ANNO .XXXIII N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 1981 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTIT�TO POUGRMIC� E t~��A b~Ll� S'tAiO ROMA 1981 ABBONAMENTI ANNO 1981 ANNO ............................. L. 22.000 UN NUMERO SEPARATO �� � � � �� � �. � � � � )) 4.000 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza O. Verdi, 1O -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Ital:1 Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 dcl 13 luglio 1966 (3219062) Roma, 1981 -Istituto P�ligraflco e Ze�ca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/'avv. Franco Favara) . . . . . . � . . pag. 623 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA .COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura del/'avv. Oscar Fiumara) � . � 672 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . � . . � . � � 703 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Adriano Rossi e Antonio Catrical�) � � . . � � 732 Sezione. quinta: GIURISPRUDE_NZA AMMINISTRATIVA (a cura del/'avv. Raffaele Tami�zzo} . . � . � � . � � 736 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Baf�le) . . . . . . � . . . � � 763 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) � . � 828 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avv.ti Paolo Di Tarsia Di Be/monte e Nicola Bruni) . . � 869 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO LEGISLAZIONE pag. 85 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NORI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; GUICCIARDI, Genova; Mavce1lo DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco A.RGAN, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANDb, Venezia. Pubblichiamo il saluto indirizzato dall'Avvocato generale aill'Associa� zione Ualiana dei giuristi europei in occasione dell'incontro-dibattito tenutosi nella Sala Vanvitelli il 12 febbl"aio 1982 sul tema �Il giudice nazionale e il diritto comunitario �, E per me motivo di grande soddisfazione dare il benvenuto, nella sede dell'Avvocatura, agli amici dell'Associazione italiana dei giuristi europei e ringraziare a nome dell'Istituto, dei colleghi e mio personale, tutti gli intervenuti: un ringraziamento particolare va, poi, naturalmente, agli illustri relatori che si apprestano ad introdurre questo incontro-dibattito. L'argomento � di grande attualit� e questo Istituto, a nome del quale ho l'onore ed il piacere di rivolgere il mio saluto, ne � consueto protagonista. Mi sia consentita una disgressione dal tema specifico per sottolineare con quanto calore io rivolgo questo saluto: la mia vita di studioso ed operatore del diritto -per una singolare coincidenza -si riallaccia tutta alle tappe pi� significative dell'evoluzione dell'idea dell'integrazione europea. Avevo appena conseguito la laurea in legge, nel giugno 1941, quando fu emesso il messaggio, che profondamente � rimasto nel mio animo, del Manifesto di Ventotene. Era la prima ideazione di un programma politico di Unione Europea nel nome della democrazia e della libert� in opposizione alla dittatura fascista ed al forsennato nazionalismo guerresco. Certo si potrebbe andare molto indietro e ricordare altre antiche espressioni programmatiche, come l'opuscolo del 1814 del Saint Simon, che s'intitolava al proposito di una � riorganizzazione della societ� Europea ... per riunire i popoli d'Europa in un solo corpo politico, conservando ciascuno la sua indipendenza nazionale �. Ma cos� indietro -per la verit� -non arrivano i miei anni; ed oggettivamente il manifesto di Ventotene apriva una ben diversa e nuova visione ispirata al superamento dei nazionalismi per l'affermazione dei valori di democrazia e di libert�. E, di nuovo, ero appena entrato nel settembre 1946, congedandomi cos� dal lungo servizio militare, nell'Avvocatura di Stato, quando Winston Churchill, che fu il primo dei grandi uomini politici a rendersi interprete delle aspirazioni europee della societ� del dopoguerra, lanci� il famoso appello di Zurigo per la costruzione degli Stati Uniti d'Europa. E fu in occasione della mia prima esperienza di collaborazione con la attivit� di Governo, prestata ad Aldo Moro, che vennero firmati in Roma, nel 1957, i Trattati che creavano (sulla linea del gi� vigente Trattato CECA) gli organismi sovranazionali della Comunit� Economica Europea e della Comunit� Europea dell'Energia Atomica. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Raccolsi allora i primi commenti e le prirne caute ma penetranti intuizioni del grande uomo politico, cui rivolgo un commosso, riverente pensiero di omaggio. E fu di nuovo con lui che, nel 1970, quale Capo del Servizio del Contenzioso Diplomatico, partecipai a quel Consiglio d'Europa che, tra il 1 e il 2 dicembre, deliber� che le elezioni europee si tenessero in data unica nei Paesi membri. Quella deliberazione � significativamente il solo precedente richiamato nel preambolo della Decisione della Comunit� Europea che approv� l'Atto per le elezioni europee, sottoposti insieme all'approvazione del Parlamento italiano nel 1976, su proposta del Ministro degli Esteri, Aldo Moro. Ed oggi sono qui ad ascoltare, nell'�sercizio della mia nuova responsabilit�, questo dibattito, che investe un tema che felicemente dimostra quanta strada -superando stenti e difficolt� -sia stata finora compiuta ed� incoraggia a proseguire nell'ancora lungo e faticoso cammino della integrazione europea. Oggi, per�, non vi � chi non avverta l'angustia di un orizzonte operativo ristretto ai confini nazionali e non senta che il grande ideale della integrazione europea pu� ancora rappresentare, nel suo realizzarsi, un significativo contributo del Vecchio continente all'evolversi della civilt� umana. Di recente Massimo Severo Giannini ha individuato il nucleo della � crisi interepocale �, che stiamo� vivendo, nella dissoluzione degli Stati na zionali, giunti ormai al compimento del loro ciclo vitale. La� diagnosi � probabilmente esatta e, se cos� �, la Comunit� Europea rappresenta una' tempestiva risposta alle esigenze dei tempi nuovi che vanno maturando . . Possiamo intanto rilevare che accanto ai primi immediati risultati di integrazione sul piano economico, si vanno ormai cogliendo quelli che si realizzano sul piano giuridico, i quali seguono con pi� meditata lentezza, che � propria del conservatorismo degli uomini di legge. O piuttosto vorrei dire -se non dispiaccia il neologismo -del loro costruzionismo, che richiede una solida sedimentazione su cui elevare e concretare le nuove strutture, funzionali ai modi ed ai tempi dell'evoluzione sociale. E si pu� dire ormai compiuta irreversibilmente la prima costruzione di un ordinamento comunitario. Importante � constatare che la problema tica dei suoi rapporti con l'ordinamento interno fa parte, ormai, dell'espe rienza �quotidiana degli operatori giuridici; cos� come � solidamente acqui sita l'esistenza di un giudice a Lussemburgo con cui il giudice nazionale ha preso disinvoltamente a colloquiare a' sensi dell'art. 177 del Trattato. Non � un caso, d'altronde, che alla Presidenza della Suprema Corte di Cassazione sieda oggi un uomo come Mario Berri, c.he ha dedicato una intensa e profonda attivit� alla costruzione ed alla diffusione del Diritto comunitario. ~1 ,,, .. Ll I' �. .�Jggi :U~Pfes'idente Berti non � con noi pircli�-:-come ua-v�lut� cott<? semente comunicare -partecipa ad una cerimonia commemorativa di Vit~ torio Bachelet. Desidero associarmi a nome di tutti al rimpianto, ricordando il valore del giurista e l'altissimo sereno impegno civile che anim� la sua vita e ne caus� l'assassinio. Le due immagini di Moro e di Bachelet appartengono al patrimonio ideale dei giuristi, non soltanto italiani, che si inchinano con riverente pensiero alla loro memoria. E neppure � un caso che la Corte Costituzione, con le due recenti sentenze- 176 e 177/81, abbia ape-rto 'f}.uovi spiragli interpretativi in tema di' integrazione tra ordinamenti. E conforta, ancora, la constatazione che vi sono molti u�r�iini politici sei1sibili all'esigenza di crear� finalniente un . . sistema che valga ad adeguare tempestivamente l'ordinamento interno a quello comunitario in forme quanto pi� possibile equivalenti a quelle del �trasformatore continuo �. Ed �, infine, mio preciso dovere, al riguardo, a' sensi dell'art. 15 della legge 103/1979 sull'ordinamento dell'Avvocatura, ritornare sul ia segnalaz(on� g-i� fatta al Governo d{ una grave carenza del nostro siStema legislativo. E necessario ormai superarla nel solco della indicazione (e dell'ammonimento) che proviene dalle sentenze surrichiarhate, 'della Corte costituzionale. Non si pu�-ulteriormente indugiare di fronte alla urgenza di creare un adeguato meccanismo tecnico (ai giuristi non manca l'inventiva per assecondare la volont� politica, tanto che indicazioni sono state gi� fornite anche da questo Istituto e potrano essere opportunamente approfondite); di creare, dicevo, uno strumento capace di assicurare il tempestivo e continuo adeguamento dell'ordinamento interno alle direttive comunitarie, cos� da far coincidere gli atteggiamenti concreti del Paese con lo spirito europeo che anima� il Governo ed il Parlamento italiani. E questo il momento di farlo, ora che l'Europa appare sempre meno un'astrazione e sempre pi� si impone come una realt� viva nella coscienza sociale. Traendo auspicio da questa convinzione, vorrei concludere il mio saluto per non rubare altro tempo ai relatori, che illustreranno il tema della collaborazione tra giudici nazionali e giudici comunitari: un rapporto che s'iscrive a grande rilievo nello spirito e negli ideali che presiedono al processo di evoluzione dell'integrazione europea. Lo sviluppo di queSto processo � un sicuro pegno di pace e di fratellanza tra i popoli, particolarmente tra quelli accomunati nel destino da un patrimonio di tradizioni e di civilt� che insieme dobbiamo salvare. Vi sono in esso quei valori essenziali che rappresentano il filo di continuit� tra la civilt� del passato, che non dobbiamo rinnegare, e la civilt� di domani, che dobbiamo 'concorrere -noi giuristi per la nostra parte -a costruire. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI I. F. CARAMAZZA, L'equo canone nella locazione di immobili urbani: natura dei compiti dell'ISTAT; giudice competente nelle relative I controversie, � anno precedente " cui riferire la valutazione . I, 736 I M. CONTI, Libera circolazione di capitali e disciplina valutaria . I, 677 F. FAVARA, La rimozione delle disposizioni legislative nazionali incompatibili con norme comunitarie ad esse anteriori . . I, 635 O. FIUMARA, In tema di proroga tacita della competenza nella Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 . . . . . . . . I, 672 U. GARGIULO, Sulla pretesa al contributo per la programmazione del film � Ultimo tango a Parigi >>, definito delitto dal giudicato penale . . . . . . . . . . . . . . I, 746 S. LAPORTA, � Legge casa " ed espropriazioni statali . I, 861 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE -Acque sotterranee -Pubblicit� -Ricomprensione in zone soggette a tutela -Sufficienza -Esclusione Attitudine a pubblico generale interesse -Necessit�, �867. -Giudizio e procedimento -Rinvio al cod. proc. civ. -Carattere formale e non recettizio, 846. -Giudizio e procedimento -Riserva di impugnazione -Forma -Dichiarazione a verbale -Validit�, 844. -Giudizio e procedimento -Sentenza non definitiva -Riserva di impugnazione -Estinzione del giudizio Proponibilit� dell'impugnazione, 844. -Laghi -Limiti dell'alveo -Individuazione -Criterio, 844. -Laghi -Spiagge lacuali -Demanialit� -Criteri, 844. APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Contabilit� provvisoria -Avere di riserva rispetto ai lavori contabilizzati Sussiste -Contabilit� di fatto -Riserve -Onere -Inapplicabilit�, 828. -Appalto di opere pubbliche -Riserve � Ostacoli ai lavori ancora presenti in sede di consegna -Tempo della riserva � Verbale di consegna, 828. -Appalto di opere pubbliche -Riserve -Fatto continuativo -Tempo e forma della riserva -Sospensione dei lavori � Verbale di ripresa, 828. -Appalto di opere pubbliche -Riserve -Sospensione di fatto -Tempo della riserva -Prima contabilizzazione successiva alla ripresa dei lavori, 828. . ASSICURAZIONE -Danni da circolazione di veicoli o natanti non identificati � Fondo di garanzia per le vittime della strada Natura indennitaria delle prestazioni, 666. COMUNIT� EUROPEE -Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale -Eccezione di incompetenza -Difese sul merito Compatibilit�, con nota di FIUMARA, 672. -Dazi all'esportazione e all'importazione � Recupero a posteriori -Disciplina comunitaria -Applicazione � Limiti, 695. -Libera circolazione delle merci e libera circolazione di capitali . Trasferimento di valuta � Normativa differem: iata, con nota di CONTI, 676. -Libera circolazione di capitali -Clausola di salvaguardia -Campo di applicazione -Limiti, con nota di CONTI, 676. -Libera circolazione di capitali Esportazione di banconote -Restrizioni nazionali -Compatibilit� con il trattato, con nota di CONTI, 676. -Libera circolazione di capitali -Nuove restrizioni di capitali -Divieto Insussistenza, con nota di CONTI, 676. -Movimenti di capitali non liberalizzati � Misure di controllo e sanzioni penali � Poteri degli Stati membri Limiti � Insussistenza, con nota di CONTI, 676. -Organizzazioni comuni di mercato per i settori delle uova e del pollame � Diritto di .visita sanitaria -Legge nazionale di adeguamento al diritto comunitario -Criterio di interpretazione � Sopravvenienza di norme comunitarie confliggenti con la disposizione � sub judice � -Inammissibilit� delle questioni prospettate, con nota di FAVARA, 635. CONTABILIT� PUBBLICA ..:.. Finanza pubblica allargata -Nuove e maggiori spese a carico di enti territoriali o di aziende pubbliche Previsione della spesa ed indicazione della copertura finanziaria -Necessit�, 623. X INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Titoli di spesa -Controllo Corte dei conti -Ai-t. 18 t.u. n. 1214 del 1934 Modalit� di applicazione -Controllo sull'ordine di pagamento e sul titolo giuridico della spesa, con nota di GARGIULO, 746. EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE -Alloggi -Assegnazione -Fase precedente e successiva -Controversie Diversa competenza del giudice amministrativo e del giudice oi;dinario, 729. ESPROPRIAZIONE PER P.U. -A favore di Amministrazioni statali -Indennit� determinata secondo la legge 22 ottobre 1971, n. 865 Opposizione a stima -Competenza della Corte d'appello, 732. -Indennit� -Criteri dettati dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10 -Disciplina transitoria -Ambito di applicazione, con nota di LAPORTA, 861. -Indennit� -Criteri dettati dalla legge 29 luglio 1980, n. 385 per la determinazione in via provvisoria -Ambito di applicazione, con nota di LAPORTA, 861. -Legge sulla casa -Cessione volontaria dell'immobile -Disciplina -Applicabilit� alle espropriazioni statali -Esclusione, con nota di LAPORTA, 861. GIURISDIZIONE CIVILE -Difetto di giurisdizione -Irregolare composizione dell'organo giurisdizionale -Riconferma -Mancanza della indipendenza del giudice -Sua eliminazione successiva -Vizio originario della nomina -Sussiste, 726. -Ius superveniens -Immediata applicabilit� in ogni stato e grado del giudizio -Limiti, 721. -Ius superveniens -Immediata applicabilit� in ogni stato e grado del giudizio -Mancanza d'impugnazione della statuizione affermativa della giurisdizione del giudice poi divenuto incompetente -Irrilevanza, 703'. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Intervento in giudizio -Ad adiuvandum -Legittimazione -Associazione di categoria ente esponenziale -Legittimazione propria a ricorrere Inammissibilit� dell'intervento -Lo cazione -Immobili urbani -Equo r canone -Aggiornamento del canone -Variazione. prezzi al consumo Determinazione -� Anno preceden I te� ex art. 7�1 u.c.; L. n. 329 del 1978 I r; � quello antecedente alla data di scadenza contrattuale, con nota CARAMAZZA, 736. IMPIEGO PUBBLICO -Controversie in materia d'indennit� di buonuscita dovuta-a dipendenti statali -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 703'. -Domanda di interessi moratori e rivalutazione monetaria su crediti I di retribuzione -Questione di diritti patrimoniali conseguenziali -Inconfigurabilit� -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo -Sussiste, 705. � -Indennit� di buonuscita -Nuova disciplina in tema di computabilit� della tredicesima -Estinzione dei giudizi pendenti -Riguarda anche le domande accessorie, 734. -Indennit� di buonuscita -Ritardato pagamento -Rivalutazione a sensi dell'art. 429 cod. proc. civ. -Non spetta, 721. -Indennit� di fine rapporto dovuta a dipendente di ente pubblico non economico -Controversie -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 704. -Ritardato pagamento della retribuzione spettante al dipendente -Rivalutazione monetaria del credito -� dovuta, 705. -Ritardato pagamento dell'indennit� e rivalutazione monetaria -Questione inerente a ��diritti patrimoniali conseguenziali � -Inconfigurabilit� Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 703. LAVORO -Divieto di interposizione -Appalti con.cessi da amministrazioni autonome dello Stato -Decreto presidenziale 22 novembre 1961 n. 11192 -Ha natura regolamentare, 670. LEGGE -Infortuni sul lavoro -Malattie professionali -Modifiche ad integrazioni di tabelle allegate a decreto le RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gislativo -Autorizzazione ad appostarle mediante atto amministrativo -Legittimit� costituzionale, 630. LOCAZIONE -Equo canone -Aggiornamento del canone -Indice Istat -Sindacato del giudice amministrativo -Ammissibilit�, con nota di CARAMAZZA, 736. ORDINAMENTO GIUDIZIARIO -Referendum regionale -Esame della legittimit� della richiesta -Attribuzione con Iegge. regionale alla Corte di appello di Cagliari -Questione non manifestamente infondata, 634. PREVIDENZA -Notai -Trattamento di quiescenza a carico della Cassa nazionale del notariato -Esclusione di esercenti temporanei da professione di notaio -Illegittimit� costituzionale, 654. PROCEDIMENTO CIVILE -Cassazione -Riproposizione del ricorso -Inammissibilit� -Condizioni, 844. - Impugnazioni -Ricorso per cassazione -Impugnazione immediata e riserva di ricorso -Sentenza definitiva -Individuazione -Giudizio relativo a cause scindibili riunite per aumento soggettivo -Condizioni, 844. - Processo esecutivo -Estinzione del processo per rinuncia del creditore procedente -Ordinanza del giudice dell'esecuzione -Irreclamabilit� -Illegittimit� costituzionale, 665. PROCEDIMENTO PENALE. -Decreto di citazione -Notifica ad uno solo dei due difensori -Nullit� assoluta -Inesistenza -Irregolarit� Sussiste, �869. REATO -Omissione di atti d'ufficio -Richiesta di informazioni alla P.A. -Termine -Inammissibilit� -Tempi tecnici per la risposta -Soggezione del giudice aHa P. A., 873. REGIONI -Disponibilit� di cassa delle Regioni -Obbligo di tenerle in conti correnti non vincolati presso la tesoreria dello Stato -Legittimit� costituzionale, 623. -Legge regionale interpretativa -Limiti, 658. � -Regioni a statuto speciale -Disponibilit� di cassa di dette Regioni Obbligo di tenerle in conti correnti non vincolati presso la tesoreria dello Stato -Legittimit� costituzionale fatta eccezione per Sardegna e Valle d'Aosta, 624. RESPONSABILIT� CIVILE -Circolazione di autoveicolo -Trasporto di cortesia -Responsabilit� del proprietario ex art. 2054 cod. civ. -Esclusione, 664. -Poste -Servizio postale di consegna di raccomadata -Ritardo -Responsabilit� dell'Amministrazione -Esclu� sione, 7'34. RICORSI AMMINISTRATIVI -Annullamento e revoca d'ufficio -Discrezionalit� -Limiti � Aspettative giuridiche e situazioni di attesa � Non costituiscono limite -Fattispecie -Diritto di credito scaturente da provvedimento amministrativo di� chiarato illegittimo, con nota di GARGIULO, 746. SICILIA -Indennit� spettante ai membri della Giunta regionale -Parziale trasla� zione dall'l.R.P.E.F. a carico del bilancio regionale -Illegittimit� costituzionale, 658. � -Legge regionale -Sindacato di merito da parte del Parlamento � Esclusione, 624. -Ricorso dello Stato alla Corte costituzionale avverso leggi regionali si� ciliane -Assenza del Commissario dello Stato per ferie o l�gittimo impedimento -Legittimazione ad impugnare -Spetta al vice commissario dello Stato, 657. SPETTACOLI PUBBLICI -Cinematografia e teatro -Films -Programmazione obbligatoria � Ammis Xll INDICE DELLA sione -Conseguente diritto al contributo -Annullamento d'ufficio Prima della liquidazione del contributo, Possibilit�, con nota di GARGIULO, 746. -Cinematografia e teatro -Films Programmazione obbligatoria -Ammissione -Successiva sentenza penale di oscenit� del film -Caducazione del provvedimento di ammiss\ one, con nota di GARGIULO, 746. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento -Modificazione per sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi -Nozione -Fattispecie, 781. -Imposta sul reddito di ricchezza mobile -Avviamento -Cessione di azienda -Presunzione -Applicabilit� dell'art. 197 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 -Esclusione, 794. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Pensioni -Sono equiparate ai redditi di lavoro subordinato -Pensioni erogate non in relazione ad un rapporto di lavoro subordinato Irrilevanza della distinzione, 790. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Redditi di lavoro autonomo Redditi prodotti anteriormente al lo gennaio 1974 e percepiti successivamente -Ritenuta alla fonte -Diritto al rimborso, 769. -Sanzioni non penali per le violazioni -Sanzioni in sede di riscossione -Applicabilit� dell'art. 248 del t.u. 29 gennaio '1958 n. 645 -Esclusione, 790. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso. Uffici e negozi -Nozione -Agenzia bancaria, 784. -Imposta di registro -Concordato fallimentare con assuntore -Base imponibile -Crediti privilegiati -Vi sono compresi, 824. -Imposta di registro -Privilegio Decorrenza -Imposta principale alla data di confezione dell'atto -Impo GIURISPRUDENZA -Imposta di registro -Privilegio -Validit� -Azione esercitata contro il debitore -Termine di decadenza, 800. -Imposta sull'Entrata -Diritti di riscossione di titoli cambiari per conto di clienti -Banca non avente propri sportelli sulla piazza -Delega a banca corrispondente -Diritto corrisposto dal cliente alla banca incaricata -Costituisce per intero entrata imponibile -Provvigione corrisposta dalla banca incaricata alla banca corrispondente -Altra entrata autonomamente imponibile, 774. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento tributario -Notificazione -Nullit� -Sanatoria -Art. 21 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 -Applicabilit� ai rapporti anteriori -Esclusione, 807. -Accertamento Tributario -Notificazione -Nullit� -Sanatoria -Notifica eseguita in luogo diverso da quello prescritto -Inapplicabilit�, 807. -Accertamento tributario -Notificazione -Sanatoria -Necessit� dell'impugnazione dell'atto -Impugnazione di atto successivo -Non si verifica, 807. -Contenzioso tributario -Appello Notifica -Omissione -Nullit� -Notifica dell'avviso di fissazione di udienza -Comparizione dell'appellato -Sanatoria -Esclusione, 763. -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Imposta di ricchezza mobile -Plusvalenza -Accertamento dell'intento di speculazione -Deducibilit�, con nota di BAFILE, 813. -Contenzioso tributario -Morte della parte -Omessa dichiarazione -Pronunzia della decisione -Legittimit� Art. 31 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 Inapplicabilit� nel caso che l'evento sopravvenga mentre il giudizio � pendente, 798. -Contenzioso tributario -Ricorso alla Commissione centrale -Motivazione : � necessaria -Indicazione di motivi specifici -Non � necessaria, 818. sta complementare e suppletiva da1la data della registrazione, 800. -Contenzioso tributario -Ricorso alla Commissione centrale -Presentazio RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DEU..O STATO Xllt ne presso la segreteria della Commissione centrale -Inammissibilit�, 8'16. -Contenzioso tributario -Ripartizione di potest� tra commissioni di primo e secondo grado e corte d'ap� pello -:�. questione di competenza e non di giurisdizione, con nota di BAFILE, 813. -Potest� tributaria di imposizione Decreto legge non convertito -Sue cessiva disciplina dei rapporti sorti -Legittimit� -Imposta di fabbricazione -Fattispecie, 786. -Potest� tributaria di imposizione Obbligazione tributaria -Momento della nascita -Imposta di fabbricazione -Fattispecie, 786. -Repressione delle violazioni -Pena pecuniaria -Coscienza e volont� Ignoranza della norma tributaria Irrilevanza, 821. -11�1111111111111r1r11111r11=1111r11111111�11&1 t. INDICE CRONOLOGICO ..k ~ DELLA GIURISPRUDENZA ~ ~ j: I 1: CORTE COSTITUZIONALE 8 giugno 1981, n. 92 . . . . pag. 623 8 giugno 1981, n. 94 . . . )) 623 8 giugno 1981, n. 95 . . . )) 624 I 10 luglio 1981, n. 127 . . . . . . . . )) 630 iJ5 ottobre 1981, n. 175 (ordinanza) . )) 634 ~ 26 ottobre 1981, n. 176 . . )) 635 I 26 ottobre 1981, n. 177 . . )) 636 26 ottobre .1981, n. 179 . . )) 654 I 10 dicembre 1981, n. 187 . )) 657 17 dicembre 1981, n. 192 . )) 664 17 dicembre 19&1, n. 195 . )) 665 29 dicembre 1981, n. 202 . )) 666 29 dicembre 1981, n. 205 . )) 670 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 3� sezione, 22 ottobre 1981, nella causa 27/81 . . . . . pag. 672 11 novembre 1981, nella causa 203/80 . . . . . . . . )) 676 3� Sezione, 12 novembre 19&1, nelle cause 212-217/80 . )) 695 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 10 novembre 1980, n. 6027 . pag. 763 Sez. I, 20 novembre 1980, n. 6164 . )) 769 Sez. Un., 5 gennaio 1981, n. 11 . )) 774 Sez. I, 6 gennaio 1981, n. 49 . )) 781 Sez. I, 8 gennaio 1981, n. 1141 . . )) 784 Sez. Un., 8 gennaio 1981, n. 148 . )) 786 Sez. I, 15 gennaio 1981, n. 361 . )) 790 Sez. I, 15 gennaio 1981, n. 366 . l> 794 Sez. I, 21 gennaio 1981, n. 4% . . )) 798 Sez. I, 26 gennaio 19&1, n. 571 . . )) 800 Sez. I, 26 gennaio 1981, n. 572 . . )) 807 Sez. I, 4 marzo 198:1, n. 1240 . )) 813 Sez. I, 9 marzo 1981, n. 1312 . )) 816 Sez. I, 9 marzo 1981, n. 1316 . )) &18 Sez. I, 9 aprile 1981, n. 2041 . . )) 732 Sez. I, 9 aprile 1981, n. 2045 . )) 821 Sez. I, 14 aprile '1981, n. 2227 . . . )) 824 Sez. Un., 17 giugno 1981, n. 3943 . )) 704 Sez. Un., 27 giugno :1981, n. 4184 . )) 703 Sez. Un., 2 luglio 1981, n. 4285 . . )) 828 Sez. Un., 16 luglio 1981, n. 4628 . . )) 734 i ! I I RASSEGNA DELL'AVVOCATURi\ DELLO STATO xv Sez. Un., 20 luglio ,1981, n. 4674 . . . )) 721 Sez. III, 24 settembre 19'81, n. 5'176 . )) 764 Sez. Un., 24 settembre 1981, n. 5690 . )) 726 Sez. Un., 28 ottobre 1981. n. 5693 ... )) 846 Sez. Un.,. 5. novembre 1981, n. 5'826 . )) 729 Sez. Un., 14 dicembre :1981, n. 6591 . � 844 TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE 7 aprile .1981, n. 11 . . pag. 861 5 dicembre 1981, n. 45 . � 867 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. plen., 30 ottobre :1981, n. 7 . . pag. 705 Sez. VI, '10 novembre '1981, n. 657 . � 736 Sez. VI, 11 dicembre 1981, n. 743 . )) 746 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 7 febbraio 19&1, n. 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 869 TRIBUNALE DI ROMA Sez. Il, 14 ottobre 1981 . pag. 873 PARTE PRIMA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I CORTE COSTITUZIONALE, 8 giugno 1981, n. 92 -Pres. Amadei -Rel. Volterra -Comune di Roccafranca ed altri (avv. Trebeschi), comune di Piancogno ed altro (avv. Romagnoli), comune di Alfianello ed altro (avv. Roversi Monaco), comune di Brescia (avv. Amorth), comune di Vicenia (avv. Tosato), Presidente Consiglio dei Ministri e Ministero del tesoro (avv. Stato Carafa). Contabilit� pubblica -Fhlanza pubblica allargata -Nuove e maggiori spese a carico di enti territoriali. o di aziende pubbliche -Previsione della spesa ed indicazione della copertura finanziaria -Necessit�. (Cast., artt. 2, 52 e 81; legge 9 ottobre 1971, n. 824; art. 6). Il legislatore ordinario non pu� addossare, ad enti o aziende rientranti nella cosiddetta finanza pubblica allargata, nuove e maggiori spese senza indicare i mezzi con cui farvi fronte. II CORTE COSTITUZIONALE, 8 giugno 1981, n. 94 -Pres. Amadei -Rel. Andrioli -Regione Veneto (avv. Viola) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Regioni -Disponibilit� idi cassa delle Regioni -Obbligo di tenerle !in conti correnti non vincolati presso la tesoreria dello Stato -Legittimit� costituzionale. (Cast., art. 119; I. 3 agosto 1978, n. 468, art. 31). L'art. 119 Cost. pur affermando l'autonomia finanziaria regionale, non impone affatto che le somme spettanti alle Regioni e defluenti dal bilancio dello Stato debbano essere integralmente ed immediatamente accreditate alle tesorerie regionali; non contrasta con detto articolo l'obbligo delle Regioni di tenere le disponibilit� liquide provenienti dal bilancio dello Stato in conti correnti non vincolati presso il tesoro dello Stato (1). (1 e 3) Una tecnica legislativa pi� attenta avrebbe potuto forse prevenire l'insorgere di queste controversie. L'art. 31 della legge n. 468 del 1978 concerne, infatti, soltanto le somme defluenti dal bilancio dello Stato alle casse regionali e, tutto conSiiderato, si limita a regolare alcune modalit� di tale flusso (non diversa RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 624 III CORTE COSTITUZIONALE, 8 giugno 1981, n. 95 -Pres. Amadei -Rel. An drioli -Regione Sioilia (avv. Fazio), Regione Friuli Venezia Giulia (avv. Pacia), Regione ValJ.e d'Aosta (avv. RomanelJ.i), Regione Sardegna (avv. Guarino) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). Sicilia -Legge regionale -Sindacato di merito da parte del Parlamento Esclusione. Regioni -Regioni a statuto speciale -Disponibilit� di cassa di dette Regioni -Obbligo di tenerle in conti correnti non vincolati presso fa tesoreria dello Stato -Legittimit� costit11Uonale fatta eccezione per Sardegna e Valle d'Aosta. (Statuto Sicilia, artt. 19, 20, 36 e 38; Statuto Friuli Venezia Giulia, art. 4; Statuto Valle d'Aosta, art. 50; Statuto Sardegna, artt. 7, 8 e 56; 1. 