ANNO XXXV -N. 6 NOVEMBRE -DICEMBRE 1983 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1984 ABBONAMENTI ANNO 1983 ANNo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 29.000 UN NUMERO SEPARATO ���� , � � � � . � � � � � � � � � � � � . . � 5.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in ltaly Autorizz.,,ione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (5219127) Roma, 1984 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/' avv. Franco Favara} . . . . . . pag. 791 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA de/l'avv. Oscar E INTERNA� Fiumara} � 836 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio �ingolo} . . li 863 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Antonio Catrical� e Paolo Cosentino} li 889 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli avvocati Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) 111 910 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vocato Carlo Bafi/e} (a cura de/l'avli 922 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria} � 958 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni} � 975 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE � INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI � NOTIZIARIO QUESTIONI .. pag. 117 LEGISLAZIONE � 161 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NORI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco A.RGAN, Torino; MauriZio DE FRANcHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANOO, Venezia. ARTICULI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI G. MANZARI, AVVOCATO GENERALE DELLO STATO: Legislazione speciale per combattere il terrorismo e la criminalit� organizzata nel rispetto delle garanzie costituzionali . . . . . . . . . . . . . . pag. V C. BAFILE: Considerazioni sugli effetti della dichiarazione . . . . . . I, 935 F. GuccIARDI: Problematiche inerenti la confisca penale valutaria, con particolare riguardo alla confisca di azioni . . . . . . . . . . . I, '116 G. PALMIERI: Nota minima in tema di responsabilit� precontrattuale della pubblica amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 864 Atti ~ell'!ncontro di studio su " Il giudice nazionale e il diritto comunitario � ............................. . II, 117 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA AMNISTIA E INDULTO -Legge di delegazione -� sufficiente la promulgazione anteriore al decreto presidenziale, 832. ARBITRATO -Clausola compromissoria in contratto della regione Sicilia -Richiamo al capitolato generale oo.pp. del 1895 -Fonte negoziale dell'arbitrato obbligatorio -Sopravvenienza del capitolato generale oo.pp. del 1962 e delle leggi regionali n. 19 del 1972 e n. 21 del 1973 -Derogabilit� della competenza arbitrale per unilaterale volont� di una parte -Esclusione, con nota di F. FRATTINI, 959. -Competenza arbitrale -Clausola compromissoria -Estensione a tutte le controversie aventi origine dal contratto, con nota di F. FRATTINI, 958. -Competenza arbitrale -Connessione con causa pendente dinanzi all'A. G.O. -Prevalenza della competenza del giudice ordinario, con nota di F. FRATTINI, 958. ATTO AMMINISTRATIVO -Annullamento d'ufficio -Concessione di costruzione -Motivazione -Spe- Annullamento d'ufficio -Tempestivit� -Sufficienza interesse pubblico al ripristino legalit�, 921. -Prova dei fatti -Facolt� di allegazione del privato e poteri istruttori della P.A., 816. AVVOCATI E PROCURATORI -Dipendente da un comune -Indennit� di toga � Inclusione nella base pensionabile, 821. CACCIA -Esercizio in luogo vietato -Sequestro dell'arma -Efficacia del prov� vedimento -Durata, 895. -Esercizio in luogo vietato -Verbale di contravvenzione -Pubblica fede -Limiti, 895. COMUNI -Delega di funzioni amministrative al Comune -Individuazione del� l'organo comunale competente -Fa� colt� del legislatore regionale, 829. COMUNIT� EUROPEE -Agricoltura -Integrazione di prez� zo ai produttori di olio di oliva ACQUE PUBBLICHE -Piano regolatore generale degli acqued�tti -Prescrizioni sull'uso delle acque non traducentiS!� in vincolo di portata -Effetti, 972. AGRICOLTURA E FORESTE -Terre incolte o insufficientemente coltivate -Concessione ai contadini -Legittimit� costituzionale, 816. cificazione ragione pubbico interesse -Affidamento del privato � Fat� tispecie, 920. -Annullamento d'ufficio � Giustificazione interesse pubblico -Non necessariet� per atto attributivo � sta� tus � illegittimo, 921. -Annullamento d'ufficio � Motivazione -Comparazione interesse pubbli� co e privato -Non necessariet� per interesse privato non merite� vole di tutela -Stipendi non dovuti, 920. INDICE ANALITICO-ALFABBTICO DBLLA GIURISPRtJOONZA accordata da regolamenti comunitari -Termine per il pagamento Disciplina applicabile, 856. -Corte di giustizia -Domanda di pronuncia pregiudiziale -Giudice competente a proporla -Presidente del Tribunale nel procedimento per decreto ingiuntivo, con nota di S. LAPORTA, 848. -Libera circolazione delle merci -Restrizioni giustificate da motivi di tutela della � salute -Derrate alimentari -Aggiunta di vitamine -Disciplina nazionale, 836. -Libera circolazione delle merci -Restrizioni giustificate da motivi di tutela della salute -Derrate alimentari -Aggiunta di vitamine -' Poteri delle autorit� nazionali -Limiti, 836. -Unione doganale � Dazi doganali . Pagamento -Casi di dispensa -Perdita della merce � Furto -Irrilevanza, 844. -Unione doganale � Rimborso o sgravio di diritti all'importazione o all'esportazione -Regolamento CEE del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430 Ambito di applicazione, con nota di S. LAP0RTA, 848. -Unione doganale � Tributi nazionali riscossi in contrasto con il diritto comunitario � Ripetizione -Ripercussione sul prezzo dei prodotti . Effetti, con nota di S. LAPORTA, 848. CONTRATTI (IN GENERALE) -Interruzione ingiustificata delle trattative -Responsabilit� precontrattuale -Sussiste, con nota di G. PALMIERI, 863. -Redazione scritta delle trattative svoltesi -Ipotesi della c.d. puntuazione � Recesso -� consentito Eventuale responsabilit� precontrat� tuale � Sussiste, con nota di G. PALMIERI, 863. CORTE COSTITUZIONALE -Legittimazione a sollevare questione incidentale di legittimit� costituzionale -Pretore adito ex art. 700 cod. proc. civ. -Limiti, 815. CORTE DEI CONTI -Giurisdizione contabile -Ente pubblico economico e suoi dipendenti � Non sussiste � L'ISVEIMER � ente pubblico economico -Giuri sdizione contabile da parte del1' A.G.O., 882. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA -Accertamento dei presupposti e adozione del provvedimento abitatorio -Concentrazione delle due funzioni del medesimo organo -Legit� timit� costituzionale, 829. -Occupazione � Occupazione d'urgenza � Edilizia scolastica � Rapporti tra Ministero dei LL.PP. e Amministrazioni provinciali -Schema dell'affidamento in concessione, 892. GIURISDIZIONE CIVILE -Regolamento di giurisdizione -Riforma fondiaria � Assegnazione con patto di riservato dominio -Reces� so dell'assegnatario -Spettanze conseguenti -Concessione di beni patrimoniali indisponibili -Art. 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 -Giurisdi zione esclusiva del giudice amministrativo -Non compromettibilit� in arbitri, 879. ..... Regolamento -Procuratore generale della Corte dei conti -Avvocatura dello Stato -Rappresentanza in giudizio -� inammissibile, 881. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Incompetenza territoriale -Regolamento di competenza -Questione di costituzionalit� manifestamente infondata, 916. -Notificazione del ricorso all'autorit� emanante -Regione Sardegna -Notificazione al Presidente della Giunta -Validit� anche per impugnazione di atto di un assessore -Piano di zona per l'edilizia economica e popolare, 914. VDJ INDICB ANALITICO-ALFABBTIOO DBLLA GIURISPRUDENZA -Sospensione Occupazione d'urgen� za � Obbligo di restituzione � Realizzazione opera pubblica -Irreversibilit� dell'occupazione, 910. � IMPIEGO PUBBLICO -Atto formale di nomina � Illegitti� mo � Controversia di lavoro � Giu� risdizione amministrativa � Fattispecie, con .nota di G. PALMIERI, 874. -Dirigente � Responsabilit� dirigenziale � Caratteristiche, 915. -Dirigente � Responsabilit� dirigenziale � Contraddittorio � Fatti con� testati, 915. -Dirigente � Responsabilit� dirigen� ziale per atti del Ministro � Valutabilit�, 915. -Dirigente � Responsabilit� dirigenziale -Valutazione -Disfunzioni oggettive � Incensurabilit�, 915. -Ente pubblico non economico � Atto formale di nomina -Carenza -Controversia di lavoro � Giurisdizione amministrati.va � Fattispecie, con nota di G. PALMIERI, 875. IMPUGNAZIONI PENALI -Sentenza emessa dalla Corte di appello in sede di rinvio della Cassazione relativamente a sola misura di sicurezza � Ricorso per cassazione � Inammissibilit�, '175. LAVORO -Braccianti agricoli � Indennit� di maternit� � Requisiti instaurazione di un valido rapporto assicurativo � Maturazione delle 51 giornate lavorative � Necessit�, 895. -Danni da infortunio sul lavoro � Credito per risarcimento . Privile� gio generale, 834. -Infortuni � Diritto alla rendita . Dipendenti P.T. addetti agli uffici � Condizioni, 889. OPERE PUBBLICHE -Appalto � Licitazione privata � Diniego approvazione � Aggiudicazione -Gravi motivi -Convenienza nuova gara -Idoneit�, 913. -Appalto -Licitazione privata -Diniego approvazione -Aggiudicazione Gravi motivi -Eccezionalit� Motivazione, 913. -Appalto -Licitazione privata -Diniego approvazione -Aggiudicazione -Gravi motivi -Sindacabilit� della coerenza e logica dell'azione amministrativa, 913. PROCEDIMENTO PENALE -Connessione e competenza Concorso di minorenni e maggiorenni nello stesso reato -Evoluzione dell'ordinamento, 794. -Estinzione del reato per amnistia o indulto -Appellabilit� della sentenza, 799. -Preistruttoria di polizia -Immediata perquisizione sul posto � Possibilit� di farsi assistere da un difensore -Mancata previsione -Legittimit� costituzionale, 810. -Rito direttissimo -Interesse dell'imputato a separata fase istruttoria Non � costituzionalmente garantito -Termine per la presentazione al dibattimento -Mancata determinazione ex lege -Legittimit� costituzionale, 791. REATO -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1'176, n. 159 e suc� cessive modifiche -Confisca di azioni -Ordine di annotazione della sentenza nei registri dei soci; con nota di F. GUICCIARDI, 97'5. -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e suc� cessive modifiche -Confisca prevista dall'art. 240 cod. pen. -Op� portunit� di disporla ove permanga la disponibilit� all'estero, con nota di F. GUICCIARDI, 975. INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA REGIONI -Costruzione di asili nido -Rientra nella materia lavori pubblici di interesse regionale, 829. -Lavori pubblici di esclusivo interesse regionale -Opere portuali Classificazione dei porti -� attri� buzione amministrativa dello Stato, 812. SANIT� -Convenzionamento esterno -Accordo Nazionale -Decreto presidenzia� le di esecuzione -Impugnazione � � lus superveniens � -Irrilevanza, 917. -Accordo nazionale -Convenzionamento esterno -Dereto presidenziale di esecuzione -Impugnazione Regione -Controinteressati -Esclusione, 916. -Convenzionamento esterno -Accordo nazionale -Decreto presidenziale di esecuzione -Impugnazione Regione -Intervento -Ammissibilit�, 916. -Convenzionamento esterno -Accordo nazionale -Decreto presidenziale di esecuzione -Impugnazione Soggetti legittimati, 916. -Servizio Sanitario nazionale -Principio generale libera scelta -Inesistenza, 917. - Servizio Sanitario nazionale -Strutture pubbliche -Presidi privati convenzionati -Pari ordinazione -Utilizzabilit� presidi privati solo in difetto tempestiva prestazione struttura pubblica -Illegittimit�, 917. TRENTINO ALTO ADIGE -Provincia di Bolzano -Parificazione delle lingue italiana e tedesca -Riserva di norme di attuazione dello statuto -Non sussiste -Effettivo bilinguismo degli addetti a pubbliche funzioni od a servizi di pubblico interesse -Obbligo -Farmacisti -Sono addetti a servizio di pubblico interesse, 823. TRIBUTI (IN GENERE). -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle commissioni Appello -Notifica ad istanza di parte e successivo deposito nella segreteria -�Nullit� -Sanatoria Esclusione, 954. -Contenzioso tributario -Ricorso alla commissione centrale -Motivazione -Finalit� -Requisiti, 948. -Dichiarazione -Effetti -Rettifica a favore del contribuente -Esclusione, con nota di C. BAFILE, 935. -Sanzioni -Provvedimento di irrogazione -Natura dichiarativa -Nascita dell'obbligazione al momento della commissione, 949. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Imposta complementare progressisa sul reddito complessivo -Partecipazione in societ� di persone -Determinazione con riferimento alla quota del reddito sociale -Effettiva percezione da parte del socio Irrilevanza, 953. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Soggetto passivo -Tassazione facoltativa in base a bilancio -Societ� di capitali trasformata in societ� di persone -Domanda espressa -� necessaria, 922. -Imposta sulle societ� -Agevolazione per il Mezzogiorno -Societ� per l'esercizio di cantieri edili -Si estende, 945. -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Oneri deducibili -Omessa documentazione -Ricorso contro il ruolo -Dimostrazione -Ammissibilit�, 943. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Trasferimento di immobili -Vendita forzata senza incanto, 834. -Imposta sul valore aggiunto (IV A) Evasione -Misure cautelari a garan� zia del credito per pena pecuniaria -Iscrizione d'ipoteca -Competenza a richiederla -Spetta all'Intendente di finanza, 904. -Imposte di fabbricazione -Interessi su pagamento dilazionato-Articolo 3-quater d.l. 6 luglio 1974, n. 251 introdotto con legge di conversione X INDICB ANALITIOO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 14 agosto 1974, n. 346 -Entrata in vigore -Data di pubblicazione del� la legge di conversione, 925. -Imposte doganali � Correzione della liquidazione -Applicazione di una diversa voce di tariffa -Ingiunzione � Legittimit� -Revisione dell'accertamento � Non necessaria, 932. -Imposte doganali -Ingiunzione � Motivazione -Requisiti, 932. -Imposte in surrogazione del bollo e del registro � Credito a medio e lungo termine -Regime sostitutivo . Contratto condizionato di mutuo Risoluzione consensuale -Applicabilit�, 928. TRIBUTI LOCALI -Imposta comunale sull'incremento degli immobili � Rettifica del valo re finale � Adeguamento del valore iniziale dichiarato da parte dell'ufficio o del giudice -Esclusione Impugnazione del contribuente contribuente -Aumento del valore iniziale dichiarato -Ammissibilit� . Limiti, con nota di C. BAFILE, 935. INVIM � Applicazione per decorso del decennio -Determinazione del va� lore iniziale � Legittimit� costituzionale, 802. INVIM � Base imponibile . Inclusione in essa della componente imputa� bile alla svalutazione monetaria Legittimit� costituzionale, 802. INVIM � Trasferimento di immobili In regime IVA -Esclusione della rettifica del corrispettivo fatturato . Legittimit� costituzionale, 803. k .. Ir. ~.,~~~*74~~ INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 13 giugno 1983, n. 164 18 luglio 1983, n. 222 21 luglio 1983, n. 224 . 25 luglio 1983, n. 239 . 26 settembre 1983, n. 261 26 settembre 1983, n. 262 29 settembre 1983, n. 276 29 settembre 1983, n. 286 (ord.) 10 ottobre 1963, n. 301 10 ottobre 1983, n. 302 _18 ottobre 1983, n. 312 20 ottobre 1983, n. 319 20 ottobre 1983, n. 321 28 novembre 1983, n. 326 28 novembre 1983, n. 328 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE Sez. V, 14 luglio 1983, nella causa 174/82 . . . . . . Sez. IV, 5 ottobre 1983, nelle cause riunite 186 e 187/82 9 novembre 1983, nella causa 199/82 ...... . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 15 luglio 1982, n. 4171 Sez. I, 20 luglio 1982, n. 4257 . Sez. Un., 15 gennaio 1983, n. 320 Sez. Un., 9 maggio 1983, n. 3152 Sez. I, 9 giugno 1983, n. 3952 Sez. I, 16 giugno 1983, n. 4123 Sez. I, 16 giugno 1983, n. 4126 Sez. I, 20 giugno 1983, n. 4229 Sez. Lavoro, 2 luglio 1983, n. 4452 Sez. I, 4 luglio 1983, n. 4470 Sez. I, 6 luglio 1983, n. 4527 Sez. I, 6 luglio 1983, n. 4531 pag. 791 � 794 � 799 � 802 � 810 )) 803 )) 812 � 815 � 816 )) 821 � 823 )) 829 � 832 � 834 � 834 pag. 836 )) 844 � 848 pag. 958 � 958 � 889 )) 863 � 892 )) 922 )) 925 � 959 )) 895 � 928 � 932 )) 935 XD INDICE CRONOLOGICO Dfll.LA GIURISPRUDENZA Sez. I, 12 luglio 1983, n. 4730 pag. 943 Sez. I, 12 luglio 1983, n. 4731 � 945 Sez. I, 15 luglio 1983, n. 4868 � 948 Sez. Un., 20 luglio 1983, n. 5002 � 874 Sez. Un., 20 luglio 1983, n. 5003 � 875 Sez. I, 13 settembre 1983, n. 5552 � 949 Sez. I, 16 settembre 1983, n. 5583 � 953 Sez. I, 26 settembre 1983, n. 5692 � 954 Sez. Un., 12 ottobre 1983, n. 5924 � 879 Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6178 � 881 Sez. I, 9 novembre 1983, n. 6628 � 895 Sez. I, 12 novembre 1983, n. 6738 � 856 Sez. I, 29 novembre 1983, n. 7162 � 904 TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE 19 ottobre 1983, n. 38 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 972 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., ordinanza 1� giugno 1983, n. 14 pag. 910 Sez. IV, 11 aprile 1983, n. 223 � 913 Sez. IV, 9 maggio 1983, n. 285 )) 914 Sez. IV, 24 maggio 1983, n. 330 � 915 Sez. V, 25 marzo 1983, n. 112 )) 916 Sez. V, 1 agosto 1983, n. 342 � 920 Sez. VI, 13 gennaio 1983', n. 2 � 920 Sez. VI, 4 ottobre 1983, n. 682 � 921 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Pen., 18 novembre 1983, n. 1832 . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 975 CORTE DI APPELLO DI GENOVA Sez. I-A, 15 marzo 1983, n. 418 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 975 PARTE SECONDA QUESTIONI Atti dell'incontro di studio su �Il giudice nazionale e il diritto comunitario� . . . . . . . . . . . . . pag. 117 LEGISLAZIONE I. � Norme dichiarate incostituzionali pag. 161 II. � Questioni dichiarate non fondate � 161 III. -Questioni proposte � 162 LEGISLAZIONE SPECIALE PER COMBATTERE IL TERRORISMO E LA CRIMINALIT� ORGANIZZATA NEL RISPETTO DELLE GARANZIE COSTITUZIONALI (*) I 1. -POSIZIONE DEL PROBLEMA. � stato notato giustamente che � impossibile costruire una categoria unitaria del terrorismo, a meno di non cadere in astrazioni metafisiche. Si pu�, in generale, dire che quello itaiLiiano contemporaneo corriiisiponde a.i connotati del terrorismo urbano della �nuova smistra�, cui appartengono anche i simbionesi americani e la Rote Armee Fraktion tedesca ed �, come quelli, caratterizzato dalla sua organizzazione criminale. 2. -CRIMINE ORGANIZZATO E DIRITTO PENALE. La risposta dell'ordinamento penale alla criminalit� organizzata deve necessariamente adeguarsi all'entit� del fenomeno: quando, infatti, l'organizzazione superi una certa soglia dimensionale, quantitativa o qualitativa, essa minaccia di diventare eversiva del sistema. La minaccia � proporzionale all'estendersi dell'organizzazione in un determinato territorio, al crescere dell'elemer.to personale rappresentato dagli aderenti, al costituirsi di un ordinamento giuridico al suo interno, alla proclamazione di valori-guida, ovviamente contrapposti a quelli statuali. In tali circostanze il conflitto con l'organizzazione statuale pu� assumere le forme della guerriglia (quando non si trasformi in guerra civile) e pu� sollecitare misure di reazione di tipo militare con sospensione delle garanzie costituzionali. Il fenomeno si � variamente atteggiato in Italia, come in rapida sintesi mi propongo di esporre per l'inquadramento nel contesto storico dei problemi giuridici da valutare. (*) Nello scorso dicembre, l'Avvocato Generale dello Stato � stato invitato a tenere, negli Stati Uniti, una serie di Conferenze sul terrorismo e .fa criminalit� organizzata in Italda. Viene qui pubblicata quella tenuta all'Universit� di Berkeley. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO XVI II 3. -LA CRIMINALIT� ORGANIZZATA E IL TERRORISMO IN ITALIA PRIMA DEL 1970. Si pu�, con qualche necessaria approssimazione, assumere il 1970 come l'anno in cui si verifica in Italia un �salto di qualit�� nei fenomeni di criminalit� comune organizzata. e di terrorismo. Le forme di criminalit� organizzata fino allora operanti possono schematicamente ricondursi ai seguenti cinque ceppi criminologici: -la malavita dell'Italia settentrionale, che operava con organizzazione di modesta dimensione secondo uno schema comune a quello di tutte le societ� opulente (ad es. il classico �milieu� francese); -il banditismo sardo, che si ricollegava alla � sottocultura violenta � di una societ� �separata� -in particolare in Barbagia -che si rifiutava d'integrarsi nello Stato, restando chiusa per ragioni storiche, geografiche e sociologiche in un sistema agro-pastorale, in cui abigeato, rapina, omicidio costituivano quasi norme di vita; -la �camorra� napoletana,, la �'ndrangheta� calabrese, la �mafia� siciliana: queste tre forme si caratterizzavano per essere legate a societ� agricole di modeste dimensioni economiche, per avere qualche ispirazione sociale di tipo hobsbamwiano e per la pretesa di � supplenza � nei confronti del potere statale sentito come assente o nemico. Complessivamente nessuno degli indicati fenomeni appariva tanto minaccioso da richiedere una particolare reazione e si confidava -negli anni '50 e '60 -nel superamento della criminalit� organizzata, tipica del Mezzogiorno, con lo sviluppo della civilt� e del benessere. Anche il terrorismo non dest� in quel periodo preoccupazioni gravi, limitato, com'era, a due settori: quello alto-atesino e quello neofascista. Il primo, insorto in seno al gruppo linguistico tedesco del Trentino Alto-Adige, appariva ricalcare schemi di stampo ribellistico ottocentesco, vicini alla visione romantica cara a Shelley della � tempestosa bellezza del terrore� e generalmente si rivolgeva solo contro le cose (come i tralicci dell'alta tensione). L'altra forma non preoccupava per la scarsa consistenza oggettiva delle sue manifestazioni, per l'evanescenza della struttura organizzativa di appoggio e per la scarsa idoneit� degli ideali retrostanti a coagulare simpatia e consenso. 4. -LA RISPOSTA DELL'ORDINAMENTO. Il codice penale del 1930 si limitava a considerare come aggravante la partecipazione al reato di pi� di cinque persone e configurava come NOTA REDAZIONALE xvn reati a s� l'associazione a delinquere semplice o qualificata da particolari finalit� illegali. Nel dopoguerra, la legge n. 42 del 1948 si limit� a vietare le Associazioni militari, e, poi, la Costituzione repubblicana viet� le as,sociazioni segrete e quelle militari con scopi politici. Furono in seguito emanate le leggi n. 1423 del 1956 e 575 del 1965 che prevedevano misure di prevenzione nei confronti di persone pericolose per la sicurezza pubblica e la pubblica moralit� e indiziate di appartenenza ad associazioni ma� fiose. L'idea go.ida del legislatore fu quella di sradicare il soggetto pericoloso dal suo territorio in modo da disintegrare l'organizzazione locale per poi eliminarla: l'effetto fu opposto, perch� il trapianto di focolai della malavita meridionale ne favor� il dilagare nell'ambito della pi� ricca economia dei luoghi di soggiorno. Quanto alla normazione processuale del codice di rito -fedele ad uno schema di tipo schiettamente inquisitorio, coerente con l'epoca della sua emanazione, coeva al codice sostantivo -si ebbe negli anni del dopoguerra un fenomeno di liberalizzazione, grazie a interventi legislativi novellistici ed a pronuncie della Corte costituzionale, che accentuarono le garanzie del diritto alla difesa e limitarono i poteri di polizia giudiziaria e la durata della carcerazione preventiva. L'ultima iniziativa legislativa in tal senso fu la legge n. 98 del 1974 in tema di intercettazioni t~lefoniche. III 5. -CRIMINALIT� ORGANIZZATA E TERRORISMO DOPO IL 1970. Il panorama cambia radicalmente negli anni settanta: in essi mala� vita e terrorismo si sviluppano in maniera sconcertante dando luogo a fenomeni di interconnessione sempre pi� gravi e allarmanti. Accanto al terrorismo nero, divenuto pi� feroce ed efficiente (strage di Brescia, treno Italicus, strage di Bologna) sorge quello rosso, alimentato dall'ampio retroterra di una cultura di sinistrn e sostenuto da un'area di simpatizzanti che era, almeno all'inizio, tale da consentire agli aderenti di nuotarvi dentro come �pesci�, secondo la classica immagine di Mao. Viene raggiunta un'organizzazione particolarmente efficiente che � stata ricostruita ed � emersa in pieno nel corso del processo Moro. Vale la pena di farne un cenno: essa prevedeva al vertice una Direzione strategica coadiuvata da un Consiglio, cui spettava, insieme xvm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO all'alta direzione politica, quello che in termini di dottrina dello Stato potrebbe definirsi il potere legislativo. Accanto alla direzione strategica era previsto un Comitato esecutivo che praticamente riuniva il potere esecutivo e quello giudiziario. L'apparato militare era composto di colonne -autosufficienti e indipendenti organizzativamente -in cui confluivano brigate -dotate di autonomia tattica -a loro volta suddivise in cellule di non meno di 3 e non pi� di 5 unit�, che formavano i minimi nuclei operativi. Tutta l'organizzazione era dominata dal principio di compartimentazione in senso verticale e orizzontale nei rapporti con superiori e collaterali. Parallelamente all'organizzazione militare si svilupp� un'organizzazione politica costituita dai Comitati rivoluzionari affiancati alle colonne. In un secondo momento intervennero i Fronti, organi di mediazione politica tra Direzione strategica e colonne. Una struttura complessa e articolata, che ricorda quella di organizzazione della guerra partigiana e che riecheggia per molti aspetti la doppia subordinazione del sistema costituzionale-amministrativo sovietico. Le B.R. avevano inoltre istituito una rete di contatti con altri gruppi di analoga matrice, tra i quali si possono ricordare P.L. e N.A.P. A tali organizzazioni risalgono i feroci omicidi di decine di politici, di magistrati, giornalisti, avvocati, sindacalisti, il sequestro e l'assassinio dell'on. Moro, che segn� il punto pi� alto e pi� tragico dell'attacco portato �al cuore dello Stato�. In quel torno di tempo il fenomeno della malavita comune organizzata si acutizzava con l'estendersi dei suoi allacciamenti e con la tendenza a fondersi tra loro delle organizzazioni tradiz�onali. Queste perdevano via via il retaggio di qualche valore positivo, anche se deviante, con l'abbandono del settore povero dell'economia agricola e la penetrazione in quelli pi� ricchi dell'edilizia privata e pubblica e del- l'industria. Traffico di droga e racket del commercio diventano vere e proprie industrie ramificate ormai sul territorio nazionale, conservando� tuttavia delle origini tutta l'efficacia intimidatoria e la legge ferrea del- l'omert�. Il banditismo sardo esporta nel continente il � know-how � del sequestro di persone. Si intensificano i contatti oggettivi e soggettivi tra malavita comune e malavita politica per il diffondersi, da una parte, della pratica dell'autofinanziamento mediante i reati comuni, con il proliferare, dall'altra, delle � conversioni � ideologiche, specie nelle carceri, dei delinquenti comuni sotto l'incalzare del �proselitismo� politico. Il crimine organizzato -ormai non pi� nettamente distinguibile tra malavita e terrorismo -penetra e si diffonde nei settori pi� ricchi della NOTA REDAZIONALE economia italiana ed i proventi criminali raggiungono dimensioni rile� vantissime infiltrando tutto il tesssuto economico col riciclaggio attra� verso le banche, le case da gioco, l'esportazione e importazione di valuta. Sembra che si verifichi per le org�nizzazioni criminali non pi� con� finate in sacche localizzate una sorta di metastasi, che aggredisce la societ� civile dovunque e a tutti i livelli. 6. -LA RISPOSTA DELL'ORDINAMENTO. a) La legislazione d'emergenza -antiterrorismo. Vincendo la tentazione del ricorso a misure straordinarie (lo stato di guerra) il legislatore italiano reag� al terrorismo con una serie di normative che ancorch� frammentarie e disorganiche, non sono risultate -sia detto senza trionfalismi -prive di successo. Il drammatico crescendo di tali misure viene significativamente espresso dall'intitolazione delle leggi: si va dalla legge n. 497 del 1974 intitolata �nuove norme contro la criminalit�� alla legge n. 152 del 1975 e 533 del 1977 intitolate alla �tutela dell'ordine pubblico� e si arriva poi al d.l. n. 625 del 1979 (convertito in legge n. 15 del 1980) intitolato alla �difesa dell'ordine democratico� e alla legge n. 646 del 1982, intitolata alla �difesa dell'ordinamento costitu zionale�. Senza poter esaminare i numerosi articoli che la compongono cer cher� di sintetizzzare le direttive di tale normazione, che risultano le seguenti: i) interventi strumentali indiretti come la disciplina delle armi (anche improprie) e degli esplosivi; il divieto di uso di caschi e altri mezzi idonei a rendere difficile il riconoscimento; l'obbligo di comunicare alla polizia gli atti di disposizione di immobili; il sequestro obbligatorio di immobili in cui siano rinvenute armi ed esplosivi; ii) potenziamento dei poteri di polizia: in particolare il fermo e la perquisizione anche fuori dei casi di flagranza, salvo il controllo succes sivo dell'autorit� giudiziaria; la possibilit� di perquisizione di interi bloc chi di edifici su autorizzazione del Procuratore generale della Repubblica; iii) strumenti processuali: come l'ampliamento del giudizio diret tissimo, l'obbligatoriet� del mandato di cattura, il diniego della conces sione della �libert� provvisoria�; la proroga fino ad un terzo della durata della carcerazione preventiva per i reati aggravati da finalit� di ter rorismo; xx RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO iv) strumenti sostanziali: in particolare la creazione di nuove ipotesi di reato come l'associazione con finalit� di terrorismo e di eversione dell'ordinamento democratico, l'aggravamento di pene per reati connessi col terrorismo (ad es. sequestri di persona) e la previsione generale di aggravante per tutti i reati con finalit� terroristica; v) nuove esimenti ed attenuanti: queste sono state previste per ipotesi di dissociazione e di pentimento a favore dei compartecipi che si risolvano a collaborare con la giustizia. Tale normativa, che rappresenta un'assoluta novit� nel sistema italiano dove l'azione penale � obbligatoria e irretrattabile, sembra aver notevolmente contribuito ai successi ottenuti ultimamente. b) La legislazione antimafia. Senza indugiare su misure minori come l'obbligo di identificazione di chi compia operazioni bancarie o presso pubblici uffici d'importo ecce� dente i 20 milioni (legge n. 533 del 1975), ovvero come la sospensione dell'amministrazione dei beni personali -esclusi quelli destinati alla professione o ad attivit� produttive (legge n. 152 del 1975) -va ricordata la svolta decisiva che si � avuta con la legge n. 646 del 1982, che individua una nuova figura di reato � l'associazione di tipo mafioso � che si ha � quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omert� che ne deriva, per commettere delitti, per acquisire in modo dii.retto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attivit� economiche, di concessioni, di autorizzazione, appalti o servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per s� o per altri�. Si tratta di una previsione normativa ad ampio spettro che mira a colpire tutte le forme di delinquenza organizzata proprio nel momento pi� pericoloso, che � quello della loro infiltrazione nell'economia pubblica. Allo scopo sono previste misure strumentali: come l'attribuzione al Procuratore della Repubblica di speciali poteri d'indagine sul tenore di vita, sulle disponibilit� finanziarie e sul patrimonio degli indiziati, del coniuge, dei figli e di chi abbia convissuto negli ultimi quattro anni, nonch� delle persone giuridiche su cui l'indiziato abbia il controllo pi� o meno esteso. Sono altres� previste misure cautelari come il sequestro dei beni ritenuti di illecita provenienza o derivanti dal reimpiego, salva la confisca in caso di condanna. Misure sostanziali vengono adottate prevedendo nuove figure di reati, quali la concorrenza con violenza o �minaccia in attivit� commerciali o comunque produttive, e come l'incriminazione dei pubblici dipendenti e amministratori che non osservino le norme restrittive prescritte per NOTA REDAZIONALE il rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni, ecc., o non applichino le misure di ritiro o di decadenza prescritte dalla legge. Numerose altres� le norme strumentali di incidenza fiscale o valutaria come la prescrizione, in caso di sentenza anche non definitiva di condanna, alla Guardia di Finanza di procedere alla valutazione della posizione fiscale, anche con riguardo a illeciti valutari e societari; la previsione della cattura obbligatoria in caso di accertamento positivo, e l'iscrizione dell'esito in apposita �banca dati� presso il Ministero dell'interno. � istituito un regime di controllo patrimoniale dei dieci anni successivi all'emanazione della condanna, con obbligo di comunicare tutte le variazioni patrimoniali superiori ai 20 milioni e con l'elevazione a specifico reato dell'eventuale inadempimento a tale obbligo. Va anche ricordata la creazione di una Commissione parlamentare sul terrorismo e la mafia e di un Alto Commissario per il coordinamento con poteri straordinari d'indagine. Si pu�, infine, ricordare la legge n. 17 del 1982, emanata in occasione dello scioglimento della Loggia P2 che, in attuazione dell'art. 28 della Costituzione, ha definito la figura del reato di associazione segreta. IV 8. -PROBLEMI DI COSTITUZIONALIT�. La legislazione di emergenza ha sollevato problemi di compatibilit� di alcune norme con i principi della carta costituzionale, segnatamente quelli dell'inviolabilit� della libert� personale e domiciliare, della durata della carcerazione preventiva e della difesa dell'imputato. Altri problemi potrebbero prospettarsi per la legislazione antimafia in relazione ai principi di rispetto della propriet� e dell'iniziativa economica privata. La Corte costituzionale ha avuto occasione di enunziare una serie di principi che consentono di ritenere che anche la pi� recente normativa in esame, pur assai severa, non travalichi i limiti della legalit� democratica costituzionalmente garantita. Con le due importanti sentenze n. 125 del 1979 e n. 15 del 1982 la Corte ha indicato tre criteri alla luce dei quali va condotta l'indagine della legislazione antiterrorismo (e il principio sembra doversi estendere a quella antimafia): l'effettivit�, la ragionevolezza e l'emergenza. L'effettivit� -riferita al diritto di difesa -comporta di valutare se a ciascuno � consentita in concreto una difesa adeguata e congruente con riferimento al tipo di procedimento cui � assoggettato. Il principio, affermato per escludere il diritto all'autodifesa in sede penale, costituisce un parametro generale che sembra idoneo ad esclu XXII RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dere che la legislazione in esame abbia violato il diritto alla difesa, dato che essa mette sempre gli interessati in condizione di tutelare i propri interessi. Il principio di ragionevolezza legittima una reazione normativa pi� severa per comportamenti indubbiamente pi� gravi e pericolosi di quelli di criminalit� comune. La constatazione di un'emergenza in atto, infine, giustifica sia pure con implicito riferimento ad una necessaria temporaneit� dei ri� medi -un rigore commisurato alle difficolt� del momento. Del resto il nostro ordinamento ha apprestato una misura particolarmente importante di garanzia come l'istituzione del Tribunale della libert� (legge n. 532 del 1982). Esso assicura inoltre l'importante tutela di ben tre gradi di giurisdizione, ed offre .il presidio del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza dell'imputato. Si pu� concludere, come � stato ritenuto da molti studiosi, che la normativa considerata, anche se ispirata dal principio salits reipublicae suprema lex, resta al di qua dei limiti della costituzionalit�, anche se � ad essi assai vicina. PARTE PRIMA I~ �-: =~ f=I! GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 13 giugno 1983, n. 164 -Pres. EJ.ia -Rel. Saja Gallina (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Procedimento penale -Rito direttissimo -Interesse dell'imputato a sepa rata fase istruttoria -Non � costituzionalmente garantito � Termine per la presentazione al dibattimento � Mancata determinazione ex lege � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 24 e 25; I. 14 ottobre 1974, n. 497, art. 2). Non � costituzionalmente protetto l'interesse dell'imputato a che si abbia un'autonoma fase (istruttoria) anteriore al dibattimento. Quando si deve procedere con il rito direttissimo, il pubblico ministero � sempre tenuto ad investire il giudice del dibattimento con la massima possibile rapidit�, e, se l'imputato � detenuto, deve essere osservato il termine di 40 giorni stabilito dall'art. 272 cod. pen. (omissis) Con l'ordinanza in epigrafe il tribUIIlale di Larino denuncia l'art. 2 legge 14 ottobre 1974 n. 497, relativa a nuove norme sulla criminalit�, il qua�le per alcuni delilitti, tra cui quelli concernenti le armi e gli esplosivi, prevede in ogni caso il giudizio direttissimo in deroga a quanto previsto dal primo comma dell'art. 502 cod. proc. penale. Sembra al giudice a quo che la norma suddetta contrasti: a) con l'art. 3 Cost. per irrazionale disparit� di trattamento, in quanto gli imputati dei reati suddetti -a differenza di coloro che debbono rispondere di altri delitti -non ipossono usufruire della fase istruttoria, nella quale potrebbero ottenere il proscioglimento, ma hanno l'onere di presentarsi al dibattimento; la norma risulterebbe poi irrazionale anche intrinsecamente perch�, da un lato prescrive il procedimento direttissimo e, dall'altro, non fissa alcun termine per l'esercizio del ll'elativo potere-dovere da parte del pubblico ministero, ~l quale pertanto potrebbe dtardare iHi� mitatamente il giudizio; b) con l'art. 24 secondo comma Cost. perch� limita il diritto di difesa, il quale, per effetto della soppressione della fase istruttoria, pu� essell'e esercitato soltanto nel dibattimento; e) con l'articolo 25 primo comma Cost. perch�, in violazione del principio del giudice naturale, il pubblico ministero, peraltro non vincolato dall'osservanza di RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 792 un termine, pu� stabi1ire con illimitata discreziomclit� la data dell'udienza e quindi ha la possibilit� di scegliere la sezione ovvero la specifica composizione dell'organo giudicante. (omissis) Pi� consistente sembra l'altro profilo, con cui Sii denuncia l'intrinseca irrazionalit� della norma perch� prescrive il giudizio direttissimo, ma non pone al riguardo alcun termine, sicch� il pubblico ministero -secondo quanto si deduce -potrebbe vanificare il fine perseguito dalla legge ri.ta:ridando a suo arbitrfo H dibattimento. Ma ritiene 1a Corte che, in realt�, neppure tale rilievo possa essere condiviso. :� vero che, secondo la ricordata giurisprudenza o:ridinairia, non � dato trarre dalla il.1orma in esame una specifica previsione di carattere temporale, ma ci� non significa che in subiecta materia non sussista alcun termine e il pubblico ministero possa conseguentemente agire con una discrezionalit� talmente illimitata da sconfinare nell'arbitrio. Anzitutto, se l'imputato � detenuto soccorre il prevalente orientamento giurisprudenzia! le, secondo cui, anche nel caso di giudizio direttissimo atipico obbligatorio previsto dalla norma denunciata, deve essere osservato il termine di quaranta giorni stabilito dall'art. 272 secondo comma cod. proc. penale. Peral1.Jro, in via generale, non pu� dubitarsi che sussista sempre H dovere del pubblico ministero, desumibile dalla stessa natura del giudizio direttissimo, di investire di giudice del d1battimento con la massima rapidit� possibile (cfr. in tali sensi la sentenza di questa Corte 12 dicembre 1972, n. 170). E va osservato che, se � vero che la violazione di ta:le dovere non produce nullit�, non � men vero che sussiste rpUII' sempre t'obbligo di osservarlo (art. 154 primo comma cod. proc. pen.), con la conseguenza che, in �caso di colposa omissione, il magistrato � soggetto alle sanzioni disciplinari previste dalla legge sull'ordinamento giudiziario. Inoltre, anche in V<ia :preventiva non � che manchi qualsiasi controllo, essendo tenuto il rprocuratore generale della Corte d'appello ad esercitare la vigilanza sul procuratore della Rerpu"'lblica (a cui spetta di promuovere il giudizio direttissimo) per la rigorosa osservanza delle norme processuali (cit. art. 154 ultimo comma), tra le quali rientra sicuramente anche que1la concernente il ricordato dovere di tempestivit�. Le precedenti considerazioni .escludono che possa riscontrarsi il de nunciato vizio di .irrazionalt�, ma la Corte non pu� non constatare la indifferibilit� -relativamente non solo al giudizio direttissimo 'in esame, ma anche agli altru analoghi casi di giudizio direttissimo atipico obbliga torio -di una disciplina pi� incisiva, puntuale e organica. Su qd~sta linea, del resto, si muove il testo unificato deHa commis sione giustiziia della Camera dei deputati approvato il 15 luglio 1982, in relazione al disegno di legge n. 845 e alla proposta di legge n. 112 dell'VIII legislatura, H quale ha fissato all'art. 2 n. 40 dei termini precisi applicabili PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE nel giudizio � immediato � (nel cui ambito � compreso il giudizio direttissimo), variandoli a seconda che l'imputato sia detenuto (dieci giorni) ovvero libero (sessanta giorni). Relativamente aHa seconda censura, osserva preliminarmente la Corte che essa investe non solo l'ipotesi a cui espressamente � riferita dal giudice a quo, ma il giudizio direttissimo nel suo complesso, sia esso tipico ovvero atipico, facoltativo o obb1igatorfo, in quanto concerne la insussistenza di una fase istruttoria, la quale costituisce la nota essenziale e. caratteristica di quel giudizio. In proposito per� gi� questa Corte ha avvertito come non possa ritenersi sussistente un interesse dell'imputato, costituzionalmente protetto, a che il riconoscimento della sua �innocenza avvenga in :un'autonoma fase anteviore al dibattito (cfr. in tali sensi ll:a dee. 12 dicembre 1972, n. 172). E tale orientamento va confermato e ribadito in quanto la scelta della struttura del processo si risolve in un problema di politica legislativa, come tale rimesso al legislatore ordinario, il quale pu� .raziionalmente . iprescin!dere dallo sohema tradi2lionale e provvedere in base a specifiche va1uta:zrl.oni di politica criminale, senza che ci� incida affatto sul diritto di difesa che ben potr� essere esercitato nel �dibattimento in tutta la sua pienezza. Il che trova riscontro nel gi� cit. art. 2 n. 40 dell'indicato testo unificato, i!1 quale ha reintrodotto il giudizio direttissimo (l'istituto, pur essendo egualmente denominato, non coincide tuttavfa col giudizio immediato di cui all'art. 2, n. 39, legge 3 aprile 1974, n. 108, contenente fa delega per il nuovo codice di procedura penale) nella piena consapevolezza ohe esso non offende affatto il diritto d!i difesa. &rai non �pu� tacersi di una notevole tendenza, chiaramente espressa daMa legge ora indicata, verso il giudizio accusatorio, diretto ad attenuare grandemente la funzione dell'istruzione e spostare il fulcro del giudizio alla fase dibattimentale. Peraltro, anche de jure condito va rilevato che H giudizio direttissimo non si risolve necessariamente in un danno per fimputato il quale anzi potr� evitare le lungaggini, purtroppo normali, dell'1istruzione e ottenere prontamente H riconoscimento della sua innocenza con una decsione idonea a diventare irrevocabile: caratteristica questa esclusiva delle sentenze emesse nel dibattimento, mentre il proscioglimento pronunziato in istruttoria non � mai definitivo, essendo sempre possibile la riapertura della istruzione secondo la disciplina previista dagli artt. 402 e segg. cod. proc. penale. Anche la terza censura non pu� essere condiviisa e gi� questa Corte ripetute volte ha ritenuto infondata la relativa questione (cfr. sent. nn. 170 e 172 del 1974; n. 146 del 1969). Invero il potere del rpubblico ministero di fare comparire l'imputato per il giudiziio direttissimo avanti alla seziione ovvero al collegio scelti nell'ambito dell'ufficio competente non sembra 794 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO offendere il principio del giudice naturale, il quale, secondo il comune orientamento, si identifica in un giudice imparziale precostituito secondo le norme dell'ordinamento giudiziario. Si tratta, in J:ealt�, della possibilit� di una scelta ohe trova fondamento nell'intento di assicurare la necessaria efficienza del giudizio direttissimo mediante forme semplici e rapide dirette alla realizzazione della tipica funzione dell'istituto. Comunque, la Corte non pu� non auspicare che anche su tal punto la disciplina venga adeguatamente migliorata e l'udienza per il giudizio direttissimo sia fissata mediante il normale meccanismo della legge predisposto per gli altri processi, pm con i necessari adeguamenti alla rapidit� che � propria di detto giudizio. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983, n. 222 -Pres. Elia -Rel. De Stefano -Pietropaolo ed altro (n.p.). Procedimento penale -Connessione e competenza -Concorso di minorenni e maggiorenni nello stesso reato -Evoluzione dell'ol'dinamento. I (Cost., art. 3; r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9). I 1: L'evoluzione dell'ordinamento processuale penale dimostra che il timore del possibile conflitto di giudicati per effetto della separazione dei procedimenti pi� non prevale su altre esigenze parimenti meritevoli di tutela. Contrasta con l'art. 3 Cost., l'art. 9 del r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404 (istituzione e funzionamento del tribunale per i minorenni), convertito con modificazioni nella legge 27 maggio 1935, n. 835, nella parte in cui sottrae I alla competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti penali a carico di minori coimputati con maggiorenni per concorso nello stesso I reato. i:i I I fil (omissis) La deroga alla competenza del tribunale per i minorenni quando nel procedimento vi siano coimputati maggiorenni, ha gi� pi� volte formato oggetto del sindacato di legittimit� costituzionale. Questa fil @ Corte, con ,sentenza n. 130 del 1963, ha ritenuto che tale deroga non contrasti con l'art 25 della Costituzione, atteso che Ǐ evidente in questa disposizione '1'-ispirazione alla necessit� del simultaneus processus per il motivo della connessione�, ohe costituisce �un criterio fondamentale di attribuzione della competenza �. Circa, poi, la possibilit� della separazione dei procedimenti, prevista nello stesso comma secondo dell'art. 9, ove i�: l'unico processo non sia r.itenuto indispensabile, la Corte, con la mede f ~: sima sentenza, ha ritenuto la norma scindibile nelle sue proposizioni, e ne ha dichiarato la iHegittimit� costituzionale, per Vliolazione dell'art. 25 -;:: della Costituzione, limitatamente alla parte in cui, affidando al procuratore ~: f: (.: & '\ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE generale della Corte di appello ogni decisione sull'opportunit� dello spostamento di competenza, gH dava' poteri espressamente qualificati come esenti da qualsiasi sindacato. Alla medesima �esigenza di uniformit� nel giudizio sull'accertamento del fatto e sulla sua valutazione� la Corte ha fatto appello, nella successiva sentenza n. 10 del 1966, per negare che la deroga in parola contrasti con l'art. 3 della Costituzione; e si � richiamata alla precedente sentenza, dianzi menzionata, che faceva � salva una nuova disciplina della materia �, rilevando che � la mancanza attuale di questa nuova normativa n� include l'illegittimit� costituzionale del principio ,di separabilit� dei procedimooti, n� travolge nell'illegittimit� costituzionale la regola che unifica il processo innanzi all'organo ordinario, ove debba essere :ritenuto inscindibile�. Nella dtata sentenza n. 198 del 1972, infine, si � affermato che �la necessit� del simultaneus processus che Ia Corte nella sua precedente decisione ha posto a giustificazione della deroga alla competenza del tribunale per i minorenni per >l'ipotesi di procedimenti contro minOTi e maggiori coimputati dello stesso reato, non ricorre quando il reato commesso dal minore... sia distinto e diverso da quello compiuto dal maggore degli anni diciotto, anche se fra tali ,reati sussiste connessione�; pertanto, come gi� !l"icordato, Ia COTte ha !l"iconosoiuto che la norma impugnata contrastava con l'art. 3 della Costituzione nella :parte in cui non limitava la competenza del giudice oodinario nei confronti dei coimputati minori al caso di procedimenti nei quali minori e maggiori degli anni diciotto siano coimputati dello stesso reato. Le tre pronunce della Corte, dunque, per giustificare la deroga hanno fatto tutte leva sulla esiigenza del simultaneus processus, considerata preminente rispetto alla ratio ispiratrice dell'istituzione di un giudice specializzato per gl'Qmputati minorenni. In particolare, per quanto concerne il rispetto del principio di eguaglianza, 1a ragionevolezza deHa disparit� del trattamento riservato a minori autori del medesimo reato, giucl!icati da organi a composizione diversa e con diverso procedimento, a seconda vi siano o meno coimputati maggiorenni, � stata dedotta daill'ordinamento, frn esso ravvisando una sorta di preponderante favor per il cumulo processuale, ritenuto necessario per prevenire l'eventualit� di giudizi difformi. Ma posteriormente alle richiamate decisioni di questa Corte, il sistema del codice di procedura penale appare sensibilmente modificato, per quanto concerne gli effetti della connessione, da un complesso di disposizioni, dalle quali emerge un deciso orientamento in senso riduttivo. Giova in proposito ricordare che, in correlazione con l'accentuato ricorso, per varie categorie cl!i reati, al giudizio direttissimo, si pone come regola, nell'ambito della connessione, la separazione dei procedimenti. Ed invero, l'art. 35 della legge 18 aprile 1975, n. 110, in materia di controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi, nel prescrivere, 796 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO per i reati da essa previsti, H rito direttissimo, stabilisce che � per i reati connessi si procede, di regola, previa separazione dei giudizi�. Del pari gli artt. 17 e 26 della legge 22 maggio 1975, n. 152, recante disposizioni a tute1a dell'ordine pubblico, nel prevedere il giudizio direttissimo per determinati reati, stabiliscono che �la connessione opera soltanto se � indispensabile per l'accertamento dei reati medesimi o della responsabilit� dell'imputato�. Formule ,analoghe, procedendosi con giudizio direttissimo, si ritrovano in successive leggi: art. 4 del d.l. 4 marzo 1976, n. 31, convertito con modificazioni in legge 30 aprile 1976, n. 159, recante disposizfoni penali in materia d'infrazioni valutarie; art. 80 della legge 1� apr�.le 1981, n. 121, per taluni delitti commessi da appartenenti a11'Amministrazione della pubblica sicurezza. Anche al di fuori della instaurazione del procedimento direttissimo, il legislatore nell'ultimo decennio ha inciso in senso limitativo sui casi e sugli effetti della connessione nel processo penale. Cos� l'art. 31 della gi� citata legge n. 152 del 1975 ha introdotto un'ulteriore deroga, disponendo che i reati commessi da ufficiali o agenti di polizia per fatti compiuti in servizio e relativi all'uso delle 'armi � sono di regola giudicati separatamente �, Sempre nella stessa linea di tendenza, ma con portata di carattere generale, va soprattutto tenuta presente la �novella� dell'art. 48-bis (art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 534), in punto di � rilevanza della connessione �, secondo cui la connessione non produce effetti n� sulla competenza n� ai fini delLa riunione, rispetto ai procedimenti relativi a reati commessi da arrestati, detenuti o internati, ai reati per i quali l'imputato o gli imputati sono stati sorpresi in flagranza e ai reati per i quali la prova appare evidente, procedendosi in questi casi separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati. Norma, quest'ultima, operante pure nella ipotesi di connessione per concorso di persone nel medesimo reato, e che � stata ritenuta dalla Corte di cassazione applicabile anche per il concorso del minore con il maggiore di et�, ove il primo soltanto sia stato sorpreso in flagranza. Della citata legge n. 534 del 1977 va del pari ricordato, nella stessa prospettiva, l'art. 10, che ha sostituito il testo dell'art. 414 del codice di procedura penale, disponendo che qualora l'ordinanza di rinvio a giudi zio o la richiesta o il decreto di citazione abbiano per oggetto un reato attribuito a pi� imputati o pi� reati attribuiti a uno o pi� imputati, il giudice, sentite le parti, possa ordinare la separazione dei giudizi, ove si manifesti la possibilit� di definire prontamente uno o pi� dei procedi menti riuniti. Infine, nell'intento di ovviare ai possibili inconvenienti della separazione, la stessa legge n. 534 del 1977, mediante gli artt. 3, 9 e 11, ha inserito nel codice di procedura penale disposizioni che consen tono, nei casi in cui si proceda separatamente nei confronti di imputati dello stesso reato o di reati connessi, di acquisire e dare lettura di atti PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dei procedimenti separati, anche se non ancora definiti con sentenza irrevocabile (art. 144-bis); e di sentire liberamente, tanto nella fase istruttoria che in quella dibattimentale, le persone imputate per lo stesso reato o per un reato connesso, nei cui confronti si proceda separatamente (artt. 348-bis e 450-bis). N� pu� dirsi, invero, che l'orientamento, quale � dato desumere dall'attuale normazione, verso una attenuazione della rilevanza della connessione ai fini dell'attribuzione della competenza, abbia carattere contingente: posto che l'art. 2 della legge 3 aprile 1974, 111. 108, nel dettare i princ�pi ed i criteri direttivi della delega legislativa al Governo per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, gi� prevedeva, al punto 13, per la disciplina de1l'istituto della connessione, non solo la eliminazione di ogni discrezionalit� nella determinazione del giudice competente, ed il potere di disporre, anche in sede di appello, la separazione dei procedimenti su istanza dell'imputato che vi abbia interesse, .ma anche, per quanto attiene al profilo che qui interessa, la � esclusione della connessione nel. caso di imputati minori �. Nella relazione della commissione ministeriale sul progetto preliminare del codice di procedura penale si legge in proposito che � ai fini del maggiore snellimento e della semplificazione del nuovo processo, � stato seguito l'orientamento di ridurre notevolmente i casi di connessione �; e che l'art. 14 del progetto riproduce la direttiva n. B della legge delega �escludendo l'operativit� della connessione in caso di reati commessi in regime di concorso da imputati minori e maggiori degli anni diciotto�. Scaduto il 31 ottobre 1979 il termine, pi� volte prorogato, per l'esercizio della delega, analogo orientamento si evince anche dai lavori parlamentari preordinati al suo rinnovo, essendo da ultimo previsto, nella relazione che accompagna il testo apprestato dalla IV commissione della Camera dei deputati, presentata il 17 novembre 1982, che i princ�pi relativi alla disciplina della connessione rimangano quasi del tutto immutati rispetto a quelli della precedente delega, salvo piccole modifiche di coordinamento. Per i minori, poi, � ivi prevista, con apposita direttiva (n. 87), una disciplina del processo ispirata ai princ�pi generali del nuovo processo penale, � con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturit� e dalle esigenze della sua educazione �, nonch� dall'attuazione di vari criteri, tra cui � indicata, alla lett. a), la �non operativit� della connessione tra procedimenti concernenti imputati minorenni al momento della commissione del fatto e procedimenti concernenti imputati maggiorenni �. La Corte, nuovamente chiamata a verificare se contrasti con il precetto dell'art. 3 della Costituzione la norma che alla competenza penale del tribunale per i minorenni, avente carattere di generalit� per gli imputati minori degli anni diciotto, tuttora sottrae soltanto quei minori che siano coimputati con maggiorenni per concorso nello stesso reato, ritiene RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di non poter pi� invocare, a differenza da quanto operato nelle precedenti pronunce, l'esigenza del simultaneus processus, per giustificare la deroga alla competenza del giudice specializzato. Ed invero, la sopravvenuta evoluzione dell'ordinamento processuale penale dimostra chiaramente come in esso, a s�guito delle apportate modifiche, il timore del possibile conflitto di giudicati per effetto della separazione dei procedhnenti, timore che � alla base del ricorso al processo cumulativo, pi� non prevalga necessariamente su altre esigenze parimenti meritevoli di tutela. Del resto gi� questa Corte aveva in passato avuto occasione di affermare nella sentenza n. 139 del 1971, che �la connessione � un criterio fondamentale di attribuzione della competenza �, ma �nei limiti in cui il simultaneus processus non pregiudica esigenze che l'ordinamento considera preminenti �. In contrapposto alla cennata esigenza, cui la contestata deroga intende sopperire, si pone, infatti, con rilievo che la Corte riconosce preminente, la finalit� perseguita con la istituzione di un giudice specializzato per gl'imputati minorenni. � Il tribunale per i minorenni -si legge nella relazione del Consiglio superiore della magistratura per il 1971 sullo stato della giustizia -fu istituito proprio perch� si ritenne che il minore, spesso portato al delitto da complesse carenze di personalit� dovute a fattori familiari, ambientali e sociali, dovesse essere valutato da giudici specializzati che avessero strumenti tecnici e capacit� personali particolari per vagliare adeguatamente la personalit� del minore al fine di individuare il trattamento rieducativo pi� appropriato �. Questa Corte -che gi� nella sentenza n. 25 del 1964 aveva osservato come la giustizia minorile abbia una particolare struttura � in quanto � diretta in modo specifico alla ricerca delle forme pi� adatte per la rieducazione dei minorenni � -ha fatto in proposito richiamo, nella sentenza n. 46 del 1978, alla � necessit� di valutazioni del giudice fondate su prognosi ovviamente individualizzate in ordine alla prospettiva di recupero del minore deviante �, nell'ambito di quella � protezione della giovent� �, che trova fondamento nell'ultimo comma dell'art. 31 della Costituzione. La �tutela dei minori � si colloca cos� tra gli interessi costituzionalmente garantiti, come questa Corte ha sottolineato in varie pronunce (sentenze n. 25 del 1965, nn. 16 e 17 del 1981); ed il tribunale per i minorenni, considerato nelle sue complessive attribuzioni, oltre che penali, civili ed amministrative, ben pu� essere annoverato tra quegli � istituti � dei quali la Repubblica deve favorire lo sviluppo ed il funzionamento, cos� adempiendo al precetto costituzionale che la impegna aUa � protezione della giovent� �. A conferma di tale configurazione stanno la particolare struttura del collegio giudicante (composto, accanto ai magistrati togati, da esperti, benemeriti dell'assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia), gli altri organi che ne preparano o fiancheggiano l'operato, nonch� le peculiari garanzie che PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE assistono l'imputato minorenne nell'iter processuale davanti all'organo specializzato. E tutto ci�, appunto, in vista dell'essenziale finalit� del �recupero del minore deviante�, mediante la sua rieducazione ed il suo reinserimento sociale, in armonia con la m�ta additata dal terzo comma dell'art. 27 della Costituzione, nonch� dall'art. 14, paragrafo 4, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (adottato a New York il 19 dicembre 1966 e la cui ratifica ed esecuzione sono state disposte con legge 25 ottobre 1977, n. 881), a norma del quale la procedura applicabile ai minorenni rispetto alla legge penale dovr� tener conto della loro et� e dell'interesse a promuovere la loro rieducazione. Alla luce delle su esposte considerazioni la residua deroga alla gene rale competenza del tribunale per i minorenni risulta ormai carente di adeguata giustificazione; e poich� ogni deroga ad una disciplina generale (specie se la disciplina, come quella in esame, sia preordinata a tutela di interessi costituzionalmente garantiti) dev'essere sorretta da valide ragioni giustificative, evidente appare il suo contrasto con il principio sancito dall'art. 3 della Costituzione. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 21 luglio 1983, n. 224 -Pres. Elia -Rel. Rossano -Ippolito (avv. Cataldo). Procedimento penale -Estinzione del reato per amnistia o indulto � Ap pellabilit� della sentenza. (Cost., artt. 3 e 24; cod. proc. pen., artt. 387, 399 e 512). Non � giustificata la disparit� di trattamento tra P.M., che ha il diritto di proporre appello avverso le sentenze istruttorie di proscioglimento per estinzione del reato, e l'imputato, al quale lo stesso appello non � consentito. (omissis) ... il legislatore del 1930, nel dettare la disciplina delle impugnazioni delle sentenze istruttorie e dibattimentali da parte dell'imputato, segu� un sistema unitario, ponendo gli stessi limiti all'appello contro le sentenze di proscioglimento pronunciate in giudizio dal pretore (art. 512, n. 2, cod. proc. pen.) e dal tribunale (art. 513, n. 2, cod. proc. pen.) e contro le sentenze di proscioglimento emanate al termine dell'istruzione formale (art. 387, comma terzo, cod. proc. pen.) o dell'istruzione sommaria (art. 395, comma terzo, cod. proc. pen.) e dal pretore nei procedimenti di sua competenza (art. 399 cod. proc. pen.). Contro le sentenze istruttorie e dibattimentali di proscioglimento per estinzione del reato non era concesso l'appello all'imputato, che poteva RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 800 proporre solo il ricorso per Cassazione, che �, di per s�, limitato ai motivi di legittimit�, con esclusione, quindi, di riesame del merito. L'appello del P.M. era consentito in ogni caso. I suddetti limiti all'appello dell'imputato avverso le sentenze dibattimentali di proscioglimento per estinzione del reato sono stati notevolmente circoscritti da questa Corte. In particolare, con le sentenze n. 70 del 1975, n. 73 del 1978, n. 72 del 1979, n. 53 del 1981, alle quali sono seguite le ordinanze n. 79 del 1979 e nn. 11 e 87 del 1980, � stata dichiarata l'illegittimit� costituzionale degli artt. 512, n. 2, e 513, n. 2, cod. proc. pen. nelle parti in cui escludevano il diritto dell'imputato a proporre appello contro le sentenze dibattimentali di proscioglimento perch� i reati erano estinti per effetto di amnistia o di prescrizione a seguito di giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, a seguito della concessione di circostanze attenuanti, a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella enunciata nel decreto di citazione o nell'ordinanza di rinvio a giudizio. In tali sentenze � stato rilevato che le norme impugnate concernevano un proscioglimento caratterizzato da un previo riconoscimento di colpevolezza, idoneo a produrre effetti negativi in altri giudizi civili ed amministrativi, essendo necessario valutare in concreto la condotta dell'imputato al fine di accertare se il fatto sussistesse, se l'imputato lo avesse commesso o se fosse previsto dalla legge come reato; e, solo sul presupposto di un giudizio affermativo di colpevolezza, avrebbe potuto avere luogo l'altro giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti o di concessione delle circostanze attenuanti ed il proscioglimento per amnistia o per prescrizione nell'ipotesi che anche questo secondo giudizio fosse stato favorevole all'imputato. Nelle stesse sentenze, inoltre, � stata posta in evidenza la possibilit� che le sentenze dibattimentali di proscioglimento arrecassero un pregiudizio morale e giuridico al soggetto prosciolto, perch� le norme impugnate sopprimevano ingiustificatamente taluni modi generali d'esercizio della difesa, negando al solo imputato il diritto di appellare la sentenza di primo grado. Anche le sentenze istruttorie di proscioglimento per estinzione del reato a seguito di amnistia o di prescrizione, che, come quelle pronunciate dai giudici istruttori di Milano, Roma, Torino e Cassino, escludono l'applicabilit� dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., in quanto contengono una sostanziale dichiarazione di colpevolezza, possono arrecare agli imputati pregiudizi di ordine morale e di ordine giuridico. � innegabile, quindi, che l'imputato ha interesse a dolersi della sentenza istruttoria di proscioglimento, che abbia ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi dei reati contestati e rigettato la sua specifica richiesta diretta ad ottenere il proscioglimento con formula ampia ai sensi dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen. o escluso l'applicabilit� di tale norma indipendentemente da quella determinata richiesta. In tali specifici casi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l'interesse dell'imputato va riconosciuto pi� rilevante degli interessi di carattere collettivo e sociale che sono soddisfatti dagli istituti dell'amnistia e della prescrizione. Il proscioglimento per amnistia nella fase istruttoria non comporta preclusione dell'azione civile risarcitoria e dell'azione disciplinare nei confronti di pubblici dipendenti per la sua inefficacia di giudicato nei giudizi civili o nel procedimento disciplinare, ma certamente non pu� disconoscersi l'influenza che possano avere in tali giudizi l'accertamento e la valutazione dei fatti effettuati in sede penale. In particolare l'art. 29, comma secondo, r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, sulle guarentigie della Magistratura prescrive l'obbligo di iniziare l'azione disciplinare nei confronti del magistrato prosciolto con sentenza istruttoria di non doversi procedere per estinzione del reato. Il pregiudizio derivante all'imputato dalle sentenze istruttorie di proscioglimento fu messo in evidenza da questa Corte con la sentenza n. 151 del 1967, dichiarativa della illegittimit� costituzionale degli artt. 376, 395, comma ultimo, e 398, comma ultimo, cod. proc. pen. per le mancate previsioni della contestazione del fatto e dell'interrogatorio dell'imputato ai fini del proscioglimento con formula diversa da quelle che il fatto non sussiste o non � stato commesso dall'imputato. In tale decisione si afferma che le sentenze istruttorie di proscioglimento per loro natura sono atte a cagionare un nocumento almeno temporaneamente irrimediabile in quanto, a differenza delle pronuncie di rinvio a giudizio, chiudono il processo. La citata decisione aggiunge che il proscioglimento pu� ferire la dignit� del cittadino non dissimilmente da una pronuncia di rinvio a giudizio e che anche la declaratoria istruttoria di estinzione del reato per sopravvenuta amnistia produce effetti analoghi a quelli della corrispondente pronuncia dibattimentale, senza, per�, che vi sia stato un previo accertamento di reit�. All'interesse morale dell'imputato ad ottenere la sentenza istruttoria di proscioglimento con la formula a lui pi� favorevole questa Corte ha, poi, riconosciuto rilevanza anche con la sentenza n. 5 del 1975 dichiarativa della illegittimit� costituzionale dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen. nella parte in cui non comprende tra le ipotesi, in cui il giudice istruttore, ad istruttoria ultimata, deve pronunciare sentenza di proscioglimento nel merito, anzich� declaratoria di estinzione del reato per amnistia, anche l'ipotesi in cui manchi del tutto la prova che l'imputato abbia commesso il reato stesso. Analoghe considerazioni portano a ritenere, quanto al caso in esame, non giustificata la disparit� di trattamento tra PM., che ha il diritto di proporre appello avverso le sentenze istruttorie di proscioglimento per estinzione del reato, e l'imputato, al quale lo stesso appello non � consentito. La norma impugnata turba il necessario equilibrio del contraddittorio ed in tal senso viola anche il principio del diritto di difesa. (omissis) 802 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO p.q.m. dichiara: a) l'illegittimit� costituzionale dell'art. 387, comma terzo, cod. proc. pen. nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., avverso la sentenza del giudice istruttore, che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o prescrizione; b) di ufficio, ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimit� costituzionale dell'art. 399, comma primo, cod. proc. pen. nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., avverso la sentenza del pretore, che lo abbia prosciolto per estinzione del reato pe:r amnistia o prescrizione; c) di ufficio, ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimit� costituzionale degli artt. 512, n. 2, e 513, n. 2, cod. proc. pen., come sostituiti dagli artt. 134 e 135 legge 24 novembre 1981, n. 689 (modifiche al sistema penale), nelle parti in cui escludono il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., avverso la sentenza del pretore, del tribunale e della Corte di assise che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o prescrizione. I CORTE COSTITUZIONALE, 25 luglio 1983, n. 239 -Pres. Elia -Rel. Ferrari � Soc. Cestelis ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). Tributi locali � INVIM -Base imponibile � Inclusione in essa della com ponente imputabile alla svalutazione monetaria -Legittimit� costi tuzionale. (Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 1, 2, 3, 6, 14 e 15). Tributi locali -INVIM -Applicazione per decorso del decennio -Deter minazione del valore iniziale -Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 76; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6). L'inclusione nell'imponibile dell'INVIM della componente imputabile alla svalutazione monetaria non contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost. Non contrasta con l'art. 76 Cost. l'art. 6 del d.P.R. n. 643 del 1972 nella parte in cui disciplina la determinazione del valore iniziale ai fini dell'applicazione dell'INVIM per decorso decennio. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 803 II CORTE COSTITUZIONALE, 26 settembre 1983, n. 262 -Pres. Elia -Rel. Ferrari -S.p.A. Centrale di Costruzioni IMCO (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). Tributi locali -INVIM -Trasferimento di immobili -In Tegime IVA Esclusione della rettifica del corrispettivo fatturato -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt.. 3 e 53; l. 9 ottobre 1971, n. 825, art. 6; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6). Non contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost. l'art. 6, comma secondo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, che discrimina tra trasferimenti immobiliari sottoposti ad imposta registro (o sulle successioni) e trasferimenti immobiliari assoggettati ad IVA, escludendo per questi ultimi la facolt� dell'ufficio di rettificare i corrispettivi dichiarati (1). I (omissis) L'imposta in parola, (la INVIM), che � succeduta a quella sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili (IV AF), di cui alla legge 5 marzo 1963, n. 246 -la quale a sua volta aveva sostituito il contributo di miglioria istituito col testo unico per la finanza locale (r.d. 14 settembre 1931, n. 1175) -� stata oggetto, non solo di successivi aggiustamenti ad opera del legislatore, e precisamente nel 1974 (d.P.R. n. 688), 1975 (legge n. 694), 1977 (legge n. 904), 1979 (d.l. n. 571, convertito nella legge 12 gennaio 1980, n. 2) e, da ultimo, nel 1982 (d.P.R. n. 953, convertito nella legge 28 febbraio 1983, n. 53), ma anche di varie pronunce di questa Corte, tra cui le sentenze nn. 8 del 1978, 126 del 1979 e 121 del 1982, oltre le ordinanze nn. 9 e 67 del 1978, 39 e 148 del 1980, 60 del 1981, 8 del 1983 (di (1) Uno dei tanti �miti� creati dalla riforma tributaria del 1972-1973 � quello della inevitabilit� della sottrazione dei trasferimenti immobiliari avvenuti �in regime IVA� al potere della amministrazione finanziaria di procedere a revisione del corrispettivo dichiarato (e quindi anche fatturato). In realt�, nulla osterebbe ad un ripristino della generale estensione di tale potere, ai fini di una imposizione di registro � di conguaglio � (con gettito stimabile superiore a lire 200 miliardi l'anno); ed anzi una siffatta soluzione contr.ibuirebbe a contrastare la diffusa pratica della sottofatturazione nel settore edilizio e immobiliare. Va comunque rilevato che la sottofatturazione -beninteso, se accertata -pu� ora essere penalmente rilevante (art. 1, comma secondo, del d.l. 10 luglio 11982, n. 429). Il discorso non finisce qui. Il confine tra � regime IV A � e imposizione proporzionale di registro � stato, dalla nostra legislazione delegata, fissato in modo che pare non conforme alla VI direttiva CEE in tema di IVA e quindi contrastante con gli artt. 11 e 76 della Costituzione (cfr. anche Corte giust. 804 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO restituzione ai giudici a quibus) e 27 del 1983 (di manifesta inammissibilit�). Con le sentenze nn. 8 del 1978 e 121 del 1982 � stata dichiarata la non fondatezza delle .questioni di legittimit� costituzionale sollevate, sotto il profilo dell'eccesso rispetto alla legge di delegazione in ordine agli articoli 2, primo comma, 7 e 15 lettera e), del d.P.R. n. 643 del 1972 e, in riferimento agli artt. 53 e 3 Cost., in ordine all'art. 18, quarto comma, dello stesso decreto presidenziale, il quale dispone che le spese incrementative, da computarsi ai fini del calcolo del valore iniziale del bene, se non gi� esposte nella dichiarazione, � debbono, a pena di decadenza, essere denunciate all'ufficio al momento della registrazione dell'atto �. Con la sentenza n. 126 del 1979, infine, giudicando sulla legittimit� costituzionale degli articoli 2, 4, 6, 7, 14, 15 e 16 del decreto presidenziale n. 643 del 1972 e dell'art. 8 della legge n. 904 del 1977, denunziati in riferimento agli artt. 3, 42, 47 e 53 Cost., la Corte, premesso: che gli incrementi di valore sono dovuti, non gi� alle iniziative dei privati, ma � all'insieme dei lavori e servizi pubblici eseguiti a spese dello Stato e degli enti locali�; che l'imposta ha pertanto una �giustificazione fondamentale�; che l'incremento dei valori immobiliari � di per s� costituisce sicuro indice di capacit� contributiva�; che, conseguentemente, � legittima � l'imposizione diretta a colpire gli effettivi incrementi di valore degli immobili �, ha rigettato la censura formulata in riferimento all'art. 53 Cost., affermando in primo luogo che deve ritenersi � non sindacabile in questa sede la disciplina normativa dei presupposti e dei criteri di applicazione del tributo, in relazione agli effetti della svalutazione della moneta�, giacch� si tratta di � scelte politiche�, salvo che gli eventuali effetti distorsivi imputabili alla svalutazione � non comportino la violazione di qualche principio costituzionale, ovvero non determinino un sicuro travalicamento del normale ambito di discrezionalit� che la Costituzione riserva alle scelte del legislatore ordinario �, Ha tuttavia ritenuto la questione � fondata sotto il secondo e diverso profilo della violazione del principio Comunit� europee, 19 gennaio .1982, in causa Becker). Ed invero, per l'art. 13, lettera B, punto e, gli acquisti di immobili non di nuova costruzione destinati o da destinare all'attivit�, �esente� da I.V.A., di locazione !immobiliare (in pratica, parte cospicua degli acquisti delle societ� immobiliari) non pu� beneciare del � regime IV A � e quindi delle relative detrazioni, e dovrebbe quindi essere compreso nell'area dell'imposizione proporzionale di registro. Ove la legislazione � nazionale � si conformasse alla direttiva, il fisco trarrebbe benefici e in termini di maggior gettito tributario e in termini di minor volume dei rimborsi IVA. Da ultimo, .si segnala che con decisione .16 dicembre 1980, n. 2999 la commissione centrale ha affermato che, nel caso di permuta, si devono applicare contemporaneamente l'IVA per il bene ceduto dal soggetto passivo IV A e la imposta di registro con aliquota proporzionale per H bene dato in permuta dall'altro contraente ( cfr. anche NAPOLITANO, IVA e registro nei contratti di permuta, in Boll. trib., 1982, 1565). PARTE I, SEZ.� I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE di eguaglianza�, e quindi, illegittimi gli artt. 14 d.P.R. n. 643 del 1972 ed 8 legge n. 904 del 1977, con la motivazione che le detrazioni dall'incremento di valore introdotte per correggere o ridurre gli effetti della svalutazione monetaria, si risolvono in un � meccanismo di liquidazione dell'imposta �, il quale,� per effetto della progressivit� delle aliquote�, �comporta in con� creto un trattamento differenziato e palesemente discriminatorio �, nel senso che l'onere tributario risulta �notevolmente pi� gravoso per chi aliena dopo un pi� lungo periodo di possesso �. Ha infine negato che si configuri disparit� di trattamento anche in danno dei proprietari di aree fabbricabili, apparendo ineccepibile la liquidazione separata delle aree rispetto a quella dei fabbricati, nonch� fra i contribuenti di diversi Comuni, dato che questi devono pur sempre, nel deliberare la misura delle aliquote, attenersi ai limiti fissati dalla legge (omissis) Ne consegue che nel presente giudizio oggetto di esame della Corte sono gli artt. 3, in relazione agli artt. 1 e 2, e 6 del d.P.R. n. 643 del 1972, di cui l'uno concerne, secondo quanto gi� si � visto, l'imposta decennale, l'altro pi� propriamente la determinazione dell'imponibile. La sentenza n. 126 del 1979 di questa Corte � stata pronunciata, come risulta dalla premessa rievocazione dei precedenti, con riguardo specifico all'applicazione dell'imposta nei casi di alienazione a titolo oneroso o di acquisto a titolo gratuito (art. 2 del d.P.R. cit.), ed al perento meccanismo delle detrazioni (artt. 14 stesso d.P.R. ed 8 legge n. 904 del 1977). Nel presente giudizio, viceversa, � in discussione l'applicazione della medesima imposta per il semplice decorso del decennio, cio� l'ipotesi pr~vista dall'art. 3 del decreto delegato in discorso ... Ma se nuovo e diverso � il thema decidendum, rimangono invariati gli argomenti a sostegno dell'asserita illegittimit� costituzionale, in riferimento all'art. 53 Cost., dell'applicazione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili per decorso del decennio. La Commissione tributaria ... dopo aver affermato che indici di capa� cit� contributiva, a seasi dell'art. 53 Cost., sono le manifestazioni di ric� chezza, osserva che, aggirandosi l'inflazione intorno al 20 % annuo, l'im� posta in parola colpisce � pressoch� esclusivamente il deprezzamento della moneta, il quale sicuramente non costituisce indice di ricchezza e quindi di capacit� contributiva �. � Secondo l'attuale meccanismo � -prosegue lo stesso giudice a quo -si sarebbe giunti ormai ad un'ipotesi veramente limite, � di fronte alla quale la pur amplissima discrezionalit� del legislatore deve trovare un freno costituzionale �; incremento di valore, infatti, non solo � � costituito quasi per intero da svalutazione monetaria, ma talora pu� anche non esistere �, come nel caso in cui sia aumentato il valore nominale dell'immobile, ma diminuito quello reale, con conseguente applicazione dell'imposta ad una perdita. Del resto -si legge ancora nell'ordinanza -, per un verso la stessa Corte costituzionale ha affermato (sent. n. 126 del 1979) che compete proprio al legislatore � te RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nere conto degli effetti conseguenti a processi inflattivi �, e per altro verso le sezioni unite della Corte di cassazione hanno recentemente (sent. 4 luglio 1979, n. 3776) posto in discussione il principio nominalistico della moneta � mediante la rivalutazione delle somme dedotte in obbligazione, e ci� anche per i debiti di valuta �. Analogamente argomentano le altre ordinanze, le quali lamentano anch'esse: che l'imposta colpisce il �puro e semplice possesso, indipendente da qualsiasi negozio giuridico � e, quindi, non l'incremento di valore, ma il valore stesso del bene; che, in tempi di � fortissima svalutazione �, non esisterebbe �l'asserito maggior valore�; che di fatto la tassazione decennale si risolverebbe in una vera e propria imposta patrimoniale, giacch� �colpisce la propriet� ininterrotta di beni immobili (fabbricati), prescindendo in via assoluta dal concetto di capacit� contributiva, che presuppone, necessariamente, un criterio di reddito e cio� una manifestazione dlretta od indiretta di ricchezza �. In particolare si imputa altres� al legislatore di non attribuire � rilevanza al decadimento degli immobili per vetust� e per l'uso � e di non tener conto, sia della concreta incommerciabilit� di un immobile con fitto bloccato, sia dell'eventualit� che, successivamente al compimento del decennio, � un terreno con buon indice di edificabilit� � possa essere � ridotto ad area verde per effetto di variazione del piano regolatore � ed un immobile possa, in conseguenza di un cataclisma, venire addirittura �distrutto o gravemente danneggiato�, senza che sia previsto � il diritto ad alcun rimborso o detrazione �. La questione � infondata. Gli argomenti addotti a dimostrazione dell'illegittimit� costituzionale, in riferimento all'art. 53 Cost., dell'applicazione dell'imposta all'incremento di valore per decorso del decennio non sono, n� nuovi, n� diversi rispetto a quelli a suo tempo esposti avverso l'applicazione della stessa imposta all'incremento di valore in conseguenza del trasferimento degli immobili. E pertanto valgono nei confronti dell'art. 3 d.P.R. n. 643 del 1972 gli stessi motivi, in base ai quali questa Corte, con la sentenza n. 126 del 1979, dichiar� infondata la questione sollevata in ordine all'art. 2, sempre per asserito contrasto con l'art. 53 Cost. La Corte ebbe allora ad affermare -ed ora ribadisce -che non � dubitabile la giustificazione fondamentale del'imposta in oggetto. Questa � stata istituita, come gi� si � rilevato, allo scopo di colpire gli incrementi di valore che di regola derivano ai beni immobili anche indipendentemente da alcuna iniziativa dei proprietari. Trattandosi perci�, secondo quanto � stato chiarito nella predetta sentenza, di imposta sugli incrementi di valore, e non sui trasferimenti, la �giustificazione fondamentale�, ravvisata a riguardo dell'INVIM su-questi ultimi, cio� dell'art. 2, conserva validit� anche a riguardo dell'INVIM decennale, cio� dell'impugnato art. 3. E per quanto concerne in particolare la denunzia della dubbia legittimit� costituzionale della determinazione dell'imponibile -vale a dire, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dell'art. 6 -, prospettata in relazione alla crescente svalutazione monetaria, deve... richiamarsi ancora una volta alla sentenza di questa Corte n. 126/1979, la quale in proposito ha statuito �che la presenza del fattore inflattivo � di per s�, n� costituisce � ostacolo alla applicazione d'una imposta sul plusvalore degli immobili�, n� impone al legislatore di � depurare gli incrementi di valore imponibile della componente imputabile alla svalutazione della moneta, mediante formule di indicizzazione o di integrale rivalutazione, in contrasto con i principi cui si ispira, non solo il vigente sistema tributario, ma l'intero regime delle obbligazioni pecuniarie, corrispondente alle esigenze di una economia sviluppata, in cui la moneta � indispensabile misura dei valori di mercato�. (omissis) Deve dichiararsi parimenti infondata la questione di legittimit� dell'imposta per decorso decennio, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. Si afferma da alcuni giudici a quibus che l'art. 3 della legge istitutiva dell'INVIM, escludendo dall'imposta decennale gli immobili appartenenti a persone fisiche, darebbe �luogo ,ad un diverso trattamento tributario fra contribuenti proprietari di immobili � nel senso che stabilirebbe � due categorie di contribuenti�, �alcuni tenuti al pagamento di una tassa l� dove altri, a perfetta eguaglianza di condizioni obiettive, non lo sono � e discriminerebbe, senza che si rinvenga idonea ragione..., i cittadini che investono i propri risparmi in beni immobili rispetto a quelli che li investono in mobili particolarmente adatti a conservare il loro valore nel tempo o, addirittura, ad incrementarlo�, quali i �preziosi o i francobolli�, e �proprio allo scopo di sottrarre i risparmi al fenomeno inflattivo'" L'asserita disparit� di trattamento non sussiste. Premesso in linea generale che una disciplina differenziata per persone fisiche e per entit� soggettive diverse da queste, stante la loro eterogeneit�, non presta il fianco a rilievi sotto il profilo della ragionevolezza, � bastevole ricordare nuovamente che il tributo in parola �non � configurabile come imposta sui trasferimenti, bens� come imposta sugli incrementi di valore � (sentenza n. 126/1979), per negare che si profili una trasgressione del principio d'eguaglianza in danno delle entit� soggettive di cui all'art. 3 d.P.R. 643/ 1972. Anzi, se si tiene presente che a queste ultime non si addice l'ipotesi di successione mortis causa, mentre le persone fisiche vengono assoggettate all'imposta in oggetto anche in caso di acquisto a titolo gratuito oltre che in caso di alienazione a titolo oneroso -, non pu� non riconoscersi che proprio la periodicit� dell'imposta evita che si verifichi la disparit� di trattamento a svantaggio delle persone fisiche, rivelando cos� anche la sua finalit� perequativa. N� costituiscono argomento in contrario i casi di investimenti in beni mobili particolarmente idonei a sfuggire all'imposta, nonostante il loro incremento di valore. Sembrano evidenti, infatti, le ragioni che. impediscono il raffronto di tali beni con gli immobili: baster� considerare che il loro incremento di valore, peraltro eventuale, non dipende certo dalla 808 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esecuzione di opere pubbliche o dall'istituzione di servizi pubblici. E va da ultimo ricordato, con riguardo alla censura di cui all'ordinanza emessa dalla commissione tributaria di Mondov�, che il legislatore non ha mancato di prevedere, come pi� sopra � stato appositamente posto in evidenza nell'esposizione della normativa in discorso, esenzioni e riduzioni, di cui i giudici tributari non mancheranno di tener conto, ove ne ricorrano gli estremi. Deve dichiararsi infondata, da ultimo, anche la questione sollevata dalla commissione tributaria . . . la quale denuncia il vizio di eccesso di delega, lamentando che l'art. 6, penultimo comma, della legge delegata n. 643 del 1972 contrasterebbe con l'art. 6, nn. 3 e 4, della legge di delegazione n. 851 del 1971 e, quindi, violerebbe l'art. 76 Cost. Ai fini della determinazione del valore iniziale per le possidenze societarie decennali -cos� il giudice a quo -, mentre la legge di delegazione statuisce semplicemente che tale valore � quello �alla data dell'acquisto per atto tra vivi o per causa di morte�, la legge delegata, viceversa, inserendo l'inciso che il valore in discorso Ǐ determinato ai sensi dei commi precedenti�, avrebbe �arbitrariamente esteso all'imposta decennale il criterio dell'accertamento fiscale ai fini dell'imposta iniziale di registro�. La censura non ha fondamento. Va al riguardo osservato che il legislatore delegato ha inteso stabilire, con l'inciso di cui sopra, il criterio di determinazione concreta del valore iniziale. Ma in tal modo, esso ha attuato, non gi� vulnerato la legge di delegazione, essendo il valore accertato ai fini dell'imposta di registro esattamente quello venale, che ne costituisce la base imponibile, secondo quanto risulta inequivocamente dal combinato disposto degli artt. 41, n. 1, 48 e 49 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, recante �disciplina dell'imposta di registro�. Appare pertanto insussistente l'addotta violazione dell'art. 76 Cost. L'ordinanza lamenta altres� che dall'applicazione del �valore fiscale accertato ai fini dell'imposta di registro o di successione�, per determinare, anche in ordine all'imposta decennale, il valore iniziale, deriverebbero �differenti criteri di valutazione (valori reali per l'imposta decennale, valori fiscali per quella sui trasferimenti) >>, in quanto non verrebbe tenuto conto della � differenza fra le situazioni rispettivamente incise (una situazione patrimoniale statica ed una situazione di riscossione occasionata da un trasferimento)�, Senonch�, si � appena osservato che tale differenza nei criteri di valutazione non ricorre. A parte ci�, giova chiarire che la disposizione impugnata vale, per un verso, ad evitare discrasie nella valutazione dello stesso bene -apparendo del tutto inammissibile che il valore venale possa essere, ai fini dell'INVIM, diverso da quello gi� determinato in sede di imposta di registro -e, per altro verso, a rendere omogenea l'applicazione del tributo nelle varie ipotesi, dato che la base imponibile � costituita in ogni caso dall'incremento di valore di un immobile in un determinato periodo di tempo. (omissis) llllrr11141r@trr1illr111:1~1l1,~:111::1:~�1~it~~:~==11:1:;1t'.1rif:1l�~1-:-:=:rrJirffi::::if:ri:i:ri:=:�:i=ffii:lr01~r.1=i11~;:11r;,~r1i11~111ri:r1:11;::::~1:::=::1t1~1:rg:iii~1rrll&r&;1111 :: PARTE I. SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE II (omissis) Deve, viceversa, dichiararsi non fondata la �questione di legittimit� costituzionale dell'art. 6, n. 4, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, e dell'art. 6, secondo comma, penultimo periodo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, nella parte in cui si stabilisce che per i trasferimenti assoggettati all'imposta sul valore aggiunto si assumono, quali valore finale ed iniziale, i corrispettivi determinati ai fini di detta imposta, in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione�, sollevata dalla commissione tributaria di primo grado di Firenze con ordinanza del 20 novembre 1980. Bench� i profili della censura non emergano con tutta nettezza, sembra tuttavia che la denunziata illegittimit� costituzionale consista nel dato che l'imposta in parola (INVIM) graverebbe sui trasferimenti soggetti ad IVA meno pesantemente che su quelli soggetti a registro. Dal � fatto che per i trasferimenti soggetti all'imposta sul valore aggiunto si adottino quali valori di riferimento i corrispettivi, anzich� i valori venali � deriverebbe l'impossibilit� per l'ufficio di operare su valori diversi da quelli indicati nell'atto di trasferimento, con conseguente violazione, sia del principio d'eguaglianza, sia del principio della capacit� contributiva, di cui appunto agli artt. 3 e 53 Cost. La questione si rivela non fondata. La disposizione intesa ad evitare, ai fini del calcolo dell'incremento di valore imponibile (INVIM) -nei casi di trasferimenti di immobili da parte di entit� soggette ad IVA -un'autonoma procedura di accertamento per la determinazione dei valori di confronto non � censurabile sotto i denunziati profili di legittimit� costituzionale. Uno degli obiettivi perseguiti dalla riforma fiscale � stato quello della semplificazione del metodo di prelievo, in maniera da ridurre il troppo elevato costo del sistema di riscossione delle imposte. In questa logica va vista l'unificazione delle procedure di accertamento dei tributi, di cui appositamente � riservato l'esercizio esclusivamente agli uffici finanziari dello Stato, ed in cui non pu� non farsi rientrare la tendenza ad evitare, in linea di principio, ogni duplicazione di accertamento che non appaia necessaria, e che pertanto potrebbe conseguire il risultato di ritardare ingiustificatamente la riscossione, specie tenendo conto della lentezza e dell'imperfezione funzionale degli uffici fiscali. � a questo criterio, non privo di giustificazione, che si � ispirato il legislatore nel dettare sul punto la disciplina in oggetto. Di conseguenza, non pu� riconoscersi pregio alla censura, non solo per la suesposta considerazione, ma anche per il rilievo che essa � rivolta ad un aspetto squisitamente tecnico, attinente alla realizzazione del tributo. