

attribuito a pi� imputati o pi� reati attribuiti a uno o pi� imputati, 

il giudice, sentite le parti, possa ordinare la separazione dei giudizi, ove 

si manifesti la possibilit� di definire prontamente uno o pi� dei procedi


menti riuniti. Infine, nell'intento di ovviare ai possibili inconvenienti 

della separazione, la stessa legge n. 534 del 1977, mediante gli artt. 3, 9 

e 11, ha inserito nel codice di procedura penale disposizioni che consen


tono, nei casi in cui si proceda separatamente nei confronti di imputati 

dello stesso reato o di reati connessi, di acquisire e dare lettura di atti 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

dei procedimenti separati, anche se non ancora definiti con sentenza 
irrevocabile (art. 144-bis); e di sentire liberamente, tanto nella fase istruttoria 
che in quella dibattimentale, le persone imputate per lo stesso 
reato o per un reato connesso, nei cui confronti si proceda separatamente 
(artt. 348-bis e 450-bis). 

N� pu� dirsi, invero, che l'orientamento, quale � dato desumere 
dall'attuale normazione, verso una attenuazione della rilevanza della connessione 
ai fini dell'attribuzione della competenza, abbia carattere contingente: 
posto che l'art. 2 della legge 3 aprile 1974, 111. 108, nel dettare 
i princ�pi ed i criteri direttivi della delega legislativa al Governo per 
l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, gi� prevedeva, al 
punto 13, per la disciplina de1l'istituto della connessione, non solo la 
eliminazione di ogni discrezionalit� nella determinazione del giudice competente, 
ed il potere di disporre, anche in sede di appello, la separazione 
dei procedimenti su istanza dell'imputato che vi abbia interesse, .ma 
anche, per quanto attiene al profilo che qui interessa, la � esclusione della 
connessione nel. caso di imputati minori �. Nella relazione della commissione 
ministeriale sul progetto preliminare del codice di procedura penale 
si legge in proposito che � ai fini del maggiore snellimento e della semplificazione 
del nuovo processo, � stato seguito l'orientamento di ridurre 
notevolmente i casi di connessione �; e che l'art. 14 del progetto riproduce 
la direttiva n. B della legge delega �escludendo l'operativit� della 
connessione in caso di reati commessi in regime di concorso da imputati 
minori e maggiori degli anni diciotto�. 

Scaduto il 31 ottobre 1979 il termine, pi� volte prorogato, per l'esercizio 
della delega, analogo orientamento si evince anche dai lavori parlamentari 
preordinati al suo rinnovo, essendo da ultimo previsto, nella 
relazione che accompagna il testo apprestato dalla IV commissione della 
Camera dei deputati, presentata il 17 novembre 1982, che i princ�pi 
relativi alla disciplina della connessione rimangano quasi del tutto immutati 
rispetto a quelli della precedente delega, salvo piccole modifiche di 
coordinamento. Per i minori, poi, � ivi prevista, con apposita direttiva 

(n. 87), una disciplina del processo ispirata ai princ�pi generali del nuovo 
processo penale, � con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle 
particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturit� e dalle 
esigenze della sua educazione �, nonch� dall'attuazione di vari criteri, tra 
cui � indicata, alla lett. a), la �non operativit� della connessione tra 
procedimenti concernenti imputati minorenni al momento della commissione 
del fatto e procedimenti concernenti imputati maggiorenni �. 
La Corte, nuovamente chiamata a verificare se contrasti con il precetto 
dell'art. 3 della Costituzione la norma che alla competenza penale 
del tribunale per i minorenni, avente carattere di generalit� per gli imputati 
minori degli anni diciotto, tuttora sottrae soltanto quei minori che 
siano coimputati con maggiorenni per concorso nello stesso reato, ritiene 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di non poter pi� invocare, a differenza da quanto operato nelle precedenti 
pronunce, l'esigenza del simultaneus processus, per giustificare la 
deroga alla competenza del giudice specializzato. Ed invero, la sopravvenuta 
evoluzione dell'ordinamento processuale penale dimostra chiaramente 
come in esso, a s�guito delle apportate modifiche, il timore del 
possibile conflitto di giudicati per effetto della separazione dei procedhnenti, 
timore che � alla base del ricorso al processo cumulativo, pi� 
non prevalga necessariamente su altre esigenze parimenti meritevoli di 
tutela. Del resto gi� questa Corte aveva in passato avuto occasione di 
affermare nella sentenza n. 139 del 1971, che �la connessione � un criterio 
fondamentale di attribuzione della competenza �, ma �nei limiti in cui 
il simultaneus processus non pregiudica esigenze che l'ordinamento considera 
preminenti �. 

In contrapposto alla cennata esigenza, cui la contestata deroga intende 
sopperire, si pone, infatti, con rilievo che la Corte riconosce preminente, 
la finalit� perseguita con la istituzione di un giudice specializzato 
per gl'imputati minorenni. � Il tribunale per i minorenni -si legge nella 
relazione del Consiglio superiore della magistratura per il 1971 sullo 
stato della giustizia -fu istituito proprio perch� si ritenne che il minore, 
spesso portato al delitto da complesse carenze di personalit� dovute a 
fattori familiari, ambientali e sociali, dovesse essere valutato da giudici 
specializzati che avessero strumenti tecnici e capacit� personali particolari 
per vagliare adeguatamente la personalit� del minore al fine di 
individuare il trattamento rieducativo pi� appropriato �. Questa Corte 
-che gi� nella sentenza n. 25 del 1964 aveva osservato come la giustizia 
minorile abbia una particolare struttura � in quanto � diretta in modo 
specifico alla ricerca delle forme pi� adatte per la rieducazione dei minorenni 
� -ha fatto in proposito richiamo, nella sentenza n. 46 del 1978, 
alla � necessit� di valutazioni del giudice fondate su prognosi ovviamente 
individualizzate in ordine alla prospettiva di recupero del minore deviante 
�, nell'ambito di quella � protezione della giovent� �, che trova fondamento 
nell'ultimo comma dell'art. 31 della Costituzione. La �tutela dei 
minori � si colloca cos� tra gli interessi costituzionalmente garantiti, come 
questa Corte ha sottolineato in varie pronunce (sentenze n. 25 del 1965, 
nn. 16 e 17 del 1981); ed il tribunale per i minorenni, considerato nelle 
sue complessive attribuzioni, oltre che penali, civili ed amministrative, 
ben pu� essere annoverato tra quegli � istituti � dei quali la Repubblica 
deve favorire lo sviluppo ed il funzionamento, cos� adempiendo al precetto 
costituzionale che la impegna aUa � protezione della giovent� �. 
A conferma di tale configurazione stanno la particolare struttura del collegio 
giudicante (composto, accanto ai magistrati togati, da esperti, benemeriti 
dell'assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, psichiatria, 
antropologia criminale, pedagogia, psicologia), gli altri organi che ne 
preparano o fiancheggiano l'operato, nonch� le peculiari garanzie che 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

assistono l'imputato minorenne nell'iter processuale davanti all'organo 

specializzato. E tutto ci�, appunto, in vista dell'essenziale finalit� del 

�recupero del minore deviante�, mediante la sua rieducazione ed il suo 

reinserimento sociale, in armonia con la m�ta additata dal terzo comma 

dell'art. 27 della Costituzione, nonch� dall'art. 14, paragrafo 4, del Patto 

internazionale relativo ai diritti civili e politici (adottato a New York il 

19 dicembre 1966 e la cui ratifica ed esecuzione sono state disposte con 

legge 25 ottobre 1977, n. 881), a norma del quale la procedura applicabile 

ai minorenni rispetto alla legge penale dovr� tener conto della loro et� 

e dell'interesse a promuovere la loro rieducazione. 

Alla luce delle su esposte considerazioni la residua deroga alla gene


rale competenza del tribunale per i minorenni risulta ormai carente di 

adeguata giustificazione; e poich� ogni deroga ad una disciplina generale 

(specie se la disciplina, come quella in esame, sia preordinata a tutela 

di interessi costituzionalmente garantiti) dev'essere sorretta da valide 

ragioni giustificative, evidente appare il suo contrasto con il principio 

sancito dall'art. 3 della Costituzione. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 21 luglio 1983, n. 224 -Pres. Elia -Rel. Rossano 
-Ippolito (avv. Cataldo). 

Procedimento penale -Estinzione del reato per amnistia o indulto � Ap


pellabilit� della sentenza. 

(Cost., artt. 3 e 24; cod. proc. pen., artt. 387, 399 e 512). 

Non � giustificata la disparit� di trattamento tra P.M., che ha il diritto 
di proporre appello avverso le sentenze istruttorie di proscioglimento 
per estinzione del reato, e l'imputato, al quale lo stesso appello non � 
consentito. 

(omissis) ... il legislatore del 1930, nel dettare la disciplina delle impugnazioni 
delle sentenze istruttorie e dibattimentali da parte dell'imputato, 
segu� un sistema unitario, ponendo gli stessi limiti all'appello contro 
le sentenze di proscioglimento pronunciate in giudizio dal pretore (art. 512, 

n. 2, cod. proc. pen.) e dal tribunale (art. 513, n. 2, cod. proc. pen.) e contro 
le sentenze di proscioglimento emanate al termine dell'istruzione formale 
(art. 387, comma terzo, cod. proc. pen.) o dell'istruzione sommaria (art. 395, 
comma terzo, cod. proc. pen.) e dal pretore nei procedimenti di sua competenza 
(art. 399 cod. proc. pen.). 
Contro le sentenze istruttorie e dibattimentali di proscioglimento per 
estinzione del reato non era concesso l'appello all'imputato, che poteva 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

800 

proporre solo il ricorso per Cassazione, che �, di per s�, limitato ai motivi 
di legittimit�, con esclusione, quindi, di riesame del merito. L'appello del 

P.M. era consentito in ogni caso. 
I suddetti limiti all'appello dell'imputato avverso le sentenze dibattimentali 
di proscioglimento per estinzione del reato sono stati notevolmente 
circoscritti da questa Corte. 

In particolare, con le sentenze n. 70 del 1975, n. 73 del 1978, n. 72 del 
1979, n. 53 del 1981, alle quali sono seguite le ordinanze n. 79 del 1979 
e nn. 11 e 87 del 1980, � stata dichiarata l'illegittimit� costituzionale degli 
artt. 512, n. 2, e 513, n. 2, cod. proc. pen. nelle parti in cui escludevano il 
diritto dell'imputato a proporre appello contro le sentenze dibattimentali 
di proscioglimento perch� i reati erano estinti per effetto di amnistia o di 
prescrizione a seguito di giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti 
ed attenuanti, a seguito della concessione di circostanze attenuanti, 
a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella enunciata nel 
decreto di citazione o nell'ordinanza di rinvio a giudizio. In tali sentenze 
� stato rilevato che le norme impugnate concernevano un proscioglimento 
caratterizzato da un previo riconoscimento di colpevolezza, idoneo a produrre 
effetti negativi in altri giudizi civili ed amministrativi, essendo 
necessario valutare in concreto la condotta dell'imputato al fine di accertare 
se il fatto sussistesse, se l'imputato lo avesse commesso o se fosse previsto 
dalla legge come reato; e, solo sul presupposto di un giudizio affermativo 
di colpevolezza, avrebbe potuto avere luogo l'altro giudizio di comparazione 
tra circostanze aggravanti ed attenuanti o di concessione delle circostanze 
attenuanti ed il proscioglimento per amnistia o per prescrizione 
nell'ipotesi che anche questo secondo giudizio fosse stato favorevole all'imputato. 
Nelle stesse sentenze, inoltre, � stata posta in evidenza la possibilit� 
che le sentenze dibattimentali di proscioglimento arrecassero un pregiudizio 
morale e giuridico al soggetto prosciolto, perch� le norme impugnate 
sopprimevano ingiustificatamente taluni modi generali d'esercizio 
della difesa, negando al solo imputato il diritto di appellare la sentenza 
di primo grado. 

Anche le sentenze istruttorie di proscioglimento per estinzione del reato 
a seguito di amnistia o di prescrizione, che, come quelle pronunciate dai 
giudici istruttori di Milano, Roma, Torino e Cassino, escludono l'applicabilit� 
dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., in quanto contengono 
una sostanziale dichiarazione di colpevolezza, possono arrecare agli imputati 
pregiudizi di ordine morale e di ordine giuridico. 

� innegabile, quindi, che l'imputato ha interesse a dolersi della sentenza 
istruttoria di proscioglimento, che abbia ritenuto sussistenti gli elementi 
costitutivi dei reati contestati e rigettato la sua specifica richiesta diretta 
ad ottenere il proscioglimento con formula ampia ai sensi dell'art. 152, 
comma secondo, cod. proc. pen. o escluso l'applicabilit� di tale norma 
indipendentemente da quella determinata richiesta. In tali specifici casi 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

l'interesse dell'imputato va riconosciuto pi� rilevante degli interessi di 
carattere collettivo e sociale che sono soddisfatti dagli istituti dell'amnistia 
e della prescrizione. Il proscioglimento per amnistia nella fase istruttoria 
non comporta preclusione dell'azione civile risarcitoria e dell'azione disciplinare 
nei confronti di pubblici dipendenti per la sua inefficacia di giudicato 
nei giudizi civili o nel procedimento disciplinare, ma certamente non 
pu� disconoscersi l'influenza che possano avere in tali giudizi l'accertamento 
e la valutazione dei fatti effettuati in sede penale. In particolare 
l'art. 29, comma secondo, r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, sulle guarentigie 
della Magistratura prescrive l'obbligo di iniziare l'azione disciplinare nei 
confronti del magistrato prosciolto con sentenza istruttoria di non doversi 
procedere per estinzione del reato. 

Il pregiudizio derivante all'imputato dalle sentenze istruttorie di proscioglimento 
fu messo in evidenza da questa Corte con la sentenza n. 151 
del 1967, dichiarativa della illegittimit� costituzionale degli artt. 376, 395, 
comma ultimo, e 398, comma ultimo, cod. proc. pen. per le mancate previsioni 
della contestazione del fatto e dell'interrogatorio dell'imputato ai 
fini del proscioglimento con formula diversa da quelle che il fatto non 
sussiste o non � stato commesso dall'imputato. In tale decisione si afferma 
che le sentenze istruttorie di proscioglimento per loro natura sono atte 
a cagionare un nocumento almeno temporaneamente irrimediabile in quanto, 
a differenza delle pronuncie di rinvio a giudizio, chiudono il processo. 
La citata decisione aggiunge che il proscioglimento pu� ferire la dignit� 
del cittadino non dissimilmente da una pronuncia di rinvio a giudizio e che 
anche la declaratoria istruttoria di estinzione del reato per sopravvenuta 
amnistia produce effetti analoghi a quelli della corrispondente pronuncia 
dibattimentale, senza, per�, che vi sia stato un previo accertamento di 
reit�. 

All'interesse morale dell'imputato ad ottenere la sentenza istruttoria di 
proscioglimento con la formula a lui pi� favorevole questa Corte ha, poi, 
riconosciuto rilevanza anche con la sentenza n. 5 del 1975 dichiarativa della 
illegittimit� costituzionale dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen. 
nella parte in cui non comprende tra le ipotesi, in cui il giudice istruttore, 
ad istruttoria ultimata, deve pronunciare sentenza di proscioglimento nel 
merito, anzich� declaratoria di estinzione del reato per amnistia, anche 
l'ipotesi in cui manchi del tutto la prova che l'imputato abbia commesso 
il reato stesso. 

Analoghe considerazioni portano a ritenere, quanto al caso in esame, 
non giustificata la disparit� di trattamento tra PM., che ha il diritto di 
proporre appello avverso le sentenze istruttorie di proscioglimento per 
estinzione del reato, e l'imputato, al quale lo stesso appello non � consentito. 
La norma impugnata turba il necessario equilibrio del contraddittorio 
ed in tal senso viola anche il principio del diritto di difesa. (omissis) 


802 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

p.q.m. 
dichiara: 

a) l'illegittimit� costituzionale dell'art. 387, comma terzo, cod. proc. 
pen. nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, 
ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., 
avverso la sentenza del giudice istruttore, che lo abbia prosciolto per 
estinzione del reato per amnistia o prescrizione; 

b) di ufficio, ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimit� 
costituzionale dell'art. 399, comma primo, cod. proc. pen. nella parte 
in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei 
limiti di cui all'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., avverso la sentenza 
del pretore, che lo abbia prosciolto per estinzione del reato pe:r 
amnistia o prescrizione; 

c) di ufficio, ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimit� 
costituzionale degli artt. 512, n. 2, e 513, n. 2, cod. proc. pen., come 
sostituiti dagli artt. 134 e 135 legge 24 novembre 1981, n. 689 (modifiche 
al sistema penale), nelle parti in cui escludono il diritto dell'imputato di 
proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, 
cod. proc. pen., avverso la sentenza del pretore, del tribunale e della Corte 
di assise che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia 

o prescrizione. 
I 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 luglio 1983, n. 239 -Pres. Elia -Rel. Ferrari � 
Soc. Cestelis ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. 
Stato Salimei). 

Tributi locali � INVIM -Base imponibile � Inclusione in essa della com


ponente imputabile alla svalutazione monetaria -Legittimit� costi


tuzionale. 

(Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 1, 2, 3, 6, 14 e 15). 

Tributi locali -INVIM -Applicazione per decorso del decennio -Deter


minazione del valore iniziale -Legittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 76; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6). 

L'inclusione nell'imponibile dell'INVIM della componente imputabile 
alla svalutazione monetaria non contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost. 

Non contrasta con l'art. 76 Cost. l'art. 6 del d.P.R. n. 643 del 1972 nella 
parte in cui disciplina la determinazione del valore iniziale ai fini dell'applicazione 
dell'INVIM per decorso decennio. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 803 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 settembre 1983, n. 262 -Pres. Elia -Rel. Ferrari 
-S.p.A. Centrale di Costruzioni IMCO (n.p.) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (avv. Stato Salimei). 

Tributi locali -INVIM -Trasferimento di immobili -In Tegime IVA Esclusione 
della rettifica del corrispettivo fatturato -Legittimit� 
costituzionale. 
(Cost., artt.. 3 e 53; l. 9 ottobre 1971, n. 825, art. 6; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6). 

Non contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost. l'art. 6, comma secondo, del 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, che discrimina tra trasferimenti immobiliari 
sottoposti ad imposta registro (o sulle successioni) e trasferimenti immobiliari 
assoggettati ad IVA, escludendo per questi ultimi la facolt� dell'ufficio 
di rettificare i corrispettivi dichiarati (1). 
I 

(omissis) L'imposta in parola, (la INVIM), che � succeduta a quella 
sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili (IV AF), di cui alla legge 
5 marzo 1963, n. 246 -la quale a sua volta aveva sostituito il contributo 
di miglioria istituito col testo unico per la finanza locale (r.d. 14 settembre 
1931, n. 1175) -� stata oggetto, non solo di successivi aggiustamenti 
ad opera del legislatore, e precisamente nel 1974 (d.P.R. n. 688), 1975 (legge 

n. 694), 1977 (legge n. 904), 1979 (d.l. n. 571, convertito nella legge 12 gennaio 
1980, n. 2) e, da ultimo, nel 1982 (d.P.R. n. 953, convertito nella legge 
28 febbraio 1983, n. 53), ma anche di varie pronunce di questa Corte, tra 
cui le sentenze nn. 8 del 1978, 126 del 1979 e 121 del 1982, oltre le ordinanze 
nn. 9 e 67 del 1978, 39 e 148 del 1980, 60 del 1981, 8 del 1983 (di 
(1) Uno dei tanti �miti� creati dalla riforma tributaria del 1972-1973 � 
quello della inevitabilit� della sottrazione dei trasferimenti immobiliari avvenuti 
�in regime IVA� al potere della amministrazione finanziaria di procedere 
a revisione del corrispettivo dichiarato (e quindi anche fatturato). In realt�, 
nulla osterebbe ad un ripristino della generale estensione di tale potere, ai 
fini di una imposizione di registro � di conguaglio � (con gettito stimabile superiore 
a lire 200 miliardi l'anno); ed anzi una siffatta soluzione contr.ibuirebbe 
a contrastare la diffusa pratica della sottofatturazione nel settore edilizio e 
immobiliare. Va comunque rilevato che la sottofatturazione -beninteso, se 
accertata -pu� ora essere penalmente rilevante (art. 1, comma secondo, del 
d.l. 10 luglio 11982, n. 429). 
Il discorso non finisce qui. Il confine tra � regime IV A � e imposizione 
proporzionale di registro � stato, dalla nostra legislazione delegata, fissato 
in modo che pare non conforme alla VI direttiva CEE in tema di IVA e quindi 
contrastante con gli artt. 11 e 76 della Costituzione (cfr. anche Corte giust. 



804 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

restituzione ai giudici a quibus) e 27 del 1983 (di manifesta inammissibilit�). 
Con le sentenze nn. 8 del 1978 e 121 del 1982 � stata dichiarata la 
non fondatezza delle .questioni di legittimit� costituzionale sollevate, sotto 
il profilo dell'eccesso rispetto alla legge di delegazione in ordine agli articoli 
2, primo comma, 7 e 15 lettera e), del d.P.R. n. 643 del 1972 e, in riferimento 
agli artt. 53 e 3 Cost., in ordine all'art. 18, quarto comma, dello stesso 
decreto presidenziale, il quale dispone che le spese incrementative, da 
computarsi ai fini del calcolo del valore iniziale del bene, se non gi� esposte 
nella dichiarazione, � debbono, a pena di decadenza, essere denunciate 
all'ufficio al momento della registrazione dell'atto �. 

Con la sentenza n. 126 del 1979, infine, giudicando sulla legittimit� costituzionale 
degli articoli 2, 4, 6, 7, 14, 15 e 16 del decreto presidenziale 

n. 643 del 1972 e dell'art. 8 della legge n. 904 del 1977, denunziati in riferimento 
agli artt. 3, 42, 47 e 53 Cost., la Corte, premesso: che gli incrementi 
di valore sono dovuti, non gi� alle iniziative dei privati, ma � all'insieme 
dei lavori e servizi pubblici eseguiti a spese dello Stato e degli enti 
locali�; che l'imposta ha pertanto una �giustificazione fondamentale�; 
che l'incremento dei valori immobiliari � di per s� costituisce sicuro indice 
di capacit� contributiva�; che, conseguentemente, � legittima � l'imposizione 
diretta a colpire gli effettivi incrementi di valore degli immobili
�, ha rigettato la censura formulata in riferimento all'art. 53 Cost., 
affermando in primo luogo che deve ritenersi � non sindacabile in questa 
sede la disciplina normativa dei presupposti e dei criteri di applicazione 
del tributo, in relazione agli effetti della svalutazione della moneta�, 
giacch� si tratta di � scelte politiche�, salvo che gli eventuali effetti distorsivi 
imputabili alla svalutazione � non comportino la violazione di 
qualche principio costituzionale, ovvero non determinino un sicuro travalicamento 
del normale ambito di discrezionalit� che la Costituzione riserva 
alle scelte del legislatore ordinario �, Ha tuttavia ritenuto la questione 
� fondata sotto il secondo e diverso profilo della violazione del principio 
Comunit� europee, 19 gennaio .1982, in causa Becker). Ed invero, per l'art. 13, 
lettera B, punto e, gli acquisti di immobili non di nuova costruzione destinati 

o da destinare all'attivit�, �esente� da I.V.A., di locazione !immobiliare (in 
pratica, parte cospicua degli acquisti delle societ� immobiliari) non pu� beneciare 
del � regime IV A � e quindi delle relative detrazioni, e dovrebbe quindi 
essere compreso nell'area dell'imposizione proporzionale di registro. Ove la legislazione 
� nazionale � si conformasse alla direttiva, il fisco trarrebbe benefici 
e in termini di maggior gettito tributario e in termini di minor volume dei 
rimborsi IVA. 
Da ultimo, .si segnala che con decisione .16 dicembre 1980, n. 2999 la commissione 
centrale ha affermato che, nel caso di permuta, si devono applicare 
contemporaneamente l'IVA per il bene ceduto dal soggetto passivo IV A e la 
imposta di registro con aliquota proporzionale per H bene dato in permuta 
dall'altro contraente ( cfr. anche NAPOLITANO, IVA e registro nei contratti di 
permuta, in Boll. trib., 1982, 1565). 



PARTE I, SEZ.� I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

di eguaglianza�, e quindi, illegittimi gli artt. 14 d.P.R. n. 643 del 1972 ed 
8 legge n. 904 del 1977, con la motivazione che le detrazioni dall'incremento 
di valore introdotte per correggere o ridurre gli effetti della svalutazione 
monetaria, si risolvono in un � meccanismo di liquidazione dell'imposta �, 
il quale,� per effetto della progressivit� delle aliquote�, �comporta in con� 
creto un trattamento differenziato e palesemente discriminatorio �, nel 
senso che l'onere tributario risulta �notevolmente pi� gravoso per chi 
aliena dopo un pi� lungo periodo di possesso �. Ha infine negato che si 
configuri disparit� di trattamento anche in danno dei proprietari di aree 
fabbricabili, apparendo ineccepibile la liquidazione separata delle aree 
rispetto a quella dei fabbricati, nonch� fra i contribuenti di diversi Comuni, 
dato che questi devono pur sempre, nel deliberare la misura delle 
aliquote, attenersi ai limiti fissati dalla legge (omissis) 

Ne consegue che nel presente giudizio oggetto di esame della Corte 
sono gli artt. 3, in relazione agli artt. 1 e 2, e 6 del d.P.R. n. 643 del 1972, 
di cui l'uno concerne, secondo quanto gi� si � visto, l'imposta decennale, 
l'altro pi� propriamente la determinazione dell'imponibile. 

La sentenza n. 126 del 1979 di questa Corte � stata pronunciata, come 
risulta dalla premessa rievocazione dei precedenti, con riguardo specifico 
all'applicazione dell'imposta nei casi di alienazione a titolo oneroso o di 
acquisto a titolo gratuito (art. 2 del d.P.R. cit.), ed al perento meccanismo 
delle detrazioni (artt. 14 stesso d.P.R. ed 8 legge n. 904 del 1977). 
Nel presente giudizio, viceversa, � in discussione l'applicazione della medesima 
imposta per il semplice decorso del decennio, cio� l'ipotesi pr~vista 
dall'art. 3 del decreto delegato in discorso ... 

Ma se nuovo e diverso � il thema decidendum, rimangono invariati 
gli argomenti a sostegno dell'asserita illegittimit� costituzionale, in riferimento 
all'art. 53 Cost., dell'applicazione dell'imposta comunale sull'incremento 
di valore degli immobili per decorso del decennio. 

La Commissione tributaria ... dopo aver affermato che indici di capa� 
cit� contributiva, a seasi dell'art. 53 Cost., sono le manifestazioni di ric� 
chezza, osserva che, aggirandosi l'inflazione intorno al 20 % annuo, l'im� 
posta in parola colpisce � pressoch� esclusivamente il deprezzamento della 
moneta, il quale sicuramente non costituisce indice di ricchezza e quindi 
di capacit� contributiva �. � Secondo l'attuale meccanismo � -prosegue 
lo stesso giudice a quo -si sarebbe giunti ormai ad un'ipotesi veramente 
limite, � di fronte alla quale la pur amplissima discrezionalit� del legislatore 
deve trovare un freno costituzionale �; incremento di valore, infatti, 
non solo � � costituito quasi per intero da svalutazione monetaria, 
ma talora pu� anche non esistere �, come nel caso in cui sia aumentato 
il valore nominale dell'immobile, ma diminuito quello reale, con conseguente 
applicazione dell'imposta ad una perdita. Del resto -si legge 
ancora nell'ordinanza -, per un verso la stessa Corte costituzionale ha 
affermato (sent. n. 126 del 1979) che compete proprio al legislatore � te



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nere conto degli effetti conseguenti a processi inflattivi �, e per altro 
verso le sezioni unite della Corte di cassazione hanno recentemente 
(sent. 4 luglio 1979, n. 3776) posto in discussione il principio nominalistico 
della moneta � mediante la rivalutazione delle somme dedotte in obbligazione, 
e ci� anche per i debiti di valuta �. 

Analogamente argomentano le altre ordinanze, le quali lamentano anch'esse: 
che l'imposta colpisce il �puro e semplice possesso, indipendente 
da qualsiasi negozio giuridico � e, quindi, non l'incremento di valore, ma 
il valore stesso del bene; che, in tempi di � fortissima svalutazione �, non 
esisterebbe �l'asserito maggior valore�; che di fatto la tassazione decennale 
si risolverebbe in una vera e propria imposta patrimoniale, giacch� 
�colpisce la propriet� ininterrotta di beni immobili (fabbricati), prescindendo 
in via assoluta dal concetto di capacit� contributiva, che presuppone, 
necessariamente, un criterio di reddito e cio� una manifestazione 
dlretta od indiretta di ricchezza �. In particolare si imputa altres� al legislatore 
di non attribuire � rilevanza al decadimento degli immobili per 
vetust� e per l'uso � e di non tener conto, sia della concreta incommerciabilit� 
di un immobile con fitto bloccato, sia dell'eventualit� che, successivamente 
al compimento del decennio, � un terreno con buon indice di 
edificabilit� � possa essere � ridotto ad area verde per effetto di variazione 
del piano regolatore � ed un immobile possa, in conseguenza di un 
cataclisma, venire addirittura �distrutto o gravemente danneggiato�, senza 
che sia previsto � il diritto ad alcun rimborso o detrazione �. 

La questione � infondata. 

Gli argomenti addotti a dimostrazione dell'illegittimit� costituzionale, 
in riferimento all'art. 53 Cost., dell'applicazione dell'imposta all'incremento 
di valore per decorso del decennio non sono, n� nuovi, n� diversi 
rispetto a quelli a suo tempo esposti avverso l'applicazione della stessa 
imposta all'incremento di valore in conseguenza del trasferimento degli 
immobili. E pertanto valgono nei confronti dell'art. 3 d.P.R. n. 643 del 
1972 gli stessi motivi, in base ai quali questa Corte, con la sentenza n. 126 
del 1979, dichiar� infondata la questione sollevata in ordine all'art. 2, 
sempre per asserito contrasto con l'art. 53 Cost. La Corte ebbe allora ad 
affermare -ed ora ribadisce -che non � dubitabile la giustificazione 
fondamentale del'imposta in oggetto. Questa � stata istituita, come gi� si 
� rilevato, allo scopo di colpire gli incrementi di valore che di regola 
derivano ai beni immobili anche indipendentemente da alcuna iniziativa 
dei proprietari. Trattandosi perci�, secondo quanto � stato chiarito nella 
predetta sentenza, di imposta sugli incrementi di valore, e non sui trasferimenti, 
la �giustificazione fondamentale�, ravvisata a riguardo dell'INVIM 
su-questi ultimi, cio� dell'art. 2, conserva validit� anche a riguardo 
dell'INVIM decennale, cio� dell'impugnato art. 3. 

E per quanto concerne in particolare la denunzia della dubbia legittimit� 
costituzionale della determinazione dell'imponibile -vale a dire, 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

dell'art. 6 -, prospettata in relazione alla crescente svalutazione monetaria, 
deve... richiamarsi ancora una volta alla sentenza di questa Corte 

n. 126/1979, la quale in proposito ha statuito �che la presenza del fattore 
inflattivo � di per s�, n� costituisce � ostacolo alla applicazione d'una imposta 
sul plusvalore degli immobili�, n� impone al legislatore di � depurare 
gli incrementi di valore imponibile della componente imputabile alla 
svalutazione della moneta, mediante formule di indicizzazione o di integrale 
rivalutazione, in contrasto con i principi cui si ispira, non solo il 
vigente sistema tributario, ma l'intero regime delle obbligazioni pecuniarie, 
corrispondente alle esigenze di una economia sviluppata, in cui 
la moneta � indispensabile misura dei valori di mercato�. (omissis) 
Deve dichiararsi parimenti infondata la questione di legittimit� dell'imposta 
per decorso decennio, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. 
Si afferma da alcuni giudici a quibus che l'art. 3 della legge istitutiva dell'INVIM, 
escludendo dall'imposta decennale gli immobili appartenenti a 
persone fisiche, darebbe �luogo ,ad un diverso trattamento tributario fra 
contribuenti proprietari di immobili � nel senso che stabilirebbe � due 
categorie di contribuenti�, �alcuni tenuti al pagamento di una tassa l� 
dove altri, a perfetta eguaglianza di condizioni obiettive, non lo sono � 
e discriminerebbe, senza che si rinvenga idonea ragione..., i cittadini che 
investono i propri risparmi in beni immobili rispetto a quelli che li investono 
in mobili particolarmente adatti a conservare il loro valore nel tempo 
o, addirittura, ad incrementarlo�, quali i �preziosi o i francobolli�, e 
�proprio allo scopo di sottrarre i risparmi al fenomeno inflattivo'" 

L'asserita disparit� di trattamento non sussiste. Premesso in linea 
generale che una disciplina differenziata per persone fisiche e per entit� 
soggettive diverse da queste, stante la loro eterogeneit�, non presta il 
fianco a rilievi sotto il profilo della ragionevolezza, � bastevole ricordare 
nuovamente che il tributo in parola �non � configurabile come imposta sui 
trasferimenti, bens� come imposta sugli incrementi di valore � (sentenza 

n. 126/1979), per negare che si profili una trasgressione del principio d'eguaglianza 
in danno delle entit� soggettive di cui all'art. 3 d.P.R. 643/ 
1972. Anzi, se si tiene presente che a queste ultime non si addice l'ipotesi 
di successione mortis causa, mentre le persone fisiche vengono assoggettate 
all'imposta in oggetto anche in caso di acquisto a titolo gratuito oltre 
che in caso di alienazione a titolo oneroso -, non pu� non riconoscersi 
che proprio la periodicit� dell'imposta evita che si verifichi la 
disparit� di trattamento a svantaggio delle persone fisiche, rivelando 
cos� anche la sua finalit� perequativa. 
N� costituiscono argomento in contrario i casi di investimenti in beni 
mobili particolarmente idonei a sfuggire all'imposta, nonostante il loro 
incremento di valore. Sembrano evidenti, infatti, le ragioni che. impediscono 
il raffronto di tali beni con gli immobili: baster� considerare che 
il loro incremento di valore, peraltro eventuale, non dipende certo dalla 


808 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

esecuzione di opere pubbliche o dall'istituzione di servizi pubblici. E va 
da ultimo ricordato, con riguardo alla censura di cui all'ordinanza emessa 
dalla commissione tributaria di Mondov�, che il legislatore non ha mancato 
di prevedere, come pi� sopra � stato appositamente posto in evidenza 
nell'esposizione della normativa in discorso, esenzioni e riduzioni, 
di cui i giudici tributari non mancheranno di tener conto, ove ne ricorrano 
gli estremi. 

Deve dichiararsi infondata, da ultimo, anche la questione sollevata 
dalla commissione tributaria . . . la quale denuncia il vizio di eccesso di 
delega, lamentando che l'art. 6, penultimo comma, della legge delegata 

n. 643 del 1972 contrasterebbe con l'art. 6, nn. 3 e 4, della legge di delegazione 
n. 851 del 1971 e, quindi, violerebbe l'art. 76 Cost. 
Ai fini della determinazione del valore iniziale per le possidenze societarie 
decennali -cos� il giudice a quo -, mentre la legge di delegazione 
statuisce semplicemente che tale valore � quello �alla data dell'acquisto 
per atto tra vivi o per causa di morte�, la legge delegata, viceversa, inserendo 
l'inciso che il valore in discorso Ǐ determinato ai sensi dei commi 
precedenti�, avrebbe �arbitrariamente esteso all'imposta decennale il 
criterio dell'accertamento fiscale ai fini dell'imposta iniziale di registro�. 

La censura non ha fondamento. Va al riguardo osservato che il legislatore 
delegato ha inteso stabilire, con l'inciso di cui sopra, il criterio 
di determinazione concreta del valore iniziale. Ma in tal modo, esso ha 
attuato, non gi� vulnerato la legge di delegazione, essendo il valore accertato 
ai fini dell'imposta di registro esattamente quello venale, che ne costituisce 
la base imponibile, secondo quanto risulta inequivocamente dal 
combinato disposto degli artt. 41, n. 1, 48 e 49 del d.P.R. 26 ottobre 1972, 

n. 634, recante �disciplina dell'imposta di registro�. Appare pertanto insussistente 
l'addotta violazione dell'art. 76 Cost. 
L'ordinanza lamenta altres� che dall'applicazione del �valore fiscale 
accertato ai fini dell'imposta di registro o di successione�, per determinare, 
anche in ordine all'imposta decennale, il valore iniziale, deriverebbero 
�differenti criteri di valutazione (valori reali per l'imposta decennale, 
valori fiscali per quella sui trasferimenti) >>, in quanto non verrebbe 
tenuto conto della � differenza fra le situazioni rispettivamente incise 
(una situazione patrimoniale statica ed una situazione di riscossione occasionata 
da un trasferimento)�, Senonch�, si � appena osservato che 
tale differenza nei criteri di valutazione non ricorre. A parte ci�, giova 
chiarire che la disposizione impugnata vale, per un verso, ad evitare discrasie 
nella valutazione dello stesso bene -apparendo del tutto inammissibile 
che il valore venale possa essere, ai fini dell'INVIM, diverso da 
quello gi� determinato in sede di imposta di registro -e, per altro verso, 
a rendere omogenea l'applicazione del tributo nelle varie ipotesi, dato 
che la base imponibile � costituita in ogni caso dall'incremento di valore 
di un immobile in un determinato periodo di tempo. (omissis) 

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PARTE I. SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

II 

(omissis) Deve, viceversa, dichiararsi non fondata la �questione di 
legittimit� costituzionale dell'art. 6, n. 4, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, 
e dell'art. 6, secondo comma, penultimo periodo, del d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 643, nella parte in cui si stabilisce che per i trasferimenti assoggettati 
all'imposta sul valore aggiunto si assumono, quali valore finale ed 
iniziale, i corrispettivi determinati ai fini di detta imposta, in relazione 
agli artt. 3 e 53 della Costituzione�, sollevata dalla commissione tributaria 
di primo grado di Firenze con ordinanza del 20 novembre 1980. 

Bench� i profili della censura non emergano con tutta nettezza, sembra 
tuttavia che la denunziata illegittimit� costituzionale consista nel dato 
che l'imposta in parola (INVIM) graverebbe sui trasferimenti soggetti ad 
IVA meno pesantemente che su quelli soggetti a registro. Dal � fatto che 
per i trasferimenti soggetti all'imposta sul valore aggiunto si adottino quali 
valori di riferimento i corrispettivi, anzich� i valori venali � deriverebbe 
l'impossibilit� per l'ufficio di operare su valori diversi da quelli indicati 
nell'atto di trasferimento, con conseguente violazione, sia del principio 
d'eguaglianza, sia del principio della capacit� contributiva, di cui appunto 
agli artt. 3 e 53 Cost. 

La questione si rivela non fondata. 

La disposizione intesa ad evitare, ai fini del calcolo dell'incremento di 
valore imponibile (INVIM) -nei casi di trasferimenti di immobili da 
parte di entit� soggette ad IVA -un'autonoma procedura di accertamento 
per la determinazione dei valori di confronto non � censurabile 
sotto i denunziati profili di legittimit� costituzionale. Uno degli obiettivi 
perseguiti dalla riforma fiscale � stato quello della semplificazione del 
metodo di prelievo, in maniera da ridurre il troppo elevato costo del sistema 
di riscossione delle imposte. In questa logica va vista l'unificazione 
delle procedure di accertamento dei tributi, di cui appositamente � riservato 
l'esercizio esclusivamente agli uffici finanziari dello Stato, ed in cui 
non pu� non farsi rientrare la tendenza ad evitare, in linea di principio, 
ogni duplicazione di accertamento che non appaia necessaria, e che pertanto 
potrebbe conseguire il risultato di ritardare ingiustificatamente la 
riscossione, specie tenendo conto della lentezza e dell'imperfezione funzionale 
degli uffici fiscali. � a questo criterio, non privo di giustificazione, 
che si � ispirato il legislatore nel dettare sul punto la disciplina in oggetto. 
Di conseguenza, non pu� riconoscersi pregio alla censura, non solo per la 
suesposta considerazione, ma anche per il rilievo che essa � rivolta ad 
un aspetto squisitamente tecnico, attinente alla realizzazione del tributo. 
(omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

810 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 settembre 1983, n. 261 -Pres. Elia -Rei. 
La Pergola -Jellimo (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice 
avv. gen. Stato Carafa). 

Procedimento penale -Preistruttoria di polizia -Immediata perquisizione 

sul posto -Possibilit� di farsi assistere da un difensore -Mancata pre


visione -Legittimit� costituzionale. 

(Cast., artt. 13 e 24; l. 22 maggio 1975, n. 152, art. 4). 

Il legislatore ordinario pu� consentire alla polizia di procedere, nei 
casi di necessit� ed urgenza, ad immediata perquisizione, senza obbligo 
per i procedenti di assicurare al perquisito la possibilit� di avvalersi della 
assistenza di un difensore. 

La statuizione all'esame della Corte, posta nell'art. 4 della legge n. 152 
del 1975, � cos� formulata: �In casi eccezionali di necessit� e di urgenza, 
che non consentono un tempestivo provvedimento dell'autorit� giudiziaria, 
gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria e della forza pubblica 
nel corso di operazioni di polizia possono procedere, oltre che all'identificazione, 
all'immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare 
l'eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, di persone 
il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete 
circostanze di luogo o di tempo non appaiono giustificabili. 

Nell'ipotesi di cui al comma precedente la perquisizione pu� estendersi 
per le medesime finalit� al mezzo di trasporto utilizzato dalle persone 
suindicate per giungere sul posto. 

Delle perquisizioni previste nei commi precedenti deve essere redatto 
verbale, su apposito modulo, che va trasmesso entro quarantotto ore al 
procuratore della Repubblica e, nel caso previsto dal primo comma, consegnato 
all'interessato �. (omissis) 

Nell'ordinanza del pretore di Pizzo, la rilevanza della questione forma 
invece, come si � premesso, oggetto di espressa e puntuale delibazione, 
ed � cos� argomentata: a) la norma dedotta in giudizio costituisce, nel 
vigente ordinamento, la sola base sulla quale la perquisizione possa nel 
caso in esame ritenersi eseguita; b) detta statuizione -norma eccezionale, 
si dice, e contenuta in una legge sull'ordine pubblico -priverebbe il 
soggetto delle garanzie di difesa, che lo assistono secondo le generali previsioni 
del codice di rito (artt. 304-bis, 304-ter e 224 cod. proc. pen.): con 
il risultato che il perquisito non sarebbe avvertito della possibilit� di 
farsi assistere da un difensore, e il difensore, dal canto suo, non avrebbe 
diritto al preavviso; c) un'eventuale pronunzia di accoglimento, in rela



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

zione alla prospettata lesione dell'art. 24 Cost., estenderebbe alla specie 
le garanzie di cui si lamenta la mancata previsione; d) l'imputato sarebbe 
stato tuttavia perquisito senza l'osservanza di tali garanzie, con conseguente 
nullit� �assoluta ed insanabile� della perquisizione e di tutti gli 
altri atti compiuti. 

Le deduzioni test� esposte non possono essere accolte. Lo stesso giudice 
a quo, com'� riferito in narrativa, asserisce che il verbale dell'avvenuta 
perquisizione non � stato redatto e trasmesso, nell'apposito modulo 
ed entro il termine previsto dalla disposizione censurata, alla competente 
autorit� giudiziaria. Si potrebbe, quindi, gi� per questo dubitare che nella 
specie difettino gli estremi contemplati dal legislatore perch� detta norma 
riceva applicazione. Anche, poi, a voler condividere l'assunto del giudice 
a quo, non si pu� consentire sulle conseguenze che egli ne trae, quanto 
alla rilevanza della questione sollevata in riferimento all'art. 24 Cost. 
Posto, infatti, che la perquisizione nella specie cada sotto la previsione 
dell'art. 4 della legge n. 152, si versa nel caso eccezionale di necessit� ed 
urgenza ivi configurato, che legittima l'esercizio dell'attivit� di polizia, 
anche nella sfera della prevenzione; tale sfera si atteggia peraltro, nella 
stessa prospettazione del giudice a quo, come estranea e irriducibile al sistema 
del processo penale: e se cos� �, una violazione del diritto di difesa 
non � neppure ipotizzabile. 

Invero, dove sussistano gli estremi della necessit� ed urgenza, con 
la conseguente impossibilit� del tempestivo provvedimento dell'autorit� 
giudiziaria, la previa autorizzazione di quest'ultima non � prescritta occorrre 
ricordare -nemmeno ai sensi dell'art. 224 del codice di rito, 
che ha riguardo, in via generale, alle perquisizioni della polizia giudiziaria. 
In relazione all'ipotesi qui considerata, il sistema processuale penale 
non esige n� che il perquisito sia avvertito della possibilit� di avvalersi 
del diritto di difesa, n� che alcun preavviso sia dato al difensore: 
per il quale ultimo la facolt� di intervento resta aperta se ne � in concreto 
possibile l'esercizio, come risulta anche dalla giurisprudenza di questa 
Corte (cfr. sentenze 63/72; 173/74). La richiesta estensione delle previsioni 
del codice di procedura penale (artt. 224 e 304-ter) al caso di specie -e 
cos� all'ambito in cui operano le eccezionali esigenze di necessit� ed urgenza, 
sottostanti alla legge n. 152 -non potrebbe, allora, avere le conseguenze 
prospettate nell'ordinanza di rinvio. Ammesso pure che il perquisito 
non sia stato avvertito della possibilit� di farsi assistere dal difensore, 
e che il difensore non fosse presente nel luogo in cui sono intervenuti 
gli organi perquirenti, ci� non implicherebbe la nullit� della perquisizione: 
e dunque, nemmeno la nullit� di tutti gli atti successivi. La 
dedotta rilevanza della questione, in conclusione, non sussiste. (omissis) 


812 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

I@ 
CORTE COSTITUZIONALE, 29 settembre 1983, n. 276 -Pres. De Stefano -
Rel. Ferrari -Regione Sardegna (avv. Mercuri) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

I

r.:i 
Regi::mi � Lavori pubblici di esclusivo interesse regionale -Opere por~~~ 
tl.ul.li � Classificazione dei porti -~ attribuzione amministrativa dello 
Stato. 

La classificazione dei porti, ancorch� rilevante per il riparto delle 
attribuzioni tra Stato e Regione, � rimessa all'amministrazione statale e 
non pu� essere modificata mediante sentenza della Corte costituzionale (1). 

(omissis) Lo statuto speciale della regione Sardegna, approvato con 
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, elenca all'art. 3 le materie nelle 
quali la regione, � col rispetto... degli interessi nazionali � -oltre che � degli 
obblighi internazionali... e delle norme fondamentali delle riforme economico-
sociali della Repubblica�, nonch�, ovviamente, �in armonia con la I 

J f: 

Costituzione e i princ�pi dell'ordinamento giuridico dello Stato� -, ha 
potest� legislativa primaria e, quindi, anche amministrativa. Fra tali materie 
risultano compresi, alla lettera-e), � lavori pubblici di esclusivo inte~ 


j, 
~;

resse della regione �. 

Il regio decreto 2 aprile 1885, n. 3095 (approvazione del testo unico della 
legge 16 luglio 1884, n. 2518, con le disposizioni del titolo IV, porti spiagge 
e fari della preesistente 20 marzo 1865, sui lavori pubblici), nell'intento di E 
dettare criteri oggettivi per la classificazione dei porti, distingue questi in 
due categorie, suddividendo la seconda in quattro classi. All'uopo, l'art. 1 
dispone, al primo comma, che � alla prima categoria appartengono i porti 

I

~:i

e le spiagge che interessano la sicurezza della navigazione generale, e ser


ili'

vono unicamente o precipuamente a rifugio, o alla difesa militare ed alla 
sicurezza dello Stato�, ed al secondo comma, che �della seconda categoria 
fanno parte i porti e gli approdi che servono precipuamente al comr 
mercio ed abbiano i requisiti dell'articolo seguente �. A sua volta, l'art. 2, 
tenendo comunque conto del tonnellaggio delle merci imbarcate e sbarcate, 
assegna: alla prima classe, porti �situati a capo di grandi linee di 
comunicazione �, ed il cui movimento commerciale giovi � ad estesa parte 

i 

del Regno �, per cui sono da considerarsi � d'interesse generale dello Sta


j

to�; alla seconda classe, quelli, il cui movimento commerciale �interessa 
soltanto ad una o ad alcune province �; alla terza, quelli, � l'utilit� dei quali 
si estende soltanto ad una parte notevole di una provincia�; alla quarta, 
infine, �tutti gli altri porti, seni, golfi e spiagge, tanto del continente, 
quanto delle isole, non assegnati alle tre classi precedenti �. A sensi, poi, 

rf

(1) La sentenza esclude che il giudice costituzionale, adito per conflitto di 
V

attribuzione, possa � sostituire � l'ammiillistrazione nella emanazione di un atto 

' 

(oltre che �demolire� l'atto ritenuto illegittimo). ~,: 

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1~. 

(::: 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

dell'art. 3, primo comma, come modificato dall'art. 15 del d.P.R. 30 giugno 
1955, n. 1534 (decentramento del servizio del Ministero dei lavori 
pubblici), � alla classifica delle opere marittime si provvede mediante decreto 
del ministro per i lavori pubblici, di concerto con il ministro per il 
tesoro e gli altri ministri interessati, sentiti i pareri del Consiglio superiore 
dei lavori pubblici e del Consiglio superiore della marina mercantile, 
nonch� dei Consigli delle provincie e dei comuni interessati�, mentre il 
regolamento per l'esecuzione della legge 2 aprile 1885, n. 3095, sui porti, 
spiagge e fari � {r.d. 26 settembre 1904, n. 713) stabilisce che � le attribuzioni 
e l'ingerenza devolute al Ministero dei lavori pubblici sull'esecuzione 
delle opere marittime sono subordinati a preventivi concerti... col ministro 
della marina...� (art. 1). 

L'attribuzione della materia di cui all'art. 3, lettera e) dello statuto alla 
competenza della regione Sardegna ha originato il problema di individuare 
i porti, in ordine ai quali spetta alla regione di eseguire le prescritte opere 
marittime. 

Per risolvere il problema, venne tenuto in Cagliari, il 26 novembre 
1975, un incontro a livello tecnico fra Stato e regione, che peraltro non 
sort� esito positivo. Pochi giorni dopo, e precisamente il 4 dicembre, il 
Ministero dei lavori pubblici invi� alla regione sarda una nota, con la 
quale, premesso che � � preminente, ai fini dell'individuazione delle competenze 
trasferite in materia di opere marittime (art. 2, lettera d), del 

d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480) la classifica dei porti risultante da formali 
provvedimenti amministrativi�; che il sopravvenuto mutamento dei presupposti 
di fatto � non pu� avere alcun valore in mancanza di un nuovo 
provvedimento di riclassificazione�; che, in ogni caso, la riclassificazione 
spettante al Ministero dei lavori pubblici, di concerto con quello della mari-. 
na mercantile, indicava nominatim i porti su cui permaneva la competenza 
statale, riducendo a 7 quelli di esclusiva competenza regionale, e 
concludeva con l'invito all'ufficio del genio civile � a procedere all'appalto 
dei servizi di pulitura dei porti di competenza statale..., nonch� di competenza 
promiscua �. 
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per conflitto di attribuzioni 
la regione Sardegna, la cui difesa poggia preliminarmente e fondamentalmente 
sulle � nuove �norme di attuazione dello statuto speciale 
della regione autonoma della Sardegna (d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480), 
dalle quali trae argomento per formulare il primo motivo del ricorso. 

L'art. 2, infatti, -cos� la difesa imposta la questione -, ricalcando 
l'art. 9 delle precedenti norme di attuazione (d.P.R. 19 maggio 1950, n. 327), 
afferma che sono di preminente interesse statale la � costruzione e manutenzione 
di porti di prima e seconda categoria, prima classe �. Facendo, 
poi, ririvio all'art. 2 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, sul trasferimento alle 
regioni a statuto ordinario di funzioni amministrative statali, ribadisce 
che queste sono trasferite alle regioni, nella materia � lavori pubblici di 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

interesse regionale �, quando si tratti di � opere concernenti i porti di 
seconda categoria dalla seconda classe in poi �. Sulla base di tale normativa, 
la regione sostiene: in primo luogo, che, in relazione all'art. 3, lettera 
e), dello Statuto sardo, la ripartizione della competenza in materia 
fra Stato e regione � stata gi� operata dalla legge; in secondo luogo, e 
conseguentemente, che non � necessario il tramite di un atto amministrativo; 
in terzo luogo, che questo ha valore meramente ricognitivo; da 
ultimo, che in ogni caso la riclassificazione non pu� essere compiuta 
unilateralmente dallo Stato, il quale altrimenti potrebbe, con comportamento 
omissivo o dilatorio, � vanificare un'attribuzione costituzionalmente 
conferita alla regione �. 

Ma i suddetti porti -ed � questo il secondo motivo del ricorso 
� devono considerarsi trasferiti alla regione, almeno per quanto concerne 
le opere non finalizzate al rifugio �. Ci� � da ritenersi, sia per i porti suscettibili 
di duplice classificazione (porto rifugio e porto commerciale), 
sia per quelli che non sono stati inquadrati nella seconda o terza classe 
della seconda categoria, i quali, � per la sola circostanza di non essere 
stati diversamente classificati, appartengono alla quarta classe..., senza 
necessit� di provvedimenti formali di classificazione�. 

Si sostiene infule che, in materia di opere portuali, � vi sia pieno trasferimento... 
della competenza alla regione � relativamente a quei porti, 
� ove la funzione di rifugio � nettamente superata dalla funzione commerciale
�. (omissis) 

Il ricorso � infondato. Le norme che, con innegabile univocit�, 
stabiliscono, per un verso, la devoluzione, dallo Stato alle regioni, 
in materia di lavori pubblici di interesse regionale, delle funzioni amministrative 
relativamente alle opere concernenti i porti di seconda categoria 
dalla seconda classe in poi, e, per altro verso, la conservazione allo Stato, 
perch� di suo preminente interesse, delle funzioni in tema di costruzione 
e manutenzione di porti di prima e seconda categoria, prima classe, postulano, 
con tutta evidenza, l'emanazione di ulteriori atti, che a quelle norme 
diano concreta esecuzione, indicando singulatim l'appartenenza dei vari 
porti all'una o all'altra categoria, all'una o all'altra classe della seconda 
categoria. Ci� � asserito espressamente dall'Avvocatura dello Stato, quando 
afferma doversi �provvedere all'effettivo trasferimento alla regione 
sarda delle funzioni amministrative � nella materia de qua, e risulta, in 
fondo, riconosciuto anche dalla difesa della regione, quando a sua volta 
afferma che per � stabilire concretamente quali in effetti siano i porti 
sui quali si estende la competenza della regione, venne indetta una riunione 
tra rappresentanti dello Stato e della regione �. 

La constatazione test� fatta rende implausibile l'assunto, secondo cui, 
per quanto riguarda la spettanza dell'esercizio delle funzioni amministrative 
sui singoli porti, la � ripartizione... discende direttamente dalla legge 
e non abbisogna del tramite di un atto amministrativo�. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDl~NZA COSTITUZIONALE 

La legge (r.d. 3095/1885) -e non importa, essendo ancora vigente, 
che appartenga ad una stagione normativa superata -detta i criteri cui 
l'organo di esecuzione deve attenersi per classificare i porti; tali sono, a 
titolo esemplificativo, la collocazione � a capo di grandi linee di comunicazione
�, il volume del movimento commerciale, secondo che giovi �ad 
estesa parte del regno ed al traffico internazionale terrestre �, ovvero 
� soltanto ad una o ad alcune province � ovvero ancora �ad una parte 
notevole di una provincia�, la �quantit� delle merci imbarcate o sbarcate 
�, ecc. Ora, la ricorrente chiede a questa Corte di �dichiarare la 
competenza della regione Sardegna in merito alle opere portuali dei porti 
sardi, che, pur inquadrati formalmente soltanto o anche nella prima categoria, 
svolgano una funzione prevalentemente commerciale�. In effetti, 
essa chiede a questa Corte di dirimere un conflitto di attribuzione, adottando, 
in relazione all'art. 3, lettera e), dello statuto speciale della Sardegna, 
il quale riserva alla competenza regionale le � opere pubbliche di 
esclusivo interesse regionale�, un provvedimento che tenga luogo delle 
classificazioni fatte in base a criteri contenuti in una legge, ancora in 
vigore, bench� vetusta, e peraltro neppure denunciata per sospetta illegittimit� 
costituzionale. Pertanto tale domanda non pu� trovare accoglimento, 
restando cos� assorbiti gli altri motivi dedotti. 

p.q.m. 
dichiara che non spetta alla regione Sardegna la competenza in merito 
alle opere portuali dei porti sardi di prima categoria, che svolgano 
una funzione prevalentemente commerciale. 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 settembre 1983, n. 286 (ord.) -Pres. Elia -
Rel. Bucciarelli Ducci -Bonamassa e Presidente Consiglio dei Ministri. 


Corte Costituzionale -Legittimazione a sollevare questione incidentale 
di legittimit� costituzionale � Pretore adito ex art. 700 cod. proc. civ. Limiti. 
(Cost., artt. 24 e 134, e I. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, art. 1; 1. 11 marzo 1953, n. 87, 

art. 23). 

Il Pretore, dopo aver emanato il provvedimento di urgenza, ha, il 
solo obbligo -prescritto dall'art. 702, comma secondo, cod. proc. civ. di 
fissare il termine perentorio per l'inizio della causa di merito e non 
� legittimato a sollevare questioni di legittimit� costituzionale dato che 
non � pendente il giudizio di merito sul quale debbano esplicare influenza 
tali questioni. 


-I 

816 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

(omissis) Considerato che il pretore di Bologna, con ordinanza 12 settembre 
1980, ha dichiarato, a norma dell'art. 700 cod. proc. civ., che sussiste 
il diritto dei ricorrenti Pasquale Bonamassa e Francesca Indelicato 
ad essere inclusi, quali privi della vista, nell'elenco degli invalidi di cui 
all'art. 19 legge 2 aprile 1968, n. 482 (disciplina generale delle assunzioni 
obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private), e 
si � riservato di provvedere con altra ordinanza sull'ulteriore corso del 
procedimento, senza fissare il termine perentorio per l'inizio del giudizio 
di merito, imposto dall'art. 702, comma secondo, cod. proc. civ.; 

rilevato che lo stesso pretore con ordinanza 29 dicembre 1980 -a 
scioglimento delle precedente riserva -ha sollevato, di ufficio, le questioni 
di legittimit� costituzionale dell'art. 23, comma secondo, legge 
11 marzo 1953, n. 87 (norme sulla costituzione e sul funzionamento della 
Corte costituzionale), in riferimento agli artt. 134 e 24, comma primo, 
della Costituzione e all'art. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 
(norme sui giudizi di legittimit� costituzionale e sulle garanzie di indipendenza 
della Corte costituzionale); e dell'art. 6 comma secondo, citata 
legge n. 482 del 1968, in riferimento agli artt. 3, comma primo; 4, comma 
primo; 35, comma primo; 38, comma quarto, della Costituzione; 

rilevato che il pretore, dopo aver emanato il provvedimento di urgenza, 
ha il solo obbligo -prescritto dal citato art. 702, comma secondo, 
cod. proc. civ. -di fissare il termine perentorio per l'inizio della causa 
di merito e non � legittimato a sollevare questioni di legittimit� costituzionale 
dato che non � pendente il giudizio di merito sul quale debbano 
esplicare influenza tali questioni. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 ottobre 1963, n. 301 -Pres. Elia -Rel. 
Roehrssen -Ceccarelli (avv. Pandolfi), Adinolfi (avv. Guarino), Coop. 
Ninfina (avv. Cervati) e Presi.dente Consiglio dei Ministri (vice avv. 
gen. Stato Carafa). 

Agricoltura e foreste . Terre incolte o insufficientemente coltivate � Concessione 
ai contadini � Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 24, 42, 43, 44, 97 e 113; d.!. lgt. 19 ottobre 1944, n. 279 e successive 

integrazioni e modificazioni). 

Atto amministrativo . Prova dei fatti � Facolt� di allegazione del 'privato 
e poteri istruttori della P .A. 

Non contrastano con disposizioni costituzionali il d.l. lgt. 19 ottobre 
1944, n. 279 (�Concessione ai contadini delle terre incolte�), come integrato 
e modificato dal d.l. lgt. 26 aprile 1946, n. 597, dai d.l. C.p.S. 6 settembre 
1946, n. 89, 27 dicembre 1947, n. 710, dalla legge 18 aprile 1950, n. 199 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

e dall'art. 27 della legge 11 febbraio 1971, n. 11 (�nuova disciplina dell'affitto 
dei fondi rustici�). 

Nei procedimenti ammir.istrativi vige la regola secondo la quale ciascuna 
delle parti ha facolt� di addurre tutte le prove da essa ritenute 
utili, cos� come la stessa P.A. ha facolt� di procedere agli accertamenti 
del caso. 

(omissis) La Corte � chiamata a risolvere alcune questioni di legittimit� 
costituzionale concernenti le norme legislative emanate in un arco 
di tempo che va dall'anno 1944 all'anno 1950, nella materia della concessione 
a contadini delle terre non coltviate o insufficientemente coltivate. 

Come � stato ripetutamente posto in luce dalla giurisprudenza amministrativa, 
oltre che dalla dottrina, questo complesso di norme ha avuto 
di mira, essenzialmente, la situazione contingente delle masse contadine 
in relazione soprattutto alla difficile situazione verificatasi negli anni del 
dopoguerra, cos� come era gi� avvenuto subito dopo la prima guerra 
mondiale, quando il legislatore intervenne con il r.d. 2 settembre 1919, 

n. 1633 e con il r.d.l. 8 ottobre 1920, n. 1465, ricalcati dalla legislazione di 
questo secondo dopoguerra. Con le cennate disposizioni, pertanto, si 
� voluto venire incontro alle pressanti esigenze di lavoro di una vasta 
parte del popolo italiano, apprestando un mezzo ritenuto atto a soddisfare, 
almeno parzialmente, una grande richiesta di lavoro e rivolgendo, 
quindi, l'attenzione al fenomeno della non coltivazione e dell'insufficiente 
coltivazione che investiva non poche porzioni del nostro territorio nazionale. 
In questo quadro si � voluto guardare a situazioni di carattere ogget


tivo, di meto fatto, e cio� al cennato stato di incoltivazione o di insuffi. 

dente coltivazione dei terreni, indipendentemente dalla causa dalla quale 

dipendeva lo stato medesimo: volendo affrontare in maniera anche rapida 

(come � dimostrato dal fatto che le norme in parola hanno apposto ter


mini, peraltro non perentori, all'autorit� competente per l'emanazione 

della decisione sulle domande di concessione: art. 5 del d.l. lgt. n. 279 del 

1944; art. 2 del d.l. 27 dicembre 1947, n. 1710; art. 2 della legge 18 aprile 

1950, n. 199) una situazione che interessava altres� l'ordine pubblico in un 

Paese ancora in guerra o appena uscito dalla guerra, il legislatore del 

tempo ha ritenuto preferibile, come si � detto, guardare a dati concreti, 

agevolmente accertabili e che non avrebbero potuto dar luogo a contesta


zioni dilatorie o pretestuose. (omissis) 

Si � trattato, quindi di una legislazione di emergenza, ma non per 

questo disgiunta dalla considerazione delle esigenze della Nazione nel 

suo settore agricolo. 

La stessa legislazione, d'altro canto, � quasi totalmente anteriore 
alla Costituzione repubblicana (la sola legge n. 199 del 1950 � successiva, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ma di poco). Ormai, superata la fase che si � indicata e verificatesi nuove 
situazioni, il legislatore � finalmente intervenuto con una nuova normativa, 
contenuta nella legge 4 agosto 1978, n. 440, la quale, avendo come 
principale finalit�, come dicesi nei lavori preparatori, il �recupero delle 
terre�, ha dettato disposizioni nuove, pi� ampie e pi� articolate, le quali, 
peraltro, hanno lasciato in vita il criterio secondo cui la procedura per la 
concessione delle terre incolte prende l'avvio dalla domanda di una organizzazione 
di contadini. 

Ma le disposizioni della legge n. 440, prive come sono di efficacia 
retroattiva, non possono influire sulla valutazione della legittimit� costituzionale 
delle norme anteriori, delle quali soltanto questa Corte oggi 
� chiamata a giudicare... Le questioni non sono fondate. 

Una prima questione, di carattere pi� generale, investe l'art. 1 del 

d.l. lgt. 19 ottobre 1944, n. 279, come modificato con l'art. 1 del d.l. C.p.S. 
n. 89 del 1946, e denuncia la violazione degli artt. 4, 41, 42, 43 e 44 Cost. 
in quanto la libert� economica verrebbe lesa senza riferimento a programmi 
(anzi, si afferma, qui si avrebbe la negazione della programmazione), 
non si tenderebbe al razionale sfruttamento della terra n� a porre 
in essere equi rapporti sociali, dato che le norme non portano al recupero 
produttivo delle terre e le organizzazioni contadine sono sempre 
indotte a chiedere le terre migliori. Ci� sarebbe divenuto pi� grave per 
effetto dell'art. 1 del citato d.l. n. 89 del 1946, il quale, sostituendo l'art. 1 
del d.l. n. 279 del 1944, avrebbe enormemente dilatata la nozione di 
insufficiente coltivazione. 
Premesso che le prime disposizioni sulla concessione di terre incolte 

sono anteriori alla Costituzione del 1947, la Corte deve anzitutto rilevare 

che questa in nessuna delle . disposizioni invocate... prevede la program


mazione come obbligatoria. Peraltro non � da dubitare che le limita


zioni alla libera iniziativa economica ed al diritto di propriet� devono tro


vare fondamento in regole ed in criteri razionali. Ma non pu� dirsi che le 

disposizioni in questione siano irrazionali. 

Da un lato, come si � veduto, esse hanno voluto far fronte a gravi 

situazioni contingenti e di ordine pubblico, ma dall'altro, nell'imporre il 

vincolo in parola, esse non si sono discostate dalle esigenze della produ


zione agricola nazionale. L'idea di un recupero delle terre, certamente, � 

in re ipsa quando a chi riceve il beneficio della concessione si impone 

l'obbligo di coltivare e di rendere produttive le terre: la giurisprudenza 

amministrativa infatti ha ripetutamente affermato che la concessione del


le terre incolte ha per fine anche il potenziamento della produttivit� dei 

terreni. 

A questo criterio essenziale risultano ispirate e coordinate le disposizioni 
censurate. Infatti, mentre la giurisprudenza vuole che prima di 
addivenire alla concessione occorre accertare l'idoneit� tecnico-finanziaria 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

dell'organizzazione richiedente, la legge ha stabilito che in presenza di 
pi� domande relative al medesimo fondo il giudizio deve avvenire tenendo 
presenti �la forza lavorativa delle associazioni richiedenti e la capacit� 
tecnica dei dirigenti� (art. 2 d.l. lgt. 26 aprile 1946, n. 597); che nel disciplinare 
della concessione devono essere fissate le norme occorrenti per la 
conduzione del terreno concesso (art. 4 d.l. lgt. n. 279); che nel decreto 
di concessione deve essere stabilita la data di inizio della coltivazione 
delle terre stesse (art. 4 cit.); e infine, che l'abbandono del terreno e la 
inadempienza degli obblighi stabiliti comportano la revoca della concessione 
(art. 6 d.l. lgt. n. 279/1944; art. 7 d.I. n. 89/1946). 

Con queste prescrizioni il legislatore non ha mancato di tenere nel 
dovuto conto le esigenze della produzione agricola (del resto espressamente 
menzionate nell'art. 1 sia del d.l. n. 279 sia del d.l. C.p.S. n. 89 del 
1946) ed a queste ha adeguato la disciplina della concessione, la quale, 
pertanto, non appare preveduta e regolata esclusivamente in funzione 
delle aspirazioni dei richiedenti: tutta l'attivit� che la P.A. deve svolgere 
in proposito deve essere correlata ai princ�pi ed ai criteri, certamente 
non irrazionali, posti in queste disposizioni. 

Che gli interessati possano richiedere la concessione delle terre che 
essi medesimi ritengono migliori pu� essere un dato di fatto esatto, ma 
non � in alcun modo decisivo poich� la domanda del privato, come meglio 
si vedr� pi� innanzi, costituisce oggetto di accertamenti e valutazioni 
da parte della P .A., alla quale spetta decidere nel merito. 

Sembra appena il caso di ricordare, infine, che il fornire lavoro a 

persone disoccupate, contemporaneamente arrecando vantaggi alla pro


duzione nazionale, d� luogo indubbiamente alla realizzazione di finalit� 

sociali. 

Ne consegue che, contrariamente a quanto si osserva dai giudici 

a quibus, non si � affatto al di fuori del disposto n� dell'art. 41, terzo com


ma, Cost., il quale vuole che l'iniziativa economica pubblica e privata sia 

indirizzata a fini sociali n� dell'art. 44, primo comma, Cost., il quale pre


vede l'imposizione di obblighi e vincoli alla propriet� privata � al fine di 

conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti 

sociali � (omissis) 

Una terza censura concerne ancora violazione degli artt. 43 e 44 Cost., 

assumendo che mentre i provvedimenti di concessione avrebbero carat


tere sostanzialmente ablatorio, la legislazione non avrebbe n� fissato 

limiti di godimento del bene in relazione alla coltivazione n� avrebbe 

posto le direttive necessarie per la conduzione del fondo concesso. 

Anche questa censura � priva di fondamento in punto di fatto. Ed 

invero: 

a) l'art. 4 del d.l. n. 279 del 1944 stabilisce che a cura dell'ispetto


rato agrario si deve redigere apposito disciplinare contenente le norme 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

occorrenti alla conduzione del fondo concesso: il successivo art. 6 stabilisce 
che in caso di violazione degli obblighi inerenti alla conduzione 
si fa luogo alla decadenza della concessione. Tale disposizione � ribadita 
dall'art. 7 del d.l. n. 597 del 1946 e dall'art. 7 del d.l. C.p.S. n. 89 del 1946; 

b) l'art. 2 del d.l. n. 279 del 1944 stabilisce altres� che deve essere 
fissato il termine per l'inizio della coltivazione da parte del concessionario, 
obbligo anch'esso sanzionato con la decadenza della concessione. 

� chiaro che attraverso tutte queste disposizioni si pongono in essere 
le direttive per l'attivit� che deve essere svolta dal concessionario, con 
ovvio riguardo allo stato dei singoli fondi, e si stabiliscono altres� i limiti 
al godimento del fondo medesimo, in modo da non pregiudicare i diritti 
del proprietario, il quale, allo scadere della concessione, riassumer� un 
fondo in condizioni migliori. (omissis) 

Con una quinta censura si denuncia la violazione degli artt. 3, pri


mo comma, 97, primo comma, e 113, secondo comma, Cost. sotto due 

profili e cio�: da un lato perch� non sarebbe stato assicurato nella sua 

effettivit� il principio del contraddittorio (il proprietario del terreno 

richiesto potrebbe intervenire soltanto in una fase avanzata del procedi


mento) e dall'altro perch� non sarebbe neppure prevista la possibilit� di 

addurre prove, di effettuare sopralluoghi, di fruire di consulenze tecniche. 

Anche queste censure risultano infondate. 

Ed invero, in ordine al primo profilo gi� l'art. 3 del d.l. lgt. n. 279 del 

1944, stabilendo che la commissione provinciale ivi preveduta esamina 

l'istanza per la concessione �sentite le parti�, ha imposto la presenza 

del proprietario del terreno nel corso del procedimento, del quale ovvia


mente deve avere avuto notizia, al fine di prospettare le eventuali ragioni 

a suo favore. 

L'art. 10 del d.l. lgt. n. 597 del 1946 ha poi stabilito in termini pi� 

generali che, pur non dovendosi osservare le norme della procedura ordi


naria, deve tuttavia essere assicurato il diritto delle parti al contraddit


torio: �di questa norma nello stesso d.l. lgt. n. 597 si hanno due ulteriori 

precisazioni, perch� l'art. 3 stabilisce che l'istanza di concessione ed il 

provvedimento che fissa l'udienza di comparizione devono essere notifi


cati all'altra parte (e la giurisprudenza ha affermato che la notificazione 

deve essere effettuata con le norme degli artt. 137 e segg. del cod. proc. 

civ.), e l'art. 4, a sua volta, tratta della comparizione della parti dinanzi 

alla pi� volte ripetuta commissione. (omissis) 

Quanto al profilo relativo alle prove da addurre si deve osservare 

che le leggi in parola non contengono alcuna norma limitativa delle pos


sibilit� per il proprietario di addurre prove o formulare richieste di 

accertamenti; nei procedimenti amministrativi in genere vige la regola 

secondo la quale ciascuna delle parti ha facolt� di addurre tutte le prove 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

da essa ritenute utili, cos� come la stessa P.A. ha facolt� di procedere 

agli accertamenti del caso. 

Del resto la possibilit� di addurre prove o di richiedere ulteriori 

accertamenti � da ritenere insita nella necessit� di chiamare il proprie


tario a partecipare al procedimento. 

Per quel che riguarda in particolare la possibilit� di sopralluoghi � 

anche da dire che la giurisprudenza amministrativa vi ha fatto ripetuta


mente riferimento nelle sue pronuncie, sicch� � da ritenere che mezzi 

di prova di tal genere non siano neppure esclusi in punto di fatto. 

E non va taciuto, da ultimo, che con l'art. 6, ultimo comma, della 

legge n. 440 del 1978 sono stati �estesi� i poteri di cognizione e di istru


zione del giudice amministrativo di legittimit� per quel che riguarda 

provvedimenti relativi a terre insufficientemente coltivate. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 ottobre 1983, n. 302 -Pres. Elia -Rel. Ferrari 
-Costa (avv. Nigro) e Presidente del Consiglio dei Ministri 
(Avv. Stato De Francisci). 

Avvocati e procuratori -Dipendente da un comune -Indennit� di toga Inclusione 
nella base pensionabile. 
(Cost., artt. 3 e 36; l. 5 dicembre 1959, n. 1077, art. 18). 

Poich� l'indennit� di toga corrisposta agli avvocati del comune costituisce 
parte fondamentale della retribuzione ed � soggetta interamente a 
contribuzione, � costituzionalmente illegittima la disposizione che la 
esclude (anche solo in parte) dalla base pensionabile. 

(omissis) L'avv. Domenico Costa, capo dell'ufficio legale presso il 
comune di Roma, percepiva, all'atto del collocamento a riposo per raggiunti 
limiti d'et� (1� maggio 1972) la retribuzione complessiva annua 
di L. 7.277.712, di cui 1.440.000 venivano corrisposte a titolo di �indennit� 
di toga �. E poich� tale retribuzione risultava superiore a quella del 
segretario generale dello stesso comune -ammontante, infatti, a 

L. 6.524.500 -, il consiglio d'amministrazione della Cassa per le pensioni 
ai dipendenti degli enti locali (CPDEL) riteneva di doverla valutare, ai 
fini del trattamento di quiescenza, sino alla cifra corrispondente a quella 
del segretario generale, per cui, con decreto (26 gennaio 1974) del direttore 
generale degli istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro, veniva 
liquidata la pensione di L. 5.444.500. Alla suddetta valutazione ed alla 
conseguente liquidazione del trattamento di quiescenza nella misura test� 
indicata la Cassa era pervenuta in applicazione dell'art. 18, primo comma, 

822 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

della legge 5 dicembre 1959, n. 1077, il quale dispone che �per ciascun 
dipendente, la retribuzione contributiva riferita al servizio reso a comune 

o provincia in nessun caso pu� superare quella del rispettivo segretario �, 
precisando che �a tal fine, si considera un'anzianit� di qualifica del 
segretario pari a quella del dipendente nella qualifica o grado rivestito �. 
In concreto, aveva calcolato l'indennit� di toga, non gi� nella sua interezza, 
bens� in un quarto, cio�, non nella somma di L. 1.440.000, ma in 
quella di L. 360.000, abbassando cos� la retribuzione pensionabile da 
L. 7.277.712 a L. 6.197.712 e, quindi, la pensione da L. 6.524.500 a L. 5.444.500. 
(omissis) 

Il procedimento di liquidazione del trattamento di quiescenza si bipartisce 
in due fasi, l'una immediatamente consecutiva all'altra, .ma tra loro 
inconfondibili: la prima consiste nella definizione dell'ammontare della retribuzione 
pensionabile, l'altra nella computazione, su quella cifra, della 
percentuale che il legislatore ha discrezionalmente determinato ai fini della 
liquidazione della pensione. Ora, la quest.ione su cui la Corte � sollecitata 
a pronunciarsi � stata sollevata appunto in ordine alla prima fase: pi� 
esattamente, in ordine alla decurtazione dell'indennit� di toga, nella misura 
del settantacinque per cento, che nel corso della suddetta fase � stata 
operata, determinandosi cos� una retribuzione pensionabile inferiore a 
quella corrisposta in costanza del rapporto d'impiego e, quindi, una 
pensione rapportata, non gi� alla retribuzione effettivamente p�rcepita, 
ma a quella minore, ottenuta mediante la suddescritta decurtazione del-
l'indennit� di toga. 

A nulla gioverebbe rievocare l'origine e le vicende di questa indennit�. 
Ai fini della decisione, appare utile, invece, prendere atto, per un 
verso, che il giudice a quo, il quale si richiama alla propria giurisprudenza 
in termini, riconosce che �l'indennit� di toga corrisposta agli avvocati 
del comune... costituisce... parte fondamentale della retribuzione � e, per 
altro verso, che essa risulta soggetta interamente a contributo. Se, dunque, 
l'indennit� in parola ha natura di retribuzione contributiva, non pu� 
non ritenersi collidere con il principio di cui a:ll'art. 36, primo comma, Cost. 
la norma di cui all'impugnato art. 18 legge 1077/1959, intesa come disposizione 
facoltizzante la CPDEL a valutare solo in parte, anzich� nella sua 
interezza, la suddetta indennit� all'atto della determinazione della base pensionabile. 
Il principio costituzionale, infatti, della � retribuzione proporzionata 
alla quantit� e qualit� del... lavoro � prestato si estende innegabilmente, 
nella sua ampia portata, agli emolumenti che costituiscono parte 
fondamentale della retribuzione -e tale, come si � visto, il giudice di 
merito. dichiara l'indennit� in discorso -, e non si ravvisa alcun motivo, 
sia nell'art. 18, sia nella legge che lo contiene, il quale induca a considerare 
la decurtazione della retribuzione contributiva compatibile con esso prin� 
cipio costituzionale. (omissis) 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 823 

CORTE COSTITUZIONALE, 18 ottobre 1983, n. 312 -Pres. Elia -Rel. Malagugini 
� D'Andrea ed altro (avv. Giannini) Cirio (avv. Pototschinig), 
Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Mataloni) e Provincia di 
Bolzano (avv. Guarino). 

Trentino Alto Adige � Provincia di Bolzano � Parificazione delle lingue ita� 

liana e tedesca � Riserva di norme di attuazione dello statuto � Non 

sussiste � Effettivo bilinguismo degli addetti a pubbliche funzioni od 

a servizi di pubblico interesse -Obbligo -Farmacisti � Sono addetti 

a servizio. di pubblico interesse. 

(Cost., artt. 3, 6 e 41; statuto Trentino-Alto Adige, artt. 4, 8, 100 e 107; 1. Bolzano 

3 settembre 1979, n. 12, art. 1). 

Non v'� �riserva� di norma di attuazione dello Statuto della regione 
Trentino-Alto Adige per quanto concerne l'obbligo degli aqdetti a pubbliche 
funzioni od a servizi di pubblico interesse, di avere una adeguata conoscenza 
delle lingue italiana e tedesca; e poich� l'uso delle anzidette lingue 
non costituisce � materia � a s� stante, la provincia di Bolzano -e 
quindi anche lo Stato -possono disgiuntamente discipl.inare l'uso nelle 
materie di rispettiva competenza. I farmacisti, a prescindere dalla qualificazione 
del regime (concessorio o autoritario) cui sono sottoposte le farmacie, 
svolgono un servizio di pubblico interesse (1). 

(omissis) In forza dell'art. 1 della legge della provincia autonoma 
di Bolzano n. 12 del 3 settembre 1979: � al personale sanitario e alle 
categorie non mediche che viene integrato, ai sensi dell'art. 48 della legge 
23 dicembre 1978 n. 833, nel servizio sanitario nazionale, si applica il titolo 
primo del d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752 �. 

A sua volta, il d.P.R. n. 752 del 1976 (portante �norme di attuazione 
dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzionale 
negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza 
delle due lingue nel pubblico impiego �) per la parte che qui interessa, 
pone all'art. 1, primo comma, �la conoscenza della lingua italiana 
e di quella tedesca, adeguata alle esigenze del buon andamento del servizio 
�, come requisito necessario �per le assunzioni comunque strutturate 
e denominate ad impieghi nelle amministrazioni dello Stato, comprese 
quelle ad ordinamento autonomo, e degli enti pubblici in provincia di 
Bolzano � nonch� per il personale di cui al secondo comma del medesimo 
art. 1. 

(1) :i:! dubbio che la sentenza, laddove riconosce sia alla provincia che allo 
Stato la facolt� di legiferare unilateralmente in tema di uso delle due lingue 
italiana e tedesca nelle � materie � di rispettiva competenz�a, contribuisca al 
reperimento di una soluzione unitaria e coerente al problema, pervero molto 
delicato (anche in Paesi che da tempo si cimentano con il plurilinguismo, 
quali alcuni cantoni svizzeri e �alcune province belghe). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I successivi artt. 3, 4 e 5 disciplinano le composizioni delle commissioni 
giudicatrici, il rilascio degli attestati in relazione alle prove di esame distinte 
per carriere, la sede e la data delle prove medesime. 

In applicazione della normativa qui sopra richiamata, il medico provinciale 
della provincia autonoma di Bolzano, indicendo, in data 30 maggio 
1980, bando di concorso per titoli ed esami per l'assegnazione delle 
farmacie vacanti e di nuova istituzione nella provincia stessa, stabiliva, 
all'art. 10, che il �rilascio dell'autorizzazione all'esercizio della farmacia 
� subordinato... al possesso dell'attestato comprovante la conoscenza delle 
lingue italiana e tedesca corrispondente alla carriera direttiva, rilasciato 
dall'apposita commissione ai sensi degli artt. 3 e 4 del d.P.R. 26 luglio 1976 

n. 752, come previsto dalla legge provinciale 3 settembre 1979 n. 12 �. 
Di tale articolo del bando di concorso il Presidente del Consiglio dei 
ministri, con ricorso 21 luglio 1980, ha chiesto l'annullamento, sollevando 
conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente della provincia autonoma 
di Bolzano, perch�, a dire del ricorrente, � non spetta alla � provincia 
stessa �ed ai suoi organi amministrativi statuire in materia di possesso 
di requisiti per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle farmacie 
per ci� che attiene il bilinguismo �. 

Con ordinanza 16 dicembre 1980 il Consiglio di Stato, sez. IV giurisdizionale, 
ha sollevato questione di legittimit� costituzionale dell'art. 1 
della legge provinciale n. 12 del 1979 per � contrasto con gli artt. 3, 6 e 41 
Cost., nonch� con gli artt. 4 e 8 del d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 ai sensi 
dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, e con gli artt. 100 e 107 
del citato d.P.R. n. 670/72 in relazione al d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752, cos� 
come modificato e integrato dal d.P.R. 31 luglio 1978 n. 571 �. 

Sia il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri che l'ordinanza 
del Consiglio di Stato pongono a questa Corte in sostanza, lo stesso quesito: 
se cio� la provincia autonoma di Bolzano possa legiferare e deliberare 
sull'uso del bilinguismo o pi� esattamente sull'obbligo di adeguata 
conoscenza delle lingue italiana e tedesca per l'esercizio di determinate 
attivit�, tra cui quella farmaceutica. 

I due giudizi p�ssono, quindi, essere riuniti e decisi con unica sentenza. 


In primo luogo vanno esaminate, delle censure avanzate dal Consiglio 
di Stato, quelle che negano in radice ogni competenza della provincia autonoma 
di Bolzano a statuire, con propria legge, l'obbligo di una adeguata 
conoscenza delle lingue italiana e tedesca per l'esercizio dell'attivit� farmaceutica 
nella provincia stessa. In questi termini, il giudice a quo prospetta 
il contrasto dell'art. 1 della citata legge provinciale con l'art. 6 
Cost. e con gli artt. 4, 8, 100 e 107 dello Statuto speciale di autonomia nel 
testo unificato di cui al d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670. 

Delle disposizioni statutarie il giudice rimettente offre peraltro una 
interpretazione che non tiene in alcun conto le modificazioni introdotte 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

con le leggi costituzionali n. 1 del 1971 e n. 1 del 1972 (recepite, appunto, 
nel testo unificato), Hmitandosi a richiamare alcune decisioni di questa 
Corte tutte anteriori alle modificazioni in discorso. 

Al contrario, occorre verificare se le disposizioni costituzionali sopravvenute 
siano rilevanti di per s�, ai fini del presente giudizio e se esse concorrano 
a suggerire una lettura dell'art. 6 Cost. diversa da quella adottata 
da questa Corte in un quadro normativo costituzionale che le predette 
disposizioni hanno ora modificato. 

Ad entrambi i quesiti la risposta non pu� che essere affermativa. 

Anche a prescindere da ogni considerazione se -per la natura meramente 
strumentale della lingua quale mezzo di comunicazione tra gli 
uomini -qui si tratti di una� materia� nel senso in cui il termine � usato 
in Costituzione ai fini del riparto delle competenze legislative e amministrative 
tra Stato e Regioni (e provincie autonome); anche ad ignorare la 
collocazione dell'art. 6 tra i � princ�pi fondamentali� della Costituzione; 
sta di fatto che dall'art. 4 dello Statuto per la regione Trentino-Alto Adige, 
nel testo unificato, si deduce con chiarezza che l'interesse nazionale -nel 
rispetto, anche, degli obblighi internazionali -alla � tutela delle minoranze 
linguistiche locali� costituisce uno dei princ�pi fondamentali dell'ordinamento 
costituzionale, che si pone come limite e al tempo stesso 
come indirizzo per l'esercizio della potest� legislativa (e amministrativa) 
regionale e provinciale nel Trentino-Alto Adige. 

Inoltre, come osserva la difesa della provincia, � stata cancellata 
anche quella disposizione dello statuto originario di autonomia (art. 84) 
per cui �l'uso della lingua tedesca nella vita pubblica viene garantito da 
quanto in materia dispongono le norme contenute nel presente statuto 
e nelle leggi speciali della Repubblica�, dalla quale la Corte (sentenze 
nn. 32 del 1960 e 1 del 1961) aveva desunto argomenti per affermare la 
competenza legislativa esclusiva dello Stato in tale materia. Il vigente 
art. 99 del testo unificato dello statuto di autonomia (per effetto dell'art. 
52 della legge costituzionale n. 1 del 1971) recita, invece: �Nella 
regione la lingua tedesca � parificata a quella italiana che � la lingua ufficiale 
dello Stato. La lingua italiana fa testo negli atti aventi carattere 
legislativo e nei casi nei quali nel presente statuto � prevista la redazione 
bilingue �. Non soltanto, dunque, � scomparso il riferimento alle 
� leggi speciali della Repubblica � in tema di � uso della lingua tedesca 
nella vita pubblica�, ma � solennemente proclamata la parificazione della 
lingua tedesca a quella italiana: con il corollario, espresso nel successivo 
art. 100 del medesimo testo unificato, per cui � i cittadini di lingua 
tedesca della provincia di Bolzano hanno facolt� di usare la loro lingua 
non solo nei rapporti con gli uffici giudiziari e con gli organi e uffici della 
pubblica amministrazione situati nella provincia o aventi competenza regionale 
(l'art. 85 dello statuto originario menzionava unicamente gli organi 
ed uffici della pubblica amministrazione), ma anche �con i concessionari 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di servizi di pubblico interesse svolti nella provincia stessa �, i quali tutti 
sono tenuti ad usare nella corrispondenza e nei rapporti orali la lingua 
del richiedente (art. 100 cit. terzo comma). 