3 agosto 1978, n. 468, art. 31). Lo statuto siciliano, a differenza degli statuti speciali di altre Regioni, non prevede il sindacato di merito da parte del Parlamento sugli atti legislativi della Regione; tale sindacato non � pertanto consentito (2). La disposizione che pone anche alle Regioni a statuto speciale l'obbligo di tenere le disponibilit� liquide provenienti dal bilancio dello Stato in un conto corrente non vincolato presso il tesoro dello Stato, pur riducendo le disponibilit� di cassa delle tesorerie regionali, non esclude che queste rimangano soggette alla competenza legislativa regionale in materia di ordinamento degli uffici. Detta disposizione, peraltro, � incostituzionale per quanto concerne la Regione Valle d'Aosta, non essendo stata preceduta dall' �accordo con la Giunta regionale� prescritto dall'art. 50 del relativo statuto, e per quanto concerne la Regione Sardegna, non essendo stato rispettato quanto disposto dall'art. 56 del relativo statuto in ordine al procedimento di formazione delle norme di attuazione (3). mente da quanto fa, ad esempio, l'art. 26 del d.l. 22 dicembre 1981 n. 786); per il che non era necessario configurare un �obbligo� delle regioni (di tenere le somme de quibus in conti correnti non vincolati con il tesoro), �obbligo� per il quale appare difficile individuare il contenuto e configurare una correlata situazione soggettiva attiva. Inoltre, l'art. 31 citato, mentre appare ridondante per quanto test� osservato, risulta incompleto, non prevedendo esso alcuno specifico rimedio nel caso venga omessa l'emanazione, ai sensi del secondo comma, dell'atto di accreditamento dei fondi. (2) L'Avvocatura dello Stato aveva sostenuto che tale mancata esplicita previsione, nello Statuto siciliano, di un limite di merito della potest� legislativa di quella Regione, doveva ritenersi superata con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana. La Corte ha preferito non raccogliere tale pur significativa indicazione, senza peraltro approfondire l'argomento, pur di notevole importanza politico-costituzionale. Forze, la mancata attivazione nei trentatr� anni ormai trascorsi dal 1948 del sindacato del Parlamento sulle delibere legislative regionali pu� avere indotto ad una sottovalutazione della questione di principio prospettata, sulla quale sarebbe bene tornare. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I (omissis) La Corte ritiene innanzitutto non fondate le censure mosse alla norma impugnata, in riferimento agli artt. 2 e 52 della Costituzione. Ed infatti se � ben vero che nella sentenza n. 27 del 1965 fu affermata la competenza esclusiva deHo Stato a disporre previdenze e benefici in relazione ad eventi bellici, tale pronunzia non comportava certo il divieto che soggetti diversi dallo Stato fossero chiamati a sopportarne dl relativo onere, restando invece nella discrezionalit� del legislatore, ove razionalmente esercitata, imporre, nei limiti delle altre norme della Costituzione, a soggetti divei;s,i l'adempimento di tale compito, proprio in relazione a quei doveri di solidariet� politica, economica e sociale (cfr. sent. n. 12/ 1972) citati in alcune ordinanze di rimessione. (omissis) � per contro fondata, nei limiti di cui appresso si dir�, la questione relativa all'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Tale principio costituzionale, infatti, non pu� essere eluso dal legislatore, addos,sando ad enti, rientranti nella cos� detta finanza pubblica allargata, nuove e maggiori spese, senza indicare i mezzi con cui farvi fronte. IJ co1legamento finanziario tra simili enti e lo Stato � infatti tale da dar luogo ad un unico complesso, come lo stesso legislatore ha riconosciuto con l'art. 27 della Jegge n. 468 del 1978, secondo cui �le leggi che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico di biJanci degli enti di cui al precedente a:rt. 25, devono contenere la previsione dell'onere stesso nonch� J'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali �. L'impugnato art. 6 invece non si cura affatto di prevedere come gli enti in parola possano far f1ronte ad una spesa che l'indagine istruttoria espe� rita dalla Cor.te ha accertato ingentissima, cos� violando il principio generale dell'obbligo di copertura che la Corte ha sempre ritenuto estendersi oltre iJ bilancio dello Stato persona in senso stretto (sent. nn. 9-1958, 541958, 7-1959, 11-1959, 47-1959, 66-1959, 31-1961, 32-1961. La dichiarazione di illegittimit� costituzionale dell'art. 6 si circoscrive soggettivamente, nei limiti della rilevanza delle questioni prospettate, ai comuni, alle aziende municipalizzate e ai relativi consorzi. Essa pertanto non .riguarda n� la congregazione di carit�, n� l'ente pubblico economico di cui alle ordinanze del pretore di Brescia..., enti che non possono essere compresi nel complesso della finanza pubblica allargata, come fatto palese dai citati articoli della legge n. 468 del 1978. Per essi il legislatore, includendoli nell'art. 4 della legge n. 336 del 1970, non era dunque tenuto a prevedere con quali modalit� e con quali mezzi essi dovessero far fronte al versamento agli enti erogatori delle indennit� di buonuscita, o di previdenza, o di anzianit�, di cui all'art. 6 della legge n. 824 del 1971, del corrispettivo in valore capitale dei benefici derivanti dall'applicazione della citata legge n. 336 del 1970 sul tratta RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 626 mento di pensione nonch� il maggior importo corrisposto a titolo di indennit� di buonuscita o di previdenza in applicazione della legge medesima. Nei termini nei quali sono state proposte sono pertanto non fondate Je questioni so11evate. (�missis) II L'obbligo di tenere la disponibilit� liquida in conti correnti vincolati con iil tesoro � <limitato ad assegnazioni, contributi e quanto altro provenienti dal bilancio dello Stato, e non tocca in alcun modo fondi di altra provenienza: tale � ci:! disposto del primo comma dell'art. 31, il quale non soffre interpretazione estensiva prospettata in qualche passo delle difese scritte della Regione. H meccanismo di cui all'art. 31, secondo comma, non comporta violazione dell'art. 119 Cost. (n�, meno ancora, degli altri parametri :richiamati nel r.icorso): da un ~ato, infatti, i tributi propri e le quote di tributi erariali, attribuiti alle Regioni da!l.l'ar.t. 119, secondo comma, e che transitano nella maggior parte per il bilancio dello Stato, sono espressamente ,correiam � ai bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali�; d'altro lato, Je ulteriori entrate regionali, provenienti dal bilancio deHo Stato, sono finalizzate -in modo pi� o meno specifico, secondo le diverse iipotesi -al f.inanri.amento di programmi regionali di sviluppo od all'effettuazione di particolari interventi, previsti da apposite disposizioni legislative statali. In entrambi i casi, dunque, J'art. 119 Cost., pur affermando l'autonomia finanziaria regionale, non impone affatto che ile somme spettanti alle Regioni e defluenti dal bHancio dello Stato debbano essere integralmente ed immediatamente accreditate alle tesorerie regionali, pur quando le Regioni stesse non dimostrino di doversene servire per l'esercizio deJ.le loro attribuzioni. Essenziale � soltanto -come la Corte ha gi� chiar.ito nclLa sentenza n. 155 del 1977 -che i conti correnti istituiti pxesso la tesoreria centrale non si trasformino � in un anomaJo strnmento di controllo sulla gestione finanziaria regionale �. Ma tale non � il caso dell'art. 31 della legge n. 468 del 1978,. che non xiguarda le entrate acquisite direttamente dalle Regioni, e non ha di mira Ie singole misure regionali di spesa, Jimitandosi a regolare i ritmi di accreditamento dei fondi innanzi detti daJla tesoreda dello Stato alle tesorerie delle Regioni: per di pi� precisando che ci� deve svolgersi sulla base ed in conformit� alJe previste esigenze ed alle accertate disponibilit� di cassa de1le Regioni, quali desunte appunto dai periodici documenti, indicati nel secondo e terzo comma, provenienti dagli organi responsabili delle Regioni mede sime. (omissis) PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE III Nessuno dei motivi, nei quali si articola iJ ricorso, con cui la Regione siciliana ha investito gli artt. 31, 34 e 36 legge 468/1978, merita accoglimento. aa) La violazione deg1i artt. 20 e 38 dcllo Statuto, cui fornirebbe esca l'assoggettamento all'art. 31 del contributo di solidari.et� nazionaJe previsto nella legge 27 aprile 1978, n. 182, sarebbe validamente prospettata sol se fosse lecito interpretare :J.'art. 3 della legge 182/1978 nel senso che il contributo sia da versare alla Regione dallo Stato in unica soluzione e all'inizio dell'anno successivo a quello cui si riferisce, ma � sufficiente scorrere il testo deHa disposiz.ione ( � il contributo di cui aH'art. 1 viene versato alla Regione nehl'anno successivo a que1lo cui si :riferisce ... �) per cogliere la fallacia del presupposto interpretativo, s.ia sin troppo evidente essendo che lo Stato adempie al debito sol che versi alla Regione l'importo dovuto nel corso dell'anno successivo a quello cui 1il contributo si riferisce. � Lo Stato verser� annualmente alla Regione � -dispone del resto l'ail1t. 38, primo comma, dello Statuto -� a titolo di so1idariet� nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nell'esecuzione di lavori pubblici�. Tale �adempimento non viene posto in forse dall'applicazione dell'art. 31, per modo che la censura in esame � destituita di base. ab) La censura di violazione degli artt. 19 e 36 dello Statuto, che derivere'bbe dal ricomprendere nella generi.ca previsione dehl'art. 31 (�quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato�) lo stanziamento di lire 430 miliardi previsto al cap. 4534 dello stato di previsione del Tesoro con Ja denominazione �somme occorrenti per J.a regolazione contabile delle entrate erariali riscosse dalla Regione siciliana � non pu� ritenersi fondata in quanto iii gettito delle entrate stesse viene gi� riscosso direttamente dalla Regione. Infatti, la regolazione contabile attuata per fini puramente interni nell'ambito dello Stato -evidenzia che tali entrate -a differenza di quelle alla Regione fornite dallo Stato per iJ contributo ex art. 38 dello Statuto speciale -non ;provenendo sostanzialmente dal bilancio dello Stato, non sono, per loro natura, soggette al meccanismo di cui all'art. 31 predetto. (omissis) e) La circostanza, infine, che lo Statuto siciliano, a differenza degli Statuti speciali di altre Regioni (Sardegna, Valle d'Aosta, Trentino AftoAdige, FriuJ.i-Venezia Giulia), non preveda il sindacato di merito da parte del Parlamento naz.ionale su atti �legislativi della Regione che sarebbe consentito, in contrasto con i richiamati parametri, da11'art. 34, non giova a dire illegittimo l'impugnato testo. L'ultimo comma dell'articolo in questione ( � Qualora il Governo riscontri fa mancata attuazione della armonizzazione prevista dal precedente comma pu� promuovere la questione 628 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di merito per contrasto di interessi ai sensi del quarto comma dell'articolo 127 deHa Cos�1lituzione �) va infatti inteso in conformit� con Ie previsioni f!.e1Ia Costituzione e degli Statuti. speciali, riguardanti il controllo preventivo delle leggi regionali: riferendolo dunque al:J.e Regioni OI1dinarie, nonch� a11e sole Regioni differenziate i cui Statuti. speciali contengano disposizioni corrispondenti a que11a stabHita dal comma finale dell'art. 127 Cost. Neppure H ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia merita accoglimento. a) La denuncia di viola21ione dell'art. 1 dello Statuto, da cui sarebbero affetti gli artt. 31 e_ 36, pecca di apriorismo perch� l'attribuzfone dehla personalit� giuridica implica il riconoscimento, aLI'ente che ne � beneficiario, della capacit� di essere soggetto di rapporti giuridici, ma non getta 1uce sulla concreta consistenza e sussistell2'1a dei rapporti medesimi. b) La riserva, alla Regione fatta dall'art. 4 n. 1 deHo Statuto, dell'ordiinamento degli uffioi e degli enti dipendenti da1la Regione medesima, non basta a imprimere fondatezza a1l'impugnazione degli articoli 31 �e 36: sia perch� lo stesso art. 1 avverte che la potest� legislatii.va nel settore degli Uffici e degli a1tri Enti dipendenti e nelle altre tredici materie compete s� alla Regione, ma � in armonia con la Costituzione, con i pr.incipi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato, con le norme fondamentali delle r�iforme economico-sociali e con gJ:i obblighi internazionali deHo Stato >>, nonch� � ne1 rispetto degli interessi nazionali e dii quelli delle altre Regioni�; sia perch� le norme impugnate, pur 'incidendo sulle disponibilit� liquide della competente tesoreria regionale, non escludono affatto che la tesoreria medesima rimanga soggetta alla potest� legisfativa regionale (anche in base alfa specifica disposizione del.l'art. 33 della legge 19 maggio 1976, n. 335). Quanto poi all'art. 30, la circostanza che esso imponga ai Comuni, alle Province ed alle Regioni di trasmettere al Ministro del tesoro una serie di dati non !implica affatto gli atipici controlli di merito sulle spese degli enti autonomi, che sono censurati dal ricorso regionale. Detti dati vanno infatti utilizzati dal Ministro stesso, al solo scopo di presentare al ~aruamento le annuali relazioni sul fabbisogno dell'� intero settore pubblico�. Diversa sorte va riservata al :nicorso della Regione della Valle d'Aosta nella parte in cui si � dedotta la violazione dell'art. 50, comma terzo, dello Statuto della Regione e delle disposizioni della legge 6 dicembre 1971, n. 1065 (revisione dell'ordinamento finanziario della Regione Valie d'Aosta~, con cui conflitta 1'1impugnato art. 31. Sulla base dell'art. 50, terzo comma, dello Statuto, per il quale �entro due anni dall'elezione del Consiglio deHa Valle, con legge dello PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Stato, in accordo con la Giunta regionale, sar� stahllito, a modifica degli artt. 12 e 13, un ordinamento finanziario della Regione�, sono state emanate dapprima la legge 29 novembre 1955, n. 1179 (ordinamento finanziario della V'aLle d'Aosta), H cui art. 16 disponeva che �esso rester� in vigore fino alla data di attuazione del regime di zona franca previsto dall'art. 14 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta. Le eventuali successive modifiche alla presente legge saranno adottate con Jegge ordinaria, d'accordo con la Giunta regionale�, e poi fa vigente legge 6 dicembre 1971, n. 1065, il cui art. 18 statuisce che �Ia presente legge ha effetto dalla data di inizio dell'anno finanziario 1971. Da detta data cessa di avere .effetto l'ordinamento finanziar.io di cui a;lla legge 29 novembre 1955, n. 1179, fermo restando ril disposto dell'art. 14 del1la legge stessa�. L'art. 5, quarto e quinto comma deHa legge 1065/1971, che, in una con gli ar.tt. 2 e 4 della stessa legge, � coinvolto nell'impugnazione, dispone che � L'intendenza di finanza di Aosta provveder� mensilmente, mediante ordinativi su ordini di accreditamento emessi senza limiti di importo, a corrispondere alla Regione Je quote dei proventi ad essa spettanti -1a norma dell'art. 3, primo comma, e deU'art. 4 -suUa base dei versamenti in conto competenza e residui effettuati nelJa coesistente sezione di tesoreria provinciale e dei versamenti di curi al secondo comma. La stessa intendenza provveder� altres� a co:rrispondere annualmente alla Regione, mediante ordinativi su ordini di accreditamento emessi senza limiti di importo, il provento di cui all'art. 3, secondo comma, determinato con le modalit� ivi indicate�. In riferimento alla disposizione, che per contestualit� di esposizione si � riprodotta in extenso, la Regione ha posto '1'ail.ternativa della coesistenza della medes.ima con l'art. 31 e, quindi, della carenza d'interesse della stessa Regione alla impugnazione ovvero della incompatibLlit� delle due disposizioni per basarvi la vfolazrione dell'art. 50, terzo comma, dello Statuto, provocata dall'essere l'art. 31 stato adottato in difetto de1l'accordo della Regione. La Corte non pu� non accogliere la seconda alternativa voltach�, mentre l'intendenza di finanza di Aosta, a sensi dell'art. 5, deve procedere -mensihnente o !alla scadenza dell'anno -a corrispondere alla Regione gli importi ad essa spettanti, diverse sono la sequenza e la cadenza temporale scandite dall'art. 31. Pertanto, va dichiarata ila fondatezza della questione di legittimit� -per violazione dell'art. 50, terzo comma, dello Statuto e in relazione all'art. 5, quarto e quinto comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1065 deH'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 468, adottata senza l'accordo con la Regione Valle d'Aosta. (omissis) 630 RASSEGNA DELL'A\'VOCATURA DELLO STATO Il nucleo centrale del �ricorso della Regione autonoma della Sardegna si sostanzia in ci� che in virt� del combinato disposto degli artt. 7 e 8 de1lo Statuto e degli artt. 32 e 36 delle norme d'attuazione del medesimo, di cui al d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, ila quota deHe entrate tributarie di spettanza della Regione deve essere direttamente I i versata dahl'organo ricevitore alla Regione negli stessi termini stabiliti per ihl versamento 'allo Stato e che tale meccanismo non pu� coesistere con fo procedure delineate nell'art. 31. Il contrasto deve risolversi in I danno di quest'ultima norma non solo e non tanto perch� l'art. 41 del ~ d.P.R. 250/1949 ammonisce che le disposizioni vigenti sulla contabilit� I ~ generale deHo Stato si estendono alla Regione sarda solo � in quanto applicabili�, quanto perch� gli �artt. 32 a 36 dello stesso decreto potevano ! essere modificati sol nel rispetto dell'art. 56 deHo Statuto, che � stato ! invece tenuto in non cale nella confezione della legge, di cui fa �parte l'art. 31. (omissis) I I J CORTE COSTITUZIONALE, 10 luglio 1981, n. 127 -Pres. Amadei -Rel. �~ i ~ Ferrari-Romanini (avv. Agostini) e I.N.A.I.L. (avv. Cataldi). i ~ 1 Legge -Infortuni sul lavoro -Malattie professionali -Modifiche ad intef. � >: grazioni di tabelle allegate a decreto legislativo -Autorizzazione ad ' ,.f: appostarle mediante atto amministrativo -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 23, 76, 77 e 38; d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, art. 3). Ii B Il legislatore (anche quello delegato) pu� autorizzare un organo del'~ � . l'esecutivo a modificare o integrare, mediante uno o pi� atti di norma' ~ I I zione secondaria, tabelle, liste o elenchi contestuali ad un atto legisla tivo (1). ! (omissis) La materia delle malattie professionali � fondamentaili ~ mente disciplinata dal d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che ha approvato ; il testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro I gli dnfortuni sul lavoro e le malattie professionali. Con tale normativa risttlta adottato nel nostro ordinamento il sistema tabellare rigido, o I tassativo, cos� denominato, perch� garantisce li1 riconoscimento automa- I (1) La sentenza in rassegna esamina -con lo sguardo un po' troppo rivolto al caso sub judice -una questione di rilievo tutt'altro che secondario; e precisamente la questione se sia costituzionalmente corretta la disposizione legislativa (eventualmente di legislazione delegata) la quale autorizzi la modifica o integra- I I <:."'.O:.".�f.r..".�:�.�z:-:�:�.�.�.�.�.�.'.�.�.�.�.�.�.�:.�.�.�.�.�.�.".'."!.�.�.�.�.-.:.�.�.�.�.�.�.�.�.�r.�.�.�.�.�.:�'.-'.�'.��������--�� -��---------�����,��.�.�.�.�-,�,�.�r.-.-.-.ᥥ ,-., .. .�.�.�.�.�.�.�.".'.'.".'.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.��.��.��..�..�...�.�..�..�..�..�..�..�..�..�..�..�..�.� .�.�.�.�.�.�.,�..�.�...........................................................................�.�.�.�.�.�.�.��' PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 631 tico del diiritto alla rendita solo nel caso in cui la malattia contratta e ila lavorazione svolta 11isu1tino comprese nelle apposite tabelle che sono annesse al predetto testo 'unico, mentre nei casi di malattie o lavorazioni non tabellate, ancorch� sostanzialmente affini a queste, i lavoratori non sono ammessi a provarne la natura o l'origine professionale. Furono queste considerazioni ad indurre taluni giiudici a dubitare, in rappo11to agli ar.tt. 3 e 38 della Costituzione, della legittimit� costituzionale del sistema tabellaxe e, qUJindi, a sottoporre la relativa questione al giudizio di questa Corte, chiamata peraltro a giudicare il d.P.R. n. 1124 del 1965, cio� la legge delegata, che appunto esprime e disciplina quel sistema (sentenza di questa Corte n. 206 del 1974). Il P.retore di Vigevano, pur muovendo dalle stesse considerazioni che provocarono la summenzionata sentenza, con la quale questa Corte dichiar� infondata la questione di legittimit� costituzione del sistema tabellare, ha denunziato direttamente l'i1legittimit� costituzionale del d.P.R. n. 482 del 1975, e precisamente le modifiche ed integrazioni da questo apportate aMe tabelle (allegati 4 e 5) annesse al d.P.R. n. 1124 del 1965. La questione, cos� come proposta, � inammissibile. Il d.P.R. n. 482 del 1975, trovando ila sua fonte, non gi� in una legge di delega2Jione, ma in una Jegge delegata, ed essendo adottato, non gi� dal governo, ma dal ministro della sanit�, di concerto con quello del lavoro, palesemente non rientra, ,sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto il profilo formale, tira gli atti di normazione primaria, sui quali soltanto questa Corte pu� esercitare i..I suo sindacato a norma dell'art. 134 della Costituzione. E non pu� non convenirsi esaminando l'atto anche sotto il profilo contenutistico, che il sistema tabellare, di cui appunto si denunzia l'incostitu2Jionalit�, � posto dal d.P.R. n. 1124 del 1965, al quale qui nessuna censura viene ID.volta, non gi� dal d.P.R. n. 482 del 1975. Questo si limita a modificare ed integrare le tabelle -annesse alla legge delegata, zione di altra disposizione legislativa (contestuale o meno) ad opera di un atto normativo sub-primario, quale un regolamento emanato ai sensi dell'art. 87 Cost. o un regolamento ministeriale. La risposta data dalla Corte lascia traspadre riserve e sospetti forse non giustificati. Si pu� parlare di � ineleganza � nei riguardi di una tecnica legislativa che, invece di separare nettamente l'area della normazione primaria da quella della normazione secondaria, dia luogo alla produzione di norme primarie le quali, mentre conservano � valore di legge � finch� vigenti, hanno in s� il tarlo di una modificabilit� o eliminabilit� per atto sub-primario ossia dell'assenza di � forza di legge � (su tale nozione SANDULLI, Legge (Diritto costituzionale), in N.mo Dig. It., IX, 633, ESPOSITO, La validit� delle leggi, rist. 1964, 24; MoouGNO, Legge in generale, in Enc. dir., XXIII, 890). Non pare per� che wm siffatta tecnica legislativa -� inelegante� quanto si vuole -possa essere circondata da generico disfavore o, peggio, debba essere circoscritta a �materie che postulano valutazioni di 632 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO non solo mediante l'inserimento di nuove voci, ma anche mediante formulazioni pi� elastiche di pressoch� tutte le voci, le quali pertanto assumono, per la loro genericit� e comprensivit�, una notevole capacit� di espansione. � viceversa infondata Ja questione di legittimit� costituzionale sollevata dal 'f.ribunale di Bolzano, secondo il quale le tabelle deUe malattie professionali e delle relative lavorazioni morbigene annesse al testo unico n. 1124 del 1965, essendo adottate con atto avente forza di legge, non possono essere modificate od integrate, se non con un atto di eguale valore normativo. Dovrebbe pertanto, secondo il giudice a quo, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli 1artt. 23, 76, 77 e 38 della Costituzione, I'art. 3 del d.P.R. n. 1124 del 1965, il quale facoltizza, invece, modifiche ed integrazioni alle proprie tabelle mediante un atto di natura amministrativa, quale appunto il d.P.R. n. 482 del 1975. Non pu� non osservarsi in contravio che nel nostro ordinamento � riscontrabile una certa proclivit� del legislatore a collocare in un testo legislativo, per lo pi� come allegati, e perci� in aggiunta alla parte squisitamente normativa, anche dati della reaJt�, indiv.iduaN. in base a criteri illecnici. Accade sovente, in tali casi, che il legislatore, anche quello delegato, demandi poi all'esecutivo, o all'organo dell'esecutivo competente per materia, di apportare a quei dati gli aggiustamenti che l'esperienza, una pi� matura riflessione, il progresso tecnico, rendano consigliabili. Meglio che un metodo, � un espediente, questo, tutt'altro che inconsueto, anche se non certo irreprensibile sotto il prof.Ho concettuale, che non pu� tuttavia essere dichiarato di per s� [}legittimo e che, quindi, 12on rende a sua volta illegittimo l'atto c�n cui l'esecutivo modi� fica o integra quei dati. La contestualit� di tabelle, liste, elenchi e della carattere tecnico e perci� logicamente, oltre che tradizionalmente, di partinenza dell'esecutivo�. L'ordinamento normativo italiano � irrigidito oltre misura dalla eccessiva estensione dell'area coperta dalla normazione primaria; e ci� per il congiunto operare di una attivit� legislativa del Parlamento portata piuttosto ad avocare a s� ogni spazio di normazione che a riconoscere la sufficienza e spesso la preferibilit� di fonti subalterne, di una legislazione delegata che risente della propensione (talvolta furbesca) a miscelare nei testi redatti in attuazione della delega disposizioni emanabili in forza del generale potere regolamentare dell'esecutivo, di legislazioni regionali tanto prolifiche quanto poco avvertite della esigenza di evitare che il decentramento della funzione legislativa produca un massiccio passaggio al livello primario di momenti decisionali sostanzialmente amministrativi. In un ordinamento tanto affollato di disposizioni aventi � forza di legge�, al punto che il Parlamento e gli altri � legislatori ,, -oberati di lavoro -non riescono a smaltire la domanda di legislazione che sale dal Paese, non pare il caso di dare eccessivo rilievo alla validit� � estetica� di soluzioni (che � riduttivo I 11 i !f ,..,. ,. ...... , ........................................... �.�.�.�.�.�.��.�.�.�:.�.-.�,..�,�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.-.�.-r.�.-.�.�� ����r.�.�.�.-.-.-.:;.-:�:�:�z-:�:-~�:�:.-:� -.�.