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 810 CORTE COSTITUZIONALE, 26 settembre 1983, n. 261 -Pres. Elia -Rei. La Pergola -Jellimo (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Procedimento penale -Preistruttoria di polizia -Immediata perquisizione sul posto -Possibilit� di farsi assistere da un difensore -Mancata pre visione -Legittimit� costituzionale. (Cast., artt. 13 e 24; l. 22 maggio 1975, n. 152, art. 4). Il legislatore ordinario pu� consentire alla polizia di procedere, nei casi di necessit� ed urgenza, ad immediata perquisizione, senza obbligo per i procedenti di assicurare al perquisito la possibilit� di avvalersi della assistenza di un difensore. La statuizione all'esame della Corte, posta nell'art. 4 della legge n. 152 del 1975, � cos� formulata: �In casi eccezionali di necessit� e di urgenza, che non consentono un tempestivo provvedimento dell'autorit� giudiziaria, gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria e della forza pubblica nel corso di operazioni di polizia possono procedere, oltre che all'identificazione, all'immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo o di tempo non appaiono giustificabili. Nell'ipotesi di cui al comma precedente la perquisizione pu� estendersi per le medesime finalit� al mezzo di trasporto utilizzato dalle persone suindicate per giungere sul posto. Delle perquisizioni previste nei commi precedenti deve essere redatto verbale, su apposito modulo, che va trasmesso entro quarantotto ore al procuratore della Repubblica e, nel caso previsto dal primo comma, consegnato all'interessato �. (omissis) Nell'ordinanza del pretore di Pizzo, la rilevanza della questione forma invece, come si � premesso, oggetto di espressa e puntuale delibazione, ed � cos� argomentata: a) la norma dedotta in giudizio costituisce, nel vigente ordinamento, la sola base sulla quale la perquisizione possa nel caso in esame ritenersi eseguita; b) detta statuizione -norma eccezionale, si dice, e contenuta in una legge sull'ordine pubblico -priverebbe il soggetto delle garanzie di difesa, che lo assistono secondo le generali previsioni del codice di rito (artt. 304-bis, 304-ter e 224 cod. proc. pen.): con il risultato che il perquisito non sarebbe avvertito della possibilit� di farsi assistere da un difensore, e il difensore, dal canto suo, non avrebbe diritto al preavviso; c) un'eventuale pronunzia di accoglimento, in rela PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE zione alla prospettata lesione dell'art. 24 Cost., estenderebbe alla specie le garanzie di cui si lamenta la mancata previsione; d) l'imputato sarebbe stato tuttavia perquisito senza l'osservanza di tali garanzie, con conseguente nullit� �assoluta ed insanabile� della perquisizione e di tutti gli altri atti compiuti. Le deduzioni test� esposte non possono essere accolte. Lo stesso giudice a quo, com'� riferito in narrativa, asserisce che il verbale dell'avvenuta perquisizione non � stato redatto e trasmesso, nell'apposito modulo ed entro il termine previsto dalla disposizione censurata, alla competente autorit� giudiziaria. Si potrebbe, quindi, gi� per questo dubitare che nella specie difettino gli estremi contemplati dal legislatore perch� detta norma riceva applicazione. Anche, poi, a voler condividere l'assunto del giudice a quo, non si pu� consentire sulle conseguenze che egli ne trae, quanto alla rilevanza della questione sollevata in riferimento all'art. 24 Cost. Posto, infatti, che la perquisizione nella specie cada sotto la previsione dell'art. 4 della legge n. 152, si versa nel caso eccezionale di necessit� ed urgenza ivi configurato, che legittima l'esercizio dell'attivit� di polizia, anche nella sfera della prevenzione; tale sfera si atteggia peraltro, nella stessa prospettazione del giudice a quo, come estranea e irriducibile al sistema del processo penale: e se cos� �, una violazione del diritto di difesa non � neppure ipotizzabile. Invero, dove sussistano gli estremi della necessit� ed urgenza, con la conseguente impossibilit� del tempestivo provvedimento dell'autorit� giudiziaria, la previa autorizzazione di quest'ultima non � prescritta occorrre ricordare -nemmeno ai sensi dell'art. 224 del codice di rito, che ha riguardo, in via generale, alle perquisizioni della polizia giudiziaria. In relazione all'ipotesi qui considerata, il sistema processuale penale non esige n� che il perquisito sia avvertito della possibilit� di avvalersi del diritto di difesa, n� che alcun preavviso sia dato al difensore: per il quale ultimo la facolt� di intervento resta aperta se ne � in concreto possibile l'esercizio, come risulta anche dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenze 63/72; 173/74). La richiesta estensione delle previsioni del codice di procedura penale (artt. 224 e 304-ter) al caso di specie -e cos� all'ambito in cui operano le eccezionali esigenze di necessit� ed urgenza, sottostanti alla legge n. 152 -non potrebbe, allora, avere le conseguenze prospettate nell'ordinanza di rinvio. Ammesso pure che il perquisito non sia stato avvertito della possibilit� di farsi assistere dal difensore, e che il difensore non fosse presente nel luogo in cui sono intervenuti gli organi perquirenti, ci� non implicherebbe la nullit� della perquisizione: e dunque, nemmeno la nullit� di tutti gli atti successivi. La dedotta rilevanza della questione, in conclusione, non sussiste. (omissis) 812 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO I@ CORTE COSTITUZIONALE, 29 settembre 1983, n. 276 -Pres. De Stefano - Rel. Ferrari -Regione Sardegna (avv. Mercuri) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). I r.:i Regi::mi � Lavori pubblici di esclusivo interesse regionale -Opere por~~~ tl.ul.li � Classificazione dei porti -~ attribuzione amministrativa dello Stato. La classificazione dei porti, ancorch� rilevante per il riparto delle attribuzioni tra Stato e Regione, � rimessa all'amministrazione statale e non pu� essere modificata mediante sentenza della Corte costituzionale (1). (omissis) Lo statuto speciale della regione Sardegna, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, elenca all'art. 3 le materie nelle quali la regione, � col rispetto... degli interessi nazionali � -oltre che � degli obblighi internazionali... e delle norme fondamentali delle riforme economico- sociali della Repubblica�, nonch�, ovviamente, �in armonia con la I J f: Costituzione e i princ�pi dell'ordinamento giuridico dello Stato� -, ha potest� legislativa primaria e, quindi, anche amministrativa. Fra tali materie risultano compresi, alla lettera-e), � lavori pubblici di esclusivo inte~ j, ~; resse della regione �. Il regio decreto 2 aprile 1885, n. 3095 (approvazione del testo unico della legge 16 luglio 1884, n. 2518, con le disposizioni del titolo IV, porti spiagge e fari della preesistente 20 marzo 1865, sui lavori pubblici), nell'intento di E dettare criteri oggettivi per la classificazione dei porti, distingue questi in due categorie, suddividendo la seconda in quattro classi. All'uopo, l'art. 1 dispone, al primo comma, che � alla prima categoria appartengono i porti I ~:i e le spiagge che interessano la sicurezza della navigazione generale, e ser ili' vono unicamente o precipuamente a rifugio, o alla difesa militare ed alla sicurezza dello Stato�, ed al secondo comma, che �della seconda categoria fanno parte i porti e gli approdi che servono precipuamente al comr mercio ed abbiano i requisiti dell'articolo seguente �. A sua volta, l'art. 2, tenendo comunque conto del tonnellaggio delle merci imbarcate e sbarcate, assegna: alla prima classe, porti �situati a capo di grandi linee di comunicazione �, ed il cui movimento commerciale giovi � ad estesa parte i del Regno �, per cui sono da considerarsi � d'interesse generale dello Sta j to�; alla seconda classe, quelli, il cui movimento commerciale �interessa soltanto ad una o ad alcune province �; alla terza, quelli, � l'utilit� dei quali si estende soltanto ad una parte notevole di una provincia�; alla quarta, infine, �tutti gli altri porti, seni, golfi e spiagge, tanto del continente, quanto delle isole, non assegnati alle tre classi precedenti �. A sensi, poi, rf (1) La sentenza esclude che il giudice costituzionale, adito per conflitto di V attribuzione, possa � sostituire � l'ammiillistrazione nella emanazione di un atto ' (oltre che �demolire� l'atto ritenuto illegittimo). ~,: f:' 1~. (::: PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dell'art. 3, primo comma, come modificato dall'art. 15 del d.P.R. 30 giugno 1955, n. 1534 (decentramento del servizio del Ministero dei lavori pubblici), � alla classifica delle opere marittime si provvede mediante decreto del ministro per i lavori pubblici, di concerto con il ministro per il tesoro e gli altri ministri interessati, sentiti i pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Consiglio superiore della marina mercantile, nonch� dei Consigli delle provincie e dei comuni interessati�, mentre il regolamento per l'esecuzione della legge 2 aprile 1885, n. 3095, sui porti, spiagge e fari � {r.d. 26 settembre 1904, n. 713) stabilisce che � le attribuzioni e l'ingerenza devolute al Ministero dei lavori pubblici sull'esecuzione delle opere marittime sono subordinati a preventivi concerti... col ministro della marina...� (art. 1). L'attribuzione della materia di cui all'art. 3, lettera e) dello statuto alla competenza della regione Sardegna ha originato il problema di individuare i porti, in ordine ai quali spetta alla regione di eseguire le prescritte opere marittime. Per risolvere il problema, venne tenuto in Cagliari, il 26 novembre 1975, un incontro a livello tecnico fra Stato e regione, che peraltro non sort� esito positivo. Pochi giorni dopo, e precisamente il 4 dicembre, il Ministero dei lavori pubblici invi� alla regione sarda una nota, con la quale, premesso che � � preminente, ai fini dell'individuazione delle competenze trasferite in materia di opere marittime (art. 2, lettera d), del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480) la classifica dei porti risultante da formali provvedimenti amministrativi�; che il sopravvenuto mutamento dei presupposti di fatto � non pu� avere alcun valore in mancanza di un nuovo provvedimento di riclassificazione�; che, in ogni caso, la riclassificazione spettante al Ministero dei lavori pubblici, di concerto con quello della mari-. na mercantile, indicava nominatim i porti su cui permaneva la competenza statale, riducendo a 7 quelli di esclusiva competenza regionale, e concludeva con l'invito all'ufficio del genio civile � a procedere all'appalto dei servizi di pulitura dei porti di competenza statale..., nonch� di competenza promiscua �. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per conflitto di attribuzioni la regione Sardegna, la cui difesa poggia preliminarmente e fondamentalmente sulle � nuove �norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna (d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480), dalle quali trae argomento per formulare il primo motivo del ricorso. L'art. 2, infatti, -cos� la difesa imposta la questione -, ricalcando l'art. 9 delle precedenti norme di attuazione (d.P.R. 19 maggio 1950, n. 327), afferma che sono di preminente interesse statale la � costruzione e manutenzione di porti di prima e seconda categoria, prima classe �. Facendo, poi, ririvio all'art. 2 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, sul trasferimento alle regioni a statuto ordinario di funzioni amministrative statali, ribadisce che queste sono trasferite alle regioni, nella materia � lavori pubblici di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO interesse regionale �, quando si tratti di � opere concernenti i porti di seconda categoria dalla seconda classe in poi �. Sulla base di tale normativa, la regione sostiene: in primo luogo, che, in relazione all'art. 3, lettera e), dello Statuto sardo, la ripartizione della competenza in materia fra Stato e regione � stata gi� operata dalla legge; in secondo luogo, e conseguentemente, che non � necessario il tramite di un atto amministrativo; in terzo luogo, che questo ha valore meramente ricognitivo; da ultimo, che in ogni caso la riclassificazione non pu� essere compiuta unilateralmente dallo Stato, il quale altrimenti potrebbe, con comportamento omissivo o dilatorio, � vanificare un'attribuzione costituzionalmente conferita alla regione �. Ma i suddetti porti -ed � questo il secondo motivo del ricorso � devono considerarsi trasferiti alla regione, almeno per quanto concerne le opere non finalizzate al rifugio �. Ci� � da ritenersi, sia per i porti suscettibili di duplice classificazione (porto rifugio e porto commerciale), sia per quelli che non sono stati inquadrati nella seconda o terza classe della seconda categoria, i quali, � per la sola circostanza di non essere stati diversamente classificati, appartengono alla quarta classe..., senza necessit� di provvedimenti formali di classificazione�. Si sostiene infule che, in materia di opere portuali, � vi sia pieno trasferimento... della competenza alla regione � relativamente a quei porti, � ove la funzione di rifugio � nettamente superata dalla funzione commerciale �. (omissis) Il ricorso � infondato. Le norme che, con innegabile univocit�, stabiliscono, per un verso, la devoluzione, dallo Stato alle regioni, in materia di lavori pubblici di interesse regionale, delle funzioni amministrative relativamente alle opere concernenti i porti di seconda categoria dalla seconda classe in poi, e, per altro verso, la conservazione allo Stato, perch� di suo preminente interesse, delle funzioni in tema di costruzione e manutenzione di porti di prima e seconda categoria, prima classe, postulano, con tutta evidenza, l'emanazione di ulteriori atti, che a quelle norme diano concreta esecuzione, indicando singulatim l'appartenenza dei vari porti all'una o all'altra categoria, all'una o all'altra classe della seconda categoria. Ci� � asserito espressamente dall'Avvocatura dello Stato, quando afferma doversi �provvedere all'effettivo trasferimento alla regione sarda delle funzioni amministrative � nella materia de qua, e risulta, in fondo, riconosciuto anche dalla difesa della regione, quando a sua volta afferma che per � stabilire concretamente quali in effetti siano i porti sui quali si estende la competenza della regione, venne indetta una riunione tra rappresentanti dello Stato e della regione �. La constatazione test� fatta rende implausibile l'assunto, secondo cui, per quanto riguarda la spettanza dell'esercizio delle funzioni amministrative sui singoli porti, la � ripartizione... discende direttamente dalla legge e non abbisogna del tramite di un atto amministrativo�. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDl~NZA COSTITUZIONALE La legge (r.d. 3095/1885) -e non importa, essendo ancora vigente, che appartenga ad una stagione normativa superata -detta i criteri cui l'organo di esecuzione deve attenersi per classificare i porti; tali sono, a titolo esemplificativo, la collocazione � a capo di grandi linee di comunicazione �, il volume del movimento commerciale, secondo che giovi �ad estesa parte del regno ed al traffico internazionale terrestre �, ovvero � soltanto ad una o ad alcune province � ovvero ancora �ad una parte notevole di una provincia�, la �quantit� delle merci imbarcate o sbarcate �, ecc. Ora, la ricorrente chiede a questa Corte di �dichiarare la competenza della regione Sardegna in merito alle opere portuali dei porti sardi, che, pur inquadrati formalmente soltanto o anche nella prima categoria, svolgano una funzione prevalentemente commerciale�. In effetti, essa chiede a questa Corte di dirimere un conflitto di attribuzione, adottando, in relazione all'art. 3, lettera e), dello statuto speciale della Sardegna, il quale riserva alla competenza regionale le � opere pubbliche di esclusivo interesse regionale�, un provvedimento che tenga luogo delle classificazioni fatte in base a criteri contenuti in una legge, ancora in vigore, bench� vetusta, e peraltro neppure denunciata per sospetta illegittimit� costituzionale. Pertanto tale domanda non pu� trovare accoglimento, restando cos� assorbiti gli altri motivi dedotti. p.q.m. dichiara che non spetta alla regione Sardegna la competenza in merito alle opere portuali dei porti sardi di prima categoria, che svolgano una funzione prevalentemente commerciale. CORTE COSTITUZIONALE, 29 settembre 1983, n. 286 (ord.) -Pres. Elia - Rel. Bucciarelli Ducci -Bonamassa e Presidente Consiglio dei Ministri. Corte Costituzionale -Legittimazione a sollevare questione incidentale di legittimit� costituzionale � Pretore adito ex art. 700 cod. proc. civ. Limiti. (Cost., artt. 24 e 134, e I. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, art. 1; 1. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23). Il Pretore, dopo aver emanato il provvedimento di urgenza, ha, il solo obbligo -prescritto dall'art. 702, comma secondo, cod. proc. civ. di fissare il termine perentorio per l'inizio della causa di merito e non � legittimato a sollevare questioni di legittimit� costituzionale dato che non � pendente il giudizio di merito sul quale debbano esplicare influenza tali questioni. -I 816 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I (omissis) Considerato che il pretore di Bologna, con ordinanza 12 settembre 1980, ha dichiarato, a norma dell'art. 700 cod. proc. civ., che sussiste il diritto dei ricorrenti Pasquale Bonamassa e Francesca Indelicato ad essere inclusi, quali privi della vista, nell'elenco degli invalidi di cui all'art. 19 legge 2 aprile 1968, n. 482 (disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private), e si � riservato di provvedere con altra ordinanza sull'ulteriore corso del procedimento, senza fissare il termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito, imposto dall'art. 702, comma secondo, cod. proc. civ.; rilevato che lo stesso pretore con ordinanza 29 dicembre 1980 -a scioglimento delle precedente riserva -ha sollevato, di ufficio, le questioni di legittimit� costituzionale dell'art. 23, comma secondo, legge 11 marzo 1953, n. 87 (norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in riferimento agli artt. 134 e 24, comma primo, della Costituzione e all'art. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (norme sui giudizi di legittimit� costituzionale e sulle garanzie di indipendenza della Corte costituzionale); e dell'art. 6 comma secondo, citata legge n. 482 del 1968, in riferimento agli artt. 3, comma primo; 4, comma primo; 35, comma primo; 38, comma quarto, della Costituzione; rilevato che il pretore, dopo aver emanato il provvedimento di urgenza, ha il solo obbligo -prescritto dal citato art. 702, comma secondo, cod. proc. civ. -di fissare il termine perentorio per l'inizio della causa di merito e non � legittimato a sollevare questioni di legittimit� costituzionale dato che non � pendente il giudizio di merito sul quale debbano esplicare influenza tali questioni. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 10 ottobre 1963, n. 301 -Pres. Elia -Rel. Roehrssen -Ceccarelli (avv. Pandolfi), Adinolfi (avv. Guarino), Coop. Ninfina (avv. Cervati) e Presi.dente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Agricoltura e foreste . Terre incolte o insufficientemente coltivate � Concessione ai contadini � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 24, 42, 43, 44, 97 e 113; d.!. lgt. 19 ottobre 1944, n. 279 e successive integrazioni e modificazioni). Atto amministrativo . Prova dei fatti � Facolt� di allegazione del 'privato e poteri istruttori della P .A. Non contrastano con disposizioni costituzionali il d.l. lgt. 19 ottobre 1944, n. 279 (�Concessione ai contadini delle terre incolte�), come integrato e modificato dal d.l. lgt. 26 aprile 1946, n. 597, dai d.l. C.p.S. 6 settembre 1946, n. 89, 27 dicembre 1947, n. 710, dalla legge 18 aprile 1950, n. 199 ~ ti ;:: fi fil 4;:: l ti PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE e dall'art. 27 della legge 11 febbraio 1971, n. 11 (�nuova disciplina dell'affitto dei fondi rustici�). Nei procedimenti ammir.istrativi vige la regola secondo la quale ciascuna delle parti ha facolt� di addurre tutte le prove da essa ritenute utili, cos� come la stessa P.A. ha facolt� di procedere agli accertamenti del caso. (omissis) La Corte � chiamata a risolvere alcune questioni di legittimit� costituzionale concernenti le norme legislative emanate in un arco di tempo che va dall'anno 1944 all'anno 1950, nella materia della concessione a contadini delle terre non coltviate o insufficientemente coltivate. Come � stato ripetutamente posto in luce dalla giurisprudenza amministrativa, oltre che dalla dottrina, questo complesso di norme ha avuto di mira, essenzialmente, la situazione contingente delle masse contadine in relazione soprattutto alla difficile situazione verificatasi negli anni del dopoguerra, cos� come era gi� avvenuto subito dopo la prima guerra mondiale, quando il legislatore intervenne con il r.d. 2 settembre 1919, n. 1633 e con il r.d.l. 8 ottobre 1920, n. 1465, ricalcati dalla legislazione di questo secondo dopoguerra. Con le cennate disposizioni, pertanto, si � voluto venire incontro alle pressanti esigenze di lavoro di una vasta parte del popolo italiano, apprestando un mezzo ritenuto atto a soddisfare, almeno parzialmente, una grande richiesta di lavoro e rivolgendo, quindi, l'attenzione al fenomeno della non coltivazione e dell'insufficiente coltivazione che investiva non poche porzioni del nostro territorio nazionale. In questo quadro si � voluto guardare a situazioni di carattere ogget tivo, di meto fatto, e cio� al cennato stato di incoltivazione o di insuffi. dente coltivazione dei terreni, indipendentemente dalla causa dalla quale dipendeva lo stato medesimo: volendo affrontare in maniera anche rapida (come � dimostrato dal fatto che le norme in parola hanno apposto ter mini, peraltro non perentori, all'autorit� competente per l'emanazione della decisione sulle domande di concessione: art. 5 del d.l. lgt. n. 279 del 1944; art. 2 del d.l. 27 dicembre 1947, n. 1710; art. 2 della legge 18 aprile 1950, n. 199) una situazione che interessava altres� l'ordine pubblico in un Paese ancora in guerra o appena uscito dalla guerra, il legislatore del tempo ha ritenuto preferibile, come si � detto, guardare a dati concreti, agevolmente accertabili e che non avrebbero potuto dar luogo a contesta zioni dilatorie o pretestuose. (omissis) Si � trattato, quindi di una legislazione di emergenza, ma non per questo disgiunta dalla considerazione delle esigenze della Nazione nel suo settore agricolo. La stessa legislazione, d'altro canto, � quasi totalmente anteriore alla Costituzione repubblicana (la sola legge n. 199 del 1950 � successiva, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ma di poco). Ormai, superata la fase che si � indicata e verificatesi nuove situazioni, il legislatore � finalmente intervenuto con una nuova normativa, contenuta nella legge 4 agosto 1978, n. 440, la quale, avendo come principale finalit�, come dicesi nei lavori preparatori, il �recupero delle terre�, ha dettato disposizioni nuove, pi� ampie e pi� articolate, le quali, peraltro, hanno lasciato in vita il criterio secondo cui la procedura per la concessione delle terre incolte prende l'avvio dalla domanda di una organizzazione di contadini. Ma le disposizioni della legge n. 440, prive come sono di efficacia retroattiva, non possono influire sulla valutazione della legittimit� costituzionale delle norme anteriori, delle quali soltanto questa Corte oggi � chiamata a giudicare... Le questioni non sono fondate. Una prima questione, di carattere pi� generale, investe l'art. 1 del d.l. lgt. 19 ottobre 1944, n. 279, come modificato con l'art. 1 del d.l. C.p.S. n. 89 del 1946, e denuncia la violazione degli artt. 4, 41, 42, 43 e 44 Cost. in quanto la libert� economica verrebbe lesa senza riferimento a programmi (anzi, si afferma, qui si avrebbe la negazione della programmazione), non si tenderebbe al razionale sfruttamento della terra n� a porre in essere equi rapporti sociali, dato che le norme non portano al recupero produttivo delle terre e le organizzazioni contadine sono sempre indotte a chiedere le terre migliori. Ci� sarebbe divenuto pi� grave per effetto dell'art. 1 del citato d.l. n. 89 del 1946, il quale, sostituendo l'art. 1 del d.l. n. 279 del 1944, avrebbe enormemente dilatata la nozione di insufficiente coltivazione. Premesso che le prime disposizioni sulla concessione di terre incolte sono anteriori alla Costituzione del 1947, la Corte deve anzitutto rilevare che questa in nessuna delle . disposizioni invocate... prevede la program mazione come obbligatoria. Peraltro non � da dubitare che le limita zioni alla libera iniziativa economica ed al diritto di propriet� devono tro vare fondamento in regole ed in criteri razionali. Ma non pu� dirsi che le disposizioni in questione siano irrazionali. Da un lato, come si � veduto, esse hanno voluto far fronte a gravi situazioni contingenti e di ordine pubblico, ma dall'altro, nell'imporre il vincolo in parola, esse non si sono discostate dalle esigenze della produ zione agricola nazionale. L'idea di un recupero delle terre, certamente, � in re ipsa quando a chi riceve il beneficio della concessione si impone l'obbligo di coltivare e di rendere produttive le terre: la giurisprudenza amministrativa infatti ha ripetutamente affermato che la concessione del le terre incolte ha per fine anche il potenziamento della produttivit� dei terreni. A questo criterio essenziale risultano ispirate e coordinate le disposizioni censurate. Infatti, mentre la giurisprudenza vuole che prima di addivenire alla concessione occorre accertare l'idoneit� tecnico-finanziaria PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dell'organizzazione richiedente, la legge ha stabilito che in presenza di pi� domande relative al medesimo fondo il giudizio deve avvenire tenendo presenti �la forza lavorativa delle associazioni richiedenti e la capacit� tecnica dei dirigenti� (art. 2 d.l. lgt. 26 aprile 1946, n. 597); che nel disciplinare della concessione devono essere fissate le norme occorrenti per la conduzione del terreno concesso (art. 4 d.l. lgt. n. 279); che nel decreto di concessione deve essere stabilita la data di inizio della coltivazione delle terre stesse (art. 4 cit.); e infine, che l'abbandono del terreno e la inadempienza degli obblighi stabiliti comportano la revoca della concessione (art. 6 d.l. lgt. n. 279/1944; art. 7 d.I. n. 89/1946). Con queste prescrizioni il legislatore non ha mancato di tenere nel dovuto conto le esigenze della produzione agricola (del resto espressamente menzionate nell'art. 1 sia del d.l. n. 279 sia del d.l. C.p.S. n. 89 del 1946) ed a queste ha adeguato la disciplina della concessione, la quale, pertanto, non appare preveduta e regolata esclusivamente in funzione delle aspirazioni dei richiedenti: tutta l'attivit� che la P.A. deve svolgere in proposito deve essere correlata ai princ�pi ed ai criteri, certamente non irrazionali, posti in queste disposizioni. Che gli interessati possano richiedere la concessione delle terre che essi medesimi ritengono migliori pu� essere un dato di fatto esatto, ma non � in alcun modo decisivo poich� la domanda del privato, come meglio si vedr� pi� innanzi, costituisce oggetto di accertamenti e valutazioni da parte della P .A., alla quale spetta decidere nel merito. Sembra appena il caso di ricordare, infine, che il fornire lavoro a persone disoccupate, contemporaneamente arrecando vantaggi alla pro duzione nazionale, d� luogo indubbiamente alla realizzazione di finalit� sociali. Ne consegue che, contrariamente a quanto si osserva dai giudici a quibus, non si � affatto al di fuori del disposto n� dell'art. 41, terzo com ma, Cost., il quale vuole che l'iniziativa economica pubblica e privata sia indirizzata a fini sociali n� dell'art. 44, primo comma, Cost., il quale pre vede l'imposizione di obblighi e vincoli alla propriet� privata � al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali � (omissis) Una terza censura concerne ancora violazione degli artt. 43 e 44 Cost., assumendo che mentre i provvedimenti di concessione avrebbero carat tere sostanzialmente ablatorio, la legislazione non avrebbe n� fissato limiti di godimento del bene in relazione alla coltivazione n� avrebbe posto le direttive necessarie per la conduzione del fondo concesso. Anche questa censura � priva di fondamento in punto di fatto. Ed invero: a) l'art. 4 del d.l. n. 279 del 1944 stabilisce che a cura dell'ispetto rato agrario si deve redigere apposito disciplinare contenente le norme RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO occorrenti alla conduzione del fondo concesso: il successivo art. 6 stabilisce che in caso di violazione degli obblighi inerenti alla conduzione si fa luogo alla decadenza della concessione. Tale disposizione � ribadita dall'art. 7 del d.l. n. 597 del 1946 e dall'art. 7 del d.l. C.p.S. n. 89 del 1946; b) l'art. 2 del d.l. n. 279 del 1944 stabilisce altres� che deve essere fissato il termine per l'inizio della coltivazione da parte del concessionario, obbligo anch'esso sanzionato con la decadenza della concessione. � chiaro che attraverso tutte queste disposizioni si pongono in essere le direttive per l'attivit� che deve essere svolta dal concessionario, con ovvio riguardo allo stato dei singoli fondi, e si stabiliscono altres� i limiti al godimento del fondo medesimo, in modo da non pregiudicare i diritti del proprietario, il quale, allo scadere della concessione, riassumer� un fondo in condizioni migliori. (omissis) Con una quinta censura si denuncia la violazione degli artt. 3, pri mo comma, 97, primo comma, e 113, secondo comma, Cost. sotto due profili e cio�: da un lato perch� non sarebbe stato assicurato nella sua effettivit� il principio del contraddittorio (il proprietario del terreno richiesto potrebbe intervenire soltanto in una fase avanzata del procedi mento) e dall'altro perch� non sarebbe neppure prevista la possibilit� di addurre prove, di effettuare sopralluoghi, di fruire di consulenze tecniche. Anche queste censure risultano infondate. Ed invero, in ordine al primo profilo gi� l'art. 3 del d.l. lgt. n. 279 del 1944, stabilendo che la commissione provinciale ivi preveduta esamina l'istanza per la concessione �sentite le parti�, ha imposto la presenza del proprietario del terreno nel corso del procedimento, del quale ovvia mente deve avere avuto notizia, al fine di prospettare le eventuali ragioni a suo favore. L'art. 10 del d.l. lgt. n. 597 del 1946 ha poi stabilito in termini pi� generali che, pur non dovendosi osservare le norme della procedura ordi naria, deve tuttavia essere assicurato il diritto delle parti al contraddit torio: �di questa norma nello stesso d.l. lgt. n. 597 si hanno due ulteriori precisazioni, perch� l'art. 3 stabilisce che l'istanza di concessione ed il provvedimento che fissa l'udienza di comparizione devono essere notifi cati all'altra parte (e la giurisprudenza ha affermato che la notificazione deve essere effettuata con le norme degli artt. 137 e segg. del cod. proc. civ.), e l'art. 4, a sua volta, tratta della comparizione della parti dinanzi alla pi� volte ripetuta commissione. (omissis) Quanto al profilo relativo alle prove da addurre si deve osservare che le leggi in parola non contengono alcuna norma limitativa delle pos sibilit� per il proprietario di addurre prove o formulare richieste di accertamenti; nei procedimenti amministrativi in genere vige la regola secondo la quale ciascuna delle parti ha facolt� di addurre tutte le prove PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE da essa ritenute utili, cos� come la stessa P.A. ha facolt� di procedere agli accertamenti del caso. Del resto la possibilit� di addurre prove o di richiedere ulteriori accertamenti � da ritenere insita nella necessit� di chiamare il proprie tario a partecipare al procedimento. Per quel che riguarda in particolare la possibilit� di sopralluoghi � anche da dire che la giurisprudenza amministrativa vi ha fatto ripetuta mente riferimento nelle sue pronuncie, sicch� � da ritenere che mezzi di prova di tal genere non siano neppure esclusi in punto di fatto. E non va taciuto, da ultimo, che con l'art. 6, ultimo comma, della legge n. 440 del 1978 sono stati �estesi� i poteri di cognizione e di istru zione del giudice amministrativo di legittimit� per quel che riguarda provvedimenti relativi a terre insufficientemente coltivate. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 10 ottobre 1983, n. 302 -Pres. Elia -Rel. Ferrari -Costa (avv. Nigro) e Presidente del Consiglio dei Ministri (Avv. Stato De Francisci). Avvocati e procuratori -Dipendente da un comune -Indennit� di toga Inclusione nella base pensionabile. (Cost., artt. 3 e 36; l. 5 dicembre 1959, n. 1077, art. 18). Poich� l'indennit� di toga corrisposta agli avvocati del comune costituisce parte fondamentale della retribuzione ed � soggetta interamente a contribuzione, � costituzionalmente illegittima la disposizione che la esclude (anche solo in parte) dalla base pensionabile. (omissis) L'avv. Domenico Costa, capo dell'ufficio legale presso il comune di Roma, percepiva, all'atto del collocamento a riposo per raggiunti limiti d'et� (1� maggio 1972) la retribuzione complessiva annua di L. 7.277.712, di cui 1.440.000 venivano corrisposte a titolo di �indennit� di toga �. E poich� tale retribuzione risultava superiore a quella del segretario generale dello stesso comune -ammontante, infatti, a L. 6.524.500 -, il consiglio d'amministrazione della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali (CPDEL) riteneva di doverla valutare, ai fini del trattamento di quiescenza, sino alla cifra corrispondente a quella del segretario generale, per cui, con decreto (26 gennaio 1974) del direttore generale degli istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro, veniva liquidata la pensione di L. 5.444.500. Alla suddetta valutazione ed alla conseguente liquidazione del trattamento di quiescenza nella misura test� indicata la Cassa era pervenuta in applicazione dell'art. 18, primo comma, 822 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della legge 5 dicembre 1959, n. 1077, il quale dispone che �per ciascun dipendente, la retribuzione contributiva riferita al servizio reso a comune o provincia in nessun caso pu� superare quella del rispettivo segretario �, precisando che �a tal fine, si considera un'anzianit� di qualifica del segretario pari a quella del dipendente nella qualifica o grado rivestito �. In concreto, aveva calcolato l'indennit� di toga, non gi� nella sua interezza, bens� in un quarto, cio�, non nella somma di L. 1.440.000, ma in quella di L. 360.000, abbassando cos� la retribuzione pensionabile da L. 7.277.712 a L. 6.197.712 e, quindi, la pensione da L. 6.524.500 a L. 5.444.500. (omissis) Il procedimento di liquidazione del trattamento di quiescenza si bipartisce in due fasi, l'una immediatamente consecutiva all'altra, .ma tra loro inconfondibili: la prima consiste nella definizione dell'ammontare della retribuzione pensionabile, l'altra nella computazione, su quella cifra, della percentuale che il legislatore ha discrezionalmente determinato ai fini della liquidazione della pensione. Ora, la quest.ione su cui la Corte � sollecitata a pronunciarsi � stata sollevata appunto in ordine alla prima fase: pi� esattamente, in ordine alla decurtazione dell'indennit� di toga, nella misura del settantacinque per cento, che nel corso della suddetta fase � stata operata, determinandosi cos� una retribuzione pensionabile inferiore a quella corrisposta in costanza del rapporto d'impiego e, quindi, una pensione rapportata, non gi� alla retribuzione effettivamente p�rcepita, ma a quella minore, ottenuta mediante la suddescritta decurtazione del- l'indennit� di toga. A nulla gioverebbe rievocare l'origine e le vicende di questa indennit�. Ai fini della decisione, appare utile, invece, prendere atto, per un verso, che il giudice a quo, il quale si richiama alla propria giurisprudenza in termini, riconosce che �l'indennit� di toga corrisposta agli avvocati del comune... costituisce... parte fondamentale della retribuzione � e, per altro verso, che essa risulta soggetta interamente a contributo. Se, dunque, l'indennit� in parola ha natura di retribuzione contributiva, non pu� non ritenersi collidere con il principio di cui a:ll'art. 36, primo comma, Cost. la norma di cui all'impugnato art. 18 legge 1077/1959, intesa come disposizione facoltizzante la CPDEL a valutare solo in parte, anzich� nella sua interezza, la suddetta indennit� all'atto della determinazione della base pensionabile. Il principio costituzionale, infatti, della � retribuzione proporzionata alla quantit� e qualit� del... lavoro � prestato si estende innegabilmente, nella sua ampia portata, agli emolumenti che costituiscono parte fondamentale della retribuzione -e tale, come si � visto, il giudice di merito. dichiara l'indennit� in discorso -, e non si ravvisa alcun motivo, sia nell'art. 18, sia nella legge che lo contiene, il quale induca a considerare la decurtazione della retribuzione contributiva compatibile con esso prin� cipio costituzionale. (omissis) PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 823 CORTE COSTITUZIONALE, 18 ottobre 1983, n. 312 -Pres. Elia -Rel. Malagugini � D'Andrea ed altro (avv. Giannini) Cirio (avv. Pototschinig), Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Mataloni) e Provincia di Bolzano (avv. Guarino). Trentino Alto Adige � Provincia di Bolzano � Parificazione delle lingue ita� liana e tedesca � Riserva di norme di attuazione dello statuto � Non sussiste � Effettivo bilinguismo degli addetti a pubbliche funzioni od a servizi di pubblico interesse -Obbligo -Farmacisti � Sono addetti a servizio. di pubblico interesse. (Cost., artt. 3, 6 e 41; statuto Trentino-Alto Adige, artt. 4, 8, 100 e 107; 1. Bolzano 3 settembre 1979, n. 12, art. 1). Non v'� �riserva� di norma di attuazione dello Statuto della regione Trentino-Alto Adige per quanto concerne l'obbligo degli aqdetti a pubbliche funzioni od a servizi di pubblico interesse, di avere una adeguata conoscenza delle lingue italiana e tedesca; e poich� l'uso delle anzidette lingue non costituisce � materia � a s� stante, la provincia di Bolzano -e quindi anche lo Stato -possono disgiuntamente discipl.inare l'uso nelle materie di rispettiva competenza. I farmacisti, a prescindere dalla qualificazione del regime (concessorio o autoritario) cui sono sottoposte le farmacie, svolgono un servizio di pubblico interesse (1). (omissis) In forza dell'art. 1 della legge della provincia autonoma di Bolzano n. 12 del 3 settembre 1979: � al personale sanitario e alle categorie non mediche che viene integrato, ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, nel servizio sanitario nazionale, si applica il titolo primo del d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752 �. A sua volta, il d.P.R. n. 752 del 1976 (portante �norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzionale negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego �) per la parte che qui interessa, pone all'art. 1, primo comma, �la conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca, adeguata alle esigenze del buon andamento del servizio �, come requisito necessario �per le assunzioni comunque strutturate e denominate ad impieghi nelle amministrazioni dello Stato, comprese quelle ad ordinamento autonomo, e degli enti pubblici in provincia di Bolzano � nonch� per il personale di cui al secondo comma del medesimo art. 1. (1) :i:! dubbio che la sentenza, laddove riconosce sia alla provincia che allo Stato la facolt� di legiferare unilateralmente in tema di uso delle due lingue italiana e tedesca nelle � materie � di rispettiva competenz�a, contribuisca al reperimento di una soluzione unitaria e coerente al problema, pervero molto delicato (anche in Paesi che da tempo si cimentano con il plurilinguismo, quali alcuni cantoni svizzeri e �alcune province belghe). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I successivi artt. 3, 4 e 5 disciplinano le composizioni delle commissioni giudicatrici, il rilascio degli attestati in relazione alle prove di esame distinte per carriere, la sede e la data delle prove medesime. In applicazione della normativa qui sopra richiamata, il medico provinciale della provincia autonoma di Bolzano, indicendo, in data 30 maggio 1980, bando di concorso per titoli ed esami per l'assegnazione delle farmacie vacanti e di nuova istituzione nella provincia stessa, stabiliva, all'art. 10, che il �rilascio dell'autorizzazione all'esercizio della farmacia � subordinato... al possesso dell'attestato comprovante la conoscenza delle lingue italiana e tedesca corrispondente alla carriera direttiva, rilasciato dall'apposita commissione ai sensi degli artt. 3 e 4 del d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752, come previsto dalla legge provinciale 3 settembre 1979 n. 12 �. Di tale articolo del bando di concorso il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso 21 luglio 1980, ha chiesto l'annullamento, sollevando conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente della provincia autonoma di Bolzano, perch�, a dire del ricorrente, � non spetta alla � provincia stessa �ed ai suoi organi amministrativi statuire in materia di possesso di requisiti per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle farmacie per ci� che attiene il bilinguismo �. Con ordinanza 16 dicembre 1980 il Consiglio di Stato, sez. IV giurisdizionale, ha sollevato questione di legittimit� costituzionale dell'art. 1 della legge provinciale n. 12 del 1979 per � contrasto con gli artt. 3, 6 e 41 Cost., nonch� con gli artt. 4 e 8 del d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, e con gli artt. 100 e 107 del citato d.P.R. n. 670/72 in relazione al d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752, cos� come modificato e integrato dal d.P.R. 31 luglio 1978 n. 571 �. Sia il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri che l'ordinanza del Consiglio di Stato pongono a questa Corte in sostanza, lo stesso quesito: se cio� la provincia autonoma di Bolzano possa legiferare e deliberare sull'uso del bilinguismo o pi� esattamente sull'obbligo di adeguata conoscenza delle lingue italiana e tedesca per l'esercizio di determinate attivit�, tra cui quella farmaceutica. I due giudizi p�ssono, quindi, essere riuniti e decisi con unica sentenza. In primo luogo vanno esaminate, delle censure avanzate dal Consiglio di Stato, quelle che negano in radice ogni competenza della provincia autonoma di Bolzano a statuire, con propria legge, l'obbligo di una adeguata conoscenza delle lingue italiana e tedesca per l'esercizio dell'attivit� farmaceutica nella provincia stessa. In questi termini, il giudice a quo prospetta il contrasto dell'art. 1 della citata legge provinciale con l'art. 6 Cost. e con gli artt. 4, 8, 100 e 107 dello Statuto speciale di autonomia nel testo unificato di cui al d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670. Delle disposizioni statutarie il giudice rimettente offre peraltro una interpretazione che non tiene in alcun conto le modificazioni introdotte PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE con le leggi costituzionali n. 1 del 1971 e n. 1 del 1972 (recepite, appunto, nel testo unificato), Hmitandosi a richiamare alcune decisioni di questa Corte tutte anteriori alle modificazioni in discorso. Al contrario, occorre verificare se le disposizioni costituzionali sopravvenute siano rilevanti di per s�, ai fini del presente giudizio e se esse concorrano a suggerire una lettura dell'art. 6 Cost. diversa da quella adottata da questa Corte in un quadro normativo costituzionale che le predette disposizioni hanno ora modificato. Ad entrambi i quesiti la risposta non pu� che essere affermativa. Anche a prescindere da ogni considerazione se -per la natura meramente strumentale della lingua quale mezzo di comunicazione tra gli uomini -qui si tratti di una� materia� nel senso in cui il termine � usato in Costituzione ai fini del riparto delle competenze legislative e amministrative tra Stato e Regioni (e provincie autonome); anche ad ignorare la collocazione dell'art. 6 tra i � princ�pi fondamentali� della Costituzione; sta di fatto che dall'art. 4 dello Statuto per la regione Trentino-Alto Adige, nel testo unificato, si deduce con chiarezza che l'interesse nazionale -nel rispetto, anche, degli obblighi internazionali -alla � tutela delle minoranze linguistiche locali� costituisce uno dei princ�pi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, che si pone come limite e al tempo stesso come indirizzo per l'esercizio della potest� legislativa (e amministrativa) regionale e provinciale nel Trentino-Alto Adige. Inoltre, come osserva la difesa della provincia, � stata cancellata anche quella disposizione dello statuto originario di autonomia (art. 84) per cui �l'uso della lingua tedesca nella vita pubblica viene garantito da quanto in materia dispongono le norme contenute nel presente statuto e nelle leggi speciali della Repubblica�, dalla quale la Corte (sentenze nn. 32 del 1960 e 1 del 1961) aveva desunto argomenti per affermare la competenza legislativa esclusiva dello Stato in tale materia. Il vigente art. 99 del testo unificato dello statuto di autonomia (per effetto dell'art. 52 della legge costituzionale n. 1 del 1971) recita, invece: �Nella regione la lingua tedesca � parificata a quella italiana che � la lingua ufficiale dello Stato. La lingua italiana fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali nel presente statuto � prevista la redazione bilingue �. Non soltanto, dunque, � scomparso il riferimento alle � leggi speciali della Repubblica � in tema di � uso della lingua tedesca nella vita pubblica�, ma � solennemente proclamata la parificazione della lingua tedesca a quella italiana: con il corollario, espresso nel successivo art. 100 del medesimo testo unificato, per cui � i cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano hanno facolt� di usare la loro lingua non solo nei rapporti con gli uffici giudiziari e con gli organi e uffici della pubblica amministrazione situati nella provincia o aventi competenza regionale (l'art. 85 dello statuto originario menzionava unicamente gli organi ed uffici della pubblica amministrazione), ma anche �con i concessionari RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di servizi di pubblico interesse svolti nella provincia stessa �, i quali tutti sono tenuti ad usare nella corrispondenza e nei rapporti orali la lingua del richiedente (art. 100 cit. terzo comma). Per concludere sul punto, una volta affermato in termini costituzionalmente vincolanti l'obbligo di rispettare nella Regione la parit� tra la lingua italiana e quella tedesca; una volta riconosciuta la facolt� dei cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano di usare la loro lingua nei rapporti con gli umci giudiziari e con gli organi e uffici della pubblica amministrazione situati nella provincia o aventi competenza regionale nonch� con i concessionari di servizi di pubblico interesse svolti nella provincia stessa; una volta affermato l'obbligo di questi ultimi di usare, anch'essi, la lingua del richiedente (nella risposta); da tutto ci� discende che non viola, ma, al contrario costituisce attuazione del principio costituzionale di cui all'art. 6 Cost. e all'art. 4 dello statuto di autonomia la normativa provinciale che disciplini in conformit� ad essi l'uso delle lingue italiana e tedesca. Il Consiglio di Stato denuncia anche la violazione dell'art. 107 dello Statuto speciale di autonomia osservando come � l'applicazione della regola del bilinguismo, posta dal (menzionato) art. 100 dello statuto per i concessionari di servizi di pubblico interesse debba necessariamente passare (cos� come per i pubblici impiegati) attraverso le norme statali di attuazione �. Neppure questa censura � fondata. Gi� vigente la disposizione ongmaria dello statuto speciale (art. 95) che � si limita(va) a prevedere l'emanazione con decreto legislativo delle norme di attuazione �, questa Corte ebbe ad osservare (sent. n. 108 del 1971) che �non sempre n� necessariamente queste (norme di attuazione) sono richieste affinch� le regioni possano validamente esercitare la propria potest� legislativa�. Ed infatti non � dato ravvisare la necessit� di alcuna norma attuativa del principio del bilinguismo quando esso debba trovare appiicazion:: in materia di pacifica competenza provinciale, quale l'assistenza sanitaria (art. 9, n. 10 dello statuto speciale, nel testo unificato). L'infondatezza della censura in esame appare tanto pi� evidente quando si ricordi che l'obbligo del bilinguismo in provincia di Bolzano per gli esercenti un servizio di pubblico interesse (quali indubbiamente sono i farmacisti) � posto direttamente da una disposizione statutaria (art. 100) e che la legge provinciale (n. 12 del 1979) si � limitata ad utilizzare il meccanismo previsto dalla legge statale (d.P.R. n. 752 del 1976) per l'accertamento della conoscenza delle due lingue da parte dei soggetti interessati, in conformit� al disposto di altra legge statale di riforma (art. 80, legge 833 del 1978). Parimenti infondata � la censura proposta dal Consiglio di Stato con riferimento al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La parificazione della lingua italiana e tedesca comporta, per la provincia di Bolzano, l'obbligo del bilinguismo per tutti i pubblici funzionari e gli esercenti di servizi di pubblico interesse dovendosi, in quella provincia, porre sullo stesso piano l'obbligo del cittadino di lingua tedesca di conoscere la lingua italiana e del cittadino di lingua italiana di conoscere la lingua tedesca naturalmente nell'esercizio e per l'esercizio di quelle funzioni pubbliche e di quei servizi di pubblico interesse. La parificazione delle lingue non rappresenta soltanto un modo di tutela di una minoranza linguistica -tale nell'ambito nazionale, ed invece maggioritaria nella provincia di Bolzano -ma esprime il riconoscimento (anche in adempimento di obblighi internazionali dello Stato) di una tale situazione di fatto e del dovere di ogni cittadino, quale che sia la sua madre lingua, di essere in grado di comunicare con tutti gli altri cittadini, quando � investito di funzioni pubbliche o � tenuto a prestare un servizio di pubblico interesse. Il precetto, perci�, ha come destinatari non soltanto i cittadini (rientranti in quelle categorie e operanti nella provincia di Bolzano) di lingua madre italiana, ma anche quelli di lingua madre tedesca e, lungi dal violare, realizza il principio di eguaglianza, rispetto al quale, come ebbe gi� a rilevare questa Corte (sent. n. 86 del 1975) � rappresenta qualcosa di diverso e di pi��, in puntuale applicazione dell'art. 6 Cost. Quanto, infine, alla pretesa violazione dell'art. 41 Cost., baster� osservare che lo stesso giudice a quo considera il requisito del bilinguismo come una �limitazione all'esercizio dell'attivit� professionale di farmacista� e che, anche a volerla considerare apposta alla libert� di iniziativa economica, sarebbe pur sempre ispirata alla necessit� di evitare che ne possano derivare danni ai cittadini nei cui confronti il farmacista � chiamato a prestare la propria opera e che nella provincia di Bolzano ben possono esprimersi in una delle due lingue indifferentemente. Del resto, come gi� si � ricordato, � la stessa legge statale (anzi una legge di riforma) e precisamente la legge n. 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, che all'art. 80, nello stabilire che �restano ferme le competenze spettanti alle provincie autonome di Trento e Bolzano secondo le forme e condizioni particolari di autonomia definite dal d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 e relative norme di attuazione � ribadisce che ci� debba avvenire � nel rispetto per quanto attiene alla provincia autonoma di Bolzano delle norme relative... alla parificazione delle lingue italiana e tedesca �. Conclusivamente, tutte le questioni sollevate dal Consiglio di Stato devono essere dichiarate infondate. Invero, la provincia di Bolzano, con la propria legge n. 12 del 1979 ha inteso provvedere, come recita l'intestazione della legge stessa, alla � appli ...,.,.�.. 828 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cazione delle norme relative alla parificazione delle lingue italiana e tedesca per il personale a rapporto convenzionale nel servizio sanitario provinciale �. L'art. 1 di detta legge, per la parte impugnata, pone lo stesso requisito, di adeguata conoscenza delle due lingue, tanto per il personale sanitario quanto per le categorie non mediche integrate ai sensi dell'art. 48 della legge n. 833 del 1978, nel servizio sanitario nazionale. Tra queste ultime, ex art. 28 della medesima legge 833 del 1978 rientrano i farmacisti, che, a prescindere dalla qualificazione del regime, concessorio o autorizzativo, cui sono sottoposte le farmacie, svolgono indubbiamente un servizio di pubblico interesse. Se cos� �, non � dubbio che la provincia di Bolzano ha legiferato in materia nel pieno rispetto dei princ�pi fondamentali di cui all'art. 6 Cost. e 4 dello Statuto speciale di autonomia, in armonia con gli ulteriori dispo sti di cui agli artt. 99 e 100 dello statuto medesimo. Le considerazioni sin qui svolte conducono d1e plano al rigetto del ricorso per conflitto di attribuzioni proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri avverso il provvedimento del medico provinciale di Bolzano di cui all'art. 10 del bando di concorso, emanato il 30 maggio 1980, per la assegnazione di farmacie vacanti e di nuova istituzione nella provincia stessa. Invero, una volta riconosciuta la competenza legislativa della provincia nella soggetta materia, � evidentemente incont�stabile la correlata potest� amministrativa. p.q.m. 1) dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale dell'art. 1 della legge della provincia autonoma di Bolzano 3 settembre 1979 n. 12 sollevate in riferimento agli artt. 3, 6 e 41 Cost., nonch� agli artt. 4 e 8 del d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 ai sensi dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, ed agli artt. 8, 9, 100 e 107 del suddetto d.P.R. in relazione al d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752, cos� come modificato e integrato dal d.P.R. 31 luglio 1978 n. 571, dal Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, con l'ordinanza 16 dicembre 1980, di cui in epigrafe; 2) dichiara che spetta alla provincia autonoma di Bolzano ed ai suoi organi amministrativi statuire in materia di possesso di requisiti per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle farmacie nella provincia medesima per ci� che attiene al bilinguismo e conseguentemente rigetta il ricorso per conflitto di attribuzioni proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri contro il presidente della provincia autonoma di Bolzano, notificato il 29 luglio 1980, di cui in epigrafe. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 20 ottobre 1983, n. 319 -Pres. Elia -Rel. Roehrssen -Marzilli (avv. Stoppani), Picano (avv. Pallottino), S.p.A. Soc. It. Risanamento Agrario (avv. Sorrentino), Regione Lazio e Regione Campania (avv. Albamonte), Comune di Roma (avv. Carnovale) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). Regioni � Costruzione di asili nido -Rientra nella materia lavori pubblici di interesse regionale. (Cost., art. 117; 1. 6 dicembre 1971, n. 1044, art. 6). Espropriazimw per pubblica utilit� -Accertamento dei presupposti e adozione del provvedimento ablatorio -Concentrazione delle due funzioni nel medesimo organo � Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 97; !. 3 gennaio 1978, n. 1, artt. 1 e 3; !. reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, artt. 3, 4, 8, 13 e 14). Comuni -Delega di funzioni amministrative al Comune -Individuazione dell'organo comunale competente � Facolt� del legislatore regionale. (Cost., artt. 118 e 128; !. reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, art. 13). La materia � lavori pubblici di interesse regionale�, comprensiva anche di lavori di interesse subregionale, include i lavori relativi alla costruzione degli asili-nido. Non contrasta con il principio di imparzialit� (art. 97 Cast.) il non avere attribuito a distinte competenze amministrative (e, precisamente, a diversi organi appartenenti al medesimo soggetto) le due fasi proprie del procedimento espropriativo, quella dell'accertamento dei presupposti per la espropriazione e quella successiva della concreta adozione dei provvedimenti amministrativi ablatori. La legge regionale che, nel delegare determinate funzioni amministrative al comune, precisi anche quale fra gli organi comunali previsti dall'ordinamento dettato dallo Stato debba esercitare le funzioni medesime senza alterare la tipologia diella sua organizzazione, non lede l'autonomia dei comuni n� invade la sfera di competenza dello Stato. (omissis) Una prima questione di legittimit� costituzionale riguarda l'art. 6 della legge 6 dicembre 1971, n. 1044 (�piano quinquennale per la istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato�), con il quale lo Stato avrebbe delegato alle Regioni a Statuto ordinario la facolt� di dettare norme legislative in tema di asili-nido. In tal modo sarebbe stato violato l'art. 117 Cost., non rientrando la materia degli asili nido fra quelle affidate alla potest� legislativa concorrente delle regioni. La questione non � fondata. In realt� l'art. 6, n. 1 della citata legge n. 1044. non contiene alcuna delega di potest� legislativa alle Regioni per quel che attiene alla questione che ha fo11mato oggetto dei giudizi dinanzi ai giudici a quibus, e cio� per quel che concerne i lavori relativi alla 830 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO costruzione degli asili nido. Infatti ad avviso della Corte questi favori non possono non essere compresi nell'ambito dell'art. 117 Cost., laddove parla della materia indicata come �lavori pubblici di interesse regionale�, la quale � comprensiva anche dei lavori di interesse subregionale. A. riguardo � da rilevare che gli asili nido costituiscono istituzioni le quali operano nell'ambito comunale, cio� in un ambito locale, allo scopo di venire incontro alle esigenze delle famiglie insediate in quel territorio: rappresentano, quindi, la localizzazione di interessi certamente pi� vasti. E ci� � sufficiente a fare ritenere che i lavori relativi alla costruzione ed alla manutenzione degli edifici destinati a sede degli asili nido erano da consider�re compresi nell'art. 117 Cost., ancor prima che tutta l'attivit� dei medesimi asili fosse trasferita alle regioni per effetto della nuova concezione che � stata data alla beneficenza pubblica con l'art. 22 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (sent. n. 174 del 1981 di questa Corte). (omissis). Una terza questione di legittimit� costituzionale investe gli art. 3, 4, 8, B e 14 della legge n. 41 del 1974 della regione Lazio per violazione dell'art. 97 Cost., in quanto queste disposizioni non avrebbero osservato il principio di imparzialit�. Questo richiederebbe, ad avviso dei giudici a quibus, da un lato di tener distinte le autorit� che hanno competenza per le dichiarazioni di p.u. e di indifferibilit� ed urgenza e quelle che adottano i provvedimenti di espropriazione e di occupazione d'urgenza e dall'altro di non affidare al comune beneficiario delle espropriazioni il potere di emanare gli atti espropriativi, il che � tanto pi� grave in quanto il comune non pu� avere una struttura amministrativa articolata al pari dell'amministrazione statale. L'ordinan:lla ... investe sotto questo stesso profilo anche gli artt. 1 e 3 della legge statale 3 gennaio 1978, n. l, i quali hanno anch'essi eliminato ogni distinzione fra organi che espropriano ed organi che dichiarano la pubblica utilit�. Anche tale questione non � fondata. Premesso che la P.A. nello svolgimento dei suoi compiti agisce sempre nella sua qualit� di parte, cio� di esponente degli interessi pubblici che le sono affidati, e che di conseguenza essa tende in primis al soddisfacimento degli interessi della collettivit�, ma con la rigorosa osservanza del principio di legalit� (riaffermato anche dall'art. 97 Cost., allorquando parla della imparzialit�), non ritiene la Corte che il non avere attribuito a distinte competenze amministrative (e, precisamente, a diversi organi appartenenti al medesimo soggetto) le due fasi proprie del procedimento espropriativo, quella dell'accertamento dei presupposti per la espropriazione e !:~ quella successiva della concreta adozione dei provvedimenti amministrativi { ablatori, ponga in essere alcuna violazione del cennato principio di imparzialit�. lii! r: L'obbligo di dare esatta e completa applicazione alla legge e di osservarla pienamente nella sua lettera e nel suo spirito in modo da perse '~ �- f:I~ ~ �=� =,,,,~_,,,__.,.,.,.........'"'''"'"'"'"''''' -................~......... .,...............,.,,..............,.,,.,...,. ., ...,...,.,,,,,,,.,,,..,.....,__J ri1111is&llllllfiflirr111111111r11r1@11inllt1111t1lt111rt11rr111111r#1 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE guire in maniera obbiettiva il soddisfacimento degli interessi pubblici pu� bene ottenersi anche se non si operino distinzioni di quel genere: non si vede, in realt�, per qual motivo questo risultato non possa ottenersi se non attraverso una pi� o meno netta separazione degli organi che pongono in essere le due cennate fasi del procedimento espropriativo. La unificazione delle competenze, d'altro canto, � stata effettuata, tanto dalla legge statale quanto dalle leggi regionali, allo scopo essenziale di accelerare i tempi per la realizzazione delle opere pubbliche, eliminando fasi procedurali ritenute superflue. E certamente nel regolamentare in questo modo la materia i vari legislatori hanno tenuto presente da un lato che non sono mancati, anche in passato, casi nei quali le cennate fasi erano affidate ai medesimi organi (art. 31 del r.d. 8 febbraio 1923, n. 422, art. 1 r.d.l. 15 agosto 1925, n. 1636 e artt. 1 e 2 r.d. 11 aprile 1926, n. 752, ecc.) e dall'altro che la pi� recente legislazione ha notevolmente modificato il valore degli atti con i quali si autorizza la occupazione di urgenza dei terreni o si procede all'esproprio. In realt� i momenti principali ed essenziali per far luogo ad una espropriazione sono quelli nei quali, deliberata la realizzazione dell'opera (spesso gi� preveduta da appositi piani o programmi di carattere vincolante), si fa luogo alla individuazione dell'area sulla quale essa deve insistere, il che, se non � gi� avvenuto al momento iniziale di detta deliberazione, avviene nel momento della progettazione dell'opera, noto essendo che ogni progetto tecnico � strettamente legato nella sua essenza al terreno. Di conseguenza la prima decisiva incisione dei diritti dei singoli avviene nel momento della dichiarazione di p.u. (che presuppone un piano di massima indicante anche la descrizione dei terreni da occupare: art. 3 legge 25 giugno 1865, n. 2359) o quando si fa luogo alla approvazione del progetto (se si operi in regime di dichiarazione implicita di p.u.) con la osservanza delle norme relative alla localizzazione delle opere pubbliche: i successivi provvedimenti in base ai quali la P.A. pu� immettersi nel fondo del privato, a titolo provvisorio o definitivo, costituiscono, sotto questo profilo, pi� che altro atti esecutivi, onde anche per questo aspetto non pu� ritenersi irrazionale n� l'avere affidato ai medesimi organi le due fasi predette n� l'avere affidato (come avviene del resto in non poche leggi statali) la emanazione del provvedimento ablatorio allo stesso soggetto che dell'esproprio deve beneficiare. L'ultima questione concerne l'art. 13 della citata legge regionale del Lazio n. 41 del 1974, il quale violerebbe l'art. 128 Cost. in quanto non si limita a disporre la delega a favore del Comune, ma indica anche quale sia l'organo comunale competente all'esercizio del potere delegato. Anche tale questione non � fondata. La disposizione contenuta nell'art. 128 Cost. indubbiamente sottrae al potere legislativo delle regioni a statuto ordinario la disciplina della organizzazione degli enti territoriali, che rimane affidata esclusivamente al potere legislativo statale. 832 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ma la legge regionale che, nel delegare determinate funzioni amministrative al comune, precisi anche quale fra gli organi comunali previsti dall'ordinamento dettato dallo Stato debba esercitare le funzioni medesime senza alterare la tipologia della sua organizzazione, non lede l'autonomia dei comuni n� invade la sfera di competenza dello Stato. Si tratta di norma la quale opera nell'ambito della organizzazione data dalla legge statale e precisa lo specifico organo che deve in concreto provvedere. E ci� da un lato costituisce ovvia e necessaria precisazione di un aspetto della delega e dall'altro corrisponde anche al concetto espresso dall'art. 118, terzo comma, Cost., in base al quale le regioni esercitano normalmente le loro funzioni amministrative delegandole agli enti minori o �valendosi dei loro uffici�: � evidente che la regione pu� individuare l'ufficio comunale che ritiene maggiormente idoneo a svolgere le funzioni delle quali essa � titolare ed il cui esercizio trasferisce ad altri. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 20 ottobre 1983, n. 321 -Pres. Elia -Rel. Saja Morelli e altri (n. p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Caramazza). Amnistia e indulto -Legge di delegazione � � sufficiente la promulgazione anteriore al decreto presidenziale. (Cost., artt. 73 e 79; d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744). Per l'attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di concedere l'amnistia o l'indulto, non � necessaria la pubblicazione della legge di delegazione, ed � sufficiente la sua promulgazione prima dell'emanazione del decreto impugnato. (omissis) Ci� posto e passando al merito, osserva la Corte che i giudici rimettenti dubitano tutti della legittimit� costituzionale del d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744, con cui venne concessa l'amnistia e l'indulto per alcuni reati, in quanto esso venne pubblicato nella stessa Gazzetta Ufficiale n. 348 del 19 dicembre 1981, in cui fu pubblicata altres� la legge di delegazione (18 dicembre 1981 n. 743): in altri termini, il Presidente della Repubblica nell'emanare il decreto delegato in data 18 dicembre 1981 avrebbe esercitato un potere che ancora non gli competeva perch� la legge di delegazione era stata pubblicata il giorno successivo (19 dicembre 1981) e pertanto solo da tale giorno era divenuta efficace. La questione che si pone a questa Corte consiste pertanto nel decidere se, per l'attribuzione �al Presidente della Repubblica del potere di concedere l'amnistia o l'indulto, sia necessaria la pubblicazione della legge di - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE delegazione ovvero se sia sufficiente la sua promulgazione, avvenuta nella specie, cos� come non � contestato, prima dell'emanazione del decreto impugnato. Ritiene la Corte che la questione debba essere risolta in questo ultimo senso. La pubblicazione della legge costituisce un atto diretto a dare � comunicazione � della stessa ai cittadini per renderne possibile la conoscenza ed impone conseguentemente la' generale osservanza. Ma, ancor prima della pubblicazione, interviene nel procedimento legislativo, inteso in senso lato, la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica, la quale consiste in un atto che si compone di tre elementi: l'accertamento della sussistenza e dell'identit� della volont� delle due Camere, espressa mediante l'approvazione del disegno o della proposta di legge; la manifestazione della volont� del Presidente della Repubblica di procedere alla promulgazione suddetta, ed infine l'ordine di esecuzione diretto ad assicurare la piena operativit� della legge. Tale atto non costituisce soltanto il presupposto della successiva pubblicazione, la quale vdene attuata attraverso una serie di operazioni (il c.d. �visto�, l'inserzione della Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti, e la pubblicazione, propriamente detta, nella Gazzetta Ufficiale). Esso attribuisce altres� immediata efficacia, o se si vuole � esecutoriet� � (che si distingue dalla obbligatoriet� �erga omnes � conseguente alla pubblicazione), all'atto normativo. Quest'ultimo, pertanto, deve considerarsi non solo esistente nell'ordinamento giuridico ma, a taluni fini, anche efficace nei confronti di alcuni organi pubblici, tra cui sicuramente il Presidente della Repubblica nonch� il Governo; ci� che � avvenuto nel caso di specie, in cui il Consiglio dei ministri � intervenuto con la sua deliberazione nel procedimento conclusosi con l'emanazione dell'atto di clemenza. Da ci� le varie applicazioni che dal principio conseguono, e che sono generalmente ricordate in dottrina. Cos� per stabilire l'anteriorit� o la posteriorit� di una legge rispetto ad un'altra deve farsi riferimento alla data della promulgazione e non a quella della pubblicazione, sicch� la legge promulgata successivamente abroga quella promulgata prima anche se pubblicata dopo; cos�, ai fini dell'osservanza del termine fissato dalle leggi di delegazione, � sufficiente che l'atto (delegato) sia perfezionato con la emanazione prima della scadenza di detto termine anche se la pubblicazione avviene successivamente (cfr. in tali sensi anche le sentenze di questa Corte 6 luglio 1959, n. 39; 24 maggio 1960, n. 34; 12 novembre 1962, n. 91; 21 marzo 1974 n. 83). Dai superiori rilievi risulta evidente come, una volta avvenuta la promulgazione, sussisteva il potere delegato dal Parlamento al Presidente della Repubblica, il quale pertanto legittimamente ha emanato l'impugnato decreto di concessione dell'amnistia e dell'indulto. (omissis). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 28 novembre 1983, n. 326 -Pres. Elia -Rel. Andrioli -Lomastro (n. p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Sernicola). Lavoro -Danni da infortunio sul lavoro -Credito per risarcimento Privilegio generale. (Cost., art. 3, cod. civ., art. 2751-bis). Contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 2751-bis n. 1 cod. civ. (sub art. 2 legge 29 luglio 1975, n. 426) nella parte in cui non munisce del privilegio generale, istituito dall'art. 2 legge n. 4262 del 1975, il credito del lavoratore subordinato per danni conseguenti ad infortunio sul lavoro, del quale sia responsabile il datore di lavoro, se e nei limiti in cui il creditore non sia soddisfatto della percezione delle indennit� previdenziali e assistenziali obbligatorie dovute al lavoratore subordinato in dipendenza dello stesso infortunio. (omissis) La Corte, cos� giudicando, non invade l'area riservata alle scelte economico-politiche del legislatore, nelle quali non pu� non affondare le radici la �causa� del credito che, ai sensi dell'art. 2745 cod. civ., rappresenta la ragione giustificatrice della creaZJione di qualsiasi privilegio, ma inquadra la disposizione impugnata nel sistema del codice civile, di cui il legislatore ordinario non ha dato adeguata rappresentazione nella pur novellata disciplina del privilegio generale a favore del prestatore di lavoro subordinato. Il quale, se per l'attuazione nel concorso dei creditori della responsabilit� patrimoniale del datore per infortuni sul lavoro fosse confuso nella folla, sempre folta, dei creditori chirografari, sarebbe posposto ai crediti che gli artt. 2756, 2757, 2760 e 2761 (e la moltitudine delle leggi speciali sopravvenute) muniscono di non effimeri privilegi speciali. Ditalch� la legislazione italiana del 1975 regredirebbe ai tempi in cui non si temeva di allineare il lavoro speso dall'uomo a vantaggio di altri simili sul piano delle locationes bovis et rei. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 28 novembre 1983, n. 328 -Pres. e rel. Elia - Rigatti (n.p.). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Trasferimento di im mobili. -Vendita forzata senza incanto. (Cost., artt. 3 e 53; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 42). Contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 42 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (disciplina dell'.imposta di registro), nella parte in cui non dispone che anche per le vendite forzate senza incanto, effettuate ai sensi degli artt. 570 e seguenti del codice di procedura civile, la base imponibile � costituita dal prezzo di aggiudicazione. ~ ~=� ~ 1: ~ ~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La norma denunziata (art. 42, d.P.R. n. 634/1972) riproduce in sostanza l'art. so, secondo comma, della legge di registro che analogamente non disponeva che per le vendite forzate senza incanto, effettuate ai sensi dell'art. 570 e seguenti del codice di procedura civile, la tassa proporzionale fosse dovuta sul prezzo di aggiudicazione. Anche in questo caso quindi va rilevato, come gi� fatto con sentenza n. 156/1976, che per le vendite coatte senza incanto, disciplinate dagli artt. 570 e seguenti del codice di procedura civile, non sono contestabili l'autenticit� del prezzo pagato e la sua presumibile corrispondenza al prezzo di mercato: ci� avviene grazie a un procedimento di determinazione del valore venale che, per essere posto sotto il controllo del giudice dell'esecuzione, e subordinato a rigorose forme di pubblicit�, presenta ampie gai;: anzie di oggettivit� e di automatismo per la realizzazione del massimo ricavo possibile. � evidente quindi che per i beni soggetti ad esecuzione forzata venduti senza incanto sussistono le stesse ragioni perch� si applichi la normativa contenuta nell'art. 42 del d.P.R. n. 634/1972: ne deriva che la discriminazione attuata dalla norma impugnata nell'ambito dell'espropriazione forzata, tra vendite realizzate con il sistema all'incanto e vendite senza incanto, � priva di ogni fondamento razionale e deve essere considerata costituzionalmente illegittima. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sez. V, 14 luglio 1983, nella causa 174/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Mancini -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Arrondissementsrechtbank di Hertogenbosch nella causa Officier von Justitie c. ditta Sandoz B.V. -Interv.: Governi dei Paesi Bassi (ag. Italiener), danese (ag. Lachmann e Bos) e italiano (avv. Stato Braguglia) e Commis sione delle C.E. (ag. Wiigenbaur e Verstrynge). Comunit� Europee -Libera circolazione delle merci � Restrizioni giustificate da motivi di tutela della salute � Derrate alimentari � Ag� giunta di vitamine � Disciplina nazionale. (Trattato CEE, artt. 30 e 36; direttive CEE del Consiglio 23 ottobre 1962; 5 novembre 1963, n. 64/54; 21 dicembre 1976, n. 77/94}. Comunit� Europee -Libera circolazione delle merci � Restrizioni giustificate da motivi di tutela della salute � Derrate alimentari � Aggiunta di vitamine � Poteri delle autorit� nazionali � Limiti. (Trattato CEE, artt. 30 e 36). \ Il diritto comunitario non osta alla disciplina nazionale che vieti, salvo previa autorizzazione, la vendita di derrate alimentari, legalmente vendute in un altro Stato membro, cui sia stata aggiunta della vitamina, purch� la vendita sia autori'z,zata quando l'aggiunta di vitamine risponde ad una esigenza reale, in particolare di ordine tecnico o alimentare. (1) (1-2) Sui prodotti dietetici -cio� prodotti destinati ad una alimentazione particolare, che devono essere ogg-etto clii controlli di natura sanitaria e che sono nettamente distinti dai prodotti alimentari di consumo corrente (cfr., in Italia, la legge 29 marzo 19511, n. 3Z7, e il suo regolamento di esecuzione, appr. con d.P.R. 30 maggio 1953, n. 578) -una prima fase di ravvicinamento delle legisla2lioni degli Stati membri � stata gi� attuata, come ricordato dalla Corte, con la direttiva del ConsigMo 77/94/CEE del 21 dicembre ,1976. Le disposizioni di questa direttiva rendono evidente I'esig-enza imperativa di controlli, finalizza1Ji. alla tutela della salute pubblica, sulla produzione e sulla commercializzazione dei prodotti in questione: non solo controlli di etichettatura, per evitare al consumatore delusioni circa le effettive propriet� del prodotto, bens� accertamenti� sulla composizione del prodotto medesimo, il quale deve rispondere alle esigenze cui � destinato e, ovviamente, non deve essere nocivo. In mancanza di diret1Ji.ve specifiche del Consiglio (art. .1 n.. 3) la direttiva riserva alle disposizioni nazionali (art. 3) il controllo sulle modifiche apportate ai pro PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 837 Il diritto comunitario osta alla normativa nazionale che subordini la autorizzazione di vendere alla prova da parte dell'importatore che la merce non � nociva per la salute, salvo restando la facolt� delle autorit� nazio� nali di chiedere all'importatore l'esibizione di tutti i dati in suo possesso, utili per la valutazione dei fatti. E osta altres� alla normativa nazionale la quale subordini l'autorizzazione alla vendita alla prova da parte dell'importatore che la vendita del prodotto risponde ad una domanda sul mer� cato. (2) (omissis) 1. -Con sentenza 3 maggio 1982, pervenuta alla Corte il 28 giugno 1982, l'Economische Politierechter (Giudice di polizia economica) deU'Arrondissementsrechtbank (Tribunale) di s'Hertogenbosch ha sollevato, in forza dell'art. 177 del Trattato Cee, tre questioni pregiudiziali rela� tive all'interpretazione delle disposizioni del Trattato CEE in fatto di libera circolazione delle merci nell'ambito della Comunit�, e in particolare del� l'art. 36 di detto Trattato. 2. -Le questioni sono sorte nell'ambito di una causa penale promossa a carico della Sandoz B.V. con sede in Uden, la quale, senza l'autorizzazione del Ministro competente, aveva venduto e consegnato nei Paesi Bassi der� dotti per renderli destinati �ad una alimentazione particolare. E la clausola di libera circolazione del successivo art. 7 da un lato fa salva la riserva di cui al precedente art. 3, dall'altro rende legittimi. gli ostacoli alla libera circola� zione, quando essi dipendano da disposizioni non armonizzate giustificate da motivi di tutela della salute pubblica, di repressione delle frodi, di tutela della propriet� �industriale, ecc. Secondo la direttiva, dunque, i prodotti destinati ad una alimentazione particolare (fra i quali, normalmente, quelli con l'aggiunta di vitamine) sono prodotti sensibili in ragione delle riconosciute esigenze di tutela della salute pubblica (oltre che per ragioni di tutela del consumatore), e, dn difetto di direttive specifiche di armonizzazione particolare, sono tuttora soggetti alle disposizioni nazionali, le quali, per ragioni giustificate da motivi di tutela della salute pubblica, possono anche costituire legittimo ostacolo alla libera circola� zione dei prodotti medesimi. Non poteva, quindi, non ritenersi rimasto integro in linea generale, in assenza di direttive specifiche, il potere degli Stati membri in ordine alla protezione della salute e della vita delle persone, salva nello svolgimento dei controlli la proporzionalit� e la non discriminazione fra prodotti importati e nazionali (cfr., precedentemente, le sentenze della Corte 20 maggio 1976, nella causa 104/75, DE PEIJPER, in Racc., 1976, pag. 613; 8 novembre 1979, nella causa 251/78, DENKAVIT, ibidem, ,1978, pag. 3369; 5 febbraio 1981, nella oausa 53/80, EYSSEN, ibidem, 1981, pag. 409; 17 dicembre 1981, nella causa 272/80, BIOLOGISCHE PRODUCTEN, ibidem, 1981, pag. 3277). Circa la collocazione dd prodotti vitaminici nella categoria dei medicinali, ai sensi della direttiva del Consiglio 65/65/CEE del 26 gennaio ,1965, o in quella dei prodotti alimentari, cfr. la successiva sentenza della -Corte 30 novembre 1983, nella causa 227/82, BENNEKOM, di prossima pubblicazione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 838 rate alimentari e bevande destinate al commercio ed al consumo umano, alle quali erano state aggiunte vitamine. 3. -L'art. 10-bis, n. l, dell'Algemeen Besluit (decreto) 11 luglio 1949, emanato in forza degli �artt. 14 e 15 della Warenwet [legge sulle merci] del 1935, vieta� di aggiungere alle derrate alimentari ed alle bevande... delle vitamine... senza l'autorizzazione del Ministro incaricato dell'esecuzione del presente decreto->>. 4. -Nel nostro caso, la Sandoz B.V. [in prosieguo Sandoz] vendeva nei Paesi Bassi bastoncini di muesli, del powerback e delle bevande analettiche ai quali erano state aggiunte determinate vitamine, in particolare delle vitamine A e D. Dal fascicolo si desume che tutti i prodotti di cui trattasi sono lecitamente venduti nella Repubblica federale di Germania o nel Belgio. Prima di venderli nei Paesi Bassi, la Sandoz ne chiedeva la autorizzazione, in conformit� alla legge sopracitata. L'organo olandese competente rispondeva in un primo tempo che l'autorizzazione viene concessa solo se le merci sono richieste sul mercato. La domanda d'autorizzazione veniva poi respinta per il motivo che la presenza nelle merci delle vitamine A e D costituiva un rischio per la sanit� pubblica. 5. -Ritenendo che la propria pronuncia dipendeva dalla questione se le norme olandesi sopramenzionate fossero compatibili con gli artt. 30 e seguenti del Trattato e che quindi l'interpretazione di tali disposizioni gli era necessaria per pronunciare la sentenza, l'Economische Politierechter ha sospeso il giudizio ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni: � 1. Supposto che: a) un cibo e/o bevanda, al quale sia aggiunta della vitamina, sia stato messo in commercio in uno o pi� Stati membri in modo legale, cio� in conformit� alla legislazione che � col� in vigore, e b) un importatore di cibi e/o bevande, stabilito in un altro Stato membro, importi di cibo e/o bevanda di cui sopra, da uno degli Stati membri di cui al punto a) nello Stato membro nel quale � stabilito, se le disposizioni che derogano alle norme relative alla libera circolazione delle merci all'interno della Comunit�, in particolare l'art. 36 del Trattato CEE, per quanto riguardano la tutela della salute pubblica, giustifichino che le autorit� dello Stato membro d'importazione vietino lo smercio del cibo e/o bevanda di cui trattasi in questo paese, salvo autorizzazione ministeriale. 2. Se sia rilevante per la soluzione da dare alla questfone di cui sopra che il divieto generale di vendere cibi e bevande alle quali siano state aggiunte delle vitamine, salvo autorizzazione concessa con decisione del Mi('. �: nistro, abbia per effetto che l'importatore sopra considerato al punto 1.b), ~~ ; ; ff ~ PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE ha l'onere di provare che la merce di cui trattasi non � nociva per la sanit� pubblica e pertanto dev'essere autorizzata. 3. Se sia rilevante ai fini di quanto precede che l'applicazione del divieto generale di vendere cibi e bevande alle quali siano state aggiunte delle vitamine, a meno che tale vendita sia autorizzata con decreto ministeriale, abbia per effetto che le autorit� nazionali di uno Stato membro vietino la vendita di cibi e bevande vitaminizzate che sono lecitamente prodotte e messe in commercio in un altro Stato membro, a meno che il produttore o il venditore dimostrino non solo che queste merci non sono . nocive per la salute, ma anche che il loro smercio � auspicabile e che l'aggiunta di vitamine risponde ad una necessit��. Sulla prima questione. 6. -Con la prima questione il giudice nazionale vuole in sostanza sapere se, ed eventualmente in quali ipotesi, le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci ostino alla disciplina nazionale Ja quale vieti, salvo previa autorizza2lione amministrativa, lo smercio di derrate alimentari, lecitamente vendute in un altro Stato membro, cui sia stata aggiunta della vitamina. 7. -A norma dell'art. 30 del Trattato sono vietate nel commercio fra Stati membri le restrizioni quantitative all'importazione nonch� le misure d'effetto equivalente. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, va considerata misura d'effetto equivalente alle restrizioni quantitative qualsiasi disciplina commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in potenza o in atto, il commercio intracomunitario. Tuttavia, a norma dell'art. 36 del Trattato, l'art. 30 non osta ai divieti o restrizioni d'importazione giustificate, fra l'altro, da motivi di tutela della salute delle persone, purch� tali divieti o restrizioni non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria, n� una restrizione dissimulata nel commercio fra gli Stati membri. 8. -� manifesto che la normativa nazionale del genere di quella cui il giudice proponente si riferisce, la quale vieti, salvo previa autorizzazione amministrativa, la vendita di derrate alimentari cui sia stata aggiunta della vitamina, � atta ad ostacolare il commercio fra Stati membri e va quindi considerata una misura d'effetto equivalente a restrizioni quantitative ai sensi dell'art. 30 del Trattato. La soluzione della questione sollevata dipende quindi dalla possibilit� di applicare l'art. 36 a detta normativa. 9. -In proposito, secondo la Sandoz e la Commissione, solo in caso di consumo eccessivo, il quale sarebbe tuttavia escluso per le merci di cui trattasi, le vitamine ed in particolare le vitamine liposolubili, quali RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO le vitamine A e D, possono avere effetti nocivi. Il divieto generale di vendere derrate alimentari cui siano state aggiunte vitamine di qualsiasi tipo non sarebbe quindi giustificato, ai sensi dell'art. 36 del Trattato, da motivi di tutela della salute e sarebbe comunque sproporzionato ai sensi dell'ultimo inciso dell'articolo stesso. 10. -Per contro, i Governi olandese e danese sostengono che una normativa del genere � resa n�cessaria dalla natura stessa delle sostanze aggiunte, dato che l'assorbimento di qualsfasi vitamina in dosi elevate o per un periodo prolungato pu� implicare rischi per la salute o, quantomeno, effetti secondari deprecabili, quale il manifestarsi di carenze alimentari. Tenuto conto delle incertezze della scienza e del fatto che la nocivit� delle vitamine dipende dalla quantit� assorbita unitamente alla alimentazione complessiva, non sarebbe possibile, per alcuna derrata alimentare cui sia stata aggiunta della vitamina, affermare con certezza se essa sia nociva o meno. 11. -Dal fascicolo si desume che le vitamine non sono di per s� sostanze nocive, bens� al contrario. sono considerate dalla scienza moderna necessarie per l'organismo umano. Tuttavia il loro consumo eccessivo per un periodo prolungato pu� avere effetti nocivi la cui gravit� dipende dal tipo: le vitamine liposolubili rischiano in via generale di essere pi� nocive di quelle idrosolubili. Cionondimeno, stando alle osservazioni sottoposte alla Corte, la ricerca scientifica non sembra essere ancora in grado di determinare con certezza le quantit� critiche ed i precisi effetti. 12. -Non � contestato dalle parti che hanno sottoposto osservazioni che la concentrazione delle vitamine contenute nelle derrate alimentari del genere di quelle di cui � causa � lungi dal raggiungere la soglia critica di nocivit�, di guisa che nemmeno il consumo eccessivo di esse pu� di per s� implicare un rischio per la sanit� pubblica. Tuttavia un rischio del genere non si pu� escludere nel caso in cui il consumatore assorba inoltre delle quantit� di vitamine incontrollabili ed imprevedibili con altri alimenti. 13. -La questione dell'aggiunta di vitamine rientra quindi nell'ambito della politica generale riguardante gli additivi alimentari i quali costituiscono gi�, in misura limitata, l'oggetto di armonizzazioni comunitarie. La direttiva del Consiglio 23 ottobre 1962, relativa al riavvicinamento delle normative degli Stati membri riguardanti le materie coloranti che possono essere usate nelle derrate destinate all'alimentazione umana (G.U. pagina 2645) e la direttiva del Consiglio 5 novembre 1963, n. 64/54, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti gli agenti conservanti che possono essere usati nelle derrate destinate alla ~ .. . .� x�. .� m . ~ ;:_ ...:"{ .. ::::...;. � ::::: .� ::::.:::.-:-: u . . :-"hM :!...: ~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 841 alimentazione umana (G. U. 1964, pag. 161), emendata, ad esempio, obbligano gli Stati membri ad autorizzare unicamente le materie coloranti e gli agenti conservanti tassativamente enumerati in un elenco allegato, ma lasciano gli Stati membri liberi di restringere, in determinati casi, l'uso delle stesse materie enumerate. 14. -Per quanto riguarda le derrate alimentari destinate ad una particolare alimentazione, una certa armonizzazione � stata effettuata con la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, n. 77/94, relativa al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti le derrate alimentari, destinate ad una particolare alimentazione (G. U. 1977, n. L 26, pag. 35). L'art. 7 di detta direttiva ordina agli Stati membri di adottare tutti gli opportuni provvedimenti perch� il commercio di detti prodotti non possa essere ostacolato dall'applicazione delle norme nazionali non armonizzate che disciplinano la composizione, le caratteristiche produttive, il confezionamento o l'etichettatura delle derrate alimentari, salve restando tuttavia le disposizioni giustificate da motivi, fra l'altro, di tutela della sanit� pubblica. '15. -Gli atti comunitari di cui sopra rendono manifesto che il legislatore comunitario parte dal principio che � opportuno restringere l'uso degli additivi alimentari alle sostanze tassativamente specificate, pur lasciando agli Stati membri un certo margine discrezionale per emanare disposizioni pi� rigorose. Questi atti dimostrano quindi una grande prudenza per quanto riguarda la potenziale nocivit� degli additivi, il cui grado � ancora incerto per le varie sostanze, e lasciano un ampio potere discrezionale agli Stati membri per quanto riguarda gli additivi stessi. 16. -Come la Corte ha affermato nella sentenza 17 dicembre 1981 {Frans-Nederlandse Maatschappij voor Biologische Producten, 272/80, Racc. pag. 3277), tutte le volte che sussistono delle incertezze nello stato attuale della ricerca scientifica, spetta agli Stati membri, in mancanza d'armonizzazione, decidere il livello al quale essi intendono garantire la tutela della salute e della vita delle persone, pur tenendo conto delle esigenze della libera circolazione delle merci nell'ambito della Comunit�. 17. -Questi principi valgono pure per le sostanze del genere delle vitamine le quali non sono in via generale nocive di per s�, ma possono produrre effetti nocivi particolari nel solo caso del consumo eccessivo col complesso degli alimenti la cui composizione � imprevedibile ed in. controllabile. Date le incertezze inerenti alla valutazione scientifica, la disciplina nazionale che vieti, salvo previa autorizzazione, la vendita di 842 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO derrate alimentari cui siano state aggiunte delle vitamine � in linea di principio giustificata, ai sensi dell'art. 36 del Trattato, da motivi di tutela della salute umana. 