Per concludere sul punto, una volta affermato in termini costituzionalmente 
vincolanti l'obbligo di rispettare nella Regione la parit� tra la lingua 
italiana e quella tedesca; una volta riconosciuta la facolt� dei cittadini 
di lingua tedesca della provincia di Bolzano di usare la loro lingua 
nei rapporti con gli umci giudiziari e con gli organi e uffici della pubblica 
amministrazione situati nella provincia o aventi competenza regionale 
nonch� con i concessionari di servizi di pubblico interesse svolti nella provincia 
stessa; una volta affermato l'obbligo di questi ultimi di usare, 
anch'essi, la lingua del richiedente (nella risposta); da tutto ci� discende 
che non viola, ma, al contrario costituisce attuazione del principio costituzionale 
di cui all'art. 6 Cost. e all'art. 4 dello statuto di autonomia la 
normativa provinciale che disciplini in conformit� ad essi l'uso delle lingue 
italiana e tedesca. 

Il Consiglio di Stato denuncia anche la violazione dell'art. 107 dello 
Statuto speciale di autonomia osservando come � l'applicazione della regola 
del bilinguismo, posta dal (menzionato) art. 100 dello statuto per i 
concessionari di servizi di pubblico interesse debba necessariamente passare 
(cos� come per i pubblici impiegati) attraverso le norme statali di 
attuazione �. 

Neppure questa censura � fondata. 

Gi� vigente la disposizione ongmaria dello statuto speciale (art. 95) 
che � si limita(va) a prevedere l'emanazione con decreto legislativo delle 
norme di attuazione �, questa Corte ebbe ad osservare (sent. n. 108 del 
1971) che �non sempre n� necessariamente queste (norme di attuazione) 
sono richieste affinch� le regioni possano validamente esercitare la propria 
potest� legislativa�. Ed infatti non � dato ravvisare la necessit� di alcuna 
norma attuativa del principio del bilinguismo quando esso debba trovare 
appiicazion:: in materia di pacifica competenza provinciale, quale l'assistenza 
sanitaria (art. 9, n. 10 dello statuto speciale, nel testo unificato). 

L'infondatezza della censura in esame appare tanto pi� evidente quando 
si ricordi che l'obbligo del bilinguismo in provincia di Bolzano per 
gli esercenti un servizio di pubblico interesse (quali indubbiamente sono 
i farmacisti) � posto direttamente da una disposizione statutaria 
(art. 100) e che la legge provinciale (n. 12 del 1979) si � limitata ad utilizzare 
il meccanismo previsto dalla legge statale (d.P.R. n. 752 del 1976) per 
l'accertamento della conoscenza delle due lingue da parte dei soggetti interessati, 
in conformit� al disposto di altra legge statale di riforma (art. 80, 
legge 833 del 1978). 

Parimenti infondata � la censura proposta dal Consiglio di Stato con 

riferimento al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

La parificazione della lingua italiana e tedesca comporta, per la provincia 
di Bolzano, l'obbligo del bilinguismo per tutti i pubblici funzionari 
e gli esercenti di servizi di pubblico interesse dovendosi, in quella provincia, 
porre sullo stesso piano l'obbligo del cittadino di lingua tedesca 
di conoscere la lingua italiana e del cittadino di lingua italiana di conoscere 
la lingua tedesca naturalmente nell'esercizio e per l'esercizio di 
quelle funzioni pubbliche e di quei servizi di pubblico interesse. 

La parificazione delle lingue non rappresenta soltanto un modo di 
tutela di una minoranza linguistica -tale nell'ambito nazionale, ed invece 
maggioritaria nella provincia di Bolzano -ma esprime il riconoscimento 
(anche in adempimento di obblighi internazionali dello Stato) di una tale 
situazione di fatto e del dovere di ogni cittadino, quale che sia la sua 
madre lingua, di essere in grado di comunicare con tutti gli altri cittadini, 
quando � investito di funzioni pubbliche o � tenuto a prestare un 
servizio di pubblico interesse. Il precetto, perci�, ha come destinatari non 
soltanto i cittadini (rientranti in quelle categorie e operanti nella provincia 
di Bolzano) di lingua madre italiana, ma anche quelli di lingua madre tedesca 
e, lungi dal violare, realizza il principio di eguaglianza, rispetto al 
quale, come ebbe gi� a rilevare questa Corte (sent. n. 86 del 1975) � rappresenta 
qualcosa di diverso e di pi��, in puntuale applicazione dell'art. 6 
Cost. 

Quanto, infine, alla pretesa violazione dell'art. 41 Cost., baster� osservare 
che lo stesso giudice a quo considera il requisito del bilinguismo come 
una �limitazione all'esercizio dell'attivit� professionale di farmacista� e 
che, anche a volerla considerare apposta alla libert� di iniziativa economica, 
sarebbe pur sempre ispirata alla necessit� di evitare che ne possano 
derivare danni ai cittadini nei cui confronti il farmacista � chiamato a 
prestare la propria opera e che nella provincia di Bolzano ben possono 
esprimersi in una delle due lingue indifferentemente. Del resto, come gi� si � 
ricordato, � la stessa legge statale (anzi una legge di riforma) e precisamente 
la legge n. 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, 
che all'art. 80, nello stabilire che �restano ferme le competenze spettanti 
alle provincie autonome di Trento e Bolzano secondo le forme e condizioni 
particolari di autonomia definite dal d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 e relative 
norme di attuazione � ribadisce che ci� debba avvenire � nel rispetto per 
quanto attiene alla provincia autonoma di Bolzano delle norme relative... 
alla parificazione delle lingue italiana e tedesca �. 

Conclusivamente, tutte le questioni sollevate dal Consiglio di Stato 
devono essere dichiarate infondate. 
Invero, la provincia di Bolzano, con la propria legge n. 12 del 1979 ha 
inteso provvedere, come recita l'intestazione della legge stessa, alla � appli



...,.,.�.. 


828 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cazione delle norme relative alla parificazione delle lingue italiana e tedesca 
per il personale a rapporto convenzionale nel servizio sanitario provinciale
�. 

L'art. 1 di detta legge, per la parte impugnata, pone lo stesso requisito, 
di adeguata conoscenza delle due lingue, tanto per il personale sanitario 
quanto per le categorie non mediche integrate ai sensi dell'art. 48 della 
legge n. 833 del 1978, nel servizio sanitario nazionale. Tra queste ultime, 
ex art. 28 della medesima legge 833 del 1978 rientrano i farmacisti, che, 
a prescindere dalla qualificazione del regime, concessorio o autorizzativo, 
cui sono sottoposte le farmacie, svolgono indubbiamente un servizio di 
pubblico interesse. 

Se cos� �, non � dubbio che la provincia di Bolzano ha legiferato in 

materia nel pieno rispetto dei princ�pi fondamentali di cui all'art. 6 Cost. 

e 4 dello Statuto speciale di autonomia, in armonia con gli ulteriori dispo


sti di cui agli artt. 99 e 100 dello statuto medesimo. 
Le considerazioni sin qui svolte conducono d1e plano al rigetto del 
ricorso per conflitto di attribuzioni proposto dal Presidente del Consiglio 
dei Ministri avverso il provvedimento del medico provinciale di Bolzano 
di cui all'art. 10 del bando di concorso, emanato il 30 maggio 1980, per 
la assegnazione di farmacie vacanti e di nuova istituzione nella provincia 
stessa. 
Invero, una volta riconosciuta la competenza legislativa della provincia 
nella soggetta materia, � evidentemente incont�stabile la correlata potest� 
amministrativa. 
p.q.m. 
1) dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale dell'art. 
1 della legge della provincia autonoma di Bolzano 3 settembre 1979 
n. 12 sollevate in riferimento agli artt. 3, 6 e 41 Cost., nonch� agli artt. 4 
e 8 del d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 
1978 n. 833, ed agli artt. 8, 9, 100 e 107 del suddetto d.P.R. in relazione 
al d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752, cos� come modificato e integrato dal d.P.R. 
31 luglio 1978 n. 571, dal Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, con 
l'ordinanza 16 dicembre 1980, di cui in epigrafe; 
2) dichiara che spetta alla provincia autonoma di Bolzano ed ai suoi 
organi amministrativi statuire in materia di possesso di requisiti per il 
rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle farmacie nella provincia medesima 
per ci� che attiene al bilinguismo e conseguentemente rigetta il 
ricorso per conflitto di attribuzioni proposto dal Presidente del Consiglio 
dei ministri contro il presidente della provincia autonoma di Bolzano, 
notificato il 29 luglio 1980, di cui in epigrafe. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 20 ottobre 1983, n. 319 -Pres. Elia -Rel. 
Roehrssen -Marzilli (avv. Stoppani), Picano (avv. Pallottino), S.p.A. 
Soc. It. Risanamento Agrario (avv. Sorrentino), Regione Lazio e Regione 
Campania (avv. Albamonte), Comune di Roma (avv. Carnovale) 
e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). 

Regioni � Costruzione di asili nido -Rientra nella materia lavori pubblici 
di interesse regionale. 
(Cost., art. 117; 1. 6 dicembre 1971, n. 1044, art. 6). 

Espropriazimw per pubblica utilit� -Accertamento dei presupposti e adozione 
del provvedimento ablatorio -Concentrazione delle due funzioni 
nel medesimo organo � Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 97; !. 3 gennaio 1978, n. 1, artt. 1 e 3; !. reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, 

artt. 3, 4, 8, 13 e 14). 

Comuni -Delega di funzioni amministrative al Comune -Individuazione 
dell'organo comunale competente � Facolt� del legislatore regionale. 
(Cost., artt. 118 e 128; !. reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, art. 13). 

La materia � lavori pubblici di interesse regionale�, comprensiva 
anche di lavori di interesse subregionale, include i lavori relativi alla costruzione 
degli asili-nido. 

Non contrasta con il principio di imparzialit� (art. 97 Cast.) il non 
avere attribuito a distinte competenze amministrative (e, precisamente, a 
diversi organi appartenenti al medesimo soggetto) le due fasi proprie del 
procedimento espropriativo, quella dell'accertamento dei presupposti per 
la espropriazione e quella successiva della concreta adozione dei provvedimenti 
amministrativi ablatori. 

La legge regionale che, nel delegare determinate funzioni amministrative 
al comune, precisi anche quale fra gli organi comunali previsti dall'ordinamento 
dettato dallo Stato debba esercitare le funzioni medesime 
senza alterare la tipologia diella sua organizzazione, non lede l'autonomia 
dei comuni n� invade la sfera di competenza dello Stato. 

(omissis) Una prima questione di legittimit� costituzionale riguarda 
l'art. 6 della legge 6 dicembre 1971, n. 1044 (�piano quinquennale per la 
istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato�), con il quale 
lo Stato avrebbe delegato alle Regioni a Statuto ordinario la facolt� 
di dettare norme legislative in tema di asili-nido. In tal modo sarebbe stato 
violato l'art. 117 Cost., non rientrando la materia degli asili nido fra 
quelle affidate alla potest� legislativa concorrente delle regioni. 

La questione non � fondata. In realt� l'art. 6, n. 1 della citata legge 

n. 1044. non contiene alcuna delega di potest� legislativa alle Regioni per 
quel che attiene alla questione che ha fo11mato oggetto dei giudizi dinanzi 
ai giudici a quibus, e cio� per quel che concerne i lavori relativi alla 

830 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

costruzione degli asili nido. Infatti ad avviso della Corte questi favori non 
possono non essere compresi nell'ambito dell'art. 117 Cost., laddove parla 
della materia indicata come �lavori pubblici di interesse regionale�, la 
quale � comprensiva anche dei lavori di interesse subregionale. 

A. riguardo � da rilevare che gli asili nido costituiscono istituzioni le 
quali operano nell'ambito comunale, cio� in un ambito locale, allo scopo 
di venire incontro alle esigenze delle famiglie insediate in quel territorio: 
rappresentano, quindi, la localizzazione di interessi certamente pi� vasti. 
E ci� � sufficiente a fare ritenere che i lavori relativi alla costruzione 
ed alla manutenzione degli edifici destinati a sede degli asili nido erano da 
consider�re compresi nell'art. 117 Cost., ancor prima che tutta l'attivit� 
dei medesimi asili fosse trasferita alle regioni per effetto della nuova concezione 
che � stata data alla beneficenza pubblica con l'art. 22 del d.P.R. 
24 luglio 1977, n. 616 (sent. n. 174 del 1981 di questa Corte). (omissis). 

Una terza questione di legittimit� costituzionale investe gli art. 3, 4, 
8, B e 14 della legge n. 41 del 1974 della regione Lazio per violazione dell'art. 
97 Cost., in quanto queste disposizioni non avrebbero osservato il 
principio di imparzialit�. 

Questo richiederebbe, ad avviso dei giudici a quibus, da un lato di tener 
distinte le autorit� che hanno competenza per le dichiarazioni di p.u. e di 
indifferibilit� ed urgenza e quelle che adottano i provvedimenti di espropriazione 
e di occupazione d'urgenza e dall'altro di non affidare al comune 
beneficiario delle espropriazioni il potere di emanare gli atti espropriativi, 
il che � tanto pi� grave in quanto il comune non pu� avere una struttura 
amministrativa articolata al pari dell'amministrazione statale. 

L'ordinan:lla ... investe sotto questo stesso profilo anche gli artt. 1 e 3 
della legge statale 3 gennaio 1978, n. l, i quali hanno anch'essi eliminato 
ogni distinzione fra organi che espropriano ed organi che dichiarano 
la pubblica utilit�. 

Anche tale questione non � fondata. 

Premesso che la P.A. nello svolgimento dei suoi compiti agisce sempre 
nella sua qualit� di parte, cio� di esponente degli interessi pubblici che 
le sono affidati, e che di conseguenza essa tende in primis al soddisfacimento 
degli interessi della collettivit�, ma con la rigorosa osservanza del 
principio di legalit� (riaffermato anche dall'art. 97 Cost., allorquando parla 
della imparzialit�), non ritiene la Corte che il non avere attribuito a distinte 
competenze amministrative (e, precisamente, a diversi organi appartenenti 
al medesimo soggetto) le due fasi proprie del procedimento espropriativo, 
quella dell'accertamento dei presupposti per la espropriazione e 

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quella successiva della concreta adozione dei provvedimenti amministrativi 

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ablatori, ponga in essere alcuna violazione del cennato principio di imparzialit�. 
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L'obbligo di dare esatta e completa applicazione alla legge e di osservarla 
pienamente nella sua lettera e nel suo spirito in modo da perse


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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

guire in maniera obbiettiva il soddisfacimento degli interessi pubblici pu� 
bene ottenersi anche se non si operino distinzioni di quel genere: non si 
vede, in realt�, per qual motivo questo risultato non possa ottenersi se 
non attraverso una pi� o meno netta separazione degli organi che pongono 
in essere le due cennate fasi del procedimento espropriativo. 

La unificazione delle competenze, d'altro canto, � stata effettuata, tanto 
dalla legge statale quanto dalle leggi regionali, allo scopo essenziale di 
accelerare i tempi per la realizzazione delle opere pubbliche, eliminando 
fasi procedurali ritenute superflue. E certamente nel regolamentare in 
questo modo la materia i vari legislatori hanno tenuto presente da un 
lato che non sono mancati, anche in passato, casi nei quali le cennate 
fasi erano affidate ai medesimi organi (art. 31 del r.d. 8 febbraio 1923, 

n. 422, art. 1 r.d.l. 15 agosto 1925, n. 1636 e artt. 1 e 2 r.d. 11 aprile 1926, 
n. 752, ecc.) e dall'altro che la pi� recente legislazione ha notevolmente 
modificato il valore degli atti con i quali si autorizza la occupazione di 
urgenza dei terreni o si procede all'esproprio. In realt� i momenti principali 
ed essenziali per far luogo ad una espropriazione sono quelli nei 
quali, deliberata la realizzazione dell'opera (spesso gi� preveduta da appositi 
piani o programmi di carattere vincolante), si fa luogo alla individuazione 
dell'area sulla quale essa deve insistere, il che, se non � gi� avvenuto 
al momento iniziale di detta deliberazione, avviene nel momento 
della progettazione dell'opera, noto essendo che ogni progetto tecnico � 
strettamente legato nella sua essenza al terreno. 
Di conseguenza la prima decisiva incisione dei diritti dei singoli 
avviene nel momento della dichiarazione di p.u. (che presuppone un piano 
di massima indicante anche la descrizione dei terreni da occupare: art. 3 
legge 25 giugno 1865, n. 2359) o quando si fa luogo alla approvazione del 
progetto (se si operi in regime di dichiarazione implicita di p.u.) con la 
osservanza delle norme relative alla localizzazione delle opere pubbliche: 
i successivi provvedimenti in base ai quali la P.A. pu� immettersi nel fondo 
del privato, a titolo provvisorio o definitivo, costituiscono, sotto questo 
profilo, pi� che altro atti esecutivi, onde anche per questo aspetto non 
pu� ritenersi irrazionale n� l'avere affidato ai medesimi organi le due fasi 
predette n� l'avere affidato (come avviene del resto in non poche leggi 
statali) la emanazione del provvedimento ablatorio allo stesso soggetto che 
dell'esproprio deve beneficiare. 

L'ultima questione concerne l'art. 13 della citata legge regionale del 
Lazio n. 41 del 1974, il quale violerebbe l'art. 128 Cost. in quanto non si 
limita a disporre la delega a favore del Comune, ma indica anche quale 
sia l'organo comunale competente all'esercizio del potere delegato. 

Anche tale questione non � fondata. La disposizione contenuta nell'art. 
128 Cost. indubbiamente sottrae al potere legislativo delle regioni a 
statuto ordinario la disciplina della organizzazione degli enti territoriali, 
che rimane affidata esclusivamente al potere legislativo statale. 


832 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ma la legge regionale che, nel delegare determinate funzioni amministrative 
al comune, precisi anche quale fra gli organi comunali previsti 
dall'ordinamento dettato dallo Stato debba esercitare le funzioni medesime 
senza alterare la tipologia della sua organizzazione, non lede l'autonomia 
dei comuni n� invade la sfera di competenza dello Stato. 

Si tratta di norma la quale opera nell'ambito della organizzazione 
data dalla legge statale e precisa lo specifico organo che deve in concreto 
provvedere. 

E ci� da un lato costituisce ovvia e necessaria precisazione di un 
aspetto della delega e dall'altro corrisponde anche al concetto espresso 
dall'art. 118, terzo comma, Cost., in base al quale le regioni esercitano 
normalmente le loro funzioni amministrative delegandole agli enti minori 

o �valendosi dei loro uffici�: � evidente che la regione pu� individuare 
l'ufficio comunale che ritiene maggiormente idoneo a svolgere le funzioni 
delle quali essa � titolare ed il cui esercizio trasferisce ad altri. (omissis). 
CORTE COSTITUZIONALE, 20 ottobre 1983, n. 321 -Pres. Elia -Rel. Saja Morelli 
e altri (n. p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
Caramazza). 

Amnistia e indulto -Legge di delegazione � � sufficiente la promulgazione 
anteriore al decreto presidenziale. 
(Cost., artt. 73 e 79; d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744). 

Per l'attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di concedere 
l'amnistia o l'indulto, non � necessaria la pubblicazione della legge 
di delegazione, ed � sufficiente la sua promulgazione prima dell'emanazione 
del decreto impugnato. 

(omissis) Ci� posto e passando al merito, osserva la Corte che i 
giudici rimettenti dubitano tutti della legittimit� costituzionale del d.P.R. 
18 dicembre 1981, n. 744, con cui venne concessa l'amnistia e l'indulto per 
alcuni reati, in quanto esso venne pubblicato nella stessa Gazzetta Ufficiale 

n. 348 del 19 dicembre 1981, in cui fu pubblicata altres� la legge di delegazione 
(18 dicembre 1981 n. 743): in altri termini, il Presidente della Repubblica 
nell'emanare il decreto delegato in data 18 dicembre 1981 avrebbe 
esercitato un potere che ancora non gli competeva perch� la legge di delegazione 
era stata pubblicata il giorno successivo (19 dicembre 1981) e 
pertanto solo da tale giorno era divenuta efficace. 
La questione che si pone a questa Corte consiste pertanto nel decidere 
se, per l'attribuzione �al Presidente della Repubblica del potere di concedere 
l'amnistia o l'indulto, sia necessaria la pubblicazione della legge di 


-


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

delegazione ovvero se sia sufficiente la sua promulgazione, avvenuta nella 
specie, cos� come non � contestato, prima dell'emanazione del decreto 
impugnato. 

Ritiene la Corte che la questione debba essere risolta in questo ultimo 
senso. 

La pubblicazione della legge costituisce un atto diretto a dare � comunicazione 
� della stessa ai cittadini per renderne possibile la conoscenza ed 
impone conseguentemente la' generale osservanza. Ma, ancor prima della 
pubblicazione, interviene nel procedimento legislativo, inteso in senso lato, 
la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica, la quale consiste 
in un atto che si compone di tre elementi: l'accertamento della sussistenza 
e dell'identit� della volont� delle due Camere, espressa mediante 
l'approvazione del disegno o della proposta di legge; la manifestazione 
della volont� del Presidente della Repubblica di procedere alla promulgazione 
suddetta, ed infine l'ordine di esecuzione diretto ad assicurare la 
piena operativit� della legge. 

Tale atto non costituisce soltanto il presupposto della successiva pubblicazione, 
la quale vdene attuata attraverso una serie di operazioni (il c.d. 
�visto�, l'inserzione della Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti, e la 
pubblicazione, propriamente detta, nella Gazzetta Ufficiale). 

Esso attribuisce altres� immediata efficacia, o se si vuole � esecutoriet�
� (che si distingue dalla obbligatoriet� �erga omnes � conseguente 
alla pubblicazione), all'atto normativo. Quest'ultimo, pertanto, deve considerarsi 
non solo esistente nell'ordinamento giuridico ma, a taluni fini, 
anche efficace nei confronti di alcuni organi pubblici, tra cui sicuramente 
il Presidente della Repubblica nonch� il Governo; ci� che � avvenuto nel 
caso di specie, in cui il Consiglio dei ministri � intervenuto con la sua 
deliberazione nel procedimento conclusosi con l'emanazione dell'atto di 
clemenza. 

Da ci� le varie applicazioni che dal principio conseguono, e che sono 
generalmente ricordate in dottrina. Cos� per stabilire l'anteriorit� o la 
posteriorit� di una legge rispetto ad un'altra deve farsi riferimento alla 
data della promulgazione e non a quella della pubblicazione, sicch� la 
legge promulgata successivamente abroga quella promulgata prima anche 
se pubblicata dopo; cos�, ai fini dell'osservanza del termine fissato dalle 
leggi di delegazione, � sufficiente che l'atto (delegato) sia perfezionato con 
la emanazione prima della scadenza di detto termine anche se la pubblicazione 
avviene successivamente (cfr. in tali sensi anche le sentenze di questa 
Corte 6 luglio 1959, n. 39; 24 maggio 1960, n. 34; 12 novembre 1962, 

n. 91; 21 marzo 1974 n. 83). 
Dai superiori rilievi risulta evidente come, una volta avvenuta la 
promulgazione, sussisteva il potere delegato dal Parlamento al Presidente 
della Repubblica, il quale pertanto legittimamente ha emanato l'impugnato 
decreto di concessione dell'amnistia e dell'indulto. (omissis). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 novembre 1983, n. 326 -Pres. Elia -Rel. 
Andrioli -Lomastro (n. p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
Sernicola). 

Lavoro -Danni da infortunio sul lavoro -Credito per risarcimento 


Privilegio generale. 

(Cost., art. 3, cod. civ., art. 2751-bis). 

Contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 2751-bis n. 1 cod. civ. (sub art. 2 legge 
29 luglio 1975, n. 426) nella parte in cui non munisce del privilegio generale, 
istituito dall'art. 2 legge n. 4262 del 1975, il credito del lavoratore 
subordinato per danni conseguenti ad infortunio sul lavoro, del quale 
sia responsabile il datore di lavoro, se e nei limiti in cui il creditore non 
sia soddisfatto della percezione delle indennit� previdenziali e assistenziali 
obbligatorie dovute al lavoratore subordinato in dipendenza dello stesso 
infortunio. 

(omissis) La Corte, cos� giudicando, non invade l'area riservata alle 
scelte economico-politiche del legislatore, nelle quali non pu� non affondare 
le radici la �causa� del credito che, ai sensi dell'art. 2745 cod. civ., 
rappresenta la ragione giustificatrice della creaZJione di qualsiasi privilegio, 
ma inquadra la disposizione impugnata nel sistema del codice civile, di 
cui il legislatore ordinario non ha dato adeguata rappresentazione nella 
pur novellata disciplina del privilegio generale a favore del prestatore di 
lavoro subordinato. Il quale, se per l'attuazione nel concorso dei creditori 
della responsabilit� patrimoniale del datore per infortuni sul lavoro 
fosse confuso nella folla, sempre folta, dei creditori chirografari, sarebbe 
posposto ai crediti che gli artt. 2756, 2757, 2760 e 2761 (e la moltitudine 
delle leggi speciali sopravvenute) muniscono di non effimeri privilegi speciali. 
Ditalch� la legislazione italiana del 1975 regredirebbe ai tempi in cui 
non si temeva di allineare il lavoro speso dall'uomo a vantaggio di altri 
simili sul piano delle locationes bovis et rei. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 novembre 1983, n. 328 -Pres. e rel. Elia -
Rigatti (n.p.). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Trasferimento di im


mobili. -Vendita forzata senza incanto. 

(Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 42). 

Contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 42 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (disciplina 
dell'.imposta di registro), nella parte in cui non dispone che anche 
per le vendite forzate senza incanto, effettuate ai sensi degli artt. 570 e 
seguenti del codice di procedura civile, la base imponibile � costituita dal 
prezzo di aggiudicazione. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

La norma denunziata (art. 42, d.P.R. n. 634/1972) riproduce in sostanza 
l'art. so, secondo comma, della legge di registro che analogamente non 
disponeva che per le vendite forzate senza incanto, effettuate ai sensi dell'art. 
570 e seguenti del codice di procedura civile, la tassa proporzionale 
fosse dovuta sul prezzo di aggiudicazione. 

Anche in questo caso quindi va rilevato, come gi� fatto con sentenza 

n. 156/1976, che per le vendite coatte senza incanto, disciplinate dagli artt. 
570 e seguenti del codice di procedura civile, non sono contestabili l'autenticit� 
del prezzo pagato e la sua presumibile corrispondenza al prezzo di 
mercato: ci� avviene grazie a un procedimento di determinazione del 
valore venale che, per essere posto sotto il controllo del giudice dell'esecuzione, 
e subordinato a rigorose forme di pubblicit�, presenta ampie gai;:
anzie di oggettivit� e di automatismo per la realizzazione del massimo 
ricavo possibile. 
� evidente quindi che per i beni soggetti ad esecuzione forzata venduti 
senza incanto sussistono le stesse ragioni perch� si applichi la normativa 
contenuta nell'art. 42 del d.P.R. n. 634/1972: ne deriva che la discriminazione 
attuata dalla norma impugnata nell'ambito dell'espropriazione forzata, 
tra vendite realizzate con il sistema all'incanto e vendite senza incanto, 
� priva di ogni fondamento razionale e deve essere considerata costituzionalmente 
illegittima. 


SEZIONE SECONDA 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 
SEZIONE SECONDA 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sez. V, 14 luglio 
1983, nella causa 174/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Mancini 
-Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Arrondissementsrechtbank 
di Hertogenbosch nella causa Officier von Justitie c. 
ditta Sandoz B.V. -Interv.: Governi dei Paesi Bassi (ag. Italiener), danese 
(ag. Lachmann e Bos) e italiano (avv. Stato Braguglia) e Commis


sione delle C.E. (ag. Wiigenbaur e Verstrynge). 
Comunit� Europee -Libera circolazione delle merci � Restrizioni giustificate 
da motivi di tutela della salute � Derrate alimentari � Ag� 
giunta di vitamine � Disciplina nazionale. 
(Trattato CEE, artt. 30 e 36; direttive CEE del Consiglio 23 ottobre 1962; 5 novembre 
1963, n. 64/54; 21 dicembre 1976, n. 77/94}. 
Comunit� Europee -Libera circolazione delle merci � Restrizioni giustificate 
da motivi di tutela della salute � Derrate alimentari � Aggiunta 
di vitamine � Poteri delle autorit� nazionali � Limiti. 
(Trattato CEE, artt. 30 e 36). 
\ 
Il diritto comunitario non osta alla disciplina nazionale che vieti, salvo 
previa autorizzazione, la vendita di derrate alimentari, legalmente vendute 
in un altro Stato membro, cui sia stata aggiunta della vitamina, purch� 
la vendita sia autori'z,zata quando l'aggiunta di vitamine risponde ad una 
esigenza reale, in particolare di ordine tecnico o alimentare. (1) 
(1-2) Sui prodotti dietetici -cio� prodotti destinati ad una alimentazione 
particolare, che devono essere ogg-etto clii controlli di natura sanitaria e che 
sono nettamente distinti dai prodotti alimentari di consumo corrente (cfr., in 
Italia, la legge 29 marzo 19511, n. 3Z7, e il suo regolamento di esecuzione, 
appr. con d.P.R. 30 maggio 1953, n. 578) -una prima fase di ravvicinamento 
delle legisla2lioni degli Stati membri � stata gi� attuata, come ricordato dalla 
Corte, con la direttiva del ConsigMo 77/94/CEE del 21 dicembre ,1976. Le disposizioni 
di questa direttiva rendono evidente I'esig-enza imperativa di controlli, 
finalizza1Ji. alla tutela della salute pubblica, sulla produzione e sulla commercializzazione 
dei prodotti in questione: non solo controlli di etichettatura, per 
evitare al consumatore delusioni circa le effettive propriet� del prodotto, bens� 
accertamenti� sulla composizione del prodotto medesimo, il quale deve rispondere 
alle esigenze cui � destinato e, ovviamente, non deve essere nocivo. In 
mancanza di diret1Ji.ve specifiche del Consiglio (art. .1 n.. 3) la direttiva riserva 
alle disposizioni nazionali (art. 3) il controllo sulle modifiche apportate ai pro

PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 837 

Il diritto comunitario osta alla normativa nazionale che subordini la 
autorizzazione di vendere alla prova da parte dell'importatore che la merce 
non � nociva per la salute, salvo restando la facolt� delle autorit� nazio� 
nali di chiedere all'importatore l'esibizione di tutti i dati in suo possesso, 
utili per la valutazione dei fatti. E osta altres� alla normativa nazionale la 
quale subordini l'autorizzazione alla vendita alla prova da parte dell'importatore 
che la vendita del prodotto risponde ad una domanda sul mer� 
cato. (2) 

(omissis) 1. -Con sentenza 3 maggio 1982, pervenuta alla Corte il 28 
giugno 1982, l'Economische Politierechter (Giudice di polizia economica) 
deU'Arrondissementsrechtbank (Tribunale) di s'Hertogenbosch ha sollevato, 
in forza dell'art. 177 del Trattato Cee, tre questioni pregiudiziali rela� 
tive all'interpretazione delle disposizioni del Trattato CEE in fatto di libera 
circolazione delle merci nell'ambito della Comunit�, e in particolare del� 
l'art. 36 di detto Trattato. 

2. -Le questioni sono sorte nell'ambito di una causa penale promossa 
a carico della Sandoz B.V. con sede in Uden, la quale, senza l'autorizzazione 
del Ministro competente, aveva venduto e consegnato nei Paesi Bassi der� 
dotti per renderli destinati �ad una alimentazione particolare. E la clausola di 
libera circolazione del successivo art. 7 da un lato fa salva la riserva di cui 
al precedente art. 3, dall'altro rende legittimi. gli ostacoli alla libera circola� 
zione, quando essi dipendano da disposizioni non armonizzate giustificate da 
motivi di tutela della salute pubblica, di repressione delle frodi, di tutela della 
propriet� �industriale, ecc. 

Secondo la direttiva, dunque, i prodotti destinati ad una alimentazione 
particolare (fra i quali, normalmente, quelli con l'aggiunta di vitamine) sono 
prodotti sensibili in ragione delle riconosciute esigenze di tutela della salute 
pubblica (oltre che per ragioni di tutela del consumatore), e, dn difetto di 
direttive specifiche di armonizzazione particolare, sono tuttora soggetti alle 
disposizioni nazionali, le quali, per ragioni giustificate da motivi di tutela della 
salute pubblica, possono anche costituire legittimo ostacolo alla libera circola� 
zione dei prodotti medesimi. 

Non poteva, quindi, non ritenersi rimasto integro in linea generale, in 
assenza di direttive specifiche, il potere degli Stati membri in ordine alla protezione 
della salute e della vita delle persone, salva nello svolgimento dei 
controlli la proporzionalit� e la non discriminazione fra prodotti importati e 
nazionali (cfr., precedentemente, le sentenze della Corte 20 maggio 1976, nella 
causa 104/75, DE PEIJPER, in Racc., 1976, pag. 613; 8 novembre 1979, nella causa 
251/78, DENKAVIT, ibidem, ,1978, pag. 3369; 5 febbraio 1981, nella oausa 53/80, 
EYSSEN, ibidem, 1981, pag. 409; 17 dicembre 1981, nella causa 272/80, BIOLOGISCHE 
PRODUCTEN, ibidem, 1981, pag. 3277). 

Circa la collocazione dd prodotti vitaminici nella categoria dei medicinali, 

ai sensi della direttiva del Consiglio 65/65/CEE del 26 gennaio ,1965, o in quella 

dei prodotti alimentari, cfr. la successiva sentenza della -Corte 30 novembre 

1983, nella causa 227/82, BENNEKOM, di prossima pubblicazione. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

838 

rate alimentari e bevande destinate al commercio ed al consumo umano, 
alle quali erano state aggiunte vitamine. 

3. -L'art. 10-bis, n. l, dell'Algemeen Besluit (decreto) 11 luglio 1949, 
emanato in forza degli �artt. 14 e 15 della Warenwet [legge sulle merci] 
del 1935, vieta� di aggiungere alle derrate alimentari ed alle bevande... delle 
vitamine... senza l'autorizzazione del Ministro incaricato dell'esecuzione del 
presente decreto->>. 
4. -Nel nostro caso, la Sandoz B.V. [in prosieguo Sandoz] vendeva 
nei Paesi Bassi bastoncini di muesli, del powerback e delle bevande analettiche 
ai quali erano state aggiunte determinate vitamine, in particolare 
delle vitamine A e D. Dal fascicolo si desume che tutti i prodotti di cui 
trattasi sono lecitamente venduti nella Repubblica federale di Germania 
o nel Belgio. Prima di venderli nei Paesi Bassi, la Sandoz ne chiedeva la 
autorizzazione, in conformit� alla legge sopracitata. L'organo olandese 
competente rispondeva in un primo tempo che l'autorizzazione viene concessa 
solo se le merci sono richieste sul mercato. La domanda d'autorizzazione 
veniva poi respinta per il motivo che la presenza nelle merci delle 
vitamine A e D costituiva un rischio per la sanit� pubblica. 
5. -Ritenendo che la propria pronuncia dipendeva dalla questione se 
le norme olandesi sopramenzionate fossero compatibili con gli artt. 30 e 
seguenti del Trattato e che quindi l'interpretazione di tali disposizioni gli 
era necessaria per pronunciare la sentenza, l'Economische Politierechter 
ha sospeso il giudizio ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni: 
� 1. Supposto che: 
a) un cibo e/o bevanda, al quale sia aggiunta della vitamina, sia 
stato messo in commercio in uno o pi� Stati membri in modo legale, cio� 
in conformit� alla legislazione che � col� in vigore, e 
b) un importatore di cibi e/o bevande, stabilito in un altro Stato 
membro, importi di cibo e/o bevanda di cui sopra, da uno degli Stati 
membri di cui al punto a) nello Stato membro nel quale � stabilito, 
se le disposizioni che derogano alle norme relative alla libera circolazione 
delle merci all'interno della Comunit�, in particolare l'art. 36 del 
Trattato CEE, per quanto riguardano la tutela della salute pubblica, giustifichino 
che le autorit� dello Stato membro d'importazione vietino lo 
smercio del cibo e/o bevanda di cui trattasi in questo paese, salvo autorizzazione 
ministeriale. 

2. Se sia rilevante per la soluzione da dare alla questfone di cui sopra 
che il divieto generale di vendere cibi e bevande alle quali siano state aggiunte 
delle vitamine, salvo autorizzazione concessa con decisione del Mi('.
�: 
nistro, abbia per effetto che l'importatore sopra considerato al punto 1.b), ~~ 
; 
;
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PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

ha l'onere di provare che la merce di cui trattasi non � nociva per la sanit� 
pubblica e pertanto dev'essere autorizzata. 

3. Se sia rilevante ai fini di quanto precede che l'applicazione del 
divieto generale di vendere cibi e bevande alle quali siano state aggiunte 
delle vitamine, a meno che tale vendita sia autorizzata con decreto ministeriale, 
abbia per effetto che le autorit� nazionali di uno Stato membro vietino 
la vendita di cibi e bevande vitaminizzate che sono lecitamente prodotte 
e messe in commercio in un altro Stato membro, a meno che il 
produttore o il venditore dimostrino non solo che queste merci non sono 
. nocive 
per la salute, ma anche che il loro smercio � auspicabile e che 
l'aggiunta di vitamine risponde ad una necessit��. 

Sulla prima questione. 

6. -Con la prima questione il giudice nazionale vuole in sostanza 
sapere se, ed eventualmente in quali ipotesi, le disposizioni del Trattato 
relative alla libera circolazione delle merci ostino alla disciplina nazionale 
Ja quale vieti, salvo previa autorizza2lione amministrativa, lo smercio 
di derrate alimentari, lecitamente vendute in un altro Stato membro, 
cui sia stata aggiunta della vitamina. 
7. -A norma dell'art. 30 del Trattato sono vietate nel commercio fra 
Stati membri le restrizioni quantitative all'importazione nonch� le misure 
d'effetto equivalente. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, va 
considerata misura d'effetto equivalente alle restrizioni quantitative qualsiasi 
disciplina commerciale degli Stati membri che possa ostacolare 
direttamente o indirettamente, in potenza o in atto, il commercio intracomunitario. 
Tuttavia, a norma dell'art. 36 del Trattato, l'art. 30 non 
osta ai divieti o restrizioni d'importazione giustificate, fra l'altro, da motivi 
di tutela della salute delle persone, purch� tali divieti o restrizioni non 
costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, n� una restrizione 
dissimulata nel commercio fra gli Stati membri. 
8. -� manifesto che la normativa nazionale del genere di quella cui 
il giudice proponente si riferisce, la quale vieti, salvo previa autorizzazione 
amministrativa, la vendita di derrate alimentari cui sia stata aggiunta 
della vitamina, � atta ad ostacolare il commercio fra Stati membri 
e va quindi considerata una misura d'effetto equivalente a restrizioni 
quantitative ai sensi dell'art. 30 del Trattato. La soluzione della questione 
sollevata dipende quindi dalla possibilit� di applicare l'art. 36 a detta 
normativa. 
9. -In proposito, secondo la Sandoz e la Commissione, solo in caso 
di consumo eccessivo, il quale sarebbe tuttavia escluso per le merci di 
cui trattasi, le vitamine ed in particolare le vitamine liposolubili, quali 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

le vitamine A e D, possono avere effetti nocivi. Il divieto generale di vendere 
derrate alimentari cui siano state aggiunte vitamine di qualsiasi tipo 
non sarebbe quindi giustificato, ai sensi dell'art. 36 del Trattato, da motivi 
di tutela della salute e sarebbe comunque sproporzionato ai sensi dell'ultimo 
inciso dell'articolo stesso. 

10. -Per contro, i Governi olandese e danese sostengono che una 
normativa del genere � resa n�cessaria dalla natura stessa delle sostanze 
aggiunte, dato che l'assorbimento di qualsfasi vitamina in dosi elevate 
o per un periodo prolungato pu� implicare rischi per la salute o, quantomeno, 
effetti secondari deprecabili, quale il manifestarsi di carenze alimentari. 
Tenuto conto delle incertezze della scienza e del fatto che la 
nocivit� delle vitamine dipende dalla quantit� assorbita unitamente alla 
alimentazione complessiva, non sarebbe possibile, per alcuna derrata alimentare 
cui sia stata aggiunta della vitamina, affermare con certezza se 
essa sia nociva o meno. 
11. -Dal fascicolo si desume che le vitamine non sono di per s� sostanze 
nocive, bens� al contrario. sono considerate dalla scienza moderna 
necessarie per l'organismo umano. Tuttavia il loro consumo eccessivo 
per un periodo prolungato pu� avere effetti nocivi la cui gravit� dipende 
dal tipo: le vitamine liposolubili rischiano in via generale di essere pi� 
nocive di quelle idrosolubili. Cionondimeno, stando alle osservazioni sottoposte 
alla Corte, la ricerca scientifica non sembra essere ancora in grado 
di determinare con certezza le quantit� critiche ed i precisi effetti. 
12. -Non � contestato dalle parti che hanno sottoposto osservazioni 
che la concentrazione delle vitamine contenute nelle derrate alimentari 
del genere di quelle di cui � causa � lungi dal raggiungere la soglia critica 
di nocivit�, di guisa che nemmeno il consumo eccessivo di esse pu� 
di per s� implicare un rischio per la sanit� pubblica. Tuttavia un rischio 
del genere non si pu� escludere nel caso in cui il consumatore assorba 
inoltre delle quantit� di vitamine incontrollabili ed imprevedibili con 
altri alimenti. 
13. -La questione dell'aggiunta di vitamine rientra quindi nell'ambito 
della politica generale riguardante gli additivi alimentari i quali costituiscono 
gi�, in misura limitata, l'oggetto di armonizzazioni comunitarie. La 
direttiva del Consiglio 23 ottobre 1962, relativa al riavvicinamento delle 
normative degli Stati membri riguardanti le materie coloranti che possono 
essere usate nelle derrate destinate all'alimentazione umana (G.U. pagina 
2645) e la direttiva del Consiglio 5 novembre 1963, n. 64/54, relativa 
al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti gli 
agenti conservanti che possono essere usati nelle derrate destinate alla 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

841 

alimentazione umana (G. U. 1964, pag. 161), emendata, ad esempio, obbligano 
gli Stati membri ad autorizzare unicamente le materie coloranti e 
gli agenti conservanti tassativamente enumerati in un elenco allegato, ma 
lasciano gli Stati membri liberi di restringere, in determinati casi, l'uso 
delle stesse materie enumerate. 

14. -Per quanto riguarda le derrate alimentari destinate ad una particolare 
alimentazione, una certa armonizzazione � stata effettuata con 
la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, n. 77/94, relativa al riavvicinamento 
delle legislazioni degli Stati membri riguardanti le derrate alimentari, 
destinate ad una particolare alimentazione (G. U. 1977, n. L 26, 
pag. 35). L'art. 7 di detta direttiva ordina agli Stati membri di adottare 
tutti gli opportuni provvedimenti perch� il commercio di detti prodotti 
non possa essere ostacolato dall'applicazione delle norme nazionali non 
armonizzate che disciplinano la composizione, le caratteristiche produttive, 
il confezionamento o l'etichettatura delle derrate alimentari, salve 
restando tuttavia le disposizioni giustificate da motivi, fra l'altro, di 
tutela della sanit� pubblica. 
'15. -Gli atti comunitari di cui sopra rendono manifesto che il legislatore 
comunitario parte dal principio che � opportuno restringere l'uso 
degli additivi alimentari alle sostanze tassativamente specificate, pur lasciando 
agli Stati membri un certo margine discrezionale per emanare 
disposizioni pi� rigorose. Questi atti dimostrano quindi una grande prudenza 
per quanto riguarda la potenziale nocivit� degli additivi, il cui 
grado � ancora incerto per le varie sostanze, e lasciano un ampio potere 
discrezionale agli Stati membri per quanto riguarda gli additivi stessi. 

16. -Come la Corte ha affermato nella sentenza 17 dicembre 1981 
{Frans-Nederlandse Maatschappij voor Biologische Producten, 272/80, 
Racc. pag. 3277), tutte le volte che sussistono delle incertezze nello stato 
attuale della ricerca scientifica, spetta agli Stati membri, in mancanza 
d'armonizzazione, decidere il livello al quale essi intendono garantire la 
tutela della salute e della vita delle persone, pur tenendo conto delle esigenze 
della libera circolazione delle merci nell'ambito della Comunit�. 
17. -Questi principi valgono pure per le sostanze del genere delle 
vitamine le quali non sono in via generale nocive di per s�, ma possono 
produrre effetti nocivi particolari nel solo caso del consumo eccessivo 
col complesso degli alimenti la cui composizione � imprevedibile ed in.
controllabile. Date le incertezze inerenti alla valutazione scientifica, la 
disciplina nazionale che vieti, salvo previa autorizzazione, la vendita di 

842 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

derrate alimentari cui siano state aggiunte delle vitamine � in linea 

di principio giustificata, ai sensi dell'art. 36 del Trattato, da motivi di 

tutela della salute umana. 

18. -Tuttavia il principio di proporzionalit� che costituisce il fondamento 
dell'ultimo inciso dell'art. 36 del Trattato esige che la facolt� 
degli Stati membri di vietare le importazioni dei prodotti di cui trattasi 
da altri Stati membri sia limitata a ci� che � necessario per conseguire 
gli scopi di tutela della salute legittimamente perseguiti. La normativa 
nazionale che contempli un divieto del genere � quindi giustificata solo 
se le autorizzazioni di vendita sono concesse ogni volta che siano compatibili 
con le esigenze della tutela della salute. 
19. -Una valutazione del genere, � cionondimeno difficile quando si 
tratta di additivi come le vitamine, caratterizzate dalle propriet� sopraindicate, 
le quali escludono la possibilit� di prevedere o di controllare le 
I 

quantit� sorbite col complesso degli alimenti ed il cui grado di nocivit� 
non pu� essere determinato con sufficiente certezza. Ciononostante, bench�, 
tenuto conto dello stato attuale dell'armonizzazione delle legislazioni 

I

f�

nazionali a livello comunitario, un ampio margine discrezionale debba i= 
essere lasciato agli Stati membri, questi, in ossequio al principio di proporzionalit�, 
devono autorizzare la vendita quando l'aggiunta di vitamine 


I

a derrate alimentari risponde ad un'esigenza reale in particolare di ordine f: 
tecnico o alimentare. 

20. -La prima questione va quindi risolta nel senso che il diritto coI


munitario non osta alla disciplina nazionale che vieti, salvo previa autorizzazione, 
la vendita di derrate alimentari, legalmente vendute in un 
altro Stato membro, cui sia stata aggiunta della vitamina, purch� la ven


I 
dita sia autorizzata quando l'aggiunta di vitamine risponde ad un'esigenza 
reale, in particolare di ordine tecnico o alimentare. 

I 

Sulla seconda questione. 

21. -Con la seconda questione il giudice nazionale chiede in sostanza 
se il diritto comunitario osti ad una normativa nazionale del genere di 
quella di cui trattasi, qualora l'autorizzazione di vendita sia subordinata 
alla condizione che l'importatore provi che la merce non � nociva per 
la salute. 
22. -Nei casi in cui, tenuto conto della soluzione data alla prima 
questione, in occasione di una domanda di autorizzazione sorge un pro

PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 843 

blema di onere della prova, � opportuno ricordare che l'art. 36 del Trattato 
implica un'eccezione, da interpretarsi restrittivamente, al princ1p10 
della libera circolazione delle merci nell'ambito della Comunit�, il quale 
fa parte dei principi fondamentali del mercato comune. Ne consegue che 
spetta alle autorit� nazionali le quali invocano detta disposizione, onde 
adottare un provvedimento restrittivo del commercio intracomunitario, 
di controllare di volta in volta se il provvedimento in progetto risponda 
ai criteri della disposizione stessa. 

23. -Di conseguenza, bench� le autorit� nazionali, qualora non ne 
dispongano, possano chiedere all'importatore di esibire i dati in suo 
possesso relativi alla composizione della merce ed all'esigenza tecnica o 
alimentare di aggiungere della vitamina, spetta alle stesse autorit� nazionali 
il valutare, tenendo conto di tutti i fattori rilevanti, se l'autorizzazione 
debba essere concessa in conformit� al diritto comunitario. 
24. -La seconda questione va quindi risolta nel senso che il diritto 
comunitario osta alla normativa nazionale che subordini l'autorizzazione 
di vendere alla prova da parte dell'importatore che la merce non � nociva 
per la salute, salva restando la facolt� delle autorit� nazionali di chiedere 
all'importatore l'esibizione di tutti i dati in suo possesso, utili per la 
valutazione dei fatti. 
Sulla terza questione. 

25. -Con la terza questione il giudice nazionale chiede in sostanza 
se il diritto comunitario osti ad una normativa nazionale del genere di 
cui trattasi, qualora l'autorizzazione alla vendita sia subordinata alla 
condizione che l'importatore provi che la vendita della merce risponde 
ad una domanda sul mercato. 
26. -Per quanto riguarda l'esigenza della domanda sul mercato, si 
deve rilevare che il semplice fatto di porre una condizione del genere 
costituisce di per s� una misura d'effetto equivalente vietata dall'art. 30 
e che non rientra affatto nell'eccezione di cui all'art. 36. Lo scopo perseguito 
dalla libera circolazione delle merci consiste precisamente nel garantire 
alle merci dei vari Stati membri l'accesso ai mercati sui quali esse 
non erano precedentemente presenti. 
27. -La terza questione va quindi risolta nel senso che il diritto 
<Comunitario osta alla normativa nazionale la quale subordini l'autorizza
�zione alla vendita alla prova da parte dell'importatore che la vendita del 
prodotto risponde ad una domanda sul mercato. (omissis) 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sez. IV, 5 ottobre 
1983, nelle cause riunite 186 e 187/82 -Pres. O' Keeffe -Avv. Gen. 
Mancini -Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dalla Corte 
d'appello di Catania nelle cause Amministrazione delle Finanze c. 
Esercizio Magazzini Generali S.p.a e c. Mellina Agosta S.r.l. -Interv.: 
Governo Italiano (avv. Stato Braguglia) e Commissione delle C.E. 
(ag. Prozzillo). 

Comunit� europee -Unione doganale � Dazi doganali � Pagamento � Casi 

di dispensa � Pentita della merce -Furto � Irrilevanza. 

(Direttiva CEE del Consiglio 4 marzo 1969, n. 69/74, art. 11; regolamento CEE del 
Consiglio 13 dicembre 1976, n. 222/77, art. 34; direttiva CEE del Consiglio 25 giugno1979, n. 79/623, art. 4; t.u. leggi doganali d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 36 e 37; 
legge 22 dicembre 1980, n. 891, art. 22-ter). 

Secondo le norme comunitarie vigenti in materia doganale, la sottrazione, 
ad opera di terzi, anche senza colpa del debitore, di merce soggetta 
a dazio doganale non estingue la relativa obbligazione (1). 

(omissis) 1. -Con due ordinanze 18 giugno 1982, pervenute alla cancelleria 
il 23 luglio 1982, la Corte d'appello di Catania ha sottoposto a 
questa Corte di giustizia, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, una 
questione pregiudiziale concernente la nozione di forza maggiore ai sensi 
del diritto doganale comunitario. 

2. -Detta questione � stata sollevata nell'ambito di due controversie 
tra il Ministero delle finanze e le imprese Esercizio Magazzini Generali 
S.p.a. e Mellina Agosta S.r.l. Risulta dal fascicolo che nel 1978 veniva 
sottratto dal deposito doganale gestito nel porto di Catania dalla societ� 
Esercizio Magazzini Generali un determinato quantitativo di tabacchi 
(1) Tutti gli Stati membri applicano nel senso indicato le disposizioni della 
direttiva n. 69/74, ispirate a norme internazionali e, segnatamente, a quelle della 
convenzione di Kyoto del 18 maggio 1973 sulla armonizzazione dei regimi doganali 
(accettata con decisione del Consiglio delle Comunit� europee 18 marzo 
1975, n. 75/199, in G.U.C.E. n. L 100, pag. 11), secondo cui � les marchandises 
vol�es ne sont pas consid�r�es d�truites ou irr�m�diablement perdues � (all. Bl), 
restando, per tal modo, soggette ai diritti e alle tasse di importazione. 
La Corte di cassazione italiana, che -sulla base dell'art. 3,7 del t.u. delle 
leggi doganali approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973., n. 43, prima che esso fosse 
interpretato autenticamente dall'art. 22-ter introdotto nel d.l. 311 ottobre 1980, 

n. 693, dalla legge di conversione 22 dicembre ,1980, n. 891 -era orientata 
nel senso della dispensa dal pagamento dei dazi doganali nell'ipotesi di furto 
perpetrato da terzi senza dolo o colpa dell'obbligato alla prestazione tributaria 
(Cass., 22 dicembre 1978, n. 6148, in Foro it., 1979, I, 1177, e 18 gennaio 1980, 
n. 431, in Rep. Foro it., 1980, voce Dogana, n. 51), preso atto dello jus superveniens, 
ha statuito (Cass., 31 ottobre 1981, n. 5769, in Foro it., 1982, I, 722) 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 845 

esteri lavorati e di whisky di propriet� della societ� Mellina Agosta. Per 
perpetrare il furto i ladri forzavano una saracinesca di ferro munita di 
due serrature, le cui chiavi erano custodite una dalla societ� Esercizio 
Magazzini Generali e l'altra dall'ufficio doganale del porto. La Dogana di 
Catania esigeva sia dalla societ� Esercizio Magazzini Generali sia dalla 
societ� Mellina Agosta la somma di 78 milioni di lire circa per diritti 
doganali e imposta sul valore aggiunto gravanti sulla merce sottratta, 
oltre agli interessi legali e alle spese. 

3. -Nel giugno 1979 le autorit� doganali notificavano alle due societ� 
un'ingiunzione fiscale per il pagamento della somma suddetta. Le due 
societ� proponevano opposizione dinanzi al tribunale di Catania, il quale 
dichiarava la somma non dovuta. L'Amministrazione interponeva appello 
avverso la sentenza del tribunale. 
4. -Secondo la normativa italiana, per le merci soggette a diritto 
di confine il presupposto dell'obbligazione tributaria � costituito dalla 
loro destinazione al consumo nel territorio doganale. Si presume definitivamente 
messa in consumo la merce indebitamente sottratta ai vincoli 
doganali. Tuttavia, il presupposto dell'obbligazione tributaria viene meno 
quando il soggetto passivo dimostri che l'inosservanza dei vincoli doganali 
o la mancanza della merce all'atto della presentazione dipendano 
dalla perdita o distruzione della stessa per caso fortuito o forza maggiore 
o per fatti imputabili a titolo di colpa non grave a terzi� o allo 
stesso soggetto passivo. 
5. -A seguito di talune pronunzie di giudici italiani riguardanti il 
termine � perdita � usato dalla citata normativa, il legislatore italiano emanava 
la legge 22 dicembre 1980, n. 891, che forniva un'interpretazione 
che il furto della merce sottoposta a vincolo doganale non rientra nella nozione 

di perdita della merce, in presenza della quale si considera non avverato il 

presupposto dell'obbligazione doganale. 

La pronuncia della Corte di giustizia elimina residue perplessit� circa la 

compatibilit� della normativa italiana con le direttive comunitarie. Residua una 

questione di costituzionalit� sollevata con ordinanza 2 aprile 1982 dal tribunale 

di Catania, che appare, per�, infondata, sia perch� proprio una soluzione di


versa potrebbe risultare in contrasto con l'art. U . Cost. per le ragioni sopra 

dette, sia perch�, sotto ii profilo dell'art. 3 Cost., non sembra potersi seria


mente contestare la profonda diversit� ai fini doganali del caso di perdita 

-nel senso precisato dalla norma -da quello di furto della merce, sia per


ch�, sotto il profilo dell'art. 53 Cost., gli indici rivelatori di ricchezza non 

vanno necessaruamente identificati -specie in tema di amposizione indiretta 


con vicende suscettil;ili di tradursi in apporto di reddito per i soggetti che vi 

siano interessati, la cui capacit� contributiva si evidenzia nello stesso com


pimento delle operatloni doganali relative alla merce successivamente sottratta 

alla disponibilit� del proprietario. 



846 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

autentica di detto termine: questo dev'essere inteso nel senso di dispersione 
e non di sottrazione della disponibilit� del prodotto. La Corte di 
appello considerava pertanto che la sottrazione della disponibilit� della 
merce (cio� il furto) non rientra fra le fattispecie contemplate dal diritto 
nazionale e, di conseguenza, riteneva inavverato il presupposto della 
estinzione del debito fiscale. 

6. -Le societ� interessate sostenevano per� che diversa � la situa� 
zione nell'ordinamento giuridico comunitario. La normativa comunitaria 
dispenserebbe dal pagamento dei dazi doganali e di altri tributi nel caso 
in cui la merce sia andata distrutta per causa di forza maggiore o caso 
fortuito. Date le circostanze della fattispecie, il furto sarebbe stato commesso 
con modalit� tali da integrare gli estremi della forza maggiore ai 
sensi del diritto comunitario. 
7. -Di conseguenza la Corte d'appello sospendeva i due procedimenti 
dinanzi ad essa pendenti e, con le ordinanze precitate, sottoponeva 
a questa Corte la seguente questione pregiudiziale: 
� se la sottrazione di merce soggetta a dazio doganale effettuata con 
le modalit� indicate o, pi� generalmente e astrattamente, con modalit� 
che, per quanto sopra argomentato, la assimilano alla forza maggiore 
pei principi dell'ordinamento giuridico ordinario, possa comprendersi 
.nella nozione di forza maggiore come sagomata nell'ordinamento comunitario 
doganale �. 

8. -La direttiva del Consiglio 4 marzo 1969, n. 69/74, relativa all'ar� 
monizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative 
riguardanti � regime dei depositi doganali (G. U. n. L 58, pag. 7), 
stabilisce le norme che devono figurare nelle disposizioni di legge, di 
regolamento e amministrative concernenti il suddetto regime. Essa dispone, 
all'art. 2, che il regime dei depositi doganali comporta la non riscossione 
dei dazi doganali, delle tasse d'effetto equivalente e dei prelievi 
.agricoli durante la permanenza delle merci nei depositi. 
9. -L'art. 11, n. l, della direttiva stabilisce che il depositante e il 
depositario devono poter fruire della franchigia totale dei dazi doganali, 
dalle tasse d'effetto equivalente e dai prelievi agricoli per le perdite veri� 
:ficatesi durante il periodo del deposito e dovute a casi fortuiti, a casi di 
forza maggiore oppure a cause dipendenti dalla natura delle merci. 
10. -A norma dell'art. 11, n. 3, in caso di asportazione irregolare 
,di merci, i dazi doganali, le tasse di effetto equivalente ed i prelievi agri� 
coli sono riscossi per le merci asportate in funzione delle aliquote o degli 
.importi in vigore alla data dell'asportazione. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

11. -La direttiva del Consiglio 25 giugno 1979, n. 79/623, relativa alla 
armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative 
riguardanti l'obbligazione doganale (G. U. n. L 179, pag. 31), stabilisce 
le norme che devono figurare nelle disposizioni di legge, di regolamento 
e amministrative degli Stati membri concernenti, tra l'altro, la� nascita 
dell'obbligazione doganale. 
12. -Essa dispone, all'art. 2, che l'obbligazione doganale all'importazione 
sorge per: 
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e) la sottrazione di una merce, soggetta a dazi all'importazione, al 
controllo doganale che deriva dalla sua immissione in custodia temporanea 
o dal suo assoggettamento ad un regime doganale che preveda 
tali controlli�. 

13. -L'art. 4 della stessa direttiva stabilisce che, in deroga all'art. 2, 
non sorge alcuna obbligazione doganale all'importazione rispetto ad una 
determinata merce 
� a) qualora l'interessato dimostri, in maniera soddisfacente per le 
autorit� competenti, che l'inadempienza agli obblighi risultanti: 
-dalle disposizioni prese per l'applicazione dell'art. 2 della direttiva 
68/312/CEE, oppure 
-dalla �sosta della merce in questione in custodia temporanea, 
oppure 

-dall'applicazione del regime doganale cui � stata assoggettata 
tale merce, 
� dovuta alla distruzione totale o alla perdita definitiva di detta merce 
per una causa inerente alla natura stessa della merce o per un caso fortuito 
o di forza maggiore �. 

14. -Dall'articolo precitato e dal nono considerando della direttiva 
risulta che le cause dell'estinzione devono essere fondate sulla constatazione 
che la merce non ha effettivamente ricevuto la destinazione economica 
che motiva l'applicazione dei dazi d'importazione. Nel caso del furto 
� lecito presumere che la merce entri nel circuito commerciale della Comunit�. 
Ne consegue che la perdita della merce contemplata d�lla direttiva 
non comprende la nozione di furto, quali che siano le modalit� 
del furto. 
15. -La questione sollevata dalla Corte d'appello di Catania deve 
essere pertanto ris�lta nel senso che, secondo le norme comunitarie vigenti 
in materia doganale, la sottrazione, ad opera di terzi, anche senza colpa 
del debitore, di merce soggetta a dazio doganale non estingue la relativa 
obbligazione. (omissis) 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

848 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 9 novembre 1983, 
nella causa 199/82 � Pres. Mertens de Wilmars � Avv. Gen. Mancini Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Presidente del Tribunale 
di Trento nel procedimento per sospensione di esecuzione provvisoria 
di decreto ingiuntivo -Amministrazione delle Finanze c. S.p.a 
San Giorgio Latteria Locate Triulzi (avv. Catalano). � Interv.: Governo 
italiano (avv. Stato Laporta) e Commissione delle C.E. (avv. Fabro). 

Comunit� europee -Corte di giustizia � Domanda di pronuncia pregiudiziale 
� Giudice competente a proporla � Presidente del Tribunale 
nel procedimento per decreto ingiuntivo. 
(Trattato CEE, art. 177). 

Comunit� europee � Unione doganale � Tributi nazionali riscossi in contrasto 
con il diritto comunitario � Ripetizione � Ripercussione sul 
prezzo dei prodotti � Effetti. 
(d.!. 10 luglio 1982, n. 430, non conv. in legge, art. 10; d.I. 30 settembre 1982, n. 688, 

conv. in legge 27 novembre 1982, n. 873, art. 19). 

Comunit� europee � Unione doganale � Rimborso o sgravio di diritti 
all'importazione o all'esportazione � Regolamento CEE del Consigli.o 
2 luglio 1979, n. 1430 � Ambito di applicazione. 
(Regolamento CEE del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430). 

Il presidente del tribunale ha il diritto di adire la Corte di Giustizia 
delle Comunit� europee, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, in sede 
di esame della richiesta di sospensione dell'esecuzione provvisoria di decreto 
ingiuntivo dal medesimo emesso. (1) 

(1) Le riserve sull'ammissibilit� della domanda di pronuncia pregiudiziale 
ex art. 177 del Trattato erano state formulate, nell'interesse del Governo, non 
gi� contestando la natura giurisdizionale del provvedimento sull'istanza di concessione 
(o di revoca) della provvisoria esecutoriet� ciel decreto ingiuntivo, bens� 
sul rilievo che a tale provvedimento non potesse riconoscersi natura � decisoria
�. 
La risposta offerta dalla Corte non sembrerebbe, quindi, del tutto puntuale 
e, prima ancora, parrebbe di dover dubitare dell'esattezza stessa dei termini 
nei quali la sentenza ha riassunto (nella parte � in diritto �) la questione di 
�ricevibilit�� (che, invece, � felicemente sintetizzata nella narrativa dedicata 
alla fase scritta della causa) -dovendo appena sottolinearsi, poi, che tutti 
i � precedenti� cui ha fatto richiamo la sentenza in rassegna riguardano, specificamente, 
diverso problema, quello -cio� -dell'ammissibilit� della proposizione 
di un incidente di diritto comunitario da parte del giudice di un procedimento 
giurisdizionale � a contraddittorio posticipato � (ma pur sempre destinato 
a sfociare in un provvedimento di carattere, almeno potenzialmente, 
�decisorio�). 

Nella fattispecie � bens� vero che la questione di diritto comunitario sarebbe 
risultata rilevante anche al momento della decisione sull'opposizione al decret0> 
ingiuntivo; ma resta che tale valutazione, e la conseguente domanda di pro


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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 849 

Uno Stato membro non pu� subordinare il rimborso dei tributi nazionali 
riscossi in contrasto con quanto disposto dal diritto comunitario alla 
prova che detti tributi non sono stati trasferiti su altri soggetti qualora 
il rimborso sia subordinato a criteri di prova che rendano praticamente 
impossibile fesercizio di tale diritto, e ci� anche nel caso in cui il rimborso 
di altri dazi, imposte o tasse riscossi in contrasto col diritto nazionale 
sia sottoposto alle medesime condizioni restrittive. (2) 

Il regolamento CEE del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso 
e allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione indebitamente 
riscossi, si applica solo ai dazi, tasse, prelievi ed imposizioni previsti 
dalle normative comunitarie e riscossi dagli Stati membri per conto 
della Comunit�. (3) 

(omissis) 1. -Con ordinanza 23 luglio 1982, pervenuta alla Corte il 5 
agosto 1982, il presidente istruttore del tribunale di Trento ha proposto, a 
norma dell'art. 177 del Trattato CEE, alcune questioni pregiudiziali vertenti 
sulla determinazione dei principi del Trattato CEE relativi al rimborso 
di tributi pagati in contrasto col diritto comunitario nonch� sull'in� 
terpretazione del regolamento del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo 
al rimborso o allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione 

(G. U. n. L 175, pag. 1). 
2. -Dal fascicolo si desume che la societ� San Giorgio, attrice nella 
causa principale, ha dovuto versare, nel periodo 1974-1977, in contrasto col 
diritto comunitario, diritti di visita sanitaria all'importazione di prodotti 
lattiero-caseari da Stati membri della CEE. 
nuncia pregiudiziale avrebbero dovuto restare riservate al Tribunale, mentre 
sono state � usurpate � dall'Istruttore, agli effetti di un provvedimento (giurisdizionale 
certamente ma) privo d'ogni carattere di decisoriet�. 

(2-3) Dalla dichiarata applicabilit� del reg. CEE 2 luglio 1979, n. ,1430 ai soli 
tributi. della Comunit� consegue che, pur dopo il 1� luglio il980, la restituzione 
delle � tasse d'effetto equivalente� continua ad essere disciplinata dagli ordinamenti 
nazionali dei singoli Stati membri, secondo quanto pi� volte avvertito 
dalla Corte: inevitabile, quindi, la disparit� di trattamento per gli operatori 
economici nella Comunit�, in dipendenza dei diversi regimi nazionali, che in varia 
misura accordano mezzi di recupero del pagamento :i!ndeb!ito. 

Lo sforzo della Corte di precisare i limiti di compatibilit� delle normative 
nazionali coi princ�pi dell'ordinamento comunitario, nel lodevole tenta1livo di 
sopperire in qualche modo alla mancanza di una regolamentazione comune in 
materia, non potr� attingere facilmente Io scopo della r,eductio ad unum se non 
con la pi� scrupolosa cooperazione dei giudici nazionali, cui spetta -in ultima 
analisi -di saggiare concretamente la conformit� della disciplina interna della 
condictio ai princ�pi comunitari. Tali princ�pi, come si desume dall'orientamento 
ribadito con la sentenza in rassegna, si riducono -poi -ad uno soltanto, 
consistente nel divieto di rendere praticamente impossibile l'esercizio del 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

3. -Avendo la San Giorgio adito il Tribunale di Trento per la restituzione 
dei suddetti importi, il Presidente del Tribunale, con decreto nel 
procedimento � d'ingiunzione �, ingiungeva all'Amministrazione delle fi. 
nanze dello Stato di rimborsare alla San Giorgio Ja somma di Lit. 65.160.585 
ed autorizzava la provvisoria esecuzione del decreto. 
4. -L'Amministrazione delle finanze, dopo aver proposto opposizione 
avverso il decreto del presidente del tribunale, chiedeva di sospenderne la 
esecuzione. A sostegno della domanda essa invocava l'art. 10 del decreto 
legge 10 luglio 1982, n. 430, che reca disposizioni in materia d'imposta di 
fabbricazione e di movimento dei prodotti petroliferi, di imposte dirette, di 
imposta sul valore aggiunto e relative sanzioni (Gazz Uff. Rep. lt. 13 luglio 
1982, n. 190) il quale dispone testualmente: 
� Chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, 
imposte di fabbricazipne, imposte di consumo o diritti erariali, anche anteriormente 
alla data di entrata in vigore del presente decreto, non ha diritto 
al rimborso delle somme pagate, salvo il caso di errore materiale, quando 
l'onere relativo � stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti. 

L'onere si presume trasferito ogni qual volta le merci in relazione 
alle quali il pagamento � stato operato siano state cedute, anche dopo 
lavorazione, trasformazione, montaggio, assemblaggio o adattamento di 
esse, salva la prova documentale contraria... �. 

5. -Poich� la San Giorgio aveva sollevato dubbi sulla compatibilit� 
di dette norme con i principi dell'ordinamento giuridico comunitario, il 
presidente del tribunale, vista la � seriet� � delle osservazioni mosse e la 
diritto di ripetizione dell'indebito (tale qualificabile alla stregua di norma comu� 
nitaria). 

Nella sentenza della Corte il problema � riguardato sotto due aspetti: la 
possibilit� -nuovamente riconosciuta -cli tener conto della traslazione dell'imposta 
al consumo e la regolamentazione del regime probatorio della circostanza 
legittimamente dichiarata ostativa alla restituzione. 

Intuitivamente, per�, un impedimento all'utile esperimento della condictio 
potrebbe scaturire da una clisciplina nazionale anche meno articolata di quella 
dettata nell'ordinamento italiano con l'art. 19 d.l. n. 688/.1982 (riproduttivo della 
disposizione cli precedente decreto non convertito): pu� pensarsi, ad esempio, 
ad una norma che stabilisse un brevissimo termine di decadenza per ripetere 
il pagamento (la cui incompatibilit� con l'ordinamento comunitario potrebbe 
non risultare prima facie ed essere accertata solo dopo qualche tempo, e magari 
dopo l'intervento della Corte). 

Per restare, comunque, ai problemi connessi all'emanazione dell'art. 19 d.l. 

n. 688/11982 (da pi� parti denunciato d'illegittimit� costituzionale, in relazione 
agli artt. 24 e l1 Cost.) v'� da dire, anzitutto, che le affermazioni in diritto della 
Corte di giustizia autorizzano, senza perplessit� alcuna, ad escludere che, dal 
punto di vista dell'ordinamento comunitario, un !impedimento insormontabile 
all'esercizio della condictio sia ravvisabile nel fatto stesso d'aver condizionato 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 851 

loro rilevanza ai fini della decisione sulla sospensione della provvisoria 
esecuzione, ha chiesto alla Corte di pronunciarsi sulle seguenti questioni 
pregiudiziali: 

� 1. A chiarimento e, se del caso, a completamento della propria giurisprudenza 
quale risulta segnatamente dalle sentenze 27 marzo 1980 in 
causa 61/79 (Ministero delle Finanze c. Soc. Denkavit), 10 luglio 1980, in 
causa 811/79 (Ministero delle Finanze c. Soc. Ariete) e 10 luglio 1980 in causa 
826/79 (Ministero delle Finanze c. Soc. Mireco), la Corte voglia precisare: 
a) se una legge nazionale che (in deroga alle norme generali concernenti 
la ripetizione dell'indebito) condizioni alla prova della mancata 
traslazione su altri soggetti il rimborso di determinati diritti (tra i quali segnatamente, 
i diritti di visita sanitaria) riscossi indebitamente in contrasto 
con prescrizioni del diritto 'Comunitario,' in quanto tasse di effetto equivalente 
a dogana, e non sottopone, invece, alla stessa condizione il rimborso 
di ogni altra imposta, diritto o tributo indebitamente riscossi, debba considerarsi 
discriminatoria, in contrasto con i principi dell'ordinamento comunitario; 
o se sia rilevante la circostanza che i tributi contemplati dalla 
norma suddetta siano stati in pratica i.ndebitamente riscossi soltanto 
perch� in contrasto con un precetto comunitario; 

b) se la prova documentale negativa alla quale, ai sensi della legge 
nazionale predetta, � unicamente condizionato il rimborso dei tributi indebitamente 
riscossi, renda praticamente impossibile l'esercizio dei diritti 
che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare. 

la restituzione della tassa alla non avvenuta sua traslazione al consumo (secondo 
criterio gi� introdotto, anni or sono, nell'ordinamento giuridico francese senza 
-a quanto consta -reazioni di sorta). 

In secondo luogo, e per altro verso, non sembra che dalla sentenza della 
Corte possano trarsi rfaolutive indicazioni ai fini del giudizio di compatibilit� 
della norma nazionale con l'ordinamento comunitario per quanto concerne 
il regime probatorio della traslazione. Ed infatti mentre la presunzione che, 
in tal senso, volesse intravedersi posta nella norma non sarebbe, comunque, 
una presunzione vincolante per il giudice, pare chiaro che la limitazione dei 
mezzi di prova (in contrario) non potrebbe, di per se stessa e in assoluto, 
ritenersi ostacolo insormontabile all'esercizio del diritto, simile giudizio dovendo 
scaturire -all'evidenza -solo da una coordinata lettura di tutte le altre 
m;irme dell'ordinamento (nazionale) al quale spetta di disciplinare la restituzione: 
con la conseguenza, secondo quanto sembra di poter rilevare, che non 
pu� dirsi materialmente impossibile l'esibizione di documenti -come quelLi 
relativi all'esercizio de1l'impresa commerciale -che gi� in base a norme preesistenti 
(fin dal momento della commercializzazione del prodotto importato 

o fabbricato) dovevano essere conservati, ex art. 2220 cod. civ., per un periodo 
esattamente coincidente col termine di prescrizione ordinario applicabile alla 
azione di ripetizione. 
S.L. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

2. Se, a partire dal 1� luglio 1980, data di entrata in vigore del regolamento 
del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso o allo 
sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione che si applica testualmente 
(art. 1, par. 2) ai dazi doganali ed alle tasse di effetto equivalente 
sia stato per la prima volta instaurato un regime comunitario che disciplina 
la restituzione dei diritti indebitamente riscossi, senza prevedere 
alcuna eccezione per l'ipotesi di traslazione dell'onere su altri soggetti; se 
tale regime debba prevalere su ogni legge nazionale pi� antica o pi� 
recente�, 
6. -Va sottolineato che il decreto legge n. 430, in vigore al momento 
in cui il presidente del tribunale ha adito la Corte, non � stato convertito 
in legge, ma disposizioni identifiche a quelle dell'art. 10 sono state successivamente 
riprese dall'art. 19 del decreto legge 30 settembre 1982, n. 688. 
che introduce misure urgenti in materia di entrate fiscali, convertito in legge 
dalla legge 27 novembre 1982, n. 873 (Gazz. Uff. Rep. It. 30 settembre 1982, 
n. 270 e 29 novembre 1982, n. 328). La norma � del seguente tenore: 
�Chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, 
imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali, anche anteriormente 
alla data di entrata in vigore del presente decreto, ha diritto 
al rimborso delle somme pagate quando prova documentalmente che 
l'onere relativo non � stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, 
salvo il caso di errore materiale. 

La prova documentale di cui al comma precedente deve essere fornita 
anche quando le merci, in relazione alle quali il pagamento � stato 
operato, siano state cedute dopo lavorazione, trasformazione, montaggio 

o assemblaggio o adattamento di esse... �. 
Sulla ricevibilit�. 

7. -Il Governo italiano eccepisce !'irricevibilit� delle questioni sottoposte 
alla Corte dal presidente del tribunale nella fase preliminare del 
giudizio. Esso sostiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale non 
pu� venir proposta nell'ambito di un procedimento d'ingiunzione, in quanto 
la decisione da adottare ai sensi del secondo comma dell'art. 177 non 
rientra nelle competenze del presidente � istruttore �, ma in quelle del 
tribunale in quanto organo collegiale. 
8. -La Corte ricorda, in proposito, la sua giurisprudenza costante 
secondo la quale il diritto di adire la Corte a norma dell'art. 177 spetta 
a qualsiasi giudice degli Stati membri indipendentemente, peraltro, dalla 
fase del giudizio di cui esso � investito e dalla natura della decisione che 
esso � tenuto a pronunciare (v. in merito specialmente le sentenze 14 dicembre 
1971, Politi, causa 43/71, Racc. 1971, pag. 1039; 21 febbraio 1974, 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Birra Dreher, causa 162/73, Racc. 1974, pag. 201, e 28 giugno 1978, Sim� 
menthal, causa 70/77, Racc. 1978, pag. 1453). 

9. -Va osservato in merito che sia il decreto ingiuntivo emesso dal 
Presidente del Tribunale, sia la decisione su un'eventuale sospensione del 
decreto, in seguito all'opposizione dell'amministrazione delle finanze, rien� 
trano nell'ambito degli atti di cui all'art. 177, secondo comma, del Trattato. 
10. -L'eccezione preliminare sollevata dal Governo italiano � per� 
tanto infondata. 
Sulla prima questione. 

11. -Con la prima questione si chiede essenzialmente se uno Stato 
membro possa subordinare alla prova della mancata traslazione su altri 
soggetti il rimborso di tributi nazionali riscossi in contrasto con le disposizioni 
comunitarie. 
-qualora il rimborso sia condizionato a criteri di prova che ren� 
dano praticamente impossibile l'esercizio di diritti che i giudici nazionali 
hanno l'obbligo di tutelare; 

-qualora il rimborso di tutte le altre imposte, dazi o tasse a carat� 
tere nazionale, indebitamente riscossi, non sia sottoposto alle stesse con� 
dizioni restrittive. 

12. -Va osservato in proposito, anzitutto, che il diritto di ottenere 
il rimborso di tributi riscossi da uno Stato membro in contrasto con le 
norme di diritto comunitario � la conseguenza ed il complemento dei 
diritti riconosciuti ai singoli dalle norme comunitarie che vietano le tasse 
d'effetto equivalente a dazi doganali o, secondo i casi, l'applicazione discri� 
minatoria di imposte interne. � bens� vero che il rimborso pu� essere 
richiesto solo alle condizioni, di merito e di forma, stabilite dalle varie 
legislazioni nazionali in materia, tuttavia, come risulta dalla giurispru� 
denza costante della Corte tali condizioni non possono essere meno favo� 
revoli di quelle che riguardano analoghe impugnazioni di diritto nazionale 
e che non devono comunque rendere praticamente impossibile l'esercizio 
dei diritti che i giudici nazionali hanno l'obbligo di salvaguardare (v. in 
proposito le seguenti sentenze: 15 dicembre 1976, Rewe e Comet, 33 e 
45/76, Racc. 1976, pagg. 1989 e 2043; 27 febbraio 1980, Hans Just c. Mini� 
stero danese delle Imposte ed Accise, 68/79, Ra:cc. 1980, pag. 501; 27 mar� 
zo 1980, Denkavit italiana, 61/79, Racc. 1980, pag. 1205; 10 luglio 1980, 
Ariete e Mireco, 811 ed 826/79, Racc. 1980, pagg. 2545 e 2559, le ultime tre 
decisioni vengono menzionate dal giudice di rinvio). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

13. -Tuttavia, come la Corte ha inoltre ammesso nella sua precedente 
giurisprudenza e, in particolare, nella gi� menzionata sentenza 
27 febbraio 1980 (Hans Just), il diritto comunitario non impedisce ad un 
sistema giuridico nazionale di rifiutare la restituzione di tributi indebitamente 
riscossi qualora ci� comporti un arricchimento senza giusta causa 
degli aventi diritto. Per quanto riguarda il diritto comunitario, nulla 
impedisce quindi ai giudici di tener conto, a norma del loro diritto nazionale, 
del fatto che i tributi indebitamente riscossi hanno potuto essere 
incorporati nel prezzo delle merci e riversati in tal modo sugli acquirenti. 
Non si possono pertanto ritenere contrarie al diritto comunitario, nel 
loro principio ispiratore, disposizioni legislative naiiona1i che escludano 
il rimborso di dazi, imposte e tasse riscossi in contrasto col diritto comunitario 
qualora sia appurato che la persona tenuta al pagamento del 
tributo lo ha di fatto riversato su altri soggetti. 
14. -Viceversa, sarebbero incompatibili col diritto comunitario le 
condizioni di prova che abbiano l'effetto di rendere praticamente impossibile 
o eccessivamente difficile ottenere il rimborso dei tributi riscossi in 
contrasto col diritto comunitario. � quanto avviene in particolare per le 
presunzioni o i criteri di prova che tendono a lasciare al contribuente 
l'onere di dimostrare che i tributi indebitamente versati non sono stati 
trasferiti su altri soggetti, o di particolari limitazioni in merito alla forma 
della prova da fornire, come l'esclusione di qualsiasi prova non documentale. 
Una volta stabilita l'incompatibilit� della riscossione col diritto 
comunitario, il giudice deve essere libero di valutare se l'onere dell'imposta 
sia stato trasferito su altri soggetti e se lo sia stato in tutto o in parte. 
15. -In un'economia di mercato basata sulla ribera concorrenza, la questione 
se ed in quale misura l'onere fiscale imposto all'importatore abbia 
potuto essere effettivamente riversato sugli stadi economici successivi 
comporta un margine d'incertezza che non pu� sistematicamente essere 
imputato alla persona tenuta al pagamento di un tributo contrario al 
diritto comunitario. 
16. -D'altra parte, il giudice nazionale chiede alla Corte se la regolamentazione 
restrittiva del rimborso dei tributi riscossi in contrasto 
col diritto comunitario sia compatibile coi princ�pi del Trattato CEE qualora 
non venga applicata in modo identico a tutte le altre imposte, dazi o 
tasse di carattere nazionale. Esso ricorda in proposito le sentenze nelle 
quali la Corte, dopo aver constatato che il problema della contestazione 
di tasse illegittimamente pretese, o della restituzione di tasse indebitamente 
pagate � risolto in modi diversi nei vari Stati membri e persino 
all'interno di uno stesso Stato, a seconda dei diversi tipi di imposte e di 
tasse in questione (v. in particolare la sentenza 27 marzo 1980, Denkavit 

PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

italiana), ha sottolineato che i contribuenti che fanno valere i loro diritti 
in forza del diritto comunitario non possono avere un trattamento meno 
favorevole di coloro che propongono reclami analoghi in base al diritto 
nazionale. 

17. -Va precisato in proposito che non si pu� ritenere che il requisito 
di non discriminazione formulato dalla Corte possa giustificare provvedimenti 
legislativi diretti a rendere praticamente impossibile qualsiasi 
rimborso di tributi riscossi in contrasto col diritto comunitario, purch� il 
medesimo trattamento venga esteso ai contribuenti che fanno valere censure 
analoghe per l'inosservanza del diritto fiscale nazionale. Il fatto che 
un regime di prova riconosciuto incompatibile con il diritto comunitario 
sia esteso, dalla legge, ad una buona parte delle imposte, dazi e tasse 
nazionali o anche al loro complesso non � quindi un motivo per rifiutare 
il rimborso di tributi riscossi in contrasto col diritto comunitario. 
18. -La prima questione va quindi risolta nel senso che uno� Stato 
membro non pu� subordinare il rimborso di tributi nazionali riscossi in 
contrasto con quanto disposto dal diritto comunitario alla prova che detti 
tributi non sono stati trasferiti su altri soggetti qualora il rimborso sia 
subordinato a criteri di prova che rendano praticamente impossibile l'esercizio 
di tale diritto, e ci� anche nel caso in cui il rimborso di altri dazi, 
imposte o tasse riscossi in contrasto col diritto nazionale sia sottoposto 
alle medesime condizioni restrittive. 
Sulla seconda questione. 

19. -Con la seconda questione si chiede se la soluzione della prima 
questione possa trovarsi nel regolamento 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al 
rimborso. o allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione 
(G. U. n. L 175, pag. 1). 
20. -L'attenzione del giudice nazionale va attirata sul fatto che il sud-. 
detto regolamento, il quale disciplina il rimborso e lo sgravio dei diritti 
all'importazione o all'esportazione indebitamente riscossi, si applica, ai 
sensi dell'art. l, n. 2, solo ai dazi, tasse, prelievi ed imposizioni previsti 
dalla normativa comunitaria e riscossi dagli Stati membri per conto 
della Comunit�. In quanto tale, il regolamento non si applica ai dazi, 
imposte e tasse nazionali, eventualmente riscossi in contrasto col diritto 
comunitario. 
21. -� bens� vero che il regolamento mira a garantire la restituzione 
di imposte comunitarie indebitamente riscosse e che prevede, all'uopo, 
una procedura specifica, cionondimeno esso non pu� applicarsi al rimborso 
dei tributi nazionali. (omissis) 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 novembre 1983, n. 6738 � Pres. Grana


ta � Est. Caturani � P. M. Antoci (parz. cliff.).� Vasciave<;> (avv.ti Cap


pelli e De Caterini) c. AIMA (avv. Stato Fiumara). 

Comunit� europee � Agricoltura � Integrazione di prezzo ai produttori di 
olio di oliva accordata da regolamenti comunitari . Termine per il 
pagamento � Disciplina applicabile. 

(Trattato CEE, art. 189; regolamenti CEE del Consiglio 22 settembre 1966, n. 136; 
26 ottobre 1%7, n. 754; cod. civ., artt. 1183, 1224). 

I regolamenti comunitari che accordano un'.integrazione di prezzo ai 
produttori di olio d'oliva, omettendo la fissazione diretta del termine per 
l'adempimento, richiamano implicitamente gli ordinamenti interni; e quindi, 
per quanto riguarda l'ordinamento italiano, la norma dell'art. 1183 cod. 
civ., il quale, disponendo l'immediata esigibilit� del credito, realizza il 
massimo della tutela per il creditore, salva per� l'applicabilit� dei ptinc�pi 
che le norme sulla contabilit� di Stato dettano in materia di debiti 
pecuniari della pubblica amministrazione, per cui la stessa pu� essere 
considerata in mora e tenuta a corrispondere i relativi interessi, solo 
quando, dopo l'espletamento di tutti i controlli e gli accertamenti previsti, 
ritardi ingiustificatamente di versare al creditore le somme a costui 
spettanti. (1) 

(omissis) Con i primi due motivi, denunziandosi violazione e falsa 
applicazione dell'art. 177 del Trattato CEE, dell'art. 3 legge 13 marzo 1958, 

n. 204, dell'art. 10 del regolamento CEE n. 136/66, del regolamento CEE 
2311/71, nonch� difetto di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.), 
si assume che quando � sollevato davanti ad una giurisdizione di uno 
degli Stati contraenti un problema di .interpretazione di norme comunitarie, 
Ql giudice nazionale � tenuto ,a richiedere in ogni caso alla Corte 
CEE una pronuncia in proposito ovvero deve motivare circa l'assenza di 
problemi interpretativi. 
I giudici del merito, secondo il ricorrente, non si sono invece occupati 
del problema ed hanno ritenuto applicabile l'art. 1183 cod. civ. senza indicare 
le ragioni della scelta della norma ritenuta applicabile. 