�.f: PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 633 autorizzazione alla loro modifica od integrazione mediante un atto di normazione secondaria � 1a prova che J'inserzione, in una legge o atto equiparato, specie se promosso dalla necessit� ed urgenza, di quelle tabelle, liste, elenchi � meramente occasionale e che, pertanto, non pu� ravvisarsi in tale metodo l'intenzione di riservare al '1egislatore materie che postulano valutazioni di carattere tecnico, e perci� logicamente, oltre che tradizionalmente, di pertinenza dell'esecutivo. La Corte ha avuto pi� volte occasione di pronunciarsi sul punto (sentenze n. 43 del 1959, n. 61 del 1963, n. 40 del 1970, n. 139 del 1976, n. 142 del 1979). In particolare, ha escluso (sentenza n. 32 del 1966) la illegittimit� costituzionale di una norma -J'art. 17 del r.d.l. 8 settem� bre 1932, n. 1390 -che rimetteva al potere esecutivo 1l'approvazione delle modificazioni del piano regolatore di massima contestualmente approvato con lo stesso atto legisJativo, implicitamente ritenendo com� patibile col sistema -in quanto non sintomatico n� di un trasferimento di competenza dagli organi del potere 1egis1ativo a quelli del potere amministrativo, n� di un'attribuzione a questi ultimi del temporaneo eserciZJio del potere legislativo -la circostanza che, per particolari ragioni, si fosse fatto ricorso all'atto legislativo in materia li.stituzionalmente affidata alla cura di organi amministrativi, dei quali si confermava Ia potest�, prevedendone l'esercizio �come mezzo (e come mezzo pi� adatto) per adeguare il piano di mas�sima alle esigenze pratiche della sua esecuzione e del suo sviluppo �. Contrariamente perci� a quanto ritiene il Tribunale di Bolzano, l'�art. 3 del d.P.R. n. 1124 del 1965 sfugge alla denunziata censura di illegittimit� costituzionale e conseguentemente la relativa questione .risuJ.ta non fondata. Appare, invece, improprio ed alquanto contraddittorio i:l richiamo agJ.i artt. 76 e 77 della Costituzione nello stesso momento in cui si afferma che il d.P.R. n. 482 del 1975 � atto ammi111istrativo, cui pertanto non si addice il richiamo ai menzionati articoli. Il vero � che nell'art. 3 del d.P.R. n. 1124 del 1965 non si configura alcuna subdelega da parte del Jegislatore delegato .... (omissis) chiamare �espedienti�) le quali valgano ad assicurare una maggiore elasticit� ed adeguatezza al sistema. Del resto, nell'ambito del diritto civile la presenza di numerosissime norme dispositive accanto a quelle cogenti assicura la coesistenza dell'autonomia privata con la supremazia della legge; ed i rapporti tra norme comunitarie (formalmente di 1ivello regolamentare) e leggi nazionali anteriori con esse incompati� bili possono -essi pure -venir configurati, negli Stati la cui Costituzione non � stata adattata alla� realt� delle istituzioni europee, come costruiti su una ampia autorizzazione a delegificare data dalle leggi di ratifica dei trattati. 634 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 15 ottobre 1981, n. 175 (ordinanza) -Pres. Elia - Rel. La Pergola -Comitato promotore referendum abrogativo legge reg. Sardegna 28 aprile 1978, n. 32 (avv. Mellini e Panunzio), Federazione della caccia (avv. D'Onofrio) e Regione Sardegna (avv. Guarino). Ordinamento giudizilario -Referendum regionale -Esame della legittimit� della richiesta � Attribuzione con legge regionale alla Corte di appello di Cagliari -Questione non manifestamente infondata. (Cost., art. 108; I. reg. Sardegna 17 maggio 1957, n. 20, art. 6). Non � manifestamente infondata, in relazione all'art. 108 Cast., la questione di costituzionalit� della disposizione di legge regionale che conferisce ad un organo giudiziario il compito di accertare la legittimit� delle richieste di referendum regionale (1). (omissis) Ritenuto che con l'ordinanza in epigrafe la sezione civile feriale della Corte d'appello di Cagliari, costituita 1n ufficio per il referendum popolare ai sensi della legge reg. sarda 17 maggio 1957, n. 20, nel procedimento concernente la richiesta di referendum per l'abrogazione di pi� articoli della legge reg. 28 aprile 1978, n. 32, ha sollevato in riferimento all'art. 32 dello statuto sardo, questione di legittimit� costituzionale dell'art. 1, lett. a), della citata legge n. 20 del 1957: si assume infatti da detto ufficio per il r-eferendum che la norma censurata abbia introdotto l'istituto del referendum abrogativo in violazione dell'invocata disposizione statutaria, la quale consentirebbe soltanto il referendum del tipo sospensivo o preventivo. (omissis) Considerato che la sezione della corte d'appello -ufficio per il referendum popolare -solleva irl suddetto incidente di costituzionalit�, in quanto. essa � chiamata ex art. 6 legge n. 20 del 1957 ad accertare la legittimit� delle richieste di abrogazione popolare, prima di provveder-e alla verifica del numero complessivo dei richiedenti, e agli ulteriori co~piti che ad essa spettano nel corso della procedura prevista dal titolo I della legge ( � referendum di cui all'art. 32 dello statuto �); che pu� prospettarsi il dubbio se, nel configurare una sezione della corte d'appello come ufficio per il referendum popolare, con le relative attribuzioni in ordine alla (1) La Corte costituzionale sembra propensa ad aderire alla tesi -sostenuta dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione (decisioni 25 maggio 1978, in Foro it., 1978, I, 1602, e 15 dicembre 1980, in Giur. cast. 1980, 1668; contra, per�, FRANCO, Raccolta e autentica di firme per la richiesta di referendum, in Giur. cast. 1981, I, 572) -del carattere giurisdizionale degli organi competenti a verificare la ritualit� ed ammissibilit� delle richieste di referendum. Nel senso che le regioni non sono competenti a legiferare in tema di ord�� namento giudiziario, cfr. le sentenze n. 4 del 1956, n. 12 del 1957, n. 115 del 1972, n. 103 e n. 114 del 1975, n. 81 del 1976 e n. 72 del 1977 della Corte costituzionale. ' 'f ' j 1I iI �cr.waa.-.w.-.�.�c.-'-���������������������ᥥ����������'"�'"'."."."."."'.'.".".�.�.�.�.�.�."�"�"�""" �--�����w.�.-.�.�.-.� ����� ���.'.�.".'.".".".".".".".".".'.".'.".".'.".'.".-.-.".".".�.".-.'.'.".".".'.�.�.�.�.�.�.".��������� ���-.w.-.��'l:� .".".-.-c.-.-.-.-.z.-. ""�Z�Z�Z��Z..J PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 635 procedura referendaria, la legge regionale interferisca dndebitamente nell'ambito riservato alfa legge dello Stato daJ precetto costituzionale, che, governa la produzione delle norme sull'ordinamento giudizJiario e su ogni magistratura (art. 108 Cost.); che la corte ritiene pertanto di dover sollevare incidentalmente, in riferimento all'anzidetto parnmetro, questione di legittimit� costituzionale dell'art. 6 legge n. 20 del 1957; che tale questione non manifestamente infondata, � altres� r~levante, giacch� essa investe la norma istitutiva de1le attribuzioni, neH'esercizJio delle quali la sezione corte d'appello-ufficio per il referendum popolare promuove il presente giudizio. P.Q.M. Dispone la trattazione innanzi a s� della questione di legittimit� costituzionale dell'art. 6 legge reg. sarda n. 20 del 1957, nella parte in cui conferisce aJla corte d'appello-ufficio per il referendum popolare le attribuzioni che concernono le richieste di referendum abrogativo, in ri.feri-1 mento all'art. 108 Cost. (omissis) I CORTE COSTITUZIONALE, 26 ottobre 1981, n. 176 -Pres. Gionfrida -Rel. La Pergola -s.p.a. Comavicola (avv. Catalano) e P.residente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Zagari). Comunit� europea � Organizzaziom comuni di mercato per i settori deHe uova e del pollame � Diritto di visita sanitaria � Legge nazionale di adeguamento al diritto comunitario � Criterio di inter:pretazione Sopravvenienza di norme� comunitarie confliggenti con la disposizio ne � sub judice � � Inammissibilit� delle questioni prospettate. (Cost., art. 11; legge 23 gennaio 1968, n. 30; legge 30 dicembre 1970, n. 1239). Fra le possibili interpretazioni di una disposizione di adeguamento. della legislazione nazionale al diritto comunitario, si deve preferire quella conforme al principio -riconosciuto dal nostro stesso ordinamento second� cui deve essere garantita l'osservanza dei trattati 1:stitutivi delle comunit� economiche europee e delle norme (regolamenti CEE, decisioni CECA ecc.) da essi derivate; la Corte costituzionale � competente ad indicare detta interpretazione. L'art. 1 della legge 14 novembre 1977, n. 839 (1-3) La rimozione delle disposizioni legislative nazionali incompatibili con norme comunitarie ad esse anteriorf,. Le sentenze in rassegna contengono una prima risposta della nostra Corte costituzionale alle affermazioni contenute nella sentenza 9 marzo 1978, in causa n. 106/77, della Corte di giustizia delle Comunit� europee (in questa Rassegna, 1978, I, 179, ove indicazione delle sentenze -com'� noto, di avviso non proprio 636 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ha abrogato la legge 30 dicembre 1970, n. 1239, per quanto concerne i prodotti soggetti ad organizzazione comune dei mercati agricoli, e con effetto retroattivo; peraltro, la predetta legge del 1970 deve ritenersi caducata anche per quanto incompatibile con i regolamenti CEE 29 ottobre 1975 n. 2771 e n. 2777. (1). II CORTE COSTITUZIONALE, 26 ottobre 1981 n. 177 -Pres. Gionfrida -Rel. La Pergola -Burgassi e s.p.a. Galbani (avv. Catalano) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Zagari). Corte costituzionale � Questioni di costituzionalit� concernenti incompatibilit� di leggi nazionali rispetto a norme comunitarie -� ammissibile solo se la legge nazionale � posteriore. Comunit� europee � Organizzazioni comuni di mercato per i settori delle carni e dei prodotti della pesca -Diritto di visita sanitaria -Impor tazione da paesi terzi � Opera anche per esse il divieto delle tasse di effetto equivalente. (Cost., art. 11; legge 23 gennaio 1968, n. 30; legge 30 dicembre 1970, n. 1239). Presupposto indefettibile per l'ammissibilit� delle questioni di legittimit� costituzionale di disposizioni di legge nazionale per asserita incompatibilit� con regolamenti comunitari � che dette disposizioni siano posterori ai regolamenti con i quali confliggono e non siano state caducate da altri regolamenti ad esse sopravvenuti (2). Il divieto delle tasse di effetto equivalente opera parimenti per gli scambi infracomunitari e per le importazioni da paesi terzi (3). I La controversia, dalla quale trae ongme il presente giudizio, verte innanzi .al Tribunale di Milano sul rimborso delle somme che la societ� Comavicola assume iHegittimamente percette dall'amministrazione doganale. Com'� esposto in narrativa, si tratta di importazioni (di uova e pol concorde a quello della Corte comtll1iitaria -rese in precedenza dalle nostre Corti costituzionali e di cassazione), alla quale sono seguiti numerosi scritti di commento (BARILE, Un impatto tra il diritto comunitario e la costituzione italiana, Giur. costituz., 1978, 641; BERRI, Brevi riflessioni sulla �lezione� della Corte comunitaria, Giur. it. 1978, I, l, 1153; Bosco G., Rapporti fra diritto comunitario e diritto nazionale, Cons. Stato, 1978, II, 519; CAPELLI F., Conflitto fra Corte di giustizia di Lussemburgo e Corte costituzionale italiana, Dir. comun. scambi internaz., 1978, 289; CARBONE S.M. e SORRENTINO F., Corte di giustizia o Corte federale delle Comunit� europee, Giur. costituz., 1978, 654; CATALANO, I mezzi per assicurare la prevalenza dell'ordinamento comunitario sull'ordinamento interno, Giust. civ., 1978, I, 816; CoNOORELLI L., Il caso Simmenthal e il primato del diritto comunitario: due Corti a confronto, Giur. costituz., 1978, 669; FRAN PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 637 lame), alle quali � stato applicato il diritto di visita sanitaria, qual'� previsto nella legislazione interna (r.d. 27 luglio 1931, n. 1265,. successivamente modificato dal d.l.C.p.S. 27 settembre 1947, n. 1099, e legge 23 gen:nado 1968, n. 30, ed infine dalla legge 30 dicembre 1970, n. 1239). Le merci importate -precisa il giudice a quo -cadono d'altro fato sotto la disciplina dettata dagli organi della Comunit� economica europea prima .c;on i regolamenti n. 21/62 e 22/62 (del 4 aprile 1962), poi con i regolamenti n. 122/67 e 123/67 (del 13 giugno 1967), relativi all'organizzazione comune dei mercati, rispettivamente nei settori delle uova e del pollame. La normazione test� citata stabilisce, tra l'altro (art. 13 del regolamento n. 122/67; art. 13 del regolamento 123/67) che negli scambi intercomunitari � vietata la riscossione di qualsiasi dazio doganale, o tassa. di effetto equivalente. Nell'ordinanza di rinvio si osserva, altres�, che secondo la ormai ferma giurisprudenza della Corte comunitaria del Lussemburgo, il diritto di visita rientra nell'ambito del divieto cos� configurato. Il conflitto che qui sussiste tra Ja norma interna e la prescrizione comunitaria andrebbe risolto, si dice, secondo i criteri gi� enunciati in precedenti pronunzie dri. questa Corte: e cio�, dirsapplicando la norma interna, se incompatibile con il regolamento comunitario che la segue nel tempo, e ne determina l'implicita caducazione; sollevando invece la questione di costituzionalit�, dove la norma interna sia posta in violazione di un anteriore regolamento comunitario, perch� �a1lora essa sarebbe, in riferimento �all'art. 11 Cost., affetta da un vizio di illegittimit�, del quale conosce esclusivamente il CHINI A., Il diritto comuntario tra Corte di giustizia e Corte costituzion�le, Giust. civ., 11978, IV, 116; MIGLIAZZA, Il giudizio di legittimit� costituzionale e la Corte di giustizia delle Comunit� europee, Riv. proc., 1978, 328; MoNACo, Sulla recente giurisprudenza costituzionale e comunitaria in tema di �rapporti fra diritto comunitario e diritto interno, Riv. europ., 1978, 287; MoscoNI, Contrasto tra norma comunitaria e norma interna posteriore: possibili sv�luppi dopo la sentenza 106/77 della Corte di giustizia, Riv. internaz. priv. proc./ 1978, 515; PAoNE, Primato del diritto comunitario e disapplicazione del diritto degli Stati membri, Riv. internaz., 1978, 429; cfr. anche l'opera collettiva di BARILE, BERRI CAPURSO, CoNDORELLI, GEMMA, LAMBERTI ZANARDI e TREVES, MALTESE, MIGLIAZZA, MONACO, MOSCONI, POCAR, SPERDUTI, TOSATO, T�LCHINI e UDINA, Il primato del diritto comunitario ei giudici italiani, a cura del Centro di difesa e prevenzione sociale, edito da F. Angeli nel 1979). Com'� noto, la Corte del Lussemburgo, reputandosi autorizzata a sindacare la disciplma costituzionale della funzione giurisdizionale all'interno del nostro Paese (in particolare per quanto attiene al rapporto tra la legge e il giudice, ai limiti della giurisdizione ordinaria e ammnistrativa, e all'ordine delle competenze dei singoli giudici), ha nella sentenza 9 marzo 1978 ritenuto che la previsione di una �pregiudiziale costituzion�le necessaria� per la rimozione delle disposizioni legislative nazionali incompatibili con norme comunitarie ad esse anteriori determinerebbe una �riduzione della concreta efficacia del diritto comunitario � e quindi contrasterebbe con i trattati istitutivi delle Comunit�. Ci� ha ritenuto non senza incorrere in una qualche contraddizione: affermando che 638 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO giudice costituzionale. NeHa specie, le norme implicitamente caducate, e da disapplicare, sarebbero quelle che contemplavano il diritto di visita prima dell'entrata dn vigore dei regolamenti comunitari del 1967; sarebbero d'altrn canto costituzionalmente illegittime le altre, che hanno contemplato la riscossione di tale diritto nel 1968 e nel 1970, e cos� disatteso le previgenti norme comunitarie. Diverso, e dncompatibile, sarebbe d'altra parte H criterio sancito dalla Corte del Lussemburgo con la pronunzia resa, in causa 106/77, ex art. 177 del Trattato, sull'interpretazione dell'art. 189 del Trattato medesimo. In detta decisione, avverte il giudice a quo, si � invero affermata la necessaria disapplicazione delle norme interne confliggenti con quelle comunitarie, non importa se runteriori o successive. Di fronte all'alternativa di seguitre l'una soluzione giurisdizionale, anzich,� l'altra, il Tribunale di Milano ritiene di promuovere il giudizio di questa Corte: e a questo fine solleva una prima questione, al cui eventuale accoglimento � subordinato J'incidente di costituzionalit� che concerne la norma regolatrice della specie, com'� qui di seguito precisato. La prima questione � sostanzialmente dedotta in base al seguente ordine di rilievi: a) La giurisprudenza costituzionale italiana sarebbe venuta adeguandosi alla coscienza europeistica, che s.i � intanto diffusa nel paese, fino a riconoscere, non soltanto l'applicabilit� immediata, ma la prevalenza delle norme comunitarie nei confronti delle confliggenti statuizioni del legislatore statale: sempre sull'assunto, tuttavia, che questo risultato si con �qualsiasi giudice nazionale, adito nell'ambito della sua competenza, ha l'obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario�, la Corte comunitaria ha riconosciuto (e non poteva non riconoscere) spettare a ciascuno Stato membro il potere di stabilire l'ambito -e territoriale e per materia e funzionale -della competenza dei �propri giudici (che sono pur sempre giudici nazionali e non organi decentrati delle Comunit�). � gi� stato osservato (CoNDORELLI, op. cit., 670) che �non spetta certo alla Corte delle Comunit� di decisione quando l'atto legislativo nazionale si forma validamente o no,� ed in quest'ultimo caso come tale invalidit� debba essere fatta valere; n� tanto meno le spetta stabilire quali siano i poteri del giudice interno di fronte ad una legge nazionale viziata; n� -meno che mai -le compete il diritto di smantellare il sistema della giurisdizione costituzionale accentrata, previsto dalla Costituzicne di uno Stato membro, per sostituirvi quello della giurisdizione costituzionale diffusa, in riferimento alla supposta esigenza di assicurare un migliore e pi� uniforme rispetto del diritto comunitario. Invece la Corte si arroga proprio tutti questi inediti poteri e pretende di fare le lezioni alla Corte costituzionale, attribuendosi il diritto di rfformare la Costituzione italiana, cos� come essa viene letta dal suo giudice naturale. Richiamare il giudice comunitario a fare il suo mestiere significa ricordargli che esso ha invece il potere di interpretare tanto i trattati comunitari quanto gli atti derivati (dei quali � .inoltre competente a valutare la validit�); ha poi il potere di stabilire quando uno Stato membro viola gli obblighi comunitari, ma ci� solo nel rispetto delle procedure adeguate, che sono quelle sancite negli artt. 169 e 170 CEE, e cio� dietro ricorso della Commissione o di altro Stato membro. La Corte andrebbe .�������.���...�.�.�.-.�.�.��~<'.�Z�:�:�:�:-:�Z�'.�'.�:�:�z-:-:-:-:-:�:�z-:�:�:.-:�z.-:-:�:.-:�:-:�z�:�z-:.-:-:.-:.-;�z.-:-:�:�:-:�~�:�:�.�.�:�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�1.�.�.�.�.�.�.�.�.�-�.�.�-�:.�::::.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.---.-.-.-.-.---.-.-.� --�-:�'.�z�:�:�:�z-:-:-z-:-:-:�:�z-:-:-:-:-:-:-:-:-z-z-:-:-z-:-:-:-:-z�:�z-:-:-:-z-:�:�:-:-:-:�:�:�:�:-:-:-:�:�.�:�:�.�:-:�.�:�z� �.�1'.�.�-�.�.�.�:.�.�.�::::.-/ 639 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE segue in conformit� dei rimedi offerti da11a giustiizia ordinaria o dal sindacato di costituzionalit�, secondo i casi. DaJ canto Joro, i giudici del Lussemburgo avrebbero inteso prescindere da simili ripartizioni delle competenze all'interno de11'ordinamento statale: perci� la suddetta pronunzia interpretativa affermerebbe che il giudice statale disapplica sempre e comunque le norme incompatibfili col diritto comunritario, senza dover attendere o chiedere che esse siano rimosse con legge di abrogazione, o con altro procedimento all'uopo prescritto daJila Costituzione statale (qual �, nell'ordinamento italiano, quello che si conclude con la dichiarazione di i!llegittimit� costituzionale). Per questa via, si soggiunge, viene peraltro a delinearsi una nuova figura di invalidit�, eccettuata dalla cognizione della Corte, in quanto esso implica non l'annullabilit�, ma ila radicaJe nullit� dell'atto leg~slativo interno, rJJevabiile da qualsiasi organo giudicante. b) La Corte costituzionale e i giudici della Corte comunitaria giungerebbero a11e divergenti conclusioni sopra richiamate anche in conseguenza delle �rispettive sistemazioni teoriche dei rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento interno. Questa Corte, si dice, assume l'uno e l'aJtro ordinamento come distinti, ancorch� coordinati secondo il Trattato; l'aJtra li configura invece come reciprocamente integrati, e cos� afferma che ~e norme comunitarie, scaturendo dalla sola fonte che pu� produrle ed estinguerle, sono intangibili dahle norme interne, rispetto alle quali esse acquistano rango superiore. poi invitata a leggere l'art. 171 CEE, a tenore del quale � quando la Corte di giusti2lia riconosca che uno Stato membro ha mancato a uno degli obblighi ad esso incombenti in virt� del presente Trattato ... �, essa non pu� sostituirsi allo Stato inadempiente e riformare il suo ordinamento interno: lo stesso articolo prevede testualmente che, in una ipotesi del genere, lo Stato (e lui solo) � �..� tenuto a prenaere i provvedimenti che la esecuzione della sentenza della Corte di giustizia importa �. Tanto basta per concludere che la Corte � incorsa in un clamoroso eccesso di potere comunitario. Queste considerazioni possono essere condivise. Ma forse non centrano il maggior difetto della sentenza della Corte di giustizia comunitaria: quello di essere rimasta sul terreno processuale, di aver avuto � troppo� presente lo strumento offertole dall'art. 177 del trattato CEE, e di non aver approfondito adeguatamente il discorso sostanziale del rapporto tra norme comunitarie e norme nazionali, forse nel convincimento di aver esaurito tale discorso mediante la formula -la cui portata � ben lungi dall'essere stata esaurientemente analizzata -della supremazia o primato o primaut� del diritto comunitario .Ne � venuta fuori una pronuncia � troppo � semplice, se non altro perch� non tiene conto dei limiti di effettivit� (prima che di competenza) dell'ordinamento comunitario. Nelle sentenze che si commentano, la Corte costituzionale ha, potrebbe dirsi con terminologia militare, � rifiutato il contratto�, prudentemente ed opportunamente riservandosi di dare una risposta in futuro, quando gli equilibri politici tra ordinamento nazionale ed ordinamento comunitario avranno trovato un meno instabile e provvisorio assetto. E' un fatto che, al presente, RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 640 e) Dopo di che, sii prospetta l'ulteriore problema cli stabilire se fa sentenza resa ex art. 177 dalla Corte del Lussemburgo vincoli in ogni caso gli organi statuali, ivi inclusa Ia .Corte; ovvero se -competendo a detti organi cli sindacare la pertinenza della pronunzia alla materia comunitaria -si debba nella specie concludere che la statuizione concernente iJ disposto dell'art. 189 travalica la sfera riservata ai giudici del Lussemburgo ex art. 177, per occuparsi del modo come fa pre\Calenza del diritto comunitario va autonomamente regolata e garantita, nel proprio ambito, dall'ordinamento statuale. Il Tribunale di Milano dtiene, per parte sua, che l'efficacia vincolante della sentenza comunitaria non possa essere revocata in dubbio, anche se pronunciata, come neHa specie, in un procedimento promosso, ex art. 177, da altro giudice nazionale. I due ordinamenti -si osserva al :riguardo, accogliendo il punto d1 vista dei giudici comunitari -sono integrati, di guisa che nel sistema da essi composto non pu�, propriamente, nemmeno darsi alcun conflitto fra norme comunitarie e norme interne. Sorgerebbe, se mai, il solo problema della loro compatibilit�, che in definitiva � risolto, nella via prevista dall'art. 117, ad opera della Corte del Lussemburgo. L'inerenza alla materia comunitaria delle questioni so1levate in quella sede non potrebbe essere allora accertata da altro giudice, che la Corte an2'Jidetta, istituzionalmente investita dell'interpretazione del Trattato. pur essendo trascorsi ventiquattro anni dal trattato di Roma, la costruzione europea (e con essa la sostanza dei rapporti anche di forza tra istituzioni comunitarie e Stati membri e tra questi ultimi) � ancora in fieri, costretta dai limiti vistosi delle aree � messe in comune �, (ad esempio, si vuole � libero� il commercio infracomunitario delle merci prodotte, ma non sono � messi in comune � gli oneri per fronteggiare la disoccupazione dei lavoratori espulsi dalla produzione e i mezzi necessari ad assicurare l'equilibrio dei conti -che rimangono di ciascuno Stato -con l'estero) e collegata con le fonti sostanziali delle � sovranit� � solo in via derivata, per il tramite delle ben pi� corpose realt� statali, effettive detentrici della forza politica, militare e finanziaria, ed investite di immediate e generali responsabilit� nei confronti delle popolazioni. In tale oggettiva situazione, appare non pienamente legittimato -sul piano della legittimazione politica sostanziale -il pur generoso tentativo di forzare a colpi di sentenze il cammino verso traguardi unitari. A ben vedere, la cautela tenuta dalla Corte costituzionale risulta aderente alle effettive attuali scelte costituzionali del nostro Paese, il silenzio finora serbato dal legislatore costituente in ordine alla costruzione europea dovendo essere interpretato come valutazione politica di non ancora raggiunta maturit� e completezza di detta costruzione, e non potendo essere riguardato semplicisticamente come manifestazione di accidia o trascuratezza. Le sentenze in rassegna hanno dichiarato l'inammissibilit� delle . questioni sollevate dai giudici a quibus, dopo aver affermato -con interpretazione della legislazione ordinaria (e quindi con operazione non riservata alla specifica esclusiva giurisdizione della Corte costituzionale) -che le disposizioni nazionali sospettate di incompatibilit� con norme comunitarie erano gi� state � rimosse � in forza di eventi ad esse sopravvenuti che ne avevano determinato 641 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE d) Dato il vincolo scaturente dalla pronuncia comunitaria, prosegue il giudice a quo, si soMeva in questa sede il dubbio, se il disposto che essa ravvisa nell'art. 189 del Trattato, urti, in quanto efficace nell'ordinamento interno, contro il principio delJa soggezione del giudice alla legge (art. 101 Cost.), finch� questa non sia dichiarata illegittima daMa Corte, nei modi prescritti per l'esercizio del sindacato di costituzionalit� (artt. 134 e 136 Cost.). Nell'ordin�nza di l'invio � cos� denunciata, in riferimento ai test� citati parametri costituzionali, l'illegittimit� costituzionale della legge 14 ottobre 1957, n. 1203, nella parte, appunto, in cui rende esecutivo in Italia l'art. 189 del Trattato, come interpretato con la sentenza n. 106/77 della Corte di giustizia. Nel porre la questione, si fa peraltro riferimento alla sentenza n. 183/73. In detta pronuncia, ricorda il giudice a quo, questa Corte si � riservata di sindacare la perdurante compatibilit� del Trattato con la Costituzione, pur escludendo che i singoli regolamenti comunitari -atti diversi dalJe leggi statali -siano innanzi ad essa impugnabili. La riserva cos� avanzata opererebbe quando la Corte fosse chiamata ad accertare se .l'esercizio dei poteri affidati agli organi della Comunit�, deviando dalle finalit� stabilite nel Trnttato, 1.