18. -Tuttavia il principio di proporzionalit� che costituisce il fondamento dell'ultimo inciso dell'art. 36 del Trattato esige che la facolt� degli Stati membri di vietare le importazioni dei prodotti di cui trattasi da altri Stati membri sia limitata a ci� che � necessario per conseguire gli scopi di tutela della salute legittimamente perseguiti. La normativa nazionale che contempli un divieto del genere � quindi giustificata solo se le autorizzazioni di vendita sono concesse ogni volta che siano compatibili con le esigenze della tutela della salute. 19. -Una valutazione del genere, � cionondimeno difficile quando si tratta di additivi come le vitamine, caratterizzate dalle propriet� sopraindicate, le quali escludono la possibilit� di prevedere o di controllare le I quantit� sorbite col complesso degli alimenti ed il cui grado di nocivit� non pu� essere determinato con sufficiente certezza. Ciononostante, bench�, tenuto conto dello stato attuale dell'armonizzazione delle legislazioni I f� nazionali a livello comunitario, un ampio margine discrezionale debba i= essere lasciato agli Stati membri, questi, in ossequio al principio di proporzionalit�, devono autorizzare la vendita quando l'aggiunta di vitamine I a derrate alimentari risponde ad un'esigenza reale in particolare di ordine f: tecnico o alimentare. 20. -La prima questione va quindi risolta nel senso che il diritto coI munitario non osta alla disciplina nazionale che vieti, salvo previa autorizzazione, la vendita di derrate alimentari, legalmente vendute in un altro Stato membro, cui sia stata aggiunta della vitamina, purch� la ven I dita sia autorizzata quando l'aggiunta di vitamine risponde ad un'esigenza reale, in particolare di ordine tecnico o alimentare. I Sulla seconda questione. 21. -Con la seconda questione il giudice nazionale chiede in sostanza se il diritto comunitario osti ad una normativa nazionale del genere di quella di cui trattasi, qualora l'autorizzazione di vendita sia subordinata alla condizione che l'importatore provi che la merce non � nociva per la salute. 22. -Nei casi in cui, tenuto conto della soluzione data alla prima questione, in occasione di una domanda di autorizzazione sorge un pro PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 843 blema di onere della prova, � opportuno ricordare che l'art. 36 del Trattato implica un'eccezione, da interpretarsi restrittivamente, al princ1p10 della libera circolazione delle merci nell'ambito della Comunit�, il quale fa parte dei principi fondamentali del mercato comune. Ne consegue che spetta alle autorit� nazionali le quali invocano detta disposizione, onde adottare un provvedimento restrittivo del commercio intracomunitario, di controllare di volta in volta se il provvedimento in progetto risponda ai criteri della disposizione stessa. 23. -Di conseguenza, bench� le autorit� nazionali, qualora non ne dispongano, possano chiedere all'importatore di esibire i dati in suo possesso relativi alla composizione della merce ed all'esigenza tecnica o alimentare di aggiungere della vitamina, spetta alle stesse autorit� nazionali il valutare, tenendo conto di tutti i fattori rilevanti, se l'autorizzazione debba essere concessa in conformit� al diritto comunitario. 24. -La seconda questione va quindi risolta nel senso che il diritto comunitario osta alla normativa nazionale che subordini l'autorizzazione di vendere alla prova da parte dell'importatore che la merce non � nociva per la salute, salva restando la facolt� delle autorit� nazionali di chiedere all'importatore l'esibizione di tutti i dati in suo possesso, utili per la valutazione dei fatti. Sulla terza questione. 25. -Con la terza questione il giudice nazionale chiede in sostanza se il diritto comunitario osti ad una normativa nazionale del genere di cui trattasi, qualora l'autorizzazione alla vendita sia subordinata alla condizione che l'importatore provi che la vendita della merce risponde ad una domanda sul mercato. 26. -Per quanto riguarda l'esigenza della domanda sul mercato, si deve rilevare che il semplice fatto di porre una condizione del genere costituisce di per s� una misura d'effetto equivalente vietata dall'art. 30 e che non rientra affatto nell'eccezione di cui all'art. 36. Lo scopo perseguito dalla libera circolazione delle merci consiste precisamente nel garantire alle merci dei vari Stati membri l'accesso ai mercati sui quali esse non erano precedentemente presenti. 27. -La terza questione va quindi risolta nel senso che il diritto <Comunitario osta alla normativa nazionale la quale subordini l'autorizza �zione alla vendita alla prova da parte dell'importatore che la vendita del prodotto risponde ad una domanda sul mercato. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sez. IV, 5 ottobre 1983, nelle cause riunite 186 e 187/82 -Pres. O' Keeffe -Avv. Gen. Mancini -Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dalla Corte d'appello di Catania nelle cause Amministrazione delle Finanze c. Esercizio Magazzini Generali S.p.a e c. Mellina Agosta S.r.l. -Interv.: Governo Italiano (avv. Stato Braguglia) e Commissione delle C.E. (ag. Prozzillo). Comunit� europee -Unione doganale � Dazi doganali � Pagamento � Casi di dispensa � Pentita della merce -Furto � Irrilevanza. (Direttiva CEE del Consiglio 4 marzo 1969, n. 69/74, art. 11; regolamento CEE del Consiglio 13 dicembre 1976, n. 222/77, art. 34; direttiva CEE del Consiglio 25 giugno1979, n. 79/623, art. 4; t.u. leggi doganali d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 36 e 37; legge 22 dicembre 1980, n. 891, art. 22-ter). Secondo le norme comunitarie vigenti in materia doganale, la sottrazione, ad opera di terzi, anche senza colpa del debitore, di merce soggetta a dazio doganale non estingue la relativa obbligazione (1). (omissis) 1. -Con due ordinanze 18 giugno 1982, pervenute alla cancelleria il 23 luglio 1982, la Corte d'appello di Catania ha sottoposto a questa Corte di giustizia, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale concernente la nozione di forza maggiore ai sensi del diritto doganale comunitario. 2. -Detta questione � stata sollevata nell'ambito di due controversie tra il Ministero delle finanze e le imprese Esercizio Magazzini Generali S.p.a. e Mellina Agosta S.r.l. Risulta dal fascicolo che nel 1978 veniva sottratto dal deposito doganale gestito nel porto di Catania dalla societ� Esercizio Magazzini Generali un determinato quantitativo di tabacchi (1) Tutti gli Stati membri applicano nel senso indicato le disposizioni della direttiva n. 69/74, ispirate a norme internazionali e, segnatamente, a quelle della convenzione di Kyoto del 18 maggio 1973 sulla armonizzazione dei regimi doganali (accettata con decisione del Consiglio delle Comunit� europee 18 marzo 1975, n. 75/199, in G.U.C.E. n. L 100, pag. 11), secondo cui � les marchandises vol�es ne sont pas consid�r�es d�truites ou irr�m�diablement perdues � (all. Bl), restando, per tal modo, soggette ai diritti e alle tasse di importazione. La Corte di cassazione italiana, che -sulla base dell'art. 3,7 del t.u. delle leggi doganali approvato con d.P.R. 23 gennaio 1973., n. 43, prima che esso fosse interpretato autenticamente dall'art. 22-ter introdotto nel d.l. 311 ottobre 1980, n. 693, dalla legge di conversione 22 dicembre ,1980, n. 891 -era orientata nel senso della dispensa dal pagamento dei dazi doganali nell'ipotesi di furto perpetrato da terzi senza dolo o colpa dell'obbligato alla prestazione tributaria (Cass., 22 dicembre 1978, n. 6148, in Foro it., 1979, I, 1177, e 18 gennaio 1980, n. 431, in Rep. Foro it., 1980, voce Dogana, n. 51), preso atto dello jus superveniens, ha statuito (Cass., 31 ottobre 1981, n. 5769, in Foro it., 1982, I, 722) PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 845 esteri lavorati e di whisky di propriet� della societ� Mellina Agosta. Per perpetrare il furto i ladri forzavano una saracinesca di ferro munita di due serrature, le cui chiavi erano custodite una dalla societ� Esercizio Magazzini Generali e l'altra dall'ufficio doganale del porto. La Dogana di Catania esigeva sia dalla societ� Esercizio Magazzini Generali sia dalla societ� Mellina Agosta la somma di 78 milioni di lire circa per diritti doganali e imposta sul valore aggiunto gravanti sulla merce sottratta, oltre agli interessi legali e alle spese. 3. -Nel giugno 1979 le autorit� doganali notificavano alle due societ� un'ingiunzione fiscale per il pagamento della somma suddetta. Le due societ� proponevano opposizione dinanzi al tribunale di Catania, il quale dichiarava la somma non dovuta. L'Amministrazione interponeva appello avverso la sentenza del tribunale. 4. -Secondo la normativa italiana, per le merci soggette a diritto di confine il presupposto dell'obbligazione tributaria � costituito dalla loro destinazione al consumo nel territorio doganale. Si presume definitivamente messa in consumo la merce indebitamente sottratta ai vincoli doganali. Tuttavia, il presupposto dell'obbligazione tributaria viene meno quando il soggetto passivo dimostri che l'inosservanza dei vincoli doganali o la mancanza della merce all'atto della presentazione dipendano dalla perdita o distruzione della stessa per caso fortuito o forza maggiore o per fatti imputabili a titolo di colpa non grave a terzi� o allo stesso soggetto passivo. 5. -A seguito di talune pronunzie di giudici italiani riguardanti il termine � perdita � usato dalla citata normativa, il legislatore italiano emanava la legge 22 dicembre 1980, n. 891, che forniva un'interpretazione che il furto della merce sottoposta a vincolo doganale non rientra nella nozione di perdita della merce, in presenza della quale si considera non avverato il presupposto dell'obbligazione doganale. La pronuncia della Corte di giustizia elimina residue perplessit� circa la compatibilit� della normativa italiana con le direttive comunitarie. Residua una questione di costituzionalit� sollevata con ordinanza 2 aprile 1982 dal tribunale di Catania, che appare, per�, infondata, sia perch� proprio una soluzione di versa potrebbe risultare in contrasto con l'art. U . Cost. per le ragioni sopra dette, sia perch�, sotto ii profilo dell'art. 3 Cost., non sembra potersi seria mente contestare la profonda diversit� ai fini doganali del caso di perdita -nel senso precisato dalla norma -da quello di furto della merce, sia per ch�, sotto il profilo dell'art. 53 Cost., gli indici rivelatori di ricchezza non vanno necessaruamente identificati -specie in tema di amposizione indiretta con vicende suscettil;ili di tradursi in apporto di reddito per i soggetti che vi siano interessati, la cui capacit� contributiva si evidenzia nello stesso com pimento delle operatloni doganali relative alla merce successivamente sottratta alla disponibilit� del proprietario. 846 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO autentica di detto termine: questo dev'essere inteso nel senso di dispersione e non di sottrazione della disponibilit� del prodotto. La Corte di appello considerava pertanto che la sottrazione della disponibilit� della merce (cio� il furto) non rientra fra le fattispecie contemplate dal diritto nazionale e, di conseguenza, riteneva inavverato il presupposto della estinzione del debito fiscale. 6. -Le societ� interessate sostenevano per� che diversa � la situa� zione nell'ordinamento giuridico comunitario. La normativa comunitaria dispenserebbe dal pagamento dei dazi doganali e di altri tributi nel caso in cui la merce sia andata distrutta per causa di forza maggiore o caso fortuito. Date le circostanze della fattispecie, il furto sarebbe stato commesso con modalit� tali da integrare gli estremi della forza maggiore ai sensi del diritto comunitario. 7. -Di conseguenza la Corte d'appello sospendeva i due procedimenti dinanzi ad essa pendenti e, con le ordinanze precitate, sottoponeva a questa Corte la seguente questione pregiudiziale: � se la sottrazione di merce soggetta a dazio doganale effettuata con le modalit� indicate o, pi� generalmente e astrattamente, con modalit� che, per quanto sopra argomentato, la assimilano alla forza maggiore pei principi dell'ordinamento giuridico ordinario, possa comprendersi .nella nozione di forza maggiore come sagomata nell'ordinamento comunitario doganale �. 8. -La direttiva del Consiglio 4 marzo 1969, n. 69/74, relativa all'ar� monizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti � regime dei depositi doganali (G. U. n. L 58, pag. 7), stabilisce le norme che devono figurare nelle disposizioni di legge, di regolamento e amministrative concernenti il suddetto regime. Essa dispone, all'art. 2, che il regime dei depositi doganali comporta la non riscossione dei dazi doganali, delle tasse d'effetto equivalente e dei prelievi .agricoli durante la permanenza delle merci nei depositi. 9. -L'art. 11, n. l, della direttiva stabilisce che il depositante e il depositario devono poter fruire della franchigia totale dei dazi doganali, dalle tasse d'effetto equivalente e dai prelievi agricoli per le perdite veri� :ficatesi durante il periodo del deposito e dovute a casi fortuiti, a casi di forza maggiore oppure a cause dipendenti dalla natura delle merci. 10. -A norma dell'art. 11, n. 3, in caso di asportazione irregolare ,di merci, i dazi doganali, le tasse di effetto equivalente ed i prelievi agri� coli sono riscossi per le merci asportate in funzione delle aliquote o degli .importi in vigore alla data dell'asportazione. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 11. -La direttiva del Consiglio 25 giugno 1979, n. 79/623, relativa alla armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l'obbligazione doganale (G. U. n. L 179, pag. 31), stabilisce le norme che devono figurare nelle disposizioni di legge, di regolamento e amministrative degli Stati membri concernenti, tra l'altro, la� nascita dell'obbligazione doganale. 12. -Essa dispone, all'art. 2, che l'obbligazione doganale all'importazione sorge per: << �����.�� e) la sottrazione di una merce, soggetta a dazi all'importazione, al controllo doganale che deriva dalla sua immissione in custodia temporanea o dal suo assoggettamento ad un regime doganale che preveda tali controlli�. 13. -L'art. 4 della stessa direttiva stabilisce che, in deroga all'art. 2, non sorge alcuna obbligazione doganale all'importazione rispetto ad una determinata merce � a) qualora l'interessato dimostri, in maniera soddisfacente per le autorit� competenti, che l'inadempienza agli obblighi risultanti: -dalle disposizioni prese per l'applicazione dell'art. 2 della direttiva 68/312/CEE, oppure -dalla �sosta della merce in questione in custodia temporanea, oppure -dall'applicazione del regime doganale cui � stata assoggettata tale merce, � dovuta alla distruzione totale o alla perdita definitiva di detta merce per una causa inerente alla natura stessa della merce o per un caso fortuito o di forza maggiore �. 14. -Dall'articolo precitato e dal nono considerando della direttiva risulta che le cause dell'estinzione devono essere fondate sulla constatazione che la merce non ha effettivamente ricevuto la destinazione economica che motiva l'applicazione dei dazi d'importazione. Nel caso del furto � lecito presumere che la merce entri nel circuito commerciale della Comunit�. Ne consegue che la perdita della merce contemplata d�lla direttiva non comprende la nozione di furto, quali che siano le modalit� del furto. 15. -La questione sollevata dalla Corte d'appello di Catania deve essere pertanto ris�lta nel senso che, secondo le norme comunitarie vigenti in materia doganale, la sottrazione, ad opera di terzi, anche senza colpa del debitore, di merce soggetta a dazio doganale non estingue la relativa obbligazione. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 848 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 9 novembre 1983, nella causa 199/82 � Pres. Mertens de Wilmars � Avv. Gen. Mancini Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Presidente del Tribunale di Trento nel procedimento per sospensione di esecuzione provvisoria di decreto ingiuntivo -Amministrazione delle Finanze c. S.p.a San Giorgio Latteria Locate Triulzi (avv. Catalano). � Interv.: Governo italiano (avv. Stato Laporta) e Commissione delle C.E. (avv. Fabro). Comunit� europee -Corte di giustizia � Domanda di pronuncia pregiudiziale � Giudice competente a proporla � Presidente del Tribunale nel procedimento per decreto ingiuntivo. (Trattato CEE, art. 177). Comunit� europee � Unione doganale � Tributi nazionali riscossi in contrasto con il diritto comunitario � Ripetizione � Ripercussione sul prezzo dei prodotti � Effetti. (d.!. 10 luglio 1982, n. 430, non conv. in legge, art. 10; d.I. 30 settembre 1982, n. 688, conv. in legge 27 novembre 1982, n. 873, art. 19). Comunit� europee � Unione doganale � Rimborso o sgravio di diritti all'importazione o all'esportazione � Regolamento CEE del Consigli.o 2 luglio 1979, n. 1430 � Ambito di applicazione. (Regolamento CEE del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430). Il presidente del tribunale ha il diritto di adire la Corte di Giustizia delle Comunit� europee, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, in sede di esame della richiesta di sospensione dell'esecuzione provvisoria di decreto ingiuntivo dal medesimo emesso. (1) (1) Le riserve sull'ammissibilit� della domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 177 del Trattato erano state formulate, nell'interesse del Governo, non gi� contestando la natura giurisdizionale del provvedimento sull'istanza di concessione (o di revoca) della provvisoria esecutoriet� ciel decreto ingiuntivo, bens� sul rilievo che a tale provvedimento non potesse riconoscersi natura � decisoria �. La risposta offerta dalla Corte non sembrerebbe, quindi, del tutto puntuale e, prima ancora, parrebbe di dover dubitare dell'esattezza stessa dei termini nei quali la sentenza ha riassunto (nella parte � in diritto �) la questione di �ricevibilit�� (che, invece, � felicemente sintetizzata nella narrativa dedicata alla fase scritta della causa) -dovendo appena sottolinearsi, poi, che tutti i � precedenti� cui ha fatto richiamo la sentenza in rassegna riguardano, specificamente, diverso problema, quello -cio� -dell'ammissibilit� della proposizione di un incidente di diritto comunitario da parte del giudice di un procedimento giurisdizionale � a contraddittorio posticipato � (ma pur sempre destinato a sfociare in un provvedimento di carattere, almeno potenzialmente, �decisorio�). Nella fattispecie � bens� vero che la questione di diritto comunitario sarebbe risultata rilevante anche al momento della decisione sull'opposizione al decret0> ingiuntivo; ma resta che tale valutazione, e la conseguente domanda di pro ~j g ~: ra111r1~11rt1111iftllirlltlrltlllrillitir11~11;111~111r1;r1111rt1rfiliflf;1111r11iirrili111r1r1111sl PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 849 Uno Stato membro non pu� subordinare il rimborso dei tributi nazionali riscossi in contrasto con quanto disposto dal diritto comunitario alla prova che detti tributi non sono stati trasferiti su altri soggetti qualora il rimborso sia subordinato a criteri di prova che rendano praticamente impossibile fesercizio di tale diritto, e ci� anche nel caso in cui il rimborso di altri dazi, imposte o tasse riscossi in contrasto col diritto nazionale sia sottoposto alle medesime condizioni restrittive. (2) Il regolamento CEE del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso e allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione indebitamente riscossi, si applica solo ai dazi, tasse, prelievi ed imposizioni previsti dalle normative comunitarie e riscossi dagli Stati membri per conto della Comunit�. (3) (omissis) 1. -Con ordinanza 23 luglio 1982, pervenuta alla Corte il 5 agosto 1982, il presidente istruttore del tribunale di Trento ha proposto, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, alcune questioni pregiudiziali vertenti sulla determinazione dei principi del Trattato CEE relativi al rimborso di tributi pagati in contrasto col diritto comunitario nonch� sull'in� terpretazione del regolamento del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso o allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione (G. U. n. L 175, pag. 1). 2. -Dal fascicolo si desume che la societ� San Giorgio, attrice nella causa principale, ha dovuto versare, nel periodo 1974-1977, in contrasto col diritto comunitario, diritti di visita sanitaria all'importazione di prodotti lattiero-caseari da Stati membri della CEE. nuncia pregiudiziale avrebbero dovuto restare riservate al Tribunale, mentre sono state � usurpate � dall'Istruttore, agli effetti di un provvedimento (giurisdizionale certamente ma) privo d'ogni carattere di decisoriet�. (2-3) Dalla dichiarata applicabilit� del reg. CEE 2 luglio 1979, n. ,1430 ai soli tributi. della Comunit� consegue che, pur dopo il 1� luglio il980, la restituzione delle � tasse d'effetto equivalente� continua ad essere disciplinata dagli ordinamenti nazionali dei singoli Stati membri, secondo quanto pi� volte avvertito dalla Corte: inevitabile, quindi, la disparit� di trattamento per gli operatori economici nella Comunit�, in dipendenza dei diversi regimi nazionali, che in varia misura accordano mezzi di recupero del pagamento :i!ndeb!ito. Lo sforzo della Corte di precisare i limiti di compatibilit� delle normative nazionali coi princ�pi dell'ordinamento comunitario, nel lodevole tenta1livo di sopperire in qualche modo alla mancanza di una regolamentazione comune in materia, non potr� attingere facilmente Io scopo della r,eductio ad unum se non con la pi� scrupolosa cooperazione dei giudici nazionali, cui spetta -in ultima analisi -di saggiare concretamente la conformit� della disciplina interna della condictio ai princ�pi comunitari. Tali princ�pi, come si desume dall'orientamento ribadito con la sentenza in rassegna, si riducono -poi -ad uno soltanto, consistente nel divieto di rendere praticamente impossibile l'esercizio del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 3. -Avendo la San Giorgio adito il Tribunale di Trento per la restituzione dei suddetti importi, il Presidente del Tribunale, con decreto nel procedimento � d'ingiunzione �, ingiungeva all'Amministrazione delle fi. nanze dello Stato di rimborsare alla San Giorgio Ja somma di Lit. 65.160.585 ed autorizzava la provvisoria esecuzione del decreto. 4. -L'Amministrazione delle finanze, dopo aver proposto opposizione avverso il decreto del presidente del tribunale, chiedeva di sospenderne la esecuzione. A sostegno della domanda essa invocava l'art. 10 del decreto legge 10 luglio 1982, n. 430, che reca disposizioni in materia d'imposta di fabbricazione e di movimento dei prodotti petroliferi, di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e relative sanzioni (Gazz Uff. Rep. lt. 13 luglio 1982, n. 190) il quale dispone testualmente: � Chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, imposte di fabbricazipne, imposte di consumo o diritti erariali, anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, non ha diritto al rimborso delle somme pagate, salvo il caso di errore materiale, quando l'onere relativo � stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti. L'onere si presume trasferito ogni qual volta le merci in relazione alle quali il pagamento � stato operato siano state cedute, anche dopo lavorazione, trasformazione, montaggio, assemblaggio o adattamento di esse, salva la prova documentale contraria... �. 5. -Poich� la San Giorgio aveva sollevato dubbi sulla compatibilit� di dette norme con i principi dell'ordinamento giuridico comunitario, il presidente del tribunale, vista la � seriet� � delle osservazioni mosse e la diritto di ripetizione dell'indebito (tale qualificabile alla stregua di norma comu� nitaria). Nella sentenza della Corte il problema � riguardato sotto due aspetti: la possibilit� -nuovamente riconosciuta -cli tener conto della traslazione dell'imposta al consumo e la regolamentazione del regime probatorio della circostanza legittimamente dichiarata ostativa alla restituzione. Intuitivamente, per�, un impedimento all'utile esperimento della condictio potrebbe scaturire da una clisciplina nazionale anche meno articolata di quella dettata nell'ordinamento italiano con l'art. 19 d.l. n. 688/.1982 (riproduttivo della disposizione cli precedente decreto non convertito): pu� pensarsi, ad esempio, ad una norma che stabilisse un brevissimo termine di decadenza per ripetere il pagamento (la cui incompatibilit� con l'ordinamento comunitario potrebbe non risultare prima facie ed essere accertata solo dopo qualche tempo, e magari dopo l'intervento della Corte). Per restare, comunque, ai problemi connessi all'emanazione dell'art. 19 d.l. n. 688/11982 (da pi� parti denunciato d'illegittimit� costituzionale, in relazione agli artt. 24 e l1 Cost.) v'� da dire, anzitutto, che le affermazioni in diritto della Corte di giustizia autorizzano, senza perplessit� alcuna, ad escludere che, dal punto di vista dell'ordinamento comunitario, un !impedimento insormontabile all'esercizio della condictio sia ravvisabile nel fatto stesso d'aver condizionato PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 851 loro rilevanza ai fini della decisione sulla sospensione della provvisoria esecuzione, ha chiesto alla Corte di pronunciarsi sulle seguenti questioni pregiudiziali: � 1. A chiarimento e, se del caso, a completamento della propria giurisprudenza quale risulta segnatamente dalle sentenze 27 marzo 1980 in causa 61/79 (Ministero delle Finanze c. Soc. Denkavit), 10 luglio 1980, in causa 811/79 (Ministero delle Finanze c. Soc. Ariete) e 10 luglio 1980 in causa 826/79 (Ministero delle Finanze c. Soc. Mireco), la Corte voglia precisare: a) se una legge nazionale che (in deroga alle norme generali concernenti la ripetizione dell'indebito) condizioni alla prova della mancata traslazione su altri soggetti il rimborso di determinati diritti (tra i quali segnatamente, i diritti di visita sanitaria) riscossi indebitamente in contrasto con prescrizioni del diritto 'Comunitario,' in quanto tasse di effetto equivalente a dogana, e non sottopone, invece, alla stessa condizione il rimborso di ogni altra imposta, diritto o tributo indebitamente riscossi, debba considerarsi discriminatoria, in contrasto con i principi dell'ordinamento comunitario; o se sia rilevante la circostanza che i tributi contemplati dalla norma suddetta siano stati in pratica i.ndebitamente riscossi soltanto perch� in contrasto con un precetto comunitario; b) se la prova documentale negativa alla quale, ai sensi della legge nazionale predetta, � unicamente condizionato il rimborso dei tributi indebitamente riscossi, renda praticamente impossibile l'esercizio dei diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare. la restituzione della tassa alla non avvenuta sua traslazione al consumo (secondo criterio gi� introdotto, anni or sono, nell'ordinamento giuridico francese senza -a quanto consta -reazioni di sorta). In secondo luogo, e per altro verso, non sembra che dalla sentenza della Corte possano trarsi rfaolutive indicazioni ai fini del giudizio di compatibilit� della norma nazionale con l'ordinamento comunitario per quanto concerne il regime probatorio della traslazione. Ed infatti mentre la presunzione che, in tal senso, volesse intravedersi posta nella norma non sarebbe, comunque, una presunzione vincolante per il giudice, pare chiaro che la limitazione dei mezzi di prova (in contrario) non potrebbe, di per se stessa e in assoluto, ritenersi ostacolo insormontabile all'esercizio del diritto, simile giudizio dovendo scaturire -all'evidenza -solo da una coordinata lettura di tutte le altre m;irme dell'ordinamento (nazionale) al quale spetta di disciplinare la restituzione: con la conseguenza, secondo quanto sembra di poter rilevare, che non pu� dirsi materialmente impossibile l'esibizione di documenti -come quelLi relativi all'esercizio de1l'impresa commerciale -che gi� in base a norme preesistenti (fin dal momento della commercializzazione del prodotto importato o fabbricato) dovevano essere conservati, ex art. 2220 cod. civ., per un periodo esattamente coincidente col termine di prescrizione ordinario applicabile alla azione di ripetizione. S.L. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 2. Se, a partire dal 1� luglio 1980, data di entrata in vigore del regolamento del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso o allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione che si applica testualmente (art. 1, par. 2) ai dazi doganali ed alle tasse di effetto equivalente sia stato per la prima volta instaurato un regime comunitario che disciplina la restituzione dei diritti indebitamente riscossi, senza prevedere alcuna eccezione per l'ipotesi di traslazione dell'onere su altri soggetti; se tale regime debba prevalere su ogni legge nazionale pi� antica o pi� recente�, 6. -Va sottolineato che il decreto legge n. 430, in vigore al momento in cui il presidente del tribunale ha adito la Corte, non � stato convertito in legge, ma disposizioni identifiche a quelle dell'art. 10 sono state successivamente riprese dall'art. 19 del decreto legge 30 settembre 1982, n. 688. che introduce misure urgenti in materia di entrate fiscali, convertito in legge dalla legge 27 novembre 1982, n. 873 (Gazz. Uff. Rep. It. 30 settembre 1982, n. 270 e 29 novembre 1982, n. 328). La norma � del seguente tenore: �Chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali, anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova documentalmente che l'onere relativo non � stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore materiale. La prova documentale di cui al comma precedente deve essere fornita anche quando le merci, in relazione alle quali il pagamento � stato operato, siano state cedute dopo lavorazione, trasformazione, montaggio o assemblaggio o adattamento di esse... �. Sulla ricevibilit�. 7. -Il Governo italiano eccepisce !'irricevibilit� delle questioni sottoposte alla Corte dal presidente del tribunale nella fase preliminare del giudizio. Esso sostiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale non pu� venir proposta nell'ambito di un procedimento d'ingiunzione, in quanto la decisione da adottare ai sensi del secondo comma dell'art. 177 non rientra nelle competenze del presidente � istruttore �, ma in quelle del tribunale in quanto organo collegiale. 8. -La Corte ricorda, in proposito, la sua giurisprudenza costante secondo la quale il diritto di adire la Corte a norma dell'art. 177 spetta a qualsiasi giudice degli Stati membri indipendentemente, peraltro, dalla fase del giudizio di cui esso � investito e dalla natura della decisione che esso � tenuto a pronunciare (v. in merito specialmente le sentenze 14 dicembre 1971, Politi, causa 43/71, Racc. 1971, pag. 1039; 21 febbraio 1974, PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE Birra Dreher, causa 162/73, Racc. 1974, pag. 201, e 28 giugno 1978, Sim� menthal, causa 70/77, Racc. 1978, pag. 1453). 9. -Va osservato in merito che sia il decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale, sia la decisione su un'eventuale sospensione del decreto, in seguito all'opposizione dell'amministrazione delle finanze, rien� trano nell'ambito degli atti di cui all'art. 177, secondo comma, del Trattato. 10. -L'eccezione preliminare sollevata dal Governo italiano � per� tanto infondata. Sulla prima questione. 11. -Con la prima questione si chiede essenzialmente se uno Stato membro possa subordinare alla prova della mancata traslazione su altri soggetti il rimborso di tributi nazionali riscossi in contrasto con le disposizioni comunitarie. -qualora il rimborso sia condizionato a criteri di prova che ren� dano praticamente impossibile l'esercizio di diritti che i giudici nazionali hanno l'obbligo di tutelare; -qualora il rimborso di tutte le altre imposte, dazi o tasse a carat� tere nazionale, indebitamente riscossi, non sia sottoposto alle stesse con� dizioni restrittive. 12. -Va osservato in proposito, anzitutto, che il diritto di ottenere il rimborso di tributi riscossi da uno Stato membro in contrasto con le norme di diritto comunitario � la conseguenza ed il complemento dei diritti riconosciuti ai singoli dalle norme comunitarie che vietano le tasse d'effetto equivalente a dazi doganali o, secondo i casi, l'applicazione discri� minatoria di imposte interne. � bens� vero che il rimborso pu� essere richiesto solo alle condizioni, di merito e di forma, stabilite dalle varie legislazioni nazionali in materia, tuttavia, come risulta dalla giurispru� denza costante della Corte tali condizioni non possono essere meno favo� revoli di quelle che riguardano analoghe impugnazioni di diritto nazionale e che non devono comunque rendere praticamente impossibile l'esercizio dei diritti che i giudici nazionali hanno l'obbligo di salvaguardare (v. in proposito le seguenti sentenze: 15 dicembre 1976, Rewe e Comet, 33 e 45/76, Racc. 1976, pagg. 1989 e 2043; 27 febbraio 1980, Hans Just c. Mini� stero danese delle Imposte ed Accise, 68/79, Ra:cc. 1980, pag. 501; 27 mar� zo 1980, Denkavit italiana, 61/79, Racc. 1980, pag. 1205; 10 luglio 1980, Ariete e Mireco, 811 ed 826/79, Racc. 1980, pagg. 2545 e 2559, le ultime tre decisioni vengono menzionate dal giudice di rinvio). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 13. -Tuttavia, come la Corte ha inoltre ammesso nella sua precedente giurisprudenza e, in particolare, nella gi� menzionata sentenza 27 febbraio 1980 (Hans Just), il diritto comunitario non impedisce ad un sistema giuridico nazionale di rifiutare la restituzione di tributi indebitamente riscossi qualora ci� comporti un arricchimento senza giusta causa degli aventi diritto. Per quanto riguarda il diritto comunitario, nulla impedisce quindi ai giudici di tener conto, a norma del loro diritto nazionale, del fatto che i tributi indebitamente riscossi hanno potuto essere incorporati nel prezzo delle merci e riversati in tal modo sugli acquirenti. Non si possono pertanto ritenere contrarie al diritto comunitario, nel loro principio ispiratore, disposizioni legislative naiiona1i che escludano il rimborso di dazi, imposte e tasse riscossi in contrasto col diritto comunitario qualora sia appurato che la persona tenuta al pagamento del tributo lo ha di fatto riversato su altri soggetti. 14. -Viceversa, sarebbero incompatibili col diritto comunitario le condizioni di prova che abbiano l'effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il rimborso dei tributi riscossi in contrasto col diritto comunitario. � quanto avviene in particolare per le presunzioni o i criteri di prova che tendono a lasciare al contribuente l'onere di dimostrare che i tributi indebitamente versati non sono stati trasferiti su altri soggetti, o di particolari limitazioni in merito alla forma della prova da fornire, come l'esclusione di qualsiasi prova non documentale. Una volta stabilita l'incompatibilit� della riscossione col diritto comunitario, il giudice deve essere libero di valutare se l'onere dell'imposta sia stato trasferito su altri soggetti e se lo sia stato in tutto o in parte. 15. -In un'economia di mercato basata sulla ribera concorrenza, la questione se ed in quale misura l'onere fiscale imposto all'importatore abbia potuto essere effettivamente riversato sugli stadi economici successivi comporta un margine d'incertezza che non pu� sistematicamente essere imputato alla persona tenuta al pagamento di un tributo contrario al diritto comunitario. 16. -D'altra parte, il giudice nazionale chiede alla Corte se la regolamentazione restrittiva del rimborso dei tributi riscossi in contrasto col diritto comunitario sia compatibile coi princ�pi del Trattato CEE qualora non venga applicata in modo identico a tutte le altre imposte, dazi o tasse di carattere nazionale. Esso ricorda in proposito le sentenze nelle quali la Corte, dopo aver constatato che il problema della contestazione di tasse illegittimamente pretese, o della restituzione di tasse indebitamente pagate � risolto in modi diversi nei vari Stati membri e persino all'interno di uno stesso Stato, a seconda dei diversi tipi di imposte e di tasse in questione (v. in particolare la sentenza 27 marzo 1980, Denkavit PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE italiana), ha sottolineato che i contribuenti che fanno valere i loro diritti in forza del diritto comunitario non possono avere un trattamento meno favorevole di coloro che propongono reclami analoghi in base al diritto nazionale. 17. -Va precisato in proposito che non si pu� ritenere che il requisito di non discriminazione formulato dalla Corte possa giustificare provvedimenti legislativi diretti a rendere praticamente impossibile qualsiasi rimborso di tributi riscossi in contrasto col diritto comunitario, purch� il medesimo trattamento venga esteso ai contribuenti che fanno valere censure analoghe per l'inosservanza del diritto fiscale nazionale. Il fatto che un regime di prova riconosciuto incompatibile con il diritto comunitario sia esteso, dalla legge, ad una buona parte delle imposte, dazi e tasse nazionali o anche al loro complesso non � quindi un motivo per rifiutare il rimborso di tributi riscossi in contrasto col diritto comunitario. 18. -La prima questione va quindi risolta nel senso che uno� Stato membro non pu� subordinare il rimborso di tributi nazionali riscossi in contrasto con quanto disposto dal diritto comunitario alla prova che detti tributi non sono stati trasferiti su altri soggetti qualora il rimborso sia subordinato a criteri di prova che rendano praticamente impossibile l'esercizio di tale diritto, e ci� anche nel caso in cui il rimborso di altri dazi, imposte o tasse riscossi in contrasto col diritto nazionale sia sottoposto alle medesime condizioni restrittive. Sulla seconda questione. 19. -Con la seconda questione si chiede se la soluzione della prima questione possa trovarsi nel regolamento 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso. o allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione (G. U. n. L 175, pag. 1). 20. -L'attenzione del giudice nazionale va attirata sul fatto che il sud-. detto regolamento, il quale disciplina il rimborso e lo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione indebitamente riscossi, si applica, ai sensi dell'art. l, n. 2, solo ai dazi, tasse, prelievi ed imposizioni previsti dalla normativa comunitaria e riscossi dagli Stati membri per conto della Comunit�. In quanto tale, il regolamento non si applica ai dazi, imposte e tasse nazionali, eventualmente riscossi in contrasto col diritto comunitario. 21. -� bens� vero che il regolamento mira a garantire la restituzione di imposte comunitarie indebitamente riscosse e che prevede, all'uopo, una procedura specifica, cionondimeno esso non pu� applicarsi al rimborso dei tributi nazionali. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 novembre 1983, n. 6738 � Pres. Grana ta � Est. Caturani � P. M. Antoci (parz. cliff.).� Vasciave<;> (avv.ti Cap pelli e De Caterini) c. AIMA (avv. Stato Fiumara). Comunit� europee � Agricoltura � Integrazione di prezzo ai produttori di olio di oliva accordata da regolamenti comunitari . Termine per il pagamento � Disciplina applicabile. (Trattato CEE, art. 189; regolamenti CEE del Consiglio 22 settembre 1966, n. 136; 26 ottobre 1%7, n. 754; cod. civ., artt. 1183, 1224). I regolamenti comunitari che accordano un'.integrazione di prezzo ai produttori di olio d'oliva, omettendo la fissazione diretta del termine per l'adempimento, richiamano implicitamente gli ordinamenti interni; e quindi, per quanto riguarda l'ordinamento italiano, la norma dell'art. 1183 cod. civ., il quale, disponendo l'immediata esigibilit� del credito, realizza il massimo della tutela per il creditore, salva per� l'applicabilit� dei ptinc�pi che le norme sulla contabilit� di Stato dettano in materia di debiti pecuniari della pubblica amministrazione, per cui la stessa pu� essere considerata in mora e tenuta a corrispondere i relativi interessi, solo quando, dopo l'espletamento di tutti i controlli e gli accertamenti previsti, ritardi ingiustificatamente di versare al creditore le somme a costui spettanti. (1) (omissis) Con i primi due motivi, denunziandosi violazione e falsa applicazione dell'art. 177 del Trattato CEE, dell'art. 3 legge 13 marzo 1958, n. 204, dell'art. 10 del regolamento CEE n. 136/66, del regolamento CEE 2311/71, nonch� difetto di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.), si assume che quando � sollevato davanti ad una giurisdizione di uno degli Stati contraenti un problema di .interpretazione di norme comunitarie, Ql giudice nazionale � tenuto ,a richiedere in ogni caso alla Corte CEE una pronuncia in proposito ovvero deve motivare circa l'assenza di problemi interpretativi. I giudici del merito, secondo il ricorrente, non si sono invece occupati del problema ed hanno ritenuto applicabile l'art. 1183 cod. civ. senza indicare le ragioni della scelta della norma ritenuta applicabile. D'altro canto -si sostiene -se � vero che nei regolamenti comunitari non figura alcuna indicazione esplicita circa il termine entro cui gli (1) Per le sentenze citate in motivazione, cfr. Corte di giustizia 6 ottobre 1982, nella causa 283/81, CILFIT, in questa Rassegna, supra, I, 47, con nota di LAPORTA, Manifesta infondatezza di questioni e rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunit� europee; e 21 maggio :1976, nella causa 26/74, ibidem, 1976, I, 511; Cass., sez. un., 26 aprile 1977, n . .J.561, ibidem, 1977, I, 376, con nota di VITTORIA. " PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE organi dei singoli Stati debbono provvedere al versamento della integrazione, � altrettanto vero che esigenze di uniformit� nel funzionamento dell'organizzazione comune del mercato dei cereali inducono a ritenere implicito nel sistema la esistenza di un termine ultimo, la cui determinazione non pu� che essere rimessa alla Corte di giustizia della CEE. Le riassunte censure sono infondate. � noto che in seguito all'istituzione della Comunit� economica europea, l'attribuzione di un potere normativo agli organi della comunit� (che trae fondamento interno nell'art. 11 Cost. che prevede, in condizioni di parit� con gli altri Stati, le limitazioni di sovranit� necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni). si � realiz21ata nei rapporti fra ordinamento comunitario e ordinamento interno una vera e propria ripartizione di competenze per materia (Corte cost., n. 183 del 1973). Da un lato quindi la partecipazione dello Stato al Trattato di Roma ha presupposto il riconoscimento di una potest� normativa in determinate materie agli organi della Comunit�, dall'altra corrispondentemente si � prodotta una limitazione degli analoghi poteri degli Stati membri. Secondo l'accennato indirizzo costituzionale, si � tratta la conseguenza che i regolamenti comunitari emessi, a norma dell'art. 189 del Trattato CEE, appartenendo ad un sistema normativo che deve essere coordinato con i sistemi normativi degli Stati membri, hanno piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati della Comunit� senza la necessit� di leggi di recezione e adattamento e che i medesimi costituiscono fonte immediata di diritti ed obblighi sia per gli Stati sia per i loro cittadini in quanto soggetti della Comunit�. E si � altres� affermata l'incostituzionalit� di norme nazionali riproduttive e sostitutive di norme comunitarie caratterizzate dalla pienezza di contenuto dispositivo, per violazione dell'art. 11 Cost., sul presupposto che con questa tecnica legislativa dell'ordinamento interno si verifica un'indebita interferenza nei poteri degli organi comunitari, sottraendosi alla Corte di Giustizia l'interpretazione della norma (comunitaria) da applicare (Corte cost., n. 232 del 1975; sez. Un., n. 1773 del 1972; n. 2 del 1975; n. 3461 del 1977). Il problema -che il presente ricorso sottopone all'esame del Collegio -riguarda, in particolare, la fattispecie in cui, difettando una (esplicita) norma comunitaria, in una materia rientrante nella competenza dei relativi organi secondo la disciplina propria del Trattato di Roma la quale regoli un punto del rapporto giuridico in concreto previsto, � necessario prendere posizione circa la soluzione del quesito consistente nel decidere se in tal caso la cosiddetta lacuna della disciplina comunitaria possa essere colmata ricorrendo alle norme di diritto interno che disciplinano materie analoghe ovvero non si tratti piuttosto di risolvere una controversia interpretativa di una norma comunitaria, come tale rien RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO trante nella competenza esclusiva degli organi della Comunit� (art. 177 del Trattato). Nel caso di specie, i regolamenti CEE del Consiglio n. 136/1966, n. 2211/ 1971, n. 2323/1972 e della Commissione n. 2510/1971, n. 2765/1971 e n. 2412/ 1972, che accordano una integrazione del prezzo ai produttori di olio di oliva, pur delineando un sistema che esclude ogni margine di discrezionalit� per i competenti organi dello Stato, tenuti a porre in essere una attivit� di mero accertamento delle condizioni richieste per la delimitazione quantitativa dell'intervento a favore dei produttori di olio di oliva (sez. un., 17 marzo 1977, n. 1060) e pur avendo compiutamente disciplinato il corrispondente rapporto obbligatorio che si instaura tra lo Stato (debitore) ed i produttori, creditori di un'obbligazione pubblica la quale trova in sede comunitaria i criteri generali della relativa determinazione, essendo allo Stato riservata soltanto un'attivit� istruttoria delle domande all'uopo proposte dagli aventi diritto (art. 3 regolamento n. 754/1967), non hanno previsto il termine di adempimento dell'obbligo di corrispondere le somme dovute a tale titolo, onde la necessit� di stabilire in qual modo il medesimo deve essere determinato. Deve premettersi che in proposito sussistono due precedenti delle sezioni unite; la sentenza 26 aprile 1977, n. 1561, in tema di pretese dei singoli alle restituzioni alle esportazioni di cereali e la sentenza 4 agosto 1977, n. 3461. Nella prima pronunzia, le sezioni unite rilevarono che, per quanto attiene al pagamento delle restituzioni, al fine di stabilire in che modo si profili nella specie una mora della p.a. e quindi se possa la medesima e con quale decorrenza essere tenuta al pagamento degli interessi moratori, sono applicabili le norme interne. Infatti -si osserv� i regolamenti comunitari mentre disciplinano il diritto alla restituzione, l'ammontare di questa e le prove che dimostrano il diritto dell'esportatore alla restituzione stessa, nulla dispongono in ordine alle modalit� ed ai tempi del suo pagamento con la conseguenza che le norme dei regolamenti comunitari, non avendo sul punto compiutezza di contenuto dispositivo, non hanno efficacia automatica nell'ordinamento interno. Si escluse pertanto in quella occasione la necessit� di sottoporre alla Corte CEE quesiti interpretativi, dovendo risolversi un problema. di interpretazione di norme interne (art. 177 commi 1 e 3 del Trattato di Roma). Nell'altro precedente accennato, invece, riflettente il premio di macellazione, si rilev� che, in base all'interpretazione delle relative norme comunitarie da parte della Corte CEE, le disposizioni comunitarie attributrici del diritto di macellazione, hanno compiutezza di contenuto dispositivo per quanto concerne: la nascita del diritto stesso; il contenuto; la base attuativa (esigibilit� del premio, scaduto il termine di due mesi dalla prova della macellazione) e pertanto lo Stato risulta debitore per fatto proprio se, per il ritardo nello stanziamento dei fondi, non esegue la prestazione nei termini stabiliti. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 859 Nel caso in questione, la difesa del ricorrente, in chiave critica allo fadirizzo accolto della prima delle citate pronuncie, osserva che la tesi secondo cui il legislatore comunitario avrebbe rimesso la determinazione del termine all'arbitrio delle singole amministrazioni degli Stati membri, � in contrasto con la disciplina comunitaria del rapporto, in quanto il fatto dell'adempimento non � indifferente alla realizzazione concreta all'interesse del singolo produttore-creditore. Argomenta che, infatti, se � vera la mancanza di un termine di adempimento dell'obbligazione pubblica de qua nei regolamenti comunitari, � altrettanto vero che gli scopi .stessi del regime di integrazione del prezzo dell'olio sarebbero compromessi in maniera irrimediabile senza l'indicazione di un termine ultimo per il versamento dell'integrazione, valevole in tutti gli Stati della Comunit�. La tesi, nella sua assolutezza, non pu� essere condivisa dal Collegio. Non v'� dubbio che il termine entro cui lo Stato deve procedere al versamento dell'integrazione quale soggetto passivo di un'obbligazione pubblica nei confronti dei produttori attiene alla disciplina della materia rientrante nella competenza degli organi comunitari. Si tratta quindi di ricavare dal regolamento quale sia la regola che riguarda in concreto la determinazione del termine. Il quale non costituisce qualcosa di estrinseco all'obbligazione che si tratta di adempiere, come accade in materia .di restituzione di somme indebitamente percepite dagJJ organi dello Stato per adempimenti ritenuti imposti dal diritto comunitario. In tal caso non vi � alcun dubbio che il giudice nazionale, nell'individuare la norma che disciplini il termine del rimborso � tenuto ad applicare il diritto interno, non essendo in questione alcun interesse di carattere comunitario (sentenza del Consiglio CEE 21 maggio 1976, in causa 26/74; 5 marzo 1980 in causa 265/78; 12 giugno 1980, in causa 130/79). Il problema � profondamente diverso nell'ipotesi che si considera, <love non pu� negarsi che la disciplina normativa � ispirata a fronteggiare la concorrenza dei paesi terzi e quindi a tutelare il generale interesse della Comunit� oltre alla protezione degli interessi dei produttori d'oliva dei singoli Stati membri (cfr. nella motivazione, sez. un., 17 marzo 1977, n. 1060 cit.), e dove quindi l'esigenza di un tel'mine ultimo per il versa� mento dell'integrazione � alla base del sistema stesso, costituendo l'obiettivo prefissasi dal legislatore comunitario nel prevedere tale forma di aiuto alla produzione. L'interesse comunitario (non discutibile) che � alla base della determinazione del termine in materia, non determina tutta� via la necessit� di un intervento della Corte CEE per l'interpretazione dei regolamenti della Comunit� che disciplinano l'integrazione del prezzo dell'olio d'oliva, ai sensi dell'art. 177 del Trattato. � noto che quando il giudice nazionale si trovi in presenza di una norma comunitaria, la cui interpretazione non provochi alcun dubbio RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO interpretativo e non determini il sorgere di alcuna questione di carattere ermeneutico di fronte all'atto di chiaro ed univoco significato, non c'� alcuna necessit� di rimessione alla Corte CEE (cfr. per l'applicazione di tale principio la sentenza della Corte CEE 6 ottobre 1982, n. 283/81). Orbene il problema dell'individuazione della norma che disciplina il termine dell'adempimento dell'obbligo in esame, deve essere affrontato tenendo presente che i regolamenti comunitari, perch� disciplinano materie che interessano l'intera comunit� secondo il criterio di competenza accennato all'inizio della esposizione, sono tendenzialmente portati a regolare compiutamente l'intera materia esaminata, onde � legittima la presunzione di completezza della corrispondente disciplina. Per quanto riguarda, in particolare, la questione del termine, quella presunzione deve essere apprezzata tenendo presente che laddove il legislatore comunitario ha inteso disciplinare (direttamente) anche il termine dell'adempimento lo ha esplicitamente fatto, come dimostrano i casi in cui la disciplina regolamentare comprende anche il termine entro cui l'obbligo (comunitario) va adempiuto (cfr. ad es. i regolamenti CEE n. 1975/69 e n. 2195/69 secondo cui il pagamento del premio di macellazione deve avvenire entro due mesi dalla presentazione della prova della avvenuta macellazione). Dal che si trae la logica deduzione che in via di principio, nei casi in cui manca invece il termine, il legislatore comunitario abbia volutamente omesso di fissarlo, non gi� per disinteresse, incompatibile con la natura stessa della materia disciplinata, ma in quanto ne abbia rimesso la disciplina al diritto interno, sul presupposto che negli ordinamenti degli Stati membri il termine dell'adempimento delle obbligazioni trova la sua specifica disciplina. In tal modo, la tecnica comunitaria realizza in pari misura non soltanto l'interesse generale della Comunit� che � insito nella fissazione del termine entro cui l'obbligazione pubblica dello Stato deve essere eseguita ma altres� l'interesse del creditore ad un sollecito adempimento, a meno che dallo stesso regolamento non risulti palesemente che la fissazione del termine costituisca materia riservata al legislatore comunitario in sede di interpretazione della corrispondente disciplina, in quanto la relativa determinazione debba essere fatta in maniera unitaria per i fini che la norma regolamentare si propone. Alla stregua dei princ�pi accennati, deve ritenersi, in mancanza di diversi criteri desumibili dai regolamenti in questione, che l'interesse comunitario insito nella corrispondente disciplina si sia esaurito nella predisposizione del meccanismo che ha assicurato la costituzione del rapporto obbligatorio (Stat0-<produttore) ed il suo contenuto (integrazione del prezzo), mentre per quanto riguarda la sua attuazione, il legislatore comunitario, omettendo la fissazione diretta del termine, abbia considerato idoneo a garantire l'interesse comunitario insito nella fase attuativa del rapporto, PARTE I, SEZ. Il, _GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE; 861 d richiamo (implicito) degli ordinamenti interni, i quali, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa del ricorrente, non lasciano all'arbitr�o del debitore la fissazione del termine entro cui l'obbligazione deve essere adempiuta. E per quanto riguarda l'ordinamento nazionale, l'art. 1183 cod. civ., statuendo che se non � determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore pu� esigerla immediatamente, realizza il massimo della tutela giuridica consentita a tale soggetto. Questa interpretazione si coordina perfettamente con le fattispecie in cui, invece, la Corte di giustizia CEE ha affermato che, quantunque i regolamenti comunitari non avessero stabilito espressamente il termine per l'adempimento di determinati obblighi ivi previsti da parte degli Stati membri, tali termini si ricavavano dal contenuto dei regolamenti e dallo scopo del regime da essi instaurato (es. la sentenza CEE n. 30/72 dell'8 febbraio 1972, in tema di premi per la estirpazione di alberi da frutta a favore degli agricoltori). Invero, il criterio interpretativo accolto consente di pervenire in materia di integrazione dei prezzi dell'olio d'oliva, alla conclusione accennata proprio sulla base della constatazione che, in mancanza di una specifica esigenza desumibile dagli stessi regolamenti in esame circa una disciplina unitaria del termine, sia operante quella presunzione di completezza del regolamento comunitario, la quale postula, come regola, che i punti non espressamente disciplinati dalla fonte normativa comunitaria, siano stati rimessi alla disciplina propria degli ordinamenti interni degli Stati membri, essendosi in tal modo ritenuto adeguatamente tutelato l'interesse comunitario che attiene alla fissazione del termine. Corretta in tal modo la motivazione dell'impugnata sentenza, non merita, pertanto, alcuna censura la conclusione cui sono pervenuti i giudici del merito, circa la derivazione dall'ordinamento interno dello Stato della disciplina del termine di adempimento dell'obbligo de quo (art. 384 cpv. cod. proc. civ.). Con il terzo motivo, infine, si sostiene che l'impugnata sentenza, incorrendo anche in contraddittoria motivazione,' ha erroneamente applicato i principi di diritto interno, essendo stato definito ragionevole il ritardo dell'AIMA nell'adempimento dell'obbligo. La censura � infondata. Il Tribunale, confermando al riguardo quanto ritenuto dal primo giudice, ha osservato che in tema di debiti pecuniari della pubblica ammi nistrazione sono applicabili le norme sulla contabilit� di Stato, onde la medesima pu� essere tenuta a corrispondere gli interessi moratori solo qualora dopo l'espletamento di tutti i controlli e gli accertamenti pre visti, ritardi ingiustificatamente il versamento al creditore delle somme a costui spettanti. 862 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO Sulla base di questo rilievo, i giudici di appello hanno ritenuto che il ritardo nell'adempimento dell'obbligo d'integrazione del prezzo da parte dell'AIMA non poteva considerarsi colpevole, attesa l'indubbia necessit� del preventivo espletamento di tutti i controlli e degli accertamenti all'uopo necessari. Di fronte a questa motivazione, il ricorrente si � limitato nel ricorso a rilevare una contraddittoriet� in cui sarebbe caduta la sentenza impugnata, la quale � inesistente in quanto i giudici di appello, dopo di aver individuato nelle norme interne dello Stato la disciplina del termine, hanno in concreto applicato i princ�pi che si sono ritenuti vigenti nell'ordinamento nazionale circa la mora della pubblica amministrazione. Il ricorrente,� tuttavia, non ha formulato alcuna doglianza circa la legittimit� (nell'ordinamento interno) di quei princ�pi, n� ha censurato le argomentazioni con cui il Tribunale ha ritenuto ragionevole e quindi non colposo il ritardo nell'adempimento da parte dell'AIMA, essendosi la <:ensura esaurita in una generica critica al risultato cui sul punto i giudici di appello sono pervenuti. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 maggio 1983, n. 3152 -Pres. Mirabelli -Rel. Scanzano -P. M. Fabi (conci. conf.) -Beta Holding S.A. (avv. Giorgianni) c. Ministero Trasporti, Amministrazione delle Ferrovie dello Stato (avv. Stato Cevaro) e soc. Nazionale Cogne (avv. Romanelli). Contratti (in generale) -Redazione scritta delle trattative svoltesi -Ipotesi della c.d. puntuazione -Recesso � � consentito . Eventuale responsabilit� precontrattuale � Sussiste. Contratti (in generale) � Interruzione ingiustificata delle trattative � Re� sponsabilit� precontrattuale � Sussiste. Qualora l'iter delle dichiaraz!oni progressivamente rese dalle parti sia stato consacrato per iscritto, occorre accertare -con apprezzamento di merito e caso per caso -se lo scritto contenente l'enunciazione degli elementi essenziali del negozio sia stato redatto per documentare un accordo reciprocamente vincolante, o se sia stato redatto solo in funzione probatoria delle trattative positivamente svoltesi fino a quel momento, verificandosi in tal ultimo caso l'ipotesi della c.d. � puntuazione �, che consente il recesso salvo il limite della responsabilit� precontrattuale (articolo 1337 cod. civ.). (1) Nel caso di interruzione delle trattative, contrattuali, la violazione del principio di buona fede e la conseguente responsabilit� per culpa in contrahendo si realizzano quando l'interruzione � priva di giustificazione, cos� da sacrificare arbitrariamente l'affidamento che la controparte abbia ragionevolmente fatto sulla conclus.ione del contratto, avendo riguardo al modo, alla durata ed allo stato di esse. (2) (1) Giurisprudenza costante. Oltre le sentenze citate nel testo v. anche Cass., 14 ottobre 1978, n. 4626, in Mass., 1978, e da ultimo id., 22 ottobre 1982, n. 5492, in Mass., 1982. (2) Giurisprudenza consolidata. Oltre la gi� citata t'ass., 14 ottobre 1978, n. 4626, v. id., 25 novembre 1976, n. 4448, ivi, 1976; id., 17 novembre 1978, n. 5328, in Giust. civ., 1979, I, 32 con nota di G. DE FINA e Cass., 20 agosto 1980, n. 4942, Mass., 1980. �Che l'art. <1337 cod. civ. sia una norma precettiva o imperativa positiva c'� unanimit� di pronunce: v. per tutte Cass., 18 ottobre 1980, n. 5610, in Arch. civ., 1981, 133; come pure che la buona fede nelle trattative debba essere intesa in 7 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi. Considerato poi che la Finacom ha alienato il credito controverso, per cessione fattane alla Beta Holding, e che i ricorsi non sono stati notificati alla prima (nei cui confronti il processo dovrebbe proseguire, a norma dell'art. 111 cod. proc. civ., fino alla sua estromissione), il Collegio ritiene tuttavia integro il contraddittorio in questa fase. Ed invero, la sentenza non definitiva della Corte d'appello, dichiarando (anche nei confronti della Finacom, in quanto anche ad essa era stato notificato l'appello principale) che la Beta Holding era legittimata, in virt� della detta cessione, all'impugnazione, considera sostanzialmente la stessa come unica titolare del rapporto processuale di interesse della parte attrice, e contiene pertanto un implicito provvedimento di estromissione della Finacom. Sotto tale profilo non � stata proposta alcuna censura dalle parti; n� pu� una censura in tal senso desumersi dai ricorsi incidentali, peraltro condizionati, essi contestando il giudiz,io espresso sul fatto della cessione, ma non que1io sui relativi effetti processuali. Ne deriva che, rimanendo precluso il sindacato di legittimit�, in ordine al problema del consenso richiesto, ai fini della possibilit� dell'estromissione, dal-l'art. 111 cod. proc. civ., il contraddittorio in questa sede � integro con la presenza delle parti qui costituite. La Corte di merito ha rigettato le domande di risoluzione del contratto e di risarcimento dei danni da inadempimento, ritenendo che la programmata vendita del pacchetto azionario non si era perfezionata, senso oggettivo e che il risarcimento del danno sia Limitato all'interesse contrattuale negativo (v. ad es. Cass., 11 dicembre 1978, n. 5831, in Mass., 1978). Nota minima in tema di responsabilit� precontrattuale della pubblica amministrazione. La decisione che si annota, ripropone -da un lato -la problematica relativa alla responsabilit� precontrattuale, delineandone gli aspetti fondamentali e -dall'altro -pur escludendola per il caso concreto -quella relativa alla configurabilit� di tale responsabilit� nei confronti della P. A. qui iure privatorum utitur. Com'� noto, si discuteva in dottrina e giurisprudenza se la disciplina di cui agli artt. 1337 e 1338 fosse applicabile anche nei confronti della P. A. -Si riteneva, infatti, che elementi ostativi fossero l'esistenza dello ius imperii, la non applicabilit� alla P. A. dell'art. 2049 cod. civ.; e, soprattutto, l'esistenza di norme di azJioni che regolano le fasi di formazione dei contratti della P.A. e la discrezion;:ilit� del potere della P.A. nel condurre le trattative con i contraenti privati. Anzi, si era ampliato l'ambito operativo della discrezionalit� amministrativa, sostenendosi che l'esercizio della facolt� di recesso e, perci�, la mancata conclusione del contratto fosse un modo di curare il pubblico interesse censurabile soltanto dal giudice amministrativo. In sintonia con la linea di ten�ienza volta a smitizzare la P. A., la giurisprudenza e la dottrina pi� recenti si sono uniformate e, poi, consolidate sulla tesi che ammette la responsabilit� precontrattuale della P. A., basandola sugli arti PARTE I, SEZ. III, GIURJS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 86S per essere mancata la necessaria legge di autorizzazione. Col primo motivo del ricorso principale la Beta Holding censura tale statuizione, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1421 cod. civ., 15, 19, 20, 21. legge 7 luglio 1907; 43 r.d. 18 febbraio 1923,. n. 2440 nonch� omesso esame (:\i qocumenti decisivi, e sostiene che il contratto de quo era stato definitiv~foente concluso . .. P�:9.�e,in proposito, che la necessit� di una legge di autorizzazione, eyig~nziata$� con. riferimento alla vendita per .contanti, era venuta meno d,opo Che, attraverso lo scambio delle lettere del 27, 39 e 31 gennaio 1955 (gel tutto trascurate dai giudici di merito), fu concordato il finanziamento d~IJ,'opernzione con un prestito da concedersi dalla stessa Finacom; essa era ri:t..a�ta, q.indi, esclusa, tanto che ne manca qualsiasi cenno nelle lettere del 2 e del 4 febl;>raio successive, le quali disciplinavano in maniera definitiva ed irrevocabile le rnoclalit� esecu:ttve dell'operazione stessa e prevedevano, anzi, che le azioni avrebbero doy.t() .. essere trasferite ad un <fiY:et'S9 soggettq, in�licato poi nella Cogne. Peraltro -soggiunge ..:... l'autoriz: i:~o.e aL~re$tito y(:)nne p()i concessa co~ legge 3 marzo 1956, n. 532. L'opinione della Corte di :merito, secondo cui le trattative fossero rimaste allo stato fluido, siccome vincolate anche nei successivi momenti al presupposto di una. legge. che ne. autorizzasse la. conclusione, sarebbe dunque arbitraria, e sarebbe W.tres� smentita, in particolare, dal tenore degli impegni assunti � irrevocabilmente� dall'Amministrazione verso la Handelbank per l'esecuzione dell'accorcio. Lamenta inoltre� la ric�rrente che la corte di merito: a) nel dare rilevanza ai dubbi affiorati . in seno al consiglio di amministrazione delle c:oli 28 e 113 della Costituzione e sugli artt. 2 e 4 della legge 20 marzo 1865, all. E (v. ad es. A. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, Jovene, 1982, 1030; GARRI, La responsabilit� della pubblica amministrazione, Torino, Utet, 1975, 154 e ss,; :01 SALvo, Annotazioni sulla responsabilit� precontrattuale della P. A., .in. (;iust..civ.; 11967, I; 1695; Fooum:t, La responsabilit� precontrattuale della P. A., in Nuovo diritto, 1972, 854). Si sostiene, quindi, che la P.A. che agisca slealmente, in mala fede, che ingeneri colposamente l'affidamento altrui, esorbiti clfl'i limiti in cui le � consentito ope,i;�re scelte di!lcrezionali (oltre agli altri gi� citati, v. TuFARELLI, La responsa1Jilit4 precontrattuale della P.A., in Cons. Stato, 1975, II, 958) e che il prlndpiQ �del neminem: tae(l,ere, � di.� cui gli �rtt. 1337 e 1338 sono . specificazione, costituisca un vero e proprio limite alla discrezionalit� dell'Amministrazione (giurisprudenza ormai consolidata). Si pone, .pertanto, il ;problema di individuare lo spazio operativo del giudice ordinario e correttamente varie pronuncie hanno ,affermato che il giudice ordinario non deve accertare se l'ente pubblico si � comportato da corretto amministratore nella sfera interna delle proprie determinazioni, ma deve valutare le modalit� delle conseguenti manifestazioni attuate all'esterno, in quanto incidenti sulle aspettative, sull'affidamento e sulle connesse determinazioni dei privati, al fine di rilevare, cio�, se la P.A. si sia comportata da corretta contraente (Cass., 23 maggio 1980, n. 3410, in Mass., 1980). In sostanza l'indag.ine c:he il giudice - RASSF.GNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 866 Ferrovie ed in seno al Consiglio dei Ministri, abbia trascurato che quei dubbi riguardavano la potest� negoziale -rispetto all'acquisto di azioni -dell'Amministrazione delle Ferrovie, che invece ne era fornita in virt� del r.d. 13 maggio 1929, n. 836; b) nel fare riferimento ad una legge di variazione del bilancio, abbia trascurato la nota del 15 gennaio 1955 della detta Amministrazione, secondo cui il Ministro del Tesoro, competente a proporla, aveva autorizzato l'acquisto con benestare degli altri ministri finanziari (acquisto gi� notificato al competente ufficio della CECA), .ed abbia disatteso immotivatamente l'istanza di esibizione di quella autorizzazione; e) nel dare rilevanza all'indeterminatezza del numero delle azioni da trasferire, per dedurne che le trattative fossero rimaste allo stato fluido, abbia trascurato il contenuto delle lettere del 2-4 febbr. aio 1955, che consentivano di determinare quel numero secondo la percentuale dell'87,50 del capitale sociale. La complessa censura non � fondata. La vicenda che � all'origine di questo processo � stata interpretata dalla Corte d'appello nel senso che la complessa trattativa, pur quando si volse alla determinazione di elementi particolari e di modalit� esecutive, ebbe ad oggetto il disegno di una operazione che aveva bisogno di una legge di autorizzazione perch� l'Amministrazione delle Ferrovie potesse assumerla a contenuto di un contratto. La precisazione di elementi negoziali, anche per il mezzo adoperato dello scambio di lettere (che, notoriamente, � quanto meno inconsueto per un'amministrazione pubblica come strumento stipulatorio, per un affare di eccezionale importanza), aveva cio� lo scopo di costituire dei punti fermi nella prospettiva di un contrat ordinario pu� e deve compiere non riguarda l'attivit� propriamente pubblicistica (Cass., 5 agosto 1977, n. 2980, in Giur. it., 1977, I, 1, 168; in Foro amm., 1976, I, 2104) ma soltanto H modo con cui tale attivit� si esteriorizza, incidendo diret tamente su~le posizioni giuridiche tutelate dei contraenti privati. La �giurisprudenza, dunque, ammette in linea generale la responsabilit� precontrattuale della P. A. ed, in particolare, l'ammette nell'ipotesi di revoca, senza giusta causa, �d@ll'atto di concessione di pubblico servizio accessivo alla convenzione con il privato (Cass., 11 dicembre 1978, n. 5831, in Giust. civ., 1979, I, 450, nota di DE FINA, LA ROCCA, La responsabilit� precontrattuale della P.A., con particolare riferimento a quella inerente alle concessioni-contratto, in Amm. it., 1979, 1015); di rottura ingiustificata delle trattative (Cass., 23 gennaio 1967, n. 200, con nota di DI SALVO cit., in Giust. civ., 1967, I, 1690); di interruzione inattesa delle trattative condotte da funzionari non competenti alla stipulazione del contratto, la cui attivit� era per� In concreto riferibile alfa P.A. (Cass., 28 giugno 1976, n. 2463, in Mass., 1976; LEONE, Osservazioni sulla responsabilit� precontrattuale della P. A. con particolare riferimento alle trattative svolte senza autorizzazione, in Giur. it., 1977, IV, 123); quando manca la delibera a contrarre, purch� tale mancamia non sia rilevabile dall'altro contraente (Cass., 22 maggio 1973. n. 1493, ivi, 1974, I, 193); mentre l'approvazione del contratto rientra nella discrezionalit� della P. A., incensurabile dal giudice ordinario (Cass., Sez. Un., 5 agosto 1977, n. 2980, ivi, 1977, I, 1, 168 e Cass., 23 maggio 1981, n. 3383, in PARTE I, SEZ. III, GIURIS.. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 867 to da concludere, e rispondeva all'interesse delle parti di delinearne i contorni e di documentare lo svolgimento della ,trattativa: il tutto, nel presupposto che venisse emanata la necessaria legge di autorizzazione. Con riferimento al procedimento di formazione del contratto, questa Corte ha avuto pi� volte, e da tempo, occasione di chiarire che, qualora l'iter delle dichiarazioni progressivamente rese dalle parti sia stato consacrato per iscritto, occorre accertare -con apprezzamento di merito da correlarsi alle particqlarit� del caso singolo -se lo scritto contenente l'enunciazione degli elementi essenziali del negozio sia stato redatto a documentazione di un accordo reciprocamente vincolante, o se, al contrario, sia stato redatto solo in funzione probatoria delle trattative positivamente svoltesi fino a quel momento, verificandosi nel secondo caso l'ipotesi della cosiddetta � puntuazione �, che lascia inalterata la facolt� di recesso, salvo il limite della responsabilit� precontrattuale (Sez. un., 27 novembre 1963, n. 3044; Cass., 21 ottobre 1969, n. 3445; 24 febbraio 1975, n. 721; 20 agosto 1980, n. 4942; 5 aprile 1982, n. 2092). La Corte di Roma ha inteso, in definitiva, ravvisare tale seconda ipotesi, pur senza farvi esplicito riferimento; ed il relativo apprezzamento si sottrae al sindacato di questo Supremo Collegio, in quanto sorretto da motivazione adeguata, coerente con la normatiira cui l'Amministrazione delle Ferrovie era vincolata. Di tale normativa � necessario indicare i tratti essenziali, per evidenziare subito quale salda radice abbia l'opinione della detta Corte secondo cui l'emanazione di una (necessaria) legge di autorizzazione sia stata assunta dalle parti -e sia costantemente rimasta per tutto il corso delle trattative -come un indeclinabile presupposto della possibilit� di versare in un contratto le intese raggiunte. Foro it., 1982, I, 201 con nota di A. M. MARINI); nonch� in caso di mancata ottemperanza all'obbligo notiziale sancito dall'art. '1338 cod. civ. (Cass., 17 novembre 1978, n. 5328, in Giust. civ., 1979, I, 32, con nota di DE FINA), obbligo che si ritiene -quale espressione della buona fede del pubblico contraente -sussistente non solo fin dal momento della stipulazione del contratto, relativamente alle originarie cause d'invalidit�, ma anche perdurante fino all'esaurirsi di tutta la vicenda contrattuale. La natura della responsabilit� precontrattuale costituisce problema tuttora vivo, la cui soluzione comporta, data la differente disciplina della responsabilit� contrattuale ed extracontrattuale, diverse conseguenze soprattutto relativamente all'onere della prova e al termine di prescrizione. Secondo una vecchia teoria risalente allo Jhering, tale responsabilit� avrebbe natura contrattuale, poich� un soggetto, instaurando trattative per la conclusione di un contratto, esce, per ci� stesso, dalla cerchia puramente negativa dei rapporti extracontrattuali per entrare in quella positiva dei rapporti contrattuali, obbligandosi a prestare in contrahendo la stessa di1igenza che si richiede in ademplando: dalla vfolazione di questo � patto tacito � di responsabilit� nasce la culpa in contrahendo. O ancora c'� chi sostiene (Mengoni, Beratti, Scogna 868 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La legge 7 luglio 1907, n. 429, sull'ordinamento dell'esercizio di Stato delle Ferrovie non concesse all'industria privata, disciplina il bilancio di esercizio dell'Azienda Ferroviaria come atto da approvarsi dal Parlamento in allegato allo stato di previsione della spesa del Ministero dei lavori pubblici (art. 15) e, dopo avere distinto le spese in � ordinarie di esercizio � (comprendenti quelle di personale, combustibili, manutenzione ordinaria ed in genere quelle riguardanti l'esercizio ferroviario propriamente detto), �complementari� (comprendenti quelle di manutenzione straordinaria, rinnovamenti, rifacimenti e migliorie), �accessorie� (comprendenti interessi su somme varie, quote e contributi specificamente indicati) e �straordinarie� (comprendenti quelle relative al primo impianto della nuova amministrazione, alla continuazione di lavori e forniture in corso, alla reintegrazione ed all'accrescimento del patrimonio aziendale di,rettamente attinente all'esercizio), dispone, all'ultimo comma dell'art. 23, che �nuovi stanziamenti o aumenti di quelli proposti al Parlamento non possono essere approvati che con legge speciale �. Analoga norma, con generale riferimento ai bilanci delle Amministra zioni dello Stato, � contenuta nell'art. 43 della legge di contabilit�, appro vata con r.d. 18 novembre 1923, n. 2440. In presenza di tale disciplina, � chiaro che nel bilancio non poteva esserci spazio per una spesa come quella che sarebbe stata necessaria per l'acquisto di una partecipazione ad una societ� mineraria, pur se finalizzata a realizzare i presupposti di una maggiore economicit� della gestione aziendale; la quale spesa non avrebbe potuto trovare copertura neanche con le somme stanziate nel miglio) che tale responsabilit� ha natura contrattuale perch� riguarda tutti i casi nei quali un soggetto si rende inadempiente ad un preesistente vincolo obbligatorio. Secondo la giurisprudenza ormai consolidata e la dottrina quasi unanime, invece (Barbero, Mtirabellri), il danno derivante dalla mancata conclusione del contratto � in relazione al comportamento scorretto della parte che viola i prin c�pi di correttezza e lealt� che consistono nell'obbligo genevico del neminem laedere (art. 2043 cod. civ.) e, pertanto, tale responsabilit� ha natura extra contrattuale. Ultimo aspetto da esaminare riguarda il problema -anche esso vivo e dibattuto -se la responsabilit� precontrattuale della P. A. possa qualificarsi diretta o indiretta. La tesi dominante, accolta anche dalla giurisprudenza della Cassazione, la conl�igura come diretta. La riferibilit� immediata alla P. A. si basa sull'esistenza del rapporto di� immedesimazione organica <instauratosi fra essa ed �i suoi dipendenti. L'art. 28 Cost., che ha previsto la responsabilit� dei dipendenti, non ha, infatti, mutato la natura de11a responsabilit� di11etta della P.A., ma ha soltanto voluto sancire accanto ad essa quella propria degli ,autori dei fatti lesivi delle situazioni giuridiche altrui (Cass., 24 gennaio 1976, n. 227, in Mass., 1976; id., 9 aprile 1973, n. 997, in Foro amm., 1974, I, 1, 49; id., 27 novembre 1973, n. 3245, in Giur. it., 1974, I, l, 1343; id., 7 febbraio 1974, n. 330, ivi, 1974, I, rl, 1158). GABRIELLA PALMIERI PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE fondo di riserva, questo essendo destinato, secondo l'art. 24 della legge n. 429, a fronteggiare � imprevisti bisogni di servizio � e quindi pur sempre esigenze proprie della gestione tipica. � evidente, quindi, che l'operazione di acquisto di quella partecipazione dovesse essere autorizzata per legge. Ci� riconosce la stessa ricorrente, la quale per� sostiene che la necessit� di una legge speciale fosse rimasta superata con riferimento ad un acquisto (quale, in un secondo tempo, concordato) da finanziarsi con un prestito, tale modalit� escludendo il bisogno di impiegare gli stanziamenti del bilancio in corso. Ma, in contrario, � sufficiente osservare che anche l'assunzione di una obbligazione da finanziamento comportava un preciso impegno che, non avendo in atto alcuna copertura, richiedeva anch'essa una specifica legge di autorizzazione. N� pu� condividersi l'assunto che tale autorizzazione fosse contenuta nella legge 5 maggio 1956, n. 532, che ratifica l'accordo di finanziamento tra le ferrovie italiane dello Stato e le ferrovie federali svizzere. Tale legge, che autorizza l'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato ad assumere a proprio carico un prestito di 200 milioni di franchi svizzeri, ha infatti un oggetto ben definito, e cio� il finanziamento di specifici lavori di sviluppo e di elettrificazione di determinate linee ferroviarie di interesse comune dei due Paesi. Non trova in essa alcun riscontro la tesi secondo cui il prestito cos� autorizzato ammontasse originariamente a 300 milioni di franchi e fosse stato ridotto a 200 milioni perch� diminuito del prezzo delle azioni di cui si discute. Del resto la ricorrente non indica quali siano gli elementi extratestuali da cui la Corte di merito avesse potuto trarre una tale conclusione; n� questa � insita nel generico riferimento dell'impugnata sentenza alla correlazione tra l'acquisto delle azioni ed il prestito di cui alla legge in parola. La quale, dunque, non poteva avere realizzato il presupposto di cui si discute. La necessit� di una legge speciale non derivava soltanto dalle norme relative al bilancio. La citata legge del 1907 assegna all'Amministrazione autonoma delle ferrovie dello Stato un oggetto ben definito, che � costituito dall'esercizio diretto delle linee ferroviarie costnlite o riscattate dallo Stato e di altre specificamente indicate nell'art. 1, nonch� della navigazione attraverso lo stretto di Messina; e definito al punto che (art. 2) l'assunzione dell'esercizio di altre ferrovie dev'essere autorizzata con legge speciale. La partecipazione ad una societ� mineraria esula, all'evidenza, da tale oggetto; e non pu� esser consentita neanche dal r.d. 13 maggio 1929', n. 836, il quale, nelfautorizzare �l'Amministrazione predetta a partecipare ad imprese in forma di societ� anonime per azioni, precisa debba trattarsi di societ� aventi per fine l'acquis-izione e l'incremento dei trasporti per ferrovia e l'esercizio �di servizi� complementari ed accessori. Un quadro normativo siffatto, certamente presente all'Amministrazione come inderogabile norma d'azione, ed il fatto che la necessit� di l:l70 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO una legge di autorizzazione fu espresamente rappresentata -secondo la sentenza impugnata -dal Direttore Generale delle Ferrovie contemporaneamente alla prima dichiarazione di disponibilit� all'acquisto (lettera del 30 novembre 1954), giustificano pienamente l'opinione della Corte di merito, secondo cui l'emanazione di una tale legge costitu� il presupposto della trattativa in tutti i suoi momenti, e condizion� tutte le intese via via e con chiunque (compresa la Handelbank) raggiunte, riducendole ad elementi di un programma, delineato per diventare contratto, ma non ancora vincolante con la forza del contratto, malgrado il tenore letterale delle dichiarazioni delle parti. A conferma di tale opinione, la detta Corte ha poi osservato che la necessit� di una legge di autorizzazione era stata sottolineata in seno al Consiglio di amministrazione delle Ferrovie del 29 novembre 1954 e del Consiglio dei Ministri del 22 marzo 1955, e che proprio per superare quella necessit� (oltre che i problemi valutari connessi all'operazione) furono allacciati rapporti diretti tra la Finacom ed il Ministero e fu convenuto che la compravendita fosse conclusa con la Cogne. In tale situazione, sono privi di valore decisivo 'i documenti di cui si lamenta l'omesso esame e la mancata acquisizione, e cio�: le tre lettere del 27, 29, 31 gennaio 1955, in quanto � dimostrato che la previsione di un acquisto finanziato con un prestito non escludeva la necessit� di una legge di autorizzazione, e la lettera del 15 gennaio 1955, in quanto l'autorizzazione del Ministro dei Trasporti ed il benestare dei ministri finanziari (a cui, in essa, si farebbe riferimento), da un lato, non avrebbero potuto n� eliminare n� realizzare il necessario presupposto di cui si � detto (cio� una specifica legge che avesse consentito l'operazione) e, dall'altro, potevano spiegarsi anche come atti volti a consentire la � puntuazione � del contratto. E poich� anche in tale fase della trattativa negoziale possono essere assunte determinazioni precise circa gli elementi essenziali del contratto, sono privi di valore decisivo anche i rilievi della ricorrente diretti a contestare che il numero delle azioni da trasferire non fosse determinato o sufficientemente determinabile. Va aggiunto, infine, che la rilevanza del presupposto di cui si � detto non potrebbe essere eliminata dall'eventuale indizio desumibile dall'asserita notificazione dell'operazione alla CECA; notificazione, peraltro, che riguarda i � progetti � di accordi interessanti il settore del carbone e dell'acciaio (art. 75 del trattato istitutivo della CECA, ratificato con legge 25 giugno 1952, n. 766). Da quanto detto deriva altres� l'irrilevanza del fatto che nelle lettere del 2-4 febbraio 1955 non si facesse ancora esplicito riferimento alla legge di autorizzazione, tanto pi� che -come osserva l'impugnata sentenza, sulla base della .lettera del 15 marzo di quell'anno -la necessit� di tale legge era stata riconosciuta dalla stessa Finacom anche rispetto alla previsione di un finanziamento. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE La Corte di merito, dopo aver dimostrato che le trattative tra l'Am� ministrazione ferroviaria e la Finacom si erano arrestate senza la conclusione del contratto, ha considerato l'ipotesi che questo si fosse invece concluso, per dimostrare che anche in tal caso le domande principali della parte attrice sarebbero infondate: l'ipotetico contratto sarebbe, infatti, inficiato da vizi formali e procedimentali, e non sarebbe comunque vincolante nei confronti dell'Amministrazione per mancanza di approvazione ministeriale. Il secondo motivo del ricorso principale investe tale statuizione, con rilievi che, prevalentemente, valorizzano l'autonomia dell'Azienda delle Ferrovie dello Stato e :le speciali competenze dei suoi organi. Ma, una volta ritenuta legittima -come si � ritenuto, confutandosi il primo mezzo di ricorso -la statuizione con cui la Corte d'appello ha negato l'avvenuta conclusione del contratto, le censure espresse col motivo secondo rimangono assorbite. Il terzo motivo dello stesso ricorso principale si ricollega alla domanda che la Finacom aveva proposto in via subordinata per ottenere .il risar cimento dei danni da responsabilit� precontrattuale, e censura la statuizione con cui la detta corte ha escluso la colpa in contrahendo della Amministrazione. La ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1337 cod. civ. e 112 cod. proc. civ., nonch� omesso esame di fatti e documenti decisivi, e lamenta che la Corte di merito, nell'escludere la detta colpa con riferimento alla dichiarata necessit� di una legge di autorizzazione, abbia trascurato che l'Amministrazione delle Ferrovie, anche dopo lo scambio di lettere del 2 e 4 febbraio-1955, si era dichiarata sempre dispo� sta ad eseguire l'accordo entro il termine (da essa conosciuto come essenziale) del 31 marzo successivo, senza prospettare tempestivamente le difficolt� poi allegate, ed aveva affermato la possibilit� di superare ostacoli di natura burocratica mediante l'ingresso della Cogne nell'operazione. Lamenta altres� che siano state disattese senza esame le istanze di ammissione delle prove dedotte al riguardo, atte a dimostrare che il comportamento di quei giorni, dell'Amministrazione, era stato niente altro che un espediente dilatorio. La censura non � fondata. La ricorrente, oltre a formulare una doglianza specifica, nei termini ora riassunti, ha fatto un richiamo generico alle deduzioni svolte col primo motivo, consapevole essendo della connessione logica tra le ragioni che hanno condotto i giudici di merito ad escludere, nel caso concreto, l'avvenuto perfezionamento del contratto e la soluzione da essi adottata riguardo alla responsabilit� precontrattuale. :I:. chiaro, allora, che il rigetto del primo motivo � gi� una premessa che giustifica il rigetto del secondo. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nel caso di interruzione delle trattative contrattuali, la violazione del principio di buona fede e la conseguente responsabilit� per colpa in contrahendo si concretano quando l'interruzione risulti priva di giustificazione, cos� da sacrificare arbitrariamente l'affidamento che la controparte abbia ragionevolmente fatto sulla conclusione del contratto. Nella specie, la Corte di merito, nell'incensurabile valutazione del comportamento contrattuale dell'Amministrazione, ha osservato che le trattative non ebbero l'esito sperato, perch� non si era verificato il presupposto cui tale esito era subordinato: presupposto che dipendeva dall'ordinamento, ed era stato comunque debitamente reso noto alla Finacom, la quale perci� sapeva che l'attuazione dell'operazione programmata era condizionata alla valutazione, anche politica, ed all'approvazione del Parlamento. In tale situazione la detta Corte ha esattamente escluso che potesse essere sorto nella Finacom un ragionevole affidamento, poi tra I dito dal comportamento dell'Amministrazione. N� � passibile di sindacacato giurisdizionale la mancata proposta, da parte del Ministro dei Trasporti, di un disegno di legge ad hoc (che peraltro involgeva la competenza anche di altri Ministeri), trattandosi di un momento che attiene alla II attivit� politica dell'organo. Quanto alle istanze istruttorie, il loro implicito rigetto risulta giusti-~== ficato, sia per la rilevanza assorbente delle considerazioni svolte dalla [ Corte d'appello sul merito della causa, sia perch� il valore decisivo di & I@ quelle riguardanti documenti e fatti che non siano stati gi� esaminati ~! dalla stessa Corte non � chiarito dalla ricorrente se non con la pretesa . di anticipare supposte risultanze a s� favorevoli, con l'affermazione della , X loro idoneit� a dimostrare la pretestuosit� del comportamento della ' controparte. I ~ L'ultimo motivo del ricorso della Beta Holding riguarda la statuizione ~ ~::: con cui � stata esclusa la responsabilit� precontrattuale della Soc. Nazionale Cogne. La ricorrente, dopo avere accennato ai rapporti avuti, in due incontri, col presidente di tale societ�, lamenta che la Corte di merito abbia respinto la domanda proposta contro la stessa senza disporre la chiesta istruttoria, la quale avrebbe potuto dimostrare che la modifica del ~ r:< regolamento del prezzo -proposta dal detto presidente quando era gi� Iru munito dell'autorizzazione del consiglio di amministrazione a perfezionare l'operazione -costituiva un mero pretesto, e che con quella proposta la ~ trattativa non venne (negativamente) chiusa ma solo rinviata, e poi abban ~ donata dalla stessa Cogne. @ Neanche questa censura � fondata. Ai fini del giudizio sull'idoneit� delle trattative a determinare un ragionevole affidamento nel contraente che si ritenga poi danneggiato dalla loro ingiustificata interruzione, occorre avere riguardo al modo, alla durata ed allo stato di esse (Cass., 14 ottobre 1978, n. 4626). [ PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Nella specie la Corte di merito, valutando il comportamento della Cogne, con riferimento prima all'ipotesi della responsabilit� contrattuale e poi a quella della responsabilit� precontrattuale, e basandosi sulla stessa versione dei fatti fornita dalla Finacom e dalla Beta Holding, ha osservato che i rapporti tra le due parti consistettero, e si esaurirono, in due incontri. In quello del 26 marzo 1955 fu riconosciuta la necessit� di una deliberazione del consiglio di amministrazione della Cogne, che autorizzasse il suo presidente all'operazione di acquisto; in quello del successivo giorno 30 il detto presidente, cos� autorizzato, richiese una modifica delle modalit� di pagamento del prezzo, non accettata dal rappresentante della Finacom per mancanza dei necessari poteri. Sempre secondo la versione ulteriormente fornita dalla Finacom e dalla Beta Holding -prosegue la Corte d'appello -, la Finacom ebbe poi a rivolgersi esclusivamente all'Amministrazione delle Ferrovie, sia al fine di concordare eventuali modificazioni �chieste dalle Ferrovie�, sia per contestare le � inadempienze � della stessa Amministrazione. In tale situazione -ha poi osservato ai fini dell'asserita culpa in contrahendo -la prima riunione non poteva aver determinato alcun ragionevole affidamento, mentre non poteva sorgere responsabilit� dall'avere la Cogne, nella seconda riunione, avanzato delle controproposte non accettate. Si tratta, com'� chiaro, di un apprezzamento di merito adeguatamente motivato e conforme al principio dianzi enunciato, che non viene censurato se non per omesso esame delle istanze istruttorie. Le prove richieste -sostiene la Beta Holding -avrebbero dimostrato che quelle controproposte erano pretestuose e che la loro mancata accettazione -giustificata dal rappresentante della Finacom col difetto di poteri -non chiuse la trattativa ma ne determin� un rinvio, che non ebbe seguito per fatto della Cogne. Orbene, la statuizione adottata dalla Corte d'appello sul punto contiene un implicito provvedimento di rigetto delle istanze istruttorie, da ritenersi pienamente legittimo. Ed invero, il contenuto della deliberazione del consiglio di amministrazione della Cogne (che era oggetto di una istanza di esibizione, proposta insieme con altra, del tutto generica, di produzione documentale) non ha valore decisivo, perch�, quale che fosse, esso non impediva al presidente (che aveva la responsabilit� dell'esecuzione) di ricercare condizioni pi� vantaggiose per la societ�. Quanto ai fatti che sono oggetto della richiesta di prova testimoniale, � sufficiente osservare che essi, in parte costituiscono dati incontroversi, ed in parte sono contraddetti da quelli che la Corte di merito ha desunto dalla versione fornita in giudizie��dalla stes.sa, Finaeom; la quale -secondo la sentenza impugnata -dopo il 30 marzo 1955 coltiv� i suoi tentativi, ed elev� poi le sue proteste, esclusivamente contro l'Amministrazione delle Ferrovie. In realt� -e conclusivamente -in ordine alla congruenza della motivazione con cui la detta Corte ha escluso ogni responsabilit� precon 874 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO trattuale della Cogne, la Beta Holding potrebbe prospettare un dubbio legittimo solo a condizione di riferire unitariamente alla Cogne anche i tempi e i modi delle trattative svoltesi tra la Finacom e le Ferrovie (e di prescindere, ovviamente, dal presupposto cui la loro positiva conclusione era subordinata). Ma ci� non � possibile, avendo la Corte di merito configurato la posizione della Cogne come autonoma rispetto alla precedente fase negoziale, e circoscritto i tempi e i modi del suo intervento entro limiti ben definiti. Il ricorso principale risulta dunque infondato. Il suo rigetto determina l'assorbimento dei due ricorsi incidentali, in quanto entrambi condizionati. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 luglio 1983, n. 5002 -Pres. Greco - Rel. Bile -P. M. Corasaniti (conci. conf.) -Ministero della Pubblica Istruzione (avv. dello Stato Favara) c. Gambetti Maria (avv. Gaito e Scrivano). Impiego �pubblico -Atto formale di nomina -Illegittimo -Controversia di lavoro � Giurisdizione amministrativa -Fattispecie. (art. 7, secondo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034). Rientra nella giurisdizione esclusiva amministrativa la controversia inerente a prestazioni lavorative svolte con continuit�, predeterminazione dell'orario e della retribuzione in favore di una P. A. che abbia conferito il relativo incarico anche se in violazione delle norme che vietano o limitano per gli enti pubblici non economici l'assunzione di dipendenti senza concorso. (1) (1-2) Le due coeve sentenze che si annotano sono espressione di quella evoluzione giurisprudenziale culminata nella sentenza Cass., Sez. Un., 26 maggio 1979, n. 3070, in Foro it., 1979, I, '1708, con nota di C. M. BARONE, in base alla quale si � sostanzialmente l'idimensionata la necessit� dell'atto formale di nomina al fine della costituzione di un rapporto di pubblico impiego e si � dato, invece, rilievo all'inserimento del soggetto privato nell'ambito dell'organizzazione fumcionale dell'ente pubbldco. Pertanto, anche quando manchi o sia illegittimo l'atto formale di nomina, ma sussista il requisito fattuale della riferibilit� ai fini istituzionali dell'ente della prestazione lavorativa, le relative controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (v. Cass., Sez. Un., 26 novembre 1979, n. 6170; id., 23 febbraio 1979, n. 1191, in Foro it., 1979, I, 1702 con nota di richiami; id., 11 dicembre 1979, n. 6443, in Giust. civ., 1979, 2848). In passato, invece, la giurisprudenza era consolidata nel senso che, in mancanza di un atto formale di nomina, consistente nella manifestazione di volont� della P. A. di utilizzare la prestazione lavorativa, inserendo il soggetto nel proprio apparato organizzativo, si costituiva soltanto un rapporto di lavoro di diritto comune (v. Cass., 12 febbraio 1974, n. 403, Mass., 1974; id., 22 marzo 1979, n. 1190, ivi, 1979). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 875 II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 luglio 1983, n. 5003 � Pres. Greco - Rel. Panzarani � P. M. Corasaniti (concl. conf.) -De Lillo (avv. Rispoli e Soprano) c. Ente Autonomo Teatro S. Carlo di Napoli (avv. Stato Favara). Impiego pubblico � Ente pubblico non economico � Atto formale di nomina -Carenza � Controversia di lavoro � Giurisdizione amministrativa Fattispecie. (art. 7, secondo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034). L'inserimento del dipendente nella struttura dell'ente pubblico non postula un tipico provvedimento di nomina, bastando al riguardo che la volont� dell'ente stesso risulti da atti univoci equipollenti attraverso i .quali tale volont� possa essere individuata. Pertanto, la relativa controversia di lavoro rientra nella giurisdizione esclusiva amministrativa. (2) 1 I (omissis) 1. -I due ricorsi, proposti contro la stessa sentenza, devono essere riuniti. 2. -� preliminare l'esame del secondo motivo, con il quale il Mini� stero ricorrente denunzia l'improponibilit� assoluta della domanda, ed il . <:onseguente difetto di giurisdizione, sotto il profilo che l'applica2lione dell'art. 2126 cod. civ. si risolverebbe nel� riconoscimento di una sorta di .arricchimento senza causa, ai sensi dell'art. 2041 cod. civ., con la conse- Tale indirizzo giurisprudenziale era stato peraltro vivacemente criticato dalla <dottrina (v. ad es. FILIPPO SATTA, Intorno all'atto di nomina all'impiego presso enti pubblici minori, in Foro it., 1972). In realt� segni premonitori di quel capovolgimento nella giurisprudenza -O.ella Cassazione, avvenuto con la sentenza n. 3070 cit., si erano gi� notati in Cass., 12 febbraio 1974, n. 402, in Mass., 1974, dove si dava rilievo -al fine della costituzione del rapporto di pubblico impiego -anche ad atti contestuali o succes: sivd al confenimento dell'iincarico, senza ritenere determinante la loro denomina2ione, eventualmente anche errata; �in Cass., 20 ottobre 1975, n. 3400, in cui si ammetteva la costituzione di un rapporto di pubblico impiego attraverso manifestazioni di volont� atipiche o jmplicite dell'Amministrazione (v. ancora Cass., 14� ottobre 1977, n. 2750; id., 5 marzo 1979, n. B58; id., 27 febbraio 1980, n. 1352; id., 24 marzo 1981, n. 1689 e in dottrina GIUSEPPE DE FINA, L'erosione del principio� .dell'atto formale di nomina in materia di pubblico impiego, in Foro it., 1972; e in Cass., 7 gennaio 1974, n. 14, fa Mass., 1974, che riconosceva per gli atti pubblici minori la sufficienza di un qualsiasi atto scritto rivelatore di una reale volont� dell'ente di inserire H soggetto nella propria struttura organizzativa. GABRIELLA PALMIERI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO guente improponibilit� di tale azione nei confronti della Pubblica Amministrazione se questa, come nella specie, non abbia nemmeno implicitamente riconosciuto l'utilit� derivante dall'attivit� del privato. Il motivo non pu� essere accolto. Esso in realt� si dirige contro una affermazione della sentenza impugnata che -nel quadro generale della motivazione -appare sicuramente marginale ed estranea al procedimento logico che ha condotto i giudici alla loro decisione. Ed invero il Tribunale ha ravvisato nella specie l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di natura privatistica, ed a tale accertamento ha, collegato� l'affermazione della propria giurisdizione. Rispetto a questa impostazione della motivazione, l'ulteriore accenno alla possibilit� di ragionare in termini di rapporto pubblicistico fondato su un atto illegittimo e sulla conseguente possibilit� di ritenere applicabile l'art. 2126 cod. civ., ha soltanto il valore di una disgressione non necessaria o non rilevante ai fini della decisione. 3. -Con il primo motivo il Ministero ricorrente afferma che il tribunale ha erroneamente definito il rapporto di diritto privato, laddove si tratta di un vero e proprio rapporto di lavoro pubblico, con l'attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La censura � fondata. Con Ja sentenza n. 1191 del 1979 le Sezioni Unite -premesso che, al fine dell'individuazione di un rapporto di pubblico impiego e della conseguente devoluzione delle controversie alla giurisdizione amministrativa in sede esclusiva, il requisito dell'atto di nomina � ravvisabile laddove l'ente pubblico abbia manifestato inequivocamente la volont� di inserire stabilmente le prestazioni del privato nell'ambito della propria struttura organizzativa, mentre � irrilevante non solo il tenore letterale delle deliberazioni adottate ma anche l'eventuale illegittimit� di esse -hanno ritenuto attribuita alla giurisdizione esclusiva amministrativa la controversia inerente a prestazioni lavorative svolte da una modella vivente con continuit�, vincolo di subordinazione, predeterminazione dell'orario e della retribuzione, in favore di una Pubblica Amministrazione (Accademia di Belle Arti) che aveva conferito il relativo incarico, nel senso specificato, pur se in violazione delle norme che vietino o limitino per gli enti pubblici non economici l'assunzione di dipendenti senza concorso. Il richiamo alla motivazione della sentenza citata � sufficiente ai fini della dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario ad�to e della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella controversia in esame, in quanto -da un lato -la sentenza impugnata ha accertato in fatto l'esistenza di una situazione del tutto conforme a quella ora descritta e -dall'altro -la resistente non ha fornito alcuna argomentazione idonea a giustificare un nuovo approfondito esame della questione. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 4. -Il terzo motivo del ricorso riguarda l'applicabilit� alla specie della prescrizione quinquennale ed � perci� assorbito dalla dichiarazione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario. 5. -Il ricorso incidentale deve parimenti essere dichiarato assorbito. 6. -Alla cassazione senza rinvio della sentenza impugnata -per difetto di giurisdizione del giudice ordinario -consegue l'opportunit� di dichiarare compensate le spese dell'intero giudizio. II (omissis) Con l'unico motivo il ricorrente, nel sostenere che la cognizione della causa appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, deduce che pur essendovi stato lo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato stanti gli elementi della continuit�, stabilit�, posizione di soggezione gerarchica, retribuzione fissa mensile, sistema di retribuzione ecc., � tuttavia mancata l'emanazione di un formale atto di nomina ovvero di atti equivalenti dai quali sia lecito dedurre che la propria attivit� � stata inquadrata nell'organizzazione e nei fini istituzionali dell'ente, posto peraltro che l'addetto stampa non rientra nell'inquadramento organizzativo dell'ente medesimo e ci� per la qualit� e la natura della prestazione svolta che non riguarda specificamente e neppure indirettamente l'attivit� dell'opera teatrale, talch� il rapporto di impiego di che trattasi deve ritenersi di natura privatistica. Tutto ci� richiamato, va rilevata l'infondatezza delle considerazioni svolte dall'istante. Al riguardo -premesso che la decisione di queste Sezioni unite in sede di regolamento di giurisdizione � necessariamente limitata alla preventiva individuazione del giudice investito della competenza giurisdizionale a decidere il merito della controversia con esclusivo riferimento alla situazione su cui le parti hanno basato le loro pretese (art. 386 cod. proc. civ.; cfr. p. es. la sentenza 11 settembre 1979, n. 4745) -osserva innanzi tutto il Collegio come nella fattispecie si assuma da parte dell'attore di aver egli eseguito prestazioni lavorative a favore di un ente pubblico non economico (quale in modo incontroverso � l'Ente autonomo Teatro San Carlo di Napoli che persegue tipici fini culturali) con modalit� tali da configurare gli estremi di un rapporto di lavoro subordinato (incarico stabilmente retribuito nell'ambito dell'organizzazione dell'ente, nell'osservanza peraltro di direttive generali e particolari) ,il che integra il necessario presupposto del rapporto di pubb1ico impiego (cfr. p. es. la sentenza 11 dicembre 1979, n. 6449). 878 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Rileva tuttavia l'istante, nel contestare che si sia trattato per l'appunto di pubblico impiego, che � mancata nei suoi confronti l'adozione �di un formale atto di nomina e inoltre che l'attivit� dell'addetto stampa non� rientra di per s� nell'inquadramento organizzativo dell'ente convenuto. Orbene, quanto alla prima deduzione � sufficiente richiamare l'indirizzo giurisprudenziale di queste Sezioni unite secondo cui l'inserimento del dipendente nella struttura dell'ente pubblico non postula un tipico provvedimento di nomina bastando al riguardo che la volont� dell'ente mede� simo risulti da univoci atti equipollenti attraverso i quali tale volont� possa essere individuata e ci� anche a prescindere dalle espressioni usate (cfr. p. es. la sentenza 9 marzo 1982, n. 1494), dovendosi avere piuttosto riguardo alla realt� fattuale, il che � invero tipico nella materia del lavoro la quale non pu� non influenzare nel presente momento storico anche quella del pubblico impiego nonostante le peculiarit� che in quest'ultimo pur permangono. Senza peraltro necessit�, ai fini della presente decisione, di ulteriore disamina del suddetto problema (cfr., con enunciazioni in parte diversificate, p. es. le sentenze 26 maggio 1979, n. 3070, 24 marzo 1981, n. 1678, 10 febbraio 1982, n. 833 e 19 luglio 1982, n. 4212), � sufficiente rilevare come i documenti esistenti in atti provenienti dall'ente convenuto, (�determinazioni� e statini-paga) e che riguardano il trattamento riservato all'attore evidenzino in ogni caso l'univoca volont� dell'ente medesimo di utilizzare la sua attivit�. In relazione poi alla seconda obiezione si deve parimenti richia� mare la giurisprudenza di queste Sezioni unite che ha pi� volte avuto occasione di affermare come la pubblicazione di un giornale da parte di un ente pubblico non economico sia in ogni caso riferibile direttamente an'organizzazione di esso allorquando difettino gli estremi dell'autonomo esercizio di un'impresa . editoriale a scopo di lucro, rientrando invero siffatta attivit� nell'ambito dei fini suoi propri e inerendo pertanto al <::ontenuto del rapporto d'impiego dei dipendenti a tale attivit� destinati (cfr. p. es. le sentenze 4 agosto 1977, n. 3462, 3 ottobre 1977, n. 4174, 16 marzo 1978, n. 1318 e, pi� recentemente, quella 23 aprile 1982, n. 2506). A maggior ragione debbono pertanto ritenersi non riferibili all'esercizio di una distinta attivit� di carattere imprenditoriale da parte dell'ente pubblico non economico le prestazioni di un suo addetto stampa (cfr. ancora, in particolare, la cit. sentenza n. 1318 del 1978) che -tenendo presente quanto nella fattispecie specificamente dedotto da parte dell'attore nel ricorso introduttivo del giudizio -si occupi della divulgazione e dell'illustrazione dell'attivit� istituzionale dell'ente stesso e quindi direttamente operi per una migliore e pi� efficiente realizzazione dei rk: relativi fini. I l~ -. Ir PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 879 Emergendo pertanto -nei rilevati limiti propri del regolamento di giurisdizione -che l'attore operava in regime di subordinazione nell'ambito dell'organizzazione dell'ente convenuto e in relazione ai fini di esso (a proposito di entrambi i suddetti aspetti cfr. p. es. la sentenza di queste Sezioni unite 3 giugno 1981, n. 3570), deve concludersi che le pretese del predetto sono direttamente riferibili ad un rapporto che si rivela di pubblico impiego, talch� la relativa cognizione appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 7, secondo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034). Per quanto concerne infine il regolamento delle spese dell'intero giudizio, ritiene il Collegio che, data la natura della controversia, concorrano giusti motivi per l'integrale loro .compensazione fra le parti (art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.). <(omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 12 ottobre 1983, n. 5924 -Pres. Greco - Rel. Caturani -P. M. Miccio -Ente di sviluppo in Puglia e Lucania (vice avv. gen. Stato Del Greco) c. Vasciaveo (avv. Cipriani). Giurisdizione civile -Regolamento di giurisdizione -Riforma fondiaria Assegnazione con patto di riservato dominio -Recesso dell'assegnatario -Spettanze conseguenti -Concessione di beni patrimoniali indi� sponibili . Art. 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 . Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo � Non compromettibilit� in arbitri. La controversia promossa, nei confronti dell'Ente concedente, da un assegnatario ed acquirente con patto di riservato dominio di un terreno .di riforma fondiaria, al fine di sentir riconoscere il proprio diritto di .recesso dal rapporto, nonch� determinare le spettanze conseguenti a tale recesso, investe, con riguardo ad una concessione amministrativa di beni pubblici, posizioni di diritto soggettivo che esulano dalla mera determinazione di indennit�, canoni e corrispettivi, e sono quindi devolute a norma dell'art. 5 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, alla giurisdizione esclusiva dei Tribunali Amministrativi Regionali. (1) La controversia medesima pertanto non pu� essere portata, con compromesso o clausola compromissoria, alla cognizione di arbitri, il cui intervento � consentito solo in via sostitutiva nell'ambito delle attribuzioni dell'autorit� giudiziaria ordinaria. (2) (1-2) Cfr., in termini, le sentenze delle Sezioni Unite 10 dicembre 1981, n. 6517 e 24 settembre 1982, n. 4934, richiamate in motivazione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con il primo motivo l'Ente di sviluppo denunziando difetto di giurisdizione, violazione e falsa applicazione dell'art. 2 (rectius: 5) della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, degli artt. 16 e segg. della legge 12 maggio 1950, n. 230, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, degli artt. 803 e 829, n. 1, cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, n. 1, 3 e 5 cod. proc. civ., assume che, contrariamente a quanto ritenuto dall'impugnata sentenza, deve riconoscersi la nullit� della clausola compromissoria prevista nel contratto di vendita con patto di riservato dominio dei terreni assegnati, nel quadro della riforma fondiaria, in quanto l'art. 5 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ha introdotto una nuova fattispecie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di concessione di beni pubblici, onde non riflettendo la controversia in esame � indennit� canoni ed altri corrispettivi � per i quali sussiste la riserva del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 5, secondo comma, della legge, il collegio arbitrale mancava assolutamente di potere decisorio, cos� come privo di giurisdizione in materia sarebbe stato il giudice ordinario. La censura � fondata. Come le Sezioni Unite hanno gi� statuito in fattispecie analoga (sentt. 10 dicembre 1981, n. 6517; 24 settembre 1982, n. 4934), la controversia pro mossa nei confronti dell'Ente concedente, da un assegnatario ed acqui rente con patto di riservato dominio di un terreno di riforma fondiaria, al fine di sentir riconoscere il proprio diritto di <recesso dal rapporto, nonch�. determinare le spettanze conseguenti a tale recesso, investe, con riguardo ad una concessione amministrativa di beni pubblici (conces sione-contratto di beni patrimoniali indisponibili), posizioni di diritto soggettivo che esulano dalla mera determinazione di indennit�, canoni o corrispettivi, e sono quindi devolute a norma dell'art. 5 della legge 6 dicembre� 1971, n. 1034, alla giurisdizione esclusiva dei tribunali ammi �nistrativi regionali. La controversia medesima pertanto, non pu� essere portata, con compromesso o clausola compromissoria, alla cognizione di arbitri, il cui intervento � consentito solo in via sostitutiva nell'ambito delle attribuzioni dell'autorit� giudiziaria ordinaria. Le ragioni che giustificano la soluzione accolta .sono contenute nei precedenti innanzi menzionati, e la relativa motivazione deve intendersi riprodotta in questa sede, non essendo stati addotti argomenti che val� gano a rivedere l'accennato indirizzo. Alla stregua dei riassunti princ�pi, ia fattispecie de qua rientra nella competenza giurisdizionale del tribunale amministrativo regionale, ai sensi dell'art. 5, primo comma, della legge citata. Come risulta dall'impugnata sentenza, nella specie, l'assegnatario, senza pervenire previamente ad alcun accordo con l'Ente di sviluppo, ha ritenuto di recedere unilateralmente dal rapporto e quindi ha adito il collegio arbitrale, ai sensi dell'art. 19 del contratto per far valere, PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE sulla base dell'affermata cessazione del rapporto, il suo diritto alla indennit� per i miglioramenti. Ne consegue che la controversia che si agita tra le parti non attiene al mero profilo patrimoniale che riguarda � l'indennit� � prevista dall'art. 5, secondo comma, della legge, ma si estende al controllo circa l'esistenza dei presupposti che potevano indurre nel caso concreto ad una risoluzione del rapporto ad iniziativa dell'assegnatario ed all'interpretazione del complesso contratto successivo alla concessione; il che importa che sia applicabile la regola di cui al primo comma dell'art. 5 che devolve la controversia alla giurisdizione del T.A.R. La controversia medesima, pertanto, non pu� essere portata, con compromesso o clausola compromissoria, alla cognizione di arbitri, il cui intervento � consentito solo in via sostitutiva nell'ambito delle attribuzioni dell'autorit� giudiziaria ordinaria. L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento degli altri due motivi del ricorso, con cui si sostiene rispettivamente che: a) tutti i rapporti relativi all'assegnazione di terreni nel quadro della riforma fondiaria, senza poter distinguere tra assegnazione e contratto, riguardano diritti indisponibili; b) le limitazioni di compromettere in arbitri previste dall'art. 808, secondo comma, cod. proc. civ. cos� come modificato dall'art. 4 della legge 11 agosto 1973, n. 533, per le controversie di cui all'art. 409 cod. proc. civ., si applicano anche alla controversia in esame che rientrerebbe tra quelle previste dal n. 2 di quest'ultima norma, la quale prevede, accanto ai contratti agrari tipici, anche rapporti derivanti da altri contratti agrari, nei quali potrebbero essere compresi i rapporti derivanti dall'assegnazione di terre espropriate in attuazione della riforma fondiaria. In definitiva, in accoglimento del primo motivo del ricorso e dichiarati assorbiti gli altri due, l'impugnata sentenza deve essere cassata. Il che importa una nuova pronuncia sul lodo arbitrale, la quale deve essere emessa dal giudice funzionalmente competente. La causa, pertanto, va rinviata ad altra Corte di 'appello che nella definizione della controversia, si atterr� ai criteri innanzi enunciati e pronuncer� anche sulle spese del giudizio (art. 385 cod. proc. civ.). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6178 -Pres. Mirabelli -Rel. Albanese � P. M. Tamburrino -I.SV.E.I.MER. (avv. Guarino) c. Procuratore Generale della Corte dei Conti (vice avv. gen. Stato Azzariti). Giurisdizione civile � Regolamento -Procuratore generale della Corte dei conti � Avvocatura dello Stato -Rappresentanza in giudizio � ~ inammissibile. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Corte dei conti � Giurisdizione contabile . Ente pubblico economico e suoi dipendenti � Non sussiste � L'ISVEIMER � ente pubblico econo mico � Giurisdizione contabile da parte dell'A.G.O. Nel giudizio per regolamento di giurisdizione il procuratore generale della Corte dei conti � presente in persona del Procuratore Generale presso la Corte di cassazione. � pertanto inammissibile la costituzione in giudizio operata mediante controricorso dall'Avvocatura Generale dello Stato. (1) La Corte dei conti non ha giurisdizione contabile nei confronti degli enti pubblici economici e dei loro dipendenti, i quali sono soggetti in tale materia alla cognizione del giudice ordinario. L'ISVEIMER � ente pubblico economico, come tale sottratto alla giurisdizione della Corte dei Conti. (2) (omissis) Con atto notificato il 19 marzo 1979, il procuratore generale presso la Corte dei conti citava a comparire davanti :a quella Corte in sede giurisdizionale Alfonso Menna, chiedendone condanna al risarcimento dei danni causati all'Istituto per lo sviluppo economico dell'Ha� lia meridionale -ISVEIMER per avere indebitamente ordinato, nella qualit� di presidente dell'Istituto, il pagamento di taluni compensi al direttore generale dell'impresa di credito gestita. Il Menna resisteva all'azione, pregiudizialmente eccependo il difetto di giurisdizione della Corte dei conti. Con decisione non definitiva pubblicata il 5 gennaio 1980, la I Sezione giurisdizionale della Corte dei conti dichiarava la propria competenza (1) Cfr. al riguardo, quale unico precedente in termini, la sentenza delle Sezioni Unite n. 1282 del 2 marzo 1982, con cui la Cassazione -abbandonando l'orientamento tradizionale, ammesso dalla pronuncia del 30 novembre 1%6, secondo cui il procuratore generale presso la Corte dei conti � un � sostituto processuale� della P. A., come tale rappresentato in giudizio dall'Avvocatura dello Stato -ha invece osservato che tale organo promuove i giudizi in veste di pubblico ministero e pert:anto nel!'eserciiio di una funzione obiettiva e neutra.Je, indipendente dall'autorit� amministrativa, cui in particolare, per ciascun ramo di amministrazione, facciano capo di volta .in volta g!Ji interessi controversi. Ci� posto, il procuratore generale della Corte dei conti non abbisogna di una ulteriore rappresentanza nel giudizio per regolamento di giurisdizione, poich� in quella sede egli � presente attraverso l'organo requirente che partecipa alla udienza, .e cio� attraverso il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione. (2) L'esclusione della giuI'isdizione della Corte dei conti in materia di danni cagionati da amministratori, funzionari ed impiegati di enti pubblici economici � stata affermata dalle Sezioni Unite con la gi� menzionata sentenza n. 1282 del 2 marzo 1982, la quale, ritenendo che l'art. 103 della Costituzione non contiene una riserva di giurisdizione a favore della Corte dei conti in materia contabile, ha limitato tale giuI'isdizione solo alle pubbliche amministrazioni e agli ent:i pubblici istituzionali. Contra, Corte dei conti, sez. I, 2 dicembre 1981, n. 117. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE giurisdizionale in ordine all'azione proposta contro il Menna, e ordinava la sospensione del procedimento a norma dell'art. 3 del codice di procedura penale sino alla conclusione del giudizio penale promosso contro il Menna medesimo per gli stessi fatti sui quali era fondata l'azione di responsabilit�. Avendo operato volontario intervento nel procedimento in momento anteriore a quello di pubblicazione dell'anzidetta decisione non definitiva, l'ISVEIMER ha impugnato questa davanti alle Sezioni unite di questa Corte in confronto del procuratore generale della Corte dei conti e del Menna, chiedendo che sia dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in ordine all'accertamento e alla sanzione della responsabilit� di funzionari e dipendenti di un ente pubblico economico per atti inerenti all'attivit� imprenditoriale dell'ente stesso. In dichiarata rappresentanza del procuratore generale della Corte dei conti si � costituita, mediante controricorso, l'Avvocatura Generale dello Stato, resistendo all'impugnazione e pregiudizialmente contestandone l'ammissibilit�. Il Menna non si � costituito. Il ric:orso, contro decisione non definitiva della Corte dei conti non notificata con la quale � stata risolta soltanto una questione pregiudiziale, � stato, entro l'anno dalla data relativa pubblicazione, ritualmente e ammissibilmente proposto da soggetto che al giudizio nel quale la decisione stessa � stata, se pure non anche in suo confronto, pronunciata partecipa a seguito di operato intervento: tale ricorso. rileva con efficacia di istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, e alla proposizione di simile istanza � indiscriminatamente legittimata ciascuna delle parti formalmente in causa qualunque ne sia la posizione nel processo, o rispetto all'oggetto della lite (la cui verificazione, ad ogni effetto rilevante in termini di merito, � riservata al giudice che al riguardo ha competenza giurisdizionale). Inammissibile invece per rilevante nullit� deve dichiararsi (come gi� in analogo caso con la sentenza di queste Sezioni Unite n. 1282 del 2 marzo 19'82) la costituzione in giudizio mediante controricorso operata dall'Avvocatura Generale dello Stato in assunta rappresentanza del procuratore generale presso la Corte dei conti, nei cui (concorrenti) confronti il ricorso � stato proposto. Invero il procuratore generale presso la Corte dei conti non � l'esponente di una amministrazione statale o di un ente pubblico di cui, per le leggi che la regolano (testo unico approvato con r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611), l'Avvocatura dello Stato ha istituzionalmente o pu� assumere la rappresentanza e difesa in giudizio; n� l'azione per l'accertamento e la sanzione della cos� detta responsabilit� amministrativa di funzionario RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 884 di ente pubblico. economico che nella specie si assume esulare dalla competenza giurisdizionale della Corte dei conti � stata da quel Procuratore Generale proposta in rappresentanza o nel diretto interesse di un'amministrazione statale o dell'ente pubblico anzidetto, ovvero in via di propria o atipica relativa sostituzione processuale, per cui l'Avvocatura dello Stato possa o debba, in egual posizione, stare in sua vece in giudizio in sede ordinaria, per difetto di sua capacit� al riguardo. Il procuratore generale presso la Corte dei conti invece, tale Corte concorrendo a comporre, vi rappresenta il Pubblico Ministero (art. 1, r.d. 12 luglio 1934, n. 1214), e di questo ufficio unitario nel costituito ordinamento giurisdizionale (arg. ex art. 108, secondo comma, della Costituzione) ha ivi esercitata la istituzionale funzione di garante della legge e tutore dei diritti dello Stato (istituzione) per scopi e interessi che trascendono, assorbendoli, quelli per singoli rapporti riferibili a una delle diverse amministrazioni o ad uno degli enti pubblici mediante cui lo Stato opera (art. 73 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, modificata con legge 29 novembre 1956, n. 1441, sull'ordinamento giudiziario). Pertanto, poich� il Pubblico Ministero, per le azioni che � legittimato a proporre o rispetto alle quali � necessario o (per sua iniziativa) facoltativo contraddittore, sta in giudizio a mezzo dei suoi uffici e organi istituiti presso l'Ufficio al quale appartiene il giudice davanti al quale l'azione � portata (artt. 70 e seguenti dell'ordinamento giudiziario), quando l'azione promossa dal procuratore generale presso la Corte dei conti, o di cui esso sia parte, � per qualunque ragione discussa davanti alla Corte di cassazione, il relativo esercizio, attivo e passivo, rientra nelle attribuzioni del procuratore generale che presso la Corte di cassazione appunto rappresenta il Pubblico Ministero e per esso sta in giudizio. La rilevata nullit� e inammissibilit� della costituzione dell'Avvocatura Generale dello Stato, va peraltro osservato, esaurisce in se stessa i suoi effetti e non comporta altra conseguenza che l'inammissibilit� del presentato controricorso, perch� il rapporto processuale � stato bene istituito in confronto del legittimato procuratore generale presso la Corte dei conti, essendo stato ad esso personalmente e nel suo ufficio notificato il ricorso, e nel giudizio di cassazione esso essendo presente a mezzo del procuratore generale requirente in udienza. Ci� premesso, si osserva che con la decisione impugnata, sul presupposto del carattere generale, ed esclusivo, della competenza giurisdizio� nale per le materie di contabilit� pubblica attribuita alla Corte dei conti dall'art. 103, secondo comma, della Costituzione, � stato considerato che in tale materia rientra anche l'amministrazione e gestione degli enti pubblici anche diversi dallo Stato, e in particolare quella dell'Istituto per lo sviluppo economico dell'Italia meridionale -ISVEIMER ancorch� operante nei modi di impresa di diritto privato nel settore f� PARTE I, SEZ. Hl, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE del credito, concorrendo al riguardo gli elementi essenziali, e sufficienti, della personalit� di diritto pubblico e della qualificazione pubblica del denaro gestito con destinazione a interessi propri della collettivit�, in quanto rivolti a promuovere lo sviluppo economico del Mezzogiorno; e conseguentemente � stato affermato che rientra nell'anzidetta sfera di competenza giurisdizionale della Corte di conti il giudizio di responsabilit� promosso contro l'ex presidente dell'ISVEIMER in base ad addebito di avere causato danno patrimoniale a tale istituto mediante l'ordinazione del pagamento di determinati compensi al suo direttore generale. ~'ISVEIMER, con il proposto ricorso, nega anzitutto che possa ricondursi alla �nozione di contabilit� pubblica la propria attivit� di gestione, in qualit� di ente pubblico economico, di una impresa di credito operante secondo criteri e con strumenti di diritto privato, in condizioni di parit� con ogni altro imprenditore presente nello stesso settore economico, e mirante immediatamente al fine del perseguimento di lucro, e sqltanto in via mediata alla soddisfazione di interessi e bisogni di cui � portatore lo Stato, e sostiene doversi escludere che tale attivit� imprenditoriale, quand'anche in parte finanziata dalla Cassa per il Mezzogiorno, e per ci� dallo Stato, comporti gestione di beni o denari pubblici, sotto il profilo dell'appartenenza o della destinazione, e doversi invece riconoscere che essa, per il modo di esercizio e per le immediate finalit�, si realizza attraverso il maneggio di beni e denari di indole squisitamente privatistica, con conseguente diniego, per difetto dell'imprescindibile presupposto di carattere. oggettivo, dell'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti dei giudizi di responsabilit� per danni, arrecati dagli amministratori di simile impresa all'ente che ne � titolare, nell'esercizio delle loro funzioni. Tali deduzioni, in conformit� con le conclusioni del procuratore generale requirente in udienza, debbono per quanto di ragione accogliersi. In relazione rileva anzitutto che (per le ragioni medesime ampiamente esposte, al riguardo dell'analogo Istituto regionale per il finanziamento alle industrie in Sicilia -IRFIS, con la precedente sentenza di queste Sezioni unite, 2 marzo 1982, n. 1282), certamente l'ISVEIMER rientra nella diversificata categoria degli enti pubblici economici gestori di impresa, in quanto -se pure per gli speciali fini di interesse generaili per cui fu costituito (con r.d. 3 giugno 1938, n. 833) e poi definitivamente ordinato (con legge 11 aprile 1953, n. 298) -istituzionalmente opera in regime di concorrenza e in condizione di piena parit� (anche per ci� che attiene alla vigilanza e ai controlli, per cui � sottratto a interventi della Corte dei conti; art. 13, legge 21 marzo 1958, n. 259, e artt. 1 e 30 legge 20 marzo 1975, n. 70) con ogni altro soggetto attivo nel particolare settore economico, nel campo del credito mobiliare industriale a medio termine, mediante impresa gestita per il conseguimento di lucri, se pure destinati a particolari impieghi, organizzata, per tale RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO attivit� e per i rapporti con il personale addettovi (art. 1 legge 20 marzo 1975, n. 70) e con i terzi clienti, secondo criteri e moduli tipicamente privatistici (soggetta in via di principio alla comune disciplina di ogni impresa (artt. 2093 e 2201, e in relazione a quest'ultimo, art. 2195, secondo comma, del codice civile). Ci� posto, deve verificarsi se spetti alla Corte dei Conti giudicare delle responsabilit� per danni patrimoniali arrecati a un ente pubblico economico da atto o fatto connesso alla gestione della sua impresa posto in essere da funzionario o impiegato nell'impresa e per l'impresa operante, nell'esercizio della mansione al riguardo commessagli; deve ci� verificarsi, nel certo difetto di diverso titolo di attribuzione della particolare potest� giurisdizionale, se l'attivit� imprenditoriale dell'ente pubblico economico attenga alla materia della contabilit� pubblica per cui a norma dell'art. 103, secondo comma, della Costituzione -secondo consolidata interpretazione della Corte costituzionale e di queste Sezioni unite -la Corte dei conti ha giurisdizione generale, o tendenzialmente generale (ancorch� non riservata con carattere di esclusivit�). Invero, appunto nell'ambito della giurisdizione in materia di contabilit� pubblica rientrano i giudizi di responsabilit� contabile o amministrativa, ~econdo regola desumibile dalla legge sulla contabilit� generale e sull'amministrazione del patrimonio dello Stato (r.d. legisl. 18 novembre 1923, n. 2440) e delle leggi sulla Corte dei conti (t.u. 12 luglio 1934, n. 1214 e r.d. 13 agosto 1933, n. 1038). Nella decisione impugnata (con richiamo di precedenti pronunce di queste Sezioni unite) si fa riferimento agli elementi, rispettivamente soggettivo e oggettivo, del rapporto per il quale il problema si pone, costituiti dalla personalit� di diritto pubblico dell'ente che vi � coinvolto e dalla qualificazione pubblica del denaro (o bene che come oggetto o mezzo del danno viene in rilievo), la relativa ricorrenza assumendo a ragione e condizione della competenza giurisdizionale della Corte dei conti. Peraltro (come gi� rilevato nella pi� volte ricordata sentenza 2 marzo 1982, n. 1282, che costituisce l'unico specifico precedente sulla questione) il concorso degli anzidetti elementi, se pure imprescindibile, non � per s� solo sufficiente a fondare un giudizio. La nozione di contabilit� pubblica, cert�mente differenziata quand'anche legislativamente non definita, non pu� invero intendersi se non con riferimento al costituito sistema normativo pubblicistico che, per lo Stato e per altri enti pubblid minori, territoriali e non, tipicamente regola i modi di acquisizione, gestione, impiego e conservazione dei mezzi finanziari mediante i quali l'ente pubblico persegue e realizza i propri fini istituzionali, nonch� i controlli sui comportamenti e le atti PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE vit� al riguardo dovuti o concretamente posti in essere dai soggetti che quei mezzi, sotto i profili e per i fini indicati, amministrano. E appunto nell'ambito di tale complesso sistema storicamente sorge, e tuttavia � espressamente regolato, l'istituto della responsabilit� contabile o amministrativa di cui all'indagine, che da esso trae ragione e giustificazione della discriminata disciplina rispetto alla comune matrice della responsabilit� civile, per l'aspetto sostanziale e per gli aspetti formali; in particolare per l'assoggettamento alla speciale giurisdizione della Corte dei conti -certamente all'origine collegato e coordinato alla funzione tipica di controllo alla Corte propria, e tuttavia finalisticamente a tale funzione intuitivamente connesso, per considerazione della specifica qualificazione dell'organo di controllo in ordine al giudizio di valutazione della rispondenza, e dei limiti della non rispondenza, dei comportamenti e delle attivit� sottoposti al v:aglio giurisdizionale al modello normativo, nonch� in ordine all'apprezzamento dei relativi effetti dannosi. Oltre agli elementi anzidetti, della personalit� di diritto pubblico dell'ente interessato e della qualificazione pubblica del denaro o bene che viene in considerazione, pertanto, costituisce ulteriore indeclinabile presupposto della giurisdizione della Corte dei conti in ordine ai giudizi di responsabilit� l'esistenza di norme del sistema da cui nei sensi chiariti si deduce la nozione di contabilit� pubblica che prefigurino uno schema di comportamento, nell'esercizio della propria funzione, del soggetto sottoposto a giudizio. Ci� � certamente per lo Stato e per gli enti pubblici non economici -in ipotesi anche mediante la gestione di una pubblica impresa istituzionale -per la diretta immediata realizzazione degli istituzionali fini di interesse generale, con attivit� per ogni aspetto tipicamente e precisamente regolata, e rigidamente sottoposta a controllo; e invece non � per gli enti pubblici economici, al riguardo dell'attivit� imprenditoriale esercitata. Per le ragioni per cui se ne � ritenuta necessaria la costituzione a fini di indirizzo e regolazione dell'economia generale nel generale interesse della collettivit� nazionale, infatti, gli enti pubblici economici gestori di impresa intervengono e operano nei diversi settori del commercio per la produzione o lo scambio di beni o servizi in normale regime di parit� e concorrenza con ogni altro imprenditore privato, con eguale organizzazione di mezzi (personali ed economici) e con attivit� alla quale il parametro del sistema di contabilit� pubblica non si addice, ed anzi ripugna perch� �, e deve essere esplicata in eguali forme e mediante eguali strumenti giuridici, e, salve le incompatibilit� indotte dalla istituzionale natura, egualmente assoggettate alla comune disciplina dell'imprenditore e dell'impresa di diritto privato. E certamente il perseguimento di ricchezze attraverso la gestione dell'impresa RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (lo scopo di lucro), tipico dell'impresa privata, non contrasta con le finalit� proprie dell'ente pubblico economico: che anzi � coessenziale al prescelto tipo di sua organizzazione, per cui l'attivit� imprenditoriale � strumentale rispetto all'interesse generale avuto di mira, perch� l'oggettiva utilit� dell'impresa, o almeno la sua non passivit�, esprime l'adeguatezza dell'ente alle ragioni della sua costituzione e. ne garantisce e giustifica l'esistenza, non potendo in via di principio, per intuitive ragioni, una attivit� svolta per il vantaggio della collettivit� �risolversi in suo danno. L'attivit� imprenditoriale dell'ente pubblico economico, quindi, per le chiarite caratteristiche strutturali e funzionali, esula dalla materia della contabilit� pubblica, e non �, e non pu� ritenersi regolata dal menzionato sistema normativo a quella materia pertinente -cos� come � sottratta ai controlli nel suo ambito previsti e disciplinati (omissis). SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 gennaio 1983, n. 320 -Pres. Tambur rino -Rel. Lo Surdo -Amministrazione poste e telecomunicazioni (avv. Stato Stipo) c. Orlando (avv. D'Agostino). Lavoro -Infortuni -Diritto alla rendita -Dipendenti P.T. addetti agli uffici � Condizioni. I dipendenti dell'Amministrazione poste e telecomunicazioni �in servizio presso uffici amministrativi o contabili, sono coperti dall'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e possono pretendere la relativa rendita unicamente nel caso che esplichino, anche se in parte e in via transitoria, attivit� che sia ricompresa in quelle tutelate in connessione con un rischio specifico collegato col servizio da rapporto etiologico. (1) (omissis) Col primo motivo, deducendo violazione degli artt. l, 4 e 190 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124; 1 legge 21 dicembre 1955, n. 1350; 1 legge 6 dicembre 1971, n. 1034; 112, 115, 359 cod. proc. civ., la ricorrente Amministrazione si duole: 1) che la Corte d'appello non si sia pronunciata in punto di giurisdizione, nonostante esplicita richiesta proposta in appello; 2) che non abbia tenuto conto che l'art. 1 ultimo comma legge 1955, n. 1350 esclude dall'assicurazione obbligatoria il personale dell'Amministrazione delle poste e telecomunicazioni il quale, al momento dell'infortunio sul lavoro, esplichi funzioni amministrative e contabili; 3) che il t.u. 1965, n. 1124 all'art. 1 considera coperti dai benefici assicurativi sola( 1) L'art. 170 n. 2 d.P.R. 30 giugno 1965, n. <1124 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) estende la tutela assicurativa � anche �ai dipendenti dello Stato e delle Ailiende autonome dello Stato �. Ci� non significa per� che tutto il personale deve ritenel'si coperto dall'assicurazione infortunistica. E infatti � stato pi� volte affermato che per potersi prospettare l'indennizzabilit� dell'infortunio sul lavoro � necessario che l'evento si ricolleghi ad un rischio non estraneo all'esecuzione dell'attivit� lavorativa, vale ,a dire insito nella prestazione del lavoratore (rischio vero e proprio) e tale da creare per l'attivit� imposta un carattere di particolare pericolosit� (v. Cass., 4 ottobre 1974, n. 2583). E ancora � stato precisato che �l'espressione "occasione di lavoro" nella legislazione infortunistica, non deve essere intesa in senso lato s� da poter comprende11e in essa qualsiasi evento, che abbia un collegamento meramente marginale indiretto con l'attivit� del prestatore d'opera oppure un semplice RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 890 mente i soggetti che siano comunque occupati in opifici, laboratori ovvero in ambienti organizzati per lavori che comportino impiego di macchine, apparecchi e �impianti; 4) che l'Orlando esplicava mansioni puramente amministrative in qualit� di ufficiale postale dell'ufficio Galati-Mamertino, con esclusione di compiti esecutivi o manuali. Col secondo motivo di ricorso l'Amministrazione sostiene che, in ogni caso, l'attivit�, nel corso della quale avvennero i due incidenti, non si riconnetteva ad un rischio specifico, ma che l'evento dannoso era collegato col lavoro da un mero rapporto cronologico e topografico. Entrambi i mezzi tra loro connessi e complementari sono fondati, per quanto di ragione. Deve premettersi che non ha pregio la censura afferente alla omessa pronuncia sulla giurisdizione, dacch� la Corte messinese, affrontando il merito della causa, si � implicitamente pronunciata sulla propria potestas indicandi. Trattandosi poi di causa previdenziale � incontrovertibile la competenza giurisdizionale dell'A.G.O., configurandosi posizioni di diritto soggetitvo tutelabili (contr. Sez. Un., 1962 n. 2602; 1978 n. 5332; 1979 n. 5278). Detta competenza involge anche i dipendenti-impiegati delle Amministrazioni delle PP.TT. addetti a lavori esecutivi postali, in quanto la giurisdizione del giudice amministrativo � venuta meno sin dall'entrata in vigore della speciale normativa (r.d. 1938, n. 1275 e legge 1955, n. 1350), la quale ha esteso alla categoria in parola l'applicazione delle disposizioni di carattere processuale e sostanziale della legge sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ex r.d. 1935 n. 1765 (cfr. in termini Sez. Un. 1962 cit.), principio che, alla luce delle nuove norme sulle cause previdenziali dopo l'entrata in vigore della legge 1973 n. 533, � stato riaffermato da queste sezioni unite (confr. Cass., 1979, n. 5278). rapporto cronologico o topografico con il lavoro, occorrendo invece che �lavoro e sinistro siano collegati da un nesso di derivazione eziologica, nel senso che il rischio e l'evento dipendano da un atto intrinseco di lavoro o di un servizio connessi alle finalit� dell'impresa� (Cass., 7 settembre 1974, n. 2430). Se quindi � vero che i dipendenti statali hanno diritto alle prestazioni previdenziali di cui alla legge sugli .infortuni sul lavoro e che l'Amministrazione a tal fine assume la veste�di Istituto assicuratore (v. art. 127 t.u. cit.) con tutte le conseguenze relative, tra cui la giurisdizione del giudice del lavoro, tuttavia la tutela assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro a favore dei dipendenti dello Stato � subordin�ta alla ricorrenza delle condizioni subiettive e obiettive dal t.u. 30 giugno 1965, n. 1124. E, come la Cassazione ha puntualizzato (22 aprile 1974, n. 1132) sono soggette all'assicurazione infortunistica le persone che per ragioni di lavoro hanno l'occasione di frequentare locali dove agiscono macchine. In tale categoria non pu� essere compreso il personale di concetto e diret� tivo degli Uffici che non � addetto ad operazioni manuali. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 891 Peraltro, risultano solo in parte esatti i rilievi della difesa della ricorrente sui limiti generali della copertura assicurativa, come precisati dagli artt. 1 r.d. 1938 n. 1275 e 1 legge 1955 n. 1350, nel senso che dovrebbero essere compresi nell'assicurazione de qua unicamente gli impiegati addetti a lavori postali esecutivi o manuali, con esclusione del personale occupato negli uffici amministrativi e contabili. Ed � sul punto di questa esclusione intesa in senso cos� assoluto, che non pu� essere condivisa, alla luce della nuova disciplina (t.u. 1965, n. 1124), la tesi dell'Amministrazione. Il testo unico, in argomento, ha, infatti, ampliato l'ambito di operativit� dell'assicurazione alla categoria impiegatizia e ha regolato la materia ad essa inerente in un complesso organico e onnicomprensivo di norme (titolo I) disciplinando le attivit� protette (art. 1), le persone assi- curate (art. 4) e, nell'estendere l'assicurazione ai dipendenti dello Stato e delle aziende autonome (art. 190), ha disposto che deve trattarsi di attivit� � manuale esecutiva � anche se svolto � in parte e in via transitoria � da personale impiegatizio, neLcorso. del sei:yizfo, che esplichi lavoro retribuito ovverosia che, senza parteciparvi, nondimeno sovraintenda all'attivit� esecutiva di altri (art. 4 n. 2), derogandosi cos� al limite previsto dall'art. 1 ultimo comma legge 1955 n. 1350 escludente dai benefici gli impiegati postali addetti agli uffici amministrativi e contabili (limite anacronistico in relazione alla struttura degli uffici stessi c;love possono essere fastallati impianti o altro). In sostanza, dal coordinamento della normativa ex lege 1955 n. 1350 �con il cennato testo unico si ricava che gli impiegati delle Poste e Telecomunicazioni quando esplichino, anche se in parte e in via transitoria (art. 1 t.u.), attivit� esecutive ovvero ad esse sovraintendono, ancorch� siano in servizio presso uffici amministrativi o contabili, sono coperti dall'assicurazione e, nell'ipotesi di accertato infortunio sul lavoro, possono _pretendere la rendita relativa. Da quanto esposto deriva che l'indagine da svolgere dalla Corte del merito doveva essere indirizzata a stabilire in concreto il tipo di attivit� �espletata dall'ufficiale postale Orlando nell'esercizio delle sue mansioni, e ci� al fine di accertare, in relazione alle molteplici incombenze del suo ufficio, se essa attivit� fosse o meno ricompresa in quelle tutelate in connessione con un rischio specifico collegato col servizio da rapporto etiologico. Ebbene, come giustamente ha denunziato la difesa dell'Amministrazione, su tale punto decisivo della controversia il difetto di motivazione � di tutta evidenza perch� l'impugnata decisione ha, del tutto, trascurato l'accertamento, -sollecitato espressamente in appello -in ordine ai limiti della copertura assicurativa nella fattispecie concreta, limitandosi .sic et simpliciter a fare proprie le conclusioni della consulenza tecnica 892 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO d'ufficio e liquidand� all'Orlando la rendita da invalidit� permanente nel 14 % a carico dell'Amministrazione. Questa indagine pertanto dovr� essere svolta, compiutamente, dal giudice di rinvio in aderenza alle disposizioni sopra ricordate e ai criteri esegetici enunciati. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 giugno 1983, n. 3952 -Pres. Mazzacane - Rel. Gualtieri -P. M. Catalani-Armenante (avv. Di Majo) c. Ministero lavori pubblici (avv. Stato Santoro). Espropriazione per p.u. � Occupazione -Occupazione d'urgenza -Edilizia scolastica -Rapporti tra Ministero dei LL.PP. e Amministrazioni provinciali -Schema dell'affidamento in concessione. I programmi di edilizia scolastica previsti dalla legge 28 luglio 1967, n. 641, pur contemplando ampi interventi dello Stato, pongono tuttavia in primo piano la posizione delle Province, dei Comuni, .e degli altri enti interessati. Pertanto .il rapporto tra il Ministero dei LL.PP. e i suddetti enti territoriali va sussunto sotto lo schema dell'affidamento improprio, assimilabile alla delegazione amministrativa intersoggettiva. (1) Ove il privato deduca l'illegittimit� di un provvedimento di occupazione temporanea d'urgenza, l'identificazione del legittimato passivo va effettuata con riferimento al soggetto che abbia posto in essere il fatto causativo del danno e, cio�, concretamente attuato l'occupazione stessa, e non gi� con rif eri.mento al soggetto che abbia chiesto ed ottenuto il decreto autorizzativo dell'occupazione. (2) , (omissis) Con unico motivo, denunziando violazione degli artt. 1362, 2043, 2727 cod. civ.; 20 legge 20 ottobre 1971, n. 863; 1131, 115, 113, e 116 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 stesso codice, i ricorrenti deducono che la Corte del merito, affermando che l'effettiva occupante delle aree di propriet� degli stessi era stata la provincia di Salerno, donde il difetto di legittimazione passiva dell'Amministrazione dei LL.PP., ha inesattamente a falsamente applicato le norme e i princ�pi concernenti l'interpretazione degli atti amministrativi in materia di edilizia scolastica, (1) Sulla prima massima, cfr. esattamente in termini, Cass., 22 maggio 1980, n. 3364, in Rep. Foro Italiano, 1980, voce Sicilia, n. 32. {2) Sulla seconda massima cfr. (tra le sentenze citate in motivazione), Cass., 23 febbraio ,1979, n. 1206, in Rep. Foro Italiano, 11979, voce Espropriazioni per pubblico interesse, n. 154; Cass., 4 luglio 1979, n. 3780, ivi, 1980, n. 161; Cass., 15 dicembre 1980, n. 6494, ivi, n. 325. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE le presunzioni e la responsabilit� aquiliana, e posto a fondamento della decisione atti e circostanze estranei, irrilevanti e inesistenti. La Corte del merito, secondo i ricorrenti, ha richiamato il decreto 20 �febbraio 1971, n. 971, di approvazione del progetto esecutivo e di affidamento in concessione alla Provincia di Salerno della esecuzione dell'opera scolastica, i verbali di presa di possesso del 3 marzo 1972, il verbale 15 marzo 1972 di consegna dei lavori dalla provincia all'appaltato� re e il decreto di espropriazione del 30 novembre 1978, n. 1420. Sostengono, invece, i ricorrenti, diversamente da quanto hanno ritenuto i giudici di appello, che questi avrebbero dovut� rilevare: che l'occupazione dell'area fu attuata in esecuzione del decreto del prefetto di Salerno; che la partecipazione ai verbali di occupazione da parte di un funzionario della provincia non poteva indurre a ritenere che l'occupazione fosse stata attuata dall'Amministrazione provinciale, e che il funzionario del Genio civile vi fosse intervenuto per dare l'assenso all'immissione in possesso della provincia. Inoltre, il procedimento di occupazione era autonomo e indipendente da tutti gli altri, posti in essere per la realizzazione dell'opera pubblica (prospettazione, affidamento in concessione, espropriazione), aveva natura formale ed era destinato ad incidere sulle posizioni soggettive dei ricorrenti. Infine, nessuna rilevanza, ai fini dell'occupazione, potevasi attribuire al decreto 20 febbraio 1971 di approvazione del progetto ed affidamento in concessione alla provincia dell'esecuzione dell'opera, essendosi in presenza di un atto estraneo e non collegato al procedimento di occupazione, promosso successivamente in nome proprio dall'Amministrazione statale, la quale aveva agito autonomamente, trattandosi di opera pubblica a suo totale carico. Anche il verbale 15 marzo 1972, con cui l'Amministrazione provin� ciale aveva consegnato i lavori all'appaltatore era estraneo, secondo i ricorrenti, al procedimento di occupazione. La complessa censura � priva di fondamento. Devesi, anzitutto, rilevare che l'opera pubblica in questione � stata eseguita nel quadro dei programmi di edilizia scolastica previsti dalla legge 28 luglio 1967, n. 641, i quali, pur contemplando ampi interventi dello Stato, pongono, tuttavia, in primo piano la posizione delle province, dei comuni e degli altri enti interessati (i quali sono tenuti a fornire le aree per le costruzioni), che, altrimenti, sono acquistati dallo Stato, con diritto al rimborso della relativa spesa e inoltre possono ottenere I'� affidamento � in concessione delle opere (art. 16, primo comma, della legge in esame), le quali passano, comunque, in loro propriet� (art. 24, terzo comma). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La Corte del merito, premesso quanto sopra, ha rilevato che, risulta dall'esibita documentazione: a) a seguito di due delibere del Consiglio provinciale di Salerno, il Provveditorato alle opere pubbliche per la Campania approv� il progetto esecutivo redatto dalla provincia e affid� a questa in concessione l'opera; b) con decreto 12 gennaio 1972 il prefetto di Salerno autorizz� l'occupazione d'urgenza dei fondi in oggetto a favore del Genio civile; e) il 3 marzo 1972 furono redatti i verbali di presa di possesso dei fondi, cui furono presenti un funzionario della provincia di Salerno e uno del Genio civile; d) il 15 marzo successivo l'Amministrazione provinciale consegn� i lavori all'impresa appaltatrice; e) con decreto in data 30 novembre 1978, il prefetto di Salerno pronunci� l'espropriazione del terreno a favore della provincia di Salerno. In particolare, la Corte del merito ha concluso che risultava in modo indubbio che l'occupazione di urgenza, anche se autorizzata su istanza del Genio civile e a favore del medesimo, fu, in realt�, attuata dall'Amministrazione provinciale, la quale aveva avuto in affidamento la concessione dell'opera; aveva preso' possesso dei fondi e li aveva consegnati all'impresa appaltatrice per l'esecuzione dei lavori. Orbene, la Corte del merito, dovendo decidere quale fosse il soggetto passivamente legittimato in relazione alla domanda di risarcimento dei danni derivanti dall'occupazione illegittima ultrabiennale, ha correttamente ritenuto, con giudizio di fatto insindicabile in questa sede, per avere a supporto una motivazione adeguata ed esente da vizi logici e da errori giuridici, che il rapporto intervenuto fra il Ministero dei LL.PP. e la provincia di Salerno doveva sussumersi sotto lo schema paradigmatico dell'affidamento in concessione dell'opera, avendo detto Ministero attribuito alla Provincia ogni potere relativo all'esecuzione della stessa. Va, peraltro, precisato che trattasi di affidamento improprio, in quanto il Ministero dei LL.PP. ha attribuito alla provincia ogni potere relativo all'esecuzione dell'opera per cui tale affidamento � assimilato alla delegazione amministrativa intersoggettiva (cfr. sent. 22 maggio 1980, n. 3364). In definitiva, i giudici d'appello hanno applicato il principio, affermato da questa Corte, secondo cui, qualora il proprietario di un fondo agisca per il ristoro del danno derivantegli dall'esecuzione di un provvedimento di occupazione temporanea d'urgenza, deducendo l'illegittimit� di tale esecuzione, per difetto di valido titolo, l'identificazione del legittimato passivo va effettuata, non gi� con riferimento al soggetto che abbia chiesto ed ottenuto il decreto autorizzativo dell'occupazione, ma a quello che abbia posto in essere il fatto causativo del danno e, cio�, concretamente attuato l'occupazione stessa (cfr. le sent. di questa Corte 15 dicembre 1980, n. 6494; 4 luglio 1979 n. 3780; 23 febbraio 1979, n. 1206; 26 aprile 1977, n. 1577; 7 agosto 1972, n. 2640). (omissis). !:: 1:~ 1~~ :-: I rn PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 895 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 2 luglio 1983, n. 4452 -Pres. Bonelli -Rel. Ragone -P. M. Iannelli -Ministero del tesoro -Ufficio liquidazione ex INAM (avv. Stato Fiengo) c. Panisi Osanna (avv. Agostini). Lavoro -Braccianti agricoli -Indennit� di maternit� � Requisiti -Instaura� zione di un valido rapporto assicurativo -Maturazione delle 51 giornate lavorative -Necessit�. Il diritto all'indennit� di maternit� in favore delle braccianti agricole sorge sulla base dello stato di gravidanza e della qualit� di lavoratrice agricola desunta dagli elenchi anagrafici in base al compimento di un minimo di 51 giornate lavorative: quest'ultimo requisito rappresenta il fondamento di tale particolare tipo di assicurazione. (1) (1) Cfr. Cass., 12 settembre 1981, n. 5083, Giust. civ., 1981, I, 2853 ss. con nota di ampi richiami, nonch� Cons. Stato, 28 aprile 197�8, n. 479, in Riv. lt. Prev. Soc., 11979, 496 con nota di GIORGI, Sul diritto all'assistenza di malattia per i lavoratori agricoli subordinati. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 novembre 1983, n. 6628 � Pres. Mazzacane -Rel. Lipari � P. M. Martinelli (conci. parz. diff.) -Regione Abruzzo (avv. Stato Fiorilli) c. Candeloro Francesco (avv. Rinaldi). Caccia � Esercizio in luogo vietato -Verbale di contravvenzione � Pubblica fede � Limiti. Caccia � Esercizio in luogo vietato � Sequestro dell'arma -Efficacia del � provvedimento � Durata. � (cod. civ .. art. 2700; artt. 28, 32 e 33 legge 27 dicembre 1977, n. 968). Il verbale elevato dagli agenti forestali nel quale trovasi attestato un determinato fatto costituente esercizio di caccia in luogo precluso in quanto bandita demaniale fa fede sino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 cod. civ., anche per quanto attiene alla localizzazione della contestata infrazione all'interno della zana preclusa; non nel senso che occorra la querela di falso per dimostrare che la localit� non si trova all'interno della bandita, bens� nel senso che, solo previa proposizione della querela di falso, pu� provarsi che detta localit� sia diversa da quella attestata nel verbale. (1) (1) Sulla efficacia probatoria privilegiata dell'atto pubblico in generale, cfr. Cass., 24 aprile ,1979, n. 2334; Cass., 18 maggio 1979, n. 2857; Cass., 5 novembre 1979, n. 5712; Cass., 14 luglio 1981, n. 4608, citate in motivazione; in particolare per quanto attiene ai rapporti e ai verbali della polizia giudiziaria cfr. Cass., 17 maggio 1982, n. 3057, anch'essa citata in motivazione. 896 RASSEGNA DELL'AVVOCATU'M DELLO STATO Il sequestro dell'arma al cacciatore, disposto ai sensi dell'art. 28 della legge 27 dicembre 1977, n. 968, non perde la sua efficacia a seguito della proposizione dell'opposizione da parte del contravventore, ma la conserva finch� non passa in giudicato la pronuncia che accerti l'illegittimit� della sanzione amministrativa ovvero fino alla completa estinzione della relativa obbligazione e di quella per spese giudiziali ed accessori. (2) (omissis) 1. -Si discute in causa della legittimit� dell'ordinanza ingiunzione riguardante la infrazione della normativa sulla caccia esercitata all'interno di una riserva, secondo la esplicita e tassativa attestazione delle guardie forestali che hanno effettuato la contestazione; nonch� della rispondenza a legge del provvedimento di dissequestro dell'arma del cacciatore emesso dal pretore. Dalla sentenza del pretore, redatta con stile involuto ed oscuro, si ricava, come si � cercato di mettere in evidenza nella narrazione che precede, che quel giudice si form� H convincimento che non rispondesse al vero la circostanza che il ricorrente avesse esercitato attivit� venatoria nella zona indicata nel verbale di accertamento, essendosi, invece; trovato al di fuori della bandita di caccia; e ci� alla stregua della planimetria catastale e dell'escussione di due testi, senza peraltro far cenno nella motivazione al contenuto delle relative testimonianze (per cui si ignora in qual modo costoro abbiano potuto osservare sotto giuramento che il cacciatore era stato sorpreso all'esterno e non all'interno della bandita). Osserva il pretore che non era stato esibito il provvedimento istitutivo della bandita (senza, peraltro, trarne illazioni circa l'estensione della bandita stessa); che le mappe non erano state contestate dall'ispettorato; e che le tabelle indicative del divieto di caccia erano state apposte nella zona in modo � frammentario � e quindi non regolarmente. Rispetto all'infrazione di caccia in zona di divieto sorgono essenzial mente tre problemi: quello della individuazione della zona cui il divieto si riferisce; l'altro della localizzazione all'interno o all'esterno della han- dita, del punto in cui il cacciatore � stato sorpreso; ed, infine, quello rela tivo alla conoscibilit�, da parte del cacciatore medesimo, della circo stanza di essersi inoltrato in zona vietata. Mentre d� luogo ad una questione di diritto lo stabilire se, rispetto ad una data zona (topograficamente individuata con sicurezza), sussista (2) Non constano precedenti specifici del S.C.; la decisione appare meritevole di segnalazione sia per la sua novit� nel tema delle misure cautelari nel campo delle sanzioni amministrative sia per l'esatta puntualizzazione dei rapporti intercorrenti tra la normativa speciale sulla caccia (legge 27 dicembre 1977, n. 968) e la successiva legge generale di depenalizzazione (nonch� di c.d. miniriforma penale) 24 novembre 1981, n. 689. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE un valido divieto di caccia; costituisce mera questione di fatto la localizzazione del punto nel quale venga esercitata la caccia in zona preclusa giuridicamente ad attivit� venatoria. Nel caso di specie la linea di attacco al verbale di contestazione dell'infrazione � stata duplice, anche se � mancata la chiara sottolineatura in sentenza della � incompatibilit�� dei due profili, e quindi della loro necessaria subordinazione. Si � sostenuto, innanzitutto, che, contrariamente alla attestazione contenuta nel verbale di contestazione dell'illecito amministrativo, il cacciatore venne sorpreso non all'interno della bandita, ma all'esterno (posizione questa che presuppone il riconoscimento della bandita, come zona giuridicamente preclusa all'attivit� venatoria; la sua localizzazione entro non controversi confini; la precisa identificazione del luogo in cui le guardie forestali incontrarono i cacciatori). Si assume, peraltro, ulteriormente che, stante la inesistenza alla approvata tabellazione, i cacciatori non si avvidero di avere attraversato il confine della riserva, all'interno della quale si trovavano quando vennero sorpresi senza che la circostanza potesse essere loro addebitata perch� la mancanza di recinzione o di tabelle opportunamente collocate, imped� loro di accorgersi che si stavano inoltrando nella riserva. Il Pretore, di fronte ad un verbale in cui dei pubblici ufficiali avevano attestato di avere incontrato i contravventori all'� interno� della riserva, non si � nemmeno posto il problema della forza probatoria (assistita da fede privilegiata) di tale attestazione; ed ha ritenuto che fosse consentito liberamente revocarla in dubbio, con qualsiasi mezzo di prova. Da ci� la formulazione dei primi due mezzi del ricorso con cui esattamente si addebita all'impugnata sentenza di avere disatteso il contenuto del verbale delle guardie forestali ed i fatti che costoro hanno attestato essere avvenuti in loro presenza (esercizio di caccia in territorio precluso in quanto bandita demaniale), nonostante non fosse stata presentata la querela di falso, strumento inprescindibile per contestare le risultanze del verbale medesimo, riferite a fatti direttamente contestati dai verbalizzanti quali pubblici ufficiali. 2. -Il fulcro della causa sta tutto qui, nello stabilire se la pubblica fede, rimuovibile esclusivamente con la querela di falso, che pacificamente nel caso di specie non � stata presentata, copra o meno la localizzazione della contestata infrazione. Sembra al Collegio che la risposta si imponga de plano, giovando richiamare le alternative che si sono in precedenza ricordate. Se il verbale localizza, contro il vero, nell'assunto dei contravvent9ri, la loro posizione in un punto che si assume rientrare nell'ambito della riserva di caccia, costoro sono perfettamente liberi di dimostrare, con qualunque mezzo di prova, che la localit� non si trovava all'interno della bandita: ma non possono provare, se non previa proposizione della 898 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO querela di falso, che detta localit� fosse �diversa� da quella attestata nel verbale. Al riguardo soccorrono principi giuridici assolutamente pacifici. L'efficacia probatoria privilegiata dell'atto pubblico, a norma dell'art. 2700 cod. civ., concerne la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato, ed i fatti che questi attesta essere avvenuti in sua presenza, o da lui compiuti (Cass., 4608/81; 2334/79; 2857/79). Tale efficacia, investe, cio�, tutti gli elementi considerati � estrinseci �, mentre il giudizio eventualmente espresso con riguardo a tali fatti non resta coperto dalla fede privilegiata (Cass., 5712/79). In particolare il verbale di accertamento di una infrazione depenalizzata redatto da un vigile urbano � stato riconosciuto assistito dalla pubblica fede, propria dell'atto pubblico, fino a querela di falso, oltre che per la provenienza del pubblico ufficiale che l'ha redatto, anche per quanto concerne le dichiarazioni delle parti, o i fatti materiali che il verbalizzante attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui personalmente compiuti. Si � pertanto ritenuto che, in difetto di querela, non pos. sa essere revocato in dubbio il fatto, attestato nel verbale, che un'automobile ha attraversato l'incrocio nonostante il semaforo rosso (Cass., 641/79). Precedente significativo questo per impostare il ragionamento giuridico che ruoti sulla � consistenza probatoria di una attestazione dei verbalizzanti che danno atto di avere �sorpreso� i cacciatori in un dato luogo, e, �ritenendo la localit� inclusa nella bandita, ne traggono le doverose illazioni per affermare che sia stato commesso l'illecito. La parte, cui � stata contestata l'infrazione nel presupposto fattuale di una data � localizzazione � del comportamento tenuto, in sede di opposizione non pu� contestare la realt� del fatto addebitato, verificatosi in presenza del pubblico ufficiale che ne ha dato atto nel verbale di contestazione, se non attraverso la proposizione della indispensabile querela (cfr. Cass., 2226/82). I verbalizzanti hanno attestato di avere incontrato il cacciatore in un certo luogo; e questa attestazione, in difetto di querela di falso, non � superabile mediante il ricorso agli ordinari strumenti probatori sotto il segno della � comune � prova contraria. La Regione non si � � trincerata sull'attendibilit� del processo verbale di infrazione� (cos� testualmente l'impugnata sentenza), ma ha fatto leva, secondum legem, sulla fede privilegiata che accompagnava la � ubicazione � dei cacciatori al momento della contestazione dell'infrazione all'interno della riserva, non essendo stato revocato in dubbio che la localit� indicata dai verbalizzanti rientrasse nel perimetro della bandita di caccia. Di fronte a tale attestazione, ed in mancanza di querela di falso, non poteva negarsi che l'incontro fra guardie forestali e cacciatori fosse ~j PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE avvenuto nel luogo indicato e la �prova�, al di fuori della proposizione della querela, avrebbe potuto riguardare solo la inclusione di quel � punto � geograficamente localizzato, entro la bandita. Il pretore ha concluso nel senso che l'esercizio venatorio non interess� la �presunta� riserva posta nella localit� Val di Terra, puntualmente contraddicendo il contenuto del verbale della contravvenzione che contestava invece, all'odierno ricorrente proprio la circostanza di avere esercitato attivit� venatoria nella localit� �Val di Terra�, in agro del comune di Palana, nella propriet� dell'ASFD, bandita di caccia sotto ogni forma�. La violazione di principi sulla fede privilegiata dell'atto pubblico, non potrebbe essere pi� palese, essendo fuori discussione che il verbale di contestazione della infrazione depenalizzata costituisca atto pubblico, svolgendo gli agenti forestali funzioni di polizia giudiziaria. � appena il caso di ricordare che tali funzioni vennero riconosciute dalla giurisprudenza di questa Corte addirittura ai guardiacaccia dipendenti dai comitati provinciali della caccia (cfr. Cass., 1906/63). La giurisprudenza di questa S. C. � assolutamente unamine nel riconoscere che i verbali della polizia giudiziaria fanno piena fede per quanto concerne i fatti materiali che, il pubblico ufficiale afferma di avere personalmente compiuti o personalmente contestati, mentre, per ci� che concerne tutte le altre circostanze, detti verbali offrono al giudice elementi indiziari, la cui attendibilit� pu� essere distrutta da prova contraria (Cass., 2503/66; 2220/67; 2596/69; 2922/73; 1564/59; 3057/82). E nel caso di specie viene tipicamente in rilievo l'attestazione di fatti direttamente constatati dai verbalizzanti, e quindi coperti da fede privilegiata. 3. -Il resistente ha avvertito la decisivit� della censura attinente alla mancata proposizione della querela di falso; ed obietta che nel caso di specie i verbalizzanti fanno delle � valutazioni � che come tali si sottraggono alla sfera di efficacia privilegiata. Trattasi di difesa assolutamente non pertinente, essendosi posto in evidenza nel precedente paragrafo che la identificazione del luogo in cui viene esercitata la caccia non comporta una valutazione, ma una puntuale constatazione di fatto, attenendo al piano giuridico valutativo solo l'illazione che in quel luogo fosse �vietato� cacciare. L'accoglimento del primo mezzo determina de plano l'assorbimento del secondo. 4. -Resta_ da dire dell'ultimo motivo, il quale investe una statuizione del pretore di Lama dei Peligni che, pur muovendo concessivamente dagli stessi presupposti esegetici accolti, travolge principi istituzionali sulla funzione delle azioni cautelari e sul loro correlarsi all'azione esecutiva. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 900 Riesce assai difficile cogliere la linea logica secondo cui si svolge il ragionamento del Pretore. Egli assume che intanto il sequestro dell'arma troverebbe giustificazione in quanto il cacciatore, cui viene contestata la infrazione delle norme sulla caccia, si acquieti alla sanzione e riconosca di dover pagare la somma di cui all'ingiunzione potendo ottenere la riconsegna dell'oggetto sequestrato a seguito del relativo pagamento. Ci� evidenzierebbe una funzione di garanzia di quel pagamento che non ha pi� ragione di essere se il contravventore si opponga alla ordinanza ingiunzione, poich� in questo modo � si verifica una inversione obbligatoria, di carattere prettamente civilistico; si instauva, cio�, un processo destinato a sfociare in una sentenza che se sfavorevole al contravventore costituisce titolo esecutivo per l'amministrazione ingiungente la quale, per la soddisfazione delle sue ragioni, si potr� avvalere dei normali strumenti apprestati dal processo esecutivo �. Orbene, poich� la ordinanza-ingiunzione non opposta costituisce essa stessa un titolo esecutivo, suscettibile di innestare l'esecuzione forzata, non si vede affatto perch� il sequestro debba venir meno nel momento in cui il contravventore, opponendosi, dimostra a chiare lettere di non voler soddisfare la propria obbligazione. Esattamente la difesa del ricorrente osserva che la natura di garanzia attribuita dalla legge, e dalla stessa interpretazione del pretore, al sequestro, onde assicurare il pagamento della somma dovuta, verrebbe completamente snaturata ove si potesse (o peggio, si dovesse) restituire l'arma stessa solo perch� � stata proposta opposizione. E soggiunge che all'istituto del sequestro, nella ipotesi discussa, non possono non essere applicate le norme di cui al secondo comma dell'art. 683 cod. proc. civ. (in base al quale esso perde la sua efficacia solo con il passaggio in giudicato della stessa sentenza che dichiara inesistente il diritto cui si riferisce la cautela) ed all'art. 684 cod. proc. civ. (in base al quale il giudice istruttore dispone la revoca del sequestro solo dietro prestazione di idonea garanzia: il che non � avvenuto nel caso di specie). 5. -All'esame del merito del motivo si deve, tuttavia, premettere la confutazione di ragioni preclusive di ordine processuale, dedotte rispettivamente dalla parte resistente e dal P. G. 1:. agevole sbarazzarsi del rilievo del contravventore il quale assume che poich� l'arma � stata �spontaneamente� restituita, ogni contesa in ordine al profilo della legittimit� del disposto dissequestro sarebbe cessata. Trattasi, palesemente, di una petizione di principio basata su di una inesatta rilevazione del dato fattuale, dal momento che la restituzione non fu affatto �spontanea�, ma dipese dal provvedimento di dissequestro, suscettibile di essere censurato in quanto adottato senza rispettare le norme di legge. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Pi� delicato �, invece, il problema sollevato dal procuratore generale il quale ha sostenuto che il relativo provvedimento avrebbe dovuto essere attaccato in via autonoma, richiamando le disposizioni all'uopo dettate, dalla legge n. 689 del 1981 (mentre nulla all'uopo disponeva la legge n. 706 del 1975, che costituisce la matrice processuale di applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla legge sulla caccia n. 968 del 1977). Gi� in prima approssimazione, a parte l'ovvio rilievo che la legge del 1981 non viene direttamente in considerazione, come riconosce lo stesso requirente, che la invoca solo per trarne orientamenti di carattere generale, la circostanza che il pretore abbia ritenuto di dover ratificare e rendere pi� esplicite le ragioni giuridiche che, a suo avviso, imponevano il dissequestrn, rende giustificabile l'attacco mosso contro la sentenza, per averlo riconosciuto legittimo, ,indipendentemente dal verificarsi degli eventi cui si correlava la cautela, senza rispettare le linee generali che all'uopo emergono dal codice processuale civile, quale modello coerente alla struttura civilistica della opposizione (laddove il legislatore del 1981 ha ritenuto di richiamarsi al sequestro penalistico). D'altra parte la stessa disciplina processuale penalistica, in aderenza alle finalit� garantistiche proprie del provvedimento cautelare, con salvezza della definitiva confisca, dispone che il sequestro � mantenuto a garanzia di crediti indicati nell'art. 189 del codice penale e quindi, fra l'altro, anche a garanzia delle pene pecuniarie e di ogni altra somma dovuta all'erario. Nel caso di specie, sino al momento in cui non viene definitivamente esclusa la legittimit� dell'ordinanza-ingiunzione (e quindi nonostante l'accoglimento della opposizione, suscettibile di impugnazione con ricorso per cassazione) la cautela resta in vita �finch� non venga dichiarato inesistente il diritto a tutela del quale � stato concesso�, vale a dire l'obbligazione da sanzione amministrativa, pretesa in conseguenza dell'illecito. Ai sensi dell'art. 32 della legge 27 dicembre 1977, n. 968, alle infrazioni previste dalla medesima legge sulla caccia dal precedente art. 31 si applicano le disposizioni della legge 24 dicembre 1975, n. 706, la quale nulla dispone in ordine al � sequestro �, n� specificamente si occupa di coordinare l'operata depenalizzazione con la sanzione accessoria della confisca, talora prevista dalle norme penali considerate. L'art. 28 della cit. legge n. 968, al comma secondo, con riferimento alle ipotesi di infrazione contemplate alle lettere a), b), e), d), e), f) dell'art. 31, che contiene l'indicazione delle sanzioni (e quindi con riguardo anche alla ipotesi contestata al ricorrente ai sensi della lett. d) per avere esercitato attivit� venatoria in zona di divieto) prescrive il sequestro delle �armi� e dei mezzi di caccia. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO La norma dell'ultimo comma dell'art. 33 della medesima legge n. 968, su cui il vice pretore di Lama dei Peligni ha fatto leva per giustificare il dissequestro, ha un suo ben preciso ambito applicativo, quale coerente corollario del procedimento di oblazione. Se si verifica detta oblazione, la quale comporta il pagamento, sia pure in misura ridotta e pi� favorevole, della sanzione, e quindi, l'estinzione della relativa obbligazione a carico del contravventore, la funzione cautelare del sequestro resta priva di causa; ed il legislatore ritiene che non vi sia ragione di procedere alla �confisca� definitiva dell'arma, salva l'ipotesi di revoca o sospensione della licenza di caccia, costituente il presupposto di legittima detenzione dell'arma di caccia medesima; e quindi ben si comprende che l'arma sia restituita al legittimo proprietario � previa dimostrazione della estinzione delle sanzioni amministrative �, statuizione questa addirittura0 superflua giacch� l'oblazione, come si � a,ppena ricordato, si realizza con la solutio. Il pretore, quindi, nel sottolineare la funzio?'e garantistica del sequestro dice cosa ovvia, operando sicuramente anche rispetto al sequestro amministrativo le finalit� conservative delle garanzie patrimoniali che ineriscono, tanto al sequestro civilistico che a quello penalistico; e non occorreva al riguardo invocare .na norma sui generis la cui giustificazione riposa nell'essere venuta meno, a seguito della oblazione, l'obbligazione di pagamento, e quindi la necessit� di garantirla. La correlazione fra art. 28 ed art. 33 della legge n. 968 del 1977, a tutto concedere, quindi, depone in senso contrario alla tesi del Pretore, poich� ne emerge che solo a seguito del pagamento della sanzione amministrativa pu� procedersi al dissequestro, dovendo il sequestro restare fermo finch� pende il giudizio sulla legittimit� della pretesa della autorit� amministrativa � alla sanzione. Dissequestrare quando ancora si ignora se dovr� restare ferma la pretesa, e diventare concretamente operante la garanzia, significa, pertanto, pregiudicare le ragioni dell'autorit� ingiungente, che ha ragione di dolersi di quanto disposto contra legem. Il discorso sui mezzi di tutela contro il sequestro amministrativo sarebbe delicato e complesso. In questa sede, tuttavia, nel limitato riscontro della tesi del P. G., � sufficiente rilevare che cert�mente non pu� trasferirsi de plano la disciplina dettata dalla legge n. 689 al caso di specie che non � retto da tale legge, e che, esclusa l'applicabilit� diretta delle relative norme (cui, peraltro, non potrebbe procedersi che a seguito della risoluzione di problemi non facili), non vi sono agganci normativi per negare all'amministrazione l'attacco alla sentenza che decide sull'opposizione alla ingiunzione anche per quanto attiene al provvedimento di �dissequestro� (e non di �sequestro�). '.( 1::: ! n '' 1!! ::. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Sicuro punto di partenza per giustificare l'impugnabilit� del capo di sentenza che ratifica il dissequestro (ed escludere che il relativo provvedimento potesse (o addirittura dovesse) essere impugnato ex se, � la constatazione che la legge del 1981 non �, n� direttamente n� indirettamente applicabile, e che n� quella del 1975, n� quella n. 317 del 1967 contengono una disciplina ad hoc. Al P. G. � sfuggito -invero -che lo strumento di cui all'art. 19 in correlazione con l'art. 13 della legge n. 689, attiene al �sequestro�, e non al � dissequestro �, e prevedeva una fase di chiara impronta amministrativa �sui generis� che le parti interessate non si sarebbero potute certo � inventare �, con spirito profetico, per farne applicazione, prima ancora che il legislatore la introducesse con tutta la sua carica (problematica) peculiarit� nell'ordinamento. Appare, pertanto, determinante al Collegio per disattendere la tesi della impugnabilit� ex se dell'ordinanza di dissequestro la sottolineatura che �sequestro� e �dissequestro�, per quanto riguarda il regime giuridico e la garanzia di tutela, non sono due facce della medesima realt�, dovendosi porre l'accento sul procedimento cautelare che crea il vincolo sulle cose e le sottrae al detentore; e la cui eventualmente riconosciuta illegittimit�, �comporta il venir meno del vincolo come effetto � definitivo � della contestazione sulla legittimit� di quel sequestro. Se per � analogia anticipatoria � si volesse trasferire la disciplina ex lege 689 (artt. 13 e 19) alle vicende anteriori alla sua data in vigore (il che decisamente si nega poich� la incidenza del sequestro su posizioni giuridiche del cittadino dovrebbe comportare, se mai, il ricorso agli strumenti generali di diritto processuale a proposito della tutela dei diritti e degli interessi), il punctum saliens a venire in considerazione sarebbe il disposto � sequestro � contro il quale avrebbe dovuto reagire l'interessato (sia con gli strumenti ordinari, sia, a seguire il P. G., con quelli specifi camente dettati in tema di depenalizzazione). Ma ci� non essendo avvenuto, la vicenda del sequestro, anche se in ipotesi suscettibile di venire in considerazione autonomamente in s� e per s�, resta conglobata nel giudizio di opposizione e si sarebbe dovuta risolvere secondo l'esito di questo, se al pretore non fosse venuto in mente di emettere un provvedimento, veramente � abnorme � ed extra ordinem, di dissequestro. Ad avviso del Procuratore Generale � proprio questa � abnormit� � (intesa come insuscettibilit� di inquadramento nella tipologia procedimen tale, cui avrebbe potuto fare ricorso nell'esercizio dei suoi poteri di giudice della opposizione), che innesta ancora una volta in via analogica (questa volta con la disciplina processuale �penalistica) la impugnabilit� ex se, correlativamente comportante la inammissibilit� della riproduzione confermativa della relativa statuizione nella sentenza della cui impugnazione il Collegio � investito~ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 904 Ma la tesi non convince. La categoria del provvedimento abnorme rappresenta l'ultima spiaggia garantistica da offrire alle parti pregiudicate nei loro diritti; quando per� la relativa tutela pu� realizzarsi aliunde non v'� ragione di precludere il ricorso agli strumenti ordinari per ipotizzare, �a danno dell'avente diritto� (con paradossale inversione del segno che caratterizza l'istituto della impugnabilit� autonoma del provvedimento abnorme) un rimedio volto a conseguire la dichiarazione di illegittimit�, cui, con la sobria, ma incisiva, formulazione del mezzo in esame, la regione ricorrente intende addivenire. E che il ragionamento del Pretore sia manifestamente infondato risulta assai agevole da dimostrare. La proposizione dell'opposizione in effetti non rappresenta affatto un evento costituente di per s� una garanzia sostitutiva del sequestro. � ovvio che alla soccombenza nell'opposizione seguir� la formazione di un diverso titolo esecutivo da portare ad esecuzione, eventualmente giovandosi dell'ipoteca giudiziale ex art. 2818 cod. civ. Ma quello cos� delineato � il regime tipico di ogni obbligazione per l'adempimento della quale si agisce in giudizio senza che vengano in considerazione, a parte la generale tutela rappresentata dall'(intero) patrimonio del debitore, specifici istituti. Ben si comprende, quindi, che il sequestro dell'arma assolva anche allo scopo di offrire una garanzia specifica che resta operante lungo l'intero iter del processo, volto ad accertare la legittimit� della sanzione amministrativa irrogata. Essendo il sequestro suscettibile di svolgere tale funzione di �ulteriore� garanzia specifica, la contestazione dell'obbligazione la esalta e non la neutralizza di certo. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 novembre 1983, n. 7162 -Pres. Virgilio -Est. Maltese -P. M. Martinelli (conf.) -Ministero delle finanze (avv. Stato Laporta) c. Curatela Fallimento Azienda petrolifera lucchese (avv. De Vita). Tributi erariali indiretti -Imposta sul valore aggiunto (IVA) -Evasione Misure cautelari a garanzia del.. cteditq pera1pena' pecuniaria -Iscrizione d'ipoteca -Competenza a richiederla -Spetta all'Intendente di finanza. (legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 26; d.P.R. 26 ottobre 1973, n. 633, art. 58). Anche dopo la riforma tributaria (nella specie: dopo l'entrata in vigore del d.P,.R. 26 ottobre 1972, n. 633), spetta all'Intendente di finanza PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 905 la competenza a chiedere, ai sensi dell'art. 26 legge 7 gennaio 1929, n. 4, l'autorizzazione ad iscrivere ipoteca sui beni del contribuente a garanzia del credito per pena pecuniaria. (1) (Omissis). -Con l'unico motivo del ricorso l'Amministrazione delle finanze denuncia la violazione degli artt. 51, 58 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 26 legge 7 febbraio 1929, n. 4, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. Sostiene che la competenza dell'autorit� finanziaria ad irrogare fa pena pecuniaria sarebbe necessariamente collegata alla competenza a chiedere l'autorizzazione per l'iscrizione ipotecaria sui beni del contribuente, per l'inscindibile nesso esistente fra il potere sanzionatorio e il potere cautelare. Secondo il ricorrente, lo stesso organo che accerta la trasgressione deve avere la percezione immediata del periculum in mora; e la valutazione del periculum in mora � legata alla determinazione dell'entit� della pena. La riforma tributaria, inoltre, sarebbe ispirata al fondamentale principio della concentrazione della gestione dei singoli tributi nella sfera di competenza dell'autorit� periferica, per cui con le richiamate disposizioni si sarebbe attuato il trasferimento all'ufficio IVA non soltanto del potere sanzionatorio ma anche del connesso potere cautelare, entrambi in origine riservati all'intendente di finanza. Nella stessa prospettiva del decentramento dei poteri all'autorit� periferica sarebbero state dettate le norme degli artt. 73 d.P.R. n. 634 del 1972 (imposta di registro), 54, d.P.R. n. 637 del 1972 (imposta successioni), 18 d.P.R. n. 635 del 1972 (imposta ipotecaria) e 10 d.P.R. n. 641 del 1972 (tassa sulle concessioni amministrative). Erroneamente, quindi, la Corte d'appello avrebbe ritenuto tuttora competere all'intendente di finanza la facolt� di proporre al presidente del tribunale la domanda di autorizzazione ad iscrivere ipoteca sui beni del debitore. Il rciorso � infondato. (1) Questione, a quanto consta, nuova, anche sotto il profilo dell'ambito di applicazione del principio d'immodificabilit� -tranne che per espressa disposizione -delle norme di cui alla legge 7 gennaio 1929, n. 4. Nello stesso senso, e cio� per l'operativit� del 'divieto di abrogazione implicito anche relativamente alle disposizioni di carattere non sostanziale della legge del 11929, cfr., in dottrina, SPINELLI, Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, 1957, 167; v. pure SECHI, Dir. pen. e process. finanziario, 1960, 36; Dus, Violazioni tributarie, in Noviss. Dig., voi. XX, 882; dello stesso autore, La c.d. �fissit�� della legge penale finanziaria, in Riv. dir. fin e se. fin., 1956, Il, 351. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Gli artt. 51 e 58 del d.P.R. n. 633 del 1972 -nelle rispettive rubriche �attribuzioni e poteri degli uffici dell'imposta sul valore aggiunto� e � irrogazione delle sanzioni� -conferiscono all'ufficio IVA soltanto poteri di accertamento e di riscossione dell'imposta nonch� di applicazione delle pene pecuniarie, non il potere di chiedere o adottare provvedimenti cautelari, che il citato art. 26 della legge n. 4 del 1929 riserva all'intendente di finanza. L'art. 75 dello stesso decreto n. 633 del 1972 stabilisce: �Per quanto non � diversamente disposto dal presente decreto si applicano, in materia di accertamento delle violazioni e di sanzioni, le norme del codice penale e del codice di procedura penale, della legge 7 gennaio 1929, n. 4, del regio decreto legge 3 gennaio 1926, n. 63 convertito nella legge 24 maggio 1926, n. 898 e successive integrazioni �. Ora, le disposizioni della legge 7 gennaio 1929, n. 4 non possono essere abrogate o modificate -secondo la regola generale dell'art. 1 -da leggi posteriori concernenti i singoli tributi � se non per disposizione espressa del legislatore con specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate o modificate�. Nessuna disposizione espressa del d.P.R. n. 633 del 1972 abroga l'articolo 26 legge n. 4 del 1929. Non � dato, pertanto, rinvenire nel testo legislativo della riforma una norma esplicitamente abolitrice del potere dell'Intendenza di finanza di chiedere l'iscrizione ipotecaria sui beni del contribuente. Ne consegue che, sotto questo profilo, non risulta attuata nell'ordinamento positivo vigente l'imprescindibile condizione formale, prescritta dal citato art. 1, dell'emanazione di una specifica norma per l'abrogazione dell'art. 26 -come di ogni altra disposizione -della legge n. 4 del 1929. Ha sostenuto, tuttavia, l'Avvocatura dello Stato alla discussione orale che nel sistema della legge del 1929 la regola dell'abrogazione espressa sancita nel citato art. 1 e la regola della ultrattivit� della norma firianziaria penale sancita dal successivo art. 20 avrebbero lo scopo di conservare una efficacia deterrente alle sole disposi2foni di carattere sostanziale, vigenti al momento dell'infrazione, non anche a quelle di carattere processuale, come, appunto, la norma attributiva del potere cautelare all'Intendente di Finanza. Per le norme processuali, prive di efficacia deterrente, varrebbe, invece, la regola generale dell'abrogazione, anche tacita, di cui all'art. 15 disp. prel. codice civile. E, per effetto del decentramento amministrativo attuato con la riforma, si sarebbe avuta proprio l'abrogazione tacita dell'art. 26 della legge del 1929, con il trasferimento all'ufficio IVA del complesso dei poteri gi� spettanti all'intendente di finanza, inscindibilmente connessi nella titolarit� e nell'esercizio delle funzioni sanzionatoria e cautelare. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Sotto molti aspetti questa argomentazione -pur suggestiva e perspicua -non pu� essere condivisa dal Collegio. Innanzitutto perch� al suo accoglimento osta la lettera della legge. Ai sensi dell'art. 12 disp. prel. del codice civile, nell'applicare la legge non si pu� ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese del significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse; e non altro significato si pu� attribuire al testo dell'art. l, capov. legge n. 4 del 1929; se non quello fatto palese dalle parole che lo compongono, in parte gi� riportate e che si ripetono: � Le disposizioni della presente legge e, in quanto questa non provveda, quelle del libro primo del codice penale, non possono essere derogate o modificate da leggi posteriori concernenti i singoli tributi, se non per dichiarazione espressa del legislatore, con specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate o modificate �. La legge in esame, n. 4 del 1929, � suddivisa fondamentalmente in due titoli, il primo dei quali contiene le norme sulla repressione della violazione delle leggi finanziarie in generale, il secondo le relative norme procedurali (il terzo titolo comprende le sole regole finali e transitorie). Nulla, pertanto, autorizza a credere che al precetto dell'art. 1 -ri �chiedente, in parziale deroga all'art. 15 disp. prel. cod. civ., la formulazione di una norma espressa per l'abrogazione delle �disposizioni della presente legge � -, siano sottratte le norme del secondo titolo, alle quali si dovrebbe, per conseguenza, applicare il citato art. 15 delle preliminari. La lettera della legge non consente siffatta distinzione, secondo la quale le norme del titolo primo e del titolo secondo sarebbero soggette a un diverso regime giuridico nella vicenda estintiva. Il precetto dell'art. 1 �, nella sua letterale formulazione, onnicomprensivo e unitario. E da tale unitaria formulazione �, innanzitutto, vincolato l'interprete. A non diversa conclusione si perviene, peraltro, attraverso l'esame della ratio legis, che lo stesso art. 12 delle preliminari menziona come criterio ermeneutico nel prescrivere all'interprete di attenersi, oltre che .alle parole della legge anche all'intenzione del legislatore. Va tenuto presente, al riguardo, che con la regola del capoverso dell'art. 1 della legge del 1929 si � voluto essenzialmente evitare l'insidia di un'abrogazione tacita -:-mediante l'emanazione di leggi e leggine -dei fondamentali principii enunciati nelle norme generali sulla repressione della violazione delle leggi finanziarie. E non par dubbio che un'insidia anche pi� grave alla saldezza di tali disposizioni sarebbe potuta e potrebbe pervenire dalla modificazione non esplicita dei poteri processuali necessari al concreto esercizio delle funzioni di accertamento �delle infrazioni finanziarie, di irrogazione delle pene pecuniarie e di apprestamento d~lle opportune cautele per fronteggiare il periculum in mora: in una - RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO parola, dall'abrogazione tacita delle norme procedurali poste a presidio del sistema dei poteri di repressione delle violazioni fiscali. Sembra, inoltre, razionale riconoscere, in base alle stesse premesse dell'argomentazione del ricorrente, un'efficacia deterrente anche alla norma dell'art. 26 della legge del 1929, che, nell'attribuire all'autorit� finanziaria il potere di far iscrivere l'ipotec~ legale sui beni del contribuente profondamente incide sui rapporti di diritto sostanziale fra i cittadini e il Fisco, fino ad esporre quest'ultimo ad eventuali azioni risarcitorie. Ma c'� di pi�: non si ravvisano, nel caso concreto, neppure gli estre.mi che, al di fuori della previsione dell'art. l, autorizzerebbero un giudizio di abrogazione tacita del citato art. 26 legge n. 4 del 1929; ed, anzi, si pu� con sicurezza affermare che il legislatore ha voluto non abrogare ma confermare tale disposizione. Invero, secondo l'art. 15 disp. prel. cod. civ. �Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilit� tra le nuove disposizioni e le precedenti o perch� la nuova legge regola l'intera materia, gi� regolata dalla legge anteriore �. Con riferimento al tema controverso, escluso che in materia di ac certamento de�ie viola~�ioni di leggi finanziarie e d'irrogazione delle cor rispondenti sanzioni la nuova legge abbia regolato l'intera materia, come dimostra l'esplicito richiamo, nell'art. 75 del decreto n. 633 del 1972, alla legge n. 4 del 1929 �per quanto non diversamente disposto�, � agevole osservare che non esiste neppure una incompatibilit� fra le disposi zioni degli artt. 51 e 58 del decreto del 1972 e quelle dell'art. 26 della legge del 1929. Va ricordato, a questo proposito, che, secondo la giurisprudenza formatasi nell'interpretazione dell'art. 15 delle preleggi, tale disposi zione � consente di configurare l'abrogazione implicita di una legge quando si riscontri fra le nuove disposizioni e le precedenti una incom patibilit� evidente, una contraddizione di tal grado da renderne impos sibile l'applicazione contemporanea; di guisa che dalla osservanza e dal l'applicazione della nuova legge derivi inevitabilmente l'inosservanza e la disapplicazione dell'altra� (Cass., 12 novembre 1973, n. 2979; 7 marzo 1979, n. 1423). Orbene, dall'osservanza e dall'applicazione delle nuove norme artt. 51 e 58 del decreto n. 633 del 1972 -non deriva affatto l'inevitabile inosservanza e disapplicazione della regola di competenza sancita dal l'art. 26 della legge del 1929. Come il controricorrente rileva, se l'ufficio IVA procede all'accerta mento dell'infrazione e all'irrogazione della pena, l'intendente di finanza, ricevuto il rapporto sulla trasgressione fiscale, decide se ricorrano le premesse per richiedere al presidente del tribunale l'iscrizione di una PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE ipoteca sui beni del contribuente. E proprio all'Intendenza � stato riservato questo delicatissimo compito, che esplica nell'esercizio di un potere incidente, con eff�tti anche gravi, nella sfera patrimoniale dell'interessato. Pertanto -come il P.G. ha sottolineato -si deve ritenere che il legislatore della riforma, nell'attribuire all'ufficio IVA i soli poteri di accertamento e sanzionatori, deliberatamente abbia inteso conferma.re all'intendente di finanza la titolarit� dei poteri cautelari gi� derivante dalla legge del 1929, che, per l'art. 75 del decreto, continua ad operare �per quanto non � diversamente disposto �. In realt�, le considerazioni dell'Amministrazione ricorrente sull'esistenza di un nesso fra i due ordini di poteri si risolvono in una censura circa l'opportunit� di tener separate le rispettive competenze nonostante la tendenza al decentramento, motivo ispiratore del nuovo sistema. Sostanzialmente, una critica de iure condendo. Ma, sul piano strettamente esegetico, esse non rappresentano valide ragioni per far propendere ad una interpretatio abrogans della norma dell'art. 26 legge n. 4 del 1929, chiaramente tenuta in vita dal legislatore sulla base di una distinzione di competenze ratione materiae, per cui le norme degli artt. 51, 58 del decreto del 1972 e la norma dell'art. 26 della legge del 1929 si pongono in un rapporto non d'incompatibilit� ma di reciproca integrazione. Le argomentazioni fin qui svolte sembrano trovar conferma in una considerazione ulteriore, concernente la natura stessa delle norme dettate dagli artt. 51 e 58 del decreto del 1972. Trattasi, invero, di regole non meramente abrogatrici di quelle preesistenti ma attributive di una serie di poteri all'ufficio IVA. Nella dettagliata, minuziosa elencazione di tali poteri sarebbe arbitrario ritener compresi altri poteri conferiti da leggi diverse, tuttora vigenti, ad autorit� finanziarie diverse. Si verrebbe altrimenti a creare, con una ingiustificata operazione ermeneutica, una norma nuova, attributiva all'ufficio IVA di potest� non incluse tra quelle ad esso trasferite dal legislatore della riforma. Sotto ogni aspetto, pertanto, la sentenza impugnata si sottrae alle censure dell'amministrazione ricorrente. Di conseguenza, il ricorso deve essere disatteso, siccome infondato. (omissis) SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., ordinanza 1� giugno 1983, n. 14 -Pres. Pescatore -Est. Alibrandi -Ercolino (avv. Abbamonte) c. Comune di Avella (avv. de Beaumont) e Regione Campania (n.c.). Giustizia amministrativa -Sospensione -Occupazione d'urgenza -Obbligo di restituzione � Realizzazione opera pubblica � Irreversibilit� dell'oc� cupazione. Una volta sospeso con ordinanza del G.A. il decreto di occupazione di un terreno, poich� alla sospensione consegue l'inidoneit� temporanea degli atti a produrre i propri effetti, il Comune occupante � tenuto a restituire al proprietario l'immobile indebitamente trattenuto, con esclusione dei soli manufatti che, costituendo la realizzazione di opera pubblica ed attribuendo ai beni occupati una destinazione pubblica, rendano irreversibile l'occupazione. (1) (omissis) 1. -Risolto con la precedente decisione il problema inerente alla qualificazione ed alla proponibilit� della domanda della Ercolino, torna all'esame del Collegio il contenuto sostanziale della vicenda, e cio� la richiesta di restituzione del fondo occupato dall'Ammini� straziane a seguito del decreto, la cui efficacia � stata sospesa in sede giurisdizionale. Al riguardo il contraddjttorio fra le parti si � ampiamente sviluppato sul punto della decorrenza degli effetti del provvedimento di sospensione (se ex nunc o ex tunc). Ma -ferma ed impregiudicata la pos (1) L'ordinanza, che si pone nel solco gi� tracciato da precedenti decisioni, l'ultima delle quali � la pronuncia 117/82 (in questa Rassegna, 1983, 359), ha particolare importanza perch� al provvedimento cautelare viene attribuita espressamente efficacia anche sull'atto che ha gi� avuto un principio di esecuzione, 1 nei limiti in cui questa non sia irreversibile. Essa va poi segnalata anche come conclusione di una vicenda processuale che si � articolata attraverso varie fasi: il 'ricorrente infatti, dopo aver ottenuto la sospensione del provvedimento, di fronte al rifiuto dell'Amministrazione di restituire l'immobile propose r�.corso per .inottemperanza; l'Ad. Plenaria, chiamata a pronunciarsi sulla esperibilit� dell'.azione ex art. 27 n. 4 r.d. 1054/1924 ai fini dell'esecuzione coattiva dell'ordinanza di sospensione, rispose negativamente in linea di principio (sent. 30 aprile 1982, n. 6, in Cons. St., 1982, �'= ~:i l1 - PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 911 sibile rilevanza della questione ad altri eventuali fini ed in sedi diverse -� da ritenere che, per quanto qui interessa, ben possa prescindersi dal risolvere tale problema; giacch� in ogni caso, successivamente alla sospensione del decreto di occupazione, il comune di Avella detiene or mai sine titulo il terreno in argomento. Si � gi� chiarito con la decisione 27 aprile 1982, n. 6, che dalla sospensione consegue direttamente l'inidoneit� temporanea degli atti sospesi a produrre i propri effetti, determinandosi in tal modo una situazione giuridica in tutto identica (salvo la sua transitoriet�) a quella che si avrebbe se l'atto fosse annullato. Applicando siffatti concetti al caso di specie, � evidente che il comune di Avella occupa il fondo sulla base di un provvedimento che la sospensione giurisdizionale ha reso (almeno transitoriamente) inidoneo a legittimare la detenzione da parte del comune. Quest'ultimo, allo stato attuale della vicenda � dunque tenuto a restituire al legittimo proprietario l'immobile indebitamente trattenuto. 2. -Non � dubbio, d'altra parte, che nella specie -come in ogni altro caso analogo -il giudice ~mministrativo, in sede di giudizio cautelare, ben possa ordinare all'Amministrazione la restituzione di quanto detenuto sine titulo. Nella decisione n. 6 del 1982 si � gi� dato conto della evoluzione giurisprudenziale che ha condotto a riconoscere la Iegittimit� di quelle pronuncie (costitutive, certificative, dichiarative di obblighi a carico dell'Amministrazione) che siano strumentalmente necessarie per realizzare concretamente gli effetti scaturenti dalla decisione da eseguire, conformando la realt� alle relative statuizioni. Vero � che quella giurisprudenza si � formata nell'ambito della problematica del giudizio di ottemperanza ex art. 27 n. 4 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, mentre nel caso attualmente in esame si verte in una ipotesi di giudizio cautelare. Ma per dissipare qualsiasi perplessit� al riguardo -oltre al richiamo delle argomentazioni gi� svolte nella decisione del 1982 -baster� aggiungere che nella specie non viene in valutazione un comportamento inottemperante che possa implicare giudizi di 413), ma ritenne che quando l'ordinanza cautelare non sia sufficiente a garantire un'effettiva tutela dell'interesse del ricorrente questi possa adire nuovamente il medesimo giudice della sospensiva, onde chiedere l'emanazione dei provvedimenti ritenuti idonei per assicurare la sospensione. Nel caso di specie quindi consider� inammissibile la domanda proposta nelle forme del giudizio di inottemperanza, ma, in omaggio al principio di conservazione degli atti processuali, la ritenne convertita in una richiesta di provvedimento di integrazione ed attuazione della sospensiva, imponendo quindi al ricorrente di integrare il contraddittorio. All'esito di tale adempimento � stata ora pronunciata l'ordinanza '14/1983 con la quale si � puntualizzato il contenuto dell'obbligo che grava sull'Amministrazione resistente a seguito della sospensione dell'atto gi� eseguito. 10 ..:: RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO merito amministrativo (nel qual caso effettivamente potrebbe ben prospettarsi la questione se l'esten~ione al merito dei poteri del giudice, espressamente prevista dall'art. 27 n. 4, sia analogicamente riferibile anche al caso della pronuncia in sede cautelare); bens� si tratta di apprezzare un elemento rilevante sul piano della pi� stretta legittimit�, e cio� -come si � detto -la inidoneit� del decreto di occupazione (sospeso) a legittimare (in pendenza della sospensione) il perdurare della occupazione. 3. -D'altra parte, successivamente alla decisione n. 6 del 1982, questa stessa Adunanza plenaria, con la pronuncia dell'8 ottobre 1982, n. 17, ha ammesso la possibilit� di sospendere in via cautelare un provvedimento di non ammissione all'esame di maturit� ~lassica, con ci� esplicitamente riconoscendo che anche provvedimenti c.d. � negativi � possano essere sospesi in sede giurisdizionale. In altri termini, l'Adunanza plenaria riconosce ormai esplicitamente che quando gli effetti � caducatori � della sospensione non siano sufficienti a tutelare in via cautelare l'interesse del ricorrente, la effettivit� della tutela interinale possa essere realizzata anche mediante strumenti diversi e ampia;mente eccedenti la pura e semplice paralisi degli effetti formali dell'atto impugnato. Tra questi strumenti risalta in primo luog� la possibilit� di imporre all'Amministrazione la tenuta di certi comportamenti considerati necessari per la realizzazione della tutela giurisdizionale. Tale, e non altro, � evidentemente il senso della �ammissione con riserva� (all'esame di maturit� od anche -come avveniva pacificamente gi� per l'innanzi ad un concorso a pubblico impiego), in cui il provvedimento del giudice finisce con l'imporre all'Amministrazione un preciso obbligo di comportamento. Anche nel caso attualmente all'esame del Collegio nulla osta, dunque, a che il giudice possa ordinare all'Amministrazione di tenere i comportamenti necessari per realizzare gli effetti sostanziali della pronuncia cautelare gi� a suo tempo emanata. 4. -Naturalmente un limite all'obbligo di restituzione del fondo occupato sine titulo deriva dal principio consolidato in giurisprudenza (di recente, Cass. 30 aprile 1981, n. 2644), secondo il quale la realizzazione dell'opera pubblica -risolvendosi nel dare di fatto ai beni occupati una destinazione pubblica -rende irreversibile l'occupazione. Nella specie, risulta in atti che nel fondo di propriet� Ercolino sono stati costituiti �due corpi di fabbrica, attualmente allo stato grezzo, per una superficie coperta complessiva di mq. 2600 �. Tali manufatti (od eventuali altri che risultassero gi� destinati alla pubblica finalit�), debbono, quindi, essere esclusi dall'obbligo di restituzione. I I ! ! r I I f I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 913 CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 11 aprile 1983, n. 223 -Pres. Mezzanotte Est. Agresti -Impresa Mambrini, soc. CO.GE.MA e Soc. Russo (avv. Giordano, Scoca, D'Amelio) c. A.N.A.S. (avv. Stato Ferri). Opere pubbliche -Appalto -Licitazione privata -Diniego approvazione Aggiudicazione -Gravi motivi � Convenienza nuova gara � Idoneit�. (r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 113). Opere pubbliche -Appalto � Licitazione privata -Diniego approvazione aggiudicazione � Gravi motivi � Eccezionalit� � Motivazione. (r.d. 23 maggio 1924, �n. 827, art. 113). Opere pubbliche � Appalto � Licitazione privata � Diniego approvazione aggiudicazione � Gravi motivi � Sindacabilit� della coerenza e logica della azione amministrativa. (r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 113). I gravi motivi di interesse pubblico idonei a giustificare il diniego di approvazione della aggiudicazione di licitazione privata nell'appalto di opera pubblica possono consistere in considerazioni di opportunit� riierite alla previsione che il prezzo ricavabile da una nuova gara sia inferiore al prezzo offerto dalla ditta aggiudicataria. (1) La facolt� di non approvare l'aggludicazione della licitazione privata nell'appalto di opera pubblica per gravi motivi di interesse pubblico ha natura del tutto speciale e carattere eccezionale sicch� l'Amministrazione � tenuta a dare piena ed appagant,e giustificazione di tali gravi motivi. (2) In presenza dei vari elementi dai quali risulta incerto il vantaggio della ripetizione della gara, nella licitazione privata per l'appalto di opera pubblica, � da escludere sul piano della logica e della coerenza dell'azione amministrativa la sussistenza dei gravi motivi idonei a giu (1) Sul motivo di interesse pubblico cfr. anche Cons. Stato, 116 dicembre 1980, n. 1219, in Cons. St., 19.'lO, 1681, per la quale l'eccessiva o:i;ierosit� del prezzo risultato dalla gara � motivo di interesse pubblico che giustifica il diniego di approvazione; Sez. VI, 14 luglio 1978, n. 973, ivi, 1978, 1246, secondo la quale � legittimo il diniego di approvazione di una gara di appalto per eccessivit~ del ribasso allorch� l'Amministrazione sia giunta alla conclusione della scarsa remunerativit� del prezzo da corrispondere all'impresa aggiudicataria per l'eccesso del ribasso offerto dalla medesima; ed ancora lii parere del1a Sez. I, 5 maggio 1972, n. 1145, ivi, ;1972, 2235, ove si ritiene grave motivo idoneo a giustificare il diniego la pratica impossibilit� dell'Amministrazione di ottenere la tempestiva esecuzione delle prestazioni per le gravi condizioni economiche dell'impresa e l'urgente necessit� delle forniture commesse. (2) Sulla motivazione del diniego la gi� citata sentenza 973/1978 ritiene sufficiente ad integrare la motivazione per relationem i pareri espressi dal competente organo tecnico ed irrilevante la mancata menzione di essi nell'atto RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stificare il diniego di approvazione dell'aggiudicazione, individuati nella previsione che il prezza ricavabile da una nuova gara sia inferiore al prezzo offerto dalla ditta aggiudicataria. (3) purch� ricorrano circostanze che rendano edotto l'interessato della preven� tiva pronuncia dell'organo predetto ed i pareri siano prodotti in giudizio; Sez. IV, 20 novembre 1973, n..1085, ivi, 1973, 11594, che ritiene legittimo il diniego preceduto da un'analisi anche comparativa dei costi e della congruit� dei ribassi offerti dalle var.ie Imprese e giunga cos� alla conclusione della scarsa remune� rativit� del prezzo da corrispondere all'impresa aggiudicataria. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 9 maggio 1983, n. 285 -Pres. Mezzanotte -Est. Martorelli -De Martis (avv. Delli Santi) c. Regione Sardegna (avv. Stato Freni), comune di Santa Teresa di Gallura (avv. Frassetto, Mottu). Giustizia amministrativa -Notificazione del ricorso all'autorit� emanante � Regione Sardegna -Notificazione al Presidente della Giunta Validit� anche per impugnazione di atto di un assessore -Piano di zona per l'edilizia economica e popolare. La rappresentanza della regione Sardegna � attribuita al presidente della giunta e gli assessori non hanno una legittimazione separata, cosicch� rituale deve considerarsi la notifica del ricorso giurisdizionale al presidente della giunta (presso l'Avvocatura dello Stato) anche contro il piano di zana per l'edilizia economica e popolare adottato dall'assessore agli enti locali, finanze ed urbanistica. (1) (1) Sull'inammissibilit� irn generale del ricorso non notificato all'autorit� che ha emanato l'atto vedansi Cons. St., Sez. IV, 11 maggio 1979, n. 313, in Cons. St., 1979, 691; Sez. VI, 26 luglio 197�8, n. 811, ivi, 1978, 1079; Sez. V, 5 febbraio 1976, n. 199, ivi, .1976, 168. In particolare secondo Sez. V, 25 febbraio 11977, n. 141, ivi, ,1977, 121, all'omis� sione della notifica all'autorit� emanante non pu� supplire quella fatta all'autori. t� gerarchicamente sopraordinata; e secondo Sez. V, 15 marzo 1974, n. 261, ivi, 1974, 465, l'inammissibilit� non � sanata neppure dalla comparizione spontanea in giudizio dell'Autorit� emanante. Per quanto concerne in particolare le regioni si segnalano Sez. V, 6 maggio 1977, n. 406, ivi, 1977, 798, per la quale secondo lo statuto della regione Puglia la rappresentanza della region� spetta al solo presidente della giunta, per cui � irrituale la notifica di un ricorso fatta al presidente del consiglio regionale; e Sez. V, 15 gennaio 1976, ivi, 1976, 40, secondo la quale poich� l'art. 54 lett. a dello statuto riconosce al presidente della giunta la rappresentanza della regione Umbria, legittimamente a questi viene notificato il ricorso giurisdizionale diretto contro la Regione. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 915 CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 24 maggio 1983, n. 330 -Pres. Chieppa Est. Lignani -Papa (avv. Guarino), Sibajolo (avv. Sorrentino) c. Pre sidenza Consiglio Ministri, Ministero dei Trasporti (avv. Stato Ferri). Impiego pubblico -Dirigente -Responsabilit� dirigenziale -Caratteristiche. Impiego pubblico -Dirigente -Responsabilit� dirigenziale -Contraddittorio -Fatti contestati. Impiego pubblico -Dirigente -Responsabilit� dirigenziale -Valutazione Disfunzioni oggettive -Incensurabilit�. Impiego pubblico -:QirJgente -Responsabilit� dirigenziale per atti del Ministro -Valutabilit�. La responsabilit� dirigenziale non rientra nell'ambito di quella disciplinare, in quanto trascura il comportamento personale e comprendendo l'azione complessiva dell'ufficio si avvicina ad alcune ipotesi di responsabilit� civile per fatto altrui, ed a quella politica, in quanto consegue all'accertata inidoneit� all'esercizio di determinate funzioni ed al venir meno del rapporto fiduciario; pu� anche definirsi responsabilit� manageriale perch� evidenzia che i risultati complessivi dell'azione dell'ufficio non sono corrispondenti quantitativamente e qualitativamente alle ragionevoli attese. (1) I procedimenti volti a far valere la responsabilit� dirigenziale garantiscono all'interessato il rispetto del contraddittorio, ma i fatti da contestare sono i risultati della organizzazione del lavoro e non i comportamenti individuali del dirigente; e sussiste un'amplissima discrezio (.1) Il Consiglio di Stato conferma l'interpretazione gi� data dal TAR del Lazio al concetto di responsabilit� dirigenziale arricchendolo di nuove connotazioni che si aggiungono a quelle di manageriale e sono i tratti di similitudine con la responsabilit� civile per fatto altrui e la responsabilit� politica. I precedenti sono costituiti oltre che dalle sentenze della cui impugnazione si tratta (TAR, Sez. I, 9 luglio 1980, n. 780, in Foro it., 1981, III, 587) anche da TAR, Sez. I, 10 giugno ,1981, n. 460 (in T AR, 1981, I, 2009) dovute alla penna dello stesso estensore, come dimostra la comune introduzione di carattere generale. Peraltro mentre le prime due decisioni sono di rigetto dei ricol".si Papa e Sibajolo, la terza ha accolto il ricorso di Del Gizzo ritenendo il provvedimento impugnato carente di motivazione circa l'accertamento di risultati negativi dell'organizzazione del lavoro, la riferibilit� di essi all'attivit� del ricorrente e la ricorrenza dei particolari casi nei quali l'art. 19 d.P.R. 748/1972 prevede il collocamento a disposizione del dirigente. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nalit� nella valutazione dei risultati dell'attivit� e del nesso causale tra questi e le carenze del dirigente preposto. (2) Non � censurabile in quanto non manifestamente illogica, la valutazione di responsabilit� personale dei dirigenti ritenuta prevalente sulle disfunzioni dovute a circostanze obiettive sottratte al loro controllo. (3) Non � censurabile la valutazione con la quale � stata addossata ai dirigenti la responsabilit� derivante da iniziative formalizzate in atti del ministro, in quanto la responsabilit� dirigenziale comprende anche i risultati del cattivo uso dell'attivit� di proposta, consiglio e stimolo che il dirigente generale esercita nei confronti del Ministro. (4) (2) Anche sulla seconda massima c'� convergenza di vedute tra il Consiglio di Stato e le sentenze dei TAR sopracitati tenuto conto della diversit� delle fattispecie all'esame, che ha indotto TAR-Lazio 460/19&1 a rilevare come ulteriore vizio dell'atto impugnato il fatto che sia l'atto di contestazione sia la deliberazione del Consiglio dei Ministri avevano erroneamente qualificato gli addebiti come fatti di carattere disciplinare. (3-4) Si sono estratte solo queste due massime dalle assai pi� numerose enunciazioni contenute in sentenza, perch� sono sembrate le pi� interessanti e si rinvia per la lettura delle altre alla motivazione pubblicata in Foro amm., 1983, I, 957. CONSIGLIO DI STiATO, Sez. V, 25 marzo 1983, n. 112 -Pres. Laschena Est. Cossu -Regione Toscana (avv. Barile, Cheli, Clarizia) c. Soc. LAB e Breschi (avv. F. Satta) e altri -Pres. Cons. Ministri (avv. Stato Cosentino), c. Soc. LAB ed altri. Sanit� -Accordo nazionale -Convenzionamento esterno -Decreto .presidenziale di esecuzione -Impugnazione -Regioni -Controinteressati Esclusione. (legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48; d.P.R. 16 maggio 1980}. Sanit� � Convenzionamento esterno � Accordo nazionale � Decreto presidenziale di esecuzione -Impugnazione -Regione � Intervento � Ammissibilit�. (legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48; d.P.R. '16 maggio 1980). Giustizia amministrativa -Incompetenza territoriale -Regolamento di competenza � Questione di costituzionalit� manifestamente infondata. (legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 3, 31; Cost., artt. 3, 24, 25, 97, 125). Sanit� � Convenzionamento esterno � Accordo nazionale -Decreto presidenziale di esecuzione -Impugnazione -Soggetti legittimati. (legge 23 dicembre 1978, n. 838, art. 48; d.P.R. 16 maggio 1980). I I IB ~~ PARTE I, .SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 917 Sanit� � Convenziortamento esterno -Accordo Nazionale � Decreto presi denziale di esecuzione � Impugnazione � � Ius superveniens � � Irrile vanza.. (legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48; d.P.R. 16 maggio 1980; legge 26 novembre 1981. n. 678, conv. con mod. in legge 26 gennaio 1982, n. 12, art. 3). Sanit� � Servizio Sanitario nazionale � Principio generale libera scelta Inesistenza. (legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 19, 25). Sanit� � Servizio Sanitario Nazionale -Strutture Pubbliche -Presidi privati convenzionati � Pariordinazione � Utilizzabilit�� presidi privati solo in difetto tempestiva prestazione struttura pubblica � lllegittimit�. (legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48; d.P.R. 16 maggio 1980, punto 3). Nell'impugnazione del decreto presidenziale di esecuzione dell'accordo nazionale per l'erogazione di prestazioni ambulatoriali in regime di convenzionamento esterno le regioni stipulanti non possono considerarsi controinteressate, n� possono assimilarsi all'autorit� emanante, la quale � soltanto quella cui l'atto va formalmente imputato. (1) Nel giudizio promosso da privati con l'impugnazione del decreto presidenziale di esecuzione dell'accordo nazionale per l'erogazione di prestazioni ambulatoriali in regime di convenzfonamento esterno le regioni stipulanti, avendo interesse ad interloquire, possono spiegare intervento, assumendo in concreto gli atteggiamenti pi� conformi ai loro interessi, che nell'accordo trovarono composizione, ma ciononostante rimangono potenzialmente contrapposti. (2) (1) Sulla configurabilit� della regione come controinteressata nel giudizio di impugnazione del decreto presidenziale di esecuzione dell'accordo nazionale per l'erogazione di prestazioni ambulatoriali in regime di convenzionamento esterno, accordo di cui la stessa regfone � parte, non si rinvengono precedenti, com'� ovvio data la novit� del pro~dimento adottato. In materia si pu� ricordare, per un'ipotesi inversa, TAR Lazio, Sez. I, 1� ottobre 1982, n. 890, che ha ritenuto errore scusabile quello del ricorrente che aveva notificato il ricorso solo ad alcune parti pubbliche (ministeri e regioni) ma non alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sulla nozione di controinteressato in generale cfr. Cons. St., Sez. V, 27 marzo 1981, n. 108 e 24 giugno 1977, n. 675, per le quali �l'accertamento di tale qualit� presuppone in via primaria che si tratti di soggetto al quale l'atto impugnato si riferisce e cio� di un soggetto espressamente individuabile attraverso la lettura del testo dell'atto�, requisito questo che non mancherebbe per la verit� alla regione nel caso di specie. Peraltro manca l'altro requisito richiesto cumulativamente al primo e cio� la sussistenza di un vantaggio diretto ed immediato tratto dal provvedimento impugnato (per quest'ultimo cfr. Sez. VI, 6 febbraio 1981, n. 35; 18 novembre 1980, n. lll4; 8 luglio 1980, n. 721). (2) Nulla in termini data la novit� della fattispecie gi� segnalata. Circa la legittimazione all'intervento della regione Cons. St., Sez. VI, 26 set abilitati all'esercizio della professione, ma fuori dall'elenco dei professionisti convenzionati, ritenendo che la scelta integra un diritto soggettivo solo nel� l'ambito dell'elenco dei medici convenzionati, residuando in caso contrario solo una posizione di interesse legittimo in relazione alla corretta organizza. zione del servizio sanitario nazionale. (4) Sulla posizione del medico inserito nel servi:zfo sanitario nazionale cfr. Cons. St., Sez. VI, 3 luglio 1981, n. 344, secondo la quale con l'accesso alla convenzione di cui all'art. 9 legge 349/1977 ed all'art. 48 legge 833/1978 egli assume obblighi non soltanto nei confronti degli assistiti ma anche verso l'ente abilitati all'esercizio della professione, ma fuori dall'elenco dei professionisti convenzionati, ritenendo che la scelta integra un diritto soggettivo solo nel� l'ambito dell'elenco dei medici convenzionati, residuando in caso contrario solo una posizione di interesse legittimo in relazione alla corretta organizza. zione del servizio sanitario nazionale. (4) Sulla posizione del medico inserito nel servi:zfo sanitario nazionale cfr. Cons. St., Sez. VI, 3 luglio 1981, n. 344, secondo la quale con l'accesso alla convenzione di cui all'art. 9 legge 349/1977 ed all'art. 48 legge 833/1978 egli assume obblighi non soltanto nei confronti degli assistiti ma anche verso l'ente !118 RASSEGNA DELL'AWQCATURA DELLO STATO E manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit� costituzionale riferita alla normativa che impone il ricorso al regolamento di competenza per far valere l'incompetenza territoriale del T AR adito in quanto tale normativa consente di ricondurre o di ancorare rapidamente il processo al giudice ritenuto competente.� (3) Sono legittimati ad impugnare il decreto presidenziale di esecuzione dell'accordo nazionale per l'erogazione delle prestazioni ambulatoriali in regime di convenzionamento esterno i soggetti convenzionati con il servizio sanitario nazionale, in quanto titolari dell'interesse a non vedere lese le loro aspettative ad un giusto profitto. (4) tembre 1975, n. 401, lo ha ritenuto ammissibile nel giudizio proposto dal concessionario per l'esercizio di strada ferrata contro i provvedimenti ministeriali di nomina di un commissario governativo per la gestione della ferrovia e di decadenza dalfa concessione stessa, ritenendo l'ente territoriale titolare sia a livello normativo che amministrativo di una serie di funzioni pertinenti agli stessi interessi e strettamente collegati alla potest� di concessione; ed anche Ad. plen., 3 luglio 1973, n. 7, che nel caso di impugnativa di un provvedi� mento in materia urbanistica (decreto ministeriale di sospensione dei lavori di costruzione) adottato dall'Amministrazione dello Stato anteriormente all'entrata in vigore del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, ha ritenuto la regione interessata e quindi titolare di legittimazione ad intervenire spontaneamente in causa per fianchegg;iare il contraddittore necessario e principale. (3) In materia di competenza Cons. St., Sez. IV, 28 luglio 1982, n. 522 e Sez. IV, 14 dicembre 1982, n. 847 e Sez. IV, 30 dicembre 1982, n. %2, hanno affermato la competenza del TAR del Lazio per l'impugnativa del decreto presidenziale che ha reso esecutivo l'accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medioi di medicina generale ali sensi dell'art. 48 della legge 833/11978. Quanto alla giurisdizione del G.A. le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 16 novembre �1982, n. 6107, hanno attribuito al G.A. la controversia che investe la legittimit� dell'art. 3 dell'accordo collettivo nazionale del 22 febbraio 1980 (stipulato a norma dell'art. 48 della legge 833/1978 e reso esecutivo con d.P.R. 16 maggio 1980) configurando come interessi legittimi le posizioni soggettive degli utenti del servizio sanitario nazionale a fronte dd potere della USL di autoriz2lare l'accesso ai professionisti ed ai presidi sanitari convenzionati. Le Sezioni Unite, 16 novembre 1982, n. 6120, hanno devoluto aHa giurisdizione amministrativa anche la cognizione della domanda con la quale un utente del servizio sanitario nazionale insorge contro il provvedimento di mancata accettazione della scelta del medico di fiducia effettuata nel novero di quelli PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 919 Sulla controversia proposta da soggetti convenzionati per contestare la legittimit� della norma del decreto presidenziale di esecuzione dell'accordo nazionale per l'erogazione delle prestazioni ambulatoriali, che prevede l'utilizzabilit� dei presidi esterni in seguito ad autorizzazione solo se le strutture pubbliche non siano in grado di soddisfare la richesta entro tre giorni, non incide la norma di legge sopravvenuta che fissa la medesima regola non avendo essa n� carattere retroattivo n� natura interpretativa. (5) Nell'ambito del servizio sanitario nazionale non sussiste un principio generale di libera scelta nel campo della diagnostica strumentale e delle analisi di laboratorio. (6) Nel servizio sanitario nazionale una. posizione di preminenza spetta ai pubblici poteri in sede di programmazione sanitaria, ma non c'� una posizione deteriore e subordinata dei presidi privati convenzionati rispetto alle strutture pubbliche, sicch� � illegittima la norma del decreto presidenziale di esecuzione dell'accordo nazionale per l'erogazione delle prestazioni ambulatoriali in regime di convenzionamento esterno, che prevede l'utilizzabilit� dei presidi privati in seguito ad autorizzazione solo se le strutture pubbliche non siano in grado di soddisfare la richiesta entro tre giorni. (7) erogatore il quale non provvede solo al pagamento dei compensi per le prestazioni rese a terzi, ma eroga un servizio e lo organizza con adeguati poteri, provvedendo in tal modo alla cura di interessi suoi propri di carattere pub� blicistico. (5-7) Sulla natura dell'art. 3 della legge 26 novembre ,1981, n. 678 conv. in legge 26 gennaio 1982, n. 112 e sulla legittimit� del sistema che assoggetta ad autorizzazione della USL il ricorso ai presidi privati convenzionati, si profila un contrasto tra la sentenza qui massimata e Cass., Sez. Un., 16 novembre 1982, n. 6107 (inedita) che, per quanto resa in sede dli regolamento di giurisdi7.Ji.one, afferma, secondo la massima ufficiale, che: � in tema di servizio sanitario nazionale e con riguardo alle prestazioni medico-specialistiche, ovvero di diagnostica strumentale o di laboratorio, l'art. 3 del d.l. 26 novembre 1981, n. 678 (conv. in legge 26 gennaio 1982, n . .12) il quale ha sostituito il sesto e settimo comma dell'art. 25 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, recependo e puntualizzando la disciplina gi� contenuta nell'art. 3 dell'accordo collettivo nazionale del 22 febbraio 1980 (stipulato a norma dell'art. 48 della cit. legge 833/1978 e reso esecutivo con d.P.R. 16 maggio 1980) ha natura non innovativa ma soltanto integrativa della precedente normativa nel senso che anche in base a quest'ultima spetta all'USL il potere di autorizzare preventivamente l'accesso degli utenti ai professionisti ed ai presidi sanitari in regime di convenzione e che correlativamente hanno consistenza di meri interessi legittimi le posizioni di tali soggetti a fronte dell'esercizio del potere medesimo, pertanto, anche prima del d.l. 678/1981 la controversia che investe la legittimit� dell'art. 3 del predetto accordo collettivo trova titolo nell'interesse legittimo al corretto esercizio da parte dell'USL dell'indicato potere autorizzatorio e conseguente� mente � devoluta alla giurisdizione del G.A. �. I I 920 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I I l CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI -13 gennaio 1983, n. 2 -Pres. Daniele Est. Rosini -Azienda Autonoma F.S. (avv. Stato Stipo) c. Giovine (avv. I Romanelli). l Atto amministrativo -Annullamento d'ufficio � Motivazione � Comparazione interesse pubblico e privato � Non necessariet� per interesse I privato non meritevole di tutela � Stipendi non dovuti. ! Nel procedere all'annullamento d'ufficio di un atto amministrativo, I la P.A. deve tenere conto del legittimo affidamento originato da tale atto e quindi motivare il provvedimento comparando l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto illegittimo con l'interesse del privato alla conservazione, quando quest'ultimo sia meritevole di tutela (nella specie non � stato ritenuto tale l'interesse a mantenere. come conseguenza dell'atto illegittimo la percezione di emolumenti non dovuti). (1) II CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 1 agosto 1983, n. 342 -Pres. Crisci -Est. Cossu -Soc. Atesina Magazzinaggi (avv.ti Gerola e Lorenzoni) c. Comune di Trento (avv. Cavasola) e Provincia autonoma di Trento (n.c.). Atto amministrativo � Annullamento d'ufficio � Concessione di costru� zione � Motivazione -Specificazione ragione pubblico interesse � Affidamento del privato � Fattispecie. Nel procedere all'annullamento d'ufficio di una concessione di costruzione illegittima, il comune non pu� limitarsi � far menzione del contrasto col pubblico interesse, ma deve specificare quali sono le ragioni di esso, in relazione all'affidamento del privato concretizzatosi nell'acquisto (1.el terreno sulla base di una certificazione comunale che erroneamente ne consentiva l'edificazione. (2) (1-4) Nel contesto di una giurisprudenza piuttosto omogenea � interessante cogliere alcune puntualizzazioni come quella concernente il giudizio sulla tutela dell'interesse del privato contrapposto all'interesse pubblico al ripristino della legalit�. Di solito si � ritenuto meritevole l'interesse del privato in relazione al decorso del tempo ed al conseguente affidamento sulla situazione consolidata (cfr. Sez. VI, 30 aprile 1976, n. 207 e 2 marzo 1976, n. 124), nella decisione n. 2 sembra assumere rilievo anche il contenuto sostanziale del- l'interesse. Nella decisione n. 342 viene identificato e valorizzato l'affidamento del privato in relazione alla situazione che l'ha originato e che determina un PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 921 III CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 4 ottobre 1983 n. 682 -Pres. Benvenuto Est. Frascione -Renzi (avv.ti Sgueglia e Pizzuti) c. Provveditore agli Studi di Latina (avv. Stato Mari) e Napolitano (avv. Colacino). Atto amministrativo -Annullamento d'ufficio -Tempestivit� -Sufficienza interesse pubblico al ripristino legalit�. Atto amministrativo -Annullamento d'ufficio -Giustificazione interesse pubblico -Non necessariet� per atto attributivo � status � illegittimo. Quando l'annullamento d'ufficio di un atto sia disposto in tempi cos� brevi da evitare il consolidamento della situazione soggettiva illegittimamente attribuita, non � necessario avere riguardo ad un interesse ulteriore oltre a quello di ripristino della legalit�. (3) Non occorre esplicitare quale sia l'interesse pubblico all'annullamento dell'atto attributivo di status illegittimo, quando questo determini l'illegittimit� di tutti i successivi provvedimenti derivati. (4) aggravamento dell'onere di motivazione, ove l'atto illegittimo da annullare abbia influito su successive determinazioni del privato (cfr. Sez. VI, 30 aprile 1976, n. 207). Riguardo all'importanza del tempo per il consolidamento o meno della sit1,1azione del privato cfr. Sez. VI, 25 maggio 1979, n. 370; 19 aprile 1974, n. 137; 30 ottobre 1981, n. 604; Sez. V, 2 novembre 1980, n. 948. L'ultima massima pone in rilievo una limitazione dell'onere della motiva� zione laddove l'interesse pubblico possa sussistere in re ipsa. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 giugno 1983, n. 4123 -Pres. Falcone Est. Corda -P. M. Caristo (conf.) -Ministero delle finanze (avv. Stato Salimei) c. Soc. Sea (avv. Prosperetti). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Soggetto passivo -Tassazione facoltativa in base a bilancio -Societ� di capitali trasformata in societ� di persona -Domanda espressa -�: necessaria. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 104). Per la tassazione facoltativa in base a bilancio � sempre necessaria una espressa istanza da presentare nei modi dell'art. 104 del t.u. delle imposte dirette, anche nel caso di una societ� di persone che risulti dalla trasf ormazione di una societ� di capitali. (1) (omissis) Con l'unico motivo di censura (denunciando, ai sensi dello art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli articoli 104, 118 e 119 del t.u. sulle imposte dirette 25 gennaio 1958, n. 645, nonch� dell'art. 2 del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito con modificazione nella legge 19 dicembre 1973, n. 823), la ricorrente Amministrazione finanziaria censura la decisione della commissione tributaria centrale per avere ritenuto che la liquidazione dell'imposta (ai fini dell'applicazione della citata legge sul � condono fiscale�) potesse essere operata tenendosi conto delle �perdite di esercizio� risultanti dal bilancio sociale, pur se la societ� contribuente (diversa da quelle obbligatoriamente tassata in base al bilancio) non aveva chiesto all'ufficio tributario di essere, appunto, tassata in base al bilancio (affermazione, questa, che la commissione tributaria centrale aveva basato sull'osservazione che la Societ� predetta, prima dell'avvenuta trasformazione, gi� rivestiva, la forma di una di quelle societ� che sono obbligatoriamente tassate in base al bilancio). La ricorrente deduce che dall'art. 104 del t.u. non � desumibile un principio generale secondo cui, in difetto di esplicita richiesta del contribuente, la tassazione avvenga, in ciascun esercizio, secondo le modalit� dell'esercizio precedente, anche quando � mutata la struttura giuridica dell'impresa. (1) Conformi sono le sentenze in pari data n. 4124 e n. 4125. Decisione di evidente esattezza. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Il ricorso � fondato. La commissione tributaria centrale (sulla scia, peraltro della prevalente dottrina) ha positivamente risolto, pur se con un'affermazione soltanto implicita, il delicato problema concernente la possibilit� della trasformazione di societ� di capitali in societ� di persone; ma poich� la censura della ricorrente non investe questo specifico punto -che costituisce il presupposto del ragionamento svolto dal giudice tributario non � indispensabile affrontare il problema in questa sede, essendo la Corte chiamata solo a verificare l'esattezza, o meno, della conclusione secondo cui, avvenuta quella trasformazione, la (nuova) societ� di persone dovrebbe essere tassata in base al bilancio solo perch� lo era la (preesistente) societ� di capitali. E la risposta al quesito, come appare ovvio, pu� ben essere data anche senza la previa verifica della correttezza, o meno, della concreta risoluzione del problema di fondo. Il principio espresso dal t.u. delle imposte dirette del 1958 � che alcune societ� espressamente indicate (le societ� per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilit� limitata, le societ� cooperative e le mutue assicuratrici) devono essere tassate in base al bilancio (art. 8) e che tutte le altre societ� commerciali sono tassate in relazione alla situazione economica dell'azienda, a meno che non optino per la tassazione in base al bilancio e ne diano tempestiva comunicazione all'ufficio delle imposte (art. 104). La regola, quindi, � che queste ultime societ� devono essere tassate in base alla situazione economica dell'azienda; l'eccezione, invece, � che le stesse possono essere tassate in base al bilancio. Ma proprio perch� si tratta di un'eccezione, � necessario, per la sua applicazione, che ricorra la condizione espressamente richiesta dalla legge: e tale condizione, come si � detto, � che la decisione (interna) di avere optato per tale tipo di tassazione sia tempestivamente e formalmente comunicata (per iscritto) all'ufficio delle imposte. Di modo che, se tale condizione non si verifica, � arbitrario pretendere di individuare un sostitutivo di essa nel fatto che, prima della trasformazione, la � preesistente � societ� veniva tassata in base al bilancio. La realt� � che, in astratto, non �, per le societ� derivanti dalla tra. sformazione, n� pi� favorevole n� pi� sfavorevole essere tassate in base al bilancio. Ci� che pu� far apparire pi� favorevole, nella posizione di contribuente, la tassazione in base al bilancio, � la situazione concreta; �ed � proprio in vista di tale eventualit� che il legislatore ha concesso, a dette societ� la facolt� di optare per tale tipo di tassazione. Di modo che, esprimere come regola il principio che le societ� di persone debbano �sempre e comunque essere tassate in base al bilancio, solo perch� derivate dalla trasformazione di una (preesistente) societ� di capitali, significherebbe ignorare la possibilit� che la tassazione in base alla situazione �economica dell'azienda sia, in concreto, pi� favorevole al contribuente. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'applicabilit� di tale assurdo principio, peraltro, � stata dalla contribuente, nel caso concreto, invocata solo perch� la situazione contingente rendeva pi� favorevole la tassazione in base al bilancio, giacch� nel corso di un certo esercizio si erano verificate delle perdite; e la legge di � condono � del 1973, coordinata col disposto degli articoli 112 e 119 del t.u. riconosceva le perdite di esercizio� solo per i soggetti tassati in base al bilancio. Ma se tale era la situazione, le ragioni della contribuente avrebbero dovuto trovare appropriata tutela nello esercizio concreto della facolt� di opzione concessa dal ricordato art. 104 del t.u., non gi� nella (infondata) pretesa di ottenere che l'Ufficio interpretasse la legge facendo diventare regola quella che, invece, � soltanto eccezione. Non pertinente al tema, inoltre, � l'argomento addotto, dalla commissione tributaria centrale, per dax:e veste giuridica all'inconsistente assunto portato dalla contribuente. Quest'ultima, infatti, si era limitata a sostenere che, una volta acquisito il diritto di essere tassati in base al bilancio, lo stesso (diritto) non si perdeva per il solo fatto dell'avvenuta � trasformazione � della societ�; e proprio nell'intento di dare fondamento giuridico a una siffatta affermazione, la Commissione ha osservato che la trasformazione non comporta l'estinzione della societ� originaria e la � costituzione di una nuova societ� �, ma semplicemente pone in atto una nuova � struttura organizzativa �, in modo che � la societ� conserva tutti i suoi preesistenti di~hti e obblighi �. Ma un'argomentazione di tal genere non coglie nel segno, perch� non considera, anzitutto, che la legge tributaria, in tema di accertamento del reddito (tassabile con l'allora vigente imposta di ricchezza mobile), prescinde totalmente dal problema giuridico dell'unicit� sostanziale del soggetto e considera, invece, la posizione in cui il soggetto stesso si trova all'atto dell'accertamento; ma soprattutto non considera che se si dovesse avere riguardo solo al fatto della � unicit� � del soggetto, si finirebbe per pervenire, contra legem, all'affermazione che la societ� di capitali derivata, per trasformazione, da una societ� di persone, non avrebbe �perso il diritto� di essere tassata in base alla situazione economica dell'azienda (non gi�, quindi, in base al bilancio, come la norma prescrive). � chiaro, peraltro, che nel caso di trasformazione di che trattasi, la legge riconosce alla societ� trasformata lo stesso diritto che riconosce a tutte le �altre� (diverse da quelle elencate nell'art. 8), cio� il diritto di essere tassate in base al bilancio; ma poich� prescrive una certa modalit� di esercizio del diritto stesso, appare del tutto insufficiente il solo rilievo della sua semplice � esistenza �. Del resto, la legge di �condono� (art. 1 del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, non modificato dalla legge di conversione) dispone che nei casi di fusione o trasformazione di societ� possano essere (ai fini dell'applicazione del beneficio) presentate domande distinte per i periodi anteriori e per quelli posteriori alla fusione o trasformazione. Ed � ovvio che tale PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 925 regola tiene conto, proprio, delle diverse possibilit� di tassazione (in base al bilancio o in base alla situazione economica dell'azienda) riguardate sotto il profilo del concreto interesse del contribuente; e un tale interesse finirebbe, sicuramente, per essere disconosciuto (con riferimento alla fattispecie astratta, qui in esame) se si ritenesse che una volta rivestita la forma della societ� tassabile in base al bilancio, tale forma di tassazione debba necessariamente essere conservata, qualunque sia il tipo di trasformazione effettuata. In conclusione, perci�, deve essere affermato il principio giuridico che le societ� commerciali diverse dalle societ� per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilit� limitata, ovvero delle societ� cooperative o mutue assicuratrici, pur se derivate, per trasformazione, da una delle predette societ�, potevano, nel vigore del t.u. 25 gennaio 1958, n. 645, essere tassate in base al bilancio, ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, cat. B, unicamente nel caso che avessero optato per tale tipo di tassazione e ne avessero fatto tempestiva e formale (per iscritto) comunicazione all'ufficio delle imposte. E poich� l'impugnata decisione della commissione tributaria centrale non � informata a tale principio di diritto, la stessa deve essere cassata con rinvio. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 giugno 1983, n. 4126 � Pres. Sandulli � Est. Scanzano � P. M. Martinelli (conf.) � Ministero delle finanze (avv. Stato Azzariti) c. Soc. Esso Italiana (avv. Uckmar). Tributi erariali indiretti � Imposte di fabbricazione . Interessi su pagamento dilazionato � Art. 3-quater d.I. 6 luglio 1974, n. 251 introdotto con legge 'di conversione 14 agosto 1974, n. 346 � Entrata in vigore . Data di pubblicazione della legge di conversione. (d.l. 6 luglio 1974, n. 251, art. 3�quater; legge 14 agosto 1974, n. 346). La disposizione dell'art. 3 quater del d.l. 6 luglio 1974, n. 251, introdotto con la legge di conversione 14 agosto 1974, n. 346, che aumenta il tasso degli interessi con decorrenza " dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto � � entrato in vigore alla data di pubblicazione della legge di conversione e non nel termine normale di vacazione di quindici giorni dalla pubblicazione. (1) (1) Decisione di evidente esattezza. La formula non inconsueta usata per dare agli emendamenti in sede di conversione una decorrenza che non risale a quella deH'entrata in vigore del decreto legge, non pu� non identificarsi con la pubblicazione della legge di conversione che nella sua interezza entra in vi� gore con fa pubblicazione, a meno che non sia stabilita espressamente una decorrenza diversa. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 926 (omissis) Col primo motivo l'Amministrazione ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 3-quater d.l. 6 luglio 1974, n. 251, conv. in legge 14 agosto 1974, n. 346, e sostiene che, in tema di interessi dovuti sui pagamenti dilazionati dell'imposta di fabbricazione relativa ai prodotti petroliferi, la data di decorrenza della nuova disciplina introdotta con la citata legge di conversione del d.l. 251/74 � stabilita espressamente, con apposita norma transitoria, con riferimento all'entrata in vigore della stessa legge di conversione. Tale data -soggiunge -si identifica in quella della pubblicazione di questa legge (che, per la sua natura, non � soggetta al termine di vacatio), e, per espressa previsione normativa, acquista rilevanza indipendentemente dalla soluzione del problema relativo all'entrata in vigore degli emendamenti innovativi introdotti nel decreto-legge dalla legge che lo converte. Con il secondo motivo la detta Amministrazione denuncia altres� violazione e falsa applicazione degli artt. 73 e 77 Cost., e 3 legge 26 gennaio 1926, n. 100, e, attraverso l'analisi della giurisprudenza formatasi su quel problema, sostiene che, comunque, l'entrata in vigore dell'emendamento innovativo non pu� dissociarsi dal mome,nto in cui � convertito il decretolegge, la conversione essendo appunto voluta dal Parlamento secondo la fisionomia che il decreto-legge acquista con le modificazioni apportatevi. Soggiunge che la volont� di condizionare la conversione all'emendamento � particolarmente evidente nel caso in esame, stante il collegamento esistente tra l'aumento dell'imposta di fabbricazione ed il beneficio della dilazione, che risulterebbe ancor pi� ampliato se non vi corrispondesse -in funzione perequativa -un aumento del tasso. di interesse. Rileva inoltre la ricorrente che, in tale situazione, la norma transi toria contenuta nell'emendamento di cui si tratta serve ad escludere espressamente che questo abbia lo stesso effetto retroattivo della legge di conversione. Trae infine conforto, alla tesi sostenuta, dall'art. 3 della legge 3 gennaio 1926, n. 100, la quale -sostiene -� sopravvissuta all'ar ticolo 10 delle disposizioni sulla legge in generale e non � in contrasto con l'art. 73 Cost. Alle censure cos� riassunte la Esso Italiana obietta essenzialmente che gli emendamenti innovativi sono oggetto di produzione normativa nuova ed autonoma e che, dovendosi ritenere abrogato l'art. 3 della legge 26 gennaio 1926, n. 100, il problema della loro entrata in vigore va risolto secondo il principio generale di cui agli artt. 10 preleggi e 73 Cost. Osserva altres� che il riferimento dell'art. 3-quater in esame all'en trata in vigore della legge di conversione non denota chiaramente una volont� l�gislativa di sottrarre la norma di emendamento al principio generale di cui sopra: e ci�, sia perch� la norma stessa � dettata per la prima applicazione della legge, sia perch� un problema di entrata in vigore (in senso proprio) non si pone per la pura e semplice legge di con PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIB�TARIA versione, sia perch�, infine -ove tale problema si ponesse -la soluzione non potrebbe prescindere dal dettato dell'art. 73 Cost: Il ricorso dell'Amministrazione � fondato. L'art. 2 legge 393/1968, nel testo originario, demandava al Ministr:o per le finanze, di concerto con i Ministri del bilancio e del tesoro, la facolt� di accordare una dilazione per il pagamento dell'imposta di fab:r� bricazione e dell'IGE sui prodotti petroliferi, e di fissare il saggio degli interessi da corrispondersi dalle imprese ammesse al beneficio. La detta disposizione, gi� modificata con l'art. 5 bis del d.l. 29 settembre 1973, n. 578, � stata modificata uletriormente con l'art. 3 quater introdotto, quale emendamento innovativo, nel d.l. 14 agosto 1974, n. 346. L'articolo da ultimo citato, dopo avere fissato i termini della dilazione ed il parametro per la determinazione del saggio degli interessi, dispone che, in sede di prima applicazione della nuova disciplina, il Ministro per le finanze dovr� prevedere � che il nuovo livello del saggio d'interesse dovuto per la maggiore dilazione si applichi sui versamenti effettuati a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto�. Poich� tale legge � stata pubblicata il 14 agosto 1974 e poich� a tale data il Ministro per le finanze ha fatto riferimento per la decorrenza del nuovo saggio degli interessi, si tratta di stabilire se per data di � entrata in vigore della legge di conversione � debba considerarsi quella dianzi indicata od invece -come vorrebbe la Esso Italiana e come ritenuto dalla Corte di merito -la data del successivo primo settembre in cui scadeva il periodo di vacatio previsto dall'art. 73 Cost. Il problema � stato gi� risolto nel primo senso da questa Corte con sentenza 13 dicembre 1980, n. 6448 e n. 2299/1983. Tale soluzione � condivisa dal Collegio; ed � la sola che consenta di dare un valore all'espressione adoperata dalla legge. Le problematiche -su cui indugiano le parti -relative alla natura della legge di conversione ed ai tipi degli emendamenti da essa introducibili nel decreto-legge hanno scarsa rilevanza di fronte al preciso tenore della disposizione che interessa; la quale, ai fini della decorrenza del nuovo saggio, fa riferim~nto non all'entrata in vigore dell'emendamento con essa introdotto, ma all'entrata in vigore della legge di conversione, da considerarsi, pertanto, in s�. Pu� esser vero che l'entrata in vigore di una legge di conversione significa in realt�, e solo, stabilizzazione della forza vincolante del decretolegge, e che quindi, riguardo ad essa legge, un problema di entrata in vigore pu� porsi tecnicamente solo per gli emendamenti innovativi da essa introdotti. Ma tale assunto non giustifica la soluzione accolta dalla Corte torinese e sostenuta dalla controricorrente. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 928 Se, invero, fosse esatto -come postula la tesi della Esso Italiana che con l'espressione controversa l'art. 3-quater della legge 346/1974 intendesse riferirsi all'entrata in vigore dell'emendamento e che questo sia soggetto alla vacatio, la detta espressione verrebbe a risultare palesemente superflua, perch� verrebbe a significare, in definitiva, che l'emendamento diventa obbligatorio quando entra in vigore. E non pu� pensarsi che il legislatore sentisse il bisogno di una simile precisazione. D'altronde non pu� negarsi che il concetto di �entrata in vigore� sia pertinente anche con riferimento ad una pura e semplice legge di conversione, . sia pure nel limitato senso di derivarne il dato della stabilizzazione degli effetti del decreto-legge. E poich�, data la retroattivit� di tali effetti, non sarebbe concepibile un vuoto normativo, quale deriverebbe -nel caso di legge di conversione pubblicata, ad esempio, nel sessantesimo giorno dalla data del decretolegge -dalla pretesa vacatio di tale legge, � necessario ritenere che questa entrava in vigore all'atto della sua pubblicazione. Allora, rapportare la data di efficacia di un emendamento innovativo alla data di entrata in vigore della legge di conversione -come fa l'art. 3-quater in esame significa che la disposizione contenente l'emendamento � applicabile dalla data di pubblicazione di tale legge, e che quindi, nel caso che ne occupa, era immediatamente operante la delega al Ministro per le finanze a determinare il nuovo saggio di interesse con decorrenza da quella data. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 luglio 1983, n. 4470 -Pres. Brancaccio Est. Ruggiero -P. M. Catelani (conf.) -Credito fondiario provincie lombarde (avv. Vitale) c. Ministero delle finanze (avv. Stato Laporta). Tributi erariali indiretti -Imposte in surrogazione del bollo e del regi-. stro -Credito a medio e lungo termine -Regime sostitutivo -Contrat� to condizionato di mutuo -Risoluzione consensuale -Applicabilit�. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 15). Il regime tributario agevolato per il credito a medio e lungo termine abbraccia, secondo l'amplissima definizione legislativa, tutte le operazioni compiute da un istituto o azienda di credito per una durata superiore a diciotto mesi; rientra pertanto nella previsione il contratto condizionato di mutuo consensualmente risolto prima dell'erogazione del finanziamento. (1) (1) Ripetendo in parte quanto gi� precedentemente affermato (Cass., 10 luglio ,1979, n. 3955, in questa Rassegna, '1980, I, 176) si dilata il regime sostitutivo fino a comprenderv�i atti che non hanno realizzato il fine del credito a medio PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 929 (omissis) Con il primo motivo del ricorso, il Credito fondiario, denunciando la violazione degli artt. 15 e 16 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 e 1321 cod. civ. in riferimento all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., deduce che nell'interpretazione e ricostruzione della concreta disciplina e della ratio della normativa tributaria in questione, diretta ad agevolare un particolare tipo di attivit� creditizia, in s� consi~erata, a prescindere dalla qualit� dei soggetti destinatari del credito, erroneamente la commissione tributaria centrale avrebbe escluso dal regime agevolato la cancellazione d'ipoteca iscritta a seguito di contratto condizionato di mutuo, per il motivo che il detto contratto, nella specie, era stato poi consensualmente risolto per avere il mutuatario rinunciato all'effettiva erogazione della somma accordatagli. In tal modo il giudice tributario non avrebbe considerato che, ai sensi dell'art. 15 del d.P.R. n. 601 del 1973, tutti rgli atti portanti concessione, modificazione o estinzione di un rapporto di finanziamento a medio o lungo termine, posti in essere da aziende o istituti di credito o loro gestioni o sezioni, autorizzati a tali operazioni in virt� di disposizioni legislative, statutarie o amministrative, e tutti gli atti e formalit� riguardanti la costituzione delle relative garanzie e le loro successive vicende, sono esenti dalle imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali, per essere soggetti d'imposta sostitutiva in abbonamento; e nella specie, poich� non poteva dubitarsi che il contratto condizionato di mutuo avesse dato luogo ad un rapporto giuridico di finanziamento a lungo termine, il regime agevolato doveva applicarsi, indipendentemente dalle vicende relative alla concreta esecuzione del contratto, a tutti gli atti e formalit� ad esso inerenti, compresi l'atto di risoluzione consensuale e la conseguente cancellazione dell'ipoteca, che attenevano all'estinzione del rapporto medesimo. La censura � fondata. Con gli artt. 15 e seguenti del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, recante� norme sulla disciplina delle agevolazioni tributarie ed emanato in attuazione della legge delega sulla riforma tributaria n. 825 del 1971, � stato sostanzialmente confermato, con gli opportuni adattamenti, precisazioni e modificazioni, il trattamento tributario per il settore del credito a medio e lungo termine, gi� in precedenza disciplinato dalla legge 22 luglio 1962, n. ,1228. L'art. 15, in particolare, stabilisce che �le operazioni relative ai finanziamenti a medio e lungo termine e tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalit� inerenti alle operazioni medesime, alla loro esecuzione, modificazione ed estinzione, alle garanzie di qualunque tipo da e lungo termine. Ora se � vero che pu� ritenersi compatibile con la durata minima della operazione la risoluzione per inadempimento, sembra dubbio che possano beneficiare del regime sostitutivo tutti gli atti di un mutuo condizionato risoluto consensualmente prima della maturazione del termine e senza che sia stata attuata l'operazione di credito. 930 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO chiunque e in qualsiasi momento prestate e alle loro eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e canceilla:zfoni, anche parziali, ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione a tali finanziamenti, effettuate da aziende e istituti di credito e da loro sezioni o gestioni che esercitano, in conformit� a disposizioni legislative, statutarie o amministrative, il credito a medio e lungo termine, sono esenti dall'imposta di registro, dall'imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali, o dalle tasse sulle concessioni governative �, precisando, al successivo terzo comma, che � agli effetti di questo articolo si considerano a medio e lungo termine le operazioni di finanziamento la cui durata contrattuale sia stabilita in pi� di diciotto mesi�. Ai sensi, poi, dei successivi artt. 17 e 18, in luogo delle imposte escluse per le operazioni e gli atti suddetti, gli enti sopraindicati sono soggetti ad un'imposta sostitutiva in abbonamento, in ragione dello 0,75 per cento dell'ammontare complessivo dei finanziamenti erogati in ciascun esercizio. Come si rileva dalla riportata normativa, l'applicazione del regime tributario agevolato � subordinata a due presupposti: l'uno, di carattere oggettivo, che ricorre quando si � in presenza di una � operazione � di finanziamento a medio e lungo termine, con un'espressione legislativa di ampia latitudine che ha riguardo solo al contenuto ed alle finalit� dell'operazione medesmia, qualunque possa essere, cio�, la forma e la struttura giuridica che esso assume nei singol� casi, richiedendosi soltanto che le parti abbiano contrattualmente stabilito una durata della stessa superiore a diciotto mesi (cos� ridotta la durata minima di tre anni precedentemente stabilita nella disciplina della legge n. 1228 del 1962); l'altro, di carattere soggettivo, secondo il quale l'operazione deve essere compiuta da un istituto o azienda di credito, o una sua sezione o gestione, in conformit� delle disposizioni legislative o amministrative che concernono tali istituti, e dei relativi statuti. In presenza degli indicati presupposti, il beneficio si estende, secondo l'amplissima previsione della legge, a �tutti� i provvedimenti, atti, contratti e formalit� inerenti alle predette operazioni ed alla loro esecuzione, modificazione ed estinzione, nonch� alle garanzie di qualunque tipo e da chiunque prestate ed alle loro eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni, anche parziali, essendo, pertanto, sufficiente ai fini dell'esenzione, un rapporto di �inerenza�, vale a dire di strumentalit� di un atto, contratto o formalit� rispetto all'operazione di finanziamento a medio o lungo termine, alle sue garanzie, ed alle vicende delle stesse (cfr. Cass., n. 3955 del 1979 e n. 944 del 1971). Per quanto riguarda, in particolare, il presupposto oggettivo dell'agevolazione (non essendo qui in discussione la sussistenza del presupposto soggettivo), questa Suprema Corte ha pi� volte avuto modo di precisare, nel vigore della precedente legge n. 1228 del 1962, che il beneficio spetta PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA per il solo fatto che nel contratto le parti abbiano pattuito una durata del rapporto di finanziamento superiore a quella minima stabilita dalla legge, rimanendo irrilevanti possibili eventi successivi modificativi del termine, di modo che il beneficio non � escluso se, in applicazione delle ordinarie norme del codice civile in tema di inadempimento alla cui disciplina il negozio rimane pur sempre soggetto, o in virt� di particolari clausole contrattuali, il rapporto venga ad essere anticipatamente risolto (cfr. Cass., nn. 439 del 1972, 2891 e 2191 del 1971), sempre che tale anticipata risoluzione sia collegata a circostanze di fatto obiettivamente accertabili, e non rimessa al mero arbitrio dell'Istituto mutuante (cfr. Cass., nn. 826 del 1974, 937 del 1973, 3155 del 1971). Nella specie, � intervenuto un contratto condizionato di mutuo, stipulato ai sensi dell'art. 16 del testo unico delle leggi sul credito fondiario, approvato con r.d. 16 luglio 1905, n. 646, in base al quale � stata iscritta l'ipoteca; successivamente il contratto � stato consensualmente risolto dalle parti, senza che fosse stipulato il contratto definitivo e consegnata al mutuatario la somma oggetto del finanziamento, e l'ipoteca, sull'assenso dell'istituto, � stata cancellata. Orbene, qualunque sia la natura e la configurazione giuridica che possano attribuirsi al cosiddetto contratto condizionato di mutuo di cui alla legge sul credito fondiario (se contratto preliminare, o contratto sospensivamente condizionato, ovvero elemento di fattispecie negoziale a formazione progressiva), � fuori discussione, ai fini che qui interessano, che esso attiene ad una tipica operazione di finanziamento a lungo termine, essendo anzi prescritto dalla legge come atto necessario dell'operazione medesima, per assicurare all'istituto mutuante il conseguimento della prima ipoteca; n� � da dubitarsi che esso abbia gi� dato vita tra le parti ad un rapporto giuridico di finanziamento, poich�, con l'avvenuta iscrizione della prima ipoteca, il mutuatario ha pieno diritto di usufruire del finanziamento concessogli, e non � pi� in facolt� dell'istituto di stipulare o non il contratto definitivo e di erogare o non il mutuo e d'altra parte non sarebbe nemmeno concepibile l'iscrizione di un'ipoteca senza un rapporto obbligatorio da garantire. Il detto contratto, rientra certamente nel trattamento tributario age volato di cui agli art. 15 e seguenti del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 (ed in precedenza della legge n. 1228 del 1962), e con esso, di conseguenza, in base al chiaro disposto della legge, vi rientrano tutti gli atti relativi delle vicende del rapporto posto in essere, e tutti gli atti e formalit� attinenti alla costituzione delle relative garanzie ed alle successive vicende di que ste ultime, e quindi, nella specie, anche l'annotamento di cancellazione dell'ipoteca iscritta in base al contratto. Il fatto che la cancellazione sia avvenuta a seguito della risoluzione consensuale del contratto condizionato, senza che il mutuatario abbia 932 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO effettivamente usufruito della somma oggetto del finanziamento concessogli, non pu� assumere rilievo ai fini dell'agevolazione, poich� la circostanza attiene soltanto alle concrete modalit� di svolgimento del rapporto sorto in dipendenza del contratto, ma non incide sull'oggetto giuridico proprio del contratto stesso, n� ha fatto venire meno, non dipendendo dalla mera discrezione dell'istituto, l'obiettiva strumentalit� di esso rispetto ad un'operazione di finanziamento a lungo termine, che costituisce l'elemento necessario, ma sufficiente, richiesto dalla legge per l'applicazione del regime tributario di favore, non limitato al solo contratto, ma esteso a tutti gli atti che si riferiscono all'esecuzione, modificazione ed estinzione del rapporto che ne deriva, e dalle relative garanzie. Nella stessa legge, peraltro, � dato rilevare anche un elemento testuale da cui pu� evincersi che la concreta erogazione della somma finanziata non � essenziale alla configurazione dell'operazione di finanziamento a medio e lungo termine, e non costituisce un presupposto necessario per l'applicazione del relativo frattamento tributario, laddove all'art. 18 del d.P.R. n. 601 del 1973, dopo avere stabilito che l'imposta sostitutiva (delle imposte di registro, bollo, ipotecarie e catastali) si applica sull'ammontare complessivo dei finanziamenti erogati dall'istituto in ciascun esercizio, si aggiunge che per i finanziamenti fatti mediante aperture di credito in conto corrente si tiene conto � dell'ammontare del fido �, avendosi, cio�, riguardo alla somma che l'istituto finanziatore si � obbligato a tenere a disposizione del beneficiario per la durata del finanziamento, indipendentemente dalla sua effettiva utilizzazione e dalla misura di essa. La decisione impugnata, che non si � attenuta ai princ�pi esposti, dando rilievo ad una circostanza estranea ai presupposti legali dell'agevolazione, deve essere di conseguenza cassata, con rinvio alla stessa commissione tributaria centrale. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 luglio 1983, n. 4527 -Pres. Brancaccio Est. Battimelli -P. M. Zema (conf.) -Ranocchini (avv. Romanelli) c. Ministero delle finanze (avv. Stato Salimei). Tributi erariali indiretti -Imposte doganali -Ingiunzione . Motivazione � Requisiti. Tributi erariali indiretti � Imposte doganali � Correzione della liquidazione � Applicazione di una diversa voce di tariffa � Ingiunzione � Legittimit� � Revisione dell'accertamento � Non necessaria. L'ingiunzione � sufficientemente motivata quando contenga elementi tali da porre il contribuente in grado di conoscere l'ammontare e la causale ~ 1:: 1:: 1:: B f.: i:~ ~~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 933 del pagamento richiesto; in particolare non � necessaria l'indicazione delle ragioni giuridiche sulle quali la pretesa si basa. (1) Nelle imposte doganali la revisione dell'accertamento � necessaria solo per far valere una nuova pretesa fondata su una diversa quantificazione della merce in relazione alla sua intrinseca natura; quando invece, ferma restando l'identificazione della merce nelle sue componenti merceologiche essenziali, si ritenga di dover applicare una diversa voce della tariffa si pu� procedere direttamente con l'ingiunzione. (2) (omissis) Il primo motivo di ricorso, con il quale si sostiene l'illegittimit� dell'ingiunzione in quanto emessa senza una valida motivazione della pretesa azionata, va disatteso. Come � giurisprudenza consolidata di questa Corte, invero, seppure l'ingiunzione fiscale, al pari di qualsiasi atto amministrativo, deve essere adeguatamente motivata, non � necessario che la motivazione sia contestuale ed esplicita in ogni dettaglio, essendo sufficiente che essa contenga elementi tali da porre il contribuente in grado di conoscere la causale e l'ammontare del pagamento richiesto, ossia gli elementi essenziali della pretesa fiscale che lo pongano in condizione di contestare la validit� di detta pretesa cos� sull'an che sul quantum. Nel caso di specie, � pacifico che nell'ingiunzione erano indicate dettagliatamente le varie bollette in relazione alle quali la pretesa fiscale era esplicata, con indicazione, per ciascuna di esse, c\ell'ammontare della maggiore imposta pretesa, nonch� della causale dell'imposizione, indicata nell'erronea applicazione di tariffa, ossia nell'applicazione, alla merce cui ciascuna bolletta si ri~eriva, di una voce di tariffa invece di un'altra; e ci� era sufficiente per consentire al contribuente di contestare la pretesa, esponendo le ragioni per cui fosse da ritenersi esatta l'applicazione alla merce, cos� come identificata, della voce di tariffa applicata. L'omessa indicazione della diversa voce di tariffa da applicarsi, secondo l'imposizione suppletiva, non era infatti tale da impedire una valida difesa nel giudizio di opposizione, sia perch�, attraverso l'indicazione, contenuta nell'ingiunzione, della diversa maggiore imposta che la dogana riteneva poter riscuotere, era possibile identificare la diversa voce di tariffa applicabile, secondo la dogana, alla merce importata (e confutare quindi sotto tale profilo la pretesa), sia perch� anche in corso di giudizio, una volta sostenuta, con l'atto di opposizione, la legittimit� dell'originaria (1-2) Della prima massima, da condividere pienamente, va particolarmente sottolineata la irrilevanza della motivazione in diritto che non � mai essenziale nell'atto di accertamento. La seconda massima, che integra la prima e ne ripete il fondamento, � pacifica (Cass., 116 febbraio 1982, n. 957, in questa Rassegna, 1982, I, 581; 11 ago sto 1982, n. 4521, ivi 1983," I, 363). RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO imposizione in relazione al tipo di merce e alla voce di tariffa applicata al momento dell'importazione, spettava all'amministrazione eccepire la legittimit� di una diversa imposizione in base ad una diversa voce di tariffa, con conseguente ulteriore possibilit�, per l'opponente, di contestare tale pretesa in base a semplici valutazioni interpretative delle varie voci di tariffa; n� a ci� poteva ostare alcuna preclusione in relazione ad attivit� istruttorie (non necessarie per un'attivit� difensiva del genere), o in relazione ad ipotizzabili tardive modificazioni della domanda. La successiva contestazione della pretesa tributaria, una volta che fosse stata precisata in giudizio la voce di tariffa su cui era fondata l'imposizione suppletiva, invero, non poteva essere considerata come tardiva modificazione dell'originaria domanda (che sarebbe pur sempre restata immutata nell'essenza -dichiarazione di illegittimit� della pretesa fiscale per erronea applicazione di una voce di tariffa diversa da qqella originariamente applicata), costituendo semplicemente una nuova argomentazione difensiva in confutazione di una eccezione della controparte. Del pari � infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si sostiene che la pretesa fiscale non avrebbe potuto essere esplicata senza previo esperimento della procedura di revisione. Premesso che nella specie non rileva il fatto che si sia fatto richiamo, nella motivazione dell'ingiunzione, alle disposizioni del d.P.R. n. 43 del 1973, posteriore alle operazioni di importazione per cui � causa, in quanto, sul punto, detta normativa in nulla differisce da quella del d.P.R. 2 febbraio 1970, n. 62, indubbiamente applicabile nel caso di specie (trattandosi di operazioni di importazione avvenute successivamente all'entrata in vigore di quest'ultimo decreto), basta rilevare, come gi� correttamente ha fatto la sentenza qui impugnata (e come � giurisprudenza consolidata di questa Corte) che la revisione dell'accertamento � necessaria solo ai fini dell'applicazione di una nuova pretesa fiscale fondata su di una diversa qualificazione delle merci importate in relazione alla loro intrinseca natura. � necessario, cio�, prima ancora di rivedere l'esattezza o meno dell'applicazione di una voce di tariffa rispetto ad altra, che sia posta in contestazione la descrizione e la qualificazione della merce, attraverso nuove operazioni di esame e descrizione della merce stessa: qualora, invece, ferma restando l'identificazione della merce in tutte le sue componenti merceologiche essenziali e sufficienti ai fini dell'applicazione della tariffa, si ritenga dalla dogana di dover applicare alla merce, cos� come gi� descritta e qualificata, una voce di tariffa diversa, non � necessario alcun procedimento di revisione, in quanto sorge controversia unicamente sulla riconducibilit� della merce, non di~ versamente qualificata, sotto una voce di tariffa al posto di un'altra: questione, questa, alla cui soluzione non � necessaria alcuna indagine materiale da espletarsi sulla merce, ma unicamente un'attivit� interpretativa del disposto della tariffa, sul presupposto di un errore di interpretazione PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 935 ,e applicazione iniziale. In un caso del genere, bene � possibile azionare direttamente la pretesa fiscale attraverso l'ingiunzione, essendo le relative contestazioni conseguenti, in caso di opposizione, perfettamente risolvibili attraverso una mera indagine interpretativa di accertamento o meno di un errore iniziale di applicazione della tariffa, senza la necessit� di procedere a nessun accertamento concreto sulla merce importata. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 luglio 1983, n. 4531 -Pres. Sandulli Est. Zappulli -P. M. Silocchi (conf.) -Ministero delle finanze (avv. Stato Dipace) c. Giagnoli. Tributi locali -Imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili -Rettifica del valore finale -Adeguamento del valore iniziale dichiarato da parte dell'ufficio o del giudice -Esclusione � Impugnazione del contribuente -Aumento del valore iniziale dichiarato -Am� missibilit� � Limiti. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 2, 6 e 18). Tributi in genere � Dichiarazione -Effetti � Rettifica a favore del contribuente � Esclusione. Ai fini della determinazione dell'imponibile dell'INVIM, nel caso di accertamento di un maggior valore finale dell'immobile non si deve riconoscere necessariamente un aumento del valore inizial.e rispetto a quello dichiarato n� possono l'ufficio tributario o la commissione tributaria di propria iniziativa modificare in aumento il valore dichiarato. Tuttavia il contribuente, impugnando l'accertamento del valore finale, pu� domandare di rettificare il valore iniziale quando dimostri un suo giustificabile errore e purch� non sia ridotto l'imponibile differenziale risultante dalla dichiarazione originaria. (1) La dichiarazione tributaria serve di base alla liquidazione dell'imposta e non pu� essere rettificata a vantaggio del contribuente. � tuttavia consentito al contribuente dedurre innanzi alla commissione l'errore nella determinazione del valore ove ci� sia giustificato da particolari ragioni (come nel caso della determinazione di un valore, anteriore di oltre un decennio, ai fini dell'imponibile INVIM) e semprech� la rettifica della dichiarazione non comporti riduzione dell'imponibile gi� riconosciuto. (2) (1-2) Considerazioni sugli effetti della dichiarazione. La sentenza confermata da altra di eguale contenuto 13 settembre 1973, n. 5547, supera per interesse i confini del problema specifico. � di elementare evidenza l'esattezza della prima parte della pronunzia ove si esclude un automatico trascinamento del valore iniziale del bene trasferito quando venga aumentato il valore finale; i due valori devono rispondere oggettivamente al valore di mercato ed � quindi del tutto normale che ne venga RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 936 (omissis) Il Ministero ricorrente ha lamentato, con l'unico motivo del ricorso, la violazione nella decisione impugnata, degli artt. 2, 6, 18, 19 e 20 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, per avere la commissione tributaria� centrale erroneamente affermato che, nell'accertamento dell'imponibile per l'INVIM di cui a quel decreto, qualsiasi modificazione in aumento del valore finale importa necessariamente una analoga variazione in aumento di quello iniziale, effettuata anche d'ufficio, perch� altrimenti ne sarebbe turbato il rapporto di omogeneit� tra gli elementi costitutivi della base imponibile. Ha sostenuto l'Amministrazione Finanziaria che tali affermazioni contrastano con le norme predette, operando � un vero e proprio stravolgimento del sistema impositivo � per essere diretta l'imposta a colpire quell'incremento di valore attraverso un calcolo differenziale sulla base delle dichiarazioni dei contribuenti, suscettibili di rettifica da parte degli uffici in sede di accertamento. Il motivo � fondato in quanto l'affermazione contenuta nella decisione impugnata sul collegamento necessario tra l'aumento apportato nell'accertamento dal giudice tributario sul valore finale e quello del valore iniziale non pu� essere condiviso nella sua assolute~za perch� � in contrasto con le norme di legge relative alla determinazione dell'imposta in questione. Infatti, una volta riconosciuto il principio, riportato pure in rettificato uno soltanto, senza dire che il valore iniziale dichiarato, nel caso che non sia gi� predeterminato, potrebbe essere rettificato in diminuzione. Maggiore interesse la sentenza suscita per ci� che concerne il problema della dichiarazione, bench� non affrontato in modo diretto. Sull'argomento possono dalla sentenza estrarsi le seguenti affermazioni di portata generale: a) la dichiarazione offre all'ufficio una base sicura per la liquidazione dell'imposta (principale), si ch�� l'ufficio non solo non deve ma non pu�, salve ovviamente le facolt� di rettifica, assumere come base imponibile valori diversi da quelli dichiarati; b) l'ufficio tributario non pu� rettificare la dichiarazione a favore del contribuente; c) il giudice tributario non pu�, d'ufficio, ridurre l'imponibile dichiarato. Con riferimento �alla questione pi� specifica si � ancora affermato; d) la possibilit� per il contribuente di mqdificare la dichiarazione � eccezionale (si giustifica per il valore anteriore di oltre un decennio, ma non per il valore attuale); e) la modificazione della dichiarazione � possibile solo deducendo un giustificato errore innanzi alla commissione; f) la modificazione della dichiarazione quanto al valore iniziale � ammessa solo a seguito dell'accertamento dell'ufficio del maggior valore finale (e quindi della maggiore differenza) ma solo se non risulti diminuito il valore differenziale riconosciuto originariamente con la dichiarazione. Tutte queste precisazioni sono molto importanti al fine di definire la natura, ancora assai controversa, della dichiarazione. L'argomento � stato da me esaminato in una precedente nota (Osserva zioni sulla natura giuridica della dichiarazione tributaria, in questa Rassegna, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 937 quella decisione, per il quale l'incremento imponibile risulta dal raffronto tra i valori ipiziale e finale del bene trasferito con adozione di un criterio di semplice calcolo aritmetico attraverso una sottrazione, l'affermazione sulla necessaria variazione di uno di quei termini di raffronto in conseguenza di quello dell'altro, attraverso una forma di obbligatorio � trascinamento �, di per s�, esclude proprio il raffronto suddetto e l'operazione di sottrazione indicata, cambiandone senza ragione il termine minore. Quel sistema viola le norme degli art. 2 e 6 del citato d.P.R. n. 643 del 1972 perch� per il primo di quegli articoli �l'incremento di valore degli immobili... � soggetto all'imposta � t: per il secondo esso � � costituito dalla differenza fra il valore dell'immobile alla data nella quale si verificano i presupposti... ed il valore, aumentato delle spese indicate nel successivo art. 11 che l'immobile aveva alla data dell'acquisto ovvero della precedente tassazione �. Ci� dimostra che il procedimento logico-giuridico per la determinazione dell'imponibile deve muovere da due determinazioni di valore autonome, pur se riferentisi allo stesso bene, relative alle due date terminali con successivo calcolo della differenza. Pertanto, nulla esclude che una sola delle due valutazioni possa formare oggetto di rettifica e di contestazione senza che l'altra pienamente autonoma, ne sia coinvolta. � tra i due valori cos� considerati che deve effettuarsi �l raf 1980, I, 361) che sembra ricevere molte conferme dalla sentenza ora inter� venuta. La giurisprudenza successiva a quella menzionata nella detta nota � stata piuttosto oscillante. � stato riconfermato che la dichiarazione non ha natura confessoria e va considerata una dichiarazione di scienza, che ha soltanto funzione di portare a conoscenza dell'Amministrazione gli elementi sui quali si fonda la obbli� gazione, pur ammettendo che dalla dichiarazione possono ricavarsi elementi pl'esuntivi utili, in mancanza di prova contraria, per sostenere l'accertamento (Cass., 6 marzo 1980, n. ,1500, in questa Rassegna, .1981, I, 125); ed � stato rite� nuto che la dichiarazione pu� essere corretta e integrata, anche in sede d� ricorso contro il ruolo formato sulla base della dichiarazione, avendo questa natura di mera informazione per l'ufficio (Cass., 17 novembre 1981, n. 6095, ivi 1982, I, 7&1) ed anche che la dichiarazrl.one � non consapevolmente inesatta � pu� essere rettificata dal contribuente posto che essa dovrebbe essere rettificata autonomamente dall'ufficio anche a favore del dichiarante (Cass., 16 febbraio 1982, n. 952, ivi, 1982, I, 799). Parallelamente per� si � anche affermato che la dichiarazione comporta il riconoscimento dell'obbligazione tributaria, a meno che il dichiarante non abbia contestualmente affermato che il reddito dichiarato non � tassabile (Cass., 24 gennaio 1980, n. 579, ivi, 1980, I, 815), che detto effetto di riconoscimento va attribuito anche alla dichiarazione presentata in vista di un beneficio (nella specie condono) poi non realizzatosi (Cass., 19 febbraio 1980, n. 1218, ivi, 823) che l'iscrizione a ruolo sulla base della dichiarazione � definitiva e non � travolta dal successivo riconosoimento della spettanza di una agevolazione (Cass., 21 ottobre 1981, n. 5506, ivi, 1982, I, 780), che infine sia la dichia 938 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO fronto, dal quale si possa dedurre la �differenza� imponibile, mentre non si pu� inversamente sottrarre al valore maggiore quell'imponibile diversamente calcolato per modificare necessariamente il valore posto come iniziale. Cambiano, in quel modo, i termini del raffronto e dell'operazione aritmetica. Peraltro, pur affermandosi questo principio fondamentale in conformit� alle norme citate, non pu� non considerarsi l'ipotesi, posta in rilievo da varie decisioni della commissione tributaria centrale e dalla stessa nota 7 novembre 1971, n. 12187/7488 del Ministero delle finanze, citata nella decisione impugnata, in cui (in ordine alla denunzia prevista dall'art. 18) il valore iniziale sia stato erroneamente indicato in misura minore con danno per il contribuente, senza che vi sia stata rettifica per esso da parte dell'ufficio finanziario mentre sia stato rettificato l'altro valore, e cio� quello maggiore all'epoca dell'applicazione dell'imposta, in corrispondenza ai prezzi del mercato edilizio. In tal caso, � evidente che l'ufficio finanziario non ha l'obbligo di procedere, a proprio svantaggio, ad un'analoga rettifica del valore iniziale denunziato dal contribuente, n� la commissione tributaria pu� procedere ad un raffronto fra termini diversi da quelli indicati secondo le norme di legge. razione sia il ricorso giurisdfaionale costituiscono riconoscimento dell'obbliga� zione e impediscono che l'ufficio o la commissione possono determinare valori � inferiori a queUi riconosciuti (Cass., 29 aprile 1982, n. 2691, ivi, .1982, I, 958). La sentenza ora intervenuta ha preso una posizione netta. Innanzi tutto la dichiarazione stabilisce la base per la liquidazione della imposta (principale) ed esonera l'ufficio, salvo maggiore accertamento, da qualunque onere di verificare la rispondenza di essa all'effettivo presupposto; l'ufficio non ha il dovere, ma non ha nemmeno il potere, di rettificare la dichiarazione a vantaggio del dichiarante; egualmente il giudice tributario non pu� d'ufficio ridurre la base imponibile. Se ne pu� agevolmente dedurre che la dichiarazione � ordinariamente vin colante ed irrevocabile e dispensa il creditore dall'onere di provare il rapporto fondamentale (art. 1988 cod. civ.). Ma dalla sentenza risulta ancora che l'eccezionale ammissibilit� della mo difica della dichiarazione pu� essere giustificata (oltre che da un errore mate riale e da una erronea applicazione della norma tributaria) dalla deduzione innanzi alla commissione di un � giustificato errore �. Ma questo errore viene inteso in senso restrittivo (con riferimento all'INVIM, in quanto dipendente dalla difficolt� di stabilire un valore, iniziale, anteriore di oltre un decennio, ma si esclude che possa invece giustificarsi un errore nella determinazione del valore attuale) e semprech�, in relazione al meccanismo dell'INVIM, non risulti diminuito il valore differenziale riconosciuto originariamente con la dichiarazione. Dunque il giustificato errore deducibile innanzi al giudice non � altro che l'errore essenziale e riconoscibile. Tutto questo riconferma chiaramente che la dichiarazione � un negozio . If:~ :-: di ricognizione del debito. .......,~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 939 In tale situazione, non pu� condividersi la spiegazione data, oltre che in quella in esame, in altre decisioni della commissione tributaria centrale (11 aprile 1980, n. 1179; 6 aprile 1979, n. 967; 17 novembre 1978, n. 4131; 27 ottobre 1977, n. 2473), secondo le quali il valore iniziale dichiarato dal contribuente pu� essere elevato di ufficio dal giudice amministrativo quando viene aumentato quello finale per essere omognei gli stessi in quanto inseriti in un contesto unitario poggiato sulla loro differenza. Invero, esclusa l'esistenza di una qualsiasi norma che consenta di prendere a raffronto valori diversi da quelli sopra indicati, e di rettificare a favore del contribuente le sue dichiarazioni, la dedotta omogeneit� pu� ravvisarsi solo nell'identit� del bene e nell'esigenza di applicare per entrambi i termini il comune criterio di valutazione dato dal mercato edilizio nelle rispettive epoche. Ne � da trascurare che quella omogeneit�, per volont� evidente del legislatore, non pu� estendersi alle diverse caratteristiche che abbia assunto l'immobile negli anni intercorsi, sia per mutamenti di destinazione e strutture di esso stesso sia per particolari valorizzazioni della zona di cui fa parte: sono proprio queste, infatti, le variazioni che, insieme alla svalutazione monetaria, hanno dato luogo e origine agli aumenti di valore che si son voluti sottoporre all'imposta. Tuttavia, non pu� negarsi che un estremo rigore al riguardo produrrebbe serie ingiustizie, tali da essere rilevanti anche sul piano della legittimit� costituzionale in relazione alla norma dell'art. 53 della Costitu- Gi� molti anni addietro le Sezioni Unite con una memorabile sentenza che, in dissenso con la Corte costituzionale, affermava la natura giurisdizionale delle commissioni (20 giugno 1969, n. 2175, in questa Rassegna, ,1969, I, 538) affermarono che Ǐ assolutamente fuori del sistema giuridico, e si muove nel campo metagiuridico� l'opinione che il contribuente nei confronti dell'Amministrazione si trovi in una posizione di collaborazione nella attivit� amministrativa e, parallelamente, � non si pu� forzare il concetto della imparzialit� della pubblica amministrazione fino a sostenere che essa � priva di capa� cit� di interesse nella sua stessa funzione... e in grado di garantire al contri� buente l'esatta applicazione de11a legge�. In sostanza contribuente e Amministrazioni sono le due parti contrapposte di un rapporto giuridico di diritto soggettivo e non si pu� affermare che lAmministrazione non possa e non debba comportarsi come un creditore di fronte al soggetto privato che fa vale!'e con tutti i mezzi i suoi diritti. Sono cio� prive di concretezza quelle aspirazioni alfa riaffermazione esasperata del principio di legalit�, di cui si sente una eco anche nella ,sentenza in esame, che, con un aggancio all'art. 53 Cost., tendono ad ammettere in ogni situazione la modificazione a favore del contribuente del dichiarato, e magari gi� adempiuto, rapporto tributario attribuendo all'ufficio tributario un compito di perseguimento della giustizia e della verit� che non ha alcuna base normativa (GAFFURI, Considerazioni sull'accertamento tributario, in Riv. dir. finanz., 198:1, I, 538). L'art. 53 riiguarda solo la norma tributaria e di conseguenza la sua esatta applicazione deve essere per quanto possibile perfettibile, di conseguenza sono ammissibili le correzioni dell'applicazione della norma sia a vantaggio della RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione, quando particolarmente vi siano stati errori del dichiarante, e c10 con opportuna distinzione tra le due ipotesi previste dall'art. 6 secondo che il precedente acquisto, considerato per il termine iniziale del raffronto, sia compreso nel decennio precedente all'imposizione o meno. Invero, nel primo caso, diverso da quello in questione, il termine iniziale del raffronto � un dato certo e documentale, gi� noto all'Amministrazione finanziaria con conseguente possibilit� di controllo immediato e diretto, e cio� il valore dichiarato dallo stesso contribuente per il precedente trasferimento e, quello accertato definitivamente per esso. In tali casi, ovviamente, un successivo errore del contribuente sulla entit� della precedente dichiarazione o dell'accertamento, riguardando quei documenti in possesso dell'ufficio tributario, pu� ritenersi non pregiudizievole perch� l'elemento posto a base della nuova imposizione � costituito dalla effettiva misura di quella iniziale dichiarazione e del :relativo accertamento in conformit� a dati conosciuti e accettati dall'ufficio finanziario. Non � fuori luogo rilevare che in tali casi l'imposizione relativa all'atto precedente, ai fini dell'imposta di registro e di successione, fatta per la cifra pi� elevata � ulteriore motivo per legittimare e giustificare la rilevabilit� di quell'errore su elemento gi� reso noto da allora all'amministrazione finanziaria che ne aveva percepito la maggiore imposta. Amministrazione (supplemento) sia a vantaggio del contribuente. Tutt'altra cosa � per� il fatto presupposto del tributo la cui esistenza e la cui entit� vanno s� verificate e determinate con i procedimenti previsti e con le necessarie garanzie, ma senza ,escludere per ciascuna parte la responsabdhit� per gli atti compiuti. Se il contribuente pu� giovarsi della inadeguatezza dell'accertamento che abbia stabilito la base imponibile in misura inferiore alla oggettiva realt�, non si pu� escludere che l'Amministrazione possa giovarsi di una dichiarazione quale �, indipendentemente da una verifica di corrispondenza alla realt�, n� si deve indulgere nel consentire al soggetto passivo di svincolarsi dalle conseguenze di un suo atto. � pure un principio ripetutamente affermato che non sia consentito all'ufficio liquidare l'imposta su una base imponibile inferiore a quella dichiarata. Anche nel caso di determinazione legale del valore, come nel caso della valutazione c.d. automatica, fu ritenuto che il valore pattuito o dichiarato eventualmente superiore a quello tabellare deve sempre essere assunto a base dell'imposta (Cass., 28 febbraio 1973, n. 551, in questa Rassegna 1973, I, 559, con richiamo di precedenti conformi). Infine � importante sottolineare l'affermazione che la dichiarazione possa essere impugnata solo con specifica domanda da proporsi innanzi al giudice. L'ufficio non ha H potere di discostarsi dalla dichiarazione. Ci� � perfettamente coerente con l'indirizzo, accentuatosi con la riforma, di eliminare qualunque potere discre2lionale de1l'uffioio nella determinazione dell'imponibile (la abolizione del concordato nelle imposte dirette � la pi� tangibile manife. stazione). Infatti la possibHit� che l'ufficio sii preoccupi (o meno) di svolgere indagini per verifkare se la dichiarazione possa eventualmente essere rettiificata in diminuzione, cosa che non pu� ovviamente essere fatta per tutti i contribuenti, comporterebbe un esercizio discrezionale del potere. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 941 Diverso � il caso di un errore di valutazione del contribuente dichiarante nel caso di cui al terzo comma dello stesso art. 8, e cio� di appartenenza del bene per acquisto ultradecennale, perch� in tal caso egli deve compiere una valutazione soggettiva attuale con riferimento ai valori anteriori di dieci anni. Ci�, se da un lato importa qualche difficolt� soggettiva nella esatta determinazione da persone spesso inesperte, dall'altro consegue da una libera valutazione con la scelta parzialmente implicita in ogni dichiarazione di conoscenza, quale � la denunzia tributaria e sempre con la possibilit� di errore da parte di persona inesperta. Pertanto, sarebbe effettivamente iniquo e di dubbia conformit� alle norme della Costituzione sulla perequazione tributaria e sulla possibilit� di difesa escludere che il contribunte, innanzi all'accertamento di un maggior valore per il termine finale del citato raffronto e il proprio giustificabile errore nella indicazione di quello iniziale, rimanesse privo di difesa in relazione alla maggiore accertata entit� della differenza corrispondente all'incremento di valore imponibile. Va, poi, considerato che il potere di rettifica delle proprie denunzie da parte del contribuente � stato, ormai, riconosciuto in linea generale a tutela del medesimo per evitare le pi� gravi conseguenze delle denunzie non corrispondenti al vero ~on le applicazioni di maggiori interessi e sovratasse e che, in ogni caso, quelle rettifiche avrebbero il valore di una Sotto tale profiilo non si possono conc:Liv1idere quelle posiziorui della dottrina che pur riconoscendo che il contribuente non ha il diritto di ottenere una modifica della dichiarazione, tuttavia sostengono che l'ufficio abbia il potere di adeguare la dichiarazione alla realt� oggettiva, anche a danno dell'Amministrazione, per eliminare l'eventu�lit� di una obbligazione tributaria non adeguata alla capacit� contributiva (su questa Hnea, se pure con riferimento ad un problema diverso cfr. LA RosA, L'indeducibilit� dei costi ed oneri non registrati avanti la Corte costituzionale, dn Dir. Prot. Trib., 11983', II, 3; LUPI, Sulla legittimit� costituzionale del secondo e terzo comma dell'art. 74 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, in Riv.' dir. finanz., 1983, II, 96). Per eliminare ogni discrezionalit� bisognerebbe ammettere che il contribuente abbia sempre il potere di rimettere in discussione la determinazione della base imponibile anche dopo il pagamento; ma per far ci� bisognerebbe riconoscere ammissibile non solo la modifica della dichiarazione, ma anche dell'iscrizione a ruolo e perfino dell'accertamento (questa in sostanza la tesi, conseguente partendo da certe premesse, di DE MITA, L'iscrizione a ruolo delle imposte sui redditi, Milano 1979, 21, 60, 254, 272 ss.). Ma a questo punto la dichiarazione non � pi� nulla, nemmeno una dichiarazione di scienza, il soggetto passivo non ha pi� alcuna posizione nel procedimento e tutto sarebbe rimesso all'Amministrazione che esegue sempre un accertamento (d'ufficio) vi sia stata o meno una indicazione (priva di effetti) del contribuente. Non sem� bra che, specialmente dopo la riforma, tutto questo possa trovare riscontro nella lettera della legge specie se si considera, attraverso le previste sanzioni, l'importanza che si attribuisce alla dichiarazione, destinata ad assolvere in via normale alla funzione di determinazione dell'obbligazione tributaria con sostituzione sempre pi� larga della attivit� di accertamento tendente a restrin� 942 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO difesa per evitare un aumento dell'imponibile costituito dalla menzionata differenza. Inoltre, poich�, come gi� rilevato, non pu� non ammettersi la rettifica nel caso previsto dallo stesso art. 6 per gli acquisti entro iil decennio quando nella nuova denunzia di cui all'art. 18 vi sia stato errore nella indicazione sul menzionato dato documentale della precedente denunzia e del precedente accertamento, non sembra che possa escludersi nella stessa materia ogni deducibilit� di un giustificabile errore per il caso di propriet� ultradecennale. Conseguentemente, deve riconoscersi, in seguito ai maggiori accertamenti dell'ufficio con modifica del valore finale, un potere del contribuente di effettuare, a propria difesa, una rettifica per giustificabile errore della denunzia del valore iniziale gi� indicato, ma, proprio per il suo contenuto di eccezione difensiva, essa non pu� non essere sottoposta a due ulteriori limitazioni. In primo luogo, quella rettifica non pu� essere diretta a ridurre la differenza imponibile corrispondente alla coppia di valori gi� denunziati, e quindi non pu� indicare un valore iniziale tale da ridurre ulteriormente quella differenza secondo i valori dichiarati rispetto al maggior valore finale accertato dall'ufficio tributario. Diversamente si avrebbe una pretesa del contribuente all'applicazione di un imponibile minore rispetto a quello gi� da lui riconosciuto e accettato. gersi a un limitato numero di interventi, a titolo esemplare, secondo programmi a criteri selettivi, campionature, sorteggi ecc. Infine sarebbe necessario ricreare (ma la disciplina normativa concreta non sembra consentirlo) tutto un sistema di nuovo accertamento sulla dichia� razione modificata; se si ammette che il dichiarante possa, anche a lungo intervallo di tempo, modificare la originaria dichiarazione non pu� non prevedersi che l'ufficio possa eseguire un nuovo accertamento; al contrario sembrano insuperabili le decadenze stabilite dalla legge con termini riferiti alla dichiarazione originaria. Nel caso di integrazione o modificazione dell'accertamento per sopravve� nuta conoscenza di elementi nuovi, il contribuente � rimesso in termini per impugnare l'anteriore accertamento (ci� era espressamente previsto nell'art. 35 del t.u. del 19S.8 ,e deve riconoscersi sempr,e ammissibile dalla pi� stringata espressione deWart. 43 del d.P.R. n. 600/.1973); la regola opposta dovrebbe va1ere quando si �elimina una dkhiaraziione sulla quale l'ufficio aveva fatto affidamento nel decidere di non procedere ad accertamento. Ma cos� si rischierebbe di rinviare sine die la chiusu:ria de:i perii.odi di imposta. Parimenti in tema di sanzioni per infedele dichiarazione, dovrebbe farsi riferimento non alla dichiarazione vera e propria ma alla successiva rettifica e aver riguardo a questa per i termini per l'esercizio del potere sanzionatorio; ma anche qui l'ordinamento positivo non offre possibilit� di adeguamento. In conclusione la tesi della revocabilit� della dichiarazione ha ricevuto con la sentenza in esame un duro colpo, mentre risulta rafforzata l'idea che la dichiarazione sia un atto di ricognizione del debito, impugnabile soltanto come tale, per incapacit� naturale o per vizio della volont�. CARLO BAFILE PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 943 In secondo luogo, trattandosi di una rettifica a difesa del contribuente fondata su sue valutazioni e deduzioni personali nell'ambito dei di lui poteri, quella variazione non pu� essere effettuata dal giudice tributario se non in seguito a domanda od eccezione del medesimo, senza che si possa rilevare d'ufficio un errore in quella dichiarazione di scienza non dedot� ta dalla parte interessata. In base a tale delimitazione dei poteri delle commissioni tributarie, la decisione impugnata -nella quale si � solo affermato un assoluto e incondizionato potere delle stesse di rettifica pur del valore iniziale dichiarato dal contribuente in caso di aumento di quello finale, -deve essere cassata con rinvio alla commissione centrale per nuovo esame. Quest'ultima, nel disposto rinvio, dovr� attenersi al principio in virt� del quale, nelle controversie relative all'imponibile ai fini dell'INVIM, nel caso di accertamento o di riconoscimento di un maggior valore finale dell'immobile al quale si riferisce l'imposta, non si deve necessariamente riconoscere un aumento del valore iniziale rispetto a quello dichiarato dal contribuente e non formante oggetto di contestazione. Pu�, tuttavia, il oontribuente, in seguito alla intimazione di un maggior accertamento per il valore finale, rettificare, a propria tempestiva difesa nell'osservanza del contraddittorio, nei diversi gradi e delle relative preclusioni, l'opposto valore iniziale come da lui dichiarato quando dimostri un proprio giustificabile errore e purch� non sia ridotto l'imponibile differenziale risultante dalla dichiarazione originaria. Le commissioni tributarie a loro volta, non possono, senza tale tempestiva rettifica del contribuente, modificare in aumento il valore iniziale dichiarato dal medesimo. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 luglio 1983, n. 4730 � Pres. Brancaccio � Est. Contu � P. M; Paolucci (conf.) -Lorusso (avv. D'Abbado) c. Ministero delle finanze (avv; Stato Palatiello). Tributi erariali diretti � Imposta sul reddito delle persone fisiche � Oneri deducibili -Omessa documentazione � Ricorso contro il ruolo -Dimo� strazione � Ammissibilit�. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 3). Nel caso che non sia stata allegata alla dichiarazione la documenta� zione dimostrativa degli oneri di cui all'art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, � consentito, proponendo ricorso contro il ruolo, dare la prova dell'onere in sede giurisdizionale. (1) (1) Gi� altre volte la S.C. aveva riitenuto ammissibile la deduzione me� diante ricorso contro il ruolo di un beneficio non domandato con la dichia� razione o non doc�mentato in tale sede (17 novembre .1981, n. 6095, in questa Rassegna, 1982, I, 78,1; 16 febbraio 1982, n. 952, ivi, 799). 12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 944 (omissis). -Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 85 del d.P.R. n. 597 del 1973 e dell'art. 3 del d.P.R. n. 600 del 1973, nonch� insufficienza di motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), sostenendo che la documentazione relativa alle imposte arretrate portate in deduzione nella dichiarazione dei redditi pu� essere prodotta anche nel corso del giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, e che la decisione impugnata sarebbe inficiata da errore di diritto per avere disatteso tale principio ed avere invece affermato che detta documentazione doveva essere allegata, a pena di decadenza, alla dichiarazione dei redditi. Tale censura � fondata. L'art. 3, ultimo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, contenente disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, dispone che � alla dichiarazione delle persone fisiche deve essere in ogni caso allegata, a pena di inammissibilit� della deduzione, la documentazione rela- Il ricorso contro il ruolo per ottenere il risultato di integrare la dichiarazione non sembra essere il mezzo idoneo. Oggi per tutte le imposte dirette vige l'obbligo del versamento diretto s� che alla iscrizione a ruolo in base alla dichiarazione si procede soltanto quando il versamento non sia stato conforme al dichiarato o quando il reddito complessivo sia stato spezzato in pi� dichiarazioni (art. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600/1973; art. 11 d.P.R. n. 602/1973); ove ci� non si verifichi non viene formato il ruolo e il contribuente che abbia omesso di includere nella dichiarazione uno degli elementi a suo vantaggio '(oneri deducibili, detrazioni, acconti e crediti di imposta) non potrebbe utilizzare il rimedio del ricorso contro il ruolo. L'iscrizione a ruolo, a titolo definitivo (art. ,14 del d.P.R. n. 602) non pu� essere contestata sulla base di elementi non compresi nella dichiarazione, con il che non si propone un ricorso contro il ruolo, ma si deduce un fatto nuovo e diverso rispetto a quelli che hanno legittimato la formazione del ruolo. Il carico del ruolo deve essere pertanto riscosso. Il terreno sul quale potrebbero eventualmente dedursi istanze che portano alla liquidazione di una minore imposta a causa di elementi non compresi nella dichiarazione potrebbe essere in ogni caso, vi sia stata o meno iscrizione a ruolo, quello della domanda di rimborso. Sulla ammissibilit� della domanda di rimborso sorgono altre difficolt�. Dall'esame sistematico della normativa si evince l'esigenza di una concentrazione nell'unico procedimento di tutti gli elementi comunque rilevanti che condizionano altri elementi ed il reddito complessivo e non possono di conseguenza essere considerati isolatamente. :� regola bene evidente che la dichiarazione deve essere unica, come unico � l'accertamento; trasferire in sede di rimborso (o di pi� rimborsi) quel che doveva essere oggetto di dichiarazione significa operare quell'inammissibile spezzettamento che rinvia nel tempo la definizione irretrattabile dei rapporti e mantiene in stato di incertezza le entrate gi� conseguite. Parallelamente le ipotesi di rimborso considerate (artt. 37, 38, 40, 41 d.P.R. n. 602) hanno carattere di eccezionalit�. Probabilmente la dichiarazione, al pari dell'accertamento, ha valore preclusivo rispetto a successive istanze. :� questo tuttavia un problema che merita una approfondita riflessione. PARTE J, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tiva agli oneri deducibili di cui all'art. 10 del decreto indicato nel primo comma � (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597). Tale norma � stata interpretata, sia dall'ufficio che dalla commissione centrale, nel senso che la mancata produzione, in allegato alla dichiarazione dei redditi, dei documenti comprovanti il diritto a detrarre dall'imponibile determinati oneri costituisca causa di decadenza. Siffatta interpretazione non pu� essere condivisa per la ragione fondamentale che la decadenza non � prevista dalla legge e, in mancanza di un'espressa comminatoria, non pu� essere applicata dall'interprete. N� pu� essere decisiva la circostanza che la norma in esame parli di � inammissibilit� della deduzione � poich� in tal modo si fa riferimento ad una nozione ben diversa dalla decadenza e si commina una sanzione che deve necessariamente riferirsi al procedimento amministrativo di accertamento dell'imposta, lasciando impregiudicato il diritto del contribuente di contestare l'imposizione tributaria dinanzi alle competenti commissioni e di produrre in tale sede la documentazione relativa alle deduzioni escluse dall'ufficio in sede di accertamento. Ed al riguardo deve sottolinearsi che la possibilit� di produrre nuovi documenti nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie � prevista espressamente dagli artt. 19 e 36 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, relativo al contenzioso tributario, i quali non distinguono fra documenti che dovevano essere allegati alla dichiarazione dei redditi e documenti da produrre per effetto di esigenze sopravvenute, o comunque nuove e diverse, e lasciano perci� intendere che la possibilit� di documentare le pretese fatte valere in giudizio abbia carattere generale e possa ritenersi preclusa solo se si sia verificata una decadenza esplicitamente prevista dalla legge. Deve d'altronde rilevarsi che la tesi qui sostenuta � stata accolta in via generale dalla stessa Amministrazione, la quale, con nota n. 8/898 in data 21 agosto 1978 della Direzione generale delle imposte dirette, ha affermato, a proposito degli oneri deducibili di cui al citato art. 10, la possibilit� del ripristino delle deduzioni degli interessati, su iniziativa degli stessi contribuenti, in sede di ricorso contro la relativa iscrizione a ruolo. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 luglio 1983, n. 4731 -Pres. Sandulli Est. Caturani -P. M. Cantagalli (conf.) -Ministero delle finanze (avvocato Stato D'Amico) c. Fallimento Soc. SA.CA.VA. Tributi erariali diretti -Imposta sulle societ� -Agevolazione �per il Mezzogiorno � Societ� .per l'esercizio di cantieri edili � Si estende. (d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1567; t.u. 30 giugno 1967, n. 1523, art. 115). L'agevolazione dell'art. 115 del t. u. 30 giugno 1967 n. 1523 sugli interventi nel Mezzogiorno � riferita per l'imposta sulle societ� genericamente RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO alla societ� costituita per la realizzazione di nuove iniziative produttive e non richiede la creazione di nuovi impianti industriali; conseguentemente l'agevolazione si estende anche alle societ� costituite per l'esercizio di cantieri edili. (1) (omissis). -Con unico motivo, l'amministrazione ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 115 t. u. 30 giugno 1967, n. 1523, in relazione all'art. 360 n. 3. cod. proc. civ., assume che, contrariamente a quanto ritenuto dalla impugnata decisione, l'agevolazione tributaria di cui si contende riguarda soltanto quelle iniziative economiche che realizzino una produzione industriale mediante stabilimenti all'uopo organizzati, mentre tali non possono essere considerati i cantieri edili. Il ricorso � infondato. Conformemente a quanto prevede l'art. 14 della legge 26 giugno 1965, n. 717, l'art. 115 del t.u. delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, cos� statuisce: � Le societ� che si costituiscono con sede nei territori indicati all'art. 1 per la realizzazione di nuove iniziative produttive nei territori stessi sono esenti per dieci anni dalla loro costituzione, dalla imposta sulle societ� di cui al titolo VII del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645... >>. Sostiene l'avvocatura generale dello Stato che la norma, compresa nella sez. VI riflettente le agevolazioni fiscali per l'industria, intanto pu� trovare applicazione in quanto si tratti di iniziativa produttiva attraverso cui si realizza una produzione industriale mediante stabilimenti. all'uopo impiantati. La tesi non appare conforme alla disciplina giuridica della agevolazione de qua e risulta influenzata dai requisiti che lo stesso testo unico espressamente richiede ai fini della concessione dei benefici tributari per altri tipi di imposta. Cos� per la esenzione dall'imposta di ricchezza mobile, l'art. 106 richiede che si tratti di stabilimenti industriali tecnicamente organizzati. La parte non superiore al 50 per cento degli utili dichiarati dalle societ� previste dall'art. 107, la quale sia direttamente impiegata nella costruzione, ampliamento o riattivazione di impianti industriali nei territori di cui all'art. 1, � esente da imposta di ricchezza mobile di cat. B. (1) La decisione d� luogo a seri dubbi. t!. sempre stato pacifico che l'attivit� edilizia non � una attivit� industriale agevolata nel Mezzogiorno (Cass., 9 maggio ,1979, n. 2645, in questa Rassegna, 1979, I, 757). La distinzione testuale fra le norme riferite all'agevolazione per l'imposta di ricchezza mobile (artt. 106 e 107) e l'imposta di registro (artt. 107 e 108) e quella per l'imposta sulle PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 947 Altrettanto va detto per quanto dispongono gli artt. 108 e 109 a proposito della registrazione a tassa fissa dei contratti di acquisto di suoli a fini industriali da parte dei comuni e dei trasferimenti di terreni e fabbricati, dove la finalit� del contratto deve essere diretta a realizzare l'impianto, la installazione o la costruzione per l'esercizio di attivit� industriali e rispettivamente risiedere nel costituire il primo impianto di stabilimenti industriali tecnicamente organizzati. La formulazion� letterale dell'art. 115 del t.u. che riguarda la esenzione dall'imposta sulle societ�, � invece chiaramente nel senso che la norma ha inteso concedere il beneficio alle societ� che si costituiscono per la realizzazione di � nuove iniziative produttive � e cio� di societ�, che pur senza avere il carattere di stabilimenti tecnicamente organizzati, siano rivolte alla produzione di beni o servizi. Rientrano quindi nella previsione normativa anche le societ� costituite nei territori dell'art. 1 per l'esercizio di cantieri edili, i quali -secondo la intenzione legislativa (art. 12 disp. prel.) -egualmente contribuiscono allo sviluppo delle condizioni economiche del Mezzogiorno, anche , attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro, in definitiva ponendo le premesse di un incremento della occupazione locale. D'altro lato, che la ratio legis sia quella accennata, perfettamente conforme alla lettera del precetto normativo, risulta ulteriormente confortato da quanto statuisce il precedente artt. 111 dello stesso testo a proposito della registrazione a tassa fissa di atti costitutivi di societ� industriali, dove per essere ammessi al beneficio si richiede non solo che si tratti di societ� aventi ad oggetto l'esercizio di attivit� industriali ma che il capitale relativo sia destinato all'impianto negli indicati territori, di stabilimenti industriali tecnicamente organizzati e al loro esercizio. In conclusione, la decisione impugnata che ha riconosciuto l'applica zione del beneficio previsto dall'art. 115 del testo unico alla societ� SA.CA.VA. che con l'atto costitutivo di cui si contende svolge l'attivit� di costruzione edilizia nei territori di cui all'art. 1, non merita alcuna censura ed il ricorso deve essere respinto. (omissis). societ�, si spiega perch� quest'ultima imposta, personale, non pu� avere un riferimento esclusivo a impianti e stabilimenti industriali; ma ci� non basta per affermare che qualunque attivit� produttiva sia agevolata. Ed � certamente poco ragionevole che lo stesso reddito sia esente daLl'imposta ,sulle societ� e non dall'imposta di ricchezza mobile. Per di pi� la societ� avente sede nel Mezzogiorno pu� svolgere la sua attivit� anche al di fuori del territorio s� che l'agevolazione avrebbe una por tata di grandissima estensione. 948 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 luglio 1983, n. 4868 -Pres. Mazzacane, Est. Cantillo -P. M. Cantagalli (diff.). Sassatelli c. Ministero delle finanze (avv. Stato d'Amico). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso alla commissione centrale -Motivazione -Finalit� -Requisiti. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 25). Il ricorso alla commissione centrale richiede una motivazione tale che, se pure senza l'osservanza di un rigido modello formale, consenta di desumere dal complesso dell'atto, con sufficiente chiarezza, l'oggetto della controversia e l'ambito di impugnazione e sia idonea a identificare le parti della decisione che si intendano impugnare ed a consentire l'immediato controllo della ammissibilit� del ricorso. (1) (omissis) 1. -Nell'ordine logico-giuridico deve essere esaminato con precedenza il secondo motivo, con il quale i ricorrenti sostengono che la commissione tributaria centrale abbia apoditticamente ritenuto ammissibile il ricorso dell'Amministrazione, a loro parere non evidenziante i motivi del gravame avverso la decisione della commissione di secondo grado. La censura � infondata. � esatto che, ai sensi dell'art. 25, secondo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, il ricorso alla commissione tributaria centrale deve contenere, a pena di inammissibilit�, �l'esposizione sommaria dei fatti e dei motivi d�lla impugnazione�; il quale requisito, pur non comportando l'osservanza di un rigido modello formale, impone che dal complesso dell'atto debbano potersi desumere, con sufficiente chiarezza, l'oggetto della controversia e l'ambito del giudizio di impugnazione, cio� i punti e le questioni di cui si chiede il riesame. � a dire, anzi, che il precetto -espressione di un principio generale comune a tutti i mezzi di gravame (stabilito dallo stesso d.P.R. n. 636 del 1972 anche per il ricorso alla commissione di secondo grado) -assume particolare rilievo nell'impugnazione in oggetto, in quanto, oltre ad adempiere alla funzione di identificare le parti della decisione che si intende impugnare e, per converso, quelle alle quali si vuol prestare acquiescenza, consente altres� l'immediato control lo di ammissibilit� del ricorso medesimo sotto il profilo delle questioni che possono essere portate alla cognizione del giudice di terzo grado, al quale sono sottratte, come � noto, le questioni di mero fatto attinenti alla (1) Decisione esattissima con la quale si corregge la troppo elastica massima di Cass., 9 marzo :1981, n . .1316, in questa Rassegna, .19Sl, I, Sl8. Sull'argo� mento v. C. BAFILE, Il giudizio di terzo grado nel processo tributario, Padova, 1982, 116 ss. 11r11111111111�a11!11111111111111,�1r1aar111111~�~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 949 valutazione estimativa e alla misura delle pene pecuniarie (art. 26); e ci� era sufficiente a negare la possibilit� di specificare i motivi o di aggiungerne altri in un momento successivo, con la memoria, anche prima della novella di cui al d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, che ha tolto qualsiasi dubbio al riguardo, avendo escluso pure in primo grado l'ammissibilit� del ricorso c.d. interruttivo (art. 15, terzo comma). Nella specie, per�, la decisione impugnata, nel respingere l'eccezione di inammissibilit�, ha osservato che il ricorso, lungi dall'esaurirsi in una generica contestazione della pretesa tributaria, prospettava chiaramente l'oggetto della lite e il vizio denunziato, relativo alla qualificazione giuridica dell'atto sottoposto a tassazione; e appunto tale questione risulta in concreto esaminata, sicch� correttamente � stato ritenuto adempiuto l'onere di specifioazione dei motivi. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 settembre 1983, n. 5552 -Pres. Santosuosso -Est. Soanzano -P. M. Ferraiolo (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. Fallimento Maglificio Schilling. Tributi in genere -Sanzioni -Provvedimento di irrogazione -Natura dichiarativa : Nascita dell'obbligazione al momento della commissione. (legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 3 e 17; d.P.R. 26 ottobre 1933, n. 633, artt. 51, 57, 58 e 75). Il provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa � discrezionale soltanto quanto alla determinazione della misura, mentre � dichiarativo quanto alla verifica della sussistenza del comportamento assunto dalla legge come elemento costitutivo della fattispecie sanzionatoria e presupposto delle conseguenti obbligazioni patrimoniali; pertanto l'obbligazione civile da sanzione sorge, se pure con oggetto illiquido, al momento della commissione della violazione (applicazione in tema di insinuazione nel passivo di sanzioni accertate dopo la dichiarazione di fallimento per infrazioni consumate anteriormente). (1) (1) Decisione di molto interesse di cui va segnalata la preclSlone della motivazione. Parallelamente alla definizione dell'obbligazione tributaria, ormai pacifica in giurisprudenza (v. Relazione Avv. Stato, ;1976-80, II, 417) viene riaffer� mata la stessa natura di obbligazione legale, che sorge per il verificarsi dell'evento assunto dalla legge come costitutivo della fattispecie sanzionatoria, anche per la pena pecuniaria, bench� essa richieda, per assumere liquidit� ed essere adempiuta, un provvedimento che � discrezionale limitatamente alla determinazione del1a misura. Se ne dovrebbero trarre le conseguenze 'logiche anche in tema di interessi sulla sanzione: allo stato mentre � pacifica la debenza degli interessi sulla soprattassa (Cass., 5 ottobre 1982, n. 51rl5, in questa Rassegna, 1983, I, 181) non risulta ancora chiarito se gli interessi gra� vino alla pena pecuniaria. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO (omissis). -L'Amministrazione ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 legge 7 gennaio 1929, n. 4; 21 sgg. in relazione all'art. 41 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e premesso che, nell'ambito del rapporto giuridico d'imposta, la legge ricollega al verificarsi di un dato presupposto la nascita di obbligazioni formali e sostanziali a carico del soggetto passivo, sostiene che la violazione di doveri di comportamento preordinati al concreto e fruttuoso esercizio del potere di imposizione tributaria costituisce fatto da cui discendono immediatamente conseguenze patrimoniali, in termini di sanzione. In ordine a tali conseguenze -soggiunge -la discrezionalit� di cui gode l'Amministrazione riguarda solo la graduazione della pena pecuniaria, mentre l'atto con cui essa accerta verificati i relativi presupposti ed irroga la sanzione rimane fuori della fattispecie costitutiva della relativa obbligazione. Risolutivo in tal senso sarebbe l'art. 17 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, secondo cui il diritto alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive col decorso di cinque anni dalla commessa violazione. Il ricorso � fondato. La Corte di merito muove dalla premessa della natura costitutiva dell'accertamento tributario e ritiene di potere trarre conforto, in ci�, dalla sentenza di questo Supremo Collegio del 12 agosto 1963, n. 2293. Tale sentenza per� non giustifica quella premessa, perch� 'anzi, essa, dopo avere enunciato le varie teorie circa la natura del detto accertamento, afferma che �il delicato problema relativo al momento in cui sorge il debito di imposta non viene in rilievo ai fini dell'applicazione dell'art. 184 della legge fallimentare�. Si trattava in quella occasione di stabilire, appunto, se, ai sensi di tale disposizione, il credito per imposta straordinaria sul patrimonio, non esigibile per difetto di accertamento e di iscrizone nei ruoli, fosse da considerare anteriore al concordato preventivo; e la questione fu risolta in senso negativo sul fondamentale rilievo che prima del concordato, e riguardo alla imposta non ancora accertata, H suo titolare (rectius, il titolare del diritto di riscossione, giacch�, era parte in causa l'Esattoria comunale) non aveva un diritto di credito (tanto che l'obbligato non poteva neanche soddisfarlo prima dell'accertamento) e comunque il diritto di riscuoterlo. Problema analogo tratta la sentenza n. 849/73 invocata nel controricorso. Per ritenere che l'accertamento tributario abbia natura dichiarativa giova invece richiamare il prevalente orientamento dottrinario, formatosi gi� anteriormente alla riforma, secondo il quale con l'accertamento l'Am� ministrazione finanziaria si limita ad evidenziare l'esistenza di presupposti gi� verificatisi, al solo fine di precisare in termini quantitativi gli effetti giuridici, scaturiti da quei presupposti e da essa non modificabili, trattandosi di materia sottratta alla sua disponibilit� (v. Cass., n. 2397/81). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Giova inoltre ricordare che nel regime istituito con la riforma tributaria, vige anche per le imposte personali (corrispondenti a quelle che anteriormente erano qualificate �imposte con accertamento�) il sistema dell'autoaccertamento e dell'autotassazione, rispetto a cui il successivo eventuale accertamento dell'Amministrazione ha, in definitiva, la funzione di verifica della regolarit� formale e sostanziale degli adempimenti del contribuente, e, in caso di inadempimento da parte di quest'ultimo, di dichiarare gli effetti che la legge ricollega alla fattispecie assunta come presupposto dell'imposta. Se dunque il problema dovesse essere risolto in base alla natura dell'accertamento tributario, non sarebbe dubbio che la data di riferimento, ai fini del giudizio sull'anteriorit� al fallimento del credito per sanzione pecuniaria, debba essere quella dell'infrazione e non quella dell'irrogazione della sanzione. Anche per l'IVA, infatti, il d.P.R. n. 633/72 prevede specifiche forme di autoaccertamento ed autotassazione e, in apertura del titolo quarto, concernente l'accertamento e la riscossione, prevede attribuzioni e poteri al� l'ufficio in funzione di controllo delle dichiarazioni del contribuente. Ma, volendo prescindere dalla problematica all'accertamento del tri� buto ed avere riguardo al provvedimento irrogativo di sanzione pecuniaria ed al relativo credito (cio� al credito da pena pecuniaria per violazione degli obblighi imposti dal citato d.P.R. n. 633), le conclusioni nel senso anzidetto si impongono in forma altrettanto perentoria. Richiamando il principio secondo cui un credito si considera anteriore al fallimento, e quindi ammissibile al concorso, se il relativo fatto costitutivo (contratto, fatto illecito, atto o fatto idoneo a produrlo in conformit� dell'ordinamento) si sia concretato prima della data della sentenza dichiarativa di fallimento, e che a questi fini non ha alcuna rilevanza la circostanza che il credito sia, prima di tale data, liquido ed esigibile o non, � agevole constatare che il credito erariale per sanzione pecuniaria trova la sua origine in un comport�mento commissivo od omissivo che diventa giuridicamente rilevante (come fatto costitutivo della ragione di credito) nello stesso momento in cui esso � stato posto in essere. L'art. 51 del d.P.R. n. 633/72 attribuisce all'ufficio il potere-dovere di irrogare la sanzione nell'ambito della (su ricordata) attivit� con cui esso controlla la dichiarazione del contribuente o ne rileva l'eventuale omissione, per modo che il provvedimento irrogativo della sanzione (applicabile in caso di accertate violazioni) non � che la constatazione degli effetti di un comportamento anteriore e la determinazione quantitativa delle conseguenze patrimoniali derivatene a carico dell'autore della violazione. Solo a tale determinazione (lo riconosce anche il controricorrente) si riferisce il margine di discrezionalit� che l'art. 49 del d.P.R. in esame attribuisce all'Ufficio medesimo. � invece sottratto alla sua disponibilit� l'obbligazione in s�, potendo solo gli organi del contenzioso tributario (a 952 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO norma dell'art. 48 ultimo comma) dichiarare �non dovute� le pene pecu. niarie, con una valutazione che non esclude l'esistenza dell'anteriore presupposto all'obbligazione stessa e valorizza circostanze che facciano apparire non censurabile in concreto il comportamento del contribuente. Depone a favore della tesi qui accolta l'art. 17 legge 7 gennaio 1929, n. 4, richiamato dall'art. 75 del d.P.R. n. 633, secondo cui il diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive in cinque anni dalla data dell'infrazione. La norma richiamata, anche se non pu� trarre qui applicazione diretta ed esaustiva (stante il disposto dell'art. 58 del d.P.R. citato) esprime tuttavia un principio generale nel senso che il fatto costitutivo del diritto di credito da sanzione pecuniaria sorge col comportamento commissivo od omissivo del contribuente, assunto dalla legge come elemento costitutivo della fattispecie sanzionatoria e come presupposto delle conseguenti obbligazioni patrimoniali. Ed a tale principio questa Corte ha riconosciuto una forza tale da porre a carico dell'Amministrazione i tempi ne.cessari allo svolgimento del procedimento di accertamento dell'infrazione (v. Cass., nn. 1502/78, 3431/80). Una disciplina pi� specifica � dettata, in materia, dall'art. 58 d.P.R. n. 633/72, che, al terzo comma, con riferimento alle infrazioni che non danno luogo a rettifica o accertamento, fa decorrere il termine per la notifica del provvedimento di irrogazione della sanzione assumendo come anno iniziale quello in cui � avvenuta la violazione, cos� come, analogamente, il secondo comma (coordinato col precedente art. 57) per quanto riguarda le violazioni che danno luogo a rettifica o ad accertamento, fa riferimento all'anno in cui la dichiarazione del contribuente � stata o avrebbe dovuto essere presentata. Ora, � bens� vero che la norma prevede piuttosto una decadenza dal potere di irrogazione della sanzione, che una prescrizione del relativo credito; � anche vero per�, che tale potere si risolve nella constatazione formale (della rilevanza) di un fatto anteriore, costituente infrazione, e nella determinazione degli effetti che la legge prescrive si concretano in una obbligazione di pagamento di una somma di denaro, e siccome la detta obbligazione ha carattere civile, ne deriva che essa (a differenza di quella relativa ad una sanzione penale) � concepibil~, e pu� sussistere, anche come avente ad oggetto un illiquido, e che quindi il fatto considerato dalla legge come idoneo a produrla (cio� il comportamento omissivo o commissivo del contribuente) integra compiutamente il suo momento genetico. Deve allora concludersi che (come questa Corte ha gi� rilevato con sentenza n. 1502 del 3 aprile 1978 in tema di infrazioni valutarie) anche in materia di IVA il procedimento sanzionatorio ed il conseguente provvedimento hanno la funzione di accertare nei suoi termini anche quantitativi una obbligazione pecuniaria collegata ad un fatto costitutivo pre PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 953 cedente, e che se tale fatto � anteriore al fallimento dell'autore della violazione, il relativo credito dello Stato � ammissibile al concorso. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 settembre 19'83, n. 5583 -Pres. Brancaccio -Est. Virgilio -P. M. Catelani (conf.). Ministero delle finanze (avv. Stato Palatiello) c. Pandolfini. Tributi erariali diretti -Imposta complementare progressiva sul reddito complessivo -Partecipazione in societ� di persone -Determinazione con riferimento alla quota del reddito sociale -Effettiva percezione da parte del socio -Irrilevanza. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 115). Ai fini dell'imposta complementare, il reddito del socio di una societ� di persone � sempre costituito dalla quota del reddito della societ� indipendentemente dall'effettiva percezione. (1) (omissis) La ricorrente deduce violazione dell'art. 135 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e dell'art. 2262 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonch� insufficienza di motivazione, e sostiene che la Corte di appello ha omesso di considerare il diverso regime stabilito dalle lett. c) e d) del citato art. 135, rispettivamente, per le societ� di persone e di capitali. Per le prime, i soci sono assoggettabili all'imposta complementare in ragione della loro quota di diritto sugli utili sociali, la quale costituisce una componente del reddito complessivo del socio indipendente dalla effettiva percezione di essa da parte dell'avente diritto. La censura � fondata. La formulazione letterale delle disposizioni di cui all'art. 135 c) e d), del t.u. n. 645 del 1958 denota chiaramente il diverso regime stabilito dalla legge ai fini della determinazione dei �redditi derivanti� da partecipazione in � societ� semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice � ovvero da partecipazioni � in societ� per a:z;ioni, in accomandita per azioni, a responsabilit� limitata e cooperative �. (1) Decisione indubbiamente esatta, rilevante oggi per comprendere lo stesso principio stabilito per l'IRPEG dall'art. 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, e per dimostrare l'inconsistenza delle critiche mosse a questa norma. Una eccezione al principio � stata affermata per l'ipotesi in cui socio della societ� di persone sia una societ� di capitali (Cass., 27 febbraio 1982, n. il.268, in questa Rassegna, 1982, I, 808; 8 maggio 1982, n. 2866, ivi, 962). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 954 Nel primo caso (societ� di persone) il reddito � valutato �in misura pari all'ammontare dei redditi netti della societ� proporzionalmente alla quota per la quale il contribuente ha diritto di partecipare agli utili della societ� stessa�; nell'altra ipotesi (societ� di capitali) �in misura pari all'ammontare degli utili a qualunque titolo o in qualsiasi forma percepiti dal contribuente�. Il raffronto tra le due disposizioni pone in evidenza che nel primo caso elemento essenziale e sufficiente per attribuire al socio il reddito della societ�, nella misura corrispondente al suo diritto di partecipazione agli utili, � soltanto la sua qualit� di socio, indipendentemente da ogni prova sulla effettiva percezione della quota-parte di utile netto a lui spettante; nel caso delle societ� di capitali, per la diversa struttura di tali enti, � invece necessario il requisito della effettiva percezione, da parte del socio, degli utili che a lui competono, perch� solo in tale situazione sorge la pretesa tributaria afferente al reddito derivante dalla sua partecipazione all'ente. La ragione del diverso trattamento � ravvisabile, come si � gi� detto, nella differente configurazione che i due tipi di societ� hanno nell'ordinamento giuridico, sicch� nella ipotesi della societ� di persone il fatto stesso della partecipazione ad essa (e nei limiti del diritto alla. quota di utili) determina automaticamente e indiscutibilmente, ai fini tributari, l'attribuzione del reddito proporzionale al socio, in quanto si ritiene senz'altro che l'utile netto accertato per la societ� sia stato ripartito tra i soci (Cass., �24 aprile 1979, n. 2324), laddove nell'altro caso, in considerazione dei pi� complessi meccanismi di produzione e di distribuzione degli utili e della diversa struttura dei rapporti tra societ� e soci, l'attribuzione a questi ultimi di una quota di reddito presuppone che gli utili siano stati effettivamente distribuiti, e perci� che sia avvenuta la loro percezione, cio� il trasferimento di una quota di reddito dalla societ� al socio. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 settembre 1983, n. 5692 -Pres. Brancaccio; Est. Zappulli, P. M. Paolucci -Ministero delle finanze (avv. Stato Salimei) c. Natoli. Tributi in genere -Contenzioso tributario � Procedimento innanzi alle commissioni � Appello � Notifica ad istanza di parte e successivo deposito nella segreteria -Nullit� � Sanatoria � Esclusione. {d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 22; cod. proc. civ. art. 156). � nullo l'appello notificato ad istanza di parte e successivamente depositato nella segreteria della Commissione in violazione dell'art. 22 del PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 955 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636; la nullit� non � sanata dalla partecipazione dell'appellato al giudizio di appello. (1) (omissis) Con l'unico motivo del suo ricorso il Ministero suddetto ha censurato quella decisione per violazione degli artt. 156 e 160 cod. proc. civ., richiamati dall'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, deducendo che la rilevata inosservanza dell'art. 22 del medesimo relativo alla notificazione dell'appello avverso la decisione della commissione di primo grado attraverso la segreteria di quest'ultima, a causa della notifica diretta da parte dell'ufficio invece che nella forma prevista da quella norma, importava solo una irritualit� dell'atto, e non una nullit�. Secondo l'amministrazione ricorrente tale nullit� non era comminata da alcuna norma, come richiesto dall'art. 156 cod. proc. civ., e l'atto aveva, comunque, raggiunto il suo scopo, tanto che la destinataria aveva presentato memoria difensiva innanzi la commissione di secondo grado. Il ricorrente, ha sostenuto, inoltre, che pure la trasmissione diretta dell'atto d'appello e del fascicolo di primo grado dall'ufficio appellante alla commissione di secondo grado, invece che per il tramite della segreteria della commissione di primo grado, costituiva una mera irregolarit� sanata dal conseguimento dello scopo. Il motivo � infondato. Invero, come gi� posto in rilievo da questa Suprema Corte (Cass., 7 giugno 1982, n. 3442), in seguito alla riforma del contenzioso tributario di cui al menzionato d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, il procedimento di appello innanzi le commisioni di secondo grado, regolato dagli artt. 22-24, � fondato su un evidente impulso processuale di ufficio e si articola in precisi momenti aventi carattere e funzione di presupposti (presentazione del gravame alla segreteria della commissione tributaria che ha emesso la decisione impugnata) e di atti procedimentali (notificazione dell'atto di appello alla controparte ad opera della medesima segreteria, ricezione e notificazione dell'eventuale appello incidentale che deve essere proposto entro sessanta giorni dalla prima notificazione ad iniziativa della segreteria suddetta, formazione del fascicolo, trasmissione del medesimo alla commissione di secondo grado). (11) Il rigore della massima pu� essere giustificato con la inesistenza di un termine entro il quale l'appello notificato ad istanza di parte debba essere depositato; ci� potrebbe dar luogo ad un vuoto nell1t sequenza procedimentale determinando una anomala pendenza dell'appello che peraltro la segreteria della commissione ignora. Il principio dell'officialit� del processo � meno rilevante; ne d� dimostrazione la modifica introdotta con il d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, che, per il ricorso in primo grado, ha sostituito la notifica per iniziativa di parte a quella a cura della segreteria. � giusto invece il rilievo che i tempi del procedimento non. devono essere alterati. Per analoga ragione � nullo il ricorso presentato all'ufficio e trasmesso oltre il termine alla segre� teria (Cass., 4 febbraio 1981, n. 754, in questa Rassegna, 1981, I, 595). 956 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO In tale situazione l'attivit� e le funzioni della segreteria della commissione a qua rappresentano il nuovo elemento caratterizzante il procedimento di secondo grado. Tale elemento � stato, poi, sottolineato dal d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, contenente norme integrative di quello del 1972 n. 636:. invero ai sensi dell'art. 14 del nuovo decreto, alla formula �l'atto di appello... � presentato alla segreteria della commissione ... � � stata sostituita l'altra ... � � proposto mediante consegna o spedizione ... alla segreteria della commissione ... � con un significativo chiarimento circa la funzione della segreteria de qua. Rispetto a tali forme cos� prescritte la notificazione dell'appello diversamente effettuata, e cio� direttamente alla controparte e con deposito dell'atto ad iniziativa dell'appellante presso la segreteria della commissione di s.econdo grado, rappresenta secondo la citata sentenza un atto estraneo alla fattispecie procedimentale legale e non pu� valere come equipollente della fattispecie stessa. I principi di comminatoria legale dei casi di nullit� (art. 156, primo comma cod. proc. civ.) e di raggiungimento dello scopo (art. 156, terzo comma) non sono utilizzabili nella specie, che riguarda non atti processuali viziati (rispetto ai quali possa configurarsi una sanatoria quoad effectum), ma il compimento di atti strutturalmente e funzionalmente estranei alla fattispecie procedimentale legale. Non � poi da trascurare che il sistema adottato con la nuova normativa non � semplicemente diretto ad una tutela delle parti nel necessario contraddittorio, ma ad assicurare pi� rapidi accertamenti, nello interesse generale dell'attivit� tributaria dello Stato, con possibilit� di pi� semplice e pronta documentazione sulla proposizione delle impugnazioni nei termini di legge a causa di quel necessario loro passaggio attraverso la segreteria della stessa commissione che ha emesso la decisione. In tal modo, nell'assenza di tempestivi ricorsi � immediata alla scadenza dei termini la conoscibilit� da parte degli uffici interessati della conseguente definitivit� delle decisioni, senza bisogno di ulteriori richieste e comunicazioni tra uffici e segreterie di commissioni diverse. Invece, nel caso di presentazioni di impugnazioni � la stessa segre teria che, effettuate le necessarie comunicazioni e controllato lo scadere dei termini, pu� provvedere all'invio dei fascicoli alla commissione di grado superiore senza necessit� di ulteriori richieste e segnalazioni. � fa cile rilevare come questa semplificazione con la conseguente maggiore rapidit� corrisponde ai principi direttivi della riforma tributaria attuata per la parte del contenzioso con il citato d.P.R. n. 636 del 1972. Inoltre, per quanto riguarda la possibilit� di appello incidentale � ovvio che la mancata applicazione delle norme di cui all'art. 22 di quel decreto importa difficolt� e incertezze per la sua eventuale proposizione da parte del destinatario dell'impugnazione principale, che incidono sul PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA contraddittorio. Al riguardo � vana l'affermazione dell'Amministrazione ricorrente sulla assenza nella specie di pregiudizi per la contribuente a causa della totale vittoria di costei nel giudizio di primo grado: infatti, la volont� del legislatore sulla inderogabilit� della applicazione di un procedimento, quale quello previsto dal ripetuto art. 22, va considerata in linea generale e non con riferimento alle singole fattispecie. Resta da precisare che l'attuazione della notificazione attraverso un sistema di atti estranei all'attuale ordinamento, alterando il modo di trasmissione del fascicolo alla commissione di secondo grado, aggrava gli inconvenienti rilevati e produce anche attraverso quella diversit� effetti differenti da quelli voluti dal legislatore. (omissis) SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 15 luglio 1982, n. 4171 -Pres. De Biasi Rel. Giardina -P. M. Nicita (conf.) -Soc. Sicilprofilati (avv. Manfre donia) c. Comune di Palermo (avv. Compagno e La Marca). Arbitrato -Comp~tenza arbitrale -Connessione con causa .pendente dinanzi all'A.G.O. -Prevalenza della competenza del ,giudice ordinario. Ove sussista rapporto di connessione tra cause pendenti dinanzi a giudici ordinari ed arbitrali, deve ritenersi prevalente -ed assorbente la competenza dell'A.G.O. (1) II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 luglio 1982, n. 4257 -Pres. Tamburrino -Rel. Santosuosso -P. M. Nicita (conf.) -Impresa Costruzioni Prefabbricati LC.P. S.p.A. (avv. Miglior e Cualbu) c. Cooperativa Edilizia Olimpia S.r.l. (avv. Marmironi). Arbitrato -Competenza arbitrale -Clausola compromissoria � Estensione a tutte le controversie aventi origine dal contratto. La clausola compromissoria, inserita in un contratto, deve essere intesa nel senso che entrano nella competenza arbitrale tutte le controversie che si riferiscono a pretese che hanno la loro causa petendi nel contratto, che abbiano cio� per oggetto diritti quali hanno in quest'ultimo la loro fonte genetica (2). (1-3) La prima sentenza riportata in epigrafe ribadisce concetti ormai pacifici nella giurisprudenza della Cassazione. In numerose occasioni (si cfr. fra tutte, Cass., 20 maggio 1969, n. 1379, in Giust. civ., 1969, I, ,1427; Cass., 7 agosto 1972, n. 2647, in Giust. civ., 1973, I, 827; Cass., 28 maggio 1979, n. 3099, in Giust. civ. Mass., 1979, '1340; Cass., 27 gennaio 11981, n. 628, in Giur. comm., 11981, II, 888) la Suprema Corte ha affermato che l'assorbimento della competenza arbitrale in quella del giudice ordinario trova fondamento nell'esigenza di unit� clli giudi2lio in cause connesse, e nella prevalenza della giurisdizione dell'A.G.O. Si � altres� ritenuto in giurisprudenza (da ultimo, Cass., 27 gennaio 19&1, n. 628, cit.) che tale � assorbimento� si PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 959 III CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 giugno J983, n. 4229 -Pres. Sandulli -Rel. Lipari -P. M. Nioita {conf.). -Rizzo (avv. A. Pallot~ino e Cresoimairmo) c. Assessoraito ai lavori pubblici delJa regione Sicilia (n. c.). Arbitrato � Clausola compromissoria in cont.ratto della reglone Sicilia Richiamo al capitolato generale oo.pp. del 1895 � Fonte negoziale dell'arbitrato obbligatorio � Sopravvenienza del capitolato generale oo.pp. del 1962 e delle legi r:egionali n. 19 del U72 .e n. 21 del 1973 . D.eroga, b!Ut� deJla .c~peteJU')a ro-bitrale p,er unU.aterale volont� di una. parte -Esclusione. (d.m. 28 maggio 1895, ,art. 42; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 47; I. x;eg. Sicilia 31 marzo c1972, n. 19, e 26 maggio 1973, �I�. 21). Il capitolfl.to g.et1-ert1.le del 1895, non diversame11<te dal capitdlato generale del 1962, ha carattere normativo solo qU4ndo venga .invocato dallo Stato. Il richiamo operato da soggetti diversi dallo Stato ha carattere negoziale, e la disciplina � ancorata alle clausole contenute nel contratto, senza che possano spiegare effetti le modificazioni intervenute sul piano normativo. Il passaggio dal regime della obbligatoriet� a quello della f acoltativit� dell'arbitrato esplica i suoi effetti sui rapporti in corso solo se si tratta di appalti che ripetono la loro disciplina dalla matrice legale del capitolato medesimo, quale regola imposta ab extra alla volont� dei contraenti. (3) verifica sia nel caso di connessione �propria�, sia in caso di connessione � impropria �; anche nelle ipotesi, cio� di controversie relative a questioni dalla cui soluzione dipende, in tutto o in parte, la decisione. La Suprema -Corte, in sostanza, manifesta il suo sfavore per i patti corn,pro:i;nissori che determinano una sottrazione dei litiganti alla competenza �naturale� dell'A�G.O., affermando con rigore una interpretaziione restmttiva delle clausole compromissorie, sicch� -in caso di dubbio -si � niespande � la competenza ordinaria. Ailtro problema � poi quello -di cui talora la Cassll,Zione si � occupata della creazione artificiosa di una .lite dinanzi all'A.G.O. al solo scopo di elu�lere il giudizio degli arbitri, che verrebbero privati della competenza a decidere. Non sembra che il problema sia f�icilmente risolubile, e che l'intenzione di creare liti fittizie sia dimostrabile con certezza di rist)ltati; pertanto, in taluni casi (si cfr. Cass., 27 gennaio 1981, n. 628, cit.) la Suprema Corte si limita ad auspicare che una volontaria elusione del giudizio arbitrale non sia prodotta dalle parti, senza tuttavia poter introdurre criteri pi� � flessibili � -a vantag� gio della competenza arbitrale -nel regime dei rapporti tra giurisdizione ordinaria e speciale. Con la sentenza n. 4257 del 1982, sopra riportata, la Cassazione fissa un ulteriore criterio per l'individuazione dell'ambito della competenza arbitrale. 13 960 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I (omissis) Con i capi secondo e terzo di ricorso la Sicilprofilati eccepisce l'inosservanza sia del termine di cui all'art. 47 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, per �escludere la competenza arbitrale� sia del termine di cui all'art. 40 cod. proc. civ. per la formulazione dell'eccezione di connessione davanti agli arbitri. L'eccezione � infondata perch�: -il decorso del primo termine, attinente all'inizio della procedura arbitrale, non pu� precludere l'autonomo insorgere di successivo giudizio davanti all'A.G.O. e di un rapporto di connessione tra questo ed il procedimento arbitrale; -quanto all'art. 40 cod. proc. civ., perch� l'art. 816 stesso codice attribuisce agli arbitri, nel silenzio del compromesso, la facolt� di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono pi� opportuno e, nella specie, non � stata dedotta alcuna violazione di norma procedurale dettata dagli arbitri. Peraltro, in fatto, � da osservare che l'eccezione fu espressa dal Co mune nella prima memoria depositata entro il termine (12 dicembre 1977) per essa fissato dagli arbitri, in sede di costituzione del Collegio. Con il primo capo della istanza, poi, la stessa Sicilprof�.lati ha eccepito l'inesistenza di alcuna corrispondenza o connessione tra i rispettivi petita e causae petendi delle due cause perch� mentre essa aveva fondato la propria domanda agli arbitri sull'asserta responsabilit� del comune per � non aver adeguato il progetto alle raccomandazioni espresse dal I !'Amministrazione dei LL.PP. e per aver sospeso i lavori.. .., il comune di Palermo, nel promuovere la lite davanti al tribunale, aveva parlato I di corresponsabilit� del Ministero dei LL.PP. sia in ordine alle cause I Qualora un contratto contenga una clausola compromissoria, la Suprema Corte ritiene estesa la competenza arbitrale a tutte le controversie relative a diritti che traggono origine dal contratto stesso. Limiti alla cognizione degli arbitri sussistono soltanto allorch� si determini un vero e proprio � travolgimento radicale � del rapporto dedotto in contratto, con il conseguente � assorbimento � della controversia nella giurisdizione dell'A.G.O. La sentenza n. 4229 del 1983 ribadisce affermazioni ormai consolidate nella giurisprudenza degli ultimi anni. Si aderisce a quella teoria che attribuisce ai capitolati generali di appalto per oo.pp. valore normativo di regolamenti di organizzazione, allorch� siano invocati dallo Stato. Il richiamo alle clausole dei capitolati generali ha invece natura negoziale allorch� sia effettuato da enti diversi dallo Stato. Tutte le considerazioni esposte nella sentenza 4229/1983 mirano a sostenere quella tesi (accolta, in fattispecie pressocch� identiche, in Cass., 114 febbraio 1979, n. 965, in Giust. civ. Mass., 1979, 425; Cass., 13 gen� naio 1982, n. 178, ivi, 1982, 63), in base alla quale deve escludersi la possibilit� che una norma regionale incida -secondo la previsione dell'art. B39 cod. civ. - PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 961 della dedotta responsabilit� contrattuale sia in ordine al ritardo nella approvazione della variante e nella erogazione di finanziamenti�. Anche questa eccezione � inattendibile. Come ben risulta dalla narrativa che precede sullo svolgimento del processo: a) con l'azione promossa davanti agli arbitri la societ� Sicilprofilati chiese che il comune di Palermo fosse condannato al risarcimento dei danni per comportamento colpevole in relazione ad un contratto di appalto per costruzione di opera pubblica; b) con l'azione successivamente promossa nei confronti della stessa Sicilprofilati e del Ministero dei LL.PP., davanti al tribunale di Palermo, il comune di detta citt�, richiamate � le pretese � fatte dalla Sicilprofilati nel procedimento arbitrale, chiese che � se responsabilit� dovesse ravvisarsi nel comportamento del comune (stazione appaltante), questa doveva essere imputata agli organi del Ministero� dei LL.PP. o con questi condivisa. Orbene da questa prospettazione emerge un'indubbia comunanza di cause nei rapporti contenziosi davanti al collegio arbitrale ed al tribunale di Palermo; entrambi questi giudici, infatti, furono chiamati a pronunciarsi sulla violazione di diritti derivanti da un contratto di appalto alla Sicilprofilati con la differenza, sotto il profilo soggettivo, che mentre gli arbitri avrebbero dovuto accertare tale asserta violazione nei confronti soltanto del comune di Palermo, il tribunale di questa citt� fu chiamato a decidere se la violazione stessa foss� imputabile al Ministero LL.PP. invece che al comune ovvero ad entrambi questi enti pubblici; sempre al fine di attribuire o meno il chiesto risarcimento danni alla Sicilprofilati con incidenza a carico del comune o del Ministero o di entrambi. Ne consegue, per il riconosciuto rapporto di connessione tra le due cause, che, nella specie, la competenza arbitrale deve essere dichiarata assorbita dalla competenza del tribunale di Palermo: e tanto in aderenza sul regime di contratti gi� stipulati, imponendo -retroattivamente -il regi me previsto nel d.P.R. J.063 del 1962. La previsione di una adozione obbligatoria del capitolato generale � legittima per tutti i contratti successivi all'entrata in vigore della legge regionale: i contratti gi� stipulati restano invece soggetti al regime derivante dal richiamo -avente natura negoziale -alle norme del capitolato generale in vigore all'epoca della conclusione del contratto stesso, senza che la sopravvenienza di un nuovo capitolato e di una legge che ne imponga l'adozione per tutti i contratti regionali, possano determinare auto� maticamente la sostituzione -nel contratto gi� concluso -della disciplina del nuovo capitolato a quello non pi� vigente, e la modificazione della natura -normativa e non pi� negoziale -del richiamo alle olausole del capitolato generale attualmente in vigore. FRANCO FRATTINT 962 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO alla costante giurisprudenza di questa Corte Suprema che, nel fine di garantire la possibilit� di un simultaneus processus, coglie in qualsiasi rapporto di connessione tra cause pendenti davanti a giudici ordinari ed arbitrali ragione giustificatrice della prevalenza assorbente della giuri. sdizione ordinaria (cfr. Cass., 27 gennaio 1981, n. 628; 28 maggio 1979, n. 3099; 4 <wrile 1979, n. 1943; 10 luglio 1978, n. 3448; 3 ottobre 1974, n. 2566; 7 luglio 1972, n. 2647). (omissis) II .(omissis) La cooperativa resistente eccepisce l'inammissibilit� del ricorso .per essere stato proposto :oltve il termine previsto dall'art. 47 cod proc. civ. Questa eccezione appare infondata, dal momento che essa parte dal presupposto che la sentenza del tribunale sia stata comunicata, nel suo dispositivo, il 30 lu,glio 1981. Ma, come esattamente rileva il P.M. nella sua requisitoria scritta, manca la prova in atti di tale ~municazione; si che, dovendo il termine decorrere dalla data (21 settembre 1981) di notificazione della sentenza stessa, l'istanza di regolamento deve ritenersi tempestivamente proposta. Le censure, articolate in modo complesso nell'istanza di regolamento, tendono sostanzialmente a dimostrare la competenza del giudice ordinario sotto un duplice profilo: a) perch� la controversia non riguardava unicamente il contratto di appalto (al quale soltanto si riferiva la clausola compromissoria) ma anche la fornitura di parti prefabbricate; b) perch� esulava dall'oggetto della predetta clausola il pagamento di un prezzo che era stato concordato transattivamente. In conformit� alle conclusioni cui � pervenuto nella sua requisitoria il P.M., questo Collegio ritiene che il ricorso sia infondato. Va premesso, in linea di principio, che la clausola compromissoria, in virt� della quale le parti devolvono alla cognizione di arbitri tutte le eventuali controversie derivanti dalla interpretazione ed esecuzione del contratto in cui la clausola medesima � inserita, deve essere intesa nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie che si riferiscono a pretese che hanno la loro causa petendi nel contratto, che abbiano cio� per oggetto diritti i quali hanno in quest'ultimo la loro fonte genetica. Come ha esattamente ritenuto la sentenza impugnata, nella specie, l'Impresa costruzioni prefabbricati ha prospettato la sua pretesa in termini di �appalto�; con riferimento, cio� al contratto, in forza d�l_ quale la cooperativa Olimpia aveva ad essa commesso la costruzione di una casa di civile abitazione. Nella stessa linea si � posta l'ingiunta cooperativa, opponendo i vizi dovuti alla cattiva esecuzione dell'opera. - PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Se questi erano pacificamente gli estremi del contendere, e se per un rapporto cos� qualificato rileva la clausola compromissoria, non � suffi. ciente per far ricadere tutta la controversia nella competenza del giudice ordinario il fatto che al predetto contratto era connessa anche la fornitura di parti prefabbricate, n� che nel corso delle vicende del rapporto stesso fosse intervenuta una transazione sul prezzo dovuto. Il primo ele� mento, infatti, non appare decisivo a spostare i termini della pretesa e delle relative eccezioni, incidenti essenzialmente sulla esecuzione del contratto di appalto; il secondo elemento si presenta come determinazione transattiva del corrispettivo dei lavori eseguiti e delle sue modalit� di soluzione, non come travolgimento radicale del precedente rapporto; tanto pi� che nello stesso contratto di appalto (artt. 4 e 5) venivano gi� previste dalle parti delle variazioni per l'adeguamento delle condizioni contrattuali alle circostanze sopravvenute. Esattamente, quindi, il tribunale di Nuoro ha indicato la competenza arbitrale per la controversia in esame. (omissis) :m (omissis) I. -Nel contratto di appalto stipulato fra la regione Sicilia e l'imprenditore Alfonso Rizzo il 6 settembre 1961 si sono richiamate, ad integrazione della disciplina negoziale, le clausole del capitolato generale di appalto per le opere pubbliche approvato con d.m. 28 maggio 1895, che all'art. 42 prevede la competenza arbitrale �non derogabile� per tutte le controversie derivanti dal contratto di appalto. Con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, � entrato in vigore il nuovo capitolato generale che all'art. 47 contempla una clausola compromissoria � derogabile �. Con leggi regionali siciliane 31 marzo 1972, n. 19 e 26 maggio 1973, n. 21, � stata resa obbligatoria, per gli appalti stipulati dalla regione siciliana e dagli enti pubblici regionali, l'applicazione del suddetto capitolato n. 1063 del 1962. Con citazione 31 maggio 1976 gli eredi dell'appaltatore hanno convenuto in giudizio la regione Sicilia, azionando davanti alla autorit� giudiziaria ordinaria pretese patrimoniali derivanti dall'esecuzione del suddetto contratto e collegate a comportamenti successivi alla entrata in vigore del d.P.R. del 1962. Si controverte fra le parti in ordine alla competenza a conoscere della controversia che la regione, trovando l'avallo della impugnata sen� tenza e del P M. presso questa Corte regolatrice, pretende di radicare esclusivamente in sede arbitrale, mentre gli eredi dell'appaltatore lo contestano. 964 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Osserva il Collegio che la decisione del tribunale di Palermo appare giuridicamente ineccepibile. Davanti a quel giudice l'attore aveva fatto essenzialmente leva sulla immediata applicabilit� delle norme processuali del nuovo capitolato del 1962, sostenendo, in subordine, che l'equiparazione del capitolato normativo a quello facoltativo avrebbe dovuto essere ritenuta, senz'altro, per effetto delle sopravvenute leggi regionali n. 19/72 e n. 21/73. In questa sede viene abbandonata la tesi pi� radicale che portava in ogni caso, quale che fosse l'ente stipulante ed a .prescindere dal titolo della relatio, alla applicazione, quale ius superveniens, dell'art. 47 del capitolato del 1962; e si pretende di far leva sulla vincolativit� del riferimento imposto dalla legge regionale, soggiungendo che la tesi dell'arbitrato obbligatorio resterebbe esposta ad insuperabile censura di incostituzionalit�. Con il primo motivo si assume che le leggi regionali n. 19 del 1972 e n. 21 del 1973 hanno reso normativamente obbligatoria, per gli appalti stipulati dalla regione Sicilia e dagli enti dipendenti, l'applicazione del capitolato generale d'appalto del 1962, con l'effetto dell'imperativo ed immediato riferimento, per l'attuazione della tutela giurisdizionale, alle norme del capitolato medesimo, anche relativamente ai contratti in corso, qualunque fosse la precedente loro disciplina. In particolare opererebbero le norme procedurali del capitolato del 1962 dal momento della entrata in vigore delle suddette leggi regionali, e quindi, alla stregua dell'art. 47 del capitolato medesimo, sarebbe consentito declinare la competenza arbitrale, sussistendo la possibilit� di adire direttamente il giudice ordinario. Bene, pertanto, il Rizw, rispetto ad un contratto di appalto non ancora definito, in un momento successivo alla data di entrata in vigore delle suddette leggi regionali avrebbe chiamato in giudizio l'Assessorato davanti al giudice ordinario, non rilevando che tale possibilit� non fosse contemplata al tempo della stipula, alla stregua della operata relatio al capitolato del 1895, non dovendosi avere riguardo al momento della costituzione del rapporto, sibbene a quello della insorgenza (anzi della definizione) della fase contenziosa, che � quella contemplata dalla norma processuale imperativa e di applicazione immediata. L'istituto della eterointegrazione del contratto per forza di legge, si soggiunge, � ampiamente riconosciuto nel nostro ordinamento ed avallato dalla giurisprudenza (cfr. Cass., nn. 67/63, 461/65, 2878/68, 1812/72, 3018/75, 4542/80) e pu� farsene correttamente applicazione nel caso di specie. In estremo subordine si osserva che se fosse concepibile, per assurdo, una ultrattivit� processuale della competenza arbitrale � non derogabile � di cui al vecchio capitolato del 1895, e fosse sostenibile la ricettivit� del rinvio a quel capitolato, ugualmente la clausola arbitrale obbligatoria PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 965 non sarebbe applicabile, dntegrando (specie dopo l'assoggettamento ex lege degli appalti della regione alla disciplina degli appalti dello Stato) una giurisdizione speciale, � decaduta � in forza dell'art. 102 Cost. e della VI disp. trans. Cost. e comunque non pi� ammissibile, donde il ripristino della giurisdizione del magistrato ordinario, o, al pi�, del principio di scelta facoltativa fra le due competenze. 2. -Il ricorso � privo di fondamento giuridico. Il punto cardine della questione di competenza attiene alla identificazione della fonte della clausola compromissoria ed alla determinazione della sua portata in relazione alla possibile incidenza del sopravvenuto diritto statuale (d.P.R. n. 1063 del 1962) e regionale (1. reg. Sicilia n. 19 del 1972 e 21 del 1973). Dalla narrazione dello � svolgimento del processo � e dalle puntualizzazioni contenute nel precedente paragrafo, risulta con sicurezza che il contratto di appalto su cui si radica la presente lite venne stipulato �prima� dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 1063 da parte della regione siciliana che ritenne di integrare la disciplina del rapporto con il richiamo alle disposizioni del capitolato statale del 1895, in via di recezione mate' riale, attraverso la eterointegrazione del contenuto negoziale per relationem perf ectam come sottolinea la sentenza impugnata. Indiscutibilmente la disciplina considerata risulta, quindi, di fonte esclusivamente negoziale, essendosi formato l'accordo delle parti su un complesso di clausole talune delle quali, ad integrazione e completamento dell'accordo, venivano mutuate alle corrispondenti statuizioni del capitolato del 1895. Ed � altrettanto pacifico che il contratto includeva, in forza della suddetta relatio, una clausola compromissoria � inderogabile � per tutte le controversie che fossero scaturite dalla esecuzione dell'appalto, espressa con i contenuti di cui alla clausola 42 del suddetto capitolato del � 1895. La inderogabilit� di tale clausola compromissoria discende dalla volont� delle parti che si sono determinate alla stipula di un regola mento dei reciproci interessi cos� articolato senza che il relativo conte nuto fosse in tal senso obbligatoriamente predeterminato per legge. Ne risulta all'evidenza che la clausola compromissoria in esame si presenta di matrice negoziale e non legale. Pertanto la qualificazione del previsto arbitrato come arbitrato � obbligatorio �, va fatta nella consapevolezza che il vincolo di soggezione all'arbitrato venne assunto, perch� cos� ebbero a convenire espressamente le parti con � libero � incontro della loro volont�, senza prevedere alcuna deroga. Ovviamente nel ratificare l'obbligatoriet� inderogabile della clausola compromissoria, in funzione di un vinculum iuris fondato sulla volont� dei contraenti, non si realizza, nonostante il possibile equivoco terminologico, quel tipo di arbitrario � obbligatorio � o � necessario �, di cui 966 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la Corte cost., con sentenza n. 127 del 1977, ebbe a sancire l'incompatibilit� con la Costituzione, riferendosi tale pronuncia agli arbitri ex lege e fondandosi sul rilievo che, a seguito del carattere rigido della Costituzione, la legge ordinaria, od altri atti autoritativi possono soltanto � predisporre � e non gi� � disporre � gli arbitrati tra le parti. Ora, appunto, nel caso di specie, l'arbitrato obbligatorio � stato convenuto non gi� quale iussum normativo, ma quale modalit� dell'accordo negoziale, poich� neppure la Regione, al momento della stipula, era vincolata ad adottare tale capitolato a parametro dei propri contratti di appalto. La messa in evidenza della fonte negoziale delle clausole svuota di significato la censura svolta in termini di costituzionalit�, assumendosi che l'obbligatoriet� dell'arbitrato verrebbe ad urtare contro il canone costituzionale in tema di giurisdizioni speciali. L'impostazione corretta della problematica toccata dal motivo � quella che fa capo alla gi� riconosciuta illegittimit� costituzionale degli arbitrati imposti per legge, e quindi della inconciliabilt� con la Costituzione di norme che non offrissera tutela, per imposizione di legge, se non in sede arbitrale. Ma nel caso in esame il vinculum iuris e la soggezione all'appalto non � n� �predisposta�, n� �imposta� dalla legge, ma attuata dai eontraenti, adattando per relationem' uno sehema negoziale � standard>>, predisposto daUa P.A. per i propri contratti e vincolante esclusi� vamente in detto ambito, mentre la qualificazione normativa spetta ai soli capitolati richiamati nei contratti di appalto di cui sia parte contraente lo Stato (toccando una situazione radicalmente diversa da quella di specie). 3. -E qui si innesta il discorso, fin troppo noto, sulla natura giuridica dei capitolati d'appalto. Sia rispetto al capitolato del 1895, che a quello del 1962, si � postulate (in via interpretativa per il primo, e per espressa statuizione formale per il secondo) il carattere normativo solo quando venga invocato dallo Stato. Se il richiamo operato da soggetti diversi dello Stato ha carattere negoziale, venendone esclusa la natura normativa, la disciplina resta ancorata alle clausole contenute nel contratto, o da questo puntualmente richiamate, senza che possano spiegare effetti di sorta le modificazioni intervenute sul piano normativo. Ne consegue che il passaggio dal regime della obbligatoriet� a quello della facoltativit� dell'arbitrato, esplica i suoi effetti sui rapporti in corso solo se si tratta di appalti che ripetono la loro disciplina dalla matrice legale del capitolato medesimo, quale regola imposta ab extra alla volont� dei contraenti. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 961 Se, dunque, il capitolato generale del 1962 (recentemente modificato sul punto della clausola arbitrale dalla legge n. 751 del 1981, ispirata da criteri restrittivi nell'opzione per la competenza ordinaria) ha natura e valore normativo di regolamento di organizza:tiione solo nei confronti delle amministrazioni dello Sta,to, quando viene in considerazione la relatio operata in tal senso da altri enti, ancorch� tenuti ad uniformare i propri capitolati a quello generale dello Stato, le previsioni del capitolato medesimo costituiscono clausole negoziali, operanti per volont� pattizia (e non in quanto imposte autoritativamente nel quadro di un rapporto che implica, entro certi limiti, la subordinazione di un soggetto ad un altro anche durante il suo svolgimento). Questa essendo la limitata forza negoziale del richiamo operato al capitolato nei contratti che non siano stipulati da amministrazioni dello Stato, ne consegue che la volont� negoziale formatasi per relationem al capitolato generale vigente al momento in cui il contratto � concluso, e richiamato nominatim, resta definitivamente ancorata alle pattuizioni consacrate nell'atto, senza che le eventuali modificazioni sopravvenute possano riflettersi su tale disciplina, alterando il rapporto pattizio del contratto in corso. Infatti la timmediata applicabilit� dello ius superveniens (e quindi specificamente la disciplina facoltativa dell'arbitrato in luogo di quella obbligatoria ed inderogabile) si pu� manifestare esclusivamente sul piano suo proprio della normativit�, se ed in quanto il capitolato venga in considerazione nella qualit� e con l'efficacia propria dell'atto normativo. Ci� posto, il discorso del ricorrente appare privo di pregio perch� inammissibilmente ancorato al presupposto della normativit� del capitolato richiamato e di quello sopravvenuto, che ha operato il passaggio dal carattere obbligatorio a quello facoltativo dell'arbitrato. Se � esatto quel che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ha sempre ritenuto, postulando il carattere negoziale del capitolato richiamato da soggetto diverso dalla amministrazione statale, (anche se tenuto ad uniformarvisi), la sopravvenienza di una norma che introduca ex novo un obbligo siffatto per l'innanzi insussistente, opera (e non pu� che operare) con proiezione esclusiva verso il futuro, nel senso, cio�, che l'ente non potr�, dalla data di entrata in vigore della norma che impone quell'obbligo, addivenire a contratti non contemplanti una relatio siffatta; ma tale sopravvenienza non spiega alcun effetto sulla disciplina pattizia (Cass. n. 178/82) sia per le previsioni di carattere sostanziale, sia per quella di carattere processuale (Cass., nn. 3018/75, 5413/77, 1638/82). Con ci� non si nega che la eterointegrazione sia possibile in astratto, ma si esclude recisamente che le leggi regionali siciliane richiamate ab biano una efficacia siffatta. Esse non si propongono di incidere sui rap porti in c0rso mediante sostituzione di parte della disciplina pattizia, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 968 ma vincolano per il futuro Regione ed enti regionali alla stipula di contratti nei quali sia necessariamente operata la relatio alle clausole del capitolato del 1962. L'applicazione del capitolato vincola in relazione alla stipula di futuri contratti, ma non riguarda affatto i contratti iin corso. � questo snodo del ragionamento del ricorrente che risulta del tutto apodittico ed indimostrato; conseguentemente manca di base la successiva illazione che l'art. 47 del nuovo capitolato del 1962 si sostituisce all'art. 42 del vecchio capitolato. Poich� le leggi regionali si proiettano esclusivamente nel futuro (in coerenza con la caratteristica tipica, che ne limita in principio, l'efficacia retroattiva) acquista determinante rilievo, costituendo l'essenziale spartiacque interpretativo, l'anteriorit� della stipula del contratto in esame all'emanazione della norma che impone alla Regione di uniformarsi (per il futuro) al capitolato, imposizione che di per s� non si riflette sulla disciplina negoziale, vincolando il committente a predisporre lo schema dei futuri contratti secondo determinati parametri contenutistici mutuati al capitolato del 1962, ma non tocca la disciplina dei contratti, il cui contenuto resta integrato, in forza di recezione materiale, dal capitolato vigente al moment9 della stipula (e ad esso solo). Nel caso in esame, alla data della stipula del contratto di appalto le leggi regionali non erano ancora intervenute, imponendo al committente l'adozione dello schema del capitolato del 1962 (del resto nemmeno entrato .in vigore); e, pertanto, l'Assessorato era libero di addivenire ad una stipula in cui il regolamento negoziale veniva completato dalla relatio al capitolato del 1895, e specificamente alla clausola arbitrale inderogabile di natura negoziale che restava insensibile alle modificazioni normative sopravvenute incidenti esclusivamente sulle situazioni negoziali che postulano obbligatoriamente l'adozione della normativa, del capitolato, trattandosi di negozi posti in essere dalle amministrazioni statali. 4. -Rappresenta, pertanto, una forzatura esegetica, priva di qualsiasi riscontro, l'assunto che le richiamate leggi regionali non si siano limitate a prescrivere l'obbligo della regione e degli enti pubblici da essi dipendenti di uniformare i propri capitolati a quello generale dello Stato, dettando un obbligo di tacere operante per il futuro (e incidente soltanto sul contenuto dei negozi da stipulare), ma abbiano prescritto, con effetto sostitutivo immediato, l'adozione in tutti i contratti in corso, delle norme del capitolato dello Stato che trovavano applicazione come fonte unica diretta ed immediata di disciplina del rapporto. La tesi non solo non risponde all'univoco dettato della legge, ma comporterebbe, se tale fosse stata la volont� del legislatore regionale, una manifesta esorbitanza dall'ambito della competenza normativa regionale. 11111�11J11:mr1111irt111;1ri==rlrlli1t11i111111111;;111t111111111far,1� :~ ~ PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 969 Non, quindi, la disposizione negoziale che introduce per la risoluzione delle liti lo strumento dell'arbitrato obbligatorio inderogabile (che nulla ha a che vedere con il paradigma della giurisdizione speciale), ma la eventuale pretesa del legislatore regionale di incidere sulla materia contrattuale si presenterebbe quale evidente violazione del sistema costituzionale delle fonti. Senza che occorra delibare, sia pure sommariamente, la delicata problematica che ruota intorno alla norma dell'art. 1339 cod. civ., sull'inserzione automatica di clausole nei contratti, sembra sufficiente sottolineare che se fosse esatta, ma non lo �, l'ipotesi interpretativa affacciata dall'appaltatore, la legge regionale che pretendesse di operare una siffatta inserzione di clausole nei contratti vigenti, conformandone il contenuto ad un archetipo obbligatoriamente imposto per tutti i contratti in corso di svolgimento (in un dato ambito regionale), si porrebbe in contrasto con la Costituzione. Ritiene fermamente il Collegio che questo il legislatore regionale non abbia voluto fare, essendone chiaro l'intento di dettare un vincolo per le future contrattazioni; si deve, comunque, rilevare ad abundantiam che non avrebbe potuto farlo per l'impedimento nascente dai limiti che esso incontra in materia di diritto privato e di disciplina dei contratti, sia pure ad evidenza pubblica, quale si presenta l'appalto di opere pubbliche; e perch� ne sarebbe conseguita una pafese diversit� di trattamento fra contratto e contratto in ambito spaziale differenziato, con violazione del principio di eguaglianza. Altro, infatti, � il potere della regione di dettare un modello negoziale ai propri organi deputati alla stipulazione dei contratti, predisponendo il contenuto sul quale si dovr� formare il consenso, altro � il potere di rompere l'equilibrio di contratti gi� stipulati per imporre ab extra una disciplina diversa da quella espressa dal regolamento negoziale, potendo avvenire la sostituzione delle clausole dei contratti (anche ammesso, ma la tesi lascia perplessi, che tale sostituzione possa riguardare contratti stipulati quando ancora l'imposizione legale del contenuto della clausola non si era avuta) soltanto in forza di leggi dello Stato. In effetti, la giurisprudenza della Corte cost. � fermissima nell'esclu dere l'interferenza della potest� legislativa regionale nel campo del diritto privato contrattuale (cfr. sentt. nn. 38/77, 154/72, 108/59) ed ha corretto un antecedente orientamento che consentiva alla regione di apprezzare eccezionali situazioni locali, precisando che, quantunque lo statuto sici liano, soltanto all'art. 14 lett. d) a proposito di industria e commercio, escluda espressamente la competenza di diritto privato, in via di prin cipio la disciplina dei rapporti intersoggettivi di natura privatistica appar tiene alla competenza istituzionale dello Stato, perch� ad essa sotto stanno esigenze di unit� e di eguaglianza che possono essere salvaguar date esclusivamente dall'ente esponenziale dell'intera collettivit� nazionale. rapporti negoziali rapporti negoziali :-:_.:.-..-��::: .......���.�..�...