D'altro canto -si sostiene -se � vero che nei regolamenti comunitari 
non figura alcuna indicazione esplicita circa il termine entro cui gli 

(1) Per le sentenze citate in motivazione, cfr. Corte di giustizia 6 ottobre 
1982, nella causa 283/81, CILFIT, in questa Rassegna, supra, I, 47, con nota di 
LAPORTA, Manifesta infondatezza di questioni e rinvio pregiudiziale alla Corte 
di giustizia delle Comunit� europee; e 21 maggio :1976, nella causa 26/74, ibidem, 
1976, I, 511; Cass., sez. un., 26 aprile 1977, n . .J.561, ibidem, 1977, I, 376, con nota 
di VITTORIA. 
" 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

organi dei singoli Stati debbono provvedere al versamento della integrazione, 
� altrettanto vero che esigenze di uniformit� nel funzionamento 
dell'organizzazione comune del mercato dei cereali inducono a ritenere 
implicito nel sistema la esistenza di un termine ultimo, la cui determinazione 
non pu� che essere rimessa alla Corte di giustizia della CEE. 

Le riassunte censure sono infondate. 

� noto che in seguito all'istituzione della Comunit� economica europea, 
l'attribuzione di un potere normativo agli organi della comunit� (che 
trae fondamento interno nell'art. 11 Cost. che prevede, in condizioni di 
parit� con gli altri Stati, le limitazioni di sovranit� necessarie ad un 
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni). si � realiz21ata 
nei rapporti fra ordinamento comunitario e ordinamento interno 
una vera e propria ripartizione di competenze per materia (Corte cost., 

n. 183 del 1973). 
Da un lato quindi la partecipazione dello Stato al Trattato di Roma 
ha presupposto il riconoscimento di una potest� normativa in determinate 
materie agli organi della Comunit�, dall'altra corrispondentemente si � 
prodotta una limitazione degli analoghi poteri degli Stati membri. 

Secondo l'accennato indirizzo costituzionale, si � tratta la conseguenza 
che i regolamenti comunitari emessi, a norma dell'art. 189 del Trattato 
CEE, appartenendo ad un sistema normativo che deve essere coordinato 
con i sistemi normativi degli Stati membri, hanno piena efficacia 
obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati della Comunit� senza 
la necessit� di leggi di recezione e adattamento e che i medesimi costituiscono 
fonte immediata di diritti ed obblighi sia per gli Stati sia per 
i loro cittadini in quanto soggetti della Comunit�. E si � altres� affermata 
l'incostituzionalit� di norme nazionali riproduttive e sostitutive di norme 
comunitarie caratterizzate dalla pienezza di contenuto dispositivo, per 
violazione dell'art. 11 Cost., sul presupposto che con questa tecnica legislativa 
dell'ordinamento interno si verifica un'indebita interferenza nei poteri 
degli organi comunitari, sottraendosi alla Corte di Giustizia l'interpretazione 
della norma (comunitaria) da applicare (Corte cost., n. 232 del 1975; 
sez. Un., n. 1773 del 1972; n. 2 del 1975; n. 3461 del 1977). 

Il problema -che il presente ricorso sottopone all'esame del Collegio 
-riguarda, in particolare, la fattispecie in cui, difettando una (esplicita) 
norma comunitaria, in una materia rientrante nella competenza 
dei relativi organi secondo la disciplina propria del Trattato di Roma la 
quale regoli un punto del rapporto giuridico in concreto previsto, � necessario 
prendere posizione circa la soluzione del quesito consistente nel 
decidere se in tal caso la cosiddetta lacuna della disciplina comunitaria 
possa essere colmata ricorrendo alle norme di diritto interno che disciplinano 
materie analoghe ovvero non si tratti piuttosto di risolvere una 
controversia interpretativa di una norma comunitaria, come tale rien



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

trante nella competenza esclusiva degli organi della Comunit� (art. 177 
del Trattato). 

Nel caso di specie, i regolamenti CEE del Consiglio n. 136/1966, n. 2211/ 
1971, n. 2323/1972 e della Commissione n. 2510/1971, n. 2765/1971 e n. 2412/ 
1972, che accordano una integrazione del prezzo ai produttori di olio di 
oliva, pur delineando un sistema che esclude ogni margine di discrezionalit� 
per i competenti organi dello Stato, tenuti a porre in essere una 
attivit� di mero accertamento delle condizioni richieste per la delimitazione 
quantitativa dell'intervento a favore dei produttori di olio di oliva 
(sez. un., 17 marzo 1977, n. 1060) e pur avendo compiutamente disciplinato 
il corrispondente rapporto obbligatorio che si instaura tra lo Stato 
(debitore) ed i produttori, creditori di un'obbligazione pubblica la quale 
trova in sede comunitaria i criteri generali della relativa determinazione, 
essendo allo Stato riservata soltanto un'attivit� istruttoria delle domande 
all'uopo proposte dagli aventi diritto (art. 3 regolamento n. 754/1967), 
non hanno previsto il termine di adempimento dell'obbligo di corrispondere 
le somme dovute a tale titolo, onde la necessit� di stabilire in qual 
modo il medesimo deve essere determinato. 

Deve premettersi che in proposito sussistono due precedenti delle 
sezioni unite; la sentenza 26 aprile 1977, n. 1561, in tema di pretese dei 
singoli alle restituzioni alle esportazioni di cereali e la sentenza 4 agosto 
1977, n. 3461. Nella prima pronunzia, le sezioni unite rilevarono che, per 
quanto attiene al pagamento delle restituzioni, al fine di stabilire in che 
modo si profili nella specie una mora della p.a. e quindi se possa la 
medesima e con quale decorrenza essere tenuta al pagamento degli interessi 
moratori, sono applicabili le norme interne. Infatti -si osserv� i 
regolamenti comunitari mentre disciplinano il diritto alla restituzione, 
l'ammontare di questa e le prove che dimostrano il diritto dell'esportatore 
alla restituzione stessa, nulla dispongono in ordine alle modalit� ed 
ai tempi del suo pagamento con la conseguenza che le norme dei regolamenti 
comunitari, non avendo sul punto compiutezza di contenuto dispositivo, 
non hanno efficacia automatica nell'ordinamento interno. Si escluse 
pertanto in quella occasione la necessit� di sottoporre alla Corte 
CEE quesiti interpretativi, dovendo risolversi un problema. di interpretazione 
di norme interne (art. 177 commi 1 e 3 del Trattato di Roma). 

Nell'altro precedente accennato, invece, riflettente il premio di macellazione, 
si rilev� che, in base all'interpretazione delle relative norme comunitarie 
da parte della Corte CEE, le disposizioni comunitarie attributrici 
del diritto di macellazione, hanno compiutezza di contenuto dispositivo 
per quanto concerne: la nascita del diritto stesso; il contenuto; la base 
attuativa (esigibilit� del premio, scaduto il termine di due mesi dalla 
prova della macellazione) e pertanto lo Stato risulta debitore per fatto 
proprio se, per il ritardo nello stanziamento dei fondi, non esegue la 
prestazione nei termini stabiliti. 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 859 

Nel caso in questione, la difesa del ricorrente, in chiave critica allo 
fadirizzo accolto della prima delle citate pronuncie, osserva che la tesi 
secondo cui il legislatore comunitario avrebbe rimesso la determinazione 
del termine all'arbitrio delle singole amministrazioni degli Stati membri, 
� in contrasto con la disciplina comunitaria del rapporto, in quanto il 
fatto dell'adempimento non � indifferente alla realizzazione concreta all'interesse 
del singolo produttore-creditore. Argomenta che, infatti, se � 
vera la mancanza di un termine di adempimento dell'obbligazione pubblica 
de qua nei regolamenti comunitari, � altrettanto vero che gli scopi 
.stessi del regime di integrazione del prezzo dell'olio sarebbero compromessi 
in maniera irrimediabile senza l'indicazione di un termine ultimo 
per il versamento dell'integrazione, valevole in tutti gli Stati della 
Comunit�. 

La tesi, nella sua assolutezza, non pu� essere condivisa dal Collegio. 

Non v'� dubbio che il termine entro cui lo Stato deve procedere al 
versamento dell'integrazione quale soggetto passivo di un'obbligazione 
pubblica nei confronti dei produttori attiene alla disciplina della materia 
rientrante nella competenza degli organi comunitari. Si tratta quindi di 
ricavare dal regolamento quale sia la regola che riguarda in concreto la 
determinazione del termine. Il quale non costituisce qualcosa di estrinseco 
all'obbligazione che si tratta di adempiere, come accade in materia 
.di restituzione di somme indebitamente percepite dagJJ organi dello Stato 
per adempimenti ritenuti imposti dal diritto comunitario. In tal caso non 
vi � alcun dubbio che il giudice nazionale, nell'individuare la norma che 
disciplini il termine del rimborso � tenuto ad applicare il diritto interno, 
non essendo in questione alcun interesse di carattere comunitario (sentenza 
del Consiglio CEE 21 maggio 1976, in causa 26/74; 5 marzo 1980 
in causa 265/78; 12 giugno 1980, in causa 130/79). 

Il problema � profondamente diverso nell'ipotesi che si considera, 
<love non pu� negarsi che la disciplina normativa � ispirata a fronteggiare 
la concorrenza dei paesi terzi e quindi a tutelare il generale interesse 
della Comunit� oltre alla protezione degli interessi dei produttori d'oliva 
dei singoli Stati membri (cfr. nella motivazione, sez. un., 17 marzo 1977, 

n. 1060 cit.), e dove quindi l'esigenza di un tel'mine ultimo per il versa� 
mento dell'integrazione � alla base del sistema stesso, costituendo l'obiettivo 
prefissasi dal legislatore comunitario nel prevedere tale forma di 
aiuto alla produzione. L'interesse comunitario (non discutibile) che � alla 
base della determinazione del termine in materia, non determina tutta� 
via la necessit� di un intervento della Corte CEE per l'interpretazione 
dei regolamenti della Comunit� che disciplinano l'integrazione del prezzo 
dell'olio d'oliva, ai sensi dell'art. 177 del Trattato. 
� noto che quando il giudice nazionale si trovi in presenza di una 
norma comunitaria, la cui interpretazione non provochi alcun dubbio 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

interpretativo e non determini il sorgere di alcuna questione di carattere 
ermeneutico di fronte all'atto di chiaro ed univoco significato, non c'� 
alcuna necessit� di rimessione alla Corte CEE (cfr. per l'applicazione di 
tale principio la sentenza della Corte CEE 6 ottobre 1982, n. 283/81). 

Orbene il problema dell'individuazione della norma che disciplina il 
termine dell'adempimento dell'obbligo in esame, deve essere affrontato 
tenendo presente che i regolamenti comunitari, perch� disciplinano materie 
che interessano l'intera comunit� secondo il criterio di competenza 
accennato all'inizio della esposizione, sono tendenzialmente portati a regolare 
compiutamente l'intera materia esaminata, onde � legittima la 
presunzione di completezza della corrispondente disciplina. 

Per quanto riguarda, in particolare, la questione del termine, quella 
presunzione deve essere apprezzata tenendo presente che laddove il legislatore 
comunitario ha inteso disciplinare (direttamente) anche il termine 
dell'adempimento lo ha esplicitamente fatto, come dimostrano i 
casi in cui la disciplina regolamentare comprende anche il termine entro 
cui l'obbligo (comunitario) va adempiuto (cfr. ad es. i regolamenti CEE 

n. 1975/69 e n. 2195/69 secondo cui il pagamento del premio di macellazione 
deve avvenire entro due mesi dalla presentazione della prova della 
avvenuta macellazione). 
Dal che si trae la logica deduzione che in via di principio, nei casi 
in cui manca invece il termine, il legislatore comunitario abbia volutamente 
omesso di fissarlo, non gi� per disinteresse, incompatibile con 
la natura stessa della materia disciplinata, ma in quanto ne abbia rimesso 
la disciplina al diritto interno, sul presupposto che negli ordinamenti 
degli Stati membri il termine dell'adempimento delle obbligazioni trova 
la sua specifica disciplina. In tal modo, la tecnica comunitaria realizza 
in pari misura non soltanto l'interesse generale della Comunit� che � 
insito nella fissazione del termine entro cui l'obbligazione pubblica dello 
Stato deve essere eseguita ma altres� l'interesse del creditore ad un sollecito 
adempimento, a meno che dallo stesso regolamento non risulti palesemente 
che la fissazione del termine costituisca materia riservata al 
legislatore comunitario in sede di interpretazione della corrispondente 
disciplina, in quanto la relativa determinazione debba essere fatta in 
maniera unitaria per i fini che la norma regolamentare si propone. 
Alla stregua dei princ�pi accennati, deve ritenersi, in mancanza di diversi 
criteri desumibili dai regolamenti in questione, che l'interesse comunitario 
insito nella corrispondente disciplina si sia esaurito nella predisposizione 
del meccanismo che ha assicurato la costituzione del rapporto obbligatorio 
(Stat0-<produttore) ed il suo contenuto (integrazione del prezzo), 
mentre per quanto riguarda la sua attuazione, il legislatore comunitario, 
omettendo la fissazione diretta del termine, abbia considerato idoneo a 
garantire l'interesse comunitario insito nella fase attuativa del rapporto, 


PARTE I, SEZ. Il, _GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE; 861 

d richiamo (implicito) degli ordinamenti interni, i quali, contrariamente 
a quanto ritenuto dalla difesa del ricorrente, non lasciano all'arbitr�o del 
debitore la fissazione del termine entro cui l'obbligazione deve essere 
adempiuta. E per quanto riguarda l'ordinamento nazionale, l'art. 1183 cod. 
civ., statuendo che se non � determinato il tempo in cui la prestazione 
deve essere eseguita, il creditore pu� esigerla immediatamente, realizza 
il massimo della tutela giuridica consentita a tale soggetto. 

Questa interpretazione si coordina perfettamente con le fattispecie 
in cui, invece, la Corte di giustizia CEE ha affermato che, quantunque 
i regolamenti comunitari non avessero stabilito espressamente il termine 
per l'adempimento di determinati obblighi ivi previsti da parte degli 
Stati membri, tali termini si ricavavano dal contenuto dei regolamenti 
e dallo scopo del regime da essi instaurato (es. la sentenza CEE n. 30/72 
dell'8 febbraio 1972, in tema di premi per la estirpazione di alberi da 
frutta a favore degli agricoltori). 

Invero, il criterio interpretativo accolto consente di pervenire in materia 
di integrazione dei prezzi dell'olio d'oliva, alla conclusione accennata 
proprio sulla base della constatazione che, in mancanza di una specifica 
esigenza desumibile dagli stessi regolamenti in esame circa una disciplina 
unitaria del termine, sia operante quella presunzione di completezza 
del regolamento comunitario, la quale postula, come regola, che i punti 
non espressamente disciplinati dalla fonte normativa comunitaria, siano 
stati rimessi alla disciplina propria degli ordinamenti interni degli Stati 
membri, essendosi in tal modo ritenuto adeguatamente tutelato l'interesse 
comunitario che attiene alla fissazione del termine. 

Corretta in tal modo la motivazione dell'impugnata sentenza, non 
merita, pertanto, alcuna censura la conclusione cui sono pervenuti i giudici 
del merito, circa la derivazione dall'ordinamento interno dello Stato 
della disciplina del termine di adempimento dell'obbligo de quo (art. 384 
cpv. cod. proc. civ.). 

Con il terzo motivo, infine, si sostiene che l'impugnata sentenza, incorrendo 
anche in contraddittoria motivazione,' ha erroneamente applicato 
i principi di diritto interno, essendo stato definito ragionevole il ritardo 
dell'AIMA nell'adempimento dell'obbligo. 

La censura � infondata. 

Il Tribunale, confermando al riguardo quanto ritenuto dal primo 

giudice, ha osservato che in tema di debiti pecuniari della pubblica ammi


nistrazione sono applicabili le norme sulla contabilit� di Stato, onde la 

medesima pu� essere tenuta a corrispondere gli interessi moratori solo 

qualora dopo l'espletamento di tutti i controlli e gli accertamenti pre


visti, ritardi ingiustificatamente il versamento al creditore delle somme 

a costui spettanti. 


862 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO 

Sulla base di questo rilievo, i giudici di appello hanno ritenuto che 
il ritardo nell'adempimento dell'obbligo d'integrazione del prezzo da 
parte dell'AIMA non poteva considerarsi colpevole, attesa l'indubbia necessit� 
del preventivo espletamento di tutti i controlli e degli accertamenti 
all'uopo necessari. 

Di fronte a questa motivazione, il ricorrente si � limitato nel ricorso 
a rilevare una contraddittoriet� in cui sarebbe caduta la sentenza impugnata, 
la quale � inesistente in quanto i giudici di appello, dopo di 
aver individuato nelle norme interne dello Stato la disciplina del termine, 
hanno in concreto applicato i princ�pi che si sono ritenuti vigenti 
nell'ordinamento nazionale circa la mora della pubblica amministrazione. 

Il ricorrente,� tuttavia, non ha formulato alcuna doglianza circa la 
legittimit� (nell'ordinamento interno) di quei princ�pi, n� ha censurato 
le argomentazioni con cui il Tribunale ha ritenuto ragionevole e quindi 
non colposo il ritardo nell'adempimento da parte dell'AIMA, essendosi la 
<:ensura esaurita in una generica critica al risultato cui sul punto i giudici 
di appello sono pervenuti. (omissis) 


SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 maggio 1983, n. 3152 -Pres. Mirabelli 
-Rel. Scanzano -P. M. Fabi (conci. conf.) -Beta Holding S.A. 
(avv. Giorgianni) c. Ministero Trasporti, Amministrazione delle Ferrovie 
dello Stato (avv. Stato Cevaro) e soc. Nazionale Cogne (avv. 
Romanelli). 

Contratti (in generale) -Redazione scritta delle trattative svoltesi -Ipotesi 
della c.d. puntuazione -Recesso � � consentito . Eventuale responsabilit� 
precontrattuale � Sussiste. 

Contratti (in generale) � Interruzione ingiustificata delle trattative � Re� 
sponsabilit� precontrattuale � Sussiste. 

Qualora l'iter delle dichiaraz!oni progressivamente rese dalle parti 
sia stato consacrato per iscritto, occorre accertare -con apprezzamento 
di merito e caso per caso -se lo scritto contenente l'enunciazione degli 
elementi essenziali del negozio sia stato redatto per documentare un accordo 
reciprocamente vincolante, o se sia stato redatto solo in funzione 
probatoria delle trattative positivamente svoltesi fino a quel momento, 
verificandosi in tal ultimo caso l'ipotesi della c.d. � puntuazione �, che consente 
il recesso salvo il limite della responsabilit� precontrattuale (articolo 
1337 cod. civ.). (1) 

Nel caso di interruzione delle trattative, contrattuali, la violazione del 
principio di buona fede e la conseguente responsabilit� per culpa in contrahendo 
si realizzano quando l'interruzione � priva di giustificazione, cos� 
da sacrificare arbitrariamente l'affidamento che la controparte abbia ragionevolmente 
fatto sulla conclus.ione del contratto, avendo riguardo al 
modo, alla durata ed allo stato di esse. (2) 

(1) Giurisprudenza costante. Oltre le sentenze citate nel testo v. anche Cass., 
14 ottobre 1978, n. 4626, in Mass., 1978, e da ultimo id., 22 ottobre 1982, n. 5492, 
in Mass., 1982. 
(2) Giurisprudenza consolidata. Oltre la gi� citata t'ass., 14 ottobre 1978, 
n. 4626, v. id., 25 novembre 1976, n. 4448, ivi, 1976; id., 17 novembre 1978, n. 5328, 
in Giust. civ., 1979, I, 32 con nota di G. DE FINA e Cass., 20 agosto 1980, n. 4942, 
Mass., 1980. 
�Che l'art. <1337 cod. civ. sia una norma precettiva o imperativa positiva c'� 
unanimit� di pronunce: v. per tutte Cass., 18 ottobre 1980, n. 5610, in Arch. civ., 
1981, 133; come pure che la buona fede nelle trattative debba essere intesa in 

7 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi. 

Considerato poi che la Finacom ha alienato il credito controverso, 
per cessione fattane alla Beta Holding, e che i ricorsi non sono stati 
notificati alla prima (nei cui confronti il processo dovrebbe proseguire, 
a norma dell'art. 111 cod. proc. civ., fino alla sua estromissione), il Collegio 
ritiene tuttavia integro il contraddittorio in questa fase. Ed invero, 
la sentenza non definitiva della Corte d'appello, dichiarando (anche nei 
confronti della Finacom, in quanto anche ad essa era stato notificato 
l'appello principale) che la Beta Holding era legittimata, in virt� della 
detta cessione, all'impugnazione, considera sostanzialmente la stessa come 
unica titolare del rapporto processuale di interesse della parte attrice, 
e contiene pertanto un implicito provvedimento di estromissione della 
Finacom. Sotto tale profilo non � stata proposta alcuna censura dalle 
parti; n� pu� una censura in tal senso desumersi dai ricorsi incidentali, 
peraltro condizionati, essi contestando il giudiz,io espresso sul fatto della 
cessione, ma non que1io sui relativi effetti processuali. Ne deriva che, 
rimanendo precluso il sindacato di legittimit�, in ordine al problema del 
consenso richiesto, ai fini della possibilit� dell'estromissione, dal-l'art. 111 
cod. proc. civ., il contraddittorio in questa sede � integro con la presenza 
delle parti qui costituite. 

La Corte di merito ha rigettato le domande di risoluzione del contratto 
e di risarcimento dei danni da inadempimento, ritenendo che la 
programmata vendita del pacchetto azionario non si era perfezionata, 

senso oggettivo e che il risarcimento del danno sia Limitato all'interesse contrattuale 
negativo (v. ad es. Cass., 11 dicembre 1978, n. 5831, in Mass., 1978). 

Nota minima in tema di responsabilit� precontrattuale della pubblica 
amministrazione. 

La decisione che si annota, ripropone -da un lato -la problematica relativa 
alla responsabilit� precontrattuale, delineandone gli aspetti fondamentali 
e -dall'altro -pur escludendola per il caso concreto -quella relativa alla 
configurabilit� di tale responsabilit� nei confronti della P. A. qui iure privatorum 
utitur. Com'� noto, si discuteva in dottrina e giurisprudenza se la disciplina 
di cui agli artt. 1337 e 1338 fosse applicabile anche nei confronti della P. A. -Si 
riteneva, infatti, che elementi ostativi fossero l'esistenza dello ius imperii, la non 
applicabilit� alla P. A. dell'art. 2049 cod. civ.; e, soprattutto, l'esistenza di norme 
di azJioni che regolano le fasi di formazione dei contratti della P.A. e la 
discrezion;:ilit� del potere della P.A. nel condurre le trattative con i contraenti 
privati. 

Anzi, si era ampliato l'ambito operativo della discrezionalit� amministrativa, 
sostenendosi che l'esercizio della facolt� di recesso e, perci�, la mancata 
conclusione del contratto fosse un modo di curare il pubblico interesse censurabile 
soltanto dal giudice amministrativo. 

In sintonia con la linea di ten�ienza volta a smitizzare la P. A., la giurisprudenza 
e la dottrina pi� recenti si sono uniformate e, poi, consolidate sulla tesi 
che ammette la responsabilit� precontrattuale della P. A., basandola sugli arti



PARTE I, SEZ. III, GIURJS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 86S 

per essere mancata la necessaria legge di autorizzazione. Col primo motivo 
del ricorso principale la Beta Holding censura tale statuizione, denunciando 
violazione e falsa applicazione degli artt. 1421 cod. civ., 15, 19, 20, 

21. legge 7 luglio 1907; 43 r.d. 18 febbraio 1923,. n. 2440 nonch� omesso 
esame (:\i qocumenti decisivi, e sostiene che il contratto de quo era stato 
definitiv~foente concluso . 
.. P�:9.�e,in proposito, che la necessit� di una legge di autorizzazione, 
eyig~nziata$� con. riferimento alla vendita per .contanti, era venuta meno 
d,opo Che, attraverso lo scambio delle lettere del 27, 39 e 31 gennaio 1955 
(gel tutto trascurate dai giudici di merito), fu concordato il finanziamento 
d~IJ,'opernzione con un prestito da concedersi dalla stessa Finacom; essa 
era ri:t..a�ta, q.indi, esclusa, tanto che ne manca qualsiasi cenno nelle 
lettere del 2 e del 4 febl;>raio successive, le quali disciplinavano in maniera 
definitiva ed irrevocabile le rnoclalit� esecu:ttve dell'operazione stessa e 
prevedevano, anzi, che le azioni avrebbero doy.t() .. essere trasferite ad un 
<fiY:et'S9 soggettq, in�licato poi nella Cogne. Peraltro -soggiunge ..:... l'autoriz:
i:~o.e aL~re$tito y(:)nne p()i concessa co~ legge 3 marzo 1956, n. 532. 
L'opinione della Corte di :merito, secondo cui le trattative fossero rimaste 
allo stato fluido, siccome vincolate anche nei successivi momenti al presupposto 
di una. legge. che ne. autorizzasse la. conclusione, sarebbe dunque 
arbitraria, e sarebbe W.tres� smentita, in particolare, dal tenore degli 
impegni assunti � irrevocabilmente� dall'Amministrazione verso la Handelbank 
per l'esecuzione dell'accorcio. 

Lamenta inoltre� la ric�rrente che la corte di merito: a) nel dare 
rilevanza ai dubbi affiorati . in seno al consiglio di amministrazione delle 

c:oli 28 e 113 della Costituzione e sugli artt. 2 e 4 della legge 20 marzo 1865, all. E 

(v. ad es. A. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, Jovene, 1982, 
1030; GARRI, La responsabilit� della pubblica amministrazione, Torino, Utet, 1975, 
154 e ss,; :01 SALvo, Annotazioni sulla responsabilit� precontrattuale della P. A.,
.in. (;iust..civ.; 11967, I; 1695; Fooum:t, La responsabilit� precontrattuale della P. A., 
in Nuovo diritto, 1972, 854). 
Si sostiene, quindi, che la P.A. che agisca slealmente, in mala fede, che 
ingeneri colposamente l'affidamento altrui, esorbiti clfl'i limiti in cui le � consentito 
ope,i;�re scelte di!lcrezionali (oltre agli altri gi� citati, v. TuFARELLI, La 
responsa1Jilit4 precontrattuale della P.A., in Cons. Stato, 1975, II, 958) e che il 
prlndpiQ �del neminem: tae(l,ere, � di.� cui gli �rtt. 1337 e 1338 sono . specificazione, 
costituisca un vero e proprio limite alla discrezionalit� dell'Amministrazione 
(giurisprudenza ormai consolidata). 

Si pone, .pertanto, il ;problema di individuare lo spazio operativo del giudice 
ordinario e correttamente varie pronuncie hanno ,affermato che il giudice ordinario 
non deve accertare se l'ente pubblico si � comportato da corretto amministratore 
nella sfera interna delle proprie determinazioni, ma deve valutare le 
modalit� delle conseguenti manifestazioni attuate all'esterno, in quanto incidenti 
sulle aspettative, sull'affidamento e sulle connesse determinazioni dei privati, al 
fine di rilevare, cio�, se la P.A. si sia comportata da corretta contraente (Cass., 
23 maggio 1980, n. 3410, in Mass., 1980). In sostanza l'indag.ine c:he il giudice 



-


RASSF.GNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

866 

Ferrovie ed in seno al Consiglio dei Ministri, abbia trascurato che quei 
dubbi riguardavano la potest� negoziale -rispetto all'acquisto di azioni 
-dell'Amministrazione delle Ferrovie, che invece ne era fornita in 
virt� del r.d. 13 maggio 1929, n. 836; b) nel fare riferimento ad una legge 
di variazione del bilancio, abbia trascurato la nota del 15 gennaio 1955 
della detta Amministrazione, secondo cui il Ministro del Tesoro, competente 
a proporla, aveva autorizzato l'acquisto con benestare degli altri 
ministri finanziari (acquisto gi� notificato al competente ufficio della 
CECA), .ed abbia disatteso immotivatamente l'istanza di esibizione di 
quella autorizzazione; e) nel dare rilevanza all'indeterminatezza del numero 
delle azioni da trasferire, per dedurne che le trattative fossero rimaste 
allo stato fluido, abbia trascurato il contenuto delle lettere del 2-4 febbr.
aio 1955, che consentivano di determinare quel numero secondo la 
percentuale dell'87,50 del capitale sociale. 

La complessa censura non � fondata. 

La vicenda che � all'origine di questo processo � stata interpretata 
dalla Corte d'appello nel senso che la complessa trattativa, pur quando si 
volse alla determinazione di elementi particolari e di modalit� esecutive, 
ebbe ad oggetto il disegno di una operazione che aveva bisogno di una 
legge di autorizzazione perch� l'Amministrazione delle Ferrovie potesse 
assumerla a contenuto di un contratto. La precisazione di elementi negoziali, 
anche per il mezzo adoperato dello scambio di lettere (che, notoriamente, 
� quanto meno inconsueto per un'amministrazione pubblica come 
strumento stipulatorio, per un affare di eccezionale importanza), aveva 
cio� lo scopo di costituire dei punti fermi nella prospettiva di un contrat


ordinario pu� e deve compiere non riguarda l'attivit� propriamente pubblicistica 

(Cass., 5 agosto 1977, n. 2980, in Giur. it., 1977, I, 1, 168; in Foro amm., 1976, I, 

2104) ma soltanto H modo con cui tale attivit� si esteriorizza, incidendo diret


tamente su~le posizioni giuridiche tutelate dei contraenti privati. 

La �giurisprudenza, dunque, ammette in linea generale la responsabilit� 

precontrattuale della P. A. ed, in particolare, l'ammette nell'ipotesi di revoca, 

senza giusta causa, �d@ll'atto di concessione di pubblico servizio accessivo alla 

convenzione con il privato (Cass., 11 dicembre 1978, n. 5831, in Giust. civ., 1979, 

I, 450, nota di DE FINA, LA ROCCA, La responsabilit� precontrattuale della P.A., con 

particolare riferimento a quella inerente alle concessioni-contratto, in Amm. it., 

1979, 1015); di rottura ingiustificata delle trattative (Cass., 23 gennaio 1967, 

n. 200, con nota di DI SALVO cit., in Giust. civ., 1967, I, 1690); di interruzione inattesa 
delle trattative condotte da funzionari non competenti alla stipulazione del 
contratto, la cui attivit� era per� In concreto riferibile alfa P.A. (Cass., 28 giugno 
1976, n. 2463, in Mass., 1976; LEONE, Osservazioni sulla responsabilit� precontrattuale 
della P. A. con particolare riferimento alle trattative svolte senza autorizzazione, 
in Giur. it., 1977, IV, 123); quando manca la delibera a contrarre, 
purch� tale mancamia non sia rilevabile dall'altro contraente (Cass., 22 maggio 
1973. n. 1493, ivi, 1974, I, 193); mentre l'approvazione del contratto rientra nella 
discrezionalit� della P. A., incensurabile dal giudice ordinario (Cass., Sez. Un., 
5 agosto 1977, n. 2980, ivi, 1977, I, 1, 168 e Cass., 23 maggio 1981, n. 3383, in 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS.. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 867 

to da concludere, e rispondeva all'interesse delle parti di delinearne i 
contorni e di documentare lo svolgimento della ,trattativa: il tutto, nel 
presupposto che venisse emanata la necessaria legge di autorizzazione. 

Con riferimento al procedimento di formazione del contratto, questa 
Corte ha avuto pi� volte, e da tempo, occasione di chiarire che, qualora 
l'iter delle dichiarazioni progressivamente rese dalle parti sia stato consacrato 
per iscritto, occorre accertare -con apprezzamento di merito 
da correlarsi alle particqlarit� del caso singolo -se lo scritto contenente 
l'enunciazione degli elementi essenziali del negozio sia stato redatto 
a documentazione di un accordo reciprocamente vincolante, o se, al 
contrario, sia stato redatto solo in funzione probatoria delle trattative 
positivamente svoltesi fino a quel momento, verificandosi nel secondo 
caso l'ipotesi della cosiddetta � puntuazione �, che lascia inalterata la 
facolt� di recesso, salvo il limite della responsabilit� precontrattuale 
(Sez. un., 27 novembre 1963, n. 3044; Cass., 21 ottobre 1969, n. 3445; 24 febbraio 
1975, n. 721; 20 agosto 1980, n. 4942; 5 aprile 1982, n. 2092). La Corte 
di Roma ha inteso, in definitiva, ravvisare tale seconda ipotesi, pur senza 
farvi esplicito riferimento; ed il relativo apprezzamento si sottrae al sindacato 
di questo Supremo Collegio, in quanto sorretto da motivazione 
adeguata, coerente con la normatiira cui l'Amministrazione delle Ferrovie 
era vincolata. 

Di tale normativa � necessario indicare i tratti essenziali, per evidenziare 
subito quale salda radice abbia l'opinione della detta Corte secondo 
cui l'emanazione di una (necessaria) legge di autorizzazione sia stata 
assunta dalle parti -e sia costantemente rimasta per tutto il corso delle 
trattative -come un indeclinabile presupposto della possibilit� di versare 
in un contratto le intese raggiunte. 

Foro it., 1982, I, 201 con nota di A. M. MARINI); nonch� in caso di mancata 
ottemperanza all'obbligo notiziale sancito dall'art. '1338 cod. civ. (Cass., 17 novembre 
1978, n. 5328, in Giust. civ., 1979, I, 32, con nota di DE FINA), obbligo che si 
ritiene -quale espressione della buona fede del pubblico contraente -sussistente 
non solo fin dal momento della stipulazione del contratto, relativamente 
alle originarie cause d'invalidit�, ma anche perdurante fino all'esaurirsi di tutta 
la vicenda contrattuale. 

La natura della responsabilit� precontrattuale costituisce problema tuttora 
vivo, la cui soluzione comporta, data la differente disciplina della responsabilit� 
contrattuale ed extracontrattuale, diverse conseguenze soprattutto relativamente 
all'onere della prova e al termine di prescrizione. 

Secondo una vecchia teoria risalente allo Jhering, tale responsabilit� avrebbe 
natura contrattuale, poich� un soggetto, instaurando trattative per la conclusione 
di un contratto, esce, per ci� stesso, dalla cerchia puramente negativa dei 
rapporti extracontrattuali per entrare in quella positiva dei rapporti contrattuali, 
obbligandosi a prestare in contrahendo la stessa di1igenza che si richiede in 
ademplando: dalla vfolazione di questo � patto tacito � di responsabilit� nasce 
la culpa in contrahendo. O ancora c'� chi sostiene (Mengoni, Beratti, Scogna




868 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La legge 7 luglio 1907, n. 429, sull'ordinamento dell'esercizio di Stato 
delle Ferrovie non concesse all'industria privata, disciplina il bilancio di 
esercizio dell'Azienda Ferroviaria come atto da approvarsi dal Parlamento 
in allegato allo stato di previsione della spesa del Ministero dei lavori 
pubblici (art. 15) e, dopo avere distinto le spese in � ordinarie di esercizio
� (comprendenti quelle di personale, combustibili, manutenzione ordinaria 
ed in genere quelle riguardanti l'esercizio ferroviario propriamente 
detto), �complementari� (comprendenti quelle di manutenzione straordinaria, 
rinnovamenti, rifacimenti e migliorie), �accessorie� (comprendenti 
interessi su somme varie, quote e contributi specificamente indicati) e 
�straordinarie� (comprendenti quelle relative al primo impianto della 
nuova amministrazione, alla continuazione di lavori e forniture in corso, 
alla reintegrazione ed all'accrescimento del patrimonio aziendale di,rettamente 
attinente all'esercizio), dispone, all'ultimo comma dell'art. 23, che 
�nuovi stanziamenti o aumenti di quelli proposti al Parlamento non 
possono essere approvati che con legge speciale �. 

Analoga norma, con generale riferimento ai bilanci delle Amministra


zioni dello Stato, � contenuta nell'art. 43 della legge di contabilit�, appro


vata con r.d. 18 novembre 1923, n. 2440. In presenza di tale disciplina, � 

chiaro che nel bilancio non poteva esserci spazio per una spesa come 

quella che sarebbe stata necessaria per l'acquisto di una partecipazione 

ad una societ� mineraria, pur se finalizzata a realizzare i presupposti di 

una maggiore economicit� della gestione aziendale; la quale spesa non 

avrebbe potuto trovare copertura neanche con le somme stanziate nel 

miglio) che tale responsabilit� ha natura contrattuale perch� riguarda tutti i 

casi nei quali un soggetto si rende inadempiente ad un preesistente vincolo 

obbligatorio. 

Secondo la giurisprudenza ormai consolidata e la dottrina quasi unanime, 

invece (Barbero, Mtirabellri), il danno derivante dalla mancata conclusione del 

contratto � in relazione al comportamento scorretto della parte che viola i prin


c�pi di correttezza e lealt� che consistono nell'obbligo genevico del neminem 

laedere (art. 2043 cod. civ.) e, pertanto, tale responsabilit� ha natura extra


contrattuale. 

Ultimo aspetto da esaminare riguarda il problema -anche esso vivo e 

dibattuto -se la responsabilit� precontrattuale della P. A. possa qualificarsi 

diretta o indiretta. La tesi dominante, accolta anche dalla giurisprudenza della 

Cassazione, la conl�igura come diretta. La riferibilit� immediata alla P. A. si 

basa sull'esistenza del rapporto di� immedesimazione organica <instauratosi fra 

essa ed �i suoi dipendenti. L'art. 28 Cost., che ha previsto la responsabilit� dei 

dipendenti, non ha, infatti, mutato la natura de11a responsabilit� di11etta della 

P.A., ma ha soltanto voluto sancire accanto ad essa quella propria degli ,autori 

dei fatti lesivi delle situazioni giuridiche altrui (Cass., 24 gennaio 1976, n. 227, in 

Mass., 1976; id., 9 aprile 1973, n. 997, in Foro amm., 1974, I, 1, 49; id., 27 novembre 

1973, n. 3245, in Giur. it., 1974, I, l, 1343; id., 7 febbraio 1974, n. 330, ivi, 1974, 

I, rl, 1158). 

GABRIELLA PALMIERI 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

fondo di riserva, questo essendo destinato, secondo l'art. 24 della legge 

n. 429, a fronteggiare � imprevisti bisogni di servizio � e quindi pur sempre 
esigenze proprie della gestione tipica. 
� evidente, quindi, che l'operazione di acquisto di quella partecipazione 
dovesse essere autorizzata per legge. 
Ci� riconosce la stessa ricorrente, la quale per� sostiene che la 
necessit� di una legge speciale fosse rimasta superata con riferimento 
ad un acquisto (quale, in un secondo tempo, concordato) da finanziarsi 
con un prestito, tale modalit� escludendo il bisogno di impiegare gli stanziamenti 
del bilancio in corso. Ma, in contrario, � sufficiente osservare 
che anche l'assunzione di una obbligazione da finanziamento comportava 
un preciso impegno che, non avendo in atto alcuna copertura, richiedeva 
anch'essa una specifica legge di autorizzazione. N� pu� condividersi 
l'assunto che tale autorizzazione fosse contenuta nella legge 5 maggio 
1956, n. 532, che ratifica l'accordo di finanziamento tra le ferrovie italiane 
dello Stato e le ferrovie federali svizzere. Tale legge, che autorizza l'Amministrazione 
delle Ferrovie dello Stato ad assumere a proprio carico un 
prestito di 200 milioni di franchi svizzeri, ha infatti un oggetto ben definito, 
e cio� il finanziamento di specifici lavori di sviluppo e di elettrificazione 
di determinate linee ferroviarie di interesse comune dei due 
Paesi. Non trova in essa alcun riscontro la tesi secondo cui il prestito 
cos� autorizzato ammontasse originariamente a 300 milioni di franchi e 
fosse stato ridotto a 200 milioni perch� diminuito del prezzo delle azioni 
di cui si discute. Del resto la ricorrente non indica quali siano gli elementi 
extratestuali da cui la Corte di merito avesse potuto trarre una tale conclusione; 
n� questa � insita nel generico riferimento dell'impugnata sentenza 
alla correlazione tra l'acquisto delle azioni ed il prestito di cui alla 
legge in parola. La quale, dunque, non poteva avere realizzato il presupposto 
di cui si discute. 

La necessit� di una legge speciale non derivava soltanto dalle norme 
relative al bilancio. La citata legge del 1907 assegna all'Amministrazione 
autonoma delle ferrovie dello Stato un oggetto ben definito, che � costituito 
dall'esercizio diretto delle linee ferroviarie costnlite o riscattate dallo 
Stato e di altre specificamente indicate nell'art. 1, nonch� della navigazione 
attraverso lo stretto di Messina; e definito al punto che (art. 2) 
l'assunzione dell'esercizio di altre ferrovie dev'essere autorizzata con legge 
speciale. La partecipazione ad una societ� mineraria esula, all'evidenza, 
da tale oggetto; e non pu� esser consentita neanche dal r.d. 13 maggio 
1929', n. 836, il quale, nelfautorizzare �l'Amministrazione predetta a partecipare 
ad imprese in forma di societ� anonime per azioni, precisa debba 
trattarsi di societ� aventi per fine l'acquis-izione e l'incremento dei trasporti 
per ferrovia e l'esercizio �di servizi� complementari ed accessori. 

Un quadro normativo siffatto, certamente presente all'Amministrazione 
come inderogabile norma d'azione, ed il fatto che la necessit� di 


l:l70 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

una legge di autorizzazione fu espresamente rappresentata -secondo 
la sentenza impugnata -dal Direttore Generale delle Ferrovie contemporaneamente 
alla prima dichiarazione di disponibilit� all'acquisto (lettera 
del 30 novembre 1954), giustificano pienamente l'opinione della Corte di 
merito, secondo cui l'emanazione di una tale legge costitu� il presupposto 
della trattativa in tutti i suoi momenti, e condizion� tutte le intese via 
via e con chiunque (compresa la Handelbank) raggiunte, riducendole ad 
elementi di un programma, delineato per diventare contratto, ma non 
ancora vincolante con la forza del contratto, malgrado il tenore letterale 
delle dichiarazioni delle parti. 

A conferma di tale opinione, la detta Corte ha poi osservato che la 
necessit� di una legge di autorizzazione era stata sottolineata in seno al 
Consiglio di amministrazione delle Ferrovie del 29 novembre 1954 e del 
Consiglio dei Ministri del 22 marzo 1955, e che proprio per superare quella 
necessit� (oltre che i problemi valutari connessi all'operazione) furono 
allacciati rapporti diretti tra la Finacom ed il Ministero e fu convenuto 
che la compravendita fosse conclusa con la Cogne. 

In tale situazione, sono privi di valore decisivo 'i documenti di cui 
si lamenta l'omesso esame e la mancata acquisizione, e cio�: le tre lettere 
del 27, 29, 31 gennaio 1955, in quanto � dimostrato che la previsione di 
un acquisto finanziato con un prestito non escludeva la necessit� di una 
legge di autorizzazione, e la lettera del 15 gennaio 1955, in quanto l'autorizzazione 
del Ministro dei Trasporti ed il benestare dei ministri finanziari 
(a cui, in essa, si farebbe riferimento), da un lato, non avrebbero potuto 
n� eliminare n� realizzare il necessario presupposto di cui si � detto (cio� 
una specifica legge che avesse consentito l'operazione) e, dall'altro, potevano 
spiegarsi anche come atti volti a consentire la � puntuazione � del 
contratto. E poich� anche in tale fase della trattativa negoziale possono 
essere assunte determinazioni precise circa gli elementi essenziali del 
contratto, sono privi di valore decisivo anche i rilievi della ricorrente 
diretti a contestare che il numero delle azioni da trasferire non fosse 
determinato o sufficientemente determinabile. Va aggiunto, infine, che la 
rilevanza del presupposto di cui si � detto non potrebbe essere eliminata 
dall'eventuale indizio desumibile dall'asserita notificazione dell'operazione 
alla CECA; notificazione, peraltro, che riguarda i � progetti � di accordi 
interessanti il settore del carbone e dell'acciaio (art. 75 del trattato istitutivo 
della CECA, ratificato con legge 25 giugno 1952, n. 766). 

Da quanto detto deriva altres� l'irrilevanza del fatto che nelle lettere 
del 2-4 febbraio 1955 non si facesse ancora esplicito riferimento alla legge 
di autorizzazione, tanto pi� che -come osserva l'impugnata sentenza, 
sulla base della .lettera del 15 marzo di quell'anno -la necessit� di tale 
legge era stata riconosciuta dalla stessa Finacom anche rispetto alla 
previsione di un finanziamento. 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

La Corte di merito, dopo aver dimostrato che le trattative tra l'Am� 
ministrazione ferroviaria e la Finacom si erano arrestate senza la conclusione 
del contratto, ha considerato l'ipotesi che questo si fosse invece 
concluso, per dimostrare che anche in tal caso le domande principali 
della parte attrice sarebbero infondate: l'ipotetico contratto sarebbe, infatti, 
inficiato da vizi formali e procedimentali, e non sarebbe comunque 
vincolante nei confronti dell'Amministrazione per mancanza di approvazione 
ministeriale. 

Il secondo motivo del ricorso principale investe tale statuizione, con 
rilievi che, prevalentemente, valorizzano l'autonomia dell'Azienda delle 
Ferrovie dello Stato e :le speciali competenze dei suoi organi. Ma, una 
volta ritenuta legittima -come si � ritenuto, confutandosi il primo 
mezzo di ricorso -la statuizione con cui la Corte d'appello ha negato 
l'avvenuta conclusione del contratto, le censure espresse col motivo secondo 
rimangono assorbite. 

Il terzo motivo dello stesso ricorso principale si ricollega alla domanda 
che la Finacom aveva proposto in via subordinata per ottenere .il risar 
cimento dei danni da responsabilit� precontrattuale, e censura la statuizione 
con cui la detta corte ha escluso la colpa in contrahendo della 
Amministrazione. 

La ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1337 
cod. civ. e 112 cod. proc. civ., nonch� omesso esame di fatti e documenti 
decisivi, e lamenta che la Corte di merito, nell'escludere la detta colpa 
con riferimento alla dichiarata necessit� di una legge di autorizzazione, 
abbia trascurato che l'Amministrazione delle Ferrovie, anche dopo lo 
scambio di lettere del 2 e 4 febbraio-1955, si era dichiarata sempre dispo� 
sta ad eseguire l'accordo entro il termine (da essa conosciuto come essenziale) 
del 31 marzo successivo, senza prospettare tempestivamente le difficolt� 
poi allegate, ed aveva affermato la possibilit� di superare ostacoli 
di natura burocratica mediante l'ingresso della Cogne nell'operazione. 
Lamenta altres� che siano state disattese senza esame le istanze di ammissione 
delle prove dedotte al riguardo, atte a dimostrare che il comportamento 
di quei giorni, dell'Amministrazione, era stato niente altro che 
un espediente dilatorio. 

La censura non � fondata. 

La ricorrente, oltre a formulare una doglianza specifica, nei termini 
ora riassunti, ha fatto un richiamo generico alle deduzioni svolte col 
primo motivo, consapevole essendo della connessione logica tra le ragioni 
che hanno condotto i giudici di merito ad escludere, nel caso concreto, 
l'avvenuto perfezionamento del contratto e la soluzione da essi adottata 
riguardo alla responsabilit� precontrattuale. :I:. chiaro, allora, che il rigetto 
del primo motivo � gi� una premessa che giustifica il rigetto del 
secondo. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Nel caso di interruzione delle trattative contrattuali, la violazione del 
principio di buona fede e la conseguente responsabilit� per colpa in 
contrahendo si concretano quando l'interruzione risulti priva di giustificazione, 
cos� da sacrificare arbitrariamente l'affidamento che la controparte 
abbia ragionevolmente fatto sulla conclusione del contratto. 

Nella specie, la Corte di merito, nell'incensurabile valutazione del 
comportamento contrattuale dell'Amministrazione, ha osservato che le 
trattative non ebbero l'esito sperato, perch� non si era verificato il presupposto 
cui tale esito era subordinato: presupposto che dipendeva dall'ordinamento, 
ed era stato comunque debitamente reso noto alla Finacom, 
la quale perci� sapeva che l'attuazione dell'operazione programmata era 
condizionata alla valutazione, anche politica, ed all'approvazione del 
Parlamento. In tale situazione la detta Corte ha esattamente escluso che 
potesse essere sorto nella Finacom un ragionevole affidamento, poi tra


I 
dito dal comportamento dell'Amministrazione. N� � passibile di sindacacato 
giurisdizionale la mancata proposta, da parte del Ministro dei Trasporti, 
di un disegno di legge ad hoc (che peraltro involgeva la competenza 
anche di altri Ministeri), trattandosi di un momento che attiene alla 

II

attivit� politica dell'organo. 

Quanto alle istanze istruttorie, il loro implicito rigetto risulta giusti-~== 
ficato, sia per la rilevanza assorbente delle considerazioni svolte dalla [ 
Corte d'appello sul merito della causa, sia perch� il valore decisivo di & 

I@ 

quelle riguardanti documenti e fatti che non siano stati gi� esaminati 

~!

dalla stessa Corte non � chiarito dalla ricorrente se non con la pretesa . 
di anticipare supposte risultanze a s� favorevoli, con l'affermazione della , 

X 

loro idoneit� a dimostrare la pretestuosit� del comportamento della ' 
controparte. 

I 
~ 

L'ultimo motivo del ricorso della Beta Holding riguarda la statuizione ~ 

~:::

con cui � stata esclusa la responsabilit� precontrattuale della Soc. Nazionale 
Cogne. La ricorrente, dopo avere accennato ai rapporti avuti, in due 
incontri, col presidente di tale societ�, lamenta che la Corte di merito 
abbia respinto la domanda proposta contro la stessa senza disporre la 
chiesta istruttoria, la quale avrebbe potuto dimostrare che la modifica del 

~ 

r:<

regolamento del prezzo -proposta dal detto presidente quando era gi� 

Iru

munito dell'autorizzazione del consiglio di amministrazione a perfezionare 

l'operazione -costituiva un mero pretesto, e che con quella proposta la 

~ 

trattativa non venne (negativamente) chiusa ma solo rinviata, e poi abban


~ 

donata dalla stessa Cogne. @ 

Neanche questa censura � fondata. 

Ai fini del giudizio sull'idoneit� delle trattative a determinare un 
ragionevole affidamento nel contraente che si ritenga poi danneggiato 

dalla loro ingiustificata interruzione, occorre avere riguardo al modo, alla 

durata ed allo stato di esse (Cass., 14 ottobre 1978, n. 4626). 

[ 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

Nella specie la Corte di merito, valutando il comportamento della 
Cogne, con riferimento prima all'ipotesi della responsabilit� contrattuale 
e poi a quella della responsabilit� precontrattuale, e basandosi sulla stessa 
versione dei fatti fornita dalla Finacom e dalla Beta Holding, ha 
osservato che i rapporti tra le due parti consistettero, e si esaurirono, 
in due incontri. In quello del 26 marzo 1955 fu riconosciuta la necessit� di 
una deliberazione del consiglio di amministrazione della Cogne, che autorizzasse 
il suo presidente all'operazione di acquisto; in quello del successivo 
giorno 30 il detto presidente, cos� autorizzato, richiese una modifica 
delle modalit� di pagamento del prezzo, non accettata dal rappresentante 
della Finacom per mancanza dei necessari poteri. Sempre secondo 
la versione ulteriormente fornita dalla Finacom e dalla Beta Holding 
-prosegue la Corte d'appello -, la Finacom ebbe poi a rivolgersi esclusivamente 
all'Amministrazione delle Ferrovie, sia al fine di concordare 
eventuali modificazioni �chieste dalle Ferrovie�, sia per contestare le 
� inadempienze � della stessa Amministrazione. In tale situazione -ha 
poi osservato ai fini dell'asserita culpa in contrahendo -la prima 
riunione non poteva aver determinato alcun ragionevole affidamento, 
mentre non poteva sorgere responsabilit� dall'avere la Cogne, nella seconda 
riunione, avanzato delle controproposte non accettate. Si tratta, 
com'� chiaro, di un apprezzamento di merito adeguatamente motivato e 
conforme al principio dianzi enunciato, che non viene censurato se non 
per omesso esame delle istanze istruttorie. Le prove richieste -sostiene 
la Beta Holding -avrebbero dimostrato che quelle controproposte erano 
pretestuose e che la loro mancata accettazione -giustificata dal rappresentante 
della Finacom col difetto di poteri -non chiuse la trattativa 

ma ne determin� un rinvio, che non ebbe seguito per fatto della Cogne. 

Orbene, la statuizione adottata dalla Corte d'appello sul punto contiene 
un implicito provvedimento di rigetto delle istanze istruttorie, da 
ritenersi pienamente legittimo. Ed invero, il contenuto della deliberazione 
del consiglio di amministrazione della Cogne (che era oggetto di una 
istanza di esibizione, proposta insieme con altra, del tutto generica, di 
produzione documentale) non ha valore decisivo, perch�, quale che fosse, 
esso non impediva al presidente (che aveva la responsabilit� dell'esecuzione) 
di ricercare condizioni pi� vantaggiose per la societ�. 

Quanto ai fatti che sono oggetto della richiesta di prova testimoniale, 
� sufficiente osservare che essi, in parte costituiscono dati incontroversi, 
ed in parte sono contraddetti da quelli che la Corte di merito ha desunto 
dalla versione fornita in giudizie��dalla stes.sa, Finaeom; la quale -secondo 
la sentenza impugnata -dopo il 30 marzo 1955 coltiv� i suoi tentativi, 
ed elev� poi le sue proteste, esclusivamente contro l'Amministrazione 
delle Ferrovie. 

In realt� -e conclusivamente -in ordine alla congruenza della 
motivazione con cui la detta Corte ha escluso ogni responsabilit� precon



874 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

trattuale della Cogne, la Beta Holding potrebbe prospettare un dubbio 
legittimo solo a condizione di riferire unitariamente alla Cogne anche i 
tempi e i modi delle trattative svoltesi tra la Finacom e le Ferrovie (e 
di prescindere, ovviamente, dal presupposto cui la loro positiva conclusione 
era subordinata). Ma ci� non � possibile, avendo la Corte di merito 
configurato la posizione della Cogne come autonoma rispetto alla precedente 
fase negoziale, e circoscritto i tempi e i modi del suo intervento 
entro limiti ben definiti. 

Il ricorso principale risulta dunque infondato. 
Il suo rigetto determina l'assorbimento dei due ricorsi incidentali, 
in quanto entrambi condizionati. (omissis) 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 luglio 1983, n. 5002 -Pres. Greco -
Rel. Bile -P. M. Corasaniti (conci. conf.) -Ministero della Pubblica 
Istruzione (avv. dello Stato Favara) c. Gambetti Maria (avv. Gaito e 
Scrivano). 

Impiego �pubblico -Atto formale di nomina -Illegittimo -Controversia 
di lavoro � Giurisdizione amministrativa -Fattispecie. 

(art. 7, secondo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034). 

Rientra nella giurisdizione esclusiva amministrativa la controversia 
inerente a prestazioni lavorative svolte con continuit�, predeterminazione 
dell'orario e della retribuzione in favore di una P. A. che abbia conferito 
il relativo incarico anche se in violazione delle norme che vietano o limitano 
per gli enti pubblici non economici l'assunzione di dipendenti senza 
concorso. (1) 

(1-2) Le due coeve sentenze che si annotano sono espressione di quella 
evoluzione giurisprudenziale culminata nella sentenza Cass., Sez. Un., 26 maggio 
1979, n. 3070, in Foro it., 1979, I, '1708, con nota di C. M. BARONE, in base alla quale 
si � sostanzialmente l'idimensionata la necessit� dell'atto formale di nomina al 
fine della costituzione di un rapporto di pubblico impiego e si � dato, invece, 
rilievo all'inserimento del soggetto privato nell'ambito dell'organizzazione fumcionale 
dell'ente pubbldco. Pertanto, anche quando manchi o sia illegittimo l'atto 
formale di nomina, ma sussista il requisito fattuale della riferibilit� ai fini 
istituzionali dell'ente della prestazione lavorativa, le relative controversie sono 
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (v. Cass., Sez. 
Un., 26 novembre 1979, n. 6170; id., 23 febbraio 1979, n. 1191, in Foro it., 1979, I, 
1702 con nota di richiami; id., 11 dicembre 1979, n. 6443, in Giust. civ., 1979, 2848). 

In passato, invece, la giurisprudenza era consolidata nel senso che, in mancanza 
di un atto formale di nomina, consistente nella manifestazione di volont� 
della P. A. di utilizzare la prestazione lavorativa, inserendo il soggetto nel proprio 
apparato organizzativo, si costituiva soltanto un rapporto di lavoro di 
diritto comune (v. Cass., 12 febbraio 1974, n. 403, Mass., 1974; id., 22 marzo 
1979, n. 1190, ivi, 1979). 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 875 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 luglio 1983, n. 5003 � Pres. Greco -
Rel. Panzarani � P. M. Corasaniti (concl. conf.) -De Lillo (avv. Rispoli 
e Soprano) c. Ente Autonomo Teatro S. Carlo di Napoli (avv. Stato 
Favara). 

Impiego pubblico � Ente pubblico non economico � Atto formale di nomina 
-Carenza � Controversia di lavoro � Giurisdizione amministrativa Fattispecie. 


(art. 7, secondo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034). 

L'inserimento del dipendente nella struttura dell'ente pubblico non 
postula un tipico provvedimento di nomina, bastando al riguardo che la 
volont� dell'ente stesso risulti da atti univoci equipollenti attraverso i 
.quali tale volont� possa essere individuata. Pertanto, la relativa controversia 
di lavoro rientra nella giurisdizione esclusiva amministrativa. (2)

1 

I 

(omissis) 1. -I due ricorsi, proposti contro la stessa sentenza, devono 
essere riuniti. 

2. -� preliminare l'esame del secondo motivo, con il quale il Mini� 
stero ricorrente denunzia l'improponibilit� assoluta della domanda, ed il . 
<:onseguente difetto di giurisdizione, sotto il profilo che l'applica2lione dell'art. 
2126 cod. civ. si risolverebbe nel� riconoscimento di una sorta di 
.arricchimento senza causa, ai sensi dell'art. 2041 cod. civ., con la conse-
Tale indirizzo giurisprudenziale era stato peraltro vivacemente criticato dalla 
<dottrina (v. ad es. FILIPPO SATTA, Intorno all'atto di nomina all'impiego presso 
enti pubblici minori, in Foro it., 1972). 

In realt� segni premonitori di quel capovolgimento nella giurisprudenza 
-O.ella Cassazione, avvenuto con la sentenza n. 3070 cit., si erano gi� notati in Cass., 
12 febbraio 1974, n. 402, in Mass., 1974, dove si dava rilievo -al fine della costituzione 
del rapporto di pubblico impiego -anche ad atti contestuali o succes:
sivd al confenimento dell'iincarico, senza ritenere determinante la loro denomina2ione, 
eventualmente anche errata; �in Cass., 20 ottobre 1975, n. 3400, in cui si 
ammetteva la costituzione di un rapporto di pubblico impiego attraverso manifestazioni 
di volont� atipiche o jmplicite dell'Amministrazione (v. ancora Cass., 
14� ottobre 1977, n. 2750; id., 5 marzo 1979, n. B58; id., 27 febbraio 1980, n. 1352; 
id., 24 marzo 1981, n. 1689 e in dottrina GIUSEPPE DE FINA, L'erosione del principio� 
.dell'atto formale di nomina in materia di pubblico impiego, in Foro it., 1972; 
e in Cass., 7 gennaio 1974, n. 14, fa Mass., 1974, che riconosceva per gli atti 
pubblici minori la sufficienza di un qualsiasi atto scritto rivelatore di una reale 
volont� dell'ente di inserire H soggetto nella propria struttura organizzativa. 

GABRIELLA PALMIERI 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

guente improponibilit� di tale azione nei confronti della Pubblica Amministrazione 
se questa, come nella specie, non abbia nemmeno implicitamente 
riconosciuto l'utilit� derivante dall'attivit� del privato. 

Il motivo non pu� essere accolto. Esso in realt� si dirige contro una 
affermazione della sentenza impugnata che -nel quadro generale della 
motivazione -appare sicuramente marginale ed estranea al procedimento 
logico che ha condotto i giudici alla loro decisione. Ed invero il 
Tribunale ha ravvisato nella specie l'esistenza di un rapporto di lavoro 
subordinato di natura privatistica, ed a tale accertamento ha, collegato� 
l'affermazione della propria giurisdizione. Rispetto a questa impostazione 
della motivazione, l'ulteriore accenno alla possibilit� di ragionare in termini 
di rapporto pubblicistico fondato su un atto illegittimo e sulla conseguente 
possibilit� di ritenere applicabile l'art. 2126 cod. civ., ha soltanto 
il valore di una disgressione non necessaria o non rilevante ai fini della 
decisione. 

3. -Con il primo motivo il Ministero ricorrente afferma che il tribunale 
ha erroneamente definito il rapporto di diritto privato, laddove si 
tratta di un vero e proprio rapporto di lavoro pubblico, con l'attribuzione 
delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 
La censura � fondata. 

Con Ja sentenza n. 1191 del 1979 le Sezioni Unite -premesso che, al 
fine dell'individuazione di un rapporto di pubblico impiego e della conseguente 
devoluzione delle controversie alla giurisdizione amministrativa 
in sede esclusiva, il requisito dell'atto di nomina � ravvisabile laddove 
l'ente pubblico abbia manifestato inequivocamente la volont� di inserire 
stabilmente le prestazioni del privato nell'ambito della propria struttura 
organizzativa, mentre � irrilevante non solo il tenore letterale delle 
deliberazioni adottate ma anche l'eventuale illegittimit� di esse -hanno 
ritenuto attribuita alla giurisdizione esclusiva amministrativa la controversia 
inerente a prestazioni lavorative svolte da una modella vivente con 
continuit�, vincolo di subordinazione, predeterminazione dell'orario e 
della retribuzione, in favore di una Pubblica Amministrazione (Accademia 
di Belle Arti) che aveva conferito il relativo incarico, nel senso specificato, 
pur se in violazione delle norme che vietino o limitino per gli enti pubblici 
non economici l'assunzione di dipendenti senza concorso. 

Il richiamo alla motivazione della sentenza citata � sufficiente ai fini 
della dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario ad�to 
e della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella controversia 
in esame, in quanto -da un lato -la sentenza impugnata ha accertato 
in fatto l'esistenza di una situazione del tutto conforme a quella ora 
descritta e -dall'altro -la resistente non ha fornito alcuna argomentazione 
idonea a giustificare un nuovo approfondito esame della questione. 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

4. -Il terzo motivo del ricorso riguarda l'applicabilit� alla specie della 
prescrizione quinquennale ed � perci� assorbito dalla dichiarazione di 
difetto di giurisdizione del giudice ordinario. 
5. -Il ricorso incidentale deve parimenti essere dichiarato assorbito. 
6. -Alla cassazione senza rinvio della sentenza impugnata -per 
difetto di giurisdizione del giudice ordinario -consegue l'opportunit� di 
dichiarare compensate le spese dell'intero giudizio. 
II 

(omissis) Con l'unico motivo il ricorrente, nel sostenere che la cognizione 
della causa appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, deduce 
che pur essendovi stato lo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato 
stanti gli elementi della continuit�, stabilit�, posizione di soggezione 
gerarchica, retribuzione fissa mensile, sistema di retribuzione ecc., 
� tuttavia mancata l'emanazione di un formale atto di nomina ovvero di 
atti equivalenti dai quali sia lecito dedurre che la propria attivit� � stata 
inquadrata nell'organizzazione e nei fini istituzionali dell'ente, posto peraltro 
che l'addetto stampa non rientra nell'inquadramento organizzativo 
dell'ente medesimo e ci� per la qualit� e la natura della prestazione svolta 
che non riguarda specificamente e neppure indirettamente l'attivit� dell'opera 
teatrale, talch� il rapporto di impiego di che trattasi deve ritenersi 
di natura privatistica. 

Tutto ci� richiamato, va rilevata l'infondatezza delle considerazioni 
svolte dall'istante. Al riguardo -premesso che la decisione di queste 
Sezioni unite in sede di regolamento di giurisdizione � necessariamente 
limitata alla preventiva individuazione del giudice investito della competenza 
giurisdizionale a decidere il merito della controversia con esclusivo 
riferimento alla situazione su cui le parti hanno basato le loro pretese 
(art. 386 cod. proc. civ.; cfr. p. es. la sentenza 11 settembre 1979, 

n. 4745) -osserva innanzi tutto il Collegio come nella fattispecie si assuma 
da parte dell'attore di aver egli eseguito prestazioni lavorative a favore 
di un ente pubblico non economico (quale in modo incontroverso � 
l'Ente autonomo Teatro San Carlo di Napoli che persegue tipici fini 
culturali) con modalit� tali da configurare gli estremi di un rapporto di 
lavoro subordinato (incarico stabilmente retribuito nell'ambito dell'organizzazione 
dell'ente, nell'osservanza peraltro di direttive generali e particolari) 
,il che integra il necessario presupposto del rapporto di pubb1ico 
impiego (cfr. p. es. la sentenza 11 dicembre 1979, n. 6449). 

878 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Rileva tuttavia l'istante, nel contestare che si sia trattato per l'appunto 
di pubblico impiego, che � mancata nei suoi confronti l'adozione �di 
un formale atto di nomina e inoltre che l'attivit� dell'addetto stampa non� 
rientra di per s� nell'inquadramento organizzativo dell'ente convenuto. 
Orbene, quanto alla prima deduzione � sufficiente richiamare l'indirizzo 
giurisprudenziale di queste Sezioni unite secondo cui l'inserimento del 
dipendente nella struttura dell'ente pubblico non postula un tipico provvedimento 
di nomina bastando al riguardo che la volont� dell'ente mede� 
simo risulti da univoci atti equipollenti attraverso i quali tale volont� 
possa essere individuata e ci� anche a prescindere dalle espressioni usate 
(cfr. p. es. la sentenza 9 marzo 1982, n. 1494), dovendosi avere piuttosto 
riguardo alla realt� fattuale, il che � invero tipico nella materia del lavoro 
la quale non pu� non influenzare nel presente momento storico anche 
quella del pubblico impiego nonostante le peculiarit� che in quest'ultimo 
pur permangono. Senza peraltro necessit�, ai fini della presente decisione, 
di ulteriore disamina del suddetto problema (cfr., con enunciazioni in parte 
diversificate, p. es. le sentenze 26 maggio 1979, n. 3070, 24 marzo 1981, 

n. 1678, 10 febbraio 1982, n. 833 e 19 luglio 1982, n. 4212), � sufficiente rilevare 
come i documenti esistenti in atti provenienti dall'ente convenuto, 
(�determinazioni� e statini-paga) e che riguardano il trattamento riservato 
all'attore evidenzino in ogni caso l'univoca volont� dell'ente medesimo 
di utilizzare la sua attivit�. 
In relazione poi alla seconda obiezione si deve parimenti richia� 
mare la giurisprudenza di queste Sezioni unite che ha pi� volte avuto 
occasione di affermare come la pubblicazione di un giornale da parte di 
un ente pubblico non economico sia in ogni caso riferibile direttamente 
an'organizzazione di esso allorquando difettino gli estremi dell'autonomo 
esercizio di un'impresa . editoriale a scopo di lucro, rientrando invero 
siffatta attivit� nell'ambito dei fini suoi propri e inerendo pertanto al 
<::ontenuto del rapporto d'impiego dei dipendenti a tale attivit� destinati 
(cfr. p. es. le sentenze 4 agosto 1977, n. 3462, 3 ottobre 1977, n. 4174, 16 marzo 
1978, n. 1318 e, pi� recentemente, quella 23 aprile 1982, n. 2506). 

A maggior ragione debbono pertanto ritenersi non riferibili all'esercizio 
di una distinta attivit� di carattere imprenditoriale da parte dell'ente 
pubblico non economico le prestazioni di un suo addetto stampa (cfr. 
ancora, in particolare, la cit. sentenza n. 1318 del 1978) che -tenendo 
presente quanto nella fattispecie specificamente dedotto da parte dell'attore 
nel ricorso introduttivo del giudizio -si occupi della divulgazione 
e dell'illustrazione dell'attivit� istituzionale dell'ente stesso e quindi 
direttamente operi per una migliore e pi� efficiente realizzazione dei rk: 
relativi fini. I 

l~ 

-. Ir 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 879 

Emergendo pertanto -nei rilevati limiti propri del regolamento di 
giurisdizione -che l'attore operava in regime di subordinazione nell'ambito 
dell'organizzazione dell'ente convenuto e in relazione ai fini di 
esso (a proposito di entrambi i suddetti aspetti cfr. p. es. la sentenza 
di queste Sezioni unite 3 giugno 1981, n. 3570), deve concludersi che le 
pretese del predetto sono direttamente riferibili ad un rapporto che si 
rivela di pubblico impiego, talch� la relativa cognizione appartiene alla 
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 7, secondo comma, 
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034). Per quanto concerne infine il 
regolamento delle spese dell'intero giudizio, ritiene il Collegio che, data 
la natura della controversia, concorrano giusti motivi per l'integrale loro 
.compensazione fra le parti (art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.). 
<(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 12 ottobre 1983, n. 5924 -Pres. Greco -
Rel. Caturani -P. M. Miccio -Ente di sviluppo in Puglia e Lucania 
(vice avv. gen. Stato Del Greco) c. Vasciaveo (avv. Cipriani). 

Giurisdizione civile -Regolamento di giurisdizione -Riforma fondiaria Assegnazione 
con patto di riservato dominio -Recesso dell'assegnatario 
-Spettanze conseguenti -Concessione di beni patrimoniali indi� 
sponibili . Art. 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 . Giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo � Non compromettibilit� in arbitri. 

La controversia promossa, nei confronti dell'Ente concedente, da un 
assegnatario ed acquirente con patto di riservato dominio di un terreno 
.di riforma fondiaria, al fine di sentir riconoscere il proprio diritto di 
.recesso dal rapporto, nonch� determinare le spettanze conseguenti a tale 
recesso, investe, con riguardo ad una concessione amministrativa di beni 
pubblici, posizioni di diritto soggettivo che esulano dalla mera determinazione 
di indennit�, canoni e corrispettivi, e sono quindi devolute a 
norma dell'art. 5 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, alla giurisdizione 
esclusiva dei Tribunali Amministrativi Regionali. (1) 

La controversia medesima pertanto non pu� essere portata, con 
compromesso o clausola compromissoria, alla cognizione di arbitri, il 
cui intervento � consentito solo in via sostitutiva nell'ambito delle attribuzioni 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria. (2) 

(1-2) Cfr., in termini, le sentenze delle Sezioni Unite 10 dicembre 1981, 

n. 6517 e 24 settembre 1982, n. 4934, richiamate in motivazione. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Con il primo motivo l'Ente di sviluppo denunziando difetto 
di giurisdizione, violazione e falsa applicazione dell'art. 2 (rectius: 5) 
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, degli artt. 16 e segg. della legge 
12 maggio 1950, n. 230, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, degli artt. 803 
e 829, n. 1, cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, n. 1, 3 e 5 cod. proc. 
civ., assume che, contrariamente a quanto ritenuto dall'impugnata sentenza, 
deve riconoscersi la nullit� della clausola compromissoria prevista 
nel contratto di vendita con patto di riservato dominio dei terreni assegnati, 
nel quadro della riforma fondiaria, in quanto l'art. 5 della legge 
6 dicembre 1971, n. 1034, ha introdotto una nuova fattispecie di giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo in tema di concessione di 
beni pubblici, onde non riflettendo la controversia in esame � indennit� 
canoni ed altri corrispettivi � per i quali sussiste la riserva del giudice 
ordinario, ai sensi dell'art. 5, secondo comma, della legge, il collegio arbitrale 
mancava assolutamente di potere decisorio, cos� come privo di 
giurisdizione in materia sarebbe stato il giudice ordinario. 

La censura � fondata. 

Come le Sezioni Unite hanno gi� statuito in fattispecie analoga (sentt. 

10 dicembre 1981, n. 6517; 24 settembre 1982, n. 4934), la controversia pro


mossa nei confronti dell'Ente concedente, da un assegnatario ed acqui


rente con patto di riservato dominio di un terreno di riforma fondiaria, 

al fine di sentir riconoscere il proprio diritto di <recesso dal rapporto, 

nonch�. determinare le spettanze conseguenti a tale recesso, investe, con 

riguardo ad una concessione amministrativa di beni pubblici (conces


sione-contratto di beni patrimoniali indisponibili), posizioni di diritto 

soggettivo che esulano dalla mera determinazione di indennit�, canoni 

o corrispettivi, e sono quindi devolute a norma dell'art. 5 della legge 
6 dicembre� 1971, n. 1034, alla giurisdizione esclusiva dei tribunali ammi
�nistrativi regionali. La controversia medesima pertanto, non pu� essere 
portata, con compromesso o clausola compromissoria, alla cognizione di 
arbitri, il cui intervento � consentito solo in via sostitutiva nell'ambito 
delle attribuzioni dell'autorit� giudiziaria ordinaria. 

Le ragioni che giustificano la soluzione accolta .sono contenute nei 

precedenti innanzi menzionati, e la relativa motivazione deve intendersi 

riprodotta in questa sede, non essendo stati addotti argomenti che val� 

gano a rivedere l'accennato indirizzo. 

Alla stregua dei riassunti princ�pi, ia fattispecie de qua rientra nella 

competenza giurisdizionale del tribunale amministrativo regionale, ai sensi 

dell'art. 5, primo comma, della legge citata. 

Come risulta dall'impugnata sentenza, nella specie, l'assegnatario, 
senza pervenire previamente ad alcun accordo con l'Ente di sviluppo, 
ha ritenuto di recedere unilateralmente dal rapporto e quindi ha adito 
il collegio arbitrale, ai sensi dell'art. 19 del contratto per far valere, 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

sulla base dell'affermata cessazione del rapporto, il suo diritto alla indennit� 
per i miglioramenti. 

Ne consegue che la controversia che si agita tra le parti non attiene 
al mero profilo patrimoniale che riguarda � l'indennit� � prevista dall'art. 
5, secondo comma, della legge, ma si estende al controllo circa 
l'esistenza dei presupposti che potevano indurre nel caso concreto ad 
una risoluzione del rapporto ad iniziativa dell'assegnatario ed all'interpretazione 
del complesso contratto successivo alla concessione; il che 
importa che sia applicabile la regola di cui al primo comma dell'art. 5 
che devolve la controversia alla giurisdizione del T.A.R. 

La controversia medesima, pertanto, non pu� essere portata, con 
compromesso o clausola compromissoria, alla cognizione di arbitri, il 
cui intervento � consentito solo in via sostitutiva nell'ambito delle attribuzioni 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria. 

L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento degli altri 
due motivi del ricorso, con cui si sostiene rispettivamente che: a) tutti 
i rapporti relativi all'assegnazione di terreni nel quadro della riforma 
fondiaria, senza poter distinguere tra assegnazione e contratto, riguardano 
diritti indisponibili; b) le limitazioni di compromettere in arbitri 
previste dall'art. 808, secondo comma, cod. proc. civ. cos� come modificato 
dall'art. 4 della legge 11 agosto 1973, n. 533, per le controversie di 
cui all'art. 409 cod. proc. civ., si applicano anche alla controversia in 
esame che rientrerebbe tra quelle previste dal n. 2 di quest'ultima norma, 
la quale prevede, accanto ai contratti agrari tipici, anche rapporti 
derivanti da altri contratti agrari, nei quali potrebbero essere compresi 
i rapporti derivanti dall'assegnazione di terre espropriate in attuazione 
della riforma fondiaria. 

In definitiva, in accoglimento del primo motivo del ricorso e dichiarati 
assorbiti gli altri due, l'impugnata sentenza deve essere cassata. Il 
che importa una nuova pronuncia sul lodo arbitrale, la quale deve essere 
emessa dal giudice funzionalmente competente. La causa, pertanto, va 
rinviata ad altra Corte di 'appello che nella definizione della controversia, 
si atterr� ai criteri innanzi enunciati e pronuncer� anche sulle spese del 
giudizio (art. 385 cod. proc. civ.). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6178 -Pres. Mirabelli 
-Rel. Albanese � P. M. Tamburrino -I.SV.E.I.MER. (avv. Guarino) 

c. Procuratore Generale della Corte dei Conti (vice avv. gen. Stato 
Azzariti). 
Giurisdizione civile � Regolamento -Procuratore generale della Corte dei 
conti � Avvocatura dello Stato -Rappresentanza in giudizio � ~ inammissibile. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Corte dei conti � Giurisdizione contabile . Ente pubblico economico e 

suoi dipendenti � Non sussiste � L'ISVEIMER � ente pubblico econo


mico � Giurisdizione contabile da parte dell'A.G.O. 

Nel giudizio per regolamento di giurisdizione il procuratore generale 
della Corte dei conti � presente in persona del Procuratore Generale 
presso la Corte di cassazione. � pertanto inammissibile la costituzione 
in giudizio operata mediante controricorso dall'Avvocatura Generale dello 
Stato. (1) 

La Corte dei conti non ha giurisdizione contabile nei confronti degli 
enti pubblici economici e dei loro dipendenti, i quali sono soggetti in tale 
materia alla cognizione del giudice ordinario. L'ISVEIMER � ente pubblico 
economico, come tale sottratto alla giurisdizione della Corte dei 
Conti. (2) 

(omissis) Con atto notificato il 19 marzo 1979, il procuratore generale 
presso la Corte dei conti citava a comparire davanti :a quella Corte 
in sede giurisdizionale Alfonso Menna, chiedendone condanna al risarcimento 
dei danni causati all'Istituto per lo sviluppo economico dell'Ha� 
lia meridionale -ISVEIMER per avere indebitamente ordinato, nella 
qualit� di presidente dell'Istituto, il pagamento di taluni compensi al 
direttore generale dell'impresa di credito gestita. 

Il Menna resisteva all'azione, pregiudizialmente eccependo il difetto 
di giurisdizione della Corte dei conti. 
Con decisione non definitiva pubblicata il 5 gennaio 1980, la I Sezione 
giurisdizionale della Corte dei conti dichiarava la propria competenza 

(1) Cfr. al riguardo, quale unico precedente in termini, la sentenza delle 
Sezioni Unite n. 1282 del 2 marzo 1982, con cui la Cassazione -abbandonando 
l'orientamento tradizionale, ammesso dalla pronuncia del 30 novembre 1%6, 
secondo cui il procuratore generale presso la Corte dei conti � un � sostituto 
processuale� della P. A., come tale rappresentato in giudizio dall'Avvocatura dello 
Stato -ha invece osservato che tale organo promuove i giudizi in veste di 
pubblico ministero e pert:anto nel!'eserciiio di una funzione obiettiva e neutra.Je, 
indipendente dall'autorit� amministrativa, cui in particolare, per ciascun ramo 
di amministrazione, facciano capo di volta .in volta g!Ji interessi controversi. 
Ci� posto, il procuratore generale della Corte dei conti non abbisogna di una 
ulteriore rappresentanza nel giudizio per regolamento di giurisdizione, poich� 
in quella sede egli � presente attraverso l'organo requirente che partecipa alla 
udienza, .e cio� attraverso il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione. 
(2) L'esclusione della giuI'isdizione della Corte dei conti in materia di danni 
cagionati da amministratori, funzionari ed impiegati di enti pubblici economici 
� stata affermata dalle Sezioni Unite con la gi� menzionata sentenza n. 1282 
del 2 marzo 1982, la quale, ritenendo che l'art. 103 della Costituzione non contiene 
una riserva di giurisdizione a favore della Corte dei conti in materia contabile, 
ha limitato tale giuI'isdizione solo alle pubbliche amministrazioni e agli ent:i 
pubblici istituzionali. Contra, Corte dei conti, sez. I, 2 dicembre 1981, n. 117. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

giurisdizionale in ordine all'azione proposta contro il Menna, e ordinava 
la sospensione del procedimento a norma dell'art. 3 del codice di procedura 
penale sino alla conclusione del giudizio penale promosso contro 
il Menna medesimo per gli stessi fatti sui quali era fondata l'azione di 
responsabilit�. 

Avendo operato volontario intervento nel procedimento in momento 
anteriore a quello di pubblicazione dell'anzidetta decisione non definitiva, 
l'ISVEIMER ha impugnato questa davanti alle Sezioni unite di 
questa Corte in confronto del procuratore generale della Corte dei conti 
e del Menna, chiedendo che sia dichiarato il difetto di giurisdizione della 
Corte dei conti in ordine all'accertamento e alla sanzione della responsabilit� 
di funzionari e dipendenti di un ente pubblico economico per 
atti inerenti all'attivit� imprenditoriale dell'ente stesso. 

In dichiarata rappresentanza del procuratore generale della Corte 
dei conti si � costituita, mediante controricorso, l'Avvocatura Generale 
dello Stato, resistendo all'impugnazione e pregiudizialmente contestandone 
l'ammissibilit�. 

Il Menna non si � costituito. 

Il ric:orso, contro decisione non definitiva della Corte dei conti non 
notificata con la quale � stata risolta soltanto una questione pregiudiziale, 
� stato, entro l'anno dalla data relativa pubblicazione, ritualmente 
e ammissibilmente proposto da soggetto che al giudizio nel quale 
la decisione stessa � stata, se pure non anche in suo confronto, pronunciata 
partecipa a seguito di operato intervento: tale ricorso. rileva 
con efficacia di istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, e alla 
proposizione di simile istanza � indiscriminatamente legittimata ciascuna 
delle parti formalmente in causa qualunque ne sia la posizione nel processo, 
o rispetto all'oggetto della lite (la cui verificazione, ad ogni effetto 
rilevante in termini di merito, � riservata al giudice che al riguardo ha 
competenza giurisdizionale). 

Inammissibile invece per rilevante nullit� deve dichiararsi (come gi� 
in analogo caso con la sentenza di queste Sezioni Unite n. 1282 del 
2 marzo 19'82) la costituzione in giudizio mediante controricorso operata 
dall'Avvocatura Generale dello Stato in assunta rappresentanza del procuratore 
generale presso la Corte dei conti, nei cui (concorrenti) confronti 
il ricorso � stato proposto. 

Invero il procuratore generale presso la Corte dei conti non � l'esponente 
di una amministrazione statale o di un ente pubblico di cui, per 
le leggi che la regolano (testo unico approvato con r.d. 30 ottobre 1933, 

n. 1611), l'Avvocatura dello Stato ha istituzionalmente o pu� assumere 
la rappresentanza e difesa in giudizio; n� l'azione per l'accertamento e 
la sanzione della cos� detta responsabilit� amministrativa di funzionario 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

884 

di ente pubblico. economico che nella specie si assume esulare dalla 
competenza giurisdizionale della Corte dei conti � stata da quel Procuratore 
Generale proposta in rappresentanza o nel diretto interesse di 
un'amministrazione statale o dell'ente pubblico anzidetto, ovvero in via 
di propria o atipica relativa sostituzione processuale, per cui l'Avvocatura 
dello Stato possa o debba, in egual posizione, stare in sua vece in giudizio 
in sede ordinaria, per difetto di sua capacit� al riguardo. 

Il procuratore generale presso la Corte dei conti invece, tale Corte 
concorrendo a comporre, vi rappresenta il Pubblico Ministero (art. 1, 

r.d. 12 luglio 1934, n. 1214), e di questo ufficio unitario nel costituito 
ordinamento giurisdizionale (arg. ex art. 108, secondo comma, della Costituzione) 
ha ivi esercitata la istituzionale funzione di garante della 
legge e tutore dei diritti dello Stato (istituzione) per scopi e interessi 
che trascendono, assorbendoli, quelli per singoli rapporti riferibili a una 
delle diverse amministrazioni o ad uno degli enti pubblici mediante cui 
lo Stato opera (art. 73 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, modificata con legge 
29 novembre 1956, n. 1441, sull'ordinamento giudiziario). 
Pertanto, poich� il Pubblico Ministero, per le azioni che � legittimato 
a proporre o rispetto alle quali � necessario o (per sua iniziativa) facoltativo 
contraddittore, sta in giudizio a mezzo dei suoi uffici e organi 
istituiti presso l'Ufficio al quale appartiene il giudice davanti al quale 
l'azione � portata (artt. 70 e seguenti dell'ordinamento giudiziario), quando 
l'azione promossa dal procuratore generale presso la Corte dei conti, 

o di cui esso sia parte, � per qualunque ragione discussa davanti alla 
Corte di cassazione, il relativo esercizio, attivo e passivo, rientra nelle 
attribuzioni del procuratore generale che presso la Corte di cassazione 
appunto rappresenta il Pubblico Ministero e per esso sta in giudizio. 
La rilevata nullit� e inammissibilit� della costituzione dell'Avvocatura 
Generale dello Stato, va peraltro osservato, esaurisce in se stessa 
i suoi effetti e non comporta altra conseguenza che l'inammissibilit� del 
presentato controricorso, perch� il rapporto processuale � stato bene 
istituito in confronto del legittimato procuratore generale presso la Corte 
dei conti, essendo stato ad esso personalmente e nel suo ufficio notificato 
il ricorso, e nel giudizio di cassazione esso essendo presente a mezzo 
del procuratore generale requirente in udienza. 

Ci� premesso, si osserva che con la decisione impugnata, sul presupposto 
del carattere generale, ed esclusivo, della competenza giurisdizio� 
nale per le materie di contabilit� pubblica attribuita alla Corte dei 
conti dall'art. 103, secondo comma, della Costituzione, � stato considerato 
che in tale materia rientra anche l'amministrazione e gestione degli 
enti pubblici anche diversi dallo Stato, e in particolare quella dell'Istituto 
per lo sviluppo economico dell'Italia meridionale -ISVEIMER 
ancorch� operante nei modi di impresa di diritto privato nel settore 


f� 


PARTE I, SEZ. Hl, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

del credito, concorrendo al riguardo gli elementi essenziali, e sufficienti, 
della personalit� di diritto pubblico e della qualificazione pubblica del 
denaro gestito con destinazione a interessi propri della collettivit�, in 
quanto rivolti a promuovere lo sviluppo economico del Mezzogiorno; e 
conseguentemente � stato affermato che rientra nell'anzidetta sfera di 
competenza giurisdizionale della Corte di conti il giudizio di responsabilit� 
promosso contro l'ex presidente dell'ISVEIMER in base ad addebito 
di avere causato danno patrimoniale a tale istituto mediante l'ordinazione 
del pagamento di determinati compensi al suo direttore generale. 

~'ISVEIMER, con il proposto ricorso, nega anzitutto che possa ricondursi 
alla �nozione di contabilit� pubblica la propria attivit� di gestione, 
in qualit� di ente pubblico economico, di una impresa di credito 
operante secondo criteri e con strumenti di diritto privato, in condizioni 
di parit� con ogni altro imprenditore presente nello stesso settore economico, 
e mirante immediatamente al fine del perseguimento di lucro, 
e sqltanto in via mediata alla soddisfazione di interessi e bisogni di cui 
� portatore lo Stato, e sostiene doversi escludere che tale attivit� imprenditoriale, 
quand'anche in parte finanziata dalla Cassa per il Mezzogiorno, 
e per ci� dallo Stato, comporti gestione di beni o denari pubblici, 
sotto il profilo dell'appartenenza o della destinazione, e doversi invece 
riconoscere che essa, per il modo di esercizio e per le immediate finalit�, 
si realizza attraverso il maneggio di beni e denari di indole squisitamente 
privatistica, con conseguente diniego, per difetto dell'imprescindibile presupposto 
di carattere. oggettivo, dell'assoggettamento alla giurisdizione 
della Corte dei conti dei giudizi di responsabilit� per danni, arrecati 
dagli amministratori di simile impresa all'ente che ne � titolare, nell'esercizio 
delle loro funzioni. 

Tali deduzioni, in conformit� con le conclusioni del procuratore 
generale requirente in udienza, debbono per quanto di ragione accogliersi. 