�:inisca per vuJnerrure i principi fondamentali del nostro ordinamento o i diritti inalienabili della persona umana. In una &i.mile evenienza, la compressione della sovranit� statuale, che � altrimenti consentita dall'art. 11 Cos.t., viene preclusa, si osserva, in virt� di una � controlimitazione �, posta a salvaguardia dell'ordine istituzionale interno. I precetti costituzionali di cui si �la estinzione o la caducazione �; ci� sulla base della premessa che � indefettibile presupposto per la rilevanz� ,, di una questione di costituzionalit� � la non avvenuta anteriore rimozione della disposizione sottoposta all'esame della Corte costituzionale. Implicito, ma non ribadito, � rimasto il principio secondo cui la incostituzionalit� di leggi nazionali posteriori a norme comunitarie, per incompatibilit� con queste, pu� essere nel nostro ordinamento dichiarata unicamente dalla Corte costituzionale e non, in modo diffuso, dai giudici ordinari o amministrativi aditi dagli interessati. Peraltro, il linguaggio usato in queste sentenze -pur di inammissibilit� lascia chiaramente trasparire che la Corte costituzionale reputa necessaria una approfondita rimeditazione, sul terreno sostanziale pi� che su quello processuale, dei rapporti tra norme comunitarie e norme nazionali: si parla infatti di � rimozione ,, e � caducazione ,, delle norme, anzich� di � abrogazione "� cos� indicandosi la strada di un superamento degli strumenti concettuali sinora utilizzati e di un pluralismo delle vicende che -per conseguenza della sovrapposlZlone di norme nuove ad altre preesistenti -producono l'effetto di disattivazione (o, se si preferisce, di inefficacia per l'avvenire) delle norme preesistenti. Ed in effetti, per venire a capo della complessa problematica sollevata (rectius, evidenziata, ch� era gi� nell'aria da alcuni anni) dalla citata sentenza 9 marzo 1978, appare necessario porre preliminarmente due punti fermi, e cio�: 1) la soluzione deve essere trovata a Roma e non al Lussemburgo, posto che le sentenze comunitarie non sono in grado (e, per di pi�, non sono legittimate) ad operare modifiche agli assetti costituzionali italiani, se manca una RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 642 prospetta la lesione andrebbero dunque fat~i assurgere al piooo in cui risiedono i fondamentali ed irrinunziabili valori costituzionali, perch� la questione si criveli fondata. Diversamente, andrebbe accolta Ja tesi sancita nella pronunzia comunitaria, e dovrebbe ritenersi che nelJ'ordinamento interno si � �reso operante ex art. 11 Cast., iJ criterio della disapplicabilit� immediata delle norme contrarie a1 diritto comunitario, qual � dvi configurato. Pur adottando tale ultima soluzione, la' Corte potrebbe, del resto, enucleare dal contenuto della costituzione materiale altri inderogabili valori, �e garantirne l'osservanza con l'estendere il suo controllo 1ai regolamenti comunitari: i quali, si soggiunge, risulterebbero in questa prospettiva integrati nel sistema degli atti normativi interni, e cos� assoggettabili al sindacato di costituzionalit�. La 1seconda questione � poi prospettata sull'assunto che la Corte ritenga la fondatezza della prima, affermando il proprio potere di sindacare le norme interne che contraddicono al pcrevigente diritto comunitario. Precisamente, sono censurate, per asserito contrasto con .l'art. 11 Cost., le norme istitutive del diritto di visita, che si denunziano come [esiive degli artt. 9, 12, 13 e 95 del Trattato, e dei regolamenti comunitari n. 122 e n. 123 del 1967. Una riflessione s'impone subito con riguardo al nesso d[ dipendenza logica, com'� posto neH'o11dinanza di rinvio, della seconda questione dalla prima: la quale ultima investe, nei termini sopra .precisati, la compatibiHt� fra J~art. 189 del Trattato e la soggezione al sindacato di costitu attiva rispondenza degli organi legislativi, amministrativi e giurisdizionali del nostro Paese; 2) la soluzione deve essere trovata sul terreno sostanziale dianzi indicato, e non pu� essere ricercata sul terreno dei limiti delle diverse giurisdizioni costituzionale, ordinaria (in senso lato), europea -e dei rapporti tra loro; non poco distorsivo � infatti un approccio del tipo � come risolvere il conflitt� tra Corte del Lussemburgo e Corte costituzionale�, mentre -d'altro canto poco corretto � far leva sui giudici ordinari (sempre nel senso pi� lato) e vellicarne l'eventuale protagonismo per tentare di scardinare � dal basso� un assetto costituzionale. l'osti questi due punti fermi, si deve anzitutto, ritenere intangibile il canone -fondamentale nella Costituzione italiana (come del resto nelle Costituzioni degli altri Stati membri) della subalternit� del giudice alla legge (art. 101 Cost.), canone ribadito nella sentenza Corte cost., n. 232 del 1975 proprio in relazione alla impossibilit� per il giudice ordinario di � d,isapplicare � sic et simpliciter le leggi nazionali, sia pur in nome di una asserita prevalenza del diritto comunitario. Rimangono quindi obbligate altre strade, delle quali alcune indicazioni vengono dalla stessa Corte costituzionale. Una prima indicazione � contenuta, appunto, nella sentenza n. 176 che qui S:I commenta, la quale ha introdotto (rectius, ha valorizzato) una sorta di articolo 12 bis delle preleggi affermando (in coerenza con quanto in altra occasione ritenuto anche dalla Corte di cassazione) che � fra le possibili interpretazioni � di una disposizione legislativa deve essere preferita quella che assi} I'. 1: ' I~ f f ~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 643 zionalit� delle leggi interne, che divergono da anteriori statuizioni comunitarie. Ora, il problema cos� prospettato rileva per .l'esame della seconda questione -e questa acquista, a sua volta, rilevanza per la definizione del giudizio a quo, che concerne le norme istitutive del diritto di visita evidentemente ad una condizione: le norme censurate devono essere assoggettabili al controllo della Corte; occorre perci� che esse non risultino rimosse in forza di alcun titolo, che ne determini l'estinzione e la caducazione nel caso di specie. Per le considerazioni che seguono, tale rilevanza, invece, difetta: con il risultato che l'una o l'altra delle proposte questioni vanno dichiarate inammissibili. Nella questione che si solleva in v<ia subordinata vengono -� stato premesso -denunciate due leggi nazionali, come successive ed incompatibili r1spetto ai regolamenti comunitari del 1967: Ja legge n. 30 del 1968 e la legge n. 1239 del 1970, con le annesse previsioni tabellari (i prodotti cui afferiscono le importazioni nel giudizi� a quo figurando ,rispettivamente indicati ai nn. 8, 16 e 17 della tabeHa del 1968 e alle lettere B. I e H in quella del 1970). Ora, la prima delle dette leggi � abrogata e sostituita dalla seconda. Diversamente, dunque, da quel che si assume nel provvedimento di remissione, sarebbe, semmai, la sola legge del 1970 a dettare il regolamento della specie. Ma, in proposito, occorre anzitutto osservare che il diritto di visita sanitaria � stato soppresso con legge 14 novembre 1977, n. 839 (�importazione ed esportazione di bestiame, carni, prodotti ed avanzi di carni animali, e per i paesi della Comunit� Economdca Europea. Soppressione dei diritti di visita sanitaria�). cura la compatibilit� dell'ordinamento nazionale a quello comunitario. Trattasi di un primo importante passo che la Corte ha fatto recependo l'avviso di chi (CONDORELLI, op. cit., 672) aveva in precedenza osservato: � In effetti, quando il Parlamento italiano ha fin qui dettato norme contrastanti col diritto comu nitario, lo ha sempre fatto inavvertitamente, e cio� senza averne minimamente mtenzione. Tanto basta per constatare come si tratti del terreno ideale in cui il giudice, senza stare a scomodare la Costituzione, potrebbe operare per risolvere i conflitti impiegando il collaudatissimo criterio della presunzione di conformit�, teorizzato in maniera insuperata da Dionisio Anzilotti e da Donato Donati, nonch� utilizzato abbastanza di frequente dalla giurisprudenza :negli mtimi decenni. � il criterio secondo cui, tra varie interpretazioni possibili di mia norma nazionale, il giudice deve preferire quella conforme agli impegni mternazionali dello Stato a tutte le altre, in base alla presunzione che il legi slatore non abbia voluto far incorrere lo Stato nella responsabilit� interna zionale �. In senso sostanzialmente conforme CONFORTI, Regolamenti comunitari leggi nazionali e Corte costituzionale, Foro it., 1976, I, 542, e BARILE, op. cit., 645. Va aggiunto che -in entrambe le sentenze n. 175 e n. 176 -la Corte costituzionale ha ricordato la necessit� di tener co~to anche della normativa comunitaria successiva alla disposizione nazionale sospettata di incostituzio nalit� per incompatibilit� con anteriori norme comunitarie. Un secondo passo potrebbe essere compiuto dal legislatore ordinario me diante una integrazione all'art. 15 delle preleggi volta a disattivare l'effetto di abrogazione delle norme comunitarie ad opera di leggi nazionali sopravvenute, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 644 Di quest'atto legislativo importa richiamare Ja disposizione contenuta nell'art. l, cos� testualmente formulata: �I diritti di visita sanitaria, di cui �alla tabella annessa alla legge 30 dicembre 1970, n. 1239, non sono dovutd sui prodotti soggetti ad organizzazione comune dei mercati agricoli, nonch� sugli altri prodotti indicati nella tabella stessa, in importazione ed esportazione interessanti il territorio di uno degli Stati membri della Comunit� Economica Europea �. Il giudice a quo osserva che, con ci�, nulla si dispone per fa restituzione delle somme ihlegittimamente riscosse dall'Amministrazione, in applicazione del soppresso diritto. Si assume dunque che la test� citata statuizione abrogatrice disponga soltanto per il futuro, senza toccare la specie sottoposta all'esame del Tri� bunale di Milano, per non avere espressamente derogato la regola dell'irretroattivit� della Jegge, posta nell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. Senonch� una deroga siffatta -rimessa alla prudente valutazione del legislatore fin dove non contrasti con precetti o principi costituzionali -non deve essere necessariamente disposta in modo espresso, ma pu� anche risultare voluta, in base ai comuni canoni ermeneutici, esaminando, prima di tutto, se 11.'effetto \retroattivo sia giustificato dallo scopo, che la norma persegue. E nella specie, vi � un dato, che si desume con certezza, sia dalla relazione dei ministri proponenti il relativo disegno, sia dai lavori della commissione parlamentare in sede deliberante: Ja legge n. 889 del 1977 � diretta a sopprimere il diritto di visita sanitaria in tutto l'ambito, in cui la preesistente legislazione confliggeva ogniqualvolta un siffatto effetto di abrogazione non sia a queste esplicitamente nttr1buito dal legislatore nazionale (qualcosa di simile � previsto dall'art. 1, .~omrna secondo, della legge 7 gennaio 1929, n. 4): una siffatta deroga depotenzierebbe le disposizioni nazionali emanate in non piena e non proclamata consapevolezza della loro incompatibilit� con norme comunitarie. In effetti, l'effetto di abrogazione di una norma da parte di una norma successiva � accadimento interno ad un ordinamento configurato come unitario, accadimento determinato da una attitudine -riconosciuta da tale ordinamento alla fonte successiva -a disciplinare l'oggetto regolato dalla norma preceuente (cfr. ESPOSITO, Consuetudine (dir. cost.), in Enc. dir., IX, 1961, 468). L'effetto di abrogazione �, secondo autorevoli insegnamenti (cfr. PuGLIATTI, Abrogazione (teoria generale), in Enc. dir., I, 1958, 141; CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, 1971, 164), conseguenza di una inesauribilit� e continuit� della funzione normativa, la quale deve seguire la domanda di � innovazione� che sale dalla collettivit� cui le norme nuove sono destinate. In quest'ottica, il criterio lex posterior derogat priori � semplice strumento per la soluzione delle antinomie tra norme appartenenti allo stesso ordinamento (ad opera di un giudice competente ad interpretare e la lex posterior e la legge anteriore), e non postula una superiorit� della lex posterior sulla anteriore, che anzi en� trambe sono commisurate ed integrate dalla disposizione che disciplina il prodursi dell'effetto abrogativo; sicch� la prevalenza della lex posterior risulta piuttosto il prodotto di una norma positiva, per certi versi tecnica, volta ad assicurare in modo pressoch� automatico la funzionalit� di un sistema norma ---- PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 645 con iil divieto, sancito nel diiritto comunitario, delle misure fiscali equivalenti al dazio doganale. Per questa via, si legge peraltro nella suddetta relazione, Jo Stato avrebbe rimediato all'inadempimento di un obblri.go scaturente dal Trattato di Roma, e scongiurato le conseguenze del ricorso alla procedura ivi prevista all'art. 189, e gi� promossa daHa Commissione della C.E.E. Va poi ricordato che l'osservanza del Trattato istitutivo della C.E.E. e della normazione da essa deriivata, si atteggia nell'ordinamento interno come un limite, al quale la legge deve conformarsi. Secondo Costituzione, il diritto comunitario prevale sul diritto interno incompatibile, come questa Corte ha in varie pronunzie chiarito. Si deve dunque ritenere che il legislatore, statuendo � i diritti di visita sanitaria non sono dovuti� non abbia disposto solo per l'avvenire: ma abbia voluto esonerare il privato dalla previgente misura fiscale, pienamente e precisamente, come richiestQ dalla necessit� di adattare la legislazione italiana alle esigenze derivanti dal Trattato. Il che, poi, implica che la previsione del diritto di visita si consideri rimossa nella tivo, che non la conseguenza di un rechtslogischer Prinzip riconducibile diretr:: imente alla norma fondamentale (in tal senso, MERKL, Die Lehre von der Rechtskraft, 1923, 240; contra, KELSEN, Das Problem der Souverii.nitii.t und die Theorie der Volkerrechts, 1928 115). Ci� detto, appare evidente la opportunit� di affrontare la problematica de qua considerandola in termini dinamici, come � regimentazione dei flussi di norme� (uso deliberatamente una terminologia �idraulica�), anzich� in termini statici, come raffronto tra singole disposizioni date (e datate). Ed invero sia il legislatore nazionale sia quello (legislatore in senso lato) comunitario sono iegittimati a produrre norme destinate a cadere sui medesimi soggetti ed a regolare gli stessi oggetti, in altre parole a confluire in un unico alveo; ci� per� accade -con tutto il dovuto rispetto per coloro che aspirerebbero ad un superamento tranchant delle costruzioni � dualiste � o � pluraliste � -ope-. rancto l'uno e l'altro dei legislatori anzidetti nell'ambito del proprio ordinamento cne rimane distinto anche se riconosce l'altro e perci� stesso non � separato (1). (1) Mi si consenta di richiamare quanto scritto nello scritto Le comunit� europee e l'Awocatura dello Stato (facente parte dello Studio per il centenario dell'Awocatura dello Stato, 1976, 514). ... Dunque non pare contestabile che l'ordinamento comunitario presenta tuttora caratteri di ordinamento � derivato �, in quanto � nato e vive strettamente legato alla volont� comune dei sei (oggi nove) stati contraenti. Esso inoltre presenta caratteri d'ordinamento �particolare� (e conseguentemente �settoriale�) in quanto � rivolto a finalit� specifiche e a disciplinare soltanto settori delimitati dalla vita sociale degli stati membri: di qui la necessit� e l'importanza delle relazioni tra i settori affidati alle Comunit� e tutti gli altri settori rimasti affidati agli Stati, relazioni che si svolgono su un piano, per cos� dire, orizzontale e continuo, Comunit� e Stati operando complementarmente, contiguamente e pariteticamente. Quanto precede conduce a ritenere meritevoli di attenzione, pi� che la reciprocaseparazione e autonomia dell'ordinamento delle Comunit� rispetto a quello di ciascuno degli Stati, l'essenza e modalit� del coordinamento e della cooperazione tra tali ordina� menti e tra le istituzioni proprie di ciascuno di essi. A ben vedere, la separazione e distinzione tra ordinamenti evoca solo un sistema di limiti negativi complementari tra loro, ed � strumento di salvaguardia invocato, per solito, dall'ordinamento che, in un dato momento storico, ritiene di essere pi� debole; mentre, al contrario, coordinamento e cooperazione implicano una dose (maggiore o minore, a seconda delle circostanze)1 di integrazione e cio� rapporti pi� stretti tra gli ordinamenti, e implicano una qualche preminenza di un ordinamento su un altro. Ci� traspare con chiarezza dalla evoluzione degli orientamenti della giurisprudenzadella Corte di giustizia delle Comunit� europee, in concomitanza con il rafforzarsi della 646 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sfera del diritto interno dal momento in cui essa risulta, ai sensi del diritto comunitario, incompatibile con la proibizione del dazio doganaJe. Spetta all'interprete individuare quest'insorgenza deH'effetto abrogante, in relazione, da un canto, alla voce tabellare che andrebbe in concreto applicata, dall'altro, alle statuizioni degli organi comunitari. che sanciscono il divieto di appJicarla, nel corrispondente settore dell'organizzazione comune del mercato. Ora, nell'ordinanza di rinvio si afferma che siffatto divieto era internamente efficace -per quel che concerne il procedimento pendente avanti il Tribunale di Milano -ancor prima dell'emanazione dell'abrogata legge del 1970. Si osserva, quindi, dallo stesso giudice a quo che fa disposizione istitutiva del diri.tto di visita, posta in tale ilegge, contraddice -insieme con Ja rilevante previsione deH'annessa tabella, ed in questo caso ab initio -il precetto comunit�i. rio. Se la specie � cos� costruita, ne segue, per le ragioni or om dette, che essa cade sotto il disposto della norma abrogante sin daill'entrata in vigore della ilegge del 1970. Una conferma dei rilievi fin qui svolti si ha, del resto, sol che si guardi aJ diverso atteggiarsi di altre figure di abrogazione, sempre in ordine a tasse equivalenti al dazio doganale. I due flussi di norme nascono dunque � diversi �; per il che inappropriato appare il ricorso ad uno strumento concettuale -l'abrogazione -utile invece per regolare la successione nel tempo di norme prodotte tutte nell'ambito di uno stesso ordinamento. Ovviamente, tale inadeguatezza dello strumento abrogazione tenderebbe a manifestarsi nei due sensi, nei riguardi della norma statale anteriore a quella prodotta dalla Comunit� (a questo fine -va precisato -i trattati resi esecutivi con leggi nazionali si intendono non compresi tra le norme comunitarie), e nei riguardi della norma prodotta dalla Comunit� anteriore a norma statale. La confluenza dei due flussi di norme nello stesso unico alveo avrebbe potuto essere prevenuta mediante � chiuse � atte ad interrompere uno dei due flussi, ossia operando sul piano della competenza a legiferare. Se si fosse adottata costruzione comunitaria. A una J?rima fase, ormai lontana, nella quale tale Corte ha postol'accento sulla � rigorosa separazione fra i poteri delle istituzioni comunitarie e quelli degli Stati membri � e su � il fatto che il diritto interno... e il diritto comunitario costituiscono due orientamenti giuridici distinti e diversi �, � seguita, ad opera della stessa Corte, daP.prima la valorizzazione del ruolo degli individui (persone fisiche o giuridiche) quali utili coadiutori per l'attuazione dell'ordinamento comunitario all'interno dei singoli Stati, e poi l'affermazione della � integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che promanano da fonti comunitarie � e, congiuntamente, della � preminenza del diritto comunitario �; mentre, in altra sentenza di poco successiva, � stato sottolineato il momento della cooperazione tra istituzioni, e precisamente si � parlato di una � cooperazione fra giudici... la cui caratteristica consiste nel fatto che il giudice nazionale e la Corte di giustizia, ciascuno, entro i limiti della propria competenza ed allo scopo di garantire l'applicazione uniforme del diritto comunitario, devono collaborare direttamente all'elaborazione della decisione �. La preminenza dell'ordinamento comunitario nelle materie ad esso devolute � stata poi ancor pi� vigorosamente sostenuta, in relazione -si noti -ai � conflitti tra norme comunitarie e norme nazionali� (in materia di intese), affermandosi che tali conflitti vanno risolti applicando il principio del � primato del diritto comunitario �. A questo punto sono rimaste piuttosto talune giurisdizioni nazionali a sottolineare il momento della separazione e reciproca autonomia degli ordinamenti comunitario e statale: un esempio � offerto dalle sentenze della Corte costituzionale italiana (sulle quali si torner� tra breve), ove si configurano � orbite giuridiche separate � e � sistemi giuridiciautonomi e distinti, ancorch� coordinati � ���� I I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 647 Tale � il oaso della legge 24 giugno 1971, n. 447, nella quale si dice, all'art. 2, che il diritto di statistica � abolito, sempre in quanto incompatibile con le prescriziioni comunitarie, da1la �data di entrata in vigore� della stessa legge. Si vede in questa specie come la retroattivit� dell'atto abrogativo -in quanto essa si connette funzionalmente con l'adegua. mento del1a normazione interna agli obbl~ghi comunitari -non possa essere esclusa, in via di presunzione, daU'interprete. Invero, nel citato articolo della legge del 1971, � inserita una espressa ed apposita previsione, appunto per disporre che l'abolizione del diritto di statistica non retroagisoe, e decorre, invece, dall'entrata in vigore della legge suddetta. H difetto, nel1a legge del 1977, di un analogo regolamento degli effetti temporali dispiegati dalla norma abrogante costituisce, quindi, un ulteriore ausilio interpretativo a conforto del risultato sopra raggiunto. A ci� si aggiunge che la legge del �1971 � stata emanata prima che la Corte stabilisse, nel corso di successive decisioni, il sicuro fondamento costituzionale della prevalenza e dell'applicabilit� immediata del diritto comunitario. L'assetto poi dato ai 1rapporti tra questo diritto, e le norme prodotte dal legislatore nazionale, offre all'interprete un altro ed assorbente titolo giustificativo del1a soluzione, che si � detto soccorrere nel caso in esame: in definitiva, si viene ad adottare, fra le possibili interpreta:zJioni della norma che sopprime il diritto di visita, quella conforme, sia alle prescrizioni degli organi della Comunit�, sia ai principi del nostro stesso questa soluzione, le norme prodotte dall'ordinamento incompetente sarebbero eliminate perch� invalide, e non i meccanismi propri della repressione degli atti invalidi. Come � noto, non � questa la soluzione adottata: � stata -ed oppor� tunamente -preferita la soluzione di non impedire la confluenza dei due flussi (ferma restando -s'intende -la possibile invalidit� della normativa comunitaria nell'eventualit� siano superati i limiti del relativo ordinamento), e di far �precipitare al fondo � le norme statali incompatibili con quelle comunitarie. Il fatto che si usi il metro della � incompatibilit� ,, non deve per� indurre a ritenere che un siffatto " precipitare al fondo � altro non sia se non un effetto abrogativo: in realt�, uno stesso metro � utilizzato per fenomeni ontologicamente diversi. Si tratta, dunque, di vedere come -restando entro i termini della nostra Costituzione scritta (e che non si intende modificare) -possa pervenirsi al risultato di far �precipitare al fondo � dell'alveo le norme nazionali incompa tibili con il diritto comunitario: risultato, questo, che solo l'ordinamento statale (e non quello comunitario) pu� disporre acch� venga prodotto al suo interno. Per le norme nazionali anteriori il nostro �diritto vivente� ha, com'� noto, operato mediante una sostanziale equiparazione quoad effectum del sopravvenire di una norma comunitaria al sopravvenire di una lex posterior, ossia configurando l'effetto prodotto dal sopravvenire della norma comunitaria incompatibile come se fosse un effetto di abrogazione. L'identit� del metro -� incompatibilit� � -ha facilitato e reso quasi naturale tale operazione, ma ha determinato equivoci, avendo posto in ombra il � come se � di cui si � detto. In realt�, che non si tratti di vera abrogazione � palese: diversi sono i � flussi � di prove RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 648 ordinamento, che garantiscono ~a osservanza del Trattato, e delle norme da esso derivate. Vi � ancora un aspetto della presente indagine, sotto il quale va preso in considerazione il vigente rngime dei rapporti tra norme comunitari. e e norme intern~. Il diritto di visita � abolito -si � detto -in tutta quell'area, nella quale, secondo ~e prescrizioni della C.E.E., deve esserne esclusa l'applicazione. Nell'ambito cos� definito, il congegno della abrogazione espressa agisce, d'altra parte, in ogni caso: e cos� anche quando si siano gi� verificati gli effetti caducatol'i (equivalenti, nell'ordinamento interno, a quelli dell'abrogazione implicita), che si connettono con la produzione di norme comunitarie successive ed incompatibili, rispetto alla Jegge n. 1239 del 1970, e a1l'iannessa tabella. Ora, la Corte ritiene che gli effetti oaducatori test� descritti colpiscano solo la norma costituita dalla singola voce tabeHare, sotto la quale i regolamenti comunitari siano volta a volta venuti ad incidere nel possibile campo di applicazione del diritto di visita. Detto ci�, si affaccia la seguente conclusione: il legislatore del 1977 ha abrogato legge e tabella del 1970, in via generale e per ragioni di uniformit� e certezza di disciplina, mentre il fenomeno estintivo delle norme interne, connesso al sopravvenire della normativa comunitaria ha la circoscritta incidenza, che sopra si rilevava. Ma ci� non toglie -anzi necessariamente comporta -che si attribuisca la stessa decorrenza temporale all'abrogazione espressa della legge del 1970, nel suo complesso e alla puntuale ed implicita nienza delle norme a raffronto, diversa la loro legittimazione costituzionale e politica (come del resto confermato dalla circostanza, non poco significativa, della non casuale assenza di disposizioni comunitarie di abrogazione espressa di disposizioni nazionali). Per le norme nazionali posteriori non era (e non �) utilizzabile lo strumento abrogazione; e non si � trovato -gi� elaborato e pronto all'uso -un qualche altro strumento atto ad operare sul piano dei limiti di efficacia. Era (ed �) invece disponibile lo strumento -gi� noto ed operante sul piano della invalidazione -della pronuncia di illegittimit� costituzionale, che infatti � stato utilizzato, assumendosi a parametro l'art. 11 Cost. Due vicende diverse quindi per ottenere lo stesso risultato di � precipitare al fondo � dell'alveo le norme statali incompatibili, e per regolare manifestazioni tutto considerato non molto dissimili del medesimo fenomeno; ed in effetti (se si esclude, come doveroso, l'ipotesi di lex posterior nazionale volutamente contra foedus) non pare che le prerogative sovrane del nostro Parlamento e del nostro Stato sarebbero vulnerate dalla inefficacia (o, se si preferisce, inutilit�) della l�x posterior nazionale piii. di quanto gi� non siano vulnerate dalla inefficacia, per abrogazione implicita, della legge nazionale anteriore rispetto alla sopravvenuta norma comunitaria incompatibile (come confermato dalle sentenze in rassegna, che rammentano la necessit� di valorizzare le norme comunitarie successive alla stessa legge asserita come posteriore). Quanto sin qui osservato induce a ritenere percorribile la strada dianzi prospettata -di una integrazione all'art. 15 delle preleggi. La non pro PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 649 caducazione delle voci tabellari: l� dove, s'intende, sia nella specie intervenuto anche quest'ultimo evento normativo. L'aboli:zJione del diritto di visita � stata -in sede di abrogazione espressa -infatti prevista, con esclusivo riferimento � ai prodotti soggetti ad organizzazione comune del mercato�; Ja disposi:zJ�.one che contemplava tale onere pecuniario � soppressa sempre in ragione, oltre che nei limiti, della sua incompatibilit� con le prescrizioni comunitarie: e dunque dal momento, al quale tale incompatibilit� Vla fatta risalire dalJ'interprete, come si � spiegato. Resta da aggiungere un ultimo e decisivo rilievo. U giudice a quo assume che non solo la legge di abrogazione del 1977, ma nemmeno altri eventi normativi, quale sarebbe la sopravvenienza di un incompatibile regolamento comunitario, abbiano comunque estinto l'efficacia delle norme rego1atrici dehla specie. Cos� non �, tuttavia. Altra normativa comunitaria � intervenuta nella materia, che formava oggetto dei regolamenti n. 122 e 123 deJ 1967. Questi due 1atti sono i s.oli consideriati dal giudice a quo, che deduce, nella seconda delle prospettate questioni, fa loro �anteriorit� nei confronti delle leggi del 1968 e del 1970, in conseguenza denunciate come illegittime, per presunta violazione dell'art. 11 Cost. Non si tien conto, per�, delle norme comunitarie pi� recenti: queste contenute nei regolamenti n. 2771 del 1975 e n. 2777 del 1975, relativi rispettivamente �all'organizzazione comune duzione ad opera della lex posterior nazionale dell'effetto di abrogazione ben potrebbe giustificarsi in un'ottica di pluralit� degli ordinamenti giuridici e di distinzione dell'ordinamento comunitario da quello nazonale. E' ben vero che siffatta soluzione, oltre a determinare una certa �asimmetria � (le norme comunitarie conformi ai trattati istitutivi delle Comunit� e successive a leggi nazionali continuerebbero a caducare queste ultime: cfr. la sentenza n. 163 del 1977 della Corte costituzionale), lascerebbe irrisolti i problemi derivanti dalla compresenza di norme (comunitarie e nazionali) tra loro incompatibili e cpnfliggenti; e quindi di comandi e/o divieti e/o permessi �contrari� o �contraddittori� (BoBBIO, Teoria dell'ordinamento giuridico, Giappichelli, .1%0, '87); tali problemi si concreterebbero tuttavia non nella insolu]Jilit� di vere e proprie antinomie (che possono aversi solo tra norme appartenenti allo stesso ordinamento), ma in inconvenienti �pratici� superabili in molti casi mediante operazioni di � interpretazione abrogante � (BOBBIO, op. cit, 106) compiute da giudici ordinari o amministrativi di �hiiarati a ci� competenti (ev.entuiaillmente con aooorg.imenti deJI genere di quelilii previsti dall'art. 23 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 o dall'art. 796 cod. proc. civ.), anche mediante applicazione di quella sorta di art. 12 bis delle preleggi di cui si � detto dianzi; Nei casi di non superabile incompatibilit� rimarrebbe pur sempre