� 970 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La regione, dunque, ben poteva, come ha fatto, imporre a soggetti di diritto pubblico di adottare determinati parametri contenutistici nell'addivenire ai futuri contratti di appalto; ma rispetto a in atto, difettava radicalmente di quel potere sostitutivo, dai delicati connotati, cui fa riferimento l'art. 1339 cod. civ. nemmeno attraverso l'imposizione di detti contenuti in via indiretta dettando cio� la norma imperativa la cui sostituzione viene a dipendere dalla forza propria dell'art. 1339' cod. civ. Si vuol dire, cio�, che rappresenterebbe una indebita interferenza nella disciplina legale contrattuale pretendere di sostituire le clausole contenute nei contratti stipulati dalla regione con altre clausole � retroattivamente � imposte, poich�, a parte il problema della retroattivit�, il dettare regole suscettibili di imporsi ai contraenti nel senso che ad esse si debbano confermare i contratti futuri, con l'effetto di venire ad essere sostituite le clausole convenzionali da quelle legali, � compito riservato al legisla tore nazionale, perch� in funzione di un'esigenza che non pu� non imporsi onnicomprensivamente all'intera collettivit� nell'ambito di efficacia dell'ordinamento. N� gioverebbe far leva sul carattere processuale dello strumento arbitrale e sull'attitudine delle norme processuali ad essere applicate quale ius superveniens ai rapporti in corso, venendo sotto questo profilo in considerazione la successione di fonti normative, il passaggio da una disciplina legale avente riflessi processuali ad altra disciplina di segno. diverso, mentre nel caso in esame la matrice negoziale della relatio del contratto al capitolato del 1895 con carattere sicuramente recettizio, � fuori discussione. Riemerge, a questo punto, l'essenziale rilievo della distinzione fra capitolati di fonte normativa e capitolati di fonte negoziale che restano tali anche quando sia la legge ad imporne l'adozione, operando la normativit� solo rispetto al capitolato generale richiamato nei contratti stipulati dallo Stato. A questo punto il discorso torna al suo alveo dovendosi intendere le leggi regionali nella loro effettiva portata che � quella di imporre la relatio al capitolato dello Stato rispetto a futuri contratti che la regione e gli enti andranno a stipulare; con la conseguenza che le clausole compromissorie resteranno ancorate alla formula scaturente dal capitolato� vigente all'epoca della stipula ed espressamente richiamato cos� come impone la legge. Ci� non implica, peraltro, normativizzazione del capitolato medesimo; con l'effetto che eventuali sopravvenute modifiche delle modalit� delle clausole arbitrali (in ipotesi quelle di cui alla legge n. 739 del 1981), non potranno riverberarsi nella disciplina degli arbitrati innestata sui contratti anteriormente stipulati. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Ci� vale, a maggior ragione, in regime di libera scelta del contenuto delle clausole e del modello di clausola compromissoria attuata mediante il riferimento specifico, effettuato nominatim al capitolato statale del 1895 (che, del resto, era ancora vigente al momento della stipula). Le sopravvenute leggi regionali vincolano i destinatari delle norme ad includere nello schema negoziale da sottoporre agli appaltatori le norme del capitolato approvato con d.P .R. 19 luglio 1962, n. 1063, ma non si riflettono in alcun modo sul contenuto delle clausole dei contratti gi� stipulati. Una sostituzione siffatta, imposta con legge regionale, per un verso sarebbe contraria al sistema delle fonti; e per altro v.erso non realizzerebbe la normativizza.zj;one del capitolato richiamato che riguarda esclusivamente i contratti stipulati da amministrazioni statali. In conclu&ione: p&ich� il contratto si � perfezionato quando era ancora in vig@,re il capitolato del 1895 e le parti hanno inteso vincolarsi alla soggezione :integrativa a1le disposizioni del capitolato medesimo (il �quale prevedeva come '6bbligatoria ed inderogabile la competenza arbitrale~, ed il ,oo.ntratto, essem.do stipulato daila regione e non -dallo Stato, veniY.a a riguardai:e H ;capitolato medesimo con vincolativit� di fonte negozia.le e non normativa, restando insensibile alle modificazioni riguardanti la qualificazione �normativa (ad essa sola), nonch� alla sopravvenuta imperativa previsione dell'adozione delle clausole del nuovo capitolato del 1962, imposto cl.alle leggi regionali siciliane nn. 19/72 e 21/73, le parti medesime, vincolate dalla prevdsion~ de1l'arbitrato obbligatorio, dovevano adire gli arbitri anzich� riv.olgersi, come avevano fatto, inutilmente, all'autorit� giudiziaria ordinaria, non valendo addurre in.contrario la possibile lettura dell'art. 9 della legge reg. Sicilia n. 21 del 1973 secondo cui si sarebbe dovuto applicare obbligatoriamente il capitolato generale di appalto -approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, nel senso della �sostitutivit� �: sia perch� la lettura della norma non dispone in tal senso; sia perch� una sostituzione siffatta non si sarebbe potuta imporre con legge regionale, ed anche se operata validamente non avrebbe avuto il preteso effetto normativo, che accompagna esclusivamente l'adozione del capitolato statale da parte delle amministrazioni dello Stato. In conformit� all'univoco orientamento di questa Corte che riposa su una prassi ormai pi� che ventennale, non pu� trovare ingresso la memoria del ricorrente poich� nel procedimento di regolamento di competenza, il quale non prevede la notificazione alle parti della conclusione del P. M. resta preclusa la produzione di memorie difensive, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 378 cod. proc. civ. (cfr., fra le tante, Cass. n. 1939/81). Deve essere, pertanto, dichiarata la competenza del collegio arbitrale, rigettando il ricorso. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 972 TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 19 ottobre 1983, n. 38 -Pres. Tamburrino -Rel. !annotta -Calvo (avv. M. Conte) c. Assessorato ai lavori pubblici della regione siciliana e Amministrazione dei lavori pubblici (avv. Stato Russo). Acque pubbliche � Piano regolatore generale degli acquedotti � Prescrl� zioni sull'uso delle acque non traducentisi in vincolo di portata � Effetti. (d.P.R. 11 marzo 1968, n. 1090). La disposizione del P.R.G. degli acquedotti, secondo la quale, in relazione a determinate acque, debbano compiersi studi e ricerche in vista di eventuali miglioramenti delle previsioni di piano, vincola l'Ammini� straziane ad identificare bisogni ulteriori o di miglioramento dell'alimentazione idrica 'e perci� esclude che l'acqua possa risultare totalmente esaurita attraverso concessioni. Non traducendosi per� la disposizione in un vincolo attuale di portata, essa non importa la legittimit� di un diniego totale di concessione, dovendo invece l'Amministrazione discrezionalmente valutare, sulla base dei necessari apprezzamenti tecnici, la compatibilit� delle domande di concessione con i criteri di gestione del patrimonio idrico fissati dal P.R.G. degli acquedotti. (1) (omissis) 1. -Il diniego di concessione di acqua all'avv. Antonio Cal vo, che aveva presentato specifica domanda, fu giustificato sul presup posto della incompatibilit� tra la richiesta dello stesso avv. Calvo e le disposizioni del piano regolatore generale degli acquedotti, per la parte relativa al territorio della regione Sicilia. In particolare l'Assessore pre� cis�, giusta quanto si desume dalle premesse del provvedimento impu gnato, che la sorgente Malastalla � oggetto di vincolo, secondo lo schema 148/A del piano citato. Tale schema, che � una delle disposizioni costituenti il piano regola� tore generale degli acquedotti, dispone nel senso della possibilit� di cap tazione di acque sotterranee esistenti nel bacino idrico nei versanti nord est e nord-ovest del massiccio etneo. Tra queste acque sono comprese anche quelle esistenti nel territorio del comune di Biancavilla di Sicilia, ove si trova la sorgente Malastalla. Tuttavia la citata disposizione del piano generale suindicato non im� porta un vincolo di portata; infatti nella nota allo schema citato (G. U. 21 marzo 1977, n. 77, p. 2010) � precisato che relativamente alle acque del (11) Non consta di precedenti in termini. Sul rapporto tra vincoli di destinazione recati dal P.R.G. sugli acquedotti e domande di concessione, cfr. Trib. sup. acque pubbliche, 27 ottobre 1977, n. 32, in questa Rassegna, 1978, I. 394. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI bacino suindicato sono previsti studi e ricerche in vista di eventuali miglioramenti delle previsioni di piano .. La citata disposizione del piano generale, pur non importando un vincolo di destinazione attuale su un bene pubblico, fissa un criterio di azione amministrativa circa la gestione del demanio idrico della zona sopra precisata. Tale criterio consiste nel vincolare l'Amministrazione ad identificare bisogni ulteriori o di miglioramento nell'alimentazione idrica; bisogni da soddisfare eventualmente mediante le acque sotterranee. La determinazione di questo criterio di azione amministrativa implica che l'Amministrazione deve evitare la sopravvenienza di qualunque pregiudizio all'utilizzabilit�, per le esigenze individuate nel Piano generale, del patrimonio idrico esistente nel bacino, al quale si � fatto cenno. Da ci� segue che l'assenza del vincolo attuale di portata non implica che l'Amministrazione sia tenuta a soddisfare tutte le domande di concessione. Il patrimonio idrico suindicato deve essere amministrato in modo da evitare che possa essere disattesa la previsione programmatica espressa dallo schema 148/ A. Una diversa conclusione postulerebbe la possibilit� di un eventuale esaurimento o sensibile riduzione del patrimonio idrico, oggetto dello schema citato. N� potrebbe essere accettata l'impostazione opposta, sul rilievo che lo schema 148/A concerne acque sotterranee ma non acque sorgenti. In effetti il complesso delle acque sotterranee alimenta le distinte sorgenti esistenti nel bacino. Pertanto l'utilizzazione delle acque sorgenti non pu� prescindere dalla destinabilit�, in conformit� delle prescrizioni del piano regolatore generale, delle acque sotterranee collegate alle prime. Dalle suesposte considerazioni discende l'infondatezza del terzo mo tivo di ricorso. 2. -L'assenza del vincolo attuale di portata preclude la legittimit� del diniego totale di concessione di acque pubbliche comprese nel bacino idrico, individuato dallo schema 148/A. Il diniego di qualunque concessione Jmporterebbe la sostanziale equiparazione del vincolo ex schema 148/A a quello di portata, posto da altre disposizioni del piano generale. Spetta naturalmente all'Amministrazione valutare, discrezionalmente, e sulla base dei necessari apprezzamenti tecnici, la compatibilit� delle iniziative, proposte con le domande di concessione, con i criteri di amministrazione del patrimonio idrico, fissati dal piano generale degli acquedotti. Non pu� sfuggire alla valutazione amministrativa, in vista dell'esistenza o meno della compatibilit� alla quale sia fatto cenno, la quantit� d'acqua da derivare, l'uso della derivazione, l'entit� delle attrezzature e degli impianti necessari per assicurare l'utilizzazione dell'acqua. La quan RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 974 tit� d'acqua ha importanza sotto il profilo dell'incidenza della concessione sulla conservazione del patrimonio idrico, eventualmente utilizzabile. L'uso della derivazione pu� essere valutato opportunamente sia in vista della natura del bisogno da ,soddisfare sia della .continuit� o costanza della derivazione, in modo da apprezzare l'incidenza di quest'ultima sul patrimonio idrico. L'analisi delle attrezzature e degli impianti assume rilevanza per calcolare l'impegno finanziario del concessionario, i tempi dell'ammortamento; da .questi dati si possono dedur.re utili elementi per prevedere la tempestiva .estinzione ,del rapporto di concessione, in vista della :&oprav,venienza di un �bisogno pubblico, da soddisfare, irrefragabilmente. Il ricorso de:v.e .pertanto essere accolto nei limiti suindicati; sussistono .giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio. ili i ~ Il r: f I . I �11�11111111111r11i111111:11r111111t1111111111111111r11rr11rr111rai ' SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III Pen.. 18 novembre 1983. n. 1832 -Pres. De Martino -Rel. Nardi -Rie. Pongiglione Vincenzo e Salvi Bianca Parte civile Amministrazione del Tesoro e Ufficio Italiano Cambi (avv. dello Stato Nicola Bruni). (1) Impugnazioni penali -Sentenza emessa dalla Corte di appello in sede di rinvio della Cassazione relativamente a sola misura di sicurezza Ricorso per cassazione -Inammissibilit�. Contro la sentenza emessa dalla Corte di Appello in sede di rinvio della Cassazione relativamente a sola misura di sicurezza non � proponibile ricorso per cassazione, potendo l'interessato esperire soltanto il rimedio previsto dall'art. 640 cod. proc. pen., con la speciale procedura in tale norma indicata. (1) Con tale pronunzia la Suprema Corte ha respinto il ricorso proposto dagli :interessati avverso la sentenza deUa Corte di Appello di Genova del 15 marzo 11983, che si riporta appresso con nota. CORTE DI APPELLO DI GENOVA, Sez. I-A, 15 marzo 1983, n. 418 -Pres. Curto -Rel. Schiavo -App. Pongiglione Vincenzo e Salvi Bianca -Parte civile Ministero del Tesoro (avv. Stato Guicciardi). Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Confisca prevista dall'art. 240 cod. pen. -Opportunit� di disporla ove permanga la disponibilit� all'estero. Reato -Reato valutario previsto dall'art. 2 legge 30 aprile 1976, n. 159 e successive modifiche -Confisca di azioni -Ordine di annotazione della sentenza nei registri dei soci. Sussiste l'opportunit� di procedere alla confisca dei cespiti esterovestiti, di cui � stata omessa la denuncia 1nei termini di legge, a sensi art. 2 legge n. 159 del 1976, per effetto del disposto dell'art. 240 cod. pen., quando il permanere della situazione di fittizia intestazione, con masche� ramento degli effettivi proprietari, consentirebbe a questi ultimi la libera disponibilit� di azioni fittiziamente intestate a societ� estere e circolanti all'estero, con conseguente possibilit� di porre in essere atti di aliena 14 976 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO zione o disposizione effettiva o fittizia dei relativi cespiti e conseguente nuova crea~ione all'estero di disponibilit� valutarie occulte in favore degli imputati medesimi, mantenendo viva l'idea e l'attrattiva alla commissione di altri reati di natura analoga, che l'istituto della confisca mira a vanificare. AZ,la pronuncia di confisca di azioni deve accompagnarsi l'ordine di .~Jlllft.~r,,~og.e, 1.,~U~~ sen~enza nel registr~ d~i socj-dell~ rel~tive societ�, p.1fWffsi~f_{l'e.g~~nsecazwne nei confronti dei soci e dei terzi delle conse 1 guenze delta aisposta confisca. (om_issi~) Ha la Suprema Corte di cassazione, con la sentenza del ~lfo.('!~telpbre 1982, in parziale accoglimento dell~ ragioni poste a fondamento del ricorso proposto dal P.G. avverso la sentenza di questa Corte, Sez. Il, in data 5 marzo 1981 limitatamente alla disposta revoca della confisca di azioni e immobili e con petitum limitato alla richiesta di confisca �m:1.te azioni delle societ� S�n Gallo, Ettore Vernazza ed Immobiliare Cor. �~ possedute dalle societ� Sihl, Ilmar, Privest, Fortema, e Anstalt Spon' Sor, nonch� dell'immobile �Abbadia di San Giuliano � di propriet� della societ� Harwil di Vaduz, annullato il capo della predetta sentenza di questa Corte relativo alla statuizione di revoca della confisca di azioni Problematiche inerenti la confisca penale valutaria, con particolare riguardo alla confisca di azioni. La Corte di appello di Genova prende in esame per fa seconda volta la complessa vicenda (la precedente decisione 5 marzo 1981, n. 371, � stata pub� blicata, con nota, in Rassegna, 1982, I, 407), dopo la sentenza della Suprema Corte 27 settembre 1982, Sez. Ili, n. 1762 (pure pubblicata in questa Rassegna, 1982, I, 997), con la quale veniva riformata la precedente pronuntia della Corte d'appello di Genova, nel punto in cui escludeva la confisca delle azioni delle societ� italiane esterovestite, affermandosi dal Supremo Collegio l'applicabilit� alla specie dell'ai:t. 240 coq.. ~en. Da condividersi s!>pof,J~ ,ar,YSW~W�-~ioni addot� te dalla Corte d1 Appello d1 Genova a sostegno cieli~ tfispqsfa con'l!:sca facol� tativa, evidenziandosi come altrimenti si con'S~ntire'bbJbif.i~pfrl,�filhrsi della situazione antigiuridica, consentendo� il mantenimento della disponibilit� valu� taria all'estero con l'ulteriore negativo ris_ifl~~t? ..$.,1I!:~I}!~P~IJ!� ".Za.,negli impu� 1 tati l'idea e 1l'attrattiva del reato, il che"'�~p�iiJo�l:a ful.!l�ra it1 sicureZ'ia mira ad evitare. 1-::A 4-:. �{'.li.1 ~�-~; ,*' �~"} '. �~n t> �' r"'1� '� ;-iz.q,:~ La decisione in esame offre l'occasione anche di mettere a fuoco il pro� blema dell'attuabilit� di una confisca di azioni, che non risulta precedentemente affrontato in giurisprudenza .. "Il"\;,,; ..... " .)1,.1�,... .�. ,.,. ... Va infatti osservat.�>. )p ~inea,,. geQ.~:r,aJ,e "cow~h l:e,!�_~etJ~~on,e de~l'.\s~tutp della c?nfisca sta ponend?,,n:u~y~ ', p.ro\?le~a~ip~~\ 8~1 ron ,~xe~~1?:o ~~.n~fa .flV,U.to. mod~ di emergere e che e da ritenere si porranno anche in apphcaz1one'�l:lelle leggi 'arltimafia (d.l. n, � 629JrI982 cdnV."in� le!iW''ff."726/1'9&'2); 8nd�i :fer��lete l'!ffettiva� rm:ente � operante �l'espropriazioneI idekdiritro 'in� favore"�d�Uo' Statoy in��ehe la \eon.6.s~1:lli ~cooe~eta,\ con. . 1<orrisppn.d~nte .~sti~iQIJ.e, ,ll-1!-t.oritativa del, .d,idtto nei confronti dei precedenti titolari. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 977 ed immobili disposta dal tribunale di Genova con la sentenza 9 gennaio 1980, riconoscendo la possibilit� della richiesta confisca -nei limiti sopra precisati di cui al ricorso del P.G. -a sensi del disposto di cui all'art. 240 prima parte cod. pen. (confisca facoltativa) e conseguentemente rinviando gli atti ad altra sezione di questa Corte, perch�, nel nuovo giudizio, valutasse l'opportunit� di sottoposizione a confisca dei detti titoli ed immobile, a sensi del succitato art. 240 cod. pen. Ha, in proposito, motivato la Corte di cassazione che azioni ed immobile � esterovestiti � (ma in effetti sia dalla sentenza del Tribunale che dalla sentenza della Corte di appello riconosciute come beni di pertinenza degli imputati e del defunto coimputato Alberto Pongiglione), costituiscono, a seguito dell'accertata omessa denuncia nei termini di legge dei suddetti cespiti a sensi dell'art. 2 della legge n. 159 del 1976 e successive integrazioni, penalmente sanzionata, oggetto di tale illecita valutazione, quindi, compendio del relativo reato. E la stessa Suprema Corte ha individuato -e suggerito al giudice di rinvio -l'opportunit� di procedere alla confisca dei detti cespiti a sensi del gi� citato disposto di cui all'articolo 240, p.p., cod. pen., nel fatto che, qualora da tale confisca si prescindesse, si otterrebbe, come conseguenza immediata, il perpetuarsi della predetta situazione antigiuridica, giacch� i responsabili continuerebbero In relazione alla confisca di azioni, nella quale si pone la necessit� di contemperare l'acquisto del diritto in capo a:llo Stato con il principio dell'incor porazione del relativo diritto del titolo, la Corte di Appello di Genova, nel pronunciare la confisca, l'ha accompagnata con l'ordine di annotazione della sentenza nei registri sociali � ai fini dell'estrinsecazione nei confronti dei soci e dei terzi deNe conseguenze della disposta confisca �. L'importanza della deci sione sta nel rendere inopponibili aH'azione di rivendica dello Stato le cessioni dei titoli azionari successivamente effettuate. Nel caso in esame il particolare oggetto della confisca (azioni circolanti all'estero) suggerisce l'opportunit� di approfondire alcune questioni in tema di azioni di societ�, considerando che l'interesse dello Stato � rivolto ad ottenere non gi� una pronuncia di confisca meramente platonica, bens� la possibilit� dell'esercizio del diritto di cui si pronuncia l'esproprio a suo favore, cio� nel caso concreto che gli si consenta l'esercizio delle relative potest� e diritti (partecipazione alle assemblee, nomina del consiglio di amministrazione, appro vazione del bMancio, ecc.). � :B principio evddemJiato dalla dottrina che ha trattato la mater.ia dci titoli di credito (nella quale categoria vengono comunemente fatti rientrare i titoli azionari di societ� per azioni) come occorra tenere ben distinta la tito larit� del diritto dal possesso ad legittimationem del documento relativo (cio� possesso del documento secondo la relativa legge di circolazione) e che � ben possibile e prevista in determinati casi (es. ammortamento) una scissione del diritto dal documento mentre si ammette che � sia la legittimazione sia la titolarit� del diritto possano acquistarsi anche quando la propriet� materiale del documento spetti a persone diverse dal tlitolare e dal legit1Jimato � (G. FERRI, I titoli di credito, UTET, 1950, 19, che nella sua fondamentale opera in materia nota che J'azione di revindica e la procedura di ammortamento del legittimato non possessore si arrestano solo di fronte a colui che abbia acquistato senza RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO a possedere all'estero disponibilit� valutarie, mentre l'immobile esistente in Italia continuerebbe ad essere di propriet� di una societ� estera, con l'ulteriore conseguenza che i responsabili sarebbero facultati a continuare a sottrarre detti beni all'economia nazionale. In dipendenza delle suddette statuizioni della Suprema Corte, il compito di questo Collegio, a sensi del disposto di cui all'art. 544 cod. proc. pen., � limitato -e ben inteso nell'ambito ristretto del petitum di cui al ricorso del P.G. -esclusivamente alla valutazione dell'opportunit� della attuazione della misura di sicurezza di che trattasi, tenendo evidentemente presente il suggerimento sul punto formulato dalla cassazione, ma senza alcuna possibilit� di interferire sulla confiscabilit� dei suddetti titoli ed immobile, in ordine al qual punto il Collegio medesimo, �, quale giudice di rinvio, vincolato dal principio nella sentenza di cassazione affermato. E, ci� posto, l'indagine, che, secondo quanto sopra rilevato, spetta a questa Corte, non pu� che concludersi in senso positivo circa la opportunit� della �tinfisca e delle azioni e dell'immobile � esterovestiti �. �, invero, insegnamento della dominante dottrina e consolidato orientamento giurisprudenziale del Supremo Collegio (cfr., tra l'altro, Sez. VI, mala fede o colpa grave nelle forme proprie della circolazione del titolo e non anche di fronte al proprietario del documento). Pur riconoscendosi la qualit� di titolo di credito ai titoli delle azioni, si puntualizza tuttavia come esse non posseggano le caratteristiche del!'� autonomd �a >>, della � letteralit� � e del!'� astrattezza� che normalmente ad essi si ricollegano (G. SPADAZZA, Le societ� per azioni, UTET, voi. I, 180; GRAZIANI, Diritto della societ�, 241). Fatta questa breve puntualizzazione si osserva come secondo la pi� accreditata dottrina � nel nostro diritto delle societ� la parola azione significa la partecipazione sociale nella societ� per azioni � {B. V1SENTINI, voce Azioni di societ�, in Enc. Dir., voi. IV, %7) onde impropriamente con detto termine si designa una parte del capitale sociale o il documento che '1a rappresenta (certificato azionario). Va anzi rilevato come, a sensi art. 5 r.d. 29 marzo 11942, n. 239, il certificato azionario � un mero elemento eventuale della societ� per azioni, ben potendo la sodet� deliberare �che non si distribuiscono ai soci i titoli delle azioill� �. In ogni caso � ben certo che l'azione come partecipazione sociale ed il certificato azionario sono, anche giuridicamente, due nozioni distinte, e ci� anche quando le partecipazioni sono incorporate nei certificati azionari (B. VISEN� TINI, op. e Zoe. cit.). La formula del secondo comma dell'art. 2325 cod. civ., secondo la quale � le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni � indica un elemento essenziale della societ� per azioni per la parte che .implicitamente si riferisce alle azioni come partecipazioni, e indica invece un elemento non essenziale per la parte che si riferisce alla � incorporazione � delle parte� cipazioni .in certificati azionari. Da ci� l'autorevole citata dottrina ha tratto l'ulteriore fondamentale con� elusione che �L'emissione dei certificati azionari non attiene ai rapporti fra [ ~: PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 979 2 aprile 1979, ricorrente Milanesio, in Giust. Pen., 1980, II, 452) che la misura di sicurezza patrimoniale della confisca, prevista dall'art. 240 cod. pen., tende a prevenire la commissione di nuovi reati, mediante la espropriazione, in favore dello Stato, di quelle cose che, o perch� provenienti dalla commissione di un fatto sanzionato penalmente o perch� collegate alla esecuzione di tale illecito, manterrebbero viva l'idea e l'attrattiva del reato (cfr., anche, nello stesso senso, la relazione al progetto definitivo del codice penale), per cui il mantenimento delle cose stesse potrebbe risolversi come fatto incentivante per la commissione di ulteriori azioni criminose. Ed in applicazione di tale principio di diritto e tenuto conto di quanto suggerito nella sentenza della Corte di cassazione sopra richiamata del 27 settembre 1982, non pu� essere posto in dubbio che un provvedimento di questa Corte, che omettesse di disporre la confisca e delle azioni e dell'immobile, evidentemente permetterebbe di mantenere una situazione di concreta apparenza di appartenenza a societ� estere -fittiziamente create dal Pongiglione Alberto e, per le quote singole di appartenenza, dagli odierni imputati -di azioni in effetti di pertinenza dei Pongiglione, nonch� di concreta intestazione fittizia dell'immobile � Abba- la societ� e i terzi, e alla tutela di questi, n� essa � elemento che attenga alla struttura e al funzionamento degli organi sociali, e neppure, come elemento indispensabiile, al trasferimento delle partecipazioni azionarie�. (B. VISENTINI, op. cit., 992). Si riconosce anzi a' sensi del citato r.d. n. 239/42 la possibilit� di una estinzione def titoli emessi dalla societ� ed in circolazione, in virt� di semplice delibera dell'assemblea, il che � appunto possibile, in quanto, come si � visto, l'emissione dei certificati azionari non attiene ai rapporti tra societ� e terzi n� � funzionale alla tutela di questi; in tal caso ogni trasferimento dovr� operarsi esclusivamente sul libro dei soci (VISENTINI, op. e Zoe. cit.). D'altro canto � ben noto come in via generale l'art. 2022 cod. civ. disponga che il trasferimento del titolo nominativo si operi mediante l'annotazione del nome dell'acquirente sul titolo e nel registro dell'emittente, ovvero �col rilascio di un nuovo titolo intestato al nuovo titolare� e 1l'annotazione nel registro. Prendendo in esame il secondo comma della citata disposizione, che determina d requisiti che legittimano ad ottenere H transfert o dl rilascio di un nuovo certifiicato, la Suprema Corte, in una .importante decisione, rii.teneva che in ogni caso costituiva valido titolo per il trasferimento l'accertamento giudiziale del relativo diritto: �Com'� noto, l'atto autentico che l'articolo 2022 richiede affinch�, dimostrando con esso il proprio diritto, il nuovo possessore del titolo nominativo possa ottenere il cosiiddetto transfert (la duplice annotazione, cio�, a cura dell'emittente, del nome dell'acquirente sul titolo e nel proprio registro), ovvero il rilascio di un titolo nuovo intestato al nuovo titolare con relativa annotazione nel registro deve consacrare il negozio giuridico in forza del quale il trasferimento del titolo � avvenuto. Vero � che ove l'acquisto del titolo non sia accompagnato dalla formazione del relativo atto autentico, a11a mancanza di questo pu� supplirsi, occorrendo, mediante una sentenza da cui risulti che l'acquisto � effettivamente seguito RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dia San Giuliano � a societ� estera, con mascheramento dei reali ed effettivi proprietari: situazione, questa, non sanata n� validamente eliminata dalle tardive ed evidentemente strumentali denunce dei cespiti, effettuate dagli eredi del defunto Pongiglione Alberto, in particolare nelle more del giudizio di cassazione ed in parte successivamente alla pronuncia che tale giudizio ha concluso, e concernenti, tra l'altro, le quote ereditate e senza specifico riconoscimento, da parte degli odierni imputati, della compropriet� delle azioni stesse e dell'immobile, secondo le statuizioni delle sentenze e del tribunale e della Corte di appello, sul punto divenute irrevocabili. Con l'ulteriore conseguenza che 1a libera disponibtlit�, senza un provvedimento di confisca, da parte degli imputati, delle azioni fittiziamente intestate a societ� estere e circolanti all'estero (libera disponibilit� non ostacolata dall'esistenza del diritto di pegno in favore della FINAC, suscettibile di diretta regolamentazione), nonch� il permanere della fittizia intestazione alla Halwil A.G. dell'� Abbadia San Giuliano� consentirebbero alle societ� estere, apparenti proprietarie dei detti cespiti -e quindi agli imputati -atti di alienazione o disposizione fittizia a favore di altri soggetti e diretti ad ulteriormente mascherare la reale situazione di tito in virt� di un valido negozio t11aslativo �. (Cass., Sez. I, 6 novembre 1967, n. 2689). Sulla base dei richiamati principi, stabilito quindi che la titolarit� del diritto pu� prescindere dal possesso del documento, alla cui mancanza pu� supplirsi nelle forme previste, mentre spetta al giudice accertare i requisiti esistenti per l'esercizio del diritto, non sembra suss1stiano ostacoli di carat� tere giuridico a riconoscere la possibilit�, nel caso in cui sia giudizialmente accertato l'acquisto per espropriazione a favore dello Stato dei diritti di partecipazione e quindi delle azioni relative ad una determinata societ�, che venga ordinato dalla autorit� giudiziaria, che dispone con M provvedimento di confisca l'espropriazione della partecipazione azionaria, l'annotazione della sentenza nel libro dei soci, cos� come ha disposto la sentenza della Corte di appello di Genova. Trattasi evidentemente di una diretta estrinsecazione del provvedimento di confisca, inerente il suo contenuto ablatorio, il cui effetto � quelilo di rendere opponibile la confisca stessa oltre che ai soci ad ogni eventuale cessionario delle azioni, consentendo quindi l'utile esperibilit� della azione di revindica da parte dello Stato nei confronti dell'intestatario dei certificati delle azioni oggetto di confisca (nel caso concreto le societ� di comodo di Vaduz e la societ� elvetica cui esse sono state girate per garanzia in pegno), con gli effetti indicati nella menzionata sentenza della Suprema Corte in data 6 novembre 1967, n. 2689. Si condivide senz'altro lo sforzo della giurisprudenza per rendere effettivo l'istituto della confisca, e si osserva che se il legislatore intende mantenere all'iistituto la maggiore� estensione ad esso attribuita dagli ultimi provvedimenti legislativi, sar� opportuna anche l'emanazione di chiare disposizioni di 11accordo s� da ewtare incertez:re nella �applicazione pratica delrnstituto. FRANCESCO GUICCIARDJ PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE larit� dei beni stessi, o atti di alienazione effettiva, con nuova creazione all'estero di disponibilit� valutarie occulte -costituite dai ricavi dell'alienazione -in favore degli imputati medesimi. In tal modo, cio�, rimarrebbe viva in questi ultimi l'idea e l'attrattiva alla commissione di altri reati, di natura analoga a quello represso con la sentenza di condanna divenuta irrevocabile, attrattiva che, come si � sopra detto, costituisce l'obiettivo che, in via di prevenzione, l'istituto della confisca mira a vanificare. E le considerazioni dianzi svolte fanno apparire del tutto superate le argomentazioni con cui la difesa degli imputati ha sostenuto l'inopportunit� della confisca, sia sotto il profilo dell'inesistenza di una possibile futura violazione di legge penale, che sotto il profilo della mancanza di un danno all'economia nazionale, in relazione alla irrevocabilit� della sentenza di condanna che ha accertato l'appartenenza ai Pongiglione dei beni � esterovestiti �, mentre irrilevanti appaiono le argomentazioni difensive in ordine alla maggior convenienza circa l'esperibilit� di azioni di natura civilistica, che egualmente tutelerebbero gli interessi dello Stato, ma che, in. concreto, non eliminerebbero l'attualit� del pericolo sopraevidenziato e la cui valutazione, del resto, esula dal thema decidendum, limitato ad indagini di carattere strettamente penalistico con riferimento ai principi di diritto sopra esposti. E cos� giustificato e per le suddette ragioni disposto il provvedimento di confisca delle azioni delle societ� San Gallo, Ettore Vernazza ed Immobiliare Corte -evidentemente nei limiti di appartenenza di tali azioni alle societ� estere fittiziamente dai Pongiglioni create (Sihl, Ilmar, Privest, Fortema e Anstalt Sponsor) nonch� dell'immobile denominato � Abbadia Benedettina di San Giuliano � fittiziamente intestato alla Halwil A.G. di Vaduz -non resta alla Corte che dare atto che, con la confisca, e azioni ed immobile vanno devoluti al patrimonio dello Stato, con ulteriore statuizione, per quanto riguarda le azioni ed ai fini della estrinsecazione nei confronti dei soci e dei terzi delle conseguenze della disposta confisca, dell'annotazione della presente sentenza nel libro dei soci delle anzice:n,nate societ� San Gallo, Ettore Vernazza e Immobiliare Corte. (omissis) PARTE SECONDA QUESTIONI ASSOCIAZIONE GIURISTI EUROPEI ATTI DELL'INCONTRO DI STUDIO su IL GIUDICE NAZJONALE E IL DIRITTO COMUNITARIO Roma, 12 febbraio 1982 Sala Vanvitelli -Avvocatuva Generale dello Stato PRESENTAZIONE Eccellenza MANZARI, avvocato generale dello Stato. (*) Eccellenze, signore, signori, � per me motivo di grande soddisfazione dare il benvenuto nella sede dell'Avvocatura agli amici dell'Associazione italiana dei giuristi europei e ringraziare, a nome dell'Istituto, dei colleghi e mio personale tutti gli intervenuti. Un ringraziamento particolare va naturalmente agli illustri relatori che si apprestanp ad introdurre questo incontro-dibattito. L'argomento � di grande attualit� e questo Istituto, a nome del quale ho l'onore e il piacere di rivolgere il mio saluto, ne � consueto protagonista. Mi sia consentita una trasgressione dal tema specifilco per sottolineare con quanto calore io rivolgo questo saluto. La mia vita di studioso e di operatore del diritto, per una singolare coincidenza, si riallaccia tutta alle tappe pi� significative dell'evoluzione dell'idea dell'integrazione europea. Avevo appena conseguito la laurea in legge nel giugno 1941 quando fu emesso il messaggio, che profondamente � rimasto nel mio animo, del Manifesto di Ventotene. Era la prima ideazione di un programma politico di unione europea nel nome della democrazia e della libert� in opposizione alla dittatura fascista e al forsennato nazionalismo guerresco. Certo si potrebbe andare molto indietro e ricordare altre antiche espressioni programmatiche come l'opuscolo del 1814 di Saint-Simon che s'intitolava � Il proposito di una riorganizzazione della societ� europea per riunire i popoli d'Europa in un solo corpo politico conservando ciascuno la sua indipendenza nazionale �. Ma cos� indietro, per la verit�, i miei (*) Il saluto dell'Avvocato generale dello Stato � stato gi� pubblicato nel fascicolo n. 6/1981 di questa Rassegna, pag. V. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO anni non vanno ed oggettivamente il Manifesto di Ventotene apriva una ben diversa e nuova visione ispirata al superamento dei nazionalismi per l'affermazione dei valori di democrazia e di libert�. Ricordo ancora che ero appena entrato, nel settembre 1946, congedandomi cos� dal lungo servizio militare, nell'Avvocatura di Stato quando Winston Churchill, che fu il primo dei grandi uomini politici a rendersi interprete delle aspirazioni europee e della societ� del dopoguerra, lanci� il famoso appello di Zurigo per la costruzione degli Stati Uniti d'Europa. Fu, poi in occasione della mia prima esperienza di collaborazione alla attivit� di Governo prestata ad Aldo Moro che vennero firmati in Roma, nel 1957, i trattati che creavano gli organismi sovranazionali della Comunit� economica europea e della Comunit� europea dell'energia atomica. Raccolsi allora i primi commenti e le prime caute ma penetranti intuizioni del grande uomo politico cui rivolgo un commosso, riverente pensiero di omaggio. Fu di nuovo con lui che, nel 1970, quale Capo del servizio del contenzioso diplomatico partecipai a quel Consiglio d'Europa che tra il 1� e il 2 dicembre deliber� che le elezioni europee si tenessero in data unica nei paesi membri. Quella deliberazione � significativamente il solo precedente richiamato nella decisione della Comunit� che approv� l'atto per le elezioni politiche sottoposte insieme all'approvazione del Parlamento italiano nel 1976 su proposta del Ministro degli esteri, Asldo Moro. Ed oggi sono qui ad ascoltare, nell'esercizio della mia nuova responsabilit�, questo dibattito su di un tema che felicemente dimostra quanta strada, superando stenti e difficolt�, sia stata finora compiuta ed incoraggia a proseguire nell'ancora lungo e faticoso cammino deWintegrazione europea. Oggi per� non v'� chi non avverta l'angustia di un orizzonte operativo ristretto ai confini nazionali e non senta che il grande ideale dell'inte grazione europea pu� ancora rappresentare, nel suo realizzarsi, un signi ficativo contributo del vecchio continente all'evolversi della civilt� umana. Di recente Massimo Severo Giannini ha individuato il nucleo della crisi interepocale che stiamo vivendo nella dissoluzione degli Stati nazionali, giunti ormai al compimento del loro ciclo vitale. La diagnosi � probabil mente esatta, e se cos� �, la Comunit� europea rappresenta una tempe stiva risposta alle esigenze dei tempi nuovi che vanno maturando. Possiamo intanto rilevare che accanto ai primi, immediati risultati di integrazione sul piano economico, si vanno ormai cogliendo quelli che si realizzano sul piano giuridico, i quali seguono con quella pi� meditata lentezza che � propria del conservatorismo degli uomini di legge. Si pu� dire comunque ormai compiuta, irreversibile la prima costruzione di un ordinamento comunitario ed � importante constatare che la problematica dei suoi rapporti con l'ordinamento interno fa parte ormai dell'esperienza quotidiana degli operatori giuridici cos� come � solidamente acquisita PARTE II, QUESTIONI l'esistenza di un giudice a Lussemburgo con cui il giudice nazionale ha preso disinvoltamente a dialogare, ai sensi dell'art. 177 del Trattato. Non � un caso, d'altronde, che alla presidenza della Suprema Corte di cassazione siede oggi un uomo come Mario Berri che ha dedicato una intensa e profonda attivit� alla costruzione e alla diffusione del diritto comunitario. Oggi il presidente Berri non � con .noi perch�, come ha voluto cortesemente comunicare, partecipa ad una cerimonia commemorativa di Vittorio Bachelet. Desidero associarmi, a nome di tutti, al rimpianto per la sua scomparsa ricordando il valore del giurista, l'altissimo, sereno impegno civile che anim� la sua vita e ne caus� l'assassinio. Le due immagini di Moro e di Bachelet appartengono al patrimonio ideale dei giuristi non soltanto italiani, che s'inchinano con riverente pensiero alla loro memoria. Neppure � un caso -riprendendo il nostro tema -che la Corte costituzionale con due recenti sentenze -176 e 177 del 1981 �-abbia aperto nuovi spiragli interpretativi in tema di integrazione tra ordinamenti, e conforta ancora la constatazione che vi sono molti uomini politici sensibili all'esigenza di un sistema che valga finalmente ad adeguare tem pestivamente l'ordinamento interno a quello comunitario in forme quanto pi� possibile equivalenti a quelle di un trasformatore continuo. ti mio preciso dovere al riguardo, ai sensi dell'art. 15 della legge 103/79 sull'ordinamento dell'Avvocatura, ritornare sulla segnalazione, gi� fatta al Governo, di una grave carenza del nostro sistema legislativo. 1t� necessario ormai superarla nel solco dell'indicazione e dell'ammonimento che proviene dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale. Non si pu� ulteriormente indugiare di fronte all'urgenza di creare un adeguato meccanismo tecnico; ai giuristi non manca l'inventiva per assecondare la volont� politica, tanto che indicazioni sono state gi� fornite anche da questo Istituto e potranno essere opportunamente approfondite per creare -come dicevo -quello strumento capace di assicurare un tempestivo e continuo adeguamento dell'ordinamento interno delle decisioni comunitarie cos� da far coincidere gli atteggiamenti concreti del paese con lo spirito europeo che anima il Parlamento e il Governo .italiano. Sembra giunto ormai il momento di farlo, posto che l'Europa appare sempre meno un'astrazione e sempre pi� s'impone come una realt� viva nella coscienza sociale. Traendo auspicio da .questa convinzione, vorrei concludere il mio saluto, per non rubare altro tempo ai relatori che illustreranno il tema della collaborazione tra giudici nazionali e giudici comunitari, un rapporto che s'inscrive a grande rilievo nello spirito e negli ideali che pre� siedono al processo di evoluzione dell'integrazione europea. Lo sviluppo di questo processo � un sicuro pegno di pace e di fratellanza tra i popoli, particolarmente tra quelli accomunati nel destino da un patrimonio di RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO tradizioni e di civilt� che insieme dobbiamo salvare. Vi sono in esso quei valori essenziali che rappresentano il filo di continuit� tra la civilt� del passato che non dobbiamo rinnegare e la civilt� di domani che dobbiamo concorrere, noi giuristi per la nostra parte, a costruire. Grazie. RELAZIONI E REPLICHE Prof. FRANCESCO CAPOTORTI, Avvocato generale presso la Corte di Giustizia. Il mio proposito � soprattutto quello di indicare alcuni spunti, da cui potr� trarre avvio il dibattito sul tema di questo incontro: un tema ampio, ric�o di contenuti e di implicazioni, che presenta non pochi aspetti controversi. Conviene chiarire in primo luogo quale sia il ruolo del giudice. nazionale dal punto di vista del diritto comunitario. Non vi � dubbio. che la responsabilit� dell'interpretazione e della applicazione di tale diritto spetta in gran parte ai giudici nazionali. Tutti sanno che i Trattati CECA, CEE ed EURATOM riservano alla competen� za della Corte delle Comunit� un numero abbastanza limitato di azioni che i privati possono direttamente promuovere: azioni di annullamento di atti obbligatori o di accertamento di carenze del Consiglio o della Commissione -alle condizioni fissate dagli articoli 33-35 del Trattato CECA e 173-175 del Trattato CEE -, impugnativa di sanzioni applicate dalla Commissione alle imprese, ricorsi per responsabilit� delle Comunit� stesse, derivante da fatto illecito (senza parlare del contenzioso dei funzionari). Per tutt'altro, � � giudice comunitario � il giudice nazionale: vale a dire, il compito di assicurare il rispetto del diritto comunitario e di risolvere le controversie sorgenti dalla sua applicazione ad istanza dei singoli spetta alle giurisdizioni degli Stati membri, salva beninteso quella forma di cooperazione che � offerta dall'art. 177 del Trattato CEE (meccanismo dell'interpretazione pregiudiziale) della quale parler� pi� oltre. Direi che molte affermazioni della Corte -e in particolare quelle, tan to discusse, della nota sentenza Simmenthal del 9 marzo 1978 -circa la posizione del giudice nazionale di fronte a norme nazionali incompatibili con norme comunitarie si spiegano proprio in quanto, nell'ottica comuni taria, il giudice nazionale ha la veste di giudice comunitario. D'altronde, se � vero che l'ordinamento comunitario e quello degli Stati membri coesistono e si combinano nella loro applicazione, sicch� nell'ambito di un singolo caso concreto possono risultare contemporaneamente appli cabili disposizioni comunitarie per certi aspetti e norme interne per altri, non vi � da meravigliarsi che si attribuisca ai giudici degli Stati membri la duplice veste di cui ho detto, a partire dal giorno in cui gli ordina menti dei rispettivi Paesi hanno ammesso l'interferenza nei loro ambiti PARTE II, QUESTIONI d'efficacia del diritto comunitario. Questa concezione � coerente con il fatto che il diritto comunitario non si trasforma in diritto nazionale, e che quindi nell'applicare norme comunitarie il giudice nazionale non � nella stessa posizione in cui si trova quando applica non;ne interne di adattamento al diritto intemazionale. � vero che anche i trattati istitutivi delle Comunit� sono stati oggetto nel nostro Paese di una normale legge di esecuzione, ma il significato di questa legge � stato reso peculiare dal collegamento con l'art. 11 della Costituzione. Quanto ai regolamenti, sappiamo bene -e la Corte costituzionale lo precis� nella sentenza Frontini, dando finalmente ingresso nel nostro ordinamento a concetti del tutto conformi all'impostazione giuridica della Corte comunitaria -che essi valgono in quanto fonti comunitarie non recepite da fonti interne, n� suscettibili di essere incorporate in leggi statali. Il discorso � aperto, invece, per le direttive, non essendovi accordo sul punto di stabilire se le norme delle direttive, per le quali non ci siano state tempestive leggi statali di applicazione, siano suscettibili di produrre effetti diretti. � merito della Corte comunitaria avere elaborato questa teoria, o meglio questa tecnica dell'effetto diretto, la quale in fondo consiste nel desumere tutti i possibili effetti riferibili ai singoli da norme che di per s� non appaiono rivolte agli individui, e dunque, prima di tutto, da norme dei Trattati. Lascio qui da parte questo aspetto del discorso che pure � ricco di interesse, cio� mi astengo dal considerare in quanti casi la Corte comunitaria abbia riconosciuto diritti soggettivi dei singoli ricavandoli da norme dei trattati, apparentemente rivolte agli Stati membri, che sembrerebbero attendere un'ulteriore opera di emanazione di leggi da parte loro. Ci� che importa piuttosto ricordare � che la stessa tecnica � stata applicata alle direttive, e che dunque anche rispetto ad esse la Corte comunitaria ha individuato casi nei quali, concorrendo certe caratteri stiche di contenuto dell'atto, cio� in presenza di norme che non richiedano dei necessari completamenti, � possibile parlare di diritti soggettivi degli individui. Al tempo stesso va segnalato che sono emerse al riguardo alcune resistenze di giurisdizioni interne. In particolare, il Consiglio di Stato francese, che fra le giurisdizioni nazionali si � spesso dimostrata quella pi� rest�a a un'interpretazione larga dei precetti comunitari, nella famosa sentenza Cohn Bendit del dicembre del 1978, afferm� che la dottrina dell'effetto diretto, concepita ed applicata dalla Corte comuni taria nel suo ambito, non vincolava i giudici nazionali, tenuti al rispetto dei trattati comunitari. Pi� recentemente, una pronunzia tedesca si � messa sulla stessa linea -mi riferisco alla sentenza 16 luglio 1981 del Bundesfinanzgericht tedesco -riprendendo le proposizioni della sentenza del Consiglio di Stato francese. Anch'essa ha negato che dalla direttiva 122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO possano nascere effetti immediati, e ha invocato la regola sulle fonti (art. 189 del Trattato CEE) che sicuramente descrive la direttiva in modo da far risaltare la sua diversit� rispetto al regolamento, affidando agli Stati membri il compito di eseguire le direttive con propri atti. Questi due casi interessanti ci portano a considerare un problema pi� generale, vale a dire in che misura il giudice nazionale, al di l� dell'obbli� go di attenersi alla decisione della Corte in una procedura di rinvio pregiudiziale, sia tenuto ad applicare princ�pi risultanti dalla giurisprudenza di tale Corte. Il problema presenta aspetti diversi. Si pu� discutere anzitutto la questione della portata specifica o no delle singole sentenze pronunciate dalla Corte comunitaria sulla base dell'art. 177. E siccome non possiamo dimenticare che si tratta talora di sentenze di interpretazione, altre volte di sentenze sulla validit� degli atti comunitari, la questione va esaminata pensando sia alle prime, sia alle seconde. Senza la pretesa di fornire in cos� breve tempo una risposta esauriente, noter� che tutti sono certamente d'accordo nel riconoscere che la giurisprudenza comunitaria come tale ha valore anche per il giudice interno, ma un valore di strumento interpretativo e privo di obbligatoriet�. D'altra parte, molti autori sono ancora convinti che il procedimento di cui all'art. 177 sia destinato ad avere effetti solo nei limiti della con� troversia per la quale la decisione preliminare della Corte � stata chiesta. Se si condivide questa affermazione, bisogna dedurne che, senza pregiudizio della portata interpretativa della giurisprudenza comunitaria, le singole decisioni non abbiano conseguenze vincolanti al di fuori dei casi nel cui ambito esse sono state pronunciate. Va tuttavia segnalato che c'� una indubbia tendenza della Corte comunitaria a costruire le sue sentenze sulla base dei precedenti. Anche mediante la tecnica della frequente ripetizione nel corpo delle sentenze di princ�pi dedotti da altre sentenze nella stessa materia, si nota la tendenza a far prevalere una linea di continuit�, che man mano si consolida. Questo accade probabilmente per tutte le giurisdizioni, ma direi che il fenomeno � particolarmente chiaro nell'esperienza della Corte delle Comunit�; oltre tutto, vi operano anche giuristi di Stati che accordano alla giurisprudenza un peso maggiore di quel che accade fra noi. C'� di pi�. Va considerato che a livello comunitario l'atteggiamento della Commissione � solitamente concorde sul piano attuativo con quello della Corte. Ci� significa che, quando in una singola pronuncia pregiudiziale una certa linea interpretativa � stata accolta oppure l'invalidit� di un atto comunitario � stata riconosciuta, ai fini della controversia per cui la questione � stata posta, di norma la Commissione segue l'indi� rizzo della Corte, anche se non ci sono elementi per dire che essa sia obbligata a seguirlo (ed anzi si pu� spiegare il fenomeno come sintomo di una corretta collaborazione interistituzionale). 'PARTE II, QUESTIONI Sta di fatto che spesso, attraverso la accennata collaborazione fornita dalla Commissione, un'affermazione incidentale di invalidit� finisce per produrre effetti equi".alenti a quelli di un annullamento, perch� la Commissione, non appena la Corte ha deciso, si affretta a proporre al Consiglio la modifica del regolamento dichiarato invalido ed agisce come se fosse intervenuta una vera e propria pronuncia di annullamento. Lo stesso si pu� dire, naturalmente, per le sentenze interpretative, anche sotto il profilo dei riflessi che esse finiscono con l'avere sulla condotta degli Stati, partendo dall'interpretazione della portata cli certi loro obblighi. In verit�, qualche colpo di freno � stato dato negli ultimi tempi da alcune giurisdizioni nazionali. Si pu� citare per esempio una sentenza (di per s� di interesse modesto) pronunciata dal tribunale di Lille nel luglio .del 1981. Il tribunale aveva chiesto alla Corte comunitaria di pronunciarsi, incidentalmente, sulla validit� di un regolamento. La Corte aveva fatto un'operazione non nuova: nel dichiarare la invalidit� aveva aggiunto che, per ragioni di sicurezza giuridica, era preferibile che essa decorresse da una certa data, non ex tunc, n� interamente ex nunc, ma da un'epoca pi� recente (pi� o meno quella dell'inizio del giudizio). Questo tipo di cosmesi che la Corte ha applicato qualche volta alle sentenze di invalidit� costituisce una applicazione indiretta -forse analogica pi� che estensiva -dell'art. 174 Trattato CEE, che per le pronuncie di annullamento vere e proprie consente in effetti alla �Corte di stabilire la decorrenza degli effetti dell'annullamento. Ebbene il tribunale di Lille, pur riconoscendo di dover prestare ossequio alla pronuncia della Corte sul punto dell'invalidit�, ha aggiunto che non si sentiva tenuto a seguire la Corte sul punto della decorrenza dell'invalidit�, e ha sostenuto che qui la Corte � andata al di l� �delle sue competenze,� avendo agito non pi� sulla base dell'art. 177 ma�sulla base di una discutibile interpretazione dell'art. 174, in realt� applicabile al solo contenzioso dell'annullamento (art. 173). Nell'insieme, dunque, bisogna riconoscere che da parte della Corte comunitaria c'� una marcata tendenza ad attribuire almeno praticamente un effetto generale alle pronuncie rese sulla base dell'art. 177, mentre da parte dei giudici nazionali si notano qua e l� dei sintomi di resistenza, perlomeno nel senso che si cerca di limitare l'ambito nel quale le decisioni prese dalla Corte� sono vincolanti. Un commento � tuttavia lecito: quando si dice, giustamente, che la Corte comunitaria ha contribuito alla costruzione dell'ordinamento comunitario, riempiendo molte lacune e soprattutto mettendo qua e l� quella sorta di cemento che � costituito da una serie di principi, i quali hanno chiarito la portata delle norme comunitarie, nonch� i loro 15 124 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO collegamenti, e hanno delineato il disegno sistematico di quell'ordinamento, si accetta implicitamente l'idea che quanto la giurisprudenza della Corte ha precisato sia entrato a far parte del diritto comunitario. A tal proposito si pu� aggiungere che in altri paesi diversi dal nostro si insegna il diritto comunitario non tanto sulla base delle norme quanto sulla base della giurisprudenza. Perci�, pur senza avere l'intenzione di sopravvalutare i risultati dell'attivit� della Corte, bisogna rendersi conto che le resistenze basate su motivi rigorosamente formali hanno un peso abbastanza ridotto rispetto all'importanza che man mano la giurisprudenza della Corte ha assunto. Altri problemi riguardano egualmente l'art. 177, ponendo in evidenza vari nodi che l'articolo presenta e che la sua applicazione ha rilevato. Mi fermer� su uno di questi. �Va premesso che detta norma viene molto largamente utilizzata: forse non tutti sanno che praticamente i quattro quinti dell'attivit� della Corte consistono nel giudicare su ricorsi pregiudiziali. In altd termini, pur avendo la Corte com.nitaria molte competenze (differenziate sensibilmente fra loro) � sulla competenza regolata dal citato art. 177 che si basa la giurisprudenza quantitativamente prevalente. Ma ci� che voglio aggiungere � che la norma in questione, chiaramente concepita per assicurare l'uniformit� dell'interpretazione del diritto comunitario e per risolvere in ultima istanza i problemi di validit� degli atti comunitari, ha poi finito con l'avere anche altri usi indiretti. Per esempio, � noto che molte inadempienze di Stati, il cui accertamento dovrebbe avvenire mediante l'azione che il Trattato CEE fa dipendere dalla iniziativa della Commissione o di qualcuno degli Stati membri contro l'inadempiente, sono state rilevate a seguito di sentenze emesse sulla base dell'art. 177; queste, infatti, pur essendo destinate ad interpretare determinati obblighi controversi in termini generali, lasciano chiaramente intravedere, tenuto conto dei fatti della causa, che un obbligo non � stato rispettato da un dato governo. Ci� posto, e tenuto conto del fatto che � interesse degli Stati evitare la soccombenza in futuri giudizi ex art. 169, accade spesso che il Governo interessato ponga rimedio alla sua inadempienza a beneficio di tutti i privati interessati. Tuttavia, proprio il frequente uso indiretto dell'art. 177 ha finito col far sorgere alla stessa Corte il dubbio se un impiego improprio di tale strumento sia accettabile al di l� di certi limiti. Alludo alle famose due/sentenze Foglia/Novello; in esse la questione consistente nel valutare la rilevanza effettiva della questione pregiudiziale posta costituisce la spia del disagio della Corte, di fronte a un uso molto esteso che ha finito per essere fatto della procedura in questione, allo scopo di far venire a galla delle inadempienze degli Stati. Un ultimo problema, al quale mi limito a fare allusione, � quello dei limiti entro cui vi � l'obbligo di adire la Corte a carico delle giu[:: ~= f: PARTE Il, QUESTIONI 12J risdizioni nazionali di ultima istanza. Qui si � avuta di recente la remissione del quesito ai giudici comunitari da parte della Corte di cassazione nel caso Cilfit/Gavardo. Ma tale caso non � stato ancora esaminato dalla Corte comunitaria; converr� attendere la sentenza, soprattutto per conoscere se, e fino a che punto, sar� riconosciuto alle giurisdizioni anzidette un certo margine di discrezionalit� in presenza di norme � chiare �. (Replica). Si � dedicata qui tanta attenzione alle due sentenze Foglia-Novello, che non posso fare a meno di esporre il mio punto di vista in proposito. Ci si aspetta forse che appartenendo alla Corte io ne sostenga le tesi a tutti i costi, ma non ho nessuna intenzione di difenderle d'ufficio. Le mie riflessioni hanno un carattere assolutamente personale; n� potrebbe essere altrimenti, a mio avviso, data anche la natura di questo incontro. Ci� precisato, non ho esitazione a dirvi che le sentenze Foglia-Novello non mi sono piaciute. Non ero l'avvocato generale n� nell'uno n� nell'altro caso e quindi posso facilmente discuterne come un osservatore imparziale, che guarda equamente al quadro complessivo della giurisprudenza della Corte, e ha un orecchio sensibile ai lamenti che si sono levati sulla degenerazione a cui la Corte pare stia andando incontro. Ma sono lamenti giustificati? La prima cosa che vorrei dire � che, se si fa questione di protezione giudiziaria degli interessi dei singoli, non si dovrebbe dimenticare che in materia di tutela del singolo la Corte ha fatto molto, sin dall'inizio. Alcune prese di posizione, nel momento in cui erano assunte, veramente apparivano, in qualche misura, rivoluzionarie, a partire dalla famosa sentenza v,an Gent en Loos che fece le prime affermazioni sulla priorit� del diritto comunitario e sull'effetto diretto. Da allora, la Corte ha ampliato la sfera di tutela del singolo, soprattutto confermando la giurisprudenza secondo cui molte norme del Trattato, che secondo una interpretazione tradizionale avrebbero potuto essere intese come rivolte unicamente agli Stati membri, e tali da lasciare loro margini discrezionali o margini di tempo per l'esecuzione, sono invece interpretate nel senso di conferire immediatamente diritti soggettivi ai singoli. La stessa cosa la Corte ha fatto per le direttive; l'ho ricordato nel mio intervento e non. occorre che io lo ripeta. Si deve insomma riconoscere che la Corte ha manifestato -in varie forme e a varie riprese -una sollecitudine concreta per la tutela dei singoli, talch� mi sembra ancora oggi non esagerato dire che la posizione giuridica dei singoli ha tratto van 126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO taggio non tanto dalle norme comunitarie quanto dal modo in cui 126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO taggio non tanto dalle norme comunitarie quanto dal modo in cui esse sono state interpretate dai giudici delle Comunit�. Ci� posto, non � credibile che la sentenza Foglia-Novello sia interpretata come il sintomo di un radicale mutamento di rotta. Detto questo, io poi mi chiedo perch� la Corte non dovrebbe preoc I cuparsi di tutelare anche gli Stati membri. Essa � -non dimentichia I molo -l'organo di una comunit� di cui fanno parte cos� i singoli come i governi degli Stati membri. Probabilmente, certi squilibri che possono essersi verificati in qualche occasione hanno finito col generare I la convinzione che la Corte debba per sistema andare contro gli inte I ressi degli Stati membri, anche quando risulti giustificato il contrario. Se questa convinzione si � formata in qualcuno, � evidente che bisogna ritenerla sbagliata. Penso ora, fra l'altro, alla sentenza Casati, perch� vi � stata fatta allusione, anche se, dati i limiti di, questo dibattito, non c'� tempo di mettere tutti al corrente dei lineamenti di quel caso. In breve: trattand�si di una questione di circolazione di capitali, molti si aspettavano che la Corte confermasse l'indirizzo accolto su altre libert� di circolazione, dando l'interpretazione pi� ampia anche alle norme relative ai capitali. Queste persone sono poi state deluse, perch� la Corte ha dato ragione allo Stato. Nella causa Casati sono stato avvocato generale e ho difeso la tesi secondo cui l'interpretazione da dare doveva essere quella sostenuta dalla difesa dello Stato; ma evidentemente perch� mi � sembrato -ed � sembrato poi ugualmente alla Corte -che questa fosse l'unica interpretazione corretta delle norme del Trattato CEE che erano in gioco. Non pretendo, beninteso, che il ragionamento seguito sia impeccabile o inappuntabile, ma � certo che non lo si pu� sospettare di aver favorito lo Stato per ragioni politiche. Pi� in generale, respingo l'idea che spesso influiscano sull'orientamento dei giudici delle considerazioni di opportunit�. Mi sembra che nell'insieme la giurisprudenza della Corte abbi� dimostrato di sapere contrastare gli interessi degli Stati quando non erano in armonia col Trattato e di saperli difendere quando sulla base del Trattato era giusto difenderli. Veniamo .adesso alla questione del rapporto che il Trattato CEE ha stabilito fra la procedura pregiudiziale e quella per l'accertamento di violazioni commesse dagli Stati membri. La seconda, come ha ricordato il cons. Abate, pu� essere messa in moto da altri Stati membri o dalla Commissione. Nella pratica si sa che � pi� spesso la Commissione a prendere un'iniziativa del genere, dato che gli Stati membri preferiscono sovente evitare di schierarsi apertamente l'uno contro l'altro. In ogni modo, sono queste le vie che il Trattato ha previste per far valere in giudizio l'illecito comunitario dello Stato. Il Trattato non ! ~ .?ARTI! II, QUESTIONI ha, invece, affatto concepito l'art. 177 come un mezzo di azione contro lo Stato. L'art. 177 � una norma rivolta ad istituire una procedura di interpretazione pregiudiziale del diritto comunitario: interpretazione che pu� essere chiesta (dal giudice nazionale) nel quadro di una lite fra due privati o di una lite fra un privato e un ente pubblico (basta pensare alle numerose cause promosse da singoli contro enti agricoli come l'AIMA, o alle cause tra i privati e gli enti assicurativi nazionali). Certo, come ho gi� detto prima, specialmente se la controparte � un'amministrazione pubblica, pu� essere .sollevato sotto forma di quesito interpretativo di natura generale il problema concreto della conformit� o meno al diritto comunitario di norme o atti regolamentari dell'Amministrazione, e nell'ipotesi di risposta negativa si avr� praticamente una censura indiretta nei confronti dello Stato che ha mantenuto in vigore quelle norme o quegli atti; seguir� magari la decisione dello Stato in questione di rimuoverli. Ma questo, ripeto, e mi pare ovvio, � l'effetto indiretto di certe procedure ex art. 177; mentre l'effetto immediato e diretto � solo quello che si produce nell'ambito della stessa causa pregiudiziale in conseguenza della risposta fornita al giudice nazionale, che poi applicher� tale risposta al caso concreto, emanando la sentenza. Non a caso ho notato fin dall'inizio che chi applica il diritto comunitario � prima di tutto il giudice nazionale. La Corte, pronunciandosi ai sensi dell'art. 177, interpreta e non applica le norme comunitarie; questo � pacifico e non c'� che da ribadirlo. Parlare dunque di denegata giustizia o addirittura di scandalo, perch� nel caso Foglia-Novello sarebbe stato eluso l'obbligo della Corte di rispondere ai quesiti proposti dai giudici nazionali, mi sembra fuor di luogo. Per quanto riguarda poi la Commissione, pu� ben darsi che essa preferisca a volte non introdurre un ricorso ex art. 169 per ragioni politiche. Alla Commissione riesce probabilmente pi� comodo trincerarsi dietro la Corte, cos� come talora ha fatto, ma � ad essa che spetta la responsabilit� di agire contro gli Stati membri se vi � notizia di un illecito commesso. Ripeto al riguardo che la procedura di cui all'art. 177, se impiegata per far venire a galla determinate inadempienze degli Stati, � in ogni caso una via indiretta; essa � stata utile in molti casi, ma non si pu� spingere questa considerazione fino al punto di ritenere che ci si possa normalmente sel'Vire di quello strumento per tutelare interessi privati contro atti statali incompatibili col diritto comunitario. Torniamo ora al caso Foglia-Novello. Immaginiamo che a qualche osservatore imparziale della realt� comunitaria -magari ad uno studente di diritto comunitario -si ponesse il quesito di indicare in qual modo il Trattato consente di accertare la legittimit� del regime fiscale di un certo proqotto in un determinato .Stato. La risposta sarebbe, ne RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sorto sicuro: mediante un ricorso alla Corte di giustizia, ad iniziativa di un altro Stato membro o della Commissione, contro il governo del Paese dove quel regime fiscale vige. Nella specie, � inutile fingere che ci fosse realmente interesse a stabilire se dovesse scattare o no una clausola contrattuale recante il diritto di un contraente a recuperare una somma di imposta straniera abusivamente pagata. Cos� si presentava la questione escogitata per introdurre la causa davanti al giudice italiano, ma il problema reale consisteva nel cercare di metter fine al meccanismo impositivo dello Stato straniero (com'� noto, la Francia). La Corte avrebbe potuto confermate quell'uso ampio dell'art. 177 che aveva precedentemente consentito, e dare perci� la sua risposta anche in questo caso. Giustamente H prof. Tizzano ha notato che moltissimi precedenti sembravano condurre a questo risultato. Per quale ragione allora la Corte ha scelto una strada diversa? A mio avviso, � errato valutare la sentenza di cui parliamo come se un solo motivo .l'avesse determinata. Le ragioni sono state invece parecchie. Anzitutto vi � da dire che c'era da tempo una certa insofferenza nell'ambiente della Corte per i cosiddetti processi bidone. Quest'espressione aveva gi� corso prima del caso Foglia-Novello, e serviva a indicare i processi instaurati al solo fine di rivolgere alla Corte, attraverso il giudice nazionale, una domanda pregiudiziale di interpretazione, provocando cos� la sua risposta. Direi che l'aspettativa, (riecheggiata qui dal prof. Motzo), secondo cui la Corte avrebbe ben potuto dare la sua �consulenza�, ha suscitato in modo particolare la reazione contraria della Corte. Questa infatti non ritiene di dover dare consulenze, ma si sente invece chiamata a giudicare, in collaborazione con i giudici interni, riguardo a controversie effettive. A prescindere, dunque, dalla forma in cui la Corte ha reagito nelle sentenze Foglia-Novello, la verit� � che, prima e indipendentemente da esse, era maturato nei giudici uno stato d'animo ostile ai processi bidone, cui si voleva cercare di metter termine. Di fronte a questo fatto, ci si pu� chiedere perch� la Corte avesse per molto tempo considerato in modo positivo l'aumento delle possibilit� di rinvii pregiudiziali, arrivando fino al punto di stabilire che essi fossero ammissibili pure per i decreti ingiuntivi italiani. A conti fatti, mi pare di dover dire che questo orientamento era troppo largo. Ed � evidente che, se si � troppo abusato di un determinato strumento, questa non � una ragione per continuare nell'abuso. Forse il colpo di freno rappresentato dalle sentenze di cui si tratta � stato dato male, se � vero che nel risolvere un problema ne ha aperto altri. Non direi tuttavia che i colpi di freno siano di per s� e costan temente episodi negativi. Rilevo infine che il dispositivo della seconda sentenza Foglia-Novello comprende .un brano particolarmente interessante, in cui si dice che la PARTE II, QUESTIONI Corte � tenuta a vigilare affinch� il procedimento previsto dall'art. 177 non venga utilizzato per scopi non voluti dal Trattato. Questo conferma che la Corte ha ritenuto di essere posta di fronte a un uso della procedura pregiudiziale rispondente ad obbiettivi impropri, rispetto a quelli voluti, e ha creduto allora necessario affermare che ci sono dei limiti da non superare nell'impiego dell'anzidetto procedimento. Sono comunque d'accordo con chi ha auspicato che le due sentenze Foglia-Novello restino casi isolati, ed anzi aggiungo che a mio parere � probabile che esse non avranno seguito, giacch� la Corte stessa si � trovata in evidente difficolt� nell'escogitare una soluzione ed ha prestato il fianco a numerose e qualificate critiche soprattutto per essersi dichiarata � incompetente � a rispondere ai quesiti del giudice nazionale. Ci� detto, vorrei esortare i critici a riconoscere l'obbiettiva delicatezza e seriet� del problema, e a regolarsi come si fa ogni volta che si affronta un problema serio e delicato, evitando di dare affrettatamente giudizi sommari. Grazie. Ivo BRAGUGLIA, avvocato dello Stato. Nella vastit� di questo tema che � stato proposto dall'Associazione giuristi europei e che � stato, secondo me, magistralmente sintetizzato dal prof. Capotorti, io sceglierei un aspetto pi� specifico, che attiene pur sempre all'art. 177 del Trattato CEE, ma in particolare ai limiti del1' obbligo di deferire la questione pregiudiziale di interpretazione o d'invalidit� da parte dei giudici di ultima istanza. Ricordo a me stesso, perch� tutti lo sappiano, che l'art. 177 del Trattato CEE prevede una facolt� in questo senso per i giudici di grado inferiore e prevede invece un obbligo per i giudici avverso le cui decisioni non siano ammessi ulteriori rimedi. Questo tema torna di attualit�, come vi ha anticipato il prof. Capo torti, perch� c'� stata una recentissima ordinanza di rimessione proprio di questo problema da parte della Corte di cassazione alla Corte di giu stizia. E dico torna di attualit� perch� � un tema che fu gi� affrontato esattamente venti anni fa da parte della Corte comunitaria, ma a mio parere non completamente risolto. Forse ci sono soltanto, su questo problema dei limiti dell'obbligo di deferimento, a mio avviso, due punti fermi: il primo � quello della rilevanza, che � comune al giudice non di ultimo grado e al giudice di ultimo grado e che, salvi i limiti che possono derivare dalla Foglia-Novello bis o dalla Foglia-Novello prima versione in favore della Corte di giustizia, costituisce oggetto di una delibazione che appartiene interamente al giudice nazionale. Il secondo punto che si pu� ritenere per certo e che deriva dalla sentenza cui accen RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 130 navo, la sentenza Da Costa del 27 settembre 1963 della Corte di giustizia, � che l'oggetto dell'obbligo imposto dal Trattato alle Corti supreme viene meno quando la stessa questione sia stata gi� risolta in via pregiudiziale da parte della Corte di giustizia. In questo caso il giudice di ultima istanza o si adegua all'interpretazione che ha reso la Corte di giustizia sulla stessa questione, oppure � tenuto a rimettere di nuovo la questione prospettando eventualmente i suoi motivi di dissenso. Questo stesso principio, cio� che una previa pronuncia della Corte esenta le giurisdizioni superiori dell'obbligo del 177, oltre che in materia di interpretazione con la citata sentenza Da Costa, � stato affermato anche in materia di invalidit� nella sentenza 13 maggio 1981 International Chemical Co. e anche qui la Corte ha detto che se un regolamento comunitario, un atto comunitario � stato gi� dichiarato invalido, illegittimo nell'ambito di un procedimento ex art. 177, qualunque giudice nazionale deve non tenerne conto e se invece ha dei dubbi sulll'invalidit� � tenuto a rimettere di nuovo la questione alla Corte. Di questo principio, che appunto � uno dei due che possiamo ritenere per certi in questa materia, ha fatto applicazione pi� volte la nostra Corte di cassazione: in particolare in due recentissime sentenze delle Sezioni Unite a proposito di problemi connessi a restituzioni all'esportazione. Sono le sentenze nn. 3967 e 4107 del 1981 e forse c'� soltanto da segnalare che in questi casi la Suprema Corte non doveva applicare la stessa identica norma gi� interpretata da parte della Corte di giustizia in una sentenza del 1971 ma una norma diversa, cio� compresa in un altro atto normativo, in un altro regolamento, seppure di identico contenuto. Ma la Corte Suprema non ha avuto nessuna esitazione a trasporre l'interpretazione di quella certa norma in quest'altra fattispecie e ad applicarla. Rimangono invece molto oscure ancora due altre questioni che si pongono nel cercare di individuare i <limiti dell'obbligo di deferimento. Se noi leggiamo il brano della sentenza Da Costa che interessa, abbiamo la impressione che la Corte di giustizia allora abbia reso una interpretazione molto rigorosa di questo obbligo, cio� abbia voluto quasi restringere al minimo indispensabile le possibilit� che una giurisdizione suprema interpreti o applichi da s� delle norme comunitarie rilevanti per la decisione. Infatti in questa sentenza del 1963 la Corte dice �se l'art. 177 ultimo comma impone senza restrizioni ai fori nazionali, le cui decisioni non sono impugnabili secondo l'ordinamento interno, di deferire alla Corte qualsiasi questione di interpretazione davanti ad essi sollevate, l'autorit� della interpretazione data dalla Corte ai sensi dell'art. 177 pu� tuttavia far cadere la causa di tale obbligo e cos� renderlo senza contenuto �, Cio�, leggendo nel pensiero della Corte in base a questa sentenza di venti anni fa, sembrerebbe di dover dire che, qualora non vi stia stata gi� una previa interpretazione da parte della Corte di giustizia su norma identica PARTE II, QUESTIONI o su norma analoga, l'art. 177 impone alle giurisdizioni supreme un obbligo assoluto di deferire qualsiasi questione dinanzi ad esse pendente. Per� non mi sembra che questo risolva il problema, perch� comunque restano scoperti due aspetti che stanno proprio nel testo dell'art. 177. Infatti la Corte di giustizia non ci dice quando sussista una questione, cio� che cosa si deve intendere per �questione� ai sensi del 177, e neanche ci offre spunti per definire fin dove la � questione � sia di interpretazione e quando, invece, possa parlarsi di sola applicazione della norma. Voi capite meglio di me che risolvere questi problemi � un po' impingere in discorsi teorici che suscitano molte interessanti discussioni ma che danno poi dei risultati concreti, a mio avviso, assai scarsi. Conoscete la famosa teoria dell'atto chiaro, elaborata soprattutto nella giurisprudenza francese, ma non sconosciuta -direi io -neanche alla tradizione giuridica comune degli altri Stati membri. In claris non fit interpretatio e da ci� deriverebbe che, quando l'atto � chiaro, non esiste una questione di interpretazione. Ma l'atto pu� esser chiaro per un giudice ed oscuro per un altro giudice e quindi la teoria resta una enunciazione che lascia aperti molti problemi. Si �potrebbe avere un approccio pi� interessante riferendosi al concetto di res dubia: per aversi una questione occorre che esista un ragionevole dubbio sulla interpretazione della norma. Insomma in concreto il problema � di sapere se, qualora una Corte suprema debba applicare una norma comunitaria, in precedenza mai interpretata da parte della Corte di giustizia, questa Corte suprema debba automaticamente investire la Corte di giustizia della questione di interpretazione, ovvero abbia un proprio potere di apprezzamento per delibare se esista una questione di interpretazione. Io credo, senza voler prendere posizione, che un potere di apprezzamento sull'effettiva esistenza di una questione di interpretazione si debba riconoscere alle Corti supreme, proprio perch� il Trattato richiede che vi sia una questione; cio� non basta che vi sia soltanto un qualcuno che metta in dubbio una certa versione o una certa lettura della norma comunitaria, occorre che sussista obiettivamente una questione. Il secondo punto � ancora pi� delicato, cio� quando una questione pu� essere definita come di interpretazione e non si tratti invece soltanto di applicazione della norma. Questa distinzione tra interpretazione e applicazione � stata formulata pi� volte dalla Corte comunitaria sia nella stessa sentenza Da Costa, sia nella famosa sentenza Van Gende e Loos, ma neanche la Corte comunitaria ha potuto scendere in dettagli e spiegarci fin dove arriva l'interpretazione e dove invece comincia l'applicazione della norma. Credo che in teoria noi potremmo discutere per anni e non avremmo nessuna soluzione concreta di questo problema. Mi pare invece che si H2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO debba tener conto di quello che � stato ad oggi lo sviluppo del diritto comunitario e della giurisprudenza della Corte di giustizia. Per fare un esempio, se noi scorriamo la raccolta della giurisprudenza della Corte vediamo che la Corte di Lussemburgo si � pronunciata innumerevoli volte sulle disposizioni del Trattato che garantiscono, diciamo cos�, l'applicazione di uno dei principi fondamentali cio� di quello della libera circolazione delle merci (che cosa sono le tasse di effetto equivalente a dazi doganali, che cosa le restrizioni quantitative o le misure di effetto equivalente, che cos'� la discriminazione fiscale tra prodotto importato e prodotto nazionale). Queste norme sono state non solo interpretate ma direi addirittura sezionate, sviscerate, applicate pi� volte alle pi� svariate fattispecie, sicch� mi sembra che oggi tutti i giudici nazionali abbiano dinanzi a s� un vero e proprio corpus di interpretazione comunitaria di queste norme. Se si pone al giudice nazionale di ultima istanza un problema che comporta l'applicazione dell'art. 95 a una certa fattispecie, � chiaro che noi possiamo prendere la fattispecie, rovesciarla come fattispecie astratta e dire che � un problema di interpretazione. Ma logica vorrebbe che oramai, con questi venti anni di giurisprudenza alle spalle, il giudice nazionale anche di ultima istanza possa prendere la giurisprudenza della Corte, per esempio sull'art. 95, e applicarla alla sua fattispecie concreta almeno ove questa operazione ermeneutica non susciti dubbi o perplessit�. Forse, per essere pi� chiaro e per scendere al concreto, potrei fare un esempio, un esempio che traggo da una sentenza della Corte di cassazione del 24 ottobre 1980, n. 5780, nella quale si trattava di interpretare sostanzialmente il termine di diritto nazionale � importazione �. Si discuteva di un problema connesso alle cauzioni valutarie che, come voi sapete, s'impongono a colui che fa un pagamento anticipato all'estero per importazioni di merci in Italia e la legge dice che la cauzione viene perduta se l'importazione avviene dopo il termine stabilito a partire dalla data del pagamento anticipato. Allora il dubbio era se � importazione � significasse propriamente sdoganamento cio� immissione al consumo delle merci o se potesse significare soltanto arrivo delle merci nel territorio doganale; e nel prospettare questo dubbio si � prospettato anche che, ove al termine � importazione � fosse stato attribuito il primo significato, nel senso che occorresse la vera e propria immissione al consumo delle merci, allora si sarebbe posto un problema di compatibilit� con la normativa comunitaria, in particolare con l'art. 30 del Trattato CEE che vieta restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente. Secondo me -e lo dico a prescindere dal risultato � di merito � giustamente la Corte di Cassazione ha negato la necessit� di rinvio pre giudiziale alla Corte di giustizia e lo ha negato proprio sotto il profilo che non si trattava di interpretare gli artt. 30 e 36 del Trattato gi� abbon dantemente pi� volte interpretati dalla Corte per cui ormai tutti sappiamo Iw I' If 1 PAl'lTE II, QUESTIONI 13] che misure di effetto equivalente sono quelle misure che ostacolano in modo diretto o indiretto, attuale o potenziale gli scambi comunitari; ma di applicare questa nozione, in s� chiara, al caso concreto e di procedere al giudizio. Quindi mi sembra che sotto questo profilo le critiche che questa sentenza ha ricevuto in dottrina, a prescindere, ripeto, dal se fosse giusto o sbagliato il giudizio che la Corte Suprema ha dato, non mi sembrano da condividere. Come ricordava il prof. Capotorti, questi problemi che io vi ho, neanche illustrato, ma soltanto enunciato al fine di suscitare il dibattito, saranno, speriamo, risolti sulla base dell'ordinanza della Corte di cassazione dell'ottobre 1981 con la quale, secondo me molto giustamente, prima di formulare il quesito la Corte stessa pone alla Corte di giustizia delle perplessit�; insomma fa capire: �ma � possibile che in ogni caso, anche se l'interpretazione proposta dalla norma comunitaria � palesemente infondata, io debba sospendere tutto e rimettere alla Corte di giustizia?�. E queste perplessit� della Corte suprema sono riassunte nel quesito �he secondo me � molto significativo e vi leggo le ultime righe in cui la Corte di cassazione dice: �Vorrei sapere se il terzo comma dell'art. 177 sancisca un obbligo di rimessione che non consenta al giudice nazionale alcuna delibazione di fondatezza della questione sollevata ovvero subordini, e in quali limiti, tale obbligo al preventivo riscontro di un ragionevole dubbio di interpretazione �. Cio�, se la Corte suprema ha un ragionevole dubbio di interpretazione, scatta l'obbligo; se invece, nella sua autonomia di giudizio -perch� in fin dei conti poi (come ricordava l'avv. Gen. Capotorti) chi � che decide anche in materia di diritto comunitario sono i giudici nazionali -questo ragionevole dubbio di interpretazione non si pone, l'obbligo non dovrebbe scattare. Problemi un po' diversi ma che attengono sempre a questo obbligo di deferimento che grava sulle Corti supreme ai sensi dell'art. 177, pongono le direttive. Avete sentito poco fa i problemi sostanziali� che attengono alle direttive; sappiamo che le direttive non entrano a far parte dell'ordinamento nazionale, sappiamo che entro certi limiti le direttive possono presentare effetti diretti, con certe conseguenze per cui i singoli possono opporre allo Stato inadempiente la norma della direttiva, anche se non attuata, con la quale contrasti la legge nazionale. Io mi vorrei riferire soprattutto al problema.dell'interpretazione della direttiva; perch� il giudice nazionale talvolta ha la necessit� o ravvisa la opportunit� di interpretare una direttiva, al fine, per esempio, di capire esattamente la portata della legge nazionale di attuazione della direttiva stessa. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Anche qui vorrei fare un esempio concreto per cercare di parlare in modo pi� chiaro e riferirmi anche qui a una recente sentenza della Corte di cassazione, la sentenza 7 ottobre 1981, n. 5266. Brevissimamente vi racconto il fatto, altrimenti � impossibile capire il problema. Si trattava di stabilire se il �regime di deposito franco agli stabilimenti industriali�, istituito con una legge italiana del 1904, fosse rimasto in vita o fosse stato abrogato da parte di un decreto presidenziale del 1969 che regolamentava ex novo tutta la materia dei depositi franchi in attuazione della direttiva comunitaria del 1969 sui depositi doganali. In causa era stata profilata la necessit� o l'opportunit� di interpretare la direttiva per meglio capire la portata della legge nazionale. Una volta avuta l'interpretazione della direttiva� fra le possibili interpretazioni della legge nazionale il giudice avrebbe dovuto scegliere quella conforme alla portata della direttiva. La Cassazione anche in questo caso ha risposto di no, che non si poneva nessun problema di interpretazione della direttiva affermando appunto che la direttiva costituisce parametro di interpretazione della legge di recepimento, ma che non si pu� andare oltre i limiti di elasticit� di questa legge: per cui se la legge non � interpretabile nel senso previsto dalla direttiva si porr� un problema di responsabilit� internazionale dello Stato. Questa affermazione mi trova concorde; un po' meno d'accordo sarei sull~ultima parte della sentenza, laddove poi la Corte esclude il contrasto tra norma nazionale e direttiva facendo proprio essa Corte Suprema quell'opera di interpretazione della direttiva comunitaria che forse in questo caso spettava alla Corte di giustizia. Prof. MOTZO, ordinario nell'Universit� di Roma. Nel contesto di questo colloquio, mi trovo in imbarazzo, essendo stato l'avvocato della parte Novello nella vicenda giudiziaria di cui si discute. Nel vedere infatti anche qui il magistrato che per due volte ha rinvfato alla Corte di giustizia la causa, il pretore di Bra, nonch� i colleghi del servizio giuridico della commissione CEE, che sono intervenuti nei processi, e la mia controparte italiana, l'avv. Cappelli, che rappresenta il sig Foglia, non so su quale tavolo mi debba mettere, se sul banco dell'avvocato o piuttosto sul tavolo dell'accademico. Vorrei limitarmi a raccogliere tutti i discorsi che si sono fatti in precedenza perch� penso che, per quanto mi riguarda avendo sinora condotto l'esperienza diretta sia pi� interessante raccogliere le opinioni che certamente saranno espresse dai presenti. Mi limito soltanto a sottolineare qualcuno dei dati, emerso dalle puntualizzazioni molto precise degli illustri colleghi che mi hanno preceduto. PARTE II, QUESTIONI 13J Il prof. Capotorti ci ha detto che si rileva -ed � interessante che ce lo dica lui -una marcata tendenza della Corte comunitaria a considerare � di effetto generale � le pronunce che vengono emesse dalla Corte CEE sulla base dell'art. 177, vale a dire quelle di interpretazione. Ha poi descritto l'impostazione attuale della giurisprudenza della Corte in relazione alla politica giurisprudenziale sui rinvii pregiudiziali, nel senso che i soggetti privati -ed � qui che io vorrei particolarmente mettere l'accento -qualche volta riescono a farsi avanti nell'ambito dell'ordinamento comunitario e qualche altra volta vi riescono meno. Certo, l'art. 177 ha CO� stituito, per i soggetti privati dei nostri Paesi membri, cio� per gli operatori economici e per il consumatore europeo, cos� come ritengo io, uno strumento per far venire a galla qualche inadempienza degli Stati. Con molta prudenza il collega Capotorti -e io debbo dire che non lo vorrei mettere a disagio -ha aggiunto che la vicenda Foglia-Novello costituisce attualmente la spia di un disagio della Corte, disagio su cui ha insistito anche il collega Pocar. Non vorrei tornare su questi discorsi gi� fatti; vorrei fermarmi su un solo aspetto, quello della tutela reale ed effettiva (ed � quello per il quale ci siamo battuti -perlomeno mi sono battuto io -) delle situazioni soggettive che sono riconnesse al meccanismo procedurale, che � stato . gi� abbondantemente illustrato, Cosa accade nelle questioni che coinvolgono le situazioni soggettive? Non vorrei immediatamente saltarmi sui piedi e arrivare anch'io alle conclusioni cui in maniera un po' sfumata accennava il collega Pocar. Qui si sono trovati a cozzare gli uni contro gli altri i diritti o le situazioni giuridiche prospettate davanti alla Corte da uno Stato membro (intendiamoci, era uno� Stato cui capitava di essere coinvolto o la cui legislazione era coinvolta) e le situazioni soggettive del privato. Vengo proprio alla conclusione del discorso perch� aspetto su questo punto gli Jnterveriti. Ma insomma, la Corte comunitaria, dopo alcune esitazioni e perfomeno superata la prima fase di rigetto, ci � venuta� a raccontare (scusate se uso un gergo un po' familiare) che no, questa seconda volta (l'ha detto prima Pocar) si asteneva dall'esercitare le sue competenze; non. � che ci abbia detto, badate, le nostre competenze si spingono fino e non oltre un certo limite al quale intendiamo attenerci. Il modo in cui io leggo il discorso della Corte CEE � questo: ci asteniamo questa volta dall'esercitare le competenze di interpretazione che pure ci spetterebbero. Perch�? Qui il ragionamento oscilla: da una parte si afferma che la questione di interpretazione � pi� o meno reale (a mio avviso la Corte, anche la seconda volta, confonde il concetto di questione di interpreta� zione con il concetto ovvio di azione, ma questo � un tema su cui essa 136 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO � scivolata). Dall'altra si dice limitiamo le nostre competenze perch� in fondo quando � coinvolto uno Stato membro, la situazione di conflitto che si determina ci mette in difficolt�. Lo Stato membro deve essere in grado di difendersi adeguatamente. Debbo segnalare a questo proposito un dato di fatto che non vorrei sfuggisse: lo Stato membro coinvolto nella vicenda Foglia-Novello era stato in grado di difendersi fin dall'inizio; i rappresentanti del Governo francese erano presenti in udienza sia in occasione della prima pronuncia sia in occasione della seconda. Non v'� dubbio che lo Stato membro francese avesse avuto tutte le possibilit� di difendersi adeguatamente. Ma la Corte, nella seconda decisione, ha soggiunto di esser tenuta a delimitare le proprie competenze �con pi� accuratezza� tutte le volte che capiti che sia presente in giudizio o sia coinvolto nel giudizio questo il punto che desidero sottolineare uno Stato membro o venga coinvolta nel giudizio la legislazione di uno Stato membro. Tutte le volte, cio�, che la funzione di interpretazione, che le � deferita dai Trattati, debba riguardare norme di uno Stato membro che vengono portate in discussione. Da chi? da soggetti privati (oserei ancora dfa:e), del diritto comunitario. La signora.NoveUo infatti non si presentava altrimenti che quale consumatore di vini liquorosi, cos� come potrebbe accadere a ciascuno di noi. Ora, proprio sotto il profilo della reale tutela delle situazioni soggettive, ritengo che la Corte di Giustizia con questo rifiuto a pronunciarsi, questo rinnovato fin de non recevoir, con questa dichiarazione della propria incompetenza a interpretare, abbia in sostanza posto in essere quello che si pu� tranquillamente identificare -secondo una linea dottrinale che non richiamo qui -, H caso tipico di diniego di giustizia cio� del rifiuto di pronunciare in un caso specifico il diritto. Questa � la mia sensazione (ho premesso prima che � una sensazione di parte e quindi non sono sul tavolo accademico). Tuttavia la figura della astensione, del diniego di giustizia, del rifiuto di fornire i mezzi giuridid, anche interpretativi, secondo me qui � presente. Vorrei quindi tornare per un momento sempre ancora e soltanto sulle situazioni soggettive, sul modo in cui tali situazioni soggettive, dei singoli individui e imprese del diritto europeo, si prospettano nella vicenda Foglia-Novello. La mia sensibilit� � sempre su questo versante, cio� sul versante della tutela effettiva delle situazioni soggettive che ormai sono �affidate� al diritto comunitario. � inutile illudersi, � il diritto comunitario che deve in qualche modo fornirci i mezzi per capire in che modo gli individui e le imprese che si muovono nell'ambito degli ordinamenti degli Stati membri, o che agiscono nell'ambito degli Stati membri, ma alla stregua del diritto comunitario, possono vedere tutelate tali situazioni soggettive. Giustamente il pretore di Bra aveva sollevato un quesito: ma insomma, queste situazioni li ti::i:: i lii ..,~~~ PARTE II, QUESTIONI godono dello stesso grado di tutela a seconda che sia o meno presente in giudizio o venga evocato in giudizio uno Stato membro e che si discuta dell'applicazione delle sue norme o non � vero per caso che questa tutela in qualche modo si affievolisce? � qui che la Corte di giustizia non ha risposto. Ha detto s�, certamente, sono tutelatissime. Tuttavia entro i limiti che io stessa ritengo di dover porre volta per volta ai miei poteri di interpretazione. Affiora dunque alla fine il reale problema della identificazione dei poteri di interpretazione, un problema che � stato gi� posto in rilievo da chi mi ha preceduto. Vorrei capire~ e me lo chiedo: ma quando si � doman� dato alla Corte di esercitare poteri di interpretazione (con una certa cattiveria in una delle memorie io avevo detto: ma no, in fondo le abbiamo chiesto soltanto una consulenza interpretativa; anche questo il giudice deve fare, ce la fornisca) le si � domandato anche di ridefinire pretoriamente magari volta a volta la propria competenza e l'ambito dei poteri discrezionali coinvolti appartenenti invece al Giudice nazionale? Qui la Corte si � rivelata, ha detto: no, io interpreto sul. serio, non fornisco solo atti di consulenza al giudice nazionale che me H chiede. E qui si � fermata. In realt�, il problema che avevo sottoposto al Pretore e da questi era stato perspicacemente raccolto verteva sul tema: poteri di interpretazione e giudizio sulla rilevanza della questione. Torniamo all'argomento di cui da ultimo si � occupato con estrema precisione il collega Pacar. Quando la Corte limita i propri poteri di interpretazione e a questa limitazione fa seguire il rifiuto (perch� non si tratta solo di una limitazione, spesso si tratta di un rifiuto) a fornire i propri mezzi interp.retativi, ebbene allora quando la Corte fa un'operazione di questo genere, non ha gi� solo e per questo invaso le competenze del Giudice nazionale e affievolito il grado di tutela delle situazioni soggettive che si riconnettono al diritto comunitario? Secondo noi infatti, � chiaro che la situazione soggettiva coinvolta pur continuando ad utilizzare i mezzi del diritto nazionale di partenza � gi�, si potrebbe dire, tarpata in radice nei suoi aspetti strumentali ancor prima che processuali; non � in grado infatti di farsi valere al rientro nel meccanismo giurisdizionale nazionale. Penso di essere andato al di l� del tempo che mi era stato concesso. Vi ringrazio. (Replica). Sar� brevissimo nelle repliche, anche perch� penso che i discorsi che si sono uditi qui hanno messo a fuoco un numero tale di problemi che non mi sento di intervenire su ciascuno di essi. 138 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Il prof. Tizzano ha espresso .in forma esplicita quella che forse era opinione comune a molti dei presenti. Mi ha fatto piacere sentirla formulare: talora ho avuto la sensazione che proprio il problema della reale agibilit� delle situazioni soggettive di individui o di imprese coinvolte in questo tipo di processi sia quello che ha suscitato minore attenzione rispetto a magari eccelse problematiche generali in tema di rapporti tra ordinamenti. Vorrei esser chiaro. Qui si tratta di situazioni soggettive che, nella sostanza, vengono affidate in tutela a meccanismi processuali del diritto nazionale con rinvio a funzioni interpretative rimesse alla Corte di giustizia. Qui, si dice -la giurisprudenza della Corte di giustizia si ripete abbondantemente -� necessaria una collaborazione tra giudice nazionale e giudice comunitario. I termini della collaborazione sono rimasti .incerti e tutti i presenti hanno avuto modo di constatarlo. Vorrei capire cosa debba accadere di queste situazioni soggettive che sono poi dei singoli individui, dei singoli operatori economici, una volta <.:he la Corte di giustizia si sia pronunciata nel senso che abbiamo visto .messo in opera in occasione degli ultimi giudizi. Quando le questioni pregiudiziali ritornano inevase, quando H giudice a quo, il giudice nazionale, si vede rispedire una pronuncia del genere delle pronuncie Foglia-Novello, cosa deve fare? Qui si � gi� detto che il nuovo trend giurisprudenziale della Corte non fa che sollecitare .il giudice nazionale a decidere fa controversia che pende dinanzi a lui secondo i mezzi del diritto nazionale, in carenza di attivit� .interpretativa, di un ausilio interpretativo fornito dalla Corte di giustizia stessa. Ho l'impressione che la risposta non sia cos� semplice: essa infatti -coinvolge problemi molto grossi. Qui tutti parliamo di situazioni soggettive; ho sentito parlare di diritti soggettivi e probabilmente, a seconda delle terminologie e delle stesse strutture degli ordinamenti degli Stati membri, non sempre le posizioni individuali possono essere etichettate in questi termini. Ma il problema .non � soltanto questo, non � certo solo un problema terminologico: � invece un problema di sostanza che � gi� sorto. I nostri ordinamenti, almeno quelli di alcuni degli Stati membri (certa mente l'ordinamento italiano) tutelano diritti soggettivi e situazioni giur� diche soggettive, che sono spesso situazioni strumentali, che noi classi fichiamo come interessi legittimi, ma le tutelano sotto l'ambito, sotto il <.:appello, di grosse garanzie costituzionali. g inutile che io accenni alla riserva di legge che copre nel nostro ordinamento costituzionale l'inizia tiva economica privata. Il vero problema � qui. Il giudice nazionale (per lo meno quello italiano e quello tedesco federale) che si trovi di fronte al problema di assicurare la tutela giuri PARTE II, QUESTIONI sdizionale a situazioni giuridiche individuali del diritto comunitario e che si vede rispedire una sentenza interpretativa che non gli fornisce mezzi di interpretazione, secondo quali canoni si regoler�? Decider� secondo quello che si potrebbe definire, in termini molto generali, il diritto della imprenditorialit� interno? Decider�, quindi, a seconda di co�ne l'iniziativa privata gli appare disciplinata nel proprio ordinamento? Non mi pare che abbia altre scelte, a meno che non si ricorra ad un altro tipo di soluzione, cio� a meno che non accada che la� Corte di giustizia CEE non riconosca in tutte lettere -sebbene in parte ed in maniera involuta lo abbia gi� fatto -che l'ordinamento comunitario non pu� apprestare lo stesso tipo di garanzia a livello costituzionale che � invece fornito alle situazioni individuali dell'impresa da alcuni degli ordinamenti interni degli Stati membri e in particolare certamente dall'ordinamento italiano e da quello federale tedesco. Questo grosso problema sottostante � stato posto al centro acutamente delle osservazioni che ci ha fatto il dott. Caravita: manca il cappello costituzionale, manca il tipo di garanzia che apprestano i meccanismi di riserva alla legge e i giudizi di legittimit� costituzionale. Prof. POCAR, ordinario all'Universit� di Milano. Chi mi ha preceduto ha tracciato alcune linee fondamentali del procedimento di interpretazione pregiudiziale sotto il profilo dei compiti che in proposito spettano al giudice nazionale. Io cercher� di vedere il problema dal punto di vista del giudice comunitario, e in particvolare mi concentrer� sui poteri del giudice comunitario di valutare la rilevanza della questione di interpretazione propostagli dal giudice nazionale; un punto che, come � stato gi� anticipato anche dal prof. Capotarti, ha formato oggetto di notevoli discussioni in epoca recente. Cercher� di esaminare l'evoluzione della posizione della Corte in materia di ripartizione di competenze tra giudice nazionale e giudice comunitario nel procedimento ex art. 177, perch� mi pare che le ultime decisioni, in particolare le tanto discusse pronunce nel caso Foglia-Novello, non costituiscano un fatto nuovo ma vengano in qualche modo ad inserirsi in una giurisprudenza gi� incamminata in una certa direzione. Qual'� la ripartizione di competenze prevista dall'art. 177 cos� come siamo stati abituati ad intenderla e abbiamo imparato a leggerla sui libri e nella stessa giurisprudenza della Corte di giustizia? Al giudice nazionale spetta, in base all'art. 177, la valutazione esclusiva -cos� da sempre hanno affermato la Corte di giustizia e la dottrina della rilevanza di una decisione pregiudiziale. � cio� il giudice nazionale che decide se � necessario sollevare la questione pregiudiziale per la decisione della causa a lui sottoposta e deferire il quesito interpretativo alla 140 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Corte di giustizia. Alla Corte compete invece secondo l'art. 177, sempre in via esclusiva, l'interpretazione della norma comunitaria, vuoi che si tratti di norma contenuta nel trattato o di una norma applicativa contenuta in un atto delle istituzioni comunitarie. Alla Corte spetta anche il giudizio sulla validit� delle norme applicative comunitarie, anche se questo � un punto che interessa in questa sede soltanto nella misura in cui il giudizio sulla validit� possa in sostanza risolversi, come a me pare che si risolva, in una questione di interpretazione del diritto comunitario nel suo complesso. Non entra viceversa nella competenza della Corte un esame della eventuale compatibilit� di norme interne con il diritto comunitario. Questo esame di compatibilit� compete al giudice nazionale; la Corte interpreta la norma comunitaria e dall'interpretazione data dalla Corte il giudice nazionale trarr� le opportune conseguenze in relazione al caso di specie. Come si afferma ancora in sentenze recenti � la Corte deve limitarsi a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi di interpretazione, che rientrano nel diritto� comunitario, atti a consentirgli di pronunciarsi sulla compatibilit� di dette norme con la norma comunitaria di cui trattasi � (sentenza del 29 giugno 1978, in causa 154/77, Dechmann, in Racc. 1978, p. 1582). Questa ripartizione di competenze, cos� brevemente delineata, � dunque nettissima nella giurisprudenza della Corte ancora in epoca recente, e non aveva dato luogo, in fondo, a grosse discussioni. La conseguenza � che il giudice comunitario rimane interprete della norma comunitaria ma � del tutto estraneo al caso di specie, alla situazione processuale pendente davanti al giudice nazionale. La ripartizione cos� fissata ha per� cominciato a scricchiolare nel corso degli anni, non tanto attraverso una negazione formale della stessa in via di �principio ma piuttosto attraverso una ingerenza, che mi � parso di cogliere nell'evoluzione della giurisprudenza interipretativa comunitaria, sempre maggiore della Corte nella decisione del caso singolo. Le ragioni di tale ingerenza possono essere molteplici e riportarsi alla circostanza che il quesito formulato dal giudice nazionale era in al cune situazioni molto specifico, talmente specifico da costringere la Corte a considerare, ai fini deHa interpretazione della norma, i dati del caso di specie, togliendo quindi ogni margine di libert� in sede di applicazione da parte del giudice nazionale; vuoi alla tendenza della Corte a non limi tarsi a fornire una astratta indicazfone degli elementi interpretativi e a specificarli con riferimento al caso concreto; vuoi ancora all'uso alterna tivo dell'art. 177 che in talune situazioni � stato fatto, consistente nel cercare di ottenere dalla Corte un giudizio di compatibilit� delle norme nazionali con il diritto comunitario. Di questa evoluzione, peraltro, nessuno si � in fondo lamentato in modo particolare; ci sono stati, � vero, dissensi e discusssioni, ma nel complesso ~ i' ~= ! ~ 1: F; mr11~.........,j PARTE II, QUESTIONI si trattava di un modo di procedere che non presentava inconvenienti tali da suscitare polemiche. Ultimamente per� -e qui arrivo al punto centrale della mia esposizione -la Corte � andata pi� in l� di quanto avesse fatto finora, accentuand� la evoluzione della sua giurisp111denza ed interessandosi al caso concreto pendente davanti al giudice nazionale sempre di pi�, fino ad affermare nelle notissime sentenze Foglia-Novello (una del marzo del 1980 e l'altra del dicembre dell'81) che la Corte ha il potere anche di valutare i motivi per cui il giudice nazionale ha ritenuto necessaria alla soluzione della controversia la soluzione di una questione di interpretazione (sentenza del 16 dicembre 1981, in causa 244/80, Foglia-Novello, in Racc. 1981, p. 3062). Credo che il caso di specie sia fin troppo noto per doverlo ricordare; senza entrare in dettagli di fatto, mi limito a dire che la Corte ha giudicato che la causa pendente davanti al pretore di Bra tra le parti era una causa fittizia, promossa con l'unico fine di proporre la questione di interpretazione e di spingere il giudice a sollevare la questione medesima davanti alla Corte comunit�ria: questione che nella specie coinvolgeva anche il problema della compatibilit� di norme interne con norme comunitarie, poich� l'interpretazione avrebbe dovuto portare a considerare illegittima una certa normativa doganale francese rispetto a norme del trattato istitutivo della Comunit�. Quali conseguenze Ha tratto la Corte da questo suo interessamento al caso in specie, da questa valutazione dei motivi per cui il giudice nazionale ha sollevato la questione pregiudiziale? Ne ha dedotto di potersi dichiarare incompetente qualora i problemi di diritto comunitario sollevati siano � non rispondenti ad una necessit� obiettiva inerente alla definizione di una controversia� (p. 3063), quando cio� la causa sia fittizia e in realt� la questione di interpretazione non sia rilevante. Tralascio le motivazioni utilizzate per arrivare a questo risultato, basate sul dovere della Corte di verificare la propria competenza e sul ruolo della Corte nell'interpretazione del diritto comunitario, e mi limito a considerare le conseguenze di questo atteggiamento giurisprudenziale sulla ripartizione di competenze tra giudice nazionale e giudice comunitario delineata in precedenza. Quest'ultima, a mio avviso, ne risulta profondamente alterata. Che cosa rimane infatti al giudice nazionale? Secondo quanto la Corte afferma nell'ultima sentenza, al giudice nazionale rimane il potere di valutare la necessit� di deferire la questione alla Corte, ma solo nel senso che, se non ritiene rilevante la questione di interpretazione, ha il diritto e il dovere di non rivolgersi alla Corte. In questo senso il potere di valutare la rilevanza della questione spetta sicuramente al giudice nazionale, n� la Corte potrebbe, se il giudice nazionale non si rivolge ad essa, intervenire d'ufficio nel procedimento. I 142 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I @ ;-:� Il giudice comunitario ha per� non solo il potere di interpretazione ma inoltre, in via concorrente con il giudice nazionale, il potere di valutare la rilevanza della questione interpretativa e di dichiararsi, in caso negativo, incompetente. � vero che nella specie si tratta di un giudizio di irrilevanza determinato dalla ritenuta inesistenza della controversia, in quanto la controversia era giudicata fittizia; ma il discorso della Corte potrebbe in qualche caso applicarsi all'ipotesi di �esistenza di controversia effettiva alla cui definizione la questione interpretativa proposta venga ritenuta non rilevante, dato che la Corte non ha, e non pu� avere gli strumenti, non essendo giudice del fatto, per giudicare con esattezza del carattere fittizio o meno di una controversia. La conseguenza del nuovo orientamento della Corte � dunque che le due sfere di competenza del giudice nazionale e del giudice comunitario non sono pi� esclusive come erano all'origine; la valutazione della necessit� di ottenere l'interpretazione della Corte compete invero, come si � detto, ad entrambi i giudici. Ma V�i � anche un'ulteriore conseguenza, e cio� che anche il potere di interpretazione -ed � un punto importante non � pi� un potere esclusivo della Corte, ma compete in parte anche al giudice nazionale. L'eventuale dichiarazione di incompetenza della Corte, infatti, non solo priva il giudice nazionale del suo potere esclusivo di ritenere rilevante la questione di interpretazione, rendendolo concorrente con quello della Corte, ma altres� limita il potere della Corte stessa di interpretare facendo venir meno i presupposti di applicazione dell'art. 177 del trattato. Il vuoto non pu� essere colmato se non ritenendo che il giudice nazionale riprenda il suo I?Otere di interpretare il diritto comunitario. Se la Corte non � competente, la competenza necessariamente spetta al giudice nazionale, in virt� del suo generale potere di interpretare qualsiasi norma del diritto internazionale introdotta nell'orientamento interno, perch� questo potere gli � tolto soltanto nei limiti in cui il trattato attribuisca una competenza esclusiva alla Corte. Rispetto quindi al sistema originario, la conseguenza pi� generale che ne deriva consiste in un'incertezza quanto alle sfere di competenza rispettive che prima erano ben definite, con l'inconveniente che tale incertezza rischia di ripercuotersi sulla certezza stessa del diritto comunitario, non potendosi escludere la tentazione del giudice nazionale di allargare la sua sfera di competenza attribuendosi, in virt� della giurisprudenza della Corte, un potere di interpretazione pi� ampio di quello che questa intendeva attribuirgli. In ogni caso, non mi sembra dubbio che l'attribuzione di un potere interpretativo del trattato al giudice nazionale, sia pure limitato, come quello che direttamente deriva dalle sentenze Foglia-Novello, sia in contrasto con il tenore dello stesso art. 177, PARTE II, QUESTIONI 14; dal quale emerge una competenza esclusiva della Corte di giustizia in tema di interpretazione. Del resto, sotto il profilo giuridico le sentenze prestano il fianco anche ad altre critiche. Da un punto di vista strettamente esegetico, innanzitutto, vi � nella loro motivazione una forzatura dell'art. 177 che chiaramente lascia intendere che non � necessario che ci sia una controversia vera e propria davanti al giudice nazionale perch� vi sia la possibilit� di deferire una questione interpretativa alla Corte. L'art. 177 si limita invero a dire che, quando la questione sia sollevata davanti a una giurisdizione di uno degli Stati membri, questa giurisdizione, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione sul punto, pu� domandare alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla questione. Non si parla di controversie vere e proprie davanti al giudice nazionale. N� appare condivisibile l'argomento della necessit� di una tutela dello Stato, che non avrebbe nel procedimento ex art. 177, se utilizzato in forma impropria, la stessa possibilit� di difendersi che ha quando � adito direttamente. :I:!. ben noto che gli Stati hanno il potere di intervenire nei procedimenti davanti alla Corte di giustizia, e non � quindi esatto che lo Stato interessato non abbia il potere di far valere le sue ragioni davanti alla Corte. D'altra parte, se esiste un problema di tutela dello Stato, esiste anche un problema di tutela dei singoli che non � meno importante di esso. Ma soprattutto mi pare che l'aspetto pi� discutibile delle sentenze esaminate sia quello che con esse la Corte rinuncia, per certi lati almeno e per certe situazioni, al suo compito primario di assicurare l'uniformit� dell'applicazione del diritto comunitario attraverso un'interpretazione uniforme, come prevedono i trattati istitutivi. Si tratta di una rinuncia che non pu� non apparire in contrasto con le esigenze della costruzione comunitaria. (Replica). Sar� brevissimo nella replica, anche perch� mi pare che in buona parte i punti emersi dalla interessante discussione possano essere condivisi senza troppi problemi. Soltanto su un paio di argomenti mi pare necessaria qualche precisazione. Il primo � quello delle conseguenze della valutazione della Corte sulla rilevanza della questione di interpretazione. Se ho ben capito l'intervento del dott. Caravita, egli ritiene che la conseguenza di questa valutazione della Corte debba essere quella che la norma comunitaria diventi al caso di specie inapplicabile, mentre io avevo ritenuto di dover delineare altre conseguenze, e in particolare che l'interpretazione della norma diventi competenza del giudice nazionale. 144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Rimarrei della mia opinione, tutto sommato, perch� se si accettasse l'altra impostazione si finirebbe per dare alla Corte anche la competenza a giudicare dell'applicazione della norma, cosa che forse nemmeno dalle sentenze Foglia-Novello si ricava in modo chiaro. Una interpretazione cos� vasta dell'art. 177 mi pare palesemente eccessiva; direi che la Corte non l'ha voluta nemmeno in queste sentenze, e non mi sentirei di attribuirle un'intenzione di questo genere. Vorrei poi tornare brevemente sull'argomento della continuit� della giurisprudenza della Corte che ha molto scandalizzato alcuni intervenienti e in particolare l'amico Tizzano. Forse c'� un piccolo equivoco. Io non ho parlato di una vera e propria continuit�, o di logica evoluzione della giurisprudenza della Corte. Ho cercato di delineare l'iniziale ripartizione di competenze tra giudice 144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Rimarrei della mia opinione, tutto sommato, perch� se si accettasse l'altra impostazione si finirebbe per dare alla Corte anche la competenza a giudicare dell'applicazione della norma, cosa che forse nemmeno dalle sentenze Foglia-Novello si ricava in modo chiaro. Una interpretazione cos� vasta dell'art. 177 mi pare palesemente eccessiva; direi che la Corte non l'ha voluta nemmeno in queste sentenze, e non mi sentirei di attribuirle un'intenzione di questo genere. Vorrei poi tornare brevemente sull'argomento della continuit� della giurisprudenza della Corte che ha molto scandalizzato alcuni intervenienti e in particolare l'amico Tizzano. Forse c'� un piccolo equivoco. Io non ho parlato di una vera e propria continuit�, o di logica evoluzione della giurisprudenza della Corte. Ho cercato di delineare l'iniziale ripartizione di competenze tra giudice nazionale e giudice comunitario; ho parlato dell'attuale divisione di competenze, per dire -uso le parole esatte che mi ero appuntate e che quindi probabilmente ho detto -che questa ripartizione iniziale � ora profondamente alterata, o ribaltata, senza quindi una continuit� logica di giurisprudenza da questo punto di vista. Il punto in relazione al quale ho visto un certo collegamento in questa nuova giurisprudenza e in cui ho cercato di trovare ad essa una spiegazione sta nella progressiva ingerenza o intromissione della Corte di giustizia nell'esame del caso di specie. Sotto questo profilo soltanto ho ravvisato una linea continua nella giurisprudenza della Corte. E non mi pare dubbio che, se questa progressiva ingerenza non ci fosse stata, forse la Corte di giustizia si sarebbe trovata in difficolt� molto maggiori a giustificare un revirement del tipo di quello effettuato nei casi Foglia-Novello quanto 'alla ripartizione di competenze fra giudice nazionale e giudice comunitario. INTERVENTI E COMUNICAZIONI Avv. ANTONIO ABATE, consigliere giuridico della Commissione delle Comunit� europee. Desidero porgere il saluto della Commissione, che vede sempre con occhio estremamente favorevole i dibattiti che si svolgono negli Stati membri e che contribuiscono a diffondere il diritto comunitario. Mi sento in dovere di soffermarmi sui motivi per cui la Commissione, nelle cause Foglia-Novello di cui si � parlato, ha preso una posizione nettamente favorevole alle tesi dei privati, posizione che, evidentemente, diverge dalle conclusioni cui � pervenuta la Corte di giustizia. Questo non � un segreto, poich� emerge dalle due sentenze; quindi mi limito, in questa sede, a darne atto. PARTE II, QUESTIONI La Commissione ha assunto nelle cause Foglia-Novello una posizione di estrema difesa della procedura dell'art. 177. Credo che, cos� operando, la Commissione sia stata estremamente coerente con la posizione che ha sempre preso davanti alla Corte tutte ,le volte che siano stati messi in causa i diritti dei singoli e la loro tutela. Ma c'� di pi�, signor presidente. Ricordiamoci che l'art. 177 apporta un rimedio a una lacuna del Trattato CECA. Il Trattato CECA non contempla questo strumento di ricorso pregiudiziale davanti a un giudice unico, la Corte di giustizia; giudice al quale compete la funzione di assicurare, in primo luogo, l'unit� del diritto comunitario e, in secondo luogo, l'uniformit� nell'interpretazione e nell'applicazione del diritto comunitario. Parlando di uniformit� nell'applicazione del diritto comunitario -poich� la sfera territoriale di applicazione del diritto comunitario � unica e non � limitata da frontiere geografiche che possono coincidere, come nel caso delle cause Foglia-Novello, con le Alpi -appare evidente che, per rispondere alle esigenze dell'uguaglianza giuridica dei singoli davanti alla legge, l'art. 95 del Trattato CEE, che contiene il divieto di discriminazione fiscale, debba essere applicato secondo gli stessi criteri a prescindere se il regime fiscale de causa sia francese o itali�no. Ricorder� allora che, nell'ambito del Trattato Cl3CA, abbiamo avuto una serie di pronuncie delle giurisdizioni interne, per esempio quella della Corte di cassazione sull'art. 60 in materia di disciplina dei prezzi, sul carattere privilegiato o meno dei crediti dell'Alta autorit� della CECA (si parlava del prelievo, a quel tempo, e dei contributi di perequazione) giudizi ai quali la Comunit� e la Commissione sono rimaste estranee; quindi, con l'art. 177, gli autori del Trattato CEE hanno voluto colmare una lacuna che il Trattato CECA presentava. Questa lacuna era piuttosto grave perch� il Trattato CECA impone all'art. 4 una serie di obblighi agli Stati membri, obblighi che possono essere rispettati soltanto nella misura in cui i singoli hanno la possibilit� di far valere i foro diritti in contrapposizione agli obblighi che incombono agli Stati membri. Direi allora, per concludere su questo punto, che se il Trattato CECA non ha apportato un quid novi agli schemi noti nel diritto internazionale, il Trattato CEE invece, grazie ed esclusivamente alla procedura del l'art. 177, ha introdotto uno strumento del tutto nuovo nell'ambito del diritto internazionale. Il Trattato CEE �, infatti, l'unico trattato internazionale che per metta ai singoli di ottenere soddisfazione nei confronti degli Stati qualora il comportamento di questi non coincida con le norme del Trattat�. Il fenomeno dell'efficacia immediata di norme di un trattato internazionale l'abbiamo conosciuto anche in trattati precedenti. Il ricorso diretto dei cittadini di fronte a tribunali internazionali l'abbiamo, anche questo, conosciuto nel diritto internazionale. Quello che, invece, � del RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tutto nuovo � il diritto dei singoli ad ottenere, via lo strumento dell'art. 177, che gli Stati membri rispettino il trattato. E allora si pu� capire che mi � difficile condividere la definizione della procedura dell'art. 177 che � stata espressa in quest'aula in termini di �uso indiretto� dell'art. 177. Mi � difficile per un motivo estremamente semplice. Ritorniamo un po' al panorama delle procedure giudiziali che il Trattato CEE offre. Abbiamo, da una parte, delle procedure le cui parti possono essere soltanto gli Stati o le istituzioni della Comunit�, procedure alle quali i singoli non hanno accesso, poich� non � consentito loro di intervenire: si tratta del ricorso di uno Stato contro un altro Stato per violazione delle norme del trattato, del ricorso di uno Stato contro le istituzioni della Comunit� qualora queste violino le norme di diritto comunitario e, infine, del ricorso in base all'art. 169 in cui la Commissione promuove un'azione giudiziaria contro lo Stato membro inadempiente. Queste procedure sono esclusive delle istituzioni della Comunit� e degli Stati membri. Ad esse procedure i singoli non possono partecipare. I singoli dispongono, dal canto loro, del ricorso diretto contro gli atti individuali delle istituzioni (quando i loro diritti sono violati o ritengono che siano violati) e del ricorso alla procedura dell'art. 177. Quindi, � impossibile considerare questa procedura come un surrogato delle procedure che appartengono al primo gruppo di cui sopra perch� se il Trattato CEE ha inteso istituire una comunit� non soltanto tra Stati, ma anche tra individui, � giusto che i diritti dei singoli possano essere tutelati in prima persona attrave_rso lo strumento dell'art. 177; art. 177 -ricordiamolo -che consente ai singoli non solo di sindacare le norme nazionali di uno Stato membro, ma anche le norme di diritto derivato emanate dalle istituzioni comunitarie, che non possono impugnare per la via dell'art. 173. Allora, signor presidente, se l'art. 177 costituisce l'unica procedura riconosciuta ai singoli, e se effettivamente il Trattato di Roma ha inteso attribuire dei diritti ai singoli esperibili anche nei confronti degli Stati membri, evidentemente si deve riconoscere ai singoli la pienezza delle procedure atte a tutelare i diritti in parola. Non esiste, signor presidente, un diritto soggettivo se non c'� il supporto di una procedura, di un giudice che assicuri il rispetto di questo diritto nel caso in cui esso subisca una lesione. Due parole sull'art. 169 perch� spesso nell'ambito delle procedure pregiudiziali cui la Commissione partecipa davanti alla Corte e, in particolare, nelle due cause Foglia-Novello, ci si chiede perch� la Commissione non avesse introdotto un ricorso ex art. 169 contro la Francia. E non �, questo, il solo caso in cui la Commissione non promuove tempestivamente un'azione diretta contro gli Stati membri inadempienti. PARTE II, QUESTIONI Credo, signor presidente, che forse questa � la sede pi� sensibile all'osservazione che desidero fare. Le procedure 169 sono incerte an et quando. An, perch� l'apertura della procedura d'infrazione ex art. 169 dipende dalla conoscenza di un comportamento contrario al Trattato da parte di uno Stato, oppure dalla conoscenza di una norma di diritto interno con traria al Trattato. Occorre, molto spesso, un esposto o un reclamo da parte di un'associazione, o deisingoli. Incerta �, quindi, l'apertura; ancora pi� incerta -e ci� concerne il quando -� la conclusione della procedura. Il motivo di tale incertezza risiede nel fatto che gli Stati membri preferiscono �negoziare� con la Commissione l'infrazione, preferiscono le vie meno ufficiali per mettere fine all'infrazione; sono cos� gli stessi Stati membri che, con un comportamento che non sempre pu� essere considerato dilazionatorio prolungano le procedure poich� hanno bisogno di tempi lunghi per modificare la propria legislazione. La Commissione, da parte sua, non � insensibile a questa esigenza. Ovviamente, quando queste procedure investono norme interne che ledono i diritti dei singoli, � doveroso riconoscere la pienezza della tutela dei diritti dei singoli attraverso la procedura 177. Questo obiettivo incontra, purtroppo, seri limiti nelle citate sentenze FogliaNovello. Inoltre, costituisce fonte di preoccupazione l'eventuale estensione della nuova giurisprudenza che la Corte ha introdotto con le citate sentenze. Sotto questo profilo non vorrei aprire un dibattito col prof.' Pacar ma ho vissuto una serie di esperienze in cui la Corte, attraverso la procedura dell'art. 177, ha inteso, in passato, tutelare pienamente i diritti dei singoli anche quando le norme indirettamente messe in causa appartenevano ad uno Stato membro diverso da quello in cui � sorta la controversia. Procedure tra l'altro originali perch� la causa, anch'essa insorta in Francia, indirettamente si proponeva di mettere in causa il comportamento delle autorit� italiane e della normativa italiana o delle prassi amministrative italiane; invece, esaminando bene H fascicolo di causa, � apparso che il comportamento non conforme alle norme del Trattato doveva essere attribuito alle autorit� francesi e non a quelle italiane (causa n. 22/76). Quindi, ci sono dei precedenti che mi consentono di non aderire alla conclusione in punto di � giurisprudenza evolutiva che trova la sua origine in giudicati precedenti �. Si tratta, indubbiamente, di una giurisprudenza nuova l� dove nella seconda sentenza Foglia-Novello la Corte riconosce un doppio grado di intensit� della protezione dei diritti dei singoli, a seconda cio� che le norme indirettamente messe in causa abbiano un colore piuttosto che un altro. 148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In questa situazione, non resta che esprimere il voto che la giurisprudenza Foglia-Novello costituisca un fatto eccezionale. Purtroppo per� per sincerit� devo dire che alcune sentenze pronunciate in questi ultimi mesi inducono a dare credito all'ipotesi delineata in quest'aula sotto l'etichetta di � ingerenza della Corte � (io vorrei usare un termine pi� neutro, ma manco di vocabolario). Si riscontra, talvolta, in effetti, una �ingerenza della Corte� nelle competenze del giudice di merito. Tale fenomeno � dato costatare non soltanto nelle cause Foglia-Novello, ma anche, mi pare, nella causa Casati (n. 203/80), dove la Corte non risponde al giudice integralmente, aggiunge una osservazione, una considerazione che il giudice di merito non aveva fatto, e limita l'interpretazione ai casi in cui un cittadino non residente abbia importato in Italia delle divise nell'intento di � effettuare delle operazioni commerciali poi non realizzate �. Cos� operando, si potrebbe pensare che la Corte abbia fatto una sentenza per una figura di non residente che � l'operatore commerciale, l'operatore economico, lasciando in pari tempo la porta aperta -ed � quello che speriamo noi tutti -ad una giurisprudenza diversa qualora il signor Casati non abbia l'etichetta di operatore economico, come l'aveva, ma quella di turista in Italia, purch� per� sia un turista puro, cio� un turista che non dichiari la propria professione nel paese di residenza. In tal caso, troverebbero applicazione gli art. 59 e 106 del Trattat<>' e non pi� l'art. 67: la sentenza della Corte potrebbe essere, allora, pi�... liberale! Analbga preoccupazione della Corte di Giustizia di approfondire il merito della causa � dato riscontrare nella recentissima causa Becker (n. 8/81) in cui un tribunale tedesco chiedeva l'interpretazione dell'art. 13 della sesta direttiva sull'IVA; anche in tale occasione, la Corte entra nel merito della causa e �aggiunge alcune considerazioni estranee alle questioni sollevate dal giudice di rinvio. Allora, signor presidente, mi sia concesso di concludere il mio intervento esprimendo il voto, che la Corte limiti la giurisprudenza FogliaNovello alle due controversie Foglia-Novello e che abbia ragione Ovidio quando dice sera tacitis lentis pedibus paena tenit. Che sia veramente lenta, procrastinata nel tempo la � sofferenza � che pu� derivare da una eventuale estensione della giurisprudenza Foglia- Novello. GIUSEPPE TAMBURRINO, procuratore generale presso la Corte di casssazione. Sono lieto di intervenire in questo interessante ed altissimo convegno, come � dimostrato dalla materia che si dibatte e dal nome degli illustri relatori, cui mi legano rapporti di amicizia, da lunghissimo tempo. ' 149 PARTE II, QUESTIONI E sono lieto di intervenire non soltanto a titolo personale, ma sulla base di una dupliche qualifica, che in questo momento rivesto. In primo luogo quale presidente della I Sezione civile della Corte Suprema di cassazione che si occupa esclusivamente, rispetto alle altre Sezioni, e tra le altre materie, del diritto comunitario e quindi delle questioni che riguardano. l'applicazione nel diritto interno di tali norme e tratta dei rapporti tra il diritto interno ed il diritto comunitario e dei rapporti con la Corte di giustizia. In secondo luogo -e qui il titolo si rivolge all'Associazione che ci ospita -quale presidente dell'Associazione giuristi italiana per la difesa dell'uomo -associazione con scopi finitimi, la quale gi� si � occupata di simili questioni, trattate anche da uno degli illustri relatori che qui siede. Mi permettete -dopo avere ascoltato le interessanti e rilevanti relazioni -qualche breve osservazione, su qualche punto trattato dai relatori che maggiormente mi ha colpito: osservazioni sintetiche e slegate, dovute e ricavate da qualche brevissimo appunto preso qui durante le relazioni, che non conoscevo antecedentemente. Vorrei partire subito da quello che � il fulcro della discussione odierna, cio� dall'art. 177 del Trattato di Roma e cio� dalla determinazione della competenza della Corte di giustizia di Lussemburgo. � noto che tale competenza � circoscritta alle questioni di interpretazione e di validit� delle norme comunitarie: in presenza di tali questioni che sorgano in una controversia portata dinanzi alle giurisdizioni supreme degli Stati membri, le Corti Supreme di questi devono rinviare per la risoluzione delle dette questioni alla Corte di giustizia. Interpretazione e validit�: ma -poich� (e lo ha detto esattamente il prof. Pacar) la questione di validit� � conseguenziale rispetto alla questione di interpretazione, che in ogni caso viene prima -il punto centrale della competenta della Corte di giustizia � dato dalla questione di interpretazione. Ed in primo luogo vanno fissati i limiti e l'esatto contenuto della dizione � questione di interpretazione �. Sul punto vi sono stati dubbi e (diciamolo pure) tentativi di allargamento del concetto. Il quale, a mio avviso, va fissato riandando ai princ�pi generali propri di tutti gli ordinamenti giuridici, riguardanti la funzione del giudice nazionale: funzione che � quella di rendere giustizia nel caso pratico, di applicare la norma al caso pratico attraverso quel sillogismo giuridico che si compendia nell'eterna massima narra mihi fact�m, dabo tibi jus e che si attua attraverso i tre momenti famosi, dati dalla premessa maggiore concernente il fatto, cio� la fattispecie concreta cui deve applicarsi la norma, la premessa minore riguardante la ricerca e l'interpretazione della norma da applicare, la definizione della fattispecie astratta in cui possa rien trare quella concreta, e dalla conclusione che � appunto l'applicazione effettiva della norma alla specie e la risoluzione di questa. Se ci� si 150 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tiene presente, � facile vedere che la questione di interpretazione nulla ha a che vedere con quella di applicazione, onde la conclusione che va affermata nettamente (come bene ha detto il prof. Motzo) l'assoluta restrizione della competenza della Corte alla sola interpretazione della novma, mentre ogni questione di applicazione le � preclusa, riguardando quest'ultima solo il giudice nazionale, che � l'unico giudice del fatto e l'unico giudice che � chiamato a risolvere la fattispecie concreta. Dal che derivano a mio avviso alcune conseguenze. Da un lato qualsiasi questione di interpretazione va rinviata alla Corte di giustizia e su essa non occorre nemmeno preliminarmente fermarsi. Si � parlato della famosa massima in claris non fit interpretatio e si � detto che in questo caso la remissione alla Corte di Giustizia � inutile. Non credo -a parte che personalmente non credo a quella massima, in quanto ritengo (e con d� mi richiamo all'insuperato ed insuperabile insegnamento di Betti) che anche l'interpretazione letterale � una interpretazione -perch� tutti gli aspetti dell'interpretazione sono demandati alla Corte di giustizia, dovendosi il giudice nazionale, una volta accertato che � applicabile una norma comunitaria, fermarsi e demandarne l'applicazione alla norma comunitaria. D'altra parte -dicevo -la competenza della Corte deve fermarsi all'interpretazione e non pu� non solo occuparsi di applicazione, ma nemmeno di questioni che concernono la compatibilit� dell'ordinamento interno con quello comunitario. Questo � un punto che ha dato origine a varie discussioni ed anche ad alcune affermazioni della Corte di giustizia, su cui occorre meditare a lungo. Lo stabilire se vi sia compatibilit� tra l'ordinamento interno e quello comunitario � compito esclusivo del giudice nazionale, in quanto rientrante nella ricerca della norma che possa applicarsi a quella determinata fattispecie concreta che � sottoposta al suo giudizio, ricerca che fa parte del sillogismo giudiziario e che nulla ha a che vedere con l'interpretazione. Ed io credo che, normalmente, tale indagine vada fatta antecedentemente, al momento della ricerca della norma applicabile. E forse parlando di compatibilit� tra i due ordinamenti si � acuita la questione, la si � ingigantita: in realt� qui si tratta di ricerca della norma applicabile. Se si ritiene applicabile la norma cpmunitaria, l'interpretazione spetta in toto alla Corte di giustizia, la quale non pu�, a mio parere, porsi la cosiddetta compatibilit�, altrimenti entra nella ricevca della norma e nell'esame della fattispecie che le � inibita. Altrimenti si dovrebbe ammettere una ingerenza nel diritto interno che non � ammessa dal trattato di Roma. Ed � proprio a questo ed alla sua mens che occorre andare, ritornando al principio del mio dire e cos� concludendo: io ritengo che il Trattato di Roma e l'art. 177 in particolare abbia voluto proprio creare una giurisdizione esterna e comunitaria, esterna rispetto a quelle nazionali, limitata all'unico punto che pu� interessare una giurisdizione comunitaria, cio� l'esatta interpre PARTE II, QUESTIONI 151 tazione della norma che deve essere applicata dal giudice nazionale. Onde la limitazione della competenza della Corte alle sole (ed a tutte) le questioni di interpretazione. Prof. ANTONIO TIZZANO, ordinario nell'Universit� di Napoli. (*) 1. -Preceduta da un iter tormentato e di insolita lunghezza, attesa con vivo interesse e via via con crescente curiosit�, ecco finalmente la sentenza Foglia-Novello n. 2, destinata con tutta probabilit� ad avere la stessa vasta risonanza e a stimolare le stesse vivaci e preoccupate critiche della prima ed ormai notissima puntata di questa singolare vicenda giudiziaria. Chi aveva sperato che quella sentenza fosse destinata a restare un precedente isolato; chi aveva tratto ulteriori pidicazioni in tal senso da qualche successiva sentenza, a prima vista meno rigorosa, o dalle conclusioni dell'avvocato generale Slynn, del tutto difformi dalle due sentenze Foglia-Novello, o anche dai dubbi e le esitazioni che l'inconsueto ritardo della decisione induceva a ritenere presenti e consistenti nel collegio, non ha pi�, ora, alcuna possibilit� di illudersi. La seconda pronuncia non solo conferma in pieno la prima, ma addirittura offre il supporto di una pi� ampia e articolata argomentazione, di una sorta di teorizzazione a quel revirement giurisprudenziale che tanta preoccupazione ha suscitato in dottrina per le sue possibili implicazioni negative sulla generosa e fortemente apprezzata prassi di applicazione dell'art. 177 CEE finora seguita dalla corte. � ben vero che la seconda ordinanza di rinvio del Pretore di Bra non lasciava molte alternative, dato che, salvo il ricorso ad un improbabile e comunque non facile escamotage, alla corte non restava che scegliere tra una clamorosa ritirata e la riaffermazione, pi� ampiamente motivata, dell'indirizzo seguito nella prima pronuncia. Resta il fatto tuttavia che la sentenza in epigrafe consuma definitivamente quello che si pu� definire, con un termine alla moda, un autentico � strappo � rispetto ai consolidati princ�pi interpretativi dalla stessa corte elaborati rispetto all'articolo 177 e rischia cos� di creare non pochi problemi nell'applicazione, finora � pacifica�, di questa norma. 2. -Quali fossero quei princ�pi ho gi� detto in sede di commento alla Foglia-Novello 1 e non � il caso che qui mi dilunghi nuovamente su di essi (v. il mio commento in Foro lt., 1980, IV, col. 254 ss.). Baster� (*) La presente comunicazione riproduce, con qualche modifica e senza l'apparato di note, i!l testo del commento alla seconda sentenza Foglia-Novello preparato dall'A. per il Foro Italiano (1982, IV, col. 308 ss.). 152 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sinteticamente ricordare che la corte ha teso in ogni occasione ad ampliare al massimo i presupposti per il funzionamento dell'art. 177: in particolare, tra l'altro, come si rilev� in quella sede, astenendosi da ogni indagine sulla rilevanza della questione pregiudiziale ai fini del giudizio nazionale e sulla valutazione al riguardo effettuata dal giudice del rinvio; sottolineando la portata meramente e astrattamente interpretativa della pronuncia ex art. 177, anche quando in realt� si finiva proprio con l'esprimere una valutazione del caso di specie sottoposto al giudice a quo; avallando quindi rinvii pregiudiziali volti a mettere in causa leggi o comportamenti d�gli Stati membri di dubbia compatibilit� con le norme comunitarie, anche se si trattava di rinvii operati nell'ambito di procedure non del tutto convincenti e anche se la normativa contestata proveniva da uno Stato membro diverso da quello del giudice a quo; e in genere respingendo per quanto possibile tutte le obiezioni che impedissero di dare risposta ai quesiti prospettati dai giudici nazionali. Grazie a questa decisa e univoca politica giurisprudenziale, sviluppatasi, si noti, con il pieno sostegno della dottrina e della stessa Commissione e con l'attivo concorso dei privati e dei giudici nazionali, la corte aveva finito col favorire la pi� ampia applicazione dell'art. 177 e quindi col valorizzarne tutte le possibili implicazioni. In particolare, essa aveva potuto, per quella via, esaltare la propria stessa presenza e il proprio ruolo grazie ad un'attivit� interpretativa di straordinaria importanza per la definizione e lo sviluppo del sistema giuridico comunitario; stimolare l'azione delle istituzioni di governo della Comunit� e perfino ovviare alle loro carenze; moltiplicare le occasioni per sanzionare le inadempienze degli Stati membri, avvalendosi all'uopo delle segnalazioni provenienti dai privati per il tramite appunto dell'art. 177; ampliare cos� in misura assai consistente l'ambito della tutela giurisdizionale dei privati stessi e rafforzare quindi complessivamente l'efficacia e l'effettiva applicazione del diritto comunitario. Avevo gi� segnalato peraltro, nel commento alla prima Foglia-Novello, che negli ultimi anni si erano manifestate alcune, sia pur timide ed indirette, avvisaglie di un certo �raffreddamento� della corte nell'avallare la descritta utilizzazione dell'art. 177; e avevo espresso l'avviso che con ogni probabilit� tale indirizzo si sarebbe col tempo ulteriormente rafforzato. In effetti, a parte i progressivi mutamenti nella composizione della corte e la necessit� di ridurre un carico di lavoro crescente e quasi insostenibile, a motivare quella previsione concorrevano soprattutto alcune considerazioni di fondo. In particolare, rilevavo che apparivano ormai ridotte le ragioni e le occasioni per sviluppare ulteriormente la fondamentale azione interpretativa per anni svolta dalla corte, grazie all'art. 177, per la definizione del sistema giuridico comunitario; che in effetti i princ�pi essenziali di tale sistema erano gi� stati in larga misura enucleati; che, PARTE II, QUESTIONI d'altro canto, l'evoluzione complessiva di quest'ultimo, con la netta accentuazione dei profili intergovernativi, limitava gli spazi per l'azione della corte e risultava poco propizia a rivoluzioni giurisprudenziali; che, anzi, pi� frequenti apparivano i segnali di insofferenza degli Stati membri per la descritta prassi di applicazione dell'art. 177; e che quindi, in tale contesto, meno agevole sarebbe stata la copertura in passato offerta ad utilizzazioni troppo disinvolte della procedura pregiudiziale. Tutto ci� induceva dunque a prevedere che la corte avrebbe via via proceduto ad una pi� rigorosa verifica dei presupposti della propria competenza e, in particolare, di quelle condizioni di � ricevibilit� � dei rinvii pregiudiziali che per anni essa aveva non solo evitato di approfondire, ma addirittura concorso incisivamente ad � ammorbidire � per favorire la pi� ampia valorizzazione dell'art. 177. 3. -In questa prospettiva, allora, la giurisprudenza della prima Foglia- Novello, pur sempre inattesa e sorprendente alla luce della prassi della corte e degli stessi sviluppi della causa, acquistava tuttavia il senso di un precedente meno estemporaneo ed occasionale di quanto potesse apparire ed in effetti apparve agli osservatori. Del resto, di l� a poco, altre pronunce della corte avrebbero ulteriormente confermato non solo la menzionata tendenza ad un pi� rigoroso filtro dei rinvii pregiudiziali, ma anche, pi� in generale, i segni di un'attitudine meno � audace � della giurisprudenza comunitaria e di una sua pi� spiccata attenzione alle esigenze degli Stati membri, a riprova del fatto che i due aspetti sono tra loro strettamente collegati. Sotto questo profilo, anzi, mi pare assai significativo che la seconda Foglia-Novello non solo ribadisca la giurisprudenza della prima in termini ancor pi� decisi e argomentati, ma che ci� essa faccia insistendo sulla necessit� di evitare �deviazioni� nell'applicazione dell'art. 177. E ci� soprattutto in relazione al profilo che maggiormente preoccupa gli Stati membri, in relazione cio� a quello che nel commento alla prima FogliaNovello ho definito l'uso �alternativo� di tale norma, vale a dire l'utilizzazione della procedura pregiudiziale al fine di provocare indir�ttamente una pronuncia della cort� sulla compatibilit� con il diritto comunitario di normative nazionali, anche se di uno Stato membro diverso da quello del giudice del rinvio. Ben si spiegano allora le reazioni critiche e le preoccupazioni suscitate dal nuovo indirizzo della corte tra i cultori e gli operatori del diritto comunitario, anche tra quelli che pure avevano avvertito il senso delle prime avvisaglie di quell'indirizzo e valutato responsabilmente le sue motivazioni di fondo. In effetti, a parte i rilievi specifici che tra breve svolger� sulle singole argomentazioni della corte, ci� che nelle due pronunce colpisce pi� negativamente e perfino, direi, emotfvamente � appunto il drastico e radicale rovesciamento di una linea interpretativa molto 154 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO generosa e l'adesione ad esigenze esattamente opposte a quelle che avevano a lungo indotto la corte ,a coltivare ed incoraggiare il precedente indirizzo. Non vi � dubbio, infatti, che talune affermazioni di carattere generale che, nella seconda Foglia-Novello, riflettono il nuovo indirizzo non si prestano di per s� ad alcun rilievo critico. Che la corte non operi, in sede di procedura pregiudiziale, come un mero organo consultivo, destinato ad essere interrogato ad libitum dai giudici nazionali su qualsiasi questione (cpv. 18), � indubbiamente vero, perch� l'art. 177, anche alla luce dell'art. 164 del trattato CEE e del sistema giurisdizionale comunitario .nel suo complesso, non confina il ruolo della corte in quei modesti limiti. Ed � altres� vero che essa non pu� tollerare, n� tanto meno avallare l'uso abusivo dell'art. 177 (v. soprattutto cpv. 29-31) e che deve controllare le condizioni di � ricevibilit� � dei rinvii pregiudiziali al fine di verificare, �come vi � tenuto qualsiasi giudice, la propria competenza� (cpv. 19). E si pu� anche comprendere l'opportunit� di �una particolare vigilanza� rispetto ai casi di uso �alternativo� dell'art. 177, specie quando siano messe in causa leggi di uno Stato membro diverso da quello del giudice del rinvio (cpv. 30). Quando per� per anni non ci si � preoccupati di verificare -per quanto qui interessa -le condizioni di ricevibilit� dei rinvii pregiudiziali e si � anzi rinunciato a definirle per non limitare l'applicazione dell'art. 177; quando si � insegnato, fin dal 1963, che grazie a tale norma �La vigilanza dei singoli, interessati alla salvaguardia dei loro diritti, costituisce... un efficace controllo che si aggiunge a quello che gli artt. 169 e 170 affidano alla diligenza della Commissione e degli Stati membri � e che, in caso diverso, � i diritti individuali degli amministrati rimarrebbero privi di tutela giurisdizionale diretta � (sentenza 5 febbraio 1963, in causa 26/62, Van Gend en Loos, in Foro it., 1963, I, 449); quando si � confermato e vieppi� rafforzato questo insegnamento per ben venti anni; quando perci� si � apertamente avallato l'uso alternativo dell'art. 177 e su di esso si � fondata una giurisprudenza �storica� (preminenza del diritto comunitario, sua c. d. applicabilit� diretta, ampliamento delle competenze comunitarie, ecc.), ebbene allora non ci si pu� sorprendere... per l'altrui sorpresa e sconcerto nel leggere ora che la corte �non pu�... restare indifferente� di fronte a rinvii che �potrebbero influire sul corretto funzionamento� dell'art. 177 (cpv. 19), e che essa� deve vigilare in maniera del tutto particolare� perch� ci� non avvenga (cpv. 31). � chiaro, infatti, che non sono queste affermazioni a suscitare di per s� riserve, ma il fatto che esse si .calino nel contesto appena descritto e, specificamente, che si prestino a limitare i margini di verifica della compatibilit� delle normative nazionali con il diritto comunitario. l: _,,_,~.. PARTE II, QUESTIONI UJ i Si comprendono allora le perplessit� sulle motivazioni e sulle conseguenze di un revirement che rischia di restringete l'area della tutela giurisdizionale dei privati e di ampliare invece i margini di impunit� degli Stati membri inadempienti. E si comprende altres� come un siffatto ondeggiamento introduca non j:>ochi elementi di incertezza nel sistema, disorienti i destinatari dell'attivit� della corte � rischi di nuocere perfino all'autorit� di quest'ultima,� come provano d�l resto recenti segnali di insofferenza da parte dei giudici nazionali, il cui significato non merita di essere sottovalut�to. ' j. 4 . .;,. Chiarito quanto precede, nell'esegesi della seconda Foglia-Novello c'� poco da aggiungere a quanto gi� dissi in sede di.commento alla prima. Cos�, per quanto concerne la costruzione che la sentenza delinea dei rapporti di competenza tra la corte e i giudici nazionali nelle procedure pregiudiziali, ricordo come la stessa corte avesse sempre escluso con nettezia ogni sua interferenza nelle valutazi�ni operate da quei giudici circa la rilevanza delle questioni pregiudiziali ai fini della decisione del processo a quo e circa la necessit� di ottenere al riguardo una pronuncia della .corte. Con la prima Foglia-Novello, invece, quelle valutazioni vengono di fatto sottoposte al controllo .dell� corte e, con la .seconda, l'esercizio di ,tale controllo viene addirittura teorizzato (v. cpv. 14-21). In nome, infatti, del principio della � collaborazione giudiziale � nella applicazione dell'art.� 177, la corte, mentre� lascia impregiudicata la propria sfera di competenza� esclusiva in materia (definizione della nozione di giurisdizione; attinenza della questione al diritto ' comunitario; sussistenza di una �questione�, ecc.), rivendica in pi�, sia pure nei �casi eccezionali � di cui si dir�, un'area di competenza comune a quella del giudice nazionale proprio su profili tradizionalmente di spettanza di quest'ultimo o almeno, a voler tutto concedere, anche di spettanza di quest'ultimo. Non solo, ma in tale area comune si riserva un ruolo decisivo e definitivo, perch� ad essa spetter� sindacare, e all'occorrenza modificare, le valutazioni operate dal giudice nazionale: e ci�. in nome della tutela delle finalit� dell'art. 177, che evidentemente quel giudice non � ritenuto idoneo a garantire in proprio. Gi� osservai, a questo proposito, che il principio della � collaborazione giudiziale�, espresso dall'art. 177, non esclude ma anzi presuppqne, come la corte stessa riconosce, la definizione di una ripartizione di competenze tra i due livelli giudiziari e indicai altres� i criteri di massima secondo cui si era venuta definendo tale ripartizione. Nell'ambito della procedura preg�udiziale, comunque, il giudice nazionale non svolge affatto un ruolo di mero tramite di carte processuali, ma esprime, di ufficio o su richiesta delle parti, un'autonoma valutazione sui profili di propria competenza, e. quindi; .per quanto qtii interessa, sulla necessit� del rinvio. Riservandosi pertanto, sia pure in � casi eccezionali �, di sottoporre a re 1J6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO visione tale valutazione, la corte denuncia in modo ancor pi� netto, nella seconda Foglia-Novello, la tendenza a limitare il potere di apprezzamento dei giudici nazionali, a sindacarne l'esercizio e quindi a costruire il rapporto di � collaborazione � in termini verticali e gerarchici, anzich� con quel carattere paritario che emerge dall'art. 177 e su cui la corte stessa aveva sempre insistito per incoraggiare i giudici nazionali e rassicurarli circa il rispetto della loro sfera di competenza. 5. -Ma non � questa l'unica r~serva da esprimere. Si � detto, infatti, che la pretesa della corte, forse anche per tranquillizzare i giudici nazionali, non appare generale e assoluta, ma espressamente limitata ai � casi eccezionali � in cui la valutazione del giudice potrebbe influire sul corretto funzionamento dell'art. 177. Orbene, quando ricorrono tali �casi eccezionali �? E quando, dunque, la corte potr� mettere in causa le scelte dei giudici nazionali? Sul punto la sentenza lascia ampi margini di incertezza che non giovano certo alla chiarezza del meccanismo delle procedure pregiudiziali. In termini generali, le affermazioni della corte nella risposta alla prima questione sono formulate come se la riserva di supervisione sia destinata ad operare in tutte le ipotesi di rinvii ex art. 177. Ciononostante, pu� ritenersi che la corte abbia in realt� in mente soprattutto quei giudizi (i c. d. proc�s-bidon) instaurati � artificiosamente � per mettere in causa la normativa degli Stati membri, e in particolare degli Stati diversi da quello del giudice del rinvio. Ci� risulta da tutto il contesto della sentenza, ma soprattutto dai brani dedicati all'esame della quarta questione (cpv. 28-31), l� dove la corte sottolinea la �particolare vigilanza� che le si impone nei giudizi che coinvolgano la normativa di un altro Stato membro. In tali casi infatti, secondo la corte, possono verificarsi deviazioni nell'applicazione dell'art. 177 ai danni di detto Stato, specie perch� questo verrebbe a trovarsi nell'impossibilit� di provvedere in modo adeguato alla propria difesa. Si potrebbe osservare che a questo proposito si � di solito ritenuto che la principale sede di discussione del problema interpretativo non � la giurisdizione nazionale ma la corte, dinanzi alla quale le parti diligenti hanno sufficienti possibilit� di motivare e difendere le proprie posizioni. E si potrebbe altres� osservare che la corte non aveva mai manifestato particolare apprensione per il pericolo cui fa ora riferimento e che anzi ha continuato a trascurarlo in successive occasioni. Cos� come si potrebbe osservare che essa non aveva mai mostrato di considerare un � rischio � procedure che favorissero, anche indirettamente, il controllo su normative nazionali sospette di incompatibilit� con il diritto comunitario. Ma tutto ci� non farebbe che confermare il pi� volte rilevato mutamento di indirizzo espresso dalle due sentenze Foglia-Novello. Preme invece qui sottolineare come, anche per il profilo ora in esame, torni an PARTE Il, QUESTIONI cora una volta alla ribalta, quale motivo dominante nelle due pronunce, la spiccata considerazione delle esigenze degli Stati membri e si riaffaccino le perplessit�, gi� evocate al precedente paragrafo, sulle motivazioni del nuovo indirizzo della corte. Anzi, sotto questo profilo, l'esplicito accenno, di cui al cpv. 19, agli interessi (della Comunit� e degli Stati membri) che la corte � tenuta a prendere in considerazione, accenno del tutto insolito e anche discutibile alla luce dell'art. 164 del trattato, non pu� esser letto che come un ulteriore indizio nel senso indicato. 6. -Ma c'� ancora un profilo da tener presente al riguardo. Per quanto precisati nel senso ora detto, infatti, i � casi eccezionali � in cui la valutazione del giudice nazionale pu� prestarsi alle implicazioni negative che la corte teme, restano pur sempre difficili da definire secondo criteri obiettivi e sicuri, in grado cio� di orientare le parti e i giudici nazionali circa le sorti dell'eventuale rinvio pregiudiziale. Come si � gi� detto e come emerge da varie sue affermazioni (v. particolarmente cpv. 18 e 29), la corte assume qui a criterio decisivo di valutazione il carattere artificioso e fittizio del giudizio a quo, il fatto cio� che esso nasca da � schemi processuali precostituiti dalle parti � per provocare l'intervento della corte, senza alcun collegamento con una controversia � effettiva � tra le p�rti stesse. Ora, un siffatto criterio di valutazione risulta molto labile ed evanescente ed introduce elementi di grave incertezza nel sistema: la stessa prassi della corte, ha rivelato, del resto, con evidenza la difficolt� di pervenire a soluzioni unitarie attraverso quel criterio. E gli sviluppi successivi hanno ulteriormente confermato il carattere empirico del criterio stesso e la totale difformit� di valutazioni cui esso conduce, com'� provato del resto dalle opposte conclusioni cui pervengono, proprio nella seconda Foglia-Novello, la corte e il suo avvocato generale Slynn. Non solo, ma nell'ordinanza di rinvio che ha occasionato tale seconda pronuncia, il Pretore di Bra segnalava un �altro motivo di perplessit� insito nel criterio prescelto dalla corte: e cio� il fatto che, nel sistema processuale italiano (ma ovviamente non solo in questo), vi sono vari casi in cui l'instaurazione del giudizio non presuppone necessariamente una sottostante controversia tra le parti. Anzi, proprio in risposta alla prima sentenza Foglia-Novello, il pretore sottolineava come nel caso di specie si chiedesse appunto una � sentenza dichiarativa, principalmente diretta, com'� noto, a risolvere una questione il cui presupposto � un dubbio su una situazione giuridica �. A tali precisazioni, tuttavia, la corte ha replicato che la natura e lo scopo dei giudizi nazionali sono irrilevanti al fine di accertare la competenza della corte stessa, mostrando dunque di credere che il pretore, in vena forse di esercitazioni teoriche, si fosse premurato unicamente di procedere alla qualificazione giuridica del suo futuro tf8 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO provvedimento e non gi�, come invece si desume dall'ordinanza di rinvio, di fornire alla corte tllterior.i chiarimenti utili a rimuovere i dubbi da essa espressi� sulr<< autenticit� � della vicenda giudiziaria. E difatti l'avvocato generale Slynn, che ha cos� inteso il senso di quelle precisazioni, se ne avvale per ammettere� l'�utenticit� della controversia, mentre la corte, non attribuendo alle stesse carattere di �fatto nuovo�, perviene alla conclusione opposta, anche se poi conferma al giudice, forse per mero dovere di cortesia, la propria disponibilit� a vagliare eventuali nuovi elementi (cpv. 33 s.). 7. ~ Il . sindacato che la corte .si � riservato sulle valutazioni dei giudici nazionali risulta, dunque, tanto decisamente affermato . quanto discutibile nelle motivazioni, incerto e vago nei contorni, denso di incognite nei� risultati: in breve, si rivela con ogni probabilit� suscettibile di creare pi� problemi di quanti �ne dovrebbe risolvere. Ci� va detto, evidentemente, soprattutto dal punto di vista dei �rap� porti con i giudici nazionali, i quali, dall'attuale indirizzo della corte, non vengono certo incoraggiati ad effettuare rinvii nelle ipotesi in cui siano in causa norinative nazion�li degli Stati membri: non solo per il chiaro sfavore manifestato dalla corte al riguardo, ma anche� per l'incer� tezza dei criteri di � ricevibilit� � da questa elaborati. Tale incertezza infatti rende pi� difficili, come si � visto, le scelte dei giudici nazionali e limita le �oro possibilit� di previsione sulla sorte dei rinvii pregiudiziali anche perch�, stanti le motivazioni ultime del nuovo indirizzo giurispru� denziale, non pu� ritenersi s�:ongiurato il rischio che il giudizio sulla (( eccezionalit� � del caso venga commisurato al grado di (( scomodit� � dei quesiti prospettati dal giudice nazionale. In queste condjzioni, il giudice, specie se non � di ultima istanza, potr� sentirsi indotto a sciogliere direttamente i propri problemi inter� pretativi, nel timore che un eventuale rinvio alla corte possa costituire una fatica inutile e soprattutto, forse, per non. correre il rischio di pas� sare per uno sprovveduto o per un � complice � dell'artificio montato dalle parti.� Ma ancora maggiori sono le difficolt� che il nuovo indirizzo pu� creare dopo l'eventuale declaratoria di incompetenza da parte della corte. Richiesta espressamente di precisare i margini di manovra del giudice nazionale in tal caso, e in particolare di chiarire se quel giudice possa ugualmente procedere ad interpretare il diritto comunitado o se � debba invece decidere esclusivamente alla stregua del diritto nazio� nale � (secondo quesito del Pretore di Bra), la corte ha ritenuto� non necessario pronunciarsi sul punto, date le risposte fomite agli altri quesiti (cpv. 32). Se si considera che poco prima essa aveva riaf� fermato la propria incompetenza, la risposta appare poco perspicua, perch� la questione manteneva la propria utilit�. Ma in realt� sembra I" i: !1 i i i: Ej ~- PARTE II, QUESTIONI 1J9 di capire che nell'ottica della corte il problema prospettato non si pone affatto quando si � in presenza di un proc�s-bidon. Ma se questa � l'ottica della corte, non pu� dirsi necessariamente altrettanto per il giudice nazionale che sollevato il quesito. Il Pretore di Bra, anzi, aveva esplicitamente prospettato (e poi temporaneamente accantonato) l'eventualit� di eccepire una q.estione di costituzionalit� della legge di ratifica del trattato CEE, relativamente all'art. 177 di quest'ultimo, per la parte in cui, nell'interpretazione della corte, esso non solo comporta �un sindacato implicito sull'esercizio dei poteri discrezionali che il giudice del rinvio trae autonomamente dal proprio ordinamento nazionale, poteri che gli sono costituzionalmente attribuiti �, ma determina altresi � sia pure di riflesse>, se non un netto ostacolo, almeno gravi difficolt� per far valere la pretesa processuale della convenuta diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa; difficolt� queste che limitando i diritti della difesa ugualmente realizzano violazione di diritti costituzionalmente garantiti �. Quali che saranno comunque le decisioni del Pretore di Bra, resta il fatto che il nuovo indirizzo della corte comporter�, nella migliore delle ipotesi, che i giudici nazionali, quando non potranno addirittura prescindere dal diritto comunitario, saranno tentati di risolvere in proprio i dubbi prospettati alla corte e che questa non ha ritenuto di dover sciogliere. Essi saranno cio� indotti a riappropriarsi di quel potere inter� pretativo del diritto comunitario che l'art. 177 ha invece inteso riser� vare alla corte. E ci�, ovviamente, come da ogni parte si sottolinea, non pu� che andare a discapito dell'uniformit� nell'interpretazione e nell'applicazione di quel diritto e delle stesse prospettive di sviluppo ad esso per lungo tempo assicurate dall'ampio ricorso ,all'art. 177. Anche per questo profilo, dunque, le due sentenze Foglia-Novello non segnano certo una tappa positiva nel cammino della giurisprudenza comunitaria..Quel che � per� pi� preoccupant� come gi� accennato, � che esse hanno tutta l'aria di rappresentare non gi� un occasionale incidente di percorso, ma il segnale pi� vistoso del tramonto di una stagione straordinariamente ricca di risultati, nel corso della quale, proprio grazie alla corte e alla generosa applicazione dell'art. 177, ha via via acquistato senso e concretezza la pi� significativa e produttiva delle libert� di circolazione nella CEE: quella rappresentata appunto dalla piena ed effettiva applicazione del diritto comunitario al di l� delle frontiere giuridiche nazionali. LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice civile, art. 2751 bis n. 1 (sub art. 2 della legge 29 luglio 1975, n. 426), nella parte in cui non munisce del privilegio generale istituito dall'art. 2 della legge n. 426/1975 il credito del lavoratore subordinato per danni conseguenti ad infortunio sul lavoro, del quale sia responsabile il datore di lavoro, se e nei limiti in cui il creditore non sia soddisfatto dalla percezione delle indennit� previdenziali e assistenziali obbligatorie dovute al lavoratore subordinato in dipendenza dello stesso infortunio. Sentenza 28 novembre 1983, n. 326, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 42, nella parte in cui non dispone che anche per le vendite forzate senza incanto, effettuate ai sensi degli artt. 570 e seguenti del codice di procedura civile, la base imponibile � costituita dal prezzo di aggiudicazione . . Sent.enza. 28 novembre 1983, n. 328, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. legge 27 dicembre 1977, n. 984 (�Coordinamento degli interventi pubblici nei settori della zootecnia, della produzione ortoflorofrutticola, della forestazione, dell'irrigazione, e delle grandi colture mediterranee, della vitivinicoltura e dell'utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani�) per la parte in cui la disciplina in essa prevista concerne la regione Friuli-Venezia Giulia e le provincie autonome di Trento e Bolzano. Sentenza 15 dicembre 1983, n. 340, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. II -QUESTIONI NON FONDATE Legge 15 febbraio 1963, n. 151, art. 3 (artt. 5 e 81 della Costituzione). Sentenza 21 dicembre 1983, n. 341, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 1, primo comma (artt. 3, 13, 27 e 113 della Costituzione). Sentenza 21 dicembre 1983, n. 342, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. legge 29 luglio 1975, n. 426, art. 15 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 28 novembre 1983, n. 325, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. 162 PARTE II, LEGISLAZIONE III -QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, artt. 2947, 2948, nn. 4 e 5, 2949, 2955, n. 2, e 2956, nn. 1 e 2 (artt. 2, 3, 4 e 36 della Costituzione).. Pretore di Roma, ordinanza 24 gennaio 1983, n. 569, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. codice penale, artt. 56 e 341 (artt. 3, 15 e 16 della Costituzione). Pretore di Velletri, ordinanza 16 aprile 1983, n. 508, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. codice penale, art. 114, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 26 aprile 1983, n. 651, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. codice penale, artt. 314 e 476 (artt. 3 e 47 della Costituzione). Giudice istruttore Tribunale di Torino, ordinanza 15 aprile 1983, n. 538, G. U. 23 novembre 1983, n:. 322. codice penale, artt. 636 e 672 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Oristano, ordinanza 21 aprile 1983, n. 618, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. Pretore ai Oristano, ordinanza 21 febbraio 1983, n. 619, G. U. 7 dicembre .1983, n. 336. � r.d. 14 lugllo 1898, n. 404, artt. 17 e 24 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Oristano, ordinanza 21 aprile 1983, n. 618, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. ' , Pretore di Oristano, ordinanza 21 febbraio 1983, n. 619, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. r.d.. 17 novembre 1924, n. 2367, art. 130 (artt. 3 e 98 della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanze (tre) 1 marzo 1983, nn. 479, 480 e 481, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 10 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanza 20 aprile 1983, n. 499, G. U. 23 novembre 1983, n.' 322. r.d. 14 aprile 1939, n. 636, tabella A allegata (arti. 3, 36, 38 e 53 della Costi� tuzione). Tribunale di Pescara, ordinanza 28 aprile 1983; n. 557, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. V [ I I I!'! .......,.,,.,.,~ - RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 163 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26 (art. 24 della� Costituzione)~ Tribunale di Milano, ordinanza 24 febbraio 1983, n. 568, G. U. 21 dicembre 1983, n..349. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26, primo comma (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 21 gennaio 1983, n. 439, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, primo comma (artt. 24,. 25 e 112 della Costituzione). Pretore di Riesi, ordinanza 21 aprile 1982, n. 554/83, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. legge 20 dicembre 1954, n. 1181, art. 7 (artt. 3 e 98 della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanze (tre) 1 marzo 1983, nn. 479, 480 e 481, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge.27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Pretore di Prato, ordinanza 7 aprile 1983, n. 517, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 27 gennaio 1983, n. 526, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.P.R. �29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89 e 140, ultimo comma (artt. 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Imperia, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 503, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89, ultimo comma, e 140, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Foggia, ordinanza 30 aprile 1983, n. 560, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanze (due) 10 maggio 1983, nn. 637 e 638, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. legge reg. Trentino-Alto Adige 7 settembre 1964, n. 30, artt. 2 e 3 (art. 18 della Costituzione e artt. 4, 8 e 18 dello statuto del Trentino-Alto Adige). Pretore di Mezzolombardo, ordinanze (due) 11 luglio 1983, nn. 706 e 707, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. 164 PARTE II, LEGISLAZIONE legge 22 luglio 1966, n. 614, art. 8 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Mondov�, ordinanze (due) 8 febbraio 1983, nn. 551 e 552, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 [sostituiti dagli artt. 10 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Modena, ordinanza 25 ottobre 1982, n. 446/83, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Parma, ordinanza 12 gennaio 1983, n. 509, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 5 (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Tribunale di Pescara, ordinanza 28 aprile 1983, n. 557, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Tribunale di Pescara, ordinanza 28 aprile� 1983, n. 557, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 24 novembre 1981, n. 534/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 5 gennaio 1982, n. 688/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 [modificato dall'art. 1 della legge 23 dicembre 1970, n. 1054] (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 766/83, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. legge 22 ottobre 1971, n. 865 (artt. 64 e 72 della Costituzione). Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 15 marzo 1983, n. 525, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Corte d'appello di Lecce, ordinanza 10 marzo 1983, n. 504, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge 8 agosto 1972, n. 459, articolo unico (artt. 3 e 25 della Costituzione). Pretore di Latina, ordinanza 8 aprile 1983, n. 482, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 16f legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, secondo periodo (artt. 24 e 42 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 22 dicembre 1982, n. 438/83, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (artt. 24 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 5 dicembre 1980, n. 553/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bergamo, ordinanza 23 settembre 1981, n. 595/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.P.R. 26 'ottobre 1972, n. 643, art. 22 (artt. 24 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 5 dicembre 1980, n. 553/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e secondo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 3 maggio 1983, n. 556, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 7 marzo 1983, n. 453, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. Tribunale di Napoli, ordinanza 22 marzo 1983, n. 501, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (artt. 3, 21 e 27 della Costituzione). Tribunale di Varese, ordinanza 2 maggio 1983, n. 528, G. U. 23 novembre 1983, Il. 322. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e) e 46 (artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). Pretore di Cagliari, ordinanza 5 maggio 1983, n. 496, G. U. 9 novembre 1983. Il. 308. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e) e 46 (artt. 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Imperia, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 503, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, Iett. e) e 46, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Foggia, ordinanza 30 aprile 1983, n. 560 G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. PARTE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, .art. ,12, primo comma, lett. e) (artt. 38 e 53 della Costituzione). � Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 2 marzo 1982, n. 434/83, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. Commissione tributaria di primo grado di Modena, ordinanza 2 marzo 1982, n. 434/83, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 4, terzo comma (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 15 aprile 1981, n. 602/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bergamo, ordinanza 23 settembre 1981, n. 595/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, primo comma, e 39 (artt. 3, 24, 53 e 113 della Costituzione). Pretore di Empoli, ordinanza 26 gennaio 1983, n. 521, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Pretore di Empoli, ordinanze (due) 21 dicembre 1982, nn. 522 e 523/83, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. regolamento interno del consiglio provinciale di Trento, approvato con delibera 25 ottobre 1973, n. 7, art. 12, primo comma, secondo periodo (art. 8 statuto speciale reg. Trentino-Alto Adige e artt. 24, 113, 102 e 108 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quinta, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 537/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, art. 92, settimo comma (artt. 3 e 98 della Costituzione). Consiglio nazionale dei geometri, ordinanze (tre) 1� marzo 1983, nn. 479, 480 e 481, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge .reg. Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18 [come sostituito dall'art. 3 legge reg. 13 gennaio 1978, n. 5] (artt. 97 e 125 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 14 aprile 1983, n. 597, G. U. 30 novembre 1983, n. 329). legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, primo, terzo e quinto comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Lucca, ordinanza 25 marzo 1983, n. 436, G.U. 2 novembre 1983, n. 301. legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 27, terzo comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). Tribunale di Pescara, ordinanza 28 aprile 1983, n. 557, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. I I ~: J RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO $67 legge .22 luglio� 1975, n. 382, art. 4, primo comma (artt. 97 e 125 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 14 aprile 1983, n. 597, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge 26 luglio 1975, n, 354, artt. 47 cpv. e 54, ultimo comma (artt. 3, 25. e 27 della Costituzione). Sezione di sorveglianza distretto corte d'appello di Messina, .ordinanze (due) 17 novembre 1976, nn. 506 e 507/83, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2-bis [introdotto con l'art; 3 legge 8 ottobre 1976, n. 689] (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 6 novembre 1981, n. 420/83, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 9, primo comma (art. 24 della Costituzione). Pretore di Cremona, ordinanze (sei) 9 febbraio 1983, nn. 581-586, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Pretore di Cremona, ordinanze (due) 27 ottobre 1982, nn. 587-588/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Pretore di Cremona, ordinanze (due) 17 novembre 1982, nn. 589-590/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. legge reg. Liguria 31 maggio 1976, n. 16, art. 2 (art. 97 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 2 marzo 1982, n. 483/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. legge reg. Liguria 31 maggio 1976, n. 16, art. 3 (artt. 117 e 118 della Costi� tuzione). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 2 marzo 1982, n. 483/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.I. 23 dicembre 1976, n. 850, art. 1 [come sostituito con legge di conversione 23 febbraio 1977, n. 29] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 30 aprile 1983, n. 567, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Poggibonsi, ordinanza 21 marzo 1983, n. 519, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Pretore di Poggibonsi, ordinanza 21 marzo 1983, n. 520, G. U. 23 �novembre 1983, n. 322. d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 106, ultimo comma (art. 97 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 2 marzo 1982, n. 483/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. 168 PARTE II, LEGISLAZIONE legge 1� febbraio 1978, n. 30, art. 9 (artt. 3 e 35 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 5 luglio 1983, n. 749, G. V. 14 dicembre 1983, n. 342. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Ruvo di Puglia; ordinanza 17 marzo 1983, n. 451, G. V. 2 novembre 1983, n. 301. Pretore di Ruvo di Puglia, ordinanze (due) 18 aprile 1983, nn. 494 e 495, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge,,27 11,1,glio .19{8, n..�392, artt�.3 e 58 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Carrara, ordinanze (due) 11 febbraio 1983, nn. 484 e 485, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. Pretore di Carrara, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 486, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3, 58 e 65 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Carrara, ordinanze (quattro) 11 aprile 1983, nn. 530-533, G. V. 2 novembre 1983, n. 301. Pretore di Carrara, ordinanze (due) 5 marzo 1983, nn. 487 e 488, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. Pretore di Carrara, ordinanza 18 aprile 1983, n. 599, G. V. 16 novembre 1983, n. 315. Pretore di Carrara, ordinanze (cinque) 31 maggio 1983, nn. 628-632, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. Pretore di Carrara, ordinanze (tre) 15 giugno 1983, nn. 652-654, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 41, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Corte di appello di Milano, ordinanza 4 febbraio 1983, n. 452, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 29 gennaio 1982, n. 445/83, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. Pretore di Genova, ordinanza 8 marzo 1983, n. 633, G. V. 30 novembre 1983, n. 329. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [come modificato dall'art. 1-bis legge 31 marze�1979r n;-93i, (art.�3 -della�'Costituzione). Pretore di Vicenza, ordinanza 15 aprile 1983, n. 529, G. V. 16 novembre 1983, Il. 315. legge reg. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35, art. 2 (artt. 42 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 497/83, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO legge prov. di Trento 9 dicembre 1978, n. 56, artt. 1, 2 e 3 (art. 105 dello statuto del Trentino-Alto Adige). Pretore di Mezzolombardo, ordinanze (due) 11 luglio 1983, nn. 706 e 707, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. legge 3 aprile 1979, n. 101, artt. 17 e 41 (artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 26 ottobre 1981, n. 426/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. legge 24 dicembre 1979, n. 650, art. 22, sesto comma (art. 24 della Costi� tuzione). Pretore di Cremona, ordinanze (sei) 9 febbraio 1983, nn. 581-586, G. U. 16 novembre 1983. n. 315. Pretore di Cremona, ordinanze (due) 27 ottobre 1982, nn. 587-588/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Pretore di Cremona, ordinanze (due) 17 novembre 1982, nn. 589-590/83, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.l. 30 dicembre 1919, n. 663, art. 14-septies [aggiunto dalla legge di conversione 29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 30 aprile 1983, n. 567, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge 21 febbraio 1980, n. 284, art. 4, primo comma, lett. b) (artt. 3, 33, 51 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per le Marche, ordinanza 14 luglio 1982, n. 516/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 11, quarto comma, lett. a) (artt. 3, 33, 51 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per le Marche, ordinanza 14 luglio 1982, n. 516/83, G. U. 30 novembre 1983, n. 329. legge 29 luglio 1980, n..385, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3, 42, 53, 84 e 136 della Costituzione). Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 15 marzo 1983, n. 525, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 9 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Perugia, ordinanza 28 marzo 1983, n. 447, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 33, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Oristano, ordinanza 21 aprile 1983, n. 618, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. Pretore di Oristano, ordinanza 21 febbraio 1983, n. 619, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. :J.70 PARTE II, LEGISLAZIONE legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (art. 3 della Costituzione), Pretore di Modena, ordinanza 17 marzo 1983, n. 514, G. U. 16 novembre 1983, n�. 315. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (artt. 3 e 101 della Costituzione). Pretore di Legnano, ordinanza 16 maggio 1983, n. 559, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Ginosa, ordinanza 11 marzo 1983, n. 493, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, 54 e 77, primo e secondo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Gubbio, ordinanza 4 marzo 1983, n. 527, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Riva del Garda, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 450, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. Pretore di Oristano, ordinanze (due) 18 aprile 1983, nn. 489 e 490, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. Pretore di Gavirate, ordinanza 18 aprile 1983, n. 491, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. Pretore di Livorno, ordinanza 5 maggio 1983, n. 500, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. Pretore di Adria, ordinanza 12 aprile 1983, n. 498, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Oristano, ordinanza 24 marzo 1983, n. 492, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. d.l. 26 novembre 1981, n. 678, art. 3 [convertito in legge 26 gennaio 1982, n. 12] (artt. 3 e 32 della Costituzione). Pretore di Pesaro, ordinanza 4 marzo 1983, n. 515, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. d.l. 9 dicembre 1981, n. 721, art. 4, quarto comma [convertito in legge 5 febbraio 1982, n. 25] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 10 febbraio 1983, n. 750, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis [convertito nella legge 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 28 febbraio 1983, n. 502, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis, primo comma [convertito nella legge 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 22 marzo 1983, n. SOS, G. U. 9 novembre 1983, n. 308. Pretore di Milano, ordinanza 21 marzo 1983, n. S3S, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. dJ. 27 febbraio 1982, n. 57, art. 4 [convertito in legge 29 aprile 1982 n. 187, art. l] (artt. 3, 24, 42 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Campania, ordinanza 1� giugno 1982, n. S39/83, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 14, quinto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 18 aprile 1983, n. Sl8, G. U. 16 novembre 1983, n. 31S. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 24 e 23 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 22 febbraio 1983, n. S24, G. U. 30 novem� bre 1983, n. 329. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25 e 26 (artt. 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanze (tre) 9 maggio 1983, nn. 730.732, G. U. 21 dicem� bre 1983, n. 349. Pretore di Orvieto, ordinanza 30 maggio 1983, n. 728, G. U. 21 dicembre 1983, a~ . legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Modena, ordinanze (due) 26 marzo 1983, nn. S72 e S73, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. Tribunale di Modena, ordinanze (due) 6 aprile 1983, nn. S74-S7S, G. U. 7 dicem� bre 1983, n. 336. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41. 42, 43 e 44 della Costituzione). � � ' � Corte d'appello di Bologna, ordinanza 3 maggio 1983, n. 72S, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. �Corte d'appello di Bologna, ordinanza S lugli� 1983, n. 726, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. Corte d'appello d1 Bologna, ordinanza S luglio 1983, n. 767, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4,. 41, 42, 43, 44 e 46 della Costituzione). Tribunale di Parma, ordinanza 16 febbraio 1983, n. SlO, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. PARTE II, LEGISLAZIONE Tribunale di Parma, ordinanze (tre) 16 febbraio 1983, nn. 511-5�3, G. U. 16 novembre 1983, n. 315. Tribunale di Arezzo, ordinanza 27 maggio 1983, n. 774, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. lei; ge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41, 42, 44 e 46 della Costituzione). Tribunale di Montepulciano, ordinanze (quattro) 2 giugno 1983, nn. 661-664, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. Tribunale di Montepulciano, ordinanze (quattro) 21 aprile 1983, nn. 576-579, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. Tribunale di Montepulciano, ordinanze (due) 19 maggio 1983, nn. 604-605, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. Tribunale di Montepulciano, ordinanze (cinque) 19 maggio 1983, nn. 606-610, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. Tribunale di Montepulciano, ordinanza 3 maggio 1983, n. 611, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28, 30, 32 e 33 (artt. 3, 4; 41, 42, 43 e 44 della Costituzione). Tribunale di Voghera, ordinanza 21 giugno 1983, n. 771, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 31 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanze (sette) 9 giugno 1983, nn. 665-671, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. legge 12 agosto 1982, n. 532, art. 7 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Cosenza, ordinanza 2 giugno 1983, n. 643, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. legge 3 settembre 1982, n. 627, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 15 aprile 1983, n. 536, G. U. 23 novembre 1983, n. 322. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (art. 11 della Costituzione). Corte d'appello di Trieste, ordinanza 18 marzo 1983, n. 591, G. U. 28 dicembre 1983, n. 355. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 11, 23 e 24 della Costituzione). Tribunale di Ancona, ordinanze (tre) 21 marzo 1983, n. 678-680, G. U. 7 dicembre 1983, n. 336. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 171 d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, ll, 23 e 24 4eJia Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 29 aprile 1983, n. 592, G. U. 21 dicembre 1983, n. 349. d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 25 febbraio 1983, n. 593, G. U. 14 dicembre 1983, Il. 342. dJ. 12 settembre 1983, n. 463, artt. 21, secondo comma, e 26 (artt. 117 e 119 della Costituzione). Regione Emilia-Romagna, ricorso 18 ottobre 1983, n. 37, G. U. 2 novembre 1983, n. 301. dJ. 18 ottobre 1983, n. 568, art. 1 (art. 5 n. 1 statuto Trentino-Alto Adige). Regione Trentino-Alto Adige, ricorso 30 novembre 1983, n. 38, G. U. 14 dicem� bre 1983, n. 342. legge approvata dal� Consiglio regionale reg. Sicilia il 16 novembre 1983 (arti� coli 14 e 17 dello statuto regione siciliana). Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 3 dicembre 1983, n. 39, G. U. 14 dicembre 1983, n. 342. d" fil �.�.~ I ~ I ' (.: ;:: .:-: f: ~: .~:= I -=�: f:~ ~: I ~ fil I" J. fil &.; ~= I I r,: ~ I ~-: I I w r~ \:: f:: {:: { r