In relazione rileva anzitutto che (per le ragioni medesime ampiamente 
esposte, al riguardo dell'analogo Istituto regionale per il finanziamento 
alle industrie in Sicilia -IRFIS, con la precedente sentenza di 
queste Sezioni unite, 2 marzo 1982, n. 1282), certamente l'ISVEIMER 
rientra nella diversificata categoria degli enti pubblici economici gestori 
di impresa, in quanto -se pure per gli speciali fini di interesse generaili 
per cui fu costituito (con r.d. 3 giugno 1938, n. 833) e poi definitivamente 
ordinato (con legge 11 aprile 1953, n. 298) -istituzionalmente 
opera in regime di concorrenza e in condizione di piena parit� (anche 
per ci� che attiene alla vigilanza e ai controlli, per cui � sottratto a 
interventi della Corte dei conti; art. 13, legge 21 marzo 1958, n. 259, e 
artt. 1 e 30 legge 20 marzo 1975, n. 70) con ogni altro soggetto attivo 
nel particolare settore economico, nel campo del credito mobiliare industriale 
a medio termine, mediante impresa gestita per il conseguimento 
di lucri, se pure destinati a particolari impieghi, organizzata, per tale 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

attivit� e per i rapporti con il personale addettovi (art. 1 legge 20 marzo 
1975, n. 70) e con i terzi clienti, secondo criteri e moduli tipicamente 
privatistici (soggetta in via di principio alla comune disciplina di ogni 
impresa (artt. 2093 e 2201, e in relazione a quest'ultimo, art. 2195, secondo 
comma, del codice civile). 

Ci� posto, deve verificarsi se spetti alla Corte dei Conti giudicare 
delle responsabilit� per danni patrimoniali arrecati a un ente pubblico 
economico da atto o fatto connesso alla gestione della sua impresa 
posto in essere da funzionario o impiegato nell'impresa e per l'impresa 
operante, nell'esercizio della mansione al riguardo commessagli; deve 
ci� verificarsi, nel certo difetto di diverso titolo di attribuzione della 
particolare potest� giurisdizionale, se l'attivit� imprenditoriale dell'ente 
pubblico economico attenga alla materia della contabilit� pubblica per 
cui a norma dell'art. 103, secondo comma, della Costituzione -secondo 
consolidata interpretazione della Corte costituzionale e di queste Sezioni 
unite -la Corte dei conti ha giurisdizione generale, o tendenzialmente 
generale (ancorch� non riservata con carattere di esclusivit�). Invero, 
appunto nell'ambito della giurisdizione in materia di contabilit� pubblica 
rientrano i giudizi di responsabilit� contabile o amministrativa, 
~econdo regola desumibile dalla legge sulla contabilit� generale e sull'amministrazione 
del patrimonio dello Stato (r.d. legisl. 18 novembre 
1923, n. 2440) e delle leggi sulla Corte dei conti (t.u. 12 luglio 1934, n. 1214 
e r.d. 13 agosto 1933, n. 1038). 

Nella decisione impugnata (con richiamo di precedenti pronunce di 
queste Sezioni unite) si fa riferimento agli elementi, rispettivamente 
soggettivo e oggettivo, del rapporto per il quale il problema si pone, 
costituiti dalla personalit� di diritto pubblico dell'ente che vi � coinvolto 
e dalla qualificazione pubblica del denaro (o bene che come 
oggetto o mezzo del danno viene in rilievo), la relativa ricorrenza assumendo 
a ragione e condizione della competenza giurisdizionale della 
Corte dei conti. 

Peraltro (come gi� rilevato nella pi� volte ricordata sentenza 2 marzo 
1982, n. 1282, che costituisce l'unico specifico precedente sulla questione) 
il concorso degli anzidetti elementi, se pure imprescindibile, non 
� per s� solo sufficiente a fondare un giudizio. 

La nozione di contabilit� pubblica, cert�mente differenziata quand'anche 
legislativamente non definita, non pu� invero intendersi se non 
con riferimento al costituito sistema normativo pubblicistico che, per 
lo Stato e per altri enti pubblid minori, territoriali e non, tipicamente 
regola i modi di acquisizione, gestione, impiego e conservazione dei 
mezzi finanziari mediante i quali l'ente pubblico persegue e realizza i 
propri fini istituzionali, nonch� i controlli sui comportamenti e le atti



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

vit� al riguardo dovuti o concretamente posti in essere dai soggetti che 
quei mezzi, sotto i profili e per i fini indicati, amministrano. 

E appunto nell'ambito di tale complesso sistema storicamente sorge, 
e tuttavia � espressamente regolato, l'istituto della responsabilit� contabile 
o amministrativa di cui all'indagine, che da esso trae ragione e 
giustificazione della discriminata disciplina rispetto alla comune matrice 
della responsabilit� civile, per l'aspetto sostanziale e per gli aspetti formali; 
in particolare per l'assoggettamento alla speciale giurisdizione della 
Corte dei conti -certamente all'origine collegato e coordinato alla 
funzione tipica di controllo alla Corte propria, e tuttavia finalisticamente 
a tale funzione intuitivamente connesso, per considerazione della specifica 
qualificazione dell'organo di controllo in ordine al giudizio di valutazione 
della rispondenza, e dei limiti della non rispondenza, dei comportamenti 
e delle attivit� sottoposti al v:aglio giurisdizionale al modello 
normativo, nonch� in ordine all'apprezzamento dei relativi effetti dannosi. 

Oltre agli elementi anzidetti, della personalit� di diritto pubblico 
dell'ente interessato e della qualificazione pubblica del denaro o bene 
che viene in considerazione, pertanto, costituisce ulteriore indeclinabile 
presupposto della giurisdizione della Corte dei conti in ordine ai giudizi 
di responsabilit� l'esistenza di norme del sistema da cui nei sensi chiariti 
si deduce la nozione di contabilit� pubblica che prefigurino uno 
schema di comportamento, nell'esercizio della propria funzione, del 
soggetto sottoposto a giudizio. 

Ci� � certamente per lo Stato e per gli enti pubblici non economici 
-in ipotesi anche mediante la gestione di una pubblica impresa 
istituzionale -per la diretta immediata realizzazione degli istituzionali 
fini di interesse generale, con attivit� per ogni aspetto tipicamente e precisamente 
regolata, e rigidamente sottoposta a controllo; e invece non � 
per gli enti pubblici economici, al riguardo dell'attivit� imprenditoriale 
esercitata. 

Per le ragioni per cui se ne � ritenuta necessaria la costituzione 
a fini di indirizzo e regolazione dell'economia generale nel generale 
interesse della collettivit� nazionale, infatti, gli enti pubblici economici 
gestori di impresa intervengono e operano nei diversi settori del commercio 
per la produzione o lo scambio di beni o servizi in normale 
regime di parit� e concorrenza con ogni altro imprenditore privato, 
con eguale organizzazione di mezzi (personali ed economici) e con attivit� 
alla quale il parametro del sistema di contabilit� pubblica non si 
addice, ed anzi ripugna perch� �, e deve essere esplicata in eguali 
forme e mediante eguali strumenti giuridici, e, salve le incompatibilit� 
indotte dalla istituzionale natura, egualmente assoggettate alla comune 
disciplina dell'imprenditore e dell'impresa di diritto privato. E certamente 
il perseguimento di ricchezze attraverso la gestione dell'impresa 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

(lo scopo di lucro), tipico dell'impresa privata, non contrasta con le 
finalit� proprie dell'ente pubblico economico: che anzi � coessenziale 
al prescelto tipo di sua organizzazione, per cui l'attivit� imprenditoriale 
� strumentale rispetto all'interesse generale avuto di mira, perch� l'oggettiva 
utilit� dell'impresa, o almeno la sua non passivit�, esprime l'adeguatezza 
dell'ente alle ragioni della sua costituzione e. ne garantisce e 
giustifica l'esistenza, non potendo in via di principio, per intuitive ragioni, 
una attivit� svolta per il vantaggio della collettivit� �risolversi in suo 
danno. 

L'attivit� imprenditoriale dell'ente pubblico economico, quindi, per le 
chiarite caratteristiche strutturali e funzionali, esula dalla materia della 
contabilit� pubblica, e non �, e non pu� ritenersi regolata dal menzionato 
sistema normativo a quella materia pertinente -cos� come � sottratta 
ai controlli nel suo ambito previsti e disciplinati (omissis). 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 gennaio 1983, n. 320 -Pres. Tambur


rino -Rel. Lo Surdo -Amministrazione poste e telecomunicazioni 

(avv. Stato Stipo) c. Orlando (avv. D'Agostino). 

Lavoro -Infortuni -Diritto alla rendita -Dipendenti P.T. addetti agli 
uffici � Condizioni. 

I dipendenti dell'Amministrazione poste e telecomunicazioni �in servizio 
presso uffici amministrativi o contabili, sono coperti dall'assicurazione 
contro gli infortuni sul lavoro e possono pretendere la relativa rendita 
unicamente nel caso che esplichino, anche se in parte e in via transitoria, 
attivit� che sia ricompresa in quelle tutelate in connessione con 
un rischio specifico collegato col servizio da rapporto etiologico. (1) 

(omissis) Col primo motivo, deducendo violazione degli artt. l, 4 e 
190 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124; 1 legge 21 dicembre 1955, n. 1350; 1 legge 
6 dicembre 1971, n. 1034; 112, 115, 359 cod. proc. civ., la ricorrente Amministrazione 
si duole: 1) che la Corte d'appello non si sia pronunciata in 
punto di giurisdizione, nonostante esplicita richiesta proposta in appello; 
2) che non abbia tenuto conto che l'art. 1 ultimo comma legge 1955, 

n. 1350 esclude dall'assicurazione obbligatoria il personale dell'Amministrazione 
delle poste e telecomunicazioni il quale, al momento dell'infortunio 
sul lavoro, esplichi funzioni amministrative e contabili; 3) che il 
t.u. 1965, n. 1124 all'art. 1 considera coperti dai benefici assicurativi sola(
1) L'art. 170 n. 2 d.P.R. 30 giugno 1965, n. <1124 (testo unico delle disposizioni 
per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie 
professionali) estende la tutela assicurativa � anche �ai dipendenti dello 
Stato e delle Ailiende autonome dello Stato �. 
Ci� non significa per� che tutto il personale deve ritenel'si coperto dall'assicurazione 
infortunistica. 

E infatti � stato pi� volte affermato che per potersi prospettare l'indennizzabilit� 
dell'infortunio sul lavoro � necessario che l'evento si ricolleghi ad un 
rischio non estraneo all'esecuzione dell'attivit� lavorativa, vale ,a dire insito 
nella prestazione del lavoratore (rischio vero e proprio) e tale da creare per 
l'attivit� imposta un carattere di particolare pericolosit� (v. Cass., 4 ottobre 
1974, n. 2583). 

E ancora � stato precisato che �l'espressione "occasione di lavoro" nella 
legislazione infortunistica, non deve essere intesa in senso lato s� da poter 
comprende11e in essa qualsiasi evento, che abbia un collegamento meramente 
marginale indiretto con l'attivit� del prestatore d'opera oppure un semplice 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

890 

mente i soggetti che siano comunque occupati in opifici, laboratori ovvero 
in ambienti organizzati per lavori che comportino impiego di macchine, 
apparecchi e �impianti; 4) che l'Orlando esplicava mansioni puramente 
amministrative in qualit� di ufficiale postale dell'ufficio Galati-Mamertino, 
con esclusione di compiti esecutivi o manuali. 

Col secondo motivo di ricorso l'Amministrazione sostiene che, in 
ogni caso, l'attivit�, nel corso della quale avvennero i due incidenti, non 
si riconnetteva ad un rischio specifico, ma che l'evento dannoso era collegato 
col lavoro da un mero rapporto cronologico e topografico. 

Entrambi i mezzi tra loro connessi e complementari sono fondati, 
per quanto di ragione. 

Deve premettersi che non ha pregio la censura afferente alla omessa 
pronuncia sulla giurisdizione, dacch� la Corte messinese, affrontando il 
merito della causa, si � implicitamente pronunciata sulla propria potestas 
indicandi. 

Trattandosi poi di causa previdenziale � incontrovertibile la competenza 
giurisdizionale dell'A.G.O., configurandosi posizioni di diritto soggetitvo 
tutelabili (contr. Sez. Un., 1962 n. 2602; 1978 n. 5332; 1979 n. 5278). 

Detta competenza involge anche i dipendenti-impiegati delle Amministrazioni 
delle PP.TT. addetti a lavori esecutivi postali, in quanto la 
giurisdizione del giudice amministrativo � venuta meno sin dall'entrata 
in vigore della speciale normativa (r.d. 1938, n. 1275 e legge 1955, n. 1350), 
la quale ha esteso alla categoria in parola l'applicazione delle disposizioni 
di carattere processuale e sostanziale della legge sull'assicurazione obbligatoria 
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ex r.d. 
1935 n. 1765 (cfr. in termini Sez. Un. 1962 cit.), principio che, alla luce 
delle nuove norme sulle cause previdenziali dopo l'entrata in vigore della 
legge 1973 n. 533, � stato riaffermato da queste sezioni unite (confr. Cass., 
1979, n. 5278). 

rapporto cronologico o topografico con il lavoro, occorrendo invece che �lavoro 
e sinistro siano collegati da un nesso di derivazione eziologica, nel senso che 
il rischio e l'evento dipendano da un atto intrinseco di lavoro o di un servizio 
connessi alle finalit� dell'impresa� (Cass., 7 settembre 1974, n. 2430). 

Se quindi � vero che i dipendenti statali hanno diritto alle prestazioni previdenziali 
di cui alla legge sugli .infortuni sul lavoro e che l'Amministrazione 
a tal fine assume la veste�di Istituto assicuratore (v. art. 127 t.u. cit.) con tutte 
le conseguenze relative, tra cui la giurisdizione del giudice del lavoro, tuttavia 
la tutela assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro a favore dei 
dipendenti dello Stato � subordin�ta alla ricorrenza delle condizioni subiettive 
e obiettive dal t.u. 30 giugno 1965, n. 1124. 

E, come la Cassazione ha puntualizzato (22 aprile 1974, n. 1132) sono soggette 
all'assicurazione infortunistica le persone che per ragioni di lavoro hanno 
l'occasione di frequentare locali dove agiscono macchine. 

In tale categoria non pu� essere compreso il personale di concetto e diret� 

tivo degli Uffici che non � addetto ad operazioni manuali. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 891 

Peraltro, risultano solo in parte esatti i rilievi della difesa della 
ricorrente sui limiti generali della copertura assicurativa, come precisati 
dagli artt. 1 r.d. 1938 n. 1275 e 1 legge 1955 n. 1350, nel senso che 
dovrebbero essere compresi nell'assicurazione de qua unicamente gli 
impiegati addetti a lavori postali esecutivi o manuali, con esclusione del 
personale occupato negli uffici amministrativi e contabili. 

Ed � sul punto di questa esclusione intesa in senso cos� assoluto, che 
non pu� essere condivisa, alla luce della nuova disciplina (t.u. 1965, n. 1124), 
la tesi dell'Amministrazione. 

Il testo unico, in argomento, ha, infatti, ampliato l'ambito di operativit� 
dell'assicurazione alla categoria impiegatizia e ha regolato la materia 
ad essa inerente in un complesso organico e onnicomprensivo di 
norme (titolo I) disciplinando le attivit� protette (art. 1), le persone assi-
curate (art. 4) e, nell'estendere l'assicurazione ai dipendenti dello Stato 
e delle aziende autonome (art. 190), ha disposto che deve trattarsi di attivit� 
� manuale esecutiva � anche se svolto � in parte e in via transitoria � 
da personale impiegatizio, neLcorso. del sei:yizfo, che esplichi lavoro retribuito 
ovverosia che, senza parteciparvi, nondimeno sovraintenda all'attivit� 
esecutiva di altri (art. 4 n. 2), derogandosi cos� al limite previsto 
dall'art. 1 ultimo comma legge 1955 n. 1350 escludente dai benefici gli 
impiegati postali addetti agli uffici amministrativi e contabili (limite anacronistico 
in relazione alla struttura degli uffici stessi c;love possono essere 
fastallati impianti o altro). 

In sostanza, dal coordinamento della normativa ex lege 1955 n. 1350 

�con il cennato testo unico si ricava che gli impiegati delle Poste e Telecomunicazioni 
quando esplichino, anche se in parte e in via transitoria 
(art. 1 t.u.), attivit� esecutive ovvero ad esse sovraintendono, ancorch� 
siano in servizio presso uffici amministrativi o contabili, sono coperti 
dall'assicurazione e, nell'ipotesi di accertato infortunio sul lavoro, possono 
_pretendere la rendita relativa. 
Da quanto esposto deriva che l'indagine da svolgere dalla Corte del 
merito doveva essere indirizzata a stabilire in concreto il tipo di attivit� 
�espletata dall'ufficiale postale Orlando nell'esercizio delle sue mansioni, 
e ci� al fine di accertare, in relazione alle molteplici incombenze del suo 
ufficio, se essa attivit� fosse o meno ricompresa in quelle tutelate in connessione 
con un rischio specifico collegato col servizio da rapporto 
etiologico. 

Ebbene, come giustamente ha denunziato la difesa dell'Amministrazione, 
su tale punto decisivo della controversia il difetto di motivazione 
� di tutta evidenza perch� l'impugnata decisione ha, del tutto, trascurato 
l'accertamento, -sollecitato espressamente in appello -in ordine ai 
limiti della copertura assicurativa nella fattispecie concreta, limitandosi 
.sic et simpliciter a fare proprie le conclusioni della consulenza tecnica 


892 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

d'ufficio e liquidand� all'Orlando la rendita da invalidit� permanente 
nel 14 % a carico dell'Amministrazione. 

Questa indagine pertanto dovr� essere svolta, compiutamente, dal 
giudice di rinvio in aderenza alle disposizioni sopra ricordate e ai criteri 
esegetici enunciati. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 giugno 1983, n. 3952 -Pres. Mazzacane -
Rel. Gualtieri -P. M. Catalani-Armenante (avv. Di Majo) c. Ministero 
lavori pubblici (avv. Stato Santoro). 

Espropriazione per p.u. � Occupazione -Occupazione d'urgenza -Edilizia 
scolastica -Rapporti tra Ministero dei LL.PP. e Amministrazioni 
provinciali -Schema dell'affidamento in concessione. 

I programmi di edilizia scolastica previsti dalla legge 28 luglio 1967, 

n. 641, pur contemplando ampi interventi dello Stato, pongono tuttavia in 
primo piano la posizione delle Province, dei Comuni, .e degli altri enti 
interessati. Pertanto .il rapporto tra il Ministero dei LL.PP. e i suddetti 
enti territoriali va sussunto sotto lo schema dell'affidamento improprio, 
assimilabile alla delegazione amministrativa intersoggettiva. (1) 
Ove il privato deduca l'illegittimit� di un provvedimento di occupazione 
temporanea d'urgenza, l'identificazione del legittimato passivo va 
effettuata con riferimento al soggetto che abbia posto in essere il fatto 
causativo del danno e, cio�, concretamente attuato l'occupazione stessa, 
e non gi� con rif eri.mento al soggetto che abbia chiesto ed ottenuto il 
decreto autorizzativo dell'occupazione. (2)

, 

(omissis) Con unico motivo, denunziando violazione degli artt. 1362, 
2043, 2727 cod. civ.; 20 legge 20 ottobre 1971, n. 863; 1131, 115, 113, e 116 
cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 stesso codice, i ricorrenti 
deducono che la Corte del merito, affermando che l'effettiva occupante 
delle aree di propriet� degli stessi era stata la provincia di Salerno, donde 
il difetto di legittimazione passiva dell'Amministrazione dei LL.PP., ha 
inesattamente a falsamente applicato le norme e i princ�pi concernenti 
l'interpretazione degli atti amministrativi in materia di edilizia scolastica, 

(1) Sulla prima massima, cfr. esattamente in termini, Cass., 22 maggio 1980, 
n. 3364, in Rep. Foro Italiano, 1980, voce Sicilia, n. 32. 
{2) Sulla seconda massima cfr. (tra le sentenze citate in motivazione), 
Cass., 23 febbraio ,1979, n. 1206, in Rep. Foro Italiano, 11979, voce Espropriazioni 
per pubblico interesse, n. 154; Cass., 4 luglio 1979, n. 3780, ivi, 1980, n. 161; Cass., 
15 dicembre 1980, n. 6494, ivi, n. 325. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

le presunzioni e la responsabilit� aquiliana, e posto a fondamento della 
decisione atti e circostanze estranei, irrilevanti e inesistenti. 

La Corte del merito, secondo i ricorrenti, ha richiamato il decreto 
20 �febbraio 1971, n. 971, di approvazione del progetto esecutivo e di 
affidamento in concessione alla Provincia di Salerno della esecuzione 
dell'opera scolastica, i verbali di presa di possesso del 3 marzo 1972, il 
verbale 15 marzo 1972 di consegna dei lavori dalla provincia all'appaltato� 
re e il decreto di espropriazione del 30 novembre 1978, n. 1420. 

Sostengono, invece, i ricorrenti, diversamente da quanto hanno ritenuto 
i giudici di appello, che questi avrebbero dovut� rilevare: che l'occupazione 
dell'area fu attuata in esecuzione del decreto del prefetto di 
Salerno; che la partecipazione ai verbali di occupazione da parte di un 
funzionario della provincia non poteva indurre a ritenere che l'occupazione 
fosse stata attuata dall'Amministrazione provinciale, e che il funzionario 
del Genio civile vi fosse intervenuto per dare l'assenso all'immissione 
in possesso della provincia. 

Inoltre, il procedimento di occupazione era autonomo e indipendente 
da tutti gli altri, posti in essere per la realizzazione dell'opera pubblica 
(prospettazione, affidamento in concessione, espropriazione), aveva natura 
formale ed era destinato ad incidere sulle posizioni soggettive dei 
ricorrenti. 

Infine, nessuna rilevanza, ai fini dell'occupazione, potevasi attribuire 
al decreto 20 febbraio 1971 di approvazione del progetto ed affidamento 
in concessione alla provincia dell'esecuzione dell'opera, essendosi in presenza 
di un atto estraneo e non collegato al procedimento di occupazione, 
promosso successivamente in nome proprio dall'Amministrazione statale, 
la quale aveva agito autonomamente, trattandosi di opera pubblica a suo 
totale carico. 

Anche il verbale 15 marzo 1972, con cui l'Amministrazione provin� 
ciale aveva consegnato i lavori all'appaltatore era estraneo, secondo i 
ricorrenti, al procedimento di occupazione. 

La complessa censura � priva di fondamento. 

Devesi, anzitutto, rilevare che l'opera pubblica in questione � stata 
eseguita nel quadro dei programmi di edilizia scolastica previsti dalla 
legge 28 luglio 1967, n. 641, i quali, pur contemplando ampi interventi 
dello Stato, pongono, tuttavia, in primo piano la posizione delle province, 
dei comuni e degli altri enti interessati (i quali sono tenuti a fornire le 
aree per le costruzioni), che, altrimenti, sono acquistati dallo Stato, con 
diritto al rimborso della relativa spesa e inoltre possono ottenere I'� affidamento 
� in concessione delle opere (art. 16, primo comma, della legge 
in esame), le quali passano, comunque, in loro propriet� (art. 24, terzo 
comma). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La Corte del merito, premesso quanto sopra, ha rilevato che, risulta 
dall'esibita documentazione: a) a seguito di due delibere del Consiglio 
provinciale di Salerno, il Provveditorato alle opere pubbliche per la 
Campania approv� il progetto esecutivo redatto dalla provincia e affid� 
a questa in concessione l'opera; b) con decreto 12 gennaio 1972 il prefetto 
di Salerno autorizz� l'occupazione d'urgenza dei fondi in oggetto a favore 
del Genio civile; e) il 3 marzo 1972 furono redatti i verbali di presa di 
possesso dei fondi, cui furono presenti un funzionario della provincia di 
Salerno e uno del Genio civile; d) il 15 marzo successivo l'Amministrazione 
provinciale consegn� i lavori all'impresa appaltatrice; e) con decreto 
in data 30 novembre 1978, il prefetto di Salerno pronunci� l'espropriazione 
del terreno a favore della provincia di Salerno. 

In particolare, la Corte del merito ha concluso che risultava in modo 
indubbio che l'occupazione di urgenza, anche se autorizzata su istanza del 
Genio civile e a favore del medesimo, fu, in realt�, attuata dall'Amministrazione 
provinciale, la quale aveva avuto in affidamento la concessione 
dell'opera; aveva preso' possesso dei fondi e li aveva consegnati all'impresa 
appaltatrice per l'esecuzione dei lavori. 

Orbene, la Corte del merito, dovendo decidere quale fosse il soggetto 
passivamente legittimato in relazione alla domanda di risarcimento dei 
danni derivanti dall'occupazione illegittima ultrabiennale, ha correttamente 
ritenuto, con giudizio di fatto insindicabile in questa sede, per avere 
a supporto una motivazione adeguata ed esente da vizi logici e da errori 
giuridici, che il rapporto intervenuto fra il Ministero dei LL.PP. e la provincia 
di Salerno doveva sussumersi sotto lo schema paradigmatico dell'affidamento 
in concessione dell'opera, avendo detto Ministero attribuito 
alla Provincia ogni potere relativo all'esecuzione della stessa. Va, peraltro, 
precisato che trattasi di affidamento improprio, in quanto il Ministero 
dei LL.PP. ha attribuito alla provincia ogni potere relativo all'esecuzione 
dell'opera per cui tale affidamento � assimilato alla delegazione 
amministrativa intersoggettiva (cfr. sent. 22 maggio 1980, n. 3364). 

In definitiva, i giudici d'appello hanno applicato il principio, affermato 
da questa Corte, secondo cui, qualora il proprietario di un fondo 
agisca per il ristoro del danno derivantegli dall'esecuzione di un provvedimento 
di occupazione temporanea d'urgenza, deducendo l'illegittimit� 
di tale esecuzione, per difetto di valido titolo, l'identificazione del legittimato 
passivo va effettuata, non gi� con riferimento al soggetto che abbia 
chiesto ed ottenuto il decreto autorizzativo dell'occupazione, ma a quello 
che abbia posto in essere il fatto causativo del danno e, cio�, concretamente 
attuato l'occupazione stessa (cfr. le sent. di questa Corte 15 dicembre 
1980, n. 6494; 4 luglio 1979 n. 3780; 23 febbraio 1979, n. 1206; 26 aprile 
1977, n. 1577; 7 agosto 1972, n. 2640). (omissis). !:: 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 895 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 2 luglio 1983, n. 4452 -Pres. Bonelli 
-Rel. Ragone -P. M. Iannelli -Ministero del tesoro -Ufficio liquidazione 
ex INAM (avv. Stato Fiengo) c. Panisi Osanna (avv. Agostini). 


Lavoro -Braccianti agricoli -Indennit� di maternit� � Requisiti -Instaura� 
zione di un valido rapporto assicurativo -Maturazione delle 51 giornate 
lavorative -Necessit�. 

Il diritto all'indennit� di maternit� in favore delle braccianti agricole 
sorge sulla base dello stato di gravidanza e della qualit� di lavoratrice 
agricola desunta dagli elenchi anagrafici in base al compimento di 
un minimo di 51 giornate lavorative: quest'ultimo requisito rappresenta 
il fondamento di tale particolare tipo di assicurazione. (1) 

(1) Cfr. Cass., 12 settembre 1981, n. 5083, Giust. civ., 1981, I, 2853 ss. con 
nota di ampi richiami, nonch� Cons. Stato, 28 aprile 197�8, n. 479, in Riv. lt. 
Prev. Soc., 11979, 496 con nota di GIORGI, Sul diritto all'assistenza di malattia 
per i lavoratori agricoli subordinati. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 novembre 1983, n. 6628 � Pres. Mazzacane 
-Rel. Lipari � P. M. Martinelli (conci. parz. diff.) -Regione Abruzzo 
(avv. Stato Fiorilli) c. Candeloro Francesco (avv. Rinaldi). 

Caccia � Esercizio in luogo vietato -Verbale di contravvenzione � Pubblica 
fede � Limiti. 

Caccia � Esercizio in luogo vietato � Sequestro dell'arma -Efficacia del 
� provvedimento � Durata. � 
(cod. civ .. art. 2700; artt. 28, 32 e 33 legge 27 dicembre 1977, n. 968). 

Il verbale elevato dagli agenti forestali nel quale trovasi attestato un 
determinato fatto costituente esercizio di caccia in luogo precluso in 
quanto bandita demaniale fa fede sino a querela di falso, ai sensi dell'art. 
2700 cod. civ., anche per quanto attiene alla localizzazione della 
contestata infrazione all'interno della zana preclusa; non nel senso che 
occorra la querela di falso per dimostrare che la localit� non si trova 
all'interno della bandita, bens� nel senso che, solo previa proposizione 
della querela di falso, pu� provarsi che detta localit� sia diversa da quella 
attestata nel verbale. (1) 

(1) Sulla efficacia probatoria privilegiata dell'atto pubblico in generale, 
cfr. Cass., 24 aprile ,1979, n. 2334; Cass., 18 maggio 1979, n. 2857; Cass., 5 novembre 
1979, n. 5712; Cass., 14 luglio 1981, n. 4608, citate in motivazione; in particolare 
per quanto attiene ai rapporti e ai verbali della polizia giudiziaria cfr. 
Cass., 17 maggio 1982, n. 3057, anch'essa citata in motivazione. 

896 RASSEGNA DELL'AVVOCATU'M DELLO STATO 

Il sequestro dell'arma al cacciatore, disposto ai sensi dell'art. 28 
della legge 27 dicembre 1977, n. 968, non perde la sua efficacia a seguito 
della proposizione dell'opposizione da parte del contravventore, ma la 
conserva finch� non passa in giudicato la pronuncia che accerti l'illegittimit� 
della sanzione amministrativa ovvero fino alla completa estinzione 
della relativa obbligazione e di quella per spese giudiziali ed 
accessori. (2) 

(omissis) 1. -Si discute in causa della legittimit� dell'ordinanza 
ingiunzione riguardante la infrazione della normativa sulla caccia esercitata 
all'interno di una riserva, secondo la esplicita e tassativa attestazione 
delle guardie forestali che hanno effettuato la contestazione; nonch� 
della rispondenza a legge del provvedimento di dissequestro dell'arma 
del cacciatore emesso dal pretore. 

Dalla sentenza del pretore, redatta con stile involuto ed oscuro, si 
ricava, come si � cercato di mettere in evidenza nella narrazione che 
precede, che quel giudice si form� H convincimento che non rispondesse 
al vero la circostanza che il ricorrente avesse esercitato attivit� venatoria 
nella zona indicata nel verbale di accertamento, essendosi, invece; 
trovato al di fuori della bandita di caccia; e ci� alla stregua della planimetria 
catastale e dell'escussione di due testi, senza peraltro far cenno 
nella motivazione al contenuto delle relative testimonianze (per cui si 
ignora in qual modo costoro abbiano potuto osservare sotto giuramento 
che il cacciatore era stato sorpreso all'esterno e non all'interno della 
bandita). Osserva il pretore che non era stato esibito il provvedimento 
istitutivo della bandita (senza, peraltro, trarne illazioni circa l'estensione 
della bandita stessa); che le mappe non erano state contestate dall'ispettorato; 
e che le tabelle indicative del divieto di caccia erano state apposte 
nella zona in modo � frammentario � e quindi non regolarmente. 

Rispetto all'infrazione di caccia in zona di divieto sorgono essenzial


mente tre problemi: quello della individuazione della zona cui il divieto 

si riferisce; l'altro della localizzazione all'interno o all'esterno della han-

dita, del punto in cui il cacciatore � stato sorpreso; ed, infine, quello rela


tivo alla conoscibilit�, da parte del cacciatore medesimo, della circo


stanza di essersi inoltrato in zona vietata. 

Mentre d� luogo ad una questione di diritto lo stabilire se, rispetto 

ad una data zona (topograficamente individuata con sicurezza), sussista 

(2) Non constano precedenti specifici del S.C.; la decisione appare meritevole 
di segnalazione sia per la sua novit� nel tema delle misure cautelari 
nel campo delle sanzioni amministrative sia per l'esatta puntualizzazione dei 
rapporti intercorrenti tra la normativa speciale sulla caccia (legge 27 dicembre 
1977, n. 968) e la successiva legge generale di depenalizzazione (nonch� 
di c.d. miniriforma penale) 24 novembre 1981, n. 689. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

un valido divieto di caccia; costituisce mera questione di fatto la localizzazione 
del punto nel quale venga esercitata la caccia in zona preclusa 
giuridicamente ad attivit� venatoria. 

Nel caso di specie la linea di attacco al verbale di contestazione dell'infrazione 
� stata duplice, anche se � mancata la chiara sottolineatura 
in sentenza della � incompatibilit�� dei due profili, e quindi della loro 
necessaria subordinazione. Si � sostenuto, innanzitutto, che, contrariamente 
alla attestazione contenuta nel verbale di contestazione dell'illecito 
amministrativo, il cacciatore venne sorpreso non all'interno della 
bandita, ma all'esterno (posizione questa che presuppone il riconoscimento 
della bandita, come zona giuridicamente preclusa all'attivit� venatoria; 
la sua localizzazione entro non controversi confini; la precisa identificazione 
del luogo in cui le guardie forestali incontrarono i cacciatori). 
Si assume, peraltro, ulteriormente che, stante la inesistenza alla approvata 
tabellazione, i cacciatori non si avvidero di avere attraversato il confine 
della riserva, all'interno della quale si trovavano quando vennero 
sorpresi senza che la circostanza potesse essere loro addebitata perch� 
la mancanza di recinzione o di tabelle opportunamente collocate, imped� 
loro di accorgersi che si stavano inoltrando nella riserva. 

Il Pretore, di fronte ad un verbale in cui dei pubblici ufficiali avevano 
attestato di avere incontrato i contravventori all'� interno� della riserva, 
non si � nemmeno posto il problema della forza probatoria (assistita da 
fede privilegiata) di tale attestazione; ed ha ritenuto che fosse consentito 
liberamente revocarla in dubbio, con qualsiasi mezzo di prova. 

Da ci� la formulazione dei primi due mezzi del ricorso con cui esattamente 
si addebita all'impugnata sentenza di avere disatteso il contenuto 
del verbale delle guardie forestali ed i fatti che costoro hanno attestato 
essere avvenuti in loro presenza (esercizio di caccia in territorio precluso 
in quanto bandita demaniale), nonostante non fosse stata presentata la 
querela di falso, strumento inprescindibile per contestare le risultanze 
del verbale medesimo, riferite a fatti direttamente contestati dai verbalizzanti 
quali pubblici ufficiali. 

2. -Il fulcro della causa sta tutto qui, nello stabilire se la pubblica 
fede, rimuovibile esclusivamente con la querela di falso, che pacificamente 
nel caso di specie non � stata presentata, copra o meno la localizzazione 
della contestata infrazione. 
Sembra al Collegio che la risposta si imponga de plano, giovando 
richiamare le alternative che si sono in precedenza ricordate. 

Se il verbale localizza, contro il vero, nell'assunto dei contravvent9ri, 
la loro posizione in un punto che si assume rientrare nell'ambito 
della riserva di caccia, costoro sono perfettamente liberi di dimostrare, 
con qualunque mezzo di prova, che la localit� non si trovava all'interno 
della bandita: ma non possono provare, se non previa proposizione della 


898 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

querela di falso, che detta localit� fosse �diversa� da quella attestata 
nel verbale. 

Al riguardo soccorrono principi giuridici assolutamente pacifici. 

L'efficacia probatoria privilegiata dell'atto pubblico, a norma dell'art. 
2700 cod. civ., concerne la provenienza del documento dal pubblico 
ufficiale che l'ha formato, ed i fatti che questi attesta essere avvenuti in 
sua presenza, o da lui compiuti (Cass., 4608/81; 2334/79; 2857/79). 

Tale efficacia, investe, cio�, tutti gli elementi considerati � estrinseci �, 
mentre il giudizio eventualmente espresso con riguardo a tali fatti non 
resta coperto dalla fede privilegiata (Cass., 5712/79). 

In particolare il verbale di accertamento di una infrazione depenalizzata 
redatto da un vigile urbano � stato riconosciuto assistito dalla pubblica 
fede, propria dell'atto pubblico, fino a querela di falso, oltre che per 
la provenienza del pubblico ufficiale che l'ha redatto, anche per quanto 
concerne le dichiarazioni delle parti, o i fatti materiali che il verbalizzante 
attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui personalmente 
compiuti. Si � pertanto ritenuto che, in difetto di querela, non pos. 
sa essere revocato in dubbio il fatto, attestato nel verbale, che un'automobile 
ha attraversato l'incrocio nonostante il semaforo rosso (Cass., 
641/79). Precedente significativo questo per impostare il ragionamento 
giuridico che ruoti sulla � consistenza probatoria di una attestazione dei 
verbalizzanti che danno atto di avere �sorpreso� i cacciatori in un dato 
luogo, e, �ritenendo la localit� inclusa nella bandita, ne traggono le doverose 
illazioni per affermare che sia stato commesso l'illecito. 

La parte, cui � stata contestata l'infrazione nel presupposto fattuale 
di una data � localizzazione � del comportamento tenuto, in sede di opposizione 
non pu� contestare la realt� del fatto addebitato, verificatosi in 
presenza del pubblico ufficiale che ne ha dato atto nel verbale di contestazione, 
se non attraverso la proposizione della indispensabile querela 
(cfr. Cass., 2226/82). 

I verbalizzanti hanno attestato di avere incontrato il cacciatore in un 
certo luogo; e questa attestazione, in difetto di querela di falso, non � 
superabile mediante il ricorso agli ordinari strumenti probatori sotto il 
segno della � comune � prova contraria. 

La Regione non si � � trincerata sull'attendibilit� del processo verbale 
di infrazione� (cos� testualmente l'impugnata sentenza), ma ha fatto 
leva, secondum legem, sulla fede privilegiata che accompagnava la � ubicazione 
� dei cacciatori al momento della contestazione dell'infrazione 
all'interno della riserva, non essendo stato revocato in dubbio che la 
localit� indicata dai verbalizzanti rientrasse nel perimetro della bandita 
di caccia. 

Di fronte a tale attestazione, ed in mancanza di querela di falso, 


non poteva negarsi che l'incontro fra guardie forestali e cacciatori fosse 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

avvenuto nel luogo indicato e la �prova�, al di fuori della proposizione 
della querela, avrebbe potuto riguardare solo la inclusione di quel � punto
� geograficamente localizzato, entro la bandita. 

Il pretore ha concluso nel senso che l'esercizio venatorio non interess� 
la �presunta� riserva posta nella localit� Val di Terra, puntualmente 
contraddicendo il contenuto del verbale della contravvenzione che contestava 
invece, all'odierno ricorrente proprio la circostanza di avere esercitato 
attivit� venatoria nella localit� �Val di Terra�, in agro del comune 
di Palana, nella propriet� dell'ASFD, bandita di caccia sotto ogni forma�. 

La violazione di principi sulla fede privilegiata dell'atto pubblico, 
non potrebbe essere pi� palese, essendo fuori discussione che il verbale 
di contestazione della infrazione depenalizzata costituisca atto pubblico, 
svolgendo gli agenti forestali funzioni di polizia giudiziaria. � appena il 
caso di ricordare che tali funzioni vennero riconosciute dalla giurisprudenza 
di questa Corte addirittura ai guardiacaccia dipendenti dai comitati 
provinciali della caccia (cfr. Cass., 1906/63). 

La giurisprudenza di questa S. C. � assolutamente unamine nel riconoscere 
che i verbali della polizia giudiziaria fanno piena fede per 
quanto concerne i fatti materiali che, il pubblico ufficiale afferma di 
avere personalmente compiuti o personalmente contestati, mentre, per ci� 
che concerne tutte le altre circostanze, detti verbali offrono al giudice 
elementi indiziari, la cui attendibilit� pu� essere distrutta da prova 
contraria (Cass., 2503/66; 2220/67; 2596/69; 2922/73; 1564/59; 3057/82). 

E nel caso di specie viene tipicamente in rilievo l'attestazione di fatti 
direttamente constatati dai verbalizzanti, e quindi coperti da fede privilegiata. 


3. -Il resistente ha avvertito la decisivit� della censura attinente alla 
mancata proposizione della querela di falso; ed obietta che nel caso di 
specie i verbalizzanti fanno delle � valutazioni � che come tali si sottraggono 
alla sfera di efficacia privilegiata. Trattasi di difesa assolutamente 
non pertinente, essendosi posto in evidenza nel precedente paragrafo che 
la identificazione del luogo in cui viene esercitata la caccia non comporta 
una valutazione, ma una puntuale constatazione di fatto, attenendo al piano 
giuridico valutativo solo l'illazione che in quel luogo fosse �vietato� 
cacciare. 
L'accoglimento del primo mezzo determina de plano l'assorbimento 
del secondo. 

4. -Resta_ da dire dell'ultimo motivo, il quale investe una statuizione 
del pretore di Lama dei Peligni che, pur muovendo concessivamente dagli 
stessi presupposti esegetici accolti, travolge principi istituzionali sulla 
funzione delle azioni cautelari e sul loro correlarsi all'azione esecutiva. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

900 

Riesce assai difficile cogliere la linea logica secondo cui si svolge 
il ragionamento del Pretore. Egli assume che intanto il sequestro dell'arma 
troverebbe giustificazione in quanto il cacciatore, cui viene contestata 
la infrazione delle norme sulla caccia, si acquieti alla sanzione e riconosca 
di dover pagare la somma di cui all'ingiunzione potendo ottenere la 
riconsegna dell'oggetto sequestrato a seguito del relativo pagamento. 
Ci� evidenzierebbe una funzione di garanzia di quel pagamento che non 
ha pi� ragione di essere se il contravventore si opponga alla ordinanza 
ingiunzione, poich� in questo modo � si verifica una inversione obbligatoria, 
di carattere prettamente civilistico; si instauva, cio�, un processo 
destinato a sfociare in una sentenza che se sfavorevole al contravventore 
costituisce titolo esecutivo per l'amministrazione ingiungente la 
quale, per la soddisfazione delle sue ragioni, si potr� avvalere dei normali 
strumenti apprestati dal processo esecutivo �. 

Orbene, poich� la ordinanza-ingiunzione non opposta costituisce essa 
stessa un titolo esecutivo, suscettibile di innestare l'esecuzione forzata, 
non si vede affatto perch� il sequestro debba venir meno nel momento 
in cui il contravventore, opponendosi, dimostra a chiare lettere di non 
voler soddisfare la propria obbligazione. 

Esattamente la difesa del ricorrente osserva che la natura di garanzia 
attribuita dalla legge, e dalla stessa interpretazione del pretore, al 
sequestro, onde assicurare il pagamento della somma dovuta, verrebbe 
completamente snaturata ove si potesse (o peggio, si dovesse) restituire 
l'arma stessa solo perch� � stata proposta opposizione. E soggiunge che 
all'istituto del sequestro, nella ipotesi discussa, non possono non essere 
applicate le norme di cui al secondo comma dell'art. 683 cod. proc. civ. 
(in base al quale esso perde la sua efficacia solo con il passaggio in giudicato 
della stessa sentenza che dichiara inesistente il diritto cui si riferisce 
la cautela) ed all'art. 684 cod. proc. civ. (in base al quale il giudice 
istruttore dispone la revoca del sequestro solo dietro prestazione di idonea 
garanzia: il che non � avvenuto nel caso di specie). 

5. -All'esame del merito del motivo si deve, tuttavia, premettere la 
confutazione di ragioni preclusive di ordine processuale, dedotte rispettivamente 
dalla parte resistente e dal P. G. 
1:. agevole sbarazzarsi del rilievo del contravventore il quale assume 
che poich� l'arma � stata �spontaneamente� restituita, ogni contesa 
in ordine al profilo della legittimit� del disposto dissequestro sarebbe 
cessata. 

Trattasi, palesemente, di una petizione di principio basata su di una 
inesatta rilevazione del dato fattuale, dal momento che la restituzione 
non fu affatto �spontanea�, ma dipese dal provvedimento di dissequestro, 
suscettibile di essere censurato in quanto adottato senza rispettare le 
norme di legge. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Pi� delicato �, invece, il problema sollevato dal procuratore generale 
il quale ha sostenuto che il relativo provvedimento avrebbe dovuto essere 
attaccato in via autonoma, richiamando le disposizioni all'uopo dettate, 
dalla legge n. 689 del 1981 (mentre nulla all'uopo disponeva la legge 

n. 706 del 1975, che costituisce la matrice processuale di applicazione 
delle sanzioni amministrative previste dalla legge sulla caccia n. 968 
del 1977). 
Gi� in prima approssimazione, a parte l'ovvio rilievo che la legge del 
1981 non viene direttamente in considerazione, come riconosce lo stesso 
requirente, che la invoca solo per trarne orientamenti di carattere generale, 
la circostanza che il pretore abbia ritenuto di dover ratificare e 
rendere pi� esplicite le ragioni giuridiche che, a suo avviso, imponevano 
il dissequestrn, rende giustificabile l'attacco mosso contro la sentenza, 
per averlo riconosciuto legittimo, ,indipendentemente dal verificarsi degli 
eventi cui si correlava la cautela, senza rispettare le linee generali che 
all'uopo emergono dal codice processuale civile, quale modello coerente 
alla struttura civilistica della opposizione (laddove il legislatore del 1981 
ha ritenuto di richiamarsi al sequestro penalistico). 

D'altra parte la stessa disciplina processuale penalistica, in aderenza 
alle finalit� garantistiche proprie del provvedimento cautelare, con salvezza 
della definitiva confisca, dispone che il sequestro � mantenuto a garanzia 
di crediti indicati nell'art. 189 del codice penale e quindi, fra l'altro, 
anche a garanzia delle pene pecuniarie e di ogni altra somma dovuta 
all'erario. 

Nel caso di specie, sino al momento in cui non viene definitivamente 
esclusa la legittimit� dell'ordinanza-ingiunzione (e quindi nonostante 
l'accoglimento della opposizione, suscettibile di impugnazione con ricorso 
per cassazione) la cautela resta in vita �finch� non venga dichiarato inesistente 
il diritto a tutela del quale � stato concesso�, vale a dire l'obbligazione 
da sanzione amministrativa, pretesa in conseguenza dell'illecito. 

Ai sensi dell'art. 32 della legge 27 dicembre 1977, n. 968, alle infrazioni 
previste dalla medesima legge sulla caccia dal precedente art. 31 si applicano 
le disposizioni della legge 24 dicembre 1975, n. 706, la quale nulla 
dispone in ordine al � sequestro �, n� specificamente si occupa di coordinare 
l'operata depenalizzazione con la sanzione accessoria della confisca, 
talora prevista dalle norme penali considerate. 

L'art. 28 della cit. legge n. 968, al comma secondo, con riferimento alle 
ipotesi di infrazione contemplate alle lettere a), b), e), d), e), f) dell'art. 31, 
che contiene l'indicazione delle sanzioni (e quindi con riguardo anche alla 
ipotesi contestata al ricorrente ai sensi della lett. d) per avere esercitato 
attivit� venatoria in zona di divieto) prescrive il sequestro delle �armi� 
e dei mezzi di caccia. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

La norma dell'ultimo comma dell'art. 33 della medesima legge n. 968, 
su cui il vice pretore di Lama dei Peligni ha fatto leva per giustificare il 
dissequestro, ha un suo ben preciso ambito applicativo, quale coerente 
corollario del procedimento di oblazione. 

Se si verifica detta oblazione, la quale comporta il pagamento, sia 
pure in misura ridotta e pi� favorevole, della sanzione, e quindi, l'estinzione 
della relativa obbligazione a carico del contravventore, la funzione 
cautelare del sequestro resta priva di causa; ed il legislatore ritiene 
che non vi sia ragione di procedere alla �confisca� definitiva dell'arma, 
salva l'ipotesi di revoca o sospensione della licenza di caccia, costituente 
il presupposto di legittima detenzione dell'arma di caccia medesima; e 
quindi ben si comprende che l'arma sia restituita al legittimo proprietario 
� previa dimostrazione della estinzione delle sanzioni amministrative
�, statuizione questa addirittura0 superflua giacch� l'oblazione, come 
si � a,ppena ricordato, si realizza con la solutio. 

Il pretore, quindi, nel sottolineare la funzio?'e garantistica del sequestro 
dice cosa ovvia, operando sicuramente anche rispetto al sequestro 
amministrativo le finalit� conservative delle garanzie patrimoniali che 
ineriscono, tanto al sequestro civilistico che a quello penalistico; e non 
occorreva al riguardo invocare .na norma sui generis la cui giustificazione 
riposa nell'essere venuta meno, a seguito della oblazione, l'obbligazione 
di pagamento, e quindi la necessit� di garantirla. 

La correlazione fra art. 28 ed art. 33 della legge n. 968 del 1977, a tutto 
concedere, quindi, depone in senso contrario alla tesi del Pretore, poich� 
ne emerge che solo a seguito del pagamento della sanzione amministrativa 
pu� procedersi al dissequestro, dovendo il sequestro restare fermo 
finch� pende il giudizio sulla legittimit� della pretesa della autorit� amministrativa
� alla sanzione. 

Dissequestrare quando ancora si ignora se dovr� restare ferma la 
pretesa, e diventare concretamente operante la garanzia, significa, pertanto, 
pregiudicare le ragioni dell'autorit� ingiungente, che ha ragione di 
dolersi di quanto disposto contra legem. 

Il discorso sui mezzi di tutela contro il sequestro amministrativo sarebbe 
delicato e complesso. In questa sede, tuttavia, nel limitato riscontro 
della tesi del P. G., � sufficiente rilevare che cert�mente non pu� trasferirsi 
de plano la disciplina dettata dalla legge n. 689 al caso di specie che 
non � retto da tale legge, e che, esclusa l'applicabilit� diretta delle relative 
norme (cui, peraltro, non potrebbe procedersi che a seguito della 
risoluzione di problemi non facili), non vi sono agganci normativi per negare 
all'amministrazione l'attacco alla sentenza che decide sull'opposizione 
alla ingiunzione anche per quanto attiene al provvedimento di 
�dissequestro� (e non di �sequestro�). 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Sicuro punto di partenza per giustificare l'impugnabilit� del capo di 
sentenza che ratifica il dissequestro (ed escludere che il relativo provvedimento 
potesse (o addirittura dovesse) essere impugnato ex se, � la 
constatazione che la legge del 1981 non �, n� direttamente n� indirettamente 
applicabile, e che n� quella del 1975, n� quella n. 317 del 1967 contengono 
una disciplina ad hoc. 

Al P. G. � sfuggito -invero -che lo strumento di cui all'art. 19 in 
correlazione con l'art. 13 della legge n. 689, attiene al �sequestro�, e non 
al � dissequestro �, e prevedeva una fase di chiara impronta amministrativa 
�sui generis� che le parti interessate non si sarebbero potute 
certo � inventare �, con spirito profetico, per farne applicazione, prima 
ancora che il legislatore la introducesse con tutta la sua carica (problematica) 
peculiarit� nell'ordinamento. 

Appare, pertanto, determinante al Collegio per disattendere la tesi 
della impugnabilit� ex se dell'ordinanza di dissequestro la sottolineatura 
che �sequestro� e �dissequestro�, per quanto riguarda il regime giuridico 
e la garanzia di tutela, non sono due facce della medesima realt�, dovendosi 
porre l'accento sul procedimento cautelare che crea il vincolo sulle 
cose e le sottrae al detentore; e la cui eventualmente riconosciuta illegittimit�, 
�comporta il venir meno del vincolo come effetto � definitivo � 
della contestazione sulla legittimit� di quel sequestro. 

Se per � analogia anticipatoria � si volesse trasferire la disciplina 
ex lege 689 (artt. 13 e 19) alle vicende anteriori alla sua data in vigore (il 
che decisamente si nega poich� la incidenza del sequestro su posizioni 
giuridiche del cittadino dovrebbe comportare, se mai, il ricorso agli strumenti 
generali di diritto processuale a proposito della tutela dei diritti e 
degli interessi), il punctum saliens a venire in considerazione sarebbe il 
disposto � sequestro � contro il quale avrebbe dovuto reagire l'interessato 
(sia con gli strumenti ordinari, sia, a seguire il P. G., con quelli specifi 
camente dettati in tema di depenalizzazione). Ma ci� non essendo avvenuto, 
la vicenda del sequestro, anche se in ipotesi suscettibile di venire 
in considerazione autonomamente in s� e per s�, resta conglobata nel giudizio 
di opposizione e si sarebbe dovuta risolvere secondo l'esito di questo, 
se al pretore non fosse venuto in mente di emettere un provvedimento, 
veramente � abnorme � ed extra ordinem, di dissequestro. 

Ad avviso del Procuratore Generale � proprio questa � abnormit� � 
(intesa come insuscettibilit� di inquadramento nella tipologia procedimen 
tale, cui avrebbe potuto fare ricorso nell'esercizio dei suoi poteri di giudice 
della opposizione), che innesta ancora una volta in via analogica (questa 
volta con la disciplina processuale �penalistica) la impugnabilit� ex se, 
correlativamente comportante la inammissibilit� della riproduzione confermativa 
della relativa statuizione nella sentenza della cui impugnazione 
il Collegio � investito~ 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

904 

Ma la tesi non convince. La categoria del provvedimento abnorme 
rappresenta l'ultima spiaggia garantistica da offrire alle parti pregiudicate 
nei loro diritti; quando per� la relativa tutela pu� realizzarsi aliunde 
non v'� ragione di precludere il ricorso agli strumenti ordinari per ipotizzare, 
�a danno dell'avente diritto� (con paradossale inversione del segno 
che caratterizza l'istituto della impugnabilit� autonoma del provvedimento 
abnorme) un rimedio volto a conseguire la dichiarazione di illegittimit�, 
cui, con la sobria, ma incisiva, formulazione del mezzo in esame, 
la regione ricorrente intende addivenire. 

E che il ragionamento del Pretore sia manifestamente infondato risulta 
assai agevole da dimostrare. 

La proposizione dell'opposizione in effetti non rappresenta affatto un 
evento costituente di per s� una garanzia sostitutiva del sequestro. � 
ovvio che alla soccombenza nell'opposizione seguir� la formazione di un 
diverso titolo esecutivo da portare ad esecuzione, eventualmente giovandosi 
dell'ipoteca giudiziale ex art. 2818 cod. civ. Ma quello cos� delineato 
� il regime tipico di ogni obbligazione per l'adempimento della quale si 
agisce in giudizio senza che vengano in considerazione, a parte la generale 
tutela rappresentata dall'(intero) patrimonio del debitore, specifici 
istituti. 

Ben si comprende, quindi, che il sequestro dell'arma assolva anche allo 
scopo di offrire una garanzia specifica che resta operante lungo l'intero 
iter del processo, volto ad accertare la legittimit� della sanzione amministrativa 
irrogata. Essendo il sequestro suscettibile di svolgere tale funzione 
di �ulteriore� garanzia specifica, la contestazione dell'obbligazione 
la esalta e non la neutralizza di certo. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 novembre 1983, n. 7162 -Pres. Virgilio 
-Est. Maltese -P. M. Martinelli (conf.) -Ministero delle finanze 
(avv. Stato Laporta) c. Curatela Fallimento Azienda petrolifera lucchese 
(avv. De Vita). 

Tributi erariali indiretti -Imposta sul valore aggiunto (IVA) -Evasione Misure 
cautelari a garanzia del.. cteditq pera1pena' pecuniaria -Iscrizione 
d'ipoteca -Competenza a richiederla -Spetta all'Intendente di 
finanza. 

(legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 26; d.P.R. 26 ottobre 1973, n. 633, art. 58). 

Anche dopo la riforma tributaria (nella specie: dopo l'entrata in 
vigore del d.P,.R. 26 ottobre 1972, n. 633), spetta all'Intendente di finanza 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 905 

la competenza a chiedere, ai sensi dell'art. 26 legge 7 gennaio 1929, n. 4, 
l'autorizzazione ad iscrivere ipoteca sui beni del contribuente a garanzia 
del credito per pena pecuniaria. (1) 

(Omissis). -Con l'unico motivo del ricorso l'Amministrazione delle 
finanze denuncia la violazione degli artt. 51, 58 d.P.R. 26 ottobre 1972, 

n. 633, e 26 legge 7 febbraio 1929, n. 4, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. 
proc. civ. 
Sostiene che la competenza dell'autorit� finanziaria ad irrogare fa 
pena pecuniaria sarebbe necessariamente collegata alla competenza a chiedere 
l'autorizzazione per l'iscrizione ipotecaria sui beni del contribuente, 
per l'inscindibile nesso esistente fra il potere sanzionatorio e il potere 
cautelare. 

Secondo il ricorrente, lo stesso organo che accerta la trasgressione 
deve avere la percezione immediata del periculum in mora; e la valutazione 
del periculum in mora � legata alla determinazione dell'entit� della 
pena. 

La riforma tributaria, inoltre, sarebbe ispirata al fondamentale principio 
della concentrazione della gestione dei singoli tributi nella sfera 
di competenza dell'autorit� periferica, per cui con le richiamate disposizioni 
si sarebbe attuato il trasferimento all'ufficio IVA non soltanto del 
potere sanzionatorio ma anche del connesso potere cautelare, entrambi 
in origine riservati all'intendente di finanza. 

Nella stessa prospettiva del decentramento dei poteri all'autorit� periferica 
sarebbero state dettate le norme degli artt. 73 d.P.R. n. 634 del 
1972 (imposta di registro), 54, d.P.R. n. 637 del 1972 (imposta successioni), 
18 d.P.R. n. 635 del 1972 (imposta ipotecaria) e 10 d.P.R. n. 641 del 1972 
(tassa sulle concessioni amministrative). 

Erroneamente, quindi, la Corte d'appello avrebbe ritenuto tuttora 
competere all'intendente di finanza la facolt� di proporre al presidente 
del tribunale la domanda di autorizzazione ad iscrivere ipoteca sui beni 
del debitore. 

Il rciorso � infondato. 

(1) Questione, a quanto consta, nuova, anche sotto il profilo dell'ambito 
di applicazione del principio d'immodificabilit� -tranne che per espressa 
disposizione -delle norme di cui alla legge 7 gennaio 1929, n. 4. 
Nello stesso senso, e cio� per l'operativit� del 'divieto di abrogazione implicito 
anche relativamente alle disposizioni di carattere non sostanziale della 
legge del 11929, cfr., in dottrina, SPINELLI, Norme generali per la repressione delle 
violazioni delle leggi finanziarie, 1957, 167; v. pure SECHI, Dir. pen. e process. 
finanziario, 1960, 36; Dus, Violazioni tributarie, in Noviss. Dig., voi. XX, 882; 
dello stesso autore, La c.d. �fissit�� della legge penale finanziaria, in Riv. dir. 
fin e se. fin., 1956, Il, 351. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Gli artt. 51 e 58 del d.P.R. n. 633 del 1972 -nelle rispettive rubriche 
�attribuzioni e poteri degli uffici dell'imposta sul valore aggiunto� e 
� irrogazione delle sanzioni� -conferiscono all'ufficio IVA soltanto poteri 
di accertamento e di riscossione dell'imposta nonch� di applicazione 
delle pene pecuniarie, non il potere di chiedere o adottare provvedimenti 
cautelari, che il citato art. 26 della legge n. 4 del 1929 riserva all'intendente 
di finanza. 

L'art. 75 dello stesso decreto n. 633 del 1972 stabilisce: �Per quanto 
non � diversamente disposto dal presente decreto si applicano, in materia 
di accertamento delle violazioni e di sanzioni, le norme del codice penale 
e del codice di procedura penale, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, 
del regio decreto legge 3 gennaio 1926, n. 63 convertito nella legge 24 maggio 
1926, n. 898 e successive integrazioni �. 

Ora, le disposizioni della legge 7 gennaio 1929, n. 4 non possono essere 
abrogate o modificate -secondo la regola generale dell'art. 1 -da leggi 
posteriori concernenti i singoli tributi � se non per disposizione espressa 
del legislatore con specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate 

o modificate�. 
Nessuna disposizione espressa del d.P.R. n. 633 del 1972 abroga l'articolo 
26 legge n. 4 del 1929. 
Non � dato, pertanto, rinvenire nel testo legislativo della riforma una 
norma esplicitamente abolitrice del potere dell'Intendenza di finanza di 
chiedere l'iscrizione ipotecaria sui beni del contribuente. 

Ne consegue che, sotto questo profilo, non risulta attuata nell'ordinamento 
positivo vigente l'imprescindibile condizione formale, prescritta 
dal citato art. 1, dell'emanazione di una specifica norma per l'abrogazione 
dell'art. 26 -come di ogni altra disposizione -della legge n. 4 del 1929. 

Ha sostenuto, tuttavia, l'Avvocatura dello Stato alla discussione orale 
che nel sistema della legge del 1929 la regola dell'abrogazione espressa 
sancita nel citato art. 1 e la regola della ultrattivit� della norma firianziaria 
penale sancita dal successivo art. 20 avrebbero lo scopo di conservare 
una efficacia deterrente alle sole disposi2foni di carattere sostanziale, 
vigenti al momento dell'infrazione, non anche a quelle di carattere 
processuale, come, appunto, la norma attributiva del potere cautelare 
all'Intendente di Finanza. 

Per le norme processuali, prive di efficacia deterrente, varrebbe, invece, 
la regola generale dell'abrogazione, anche tacita, di cui all'art. 15 
disp. prel. codice civile. E, per effetto del decentramento amministrativo 
attuato con la riforma, si sarebbe avuta proprio l'abrogazione tacita dell'art. 
26 della legge del 1929, con il trasferimento all'ufficio IVA del complesso 
dei poteri gi� spettanti all'intendente di finanza, inscindibilmente 
connessi nella titolarit� e nell'esercizio delle funzioni sanzionatoria e 
cautelare. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Sotto molti aspetti questa argomentazione -pur suggestiva e perspicua 
-non pu� essere condivisa dal Collegio. 

Innanzitutto perch� al suo accoglimento osta la lettera della legge. 

Ai sensi dell'art. 12 disp. prel. del codice civile, nell'applicare la legge 

non si pu� ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese del significato 
proprio delle parole, secondo la connessione di esse; e non altro significato 
si pu� attribuire al testo dell'art. l, capov. legge n. 4 del 1929; 
se non quello fatto palese dalle parole che lo compongono, in parte gi� 
riportate e che si ripetono: � Le disposizioni della presente legge e, in 
quanto questa non provveda, quelle del libro primo del codice penale, 
non possono essere derogate o modificate da leggi posteriori concernenti 
i singoli tributi, se non per dichiarazione espressa del legislatore, con 
specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate o modificate �. 

La legge in esame, n. 4 del 1929, � suddivisa fondamentalmente in due 
titoli, il primo dei quali contiene le norme sulla repressione della violazione 
delle leggi finanziarie in generale, il secondo le relative norme 
procedurali (il terzo titolo comprende le sole regole finali e transitorie). 

Nulla, pertanto, autorizza a credere che al precetto dell'art. 1 -ri
�chiedente, in parziale deroga all'art. 15 disp. prel. cod. civ., la formulazione 
di una norma espressa per l'abrogazione delle �disposizioni della 
presente legge � -, siano sottratte le norme del secondo titolo, alle quali 
si dovrebbe, per conseguenza, applicare il citato art. 15 delle preliminari. 

La lettera della legge non consente siffatta distinzione, secondo la 
quale le norme del titolo primo e del titolo secondo sarebbero soggette 
a un diverso regime giuridico nella vicenda estintiva. 

Il precetto dell'art. 1 �, nella sua letterale formulazione, onnicomprensivo 
e unitario. E da tale unitaria formulazione �, innanzitutto, vincolato 
l'interprete. 

A non diversa conclusione si perviene, peraltro, attraverso l'esame 
della ratio legis, che lo stesso art. 12 delle preliminari menziona come 
criterio ermeneutico nel prescrivere all'interprete di attenersi, oltre che 
.alle parole della legge anche all'intenzione del legislatore. 

Va tenuto presente, al riguardo, che con la regola del capoverso dell'art. 
1 della legge del 1929 si � voluto essenzialmente evitare l'insidia di 
un'abrogazione tacita -:-mediante l'emanazione di leggi e leggine -dei 
fondamentali principii enunciati nelle norme generali sulla repressione 
della violazione delle leggi finanziarie. E non par dubbio che un'insidia 
anche pi� grave alla saldezza di tali disposizioni sarebbe potuta e potrebbe 
pervenire dalla modificazione non esplicita dei poteri processuali necessari 
al concreto esercizio delle funzioni di accertamento �delle infrazioni 
finanziarie, di irrogazione delle pene pecuniarie e di apprestamento 
d~lle opportune cautele per fronteggiare il periculum in mora: in una 


-


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

parola, dall'abrogazione tacita delle norme procedurali poste a presidio 
del sistema dei poteri di repressione delle violazioni fiscali. 

Sembra, inoltre, razionale riconoscere, in base alle stesse premesse 
dell'argomentazione del ricorrente, un'efficacia deterrente anche alla norma 
dell'art. 26 della legge del 1929, che, nell'attribuire all'autorit� finanziaria 
il potere di far iscrivere l'ipotec~ legale sui beni del contribuente 
profondamente incide sui rapporti di diritto sostanziale fra i cittadini e il 
Fisco, fino ad esporre quest'ultimo ad eventuali azioni risarcitorie. 

Ma c'� di pi�: non si ravvisano, nel caso concreto, neppure gli 
estre.mi che, al di fuori della previsione dell'art. l, autorizzerebbero un 
giudizio di abrogazione tacita del citato art. 26 legge n. 4 del 1929; ed, 
anzi, si pu� con sicurezza affermare che il legislatore ha voluto non abrogare 
ma confermare tale disposizione. 

Invero, secondo l'art. 15 disp. prel. cod. civ. �Le leggi non sono 
abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, 
o per incompatibilit� tra le nuove disposizioni e le precedenti o 
perch� la nuova legge regola l'intera materia, gi� regolata dalla legge 
anteriore �. 

Con riferimento al tema controverso, escluso che in materia di ac


certamento de�ie viola~�ioni di leggi finanziarie e d'irrogazione delle cor


rispondenti sanzioni la nuova legge abbia regolato l'intera materia, come 

dimostra l'esplicito richiamo, nell'art. 75 del decreto n. 633 del 1972, alla 

legge n. 4 del 1929 �per quanto non diversamente disposto�, � agevole 

osservare che non esiste neppure una incompatibilit� fra le disposi


zioni degli artt. 51 e 58 del decreto del 1972 e quelle dell'art. 26 della 

legge del 1929. 

Va ricordato, a questo proposito, che, secondo la giurisprudenza 

formatasi nell'interpretazione dell'art. 15 delle preleggi, tale disposi


zione � consente di configurare l'abrogazione implicita di una legge 

quando si riscontri fra le nuove disposizioni e le precedenti una incom


patibilit� evidente, una contraddizione di tal grado da renderne impos


sibile l'applicazione contemporanea; di guisa che dalla osservanza e dal


l'applicazione della nuova legge derivi inevitabilmente l'inosservanza e 

la disapplicazione dell'altra� (Cass., 12 novembre 1973, n. 2979; 7 marzo 

1979, n. 1423). 

Orbene, dall'osservanza e dall'applicazione delle nuove norme 


artt. 51 e 58 del decreto n. 633 del 1972 -non deriva affatto l'inevitabile 

inosservanza e disapplicazione della regola di competenza sancita dal


l'art. 26 della legge del 1929. 

Come il controricorrente rileva, se l'ufficio IVA procede all'accerta


mento dell'infrazione e all'irrogazione della pena, l'intendente di finanza, 

ricevuto il rapporto sulla trasgressione fiscale, decide se ricorrano le 

premesse per richiedere al presidente del tribunale l'iscrizione di una 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

ipoteca sui beni del contribuente. E proprio all'Intendenza � stato riservato 
questo delicatissimo compito, che esplica nell'esercizio di un potere 
incidente, con eff�tti anche gravi, nella sfera patrimoniale dell'interessato. 


Pertanto -come il P.G. ha sottolineato -si deve ritenere che il legislatore 
della riforma, nell'attribuire all'ufficio IVA i soli poteri di accertamento 
e sanzionatori, deliberatamente abbia inteso conferma.re all'intendente 
di finanza la titolarit� dei poteri cautelari gi� derivante dalla 
legge del 1929, che, per l'art. 75 del decreto, continua ad operare �per 
quanto non � diversamente disposto �. 

In realt�, le considerazioni dell'Amministrazione ricorrente sull'esistenza 
di un nesso fra i due ordini di poteri si risolvono in una censura 
circa l'opportunit� di tener separate le rispettive competenze nonostante 
la tendenza al decentramento, motivo ispiratore del nuovo sistema. Sostanzialmente, 
una critica de iure condendo. Ma, sul piano strettamente 
esegetico, esse non rappresentano valide ragioni per far propendere ad 
una interpretatio abrogans della norma dell'art. 26 legge n. 4 del 1929, 
chiaramente tenuta in vita dal legislatore sulla base di una distinzione 
di competenze ratione materiae, per cui le norme degli artt. 51, 58 del 
decreto del 1972 e la norma dell'art. 26 della legge del 1929 si pongono 
in un rapporto non d'incompatibilit� ma di reciproca integrazione. 

Le argomentazioni fin qui svolte sembrano trovar conferma in una 
considerazione ulteriore, concernente la natura stessa delle norme dettate 
dagli artt. 51 e 58 del decreto del 1972. 

Trattasi, invero, di regole non meramente abrogatrici di quelle preesistenti 
ma attributive di una serie di poteri all'ufficio IVA. 

Nella dettagliata, minuziosa elencazione di tali poteri sarebbe arbitrario 
ritener compresi altri poteri conferiti da leggi diverse, tuttora vigenti, 
ad autorit� finanziarie diverse. 

Si verrebbe altrimenti a creare, con una ingiustificata operazione ermeneutica, 
una norma nuova, attributiva all'ufficio IVA di potest� non 
incluse tra quelle ad esso trasferite dal legislatore della riforma. 

Sotto ogni aspetto, pertanto, la sentenza impugnata si sottrae alle 
censure dell'amministrazione ricorrente. Di conseguenza, il ricorso deve 
essere disatteso, siccome infondato. (omissis) 


SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., ordinanza 1� giugno 1983, n. 14 -Pres. 
Pescatore -Est. Alibrandi -Ercolino (avv. Abbamonte) c. Comune 
di Avella (avv. de Beaumont) e Regione Campania (n.c.). 

Giustizia amministrativa -Sospensione -Occupazione d'urgenza -Obbligo 
di restituzione � Realizzazione opera pubblica � Irreversibilit� dell'oc� 
cupazione. 

Una volta sospeso con ordinanza del G.A. il decreto di occupazione 
di un terreno, poich� alla sospensione consegue l'inidoneit� temporanea 
degli atti a produrre i propri effetti, il Comune occupante � tenuto a restituire 
al proprietario l'immobile indebitamente trattenuto, con esclusione 
dei soli manufatti che, costituendo la realizzazione di opera pubblica 
ed attribuendo ai beni occupati una destinazione pubblica, rendano 
irreversibile l'occupazione. (1) 

(omissis) 1. -Risolto con la precedente decisione il problema inerente 
alla qualificazione ed alla proponibilit� della domanda della Ercolino, 
torna all'esame del Collegio il contenuto sostanziale della vicenda, 
e cio� la richiesta di restituzione del fondo occupato dall'Ammini� 
straziane a seguito del decreto, la cui efficacia � stata sospesa in sede 
giurisdizionale. 

Al riguardo il contraddjttorio fra le parti si � ampiamente sviluppato 
sul punto della decorrenza degli effetti del provvedimento di sospensione 
(se ex nunc o ex tunc). Ma -ferma ed impregiudicata la pos


(1) L'ordinanza, che si pone nel solco gi� tracciato da precedenti decisioni, 
l'ultima delle quali � la pronuncia 117/82 (in questa Rassegna, 1983, 359), ha particolare 
importanza perch� al provvedimento cautelare viene attribuita espressamente 
efficacia anche sull'atto che ha gi� avuto un principio di esecuzione,
1

nei limiti in cui questa non sia irreversibile. 

Essa va poi segnalata anche come conclusione di una vicenda processuale 
che si � articolata attraverso varie fasi: il 'ricorrente infatti, dopo aver ottenuto 
la sospensione del provvedimento, di fronte al rifiuto dell'Amministrazione 
di restituire l'immobile propose r�.corso per .inottemperanza; l'Ad. Plenaria, 
chiamata a pronunciarsi sulla esperibilit� dell'.azione ex art. 27 n. 4 r.d. 
1054/1924 ai fini dell'esecuzione coattiva dell'ordinanza di sospensione, rispose 


negativamente in linea di principio (sent. 30 aprile 1982, n. 6, in Cons. St., 1982, 

�'=

~:i 

l1 


-


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 911 

sibile rilevanza della questione ad altri eventuali fini ed in sedi diverse 
-� da ritenere che, per quanto qui interessa, ben possa prescindersi 
dal risolvere tale problema; giacch� in ogni caso, successivamente alla 
sospensione del decreto di occupazione, il comune di Avella detiene or 
mai sine titulo il terreno in argomento. Si � gi� chiarito con la decisione 
27 aprile 1982, n. 6, che dalla sospensione consegue direttamente l'inidoneit� 
temporanea degli atti sospesi a produrre i propri effetti, determinandosi 
in tal modo una situazione giuridica in tutto identica (salvo la 
sua transitoriet�) a quella che si avrebbe se l'atto fosse annullato. Applicando 
siffatti concetti al caso di specie, � evidente che il comune di 
Avella occupa il fondo sulla base di un provvedimento che la sospensione 
giurisdizionale ha reso (almeno transitoriamente) inidoneo a legittimare 
la detenzione da parte del comune. Quest'ultimo, allo stato 
attuale della vicenda � dunque tenuto a restituire al legittimo proprietario 
l'immobile indebitamente trattenuto. 

2. -Non � dubbio, d'altra parte, che nella specie -come in ogni 
altro caso analogo -il giudice ~mministrativo, in sede di giudizio cautelare, 
ben possa ordinare all'Amministrazione la restituzione di quanto 
detenuto sine titulo. Nella decisione n. 6 del 1982 si � gi� dato conto 
della evoluzione giurisprudenziale che ha condotto a riconoscere la Iegittimit� 
di quelle pronuncie (costitutive, certificative, dichiarative di 
obblighi a carico dell'Amministrazione) che siano strumentalmente necessarie 
per realizzare concretamente gli effetti scaturenti dalla decisione 
da eseguire, conformando la realt� alle relative statuizioni. 
Vero � che quella giurisprudenza si � formata nell'ambito della problematica 
del giudizio di ottemperanza ex art. 27 n. 4 del t.u. 26 giugno 
1924, n. 1054, mentre nel caso attualmente in esame si verte in una ipotesi 
di giudizio cautelare. Ma per dissipare qualsiasi perplessit� al riguardo 
-oltre al richiamo delle argomentazioni gi� svolte nella decisione 
del 1982 -baster� aggiungere che nella specie non viene in valutazione 
un comportamento inottemperante che possa implicare giudizi di 

413), ma ritenne che quando l'ordinanza cautelare non sia sufficiente a garantire 
un'effettiva tutela dell'interesse del ricorrente questi possa adire nuovamente 
il medesimo giudice della sospensiva, onde chiedere l'emanazione dei provvedimenti 
ritenuti idonei per assicurare la sospensione. Nel caso di specie quindi 
consider� inammissibile la domanda proposta nelle forme del giudizio di inottemperanza, 
ma, in omaggio al principio di conservazione degli atti processuali, 
la ritenne convertita in una richiesta di provvedimento di integrazione ed 
attuazione della sospensiva, imponendo quindi al ricorrente di integrare il 
contraddittorio. All'esito di tale adempimento � stata ora pronunciata l'ordinanza 
'14/1983 con la quale si � puntualizzato il contenuto dell'obbligo che grava 
sull'Amministrazione resistente a seguito della sospensione dell'atto gi� eseguito. 

10 



..:: 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

merito amministrativo (nel qual caso effettivamente potrebbe ben prospettarsi 
la questione se l'esten~ione al merito dei poteri del giudice, espressamente 
prevista dall'art. 27 n. 4, sia analogicamente riferibile anche al 
caso della pronuncia in sede cautelare); bens� si tratta di apprezzare un 
elemento rilevante sul piano della pi� stretta legittimit�, e cio� -come 
si � detto -la inidoneit� del decreto di occupazione (sospeso) a legittimare 
(in pendenza della sospensione) il perdurare della occupazione. 

3. -D'altra parte, successivamente alla decisione n. 6 del 1982, questa 
stessa Adunanza plenaria, con la pronuncia dell'8 ottobre 1982, n. 17, 
ha ammesso la possibilit� di sospendere in via cautelare un provvedimento 
di non ammissione all'esame di maturit� ~lassica, con ci� esplicitamente 
riconoscendo che anche provvedimenti c.d. � negativi � possano 
essere sospesi in sede giurisdizionale. In altri termini, l'Adunanza plenaria 
riconosce ormai esplicitamente che quando gli effetti � caducatori 
� della sospensione non siano sufficienti a tutelare in via cautelare 
l'interesse del ricorrente, la effettivit� della tutela interinale possa essere 
realizzata anche mediante strumenti diversi e ampia;mente eccedenti la 
pura e semplice paralisi degli effetti formali dell'atto impugnato. Tra 
questi strumenti risalta in primo luog� la possibilit� di imporre all'Amministrazione 
la tenuta di certi comportamenti considerati necessari 
per la realizzazione della tutela giurisdizionale. Tale, e non altro, 
� evidentemente il senso della �ammissione con riserva� (all'esame di 
maturit� od anche -come avveniva pacificamente gi� per l'innanzi ad 
un concorso a pubblico impiego), in cui il provvedimento del giudice 
finisce con l'imporre all'Amministrazione un preciso obbligo di comportamento. 
Anche nel caso attualmente all'esame del Collegio nulla osta, 
dunque, a che il giudice possa ordinare all'Amministrazione di tenere i 
comportamenti necessari per realizzare gli effetti sostanziali della pronuncia 
cautelare gi� a suo tempo emanata. 
4. -Naturalmente un limite all'obbligo di restituzione del fondo occupato 
sine titulo deriva dal principio consolidato in giurisprudenza (di 
recente, Cass. 30 aprile 1981, n. 2644), secondo il quale la realizzazione 
dell'opera pubblica -risolvendosi nel dare di fatto ai beni occupati una 
destinazione pubblica -rende irreversibile l'occupazione. Nella specie, 
risulta in atti che nel fondo di propriet� Ercolino sono stati costituiti 
�due corpi di fabbrica, attualmente allo stato grezzo, per una superficie 
coperta complessiva di mq. 2600 �. Tali manufatti (od eventuali altri che 
risultassero gi� destinati alla pubblica finalit�), debbono, quindi, essere 
esclusi dall'obbligo di restituzione. 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 913 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 11 aprile 1983, n. 223 -Pres. Mezzanotte 


Est. Agresti -Impresa Mambrini, soc. CO.GE.MA e Soc. Russo (avv. 

Giordano, Scoca, D'Amelio) c. A.N.A.S. (avv. Stato Ferri). 

Opere pubbliche -Appalto -Licitazione privata -Diniego approvazione Aggiudicazione 
-Gravi motivi � Convenienza nuova gara � Idoneit�. 

(r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 113). 
Opere pubbliche -Appalto � Licitazione privata -Diniego approvazione 
aggiudicazione � Gravi motivi � Eccezionalit� � Motivazione. 

(r.d. 23 maggio 1924, �n. 827, art. 113). 
Opere pubbliche � Appalto � Licitazione privata � Diniego approvazione 
aggiudicazione � Gravi motivi � Sindacabilit� della coerenza e logica 
della azione amministrativa. 

(r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 113). 
I gravi motivi di interesse pubblico idonei a giustificare il diniego 
di approvazione della aggiudicazione di licitazione privata nell'appalto 
di opera pubblica possono consistere in considerazioni di opportunit� riierite 
alla previsione che il prezzo ricavabile da una nuova gara sia inferiore 
al prezzo offerto dalla ditta aggiudicataria. (1) 

La facolt� di non approvare l'aggludicazione della licitazione privata 
nell'appalto di opera pubblica per gravi motivi di interesse pubblico ha 
natura del tutto speciale e carattere eccezionale sicch� l'Amministrazione 
� tenuta a dare piena ed appagant,e giustificazione di tali gravi motivi. 
(2) 

In presenza dei vari elementi dai quali risulta incerto il vantaggio 
della ripetizione della gara, nella licitazione privata per l'appalto di 
opera pubblica, � da escludere sul piano della logica e della coerenza 
dell'azione amministrativa la sussistenza dei gravi motivi idonei a giu


(1) Sul motivo di interesse pubblico cfr. anche Cons. Stato, 116 dicembre 
1980, n. 1219, in Cons. St., 19.'lO, 1681, per la quale l'eccessiva o:i;ierosit� del prezzo 
risultato dalla gara � motivo di interesse pubblico che giustifica il diniego di 
approvazione; Sez. VI, 14 luglio 1978, n. 973, ivi, 1978, 1246, secondo la quale 
� legittimo il diniego di approvazione di una gara di appalto per eccessivit~ 
del ribasso allorch� l'Amministrazione sia giunta alla conclusione della scarsa 
remunerativit� del prezzo da corrispondere all'impresa aggiudicataria per l'eccesso 
del ribasso offerto dalla medesima; ed ancora lii parere del1a Sez. I, 
5 maggio 1972, n. 1145, ivi, ;1972, 2235, ove si ritiene grave motivo idoneo a giustificare 
il diniego la pratica impossibilit� dell'Amministrazione di ottenere la 
tempestiva esecuzione delle prestazioni per le gravi condizioni economiche dell'impresa 
e l'urgente necessit� delle forniture commesse. 
(2) Sulla motivazione del diniego la gi� citata sentenza 973/1978 ritiene 
sufficiente ad integrare la motivazione per relationem i pareri espressi dal competente 
organo tecnico ed irrilevante la mancata menzione di essi nell'atto 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stificare il diniego di approvazione dell'aggiudicazione, individuati nella 
previsione che il prezza ricavabile da una nuova gara sia inferiore al 
prezzo offerto dalla ditta aggiudicataria. (3) 

purch� ricorrano circostanze che rendano edotto l'interessato della preven� 
tiva pronuncia dell'organo predetto ed i pareri siano prodotti in giudizio; 
Sez. IV, 20 novembre 1973, n..1085, ivi, 1973, 11594, che ritiene legittimo il diniego 
preceduto da un'analisi anche comparativa dei costi e della congruit� dei ribassi 
offerti dalle var.ie Imprese e giunga cos� alla conclusione della scarsa remune� 
rativit� del prezzo da corrispondere all'impresa aggiudicataria. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 maggio 1983, n. 285 -Pres. Mezzanotte 
-Est. Martorelli -De Martis (avv. Delli Santi) c. Regione Sardegna 
(avv. Stato Freni), comune di Santa Teresa di Gallura (avv. 
Frassetto, Mottu). 

Giustizia amministrativa -Notificazione del ricorso all'autorit� emanante 
� Regione Sardegna -Notificazione al Presidente della Giunta Validit� 
anche per impugnazione di atto di un assessore -Piano di 
zona per l'edilizia economica e popolare. 

La rappresentanza della regione Sardegna � attribuita al presidente 
della giunta e gli assessori non hanno una legittimazione separata, cosicch� 
rituale deve considerarsi la notifica del ricorso giurisdizionale al 
presidente della giunta (presso l'Avvocatura dello Stato) anche contro 
il piano di zana per l'edilizia economica e popolare adottato dall'assessore 
agli enti locali, finanze ed urbanistica. (1) 

(1) Sull'inammissibilit� irn generale del ricorso non notificato all'autorit� 
che ha emanato l'atto vedansi Cons. St., Sez. IV, 11 maggio 1979, n. 313, in Cons. 
St., 1979, 691; Sez. VI, 26 luglio 197�8, n. 811, ivi, 1978, 1079; Sez. V, 5 febbraio 
1976, n. 199, ivi, .1976, 168. 
In particolare secondo Sez. V, 25 febbraio 11977, n. 141, ivi, ,1977, 121, all'omis� 
sione della notifica all'autorit� emanante non pu� supplire quella fatta all'autori.
t� gerarchicamente sopraordinata; e secondo Sez. V, 15 marzo 1974, n. 261, 
ivi, 1974, 465, l'inammissibilit� non � sanata neppure dalla comparizione spontanea 
in giudizio dell'Autorit� emanante. 

Per quanto concerne in particolare le regioni si segnalano Sez. V, 6 maggio 
1977, n. 406, ivi, 1977, 798, per la quale secondo lo statuto della regione 
Puglia la rappresentanza della region� spetta al solo presidente della giunta, 
per cui � irrituale la notifica di un ricorso fatta al presidente del consiglio 
regionale; e Sez. V, 15 gennaio 1976, ivi, 1976, 40, secondo la quale poich� 
l'art. 54 lett. a dello statuto riconosce al presidente della giunta la rappresentanza 
della regione Umbria, legittimamente a questi viene notificato il ricorso 
giurisdizionale diretto contro la Regione. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 915 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 24 maggio 1983, n. 330 -Pres. Chieppa 


Est. Lignani -Papa (avv. Guarino), Sibajolo (avv. Sorrentino) c. Pre


sidenza Consiglio Ministri, Ministero dei Trasporti (avv. Stato Ferri). 

Impiego pubblico -Dirigente -Responsabilit� dirigenziale -Caratteristiche. 


Impiego pubblico -Dirigente -Responsabilit� dirigenziale -Contraddittorio 
-Fatti contestati. 

Impiego pubblico -Dirigente -Responsabilit� dirigenziale -Valutazione Disfunzioni 
oggettive -Incensurabilit�. 

Impiego pubblico -:QirJgente -Responsabilit� dirigenziale per atti del 
Ministro -Valutabilit�. 

La responsabilit� dirigenziale non rientra nell'ambito di quella disciplinare, 
in quanto trascura il comportamento personale e comprendendo 
l'azione complessiva dell'ufficio si avvicina ad alcune ipotesi di responsabilit� 
civile per fatto altrui, ed a quella politica, in quanto consegue 
all'accertata inidoneit� all'esercizio di determinate funzioni ed al venir 
meno del rapporto fiduciario; pu� anche definirsi responsabilit� manageriale 
perch� evidenzia che i risultati complessivi dell'azione dell'ufficio 
non sono corrispondenti quantitativamente e qualitativamente alle 
ragionevoli attese. (1) 

I procedimenti volti a far valere la responsabilit� dirigenziale garantiscono 
all'interessato il rispetto del contraddittorio, ma i fatti da 
contestare sono i risultati della organizzazione del lavoro e non i comportamenti 
individuali del dirigente; e sussiste un'amplissima discrezio


(.1) Il Consiglio di Stato conferma l'interpretazione gi� data dal TAR del 
Lazio al concetto di responsabilit� dirigenziale arricchendolo di nuove connotazioni 
che si aggiungono a quelle di manageriale e sono i tratti di similitudine 
con la responsabilit� civile per fatto altrui e la responsabilit� politica. I precedenti 
sono costituiti oltre che dalle sentenze della cui impugnazione si tratta 
(TAR, Sez. I, 9 luglio 1980, n. 780, in Foro it., 1981, III, 587) anche da TAR, 
Sez. I, 10 giugno ,1981, n. 460 (in T AR, 1981, I, 2009) dovute alla penna dello 
stesso estensore, come dimostra la comune introduzione di carattere generale. 
Peraltro mentre le prime due decisioni sono di rigetto dei ricol".si Papa 
e Sibajolo, la terza ha accolto il ricorso di Del Gizzo ritenendo il provvedimento 
impugnato carente di motivazione circa l'accertamento di risultati negativi 
dell'organizzazione del lavoro, la riferibilit� di essi all'attivit� del ricorrente 
e la ricorrenza dei particolari casi nei quali l'art. 19 d.P.R. 748/1972 
prevede il collocamento a disposizione del dirigente. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nalit� nella valutazione dei risultati dell'attivit� e del nesso causale tra 
questi e le carenze del dirigente preposto. (2) 

Non � censurabile in quanto non manifestamente illogica, la valutazione 
di responsabilit� personale dei dirigenti ritenuta prevalente sulle 
disfunzioni dovute a circostanze obiettive sottratte al loro controllo. (3) 

Non � censurabile la valutazione con la quale � stata addossata ai 
dirigenti la responsabilit� derivante da iniziative formalizzate in atti del 
ministro, in quanto la responsabilit� dirigenziale comprende anche i risultati 
del cattivo uso dell'attivit� di proposta, consiglio e stimolo che il 
dirigente generale esercita nei confronti del Ministro. (4) 

(2) Anche sulla seconda massima c'� convergenza di vedute tra il Consiglio 
di Stato e le sentenze dei TAR sopracitati tenuto conto della diversit� 
delle fattispecie all'esame, che ha indotto TAR-Lazio 460/19&1 a rilevare come 
ulteriore vizio dell'atto impugnato il fatto che sia l'atto di contestazione sia 
la deliberazione del Consiglio dei Ministri avevano erroneamente qualificato 
gli addebiti come fatti di carattere disciplinare. 
(3-4) Si sono estratte solo queste due massime dalle assai pi� numerose 
enunciazioni contenute in sentenza, perch� sono sembrate le pi� interessanti 
e si rinvia per la lettura delle altre alla motivazione pubblicata in Foro 
amm., 1983, I, 957. 