aperto il rimedio del sindacato di costituzionalit� sulla disposizione legislativa nazionale posteriore. � Ovviame~te, la possibilit� per i giudici di procedere ad � interpretazione �brogante � dovrebbe rimanere subordinata ad una previa interpretazione, per cos� dire autenticata, della normativa �comunitaria ad opera della Corte di giu 650 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dei mercati nei settori delle uova e del poJJame (l'uno e l'altro adottati 650 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dei mercati nei settori delle uova e del poJJame (l'uno e l'altro adottati dal Consiglio della C.E.E. il 29 ottobre 1975 ed entratri in vigore prima della data in cui � stato emesso il provvedimento di remissione). Il divieto della riscossione di qualsiasi dazio doganale o tassa di effetto equivalente si trova espressamente sancito nell'art. 11.2 di ciascuno di questi pi� �recenti regolamenti comunitari, i quali seguono in ordine di tempo WJ.e norme istitutive del diritto di visita. Operando dl divieto comunitario come detti atti prescrivono, le confliggenti norme interne, censurate in questa sede, devono -secondo il criterio enunciato dalla Corte, e richiamato nella stessa ordinanza di rinvio -considerarsi implicitamente caducate: e ci� -occorre precisare -sempre dal momento in cui esse risultano incompatibili con il divieto che, posto nella precedente normativa comunitaria, � stato nella specie confermato dai successivi �regolamenti della C.E.E. Di qui il necessario risultato che, riguardo alle anzidette disposizioni interne, non pu� essere instaurato alcun giudizio di costituzionalit�. Questa conclusione, va infine avvertito, s'impone anche a voler prescindere dalla legge cli. abrogazione del 1977, e dalle osservazioni sopra esposte in ordine ai suoi effetti temporali. La questione � comunque inammissibile. stizia delle Comunit� europee: le sentenze rese da detta Corte potrebbero pertanto costituire il fondamento delle operazioni ermeneutiche di adeguamento d�l-� l'ordinamento nazionale a quello comunitario. Un terzo passo potrebbe essere costituito dalla previsione di una procedura a livello di autorit� di Governo (procedura nel cui ambito l'Avvocatura dello Stato, competente per il contenzioso comunitario, potrebbe assumere un ruolo consultivo e propositivo) per la risoluzione non giudiziaria delle incompatibilit� tra ordinamento comunitario e ordinamento statale incidenti sulle attivit� amministrative. Appare infatti incongruo affidare solo a giudici il compito di risolvere -in esito a processi inevitabilmente costosi e di lunga durata -i problemi posti da disarmonie tra i predetti ordinamenti. Con il compimento di questi tre passi, potrebbe ritenersi sufficientemente eliminata -sul piano empirico, che poi � anche il piano (rilevante per un ordinamento per tanti versi ancora internazionale) della � effettivit�� -quella � riduzione della concreta efficacia del diritto comunitario � che ha indotto la Corte del Lussemburgo a ritenere contrastante con il trattato di Roma la previsione di una � pregiudiziale costituzionale necessaria� (quale ravvisata dalla giurisprudenza della nostra Corte costituzionale). L'approccio empirico qui prospettato (e che � suggerito in modo neppur molto recondito dalla Corte costituzionale con le sentenze in rassegna) ovviamente lascia irrisolti i problemi di fondo, per affrontare i quali appare per� doveroso porre premesse diverse da quelle solitamente adottate dai giuristi che si occupano di diritto comunitario. La tendenza di costoro � di avvicinarsi ai problemi cui si � fatto cenno in un'ottica essenzialmente normativistica, avendo PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 651 II Nel presente giudizio sono censurati, per asserito contrasto con l'art. 11 Cost., gli articoli unici delle foggi 23 gennaio 1968, n. 30, e 30 dicembre 1970, n. 1239. Dette disposizioni prevedono il diritto di _visita sanitaria, che si riscuote, ai confini dello Stato, per J'iimportazione (od esportazione) del bestiame, o dei prodotti ed avanzi animali indicati nelle annesse tabelle. Esse vengono denunziate come incompatibili, ai sensi del diritto comuni1Jario, con il divieto del dazio doganale, e delle tasse di effetto equivalente, fra le quali il diritto di visita andrebbe sic:uramente annoverato. (omissis) Detto ci�, l'ammissibilit� de1la questione va subito controllata sotto altro riflesso. Come si � premesso, la violazione dei .regolamenti comunitari � dedotta con esclusivo triferimento a1l'ipotesi in cui essi precedono la norma nazionale: la quale deve dunque dettare il regolamento della specie, senza che 1altro evento normativo ne intacchi, a sua volta, ~'efficacia. Questo evidente ed indefettibHe presupposto per Ja .rilevanza del problema di costituzionaHt� sottoposto a1l'esame della Corte sussiste, solo in quanto la norma istitutiva del diritto di visi1Ja non risulti gi� rimossa, in forza di un qualche titolo, che ne determini la estinzione o la oaducazione nel oaso di specie. Il che, per tragioni qui di seguito esposte, � invece da escludere. Il diritto di visita � stato soppresso -occorre anzitutto osservare con Jegge 14 novembre 1977, n. 889, che aH'art. 1 cos� recita: �I diritti di visita sanitaria, di cUJi alla tabella annessa alla legge 30 dicembre 1970, n. 1239, non sono dovuti sui prodotti soggetti ad organizzazione comune dei mercati agricoli, nonch� sugl!i altri prodotti indicati nella tabella presenti rapporti e gerarchie tra norme giuridiche e trascurando invece la dinamica politica che vi sta dietro, quasi che i fenomeni di prevalenza e di subordinazione tra norme non esprimessero situazioni di prevalen.za e di subordinazione tra i poteri che attraverso quelle norme si manifestano; nonch� tra le forze reali, pre-giuridiche, di cui tali poteri sono espressione. Il discorso torna dunque al punto del quantum di responsabilit� (prima che di potere) che le istituzioni europee, e collegialmente gli Stati che della Comunit� fanno parte, sono in grado di assumere nei riguardi delle popolazioni: una Comunit� la quale rimanga ancora all'attuale livello di struttura inter-governativa in attesa che accanto ad essa vengano costruite organizzazioni di forze politiche a dimensione continentale ed una sede parlamentare di confronto e di decisione, una Comunit� la quale -per motivi pur legittimi, quali quelli determinati dai limiti delle aree � messe in comune � o dall'eseguit� delle risorse del bilancio comunitario -non assuma su di s� parte cospicua dei pesi e delle responsabilit� per lo sviluppo di regioni, di classi sociali, e in genere delle popolazioni, una Comunit� siffatta non pare possa vantare, per il diritto da essa prodotto, un � primato� che trovi fondamento in una originaria ed autentica legittimazione sostanziale anzich� in un riconoscimento di utilit� empiricamente reso, via via, dagli Stati membri. FRANCO FAVARA RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 652 stessa, in importazione ed esportazione interessanti il territorio di uno degli Stati membri della Comunit� Europea�. Detta statuizione -come � stato in alt:ria decisione affermato (isent. 176/81) -va intesa in conformit� dello scopo, che il legislatore ha perseguito nel dettarla. Essa � posta per adeguare l'ordinamento interno aHe esigenze derivanti dalla attuazione del T:riattato di Roma; e nella pxonunzia test� richiamata questa Corte ha pertanto concluso che la pirevisione del diritto di visita si considera rimossa ne1lia sfera del diritto interno, dal momento in cui essa risulta incompatibile, ai sensi del diritto comunirtJario, con 1a proibizione del dazio doganale. Ora, in tutte indistintamente Je ordinanze di rinvio si afferma che la legge del 1970 diverge ab initio dagli invocati regolamenti comunitari. Cos� costruita la specie, iLa disposizione impositiva dell'onere fiscale in parola deve ritenersi abrogata a partire dalla entrata dn vigore della legge, neHa quale essa � contenuta. Una precisazione va fatta per iJ oaso di specie, prospettato nell'ordinanza del Presidente del Tribunale di Trento. Le importazioni effettuate dalla Societ� promotrice di quel procedimento monitorio -si afferma da detto giudice -visailgono, m parte, ad una fase temporale, che � coperta dalla citata legge nel 1968. Nello stesso provvedimento di rinvio si aggiunge, tuttavia, che dopo l'entrata in vigore di quest'ultima legge, altre norme della CEE sono intervenute a regolare il mercato delle carni suine e di parti di animali commestibili (il citato reg. n. 827/68, adottato il 28 giugno 1968 ed entrato in vigore il 1� luglio 1968, cfr. artt. 1.2.2. e 4.1). Le disposizioni di questo successivo atto confermano il divieto del dazio doganale che, in quel settore della normativa comunitaria, gi� precludeva la riscossione del diritto di visita (altrettanto deve dirsi del regolamento CEE n. 805 del 27 giugno 1968, per quanto nel caso o:ria considerato concerne in particolare .�J mercato delle carni bovine: cfr. artt. 20.2 e 22). Il che implica che anche fa norma del 1968 si consideri, nella specie, oaducata retroattivamente. AnaJ.oghe osservazioni soccorrono, del resto, con riguardo alla legge del 1970: la quale � andata essa pure soggetta agli effetti caducatori, scaturiti dalla sopravvenienza d[ confliggenti norme comunitarie. Successivamente a11'entrata .in vigore di detta legge sono stati invero emanati altri due regolamenti della CEE: il regolamento del 29 ottobre 1975, n. 2759/75, che sopraggiunge, rispetto a quelli invocati dal Presidente del Tribunale di Trento quali fonti regolatrici del mercato delle oarrti suine;. e il regolamento del 19 gennaio 1976, n. 100/76, relativo al settore dei prodotti della pesoa, che viene in considerazione nei giudizi pendenti davanti al Tribunale di Napoli e al Presidente del Tribunale di Firenze. La previsione del diritto di visita risulta fuor di dubbio incompatibiJe con le statuizioni, che in tali ultimi atti puntualmente confermano, ciascuna nel proprio ambito, il divieto del dazio doganale (cfr. art. 17.2 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE reg. n. 2759/75; art. 18.2 reg. n. 100/76). Nelle ordinanze di rinvio, per�, non si tien conto di queste pi� recenti norme comunHarie. Va aHora avvertito che fa legge del 1970 � investita -sempre dalla sua entrata in vigore -sia da11'abrogazione espressa, disposta con la legge del 1977, sia dall'ulteriore ed autonomo effetto della caducazione implicita, per la test� rilevata persistenza, in seno alla disciplina comunitaria, del divieto del dazrl.o doganale. L'uno e J'altro di questi fenomeni ablatori incidono poi sulla disposizione istitutiva del diritto di visita sotto ogni profilo della sua possibile applicazione ai casi di specie. Nessun rilievo ha, infatti, la circostanza ohe si tratti di importazioni non solo da paesi membri della CEE, ma altres� -come avviene nei giudizi da cui traggono origine le ordinanze dei Presidenti dei Triibunali di Firenze e di Trento -da Stati terzi. L labrogazione o la caducazione della norma in esame, vengono qui ad atteggiarsi nel senso di abbracciare tutta l'area, nella quale l'abolita misura fiscale risulta incompatibile con le prescrizioni comUil!�tarie. Nella legge del 1977, � vero, si dice che il diritto di visita � soppresso per le importazioni �interessanti i.I territorio di uno degli Stati membri della Comunit� Europea�. Ma ci� non toglie che H previgente onere fiscale cessi di operare anche negli scambi con i terzi Stati, quando, come qui accade, questo risultato sia imposto dalle stesse norme comUil!�tar.ie, nelle quali � sancito .il divieto del dazio doganale. � 1alle prescrizioni comunitarie, occor.re ricordare, che il .legislatore del 1977 vuole adeguarsi. Tale �, dunque, Ja finalit� della istatuizione in esame, dalla qua1e l'interprete non pu� prescindere: tanto pi�, in quanto essa risulta chiaramente confermata dalla formula, che ivi si adotta appunto per definire la sfera degli effetti scaturenti dall'abolizione del diritto �di visita. Al riguardo si individuano, precisamente, i prodotti che non vengono pi� gravati all'atto dell'importazione: e si fa, certo, riferimento alla Comunit� europea, ma col designare, non l'area dalla quale dl prodotto esonerato deve provenire, bens� il regime normativo cui esso viene sottoposto, che ne condiziona H trattamento fiscale come esige l'instaurazione del mercato comune. E cos�, infatti, precisamente si statuisce: �i diritti di visita non sono dovuti sui prodotti soggetti ad organizzazione comune del mercato �. Dal canto loro, i regolamenti comunitari hanno organizzato il mercato, nei settori che interessano in questa sede, tenendo fermo -prima della legge del 1970 e dopo -:-il divieto del dazio doganale con espresso riferimento anche alle importazioni dai paesi terzi [cfr. la normazione della CEE relativa all'organizzazione dei mercati: art. 17,2 reg. n. 121/67, 13 giugno 1967 (mercato delle carni suine); art. 1.2.2. reg. n. 827/1968, 28 giugno 1968 (mercato delle carni suine e bovine); art. 20.2 reg. n. 805/68, 27 giugno 1968 (mercato delle carni bovine); art. 17.2 reg. n. 2759/75, 29 ottobre 1975 (mercato carni suine); art. 17.2 reg. n. 2142/70, 20 otto RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO bre 1970 (mercato dei prodotti della pesca); art. 18.2 reg. n. 100/76, 19 gennaio 1976 (mercato dei prodotti della pesca)]. L'Avvocatura dello Stato obietta in proposito che, secondo la giurispru� denza della Corte di giustizia, il diritto di visita cade sotto il suddetto divieto -e non importa se questo sia configurato nei termini sopra descritti -soltainto nella sfera degli scambi intercomunitari: di guisa che il diritto stesso potrebbe ancora applicarsi alle importazioni da paesi terzi. Il rilievo � per� infondato. In un procedimento promosso ex art. 177 del Txattato dal Pretore di Alessandria (causa n. 70/77), la Corte di giustizia della Comunit� ha infatti considerato l'imposizione del diritto di vis!ita, anche in riferimento agli scambi con gli Stati terzi, come un onere pecuniario equivalente al dazio doganaile, e ne ha quindi ritenuto l'incompatibilit� con le norme comunitarie, sulle quali verteva in quell'occasione la domanda di pronunzia pregiudiziale. Si afferma al riguardo nella decisione ora richiamata: �La Corte ha dkhiarato che la nozione di tassa d'effetto equivalente a un dazio doagnale ha, negli artt. 12, n. 1 e 2, del regolamento n. 14/64 e 20, n. 2, del regolamento n. 805/1968, la stessa portata che negli artt. 9 e seguenti del Trattato; di conseguenza, vanno considerati tasse d'effetto equivalente a dazi doganali, ai sensi degli artt. 12, n. 2, del regolamento n. 14/64 e 20, n. 2, del regolamento n. 805/68; gli oneri pecuniari, di qualsriasi entit�, imposti per ragioni di controllo sanitario degli animali e delle carni bovine importati dai paesi terzi, a meno che tali oneri facciano parte di un sistema generale di tributi interni gravanti sistematicamente, secondo gH stessi criteri e neHa stessa fase di distribuzione, sia sulle merci nazionali, sia su quelle importate �. Ora il diritto di visita non pu�, nemmeno nel presente caso, essere per alcun verso ricondotto tra gJi oneri pecuniari, che i giudici del Lussemburgo discriminano dal dazio doganale, secondo il criterio sopra enunciato. Nella specie, dunque, il divieto della tassa equivalente al daZJio opera pienamente, come � previsto dalla normazione comunitaria: e cos�, anche con riguardo alle importazioni dagli Stati terzi. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 26 ottobre 1981, n. 179 � Pres. Volterra� Rel. De Stefano -Brucato Turchio (avv. Cacciavmani) e Cassa nazionale del notariato (avv. Sivieri). Previdenza e assistenza -Notali -Trattamento di quiescenza a carico della Cassa nazionale del notariato -Esclusione di esercenti temporanei da professione di notaio -Illegittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 38; r.d.l. 27 maggio 1923, n. 1324, art. 3). L'art. 3, comma terza, del r.d.l. n. 1324 del 1923 contrasta con l'art. 3, comma primo, posto in relazione con l'art. 38, comma secondo, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il trattamento di quiescenza ivi contemplato per i notai cessati dall'esercizio e per le loro famiglie, PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE debba esser corrisposto, ricorrendo i medesimi presupposti, anche agli aspiranti al notariato, forniti dei requisiti necessari per la nomina, temporaneamente autorizzati all'esercizio delle funzioni notarili in virt� dell'art. 6 della legge n. 89 del 1913, cessati dall'esercizio, ed alle loro famiglie. L'art. 3, comma terzo, del r.d.I. 27 maggio 1923, n. 1324, sulla Cassa nazionale del notariato, convertito iin fogge 17 aprhle 1925, n. 473, prevede, nell'interpretazione accolta dal giudice a quo, che soltanto i notai nominati a s�guito di concorso, e le loro famiglie, abbiano diritto, cessando dall'esercirlo, al trattamento pensionistico corrisposto dahla Cassa. Ne rimangono, quindi, esclusi quegli � aspiranti al notariato, forniti dei requisiti necessari per la nomina�, che su loro domanda, in applicazione dell'art. 6 della legge 16 febhraio 1913, n. 89, suH'ord:inamento del notariato, sli.ano stati temporaneamente autorizzati ad esercitare le funzioni notarm nelle isole dove non esista alcun notaio, o in a1tre localit�, egualmente prive di sede notaTile, che, per le condizioni topogr:afiche o di viabilit�, non possano agevolmente, anche solo per certi periodi dell'anno, comunicare con i luoghi viciniori provvisti di notaio. Ma non Ticonoscendo anche a taJ:i soggetti 1il diritto a trattamento pensionistico, la norma contrasterebbe con gli artt. 3 e 38, comma secondo, della Costituzione. (omissis) La questione � fondata. GiQ"Va premettere che la Cassa nazionale del notariato � compresa nel n�vero degli enti pubblici che gestiscono forme obbligatorie di previdenza ed assistenza (crr. tabella allegata alla legge 20 marzo 1975, n. 70). Tutti. i notai, i:n concomitanza con 1a loro iscrizione nel ruolo collegiale dei notai in esercizio, sono iscritti di ufficio alla Cassa, cui sono tenuti a versar~ (tramite J'AI1chivio notarile del distretto), per gli atti soggetti ad annotamento nei repertori, il 20 per cento degli onorari loro spettanti, nonch� quote supplementari progressive degli onorari medesimi, nella misura stabilita dagli artt. 17 e 18 della legge 22 novembre 1954, n. 1158, e dalla tariffa notarile. I notai devono inoltre corrispondere alla Cassa un contributo per ogni atto iscritto nei repertori (art. 27 della legge n. 1158 del 1954). Spetta, .infine, alla Cassa per intero la quota di onorario (liquidata dall'Ufficio del registro), corrispondente alla differenza fra li.J �valore accertato ai fini tributari e quelilo risultante da11'atto o dichiarato dalle parti (art. 18 della legge n. 1158 del 1954 e 17 della vigente tariffa notarile). In corrispetmvo del versamento dei contributi imposti dalla legge a loro carico la Cassa (unitamente ad altre provvidenze) corrisponde ai notai cessati dalresercizio ed alle loro famiglie un trattamento di quiescenza, la cui misura e le cui modalit� sono determinate con deliberazioni della Commissione amministratrice, soggette all'approvazione del Ministro per la grazia e giustizia ~art. 13 deHa legge 3 agosto 1949, n. 577). L'esercente funzioni notarili in virt� del menzionato art. 6 della legge n. 89 del 1913, autorizzato 1aH'uopo con decreto del Pres1idente della RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 656 Repubblica, � � considerato come notaio rispetto alla responsabilit� civile, penale e disciplinare dipendente dai suoi atti�. Prima di assumere le funzioni, egli � tenuto -come espHci1lamente vien ribadito nel relativo decreto di nomina -ad adempiere agli stessi obblighi stabiliti per il 1t1otaio dagli artt. 18 e 24 della ripetuta 1legge n. 89 del 1913. I quali si concretano, tra l'altro, nel dare cauzione; nel prestare giuramento davant1i al tribunale civile nella cui giurisdizione trovasi la sede; nel ricevere dal Consiglio notarile il �sigillo� (con Ja dizione �notaio�); nello ,scmvere nell'apposito registro la propria firma accompagnata dall'impronta del sigillo; nell'aprire l'ufficio nel luogo assegnato. Adempiuto quanto prescritto, fincamcato ottiene la �iscrizione nel ruolo dei notai esevcenti del collegio�, e con ci� � investito delle funzioni. Funzioni, che non possono venir esplicate fuori dell'isola, del comune o della frazione assegnati, ma il cui esercizio, entro tale �mbito, non si differenzia in alcun modo da quelllo commesso ad un notaio. Al pari di quest'ultimo, J'incaricato ex art. 6 esercita le sue funzioni nomine proprio (mentre il coadiutore, ex art. 45 della legge n. 89 del 1913, esercita le funzioni notariH in nome e nell'interesse del notaio impedito); fa parte del Collegio notarile ed ha diritto di interveniire alle sue adunanze (art. 93 del regolamento per l'esecuzione della legge n. 89 del 1913, approvato con r.d. 10 settembre 1914, n. 1326); � sottoposto alle ispezioni biennali; riscuote, per g1i atti e per le prestazioni notarili, gli onorari, i diritti accessori, le indennit� ed i compensi secondo quanto determinato dalla Tariffa, nella stessa misura prevista per H notaio. AI cessar dall'esercizio gli atti da Jui ['icevuti devono -come per il notaio -essere depositati e conservati nelll'archivio del distretto notarile (art. 6 e 106, n. 6, della �legge n. 89 del 1913). In conclusione, pur non acquisendo lo status professionale dei notai nominati a s�guito di pubblico concorso, gl'incaricati ex art. 6 sono ad essi pienamente accomunati nell'esercizio delle funzioni, e quindi sul piano conoceto dell'attivit� lavorat,iva: al.Ja quale fa appunto riferimento, ai fini previdenziali, la norma di carattere generale dell'art. 38, comma secondo, della Costituzione (cfr. sentenza di questa Corte n. 108 del 1977). Lo stesso congegno previdenziaile, come instaurato dal denunciato art. 3, comma terzo, del r.d.l. n. 1324 del 1923 e come strutturato dalla conseguente normativa, innanzi richiamata, sulla obbligatoria devoluzione alla Cassa di quote degli onorari spettanti per gli atti soggetti ad annotamento nei repertori notarili, rende evidente il fondamentale nesso tra prestazione dell'attivit� lavorativa e concessione del trattamento di quiescenza ai notai e loro familiari. Priva di persuasiva giustificazione, e perci� arbitraria, appare dunque la discriminazione operata dalla denunciata norma con l'escludere, 1t1ella interpretazione propugnata dalla Cassa ed accolta dal giudice a quo, i suindicati soggetti che abbiano esercitato funzioni notarili ex art. 6, da quel l'ARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE trattamento di quiescenza che v:iene invece riconosciuto ai notai al cessar dall'esercizio delle funzioni, che sono, ripetesi, le medes,ime per entrambe le categorie. Sotto l'anzidetto profilo, ed in relazione alLa primaria esigenza, costituzionalmente garantita, di assicurare a tutti i lavoratori un trattamento prewdenziaile in caso di invalidit� e vecchiaia, non pu� assurgere a ragionevole motivo deMa disparit� di tvattamento operata dalla denunciata norma il diverso � s!istema di nomina � cui fa riferimento La difesa della Cassa. Invero, non � determinante n� sufficiente la conseguita nomina a s�guito di pubblico concorso, per qualificare i notai come lavoratori ed applicare ad essi la normativa previdenziale, richiedendosi invece -come si � gi� ricordato -che essi abbiano iniziato ad esercitare colliCretamente le ['eilative fun:l)ioni e siano stati all'uopo iscritti, curati i necessari adempimenti, nel ruolo collegiale dei �notai in esercizio� (art. 3 del� ,testo delle disposizioni sulla previdenza e sull'assistenza ai notai ed alle loro famiglie, deliberate il 21 ottobre 1955 dalla Commissione amministratrice della Cassa ed approvate il 10 novembre 1955 dal Ministro per la grazia e giustizia). Requisito questo, afferente all'esercizio de11e funzioni notarili, prescritto tanto per i notai quanto per gl':incaricati ex art. 6. Del pari non rilevano, sempre al perseguito fine di giustificare il denegato riconoscimento del diritto al trattamento di quiescenza, Ja �preca� riet� � e la �temporaneit��, sottolineate dalla difesa della Cassa, dell'inca11ico conferito ai sensi del pi� volte citato art. 6 della legge n. 89 del 1913. Pur non assistito, come per i notai, dal connotato de1la stabile permanenza nell'ufficio, tale incarico si concreta sempre in un'attivit� lavorativa che non si differenzia in verun modo da quella svolta dai notai, e che di fatto -come per l'appunto � avvenuto nel caso oggetto del giudizio a quo -pu�, ,nonostante fa suddetta �precariet��, protrarsi anche per diversi anni. D'altronde, la equiparazione ai notai, ai fini deil. trauamento di quiescenza, degl'incaricati ex art. 6 -equiparazione, Ja cui mancata previsione il giudice a quo imputa alla denunciata norma -compoirta che il relativo diritto venga a maturazione, oltre che nei casi di morte o di inabilit� permanente ed assoluta, solo con i,l raggiungimento di determinati traguardi di anzianit� di esercizio: il che conferisce all'esercizio medesimo un cavattere di continuit� professionale. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 10 dicembre 1981, n. 187 -Pres. Elia -Rel. Fer: rari -Commissario dello Stato (vice avv. gen. Stato Azzariti) e Regione Sicilia (avv. Maniscalco Basile). Sicilia -Ricorso dello Stato alla Corte costituzionale avverso leggi regionali siciliane -Assenza del Commissario delfo Stato per ferie o legittimo impedimento -Legittimazione ad impugnare -Spetta al vke commissario dello Stato. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 658 Regioni � Legge regionale interipretativa � Limiti. Sicilia -Indennit� spettante ai membri della Giunta regionale -Parziale traslazione dall'IRPEF a carico del bilancio regionale � Illegittimit� costituzionale. In caso di .assenza per ferie o legittimo impedimento del Commissario dello Stato, la legittimazione ad impugnare leggi regionali siciliane spetta al vice commissario dello Stato (1). Il legislatore regionale, non pu�, con una legge che ha solo il nome di legge interpretativa, dichiarare l'autentico significato di una propria legge anteriore, quando questa non riveli gravi ed insuperabili anfibologie o non abbia dato luogo a contrastanti applicazioni specie in sede giurisprudenziale. La regione Sicilia non pu�, con propria legge, estendere la portata di una legge statale di esenzione o agevolazione fiscale, trasferendo a carico del bilancio regionale parte dell'onere tributario gravante su taluni contribuenti (2). L'eccezione preliminare di inammissibilit� del ricorso non pu� essere accolta. Indipendentemente dal documento prodotto alla pubbHca udienza dall'Avvooatum dello Stato, dai quale risulta l'assenza del Commissario dello Stato dalla sede �per ragioni di servizio� dai1 17 dicembre 1977 al 17 gennaio 1978, la 1lettura del!l'art. 28 dello Statuto, quale viene prospettato dalla difesa della Regione, !risulta iriduttiva, in quanto limitata ad un solo dato testuale -la Jocuzione � Commissrurio dello Stato� -, e prescinde dalla proposizione relativa finale dello stesso articolo, che viceversa � imprescindibile. Proprio in virt� dell'integrazione conferitale da tale proposizione, infatti, Ja norma assurge a valore di compiuta disciplina, nella quale sdltanto Ja figura dell'organo deililo Stato della Regione siciliana pu� essere esatllamente, realisticamente e razionalmente valutata, anche alla stregua di inviolabili principi costituzionali. (1) Merita segnalare il brano della prima parte della motivazione, nel quale la Corte accenna (un po' en souplesse) alla questione se l'esercizio di una funzione di rilevanza costituzionale, quale non viene negato sia la promozione di un giudizio costituzionale (o l'intervento in esso), di per s� comporti il riconoscimento della qualit� di organo costituzionale all'organo dello Stato all'esercizio di detta funzione legittimato. La Corte ha dato una risposta studiatamente circoscritta, affermando che � la natura di organo amministrativo... non sembra... conciliabile con quella di organo costituzionale�; risposta che lascia aperta la questione de qua per un organo, quale l'Avvocatura dello Stato, che amministrativo non pu� essere considerato. (2) Il principio enunciato appare di notevole importanza perch� suscettibile di applicazioni in ambiti diversi da quello, molto specifico, cui si riferisce il caso deciso. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE A sensi della suddetta proposizione relativa, il Commissario dello Stato, cui [e leggi dell.'Assembllea regionale vanno inviate entro tre giorni, pu� impugnare tali leggi � entro i successivi cinque giorni �. La tes.i della Regione, secondo cui -poich� il Vice Commissario non � previsto dallo Statuto sioHiano e pu� pertanto esercitare solo funzioni irnterne -la legittimazione a promuovere giudizi di costituzionalit� .sarebbe assolutamente infungibile, nel senso che essa spetterebbe esclusivamente al Commissario dello Stato, comporterebbe l'inammissibile conseguenza della non .operativit� del potere di impugnazione nei periodi di legittima assenza o legittimo impedimento del Commissario de1lo Stato. E poich� si devono in ogni oaso rispettare -a non dir altro -gli articoli 32, primo comma, e 36, ultimo comma, Cost., il primo dei quali �tutela fa salute oome fondamentale diritto deJJJ.'Jndividuo �, mentre Jl secondo proclama H � diritto... a ferie annuali� irrinunziabili, la sola alternativa per ovviare all'eventualit� di un'assernza per legittimo impedimento � .la soluzione adottata col d.P.R. 4 giugno 1969, n. 488, il cui art. 2 prevede appunto Ja nomina di un Viice Commissario, che non solo � coadiuva il Commissario dello Stato�, ma anche �lo sostituisce in caso di assenza o impedimento �. La difesa della Regione, pur riconoscendo l'esistenza del principio generale che ammette l'esercizio vicario delle funzioni nelJle strutture gerarchizzate, afferma tuttavia che tale pviincipio non � trasferibfile dal campo del �diritto amministrativo a quello dell'o!'dinamento costituzionale, ed in particolare nel caso di specie, in cui �una funzione costituzionale (tale � la promozione d.i un gfodizio costituzionale) sia affidata da una norma costituzionale ad un organo costituzionale monocratico �. Non occorre certo affrontare la problematica del concetto di �organo costituzionale�, degli indici di riconoscimento di tale categoria, quali teori.zzati dalia dottrina, delle prerogative che vi sono c�nnesse, n� ricordare che nel nostro ordinamento un elenco di detti organi -ai fini penali taissativo si rinviene solo Iiel codice penale (articolo 289), per convenire che la deduzione defila natura di organo costituzionaile insostituibile dalla titolarit� del potere di promuovere giudizi costituzionali prova troppo: � sufficiente in proposito tenere presente quanto si � dilatata l'area degli organi e, in genere, �~elle entit� soggettive cui � stata ormai riconosciuta la legittimazione a promuovere, sia pure in via incidentale, giudizi che hanno pur sempre per oggetto la legittimit� costituzionale delle leggi. Appare allora superfluo aggiungere che la natura di organo amministrativo, quale inlnegabilmente � pur sempre il Commissario deLlo Stato (come del resto questa Corte ha gi� avuto occasione di affermare con la sentenza n. 6/1970), non sembra, tanto sul piano concettuale, quanto sul piano positivo, conciliabile con quella di organo costoituzionale. Inoltre, nella specie, l'orgarno de quo � portatore di interessi obiettivi, che possono perci� essere tutelati egualmente bene �dall'organo vicario, il quale ripete" anch'esso l'investitura, come ~ & RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 660 ~ l � B esattamente ha osservato l'Avvocatura dello Stato, dal Governo della Repubblica ed appartiene anch'esso -vale la pena di sottolineare -alla medesima alta dirigenza dello Stato. (omissis). Nel merito, la Jegge impugnata appare nella sua interezza viziata da ~ illegittimit� costituzionale. f. I\ Nell'ordinamento statale, i membri deil Governo hanno un trattamento economico complessivo pari a quello dei gradi gerarchici pi� elevati. Cos� IIdispone l',art. 2 della Jegge 8 apriJe 1952, n. 212. Nello stesso ordinamento, i I membri del Parfamento godono, invece, di un trattamento privilegiato, nel I ~ senso che le relative indennit� parlamentari non soggiacciono per fotero al normale regime di tassazione, ma ne sono esentate nella misura del sessanta per cento, che poi l'art. 2, penultimo comma, del1a legge 24 aprile 1980, n. 146, ha ridotto al trenta per cento. Cos� stabiliva gi� 1a legge 31 ottobre 1965, 111. 1261, invocando esplicitamente J'art. 69 Cost. e nel dichiarato intento di �garantire il libero svolgimento del mandato�; cos� ha disposto I pi� compiUtamente e defu:titivtamente il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, sull'istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. I In particolare, l'art. 47, primo comma, lettera d), di tale normativa assimila ~ I al reddito di �lavoro dipendente Je indennit� � percepite dai membri del ,~ Parlamento � e quelle, � comunque denominate, percepite per le cariche j elettive e per Ie funzioni di cui agli articoli 134 e 135 Cost. �; a sua volta il i f successivo art. 48, quarto comma, stabilisce che � le indennit� indicate alla f ' � lettera d) dell'art. 47 costituiscono reddito nella misura del quaranta per ; f cento del loro ammontare ail netto dei contributi previdenziali �. f E Se si considera poi che, ail contrario, � le indennit�, i gettoni di presenza f o ailtri compensi corrisposti dallo Stato, dalle ,regioni, dalle province e dai I comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni�, pur essendo anch'essi assii milati, per espresso dettato del medesimo art. 47, Jett. e), al reddito di f lavoro dipendente, non risultano sottratti al normale regime di tassazione, il sistema creato con fa riforma del 1973 a:isulta con tutta chiarezza: il I trattamento tributario privilegiato non spetta ai membri del Governo, I bens� esclusivamente ai membri del Parlamento -nonch�, ai sensi del l'art. 6 della legge n. 1261 del 1965, anche �ai consiglieri delle .regi0111i a statuto speci~e � e, per effetto dell'art. 47, lett. d), del d.P.R. n. 597 del I 1973, alle altre cariche elettive -, ma neppure per ogni indennit�, gettone I di presenza o altro compenso percepito nell'esercizio di pubbliche fun ! zi0111i, bens� esclusivamente per le indennit� di cui alla gi� menzionata I lett. d) de11'.art. 47 deil d.P.R. n. 597 del 1973. Se si considera altres� che, I con deliberazione n. 605 del 13 febbraio 1975, la sezione di controllo della I Corte dei conti dichiar� parzialmente illegittimi, rifiutandone il visto e la registrazione, due decreti del Presidente della Regione siciliana, proprio perch� e nella parte in cui, facendo applicazione dell'art. 1 della legge regionale 30 gennaio 1956, n. 8, sottraevano al normale regime di tassazione PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 661 le indennit� corrisposte ai membri della Giunta, non pu� non ritenersi che la legge impugnata dal V:ice Commissario dello Stato si pone In immediato rapporto di consecuzione, non solo temporiaJe, con la pronuncia della sezione di controllo delJ:a Corte dei conti e con i rilievi ivi contenuti. Essa risulta, infatti, adottata proprio a:1 fine di superare fostacolo rappresentato dalila Corte dei conti. E non pu� certo dirsi conform� al sistema costituzionale, configurandosi, 1anzi, come un oaso esemplarre di sviamento strumentale della funzione legislativa, il :ricorso appunto allo strumento dehla legge interpretativa, per porre il vizio riJevato dahl'organo di controllo al riparo da ta!le controllo. Il problema dell'indennit� ai membri della Giunta regionale venne affrontato dall'Assemblea siciliana ancor prima dehla costituzionalizzazione de1lo Statuto, e precisamente con 'la legge regionale 29 dicembre 1947, n. 19, che 'recava il titdlo di �determinazione della indennit� mensile al Bresidente della Regione ed agli Assessori e del :rimborso spese per incarichi agli stessi o ai Deputati �. Tale [egge stabilliva, quantificandole, e con decorrenza dal primo giugno dello stesso anno, le diverse misure de1l'indenlllit� mensile -,al lordo -per il Presidente deLla Regione, per gli Assessori effiettivi e per quelli supplenti. Il suddescritto sistema dur� poco meno di un decennio, essendo stato sostituito nel 1956 dali'art. 1 della regge n. 8, a ,sensi del quale rl'indennit� mensile, con decorrenza dal 1� agosto 1955, non � pi� qua111tificata, ma prevista in misurra pari -sempl'e al 1lordo, tuttavia -al trattamento economico mensile spettante, rispettivamente, al Presidente ed ai Vice Presidenti dell'Assemblea regionale siciliana. Non ;rileva a!l riguardo la constatazione che il trattamento economico di questi ultimi, cui � stato ancorato quello dei membri del!la Giunta, non essendo disposto con legge, ma con atto interno del ConsigHo di PTesidenza dell'Assemblea in virt� dell'articolo 11 del .relativo regolamento, pu� subire periodiche variazioni. R:ileva, viceversa, il dato di fatto che fil sistema instaurato neil 1956, il quale testualmente stabHisce per i membri della Giunta -� bene ripeterlo -una indennit� mensile � forda �, non ha dato motivo a questione per circa un ventennio, cio� dal 1956 al 1975. Fu solo in quest'ultima data, infatti, che nacque la questione, e precisamente quando la Corte dei conti in sede di controllo ebbe occasione di esaminare i due decreti dei quali si � gi� detto, emanatJi in materia dal Presidente de1la Regione siciliana nell'ottobre del precedente anno 1974. La competente sezione di contr0!1lo non ammise al visto ed alla registm2Jione i due decreti, ma non gi� peTch� negasse la legittimit� dell'attribuzione di un'indennit� mensile ai membri della Giunta o dell'assunzione �come parametro di quella dei membri della Presidenza della Assemblea, bens� esclusivamente perch� il particolare regime di tassazione, riservato ai membri di 011gani elettivi, risultava dai due decreti esteso ai membri RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del governo regionale, mentre non spetta neppure ai membri del governo nazionale. In altre parole, quel particolare regime di tassazione costJituisce una deroga, come verr� predsato nel seguito della presente motivazione, e fa sua estensione oltre i casi tassativamente previsti costituisce un'applicazione nuova e diversa; nuova e diversa, sia rispetto alil:a lettera della legge regionaJe n. 8 del 1956, sia rispetto all'applicazione costantemente fattane in passato. Ma allora fa legge impugnata, risolvendosi ii:n sostanza nell'espansione dell'ambito di quella deroga, non gi� interpreta, ma dispone. Essa, insomma, non � iinterpretativa, bens� innovativa, e ne � prova -documentale, si direbbe -il mutamento della forrnul'a � indenn1t� mensile lorda�, coniata .gi� nel 1947 e ribadita nel 1956, in � misura mensile netta �, introdotta con la sedicente interpretazione autentica, nell'intento di realizzare mediante un atto legislatJivo quel medesimo disegno che non em stato possib:ille realizzare con un atto amminist.rativo. Ma non � interpretativa anche per una considerazione di diverso ordine. Il Jegisilatore pu� sempre riformare la disoipilina vigente, modi fioando la legge anteriore, ed un legiS!latore regionale dotato di potest� esclusiva, godendo di ampia discrezionalit�, sia pure nei Jimiti delle leggi costituzionali, pu� sempre disciplinare l'oI'dinamento degli uffici e degli enti regionailii, come appunto previsto da!ll'articolo 14, lett. p), dello Sta '1luto della Regione siciJiana. Non pu�, per�, dksi che faccia egualmente buon uso della sua potest� il fogislatore che si sostituisca �al potere cui � riservato il compito istituzionale di interpretare Ia legge, dichiarandone mediante altra �legge l'autentico significato con valore obbEgatorio per tutti e, quindi, vincolante anche per il giudice, quando non ricorrano quei oasi in cui la legge anteriore riveli gravi ed insuperabili anfibologie o abbia dato foogo a contrastanti applicazioni, specie in sede giurisprudenziaile. Ora, la legge �regionale siciliana n. 8 del 1956 non contiene sUil punto formule ambigue, n� ha provocato, almeno per oiroa un ventennio, con trasti :in sede applicativa. La legge impugnata, quindi, ha solo al nome di interpretazione autentica. La difesa della Regione sostiene che fa legge impugnata non ha inteso � sottrarre al normale regime di imposizione tributaria l'indennit� spet tante al Presidente della Regione ed agli Assessori�: iii legislatore regio nale del 1956 aveva disposto che membri della Giunta e membri della Presidenza dell'Assemblea godessero di trattamenti economici di pari entit�. Tale essendo la mens legislatoris -prosegue la difesa della Re gione -, una volta che per effetto dell'esonero, nella misura di sei decimi, dall'imposta sul :reddito delle persone fisiche (IRPEF), riconosciu to solo ai membri della Presidenza dell'Assemblea, si � verificata una notevole differenza fra i due ordini di retribuzione, la sola via per rista(. bilire fra le due categorie la paI'it� voluta dal legislatore del 1956 � ,, �~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE appunto quelila di riconoscere al Presidente della Giunta ed aghl Assessori una � retribuzrione lorda maggiore .di que1la attribuita al Presidente ed ai Vice Presidenti dell'Assemblea, di guisa che la stessa, diminuita di tutti tributi >applicabili, dei quali � prevista puntuale appld.cazione, risulti pari, al netto, a quella che, al netto, ricevono, rispettivamente, il Presidente ed i Vice Presidenti delil'assemblea �. (omissis) Sembra indubitabile che la legge impugnata trae origine, meglio che occasione, dalla riforma tributarfa, cio� dall'iistituzione e disciplina dell'imposta sUil 1reddito delle persone fisiche (IRPEF): questa reca la data del 1973 (d.P.R. n. 597), i due decreti del Presidente della Regione sioi:liana, dichiarati illlegittimi dalla Corte deli conti, recano la data del 1974. Ne deriva che si tratta essenzialmente di ques1Ji.one di dli.ritto" tributario. Ne offre conferma fa relazione illustrativa della legge impugnata, che proprio aJJl.a imposizione IRPEF fa espresso r�chiamo. Sembra 1altrettanto indubitabiie che, se si tiene presente l'iartioolo 53, primo comma, Cost., secondo cui � tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacit� contributiva�, la norma di cui aill'articolo 48, quarto comma, del menzionato d.P.R. n. 597 del 1973, 1a quale stabilisce che le indennit� dei membri degli organi elettivi � costituiscono reddito nella misura del quaranta per cento�, si configura come una deroga al suddetto principio costituzionale; una deroga consistente in una esenzione parziaile dall'imposta, e perci� insuscettibile, in quanto tale, di interpretazione estensiva, e che inoltre solo il Jegiiisfo.tore statale pu� motivatamente disporre. Valutando adesso la legge impugnata alla stregua delle due puntualizzazrioni che precedono, ni:sulta che questa, disponendo in materia tributaria, ha estesa l'esenzione 1parziale -dli cui peraltro i membri della Giunta gi� godono in quanto consi~ieri regionalli -a categorie non previste dal 1sistema iinstaurato col d.P.R. n. 597 del 1973, cos� violando taria, ha esteso l'esenzione parziale -di cui peraltro i membd della in rapporto a tutti gli altri contribuenti -, oltre che fa riserva di legge statale sulle esenzioni fiscali. Basta al riguardo porre mente al meccanismo escogitato dalla legge nel suo effettivo concretarsi, qua[e in definitiva viene descritto nella stessa relazione i11ustrativia: la disparit� nasce in seguito a!l'tesonero parziale riconosciuto all'una categoria, ma non anche all'altra; la parit� si ristabilisce versando a questa una maggiorazione che corrisponda perfettamente aHa maggiore imposta da essa dovuta. Ma cos� hl tributo viene effettivamente, anche se indirettamente, pagato dalla finanza regionale, non gravando pi� sul contribuente, e si consegue, s�, :la effettiva parit� di trattamento retributivo, ma si conse.. gue, prima ancora, l'effettiva parit� fiscale. La legge pu� certamente stabilire le indennit� dei membri della Giunta nelle misure che ritiene pi� congrue, ma una legge interpretativa non �, altrettanto certamente, lo 664 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO strumento pm idoneo e costituzionalmente legittimo, quando disponga una maggiorazione del trattamento economico di ailcuni pubblici dipendenti al fine di esonerare tali contribuenti dal pagamento, sia pur solo parziale, delle imposte dovute secondo il sistema tributario. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicebre 1981, n. 192 -Pres. Elia -Rel. Maccarone -Boggiano Pico (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Responsabilit� civile � Circolazione di autoveicolo -Trasporto di cortesia Responsabilit� del proprietario ex art. 2054 cod. civ. -Esclusione. (Cost., art. 3; cod. civ., art. 2054). Non contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 2054, terzo comma, cod. civ., nella parte in cui esclude, persino quando sia stata accertata la colpa del conducente, la responsabilit� del proprietario del veicolo per i danni sofferti dal trasportato per cortesia (1). La Corte � chiamata a decidere se l'art. 2054, terzo comma, cod. civ., interpretato dalla giurispruden2la nel senso che la presunzione di responsabilit� iVli sancita a carico del proprietario di un autoveicolo per i danni prodotti dalla circolazione del veicolo stesso non � operante a favore del terzo trasportato a titolo di� cortesia anche quando risulti dimostrata la colpa del conducente, induca una irragionevOil:e discriminazione a danno di detta categoria di danneggiati, rispetto a tutti gli altri utenti deHa strada garantiti invece dalla presunzione stessa. (omissis) Giova premettere, che, come Ja dottrina e la giurisprudenza hanno costantemente riconosciuto, la presunzione di responsabilit� ex art. 2054 cod. civ. dn materia di oircolazione dei veicoli � intesa ad offrire una particolare garanzia a favore dei terzi danneggiati che rimangono estranei alla circolaZJione del veicolo e che, come tali, non sono in condizioni di prevedere ed eVlitare il danno. L'operatiVlit� di tale particolare garanzia � stata invece esclusa per quanto Tliguarda i terrzi trasportati a qualsiasi titolo, ivi compreso il trasporto di cortesia, in quanto costoro hanno modo, usando la ordinaria diligenza, di prevedere ed eVlitare il danno e, comunque, sanno che richiedendo o accettando il trrasporto, possono andare lincontro ai pericoli e danni devivanti dal fatto deHa circolazione del veicolo sul quale sono trasportati, ed affrontano quindi scientemente i rischi del tvasporto (Cor:te cost. sent. n. 55/75). E Ja Corte, con la stessa sentenza, ha gi� avuto occasione di affermare, conseguentemente, che, �non versando i terzi e le persone trasportate nella stessa situazione (1) Cfr. Cass. 27 marzo 1979, n. 1767, in Foro it., 1979, I, 912, e FLAMINI, Il trasporto amichevole, 1977. l I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 665 di vii:ttime della strada e di danneggiati�, non � irraziionale che le dette rispettive posizioni vengano considerate non uguali e differentemente disciplinate quanto al regime del risarcimento del danno. Comunque, a parte le considerazioni ora riferite, da11e quali non vi � motivo di discostarsi, e facendo :riferimento al particolare profilo della pretesa irrazionalit� della differenziazione dei trattamenti nel caso di riconosciuta colpevolezza deil conducente, deve osservarsi che, come fa giurii!sprudenza non ha mancato di porre in evidenza, la norma censurata non � scindibile nel suo aspetto formale ed in quello sostanziale essendo concepita unitariamente, come � dimostrato dalla stretta relazione intercoNente tm le disposizioni ivi contenute, tutte indissolubilmente connesse alla 'statuizione fondamentale concernente la presunzione di responsabilit� del conducente, di oui Je altre disposizioni costituiscono evidenti articolazioni. Non � pertanto lecito ritenere che quando la responsabilit� del conducente risulti ,accertata in concreto, indirpendentemente dalla presumione, il proprietario del veicolo possa essere chiamato a rispondere ai sensi del terzo comma dell'art. 2054 cod. dv., che appunto costituisce estensione ed articolazione del principio presuntivo posto col primo comma. L'inapplicabilit� della presunzione importa, cio�, quella dell'intera norma, postulando ti:l ritorno al regime normale di cui all'art. 2043 cod. oiv. anche per quanto riguarda la responsabilit� del proprietario. Questi, pertanto, potrebbe, nel caso, essere chiamato a rispondere solo ai sensi dell'art. 2048 cod. civ. (responsabilit� dei genitori, tutori, etc.) o dell'articolo 2049 cod. civ. (responsabilit� dei padroni e dei committenti). (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicembre 1981 n. 195 -Pres. Elia -Rel. Andrioli -Cassa di risparmio di Roma (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Procedimento civUe -Processo esecutivo -Estinzione del processo per rinuncia del creditore procedente -Ordinanza del giudice dell'es.ecu zione -lrreclamabilit� -Illegittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; cod. proc. civ., artt. 629 e 630). Contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 630, ultimo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non estende, in relazione all'art. 629 cod. proc. civ., il reclamo previsto nell'art. 630, ultimo comma stesso, all'ordinanza del giudice dell'esecuzione dichiarativa dell'estinzione del processo esecutivo per rinuncia agli atti (1). (1) Forse la questione avrebbe potuto essere risolta dal giudice ordinario mediante una interpretazione sistematica (e neppure estensiva) delle prime parole dell'art. 630, comma primo, cod. proc. civ. 666 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La Corte non sindaca nel merito la :interpretazione del disposto, coordinato in riferimento alla specie concreta, degli artt. 629, 630 ultimo com.ma e 631 ultimo com.ma cod. proc. civ., che ha indotto il giudice a quo a dire irreclamabile la ordinanza del giudice deill'esecuzione dichiarativa dell'eSitinzione del processo per rinuncia agli atti perch� fa motivazione svolta dal Tribunale di Civitavecchia � sufficiente e coerente. Ci� premesso, la irrazionalit� del diverso trattamento riservato 'alle due (anzi tre) ipotesi causative dell'estinzione del processo esecutivo nel �diritto vivente�, cos� com.e ricostruito dal giudice a quo, e quindi la violazione dehl'art. 3 comma primo Cost. non sfuggono anche a chi si limiti a visionare la fattispecie concreta, la quale pone in chiaro la tutt'altro che remota eventualit� di errori nell'individuazione dell'oggetto della rinuncia, e non si dilunghi a riflettere, com.e pur si deve, per un verso sulle non lievi difficolt� applicative cui d�n luogo in fatto e in diritto i due primi com.mi dell'art. 629 separatamente e congiuntamente considerati, e, per altro verso, sull'uJtlim.o com.ma dell'art. 631 che estende la garanzia del reclamo alla estinzione del processo esecutivo per mancata comparizione delle parti. N� ad eliminare la denunciata irrazionalit� giovano la legittimazione, ai rinuncianti in ipotesi riconosciuta, a sperimentare la opposizione agli atti esecutivi, perch� tale rimedio non � precluso aHe parti pregiudicate dalla ordinanza dichiarativa dell'estinzione per inattivit� che pur hanno a disposizione il reclamo, e l'impugnabilit�, con ricorso in Cassazione per violazione di legge ex art. 111, secondo com.ma, Cost., dell'ordinanza del giudice dell'esecuzione consecutiva alla rinuncia agli atti, perch� hl trattamento, che da chi cos� argomenta si riserverebbe ai creditori rinuncianti, non cessa di essere deteriore rispetto alla condizione delle parti, pregiudicate dalla ordinanza di estinzione per inattivit� o per mancata comparizione (artt. 630 e 631 cod. proc. civ.), le quali ben pos,sono sperimentare il ricorso in Cassazione avverso la sentenza resa sul reclamo, seppure non si reputa tale sentenza suscettibile di appello. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 29 dicembre 1981, n. 202 � Pres. Elia� Rel. Bucciarelli Ducci � S.p.A. Le Assicurazioni d'Italia (avv. Pasania), L'Assicuratrice Italiana S.p.A. (avv. Bernardini), Reale Mutua di assicurazioni (avv. Vassallo di Castiglione) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). ' Assicurazioni � Danni da circolazione di veicoli o natanti non identificati � Fondo di garanzia per le vittime della strada � Natura indennitaria delle prestazioni. (Cost., artt. 3, 24 e 32; I. 24 dic�mbre 1969, n. 990, art. 21). Le prestazioni del �Fondo di garanzia per le vittime della strada� a favo re di persone danneggiate da veicolo o natante non identificato hanno PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 667 natura indennitaria e non risarcitoria. Non contrastano con gli artt. 3, 24 e 32 Cost. i limiti alla indennizzabilit� posti dall'art. 21 della legge 24 dicembre 1969 n. 990. La prima questione :riguarda l'art. 21, primo, secondo e terzo comma, della fogge 24 dicembre 1969, n. 990 in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in etti !limita il riconoscimento del danno alle persone, provocato da veicolo o natante :rimasto sconosciuto, aillle ipotesi di morte o di inabi~ lit� temporanea superiore a novanta giorni e di invalidit� permanente superiore al 20 % (primo comma); entro un massimo di L. 15.000.000 per persona sinistrata (primo comma); alla determinazione del reddito del danneggiato in misUra non superiore al :reddito lordo di favoro dichiarato o accertato in sede fiscale o, in difetto, al minimo !imponibile (terzo comma). Si dubita, infatti, nelle ordinanze di rimessione che tali disposizioni introducano una disparit� di trattamento tra danneggiati a seconda che il danno sia stato provocato da veicolo o natante non identificato, o invece da veicolo o natante identificato e assicurato, nel qual caso il risarcimento non � soggetto ai :limiti suddetti cos� come non soggiace a detti limiti allorquando, pur intervenendo il Fondo di garanzia, il danno viene provocato da veicolo identificato Ina non assicurato o da veicolo identificato e assicurato con una impresa posta in stato di liquidazione con dichiarazione di insolvenza. N� ha spostato i termini del problema Ja sopravvenuta modifica del terzo comma introdotto con dl. 23 dicembre 1976, n. 857, in quanto i fatti formanti oggetto delle ordinanze si �sono verificati prima della predetta modifica. La questione non � fondata. La diverisit� di disciplina stabilita da!Ha norma impugnata tra i dan neggiati da veicolo o natante rimasto sconosciuto e gli altri danneggiati non opera un'irrazionale diversit� di trattamento di fronte a situazioni omogenee. Infatti, la situazione obbiettiva in cui si � verificato il danno alla persona danneggiata da veicolo o natante non identificato � ben diversa da quella riguardante la persona danneggiata da veicolo identificato e assicurato e la relativ:a diversa tutela apprestata non appare viziata da arbitrariet� o irrazionalit�. Per il danno cagionato da mezzi identificati il diritto al risarcimento discende infatti dai principi in tema di responsabilit� aquiliana e di assi curazione del rischio, attraverso l'intervento dell'assicm:atore a sostegno dell'assicurato, previo accertamento in contraddittorio della responsabi lit� civhle di quest'ultimo. Nel caso, invece, di danni causati da mezzi non identificati nessun ristoro essi avrebbero potuto trovare attraverso le norme che disdptl:in:ano 668 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la responsabilit� civHe e il rapporto di assicurazione, cosicch� in quasi tutti i paesi av:anzati sono stati 'adottati nuovi strumenti che rispondessero a principi di solidariet�. Il nostro .legislatore, onorando gli impegni assunti con la firma della Convenzione di Strasburgo del 20 aprile 1959, ha introdotto tale nuova disciplina con Ja Jegge n. 990 del 1969, istituendo :il � Fondo di garanzia per Je vittime della strada�, allo scopo di indennizzare i danni causati da mezzi rimasti sconosciuti o non assicurati oppure assicurati con impvese poste in stato di liqrndazione con dichiarazione di insolvenza (artt. 19, 20 e 21). Nella prima ipotesi, che � quella che nella specie interessa, la mancata individuazione del responsabile esula dallo schema ll:ipico della responsabilit� aquiliana conferendo atlla prestazione del Fondo di garanzia Ja natura di un indennizzo, pi� !rispondente ai principi di solidariet�, anzich� i caratteri di un risarcimento nel senso proprio del termine. La mancata identificazione del responsabile, infatti, fa s� che la prestazione del Fondo, anzich� ,rappresentare il corrispettivo di premi versati dall'assicurato riconosciuto responsabfile, gravi in definitiva sulla generalit� degli assicurati incolpevoli, cosicch� appare ragionevole Hmitare l'intervento solidarristico ai casi pi� gravi di danno aMa persona e porre altres� limiti all'ammontare dell'indennizzo, sia con la fissazione di un massimo, sia con fimposizione di criteri particolarmente rigorosi nclJ.'accertamento del reddito. N� ta!l.e ipotesi pu� essere assimilata a quella del veicolo identificato ma non assicuriato o di veicolo assicurrato con impresa insolvente, dato che in questi casi � semprre possibile per il Fondo di garanzia esercitare l'azione di 1regresso sia nei confronti del conducente sia nei confronti del proprietario del veicolo. Corispondono, quindi, �ad una obbiettiva diversit� di situazioni le tre limitazioni previste dalla norma impugnata, cosicch� non sussiste alcuna violazione del principio di eguaglianza. (omissis) Con fa seconda questione la Corte � chiamata a decidere se il medesimo art. 21 deNa legge 24 dicembre 1969, n. 990 �contrasti con gli artt. 3 e 32 Cost., nella parte in cui limita la risarcibil.it� del danno causato da veicolo o natante non identificato in �riferimento a minimi di invalidit� permanente e al reddito lordo di lavoro dichiarato o accertato in 'sede fiscale. Jil giudice a quo dubita, infatti, che tali limitazioni, oltre a determinare disparit� di trattamento, violino iii principio deilla tutela della salute, non risultando garantita l'integrit� fisica del danneggiato, indipendentemente dalla sua capacit� di reddito. Anche tale questione non � fondata. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE � pur vero, infatti, che l'art. 32 Cost., ha innanzi tutto come oggetto cli tutela l'integrit� fisica, ma detta tutela si realizza nella durpJice direzione di apprestare misure di prevenzione e di assicurare cure gratuite agli indigenti. Nel caso di specie la norma impugnata non contrasta con alcuna deiMe finalit� perseguite dall'art. 32 Cost. in quanto da un lato non ha un rapporto diretto con gli obbiettivi di prevenzione, riguardando un momento successivo alla lesione del bene protetto, daill'altro, lungi dal lasciare senza protezione indigenti abbisognevoli di cure, introduce una forma di intervento solidaristico, che amplia [a possibilit� di ristoro del dann� alla persona (in materia di responsabilit� civile) a soggetti che altrimenti ne resterebbero privi. Che tale intervento sia sottoposto ad alcune limitazioni -come quelle lamentate nella ordinanza di rimessione -risponde ad una valutazione discrezionale del legislatore che, nel prevedere una prestazione del Fondo di natura indennitaria, ha voluto condizionarla, tra f'altro, alla sussistenza di un certo grado di invaili:dit� e ad un accertamento rigoroso del reddito del danneggiato. L'ultima questione � se lo stesso art. 21 legge. 24 dicembre 1969, n. 990 (nel testo originario) contrasti con gli artt. 3 e 24 �Cost., nella parte in cui :limita il risarcimento del danno causat� da veicolo o natante non identificato alla determinazione del reddito del danneggiato sulla base delle risUiltanze fiscali. Il giudice a quo si chiede se tale disposizione, oltre a determinare la disparit� di trattamento, non violi altres� il diritto di difesa della per~' sona danneggiata, introducendo un sistema di prova legale che non consente di dare dimostrazione dei propri diritti diversa da quella emergente dalle risultanze fiscali. Anche tale questione non � fondata. (omissis) Riguardo al denunciato contrasto con f'art. 24 Cost., occorre rilevare che l'impugnato art. 21 defila legge n. 990/69 al terzo comma non pone alcun limite al diritto di difesa del danneggiato, iii quale ha piena facolt� di dimostrare l'esistenza dei presupposti deil. suo diritto al risardmento, ma � quest'ultimo che, per Ja particolare natura indennitaria della prestazione del Fondo, � soggetto, al momento della liquidazione del danno, al limite sostanziale di dover essere 'l'apportato al reddito dichiarato dallo stesso danneggiato o accertato in sede fiscale. E nessuna censura pu� essere mossa al legislatore del 1969 se ri tenne di collegare l'intervento solidaristico del Fondo in favore del dan neggiato a quel dovere primario di solidariet� che � il fedele adempi mento dehl'obbligo tributario nei confronti della collettivit�. Non vi �, pertanto, alcuna violazione deH'art. 24 Cost. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 670 CORTE COSTITUZIONALE, 29 dicembre 1981, n. 205 -Pres. Elia -Rel. Andrioli -Casciato (n.p.), Ministro dei trasporti e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Lavoro -Divieto di inte11p05izione -Appalti concessi da amministrazioni autonome dello Stato -Decreto presidenziale 22 novembre 1961, n. 1192 � Ha natura regolamentare. (Cost., artt. 3, 4, 35 e 76; d.P.R. 22 novembre 1961, n. 1192, artt. 2 e 3). Il d.P.R. 22 novembre 1961, n. 1192, emanato in forza dell'art. 8 della l. 23 ottobre 1960, n. 1369, non � decreto legislativo ma ha natura regolamentare. (omissis) Per l'art. 8 1. 23 ottobre 1960, n. 1369 �con decreto del Presidente della Repubblica, su propost�a congiunta dei Ministri per le finanze, per i trasporti, per le poste e le telecomunicazioni e per il lavoro e fa previdenza sociaile, entro sei mesi dall'entrata in vigore de~a .resente legge, 1saranno emanate ~e norme per la disci~i:na dell'impiego di manodopera negli appalti concessi daille Amministrazioni autonome delle Ferrovie dello Stato, dei Monopoli di Stato e delle poste e telecomunicazioni, in conformit� con le disposizioni di cui ai precedenti articoili, tenendo conto delle esigenze tecniche deNe Amministrazioni stesse e salvaguardando gli interessi del personale dipendente delle imprese forni trici di manodopera � (comma primo) e � qualora non vengano emanate le norme di cui al precedente comma nel termine ivi previsto, la presente legge trover� applicazione anche nei confronti delle predette Ammini strazioni autonome dello Stato� (comma secondo). L'art. 8 in una con non poche modifiche fu inserito, nella proposta di legge approvata �da!lla Oamera dei Deputati nella seduta del 15 ottobre 1959, dal Senato deNa Repubblica nella seduta del 14 luglio 1960 e le Commissioni permanenti IV e XIII della Camera cos� giustificarono l'inser zione neNa Relazione presentata �alla Presidenza il 6 ottobre 1960 (Atti parlamentari -Camera dei Deputati, n. 130-134-C): � Riteniamo che la delega data al Governo con l'art. 8 costituisca un notevole perfeziona mento della Iegge e auspichiamo che, nei termini .revisti dalla delega stessa, avvenga la sistemazione delle numerosissime situazioni difformi dal dettato della presente legge >>. Nondimeno i due commi dell'art. 8 convincono che la norma non confer� ai Governo delega ad emanare decreto avente valore di legge ordinaria: da un :lato, nel tessuto verbale della disposizione non si avvertono verba che esprimano siffatta volont� perch� le Camere si sono limitate a conferire il potere di emanare norme senza far parola della forza di legge che avrebbe dovuto in ipotesi rivestirle, e, per altro verso, non hanno additato al Governo princ�pi ma gili han fatto obbligo di PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 671 emanare norme conformi alle precedenti disposizioni -nessuna esdusa -della legge tenendo conto delle esigenze tecniche delle Amministrazioni e salvaguardando gli interessi dcl personale dipendente dalle imprese fornitrici della manodopera. N� la intitolazione deHa 'legge (divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi) fa verbo del1a delega di cui all'art. 8. In perfetta armonia con [ dati ricavati dal primo comma sta il secondo comma deWart. 8, id quale condiziona l'applicazione di tutta la legge aMe Amministrazioni autonome alla emanazione, da parte del Governo, delle norme di cui a[ primo comma nel termine di sei mesi dalla entrata in vigore della legge. In disparte il mancato Tichiamo degli artt. 76 e 77 Cost. nel preambolo del d.P.R., fa fissazione di termini per la prolazione di questo e ila carenza del parere del Consiglio di Stato per la equivocit� degli indizi a favore della natura di decreto legislativo delegato nel d.P.R. medesimo, potrebbero gettar luce Ja frase della Relazione delle Commissioni referenti della Camera, che si � riportata, e, soprattutto, la procedura di approvazione diretta adottata nel caso dalla Camera, che � richiesta daWart. 72 ultimo comma Cost. Peraltro � lecito replicare che tale procedura ben pu� essere seguita anche per disegni di legge attributivi di potest� regolamentare e che la frase della relazione per investire l'intera materia dehla proposta ha carattere polisenso. In tale guisa giudicando, la Corte 'rimane fedele 1a1l'orientamento interpretativo manifestato con la sentenza 13 marzo 1974, n. 63 con cui la dichiarazione di parziale illegittimit�, per contrasto con ['art. 3 Cost., dell'art. 21 d.P.R. 21 aprile 1975, n. 373 sul conglobamento dell'assegno temporaneo nello stipendio del personale statale fu tra il'altro motivata con l'affermata natura regolamentare deUe norme contenute nell'art. 2 d.P.R. 1192/1961. Risultato esegetico che non vincola ovviamente i giudici competenti che saranno chiamati a scrutinare se i materiali normativi che si sono passati in rassegna valgano a costruire un valido regolamento pur privo di forza di 'legge. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE -3" sezione, 22 ottobre 1981, nella causa 27/81 -Pres. Touffait -Avv. Gen. Capotorti -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta � dalla Corte d'Appello di Versailles nella causa Rolli: c. Ossberger Turbinenfabrik - Interv.: Governo italiano (Avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Mc Clellan, avv. De Ricci). Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni mmateria civile e commerciale � Eccezione di incompetenza � Difese sul merito � Compatibilit�. (Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 18). L'art. 18 della convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 va interpretato nel senso che esso consente al convenuto non solo di eccepire l'incompetenza ma anche di presentare congiuntamente, in via subordinata, difese nel merito, senza che ne risulti compromessa l'eccezione, sostenuta in via principale, di incompetenza (1). (omissis) Invero, fra le varie versioni linguistiche dell'art. 18 della Convenzione esistono divergenze quanto ail se il convenuto, per negare la competenza al giudice adito, debba limitarsi ad eccepire l'incompetenza di questo, oppure, al contrario, possa pervenire allo stesso risultato contestando sfa la competenza del giudice �adito sia la fondatezza deHa domanda attrice; tuttavia, quest'ultima soluzione � pi� conforme agli scopi ed allo spirito della Convenzione. Infatti, a norma deil diritto pro (1) Nello stesso senso� la sentenza, di poco anteriore, 24 giugno 1981, nella causa 150/80, ELEFANTEN SCHUH. La soluzione accolta dalla Corte era stata proposta anche dal Governo italiano con le osservazioni che seguono. In tema di proroga tacita della: competenza nella Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 (art. 18). 1. -(omissis) La Corte d'Appello di Versailles chiede alla Corte di giustizia di precisare se l'art. 18 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 (sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale) debba essere inteso: a) nel senso che esso �vieti, nel caso in cui venga sollevata l'eccezione di incompetenza, di cui tale disposizione fa salva la proponibilit�, in modo che il giudice statuisca a titolo definitivo sulla competenza prima di far luogo alla PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 673 cessuale civile di taluni Stati contraenti, il convenuto che si limita a sollevare il problema de11a competenza potrebbe vedersi precludere la possibilit� di dedurre i mezzi attinenti al merito qualora i:l giudice respingesse 'l'eccezione d'incompetenza. Una interpretazione dell'art. 18 che consentisse di pervenire ad un ,risultato del genere sarebbe incompatibille con 1a tutela dei diritti de11a difesa nel procedimento di origine, che costituisce una delle finalit� della Convenzione. (omissis) trattazione del merito, di far va1ere congiuntamente, 1n via subordinata, le eccezioni relative al merito �; b) ovvero nel senso che esso permetta (anche se ci� non � ivi precisato), nel sollevare l'eccezione d'incompetenza di cui esso sancisce la proponibilit�, di concludere contemporaneamente, ma in via subordinata, sul merito, onde dare al giudice adito la possibilit� di pronunciarsi, se necessario, con una sola decisione tanto sul merito quanto sull'eccezione, sull'esempio di quanto espressamente previsto dall'art. 76 del nuovo Codice di procedura civile francese, con formalit� preordinate alla tutela dei diritti della difesa�. 2. -Il dubbio sarebbe sorto in conseguenza di una ritenuta difformit� fra le quattro versioni linguistiche della norma (facenti tutte ugualmente fede: art. 68 della conv.). L'art. 18, infatti, dopo aver precisato che �al di fuori dei casi in cui la sua competenza risulta da altre disposizioni della presente convenzione, il giudice di uno Stato contraente davanti al quale il convenuto � comparso � competente >>, dispone che tale norma non � applicabile: -(nel testo francese) � si la comparution a pour objet de contester la comp�tence... � -(nel testo italiano) �se ia comparizione avviene solo per eccepire -la incompetenza... � -(nel testo olandese) � indien de verschijning uitsluitend ten doel heeft de bevoegdheid te betwisten � -{nel testo tedesco) � wenn der Beklagte sich nur einsliisst im Mangel der Zustandigkeit geltend zu machen... �. Nei testi italiano, olandese e tedesco v'� l'avverbio �solo -uitsluitend -nur �, mentre nel testo francese non v'� l'avverbio corrispondente. 3. -Nell'ordinamento processuale italiano l'art. 167 cod. proc. civ. stabilisce, in linea generale, che �nella comparsa di risposta (cio� nel primo atto difensivo) il convenuto deve proporre tutte le sue difese ... e formulare le conclusioni>>. I successivi articoli 183 e 184 consentono, per�, di modificare le domande, eccezioni e conclusioni precedentemente formulate e proporre nuove eccezioni che non siano precluse da specifiche disposizioni di legge; ci� pu� avvenire in corso di istruttoria finch� la causa non sia rimessa dal giudice istruttore al collegio per la decisione (questa possibilit� non �, per�, ammessa in procedimenti particolari, come in quello relativo alle controversie di lavoro, dove tutte le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio devono essere proposte nella prima memoria difensiva a pena di decadenza: art. 416 c.p.c.). Il convenuto, quindi, pu� proporre gradatamente le sue difese (in linea generale, salvo le preclusioni specificamente previste dalla legge) e pu� limitarsi a sollevare prima una sola eccezione che ritenga decisiva per poi aggiungere altre eccezioni � difese, se e quando lo ritenga opportuno. Questa facolt� concessa al convenuto incontra un preciso limite al momento della RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 674 rimessione della causa al collegio giudicante: il giudice istruttore, infatti, allorch� rimette la causa al collegio, -anche per la decisione separata di una questione di merito avente carattere preliminare o di una questione attinente alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali -, invita le parti a precisare le conclusioni che intendono sottoporre al collegio stesso e tali conclusioni devono essere interamente formulate anche per il merito, in quanto in ogni caso la rimessione investe il collegio di tutta la causa (artt. 1.87 e 189): il collegio, infatti, potr� limitarsi a decidere solo la questione specificamente rimessagli dal giudice istruttore ovvero potr� decidere su tutte le domande proposte e sulle relative eccezioni, se non ritiene necessaria una ulteriore istruttoria (art. 277). Questo sistema -che, a quanto pare, � simile a quello adottato negli altri ordinamenti processuali dei Paesi firmatari della convenzione -, da un lato tende ad assicurare l'equilibrio fra l'esigenza di evitare sprechi di attivit� processuale (ammettendo la decisione separata su una questione la cui soluzione appaia idonea a risolvere da sola la lite) e l'esigenza dell'economia del giudizio (ammettendo che il Giudice passi senz'altro alla valutazione di tutte le questioni se, risultata non risolutiva la decisione della prima di esse, non ritenga necessaria un'ulteriore istruttoria); e da un altro lato tende ad assicurare l'equilibrio fra le esigenze della difesa (lasciando, cio�, alla prudente valutazione di ciascuna delle parti l'opportunit� di prospettare ed approfondire tutte o alcune delle proprie difese) e la garanzia della maggior rapidit� del processo (evitando che la necessit� di decisioni separate ritardi la definizione del processo, con effetti pregiudizievoli per colui che chiede giustizia). In questo quadro, l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano rispetto al giudice straniero (la ripartizione di attribuzioni tra giudice italiano e giudice straniero nell'ordinamento processuale italiano attiene alla giurisdizione e non alla competenza), salvo che non sia rilevabile d'ufficio se il convenuto � contumace o comunque in materie particolari, � pu� essere rilevata soltanto dal convenuto costituito che non abbia accettato espressamente o tacitamente la giurisdizione italiana� (art. 37; la giurisprudenza ritiene che l'eccezione possa essere sollevata solo in limine litis, nella prima difesa, perch� altrimenti si configurerebbe un'accettazione tacita della giurisdizione italiana). Sollevata l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano, il convenuto valuter� egli stesso se sia opportuno aggiungere anche eventuali altre eccezioni, o difese di merito, in via subordinata, in quanto il giudice istruttore potrebbe rimettere la causa al collegio per la decisione solo sulla questione di giurisdizione o su ogni altra questione, e nell'un caso e nell'altro il collegio potrebbe decidere solo sulla giurisdizione oppure, respinta l'eccezione di giurisdizione, entrare nel merito della causa, se ritenesse superflua una istruttoria ulteriore. 4. -La convenzione di Bruxelles non ha modificato il sistema processuale suddetto. L'art. 20 dispone che l'incompetenza � dichiarata d'ufficio dal giudice se il convenuto non comparisca. L'art. 18 dispone che la competenza del giudice, che non avrebbe competenza, rimane ferma (salvo !i casi di competenza inderogabile) se il convenuto comparisce: la comparizione del convenuto, cio�, impedisce al giudice di dichiararsi incompetente (salvo, appunto, i casi di competenza inderogabile). La convenzione si �, per�, preoccupata di dare un'ulteriore garanzia al convenuto, consentendogli di evidenziare al giudice le ragioni per le quali egli ritiene che il giudice stesso non sia competente: e cos� la seconda parte del primo comma dell'art. 18 stabilisce PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONAL� che non si ha proroga della competenza � se la comparizione avviene... per eccepire 1a incompetenza�. Il testo francese della norma non pone alcuna difficolt� interpretativa: non si ha proroga di competenza se il convenuto compare ed eccepisce la incompetenza. Saranno ovviamente le norme nazionali a stabilire con quali formalit� ci� deve avvenire: non v'� alcun limite posto dalla convenzione. Coerentemente, la Relazione alla convenzione, a proposito dell'art. 18, avverte che � ...il convenuto potr�, basandosi sulla convenzione, invocare le disposizioni della medesima davanti al giudice adito e sollevare una eccezione di incompetenza�, precisando che � per stabilire fino a quando il convenuto potr� sollevare tale eccezione, nonch� per determinare il significato giuridico del termine " comparire ", bisogner� riferirsi alle norme di procedura in vigore nello Stato del giudice adito �. In questa prospettiva la convenzione non impedisce al convenuto che voglia far valere l'eccezione di incompetenza di aggiungere, in via subordinata, altre eccezioni e difese di merito: la compatibilit� della proposizione dell'eccezione con la proposizione delle tesi subordinate andr� valutata secondo le norme degli ordinamenti processuali dei singoli Stati. Nell'ordinamento italiano (e a quanto pare anche negli altri ordinamenti) la compatibilit� sussiste: anzi � prudente quel convenuto che, non essendo assolutamente certo della fondatezza deWeccezione di incompetenza, svolga le sue difese interamente e compiutamente anche nel merito. 5. -Alle stesse conclusioni deve, per�, pervenirsi anche secondo i testi italiano, olandese e tedesco, malgrado che in questi vi sia l'avverbio � soltanto -nur -uitsluitend �. L'uso di questo avverbio, invero, non appare affatto decisivo: con esso si � voluto soltanto rafforzare il concetto della comparizione giustificata dall'esigenza di far valere con maggior efficacia l'eccezione di incompetenza, senza effetti sananti. La soluzione contraria, invero, non appare logica: 11 convenuto che ritenga il giudice incompetente per non soggiacere alla sua competenza o non dovrebbe comparire (con il rischio che il giudice non conoscendo bene tutti gli aspetti della vertenza, che il convenuto potrebbe prospettargli, si dichiari competente) o dovrebbe costituirsi e limitarsi ad eccepire la incompetenza (costringendo il giudice ad emettere in ogni caso una sentenza sulla sola competenza, con grave pregiudizio per l'economia dei giudizi). � stato obiettato che consentendo al giudice, davanti al quale � stata eccepita l'incompetenza, di pronunciarsi anche nel merito, si limita il diritto di difesa del convenuto. Ci� non � vero. In effetti il convenuto, sapendo che il giudice pu� ,anche decidere il merito, potr� ben svolgere tutte le sue difese di merito in linea subordinata: se non lo fa, ci� dipende dalla sua valutazione della fondatezza dell'eccezione di incompetenza e dall'affidamento che in essa ripone. Vi � piuttosto da considerare che, imponendosi al convenuto che voglia far valere la incompetenza di astenersi dal proporre altre difese subordinate, si apre una via facilissima per gravi abusi: ogni convenuto che intenda procrastinare l'esito del giudizio si costituir� sollevando un'eccezione (anche manifestamente infondata) di incompetenza del giudice adito, ottenendo un notevole prolungamento dei tempi necessari per definire il giudizio, in quanto costringerebbe il giudice ad emettere una sentenza sulla sola competenza. E questo � palesemente assurdo. 6. -Ordunque, poich� il testo dell'art. 18 deve avere un unico significato, questo non pu� essere che quello indicato nel paragrafo 4 del presente scritto, PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 677 Non costituisce violazione del trattato CEE il mancato ricorso ai procedimenti di cui all'art. 73 per quanto concerne restrizioni imposte ai movimenti di capitali che lo Stato membro interessato non sia tenuto a liberalizzare in forza delle norme comunitarie (2). L'art. 71, 1� comma, del trattato CEE (ai termini del quale gli Stati membri �procurano� di non introdurre nuove restrizioni) non impone agli Stati membri un obbligo assoluto, che possa essere invocato dai singoli (3). L'art.� 106, n. 3, del trattato CEE non si applica alla riesportazione di una somma precedentemente importata allo scopo di effettuare acquisti di carattere commerciale che risultano non essere stati realizzati. Nessun principio di diritto comunitario, nessuna delle disposizioni di questo diritto relative ai movimenti di capitali, n� le disposizioni dell'art. 106 concernenti i pagamenti relativi agli scambi di merci garantiscono ai non residenti il diritto di riesportare banconote precedentemente importate allo scopo di realizzare negozi d'indole commerciale, ma non utilizzate (4). Per quanto concerne i movimenti di capitali e i trasferimenti di valuta che gU Stati membri non s�no tenuti a liberalizzare in base alle norme comunitarie, queste ultime non limitano il potere degli Stati membri di adottare misure di controllo e di imporre l'osservanza mediante sanzioni penali (5). (omissis) 1. Con ordinanza 6 ottobre 1980, pervenuta in cancelleria il 16 ottobre 1980, il Tribunale di Bolzano ha sottoposito a questa Corte, in forza dell'art. 177 del Trattato CEE, talune questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 67, 69, 71, 73 e 106 dello stesso Trattato, nonch� all'esis.tenza di vari principi di diritto comunitario, al fine di potersi pronunziare sUilla compatibilit� con detti articoli e principi di talune disposizioni della normativa italiana in materia valutaria. (1-5) La sentenza in rassegna ha accolto integralmente le tesi sostenute nell'interesse del Governo italiano con l'atto di intervento che riproduciamo nelle parti essenziali. Libera circolazione di capitali e disciplina valutarla. 1. Premessa. La legislazione italiana in tema di esportazione materiale di valute. Il procedimento penale pendente davanti al Tribunale di Bolzano trae origine dal tentativo compiuto da un cittadino italiano non residente di esportare senza autorizzazione una certa quantit� di lire italiane e di marchi tedeschi. Vengono in discussione, perci�, le norme interne e le norme comunitarie che si riferiscono ad operazioni di questo genere, rientranti fra quelle che la nomenclatura allegata alla direttiva del Consiglio dell'll maggio ,1%0 (G.U.C.E. 678 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di un procedimento penale pr~mosso nei confronti di un cittadino italiano, ,residente nella Repubblica federale di Germania, cui si fa carico di aver tentato di esportare daH'Italia, senza 'l'autorizzazione prescritta daLle norme valutarie italiane, fra l'altro la somma di 24.000 DM, di cui venne t!rovato in possesso il 16 luglio 1979 alla frontiera italo-austriaca. L'imputato ha sostenuto di aver importato in precedenza tale somma in Italia, senza dichiararla, per acquistare taluni macchinari necessari per ['impresa ch'egli gestisce in Germania, e di essere stato cos.tretto a riesportarla perch� la fabbrica presso la quale intendeva effettuare �l'acquisto era chiusa per ferie. 3. -L'art. 14 del decreto ministeriale italiano 7 agosto 1978 (Gazzetta Ufficiale n. 220 dell'8 agosto 1978) consente la libera importazione di banconote estere. L'art. 13 dello stesso decreto dispone che l'esportazione, da parte di non residenti, di banconote estere � ammessa entro i limiti dell'ammontare precedentemente importato o dell'ammontare che 12 luglio 1960, pag. 921) indica come � importazioni ed esportazioni materiali di valori� non finalizzate ad alcuno scopo particolare (voce XIII). In sintesi, la disciplina vigente in Italia � la seguente. L'importazione di biglietti di Stato e di banca esteri � libera sia per i residenti che per i non residenti (art. 14 del DM. 7 agosto 1978, in G.U.R.I. n. 220 dell'8 agosto 1978. La norma riproduce analoghe disposizioni contenute in testi normativi precedenti) L'importazione di biglietti di Stato e di banca italiani � ammessa, invece, solo per importo limitato al seguito di viaggiatori residenti o non residenti. L'esportazione di biglietti di Stato e di banca italiani pu� effettuarsi, sia da parte dei residenti che dei non residenti, unicamente in base ad autorizza� zione ministeriale (art. 6, secondo comma, del D.L. 6 giugno 1956, n. 476, convertito nella legge 25 luglio 1956, n. 786). Per i biglietti di Stato e di banca esteri, va ricordato, anzitutto, che per i residenti sussiste in Italia l'obbligo di offrire in cessione all'Ufficio Italiano dei Cambi tutte le valute estere di cui siano in possesso (art. 8 D.L. 6 giugno 1956, n. 476). Essi possono, tuttavia, ottenere determinate assegnazioni di valuta, con l'autorizzi:tzione all'esportazione, quando si recano all'estero per scopi di turismo, affari, studio o cura (art. 10 del D.L. 6 giugno 1956, n. 476). Al di fuori di questa ipotesi, l'esportazione materiale di biglietti di Stato o di banca esteri da parte di residenti (che si siano sottratti all'obbligo di cessioni all'U.I.C.) costituisce un illecito. I non residenti, invece, possono legittimamente possedere valute estere, sia che le abbiano importate (come si � detto, non vi sono limiti all'importazione), sia che le abbiano legittimamente acquisite in Italia. Essi sono autorizzati ad esportare tali valute, ma devono naturalmente comprovarne il legittimo possesso (precedente importazione o acquisto in Italia) secondo modalit� stabilite dal Ministero del commercio con l'estero (art. 13, lett. b), del D.M. 7 agosto 1978, in G.U.R.I. n. 220 dell'8 agosto 1978. Anche questa norma riproduce analoghe disposizioni contenute in precedenti testi normativi). Per quanto riguarda, in particolare, i biglietti di Stato o di banca precedentemente importati da non residenti, le disposizioni emanate dal Ministero del commercio con l'estero a norma del richiamato art. 13 stabiliscono che 679 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE ha formato oggetto di :legittimo acquisto in Italia, da provare secondo le modalit� stabilite dal Ministro del commercio con l'estero. Tali modalit� sono state staMlite, in particolare, con circolare 3 maggio 1974, n. A/300, deM'Ufficio Ina:liano dei Cambi, la quale, al n. 11, dispone che i non Tesidenti possono ,riesportare H denaro denunciato a mezzo del � modello V 2 � all'atto dell'entrata in Italia. 