CONSIGLIO DI STiATO, Sez. V, 25 marzo 1983, n. 112 -Pres. Laschena Est. 
Cossu -Regione Toscana (avv. Barile, Cheli, Clarizia) c. Soc. LAB 
e Breschi (avv. F. Satta) e altri -Pres. Cons. Ministri (avv. Stato Cosentino), 
c. Soc. LAB ed altri. 

Sanit� -Accordo nazionale -Convenzionamento esterno -Decreto .presidenziale 
di esecuzione -Impugnazione -Regioni -Controinteressati Esclusione. 
(legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48; d.P.R. 16 maggio 1980}. 

Sanit� � Convenzionamento esterno � Accordo nazionale � Decreto presidenziale 
di esecuzione -Impugnazione -Regione � Intervento � Ammissibilit�. 


(legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48; d.P.R. '16 maggio 1980). 

Giustizia amministrativa -Incompetenza territoriale -Regolamento di 
competenza � Questione di costituzionalit� manifestamente infondata. 
(legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 3, 31; Cost., artt. 3, 24, 25, 97, 125). 

Sanit� � Convenzionamento esterno � Accordo nazionale -Decreto presidenziale 
di esecuzione -Impugnazione -Soggetti legittimati. 
(legge 23 dicembre 1978, n. 838, art. 48; d.P.R. 16 maggio 1980). 

I 

I 

IB 

~~ 


PARTE I, .SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 917 

Sanit� � Convenziortamento esterno -Accordo Nazionale � Decreto presi


denziale di esecuzione � Impugnazione � � Ius superveniens � � Irrile


vanza.. 

(legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48; d.P.R. 16 maggio 1980; legge 26 novembre 1981. 

n. 678, conv. con mod. in legge 26 gennaio 1982, n. 12, art. 3). 
Sanit� � Servizio Sanitario nazionale � Principio generale libera scelta Inesistenza. 
(legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 19, 25). 

Sanit� � Servizio Sanitario Nazionale -Strutture Pubbliche -Presidi privati 
convenzionati � Pariordinazione � Utilizzabilit�� presidi privati solo 
in difetto tempestiva prestazione struttura pubblica � lllegittimit�. 
(legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48; d.P.R. 16 maggio 1980, punto 3). 

Nell'impugnazione del decreto presidenziale di esecuzione dell'accordo 
nazionale per l'erogazione di prestazioni ambulatoriali in regime 
di convenzionamento esterno le regioni stipulanti non possono considerarsi 
controinteressate, n� possono assimilarsi all'autorit� emanante, la 
quale � soltanto quella cui l'atto va formalmente imputato. (1) 

Nel giudizio promosso da privati con l'impugnazione del decreto presidenziale 
di esecuzione dell'accordo nazionale per l'erogazione di prestazioni 
ambulatoriali in regime di convenzfonamento esterno le regioni 
stipulanti, avendo interesse ad interloquire, possono spiegare intervento, 
assumendo in concreto gli atteggiamenti pi� conformi ai loro interessi, 
che nell'accordo trovarono composizione, ma ciononostante rimangono 
potenzialmente contrapposti. (2) 

(1) Sulla configurabilit� della regione come controinteressata nel giudizio 
di impugnazione del decreto presidenziale di esecuzione dell'accordo nazionale 
per l'erogazione di prestazioni ambulatoriali in regime di convenzionamento 
esterno, accordo di cui la stessa regfone � parte, non si rinvengono precedenti, 
com'� ovvio data la novit� del pro~dimento adottato. 
In materia si pu� ricordare, per un'ipotesi inversa, TAR Lazio, Sez. I, 
1� ottobre 1982, n. 890, che ha ritenuto errore scusabile quello del ricorrente 
che aveva notificato il ricorso solo ad alcune parti pubbliche (ministeri e 
regioni) ma non alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. 

Sulla nozione di controinteressato in generale cfr. Cons. St., Sez. V, 
27 marzo 1981, n. 108 e 24 giugno 1977, n. 675, per le quali �l'accertamento 
di tale qualit� presuppone in via primaria che si tratti di soggetto al quale 
l'atto impugnato si riferisce e cio� di un soggetto espressamente individuabile 
attraverso la lettura del testo dell'atto�, requisito questo che non mancherebbe 
per la verit� alla regione nel caso di specie. 

Peraltro manca l'altro requisito richiesto cumulativamente al primo e cio� 
la sussistenza di un vantaggio diretto ed immediato tratto dal provvedimento 
impugnato (per quest'ultimo cfr. Sez. VI, 6 febbraio 1981, n. 35; 18 novembre 
1980, n. lll4; 8 luglio 1980, n. 721). 

(2) Nulla in termini data la novit� della fattispecie gi� segnalata. 
Circa la legittimazione all'intervento della regione Cons. St., Sez. VI, 26 set

abilitati all'esercizio della professione, ma fuori dall'elenco dei professionisti 
convenzionati, ritenendo che la scelta integra un diritto soggettivo solo nel� 
l'ambito dell'elenco dei medici convenzionati, residuando in caso contrario 
solo una posizione di interesse legittimo in relazione alla corretta organizza. 
zione del servizio sanitario nazionale. 
(4) Sulla posizione del medico inserito nel servi:zfo sanitario nazionale 
cfr. Cons. St., Sez. VI, 3 luglio 1981, n. 344, secondo la quale con l'accesso alla 
convenzione di cui all'art. 9 legge 349/1977 ed all'art. 48 legge 833/1978 egli assume 
obblighi non soltanto nei confronti degli assistiti ma anche verso l'ente 
abilitati all'esercizio della professione, ma fuori dall'elenco dei professionisti 
convenzionati, ritenendo che la scelta integra un diritto soggettivo solo nel� 
l'ambito dell'elenco dei medici convenzionati, residuando in caso contrario 
solo una posizione di interesse legittimo in relazione alla corretta organizza. 
zione del servizio sanitario nazionale. 
(4) Sulla posizione del medico inserito nel servi:zfo sanitario nazionale 
cfr. Cons. St., Sez. VI, 3 luglio 1981, n. 344, secondo la quale con l'accesso alla 
convenzione di cui all'art. 9 legge 349/1977 ed all'art. 48 legge 833/1978 egli assume 
obblighi non soltanto nei confronti degli assistiti ma anche verso l'ente 
!118 RASSEGNA DELL'AWQCATURA DELLO STATO 
E manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit� costituzionale 
riferita alla normativa che impone il ricorso al regolamento di competenza 
per far valere l'incompetenza territoriale del T AR adito in quanto 
tale normativa consente di ricondurre o di ancorare rapidamente il processo 
al giudice ritenuto competente.� (3) 

Sono legittimati ad impugnare il decreto presidenziale di esecuzione 
dell'accordo nazionale per l'erogazione delle prestazioni ambulatoriali in 
regime di convenzionamento esterno i soggetti convenzionati con il servizio 
sanitario nazionale, in quanto titolari dell'interesse a non vedere 
lese le loro aspettative ad un giusto profitto. (4) 

tembre 1975, n. 401, lo ha ritenuto ammissibile nel giudizio proposto dal concessionario 
per l'esercizio di strada ferrata contro i provvedimenti ministeriali 
di nomina di un commissario governativo per la gestione della ferrovia e di 
decadenza dalfa concessione stessa, ritenendo l'ente territoriale titolare sia 
a livello normativo che amministrativo di una serie di funzioni pertinenti agli 
stessi interessi e strettamente collegati alla potest� di concessione; ed anche 
Ad. plen., 3 luglio 1973, n. 7, che nel caso di impugnativa di un provvedi� 
mento in materia urbanistica (decreto ministeriale di sospensione dei lavori 
di costruzione) adottato dall'Amministrazione dello Stato anteriormente all'entrata 
in vigore del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, ha ritenuto la regione interessata 
e quindi titolare di legittimazione ad intervenire spontaneamente in causa 
per fianchegg;iare il contraddittore necessario e principale. 

(3) In materia di competenza Cons. St., Sez. IV, 28 luglio 1982, n. 522 
e Sez. IV, 14 dicembre 1982, n. 847 e Sez. IV, 30 dicembre 1982, n. %2, hanno 
affermato la competenza del TAR del Lazio per l'impugnativa del decreto 
presidenziale che ha reso esecutivo l'accordo collettivo nazionale per la regolamentazione 
dei rapporti con i medioi di medicina generale ali sensi dell'art. 48 
della legge 833/11978. 
Quanto alla giurisdizione del G.A. le Sezioni Unite della Cassazione con 
sentenza 16 novembre �1982, n. 6107, hanno attribuito al G.A. la controversia 
che investe la legittimit� dell'art. 3 dell'accordo collettivo nazionale del 
22 febbraio 1980 (stipulato a norma dell'art. 48 della legge 833/1978 e reso 
esecutivo con d.P.R. 16 maggio 1980) configurando come interessi legittimi le 
posizioni soggettive degli utenti del servizio sanitario nazionale a fronte dd 
potere della USL di autoriz2lare l'accesso ai professionisti ed ai presidi sanitari 
convenzionati. 

Le Sezioni Unite, 16 novembre 1982, n. 6120, hanno devoluto aHa giurisdizione 
amministrativa anche la cognizione della domanda con la quale un utente 
del servizio sanitario nazionale insorge contro il provvedimento di mancata 
accettazione della scelta del medico di fiducia effettuata nel novero di quelli 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 919 

Sulla controversia proposta da soggetti convenzionati per contestare 
la legittimit� della norma del decreto presidenziale di esecuzione dell'accordo 
nazionale per l'erogazione delle prestazioni ambulatoriali, che prevede 
l'utilizzabilit� dei presidi esterni in seguito ad autorizzazione solo 
se le strutture pubbliche non siano in grado di soddisfare la richesta 
entro tre giorni, non incide la norma di legge sopravvenuta che fissa la 
medesima regola non avendo essa n� carattere retroattivo n� natura 
interpretativa. (5) 

Nell'ambito del servizio sanitario nazionale non sussiste un principio 
generale di libera scelta nel campo della diagnostica strumentale e delle 
analisi di laboratorio. (6) 

Nel servizio sanitario nazionale una. posizione di preminenza spetta 
ai pubblici poteri in sede di programmazione sanitaria, ma non c'� una 
posizione deteriore e subordinata dei presidi privati convenzionati rispetto 
alle strutture pubbliche, sicch� � illegittima la norma del decreto presidenziale 
di esecuzione dell'accordo nazionale per l'erogazione delle prestazioni 
ambulatoriali in regime di convenzionamento esterno, che prevede 
l'utilizzabilit� dei presidi privati in seguito ad autorizzazione solo 
se le strutture pubbliche non siano in grado di soddisfare la richiesta 
entro tre giorni. (7) 

erogatore il quale non provvede solo al pagamento dei compensi per le prestazioni 
rese a terzi, ma eroga un servizio e lo organizza con adeguati poteri, 
provvedendo in tal modo alla cura di interessi suoi propri di carattere pub� 
blicistico. 

(5-7) Sulla natura dell'art. 3 della legge 26 novembre ,1981, n. 678 conv. in 
legge 26 gennaio 1982, n. 112 e sulla legittimit� del sistema che assoggetta ad 
autorizzazione della USL il ricorso ai presidi privati convenzionati, si profila 
un contrasto tra la sentenza qui massimata e Cass., Sez. Un., 16 novembre 1982, 

n. 6107 (inedita) che, per quanto resa in sede dli regolamento di giurisdi7.Ji.one, 
afferma, secondo la massima ufficiale, che: � in tema di servizio sanitario 
nazionale e con riguardo alle prestazioni medico-specialistiche, ovvero di diagnostica 
strumentale o di laboratorio, l'art. 3 del d.l. 26 novembre 1981, n. 678 
(conv. in legge 26 gennaio 1982, n . .12) il quale ha sostituito il sesto e settimo 
comma dell'art. 25 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, recependo e puntualizzando 
la disciplina gi� contenuta nell'art. 3 dell'accordo collettivo nazionale 
del 22 febbraio 1980 (stipulato a norma dell'art. 48 della cit. legge 833/1978 
e reso esecutivo con d.P.R. 16 maggio 1980) ha natura non innovativa ma soltanto 
integrativa della precedente normativa nel senso che anche in base a 
quest'ultima spetta all'USL il potere di autorizzare preventivamente l'accesso 
degli utenti ai professionisti ed ai presidi sanitari in regime di convenzione 
e che correlativamente hanno consistenza di meri interessi legittimi le posizioni 
di tali soggetti a fronte dell'esercizio del potere medesimo, pertanto, 
anche prima del d.l. 678/1981 la controversia che investe la legittimit� dell'art. 3 
del predetto accordo collettivo trova titolo nell'interesse legittimo al corretto 
esercizio da parte dell'USL dell'indicato potere autorizzatorio e conseguente� 
mente � devoluta alla giurisdizione del G.A. �. 

I 

I

920 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

I l 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI -13 gennaio 1983, n. 2 -Pres. Daniele Est. 
Rosini -Azienda Autonoma F.S. (avv. Stato Stipo) c. Giovine (avv. 

I 

Romanelli). 

l

Atto amministrativo -Annullamento d'ufficio � Motivazione � Comparazione 
interesse pubblico e privato � Non necessariet� per interesse 

I

privato non meritevole di tutela � Stipendi non dovuti. 

! 

Nel procedere all'annullamento d'ufficio di un atto amministrativo, I 
la P.A. deve tenere conto del legittimo affidamento originato da tale atto 
e quindi motivare il provvedimento comparando l'interesse pubblico alla 
rimozione dell'atto illegittimo con l'interesse del privato alla conservazione, 
quando quest'ultimo sia meritevole di tutela (nella specie non � stato 
ritenuto tale l'interesse a mantenere. come conseguenza dell'atto illegittimo 
la percezione di emolumenti non dovuti). (1) 

II 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 1 agosto 1983, n. 342 -Pres. Crisci -Est. 
Cossu -Soc. Atesina Magazzinaggi (avv.ti Gerola e Lorenzoni) c. Comune 
di Trento (avv. Cavasola) e Provincia autonoma di Trento (n.c.). 

Atto amministrativo � Annullamento d'ufficio � Concessione di costru� 
zione � Motivazione -Specificazione ragione pubblico interesse � Affidamento 
del privato � Fattispecie. 

Nel procedere all'annullamento d'ufficio di una concessione di costruzione 
illegittima, il comune non pu� limitarsi � far menzione del contrasto 
col pubblico interesse, ma deve specificare quali sono le ragioni di esso, 
in relazione all'affidamento del privato concretizzatosi nell'acquisto (1.el 
terreno sulla base di una certificazione comunale che erroneamente ne consentiva 
l'edificazione. (2) 

(1-4) Nel contesto di una giurisprudenza piuttosto omogenea � interessante 
cogliere alcune puntualizzazioni come quella concernente il giudizio sulla tutela 
dell'interesse del privato contrapposto all'interesse pubblico al ripristino della 
legalit�. Di solito si � ritenuto meritevole l'interesse del privato in relazione 
al decorso del tempo ed al conseguente affidamento sulla situazione consolidata 
(cfr. Sez. VI, 30 aprile 1976, n. 207 e 2 marzo 1976, n. 124), nella 
decisione n. 2 sembra assumere rilievo anche il contenuto sostanziale del-
l'interesse. 

Nella decisione n. 342 viene identificato e valorizzato l'affidamento del 
privato in relazione alla situazione che l'ha originato e che determina un 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 921 

III 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 4 ottobre 1983 n. 682 -Pres. Benvenuto Est. 
Frascione -Renzi (avv.ti Sgueglia e Pizzuti) c. Provveditore agli 
Studi di Latina (avv. Stato Mari) e Napolitano (avv. Colacino). 

Atto amministrativo -Annullamento d'ufficio -Tempestivit� -Sufficienza 
interesse pubblico al ripristino legalit�. 

Atto amministrativo -Annullamento d'ufficio -Giustificazione interesse 
pubblico -Non necessariet� per atto attributivo � status � illegittimo. 

Quando l'annullamento d'ufficio di un atto sia disposto in tempi cos� 
brevi da evitare il consolidamento della situazione soggettiva illegittimamente 
attribuita, non � necessario avere riguardo ad un interesse ulteriore 
oltre a quello di ripristino della legalit�. (3) 

Non occorre esplicitare quale sia l'interesse pubblico all'annullamento 
dell'atto attributivo di status illegittimo, quando questo determini l'illegittimit� 
di tutti i successivi provvedimenti derivati. (4) 

aggravamento dell'onere di motivazione, ove l'atto illegittimo da annullare 
abbia influito su successive determinazioni del privato (cfr. Sez. VI, 30 aprile 
1976, n. 207). 

Riguardo all'importanza del tempo per il consolidamento o meno della 
sit1,1azione del privato cfr. Sez. VI, 25 maggio 1979, n. 370; 19 aprile 1974, n. 137; 
30 ottobre 1981, n. 604; Sez. V, 2 novembre 1980, n. 948. 

L'ultima massima pone in rilievo una limitazione dell'onere della motiva� 
zione laddove l'interesse pubblico possa sussistere in re ipsa. 



SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 giugno 1983, n. 4123 -Pres. Falcone Est. 
Corda -P. M. Caristo (conf.) -Ministero delle finanze (avv. Stato 
Salimei) c. Soc. Sea (avv. Prosperetti). 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Soggetto 
passivo -Tassazione facoltativa in base a bilancio -Societ� di 
capitali trasformata in societ� di persona -Domanda espressa -�: 
necessaria. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 104). 
Per la tassazione facoltativa in base a bilancio � sempre necessaria una 
espressa istanza da presentare nei modi dell'art. 104 del t.u. delle imposte 
dirette, anche nel caso di una societ� di persone che risulti dalla trasf ormazione 
di una societ� di capitali. (1) 

(omissis) Con l'unico motivo di censura (denunciando, ai sensi dello 
art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli articoli 104, 118 e 119 del t.u. 
sulle imposte dirette 25 gennaio 1958, n. 645, nonch� dell'art. 2 del d.l. 
5 novembre 1973, n. 660, convertito con modificazione nella legge 19 dicembre 
1973, n. 823), la ricorrente Amministrazione finanziaria censura la decisione 
della commissione tributaria centrale per avere ritenuto che la liquidazione 
dell'imposta (ai fini dell'applicazione della citata legge sul � condono 
fiscale�) potesse essere operata tenendosi conto delle �perdite di 
esercizio� risultanti dal bilancio sociale, pur se la societ� contribuente 
(diversa da quelle obbligatoriamente tassata in base al bilancio) non aveva 
chiesto all'ufficio tributario di essere, appunto, tassata in base al bilancio 
(affermazione, questa, che la commissione tributaria centrale aveva 
basato sull'osservazione che la Societ� predetta, prima dell'avvenuta trasformazione, 
gi� rivestiva, la forma di una di quelle societ� che sono obbligatoriamente 
tassate in base al bilancio). La ricorrente deduce che dall'art. 
104 del t.u. non � desumibile un principio generale secondo cui, in 
difetto di esplicita richiesta del contribuente, la tassazione avvenga, in 
ciascun esercizio, secondo le modalit� dell'esercizio precedente, anche 
quando � mutata la struttura giuridica dell'impresa. 

(1) Conformi sono le sentenze in pari data n. 4124 e n. 4125. Decisione di 
evidente esattezza. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Il ricorso � fondato. 

La commissione tributaria centrale (sulla scia, peraltro della prevalente 
dottrina) ha positivamente risolto, pur se con un'affermazione soltanto 
implicita, il delicato problema concernente la possibilit� della trasformazione 
di societ� di capitali in societ� di persone; ma poich� la 
censura della ricorrente non investe questo specifico punto -che costituisce 
il presupposto del ragionamento svolto dal giudice tributario non 
� indispensabile affrontare il problema in questa sede, essendo la 
Corte chiamata solo a verificare l'esattezza, o meno, della conclusione 
secondo cui, avvenuta quella trasformazione, la (nuova) societ� di persone 
dovrebbe essere tassata in base al bilancio solo perch� lo era la 
(preesistente) societ� di capitali. E la risposta al quesito, come appare 
ovvio, pu� ben essere data anche senza la previa verifica della correttezza, 
o meno, della concreta risoluzione del problema di fondo. 

Il principio espresso dal t.u. delle imposte dirette del 1958 � che 
alcune societ� espressamente indicate (le societ� per azioni, in accomandita 
per azioni, a responsabilit� limitata, le societ� cooperative e le 
mutue assicuratrici) devono essere tassate in base al bilancio (art. 8) e 
che tutte le altre societ� commerciali sono tassate in relazione alla situazione 
economica dell'azienda, a meno che non optino per la tassazione 
in base al bilancio e ne diano tempestiva comunicazione all'ufficio delle 
imposte (art. 104). 

La regola, quindi, � che queste ultime societ� devono essere tassate 
in base alla situazione economica dell'azienda; l'eccezione, invece, � che 
le stesse possono essere tassate in base al bilancio. Ma proprio perch� 
si tratta di un'eccezione, � necessario, per la sua applicazione, che ricorra 
la condizione espressamente richiesta dalla legge: e tale condizione, come 
si � detto, � che la decisione (interna) di avere optato per tale tipo di 
tassazione sia tempestivamente e formalmente comunicata (per iscritto) 
all'ufficio delle imposte. Di modo che, se tale condizione non si verifica, 
� arbitrario pretendere di individuare un sostitutivo di essa nel fatto che, 
prima della trasformazione, la � preesistente � societ� veniva tassata in 
base al bilancio. 

La realt� � che, in astratto, non �, per le societ� derivanti dalla tra.
sformazione, n� pi� favorevole n� pi� sfavorevole essere tassate in base 
al bilancio. Ci� che pu� far apparire pi� favorevole, nella posizione di 
contribuente, la tassazione in base al bilancio, � la situazione concreta; 
�ed � proprio in vista di tale eventualit� che il legislatore ha concesso, a 
dette societ� la facolt� di optare per tale tipo di tassazione. Di modo che, 
esprimere come regola il principio che le societ� di persone debbano 
�sempre e comunque essere tassate in base al bilancio, solo perch� derivate 
dalla trasformazione di una (preesistente) societ� di capitali, significherebbe 
ignorare la possibilit� che la tassazione in base alla situazione 
�economica dell'azienda sia, in concreto, pi� favorevole al contribuente. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'applicabilit� di tale assurdo principio, peraltro, � stata dalla contribuente, 
nel caso concreto, invocata solo perch� la situazione contingente 
rendeva pi� favorevole la tassazione in base al bilancio, giacch� nel corso 
di un certo esercizio si erano verificate delle perdite; e la legge di � condono
� del 1973, coordinata col disposto degli articoli 112 e 119 del t.u. 
riconosceva le perdite di esercizio� solo per i soggetti tassati in base al 
bilancio. Ma se tale era la situazione, le ragioni della contribuente avrebbero 
dovuto trovare appropriata tutela nello esercizio concreto della 
facolt� di opzione concessa dal ricordato art. 104 del t.u., non gi� nella 
(infondata) pretesa di ottenere che l'Ufficio interpretasse la legge facendo 
diventare regola quella che, invece, � soltanto eccezione. 

Non pertinente al tema, inoltre, � l'argomento addotto, dalla commissione 
tributaria centrale, per dax:e veste giuridica all'inconsistente 
assunto portato dalla contribuente. Quest'ultima, infatti, si era limitata 
a sostenere che, una volta acquisito il diritto di essere tassati in base 
al bilancio, lo stesso (diritto) non si perdeva per il solo fatto dell'avvenuta 
� trasformazione � della societ�; e proprio nell'intento di dare fondamento 

giuridico a una siffatta affermazione, la Commissione ha osservato che 
la trasformazione non comporta l'estinzione della societ� originaria e la 
� costituzione di una nuova societ� �, ma semplicemente pone in atto una 
nuova � struttura organizzativa �, in modo che � la societ� conserva tutti 
i suoi preesistenti di~hti e obblighi �. Ma un'argomentazione di tal genere 
non coglie nel segno, perch� non considera, anzitutto, che la legge tributaria, 
in tema di accertamento del reddito (tassabile con l'allora vigente 
imposta di ricchezza mobile), prescinde totalmente dal problema giuridico 
dell'unicit� sostanziale del soggetto e considera, invece, la posizione 
in cui il soggetto stesso si trova all'atto dell'accertamento; ma soprattutto 
non considera che se si dovesse avere riguardo solo al fatto della � unicit� � 
del soggetto, si finirebbe per pervenire, contra legem, all'affermazione che 
la societ� di capitali derivata, per trasformazione, da una societ� di persone, 
non avrebbe �perso il diritto� di essere tassata in base alla situazione 
economica dell'azienda (non gi�, quindi, in base al bilancio, come 
la norma prescrive). � chiaro, peraltro, che nel caso di trasformazione di 
che trattasi, la legge riconosce alla societ� trasformata lo stesso diritto 
che riconosce a tutte le �altre� (diverse da quelle elencate nell'art. 8), 
cio� il diritto di essere tassate in base al bilancio; ma poich� prescrive 
una certa modalit� di esercizio del diritto stesso, appare del tutto insufficiente 
il solo rilievo della sua semplice � esistenza �. 

Del resto, la legge di �condono� (art. 1 del d.l. 5 novembre 1973, 

n. 660, non modificato dalla legge di conversione) dispone che nei casi 
di fusione o trasformazione di societ� possano essere (ai fini dell'applicazione 
del beneficio) presentate domande distinte per i periodi anteriori e 
per quelli posteriori alla fusione o trasformazione. Ed � ovvio che tale 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 925 

regola tiene conto, proprio, delle diverse possibilit� di tassazione (in base 
al bilancio o in base alla situazione economica dell'azienda) riguardate 
sotto il profilo del concreto interesse del contribuente; e un tale interesse 
finirebbe, sicuramente, per essere disconosciuto (con riferimento alla 
fattispecie astratta, qui in esame) se si ritenesse che una volta rivestita 
la forma della societ� tassabile in base al bilancio, tale forma di tassazione 
debba necessariamente essere conservata, qualunque sia il tipo di 
trasformazione effettuata. 

In conclusione, perci�, deve essere affermato il principio giuridico 
che le societ� commerciali diverse dalle societ� per azioni, in accomandita 
per azioni, a responsabilit� limitata, ovvero delle societ� cooperative 

o mutue assicuratrici, pur se derivate, per trasformazione, da una delle 
predette societ�, potevano, nel vigore del t.u. 25 gennaio 1958, n. 645, 
essere tassate in base al bilancio, ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, 
cat. B, unicamente nel caso che avessero optato per tale tipo di tassazione 
e ne avessero fatto tempestiva e formale (per iscritto) comunicazione 
all'ufficio delle imposte. E poich� l'impugnata decisione della commissione 
tributaria centrale non � informata a tale principio di diritto, 
la stessa deve essere cassata con rinvio. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 giugno 1983, n. 4126 � Pres. Sandulli 
� Est. Scanzano � P. M. Martinelli (conf.) � Ministero delle 
finanze (avv. Stato Azzariti) c. Soc. Esso Italiana (avv. Uckmar). 

Tributi erariali indiretti � Imposte di fabbricazione . Interessi su pagamento 
dilazionato � Art. 3-quater d.I. 6 luglio 1974, n. 251 introdotto 
con legge 'di conversione 14 agosto 1974, n. 346 � Entrata in vigore . 
Data di pubblicazione della legge di conversione. 

(d.l. 6 luglio 1974, n. 251, art. 3�quater; legge 14 agosto 1974, n. 346). 
La disposizione dell'art. 3 quater del d.l. 6 luglio 1974, n. 251, introdotto 
con la legge di conversione 14 agosto 1974, n. 346, che aumenta il 
tasso degli interessi con decorrenza " dalla data di entrata in vigore della 
legge di conversione del presente decreto � � entrato in vigore alla data 
di pubblicazione della legge di conversione e non nel termine normale di 
vacazione di quindici giorni dalla pubblicazione. (1) 

(1) Decisione di evidente esattezza. La formula non inconsueta usata per 
dare agli emendamenti in sede di conversione una decorrenza che non risale 
a quella deH'entrata in vigore del decreto legge, non pu� non identificarsi con 
la pubblicazione della legge di conversione che nella sua interezza entra in vi� 
gore con fa pubblicazione, a meno che non sia stabilita espressamente una 
decorrenza diversa. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

926 

(omissis) Col primo motivo l'Amministrazione ricorrente denuncia 
violazione e falsa applicazione dell'art. 3-quater d.l. 6 luglio 1974, n. 251, 
conv. in legge 14 agosto 1974, n. 346, e sostiene che, in tema di interessi 
dovuti sui pagamenti dilazionati dell'imposta di fabbricazione relativa 
ai prodotti petroliferi, la data di decorrenza della nuova disciplina introdotta 
con la citata legge di conversione del d.l. 251/74 � stabilita espressamente, 
con apposita norma transitoria, con riferimento all'entrata in 
vigore della stessa legge di conversione. Tale data -soggiunge -si 
identifica in quella della pubblicazione di questa legge (che, per la sua 
natura, non � soggetta al termine di vacatio), e, per espressa previsione 
normativa, acquista rilevanza indipendentemente dalla soluzione del problema 
relativo all'entrata in vigore degli emendamenti innovativi introdotti 
nel decreto-legge dalla legge che lo converte. 

Con il secondo motivo la detta Amministrazione denuncia altres� violazione 
e falsa applicazione degli artt. 73 e 77 Cost., e 3 legge 26 gennaio 
1926, n. 100, e, attraverso l'analisi della giurisprudenza formatasi su quel 
problema, sostiene che, comunque, l'entrata in vigore dell'emendamento 
innovativo non pu� dissociarsi dal mome,nto in cui � convertito il decretolegge, 
la conversione essendo appunto voluta dal Parlamento secondo la 
fisionomia che il decreto-legge acquista con le modificazioni apportatevi. 
Soggiunge che la volont� di condizionare la conversione all'emendamento 
� particolarmente evidente nel caso in esame, stante il collegamento esistente 
tra l'aumento dell'imposta di fabbricazione ed il beneficio della 
dilazione, che risulterebbe ancor pi� ampliato se non vi corrispondesse 
-in funzione perequativa -un aumento del tasso. di interesse. 

Rileva inoltre la ricorrente che, in tale situazione, la norma transi


toria contenuta nell'emendamento di cui si tratta serve ad escludere 

espressamente che questo abbia lo stesso effetto retroattivo della legge 

di conversione. Trae infine conforto, alla tesi sostenuta, dall'art. 3 della 

legge 3 gennaio 1926, n. 100, la quale -sostiene -� sopravvissuta all'ar


ticolo 10 delle disposizioni sulla legge in generale e non � in contrasto 

con l'art. 73 Cost. 

Alle censure cos� riassunte la Esso Italiana obietta essenzialmente 

che gli emendamenti innovativi sono oggetto di produzione normativa 

nuova ed autonoma e che, dovendosi ritenere abrogato l'art. 3 della legge 

26 gennaio 1926, n. 100, il problema della loro entrata in vigore va risolto 

secondo il principio generale di cui agli artt. 10 preleggi e 73 Cost. 

Osserva altres� che il riferimento dell'art. 3-quater in esame all'en


trata in vigore della legge di conversione non denota chiaramente una 

volont� l�gislativa di sottrarre la norma di emendamento al principio 

generale di cui sopra: e ci�, sia perch� la norma stessa � dettata per la 

prima applicazione della legge, sia perch� un problema di entrata in vigore 
(in senso proprio) non si pone per la pura e semplice legge di con

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIB�TARIA 

versione, sia perch�, infine -ove tale problema si ponesse -la soluzione 
non potrebbe prescindere dal dettato dell'art. 73 Cost: 
Il ricorso dell'Amministrazione � fondato. 

L'art. 2 legge 393/1968, nel testo originario, demandava al Ministr:o 
per le finanze, di concerto con i Ministri del bilancio e del tesoro, la 
facolt� di accordare una dilazione per il pagamento dell'imposta di fab:r� 
bricazione e dell'IGE sui prodotti petroliferi, e di fissare il saggio degli 
interessi da corrispondersi dalle imprese ammesse al beneficio. 

La detta disposizione, gi� modificata con l'art. 5 bis del d.l. 29 settembre 
1973, n. 578, � stata modificata uletriormente con l'art. 3 quater 
introdotto, quale emendamento innovativo, nel d.l. 14 agosto 1974, n. 346. 
L'articolo da ultimo citato, dopo avere fissato i termini della dilazione 
ed il parametro per la determinazione del saggio degli interessi, dispone 
che, in sede di prima applicazione della nuova disciplina, il Ministro per 
le finanze dovr� prevedere � che il nuovo livello del saggio d'interesse 
dovuto per la maggiore dilazione si applichi sui versamenti effettuati a 
partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del 
presente decreto�. 

Poich� tale legge � stata pubblicata il 14 agosto 1974 e poich� a tale 
data il Ministro per le finanze ha fatto riferimento per la decorrenza del 
nuovo saggio degli interessi, si tratta di stabilire se per data di � entrata 
in vigore della legge di conversione � debba considerarsi quella dianzi 
indicata od invece -come vorrebbe la Esso Italiana e come ritenuto 
dalla Corte di merito -la data del successivo primo settembre in cui 
scadeva il periodo di vacatio previsto dall'art. 73 Cost. 

Il problema � stato gi� risolto nel primo senso da questa Corte con 
sentenza 13 dicembre 1980, n. 6448 e n. 2299/1983. 
Tale soluzione � condivisa dal Collegio; ed � la sola che consenta 
di dare un valore all'espressione adoperata dalla legge. 

Le problematiche -su cui indugiano le parti -relative alla natura 
della legge di conversione ed ai tipi degli emendamenti da essa introducibili 
nel decreto-legge hanno scarsa rilevanza di fronte al preciso 
tenore della disposizione che interessa; la quale, ai fini della decorrenza 
del nuovo saggio, fa riferim~nto non all'entrata in vigore dell'emendamento 
con essa introdotto, ma all'entrata in vigore della legge di conversione, 
da considerarsi, pertanto, in s�. 

Pu� esser vero che l'entrata in vigore di una legge di conversione 
significa in realt�, e solo, stabilizzazione della forza vincolante del decretolegge, 
e che quindi, riguardo ad essa legge, un problema di entrata in 
vigore pu� porsi tecnicamente solo per gli emendamenti innovativi da 
essa introdotti. Ma tale assunto non giustifica la soluzione accolta dalla 
Corte torinese e sostenuta dalla controricorrente. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

928 

Se, invero, fosse esatto -come postula la tesi della Esso Italiana 

che con l'espressione controversa l'art. 3-quater della legge 346/1974 
intendesse riferirsi all'entrata in vigore dell'emendamento e che questo 
sia soggetto alla vacatio, la detta espressione verrebbe a risultare palesemente 
superflua, perch� verrebbe a significare, in definitiva, che l'emendamento 
diventa obbligatorio quando entra in vigore. E non pu� pensarsi 
che il legislatore sentisse il bisogno di una simile precisazione. 

D'altronde non pu� negarsi che il concetto di �entrata in vigore� sia 
pertinente anche con riferimento ad una pura e semplice legge di conversione, 
. sia pure nel limitato senso di derivarne il dato della stabilizzazione 
degli effetti del decreto-legge. 

E poich�, data la retroattivit� di tali effetti, non sarebbe concepibile 
un vuoto normativo, quale deriverebbe -nel caso di legge di conversione 
pubblicata, ad esempio, nel sessantesimo giorno dalla data del decretolegge 
-dalla pretesa vacatio di tale legge, � necessario ritenere che 
questa entrava in vigore all'atto della sua pubblicazione. Allora, rapportare 
la data di efficacia di un emendamento innovativo alla data di entrata 
in vigore della legge di conversione -come fa l'art. 3-quater in esame significa 
che la disposizione contenente l'emendamento � applicabile dalla 
data di pubblicazione di tale legge, e che quindi, nel caso che ne occupa, 
era immediatamente operante la delega al Ministro per le finanze a 
determinare il nuovo saggio di interesse con decorrenza da quella data. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 luglio 1983, n. 4470 -Pres. Brancaccio Est. 
Ruggiero -P. M. Catelani (conf.) -Credito fondiario provincie 
lombarde (avv. Vitale) c. Ministero delle finanze (avv. Stato Laporta). 

Tributi erariali indiretti -Imposte in surrogazione del bollo e del regi-. 

stro -Credito a medio e lungo termine -Regime sostitutivo -Contrat� 

to condizionato di mutuo -Risoluzione consensuale -Applicabilit�. 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 15). 
Il regime tributario agevolato per il credito a medio e lungo termine 
abbraccia, secondo l'amplissima definizione legislativa, tutte le operazioni 
compiute da un istituto o azienda di credito per una durata superiore a 
diciotto mesi; rientra pertanto nella previsione il contratto condizionato 
di mutuo consensualmente risolto prima dell'erogazione del finanziamento. 
(1) 

(1) Ripetendo in parte quanto gi� precedentemente affermato (Cass., 10 luglio 
,1979, n. 3955, in questa Rassegna, '1980, I, 176) si dilata il regime sostitutivo 
fino a comprenderv�i atti che non hanno realizzato il fine del credito a medio 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 929 

(omissis) Con il primo motivo del ricorso, il Credito fondiario, denunciando 
la violazione degli artt. 15 e 16 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 
e 1321 cod. civ. in riferimento all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., deduce che 
nell'interpretazione e ricostruzione della concreta disciplina e della ratio 
della normativa tributaria in questione, diretta ad agevolare un particolare 
tipo di attivit� creditizia, in s� consi~erata, a prescindere dalla qualit� 
dei soggetti destinatari del credito, erroneamente la commissione 
tributaria centrale avrebbe escluso dal regime agevolato la cancellazione 
d'ipoteca iscritta a seguito di contratto condizionato di mutuo, per il 
motivo che il detto contratto, nella specie, era stato poi consensualmente 
risolto per avere il mutuatario rinunciato all'effettiva erogazione della 
somma accordatagli. In tal modo il giudice tributario non avrebbe considerato 
che, ai sensi dell'art. 15 del d.P.R. n. 601 del 1973, tutti rgli atti portanti 
concessione, modificazione o estinzione di un rapporto di finanziamento 
a medio o lungo termine, posti in essere da aziende o istituti di 
credito o loro gestioni o sezioni, autorizzati a tali operazioni in virt� di 
disposizioni legislative, statutarie o amministrative, e tutti gli atti e formalit� 
riguardanti la costituzione delle relative garanzie e le loro successive 
vicende, sono esenti dalle imposte di registro, di bollo, ipotecarie 
e catastali, per essere soggetti d'imposta sostitutiva in abbonamento; e 
nella specie, poich� non poteva dubitarsi che il contratto condizionato 
di mutuo avesse dato luogo ad un rapporto giuridico di finanziamento 
a lungo termine, il regime agevolato doveva applicarsi, indipendentemente 
dalle vicende relative alla concreta esecuzione del contratto, a 

tutti gli atti e formalit� ad esso inerenti, compresi l'atto di risoluzione 
consensuale e la conseguente cancellazione dell'ipoteca, che attenevano 
all'estinzione del rapporto medesimo. 

La censura � fondata. 

Con gli artt. 15 e seguenti del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, recante� 
norme sulla disciplina delle agevolazioni tributarie ed emanato in attuazione 
della legge delega sulla riforma tributaria n. 825 del 1971, � stato 
sostanzialmente confermato, con gli opportuni adattamenti, precisazioni 
e modificazioni, il trattamento tributario per il settore del credito a medio 
e lungo termine, gi� in precedenza disciplinato dalla legge 22 luglio 
1962, n. ,1228. L'art. 15, in particolare, stabilisce che �le operazioni relative 
ai finanziamenti a medio e lungo termine e tutti i provvedimenti, 
atti, contratti e formalit� inerenti alle operazioni medesime, alla loro esecuzione, 
modificazione ed estinzione, alle garanzie di qualunque tipo da 

e lungo termine. Ora se � vero che pu� ritenersi compatibile con la durata 
minima della operazione la risoluzione per inadempimento, sembra dubbio 
che possano beneficiare del regime sostitutivo tutti gli atti di un mutuo condizionato 
risoluto consensualmente prima della maturazione del termine e 
senza che sia stata attuata l'operazione di credito. 



930 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

chiunque e in qualsiasi momento prestate e alle loro eventuali surroghe, 
sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e canceilla:zfoni, anche parziali, 
ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione a tali finanziamenti, 
effettuate da aziende e istituti di credito e da loro sezioni o gestioni 
che esercitano, in conformit� a disposizioni legislative, statutarie o 
amministrative, il credito a medio e lungo termine, sono esenti dall'imposta 
di registro, dall'imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali, 

o dalle tasse sulle concessioni governative �, precisando, al successivo 
terzo comma, che � agli effetti di questo articolo si considerano a medio 
e lungo termine le operazioni di finanziamento la cui durata contrattuale 
sia stabilita in pi� di diciotto mesi�. Ai sensi, poi, dei successivi artt. 17 
e 18, in luogo delle imposte escluse per le operazioni e gli atti suddetti, 
gli enti sopraindicati sono soggetti ad un'imposta sostitutiva in abbonamento, 
in ragione dello 0,75 per cento dell'ammontare complessivo dei 
finanziamenti erogati in ciascun esercizio. 
Come si rileva dalla riportata normativa, l'applicazione del regime 
tributario agevolato � subordinata a due presupposti: l'uno, di carattere 
oggettivo, che ricorre quando si � in presenza di una � operazione � di 
finanziamento a medio e lungo termine, con un'espressione legislativa di 
ampia latitudine che ha riguardo solo al contenuto ed alle finalit� dell'operazione 
medesmia, qualunque possa essere, cio�, la forma e la struttura 
giuridica che esso assume nei singol� casi, richiedendosi soltanto che le 
parti abbiano contrattualmente stabilito una durata della stessa superiore 
a diciotto mesi (cos� ridotta la durata minima di tre anni precedentemente 
stabilita nella disciplina della legge n. 1228 del 1962); l'altro, di 
carattere soggettivo, secondo il quale l'operazione deve essere compiuta 
da un istituto o azienda di credito, o una sua sezione o gestione, in conformit� 
delle disposizioni legislative o amministrative che concernono 
tali istituti, e dei relativi statuti. 

In presenza degli indicati presupposti, il beneficio si estende, secondo 
l'amplissima previsione della legge, a �tutti� i provvedimenti, atti, 
contratti e formalit� inerenti alle predette operazioni ed alla loro esecuzione, 
modificazione ed estinzione, nonch� alle garanzie di qualunque tipo 
e da chiunque prestate ed alle loro eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, 
frazionamenti e cancellazioni, anche parziali, essendo, pertanto, 
sufficiente ai fini dell'esenzione, un rapporto di �inerenza�, vale a dire 
di strumentalit� di un atto, contratto o formalit� rispetto all'operazione 
di finanziamento a medio o lungo termine, alle sue garanzie, ed alle 
vicende delle stesse (cfr. Cass., n. 3955 del 1979 e n. 944 del 1971). 

Per quanto riguarda, in particolare, il presupposto oggettivo dell'agevolazione 
(non essendo qui in discussione la sussistenza del presupposto 
soggettivo), questa Suprema Corte ha pi� volte avuto modo di precisare, 
nel vigore della precedente legge n. 1228 del 1962, che il beneficio spetta 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

per il solo fatto che nel contratto le parti abbiano pattuito una durata 
del rapporto di finanziamento superiore a quella minima stabilita dalla 
legge, rimanendo irrilevanti possibili eventi successivi modificativi del 
termine, di modo che il beneficio non � escluso se, in applicazione delle 
ordinarie norme del codice civile in tema di inadempimento alla cui 
disciplina il negozio rimane pur sempre soggetto, o in virt� di particolari 
clausole contrattuali, il rapporto venga ad essere anticipatamente risolto 
(cfr. Cass., nn. 439 del 1972, 2891 e 2191 del 1971), sempre che tale anticipata 
risoluzione sia collegata a circostanze di fatto obiettivamente accertabili, 
e non rimessa al mero arbitrio dell'Istituto mutuante (cfr. Cass., 
nn. 826 del 1974, 937 del 1973, 3155 del 1971). 

Nella specie, � intervenuto un contratto condizionato di mutuo, stipulato 
ai sensi dell'art. 16 del testo unico delle leggi sul credito fondiario, 
approvato con r.d. 16 luglio 1905, n. 646, in base al quale � stata 
iscritta l'ipoteca; successivamente il contratto � stato consensualmente 
risolto dalle parti, senza che fosse stipulato il contratto definitivo e consegnata 
al mutuatario la somma oggetto del finanziamento, e l'ipoteca, 
sull'assenso dell'istituto, � stata cancellata. 

Orbene, qualunque sia la natura e la configurazione giuridica che 
possano attribuirsi al cosiddetto contratto condizionato di mutuo di cui 
alla legge sul credito fondiario (se contratto preliminare, o contratto 
sospensivamente condizionato, ovvero elemento di fattispecie negoziale a 
formazione progressiva), � fuori discussione, ai fini che qui interessano, 
che esso attiene ad una tipica operazione di finanziamento a lungo termine, 
essendo anzi prescritto dalla legge come atto necessario dell'operazione 
medesima, per assicurare all'istituto mutuante il conseguimento 
della prima ipoteca; n� � da dubitarsi che esso abbia gi� dato vita tra le 
parti ad un rapporto giuridico di finanziamento, poich�, con l'avvenuta 
iscrizione della prima ipoteca, il mutuatario ha pieno diritto di usufruire 
del finanziamento concessogli, e non � pi� in facolt� dell'istituto di stipulare 
o non il contratto definitivo e di erogare o non il mutuo e d'altra 
parte non sarebbe nemmeno concepibile l'iscrizione di un'ipoteca senza 
un rapporto obbligatorio da garantire. 

Il detto contratto, rientra certamente nel trattamento tributario age


volato di cui agli art. 15 e seguenti del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 (ed 

in precedenza della legge n. 1228 del 1962), e con esso, di conseguenza, in 

base al chiaro disposto della legge, vi rientrano tutti gli atti relativi delle 

vicende del rapporto posto in essere, e tutti gli atti e formalit� attinenti 

alla costituzione delle relative garanzie ed alle successive vicende di que


ste ultime, e quindi, nella specie, anche l'annotamento di cancellazione 

dell'ipoteca iscritta in base al contratto. 

Il fatto che la cancellazione sia avvenuta a seguito della risoluzione 

consensuale del contratto condizionato, senza che il mutuatario abbia 


932 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

effettivamente usufruito della somma oggetto del finanziamento concessogli, 
non pu� assumere rilievo ai fini dell'agevolazione, poich� la circostanza 
attiene soltanto alle concrete modalit� di svolgimento del rapporto 
sorto in dipendenza del contratto, ma non incide sull'oggetto giuridico 
proprio del contratto stesso, n� ha fatto venire meno, non dipendendo 
dalla mera discrezione dell'istituto, l'obiettiva strumentalit� di esso rispetto 
ad un'operazione di finanziamento a lungo termine, che costituisce l'elemento 
necessario, ma sufficiente, richiesto dalla legge per l'applicazione 
del regime tributario di favore, non limitato al solo contratto, ma esteso 
a tutti gli atti che si riferiscono all'esecuzione, modificazione ed estinzione 
del rapporto che ne deriva, e dalle relative garanzie. 

Nella stessa legge, peraltro, � dato rilevare anche un elemento testuale 
da cui pu� evincersi che la concreta erogazione della somma finanziata 
non � essenziale alla configurazione dell'operazione di finanziamento a 
medio e lungo termine, e non costituisce un presupposto necessario per 
l'applicazione del relativo frattamento tributario, laddove all'art. 18 del 

d.P.R. n. 601 del 1973, dopo avere stabilito che l'imposta sostitutiva 
(delle imposte di registro, bollo, ipotecarie e catastali) si applica sull'ammontare 
complessivo dei finanziamenti erogati dall'istituto in ciascun 
esercizio, si aggiunge che per i finanziamenti fatti mediante aperture di 
credito in conto corrente si tiene conto � dell'ammontare del fido �, avendosi, 
cio�, riguardo alla somma che l'istituto finanziatore si � obbligato a 
tenere a disposizione del beneficiario per la durata del finanziamento, 
indipendentemente dalla sua effettiva utilizzazione e dalla misura di essa. 
La decisione impugnata, che non si � attenuta ai princ�pi esposti, 
dando rilievo ad una circostanza estranea ai presupposti legali dell'agevolazione, 
deve essere di conseguenza cassata, con rinvio alla stessa commissione 
tributaria centrale. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 luglio 1983, n. 4527 -Pres. Brancaccio Est. 
Battimelli -P. M. Zema (conf.) -Ranocchini (avv. Romanelli) c. 
Ministero delle finanze (avv. Stato Salimei). 

Tributi erariali indiretti -Imposte doganali -Ingiunzione . Motivazione � 
Requisiti. 

Tributi erariali indiretti � Imposte doganali � Correzione della liquidazione 
� Applicazione di una diversa voce di tariffa � Ingiunzione � 
Legittimit� � Revisione dell'accertamento � Non necessaria. 

L'ingiunzione � sufficientemente motivata quando contenga elementi 
tali da porre il contribuente in grado di conoscere l'ammontare e la causale 

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f.: 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 933 

del pagamento richiesto; in particolare non � necessaria l'indicazione 
delle ragioni giuridiche sulle quali la pretesa si basa. (1) 

Nelle imposte doganali la revisione dell'accertamento � necessaria 
solo per far valere una nuova pretesa fondata su una diversa quantificazione 
della merce in relazione alla sua intrinseca natura; quando invece, 
ferma restando l'identificazione della merce nelle sue componenti merceologiche 
essenziali, si ritenga di dover applicare una diversa voce della 
tariffa si pu� procedere direttamente con l'ingiunzione. (2) 

(omissis) Il primo motivo di ricorso, con il quale si sostiene l'illegittimit� 
dell'ingiunzione in quanto emessa senza una valida motivazione 
della pretesa azionata, va disatteso. 

Come � giurisprudenza consolidata di questa Corte, invero, seppure 
l'ingiunzione fiscale, al pari di qualsiasi atto amministrativo, deve essere 
adeguatamente motivata, non � necessario che la motivazione sia contestuale 
ed esplicita in ogni dettaglio, essendo sufficiente che essa contenga 
elementi tali da porre il contribuente in grado di conoscere la causale e 
l'ammontare del pagamento richiesto, ossia gli elementi essenziali della 
pretesa fiscale che lo pongano in condizione di contestare la validit� di 
detta pretesa cos� sull'an che sul quantum. 

Nel caso di specie, � pacifico che nell'ingiunzione erano indicate dettagliatamente 
le varie bollette in relazione alle quali la pretesa fiscale 
era esplicata, con indicazione, per ciascuna di esse, c\ell'ammontare della 
maggiore imposta pretesa, nonch� della causale dell'imposizione, indicata 
nell'erronea applicazione di tariffa, ossia nell'applicazione, alla merce cui 
ciascuna bolletta si ri~eriva, di una voce di tariffa invece di un'altra; e 
ci� era sufficiente per consentire al contribuente di contestare la pretesa, 
esponendo le ragioni per cui fosse da ritenersi esatta l'applicazione alla 
merce, cos� come identificata, della voce di tariffa applicata. 

L'omessa indicazione della diversa voce di tariffa da applicarsi, secondo 
l'imposizione suppletiva, non era infatti tale da impedire una valida 
difesa nel giudizio di opposizione, sia perch�, attraverso l'indicazione, 
contenuta nell'ingiunzione, della diversa maggiore imposta che la dogana 
riteneva poter riscuotere, era possibile identificare la diversa voce di 
tariffa applicabile, secondo la dogana, alla merce importata (e confutare 
quindi sotto tale profilo la pretesa), sia perch� anche in corso di giudizio, 
una volta sostenuta, con l'atto di opposizione, la legittimit� dell'originaria 

(1-2) Della prima massima, da condividere pienamente, va particolarmente 

sottolineata la irrilevanza della motivazione in diritto che non � mai essenziale 

nell'atto di accertamento. 

La seconda massima, che integra la prima e ne ripete il fondamento, � 

pacifica (Cass., 116 febbraio 1982, n. 957, in questa Rassegna, 1982, I, 581; 11 ago


sto 1982, n. 4521, ivi 1983," I, 363). 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

imposizione in relazione al tipo di merce e alla voce di tariffa applicata 
al momento dell'importazione, spettava all'amministrazione eccepire la 
legittimit� di una diversa imposizione in base ad una diversa voce di 
tariffa, con conseguente ulteriore possibilit�, per l'opponente, di contestare 
tale pretesa in base a semplici valutazioni interpretative delle varie 
voci di tariffa; n� a ci� poteva ostare alcuna preclusione in relazione ad 
attivit� istruttorie (non necessarie per un'attivit� difensiva del genere), o 
in relazione ad ipotizzabili tardive modificazioni della domanda. La successiva 
contestazione della pretesa tributaria, una volta che fosse stata 
precisata in giudizio la voce di tariffa su cui era fondata l'imposizione 
suppletiva, invero, non poteva essere considerata come tardiva modificazione 
dell'originaria domanda (che sarebbe pur sempre restata immutata 
nell'essenza -dichiarazione di illegittimit� della pretesa fiscale per erronea 
applicazione di una voce di tariffa diversa da qqella originariamente 
applicata), costituendo semplicemente una nuova argomentazione difensiva 
in confutazione di una eccezione della controparte. 

Del pari � infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si sostiene 
che la pretesa fiscale non avrebbe potuto essere esplicata senza previo 
esperimento della procedura di revisione. Premesso che nella specie non 
rileva il fatto che si sia fatto richiamo, nella motivazione dell'ingiunzione, 
alle disposizioni del d.P.R. n. 43 del 1973, posteriore alle operazioni di 
importazione per cui � causa, in quanto, sul punto, detta normativa in 
nulla differisce da quella del d.P.R. 2 febbraio 1970, n. 62, indubbiamente 
applicabile nel caso di specie (trattandosi di operazioni di importazione 
avvenute successivamente all'entrata in vigore di quest'ultimo decreto), 
basta rilevare, come gi� correttamente ha fatto la sentenza qui impugnata 
(e come � giurisprudenza consolidata di questa Corte) che la revisione dell'accertamento 
� necessaria solo ai fini dell'applicazione di una nuova pretesa 
fiscale fondata su di una diversa qualificazione delle merci importate 
in relazione alla loro intrinseca natura. � necessario, cio�, prima ancora 
di rivedere l'esattezza o meno dell'applicazione di una voce di tariffa 
rispetto ad altra, che sia posta in contestazione la descrizione e la qualificazione 
della merce, attraverso nuove operazioni di esame e descrizione 
della merce stessa: qualora, invece, ferma restando l'identificazione della 
merce in tutte le sue componenti merceologiche essenziali e sufficienti ai 
fini dell'applicazione della tariffa, si ritenga dalla dogana di dover applicare 
alla merce, cos� come gi� descritta e qualificata, una voce di tariffa 
diversa, non � necessario alcun procedimento di revisione, in quanto 
sorge controversia unicamente sulla riconducibilit� della merce, non di~ 
versamente qualificata, sotto una voce di tariffa al posto di un'altra: questione, 
questa, alla cui soluzione non � necessaria alcuna indagine materiale 
da espletarsi sulla merce, ma unicamente un'attivit� interpretativa 
del disposto della tariffa, sul presupposto di un errore di interpretazione 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 935 

,e applicazione iniziale. In un caso del genere, bene � possibile azionare 
direttamente la pretesa fiscale attraverso l'ingiunzione, essendo le relative 
contestazioni conseguenti, in caso di opposizione, perfettamente risolvibili 
attraverso una mera indagine interpretativa di accertamento o meno 
di un errore iniziale di applicazione della tariffa, senza la necessit� di 
procedere a nessun accertamento concreto sulla merce importata. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 luglio 1983, n. 4531 -Pres. Sandulli Est. 
Zappulli -P. M. Silocchi (conf.) -Ministero delle finanze (avv. 
Stato Dipace) c. Giagnoli. 

Tributi locali -Imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili 
-Rettifica del valore finale -Adeguamento del valore iniziale 
dichiarato da parte dell'ufficio o del giudice -Esclusione � Impugnazione 
del contribuente -Aumento del valore iniziale dichiarato -Am� 
missibilit� � Limiti. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 2, 6 e 18). 
Tributi in genere � Dichiarazione -Effetti � Rettifica a favore del contribuente 
� Esclusione. 

Ai fini della determinazione dell'imponibile dell'INVIM, nel caso di 
accertamento di un maggior valore finale dell'immobile non si deve riconoscere 
necessariamente un aumento del valore inizial.e rispetto a quello 
dichiarato n� possono l'ufficio tributario o la commissione tributaria di 
propria iniziativa modificare in aumento il valore dichiarato. Tuttavia il 
contribuente, impugnando l'accertamento del valore finale, pu� domandare 
di rettificare il valore iniziale quando dimostri un suo giustificabile 
errore e purch� non sia ridotto l'imponibile differenziale risultante dalla 
dichiarazione originaria. (1) 

La dichiarazione tributaria serve di base alla liquidazione dell'imposta 
e non pu� essere rettificata a vantaggio del contribuente. � tuttavia 
consentito al contribuente dedurre innanzi alla commissione l'errore nella 
determinazione del valore ove ci� sia giustificato da particolari ragioni 
(come nel caso della determinazione di un valore, anteriore di oltre un 
decennio, ai fini dell'imponibile INVIM) e semprech� la rettifica della 
dichiarazione non comporti riduzione dell'imponibile gi� riconosciuto. (2) 

(1-2) Considerazioni sugli effetti della dichiarazione. 
La sentenza confermata da altra di eguale contenuto 13 settembre 1973, 

n. 
5547, supera per interesse i confini del problema specifico. 
� di elementare evidenza l'esattezza della prima parte della pronunzia ove 
si esclude un automatico trascinamento del valore iniziale del bene trasferito 
quando venga aumentato il valore finale; i due valori devono rispondere oggettivamente 
al valore di mercato ed � quindi del tutto normale che ne venga 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

936 

(omissis) Il Ministero ricorrente ha lamentato, con l'unico motivo del 
ricorso, la violazione nella decisione impugnata, degli artt. 2, 6, 18, 19 
e 20 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, per avere la commissione tributaria� 
centrale erroneamente affermato che, nell'accertamento dell'imponibile 
per l'INVIM di cui a quel decreto, qualsiasi modificazione in aumento 
del valore finale importa necessariamente una analoga variazione in 
aumento di quello iniziale, effettuata anche d'ufficio, perch� altrimenti 
ne sarebbe turbato il rapporto di omogeneit� tra gli elementi costitutivi 
della base imponibile. 

Ha sostenuto l'Amministrazione Finanziaria che tali affermazioni contrastano 
con le norme predette, operando � un vero e proprio stravolgimento 
del sistema impositivo � per essere diretta l'imposta a colpire quell'incremento 
di valore attraverso un calcolo differenziale sulla base delle 
dichiarazioni dei contribuenti, suscettibili di rettifica da parte degli uffici 
in sede di accertamento. 

Il motivo � fondato in quanto l'affermazione contenuta nella decisione 
impugnata sul collegamento necessario tra l'aumento apportato nell'accertamento 
dal giudice tributario sul valore finale e quello del valore 
iniziale non pu� essere condiviso nella sua assolute~za perch� � in contrasto 
con le norme di legge relative alla determinazione dell'imposta in 
questione. Infatti, una volta riconosciuto il principio, riportato pure in 

rettificato uno soltanto, senza dire che il valore iniziale dichiarato, nel caso 
che non sia gi� predeterminato, potrebbe essere rettificato in diminuzione. 

Maggiore interesse la sentenza suscita per ci� che concerne il problema 
della dichiarazione, bench� non affrontato in modo diretto. Sull'argomento 
possono dalla sentenza estrarsi le seguenti affermazioni di portata generale: 

a) la dichiarazione offre all'ufficio una base sicura per la liquidazione 
dell'imposta (principale), si ch�� l'ufficio non solo non deve ma non pu�, salve 
ovviamente le facolt� di rettifica, assumere come base imponibile valori diversi 
da quelli dichiarati; 

b) l'ufficio tributario non pu� rettificare la dichiarazione a favore del 
contribuente; 
c) il giudice tributario non pu�, d'ufficio, ridurre l'imponibile dichiarato. 
Con riferimento �alla questione pi� specifica si � ancora affermato; 

d) la possibilit� per il contribuente di mqdificare la dichiarazione � eccezionale 
(si giustifica per il valore anteriore di oltre un decennio, ma non per 
il valore attuale); 

e) la modificazione della dichiarazione � possibile solo deducendo un 
giustificato errore innanzi alla commissione; 

f) la modificazione della dichiarazione quanto al valore iniziale � ammessa 
solo a seguito dell'accertamento dell'ufficio del maggior valore finale 
(e quindi della maggiore differenza) ma solo se non risulti diminuito il valore 
differenziale riconosciuto originariamente con la dichiarazione. 

Tutte queste precisazioni sono molto importanti al fine di definire la 

natura, ancora assai controversa, della dichiarazione. 

L'argomento � stato da me esaminato in una precedente nota (Osserva


zioni sulla natura giuridica della dichiarazione tributaria, in questa Rassegna, 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 937 

quella decisione, per il quale l'incremento imponibile risulta dal raffronto 
tra i valori ipiziale e finale del bene trasferito con adozione di un criterio 
di semplice calcolo aritmetico attraverso una sottrazione, l'affermazione 
sulla necessaria variazione di uno di quei termini di raffronto in conseguenza 
di quello dell'altro, attraverso una forma di obbligatorio � trascinamento
�, di per s�, esclude proprio il raffronto suddetto e l'operazione 
di sottrazione indicata, cambiandone senza ragione il termine minore. 

Quel sistema viola le norme degli art. 2 e 6 del citato d.P.R. n. 643 del 
1972 perch� per il primo di quegli articoli �l'incremento di valore degli 
immobili... � soggetto all'imposta � t: per il secondo esso � � costituito dalla 
differenza fra il valore dell'immobile alla data nella quale si verificano 
i presupposti... ed il valore, aumentato delle spese indicate nel successivo 
art. 11 che l'immobile aveva alla data dell'acquisto ovvero della precedente 
tassazione �. Ci� dimostra che il procedimento logico-giuridico 
per la determinazione dell'imponibile deve muovere da due determinazioni 
di valore autonome, pur se riferentisi allo stesso bene, relative alle 
due date terminali con successivo calcolo della differenza. Pertanto, nulla 
esclude che una sola delle due valutazioni possa formare oggetto di rettifica 
e di contestazione senza che l'altra pienamente autonoma, ne sia 
coinvolta. � tra i due valori cos� considerati che deve effettuarsi �l raf


1980, I, 361) che sembra ricevere molte conferme dalla sentenza ora inter� 
venuta. 
La giurisprudenza successiva a quella menzionata nella detta nota � stata 
piuttosto oscillante. 

� stato riconfermato che la dichiarazione non ha natura confessoria e va 
considerata una dichiarazione di scienza, che ha soltanto funzione di portare 
a conoscenza dell'Amministrazione gli elementi sui quali si fonda la obbli� 
gazione, pur ammettendo che dalla dichiarazione possono ricavarsi elementi 
pl'esuntivi utili, in mancanza di prova contraria, per sostenere l'accertamento 
(Cass., 6 marzo 1980, n. ,1500, in questa Rassegna, .1981, I, 125); ed � stato rite� 
nuto che la dichiarazione pu� essere corretta e integrata, anche in sede d� 
ricorso contro il ruolo formato sulla base della dichiarazione, avendo questa 
natura di mera informazione per l'ufficio (Cass., 17 novembre 1981, n. 6095, 
ivi 1982, I, 7&1) ed anche che la dichiarazrl.one � non consapevolmente inesatta � 
pu� essere rettificata dal contribuente posto che essa dovrebbe essere rettificata 
autonomamente dall'ufficio anche a favore del dichiarante (Cass., 16 febbraio 
1982, n. 952, ivi, 1982, I, 799). 

Parallelamente per� si � anche affermato che la dichiarazione comporta 
il riconoscimento dell'obbligazione tributaria, a meno che il dichiarante non 
abbia contestualmente affermato che il reddito dichiarato non � tassabile 
(Cass., 24 gennaio 1980, n. 579, ivi, 1980, I, 815), che detto effetto di riconoscimento 
va attribuito anche alla dichiarazione presentata in vista di un beneficio 
(nella specie condono) poi non realizzatosi (Cass., 19 febbraio 1980, n. 1218, 
ivi, 823) che l'iscrizione a ruolo sulla base della dichiarazione � definitiva e 
non � travolta dal successivo riconosoimento della spettanza di una agevolazione 
(Cass., 21 ottobre 1981, n. 5506, ivi, 1982, I, 780), che infine sia la dichia




938 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fronto, dal quale si possa dedurre la �differenza� imponibile, mentre non 
si pu� inversamente sottrarre al valore maggiore quell'imponibile diversamente 
calcolato per modificare necessariamente il valore posto come 
iniziale. Cambiano, in quel modo, i termini del raffronto e dell'operazione 
aritmetica. 

Peraltro, pur affermandosi questo principio fondamentale in conformit� 
alle norme citate, non pu� non considerarsi l'ipotesi, posta in rilievo 
da varie decisioni della commissione tributaria centrale e dalla stessa nota 
7 novembre 1971, n. 12187/7488 del Ministero delle finanze, citata nella 
decisione impugnata, in cui (in ordine alla denunzia prevista dall'art. 18) 
il valore iniziale sia stato erroneamente indicato in misura minore con 
danno per il contribuente, senza che vi sia stata rettifica per esso da parte 
dell'ufficio finanziario mentre sia stato rettificato l'altro valore, e cio� 
quello maggiore all'epoca dell'applicazione dell'imposta, in corrispondenza 
ai prezzi del mercato edilizio. In tal caso, � evidente che l'ufficio finanziario 
non ha l'obbligo di procedere, a proprio svantaggio, ad un'analoga 
rettifica del valore iniziale denunziato dal contribuente, n� la commissione 
tributaria pu� procedere ad un raffronto fra termini diversi da 
quelli indicati secondo le norme di legge. 

razione sia il ricorso giurisdfaionale costituiscono riconoscimento dell'obbliga� 
zione e impediscono che l'ufficio o la commissione possono determinare valori � 
inferiori a queUi riconosciuti (Cass., 29 aprile 1982, n. 2691, ivi, .1982, I, 958). 

La sentenza ora intervenuta ha preso una posizione netta. 

Innanzi tutto la dichiarazione stabilisce la base per la liquidazione della 
imposta (principale) ed esonera l'ufficio, salvo maggiore accertamento, da 
qualunque onere di verificare la rispondenza di essa all'effettivo presupposto; 
l'ufficio non ha il dovere, ma non ha nemmeno il potere, di rettificare la dichiarazione 
a vantaggio del dichiarante; egualmente il giudice tributario non 
pu� d'ufficio ridurre la base imponibile. 

Se ne pu� agevolmente dedurre che la dichiarazione � ordinariamente vin


colante ed irrevocabile e dispensa il creditore dall'onere di provare il rapporto 

fondamentale (art. 1988 cod. civ.). 

Ma dalla sentenza risulta ancora che l'eccezionale ammissibilit� della mo


difica della dichiarazione pu� essere giustificata (oltre che da un errore mate


riale e da una erronea applicazione della norma tributaria) dalla deduzione 

innanzi alla commissione di un � giustificato errore �. Ma questo errore viene 

inteso in senso restrittivo (con riferimento all'INVIM, in quanto dipendente 

dalla difficolt� di stabilire un valore, iniziale, anteriore di oltre un decennio, 

ma si esclude che possa invece giustificarsi un errore nella determinazione 

del valore attuale) e semprech�, in relazione al meccanismo dell'INVIM, non 

risulti diminuito il valore differenziale riconosciuto originariamente con la 

dichiarazione. 

Dunque il giustificato errore deducibile innanzi al giudice non � altro che 

l'errore essenziale e riconoscibile. 

Tutto questo riconferma chiaramente che la dichiarazione � un negozio 

. If:~

:-:


di ricognizione del debito. 

.......,~ 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 939 

In tale situazione, non pu� condividersi la spiegazione data, oltre che 
in quella in esame, in altre decisioni della commissione tributaria centrale 
(11 aprile 1980, n. 1179; 6 aprile 1979, n. 967; 17 novembre 1978, 

n. 4131; 27 ottobre 1977, n. 2473), secondo le quali il valore iniziale dichiarato 
dal contribuente pu� essere elevato di ufficio dal giudice amministrativo 
quando viene aumentato quello finale per essere omognei gli 
stessi in quanto inseriti in un contesto unitario poggiato sulla loro differenza. 
Invero, esclusa l'esistenza di una qualsiasi norma che consenta 
di prendere a raffronto valori diversi da quelli sopra indicati, e di rettificare 
a favore del contribuente le sue dichiarazioni, la dedotta omogeneit� 
pu� ravvisarsi solo nell'identit� del bene e nell'esigenza di applicare 
per entrambi i termini il comune criterio di valutazione dato dal mercato 
edilizio nelle rispettive epoche. Ne � da trascurare che quella omogeneit�, 
per volont� evidente del legislatore, non pu� estendersi alle diverse caratteristiche 
che abbia assunto l'immobile negli anni intercorsi, sia per mutamenti 
di destinazione e strutture di esso stesso sia per particolari valorizzazioni 
della zona di cui fa parte: sono proprio queste, infatti, le 
variazioni che, insieme alla svalutazione monetaria, hanno dato luogo e 
origine agli aumenti di valore che si son voluti sottoporre all'imposta. 
Tuttavia, non pu� negarsi che un estremo rigore al riguardo produrrebbe 
serie ingiustizie, tali da essere rilevanti anche sul piano della legittimit� 
costituzionale in relazione alla norma dell'art. 53 della Costitu-

Gi� molti anni addietro le Sezioni Unite con una memorabile sentenza 
che, in dissenso con la Corte costituzionale, affermava la natura giurisdizionale 
delle commissioni (20 giugno 1969, n. 2175, in questa Rassegna, ,1969, I, 538) 
affermarono che Ǐ assolutamente fuori del sistema giuridico, e si muove nel 
campo metagiuridico� l'opinione che il contribuente nei confronti dell'Amministrazione 
si trovi in una posizione di collaborazione nella attivit� amministrativa 
e, parallelamente, � non si pu� forzare il concetto della imparzialit� 
della pubblica amministrazione fino a sostenere che essa � priva di capa� 
cit� di interesse nella sua stessa funzione... e in grado di garantire al contri� 
buente l'esatta applicazione de11a legge�. In sostanza contribuente e Amministrazioni 
sono le due parti contrapposte di un rapporto giuridico di diritto 
soggettivo e non si pu� affermare che lAmministrazione non possa e non 
debba comportarsi come un creditore di fronte al soggetto privato che fa 
vale!'e con tutti i mezzi i suoi diritti. Sono cio� prive di concretezza quelle 
aspirazioni alfa riaffermazione esasperata del principio di legalit�, di cui si 
sente una eco anche nella ,sentenza in esame, che, con un aggancio all'art. 53 
Cost., tendono ad ammettere in ogni situazione la modificazione a favore del 
contribuente del dichiarato, e magari gi� adempiuto, rapporto tributario attribuendo 
all'ufficio tributario un compito di perseguimento della giustizia e 
della verit� che non ha alcuna base normativa (GAFFURI, Considerazioni sull'accertamento 
tributario, in Riv. dir. finanz., 198:1, I, 538). 

L'art. 53 riiguarda solo la norma tributaria e di conseguenza la sua esatta 
applicazione deve essere per quanto possibile perfettibile, di conseguenza sono 
ammissibili le correzioni dell'applicazione della norma sia a vantaggio della 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione, quando particolarmente vi siano stati errori del dichiarante, e c10 
con opportuna distinzione tra le due ipotesi previste dall'art. 6 secondo 
che il precedente acquisto, considerato per il termine iniziale del raffronto, 
sia compreso nel decennio precedente all'imposizione o meno. 

Invero, nel primo caso, diverso da quello in questione, il termine iniziale 
del raffronto � un dato certo e documentale, gi� noto all'Amministrazione 
finanziaria con conseguente possibilit� di controllo immediato e 
diretto, e cio� il valore dichiarato dallo stesso contribuente per il precedente 
trasferimento e, quello accertato definitivamente per esso. In tali 
casi, ovviamente, un successivo errore del contribuente sulla entit� della 
precedente dichiarazione o dell'accertamento, riguardando quei documenti 
in possesso dell'ufficio tributario, pu� ritenersi non pregiudizievole 
perch� l'elemento posto a base della nuova imposizione � costituito 
dalla effettiva misura di quella iniziale dichiarazione e del :relativo accertamento 
in conformit� a dati conosciuti e accettati dall'ufficio finanziario. 
Non � fuori luogo rilevare che in tali casi l'imposizione relativa all'atto 
precedente, ai fini dell'imposta di registro e di successione, fatta per la 
cifra pi� elevata � ulteriore motivo per legittimare e giustificare la rilevabilit� 
di quell'errore su elemento gi� reso noto da allora all'amministrazione 
finanziaria che ne aveva percepito la maggiore imposta. 

Amministrazione (supplemento) sia a vantaggio del contribuente. Tutt'altra cosa 
� per� il fatto presupposto del tributo la cui esistenza e la cui entit� vanno 
s� verificate e determinate con i procedimenti previsti e con le necessarie 
garanzie, ma senza ,escludere per ciascuna parte la responsabdhit� per gli atti 
compiuti. Se il contribuente pu� giovarsi della inadeguatezza dell'accertamento 
che abbia stabilito la base imponibile in misura inferiore alla oggettiva realt�, 
non si pu� escludere che l'Amministrazione possa giovarsi di una dichiarazione 
quale �, indipendentemente da una verifica di corrispondenza alla realt�, 
n� si deve indulgere nel consentire al soggetto passivo di svincolarsi dalle 
conseguenze di un suo atto. 

� pure un principio ripetutamente affermato che non sia consentito all'ufficio 
liquidare l'imposta su una base imponibile inferiore a quella dichiarata. 
Anche nel caso di determinazione legale del valore, come nel caso della valutazione 
c.d. automatica, fu ritenuto che il valore pattuito o dichiarato eventualmente 
superiore a quello tabellare deve sempre essere assunto a base 
dell'imposta (Cass., 28 febbraio 1973, n. 551, in questa Rassegna 1973, I, 559, 
con richiamo di precedenti conformi). 

Infine � importante sottolineare l'affermazione che la dichiarazione possa 
essere impugnata solo con specifica domanda da proporsi innanzi al giudice. 
L'ufficio non ha H potere di discostarsi dalla dichiarazione. Ci� � perfettamente 
coerente con l'indirizzo, accentuatosi con la riforma, di eliminare qualunque 
potere discre2lionale de1l'uffioio nella determinazione dell'imponibile 
(la abolizione del concordato nelle imposte dirette � la pi� tangibile manife. 
stazione). Infatti la possibHit� che l'ufficio sii preoccupi (o meno) di svolgere 
indagini per verifkare se la dichiarazione possa eventualmente essere rettiificata 
in diminuzione, cosa che non pu� ovviamente essere fatta per tutti i contribuenti, 
comporterebbe un esercizio discrezionale del potere. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 941 

Diverso � il caso di un errore di valutazione del contribuente dichiarante 
nel caso di cui al terzo comma dello stesso art. 8, e cio� di 
appartenenza del bene per acquisto ultradecennale, perch� in tal caso 
egli deve compiere una valutazione soggettiva attuale con riferimento ai 
valori anteriori di dieci anni. Ci�, se da un lato importa qualche difficolt� 
soggettiva nella esatta determinazione da persone spesso inesperte, dall'altro 
consegue da una libera valutazione con la scelta parzialmente implicita 
in ogni dichiarazione di conoscenza, quale � la denunzia tributaria 
e sempre con la possibilit� di errore da parte di persona inesperta. 

Pertanto, sarebbe effettivamente iniquo e di dubbia conformit� alle 
norme della Costituzione sulla perequazione tributaria e sulla possibilit� 
di difesa escludere che il contribunte, innanzi all'accertamento di un 
maggior valore per il termine finale del citato raffronto e il proprio giustificabile 
errore nella indicazione di quello iniziale, rimanesse privo di difesa 
in relazione alla maggiore accertata entit� della differenza corrispondente 
all'incremento di valore imponibile. 

Va, poi, considerato che il potere di rettifica delle proprie denunzie 
da parte del contribuente � stato, ormai, riconosciuto in linea generale a 
tutela del medesimo per evitare le pi� gravi conseguenze delle denunzie 
non corrispondenti al vero ~on le applicazioni di maggiori interessi e 
sovratasse e che, in ogni caso, quelle rettifiche avrebbero il valore di una 

Sotto tale profiilo non si possono conc:Liv1idere quelle posiziorui della dottrina 
che pur riconoscendo che il contribuente non ha il diritto di ottenere una 
modifica della dichiarazione, tuttavia sostengono che l'ufficio abbia il potere 
di adeguare la dichiarazione alla realt� oggettiva, anche a danno dell'Amministrazione, 
per eliminare l'eventu�lit� di una obbligazione tributaria non adeguata 
alla capacit� contributiva (su questa Hnea, se pure con riferimento ad 
un problema diverso cfr. LA RosA, L'indeducibilit� dei costi ed oneri non registrati 
avanti la Corte costituzionale, dn Dir. Prot. Trib., 11983', II, 3; LUPI, Sulla 
legittimit� costituzionale del secondo e terzo comma dell'art. 74 del d.P.R. 
29 settembre 1973, n. 597, in Riv.' dir. finanz., 1983, II, 96). 

Per eliminare ogni discrezionalit� bisognerebbe ammettere che il contribuente 
abbia sempre il potere di rimettere in discussione la determinazione 
della base imponibile anche dopo il pagamento; ma per far ci� bisognerebbe 
riconoscere ammissibile non solo la modifica della dichiarazione, ma anche 
dell'iscrizione a ruolo e perfino dell'accertamento (questa in sostanza la tesi, 
conseguente partendo da certe premesse, di DE MITA, L'iscrizione a ruolo delle 
imposte sui redditi, Milano 1979, 21, 60, 254, 272 ss.). Ma a questo punto la 
dichiarazione non � pi� nulla, nemmeno una dichiarazione di scienza, il soggetto 
passivo non ha pi� alcuna posizione nel procedimento e tutto sarebbe 
rimesso all'Amministrazione che esegue sempre un accertamento (d'ufficio) vi 
sia stata o meno una indicazione (priva di effetti) del contribuente. Non sem� 
bra che, specialmente dopo la riforma, tutto questo possa trovare riscontro 
nella lettera della legge specie se si considera, attraverso le previste sanzioni, 
l'importanza che si attribuisce alla dichiarazione, destinata ad assolvere in via 
normale alla funzione di determinazione dell'obbligazione tributaria con sostituzione 
sempre pi� larga della attivit� di accertamento tendente a restrin� 



942 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

difesa per evitare un aumento dell'imponibile costituito dalla menzionata 
differenza. 

Inoltre, poich�, come gi� rilevato, non pu� non ammettersi la rettifica 
nel caso previsto dallo stesso art. 6 per gli acquisti entro iil decennio 
quando nella nuova denunzia di cui all'art. 18 vi sia stato errore nella indicazione 
sul menzionato dato documentale della precedente denunzia e 
del precedente accertamento, non sembra che possa escludersi nella stessa 
materia ogni deducibilit� di un giustificabile errore per il caso di propriet� 
ultradecennale. 

Conseguentemente, deve riconoscersi, in seguito ai maggiori accertamenti 
dell'ufficio con modifica del valore finale, un potere del contribuente 
di effettuare, a propria difesa, una rettifica per giustificabile errore della 
denunzia del valore iniziale gi� indicato, ma, proprio per il suo contenuto 
di eccezione difensiva, essa non pu� non essere sottoposta a due 
ulteriori limitazioni. In primo luogo, quella rettifica non pu� essere diretta 
a ridurre la differenza imponibile corrispondente alla coppia di valori 
gi� denunziati, e quindi non pu� indicare un valore iniziale tale da ridurre 
ulteriormente quella differenza secondo i valori dichiarati rispetto al maggior 
valore finale accertato dall'ufficio tributario. Diversamente si avrebbe 
una pretesa del contribuente all'applicazione di un imponibile minore rispetto 
a quello gi� da lui riconosciuto e accettato. 

gersi a un limitato numero di interventi, a titolo esemplare, secondo programmi 
a criteri selettivi, campionature, sorteggi ecc. 

Infine sarebbe necessario ricreare (ma la disciplina normativa concreta 
non sembra consentirlo) tutto un sistema di nuovo accertamento sulla dichia� 
razione modificata; se si ammette che il dichiarante possa, anche a lungo 
intervallo di tempo, modificare la originaria dichiarazione non pu� non prevedersi 
che l'ufficio possa eseguire un nuovo accertamento; al contrario sembrano 
insuperabili le decadenze stabilite dalla legge con termini riferiti alla 
dichiarazione originaria. 

Nel caso di integrazione o modificazione dell'accertamento per sopravve� 
nuta conoscenza di elementi nuovi, il contribuente � rimesso in termini per 
impugnare l'anteriore accertamento (ci� era espressamente previsto nell'art. 35 
del t.u. del 19S.8 ,e deve riconoscersi sempr,e ammissibile dalla pi� stringata 
espressione deWart. 43 del d.P.R. n. 600/.1973); la regola opposta dovrebbe 
va1ere quando si �elimina una dkhiaraziione sulla quale l'ufficio aveva fatto 
affidamento nel decidere di non procedere ad accertamento. Ma cos� si rischierebbe 
di rinviare sine die la chiusu:ria de:i perii.odi di imposta. 

Parimenti in tema di sanzioni per infedele dichiarazione, dovrebbe farsi 
riferimento non alla dichiarazione vera e propria ma alla successiva rettifica 
e aver riguardo a questa per i termini per l'esercizio del potere sanzionatorio; 
ma anche qui l'ordinamento positivo non offre possibilit� di adeguamento. 

In conclusione la tesi della revocabilit� della dichiarazione ha ricevuto con 
la sentenza in esame un duro colpo, mentre risulta rafforzata l'idea che la 
dichiarazione sia un atto di ricognizione del debito, impugnabile soltanto come 

tale, per incapacit� naturale o per vizio della volont�. 
CARLO BAFILE 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 943 

In secondo luogo, trattandosi di una rettifica a difesa del contribuente 
fondata su sue valutazioni e deduzioni personali nell'ambito dei di lui 
poteri, quella variazione non pu� essere effettuata dal giudice tributario 
se non in seguito a domanda od eccezione del medesimo, senza che si possa 
rilevare d'ufficio un errore in quella dichiarazione di scienza non dedot� 
ta dalla parte interessata. 

In base a tale delimitazione dei poteri delle commissioni tributarie, la 
decisione impugnata -nella quale si � solo affermato un assoluto e incondizionato 
potere delle stesse di rettifica pur del valore iniziale dichiarato 
dal contribuente in caso di aumento di quello finale, -deve essere cassata 
con rinvio alla commissione centrale per nuovo esame. 

Quest'ultima, nel disposto rinvio, dovr� attenersi al principio in virt� 
del quale, nelle controversie relative all'imponibile ai fini dell'INVIM, 
nel caso di accertamento o di riconoscimento di un maggior valore finale 
dell'immobile al quale si riferisce l'imposta, non si deve necessariamente 
riconoscere un aumento del valore iniziale rispetto a quello dichiarato 
dal contribuente e non formante oggetto di contestazione. Pu�, tuttavia, 
il oontribuente, in seguito alla intimazione di un maggior accertamento 
per il valore finale, rettificare, a propria tempestiva difesa nell'osservanza 
del contraddittorio, nei diversi gradi e delle relative preclusioni, l'opposto 
valore iniziale come da lui dichiarato quando dimostri un proprio 
giustificabile errore e purch� non sia ridotto l'imponibile differenziale 
risultante dalla dichiarazione originaria. Le commissioni tributarie a loro 
volta, non possono, senza tale tempestiva rettifica del contribuente, modificare 
in aumento il valore iniziale dichiarato dal medesimo. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 luglio 1983, n. 4730 � Pres. Brancaccio � 
Est. Contu � P. M; Paolucci (conf.) -Lorusso (avv. D'Abbado) c. Ministero 
delle finanze (avv; Stato Palatiello). 

Tributi erariali diretti � Imposta sul reddito delle persone fisiche � Oneri 
deducibili -Omessa documentazione � Ricorso contro il ruolo -Dimo� 
strazione � Ammissibilit�. 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 3). 
Nel caso che non sia stata allegata alla dichiarazione la documenta� 
zione dimostrativa degli oneri di cui all'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, 

n. 597, � consentito, proponendo ricorso contro il ruolo, dare la prova 
dell'onere in sede giurisdizionale. (1) 
(1) Gi� altre volte la S.C. aveva riitenuto ammissibile la deduzione me� 
diante ricorso contro il ruolo di un beneficio non domandato con la dichia� 
razione o non doc�mentato in tale sede (17 novembre .1981, n. 6095, in questa 
Rassegna, 1982, I, 78,1; 16 febbraio 1982, n. 952, ivi, 799). 
12 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

944 

(omissis). -Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e 
falsa applicazione degli artt. 10 e 85 del d.P.R. n. 597 del 1973 e dell'art. 3 
del d.P.R. n. 600 del 1973, nonch� insufficienza di motivazione su un punto 
decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), sostenendo che 
la documentazione relativa alle imposte arretrate portate in deduzione 
nella dichiarazione dei redditi pu� essere prodotta anche nel corso del giudizio 
dinanzi alle commissioni tributarie, e che la decisione impugnata sarebbe 
inficiata da errore di diritto per avere disatteso tale principio ed 
avere invece affermato che detta documentazione doveva essere allegata, 
a pena di decadenza, alla dichiarazione dei redditi. 

Tale censura � fondata. 

L'art. 3, ultimo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, contenente disposizioni 
comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, dispone 
che � alla dichiarazione delle persone fisiche deve essere in ogni caso allegata, 
a pena di inammissibilit� della deduzione, la documentazione rela-

Il ricorso contro il ruolo per ottenere il risultato di integrare la dichiarazione 
non sembra essere il mezzo idoneo. Oggi per tutte le imposte dirette 
vige l'obbligo del versamento diretto s� che alla iscrizione a ruolo in base alla 
dichiarazione si procede soltanto quando il versamento non sia stato conforme 
al dichiarato o quando il reddito complessivo sia stato spezzato in pi� dichiarazioni 
(art. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600/1973; art. 11 d.P.R. n. 602/1973); ove 
ci� non si verifichi non viene formato il ruolo e il contribuente che abbia 
omesso di includere nella dichiarazione uno degli elementi a suo vantaggio 
'(oneri deducibili, detrazioni, acconti e crediti di imposta) non potrebbe utilizzare 
il rimedio del ricorso contro il ruolo. 

L'iscrizione a ruolo, a titolo definitivo (art. ,14 del d.P.R. n. 602) non pu� 
essere contestata sulla base di elementi non compresi nella dichiarazione, 
con il che non si propone un ricorso contro il ruolo, ma si deduce un fatto 
nuovo e diverso rispetto a quelli che hanno legittimato la formazione del ruolo. 
Il carico del ruolo deve essere pertanto riscosso. 

Il terreno sul quale potrebbero eventualmente dedursi istanze che portano 
alla liquidazione di una minore imposta a causa di elementi non compresi nella 
dichiarazione potrebbe essere in ogni caso, vi sia stata o meno iscrizione a 
ruolo, quello della domanda di rimborso. 

Sulla ammissibilit� della domanda di rimborso sorgono altre difficolt�. 
Dall'esame sistematico della normativa si evince l'esigenza di una concentrazione 
nell'unico procedimento di tutti gli elementi comunque rilevanti che condizionano 
altri elementi ed il reddito complessivo e non possono di conseguenza 
essere considerati isolatamente. :� regola bene evidente che la dichiarazione 
deve essere unica, come unico � l'accertamento; trasferire in sede di rimborso 
(o di pi� rimborsi) quel che doveva essere oggetto di dichiarazione significa 
operare quell'inammissibile spezzettamento che rinvia nel tempo la definizione 
irretrattabile dei rapporti e mantiene in stato di incertezza le entrate gi� conseguite. 
Parallelamente le ipotesi di rimborso considerate (artt. 37, 38, 40, 41 

d.P.R. n. 602) hanno carattere di eccezionalit�. 
Probabilmente la dichiarazione, al pari dell'accertamento, ha valore preclusivo 
rispetto a successive istanze. :� questo tuttavia un problema che merita 
una approfondita riflessione. 


PARTE J, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

tiva agli oneri deducibili di cui all'art. 10 del decreto indicato nel primo 
comma � (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597). Tale norma � stata interpretata, 
sia dall'ufficio che dalla commissione centrale, nel senso che la mancata 
produzione, in allegato alla dichiarazione dei redditi, dei documenti 
comprovanti il diritto a detrarre dall'imponibile determinati oneri costituisca 
causa di decadenza. 

Siffatta interpretazione non pu� essere condivisa per la ragione fondamentale 
che la decadenza non � prevista dalla legge e, in mancanza di 
un'espressa comminatoria, non pu� essere applicata dall'interprete. 

N� pu� essere decisiva la circostanza che la norma in esame parli di 
� inammissibilit� della deduzione � poich� in tal modo si fa riferimento 
ad una nozione ben diversa dalla decadenza e si commina una sanzione 
che deve necessariamente riferirsi al procedimento amministrativo di 
accertamento dell'imposta, lasciando impregiudicato il diritto del contribuente 
di contestare l'imposizione tributaria dinanzi alle competenti commissioni 
e di produrre in tale sede la documentazione relativa alle deduzioni 
escluse dall'ufficio in sede di accertamento. Ed al riguardo deve 
sottolinearsi che la possibilit� di produrre nuovi documenti nel giudizio 
dinanzi alle commissioni tributarie � prevista espressamente dagli artt. 19 
e 36 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, relativo al contenzioso tributario, 
i quali non distinguono fra documenti che dovevano essere allegati alla 
dichiarazione dei redditi e documenti da produrre per effetto di esigenze 
sopravvenute, o comunque nuove e diverse, e lasciano perci� intendere 
che la possibilit� di documentare le pretese fatte valere in giudizio 
abbia carattere generale e possa ritenersi preclusa solo se si sia verificata 
una decadenza esplicitamente prevista dalla legge. 

Deve d'altronde rilevarsi che la tesi qui sostenuta � stata accolta in 
via generale dalla stessa Amministrazione, la quale, con nota n. 8/898 in 
data 21 agosto 1978 della Direzione generale delle imposte dirette, ha affermato, 
a proposito degli oneri deducibili di cui al citato art. 10, la possibilit� 
del ripristino delle deduzioni degli interessati, su iniziativa degli 
stessi contribuenti, in sede di ricorso contro la relativa iscrizione a ruolo. 

(omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 luglio 1983, n. 4731 -Pres. Sandulli Est. 
Caturani -P. M. Cantagalli (conf.) -Ministero delle finanze (avvocato 
Stato D'Amico) c. Fallimento Soc. SA.CA.VA. 

Tributi erariali diretti -Imposta sulle societ� -Agevolazione �per il Mezzogiorno 
� Societ� .per l'esercizio di cantieri edili � Si estende. 

(d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1567; t.u. 30 giugno 1967, n. 1523, art. 115). 
L'agevolazione dell'art. 115 del t. u. 30 giugno 1967 n. 1523 sugli interventi 
nel Mezzogiorno � riferita per l'imposta sulle societ� genericamente 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

alla societ� costituita per la realizzazione di nuove iniziative produttive 
e non richiede la creazione di nuovi impianti industriali; conseguentemente 
l'agevolazione si estende anche alle societ� costituite per l'esercizio di 
cantieri edili. (1) 

(omissis). -Con unico motivo, l'amministrazione ricorrente, denunziando 
violazione e falsa applicazione dell'art. 115 t. u. 30 giugno 1967, 

n. 1523, in relazione all'art. 360 n. 3. cod. proc. civ., assume che, contrariamente 
a quanto ritenuto dalla impugnata decisione, l'agevolazione tributaria 
di cui si contende riguarda soltanto quelle iniziative economiche 
che realizzino una produzione industriale mediante stabilimenti all'uopo 
organizzati, mentre tali non possono essere considerati i cantieri edili. 
Il ricorso � infondato. 
Conformemente a quanto prevede l'art. 14 della legge 26 giugno 1965, 


n. 717, l'art. 115 del t.u. delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, cos� 
statuisce: � Le societ� che si costituiscono con sede nei territori indicati 
all'art. 1 per la realizzazione di nuove iniziative produttive nei territori 
stessi sono esenti per dieci anni dalla loro costituzione, dalla imposta 
sulle societ� di cui al titolo VII del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645... >>. 
Sostiene l'avvocatura generale dello Stato che la norma, compresa 
nella sez. VI riflettente le agevolazioni fiscali per l'industria, intanto pu� 
trovare applicazione in quanto si tratti di iniziativa produttiva attraverso 
cui si realizza una produzione industriale mediante stabilimenti. all'uopo 
impiantati. 

La tesi non appare conforme alla disciplina giuridica della agevolazione 
de qua e risulta influenzata dai requisiti che lo stesso testo unico 
espressamente richiede ai fini della concessione dei benefici tributari per 
altri tipi di imposta. Cos� per la esenzione dall'imposta di ricchezza mobile, 
l'art. 106 richiede che si tratti di stabilimenti industriali tecnicamente 
organizzati. La parte non superiore al 50 per cento degli utili dichiarati 
dalle societ� previste dall'art. 107, la quale sia direttamente impiegata 
nella costruzione, ampliamento o riattivazione di impianti industriali 
nei territori di cui all'art. 1, � esente da imposta di ricchezza mobile 
di cat. B. 

(1) La decisione d� luogo a seri dubbi. t!. sempre stato pacifico che l'attivit� 
edilizia non � una attivit� industriale agevolata nel Mezzogiorno (Cass., 
9 maggio ,1979, n. 2645, in questa Rassegna, 1979, I, 757). La distinzione testuale 
fra le norme riferite all'agevolazione per l'imposta di ricchezza mobile (artt. 106 
e 107) e l'imposta di registro (artt. 107 e 108) e quella per l'imposta sulle 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 947 

Altrettanto va detto per quanto dispongono gli artt. 108 e 109 a proposito 
della registrazione a tassa fissa dei contratti di acquisto di suoli a 
fini industriali da parte dei comuni e dei trasferimenti di terreni e fabbricati, 
dove la finalit� del contratto deve essere diretta a realizzare l'impianto, 
la installazione o la costruzione per l'esercizio di attivit� industriali e 
rispettivamente risiedere nel costituire il primo impianto di stabilimenti 
industriali tecnicamente organizzati. 

La formulazion� letterale dell'art. 115 del t.u. che riguarda la esenzione 
dall'imposta sulle societ�, � invece chiaramente nel senso che la 
norma ha inteso concedere il beneficio alle societ� che si costituiscono 
per la realizzazione di � nuove iniziative produttive � e cio� di societ�, 
che pur senza avere il carattere di stabilimenti tecnicamente organizzati, 
siano rivolte alla produzione di beni o servizi. 

Rientrano quindi nella previsione normativa anche le societ� costituite 
nei territori dell'art. 1 per l'esercizio di cantieri edili, i quali -secondo 
la intenzione legislativa (art. 12 disp. prel.) -egualmente contribuiscono 
allo sviluppo delle condizioni economiche del Mezzogiorno, anche , 
attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro, in definitiva ponendo le 
premesse di un incremento della occupazione locale. 

D'altro lato, che la ratio legis sia quella accennata, perfettamente 
conforme alla lettera del precetto normativo, risulta ulteriormente confortato 
da quanto statuisce il precedente artt. 111 dello stesso testo a proposito 
della registrazione a tassa fissa di atti costitutivi di societ� industriali, 
dove per essere ammessi al beneficio si richiede non solo che si 
tratti di societ� aventi ad oggetto l'esercizio di attivit� industriali ma che 
il capitale relativo sia destinato all'impianto negli indicati territori, di 
stabilimenti industriali tecnicamente organizzati e al loro esercizio. 

In conclusione, la decisione impugnata che ha riconosciuto l'applica


zione del beneficio previsto dall'art. 115 del testo unico alla societ� 

SA.CA.VA. che con l'atto costitutivo di cui si contende svolge l'attivit� 

di costruzione edilizia nei territori di cui all'art. 1, non merita alcuna 

censura ed il ricorso deve essere respinto. (omissis). 

societ�, si spiega perch� quest'ultima imposta, personale, non pu� avere un 

riferimento esclusivo a impianti e stabilimenti industriali; ma ci� non basta 

per affermare che qualunque attivit� produttiva sia agevolata. Ed � certamente 

poco ragionevole che lo stesso reddito sia esente daLl'imposta ,sulle societ� 

e non dall'imposta di ricchezza mobile. 

Per di pi� la societ� avente sede nel Mezzogiorno pu� svolgere la sua 

attivit� anche al di fuori del territorio s� che l'agevolazione avrebbe una por


tata di grandissima estensione. 



948 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 luglio 1983, n. 4868 -Pres. Mazzacane, 
Est. Cantillo -P. M. Cantagalli (diff.). Sassatelli c. Ministero delle finanze 
(avv. Stato d'Amico). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso alla commissione 
centrale -Motivazione -Finalit� -Requisiti. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 25). 
Il ricorso alla commissione centrale richiede una motivazione tale 
che, se pure senza l'osservanza di un rigido modello formale, consenta di 
desumere dal complesso dell'atto, con sufficiente chiarezza, l'oggetto della 
controversia e l'ambito di impugnazione e sia idonea a identificare le parti 
della decisione che si intendano impugnare ed a consentire l'immediato 
controllo della ammissibilit� del ricorso. (1) 

(omissis) 1. -Nell'ordine logico-giuridico deve essere esaminato 
con precedenza il secondo motivo, con il quale i ricorrenti sostengono che 
la commissione tributaria centrale abbia apoditticamente ritenuto ammissibile 
il ricorso dell'Amministrazione, a loro parere non evidenziante i 
motivi del gravame avverso la decisione della commissione di secondo 
grado. 

La censura � infondata. 

� esatto che, ai sensi dell'art. 25, secondo comma, d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 636, il ricorso alla commissione tributaria centrale deve contenere, 
a pena di inammissibilit�, �l'esposizione sommaria dei fatti e dei 
motivi d�lla impugnazione�; il quale requisito, pur non comportando 
l'osservanza di un rigido modello formale, impone che dal complesso dell'atto 
debbano potersi desumere, con sufficiente chiarezza, l'oggetto della 
controversia e l'ambito del giudizio di impugnazione, cio� i punti e le 
questioni di cui si chiede il riesame. � a dire, anzi, che il precetto -espressione 
di un principio generale comune a tutti i mezzi di gravame (stabilito 
dallo stesso d.P.R. n. 636 del 1972 anche per il ricorso alla commissione 
di secondo grado) -assume particolare rilievo nell'impugnazione 
in oggetto, in quanto, oltre ad adempiere alla funzione di identificare le 
parti della decisione che si intende impugnare e, per converso, quelle alle 

quali si vuol prestare acquiescenza, consente altres� l'immediato control


lo di ammissibilit� del ricorso medesimo sotto il profilo delle questioni 

che possono essere portate alla cognizione del giudice di terzo grado, al 

quale sono sottratte, come � noto, le questioni di mero fatto attinenti alla 

(1) Decisione esattissima con la quale si corregge la troppo elastica massima 
di Cass., 9 marzo :1981, n . .1316, in questa Rassegna, .19Sl, I, Sl8. Sull'argo� 
mento v. C. BAFILE, Il giudizio di terzo grado nel processo tributario, Padova, 
1982, 116 ss. 
11r11111111111�a11!11111111111111,�1r1aar111111~�~ 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 949 

valutazione estimativa e alla misura delle pene pecuniarie (art. 26); e ci� 
era sufficiente a negare la possibilit� di specificare i motivi o di aggiungerne 
altri in un momento successivo, con la memoria, anche prima della 
novella di cui al d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, che ha tolto qualsiasi 
dubbio al riguardo, avendo escluso pure in primo grado l'ammissibilit� 
del ricorso c.d. interruttivo (art. 15, terzo comma). 

Nella specie, per�, la decisione impugnata, nel respingere l'eccezione 
di inammissibilit�, ha osservato che il ricorso, lungi dall'esaurirsi in una 
generica contestazione della pretesa tributaria, prospettava chiaramente 
l'oggetto della lite e il vizio denunziato, relativo alla qualificazione giuridica 
dell'atto sottoposto a tassazione; e appunto tale questione risulta 
in concreto esaminata, sicch� correttamente � stato ritenuto adempiuto 
l'onere di specifioazione dei motivi. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 settembre 1983, n. 5552 -Pres. Santosuosso 
-Est. Soanzano -P. M. Ferraiolo (conf.). -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Laporta) c. Fallimento Maglificio Schilling. 

Tributi in genere -Sanzioni -Provvedimento di irrogazione -Natura 
dichiarativa : Nascita dell'obbligazione al momento della commissione. 
(legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 3 e 17; d.P.R. 26 ottobre 1933, n. 633, artt. 51, 57, 

58 e 75). 

Il provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa � discrezionale 
soltanto quanto alla determinazione della misura, mentre � 
dichiarativo quanto alla verifica della sussistenza del comportamento assunto 
dalla legge come elemento costitutivo della fattispecie sanzionatoria 
e presupposto delle conseguenti obbligazioni patrimoniali; pertanto 
l'obbligazione civile da sanzione sorge, se pure con oggetto illiquido, al 
momento della commissione della violazione (applicazione in tema di 
insinuazione nel passivo di sanzioni accertate dopo la dichiarazione di 
fallimento per infrazioni consumate anteriormente). (1) 

(1) Decisione di molto interesse di cui va segnalata la preclSlone della 
motivazione. Parallelamente alla definizione dell'obbligazione tributaria, ormai 
pacifica in giurisprudenza (v. Relazione Avv. Stato, ;1976-80, II, 417) viene riaffer� 
mata la stessa natura di obbligazione legale, che sorge per il verificarsi dell'evento 
assunto dalla legge come costitutivo della fattispecie sanzionatoria, 
anche per la pena pecuniaria, bench� essa richieda, per assumere liquidit� ed 
essere adempiuta, un provvedimento che � discrezionale limitatamente alla 
determinazione del1a misura. Se ne dovrebbero trarre le conseguenze 'logiche 
anche in tema di interessi sulla sanzione: allo stato mentre � pacifica la 
debenza degli interessi sulla soprattassa (Cass., 5 ottobre 1982, n. 51rl5, in 
questa Rassegna, 1983, I, 181) non risulta ancora chiarito se gli interessi gra� 
vino alla pena pecuniaria. 



RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 

(omissis). -L'Amministrazione ricorrente denuncia violazione e falsa 
applicazione degli artt. 3 legge 7 gennaio 1929, n. 4; 21 sgg. in relazione 
all'art. 41 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e premesso che, nell'ambito del 
rapporto giuridico d'imposta, la legge ricollega al verificarsi di un dato 
presupposto la nascita di obbligazioni formali e sostanziali a carico del 
soggetto passivo, sostiene che la violazione di doveri di comportamento 
preordinati al concreto e fruttuoso esercizio del potere di imposizione tributaria 
costituisce fatto da cui discendono immediatamente conseguenze 
patrimoniali, in termini di sanzione. In ordine a tali conseguenze -soggiunge 
-la discrezionalit� di cui gode l'Amministrazione riguarda solo la 
graduazione della pena pecuniaria, mentre l'atto con cui essa accerta verificati 
i relativi presupposti ed irroga la sanzione rimane fuori della fattispecie 
costitutiva della relativa obbligazione. Risolutivo in tal senso sarebbe 
l'art. 17 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, secondo cui il diritto alla 
riscossione della pena pecuniaria si prescrive col decorso di cinque anni 
dalla commessa violazione. 

Il ricorso � fondato. 

La Corte di merito muove dalla premessa della natura costitutiva 
dell'accertamento tributario e ritiene di potere trarre conforto, in ci�, dalla 
sentenza di questo Supremo Collegio del 12 agosto 1963, n. 2293. Tale 
sentenza per� non giustifica quella premessa, perch� 'anzi, essa, dopo 
avere enunciato le varie teorie circa la natura del detto accertamento, 
afferma che �il delicato problema relativo al momento in cui sorge il 
debito di imposta non viene in rilievo ai fini dell'applicazione dell'art. 184 
della legge fallimentare�. Si trattava in quella occasione di stabilire, appunto, 
se, ai sensi di tale disposizione, il credito per imposta straordinaria 
sul patrimonio, non esigibile per difetto di accertamento e di iscrizone 
nei ruoli, fosse da considerare anteriore al concordato preventivo; e 
la questione fu risolta in senso negativo sul fondamentale rilievo che 
prima del concordato, e riguardo alla imposta non ancora accertata, H suo 
titolare (rectius, il titolare del diritto di riscossione, giacch�, era parte in 
causa l'Esattoria comunale) non aveva un diritto di credito (tanto che l'obbligato 
non poteva neanche soddisfarlo prima dell'accertamento) e comunque 
il diritto di riscuoterlo. 

Problema analogo tratta la sentenza n. 849/73 invocata nel controricorso. 


Per ritenere che l'accertamento tributario abbia natura dichiarativa 
giova invece richiamare il prevalente orientamento dottrinario, formatosi 
gi� anteriormente alla riforma, secondo il quale con l'accertamento l'Am� 
ministrazione finanziaria si limita ad evidenziare l'esistenza di presupposti 
gi� verificatisi, al solo fine di precisare in termini quantitativi gli 
effetti giuridici, scaturiti da quei presupposti e da essa non modificabili, 
trattandosi di materia sottratta alla sua disponibilit� (v. Cass., n. 2397/81). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Giova inoltre ricordare che nel regime istituito con la riforma tributaria, 
vige anche per le imposte personali (corrispondenti a quelle che 
anteriormente erano qualificate �imposte con accertamento�) il sistema 
dell'autoaccertamento e dell'autotassazione, rispetto a cui il successivo 
eventuale accertamento dell'Amministrazione ha, in definitiva, la funzione 
di verifica della regolarit� formale e sostanziale degli adempimenti 
del contribuente, e, in caso di inadempimento da parte di quest'ultimo, 
di dichiarare gli effetti che la legge ricollega alla fattispecie assunta come 
presupposto dell'imposta. Se dunque il problema dovesse essere risolto in 
base alla natura dell'accertamento tributario, non sarebbe dubbio che 
la data di riferimento, ai fini del giudizio sull'anteriorit� al fallimento 
del credito per sanzione pecuniaria, debba essere quella dell'infrazione e 
non quella dell'irrogazione della sanzione. 

Anche per l'IVA, infatti, il d.P.R. n. 633/72 prevede specifiche forme di 
autoaccertamento ed autotassazione e, in apertura del titolo quarto, concernente 
l'accertamento e la riscossione, prevede attribuzioni e poteri al� 
l'ufficio in funzione di controllo delle dichiarazioni del contribuente. 

Ma, volendo prescindere dalla problematica all'accertamento del tri� 
buto ed avere riguardo al provvedimento irrogativo di sanzione pecuniaria 
ed al relativo credito (cio� al credito da pena pecuniaria per violazione 
degli obblighi imposti dal citato d.P.R. n. 633), le conclusioni nel 
senso anzidetto si impongono in forma altrettanto perentoria. 

Richiamando il principio secondo cui un credito si considera anteriore 
al fallimento, e quindi ammissibile al concorso, se il relativo fatto 
costitutivo (contratto, fatto illecito, atto o fatto idoneo a produrlo in conformit� 
dell'ordinamento) si sia concretato prima della data della sentenza 
dichiarativa di fallimento, e che a questi fini non ha alcuna rilevanza 
la circostanza che il credito sia, prima di tale data, liquido ed esigibile o 
non, � agevole constatare che il credito erariale per sanzione pecuniaria trova 
la sua origine in un comport�mento commissivo od omissivo che diventa 
giuridicamente rilevante (come fatto costitutivo della ragione di credito) 
nello stesso momento in cui esso � stato posto in essere. L'art. 51 
del d.P.R. n. 633/72 attribuisce all'ufficio il potere-dovere di irrogare la 
sanzione nell'ambito della (su ricordata) attivit� con cui esso controlla la 
dichiarazione del contribuente o ne rileva l'eventuale omissione, per modo 
che il provvedimento irrogativo della sanzione (applicabile in caso 
di accertate violazioni) non � che la constatazione degli effetti di un comportamento 
anteriore e la determinazione quantitativa delle conseguenze 
patrimoniali derivatene a carico dell'autore della violazione. 

Solo a tale determinazione (lo riconosce anche il controricorrente) 
si riferisce il margine di discrezionalit� che l'art. 49 del d.P.R. in esame 
attribuisce all'Ufficio medesimo. � invece sottratto alla sua disponibilit� 
l'obbligazione in s�, potendo solo gli organi del contenzioso tributario (a 


952 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

norma dell'art. 48 ultimo comma) dichiarare �non dovute� le pene pecu. 
niarie, con una valutazione che non esclude l'esistenza dell'anteriore presupposto 
all'obbligazione stessa e valorizza circostanze che facciano apparire 
non censurabile in concreto il comportamento del contribuente. 
Depone a favore della tesi qui accolta l'art. 17 legge 7 gennaio 1929, 

n. 4, richiamato dall'art. 75 del d.P.R. n. 633, secondo cui il diritto dello 
Stato alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive in cinque anni 
dalla data dell'infrazione. 
La norma richiamata, anche se non pu� trarre qui applicazione diretta 
ed esaustiva (stante il disposto dell'art. 58 del d.P.R. citato) esprime 
tuttavia un principio generale nel senso che il fatto costitutivo del diritto 
di credito da sanzione pecuniaria sorge col comportamento commissivo 
od omissivo del contribuente, assunto dalla legge come elemento costitutivo 
della fattispecie sanzionatoria e come presupposto delle conseguenti 
obbligazioni patrimoniali. Ed a tale principio questa Corte ha riconosciuto 
una forza tale da porre a carico dell'Amministrazione i tempi 
ne.cessari allo svolgimento del procedimento di accertamento dell'infrazione 
(v. Cass., nn. 1502/78, 3431/80). 

Una disciplina pi� specifica � dettata, in materia, dall'art. 58 d.P.R. 

n. 633/72, che, al terzo comma, con riferimento alle infrazioni che non 
danno luogo a rettifica o accertamento, fa decorrere il termine per la 
notifica del provvedimento di irrogazione della sanzione assumendo come 
anno iniziale quello in cui � avvenuta la violazione, cos� come, analogamente, 
il secondo comma (coordinato col precedente art. 57) per quanto 
riguarda le violazioni che danno luogo a rettifica o ad accertamento, fa 
riferimento all'anno in cui la dichiarazione del contribuente � stata o 
avrebbe dovuto essere presentata. Ora, � bens� vero che la norma prevede 
piuttosto una decadenza dal potere di irrogazione della sanzione, 
che una prescrizione del relativo credito; � anche vero per�, che tale 
potere si risolve nella constatazione formale (della rilevanza) di un fatto 
anteriore, costituente infrazione, e nella determinazione degli effetti che 
la legge prescrive si concretano in una obbligazione di pagamento di una 
somma di denaro, e siccome la detta obbligazione ha carattere civile, ne 
deriva che essa (a differenza di quella relativa ad una sanzione penale) 
� concepibil~, e pu� sussistere, anche come avente ad oggetto un illiquido, 
e che quindi il fatto considerato dalla legge come idoneo a produrla 
(cio� il comportamento omissivo o commissivo del contribuente) 
integra compiutamente il suo momento genetico. 
Deve allora concludersi che (come questa Corte ha gi� rilevato con 
sentenza n. 1502 del 3 aprile 1978 in tema di infrazioni valutarie) anche 
in materia di IVA il procedimento sanzionatorio ed il conseguente provvedimento 
hanno la funzione di accertare nei suoi termini anche quantitativi 
una obbligazione pecuniaria collegata ad un fatto costitutivo pre



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 953 

cedente, e che se tale fatto � anteriore al fallimento dell'autore della 
violazione, il relativo credito dello Stato � ammissibile al concorso. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 settembre 19'83, n. 5583 -Pres. Brancaccio 
-Est. Virgilio -P. M. Catelani (conf.). Ministero delle finanze 
(avv. Stato Palatiello) c. Pandolfini. 

Tributi erariali diretti -Imposta complementare progressiva sul reddito 
complessivo -Partecipazione in societ� di persone -Determinazione 
con riferimento alla quota del reddito sociale -Effettiva percezione 
da parte del socio -Irrilevanza. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 115). 
Ai fini dell'imposta complementare, il reddito del socio di una societ� 
di persone � sempre costituito dalla quota del reddito della societ� 
indipendentemente dall'effettiva percezione. (1) 

(omissis) La ricorrente deduce violazione dell'art. 135 del t.u. 29 gennaio 
1958, n. 645 e dell'art. 2262 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 
cod. proc. civ., nonch� insufficienza di motivazione, e sostiene che la 
Corte di appello ha omesso di considerare il diverso regime stabilito 
dalle lett. c) e d) del citato art. 135, rispettivamente, per le societ� di 
persone e di capitali. 

Per le prime, i soci sono assoggettabili all'imposta complementare 
in ragione della loro quota di diritto sugli utili sociali, la quale costituisce 
una componente del reddito complessivo del socio indipendente 
dalla effettiva percezione di essa da parte dell'avente diritto. 

La censura � fondata. 

La formulazione letterale delle disposizioni di cui all'art. 135 c) e d), 
del t.u. n. 645 del 1958 denota chiaramente il diverso regime stabilito 
dalla legge ai fini della determinazione dei �redditi derivanti� da partecipazione 
in � societ� semplici, in nome collettivo e in accomandita 
semplice � ovvero da partecipazioni � in societ� per a:z;ioni, in accomandita 
per azioni, a responsabilit� limitata e cooperative �. 

(1) Decisione indubbiamente esatta, rilevante oggi per comprendere lo 
stesso principio stabilito per l'IRPEG dall'art. 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, 
n. 597, e per dimostrare l'inconsistenza delle critiche mosse a questa norma. 
Una eccezione al principio � stata affermata per l'ipotesi in cui socio della 
societ� di persone sia una societ� di capitali (Cass., 27 febbraio 1982, n. il.268, 
in questa Rassegna, 1982, I, 808; 8 maggio 1982, n. 2866, ivi, 962). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

954 

Nel primo caso (societ� di persone) il reddito � valutato �in misura 
pari all'ammontare dei redditi netti della societ� proporzionalmente alla 
quota per la quale il contribuente ha diritto di partecipare agli utili della 
societ� stessa�; nell'altra ipotesi (societ� di capitali) �in misura pari 
all'ammontare degli utili a qualunque titolo o in qualsiasi forma percepiti 
dal contribuente�. 

Il raffronto tra le due disposizioni pone in evidenza che nel primo 
caso elemento essenziale e sufficiente per attribuire al socio il reddito della 
societ�, nella misura corrispondente al suo diritto di partecipazione agli 
utili, � soltanto la sua qualit� di socio, indipendentemente da ogni prova 
sulla effettiva percezione della quota-parte di utile netto a lui spettante; 
nel caso delle societ� di capitali, per la diversa struttura di tali enti, � 
invece necessario il requisito della effettiva percezione, da parte del socio, 
degli utili che a lui competono, perch� solo in tale situazione sorge la 
pretesa tributaria afferente al reddito derivante dalla sua partecipazione 
all'ente. 

La ragione del diverso trattamento � ravvisabile, come si � gi� detto, 
nella differente configurazione che i due tipi di societ� hanno nell'ordinamento 
giuridico, sicch� nella ipotesi della societ� di persone il fatto 
stesso della partecipazione ad essa (e nei limiti del diritto alla. quota di 
utili) determina automaticamente e indiscutibilmente, ai fini tributari, 
l'attribuzione del reddito proporzionale al socio, in quanto si ritiene senz'altro 
che l'utile netto accertato per la societ� sia stato ripartito tra i 
soci (Cass., �24 aprile 1979, n. 2324), laddove nell'altro caso, in considerazione 
dei pi� complessi meccanismi di produzione e di distribuzione 
degli utili e della diversa struttura dei rapporti tra societ� e soci, l'attribuzione 
a questi ultimi di una quota di reddito presuppone che gli utili 
siano stati effettivamente distribuiti, e perci� che sia avvenuta la loro 
percezione, cio� il trasferimento di una quota di reddito dalla societ� 
al socio. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 settembre 1983, n. 5692 -Pres. Brancaccio; 
Est. Zappulli, P. M. Paolucci -Ministero delle finanze (avv. 
Stato Salimei) c. Natoli. 

Tributi in genere -Contenzioso tributario � Procedimento innanzi alle 
commissioni � Appello � Notifica ad istanza di parte e successivo 
deposito nella segreteria -Nullit� � Sanatoria � Esclusione. 

{d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 22; cod. proc. civ. art. 156). 
� nullo l'appello notificato ad istanza di parte e successivamente depositato 
nella segreteria della Commissione in violazione dell'art. 22 del 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

955 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636; la nullit� non � sanata dalla partecipazione 
dell'appellato al giudizio di appello. (1) 
(omissis) Con l'unico motivo del suo ricorso il Ministero suddetto ha 
censurato quella decisione per violazione degli artt. 156 e 160 cod. proc. 
civ., richiamati dall'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, deducendo 
che la rilevata inosservanza dell'art. 22 del medesimo relativo alla notificazione 
dell'appello avverso la decisione della commissione di primo 
grado attraverso la segreteria di quest'ultima, a causa della notifica diretta 
da parte dell'ufficio invece che nella forma prevista da quella 
norma, importava solo una irritualit� dell'atto, e non una nullit�. Secondo 
l'amministrazione ricorrente tale nullit� non era comminata da 
alcuna norma, come richiesto dall'art. 156 cod. proc. civ., e l'atto aveva, 
comunque, raggiunto il suo scopo, tanto che la destinataria aveva presentato 
memoria difensiva innanzi la commissione di secondo grado. 

Il ricorrente, ha sostenuto, inoltre, che pure la trasmissione diretta 
dell'atto d'appello e del fascicolo di primo grado dall'ufficio appellante 
alla commissione di secondo grado, invece che per il tramite della segreteria 
della commissione di primo grado, costituiva una mera irregolarit� 
sanata dal conseguimento dello scopo. 

Il motivo � infondato. Invero, come gi� posto in rilievo da questa 
Suprema Corte (Cass., 7 giugno 1982, n. 3442), in seguito alla riforma 
del contenzioso tributario di cui al menzionato d.P.R. 26 ottobre 1972, 

n. 636, il procedimento di appello innanzi le commisioni di secondo grado, 
regolato dagli artt. 22-24, � fondato su un evidente impulso processuale 
di ufficio e si articola in precisi momenti aventi carattere e funzione 
di presupposti (presentazione del gravame alla segreteria della commissione 
tributaria che ha emesso la decisione impugnata) e di atti procedimentali 
(notificazione dell'atto di appello alla controparte ad opera della 
medesima segreteria, ricezione e notificazione dell'eventuale appello incidentale 
che deve essere proposto entro sessanta giorni dalla prima notificazione 
ad iniziativa della segreteria suddetta, formazione del fascicolo, 
trasmissione del medesimo alla commissione di secondo grado). 
(11) Il rigore della massima pu� essere giustificato con la inesistenza di un 
termine entro il quale l'appello notificato ad istanza di parte debba essere 
depositato; ci� potrebbe dar luogo ad un vuoto nell1t sequenza procedimentale 
determinando una anomala pendenza dell'appello che peraltro la segreteria 
della commissione ignora. Il principio dell'officialit� del processo � meno rilevante; 
ne d� dimostrazione la modifica introdotta con il d.P.R. 3 novembre 
1981, n. 739, che, per il ricorso in primo grado, ha sostituito la notifica per 
iniziativa di parte a quella a cura della segreteria. � giusto invece il rilievo 
che i tempi del procedimento non. devono essere alterati. Per analoga ragione 
� nullo il ricorso presentato all'ufficio e trasmesso oltre il termine alla segre� 
teria (Cass., 4 febbraio 1981, n. 754, in questa Rassegna, 1981, I, 595). 

956 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

In tale situazione l'attivit� e le funzioni della segreteria della commissione 
a qua rappresentano il nuovo elemento caratterizzante il procedimento 
di secondo grado. Tale elemento � stato, poi, sottolineato dal 

d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, contenente norme integrative di quello 
del 1972 n. 636:. invero ai sensi dell'art. 14 del nuovo decreto, alla formula 
�l'atto di appello... � presentato alla segreteria della commissione 
... � � stata sostituita l'altra ... � � proposto mediante consegna o spedizione 
... alla segreteria della commissione ... � con un significativo chiarimento 
circa la funzione della segreteria de qua. 
Rispetto a tali forme cos� prescritte la notificazione dell'appello diversamente 
effettuata, e cio� direttamente alla controparte e con deposito 
dell'atto ad iniziativa dell'appellante presso la segreteria della commissione 
di s.econdo grado, rappresenta secondo la citata sentenza un 
atto estraneo alla fattispecie procedimentale legale e non pu� valere come 
equipollente della fattispecie stessa. 

I principi di comminatoria legale dei casi di nullit� (art. 156, primo 
comma cod. proc. civ.) e di raggiungimento dello scopo (art. 156, terzo 
comma) non sono utilizzabili nella specie, che riguarda non atti processuali 
viziati (rispetto ai quali possa configurarsi una sanatoria quoad 
effectum), ma il compimento di atti strutturalmente e funzionalmente 
estranei alla fattispecie procedimentale legale. 

Non � poi da trascurare che il sistema adottato con la nuova normativa 
non � semplicemente diretto ad una tutela delle parti nel necessario 
contraddittorio, ma ad assicurare pi� rapidi accertamenti, nello 
interesse generale dell'attivit� tributaria dello Stato, con possibilit� di 
pi� semplice e pronta documentazione sulla proposizione delle impugnazioni 
nei termini di legge a causa di quel necessario loro passaggio attraverso 
la segreteria della stessa commissione che ha emesso la decisione. 
In tal modo, nell'assenza di tempestivi ricorsi � immediata alla scadenza 
dei termini la conoscibilit� da parte degli uffici interessati della conseguente 
definitivit� delle decisioni, senza bisogno di ulteriori richieste e 
comunicazioni tra uffici e segreterie di commissioni diverse. 

Invece, nel caso di presentazioni di impugnazioni � la stessa segre


teria che, effettuate le necessarie comunicazioni e controllato lo scadere 

dei termini, pu� provvedere all'invio dei fascicoli alla commissione di 

grado superiore senza necessit� di ulteriori richieste e segnalazioni. � fa


cile rilevare come questa semplificazione con la conseguente maggiore 

rapidit� corrisponde ai principi direttivi della riforma tributaria attuata 

per la parte del contenzioso con il citato d.P.R. n. 636 del 1972. 

Inoltre, per quanto riguarda la possibilit� di appello incidentale � 
ovvio che la mancata applicazione delle norme di cui all'art. 22 di quel 
decreto importa difficolt� e incertezze per la sua eventuale proposizione 
da parte del destinatario dell'impugnazione principale, che incidono sul 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

contraddittorio. Al riguardo � vana l'affermazione dell'Amministrazione 
ricorrente sulla assenza nella specie di pregiudizi per la contribuente 
a causa della totale vittoria di costei nel giudizio di primo grado: infatti, 
la volont� del legislatore sulla inderogabilit� della applicazione di un 
procedimento, quale quello previsto dal ripetuto art. 22, va considerata 
in linea generale e non con riferimento alle singole fattispecie. 

Resta da precisare che l'attuazione della notificazione attraverso un 
sistema di atti estranei all'attuale ordinamento, alterando il modo di 
trasmissione del fascicolo alla commissione di secondo grado, aggrava 
gli inconvenienti rilevati e produce anche attraverso quella diversit� effetti 
differenti da quelli voluti dal legislatore. (omissis) 


SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 15 luglio 1982, n. 4171 -Pres. De Biasi 

Rel. Giardina -P. M. Nicita (conf.) -Soc. Sicilprofilati (avv. Manfre


donia) c. Comune di Palermo (avv. Compagno e La Marca). 

Arbitrato -Comp~tenza arbitrale -Connessione con causa .pendente dinanzi 
all'A.G.O. -Prevalenza della competenza del ,giudice ordinario. 

Ove sussista rapporto di connessione tra cause pendenti dinanzi a 
giudici ordinari ed arbitrali, deve ritenersi prevalente -ed assorbente la 
competenza dell'A.G.O. (1) 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 luglio 1982, n. 4257 -Pres. Tamburrino 
-Rel. Santosuosso -P. M. Nicita (conf.) -Impresa Costruzioni 
Prefabbricati LC.P. S.p.A. (avv. Miglior e Cualbu) c. Cooperativa 
Edilizia Olimpia S.r.l. (avv. Marmironi). 

Arbitrato -Competenza arbitrale -Clausola compromissoria � Estensione 
a tutte le controversie aventi origine dal contratto. 

La clausola compromissoria, inserita in un contratto, deve essere 
intesa nel senso che entrano nella competenza arbitrale tutte le controversie 
che si riferiscono a pretese che hanno la loro causa petendi 
nel contratto, che abbiano cio� per oggetto diritti quali hanno in quest'ultimo 
la loro fonte genetica (2). 

(1-3) La prima sentenza riportata in epigrafe ribadisce concetti ormai 
pacifici nella giurisprudenza della Cassazione. 

In numerose occasioni (si cfr. fra tutte, Cass., 20 maggio 1969, n. 1379, 
in Giust. civ., 1969, I, ,1427; Cass., 7 agosto 1972, n. 2647, in Giust. civ., 1973, I, 
827; Cass., 28 maggio 1979, n. 3099, in Giust. civ. Mass., 1979, '1340; Cass., 27 gennaio 
11981, n. 628, in Giur. comm., 11981, II, 888) la Suprema Corte ha affermato 
che l'assorbimento della competenza arbitrale in quella del giudice ordinario 
trova fondamento nell'esigenza di unit� clli giudi2lio in cause connesse, e nella 
prevalenza della giurisdizione dell'A.G.O. Si � altres� ritenuto in giurisprudenza 
(da ultimo, Cass., 27 gennaio 19&1, n. 628, cit.) che tale � assorbimento� si 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 959 

III 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 giugno J983, n. 4229 -Pres. Sandulli 
-Rel. Lipari -P. M. Nioita {conf.). -Rizzo (avv. A. Pallot~ino 
e Cresoimairmo) c. Assessoraito ai lavori pubblici delJa regione Sicilia 
(n. c.). 

Arbitrato � Clausola compromissoria in cont.ratto della reglone Sicilia Richiamo 
al capitolato generale oo.pp. del 1895 � Fonte negoziale dell'arbitrato 
obbligatorio � Sopravvenienza del capitolato generale oo.pp. 
del 1962 e delle legi r:egionali n. 19 del U72 .e n. 21 del 1973 . D.eroga,
b!Ut� deJla .c~peteJU')a ro-bitrale p,er unU.aterale volont� di una. parte 
-Esclusione. 

(d.m. 28 maggio 1895, ,art. 42; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 47; I. x;eg. Sicilia 
31 marzo c1972, n. 19, e 26 maggio 1973, �I�. 21). 

Il capitolfl.to g.et1-ert1.le del 1895, non diversame11<te dal capitdlato generale 
del 1962, ha carattere normativo solo qU4ndo venga .invocato dallo 
Stato. 

Il richiamo operato da soggetti diversi dallo Stato ha carattere negoziale, 
e la disciplina � ancorata alle clausole contenute nel contratto, 
senza che possano spiegare effetti le modificazioni intervenute sul piano 
normativo. 

Il passaggio dal regime della obbligatoriet� a quello della f acoltativit� 
dell'arbitrato esplica i suoi effetti sui rapporti in corso solo se si 
tratta di appalti che ripetono la loro disciplina dalla matrice legale del 
capitolato medesimo, quale regola imposta ab extra alla volont� dei contraenti. 
(3) 

verifica sia nel caso di connessione �propria�, sia in caso di connessione 
� impropria �; anche nelle ipotesi, cio� di controversie relative a questioni 
dalla cui soluzione dipende, in tutto o in parte, la decisione. La Suprema -Corte, 
in sostanza, manifesta il suo sfavore per i patti corn,pro:i;nissori che determinano 
una sottrazione dei litiganti alla competenza �naturale� dell'A�G.O., affermando 
con rigore una interpretaziione restmttiva delle clausole compromissorie, sicch� 
-in caso di dubbio -si � niespande � la competenza ordinaria. 

Ailtro problema � poi quello -di cui talora la Cassll,Zione si � occupata della 
creazione artificiosa di una .lite dinanzi all'A.G.O. al solo scopo di elu�lere 
il giudizio degli arbitri, che verrebbero privati della competenza a decidere. 
Non sembra che il problema sia f�icilmente risolubile, e che l'intenzione di 
creare liti fittizie sia dimostrabile con certezza di rist)ltati; pertanto, in taluni 
casi (si cfr. Cass., 27 gennaio 1981, n. 628, cit.) la Suprema Corte si limita ad 
auspicare che una volontaria elusione del giudizio arbitrale non sia prodotta 
dalle parti, senza tuttavia poter introdurre criteri pi� � flessibili � -a vantag� 
gio della competenza arbitrale -nel regime dei rapporti tra giurisdizione 
ordinaria e speciale. 

Con la sentenza n. 4257 del 1982, sopra riportata, la Cassazione fissa un 
ulteriore criterio per l'individuazione dell'ambito della competenza arbitrale. 

13 



960 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

(omissis) Con i capi secondo e terzo di ricorso la Sicilprofilati eccepisce 
l'inosservanza sia del termine di cui all'art. 47 d.P.R. 16 luglio 1962, 

n. 1063, per �escludere la competenza arbitrale� sia del termine di cui 
all'art. 40 cod. proc. civ. per la formulazione dell'eccezione di connessione 
davanti agli arbitri. 
L'eccezione � infondata perch�: 

-il decorso del primo termine, attinente all'inizio della procedura 
arbitrale, non pu� precludere l'autonomo insorgere di successivo giudizio 
davanti all'A.G.O. e di un rapporto di connessione tra questo ed 
il procedimento arbitrale; 

-quanto all'art. 40 cod. proc. civ., perch� l'art. 816 stesso codice 
attribuisce agli arbitri, nel silenzio del compromesso, la facolt� di regolare 
lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono pi� opportuno 
e, nella specie, non � stata dedotta alcuna violazione di norma procedurale 
dettata dagli arbitri. 

Peraltro, in fatto, � da osservare che l'eccezione fu espressa dal Co


mune nella prima memoria depositata entro il termine (12 dicembre 

1977) per essa fissato dagli arbitri, in sede di costituzione del Collegio. 

Con il primo capo della istanza, poi, la stessa Sicilprof�.lati ha eccepito 
l'inesistenza di alcuna corrispondenza o connessione tra i rispettivi 
petita e causae petendi delle due cause perch� mentre essa aveva fondato 
la propria domanda agli arbitri sull'asserta responsabilit� del comune 
per � non aver adeguato il progetto alle raccomandazioni espresse dal


I 

!'Amministrazione dei LL.PP. e per aver sospeso i lavori.. .., il comune 
di Palermo, nel promuovere la lite davanti al tribunale, aveva parlato 

I

di corresponsabilit� del Ministero dei LL.PP. sia in ordine alle cause 

I 

Qualora un contratto contenga una clausola compromissoria, la Suprema Corte 

ritiene estesa la competenza arbitrale a tutte le controversie relative a diritti 

che traggono origine dal contratto stesso. Limiti alla cognizione degli arbitri 

sussistono soltanto allorch� si determini un vero e proprio � travolgimento 

radicale � del rapporto dedotto in contratto, con il conseguente � assorbimento � 

della controversia nella giurisdizione dell'A.G.O. 

La sentenza n. 4229 del 1983 ribadisce affermazioni ormai consolidate nella 

giurisprudenza degli ultimi anni. Si aderisce a quella teoria che attribuisce 

ai capitolati generali di appalto per oo.pp. valore normativo di regolamenti 

di organizzazione, allorch� siano invocati dallo Stato. Il richiamo alle clausole 

dei capitolati generali ha invece natura negoziale allorch� sia effettuato da 

enti diversi dallo Stato. Tutte le considerazioni esposte nella sentenza 4229/1983 

mirano a sostenere quella tesi (accolta, in fattispecie pressocch� identiche, 

in Cass., 114 febbraio 1979, n. 965, in Giust. civ. Mass., 1979, 425; Cass., 13 gen� 

naio 1982, n. 178, ivi, 1982, 63), in base alla quale deve escludersi la possibilit� 

che una norma regionale incida -secondo la previsione dell'art. B39 cod. civ. 



-


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 961 

della dedotta responsabilit� contrattuale sia in ordine al ritardo nella 
approvazione della variante e nella erogazione di finanziamenti�. 

Anche questa eccezione � inattendibile. 

Come ben risulta dalla narrativa che precede sullo svolgimento del 
processo: 

a) con l'azione promossa davanti agli arbitri la societ� Sicilprofilati 
chiese che il comune di Palermo fosse condannato al risarcimento 
dei danni per comportamento colpevole in relazione ad un contratto di 
appalto per costruzione di opera pubblica; 

b) con l'azione successivamente promossa nei confronti della stessa 
Sicilprofilati e del Ministero dei LL.PP., davanti al tribunale di Palermo, 
il comune di detta citt�, richiamate � le pretese � fatte dalla Sicilprofilati 
nel procedimento arbitrale, chiese che � se responsabilit� dovesse 
ravvisarsi nel comportamento del comune (stazione appaltante), questa 
doveva essere imputata agli organi del Ministero� dei LL.PP. o con questi 
condivisa. 

Orbene da questa prospettazione emerge un'indubbia comunanza di 
cause nei rapporti contenziosi davanti al collegio arbitrale ed al tribunale 
di Palermo; entrambi questi giudici, infatti, furono chiamati a pronunciarsi 
sulla violazione di diritti derivanti da un contratto di appalto alla 
Sicilprofilati con la differenza, sotto il profilo soggettivo, che mentre gli 
arbitri avrebbero dovuto accertare tale asserta violazione nei confronti 
soltanto del comune di Palermo, il tribunale di questa citt� fu chiamato 
a decidere se la violazione stessa foss� imputabile al Ministero LL.PP. 
invece che al comune ovvero ad entrambi questi enti pubblici; sempre 
al fine di attribuire o meno il chiesto risarcimento danni alla Sicilprofilati 
con incidenza a carico del comune o del Ministero o di entrambi. 

Ne consegue, per il riconosciuto rapporto di connessione tra le due 
cause, che, nella specie, la competenza arbitrale deve essere dichiarata 
assorbita dalla competenza del tribunale di Palermo: e tanto in aderenza 

sul regime di contratti gi� stipulati, imponendo -retroattivamente -il regi


me previsto nel d.P.R. J.063 del 1962. La previsione di una adozione obbligatoria 

del capitolato generale � legittima per tutti i contratti successivi all'entrata 

in vigore della legge regionale: i contratti gi� stipulati restano invece soggetti 

al regime derivante dal richiamo -avente natura negoziale -alle norme del 

capitolato generale in vigore all'epoca della conclusione del contratto stesso, 

senza che la sopravvenienza di un nuovo capitolato e di una legge che ne 

imponga l'adozione per tutti i contratti regionali, possano determinare auto� 

maticamente la sostituzione -nel contratto gi� concluso -della disciplina 

del nuovo capitolato a quello non pi� vigente, e la modificazione della natura 

-normativa e non pi� negoziale -del richiamo alle olausole del capitolato 

generale attualmente in vigore. 

FRANCO FRATTINT 



962 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

alla costante giurisprudenza di questa Corte Suprema che, nel fine di 
garantire la possibilit� di un simultaneus processus, coglie in qualsiasi 
rapporto di connessione tra cause pendenti davanti a giudici ordinari ed 
arbitrali ragione giustificatrice della prevalenza assorbente della giuri. 
sdizione ordinaria (cfr. Cass., 27 gennaio 1981, n. 628; 28 maggio 1979, 

n. 3099; 4 <wrile 1979, n. 1943; 10 luglio 1978, n. 3448; 3 ottobre 1974, n. 2566; 
7 luglio 1972, n. 2647). (omissis) 
II 

.(omissis) La cooperativa resistente eccepisce l'inammissibilit� del ricorso 
.per essere stato proposto :oltve il termine previsto dall'art. 47 cod 
proc. civ. Questa eccezione appare infondata, dal momento che essa 
parte dal presupposto che la sentenza del tribunale sia stata comunicata, 
nel suo dispositivo, il 30 lu,glio 1981. Ma, come esattamente rileva il 

P.M. nella sua requisitoria scritta, manca la prova in atti di tale ~municazione; 
si che, dovendo il termine decorrere dalla data (21 settembre 
1981) di notificazione della sentenza stessa, l'istanza di regolamento deve 
ritenersi tempestivamente proposta. 
Le censure, articolate in modo complesso nell'istanza di regolamento, 
tendono sostanzialmente a dimostrare la competenza del giudice ordinario 
sotto un duplice profilo: a) perch� la controversia non riguardava 
unicamente il contratto di appalto (al quale soltanto si riferiva la clausola 
compromissoria) ma anche la fornitura di parti prefabbricate; b) 
perch� esulava dall'oggetto della predetta clausola il pagamento di un 
prezzo che era stato concordato transattivamente. 

In conformit� alle conclusioni cui � pervenuto nella sua requisitoria 
il P.M., questo Collegio ritiene che il ricorso sia infondato. 

Va premesso, in linea di principio, che la clausola compromissoria, 
in virt� della quale le parti devolvono alla cognizione di arbitri tutte le 
eventuali controversie derivanti dalla interpretazione ed esecuzione del 
contratto in cui la clausola medesima � inserita, deve essere intesa nel 
senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie che 
si riferiscono a pretese che hanno la loro causa petendi nel contratto, che 
abbiano cio� per oggetto diritti i quali hanno in quest'ultimo la loro 
fonte genetica. 

Come ha esattamente ritenuto la sentenza impugnata, nella specie, 
l'Impresa costruzioni prefabbricati ha prospettato la sua pretesa in termini 
di �appalto�; con riferimento, cio� al contratto, in forza d�l_ quale 
la cooperativa Olimpia aveva ad essa commesso la costruzione di una 
casa di civile abitazione. Nella stessa linea si � posta l'ingiunta cooperativa, 
opponendo i vizi dovuti alla cattiva esecuzione dell'opera. 

-



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Se questi erano pacificamente gli estremi del contendere, e se per un 
rapporto cos� qualificato rileva la clausola compromissoria, non � suffi. 
ciente per far ricadere tutta la controversia nella competenza del giudice 
ordinario il fatto che al predetto contratto era connessa anche la fornitura 
di parti prefabbricate, n� che nel corso delle vicende del rapporto 
stesso fosse intervenuta una transazione sul prezzo dovuto. Il primo ele� 
mento, infatti, non appare decisivo a spostare i termini della pretesa e 
delle relative eccezioni, incidenti essenzialmente sulla esecuzione del contratto 
di appalto; il secondo elemento si presenta come determinazione 
transattiva del corrispettivo dei lavori eseguiti e delle sue modalit� di 
soluzione, non come travolgimento radicale del precedente rapporto; 
tanto pi� che nello stesso contratto di appalto (artt. 4 e 5) venivano gi� 
previste dalle parti delle variazioni per l'adeguamento delle condizioni 
contrattuali alle circostanze sopravvenute. 

Esattamente, quindi, il tribunale di Nuoro ha indicato la competenza 
arbitrale per la controversia in esame. (omissis) 

:m 

(omissis) I. -Nel contratto di appalto stipulato fra la regione Sicilia 
e l'imprenditore Alfonso Rizzo il 6 settembre 1961 si sono richiamate, ad 
integrazione della disciplina negoziale, le clausole del capitolato generale 
di appalto per le opere pubbliche approvato con d.m. 28 maggio 1895, 
che all'art. 42 prevede la competenza arbitrale �non derogabile� per 
tutte le controversie derivanti dal contratto di appalto. 

Con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, � entrato in vigore il nuovo capitolato 
generale che all'art. 47 contempla una clausola compromissoria 
� derogabile �. 

Con leggi regionali siciliane 31 marzo 1972, n. 19 e 26 maggio 1973, 

n. 21, � stata resa obbligatoria, per gli appalti stipulati dalla regione 
siciliana e dagli enti pubblici regionali, l'applicazione del suddetto capitolato 
n. 1063 del 1962. 
Con citazione 31 maggio 1976 gli eredi dell'appaltatore hanno convenuto 
in giudizio la regione Sicilia, azionando davanti alla autorit� giudiziaria 
ordinaria pretese patrimoniali derivanti dall'esecuzione del suddetto 
contratto e collegate a comportamenti successivi alla entrata in vigore del 

d.P.R. del 1962. 
Si controverte fra le parti in ordine alla competenza a conoscere 
della controversia che la regione, trovando l'avallo della impugnata sen� 
tenza e del P M. presso questa Corte regolatrice, pretende di radicare 
esclusivamente in sede arbitrale, mentre gli eredi dell'appaltatore lo 
contestano. 


964 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Osserva il Collegio che la decisione del tribunale di Palermo appare 
giuridicamente ineccepibile. 

Davanti a quel giudice l'attore aveva fatto essenzialmente leva sulla 
immediata applicabilit� delle norme processuali del nuovo capitolato 
del 1962, sostenendo, in subordine, che l'equiparazione del capitolato normativo 
a quello facoltativo avrebbe dovuto essere ritenuta, senz'altro, per 
effetto delle sopravvenute leggi regionali n. 19/72 e n. 21/73. 

In questa sede viene abbandonata la tesi pi� radicale che portava in 
ogni caso, quale che fosse l'ente stipulante ed a .prescindere dal titolo 
della relatio, alla applicazione, quale ius superveniens, dell'art. 47 del 
capitolato del 1962; e si pretende di far leva sulla vincolativit� del riferimento 
imposto dalla legge regionale, soggiungendo che la tesi dell'arbitrato 
obbligatorio resterebbe esposta ad insuperabile censura di incostituzionalit�. 


Con il primo motivo si assume che le leggi regionali n. 19 del 1972 
e n. 21 del 1973 hanno reso normativamente obbligatoria, per gli appalti 
stipulati dalla regione Sicilia e dagli enti dipendenti, l'applicazione del 
capitolato generale d'appalto del 1962, con l'effetto dell'imperativo ed immediato 
riferimento, per l'attuazione della tutela giurisdizionale, alle 
norme del capitolato medesimo, anche relativamente ai contratti in corso, 
qualunque fosse la precedente loro disciplina. In particolare opererebbero 
le norme procedurali del capitolato del 1962 dal momento della entrata 
in vigore delle suddette leggi regionali, e quindi, alla stregua dell'art. 47 
del capitolato medesimo, sarebbe consentito declinare la competenza arbitrale, 
sussistendo la possibilit� di adire direttamente il giudice ordinario. 


Bene, pertanto, il Rizw, rispetto ad un contratto di appalto non ancora 
definito, in un momento successivo alla data di entrata in vigore 
delle suddette leggi regionali avrebbe chiamato in giudizio l'Assessorato 
davanti al giudice ordinario, non rilevando che tale possibilit� non fosse 
contemplata al tempo della stipula, alla stregua della operata relatio al 
capitolato del 1895, non dovendosi avere riguardo al momento della costituzione 
del rapporto, sibbene a quello della insorgenza (anzi della definizione) 
della fase contenziosa, che � quella contemplata dalla norma processuale 
imperativa e di applicazione immediata. 

L'istituto della eterointegrazione del contratto per forza di legge, si 
soggiunge, � ampiamente riconosciuto nel nostro ordinamento ed avallato 
dalla giurisprudenza (cfr. Cass., nn. 67/63, 461/65, 2878/68, 1812/72, 3018/75, 
4542/80) e pu� farsene correttamente applicazione nel caso di specie. 

In estremo subordine si osserva che se fosse concepibile, per assurdo, 
una ultrattivit� processuale della competenza arbitrale � non derogabile � 
di cui al vecchio capitolato del 1895, e fosse sostenibile la ricettivit� del 
rinvio a quel capitolato, ugualmente la clausola arbitrale obbligatoria 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 965 

non sarebbe applicabile, dntegrando (specie dopo l'assoggettamento ex 
lege degli appalti della regione alla disciplina degli appalti dello Stato) 
una giurisdizione speciale, � decaduta � in forza dell'art. 102 Cost. e della 
VI disp. trans. Cost. e comunque non pi� ammissibile, donde il ripristino 
della giurisdizione del magistrato ordinario, o, al pi�, del principio di 
scelta facoltativa fra le due competenze. 

2. -Il ricorso � privo di fondamento giuridico. 
Il punto cardine della questione di competenza attiene alla identificazione 
della fonte della clausola compromissoria ed alla determinazione 
della sua portata in relazione alla possibile incidenza del sopravvenuto 
diritto statuale (d.P.R. n. 1063 del 1962) e regionale (1. reg. Sicilia n. 19 
del 1972 e 21 del 1973). 

Dalla narrazione dello � svolgimento del processo � e dalle puntualizzazioni 
contenute nel precedente paragrafo, risulta con sicurezza che il 
contratto di appalto su cui si radica la presente lite venne stipulato 
�prima� dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 1063 da parte della regione 
siciliana che ritenne di integrare la disciplina del rapporto con il richiamo 
alle disposizioni del capitolato statale del 1895, in via di recezione mate'
riale, attraverso la eterointegrazione del contenuto negoziale per relationem 
perf ectam come sottolinea la sentenza impugnata. 

Indiscutibilmente la disciplina considerata risulta, quindi, di fonte 
esclusivamente negoziale, essendosi formato l'accordo delle parti su un 
complesso di clausole talune delle quali, ad integrazione e completamento 
dell'accordo, venivano mutuate alle corrispondenti statuizioni del 
capitolato del 1895. 

Ed � altrettanto pacifico che il contratto includeva, in forza della 
suddetta relatio, una clausola compromissoria � inderogabile � per tutte 
le controversie che fossero scaturite dalla esecuzione dell'appalto, espressa 
con i contenuti di cui alla clausola 42 del suddetto capitolato del � 1895. 

La inderogabilit� di tale clausola compromissoria discende dalla 

volont� delle parti che si sono determinate alla stipula di un regola


mento dei reciproci interessi cos� articolato senza che il relativo conte


nuto fosse in tal senso obbligatoriamente predeterminato per legge. Ne 

risulta all'evidenza che la clausola compromissoria in esame si presenta 

di matrice negoziale e non legale. Pertanto la qualificazione del previsto 

arbitrato come arbitrato � obbligatorio �, va fatta nella consapevolezza 

che il vincolo di soggezione all'arbitrato venne assunto, perch� cos� ebbero 

a convenire espressamente le parti con � libero � incontro della loro 

volont�, senza prevedere alcuna deroga. 

Ovviamente nel ratificare l'obbligatoriet� inderogabile della clausola 
compromissoria, in funzione di un vinculum iuris fondato sulla volont� 
dei contraenti, non si realizza, nonostante il possibile equivoco terminologico, 
quel tipo di arbitrario � obbligatorio � o � necessario �, di cui 


966 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la Corte cost., con sentenza n. 127 del 1977, ebbe a sancire l'incompatibilit� 
con la Costituzione, riferendosi tale pronuncia agli arbitri ex lege 
e fondandosi sul rilievo che, a seguito del carattere rigido della Costituzione, 
la legge ordinaria, od altri atti autoritativi possono soltanto � predisporre 
� e non gi� � disporre � gli arbitrati tra le parti. 

Ora, appunto, nel caso di specie, l'arbitrato obbligatorio � stato convenuto 
non gi� quale iussum normativo, ma quale modalit� dell'accordo 
negoziale, poich� neppure la Regione, al momento della stipula, era vincolata 
ad adottare tale capitolato a parametro dei propri contratti di 
appalto. 

La messa in evidenza della fonte negoziale delle clausole svuota di 
significato la censura svolta in termini di costituzionalit�, assumendosi 
che l'obbligatoriet� dell'arbitrato verrebbe ad urtare contro il canone 
costituzionale in tema di giurisdizioni speciali. 

L'impostazione corretta della problematica toccata dal motivo � quella 
che fa capo alla gi� riconosciuta illegittimit� costituzionale degli arbitrati 
imposti per legge, e quindi della inconciliabilt� con la Costituzione di 
norme che non offrissera tutela, per imposizione di legge, se non in sede 
arbitrale. Ma nel caso in esame il vinculum iuris e la soggezione all'appalto 
non � n� �predisposta�, n� �imposta� dalla legge, ma attuata 
dai eontraenti, adattando per relationem' uno sehema negoziale � standard>>, 
predisposto daUa P.A. per i propri contratti e vincolante esclusi� 
vamente in detto ambito, mentre la qualificazione normativa spetta ai 
soli capitolati richiamati nei contratti di appalto di cui sia parte contraente 
lo Stato (toccando una situazione radicalmente diversa da quella 
di specie). 

3. -E qui si innesta il discorso, fin troppo noto, sulla natura giuridica 
dei capitolati d'appalto. 
Sia rispetto al capitolato del 1895, che a quello del 1962, si � postulate 
(in via interpretativa per il primo, e per espressa statuizione formale 
per il secondo) il carattere normativo solo quando venga invocato dallo 
Stato. 

Se il richiamo operato da soggetti diversi dello Stato ha carattere 
negoziale, venendone esclusa la natura normativa, la disciplina resta ancorata 
alle clausole contenute nel contratto, o da questo puntualmente 
richiamate, senza che possano spiegare effetti di sorta le modificazioni 
intervenute sul piano normativo. 

Ne consegue che il passaggio dal regime della obbligatoriet� a quello 
della facoltativit� dell'arbitrato, esplica i suoi effetti sui rapporti in corso 
solo se si tratta di appalti che ripetono la loro disciplina dalla matrice 
legale del capitolato medesimo, quale regola imposta ab extra alla volont� 
dei contraenti. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 961 

Se, dunque, il capitolato generale del 1962 (recentemente modificato 
sul punto della clausola arbitrale dalla legge n. 751 del 1981, ispirata da 
criteri restrittivi nell'opzione per la competenza ordinaria) ha natura e 
valore normativo di regolamento di organizza:tiione solo nei confronti delle 
amministrazioni dello Sta,to, quando viene in considerazione la relatio 
operata in tal senso da altri enti, ancorch� tenuti ad uniformare i propri 
capitolati a quello generale dello Stato, le previsioni del capitolato medesimo 
costituiscono clausole negoziali, operanti per volont� pattizia (e 
non in quanto imposte autoritativamente nel quadro di un rapporto che 
implica, entro certi limiti, la subordinazione di un soggetto ad un altro 
anche durante il suo svolgimento). 

Questa essendo la limitata forza negoziale del richiamo operato al 
capitolato nei contratti che non siano stipulati da amministrazioni dello 
Stato, ne consegue che la volont� negoziale formatasi per relationem al 
capitolato generale vigente al momento in cui il contratto � concluso, e 
richiamato nominatim, resta definitivamente ancorata alle pattuizioni 
consacrate nell'atto, senza che le eventuali modificazioni sopravvenute 
possano riflettersi su tale disciplina, alterando il rapporto pattizio del 
contratto in corso. 

Infatti la timmediata applicabilit� dello ius superveniens (e quindi 
specificamente la disciplina facoltativa dell'arbitrato in luogo di quella 
obbligatoria ed inderogabile) si pu� manifestare esclusivamente sul piano 
suo proprio della normativit�, se ed in quanto il capitolato venga in considerazione 
nella qualit� e con l'efficacia propria dell'atto normativo. 

Ci� posto, il discorso del ricorrente appare privo di pregio perch� 
inammissibilmente ancorato al presupposto della normativit� del capitolato 
richiamato e di quello sopravvenuto, che ha operato il passaggio dal 
carattere obbligatorio a quello facoltativo dell'arbitrato. 

Se � esatto quel che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice 
ha sempre ritenuto, postulando il carattere negoziale del capitolato richiamato 
da soggetto diverso dalla amministrazione statale, (anche se 
tenuto ad uniformarvisi), la sopravvenienza di una norma che introduca 
ex novo un obbligo siffatto per l'innanzi insussistente, opera (e non pu� 
che operare) con proiezione esclusiva verso il futuro, nel senso, cio�, che 
l'ente non potr�, dalla data di entrata in vigore della norma che impone 
quell'obbligo, addivenire a contratti non contemplanti una relatio siffatta; 
ma tale sopravvenienza non spiega alcun effetto sulla disciplina pattizia 
(Cass. n. 178/82) sia per le previsioni di carattere sostanziale, sia per 
quella di carattere processuale (Cass., nn. 3018/75, 5413/77, 1638/82). 

Con ci� non si nega che la eterointegrazione sia possibile in astratto, 

ma si esclude recisamente che le leggi regionali siciliane richiamate ab


biano una efficacia siffatta. Esse non si propongono di incidere sui rap


porti in c0rso mediante sostituzione di parte della disciplina pattizia, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

968 

ma vincolano per il futuro Regione ed enti regionali alla stipula di contratti 
nei quali sia necessariamente operata la relatio alle clausole del 
capitolato del 1962. 

L'applicazione del capitolato vincola in relazione alla stipula di futuri 
contratti, ma non riguarda affatto i contratti iin corso. 

� questo snodo del ragionamento del ricorrente che risulta del tutto 
apodittico ed indimostrato; conseguentemente manca di base la successiva 
illazione che l'art. 47 del nuovo capitolato del 1962 si sostituisce all'art. 
42 del vecchio capitolato. 

Poich� le leggi regionali si proiettano esclusivamente nel futuro (in 
coerenza con la caratteristica tipica, che ne limita in principio, l'efficacia 
retroattiva) acquista determinante rilievo, costituendo l'essenziale spartiacque 
interpretativo, l'anteriorit� della stipula del contratto in esame 
all'emanazione della norma che impone alla Regione di uniformarsi (per 
il futuro) al capitolato, imposizione che di per s� non si riflette sulla disciplina 
negoziale, vincolando il committente a predisporre lo schema dei 
futuri contratti secondo determinati parametri contenutistici mutuati al 
capitolato del 1962, ma non tocca la disciplina dei contratti, il cui contenuto 
resta integrato, in forza di recezione materiale, dal capitolato vigente 
al moment9 della stipula (e ad esso solo). 

Nel caso in esame, alla data della stipula del contratto di appalto le 
leggi regionali non erano ancora intervenute, imponendo al committente 
l'adozione dello schema del capitolato del 1962 (del resto nemmeno entrato 
.in vigore); e, pertanto, l'Assessorato era libero di addivenire ad una 
stipula in cui il regolamento negoziale veniva completato dalla relatio 
al capitolato del 1895, e specificamente alla clausola arbitrale inderogabile 
di natura negoziale che restava insensibile alle modificazioni normative 
sopravvenute incidenti esclusivamente sulle situazioni negoziali che 
postulano obbligatoriamente l'adozione della normativa, del capitolato, 
trattandosi di negozi posti in essere dalle amministrazioni statali. 

4. -Rappresenta, pertanto, una forzatura esegetica, priva di qualsiasi 
riscontro, l'assunto che le richiamate leggi regionali non si siano limitate 
a prescrivere l'obbligo della regione e degli enti pubblici da essi dipendenti 
di uniformare i propri capitolati a quello generale dello Stato, dettando 
un obbligo di tacere operante per il futuro (e incidente soltanto 
sul contenuto dei negozi da stipulare), ma abbiano prescritto, con effetto 
sostitutivo immediato, l'adozione in tutti i contratti in corso, delle norme 
del capitolato dello Stato che trovavano applicazione come fonte unica 
diretta ed immediata di disciplina del rapporto. 
La tesi non solo non risponde all'univoco dettato della legge, ma 
comporterebbe, se tale fosse stata la volont� del legislatore regionale, una 
manifesta esorbitanza dall'ambito della competenza normativa regionale. 

11111�11J11:mr1111irt111;1ri==rlrlli1t11i111111111;;111t111111111far,1� 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 969 

Non, quindi, la disposizione negoziale che introduce per la risoluzione 
delle liti lo strumento dell'arbitrato obbligatorio inderogabile (che nulla 
ha a che vedere con il paradigma della giurisdizione speciale), ma la 
eventuale pretesa del legislatore regionale di incidere sulla materia contrattuale 
si presenterebbe quale evidente violazione del sistema costituzionale 
delle fonti. 

Senza che occorra delibare, sia pure sommariamente, la delicata problematica 
che ruota intorno alla norma dell'art. 1339 cod. civ., sull'inserzione 
automatica di clausole nei contratti, sembra sufficiente sottolineare 
che se fosse esatta, ma non lo �, l'ipotesi interpretativa affacciata dall'appaltatore, 
la legge regionale che pretendesse di operare una siffatta inserzione 
di clausole nei contratti vigenti, conformandone il contenuto ad un 
archetipo obbligatoriamente imposto per tutti i contratti in corso di svolgimento 
(in un dato ambito regionale), si porrebbe in contrasto con la 
Costituzione. 

Ritiene fermamente il Collegio che questo il legislatore regionale non 
abbia voluto fare, essendone chiaro l'intento di dettare un vincolo per 
le future contrattazioni; si deve, comunque, rilevare ad abundantiam che 
non avrebbe potuto farlo per l'impedimento nascente dai limiti che esso 
incontra in materia di diritto privato e di disciplina dei contratti, sia pure 
ad evidenza pubblica, quale si presenta l'appalto di opere pubbliche; e 
perch� ne sarebbe conseguita una pafese diversit� di trattamento fra contratto 
e contratto in ambito spaziale differenziato, con violazione del principio 
di eguaglianza. Altro, infatti, � il potere della regione di dettare 
un modello negoziale ai propri organi deputati alla stipulazione dei contratti, 
predisponendo il contenuto sul quale si dovr� formare il consenso, 
altro � il potere di rompere l'equilibrio di contratti gi� stipulati 
per imporre ab extra una disciplina diversa da quella espressa dal regolamento 
negoziale, potendo avvenire la sostituzione delle clausole dei 
contratti (anche ammesso, ma la tesi lascia perplessi, che tale sostituzione 
possa riguardare contratti stipulati quando ancora l'imposizione legale 
del contenuto della clausola non si era avuta) soltanto in forza di leggi 
dello Stato. 

In effetti, la giurisprudenza della Corte cost. � fermissima nell'esclu


dere l'interferenza della potest� legislativa regionale nel campo del diritto 

privato contrattuale (cfr. sentt. nn. 38/77, 154/72, 108/59) ed ha corretto 

un antecedente orientamento che consentiva alla regione di apprezzare 

eccezionali situazioni locali, precisando che, quantunque lo statuto sici


liano, soltanto all'art. 14 lett. d) a proposito di industria e commercio, 

escluda espressamente la competenza di diritto privato, in via di prin


cipio la disciplina dei rapporti intersoggettivi di natura privatistica appar


tiene alla competenza istituzionale dello Stato, perch� ad essa sotto


stanno esigenze di unit� e di eguaglianza che possono essere salvaguar


date esclusivamente dall'ente esponenziale dell'intera collettivit� nazionale. 


rapporti negoziali rapporti negoziali 
:-:_.:.-..-��::: .......���.�..�...� 


970 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La regione, dunque, ben poteva, come ha fatto, imporre a soggetti di 
diritto pubblico di adottare determinati parametri contenutistici nell'addivenire 
ai futuri contratti di appalto; ma rispetto a 
in atto, difettava radicalmente di quel potere sostitutivo, dai delicati connotati, 
cui fa riferimento l'art. 1339 cod. civ. nemmeno attraverso l'imposizione 
di detti contenuti in via indiretta dettando cio� la norma imperativa 
la cui sostituzione viene a dipendere dalla forza propria dell'art. 1339' 
cod. civ. 

Si vuol dire, cio�, che rappresenterebbe una indebita interferenza nella 
disciplina legale contrattuale pretendere di sostituire le clausole contenute 
nei contratti stipulati dalla regione con altre clausole � retroattivamente 
� imposte, poich�, a parte il problema della retroattivit�, il dettare 
regole suscettibili di imporsi ai contraenti nel senso che ad esse si debbano 
confermare i contratti futuri, con l'effetto di venire ad essere sostituite 
le clausole convenzionali da quelle legali, � compito riservato al legisla


tore nazionale, perch� in funzione di un'esigenza che non pu� non imporsi 
onnicomprensivamente all'intera collettivit� nell'ambito di efficacia 
dell'ordinamento. 
N� gioverebbe far leva sul carattere processuale dello strumento 
arbitrale e sull'attitudine delle norme processuali ad essere applicate 
quale ius superveniens ai rapporti in corso, venendo sotto questo profilo 
in considerazione la successione di fonti normative, il passaggio da una 
disciplina legale avente riflessi processuali ad altra disciplina di segno. 
diverso, mentre nel caso in esame la matrice negoziale della relatio del 
contratto al capitolato del 1895 con carattere sicuramente recettizio, � 
fuori discussione. 
Riemerge, a questo punto, l'essenziale rilievo della distinzione fra 
capitolati di fonte normativa e capitolati di fonte negoziale che restano 
tali anche quando sia la legge ad imporne l'adozione, operando la normativit� 
solo rispetto al capitolato generale richiamato nei contratti stipulati 
dallo Stato. 
A questo punto il discorso torna al suo alveo dovendosi intendere le 
leggi regionali nella loro effettiva portata che � quella di imporre la 
relatio al capitolato dello Stato rispetto a futuri contratti che la regione 
e gli enti andranno a stipulare; con la conseguenza che le clausole compromissorie 
resteranno ancorate alla formula scaturente dal capitolato� 
vigente all'epoca della stipula ed espressamente richiamato cos� come 
impone la legge. 
Ci� non implica, peraltro, normativizzazione del capitolato medesimo; 
con l'effetto che eventuali sopravvenute modifiche delle modalit� delle 
clausole arbitrali (in ipotesi quelle di cui alla legge n. 739 del 1981), non 
potranno riverberarsi nella disciplina degli arbitrati innestata sui contratti 
anteriormente stipulati. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Ci� vale, a maggior ragione, in regime di libera scelta del contenuto 
delle clausole e del modello di clausola compromissoria attuata mediante 
il riferimento specifico, effettuato nominatim al capitolato statale del 
1895 (che, del resto, era ancora vigente al momento della stipula). 

Le sopravvenute leggi regionali vincolano i destinatari delle norme 
ad includere nello schema negoziale da sottoporre agli appaltatori le 
norme del capitolato approvato con d.P .R. 19 luglio 1962, n. 1063, ma non 
si riflettono in alcun modo sul contenuto delle clausole dei contratti 
gi� stipulati. 

Una sostituzione siffatta, imposta con legge regionale, per un verso 
sarebbe contraria al sistema delle fonti; e per altro v.erso non realizzerebbe 
la normativizza.zj;one del capitolato richiamato che riguarda esclusivamente 
i contratti stipulati da amministrazioni statali. 

In conclu&ione: p&ich� il contratto si � perfezionato quando era 
ancora in vig@,re il capitolato del 1895 e le parti hanno inteso vincolarsi 
alla soggezione :integrativa a1le disposizioni del capitolato medesimo (il 
�quale prevedeva come '6bbligatoria ed inderogabile la competenza arbitrale~, 
ed il ,oo.ntratto, essem.do stipulato daila regione e non -dallo Stato, 
veniY.a a riguardai:e H ;capitolato medesimo con vincolativit� di fonte 
negozia.le e non normativa, restando insensibile alle modificazioni riguardanti 
la qualificazione �normativa (ad essa sola), nonch� alla sopravvenuta 
imperativa previsione dell'adozione delle clausole del nuovo capitolato del 
1962, imposto cl.alle leggi regionali siciliane nn. 19/72 e 21/73, le parti medesime, 
vincolate dalla prevdsion~ de1l'arbitrato obbligatorio, dovevano adire 
gli arbitri anzich� riv.olgersi, come avevano fatto, inutilmente, all'autorit� 
giudiziaria ordinaria, non valendo addurre in.contrario la possibile lettura 
dell'art. 9 della legge reg. Sicilia n. 21 del 1973 secondo cui si sarebbe 
dovuto applicare obbligatoriamente il capitolato generale di appalto 
-approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, nel senso della �sostitutivit� 
�: sia perch� la lettura della norma non dispone in tal senso; sia 
perch� una sostituzione siffatta non si sarebbe potuta imporre con legge 
regionale, ed anche se operata validamente non avrebbe avuto il preteso 
effetto normativo, che accompagna esclusivamente l'adozione del capitolato 
statale da parte delle amministrazioni dello Stato. 

In conformit� all'univoco orientamento di questa Corte che riposa su 
una prassi ormai pi� che ventennale, non pu� trovare ingresso la memoria 
del ricorrente poich� nel procedimento di regolamento di competenza, 
il quale non prevede la notificazione alle parti della conclusione 
del P. M. resta preclusa la produzione di memorie difensive, a norma 
degli artt. 375, secondo comma, e 378 cod. proc. civ. (cfr., fra le tante, 
Cass. n. 1939/81). 

Deve essere, pertanto, dichiarata la competenza del collegio arbitrale, 
rigettando il ricorso. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

972 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 19 ottobre 1983, n. 38 -Pres. Tamburrino 
-Rel. !annotta -Calvo (avv. M. Conte) c. Assessorato ai lavori 
pubblici della regione siciliana e Amministrazione dei lavori pubblici 
(avv. Stato Russo). 

Acque pubbliche � Piano regolatore generale degli acquedotti � Prescrl� 
zioni sull'uso delle acque non traducentisi in vincolo di portata � 
Effetti. 

(d.P.R. 11 marzo 1968, n. 1090). 
La disposizione del P.R.G. degli acquedotti, secondo la quale, in relazione 
a determinate acque, debbano compiersi studi e ricerche in vista 
di eventuali miglioramenti delle previsioni di piano, vincola l'Ammini� 
straziane ad identificare bisogni ulteriori o di miglioramento dell'alimentazione 
idrica 'e perci� esclude che l'acqua possa risultare totalmente 
esaurita attraverso concessioni. Non traducendosi per� la disposizione in 
un vincolo attuale di portata, essa non importa la legittimit� di un diniego 
totale di concessione, dovendo invece l'Amministrazione discrezionalmente 
valutare, sulla base dei necessari apprezzamenti tecnici, la 
compatibilit� delle domande di concessione con i criteri di gestione del 
patrimonio idrico fissati dal P.R.G. degli acquedotti. (1) 

(omissis) 1. -Il diniego di concessione di acqua all'avv. Antonio Cal


vo, che aveva presentato specifica domanda, fu giustificato sul presup


posto della incompatibilit� tra la richiesta dello stesso avv. Calvo e le 

disposizioni del piano regolatore generale degli acquedotti, per la parte 

relativa al territorio della regione Sicilia. In particolare l'Assessore pre� 

cis�, giusta quanto si desume dalle premesse del provvedimento impu


gnato, che la sorgente Malastalla � oggetto di vincolo, secondo lo schema 

148/A del piano citato. 

Tale schema, che � una delle disposizioni costituenti il piano regola� 

tore generale degli acquedotti, dispone nel senso della possibilit� di cap


tazione di acque sotterranee esistenti nel bacino idrico nei versanti nord


est e nord-ovest del massiccio etneo. Tra queste acque sono comprese 

anche quelle esistenti nel territorio del comune di Biancavilla di Sicilia, 

ove si trova la sorgente Malastalla. 

Tuttavia la citata disposizione del piano generale suindicato non im� 

porta un vincolo di portata; infatti nella nota allo schema citato (G. U. 

21 marzo 1977, n. 77, p. 2010) � precisato che relativamente alle acque del 

(11) Non consta di precedenti in termini. Sul rapporto tra vincoli di destinazione 
recati dal P.R.G. sugli acquedotti e domande di concessione, cfr. Trib. 
sup. acque pubbliche, 27 ottobre 1977, n. 32, in questa Rassegna, 1978, I. 394. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

bacino suindicato sono previsti studi e ricerche in vista di eventuali miglioramenti 
delle previsioni di piano .. 

La citata disposizione del piano generale, pur non importando un 
vincolo di destinazione attuale su un bene pubblico, fissa un criterio di 
azione amministrativa circa la gestione del demanio idrico della zona 
sopra precisata. 

Tale criterio consiste nel vincolare l'Amministrazione ad identificare 
bisogni ulteriori o di miglioramento nell'alimentazione idrica; bisogni da 
soddisfare eventualmente mediante le acque sotterranee. 

La determinazione di questo criterio di azione amministrativa implica 
che l'Amministrazione deve evitare la sopravvenienza di qualunque 
pregiudizio all'utilizzabilit�, per le esigenze individuate nel Piano generale, 
del patrimonio idrico esistente nel bacino, al quale si � fatto cenno. 

Da ci� segue che l'assenza del vincolo attuale di portata non implica 
che l'Amministrazione sia tenuta a soddisfare tutte le domande di concessione. 


Il patrimonio idrico suindicato deve essere amministrato in modo 
da evitare che possa essere disattesa la previsione programmatica espressa 
dallo schema 148/ A. Una diversa conclusione postulerebbe la possibilit� 
di un eventuale esaurimento o sensibile riduzione del patrimonio 
idrico, oggetto dello schema citato. N� potrebbe essere accettata l'impostazione 
opposta, sul rilievo che lo schema 148/A concerne acque sotterranee 
ma non acque sorgenti. In effetti il complesso delle acque sotterranee 
alimenta le distinte sorgenti esistenti nel bacino. Pertanto l'utilizzazione 
delle acque sorgenti non pu� prescindere dalla destinabilit�, in 
conformit� delle prescrizioni del piano regolatore generale, delle acque 
sotterranee collegate alle prime. 

Dalle suesposte considerazioni discende l'infondatezza del terzo mo


tivo di ricorso. 

2. -L'assenza del vincolo attuale di portata preclude la legittimit� 
del diniego totale di concessione di acque pubbliche comprese nel bacino 
idrico, individuato dallo schema 148/A. Il diniego di qualunque concessione 
Jmporterebbe la sostanziale equiparazione del vincolo ex schema 148/A 
a quello di portata, posto da altre disposizioni del piano generale. 
Spetta naturalmente all'Amministrazione valutare, discrezionalmente, 
e sulla base dei necessari apprezzamenti tecnici, la compatibilit� delle 
iniziative, proposte con le domande di concessione, con i criteri di amministrazione 
del patrimonio idrico, fissati dal piano generale degli acquedotti. 


Non pu� sfuggire alla valutazione amministrativa, in vista dell'esistenza 
o meno della compatibilit� alla quale sia fatto cenno, la quantit� 
d'acqua da derivare, l'uso della derivazione, l'entit� delle attrezzature e 
degli impianti necessari per assicurare l'utilizzazione dell'acqua. La quan



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

974 

tit� d'acqua ha importanza sotto il profilo dell'incidenza della concessione 
sulla conservazione del patrimonio idrico, eventualmente utilizzabile. L'uso 
della derivazione pu� essere valutato opportunamente sia in vista della 
natura del bisogno da ,soddisfare sia della .continuit� o costanza della 
derivazione, in modo da apprezzare l'incidenza di quest'ultima sul patrimonio 
idrico. L'analisi delle attrezzature e degli impianti assume rilevanza 
per calcolare l'impegno finanziario del concessionario, i tempi dell'ammortamento; 
da .questi dati si possono dedur.re utili elementi per prevedere 
la tempestiva .estinzione ,del rapporto di concessione, in vista della 
:&oprav,venienza di un �bisogno pubblico, da soddisfare, irrefragabilmente. 

Il ricorso de:v.e .pertanto essere accolto nei limiti suindicati; sussistono 
.giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio. 

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SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III Pen.. 18 novembre 1983. n. 1832 -Pres. 
De Martino -Rel. Nardi -Rie. Pongiglione Vincenzo e Salvi Bianca Parte 
civile Amministrazione del Tesoro e Ufficio Italiano Cambi 
(avv. dello Stato Nicola Bruni). (1) 

Impugnazioni penali -Sentenza emessa dalla Corte di appello in sede 
di rinvio della Cassazione relativamente a sola misura di sicurezza Ricorso 
per cassazione -Inammissibilit�. 

Contro la sentenza emessa dalla Corte di Appello in sede di rinvio 
della Cassazione relativamente a sola misura di sicurezza non � proponibile 
ricorso per cassazione, potendo l'interessato esperire soltanto il 
rimedio previsto dall'art. 640 cod. proc. pen., con la speciale procedura in 
tale norma indicata. 

(1) Con tale pronunzia la Suprema Corte ha respinto il ricorso proposto 
dagli :interessati avverso la sentenza deUa Corte di Appello di Genova del 
15 marzo 11983, che si riporta appresso con nota. 
CORTE DI APPELLO DI GENOVA, Sez. I-A, 15 marzo 1983, n. 418 -Pres. 
Curto -Rel. Schiavo -App. Pongiglione Vincenzo e Salvi Bianca -Parte 
civile Ministero del Tesoro (avv. Stato Guicciardi). 

Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e 
successive modifiche -Confisca prevista dall'art. 240 cod. pen. -Opportunit� 
di disporla ove permanga la disponibilit� all'estero. 

Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e 
successive modifiche -Confisca di azioni -Ordine di annotazione della 
sentenza nei registri dei soci. 

Sussiste l'opportunit� di procedere alla confisca dei cespiti esterovestiti, 
di cui � stata omessa la denuncia 1nei termini di legge, a sensi 
art. 2 legge n. 159 del 1976, per effetto del disposto dell'art. 240 cod. pen., 
quando il permanere della situazione di fittizia intestazione, con masche� 
ramento degli effettivi proprietari, consentirebbe a questi ultimi la libera 
disponibilit� di azioni fittiziamente intestate a societ� estere e circolanti 
all'estero, con conseguente possibilit� di porre in essere atti di aliena


14 



976 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

zione o disposizione effettiva o fittizia dei relativi cespiti e conseguente 
nuova crea~ione all'estero di disponibilit� valutarie occulte in favore 
degli imputati medesimi, mantenendo viva l'idea e l'attrattiva alla commissione 
di altri reati di natura analoga, che l'istituto della confisca mira 
a vanificare. 

AZ,la pronuncia di confisca di azioni deve accompagnarsi l'ordine di 
.~Jlllft.~r,,~og.e, 1.,~U~~ sen~enza nel registr~ d~i socj-dell~ rel~tive societ�, 
p.1fWffsi~f_{l'e.g~~nsecazwne nei confronti dei soci e dei terzi delle conse


1

guenze delta aisposta confisca. 

(om_issi~) Ha la Suprema Corte di cassazione, con la sentenza del 

~lfo.('!~telpbre 1982, in parziale accoglimento dell~ ragioni poste a fondamento 
del ricorso proposto dal P.G. avverso la sentenza di questa Corte, 
Sez. Il, in data 5 marzo 1981 limitatamente alla disposta revoca della confisca 
di azioni e immobili e con petitum limitato alla richiesta di confisca 
�m:1.te azioni delle societ� S�n Gallo, Ettore Vernazza ed Immobiliare Cor.
�~ possedute dalle societ� Sihl, Ilmar, Privest, Fortema, e Anstalt Spon'
Sor, nonch� dell'immobile �Abbadia di San Giuliano � di propriet� della 
societ� Harwil di Vaduz, annullato il capo della predetta sentenza di 
questa Corte relativo alla statuizione di revoca della confisca di azioni 

Problematiche inerenti la confisca penale valutaria, con particolare riguardo 
alla confisca di azioni. 

La Corte di appello di Genova prende in esame per fa seconda volta la 

complessa vicenda (la precedente decisione 5 marzo 1981, n. 371, � stata pub� 

blicata, con nota, in Rassegna, 1982, I, 407), dopo la sentenza della Suprema 

Corte 27 settembre 1982, Sez. Ili, n. 1762 (pure pubblicata in questa Rassegna, 

1982, I, 997), con la quale veniva riformata la precedente pronuntia della Corte 

d'appello di Genova, nel punto in cui escludeva la confisca delle azioni delle 

societ� italiane esterovestite, affermandosi dal Supremo Collegio l'applicabilit� 

alla specie dell'ai:t. 240 coq.. ~en. Da condividersi s!>pof,J~ ,ar,YSW~W�-~ioni addot� 

te dalla Corte d1 Appello d1 Genova a sostegno cieli~ tfispqsfa con'l!:sca facol� 

tativa, evidenziandosi come altrimenti si con'S~ntire'bbJbif.i~pfrl,�filhrsi della 

situazione antigiuridica, consentendo� il mantenimento della disponibilit� valu� 

taria all'estero con l'ulteriore negativo ris_ifl~~t? ..$.,1I!:~I}!~P~IJ!� ".Za.,negli impu� 

1

tati l'idea e 1l'attrattiva del reato, il che"'�~p�iiJo�l:a ful.!l�ra it1 sicureZ'ia mira ad 

evitare. 1-::A 4-:. �{'.li.1 ~�-~; ,*' �~"} '. �~n t> �' r"'1� '� ;-iz.q,:~ 

La decisione in esame offre l'occasione anche di mettere a fuoco il pro� 

blema dell'attuabilit� di una confisca di azioni, che non risulta precedentemente 

affrontato in giurisprudenza .. "Il"\;,,; ..... " .)1,.1�,... .�. ,.,. ... 

Va infatti osservat.�>. )p ~inea,,. geQ.~:r,aJ,e "cow~h l:e,!�_~etJ~~on,e de~l'.\s~tutp della 

c?nfisca sta ponend?,,n:u~y~ ', p.ro\?le~a~ip~~\ 8~1 ron ,~xe~~1?:o ~~.n~fa .flV,U.to. mod~ 

di emergere e che e da ritenere si porranno anche in apphcaz1one'�l:lelle leggi 
'arltimafia (d.l. n, � 629JrI982 cdnV."in� le!iW''ff."726/1'9&'2); 8nd�i :fer��lete l'!ffettiva� 
rm:ente � operante �l'espropriazioneI idekdiritro 'in� favore"�d�Uo' Statoy in��ehe la 
\eon.6.s~1:lli ~cooe~eta,\ con. . 1<orrisppn.d~nte .~sti~iQIJ.e, ,ll-1!-t.oritativa del, .d,idtto nei 

confronti dei precedenti titolari. 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 977 

ed immobili disposta dal tribunale di Genova con la sentenza 9 gennaio 
1980, riconoscendo la possibilit� della richiesta confisca -nei limiti 
sopra precisati di cui al ricorso del P.G. -a sensi del disposto di cui 
all'art. 240 prima parte cod. pen. (confisca facoltativa) e conseguentemente 
rinviando gli atti ad altra sezione di questa Corte, perch�, nel nuovo 
giudizio, valutasse l'opportunit� di sottoposizione a confisca dei detti 
titoli ed immobile, a sensi del succitato art. 240 cod. pen. 

Ha, in proposito, motivato la Corte di cassazione che azioni ed immobile 
� esterovestiti � (ma in effetti sia dalla sentenza del Tribunale che 
dalla sentenza della Corte di appello riconosciute come beni di pertinenza 
degli imputati e del defunto coimputato Alberto Pongiglione), costituiscono, 
a seguito dell'accertata omessa denuncia nei termini di legge dei 
suddetti cespiti a sensi dell'art. 2 della legge n. 159 del 1976 e successive 
integrazioni, penalmente sanzionata, oggetto di tale illecita valutazione, 
quindi, compendio del relativo reato. E la stessa Suprema Corte ha individuato 
-e suggerito al giudice di rinvio -l'opportunit� di procedere 
alla confisca dei detti cespiti a sensi del gi� citato disposto di cui all'articolo 
240, p.p., cod. pen., nel fatto che, qualora da tale confisca si prescindesse, 
si otterrebbe, come conseguenza immediata, il perpetuarsi della 
predetta situazione antigiuridica, giacch� i responsabili continuerebbero 

In relazione alla confisca di azioni, nella quale si pone la necessit� di 

contemperare l'acquisto del diritto in capo a:llo Stato con il principio dell'incor


porazione del relativo diritto del titolo, la Corte di Appello di Genova, nel 

pronunciare la confisca, l'ha accompagnata con l'ordine di annotazione della 

sentenza nei registri sociali � ai fini dell'estrinsecazione nei confronti dei soci 

e dei terzi deNe conseguenze della disposta confisca �. L'importanza della deci


sione sta nel rendere inopponibili aH'azione di rivendica dello Stato le cessioni 

dei titoli azionari successivamente effettuate. 

Nel caso in esame il particolare oggetto della confisca (azioni circolanti 

all'estero) suggerisce l'opportunit� di approfondire alcune questioni in tema di 

azioni di societ�, considerando che l'interesse dello Stato � rivolto ad ottenere 

non gi� una pronuncia di confisca meramente platonica, bens� la possibilit� 

dell'esercizio del diritto di cui si pronuncia l'esproprio a suo favore, cio� nel 

caso concreto che gli si consenta l'esercizio delle relative potest� e diritti 

(partecipazione alle assemblee, nomina del consiglio di amministrazione, appro


vazione del bMancio, ecc.). 

� :B principio evddemJiato dalla dottrina che ha trattato la mater.ia dci 

titoli di credito (nella quale categoria vengono comunemente fatti rientrare 

i titoli azionari di societ� per azioni) come occorra tenere ben distinta la tito


larit� del diritto dal possesso ad legittimationem del documento relativo (cio� 

possesso del documento secondo la relativa legge di circolazione) e che � ben 

possibile e prevista in determinati casi (es. ammortamento) una scissione del 

diritto dal documento mentre si ammette che � sia la legittimazione sia la 

titolarit� del diritto possano acquistarsi anche quando la propriet� materiale 

del documento spetti a persone diverse dal tlitolare e dal legit1Jimato � (G. FERRI, 

I titoli di credito, UTET, 1950, 19, che nella sua fondamentale opera in materia 

nota che J'azione di revindica e la procedura di ammortamento del legittimato 

non possessore si arrestano solo di fronte a colui che abbia acquistato senza 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

a possedere all'estero disponibilit� valutarie, mentre l'immobile esistente 
in Italia continuerebbe ad essere di propriet� di una societ� estera, con 
l'ulteriore conseguenza che i responsabili sarebbero facultati a continuare 
a sottrarre detti beni all'economia nazionale. 

In dipendenza delle suddette statuizioni della Suprema Corte, il compito 
di questo Collegio, a sensi del disposto di cui all'art. 544 cod. proc. 
pen., � limitato -e ben inteso nell'ambito ristretto del petitum di cui 
al ricorso del P.G. -esclusivamente alla valutazione dell'opportunit� della 
attuazione della misura di sicurezza di che trattasi, tenendo evidentemente 
presente il suggerimento sul punto formulato dalla cassazione, ma 
senza alcuna possibilit� di interferire sulla confiscabilit� dei suddetti titoli 
ed immobile, in ordine al qual punto il Collegio medesimo, �, quale giudice 
di rinvio, vincolato dal principio nella sentenza di cassazione affermato. 


E, ci� posto, l'indagine, che, secondo quanto sopra rilevato, spetta 
a questa Corte, non pu� che concludersi in senso positivo circa la 
opportunit� della �tinfisca e delle azioni e dell'immobile � esterovestiti �. 

�, invero, insegnamento della dominante dottrina e consolidato orientamento 
giurisprudenziale del Supremo Collegio (cfr., tra l'altro, Sez. VI, 

mala fede o colpa grave nelle forme proprie della circolazione del titolo e non 
anche di fronte al proprietario del documento). 

Pur riconoscendosi la qualit� di titolo di credito ai titoli delle azioni, si 
puntualizza tuttavia come esse non posseggano le caratteristiche del!'� autonomd
�a >>, della � letteralit� � e del!'� astrattezza� che normalmente ad essi si 
ricollegano (G. SPADAZZA, Le societ� per azioni, UTET, voi. I, 180; GRAZIANI, 
Diritto della societ�, 241). 

Fatta questa breve puntualizzazione si osserva come secondo la pi� accreditata 
dottrina � nel nostro diritto delle societ� la parola azione significa la 
partecipazione sociale nella societ� per azioni � {B. V1SENTINI, voce Azioni di 
societ�, in Enc. Dir., voi. IV, %7) onde impropriamente con detto termine si 
designa una parte del capitale sociale o il documento che '1a rappresenta (certificato 
azionario). 

Va anzi rilevato come, a sensi art. 5 r.d. 29 marzo 11942, n. 239, il certificato 
azionario � un mero elemento eventuale della societ� per azioni, ben potendo 
la sodet� deliberare �che non si distribuiscono ai soci i titoli delle azioill� �. 

In ogni caso � ben certo che l'azione come partecipazione sociale ed il 
certificato azionario sono, anche giuridicamente, due nozioni distinte, e ci� 
anche quando le partecipazioni sono incorporate nei certificati azionari (B. VISEN� 
TINI, op. e Zoe. cit.). 

La formula del secondo comma dell'art. 2325 cod. civ., secondo la quale 
� le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni � indica 
un elemento essenziale della societ� per azioni per la parte che .implicitamente 
si riferisce alle azioni come partecipazioni, e indica invece un elemento 
non essenziale per la parte che si riferisce alla � incorporazione � delle parte� 
cipazioni .in certificati azionari. 

Da ci� l'autorevole citata dottrina ha tratto l'ulteriore fondamentale con� 

elusione che �L'emissione dei certificati azionari non attiene ai rapporti fra 

[ 

~: 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 979 

2 aprile 1979, ricorrente Milanesio, in Giust. Pen., 1980, II, 452) che la 
misura di sicurezza patrimoniale della confisca, prevista dall'art. 240 
cod. pen., tende a prevenire la commissione di nuovi reati, mediante la 
espropriazione, in favore dello Stato, di quelle cose che, o perch� provenienti 
dalla commissione di un fatto sanzionato penalmente o perch� 
collegate alla esecuzione di tale illecito, manterrebbero viva l'idea e l'attrattiva 
del reato (cfr., anche, nello stesso senso, la relazione al progetto 
definitivo del codice penale), per cui il mantenimento delle cose stesse 
potrebbe risolversi come fatto incentivante per la commissione di ulteriori 
azioni criminose. 

Ed in applicazione di tale principio di diritto e tenuto conto di quanto 
suggerito nella sentenza della Corte di cassazione sopra richiamata 
del 27 settembre 1982, non pu� essere posto in dubbio che un provvedimento 
di questa Corte, che omettesse di disporre la confisca e delle 
azioni e dell'immobile, evidentemente permetterebbe di mantenere una 
situazione di concreta apparenza di appartenenza a societ� estere -fittiziamente 
create dal Pongiglione Alberto e, per le quote singole di appartenenza, 
dagli odierni imputati -di azioni in effetti di pertinenza dei 
Pongiglione, nonch� di concreta intestazione fittizia dell'immobile � Abba-

la societ� e i terzi, e alla tutela di questi, n� essa � elemento che attenga 
alla struttura e al funzionamento degli organi sociali, e neppure, come elemento 
indispensabiile, al trasferimento delle partecipazioni azionarie�. (B. VISENTINI, 
op. cit., 992). 

Si riconosce anzi a' sensi del citato r.d. n. 239/42 la possibilit� di una 
estinzione def titoli emessi dalla societ� ed in circolazione, in virt� di semplice 
delibera dell'assemblea, il che � appunto possibile, in quanto, come si 
� visto, l'emissione dei certificati azionari non attiene ai rapporti tra societ� 
e terzi n� � funzionale alla tutela di questi; in tal caso ogni trasferimento 
dovr� operarsi esclusivamente sul libro dei soci (VISENTINI, op. e Zoe. cit.). 

D'altro canto � ben noto come in via generale l'art. 2022 cod. civ. disponga 
che il trasferimento del titolo nominativo si operi mediante l'annotazione 
del nome dell'acquirente sul titolo e nel registro dell'emittente, ovvero �col 
rilascio di un nuovo titolo intestato al nuovo titolare� e 1l'annotazione nel 
registro. Prendendo in esame il secondo comma della citata disposizione, 
che determina d requisiti che legittimano ad ottenere H transfert o dl rilascio 
di un nuovo certifiicato, la Suprema Corte, in una .importante decisione, rii.teneva 
che in ogni caso costituiva valido titolo per il trasferimento l'accertamento 
giudiziale del relativo diritto: �Com'� noto, l'atto autentico che l'articolo 
2022 richiede affinch�, dimostrando con esso il proprio diritto, il nuovo 
possessore del titolo nominativo possa ottenere il cosiiddetto transfert (la 
duplice annotazione, cio�, a cura dell'emittente, del nome dell'acquirente sul 
titolo e nel proprio registro), ovvero il rilascio di un titolo nuovo intestato 
al nuovo titolare con relativa annotazione nel registro deve consacrare il 
negozio giuridico in forza del quale il trasferimento del titolo � avvenuto. 
Vero � che ove l'acquisto del titolo non sia accompagnato dalla formazione 
del relativo atto autentico, a11a mancanza di questo pu� supplirsi, occorrendo, 
mediante una sentenza da cui risulti che l'acquisto � effettivamente seguito 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dia San Giuliano � a societ� estera, con mascheramento dei reali ed 
effettivi proprietari: situazione, questa, non sanata n� validamente eliminata 
dalle tardive ed evidentemente strumentali denunce dei cespiti, 
effettuate dagli eredi del defunto Pongiglione Alberto, in particolare nelle 
more del giudizio di cassazione ed in parte successivamente alla pronuncia 
che tale giudizio ha concluso, e concernenti, tra l'altro, le quote 
ereditate e senza specifico riconoscimento, da parte degli odierni imputati, 
della compropriet� delle azioni stesse e dell'immobile, secondo le 
statuizioni delle sentenze e del tribunale e della Corte di appello, sul punto 
divenute irrevocabili. 

Con l'ulteriore conseguenza che 1a libera disponibtlit�, senza un provvedimento 
di confisca, da parte degli imputati, delle azioni fittiziamente 
intestate a societ� estere e circolanti all'estero (libera disponibilit� non 
ostacolata dall'esistenza del diritto di pegno in favore della FINAC, suscettibile 
di diretta regolamentazione), nonch� il permanere della fittizia 
intestazione alla Halwil A.G. dell'� Abbadia San Giuliano� consentirebbero 
alle societ� estere, apparenti proprietarie dei detti cespiti -e quindi agli 
imputati -atti di alienazione o disposizione fittizia a favore di altri 
soggetti e diretti ad ulteriormente mascherare la reale situazione di tito


in virt� di un valido negozio t11aslativo �. (Cass., Sez. I, 6 novembre 1967, 

n. 2689). 
Sulla base dei richiamati principi, stabilito quindi che la titolarit� del 
diritto pu� prescindere dal possesso del documento, alla cui mancanza pu� 
supplirsi nelle forme previste, mentre spetta al giudice accertare i requisiti 
esistenti per l'esercizio del diritto, non sembra suss1stiano ostacoli di carat� 
tere giuridico a riconoscere la possibilit�, nel caso in cui sia giudizialmente 
accertato l'acquisto per espropriazione a favore dello Stato dei diritti di partecipazione 
e quindi delle azioni relative ad una determinata societ�, che 
venga ordinato dalla autorit� giudiziaria, che dispone con M provvedimento 
di confisca l'espropriazione della partecipazione azionaria, l'annotazione della 
sentenza nel libro dei soci, cos� come ha disposto la sentenza della Corte 
di appello di Genova. Trattasi evidentemente di una diretta estrinsecazione 
del provvedimento di confisca, inerente il suo contenuto ablatorio, il cui 
effetto � quelilo di rendere opponibile la confisca stessa oltre che ai soci ad 
ogni eventuale cessionario delle azioni, consentendo quindi l'utile esperibilit� 
della azione di revindica da parte dello Stato nei confronti dell'intestatario 
dei certificati delle azioni oggetto di confisca (nel caso concreto le societ� 
di comodo di Vaduz e la societ� elvetica cui esse sono state girate per 
garanzia in pegno), con gli effetti indicati nella menzionata sentenza della 
Suprema Corte in data 6 novembre 1967, n. 2689. 

Si condivide senz'altro lo sforzo della giurisprudenza per rendere effettivo 
l'istituto della confisca, e si osserva che se il legislatore intende mantenere 
all'iistituto la maggiore� estensione ad esso attribuita dagli ultimi provvedimenti 
legislativi, sar� opportuna anche l'emanazione di chiare disposizioni 
di 11accordo s� da ewtare incertez:re nella �applicazione pratica delrnstituto. 

FRANCESCO GUICCIARDJ 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

larit� dei beni stessi, o atti di alienazione effettiva, con nuova creazione 
all'estero di disponibilit� valutarie occulte -costituite dai ricavi dell'alienazione 
-in favore degli imputati medesimi. In tal modo, cio�, rimarrebbe 
viva in questi ultimi l'idea e l'attrattiva alla commissione di altri 
reati, di natura analoga a quello represso con la sentenza di condanna 
divenuta irrevocabile, attrattiva che, come si � sopra detto, costituisce 
l'obiettivo che, in via di prevenzione, l'istituto della confisca mira a 
vanificare. 

E le considerazioni dianzi svolte fanno apparire del tutto superate le 
argomentazioni con cui la difesa degli imputati ha sostenuto l'inopportunit� 
della confisca, sia sotto il profilo dell'inesistenza di una possibile 
futura violazione di legge penale, che sotto il profilo della mancanza di un 
danno all'economia nazionale, in relazione alla irrevocabilit� della sentenza 
di condanna che ha accertato l'appartenenza ai Pongiglione dei 
beni � esterovestiti �, mentre irrilevanti appaiono le argomentazioni difensive 
in ordine alla maggior convenienza circa l'esperibilit� di azioni di 
natura civilistica, che egualmente tutelerebbero gli interessi dello Stato, 
ma che, in. concreto, non eliminerebbero l'attualit� del pericolo sopraevidenziato 
e la cui valutazione, del resto, esula dal thema decidendum, 
limitato ad indagini di carattere strettamente penalistico con riferimento 
ai principi di diritto sopra esposti. 

E cos� giustificato e per le suddette ragioni disposto il provvedimento 
di confisca delle azioni delle societ� San Gallo, Ettore Vernazza ed 
Immobiliare Corte -evidentemente nei limiti di appartenenza di tali 
azioni alle societ� estere fittiziamente dai Pongiglioni create (Sihl, Ilmar, 
Privest, Fortema e Anstalt Sponsor) nonch� dell'immobile denominato 
� Abbadia Benedettina di San Giuliano � fittiziamente intestato alla Halwil 

A.G. di Vaduz -non resta alla Corte che dare atto che, con la confisca, 
e azioni ed immobile vanno devoluti al patrimonio dello Stato, con ulteriore 
statuizione, per quanto riguarda le azioni ed ai fini della estrinsecazione 
nei confronti dei soci e dei terzi delle conseguenze della disposta 
confisca, dell'annotazione della presente sentenza nel libro dei soci delle 
anzice:n,nate societ� San Gallo, Ettore Vernazza e Immobiliare Corte. 
(omissis) 


PARTE SECONDA 



QUESTIONI 


ASSOCIAZIONE GIURISTI EUROPEI 

ATTI DELL'INCONTRO DI STUDIO 
su 

IL GIUDICE NAZJONALE E IL DIRITTO COMUNITARIO 

Roma, 12 febbraio 1982 
Sala Vanvitelli -Avvocatuva Generale dello Stato 


PRESENTAZIONE 


Eccellenza MANZARI, avvocato generale dello Stato. (*) 

Eccellenze, signore, signori, 

� per me motivo di grande soddisfazione dare il benvenuto nella sede 
dell'Avvocatura agli amici dell'Associazione italiana dei giuristi europei 
e ringraziare, a nome dell'Istituto, dei colleghi e mio personale tutti gli 
intervenuti. 

Un ringraziamento particolare va naturalmente agli illustri relatori 
che si apprestanp ad introdurre questo incontro-dibattito. L'argomento � 
di grande attualit� e questo Istituto, a nome del quale ho l'onore e il 
piacere di rivolgere il mio saluto, ne � consueto protagonista. 

Mi sia consentita una trasgressione dal tema specifilco per sottolineare 
con quanto calore io rivolgo questo saluto. La mia vita di studioso e 
di operatore del diritto, per una singolare coincidenza, si riallaccia tutta 
alle tappe pi� significative dell'evoluzione dell'idea dell'integrazione europea. 
Avevo appena conseguito la laurea in legge nel giugno 1941 quando 
fu emesso il messaggio, che profondamente � rimasto nel mio animo, 
del Manifesto di Ventotene. Era la prima ideazione di un programma 
politico di unione europea nel nome della democrazia e della libert� in 
opposizione alla dittatura fascista e al forsennato nazionalismo guerresco. 
Certo si potrebbe andare molto indietro e ricordare altre antiche 
espressioni programmatiche come l'opuscolo del 1814 di Saint-Simon che 
s'intitolava � Il proposito di una riorganizzazione della societ� europea 
per riunire i popoli d'Europa in un solo corpo politico conservando ciascuno 
la sua indipendenza nazionale �. Ma cos� indietro, per la verit�, i miei 

(*) Il saluto dell'Avvocato generale dello Stato � stato gi� pubblicato 
nel fascicolo n. 6/1981 di questa Rassegna, pag. V. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

anni non vanno ed oggettivamente il Manifesto di Ventotene apriva una 
ben diversa e nuova visione ispirata al superamento dei nazionalismi per 
l'affermazione dei valori di democrazia e di libert�. Ricordo ancora che 
ero appena entrato, nel settembre 1946, congedandomi cos� dal lungo servizio 
militare, nell'Avvocatura di Stato quando Winston Churchill, che fu 
il primo dei grandi uomini politici a rendersi interprete delle aspirazioni 
europee e della societ� del dopoguerra, lanci� il famoso appello di 
Zurigo per la costruzione degli Stati Uniti d'Europa. 

Fu, poi in occasione della mia prima esperienza di collaborazione alla 
attivit� di Governo prestata ad Aldo Moro che vennero firmati in Roma, 
nel 1957, i trattati che creavano gli organismi sovranazionali della Comunit� 
economica europea e della Comunit� europea dell'energia atomica. 

Raccolsi allora i primi commenti e le prime caute ma penetranti intuizioni 
del grande uomo politico cui rivolgo un commosso, riverente 
pensiero di omaggio. Fu di nuovo con lui che, nel 1970, quale Capo del 
servizio del contenzioso diplomatico partecipai a quel Consiglio d'Europa 
che tra il 1� e il 2 dicembre deliber� che le elezioni europee si tenessero 
in data unica nei paesi membri. Quella deliberazione � significativamente 
il solo precedente richiamato nella decisione della Comunit� che approv� 
l'atto per le elezioni politiche sottoposte insieme all'approvazione del Parlamento 
italiano nel 1976 su proposta del Ministro degli esteri, Asldo Moro. 

Ed oggi sono qui ad ascoltare, nell'esercizio della mia nuova responsabilit�, 
questo dibattito su di un tema che felicemente dimostra quanta 
strada, superando stenti e difficolt�, sia stata finora compiuta ed incoraggia 
a proseguire nell'ancora lungo e faticoso cammino deWintegrazione 
europea. 

Oggi per� non v'� chi non avverta l'angustia di un orizzonte operativo 

ristretto ai confini nazionali e non senta che il grande ideale dell'inte


grazione europea pu� ancora rappresentare, nel suo realizzarsi, un signi


ficativo contributo del vecchio continente all'evolversi della civilt� umana. 

Di recente Massimo Severo Giannini ha individuato il nucleo della crisi 

interepocale che stiamo vivendo nella dissoluzione degli Stati nazionali, 

giunti ormai al compimento del loro ciclo vitale. La diagnosi � probabil


mente esatta, e se cos� �, la Comunit� europea rappresenta una tempe


stiva risposta alle esigenze dei tempi nuovi che vanno maturando. 

Possiamo intanto rilevare che accanto ai primi, immediati risultati di 

integrazione sul piano economico, si vanno ormai cogliendo quelli che si 

realizzano sul piano giuridico, i quali seguono con quella pi� meditata 

lentezza che � propria del conservatorismo degli uomini di legge. Si pu� 

dire comunque ormai compiuta, irreversibile la prima costruzione di un 

ordinamento comunitario ed � importante constatare che la problematica 

dei suoi rapporti con l'ordinamento interno fa parte ormai dell'esperienza 

quotidiana degli operatori giuridici cos� come � solidamente acquisita 


PARTE II, QUESTIONI 

l'esistenza di un giudice a Lussemburgo con cui il giudice nazionale ha 
preso disinvoltamente a dialogare, ai sensi dell'art. 177 del Trattato. 

Non � un caso, d'altronde, che alla presidenza della Suprema Corte 
di cassazione siede oggi un uomo come Mario Berri che ha dedicato una 
intensa e profonda attivit� alla costruzione e alla diffusione del diritto 
comunitario. 

Oggi il presidente Berri non � con .noi perch�, come ha voluto cortesemente 
comunicare, partecipa ad una cerimonia commemorativa di 
Vittorio Bachelet. Desidero associarmi, a nome di tutti, al rimpianto per 
la sua scomparsa ricordando il valore del giurista, l'altissimo, sereno impegno 
civile che anim� la sua vita e ne caus� l'assassinio. Le due immagini 
di Moro e di Bachelet appartengono al patrimonio ideale dei giuristi 
non soltanto italiani, che s'inchinano con riverente pensiero alla loro 
memoria. 

Neppure � un caso -riprendendo il nostro tema -che la Corte costituzionale 
con due recenti sentenze -176 e 177 del 1981 �-abbia aperto 
nuovi spiragli interpretativi in tema di integrazione tra ordinamenti, e 
conforta ancora la constatazione che vi sono molti uomini politici sensibili 
all'esigenza di un sistema che valga finalmente ad adeguare tem 
pestivamente l'ordinamento interno a quello comunitario in forme quanto 
pi� possibile equivalenti a quelle di un trasformatore continuo. 

ti mio preciso dovere al riguardo, ai sensi dell'art. 15 della legge 
103/79 sull'ordinamento dell'Avvocatura, ritornare sulla segnalazione, gi� 
fatta al Governo, di una grave carenza del nostro sistema legislativo. 1t� 
necessario ormai superarla nel solco dell'indicazione e dell'ammonimento 
che proviene dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale. Non si 
pu� ulteriormente indugiare di fronte all'urgenza di creare un adeguato 
meccanismo tecnico; ai giuristi non manca l'inventiva per assecondare 
la volont� politica, tanto che indicazioni sono state gi� fornite anche da 
questo Istituto e potranno essere opportunamente approfondite per creare 
-come dicevo -quello strumento capace di assicurare un tempestivo 
e continuo adeguamento dell'ordinamento interno delle decisioni comunitarie 
cos� da far coincidere gli atteggiamenti concreti del paese con lo 
spirito europeo che anima il Parlamento e il Governo .italiano. Sembra 
giunto ormai il momento di farlo, posto che l'Europa appare sempre meno 
un'astrazione e sempre pi� s'impone come una realt� viva nella coscienza 
sociale. 

Traendo auspicio da .questa convinzione, vorrei concludere il mio 
saluto, per non rubare altro tempo ai relatori che illustreranno il tema 
della collaborazione tra giudici nazionali e giudici comunitari, un rapporto 
che s'inscrive a grande rilievo nello spirito e negli ideali che pre� 
siedono al processo di evoluzione dell'integrazione europea. Lo sviluppo 
di questo processo � un sicuro pegno di pace e di fratellanza tra i popoli, 
particolarmente tra quelli accomunati nel destino da un patrimonio di 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

tradizioni e di civilt� che insieme dobbiamo salvare. Vi sono in esso quei 
valori essenziali che rappresentano il filo di continuit� tra la civilt� del 
passato che non dobbiamo rinnegare e la civilt� di domani che dobbiamo 
concorrere, noi giuristi per la nostra parte, a costruire. Grazie. 

RELAZIONI E REPLICHE 

Prof. FRANCESCO CAPOTORTI, Avvocato generale presso la Corte di 
Giustizia. 

Il mio proposito � soprattutto quello di indicare alcuni spunti, da cui 
potr� trarre avvio il dibattito sul tema di questo incontro: un tema ampio, 
ric�o di contenuti e di implicazioni, che presenta non pochi aspetti 
controversi. 

Conviene chiarire in primo luogo quale sia il ruolo del giudice. nazionale 
dal punto di vista del diritto comunitario. 

Non vi � dubbio. che la responsabilit� dell'interpretazione e della 
applicazione di tale diritto spetta in gran parte ai giudici nazionali. Tutti 
sanno che i Trattati CECA, CEE ed EURATOM riservano alla competen� 
za della Corte delle Comunit� un numero abbastanza limitato di azioni 
che i privati possono direttamente promuovere: azioni di annullamento 
di atti obbligatori o di accertamento di carenze del Consiglio o della 
Commissione -alle condizioni fissate dagli articoli 33-35 del Trattato 
CECA e 173-175 del Trattato CEE -, impugnativa di sanzioni applicate 
dalla Commissione alle imprese, ricorsi per responsabilit� delle Comunit� 
stesse, derivante da fatto illecito (senza parlare del contenzioso dei funzionari). 
Per tutt'altro, � � giudice comunitario � il giudice nazionale: vale 
a dire, il compito di assicurare il rispetto del diritto comunitario e di 
risolvere le controversie sorgenti dalla sua applicazione ad istanza dei 
singoli spetta alle giurisdizioni degli Stati membri, salva beninteso quella 
forma di cooperazione che � offerta dall'art. 177 del Trattato CEE (meccanismo 
dell'interpretazione pregiudiziale) della quale parler� pi� oltre. 

Direi che molte affermazioni della Corte -e in particolare quelle, tan


to discusse, della nota sentenza Simmenthal del 9 marzo 1978 -circa la 

posizione del giudice nazionale di fronte a norme nazionali incompatibili 

con norme comunitarie si spiegano proprio in quanto, nell'ottica comuni


taria, il giudice nazionale ha la veste di giudice comunitario. D'altronde, 

se � vero che l'ordinamento comunitario e quello degli Stati membri 

coesistono e si combinano nella loro applicazione, sicch� nell'ambito di 

un singolo caso concreto possono risultare contemporaneamente appli


cabili disposizioni comunitarie per certi aspetti e norme interne per altri, 

non vi � da meravigliarsi che si attribuisca ai giudici degli Stati membri 

la duplice veste di cui ho detto, a partire dal giorno in cui gli ordina


menti dei rispettivi Paesi hanno ammesso l'interferenza nei loro ambiti 


PARTE II, QUESTIONI 

d'efficacia del diritto comunitario. Questa concezione � coerente con il 
fatto che il diritto comunitario non si trasforma in diritto nazionale, e 
che quindi nell'applicare norme comunitarie il giudice nazionale non � 
nella stessa posizione in cui si trova quando applica non;ne interne di 
adattamento al diritto intemazionale. 

� vero che anche i trattati istitutivi delle Comunit� sono stati oggetto 
nel nostro Paese di una normale legge di esecuzione, ma il significato 
di questa legge � stato reso peculiare dal collegamento con l'art. 11 della 
Costituzione. Quanto ai regolamenti, sappiamo bene -e la Corte costituzionale 
lo precis� nella sentenza Frontini, dando finalmente ingresso 
nel nostro ordinamento a concetti del tutto conformi all'impostazione giuridica 
della Corte comunitaria -che essi valgono in quanto fonti comunitarie 
non recepite da fonti interne, n� suscettibili di essere incorporate 
in leggi statali. 

Il discorso � aperto, invece, per le direttive, non essendovi accordo 
sul punto di stabilire se le norme delle direttive, per le quali non ci siano 
state tempestive leggi statali di applicazione, siano suscettibili di produrre 
effetti diretti. 

� merito della Corte comunitaria avere elaborato questa teoria, o 
meglio questa tecnica dell'effetto diretto, la quale in fondo consiste nel 
desumere tutti i possibili effetti riferibili ai singoli da norme che di per 
s� non appaiono rivolte agli individui, e dunque, prima di tutto, da norme 
dei Trattati. Lascio qui da parte questo aspetto del discorso che pure � 
ricco di interesse, cio� mi astengo dal considerare in quanti casi la Corte 
comunitaria abbia riconosciuto diritti soggettivi dei singoli ricavandoli 
da norme dei trattati, apparentemente rivolte agli Stati membri, che sembrerebbero 
attendere un'ulteriore opera di emanazione di leggi da parte 
loro. 

Ci� che importa piuttosto ricordare � che la stessa tecnica � stata 

applicata alle direttive, e che dunque anche rispetto ad esse la Corte 

comunitaria ha individuato casi nei quali, concorrendo certe caratteri


stiche di contenuto dell'atto, cio� in presenza di norme che non richiedano 

dei necessari completamenti, � possibile parlare di diritti soggettivi degli 

individui. Al tempo stesso va segnalato che sono emerse al riguardo 

alcune resistenze di giurisdizioni interne. In particolare, il Consiglio di 

Stato francese, che fra le giurisdizioni nazionali si � spesso dimostrata 

quella pi� rest�a a un'interpretazione larga dei precetti comunitari, nella 

famosa sentenza Cohn Bendit del dicembre del 1978, afferm� che la 

dottrina dell'effetto diretto, concepita ed applicata dalla Corte comuni


taria nel suo ambito, non vincolava i giudici nazionali, tenuti al rispetto 

dei trattati comunitari. Pi� recentemente, una pronunzia tedesca si � 

messa sulla stessa linea -mi riferisco alla sentenza 16 luglio 1981 del 

Bundesfinanzgericht tedesco -riprendendo le proposizioni della sentenza 

del Consiglio di Stato francese. Anch'essa ha negato che dalla direttiva 


122 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

possano nascere effetti immediati, e ha invocato la regola sulle fonti 
(art. 189 del Trattato CEE) che sicuramente descrive la direttiva in modo 
da far risaltare la sua diversit� rispetto al regolamento, affidando agli 
Stati membri il compito di eseguire le direttive con propri atti. 

Questi due casi interessanti ci portano a considerare un problema pi� 
generale, vale a dire in che misura il giudice nazionale, al di l� dell'obbli� 
go di attenersi alla decisione della Corte in una procedura di rinvio pregiudiziale, 
sia tenuto ad applicare princ�pi risultanti dalla giurisprudenza 
di tale Corte. Il problema presenta aspetti diversi. Si pu� discutere anzitutto 
la questione della portata specifica o no delle singole sentenze pronunciate 
dalla Corte comunitaria sulla base dell'art. 177. E siccome non 
possiamo dimenticare che si tratta talora di sentenze di interpretazione, 
altre volte di sentenze sulla validit� degli atti comunitari, la questione va 
esaminata pensando sia alle prime, sia alle seconde. 

Senza la pretesa di fornire in cos� breve tempo una risposta esauriente, 
noter� che tutti sono certamente d'accordo nel riconoscere che la 
giurisprudenza comunitaria come tale ha valore anche per il giudice interno, 
ma un valore di strumento interpretativo e privo di obbligatoriet�. 
D'altra parte, molti autori sono ancora convinti che il procedimento di 
cui all'art. 177 sia destinato ad avere effetti solo nei limiti della con� 
troversia per la quale la decisione preliminare della Corte � stata chiesta. 
Se si condivide questa affermazione, bisogna dedurne che, senza pregiudizio 
della portata interpretativa della giurisprudenza comunitaria, le 
singole decisioni non abbiano conseguenze vincolanti al di fuori dei casi 
nel cui ambito esse sono state pronunciate. Va tuttavia segnalato che 
c'� una indubbia tendenza della Corte comunitaria a costruire le sue sentenze 
sulla base dei precedenti. Anche mediante la tecnica della frequente 
ripetizione nel corpo delle sentenze di princ�pi dedotti da altre sentenze 
nella stessa materia, si nota la tendenza a far prevalere una linea di 
continuit�, che man mano si consolida. Questo accade probabilmente per 
tutte le giurisdizioni, ma direi che il fenomeno � particolarmente chiaro 
nell'esperienza della Corte delle Comunit�; oltre tutto, vi operano anche 
giuristi di Stati che accordano alla giurisprudenza un peso maggiore di 
quel che accade fra noi. 

C'� di pi�. Va considerato che a livello comunitario l'atteggiamento 
della Commissione � solitamente concorde sul piano attuativo con quello 
della Corte. Ci� significa che, quando in una singola pronuncia pregiudiziale 
una certa linea interpretativa � stata accolta oppure l'invalidit� di 
un atto comunitario � stata riconosciuta, ai fini della controversia per 
cui la questione � stata posta, di norma la Commissione segue l'indi� 
rizzo della Corte, anche se non ci sono elementi per dire che essa sia 
obbligata a seguirlo (ed anzi si pu� spiegare il fenomeno come sintomo 
di una corretta collaborazione interistituzionale). 


'PARTE II, QUESTIONI 

Sta di fatto che spesso, attraverso la accennata collaborazione fornita 
dalla Commissione, un'affermazione incidentale di invalidit� finisce 
per produrre effetti equi".alenti a quelli di un annullamento, perch� la 
Commissione, non appena la Corte ha deciso, si affretta a proporre al 
Consiglio la modifica del regolamento dichiarato invalido ed agisce come 
se fosse intervenuta una vera e propria pronuncia di annullamento. 
Lo stesso si pu� dire, naturalmente, per le sentenze interpretative, anche 
sotto il profilo dei riflessi che esse finiscono con l'avere sulla condotta 
degli Stati, partendo dall'interpretazione della portata cli certi loro 
obblighi. 

In verit�, qualche colpo di freno � stato dato negli ultimi tempi 
da alcune giurisdizioni nazionali. Si pu� citare per esempio una sentenza 
(di per s� di interesse modesto) pronunciata dal tribunale di Lille 
nel luglio .del 1981. Il tribunale aveva chiesto alla Corte comunitaria 
di pronunciarsi, incidentalmente, sulla validit� di un regolamento. La 
Corte aveva fatto un'operazione non nuova: nel dichiarare la invalidit� 
aveva aggiunto che, per ragioni di sicurezza giuridica, era preferibile 
che essa decorresse da una certa data, non ex tunc, n� interamente 
ex nunc, ma da un'epoca pi� recente (pi� o meno quella dell'inizio 
del giudizio). 

Questo tipo di cosmesi che la Corte ha applicato qualche volta alle 
sentenze di invalidit� costituisce una applicazione indiretta -forse analogica 
pi� che estensiva -dell'art. 174 Trattato CEE, che per le pronuncie 
di annullamento vere e proprie consente in effetti alla �Corte 
di stabilire la decorrenza degli effetti dell'annullamento. 

Ebbene il tribunale di Lille, pur riconoscendo di dover prestare ossequio 
alla pronuncia della Corte sul punto dell'invalidit�, ha aggiunto 
che non si sentiva tenuto a seguire la Corte sul punto della decorrenza 
dell'invalidit�, e ha sostenuto che qui la Corte � andata al di l� �delle 
sue competenze,� avendo agito non pi� sulla base dell'art. 177 ma�sulla 
base di una discutibile interpretazione dell'art. 174, in realt� applicabile 
al solo contenzioso dell'annullamento (art. 173). 

Nell'insieme, dunque, bisogna riconoscere che da parte della Corte 
comunitaria c'� una marcata tendenza ad attribuire almeno praticamente 
un effetto generale alle pronuncie rese sulla base dell'art. 177, mentre 
da parte dei giudici nazionali si notano qua e l� dei sintomi di resistenza, 
perlomeno nel senso che si cerca di limitare l'ambito nel quale 
le decisioni prese dalla Corte� sono vincolanti. 

Un commento � tuttavia lecito: quando si dice, giustamente, che 

la Corte comunitaria ha contribuito alla costruzione dell'ordinamento 

comunitario, riempiendo molte lacune e soprattutto mettendo qua e l� 

quella sorta di cemento che � costituito da una serie di principi, i 

quali hanno chiarito la portata delle norme comunitarie, nonch� i loro 

15 


124 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
collegamenti, e hanno delineato il disegno sistematico di quell'ordinamento, 
si accetta implicitamente l'idea che quanto la giurisprudenza 
della Corte ha precisato sia entrato a far parte del diritto comunitario. 
A tal proposito si pu� aggiungere che in altri paesi diversi dal nostro 
si insegna il diritto comunitario non tanto sulla base delle norme quanto 
sulla base della giurisprudenza. Perci�, pur senza avere l'intenzione 
di sopravvalutare i risultati dell'attivit� della Corte, bisogna rendersi 
conto che le resistenze basate su motivi rigorosamente formali hanno 
un peso abbastanza ridotto rispetto all'importanza che man mano la 
giurisprudenza della Corte ha assunto. 
Altri problemi riguardano egualmente l'art. 177, ponendo in evidenza 
vari nodi che l'articolo presenta e che la sua applicazione ha rilevato. 
Mi fermer� su uno di questi. 
�Va premesso che detta norma viene molto largamente utilizzata: 
forse non tutti sanno che praticamente i quattro quinti dell'attivit� 
della Corte consistono nel giudicare su ricorsi pregiudiziali. In altd 
termini, pur avendo la Corte com.nitaria molte competenze (differenziate 
sensibilmente fra loro) � sulla competenza regolata dal citato 
art. 177 che si basa la giurisprudenza quantitativamente prevalente. Ma 
ci� che voglio aggiungere � che la norma in questione, chiaramente concepita 
per assicurare l'uniformit� dell'interpretazione del diritto comunitario 
e per risolvere in ultima istanza i problemi di validit� degli 
atti comunitari, ha poi finito con l'avere anche altri usi indiretti. Per 
esempio, � noto che molte inadempienze di Stati, il cui accertamento dovrebbe 
avvenire mediante l'azione che il Trattato CEE fa dipendere 
dalla iniziativa della Commissione o di qualcuno degli Stati membri 
contro l'inadempiente, sono state rilevate a seguito di sentenze emesse 
sulla base dell'art. 177; queste, infatti, pur essendo destinate ad interpretare 
determinati obblighi controversi in termini generali, lasciano 
chiaramente intravedere, tenuto conto dei fatti della causa, che un 
obbligo non � stato rispettato da un dato governo. Ci� posto, e tenuto 
conto del fatto che � interesse degli Stati evitare la soccombenza in 
futuri giudizi ex art. 169, accade spesso che il Governo interessato ponga 
rimedio alla sua inadempienza a beneficio di tutti i privati interessati. 
Tuttavia, proprio il frequente uso indiretto dell'art. 177 ha finito 
col far sorgere alla stessa Corte il dubbio se un impiego improprio di 
tale strumento sia accettabile al di l� di certi limiti. Alludo alle famose 
due/sentenze Foglia/Novello; in esse la questione consistente nel 
valutare la rilevanza effettiva della questione pregiudiziale posta costituisce 
la spia del disagio della Corte, di fronte a un uso molto esteso 
che ha finito per essere fatto della procedura in questione, allo scopo 
di far venire a galla delle inadempienze degli Stati. 
Un ultimo problema, al quale mi limito a fare allusione, � quello 
dei limiti entro cui vi � l'obbligo di adire la Corte a carico delle giu[:: 
~= f: 


PARTE Il, QUESTIONI 12J 

risdizioni nazionali di ultima istanza. Qui si � avuta di recente la remissione 
del quesito ai giudici comunitari da parte della Corte di cassazione 
nel caso Cilfit/Gavardo. Ma tale caso non � stato ancora esaminato 
dalla Corte comunitaria; converr� attendere la sentenza, soprattutto 
per conoscere se, e fino a che punto, sar� riconosciuto alle giurisdizioni 
anzidette un certo margine di discrezionalit� in presenza di 
norme � chiare �. 

(Replica). 

Si � dedicata qui tanta attenzione alle due sentenze Foglia-Novello, 
che non posso fare a meno di esporre il mio punto di vista in proposito. 
Ci si aspetta forse che appartenendo alla Corte io ne sostenga le 
tesi a tutti i costi, ma non ho nessuna intenzione di difenderle d'ufficio. 
Le mie riflessioni hanno un carattere assolutamente personale; n� potrebbe 
essere altrimenti, a mio avviso, data anche la natura di questo 
incontro. 

Ci� precisato, non ho esitazione a dirvi che le sentenze Foglia-Novello 
non mi sono piaciute. Non ero l'avvocato generale n� nell'uno n� nell'altro 
caso e quindi posso facilmente discuterne come un osservatore 
imparziale, che guarda equamente al quadro complessivo della giurisprudenza 
della Corte, e ha un orecchio sensibile ai lamenti che si sono 
levati sulla degenerazione a cui la Corte pare stia andando incontro. 
Ma sono lamenti giustificati? 

La prima cosa che vorrei dire � che, se si fa questione di protezione 
giudiziaria degli interessi dei singoli, non si dovrebbe dimenticare 
che in materia di tutela del singolo la Corte ha fatto molto, sin dall'inizio. 
Alcune prese di posizione, nel momento in cui erano assunte, 
veramente apparivano, in qualche misura, rivoluzionarie, a partire dalla 
famosa sentenza v,an Gent en Loos che fece le prime affermazioni sulla 
priorit� del diritto comunitario e sull'effetto diretto. Da allora, la Corte 
ha ampliato la sfera di tutela del singolo, soprattutto confermando la 
giurisprudenza secondo cui molte norme del Trattato, che secondo una 
interpretazione tradizionale avrebbero potuto essere intese come rivolte 
unicamente agli Stati membri, e tali da lasciare loro margini discrezionali 
o margini di tempo per l'esecuzione, sono invece interpretate nel 
senso di conferire immediatamente diritti soggettivi ai singoli. La stessa 
cosa la Corte ha fatto per le direttive; l'ho ricordato nel mio intervento 
e non. occorre che io lo ripeta. Si deve insomma riconoscere che la 
Corte ha manifestato -in varie forme e a varie riprese -una sollecitudine 
concreta per la tutela dei singoli, talch� mi sembra ancora oggi 
non esagerato dire che la posizione giuridica dei singoli ha tratto van



126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
taggio non tanto dalle norme comunitarie quanto dal modo in cui 
126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
taggio non tanto dalle norme comunitarie quanto dal modo in cui 
esse sono state interpretate dai giudici delle Comunit�. Ci� posto, non 
� credibile che la sentenza Foglia-Novello sia interpretata come il sintomo 
di un radicale mutamento di rotta. 

Detto questo, io poi mi chiedo perch� la Corte non dovrebbe preoc


I 

cuparsi di tutelare anche gli Stati membri. Essa � -non dimentichia


I

molo -l'organo di una comunit� di cui fanno parte cos� i singoli come 
i governi degli Stati membri. Probabilmente, certi squilibri che possono 
essersi verificati in qualche occasione hanno finito col generare 

I 

la convinzione che la Corte debba per sistema andare contro gli inte


I

ressi degli Stati membri, anche quando risulti giustificato il contrario. 
Se questa convinzione si � formata in qualcuno, � evidente che bisogna 
ritenerla sbagliata. 

Penso ora, fra l'altro, alla sentenza Casati, perch� vi � stata fatta 
allusione, anche se, dati i limiti di, questo dibattito, non c'� tempo di 
mettere tutti al corrente dei lineamenti di quel caso. In breve: trattand�si 
di una questione di circolazione di capitali, molti si aspettavano 
che la Corte confermasse l'indirizzo accolto su altre libert� di circolazione, 
dando l'interpretazione pi� ampia anche alle norme relative 
ai capitali. Queste persone sono poi state deluse, perch� la Corte ha 
dato ragione allo Stato. 

Nella causa Casati sono stato avvocato generale e ho difeso la tesi 
secondo cui l'interpretazione da dare doveva essere quella sostenuta 
dalla difesa dello Stato; ma evidentemente perch� mi � sembrato -ed 
� sembrato poi ugualmente alla Corte -che questa fosse l'unica interpretazione 
corretta delle norme del Trattato CEE che erano in gioco. 
Non pretendo, beninteso, che il ragionamento seguito sia impeccabile o 
inappuntabile, ma � certo che non lo si pu� sospettare di aver favorito 
lo Stato per ragioni politiche. Pi� in generale, respingo l'idea che spesso 
influiscano sull'orientamento dei giudici delle considerazioni di opportunit�. 
Mi sembra che nell'insieme la giurisprudenza della Corte abbi� 
dimostrato di sapere contrastare gli interessi degli Stati quando non 
erano in armonia col Trattato e di saperli difendere quando sulla base 
del Trattato era giusto difenderli. 

Veniamo .adesso alla questione del rapporto che il Trattato CEE 
ha stabilito fra la procedura pregiudiziale e quella per l'accertamento 
di violazioni commesse dagli Stati membri. La seconda, come ha ricordato 
il cons. Abate, pu� essere messa in moto da altri Stati membri 

o dalla Commissione. Nella pratica si sa che � pi� spesso la Commissione 
a prendere un'iniziativa del genere, dato che gli Stati membri 
preferiscono sovente evitare di schierarsi apertamente l'uno contro 
l'altro. 
In ogni modo, sono queste le vie che il Trattato ha previste per 
far valere in giudizio l'illecito comunitario dello Stato. Il Trattato non 

! 


~ 



.?ARTI! II, QUESTIONI 

ha, invece, affatto concepito l'art. 177 come un mezzo di azione contro 
lo Stato. L'art. 177 � una norma rivolta ad istituire una procedura di 
interpretazione pregiudiziale del diritto comunitario: interpretazione che 
pu� essere chiesta (dal giudice nazionale) nel quadro di una lite fra due 
privati o di una lite fra un privato e un ente pubblico (basta pensare 
alle numerose cause promosse da singoli contro enti agricoli come 
l'AIMA, o alle cause tra i privati e gli enti assicurativi nazionali). Certo, 
come ho gi� detto prima, specialmente se la controparte � un'amministrazione 
pubblica, pu� essere .sollevato sotto forma di quesito interpretativo 
di natura generale il problema concreto della conformit� o meno 
al diritto comunitario di norme o atti regolamentari dell'Amministrazione, 
e nell'ipotesi di risposta negativa si avr� praticamente una censura 
indiretta nei confronti dello Stato che ha mantenuto in vigore quelle 
norme o quegli atti; seguir� magari la decisione dello Stato in questione 
di rimuoverli. Ma questo, ripeto, e mi pare ovvio, � l'effetto indiretto di 
certe procedure ex art. 177; mentre l'effetto immediato e diretto � solo 
quello che si produce nell'ambito della stessa causa pregiudiziale in conseguenza 
della risposta fornita al giudice nazionale, che poi applicher� 
tale risposta al caso concreto, emanando la sentenza. Non a caso ho 
notato fin dall'inizio che chi applica il diritto comunitario � prima di 
tutto il giudice nazionale. La Corte, pronunciandosi ai sensi dell'art. 177, 
interpreta e non applica le norme comunitarie; questo � pacifico e non 
c'� che da ribadirlo. 

Parlare dunque di denegata giustizia o addirittura di scandalo, perch� 
nel caso Foglia-Novello sarebbe stato eluso l'obbligo della Corte di 
rispondere ai quesiti proposti dai giudici nazionali, mi sembra fuor di 
luogo. 

Per quanto riguarda poi la Commissione, pu� ben darsi che essa preferisca 
a volte non introdurre un ricorso ex art. 169 per ragioni politiche. 
Alla Commissione riesce probabilmente pi� comodo trincerarsi dietro 
la Corte, cos� come talora ha fatto, ma � ad essa che spetta la responsabilit� 
di agire contro gli Stati membri se vi � notizia di un illecito 
commesso. Ripeto al riguardo che la procedura di cui all'art. 177, se 
impiegata per far venire a galla determinate inadempienze degli Stati, 
� in ogni caso una via indiretta; essa � stata utile in molti casi, ma non 
si pu� spingere questa considerazione fino al punto di ritenere che ci si 
possa normalmente sel'Vire di quello strumento per tutelare interessi privati 
contro atti statali incompatibili col diritto comunitario. 

Torniamo ora al caso Foglia-Novello. Immaginiamo che a qualche 
osservatore imparziale della realt� comunitaria -magari ad uno studente 
di diritto comunitario -si ponesse il quesito di indicare in qual 
modo il Trattato consente di accertare la legittimit� del regime fiscale 
di un certo proqotto in un determinato .Stato. La risposta sarebbe, ne 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sorto sicuro: mediante un ricorso alla Corte di giustizia, ad iniziativa 
di un altro Stato membro o della Commissione, contro il governo del 
Paese dove quel regime fiscale vige. Nella specie, � inutile fingere che 
ci fosse realmente interesse a stabilire se dovesse scattare o no una 
clausola contrattuale recante il diritto di un contraente a recuperare 
una somma di imposta straniera abusivamente pagata. Cos� si presentava 
la questione escogitata per introdurre la causa davanti al giudice 
italiano, ma il problema reale consisteva nel cercare di metter fine al 
meccanismo impositivo dello Stato straniero (com'� noto, la Francia). 

La Corte avrebbe potuto confermate quell'uso ampio dell'art. 177 che 
aveva precedentemente consentito, e dare perci� la sua risposta anche 
in questo caso. Giustamente H prof. Tizzano ha notato che moltissimi 
precedenti sembravano condurre a questo risultato. Per quale ragione 
allora la Corte ha scelto una strada diversa? 

A mio avviso, � errato valutare la sentenza di cui parliamo come se 
un solo motivo .l'avesse determinata. Le ragioni sono state invece parecchie. 
Anzitutto vi � da dire che c'era da tempo una certa insofferenza 
nell'ambiente della Corte per i cosiddetti processi bidone. Quest'espressione 
aveva gi� corso prima del caso Foglia-Novello, e serviva a indicare 
i processi instaurati al solo fine di rivolgere alla Corte, attraverso 
il giudice nazionale, una domanda pregiudiziale di interpretazione, provocando 
cos� la sua risposta. Direi che l'aspettativa, (riecheggiata qui dal 
prof. Motzo), secondo cui la Corte avrebbe ben potuto dare la sua 
�consulenza�, ha suscitato in modo particolare la reazione contraria 
della Corte. Questa infatti non ritiene di dover dare consulenze, ma si 
sente invece chiamata a giudicare, in collaborazione con i giudici interni, 
riguardo a controversie effettive. A prescindere, dunque, dalla forma in 
cui la Corte ha reagito nelle sentenze Foglia-Novello, la verit� � che, 
prima e indipendentemente da esse, era maturato nei giudici uno stato 
d'animo ostile ai processi bidone, cui si voleva cercare di metter termine. 

Di fronte a questo fatto, ci si pu� chiedere perch� la Corte avesse 
per molto tempo considerato in modo positivo l'aumento delle possibilit� 
di rinvii pregiudiziali, arrivando fino al punto di stabilire che essi fossero 
ammissibili pure per i decreti ingiuntivi italiani. A conti fatti, mi 
pare di dover dire che questo orientamento era troppo largo. Ed � evidente 
che, se si � troppo abusato di un determinato strumento, questa 
non � una ragione per continuare nell'abuso. 

Forse il colpo di freno rappresentato dalle sentenze di cui si tratta 

� stato dato male, se � vero che nel risolvere un problema ne ha aperto 

altri. Non direi tuttavia che i colpi di freno siano di per s� e costan


temente episodi negativi. 

Rilevo infine che il dispositivo della seconda sentenza Foglia-Novello 

comprende .un brano particolarmente interessante, in cui si dice che la 


PARTE II, QUESTIONI 

Corte � tenuta a vigilare affinch� il procedimento previsto dall'art. 177 
non venga utilizzato per scopi non voluti dal Trattato. Questo conferma 
che la Corte ha ritenuto di essere posta di fronte a un uso della procedura 
pregiudiziale rispondente ad obbiettivi impropri, rispetto a quelli 
voluti, e ha creduto allora necessario affermare che ci sono dei limiti 
da non superare nell'impiego dell'anzidetto procedimento. 

Sono comunque d'accordo con chi ha auspicato che le due sentenze 
Foglia-Novello restino casi isolati, ed anzi aggiungo che a mio parere � 
probabile che esse non avranno seguito, giacch� la Corte stessa si � 
trovata in evidente difficolt� nell'escogitare una soluzione ed ha prestato 
il fianco a numerose e qualificate critiche soprattutto per essersi 
dichiarata � incompetente � a rispondere ai quesiti del giudice nazionale. 
Ci� detto, vorrei esortare i critici a riconoscere l'obbiettiva delicatezza 
e seriet� del problema, e a regolarsi come si fa ogni volta che si affronta 
un problema serio e delicato, evitando di dare affrettatamente giudizi 
sommari. Grazie. 

Ivo BRAGUGLIA, avvocato dello Stato. 

Nella vastit� di questo tema che � stato proposto dall'Associazione 
giuristi europei e che � stato, secondo me, magistralmente sintetizzato 
dal prof. Capotorti, io sceglierei un aspetto pi� specifico, che attiene 
pur sempre all'art. 177 del Trattato CEE, ma in particolare ai limiti del1'
obbligo di deferire la questione pregiudiziale di interpretazione o d'invalidit� 
da parte dei giudici di ultima istanza. 

Ricordo a me stesso, perch� tutti lo sappiano, che l'art. 177 del 
Trattato CEE prevede una facolt� in questo senso per i giudici di grado 
inferiore e prevede invece un obbligo per i giudici avverso le cui decisioni 
non siano ammessi ulteriori rimedi. 

Questo tema torna di attualit�, come vi ha anticipato il prof. Capo


torti, perch� c'� stata una recentissima ordinanza di rimessione proprio 

di questo problema da parte della Corte di cassazione alla Corte di giu


stizia. E dico torna di attualit� perch� � un tema che fu gi� affrontato 

esattamente venti anni fa da parte della Corte comunitaria, ma a mio 

parere non completamente risolto. Forse ci sono soltanto, su questo 

problema dei limiti dell'obbligo di deferimento, a mio avviso, due punti 

fermi: il primo � quello della rilevanza, che � comune al giudice non 

di ultimo grado e al giudice di ultimo grado e che, salvi i limiti che 

possono derivare dalla Foglia-Novello bis o dalla Foglia-Novello prima 

versione in favore della Corte di giustizia, costituisce oggetto di una 

delibazione che appartiene interamente al giudice nazionale. Il secondo 

punto che si pu� ritenere per certo e che deriva dalla sentenza cui accen



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

130 

navo, la sentenza Da Costa del 27 settembre 1963 della Corte di giustizia, 
� che l'oggetto dell'obbligo imposto dal Trattato alle Corti supreme viene 
meno quando la stessa questione sia stata gi� risolta in via pregiudiziale 
da parte della Corte di giustizia. In questo caso il giudice di ultima 
istanza o si adegua all'interpretazione che ha reso la Corte di giustizia 
sulla stessa questione, oppure � tenuto a rimettere di nuovo la questione 
prospettando eventualmente i suoi motivi di dissenso. 

Questo stesso principio, cio� che una previa pronuncia della Corte 
esenta le giurisdizioni superiori dell'obbligo del 177, oltre che in materia 
di interpretazione con la citata sentenza Da Costa, � stato affermato anche 
in materia di invalidit� nella sentenza 13 maggio 1981 International Chemical 
Co. e anche qui la Corte ha detto che se un regolamento comunitario, 
un atto comunitario � stato gi� dichiarato invalido, illegittimo nell'ambito 
di un procedimento ex art. 177, qualunque giudice nazionale deve 
non tenerne conto e se invece ha dei dubbi sulll'invalidit� � tenuto a rimettere 
di nuovo la questione alla Corte. 

Di questo principio, che appunto � uno dei due che possiamo ritenere 
per certi in questa materia, ha fatto applicazione pi� volte la nostra Corte 
di cassazione: in particolare in due recentissime sentenze delle Sezioni 
Unite a proposito di problemi connessi a restituzioni all'esportazione. Sono 
le sentenze nn. 3967 e 4107 del 1981 e forse c'� soltanto da segnalare che 
in questi casi la Suprema Corte non doveva applicare la stessa identica 
norma gi� interpretata da parte della Corte di giustizia in una sentenza del 
1971 ma una norma diversa, cio� compresa in un altro atto normativo, 
in un altro regolamento, seppure di identico contenuto. Ma la Corte Suprema 
non ha avuto nessuna esitazione a trasporre l'interpretazione di 
quella certa norma in quest'altra fattispecie e ad applicarla. 

Rimangono invece molto oscure ancora due altre questioni che si 
pongono nel cercare di individuare i <limiti dell'obbligo di deferimento. Se 
noi leggiamo il brano della sentenza Da Costa che interessa, abbiamo la 
impressione che la Corte di giustizia allora abbia reso una interpretazione 
molto rigorosa di questo obbligo, cio� abbia voluto quasi restringere al 
minimo indispensabile le possibilit� che una giurisdizione suprema interpreti 
o applichi da s� delle norme comunitarie rilevanti per la decisione. 

Infatti in questa sentenza del 1963 la Corte dice �se l'art. 177 ultimo 
comma impone senza restrizioni ai fori nazionali, le cui decisioni non sono 
impugnabili secondo l'ordinamento interno, di deferire alla Corte qualsiasi 
questione di interpretazione davanti ad essi sollevate, l'autorit� della 
interpretazione data dalla Corte ai sensi dell'art. 177 pu� tuttavia far 
cadere la causa di tale obbligo e cos� renderlo senza contenuto �, Cio�, 
leggendo nel pensiero della Corte in base a questa sentenza di venti anni 
fa, sembrerebbe di dover dire che, qualora non vi stia stata gi� una 
previa interpretazione da parte della Corte di giustizia su norma identica 


PARTE II, QUESTIONI 

o su norma analoga, l'art. 177 impone alle giurisdizioni supreme un obbligo 
assoluto di deferire qualsiasi questione dinanzi ad esse pendente. 
Per� non mi sembra che questo risolva il problema, perch� comunque 
restano scoperti due aspetti che stanno proprio nel testo dell'art. 177. Infatti 
la Corte di giustizia non ci dice quando sussista una questione, cio� 
che cosa si deve intendere per �questione� ai sensi del 177, e neanche 
ci offre spunti per definire fin dove la � questione � sia di interpretazione 
e quando, invece, possa parlarsi di sola applicazione della norma. 

Voi capite meglio di me che risolvere questi problemi � un po' impingere 
in discorsi teorici che suscitano molte interessanti discussioni ma 
che danno poi dei risultati concreti, a mio avviso, assai scarsi. Conoscete 
la famosa teoria dell'atto chiaro, elaborata soprattutto nella giurisprudenza 
francese, ma non sconosciuta -direi io -neanche alla tradizione 
giuridica comune degli altri Stati membri. In claris non fit interpretatio 
e da ci� deriverebbe che, quando l'atto � chiaro, non esiste una questione 
di interpretazione. Ma l'atto pu� esser chiaro per un giudice ed oscuro 
per un altro giudice e quindi la teoria resta una enunciazione che lascia 
aperti molti problemi. 

Si �potrebbe avere un approccio pi� interessante riferendosi al concetto 
di res dubia: per aversi una questione occorre che esista un ragionevole 
dubbio sulla interpretazione della norma. Insomma in concreto il 
problema � di sapere se, qualora una Corte suprema debba applicare una 
norma comunitaria, in precedenza mai interpretata da parte della Corte 
di giustizia, questa Corte suprema debba automaticamente investire la 
Corte di giustizia della questione di interpretazione, ovvero abbia un 
proprio potere di apprezzamento per delibare se esista una questione 
di interpretazione. 

Io credo, senza voler prendere posizione, che un potere di apprezzamento 
sull'effettiva esistenza di una questione di interpretazione si debba 
riconoscere alle Corti supreme, proprio perch� il Trattato richiede che vi 
sia una questione; cio� non basta che vi sia soltanto un qualcuno che 
metta in dubbio una certa versione o una certa lettura della norma comunitaria, 
occorre che sussista obiettivamente una questione. 

Il secondo punto � ancora pi� delicato, cio� quando una questione 
pu� essere definita come di interpretazione e non si tratti invece soltanto 
di applicazione della norma. Questa distinzione tra interpretazione e applicazione 
� stata formulata pi� volte dalla Corte comunitaria sia nella 
stessa sentenza Da Costa, sia nella famosa sentenza Van Gende e Loos, 
ma neanche la Corte comunitaria ha potuto scendere in dettagli e spiegarci 
fin dove arriva l'interpretazione e dove invece comincia l'applicazione 
della norma. 

Credo che in teoria noi potremmo discutere per anni e non avremmo 
nessuna soluzione concreta di questo problema. Mi pare invece che si 


H2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

debba tener conto di quello che � stato ad oggi lo sviluppo del diritto 
comunitario e della giurisprudenza della Corte di giustizia. Per fare un 
esempio, se noi scorriamo la raccolta della giurisprudenza della Corte vediamo 
che la Corte di Lussemburgo si � pronunciata innumerevoli volte 
sulle disposizioni del Trattato che garantiscono, diciamo cos�, l'applicazione 
di uno dei principi fondamentali cio� di quello della libera circolazione 
delle merci (che cosa sono le tasse di effetto equivalente a dazi 
doganali, che cosa le restrizioni quantitative o le misure di effetto equivalente, 
che cos'� la discriminazione fiscale tra prodotto importato e prodotto 
nazionale). Queste norme sono state non solo interpretate ma direi 
addirittura sezionate, sviscerate, applicate pi� volte alle pi� svariate fattispecie, 
sicch� mi sembra che oggi tutti i giudici nazionali abbiano dinanzi 
a s� un vero e proprio corpus di interpretazione comunitaria di 
queste norme. 

Se si pone al giudice nazionale di ultima istanza un problema che 
comporta l'applicazione dell'art. 95 a una certa fattispecie, � chiaro che 
noi possiamo prendere la fattispecie, rovesciarla come fattispecie astratta 
e dire che � un problema di interpretazione. Ma logica vorrebbe che oramai, 
con questi venti anni di giurisprudenza alle spalle, il giudice nazionale 
anche di ultima istanza possa prendere la giurisprudenza della Corte, 
per esempio sull'art. 95, e applicarla alla sua fattispecie concreta almeno 
ove questa operazione ermeneutica non susciti dubbi o perplessit�. 

Forse, per essere pi� chiaro e per scendere al concreto, potrei fare 
un esempio, un esempio che traggo da una sentenza della Corte di cassazione 
del 24 ottobre 1980, n. 5780, nella quale si trattava di interpretare 
sostanzialmente il termine di diritto nazionale � importazione �. Si discuteva 
di un problema connesso alle cauzioni valutarie che, come voi sapete, 
s'impongono a colui che fa un pagamento anticipato all'estero per importazioni 
di merci in Italia e la legge dice che la cauzione viene perduta se 
l'importazione avviene dopo il termine stabilito a partire dalla data del 
pagamento anticipato. Allora il dubbio era se � importazione � significasse 
propriamente sdoganamento cio� immissione al consumo delle merci o 
se potesse significare soltanto arrivo delle merci nel territorio doganale; 
e nel prospettare questo dubbio si � prospettato anche che, ove al termine 
� importazione � fosse stato attribuito il primo significato, nel senso 
che occorresse la vera e propria immissione al consumo delle merci, allora 
si sarebbe posto un problema di compatibilit� con la normativa 
comunitaria, in particolare con l'art. 30 del Trattato CEE che vieta restrizioni 
quantitative e misure di effetto equivalente. 

Secondo me -e lo dico a prescindere dal risultato � di merito � 


giustamente la Corte di Cassazione ha negato la necessit� di rinvio pre


giudiziale alla Corte di giustizia e lo ha negato proprio sotto il profilo 

che non si trattava di interpretare gli artt. 30 e 36 del Trattato gi� abbon


dantemente pi� volte interpretati dalla Corte per cui ormai tutti sappiamo 

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PAl'lTE II, QUESTIONI 13] 

che misure di effetto equivalente sono quelle misure che ostacolano in 
modo diretto o indiretto, attuale o potenziale gli scambi comunitari; ma 
di applicare questa nozione, in s� chiara, al caso concreto e di procedere 
al giudizio. 

Quindi mi sembra che sotto questo profilo le critiche che questa sentenza 
ha ricevuto in dottrina, a prescindere, ripeto, dal se fosse giusto o 
sbagliato il giudizio che la Corte Suprema ha dato, non mi sembrano da 
condividere. 

Come ricordava il prof. Capotorti, questi problemi che io vi ho, neanche 
illustrato, ma soltanto enunciato al fine di suscitare il dibattito, 
saranno, speriamo, risolti sulla base dell'ordinanza della Corte di cassazione 
dell'ottobre 1981 con la quale, secondo me molto giustamente, prima 
di formulare il quesito la Corte stessa pone alla Corte di giustizia delle 
perplessit�; insomma fa capire: �ma � possibile che in ogni caso, anche se 
l'interpretazione proposta dalla norma comunitaria � palesemente infondata, 
io debba sospendere tutto e rimettere alla Corte di giustizia?�. E 
queste perplessit� della Corte suprema sono riassunte nel quesito �he 
secondo me � molto significativo e vi leggo le ultime righe in cui la 
Corte di cassazione dice: �Vorrei sapere se il terzo comma dell'art. 177 
sancisca un obbligo di rimessione che non consenta al giudice nazionale 
alcuna delibazione di fondatezza della questione sollevata ovvero subordini, 
e in quali limiti, tale obbligo al preventivo riscontro di un ragionevole 
dubbio di interpretazione �. Cio�, se la Corte suprema ha un ragionevole 
dubbio di interpretazione, scatta l'obbligo; se invece, nella sua 
autonomia di giudizio -perch� in fin dei conti poi (come ricordava l'avv. 
Gen. Capotorti) chi � che decide anche in materia di diritto comunitario 
sono i giudici nazionali -questo ragionevole dubbio di interpretazione 
non si pone, l'obbligo non dovrebbe scattare. 

Problemi un po' diversi ma che attengono sempre a questo obbligo 
di deferimento che grava sulle Corti supreme ai sensi dell'art. 177, pongono 
le direttive. 

Avete sentito poco fa i problemi sostanziali� che attengono alle direttive; 
sappiamo che le direttive non entrano a far parte dell'ordinamento 
nazionale, sappiamo che entro certi limiti le direttive possono presentare 
effetti diretti, con certe conseguenze per cui i singoli possono opporre allo 
Stato inadempiente la norma della direttiva, anche se non attuata, con 
la quale contrasti la legge nazionale. 

Io mi vorrei riferire soprattutto al problema.dell'interpretazione della 
direttiva; perch� il giudice nazionale talvolta ha la necessit� o ravvisa la 
opportunit� di interpretare una direttiva, al fine, per esempio, di capire 
esattamente la portata della legge nazionale di attuazione della direttiva 
stessa. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Anche qui vorrei fare un esempio concreto per cercare di parlare in 
modo pi� chiaro e riferirmi anche qui a una recente sentenza della Corte 
di cassazione, la sentenza 7 ottobre 1981, n. 5266. 

Brevissimamente vi racconto il fatto, altrimenti � impossibile capire 
il problema. Si trattava di stabilire se il �regime di deposito franco agli 
stabilimenti industriali�, istituito con una legge italiana del 1904, fosse 
rimasto in vita o fosse stato abrogato da parte di un decreto presidenziale 
del 1969 che regolamentava ex novo tutta la materia dei depositi 
franchi in attuazione della direttiva comunitaria del 1969 sui depositi 
doganali. 

In causa era stata profilata la necessit� o l'opportunit� di interpretare 
la direttiva per meglio capire la portata della legge nazionale. Una volta 
avuta l'interpretazione della direttiva� fra le possibili interpretazioni della 
legge nazionale il giudice avrebbe dovuto scegliere quella conforme alla 
portata della direttiva. 

La Cassazione anche in questo caso ha risposto di no, che non si 
poneva nessun problema di interpretazione della direttiva affermando 
appunto che la direttiva costituisce parametro di interpretazione della 
legge di recepimento, ma che non si pu� andare oltre i limiti di elasticit� 
di questa legge: per cui se la legge non � interpretabile nel senso previsto 
dalla direttiva si porr� un problema di responsabilit� internazionale dello 
Stato. Questa affermazione mi trova concorde; un po' meno d'accordo 
sarei sull~ultima parte della sentenza, laddove poi la Corte esclude il contrasto 
tra norma nazionale e direttiva facendo proprio essa Corte Suprema 
quell'opera di interpretazione della direttiva comunitaria che 
forse in questo caso spettava alla Corte di giustizia. 

Prof. MOTZO, ordinario nell'Universit� di Roma. 

Nel contesto di questo colloquio, mi trovo in imbarazzo, essendo stato 
l'avvocato della parte Novello nella vicenda giudiziaria di cui si discute. 
Nel vedere infatti anche qui il magistrato che per due volte ha rinvfato 
alla Corte di giustizia la causa, il pretore di Bra, nonch� i colleghi del 
servizio giuridico della commissione CEE, che sono intervenuti nei processi, 
e la mia controparte italiana, l'avv. Cappelli, che rappresenta il 
sig Foglia, non so su quale tavolo mi debba mettere, se sul banco dell'avvocato 
o piuttosto sul tavolo dell'accademico. 

Vorrei limitarmi a raccogliere tutti i discorsi che si sono fatti in 
precedenza perch� penso che, per quanto mi riguarda avendo sinora condotto 
l'esperienza diretta sia pi� interessante raccogliere le opinioni che 
certamente saranno espresse dai presenti. Mi limito soltanto a sottolineare 
qualcuno dei dati, emerso dalle puntualizzazioni molto precise degli illustri 
colleghi che mi hanno preceduto. 


PARTE II, QUESTIONI 13J 

Il prof. Capotorti ci ha detto che si rileva -ed � interessante che ce 
lo dica lui -una marcata tendenza della Corte comunitaria a considerare 
� di effetto generale � le pronunce che vengono emesse dalla Corte 
CEE sulla base dell'art. 177, vale a dire quelle di interpretazione. Ha poi 
descritto l'impostazione attuale della giurisprudenza della Corte in relazione 
alla politica giurisprudenziale sui rinvii pregiudiziali, nel senso che 
i soggetti privati -ed � qui che io vorrei particolarmente mettere l'accento 
-qualche volta riescono a farsi avanti nell'ambito dell'ordinamento 
comunitario e qualche altra volta vi riescono meno. Certo, l'art. 177 ha CO� 
stituito, per i soggetti privati dei nostri Paesi membri, cio� per gli operatori 
economici e per il consumatore europeo, cos� come ritengo io, uno 
strumento per far venire a galla qualche inadempienza degli Stati. Con 
molta prudenza il collega Capotorti -e io debbo dire che non lo vorrei 
mettere a disagio -ha aggiunto che la vicenda Foglia-Novello costituisce 
attualmente la spia di un disagio della Corte, disagio su cui ha insistito 
anche il collega Pocar. 

Non vorrei tornare su questi discorsi gi� fatti; vorrei fermarmi su un 
solo aspetto, quello della tutela reale ed effettiva (ed � quello per il quale 
ci siamo battuti -perlomeno mi sono battuto io -) delle situazioni 
soggettive che sono riconnesse al meccanismo procedurale, che � stato 

. gi� abbondantemente illustrato, 

Cosa accade nelle questioni che coinvolgono le situazioni soggettive? 
Non vorrei immediatamente saltarmi sui piedi e arrivare anch'io alle 
conclusioni cui in maniera un po' sfumata accennava il collega Pocar. Qui 
si sono trovati a cozzare gli uni contro gli altri i diritti o le situazioni 
giuridiche prospettate davanti alla Corte da uno Stato membro (intendiamoci, 
era uno� Stato cui capitava di essere coinvolto o la cui legislazione 
era coinvolta) e le situazioni soggettive del privato. 

Vengo proprio alla conclusione del discorso perch� aspetto su questo 
punto gli Jnterveriti. 

Ma insomma, la Corte comunitaria, dopo alcune esitazioni e perfomeno 
superata la prima fase di rigetto, ci � venuta� a raccontare (scusate se uso 
un gergo un po' familiare) che no, questa seconda volta (l'ha detto prima 
Pocar) si asteneva dall'esercitare le sue competenze; non. � che ci abbia 
detto, badate, le nostre competenze si spingono fino e non oltre un certo 
limite al quale intendiamo attenerci. 

Il modo in cui io leggo il discorso della Corte CEE � questo: ci asteniamo 
questa volta dall'esercitare le competenze di interpretazione che 
pure ci spetterebbero. 

Perch�? Qui il ragionamento oscilla: da una parte si afferma che la 
questione di interpretazione � pi� o meno reale (a mio avviso la Corte, 
anche la seconda volta, confonde il concetto di questione di interpreta� 
zione con il concetto ovvio di azione, ma questo � un tema su cui essa 


136 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
� scivolata). Dall'altra si dice limitiamo le nostre competenze perch� in 
fondo quando � coinvolto uno Stato membro, la situazione di conflitto 
che si determina ci mette in difficolt�. Lo Stato membro deve essere in 
grado di difendersi adeguatamente. 
Debbo segnalare a questo proposito un dato di fatto che non vorrei 
sfuggisse: lo Stato membro coinvolto nella vicenda Foglia-Novello era 
stato in grado di difendersi fin dall'inizio; i rappresentanti del Governo 
francese erano presenti in udienza sia in occasione della prima pronuncia 
sia in occasione della seconda. Non v'� dubbio che lo Stato membro francese 
avesse avuto tutte le possibilit� di difendersi adeguatamente. 
Ma la Corte, nella seconda decisione, ha soggiunto di esser tenuta a 
delimitare le proprie competenze �con pi� accuratezza� tutte le volte 
che capiti che sia presente in giudizio o sia coinvolto nel giudizio questo 
il punto che desidero sottolineare uno 
Stato membro o venga coinvolta 
nel giudizio la legislazione di uno Stato membro. Tutte le volte, cio�, 
che la funzione di interpretazione, che le � deferita dai Trattati, debba 
riguardare norme di uno Stato membro che vengono portate in discussione. 
Da chi? da soggetti privati (oserei ancora dfa:e), del diritto comunitario. 
La signora.NoveUo infatti non si presentava altrimenti che quale consumatore 
di vini liquorosi, cos� come potrebbe accadere a ciascuno di noi. 
Ora, proprio sotto il profilo della reale tutela delle situazioni soggettive, 
ritengo che la Corte di Giustizia con questo rifiuto a pronunciarsi, 
questo rinnovato fin de non recevoir, con questa dichiarazione della propria 
incompetenza a interpretare, abbia in sostanza posto in essere quello 
che si pu� tranquillamente identificare -secondo una linea dottrinale 
che non richiamo qui -, H caso tipico di diniego di giustizia cio� del 
rifiuto di pronunciare in un caso specifico il diritto. Questa � la mia 
sensazione (ho premesso prima che � una sensazione di parte e quindi non 
sono sul tavolo accademico). Tuttavia la figura della astensione, del diniego 
di giustizia, del rifiuto di fornire i mezzi giuridid, anche interpretativi, 
secondo me qui � presente. 
Vorrei quindi tornare per un momento sempre ancora e soltanto sulle 
situazioni soggettive, sul modo in cui tali situazioni soggettive, dei singoli 
individui e imprese del diritto europeo, si prospettano nella vicenda 
Foglia-Novello. La mia sensibilit� � sempre su questo versante, cio� sul 
versante della tutela effettiva delle situazioni soggettive che ormai sono 
�affidate� al diritto comunitario. 
� inutile illudersi, � il diritto comunitario che deve in qualche modo 
fornirci i mezzi per capire in che modo gli individui e le imprese che 
si muovono nell'ambito degli ordinamenti degli Stati membri, o che agiscono 
nell'ambito degli Stati membri, ma alla stregua del diritto comunitario, 
possono vedere tutelate tali situazioni soggettive. Giustamente il 
pretore di Bra aveva sollevato un quesito: ma insomma, queste situazioni 
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PARTE II, QUESTIONI 

godono dello stesso grado di tutela a seconda che sia o meno presente 
in giudizio o venga evocato in giudizio uno Stato membro e che si discuta 
dell'applicazione delle sue norme o non � vero per caso che questa tutela 
in qualche modo si affievolisce? 

� qui che la Corte di giustizia non ha risposto. 

Ha detto s�, certamente, sono tutelatissime. Tuttavia entro i limiti che 
io stessa ritengo di dover porre volta per volta ai miei poteri di interpretazione. 


Affiora dunque alla fine il reale problema della identificazione dei poteri 
di interpretazione, un problema che � stato gi� posto in rilievo da chi 
mi ha preceduto. Vorrei capire~ e me lo chiedo: ma quando si � doman� 
dato alla Corte di esercitare poteri di interpretazione (con una certa cattiveria 
in una delle memorie io avevo detto: ma no, in fondo le abbiamo 
chiesto soltanto una consulenza interpretativa; anche questo il giudice 
deve fare, ce la fornisca) le si � domandato anche di ridefinire pretoriamente 
magari volta a volta la propria competenza e l'ambito dei poteri 
discrezionali coinvolti appartenenti invece al Giudice nazionale? Qui la 
Corte si � rivelata, ha detto: no, io interpreto sul. serio, non fornisco solo 
atti di consulenza al giudice nazionale che me H chiede. E qui si � fermata. 

In realt�, il problema che avevo sottoposto al Pretore e da questi era 
stato perspicacemente raccolto verteva sul tema: poteri di interpretazione 
e giudizio sulla rilevanza della questione. 

Torniamo all'argomento di cui da ultimo si � occupato con estrema 
precisione il collega Pacar. Quando la Corte limita i propri poteri di interpretazione 
e a questa limitazione fa seguire il rifiuto (perch� non si 
tratta solo di una limitazione, spesso si tratta di un rifiuto) a fornire i propri 
mezzi interp.retativi, ebbene allora quando la Corte fa un'operazione 
di questo genere, non ha gi� solo e per questo invaso le competenze del 
Giudice nazionale e affievolito il grado di tutela delle situazioni soggettive 
che si riconnettono al diritto comunitario? Secondo noi infatti, � 
chiaro che la situazione soggettiva coinvolta pur continuando ad utilizzare 
i mezzi del diritto nazionale di partenza � gi�, si potrebbe dire, tarpata in 
radice nei suoi aspetti strumentali ancor prima che processuali; non � in 
grado infatti di farsi valere al rientro nel meccanismo giurisdizionale nazionale. 


Penso di essere andato al di l� del tempo che mi era stato concesso. 
Vi ringrazio. 

(Replica). 

Sar� brevissimo nelle repliche, anche perch� penso che i discorsi che 
si sono uditi qui hanno messo a fuoco un numero tale di problemi che 
non mi sento di intervenire su ciascuno di essi. 


138 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Il prof. Tizzano ha espresso .in forma esplicita quella che forse era 
opinione comune a molti dei presenti. Mi ha fatto piacere sentirla formulare: 
talora ho avuto la sensazione che proprio il problema della reale agibilit� 
delle situazioni soggettive di individui o di imprese coinvolte in 
questo tipo di processi sia quello che ha suscitato minore attenzione rispetto 
a magari eccelse problematiche generali in tema di rapporti tra 
ordinamenti. 

Vorrei esser chiaro. Qui si tratta di situazioni soggettive che, nella 
sostanza, vengono affidate in tutela a meccanismi processuali del diritto 
nazionale con rinvio a funzioni interpretative rimesse alla Corte di giustizia. 
Qui, si dice -la giurisprudenza della Corte di giustizia si ripete 
abbondantemente -� necessaria una collaborazione tra giudice nazionale 
e giudice comunitario. I termini della collaborazione sono rimasti .incerti 
e tutti i presenti hanno avuto modo di constatarlo. 

Vorrei capire cosa debba accadere di queste situazioni soggettive che 
sono poi dei singoli individui, dei singoli operatori economici, una volta 
<.:he la Corte di giustizia si sia pronunciata nel senso che abbiamo visto 
.messo in opera in occasione degli ultimi giudizi. 

Quando le questioni pregiudiziali ritornano inevase, quando H giudice 
a quo, il giudice nazionale, si vede rispedire una pronuncia del genere 
delle pronuncie Foglia-Novello, cosa deve fare? Qui si � gi� detto che il 
nuovo trend giurisprudenziale della Corte non fa che sollecitare .il giudice 
nazionale a decidere fa controversia che pende dinanzi a lui secondo 
i mezzi del diritto nazionale, in carenza di attivit� .interpretativa, di un 
ausilio interpretativo fornito dalla Corte di giustizia stessa. 

Ho l'impressione che la risposta non sia cos� semplice: essa infatti 
-coinvolge problemi molto grossi. 

Qui tutti parliamo di situazioni soggettive; ho sentito parlare di diritti 
soggettivi e probabilmente, a seconda delle terminologie e delle stesse 
strutture degli ordinamenti degli Stati membri, non sempre le posizioni 
individuali possono essere etichettate in questi termini. Ma il problema 
.non � soltanto questo, non � certo solo un problema terminologico: � 
invece un problema di sostanza che � gi� sorto. 

I nostri ordinamenti, almeno quelli di alcuni degli Stati membri (certa


mente l'ordinamento italiano) tutelano diritti soggettivi e situazioni giur�


diche soggettive, che sono spesso situazioni strumentali, che noi classi


fichiamo come interessi legittimi, ma le tutelano sotto l'ambito, sotto il 

<.:appello, di grosse garanzie costituzionali. g inutile che io accenni alla 

riserva di legge che copre nel nostro ordinamento costituzionale l'inizia


tiva economica privata. 

Il vero problema � qui. 

Il giudice nazionale (per lo meno quello italiano e quello tedesco 

federale) che si trovi di fronte al problema di assicurare la tutela giuri



PARTE II, QUESTIONI 

sdizionale a situazioni giuridiche individuali del diritto comunitario e che 
si vede rispedire una sentenza interpretativa che non gli fornisce mezzi 
di interpretazione, secondo quali canoni si regoler�? Decider� secondo 
quello che si potrebbe definire, in termini molto generali, il diritto della 
imprenditorialit� interno? Decider�, quindi, a seconda di co�ne l'iniziativa 
privata gli appare disciplinata nel proprio ordinamento? Non mi pare che 
abbia altre scelte, a meno che non si ricorra ad un altro tipo di soluzione, 
cio� a meno che non accada che la� Corte di giustizia CEE non riconosca 
in tutte lettere -sebbene in parte ed in maniera involuta lo abbia gi� 
fatto -che l'ordinamento comunitario non pu� apprestare lo stesso tipo 
di garanzia a livello costituzionale che � invece fornito alle situazioni individuali 
dell'impresa da alcuni degli ordinamenti interni degli Stati membri 
e in particolare certamente dall'ordinamento italiano e da quello federale 
tedesco. 

Questo grosso problema sottostante � stato posto al centro acutamente 
delle osservazioni che ci ha fatto il dott. Caravita: manca il cappello costituzionale, 
manca il tipo di garanzia che apprestano i meccanismi di riserva 
alla legge e i giudizi di legittimit� costituzionale. 

Prof. POCAR, ordinario all'Universit� di Milano. 

Chi mi ha preceduto ha tracciato alcune linee fondamentali del procedimento 
di interpretazione pregiudiziale sotto il profilo dei compiti che 
in proposito spettano al giudice nazionale. 

Io cercher� di vedere il problema dal punto di vista del giudice comunitario, 
e in particvolare mi concentrer� sui poteri del giudice comunitario 
di valutare la rilevanza della questione di interpretazione propostagli dal 
giudice nazionale; un punto che, come � stato gi� anticipato anche dal 
prof. Capotarti, ha formato oggetto di notevoli discussioni in epoca recente. 
Cercher� di esaminare l'evoluzione della posizione della Corte in materia 
di ripartizione di competenze tra giudice nazionale e giudice comunitario 
nel procedimento ex art. 177, perch� mi pare che le ultime decisioni, in 
particolare le tanto discusse pronunce nel caso Foglia-Novello, non costituiscano 
un fatto nuovo ma vengano in qualche modo ad inserirsi in una 
giurisprudenza gi� incamminata in una certa direzione. 

Qual'� la ripartizione di competenze prevista dall'art. 177 cos� come 
siamo stati abituati ad intenderla e abbiamo imparato a leggerla sui libri 
e nella stessa giurisprudenza della Corte di giustizia? 

Al giudice nazionale spetta, in base all'art. 177, la valutazione esclusiva 
-cos� da sempre hanno affermato la Corte di giustizia e la dottrina della 
rilevanza di una decisione pregiudiziale. � cio� il giudice nazionale 
che decide se � necessario sollevare la questione pregiudiziale per la decisione 
della causa a lui sottoposta e deferire il quesito interpretativo alla 


140 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Corte di giustizia. Alla Corte compete invece secondo l'art. 177, sempre 
in via esclusiva, l'interpretazione della norma comunitaria, vuoi che si 
tratti di norma contenuta nel trattato o di una norma applicativa contenuta 
in un atto delle istituzioni comunitarie. Alla Corte spetta anche il 
giudizio sulla validit� delle norme applicative comunitarie, anche se questo 
� un punto che interessa in questa sede soltanto nella misura in cui 
il giudizio sulla validit� possa in sostanza risolversi, come a me pare che 
si risolva, in una questione di interpretazione del diritto comunitario nel 
suo complesso. 

Non entra viceversa nella competenza della Corte un esame della eventuale 
compatibilit� di norme interne con il diritto comunitario. Questo 
esame di compatibilit� compete al giudice nazionale; la Corte interpreta la 
norma comunitaria e dall'interpretazione data dalla Corte il giudice nazionale 
trarr� le opportune conseguenze in relazione al caso di specie. Come 
si afferma ancora in sentenze recenti � la Corte deve limitarsi a fornire 
al giudice nazionale tutti gli elementi di interpretazione, che rientrano 
nel diritto� comunitario, atti a consentirgli di pronunciarsi sulla compatibilit� 
di dette norme con la norma comunitaria di cui trattasi � (sentenza 
del 29 giugno 1978, in causa 154/77, Dechmann, in Racc. 1978, p. 1582). 

Questa ripartizione di competenze, cos� brevemente delineata, � dunque 
nettissima nella giurisprudenza della Corte ancora in epoca recente, 
e non aveva dato luogo, in fondo, a grosse discussioni. 

La conseguenza � che il giudice comunitario rimane interprete della 
norma comunitaria ma � del tutto estraneo al caso di specie, alla situazione 
processuale pendente davanti al giudice nazionale. 

La ripartizione cos� fissata ha per� cominciato a scricchiolare nel 
corso degli anni, non tanto attraverso una negazione formale della stessa 
in via di �principio ma piuttosto attraverso una ingerenza, che mi � parso 
di cogliere nell'evoluzione della giurisprudenza interipretativa comunitaria, 
sempre maggiore della Corte nella decisione del caso singolo. 

Le ragioni di tale ingerenza possono essere molteplici e riportarsi 

alla circostanza che il quesito formulato dal giudice nazionale era in al


cune situazioni molto specifico, talmente specifico da costringere la Corte 

a considerare, ai fini deHa interpretazione della norma, i dati del caso 

di specie, togliendo quindi ogni margine di libert� in sede di applicazione 

da parte del giudice nazionale; vuoi alla tendenza della Corte a non limi


tarsi a fornire una astratta indicazfone degli elementi interpretativi e a 

specificarli con riferimento al caso concreto; vuoi ancora all'uso alterna


tivo dell'art. 177 che in talune situazioni � stato fatto, consistente nel 

cercare di ottenere dalla Corte un giudizio di compatibilit� delle norme 

nazionali con il diritto comunitario. 

Di questa evoluzione, peraltro, nessuno si � in fondo lamentato in modo 

particolare; ci sono stati, � vero, dissensi e discusssioni, ma nel complesso 

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PARTE II, QUESTIONI 

si trattava di un modo di procedere che non presentava inconvenienti tali 
da suscitare polemiche. 

Ultimamente per� -e qui arrivo al punto centrale della mia esposizione 
-la Corte � andata pi� in l� di quanto avesse fatto finora, accentuand� 
la evoluzione della sua giurisp111denza ed interessandosi al caso 
concreto pendente davanti al giudice nazionale sempre di pi�, fino ad affermare 
nelle notissime sentenze Foglia-Novello (una del marzo del 1980 e 
l'altra del dicembre dell'81) che la Corte ha il potere anche di valutare 
i motivi per cui il giudice nazionale ha ritenuto necessaria alla soluzione 
della controversia la soluzione di una questione di interpretazione (sentenza 
del 16 dicembre 1981, in causa 244/80, Foglia-Novello, in Racc. 1981, 

p. 3062). 
Credo che il caso di specie sia fin troppo noto per doverlo ricordare; 
senza entrare in dettagli di fatto, mi limito a dire che la Corte ha giudicato 
che la causa pendente davanti al pretore di Bra tra le parti era una causa 
fittizia, promossa con l'unico fine di proporre la questione di interpretazione 
e di spingere il giudice a sollevare la questione medesima davanti 
alla Corte comunit�ria: questione che nella specie coinvolgeva anche il 
problema della compatibilit� di norme interne con norme comunitarie, 
poich� l'interpretazione avrebbe dovuto portare a considerare illegittima 
una certa normativa doganale francese rispetto a norme del trattato istitutivo 
della Comunit�. 

Quali conseguenze Ha tratto la Corte da questo suo interessamento al 
caso in specie, da questa valutazione dei motivi per cui il giudice nazionale 
ha sollevato la questione pregiudiziale? Ne ha dedotto di potersi dichiarare 
incompetente qualora i problemi di diritto comunitario sollevati 
siano � non rispondenti ad una necessit� obiettiva inerente alla definizione 
di una controversia� (p. 3063), quando cio� la causa sia fittizia e in realt� 
la questione di interpretazione non sia rilevante. 

Tralascio le motivazioni utilizzate per arrivare a questo risultato, basate 
sul dovere della Corte di verificare la propria competenza e sul 
ruolo della Corte nell'interpretazione del diritto comunitario, e mi limito 
a considerare le conseguenze di questo atteggiamento giurisprudenziale 
sulla ripartizione di competenze tra giudice nazionale e giudice comunitario 
delineata in precedenza. Quest'ultima, a mio avviso, ne risulta profondamente 
alterata. 

Che cosa rimane infatti al giudice nazionale? Secondo quanto la Corte 
afferma nell'ultima sentenza, al giudice nazionale rimane il potere di 
valutare la necessit� di deferire la questione alla Corte, ma solo nel senso 
che, se non ritiene rilevante la questione di interpretazione, ha il diritto 
e il dovere di non rivolgersi alla Corte. In questo senso il potere di valutare 
la rilevanza della questione spetta sicuramente al giudice nazionale, 
n� la Corte potrebbe, se il giudice nazionale non si rivolge ad essa, intervenire 
d'ufficio nel procedimento. 


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142 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

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Il giudice comunitario ha per� non solo il potere di interpretazione ma 

inoltre, in via concorrente con il giudice nazionale, il potere di valutare la 

rilevanza della questione interpretativa e di dichiararsi, in caso negativo, 

incompetente. 

� vero che nella specie si tratta di un giudizio di irrilevanza determinato 
dalla ritenuta inesistenza della controversia, in quanto la controversia 
era giudicata fittizia; ma il discorso della Corte potrebbe in qualche caso 
applicarsi all'ipotesi di �esistenza di controversia effettiva alla cui definizione 
la questione interpretativa proposta venga ritenuta non rilevante, 
dato che la Corte non ha, e non pu� avere gli strumenti, non essendo giudice 
del fatto, per giudicare con esattezza del carattere fittizio o meno 
di una controversia. 

La conseguenza del nuovo orientamento della Corte � dunque che le 
due sfere di competenza del giudice nazionale e del giudice comunitario 
non sono pi� esclusive come erano all'origine; la valutazione della necessit� 
di ottenere l'interpretazione della Corte compete invero, come si � 
detto, ad entrambi i giudici. Ma V�i � anche un'ulteriore conseguenza, e 
cio� che anche il potere di interpretazione -ed � un punto importante non 
� pi� un potere esclusivo della Corte, ma compete in parte anche al 
giudice nazionale. 

L'eventuale dichiarazione di incompetenza della Corte, infatti, non solo 
priva il giudice nazionale del suo potere esclusivo di ritenere rilevante la 
questione di interpretazione, rendendolo concorrente con quello della Corte, 
ma altres� limita il potere della Corte stessa di interpretare facendo venir 
meno i presupposti di applicazione dell'art. 177 del trattato. 

Il vuoto non pu� essere colmato se non ritenendo che il giudice nazionale 
riprenda il suo I?Otere di interpretare il diritto comunitario. Se 
la Corte non � competente, la competenza necessariamente spetta al giudice 
nazionale, in virt� del suo generale potere di interpretare qualsiasi 
norma del diritto internazionale introdotta nell'orientamento interno, perch� 
questo potere gli � tolto soltanto nei limiti in cui il trattato attribuisca 
una competenza esclusiva alla Corte. 

Rispetto quindi al sistema originario, la conseguenza pi� generale 
che ne deriva consiste in un'incertezza quanto alle sfere di competenza 
rispettive che prima erano ben definite, con l'inconveniente che tale 
incertezza rischia di ripercuotersi sulla certezza stessa del diritto comunitario, 
non potendosi escludere la tentazione del giudice nazionale di 
allargare la sua sfera di competenza attribuendosi, in virt� della giurisprudenza 
della Corte, un potere di interpretazione pi� ampio di quello 
che questa intendeva attribuirgli. In ogni caso, non mi sembra dubbio 
che l'attribuzione di un potere interpretativo del trattato al giudice nazionale, 
sia pure limitato, come quello che direttamente deriva dalle 
sentenze Foglia-Novello, sia in contrasto con il tenore dello stesso art. 177, 


PARTE II, QUESTIONI 14; 

dal quale emerge una competenza esclusiva della Corte di giustizia in 
tema di interpretazione. 

Del resto, sotto il profilo giuridico le sentenze prestano il fianco 
anche ad altre critiche. Da un punto di vista strettamente esegetico, innanzitutto, 
vi � nella loro motivazione una forzatura dell'art. 177 che chiaramente 
lascia intendere che non � necessario che ci sia una controversia 
vera e propria davanti al giudice nazionale perch� vi sia la possibilit� di 
deferire una questione interpretativa alla Corte. L'art. 177 si limita invero 
a dire che, quando la questione sia sollevata davanti a una giurisdizione 
di uno degli Stati membri, questa giurisdizione, qualora reputi necessaria 
per emanare la sua sentenza una decisione sul punto, pu� domandare 
alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla questione. Non si parla di controversie 
vere e proprie davanti al giudice nazionale. 

N� appare condivisibile l'argomento della necessit� di una tutela dello 
Stato, che non avrebbe nel procedimento ex art. 177, se utilizzato in forma 
impropria, la stessa possibilit� di difendersi che ha quando � adito direttamente. 
:I:!. ben noto che gli Stati hanno il potere di intervenire nei procedimenti 
davanti alla Corte di giustizia, e non � quindi esatto che lo Stato 
interessato non abbia il potere di far valere le sue ragioni davanti alla 
Corte. D'altra parte, se esiste un problema di tutela dello Stato, esiste 
anche un problema di tutela dei singoli che non � meno importante di 
esso. 

Ma soprattutto mi pare che l'aspetto pi� discutibile delle sentenze 
esaminate sia quello che con esse la Corte rinuncia, per certi lati almeno 
e per certe situazioni, al suo compito primario di assicurare l'uniformit� 
dell'applicazione del diritto comunitario attraverso un'interpretazione uniforme, 
come prevedono i trattati istitutivi. Si tratta di una rinuncia che 
non pu� non apparire in contrasto con le esigenze della costruzione comunitaria. 


(Replica). 

Sar� brevissimo nella replica, anche perch� mi pare che in buona 
parte i punti emersi dalla interessante discussione possano essere condivisi 
senza troppi problemi. 

Soltanto su un paio di argomenti mi pare necessaria qualche precisazione. 
Il primo � quello delle conseguenze della valutazione della Corte 
sulla rilevanza della questione di interpretazione. Se ho ben capito l'intervento 
del dott. Caravita, egli ritiene che la conseguenza di questa 
valutazione della Corte debba essere quella che la norma comunitaria 
diventi al caso di specie inapplicabile, mentre io avevo ritenuto di dover 
delineare altre conseguenze, e in particolare che l'interpretazione della 
norma diventi competenza del giudice nazionale. 


144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Rimarrei della mia opinione, tutto sommato, perch� se si accettasse 
l'altra impostazione si finirebbe per dare alla Corte anche la competenza 
a giudicare dell'applicazione della norma, cosa che forse nemmeno dalle 
sentenze Foglia-Novello si ricava in modo chiaro. Una interpretazione 
cos� vasta dell'art. 177 mi pare palesemente eccessiva; direi che la Corte 
non l'ha voluta nemmeno in queste sentenze, e non mi sentirei di attribuirle 
un'intenzione di questo genere. 
Vorrei poi tornare brevemente sull'argomento della continuit� della 
giurisprudenza della Corte che ha molto scandalizzato alcuni intervenienti 
e in particolare l'amico Tizzano. 
Forse c'� un piccolo equivoco. Io non ho parlato di una vera e propria 
continuit�, o di logica evoluzione della giurisprudenza della Corte. 
Ho cercato di delineare l'iniziale ripartizione di competenze tra giudice 
144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Rimarrei della mia opinione, tutto sommato, perch� se si accettasse 
l'altra impostazione si finirebbe per dare alla Corte anche la competenza 
a giudicare dell'applicazione della norma, cosa che forse nemmeno dalle 
sentenze Foglia-Novello si ricava in modo chiaro. Una interpretazione 
cos� vasta dell'art. 177 mi pare palesemente eccessiva; direi che la Corte 
non l'ha voluta nemmeno in queste sentenze, e non mi sentirei di attribuirle 
un'intenzione di questo genere. 
Vorrei poi tornare brevemente sull'argomento della continuit� della 
giurisprudenza della Corte che ha molto scandalizzato alcuni intervenienti 
e in particolare l'amico Tizzano. 
Forse c'� un piccolo equivoco. Io non ho parlato di una vera e propria 
continuit�, o di logica evoluzione della giurisprudenza della Corte. 
Ho cercato di delineare l'iniziale ripartizione di competenze tra giudice 
nazionale e giudice comunitario; ho parlato dell'attuale divisione di competenze, 
per dire -uso le parole esatte che mi ero appuntate e che 
quindi probabilmente ho detto -che questa ripartizione iniziale � ora 
profondamente alterata, o ribaltata, senza quindi una continuit� logica di 
giurisprudenza da questo punto di vista. 

Il punto in relazione al quale ho visto un certo collegamento in questa 
nuova giurisprudenza e in cui ho cercato di trovare ad essa una 
spiegazione sta nella progressiva ingerenza o intromissione della Corte 
di giustizia nell'esame del caso di specie. Sotto questo profilo soltanto 
ho ravvisato una linea continua nella giurisprudenza della Corte. E non 
mi pare dubbio che, se questa progressiva ingerenza non ci fosse stata, 
forse la Corte di giustizia si sarebbe trovata in difficolt� molto maggiori 
a giustificare un revirement del tipo di quello effettuato nei casi 
Foglia-Novello quanto 'alla ripartizione di competenze fra giudice nazionale 
e giudice comunitario. 

INTERVENTI E COMUNICAZIONI 

Avv. ANTONIO ABATE, consigliere giuridico della Commissione delle Comunit� 
europee. 

Desidero porgere il saluto della Commissione, che vede sempre con 
occhio estremamente favorevole i dibattiti che si svolgono negli Stati 
membri e che contribuiscono a diffondere il diritto comunitario. 

Mi sento in dovere di soffermarmi sui motivi per cui la Commissione, 
nelle cause Foglia-Novello di cui si � parlato, ha preso una posizione nettamente 
favorevole alle tesi dei privati, posizione che, evidentemente, 
diverge dalle conclusioni cui � pervenuta la Corte di giustizia. Questo 
non � un segreto, poich� emerge dalle due sentenze; quindi mi limito, in 
questa sede, a darne atto. 


PARTE II, QUESTIONI 

La Commissione ha assunto nelle cause Foglia-Novello una posizione 
di estrema difesa della procedura dell'art. 177. Credo che, cos� operando, 
la Commissione sia stata estremamente coerente con la posizione che 
ha sempre preso davanti alla Corte tutte ,le volte che siano stati messi 
in causa i diritti dei singoli e la loro tutela. Ma c'� di pi�, signor presidente. 
Ricordiamoci che l'art. 177 apporta un rimedio a una lacuna del 
Trattato CECA. 

Il Trattato CECA non contempla questo strumento di ricorso pregiudiziale 
davanti a un giudice unico, la Corte di giustizia; giudice al quale 
compete la funzione di assicurare, in primo luogo, l'unit� del diritto 
comunitario e, in secondo luogo, l'uniformit� nell'interpretazione e nell'applicazione 
del diritto comunitario. Parlando di uniformit� nell'applicazione 
del diritto comunitario -poich� la sfera territoriale di applicazione 
del diritto comunitario � unica e non � limitata da frontiere geografiche 
che possono coincidere, come nel caso delle cause Foglia-Novello, con le 
Alpi -appare evidente che, per rispondere alle esigenze dell'uguaglianza 
giuridica dei singoli davanti alla legge, l'art. 95 del Trattato CEE, che contiene 
il divieto di discriminazione fiscale, debba essere applicato secondo 
gli stessi criteri a prescindere se il regime fiscale de causa sia francese 

o itali�no. 
Ricorder� allora che, nell'ambito del Trattato Cl3CA, abbiamo avuto 

una serie di pronuncie delle giurisdizioni interne, per esempio quella 

della Corte di cassazione sull'art. 60 in materia di disciplina dei prezzi, 

sul carattere privilegiato o meno dei crediti dell'Alta autorit� della CECA 

(si parlava del prelievo, a quel tempo, e dei contributi di perequazione) 

giudizi ai quali la Comunit� e la Commissione sono rimaste estranee; 

quindi, con l'art. 177, gli autori del Trattato CEE hanno voluto colmare 

una lacuna che il Trattato CECA presentava. Questa lacuna era piuttosto 

grave perch� il Trattato CECA impone all'art. 4 una serie di obblighi 

agli Stati membri, obblighi che possono essere rispettati soltanto nella 

misura in cui i singoli hanno la possibilit� di far valere i foro diritti in 

contrapposizione agli obblighi che incombono agli Stati membri. 

Direi allora, per concludere su questo punto, che se il Trattato CECA 

non ha apportato un quid novi agli schemi noti nel diritto internazionale, 

il Trattato CEE invece, grazie ed esclusivamente alla procedura del


l'art. 177, ha introdotto uno strumento del tutto nuovo nell'ambito del 

diritto internazionale. 

Il Trattato CEE �, infatti, l'unico trattato internazionale che per


metta ai singoli di ottenere soddisfazione nei confronti degli Stati qualora 

il comportamento di questi non coincida con le norme del Trattat�. 

Il fenomeno dell'efficacia immediata di norme di un trattato internazionale 
l'abbiamo conosciuto anche in trattati precedenti. Il ricorso 
diretto dei cittadini di fronte a tribunali internazionali l'abbiamo, anche 
questo, conosciuto nel diritto internazionale. Quello che, invece, � del 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tutto nuovo � il diritto dei singoli ad ottenere, via lo strumento dell'art. 177, 
che gli Stati membri rispettino il trattato. 

E allora si pu� capire che mi � difficile condividere la definizione 
della procedura dell'art. 177 che � stata espressa in quest'aula in termini 
di �uso indiretto� dell'art. 177. Mi � difficile per un motivo estremamente 
semplice. 

Ritorniamo un po' al panorama delle procedure giudiziali che il Trattato 
CEE offre. Abbiamo, da una parte, delle procedure le cui parti possono 
essere soltanto gli Stati o le istituzioni della Comunit�, procedure 
alle quali i singoli non hanno accesso, poich� non � consentito loro di 
intervenire: si tratta del ricorso di uno Stato contro un altro Stato per 
violazione delle norme del trattato, del ricorso di uno Stato contro le 
istituzioni della Comunit� qualora queste violino le norme di diritto comunitario 
e, infine, del ricorso in base all'art. 169 in cui la Commissione promuove 
un'azione giudiziaria contro lo Stato membro inadempiente. 

Queste procedure sono esclusive delle istituzioni della Comunit� e 
degli Stati membri. Ad esse procedure i singoli non possono partecipare. 
I singoli dispongono, dal canto loro, del ricorso diretto contro gli atti 
individuali delle istituzioni (quando i loro diritti sono violati o ritengono 
che siano violati) e del ricorso alla procedura dell'art. 177. Quindi, � impossibile 
considerare questa procedura come un surrogato delle procedure 
che appartengono al primo gruppo di cui sopra perch� se il Trattato 
CEE ha inteso istituire una comunit� non soltanto tra Stati, ma anche 
tra individui, � giusto che i diritti dei singoli possano essere tutelati in 
prima persona attrave_rso lo strumento dell'art. 177; art. 177 -ricordiamolo 
-che consente ai singoli non solo di sindacare le norme nazionali 
di uno Stato membro, ma anche le norme di diritto derivato emanate 
dalle istituzioni comunitarie, che non possono impugnare per la via dell'art. 
173. 

Allora, signor presidente, se l'art. 177 costituisce l'unica procedura 
riconosciuta ai singoli, e se effettivamente il Trattato di Roma ha inteso 
attribuire dei diritti ai singoli esperibili anche nei confronti degli Stati 
membri, evidentemente si deve riconoscere ai singoli la pienezza delle 
procedure atte a tutelare i diritti in parola. 

Non esiste, signor presidente, un diritto soggettivo se non c'� il supporto 
di una procedura, di un giudice che assicuri il rispetto di questo 
diritto nel caso in cui esso subisca una lesione. 

Due parole sull'art. 169 perch� spesso nell'ambito delle procedure 
pregiudiziali cui la Commissione partecipa davanti alla Corte e, in particolare, 
nelle due cause Foglia-Novello, ci si chiede perch� la Commissione 
non avesse introdotto un ricorso ex art. 169 contro la Francia. E non �, 
questo, il solo caso in cui la Commissione non promuove tempestivamente 
un'azione diretta contro gli Stati membri inadempienti. 


PARTE II, QUESTIONI 

Credo, signor presidente, che forse questa � la sede pi� sensibile 

all'osservazione che desidero fare. Le procedure 169 sono incerte an et 

quando. 

An, perch� l'apertura della procedura d'infrazione ex art. 169 dipende 

dalla conoscenza di un comportamento contrario al Trattato da parte di 

uno Stato, oppure dalla conoscenza di una norma di diritto interno con


traria al Trattato. Occorre, molto spesso, un esposto o un reclamo da 

parte di un'associazione, o deisingoli. 

Incerta �, quindi, l'apertura; ancora pi� incerta -e ci� concerne il 
quando -� la conclusione della procedura. Il motivo di tale incertezza 
risiede nel fatto che gli Stati membri preferiscono �negoziare� con la 
Commissione l'infrazione, preferiscono le vie meno ufficiali per mettere 
fine all'infrazione; sono cos� gli stessi Stati membri che, con un comportamento 
che non sempre pu� essere considerato dilazionatorio prolungano 
le procedure poich� hanno bisogno di tempi lunghi per modificare 
la propria legislazione. La Commissione, da parte sua, non � insensibile 
a questa esigenza. Ovviamente, quando queste procedure investono norme 
interne che ledono i diritti dei singoli, � doveroso riconoscere la pienezza 
della tutela dei diritti dei singoli attraverso la procedura 177. Questo 
obiettivo incontra, purtroppo, seri limiti nelle citate sentenze FogliaNovello. 


Inoltre, costituisce fonte di preoccupazione l'eventuale estensione 
della nuova giurisprudenza che la Corte ha introdotto con le citate 
sentenze. 

Sotto questo profilo non vorrei aprire un dibattito col prof.' Pacar ma 
ho vissuto una serie di esperienze in cui la Corte, attraverso la procedura 
dell'art. 177, ha inteso, in passato, tutelare pienamente i diritti dei singoli 
anche quando le norme indirettamente messe in causa appartenevano ad 
uno Stato membro diverso da quello in cui � sorta la controversia. Procedure 
tra l'altro originali perch� la causa, anch'essa insorta in Francia, 
indirettamente si proponeva di mettere in causa il comportamento 
delle autorit� italiane e della normativa italiana o delle prassi amministrative 
italiane; invece, esaminando bene H fascicolo di causa, � apparso 
che il comportamento non conforme alle norme del Trattato doveva essere 
attribuito alle autorit� francesi e non a quelle italiane (causa n. 22/76). 

Quindi, ci sono dei precedenti che mi consentono di non aderire alla 
conclusione in punto di � giurisprudenza evolutiva che trova la sua 
origine in giudicati precedenti �. 

Si tratta, indubbiamente, di una giurisprudenza nuova l� dove nella 
seconda sentenza Foglia-Novello la Corte riconosce un doppio grado di 
intensit� della protezione dei diritti dei singoli, a seconda cio� che le 
norme indirettamente messe in causa abbiano un colore piuttosto che 
un altro. 


148 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In questa situazione, non resta che esprimere il voto che la giurisprudenza 
Foglia-Novello costituisca un fatto eccezionale. Purtroppo per� per 
sincerit� devo dire che alcune sentenze pronunciate in questi ultimi mesi 
inducono a dare credito all'ipotesi delineata in quest'aula sotto l'etichetta 
di � ingerenza della Corte � (io vorrei usare un termine pi� neutro, 
ma manco di vocabolario). 

Si riscontra, talvolta, in effetti, una �ingerenza della Corte� nelle 
competenze del giudice di merito. Tale fenomeno � dato costatare non 
soltanto nelle cause Foglia-Novello, ma anche, mi pare, nella causa 
Casati (n. 203/80), dove la Corte non risponde al giudice integralmente, 
aggiunge una osservazione, una considerazione che il giudice di merito 
non aveva fatto, e limita l'interpretazione ai casi in cui un cittadino 
non residente abbia importato in Italia delle divise nell'intento di � effettuare 
delle operazioni commerciali poi non realizzate �. Cos� operando, 
si potrebbe pensare che la Corte abbia fatto una sentenza per una figura 
di non residente che � l'operatore commerciale, l'operatore economico, 
lasciando in pari tempo la porta aperta -ed � quello che speriamo 
noi tutti -ad una giurisprudenza diversa qualora il signor Casati non 
abbia l'etichetta di operatore economico, come l'aveva, ma quella di turista 
in Italia, purch� per� sia un turista puro, cio� un turista che non dichiari 
la propria professione nel paese di residenza. In tal caso, troverebbero 
applicazione gli art. 59 e 106 del Trattat<>' e non pi� l'art. 67: la 
sentenza della Corte potrebbe essere, allora, pi�... liberale! 

Analbga preoccupazione della Corte di Giustizia di approfondire il 
merito della causa � dato riscontrare nella recentissima causa Becker 

(n. 8/81) in cui un tribunale tedesco chiedeva l'interpretazione dell'art. 13 
della sesta direttiva sull'IVA; anche in tale occasione, la Corte entra nel 
merito della causa e �aggiunge alcune considerazioni estranee alle questioni 
sollevate dal giudice di rinvio. 
Allora, signor presidente, mi sia concesso di concludere il mio intervento 
esprimendo il voto, che la Corte limiti la giurisprudenza FogliaNovello 
alle due controversie Foglia-Novello e che abbia ragione Ovidio 
quando dice sera tacitis lentis pedibus paena tenit. 

Che sia veramente lenta, procrastinata nel tempo la � sofferenza � 
che pu� derivare da una eventuale estensione della giurisprudenza Foglia-
Novello. 

GIUSEPPE TAMBURRINO, procuratore generale presso la Corte di casssazione. 

Sono lieto di intervenire in questo interessante ed altissimo convegno, 
come � dimostrato dalla materia che si dibatte e dal nome degli 
illustri relatori, cui mi legano rapporti di amicizia, da lunghissimo tempo. 


' 



149

PARTE II, QUESTIONI 

E sono lieto di intervenire non soltanto a titolo personale, ma sulla base 
di una dupliche qualifica, che in questo momento rivesto. In primo luogo 
quale presidente della I Sezione civile della Corte Suprema di cassazione 
che si occupa esclusivamente, rispetto alle altre Sezioni, e tra le altre materie, 
del diritto comunitario e quindi delle questioni che riguardano. l'applicazione 
nel diritto interno di tali norme e tratta dei rapporti tra il 
diritto interno ed il diritto comunitario e dei rapporti con la Corte di 
giustizia. In secondo luogo -e qui il titolo si rivolge all'Associazione che 
ci ospita -quale presidente dell'Associazione giuristi italiana per la 
difesa dell'uomo -associazione con scopi finitimi, la quale gi� si � occupata 
di simili questioni, trattate anche da uno degli illustri relatori che 
qui siede. 

Mi permettete -dopo avere ascoltato le interessanti e rilevanti relazioni 
-qualche breve osservazione, su qualche punto trattato dai relatori 
che maggiormente mi ha colpito: osservazioni sintetiche e slegate, 
dovute e ricavate da qualche brevissimo appunto preso qui durante le 
relazioni, che non conoscevo antecedentemente. Vorrei partire subito da 
quello che � il fulcro della discussione odierna, cio� dall'art. 177 del 
Trattato di Roma e cio� dalla determinazione della competenza della Corte 
di giustizia di Lussemburgo. � noto che tale competenza � circoscritta 
alle questioni di interpretazione e di validit� delle norme comunitarie: in 
presenza di tali questioni che sorgano in una controversia portata dinanzi 
alle giurisdizioni supreme degli Stati membri, le Corti Supreme di questi 
devono rinviare per la risoluzione delle dette questioni alla Corte di 
giustizia. 

Interpretazione e validit�: ma -poich� (e lo ha detto esattamente 
il prof. Pacar) la questione di validit� � conseguenziale rispetto alla questione 
di interpretazione, che in ogni caso viene prima -il punto centrale 
della competenta della Corte di giustizia � dato dalla questione di 
interpretazione. Ed in primo luogo vanno fissati i limiti e l'esatto contenuto 
della dizione � questione di interpretazione �. Sul punto vi sono stati 
dubbi e (diciamolo pure) tentativi di allargamento del concetto. Il quale, 
a mio avviso, va fissato riandando ai princ�pi generali propri di tutti gli 
ordinamenti giuridici, riguardanti la funzione del giudice nazionale: funzione 
che � quella di rendere giustizia nel caso pratico, di applicare la 
norma al caso pratico attraverso quel sillogismo giuridico che si compendia 
nell'eterna massima narra mihi fact�m, dabo tibi jus e che si 
attua attraverso i tre momenti famosi, dati dalla premessa maggiore concernente 
il fatto, cio� la fattispecie concreta cui deve applicarsi la norma, 
la premessa minore riguardante la ricerca e l'interpretazione della norma 
da applicare, la definizione della fattispecie astratta in cui possa rien


trare quella concreta, e dalla conclusione che � appunto l'applicazione 
effettiva della norma alla specie e la risoluzione di questa. Se ci� si 


150 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tiene presente, � facile vedere che la questione di interpretazione nulla 
ha a che vedere con quella di applicazione, onde la conclusione che va 
affermata nettamente (come bene ha detto il prof. Motzo) l'assoluta 
restrizione della competenza della Corte alla sola interpretazione della 
novma, mentre ogni questione di applicazione le � preclusa, riguardando 
quest'ultima solo il giudice nazionale, che � l'unico giudice del fatto e 
l'unico giudice che � chiamato a risolvere la fattispecie concreta. 

Dal che derivano a mio avviso alcune conseguenze. Da un lato qualsiasi 
questione di interpretazione va rinviata alla Corte di giustizia e su essa 
non occorre nemmeno preliminarmente fermarsi. Si � parlato della famosa 
massima in claris non fit interpretatio e si � detto che in questo caso la 
remissione alla Corte di Giustizia � inutile. Non credo -a parte che personalmente 
non credo a quella massima, in quanto ritengo (e con d� mi 
richiamo all'insuperato ed insuperabile insegnamento di Betti) che anche 
l'interpretazione letterale � una interpretazione -perch� tutti gli aspetti 
dell'interpretazione sono demandati alla Corte di giustizia, dovendosi il 
giudice nazionale, una volta accertato che � applicabile una norma comunitaria, 
fermarsi e demandarne l'applicazione alla norma comunitaria. 
D'altra parte -dicevo -la competenza della Corte deve fermarsi all'interpretazione 
e non pu� non solo occuparsi di applicazione, ma nemmeno 
di questioni che concernono la compatibilit� dell'ordinamento interno con 
quello comunitario. Questo � un punto che ha dato origine a varie discussioni 
ed anche ad alcune affermazioni della Corte di giustizia, su cui occorre 
meditare a lungo. Lo stabilire se vi sia compatibilit� tra l'ordinamento 
interno e quello comunitario � compito esclusivo del giudice 
nazionale, in quanto rientrante nella ricerca della norma che possa applicarsi 
a quella determinata fattispecie concreta che � sottoposta al suo 
giudizio, ricerca che fa parte del sillogismo giudiziario e che nulla ha a 
che vedere con l'interpretazione. Ed io credo che, normalmente, tale indagine 
vada fatta antecedentemente, al momento della ricerca della 
norma applicabile. E forse parlando di compatibilit� tra i due ordinamenti 
si � acuita la questione, la si � ingigantita: in realt� qui si tratta 
di ricerca della norma applicabile. Se si ritiene applicabile la norma 
cpmunitaria, l'interpretazione spetta in toto alla Corte di giustizia, la 
quale non pu�, a mio parere, porsi la cosiddetta compatibilit�, altrimenti 
entra nella ricevca della norma e nell'esame della fattispecie che le � 
inibita. Altrimenti si dovrebbe ammettere una ingerenza nel diritto interno 
che non � ammessa dal trattato di Roma. Ed � proprio a questo 
ed alla sua mens che occorre andare, ritornando al principio del mio 
dire e cos� concludendo: io ritengo che il Trattato di Roma e l'art. 177 
in particolare abbia voluto proprio creare una giurisdizione esterna e comunitaria, 
esterna rispetto a quelle nazionali, limitata all'unico punto 
che pu� interessare una giurisdizione comunitaria, cio� l'esatta interpre



PARTE II, QUESTIONI 151 

tazione della norma che deve essere applicata dal giudice nazionale. Onde 
la limitazione della competenza della Corte alle sole (ed a tutte) le questioni 
di interpretazione. 

Prof. ANTONIO TIZZANO, ordinario nell'Universit� di Napoli. (*) 

1. -Preceduta da un iter tormentato e di insolita lunghezza, attesa 
con vivo interesse e via via con crescente curiosit�, ecco finalmente la 
sentenza Foglia-Novello n. 2, destinata con tutta probabilit� ad avere la 
stessa vasta risonanza e a stimolare le stesse vivaci e preoccupate critiche 
della prima ed ormai notissima puntata di questa singolare vicenda 
giudiziaria. 
Chi aveva sperato che quella sentenza fosse destinata a restare un 
precedente isolato; chi aveva tratto ulteriori pidicazioni in tal senso da 
qualche successiva sentenza, a prima vista meno rigorosa, o dalle conclusioni 
dell'avvocato generale Slynn, del tutto difformi dalle due sentenze 
Foglia-Novello, o anche dai dubbi e le esitazioni che l'inconsueto ritardo 
della decisione induceva a ritenere presenti e consistenti nel collegio, 
non ha pi�, ora, alcuna possibilit� di illudersi. La seconda pronuncia non 
solo conferma in pieno la prima, ma addirittura offre il supporto di una 
pi� ampia e articolata argomentazione, di una sorta di teorizzazione a 
quel revirement giurisprudenziale che tanta preoccupazione ha suscitato 
in dottrina per le sue possibili implicazioni negative sulla generosa e fortemente 
apprezzata prassi di applicazione dell'art. 177 CEE finora seguita 
dalla corte. 

� ben vero che la seconda ordinanza di rinvio del Pretore di Bra non 
lasciava molte alternative, dato che, salvo il ricorso ad un improbabile 
e comunque non facile escamotage, alla corte non restava che scegliere 
tra una clamorosa ritirata e la riaffermazione, pi� ampiamente motivata, 
dell'indirizzo seguito nella prima pronuncia. Resta il fatto tuttavia che 
la sentenza in epigrafe consuma definitivamente quello che si pu� definire, 
con un termine alla moda, un autentico � strappo � rispetto ai consolidati 
princ�pi interpretativi dalla stessa corte elaborati rispetto all'articolo 
177 e rischia cos� di creare non pochi problemi nell'applicazione, 
finora � pacifica�, di questa norma. 

2. -Quali fossero quei princ�pi ho gi� detto in sede di commento 
alla Foglia-Novello 1 e non � il caso che qui mi dilunghi nuovamente 
su di essi (v. il mio commento in Foro lt., 1980, IV, col. 254 ss.). Baster� 
(*) La presente comunicazione riproduce, con qualche modifica e senza 
l'apparato di note, i!l testo del commento alla seconda sentenza Foglia-Novello 
preparato dall'A. per il Foro Italiano (1982, IV, col. 308 ss.). 



152 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sinteticamente ricordare che la corte ha teso in ogni occasione ad ampliare 
al massimo i presupposti per il funzionamento dell'art. 177: in particolare, 
tra l'altro, come si rilev� in quella sede, astenendosi da ogni 
indagine sulla rilevanza della questione pregiudiziale ai fini del giudizio 
nazionale e sulla valutazione al riguardo effettuata dal giudice del rinvio; 
sottolineando la portata meramente e astrattamente interpretativa della 
pronuncia ex art. 177, anche quando in realt� si finiva proprio con l'esprimere 
una valutazione del caso di specie sottoposto al giudice a quo; avallando 
quindi rinvii pregiudiziali volti a mettere in causa leggi o comportamenti 
d�gli Stati membri di dubbia compatibilit� con le norme comunitarie, 
anche se si trattava di rinvii operati nell'ambito di procedure non 
del tutto convincenti e anche se la normativa contestata proveniva da uno 
Stato membro diverso da quello del giudice a quo; e in genere respingendo 
per quanto possibile tutte le obiezioni che impedissero di dare risposta 
ai quesiti prospettati dai giudici nazionali. 

Grazie a questa decisa e univoca politica giurisprudenziale, sviluppatasi, 
si noti, con il pieno sostegno della dottrina e della stessa Commissione 
e con l'attivo concorso dei privati e dei giudici nazionali, la 
corte aveva finito col favorire la pi� ampia applicazione dell'art. 177 e 
quindi col valorizzarne tutte le possibili implicazioni. In particolare, essa 
aveva potuto, per quella via, esaltare la propria stessa presenza e il proprio 
ruolo grazie ad un'attivit� interpretativa di straordinaria importanza 
per la definizione e lo sviluppo del sistema giuridico comunitario; stimolare 
l'azione delle istituzioni di governo della Comunit� e perfino ovviare 
alle loro carenze; moltiplicare le occasioni per sanzionare le inadempienze 
degli Stati membri, avvalendosi all'uopo delle segnalazioni provenienti 
dai privati per il tramite appunto dell'art. 177; ampliare cos� in 
misura assai consistente l'ambito della tutela giurisdizionale dei privati 
stessi e rafforzare quindi complessivamente l'efficacia e l'effettiva applicazione 
del diritto comunitario. 

Avevo gi� segnalato peraltro, nel commento alla prima Foglia-Novello, 
che negli ultimi anni si erano manifestate alcune, sia pur timide ed indirette, 
avvisaglie di un certo �raffreddamento� della corte nell'avallare 
la descritta utilizzazione dell'art. 177; e avevo espresso l'avviso che con 
ogni probabilit� tale indirizzo si sarebbe col tempo ulteriormente rafforzato. 
In effetti, a parte i progressivi mutamenti nella composizione della 
corte e la necessit� di ridurre un carico di lavoro crescente e quasi insostenibile, 
a motivare quella previsione concorrevano soprattutto alcune 
considerazioni di fondo. In particolare, rilevavo che apparivano ormai ridotte 
le ragioni e le occasioni per sviluppare ulteriormente la fondamentale 
azione interpretativa per anni svolta dalla corte, grazie all'art. 177, per 
la definizione del sistema giuridico comunitario; che in effetti i princ�pi 
essenziali di tale sistema erano gi� stati in larga misura enucleati; che, 


PARTE II, QUESTIONI 

d'altro canto, l'evoluzione complessiva di quest'ultimo, con la netta accentuazione 
dei profili intergovernativi, limitava gli spazi per l'azione della 
corte e risultava poco propizia a rivoluzioni giurisprudenziali; che, anzi, 
pi� frequenti apparivano i segnali di insofferenza degli Stati membri per 
la descritta prassi di applicazione dell'art. 177; e che quindi, in tale contesto, 
meno agevole sarebbe stata la copertura in passato offerta ad 
utilizzazioni troppo disinvolte della procedura pregiudiziale. 

Tutto ci� induceva dunque a prevedere che la corte avrebbe via via 
proceduto ad una pi� rigorosa verifica dei presupposti della propria competenza 
e, in particolare, di quelle condizioni di � ricevibilit� � dei rinvii 
pregiudiziali che per anni essa aveva non solo evitato di approfondire, ma 
addirittura concorso incisivamente ad � ammorbidire � per favorire la pi� 
ampia valorizzazione dell'art. 177. 

3. -In questa prospettiva, allora, la giurisprudenza della prima Foglia-
Novello, pur sempre inattesa e sorprendente alla luce della prassi 
della corte e degli stessi sviluppi della causa, acquistava tuttavia il senso 
di un precedente meno estemporaneo ed occasionale di quanto potesse 
apparire ed in effetti apparve agli osservatori. Del resto, di l� a poco, 
altre pronunce della corte avrebbero ulteriormente confermato non solo 
la menzionata tendenza ad un pi� rigoroso filtro dei rinvii pregiudiziali, 
ma anche, pi� in generale, i segni di un'attitudine meno � audace � della 
giurisprudenza comunitaria e di una sua pi� spiccata attenzione alle esigenze 
degli Stati membri, a riprova del fatto che i due aspetti sono tra 
loro strettamente collegati. 
Sotto questo profilo, anzi, mi pare assai significativo che la seconda 
Foglia-Novello non solo ribadisca la giurisprudenza della prima in termini 
ancor pi� decisi e argomentati, ma che ci� essa faccia insistendo sulla 
necessit� di evitare �deviazioni� nell'applicazione dell'art. 177. E ci� soprattutto 
in relazione al profilo che maggiormente preoccupa gli Stati 
membri, in relazione cio� a quello che nel commento alla prima FogliaNovello 
ho definito l'uso �alternativo� di tale norma, vale a dire l'utilizzazione 
della procedura pregiudiziale al fine di provocare indir�ttamente 
una pronuncia della cort� sulla compatibilit� con il diritto comunitario 
di normative nazionali, anche se di uno Stato membro diverso da quello 
del giudice del rinvio. 

Ben si spiegano allora le reazioni critiche e le preoccupazioni suscitate 
dal nuovo indirizzo della corte tra i cultori e gli operatori del diritto 
comunitario, anche tra quelli che pure avevano avvertito il senso delle 
prime avvisaglie di quell'indirizzo e valutato responsabilmente le sue 
motivazioni di fondo. In effetti, a parte i rilievi specifici che tra breve 
svolger� sulle singole argomentazioni della corte, ci� che nelle due pronunce 
colpisce pi� negativamente e perfino, direi, emotfvamente � appunto 
il drastico e radicale rovesciamento di una linea interpretativa molto 


154 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

generosa e l'adesione ad esigenze esattamente opposte a quelle che avevano 
a lungo indotto la corte ,a coltivare ed incoraggiare il precedente 
indirizzo. 

Non vi � dubbio, infatti, che talune affermazioni di carattere generale 
che, nella seconda Foglia-Novello, riflettono il nuovo indirizzo non 
si prestano di per s� ad alcun rilievo critico. Che la corte non operi, in 
sede di procedura pregiudiziale, come un mero organo consultivo, destinato 
ad essere interrogato ad libitum dai giudici nazionali su qualsiasi 
questione (cpv. 18), � indubbiamente vero, perch� l'art. 177, anche alla 
luce dell'art. 164 del trattato CEE e del sistema giurisdizionale comunitario 
.nel suo complesso, non confina il ruolo della corte in quei modesti 
limiti. Ed � altres� vero che essa non pu� tollerare, n� tanto meno avallare 
l'uso abusivo dell'art. 177 (v. soprattutto cpv. 29-31) e che deve controllare 
le condizioni di � ricevibilit� � dei rinvii pregiudiziali al fine di verificare, 
�come vi � tenuto qualsiasi giudice, la propria competenza� (cpv. 19). E 
si pu� anche comprendere l'opportunit� di �una particolare vigilanza� 
rispetto ai casi di uso �alternativo� dell'art. 177, specie quando siano messe 
in causa leggi di uno Stato membro diverso da quello del giudice del 
rinvio (cpv. 30). 

Quando per� per anni non ci si � preoccupati di verificare -per 
quanto qui interessa -le condizioni di ricevibilit� dei rinvii pregiudiziali 
e si � anzi rinunciato a definirle per non limitare l'applicazione 
dell'art. 177; quando si � insegnato, fin dal 1963, che grazie a tale norma 
�La vigilanza dei singoli, interessati alla salvaguardia dei loro diritti, 
costituisce... un efficace controllo che si aggiunge a quello che gli artt. 169 
e 170 affidano alla diligenza della Commissione e degli Stati membri � e 
che, in caso diverso, � i diritti individuali degli amministrati rimarrebbero 
privi di tutela giurisdizionale diretta � (sentenza 5 febbraio 1963, in 
causa 26/62, Van Gend en Loos, in Foro it., 1963, I, 449); quando si � confermato 
e vieppi� rafforzato questo insegnamento per ben venti anni; 
quando perci� si � apertamente avallato l'uso alternativo dell'art. 177 e 
su di esso si � fondata una giurisprudenza �storica� (preminenza del 
diritto comunitario, sua c. d. applicabilit� diretta, ampliamento delle competenze 
comunitarie, ecc.), ebbene allora non ci si pu� sorprendere... per 
l'altrui sorpresa e sconcerto nel leggere ora che la corte �non pu�... restare 
indifferente� di fronte a rinvii che �potrebbero influire sul corretto 
funzionamento� dell'art. 177 (cpv. 19), e che essa� deve vigilare in maniera 
del tutto particolare� perch� ci� non avvenga (cpv. 31). � chiaro, infatti, 
che non sono queste affermazioni a suscitare di per s� riserve, ma il fatto 
che esse si .calino nel contesto appena descritto e, specificamente, che si 
prestino a limitare i margini di verifica della compatibilit� delle normative 
nazionali con il diritto comunitario. l: 

_,,_,~..



PARTE II, QUESTIONI UJ 

i Si comprendono allora le perplessit� sulle motivazioni e sulle conseguenze 
di un revirement che rischia di restringete l'area della tutela 
giurisdizionale dei privati e di ampliare invece i margini di impunit� degli 
Stati membri inadempienti. E si comprende altres� come un siffatto ondeggiamento 
introduca non j:>ochi elementi di incertezza nel sistema, 
disorienti i destinatari dell'attivit� della corte � rischi di nuocere perfino 
all'autorit� di quest'ultima,� come provano d�l resto recenti segnali di 
insofferenza da parte dei giudici nazionali, il cui significato non merita 
di essere sottovalut�to. ' 

j. 
4 . .;,. Chiarito quanto precede, nell'esegesi della seconda Foglia-Novello 
c'� poco da aggiungere a quanto gi� dissi in sede di.commento alla prima. 
Cos�, per quanto concerne la costruzione che la sentenza delinea dei 
rapporti di competenza tra la corte e i giudici nazionali nelle procedure 
pregiudiziali, ricordo come la stessa corte avesse sempre escluso con nettezia 
ogni sua interferenza nelle valutazi�ni operate da quei giudici circa 
la rilevanza delle questioni pregiudiziali ai fini della decisione del processo 
a quo e circa la necessit� di ottenere al riguardo una pronuncia 
della .corte. Con la prima Foglia-Novello, invece, quelle valutazioni vengono 
di fatto sottoposte al controllo .dell� corte e, con la .seconda, l'esercizio 
di ,tale controllo viene addirittura teorizzato (v. cpv. 14-21). 

In nome, infatti, del principio della � collaborazione giudiziale � nella 
applicazione dell'art.� 177, la corte, mentre� lascia impregiudicata la propria 
sfera di competenza� esclusiva in materia (definizione della nozione 
di giurisdizione; attinenza della questione al diritto ' comunitario; sussistenza 
di una �questione�, ecc.), rivendica in pi�, sia pure nei �casi eccezionali 
� di cui si dir�, un'area di competenza comune a quella del giudice 
nazionale proprio su profili tradizionalmente di spettanza di quest'ultimo 

o almeno, a voler tutto concedere, anche di spettanza di quest'ultimo. Non 
solo, ma in tale area comune si riserva un ruolo decisivo e definitivo, 
perch� ad essa spetter� sindacare, e all'occorrenza modificare, le valutazioni 
operate dal giudice nazionale: e ci�. in nome della tutela delle finalit� 
dell'art. 177, che evidentemente quel giudice non � ritenuto idoneo 
a garantire in proprio. 
Gi� osservai, a questo proposito, che il principio della � collaborazione 
giudiziale�, espresso dall'art. 177, non esclude ma anzi presuppqne, 
come la corte stessa riconosce, la definizione di una ripartizione di competenze 
tra i due livelli giudiziari e indicai altres� i criteri di massima 
secondo cui si era venuta definendo tale ripartizione. Nell'ambito della 
procedura preg�udiziale, comunque, il giudice nazionale non svolge affatto 
un ruolo di mero tramite di carte processuali, ma esprime, di ufficio o 
su richiesta delle parti, un'autonoma valutazione sui profili di propria 
competenza, e. quindi; .per quanto qtii interessa, sulla necessit� del rinvio. 
Riservandosi pertanto, sia pure in � casi eccezionali �, di sottoporre a re



1J6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

visione tale valutazione, la corte denuncia in modo ancor pi� netto, 
nella seconda Foglia-Novello, la tendenza a limitare il potere di apprezzamento 
dei giudici nazionali, a sindacarne l'esercizio e quindi a costruire 
il rapporto di � collaborazione � in termini verticali e gerarchici, anzich� 
con quel carattere paritario che emerge dall'art. 177 e su cui la corte 
stessa aveva sempre insistito per incoraggiare i giudici nazionali e rassicurarli 
circa il rispetto della loro sfera di competenza. 

5. -Ma non � questa l'unica r~serva da esprimere. Si � detto, infatti, 
che la pretesa della corte, forse anche per tranquillizzare i giudici nazionali, 
non appare generale e assoluta, ma espressamente limitata ai � casi 
eccezionali � in cui la valutazione del giudice potrebbe influire sul corretto 
funzionamento dell'art. 177. Orbene, quando ricorrono tali �casi eccezionali 
�? E quando, dunque, la corte potr� mettere in causa le scelte dei 
giudici nazionali? Sul punto la sentenza lascia ampi margini di incertezza 
che non giovano certo alla chiarezza del meccanismo delle procedure 
pregiudiziali. 
In termini generali, le affermazioni della corte nella risposta alla 
prima questione sono formulate come se la riserva di supervisione sia 
destinata ad operare in tutte le ipotesi di rinvii ex art. 177. Ciononostante, 
pu� ritenersi che la corte abbia in realt� in mente soprattutto quei giudizi 

(i c. d. proc�s-bidon) instaurati � artificiosamente � per mettere in causa 
la normativa degli Stati membri, e in particolare degli Stati diversi da 
quello del giudice del rinvio. Ci� risulta da tutto il contesto della sentenza, 
ma soprattutto dai brani dedicati all'esame della quarta questione 
(cpv. 28-31), l� dove la corte sottolinea la �particolare vigilanza� che 
le si impone nei giudizi che coinvolgano la normativa di un altro Stato 
membro. In tali casi infatti, secondo la corte, possono verificarsi deviazioni 
nell'applicazione dell'art. 177 ai danni di detto Stato, specie perch� 
questo verrebbe a trovarsi nell'impossibilit� di provvedere in modo adeguato 
alla propria difesa. 
Si potrebbe osservare che a questo proposito si � di solito ritenuto 
che la principale sede di discussione del problema interpretativo non � 
la giurisdizione nazionale ma la corte, dinanzi alla quale le parti diligenti 
hanno sufficienti possibilit� di motivare e difendere le proprie posizioni. 
E si potrebbe altres� osservare che la corte non aveva mai manifestato 
particolare apprensione per il pericolo cui fa ora riferimento e che anzi 
ha continuato a trascurarlo in successive occasioni. Cos� come si potrebbe 
osservare che essa non aveva mai mostrato di considerare un � rischio � 
procedure che favorissero, anche indirettamente, il controllo su normative 
nazionali sospette di incompatibilit� con il diritto comunitario. 

Ma tutto ci� non farebbe che confermare il pi� volte rilevato mutamento 
di indirizzo espresso dalle due sentenze Foglia-Novello. Preme 
invece qui sottolineare come, anche per il profilo ora in esame, torni an



PARTE Il, QUESTIONI 

cora una volta alla ribalta, quale motivo dominante nelle due pronunce, 
la spiccata considerazione delle esigenze degli Stati membri e si riaffaccino 
le perplessit�, gi� evocate al precedente paragrafo, sulle motivazioni 
del nuovo indirizzo della corte. Anzi, sotto questo profilo, l'esplicito accenno, 
di cui al cpv. 19, agli interessi (della Comunit� e degli Stati membri) 
che la corte � tenuta a prendere in considerazione, accenno del tutto 
insolito e anche discutibile alla luce dell'art. 164 del trattato, non pu� 
esser letto che come un ulteriore indizio nel senso indicato. 

6. -Ma c'� ancora un profilo da tener presente al riguardo. Per 
quanto precisati nel senso ora detto, infatti, i � casi eccezionali � in 
cui la valutazione del giudice nazionale pu� prestarsi alle implicazioni 
negative che la corte teme, restano pur sempre difficili da definire 
secondo criteri obiettivi e sicuri, in grado cio� di orientare le parti e 
i giudici nazionali circa le sorti dell'eventuale rinvio pregiudiziale. 
Come si � gi� detto e come emerge da varie sue affermazioni (v. particolarmente 
cpv. 18 e 29), la corte assume qui a criterio decisivo di 
valutazione il carattere artificioso e fittizio del giudizio a quo, il fatto cio� 
che esso nasca da � schemi processuali precostituiti dalle parti � per 
provocare l'intervento della corte, senza alcun collegamento con una 
controversia � effettiva � tra le p�rti stesse. Ora, un siffatto criterio di 
valutazione risulta molto labile ed evanescente ed introduce elementi 
di grave incertezza nel sistema: la stessa prassi della corte, ha rivelato, 
del resto, con evidenza la difficolt� di pervenire a soluzioni unitarie 
attraverso quel criterio. E gli sviluppi successivi hanno ulteriormente 
confermato il carattere empirico del criterio stesso e la totale difformit� 
di valutazioni cui esso conduce, com'� provato del resto dalle 
opposte conclusioni cui pervengono, proprio nella seconda Foglia-Novello, 
la corte e il suo avvocato generale Slynn. 

Non solo, ma nell'ordinanza di rinvio che ha occasionato tale seconda 
pronuncia, il Pretore di Bra segnalava un �altro motivo di perplessit� 
insito nel criterio prescelto dalla corte: e cio� il fatto che, nel 
sistema processuale italiano (ma ovviamente non solo in questo), vi sono 
vari casi in cui l'instaurazione del giudizio non presuppone necessariamente 
una sottostante controversia tra le parti. Anzi, proprio in risposta 
alla prima sentenza Foglia-Novello, il pretore sottolineava come nel caso 
di specie si chiedesse appunto una � sentenza dichiarativa, principalmente 
diretta, com'� noto, a risolvere una questione il cui presupposto 
� un dubbio su una situazione giuridica �. 

A tali precisazioni, tuttavia, la corte ha replicato che la natura 
e lo scopo dei giudizi nazionali sono irrilevanti al fine di accertare 
la competenza della corte stessa, mostrando dunque di credere che 
il pretore, in vena forse di esercitazioni teoriche, si fosse premurato 
unicamente di procedere alla qualificazione giuridica del suo futuro 


tf8 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

provvedimento e non gi�, come invece si desume dall'ordinanza di 
rinvio, di fornire alla corte tllterior.i chiarimenti utili a rimuovere i 
dubbi da essa espressi� sulr<< autenticit� � della vicenda giudiziaria. E 
difatti l'avvocato generale Slynn, che ha cos� inteso il senso di quelle 
precisazioni, se ne avvale per ammettere� l'�utenticit� della controversia, 
mentre la corte, non attribuendo alle stesse carattere di �fatto nuovo�, 
perviene alla conclusione opposta, anche se poi conferma al giudice, 
forse per mero dovere di cortesia, la propria disponibilit� a vagliare 
eventuali nuovi elementi (cpv. 33 s.). 

7. ~ Il . sindacato che la corte .si � riservato sulle valutazioni dei 
giudici nazionali risulta, dunque, tanto decisamente affermato . quanto 
discutibile nelle motivazioni, incerto e vago nei contorni, denso di incognite 
nei� risultati: in breve, si rivela con ogni probabilit� suscettibile 
di creare pi� problemi di quanti �ne dovrebbe risolvere. 
Ci� va detto, evidentemente, soprattutto dal punto di vista dei �rap� 
porti con i giudici nazionali, i quali, dall'attuale indirizzo della corte, 
non vengono certo incoraggiati ad effettuare rinvii nelle ipotesi in cui 
siano in causa norinative nazion�li degli Stati membri: non solo per il 
chiaro sfavore manifestato dalla corte al riguardo, ma anche� per l'incer� 
tezza dei criteri di � ricevibilit� � da questa elaborati. Tale incertezza 
infatti rende pi� difficili, come si � visto, le scelte dei giudici nazionali e 
limita le �oro possibilit� di previsione sulla sorte dei rinvii pregiudiziali 
anche perch�, stanti le motivazioni ultime del nuovo indirizzo giurispru� 
denziale, non pu� ritenersi s�:ongiurato il rischio che il giudizio sulla 
(( eccezionalit� � del caso venga commisurato al grado di (( scomodit� � 
dei quesiti prospettati dal giudice nazionale. 

In queste condjzioni, il giudice, specie se non � di ultima istanza, 
potr� sentirsi indotto a sciogliere direttamente i propri problemi inter� 
pretativi, nel timore che un eventuale rinvio alla corte possa costituire 
una fatica inutile e soprattutto, forse, per non. correre il rischio di pas� 
sare per uno sprovveduto o per un � complice � dell'artificio montato 
dalle parti.� Ma ancora maggiori sono le difficolt� che il nuovo indirizzo 
pu� creare dopo l'eventuale declaratoria di incompetenza da parte della 
corte. Richiesta espressamente di precisare i margini di manovra del 
giudice nazionale in tal caso, e in particolare di chiarire se quel giudice 
possa ugualmente procedere ad interpretare il diritto comunitado o 
se � debba invece decidere esclusivamente alla stregua del diritto nazio� 
nale � (secondo quesito del Pretore di Bra), la corte ha ritenuto� non 
necessario pronunciarsi sul punto, date le risposte fomite agli altri 
quesiti (cpv. 32). Se si considera che poco prima essa aveva riaf� 

fermato la propria incompetenza, la risposta appare poco perspicua, 
perch� la questione manteneva la propria utilit�. Ma in realt� sembra 

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PARTE II, QUESTIONI 1J9 

di capire che nell'ottica della corte il problema prospettato non si 
pone affatto quando si � in presenza di un proc�s-bidon. 

Ma se questa � l'ottica della corte, non pu� dirsi necessariamente 
altrettanto per il giudice nazionale che sollevato il quesito. Il Pretore 
di Bra, anzi, aveva esplicitamente prospettato (e poi temporaneamente 
accantonato) l'eventualit� di eccepire una q.estione di costituzionalit� 
della legge di ratifica del trattato CEE, relativamente all'art. 177 di 
quest'ultimo, per la parte in cui, nell'interpretazione della corte, esso 
non solo comporta �un sindacato implicito sull'esercizio dei poteri discrezionali 
che il giudice del rinvio trae autonomamente dal proprio ordinamento 
nazionale, poteri che gli sono costituzionalmente attribuiti �, 
ma determina altresi � sia pure di riflesse>, se non un netto ostacolo, 
almeno gravi difficolt� per far valere la pretesa processuale della convenuta 
diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa; difficolt� queste 
che limitando i diritti della difesa ugualmente realizzano violazione di 
diritti costituzionalmente garantiti �. 

Quali che saranno comunque le decisioni del Pretore di Bra, resta 
il fatto che il nuovo indirizzo della corte comporter�, nella migliore 
delle ipotesi, che i giudici nazionali, quando non potranno addirittura 
prescindere dal diritto comunitario, saranno tentati di risolvere in proprio 
i dubbi prospettati alla corte e che questa non ha ritenuto di dover 
sciogliere. Essi saranno cio� indotti a riappropriarsi di quel potere inter� 
pretativo del diritto comunitario che l'art. 177 ha invece inteso riser� 
vare alla corte. E ci�, ovviamente, come da ogni parte si sottolinea, 
non pu� che andare a discapito dell'uniformit� nell'interpretazione e 
nell'applicazione di quel diritto e delle stesse prospettive di sviluppo ad 
esso per lungo tempo assicurate dall'ampio ricorso ,all'art. 177. 

Anche per questo profilo, dunque, le due sentenze Foglia-Novello 
non segnano certo una tappa positiva nel cammino della giurisprudenza 
comunitaria..Quel che � per� pi� preoccupant� come gi� accennato, 
� che esse hanno tutta l'aria di rappresentare non gi� un occasionale 
incidente di percorso, ma il segnale pi� vistoso del tramonto di una 
stagione straordinariamente ricca di risultati, nel corso della quale, proprio 
grazie alla corte e alla generosa applicazione dell'art. 177, ha via 
via acquistato senso e concretezza la pi� significativa e produttiva delle 
libert� di circolazione nella CEE: quella rappresentata appunto dalla 
piena ed effettiva applicazione del diritto comunitario al di l� delle 
frontiere giuridiche nazionali. 


LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice civile, art. 2751 bis n. 1 (sub art. 2 della legge 29 luglio 1975, n. 426), 
nella parte in cui non munisce del privilegio generale istituito dall'art. 2 della 
legge n. 426/1975 il credito del lavoratore subordinato per danni conseguenti 
ad infortunio sul lavoro, del quale sia responsabile il datore di lavoro, se e 
nei limiti in cui il creditore non sia soddisfatto dalla percezione delle indennit� 
previdenziali e assistenziali obbligatorie dovute al lavoratore subordinato in 
dipendenza dello stesso infortunio. 

Sentenza 28 novembre 1983, n. 326, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 42, nella parte in cui non dispone che 
anche per le vendite forzate senza incanto, effettuate ai sensi degli artt. 570 
e seguenti del codice di procedura civile, la base imponibile � costituita dal 
prezzo di aggiudicazione . 
. Sent.enza. 28 novembre 1983, n. 328, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. 

legge 27 dicembre 1977, n. 984 (�Coordinamento degli interventi pubblici 
nei settori della zootecnia, della produzione ortoflorofrutticola, della forestazione, 
dell'irrigazione, e delle grandi colture mediterranee, della vitivinicoltura 
e dell'utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani�) per la parte 
in cui la disciplina in essa prevista concerne la regione Friuli-Venezia Giulia 
e le provincie autonome di Trento e Bolzano. 

Sentenza 15 dicembre 1983, n. 340, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. 

II -QUESTIONI NON FONDATE 

Legge 15 febbraio 1963, n. 151, art. 3 (artt. 5 e 81 della Costituzione). 

Sentenza 21 dicembre 1983, n. 341, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. 

legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1, primo comma (artt. 3, 13, 27 e 113 della 
Costituzione). 

Sentenza 21 dicembre 1983, n. 342, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. 

legge 29 luglio 1975, n. 426, art. 15 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Sentenza 28 novembre 1983, n. 325, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. 



162 
PARTE II, LEGISLAZIONE 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

Codice civile, artt. 2947, 2948, nn. 4 e 5, 2949, 2955, n. 2, e 2956, nn. 1 e 2 
(artt. 2, 3, 4 e 36 della Costituzione).. 

Pretore di Roma, ordinanza 24 gennaio 1983, n. 569, G. U. 14 dicembre 1983, 

n. 342. 
codice penale, artt. 56 e 341 (artt. 3, 15 e 16 della Costituzione). 

Pretore di Velletri, ordinanza 16 aprile 1983, n. 508, G. U. 30 novembre 1983, 

n. 329. 
codice penale, art. 114, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 26 aprile 1983, n. 651, G. U. 28 dicembre 1983, 

n. 355. 
codice penale, artt. 314 e 476 (artt. 3 e 47 della Costituzione). 

Giudice istruttore Tribunale di Torino, ordinanza 15 aprile 1983, n. 538, 

G. U. 23 novembre 1983, n:. 322. 
codice penale, artt. 636 e 672 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Oristano, ordinanza 21 aprile 1983, n. 618, G. U. 7 dicembre 1983, 

n. 
336. 
Pretore ai Oristano, ordinanza 21 febbraio 1983, n. 619, G. U. 7 dicembre .1983, 
n. 336. � 
r.d. 14 lugllo 1898, n. 404, artt. 17 e 24 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Oristano, ordinanza 21 aprile 1983, n. 618, G. U. 7 dicembre 1983, 

n. 
336. ' , 
Pretore di Oristano, ordinanza 21 febbraio 1983, n. 619, G. U. 7 dicembre 1983, 
n. 336. 
r.d.. 17 novembre 1924, n. 2367, art. 130 (artt. 3 e 98 della Costituzione). 
Consiglio nazionale dei geometri, ordinanze (tre) 1 marzo 1983, nn. 479, 480 
e 481, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. 

r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 10 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Ferrara, ordinanza 20 aprile 1983, n. 499, G. U. 23 novembre 1983, 
n.' 322. 

r.d. 14 aprile 1939, n. 636, tabella A allegata (arti. 3, 36, 38 e 53 della Costi� 
tuzione). 
Tribunale di Pescara, ordinanza 28 aprile 1983; n. 557, G. U. 14 dicembre 1983, 

n. 342. 
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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 163 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26 (art. 24 della� Costituzione)~ 
Tribunale di Milano, ordinanza 24 febbraio 1983, n. 568, G. U. 21 dicembre 
1983, n..349. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, primo comma (art. 24 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 21 gennaio 1983, n. 439, G. U. 2 novembre 
1983, n. 301. 

legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, primo comma (artt. 24,. 25 e 112 della 
Costituzione). 

Pretore di Riesi, ordinanza 21 aprile 1982, n. 554/83, G. U. 21 dicembre 1983, 

n. 349. 
legge 20 dicembre 1954, n. 1181, art. 7 (artt. 3 e 98 della Costituzione). 

Consiglio nazionale dei geometri, ordinanze (tre) 1 marzo 1983, nn. 479, 480 
e 481, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. 

legge.27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1 (artt. 2 e 3 della Costituzione). 

Pretore di Prato, ordinanza 7 aprile 1983, n. 517, G. U. 7 dicembre 1983, 

n. 336. 
d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 27 gennaio 1983, 

n. 526, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. 
d.P.R. �29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89 e 140, ultimo comma (artt. 38 e 53 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Imperia, ordinanza 23 febbraio 
1983, n. 503, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89, ultimo comma, e 140, ultimo comma 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Foggia, ordinanza 30 aprile 1983, 

n. 560, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Palermo, ordinanze (due) 10 maggio 1983, nn. 637 e 638, G. U. 
14 dicembre 1983, n. 342. 

legge reg. Trentino-Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30, artt. 2 e 3 (art. 18 
della Costituzione e artt. 4, 8 e 18 dello statuto del Trentino-Alto Adige). 

Pretore di Mezzolombardo, ordinanze (due) 11 luglio 1983, nn. 706 e 707, 

G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. 

164 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 22 luglio 1966, n. 614, art. 8 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Mondov�, ordinanze (due) 8 febbraio 
1983, nn. 551 e 552, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. 

legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 [sostituiti dagli artt. 10 e 14 legge 
14 ottobre 1974, n. 497] (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Modena, ordinanza 25 ottobre 1982, n. 446/83, G. U. 2 novembre 
1983, n. 301. 

legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Parma, ordinanza 12 gennaio 1983, n. 509, G. U. 9 novembre 
1983, n. 308. 

d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 5 (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). 
Tribunale di Pescara, ordinanza 28 aprile 1983, n. 557, G. U. 14 dicembre 
1983, n. 342. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della 
Costituzione). 

Tribunale di Pescara, ordinanza 28 aprile� 1983, n. 557, G. U. 14 dicembre 1983, 

n. 342. 
legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 24 novembre 
1981, n. 534/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. 
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 5 gennaio 
1982, n. 688/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. 

legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 [modificato dall'art. 1 della legge 
23 dicembre 1970, n. 1054] (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 6 ottobre 1982, 

n. 766/83, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. 
legge 22 ottobre 1971, n. 865 (artt. 64 e 72 della Costituzione). 

Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 15 marzo 1983, n. 525, G. U. 16 novembre 
1983, n. 315. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 

Corte d'appello di Lecce, ordinanza 10 marzo 1983, n. 504, G. U. 9 novembre 
1983, n. 308. 

legge 8 agosto 1972, n. 459, articolo unico (artt. 3 e 25 della Costituzione). 

Pretore di Latina, ordinanza 8 aprile 1983, n. 482, G. U. 23 novembre 1983, 

n. 322. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
16f 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, secondo 
periodo (artt. 24 e 42 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 22 dicembre 1982, n. 438/83, G. U. 2 novembre 
1983, n. 301. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (artt. 24 e 113 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 5 dicembre 
1980, n. 553/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bergamo, ordinanza 23 settembre 
1981, n. 595/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. 

d.P.R. 26 'ottobre 1972, n. 643, art. 22 (artt. 24 e 113 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 5 dicembre 
1980, n. 553/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. 

legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e secondo 
comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 3 maggio 1983, n. 556, G. U. 16 novembre 
1983, n. 315. 

d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Tribunale di Napoli, ordinanza 7 marzo 1983, n. 453, G. U. 2 novembre 1983, 

n. 
301. 
Tribunale di Napoli, ordinanza 22 marzo 1983, n. 501, G. U. 9 novembre 1983, 
n. 308. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (artt. 3, 21 e 27 della Costituzione). 
Tribunale di Varese, ordinanza 2 maggio 1983, n. 528, G. U. 23 novembre 
1983, Il. 322. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e) e 46 (artt. 3, 38, 53 e 76 
della Costituzione). 
Pretore di Cagliari, ordinanza 5 maggio 1983, n. 496, G. U. 9 novembre 1983. 
Il. 308. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e) e 46 (artt. 38 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Imperia, ordinanza 23 febbraio 
1983, n. 503, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, Iett. e) e 46, secondo comma (artt. 3 
e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Foggia, ordinanza 30 aprile 1983, 

n. 560 G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, .art. ,12, primo comma, lett. e) (artt. 38 e 53 
della Costituzione). � 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 2 marzo 1982, 

n. 
434/83, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. 
Commissione tributaria di primo grado di Modena, ordinanza 2 marzo 1982, 
n. 434/83, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 4, terzo comma (artt. 3, 53 e 76 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 15 aprile 1981, 

n. 602/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bergamo, ordinanza 23 settembre 
1981, n. 595/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, primo comma, e 39 (artt. 3, 24, 53 
e 113 della Costituzione). 
Pretore di Empoli, ordinanza 26 gennaio 1983, n. 521, G. U. 16 novembre 
1983, n. 315. 

Pretore di Empoli, ordinanze (due) 21 dicembre 1982, nn. 522 e 523/83, 

G. U. 23 novembre 1983, n. 322. 
regolamento interno del consiglio provinciale di Trento, approvato con 
delibera 25 ottobre 1973, n. 7, art. 12, primo comma, secondo periodo (art. 8 
statuto speciale reg. Trentino-Alto Adige e artt. 24, 113, 102 e 108 della Costituzione). 


Consiglio di Stato, sezione quinta, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 537/83, 

G. U. 30 novembre 1983, n. 329. 
d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, art. 92, settimo comma (artt. 3 e 98 della 
Costituzione). 
Consiglio nazionale dei geometri, ordinanze (tre) 1� marzo 1983, nn. 479, 
480 e 481, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. 

legge .reg. Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18 [come sostituito dall'art. 3 
legge reg. 13 gennaio 1978, n. 5] (artt. 97 e 125 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 14 aprile 
1983, n. 597, G. U. 30 novembre 1983, n. 329). 

legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, primo, terzo e quinto comma (art. 3 
della Costituzione). 

Tribunale di Lucca, ordinanza 25 marzo 1983, n. 436, G.U. 2 novembre 1983, 

n. 301. 
legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 27, terzo comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della 
Costituzione). 
Tribunale di Pescara, ordinanza 28 aprile 1983, n. 557, G. U. 14 dicembre 1983, 

n. 342. 
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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO $67 

legge .22 luglio� 1975, n. 382, art. 4, primo comma (artt. 97 e 125 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 14 aprile 
1983, n. 597, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. 

legge 26 luglio 1975, n, 354, artt. 47 cpv. e 54, ultimo comma (artt. 3, 25. e 27 
della Costituzione). 

Sezione di sorveglianza distretto corte d'appello di Messina, .ordinanze (due) 
17 novembre 1976, nn. 506 e 507/83, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. 

legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2-bis [introdotto con l'art; 3 legge 8 ottobre 
1976, n. 689] (art. 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 6 novembre 
1981, n. 420/83, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 9, primo comma (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di Cremona, ordinanze (sei) 9 febbraio 1983, nn. 581-586, G. U. 
16 novembre 1983, n. 315. 
Pretore di Cremona, ordinanze (due) 27 ottobre 1982, nn. 587-588/83, G. U. 
16 novembre 1983, n. 315. 
Pretore di Cremona, ordinanze (due) 17 novembre 1982, nn. 589-590/83, G. U. 
16 novembre 1983, n. 315. 

legge reg. Liguria 31 maggio 1976, n. 16, art. 2 (art. 97 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 2 marzo 1982, 

n. 483/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. 
legge reg. Liguria 31 maggio 1976, n. 16, art. 3 (artt. 117 e 118 della Costi� 
tuzione). 

Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 2 marzo 1982, 

n. 483/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. 
d.I. 23 dicembre 1976, n. 850, art. 1 [come sostituito con legge di conversione 
23 febbraio 1977, n. 29] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 30 aprile 1983, n. 567, G. U. 30 novembre 1983, 

n. 329. 
legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Poggibonsi, ordinanza 21 marzo 1983, n. 519, G. U. 16 novembre 
1983, n. 315. 
Pretore di Poggibonsi, ordinanza 21 marzo 1983, n. 520, G. U. 23 �novembre 
1983, n. 322. 

d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 106, ultimo comma (art. 97 della Costituzione). 
Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 2 marzo 1982, 

n. 483/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. 

168 
PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 1� febbraio 1978, n. 30, art. 9 (artt. 3 e 35 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanza 5 luglio 1983, n. 749, G. V. 14 dicembre 1983, n. 342. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). 
Pretore di Ruvo di Puglia; ordinanza 17 marzo 1983, n. 451, G. V. 2 novembre 
1983, n. 301. 
Pretore di Ruvo di Puglia, ordinanze (due) 18 aprile 1983, nn. 494 e 495, G. U. 
9 novembre 1983, n. 308. 

legge,,27 11,1,glio .19{8, n..�392, artt�.3 e 58 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Carrara, ordinanze (due) 11 febbraio 1983, nn. 484 e 485, G. U. 
9 novembre 1983, n. 308. 
Pretore di Carrara, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 486, G. U. 9 novembre 
1983, n. 308. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3, 58 e 65 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 
Pretore di Carrara, ordinanze (quattro) 11 aprile 1983, nn. 530-533, G. V. 
2 novembre 1983, n. 301. 
Pretore di Carrara, ordinanze (due) 5 marzo 1983, nn. 487 e 488, G. U. 
9 novembre 1983, n. 308. 
Pretore di Carrara, ordinanza 18 aprile 1983, n. 599, G. V. 16 novembre 1983, 

n. 
315. 
Pretore di Carrara, ordinanze (cinque) 31 maggio 1983, nn. 628-632, G. U. 
23 novembre 1983, n. 322. 
Pretore di Carrara, ordinanze (tre) 15 giugno 1983, nn. 652-654, G. U. 
30 novembre 1983, n. 329. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 41, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Corte di appello di Milano, ordinanza 4 febbraio 1983, n. 452, G. U. 
2 novembre 1983, n. 301. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della 
Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 29 gennaio 1982, n. 445/83, G. U. 2 novembre 
1983, n. 301. 
Pretore di Genova, ordinanza 8 marzo 1983, n. 633, G. V. 30 novembre 1983, 

n. 329. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [come modificato dall'art. 1-bis legge 
31 marze�1979r n;-93i, (art.�3 -della�'Costituzione). 
Pretore di Vicenza, ordinanza 15 aprile 1983, n. 529, G. V. 16 novembre 1983, 
Il. 315. 

legge reg. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35, art. 2 (artt. 42 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 20 dicembre 
1982, n. 497/83, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO 

legge prov. di Trento 9 dicembre 1978, n. 56, artt. 1, 2 e 3 (art. 105 dello 
statuto del Trentino-Alto Adige). 

Pretore di Mezzolombardo, ordinanze (due) 11 luglio 1983, nn. 706 e 707, G. U. 
28 dicembre 1983, n. 355. 

legge 3 aprile 1979, n. 101, artt. 17 e 41 (artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 26 ottobre 1981, 

n. 426/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. 
legge 24 dicembre 1979, n. 650, art. 22, sesto comma (art. 24 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Cremona, ordinanze (sei) 9 febbraio 1983, nn. 581-586, G. U. 
16 novembre 1983. n. 315. 
Pretore di Cremona, ordinanze (due) 27 ottobre 1982, nn. 587-588/83, G. U. 
16 novembre 1983, n. 315. 
Pretore di Cremona, ordinanze (due) 17 novembre 1982, nn. 589-590/83, G. U. 
16 novembre 1983, n. 315. 

d.l. 30 dicembre 1919, n. 663, art. 14-septies [aggiunto dalla legge di conversione 
29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 30 aprile 1983, n. 567, G. U. 30 novembre 1983, 

n. 329. 
legge 21 febbraio 1980, n. 284, art. 4, primo comma, lett. b) (artt. 3, 33, 51 
e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per le Marche, ordinanza 14 luglio 1982, 

n. 516/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. 
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 11, quarto comma, lett. a) (artt. 3, 33, 51 
e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per le Marche, ordinanza 14 luglio 1982, 

n. 516/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. 
legge 29 luglio 1980, n..385, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3, 42, 53, 84 e 136 della 
Costituzione). 

Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 15 marzo 1983, n. 525, G. U. 16 novembre 
1983, n. 315. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 9 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Perugia, ordinanza 28 marzo 1983, n. 447, G. U. 2 novembre 
1983, n. 301. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 33, lett. a) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Oristano, ordinanza 21 aprile 1983, n. 618, G. U. 7 dicembre 1983, 

n. 
336. 
Pretore di Oristano, ordinanza 21 febbraio 1983, n. 619, G. U. 7 dicembre 1983, 
n. 336. 

:J.70 
PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (art. 3 della Costituzione), 

Pretore di Modena, ordinanza 17 marzo 1983, n. 514, G. U. 16 novembre 1983, 
n�. 315. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (artt. 3 e 101 della Costituzione). 

Pretore di Legnano, ordinanza 16 maggio 1983, n. 559, G. U. 7 dicembre 1983, 

n. 336. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo 
comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Ginosa, ordinanza 11 marzo 1983, n. 493, G. U. 9 novembre 1983, 

n. 308. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, 54 e 77, primo e 
secondo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Gubbio, ordinanza 4 marzo 1983, n. 527, G. U. 23 novembre 1983, 

n. 322. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Riva del Garda, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 450, G. U. 2 novembre 
1983, n. 301. 
Pretore di Oristano, ordinanze (due) 18 aprile 1983, nn. 489 e 490, G. U. 
2 novembre 1983, n. 301. 
Pretore di Gavirate, ordinanza 18 aprile 1983, n. 491, G. U. 2 novembre 1983, 

n. 
301. 
Pretore di Livorno, ordinanza 5 maggio 1983, n. 500, G. U. 9 novembre 1983, 
n. 
308. 
Pretore di Adria, ordinanza 12 aprile 1983, n. 498, G. U. 9 novembre 1983, 
n. 308. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Oristano, ordinanza 24 marzo 1983, n. 492, G. U. 2 novembre 1983, 

n. 301. 
d.l. 
26 novembre 1981, n. 678, art. 3 [convertito in legge 26 gennaio 1982, 
n. 12] (artt. 3 e 32 della Costituzione). 
Pretore di Pesaro, ordinanza 4 marzo 1983, n. 515, G. U. 16 novembre 1983, 

n. 315. 
d.l. 9 dicembre 1981, n. 721, art. 4, quarto comma [convertito in legge 
5 febbraio 1982, n. 25] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 10 febbraio 1983, n. 750, G. U. 14 dicembre 
1983, n. 342. 

d.l. 
23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis [convertito nella legge 25 marzo 1982, 
n. 94] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 28 febbraio 1983, n. 502, G. U. 9 novembre 
1983, n. 308. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis, primo comma [convertito nella legge 
25 marzo 1982, n. 94] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 22 marzo 1983, n. SOS, G. U. 9 novembre 1983, 

n. 
308. 
Pretore di Milano, ordinanza 21 marzo 1983, n. S3S, G. U. 23 novembre 1983, 
n. 322. 
dJ. 27 febbraio 1982, n. 57, art. 4 [convertito in legge 29 aprile 1982 n. 187, 
art. l] (artt. 3, 24, 42 e 113 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Campania, ordinanza 1� giugno 1982, 

n. S39/83, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. 
legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 14, quinto comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 18 aprile 1983, n. Sl8, G. U. 16 novembre 1983, 

n. 31S. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 24 e 23 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). 

Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 22 febbraio 1983, n. S24, G. U. 30 novem� 
bre 1983, n. 329. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25 e 26 (artt. 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Orvieto, ordinanze (tre) 9 maggio 1983, nn. 730.732, G. U. 21 dicem� 
bre 1983, n. 349. 
Pretore di Orvieto, ordinanza 30 maggio 1983, n. 728, G. U. 21 dicembre 1983, 
a~ . 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42 e 44 della 
Costituzione). 

Tribunale di Modena, ordinanze (due) 26 marzo 1983, nn. S72 e S73, G. U. 
7 dicembre 1983, n. 336. 
Tribunale di Modena, ordinanze (due) 6 aprile 1983, nn. S74-S7S, G. U. 7 dicem� 
bre 1983, n. 336. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41. 42, 43 e 44 della 
Costituzione). � � ' � 

Corte d'appello di Bologna, ordinanza 3 maggio 1983, n. 72S, G. U. 21 dicembre 
1983, n. 349. 
�Corte d'appello di Bologna, ordinanza S lugli� 1983, n. 726, G. U. 21 dicembre 
1983, n. 349. 
Corte d'appello d1 Bologna, ordinanza S luglio 1983, n. 767, G. U. 21 dicembre 
1983, n. 349. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4,. 41, 42, 43, 44 e 46 
della Costituzione). 

Tribunale di Parma, ordinanza 16 febbraio 1983, n. SlO, G. U. 2 novembre 
1983, n. 301. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

Tribunale di Parma, ordinanze (tre) 16 febbraio 1983, nn. 511-5�3, G. U. 
16 novembre 1983, n. 315. 
Tribunale di Arezzo, ordinanza 27 maggio 1983, n. 774, G. U. 21 dicembre 1983, 

n. 349. 
lei;
ge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42, 44 e 46 della 
Costituzione). 

Tribunale di Montepulciano, ordinanze (quattro) 2 giugno 1983, nn. 661-664, 

G. U. 23 novembre 1983, n. 322. 
Tribunale di Montepulciano, ordinanze (quattro) 21 aprile 1983, nn. 576-579, 
G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. 
Tribunale di Montepulciano, ordinanze (due) 19 maggio 1983, nn. 604-605, G. U. 
7 dicembre 
1983, n. 336. 
Tribunale di Montepulciano, ordinanze (cinque) 19 maggio 1983, nn. 606-610, 

G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. 
Tribunale di Montepulciano, ordinanza 3 maggio 1983, n. 611, G. U. 14 dicembre 
1983, n. 342. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28, 30, 32 e 33 (artt. 3, 4; 41, 42, 43 e 44 
della Costituzione). 

Tribunale di Voghera, ordinanza 21 giugno 1983, n. 771, G. U. 21 dicembre 
1983, n. 349. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 31 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 


Tribunale di Macerata, ordinanze (sette) 9 giugno 1983, nn. 665-671, G. U. 
23 novembre 1983, n. 322. 

legge 12 agosto 1982, n. 532, art. 7 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale di Cosenza, ordinanza 2 giugno 1983, n. 643, G. U. 28 dicembre 1983, 

n. 355. 
legge 3 settembre 1982, n. 627, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 15 aprile 1983, n. 536, G. U. 23 novembre 1983, 

n. 322. 
d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, 
n. 873] (art. 11 della Costituzione). 
Corte d'appello di Trieste, ordinanza 18 marzo 1983, n. 591, G. U. 28 dicembre 
1983, n. 355. 

d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, 
n. 873] (artt. 11, 23 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Ancona, ordinanze (tre) 21 marzo 1983, n. 678-680, G. U. 7 dicembre 
1983, n. 336. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 171 

d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [convertito in 
legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, ll, 23 e 24 4eJia Costituzione). 
Corte d'appello di Torino, ordinanza 29 aprile 1983, n. 592, G. U. 21 dicembre 
1983, n. 349. 

d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [convertito in 
legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 25 febbraio 1983, n. 593, G. U. 14 dicembre 1983, 
Il. 342. 

dJ. 12 settembre 1983, n. 463, artt. 21, secondo comma, e 26 (artt. 117 e 119 
della Costituzione). 

Regione Emilia-Romagna, ricorso 18 ottobre 1983, n. 37, G. U. 2 novembre 1983, 

n. 301. 
dJ. 18 ottobre 1983, n. 568, art. 1 (art. 5 n. 1 statuto Trentino-Alto Adige). 

Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 30 novembre 1983, n. 38, G. U. 14 dicem� 
bre 1983, n. 342. 

legge approvata dal� Consiglio regionale reg. Sicilia il 16 novembre 1983 (arti� 
coli 14 e 17 dello statuto regione siciliana). 

Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 3 dicembre 1983, n. 39, 

G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. 

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