4. -A norma dell'art. 1 della legge 30 aprile 1976, n .159, ['esportazione non autorizzata di divise per un valore superiore a 500.000 lire � punita 1con la J:eclusione da uno a sei anni e con una multa d'importo variabile dal doppio al quadruplo del valore delle divise esportate. Prima del 1976 tali infrazioni costituivano soltanto illeciti amministrativi, e non reati, ed erano punite solo con sanzioni amministirative consistenti nel pagamento di una somma fino al quintuplo del valore dei beni esportati. 5. -Nell'ordinanza di rinvfo il giudice nazionale si J:ichiama alla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, sec()[}do cui il non l'autorizzazione automatica all'esportazione � condizionata al possesso della � dichiarazione di possesso di valute e titoli� (c.d. �modello V2 �) ricevuta e vistata dalla Dogana all'atto dell'ingresso nel territorio italiano (questo docu mento � necessario, non solo per la riesportazione, ma anche per ogni altro impiego consentito in Italia, per il quale sia richiesta la dimostrazione della regolare pertinenza estera). Ci� non significa, tuttavia, che, in mancanza del � mod. V2 �, il non residente non possa in alcun modo esportare la valuta da lui legittimamente posseduta. Ha, infatti, ritenuto la Corte di Cassazione (nel la sentenza del 12 aprile 11980, n. 4779, richiamata anche dall'ordinanza del Tribu nale di Bolzano) che � sempre possibile per il non residente che non sia in possesso del modello V2 (e che, quindi, non possa avvalersi dell'autorizzazione generale accordata dalle norme richiamate) chiedere alle competenti autorit� amministrative un'autorizzazione specifica, fornendo in quella sede sufficienti elementi di prova della precedente importazione. La violazione dei precetti richiamati si concreta, quindi, nell'esportazione (o nel tentativo di esportazione) di valute estere che non abbiano formato oggetto di regolare assegnazione ad un residente con autorizzazione all'<espor tazione, ovvero di valute estere detenute da un non residente che non sia in possesso n� del documento prescritto in generale per comprovarne la legittima provenienza (precedente importazione o acquisto in Italia), n� di un'autorizza zione specifica. Per gli illeciti di questo tipo, la legge valutaria (D.L. 6 giugno 1956, n. 476, convertito nella legge 25 luglio 1956, n. 786, art. 15) prevedeva origina riamente una sanzione di carattere amministrativo consistente nel pagamento di una somma fino al quintuplo del valore delle valute oggetto dell'esportazione illecita o del tentativo di esportazione. Con l'art. 1 del decreto legge 4 marzo 1976, n. 31 (nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 23 dicemb11e 1976, n. 863) � stata introdotta, ove il valore dei beni esportati superi le lire 500 mila, una sanzione di carattere penale (reclusione da uno a sei anni e multa dal doppio al quadruplo del valore dei beni esportati, ovvero solo multa dalla met� al triplo del valore medesimo, se questo non eccede le lire 5 milioni), applicabile a � chiun que, senza l'autorizzazione prevista dalle norme in materia valutaria, ovvero con autorizzazione indebitamente ottenuta, esporta con qualsiasi mezzo fuori RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 680 residente che, avendo omesso di compilare il modello V 2 all'atto della entrata nel territorio italiano, tenti di .riesportare la valuta ch'egli afferma avere legittimamente importato, commette itl reato di cui all'airt. 1 della legge n. 159 del 1976. 6. -Tenuto conto di tali circostanze, il giudice nazionale chiede alla Corte di risolvere le seguenti questioni: � 1) Se, dopo la scadenza del periodo transitorio, le restrizioni ai movimenti di capitali di cui all'art. 67 del Trattato CEE si debbano intendere soppresse, indipendentemente da quanto disposto dal successivo art. 69. 2) Se 1'omissione, da parte del Governo italiano, della procedura di consultazione, stabilita nell'art. 73 del Trattato, in relazione d.1. 4 marzo 1976, n. 31, convertito in legge 30 aprile 1976, n. 159, determini violazione del Trattato medesimo. 3) Se un principio o una norma del Trattato garantiscano al non residente il diritto di riesportare la valuta precedentemente importata e non utilizzata, anche se convertita in Lire italiane. del territorio dello Stato valuta nazionale od estera, titoli azionari od obbligazioni, titoli di credito, ovvero altri mezzi di pagamento�. 2. Le disposizioni comunitarie in tema di esportazione materiale di valute. L'art. 69 del Trattato dispone, com'� noto, che � il Consiglio, deliberando su proposta della Commissione, che all'uopo consulta li Comitato monetario di cui all'articolo 105, stabilisce, all'unanimit� nel corso delle due prime tappe e a maggioranza-qualificata in seguito, le direttive necessarie alla progressiva attuazione delle disposizioni dell'articolo 67 �, e cio� le direttive necessarie affinch� si pervenga, �nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune �, alla graduale soppressione delle restrizioni ai movimenti dei capitali appartenenti a persone residenti negli Stati membri. Il Consiglio, avvalendosi del potere attribuitogli da questa disposizione, ha emanato la direttiva dell'll maggio 1960 (in G.U.C.E. 12 luglio 1960, pag. 921), modificata dalla successiva direttiva 63/21/CEE del 18 dicembre 1962 (in G.U.C.E. 22 gennaio 1963', pag. 62). Per quanto si dir� pi� oltre, commentando il primo quesito posto dal Tribunale di Bolzano, la disciplina contenuta in queste due direttive � tuttora in vigore e costituisce il quadro normativo comunitario entro il quale devono muoversi le legislazioni degli Stati membri. Su di essa, perci�, � necessario soffermarsi brevemente. Le direttive prendono in considerazione tutte le possibili forme di movimenti di capitali e le distinguono (allegato I) in quattro categorie. I movimenti di capitali di cui alla prima categoria sono completamente liberalizzati, nel senso che gli Stati membri sono tenuti ad accordare ogni autorizzazione di cambio necessaria per la conclusione o l'esecuzione delle transazioni che hanno ad oggetto tali movimenti. Si tratta, in sostanza, delle operazioni pi� intimamente connesse con il funzionamento del mercato comune (investimenti diretti; investimenti immobiliari; emigrazione; ecc.). I movimenti della seconda categoria (elenco B: operazioni in titoli trattati in borsa) devono esser consentiti mediante autorizzazioni generali per la conclusione o l'esecuzione delle relative ..........J PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 681 4) Ln caso affermativo, se l'eventuaile inadempimento di formalit� prescritte dalla [egislazione valutaria dello Stato dal quale le somme sono riesportate al seguito, nelle circostanze anzidette, possano essere punite con pene che comportano la confisca della valuta, la multa fino a cinque volte l'ammontare della valuta stessa, nonch� la restrizione della libert� personale fino a cinque am1i (salvo maggiorazioni nel caso di concorso di pi� persone). 5) Se, nel caso di risposta affermaitiva al precedente quesito, l'eventuale inadempimento aHe formalit� come sopra possa comportare pene della stessa gravit� di quelle comminate per l'esportazione iMecita di valuta. 6) Se, dopo la scadenza del periodo transitorio, debba considerarsi compatibile con gli obblighi di � standstiill � enunciati dagli artt. 71 e 106 (3) una legge interna che aggravi le sanzioni comminate da altra precedente come quando vengono punite con detenzione e multa, configurandole quali delitti, infrazioni ila cui inosservanza era precedentemente punita con sarizioni amministrative. transazioni. La terza categoria (elenco C: operaziom m titoli non trattati in borsa; emissione di titoli sul mercato estero; concessione di prestiti a medio e lungo termine) non forma oggetto, invece, di una previsione di liberalizzazione incondizionata: gli Stati membri possono, infatti, ove lo richieda la realizzazione degli obiettivi della loro. politica economica, mantenere o ristabilire le restrizioni valutarie ai relativi movimenti di capitali, restando attribuito alla Commissione il potere di emanare raccomandazioni in proposito. Tutti i movimenti di capitali non compresi in queste tre prime categorie rientrano nell'elenco D, che espressamente contempla, fra l'altro, proprio la fattispecie che interessa la presente controversia,� e cio� l'importazione o l'esportazione materiale di valori (titoli, mezzi di pagamento e oro) non destinata alla realizzazione di una delle operazioni� contemplate dalle altre voci dei quattro elenchi. Per questi movimenti (che non interessano in alcun modo il buon funzionamento del mercato comune) non � prevista alcuna misura obbligatoria di liberalizzazione. Gli Stati membd non hanno, infatti, altro obbligo che quello di comunicare alla Commissione le variazioni apportate alle disposizioni che di:soi:piliinWllO questa categoriJa di movimenti di oapi1JaJii (art. 7, secondo comma, della prima direttiva). Al di fuori. di questo obbligo di informazione, pu� affermarsi, quindi, che una disciplina comunitaria sostanziale in tema di importazione ed esportazione materiale di valori a tutt'oggi non esiste. 3. Sul primo quesito. 3.1.-Il Tribunale di Bolzano chiede se, dopo la scadenza del periodo tran sitorio, tutte le restrizioni ai movimenti di capitali di cui all'art. 67 del Trattato� si debbano intendere automaticamente soppresse, indipendentemente da quanto disposto dal successivo art. 69 e dalle richiamate direttive di attuazione. La risposta non pu� che essere negativa. La lettera dell'art. 67 � molto chiara nel senso che la soppressione delle restrizioni ai movimenti di capitali dev'essere attuata soltanto �nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune �. Come ha esattamente - 682 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 7) Se il principio secondo :il quale situazioni wsuguali non possono essere trattate in modo uguale (compreso anch'esso nel divieto di discriminazione di cui tra l'altro all'art. 7 del Trattato) consenta che le mede 1 sime pene inflitte da uno Stato membro per l'esportazione iillecita di valuta o per l'inadempimento 'di formailit� vaiutarie, si appliohino indiscriminata19ente, tanto ai residenti in quello Stato, quanto ai rnon residenti. 8) Se dopo la scadenza del periodo transitorio debbano considerarsi compatibili con gli artt. 67, 71 e 106 (3) del Trattaito, disposizioni inteme che prescrivano determinate formalit� al fine de!ll'ese:rdzio del pur riconosciuto diritto di riesportare capitaili, precedentemente importati, ponendo l'adempimento di tali formaliit:� quale prova esclusiva della precedente importazione, cos� in sostanza sanzionando penalmente la loro omissione �. osservato l'Avvocato generale Mayras nelle conclusioni presentate nella causa n. 7/78 (Regina c. Thompson, Racc. 1978, pag. 2287), non �, perci�, possibile riconoscere alla norma efficacia diretta n� ammettere che la stessa attribuisca diritti soggettivi a singoli individui. � illuminante, in proposito, il confronto con le altre norme del Trattato che subordinano la propria ,applicazione alla sola condizione temporanea della scadenza del periodo transitorio, dettando, per il resto, precisi e tassativi obblighi di risultato che gli Stati membri devono assolutamente conseguire al pi� tardi alla detta scadenza. Cos�: gli artt. 30 e 34, che tassativamente vietano ogni restrizione quantitativa all'importazione e all'esportazione di merci nonch� qualsiasi misura di effetto equivalente; l'art. 48, che pone l'obbligo incondizionato di assicurare, al pi� tardi al termine del periodo transitorio, la libera circolazione dei lavoratori; l'art. 52, che ugualmente pone una precisa obbligazione di risultato, consistente nella soppressione delle restrizioni alla libert� di stabilimento; l'art. 59 che detta identica norma per le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunit�; ecc. Relativamente a queste e ad altre analoghe previsioni, codesta On. Corte di Giustizia ha avuto pi� volte occasione di affermare il principio secondo cui l'efficacia diretta delle disposizioni del Trattato che dettano precisi obblighi di risultato da conseguire entro un termine tassativamente indicato non pu� essere esclusa n� affievolita dalla circostanza che tali obblighi non siano stati osservati da determinati Stati membri o che le istituzioni della Comunit� non abbiano emanato, durante il periodo transitorio, le norme di attuazione. Ma ben diversa �, evidentemente, la situazione normativa nascente dal dettato dell'art. 67. Questa norma, infatti, non pu� considerarsi per s� completa e giuridicamente perfetta. Essa non pone alcun preciso obbligo di risultato da conseguirsi entro la fine del periodo transitorio, ma stabilisce soltanto un principio, una linea di tendenza, la cui attuazione � legata al verificarsi di una condizione (che la soppressione di una determinata restrizione sia � necessaria al buon funzionamento del mercato comune�) il cui apprezzamento implica necessariamente l'esercizio, non di semplici poteri di accertamento obiettivo dei fatti, ma di veri e propri poteri di valutazione largamente discrezionale dell'interesse della Comunit�. Come si legge nelle citate conclusioni dell'Avvocato Generale Mayras, mentre le altre norme del Trattato pi� sopra richiamate subordinano la propria PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 683 7. -Tali questioni possono essere divise in due gruppi. Le prime tre e la sesta concemono soprattutto l'interpretazione delle disposizioni del Trattato relative ai movimenti di capitali e ai trasferimenti di vafluta. Le altre riguardano gli eventuali limiti imposti da'l diritto comunitario alle norme penali o di procedura penale che gli Stati membri hanno adottato in 'Settori aventi relazione con tale diritto. Sull'interpretazione delle disposizioni relative ai movimenti di capitali e ai trasferimenti di valuta. 8. -La prima questione concerne l'efficacia deH'aa:t. 67, e pi� esattamente del n. 1 di questo, dopo la 'scadenza del periodo transitorio. Questo articolo apre il capitolo relativo ai capitoli, compreso nel titolo concernente la �libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali�, il quale figura nella parte seconda del Trattato intitolata �Fondamenti della Comunit� �. La struttura di tali disposizioni corrisponde aU'enumerazione, di cui all'.art. 3 del Trattato, dei mezzi contemplati per la realizza- piena applicazione alla sola scadenza del periodo transitorio, � l'art. 67 subordina la graduale soppressione delle restrizioni ai movimenti di capitali ad una condizione temporanea e ad una condizione permanente. Pur ammettendo che il periodo transitorio previsto per la soppressione delle misure d'effetto equivalente alle restrizioni quantitative all'importazione e all'esportazione delle merci si applichi altres� alla soppressione delle restrizioni alla libera circolazione dei capitali, la clausola " nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune" rimane sempre valida, anche dopo la scadenza del periodo transitorio. Lo stesso criterio del " buon funzionamento del mercato comune � deve altres� guidare l'azione della Comunit�, per esempio, in materia di ravvicinamento delle legislazioni nazionali (art. 3, h) �, Il richiamo all'art. 3 h appare, in realt�, quanto mai appropriato e dimostra all'evidenza come l'apprezzamento della necessit� di una determinata misura al buon funzionamento del mercato comune appartiene sempre, per sua stessa natura, alla sfera delle valutazioni politiche, che possono competere soltanto agli organi legislativi della Comunit� e degli Stati membri. E cos�, anche nel caso dell'art. 67, lo stabilire se la soppressione di una determinata restrizione ai movimenti di capitali sia o non sia richiesta dalle esigenze di buon funzio namento del mercato comune implica necessariamente una valutazione di merito, che non pu� non rientrare nella competenza esclusiva del Consiglio a norma dell'art. 69. La concreta attuazione del principio enunciato dall'art. 67 �, perci�, neces sariamente rimessa, anche dopo la scadenza del periodo transitorio, alle dispo sizioni che il Consiglio deve emanare ai sensi dell'art. 69. Il �buon fuonziona mento del mercato comune � non �, infatti, un traguardo che possa dirsi mai raggiunto una volta per tutte. L'adeguamento del regime dei movimenti dei capitali a questo valore fondamentale esige (esattamente come il ravvicina mento delle legislazioni nazionali), uno strumento di intervento continuo e non limitato nel tempo, che possa tener conto delle mutevoli e complesse circo stanze atte ad influire, di volta in volta, sulla realizzazione degli interessi com plessivi della comunit�. E ci� conferma che solo attraverso l'emanazione delle PARIB I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 685 10. -Per questi motivi, l'art. 67, n. l, differisce dalle disposizioni concernenti la libera circolazione delle merci, delle persone e dei servizi, nel senso che l'obbligo di liberalizzare i movimenti di capitali � contemplato solo � nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune �. L'ampiezza di tale limitazione, che perdura dopo la scadenza del periodo transitorio, varia nel tempo e dipende dall'apprezzamento delle necessit� del mercato comune e dalla va!lutazione sia dei vantaggi .sia dei rischi che Ia liberalizzazione potrebbe presentare per detto mercato, tenuto conto della situazione del momento e, in ispecie, del grado d'integrazione raggiunto nei settori per i quali i movimenti di capitali hanno un'importanza particolare. 11. -Tale valutazione spetta, in primo �luogo, al Consiglio, secondo il procedimento contemplato dall'art. 69. In base a quest'ultimo il Con- Appunto in funzione di� questa scelta di fondo operata dall'art. �104 del Trattato si spiega perfettamente l'assenza, negli artt. 67 e 69, di vincoli rigidi e tassativi in tema di disciplina dei movimenti di capitali. Non sarebbe, infatti, coerente con l'attribuzione ai singoli Stati membri della responsabilit� della politica monetaria l'imposizione di un obbligo incondizionato e illimitato di liberalizzazione dei trasferimenti di valuta senza contestuale corrispettivo. La disciplina dei movimenti di capitali �, per larga parte, strumentale ed accessoria rispetto alle misure tendenti all'equilibrio della bilancia dei pagamenti e alla difesa del valore della moneta. Non si comprenderebbe, perci�, il senso di un'ipotetica disposizione che mirasse a sottrarre del tutto questo essenziale strumento di intervento agli Stati membri, che pur restano responsabili del raggiungimento degli scopi di politica monetaria indicati dall'art. 104. Il problema che si pone, in realt�, � quello di assicurare un giusto equilibrio fra le due esigenze, ugualmente essenziali per il buon funzionamento del mer cato comune, di pervenire, da un lato, alla massima possibile liberalizzazione dei trasferimenti di capitali e di garantire, dall'altro, la massima possibile ef ficacia alle misure adottate dagli Stati membri per raggiungere la stabilit� dei cambi e dei prezzi interni. Ed � appunto questo problema che l'art. 69 risolve nella maniera pi� logica e razionale, attribuendo, cio�, al Consiglio in via per manente (e non solo durante il periodo transitorio) quel potere di direttiva che � l'unico idoneo ad assicurare, con la necessaria duttilit� e nei modi di volta in volta adeguati alle mutevoli circostanze, l'equilibrato e contemporaneo perse guimento tanto del fine di ampliare, per quanto pi� � possibile, la libert� di trasferimento di risorse finanziarie, quanto di quello di consentire (sempre nel l'interesse del buon funzionamento del mercato comune) un reale ed efficace controllo dei flussi monetari idonei ad incidere pesantemente sulle bilance dei pagamenti degli Stati membri. La stretta connessione esistente fra la disciplina dei movimenti dei capitali e quella della bilancia dei pagamenti � attestata anche dall'art. 71, secondo comma, per il quale gli Stati membri � si dichiarano disposti ad andare oltre il livello di liberalizzazione dei capitali previsto dagli articoli precedenti, nella misura in cui ci� sia loro consentito dalla situazione economica, in particolare dalla situazione della loro bilancia dei pagamenti �, Questa stessa disposizione costituisce, d'altra parte, la riprO'Va pi� chiara ed evidente dell'impossibilit� di intendere l'art. 67 come rivolto ad attuare 6 686 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO siglio ha adottato due direttive, la prima in data 11 maggio 1960 (G. U. del 12 luglio 1960, pag. 921) e la seconda, che integra e modifica la prima, in data 18 dicembre 1962 (G. U. del 22 gennaio 1963, pag. 62). Negli allegati delle due direttive l'insieme dei movimenti di capitali � suddiviso in quattro categorie (elenchi A, B, C e D). Per i movimenti inclusi negli elenchi A e B le direttive prescrivono una iliberalizzazione incondizionata. Per quel che concerne invece i movimenti di cui all'elenco C, le direttive autorizzano gli Stati membri a mantenere in vigore o a ripristinare restrizioni valutarie vigenti alla data dell'entrata in vigoTe della prima direttiva, qualora la libert� di tali movimenti possa ostacolare la realizzazione degli scopi della politica economica dello Stato interessato. Infine, per i movimenti di cui all'elenco D le direttive non impongono agli Stati membri alcun provvedimento di liberalizzazione. In quest'ultimo elenco figurano, fra l'altro, l'importazione e l'esportazione materiale di valori, comprese le banconote. un'automatica e completa liberalizzazione dei movimenti di capitali. Se cos� fosse, .non avrebbe senso, infatti, l'indicazione di una linea di tendenza volta (ad � an<lare oltre � il livello di liberalizzazione (evidentemente solo parziale e limitato) previsto dagli artt. 67 e seguenti. 3.3. � Le considerazioni svolte portano, quindi, a concludere che la realizzazione del principio posto dall'art. 67 del Trattato � rimessa alle disposizioni attuative che il Consiglio deve emanare a norma dell'art. 69. Ne consegue, naturalmente, che le disposizioni emanate durante il periodo transitorio conservano la loro piena validit� ed efficacia anche dopo la scadenza del periodo stesso. E poich� tali disposizioni, come gi� abbiamo sottolineato, non contemplano alcuna misura di liberalizzazione delle esportazioni materiali e immotivate di valute, il quesito posto dal Tribunale di Bolzano nel caso di specie risulta privo di oggetto. Vogliamo darci carico, tuttavia, dell'ipotesi che le direttive del Consiglio del 1960 e del 1962 si ritengano, invece, caducate fin dalla scadenza del periodo transitorio e che, a partire dalla stessa scadenza, si debba attribuire efficacia diretta all'art. 67. Ci� significherebbe, non certo che tutte le restrizioni ai movimenti di capitali siano venute automaticamente meno (la limitazione posta dall'art. 67 non si pu�, invero, considerare come non scritta), ma soltanto che la compatibilit� di ogni singola restrizione con le esigenze del � buon funzionamento del mercato comune � dovrebbe essere di volta in volta valutata direttamente dai giudici. Nel nostro caso si tratterebbe, perci�, di stabilire se sia �ompatibile con quelle esigenze una norma che consente ai non residenti di esportare valuta estera soltanto nel limite, adeguatamente comprovato, di una. precedente importazione o di un legittimo acquisto effettuato all'interno. Orbene, appare del tutto evidente che non pu� sussistere alcun ragionevole dubbio suHa perfetta compatibilit� di una simile disciplina con il buon funzionamento del mercato comune. Pi� in generale, anzi, bisogna dire che un'ipotetica, completa libert� di effettuare importazioni ed esportazioni materiali di mezzi di pagamento in nulla gioverebbe al commercio infracomunitario, ma solo renderebbe estremamente agevoli i movimenti speculativi pi� rovinosi per il complessivo equilibrio monetario della Comunit�. l 'i I I I ! ~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA. E INTERNAZIONALE 687 12. -Si devr, concludere che l'obbligo, sancito dall'art. 67, n. 1, di a~olire le restrizioni ai movimenti di capitali non pu� essere precisato, in relazione ad una categoria determinata di tali movimenti, indipendentemente dalla valutazione effettuata dal Consiglio, nell'ambito dell'art. 69, circa la necessit� di liberalizzare detta categoria per il buon funzionamento del mercato comune. II Consiglio ha finora dtenuto che tale necessit� non sussista per quanto concerne l'esportazione di banconote -operazione di cui si fa carico alJ'imputato nella causa principale -e nulla autorizza a credere che, con tale presa di posizione, esso abbia ecceduto i limiti del suo potere discrezionale. 13. -La prima questione dev'essere pertanto risolta come segue: l'art. 67, n. 1, va interpretato nel senso che le restrizioni all'esportazione di banconote non possono intendersi soppresse dopo la scadenza del periodo transitorio, indipendentemente da quanto disposto dall'art. 69. La prova pi�t chiara di tutto ci� � data dalla considerazione che, in materia di importazione ed esportazione materiale di valute, le legislazioni nazionali di tutti gli Stati membri sono sempre state, e tuttora sono, molto restrittive, senza che in ci� sia mai stato avvertito alcun ostacolo all'attuazione dei principi fondamentali del mercato comune. La liberalizzazione. del movimento dei capitali �, infatti, funzionale alle esigenze del mercato comune solo nel limite in cui contribuisce al fine dell'ottimizzazione delle strutture economiche (art. 2), consentendo investimenti diretti in tutta l'area della Comunit�. A ci� pu� aggiungersi l'esigenza di ravvicinare le condizioni di finanziamento delle imprese operanti nella Comunit�, nonch� l'esigenza di rendere effettiva la libert� di stabilimento. Appunto a questi fini opportunamente provvedono le direttive del 1960 e del 1962. Ma una ipotetica estensione indiscriminata, al di l� di essi, del principio della liberalizzazione, fino a comprendervi perfino i trasferimenti puri e semplici di mezzi di pagamento non finalizzati ad alcuno scopo particolare, non servirebbe pi�, in alcun modo, al buon funzionamento del mercato comune, ma servirebbe soltanto ad agevolare � fughe � di capitali a puri fini di evasione fiscale, nonch� a favorire pericolosi movimenti speculativi di � hot mon~y � e a rendere impossibile ogni efficace politica congiunturale. 4. Sul secondo quesito. Il Tribunale di Bolzano chiede se l'omissione, da parte del Governo italiano, della procedura stabilita nell'art. 73 del Trattato in sede di emanazione del D.L. 4 marzo 1976, n. 31 costituisca violazione del Trattato medesimo. Cosi posto, il quesito � evidentemente irricevibile. Il procedimento previsto dall'art. 177 non �, infatti, utilizzabile per chiedere alla Corte di Giustizia di pronunciarsi su presunte violazioni del Trattato da parte di uno Stato membro, ovvero di pronunciarsi sull'interpretazione di una norma interna e sulla sua compatibilit� con il diritto comunitario. Per quanto riguarda, comunque, l'interpretazione dell'art. 73 del Trattato, pu� osservarsi che questa norma, tenuto conto di quanto si � detto circa la portata degli artt. 67 e 69, ha una sfera di efficacia ben delimitata e che essa mira a consentire che, dopo l'intervenuta emanazione di concrete misure di liberalizzazione ai sensi dell'art. 69, uno Stato membro possa temporaneamente tornare sui suoi passi e ristabilire, per motivi contingenti, restrizioni gi� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 14. -La seconda questione del giudice nazionale concerne la clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 73. Questo articolo consente agli Stati membri di istituire, a determinate condizioni e secondo determinate procedure, restrizioni che essi sarebbero altrimenti, in base aMe norme generali sui movimenti di capitali, tenuti a non imporre. Esso non si applica nel caso di restrizioni la cui istituzione sia gi� consentita in forza delle suddette norme generali. 15. -Tenuto conto delJa soluzione della prima questione, per risolvere la seconda � sufficiente dichiarare che non costituisce violazione del T.rattato il mancato ricorso alle procedure di cui all'art. 73 per quainto 1 concerne ;restrizioni imposte ai movimenti di capitali che lo Stato membro interessato non sia tenuto a liberalizzare in forza delle norme comunitarie. abolite in via generale. La norma, perci�, non ha alcuna possibilit� di trovare applicazione nei casi, come quello delle generiche importazioni o esportazioni materiali di valute, per i quali nessuna disposizione di liberalizzazione sia stata emanata. 5. Sul terzo quesito. La risposta appare implicita in quanto gi� si � detto: nessuna norma o principio comunitario si occupa delle esportazioni materiali di mezzi di paga� mento non finaJi7.z;ite a particolari scopi se non per escludere, rispetto ad esse, ogni misura obbligatoria di liberalizzazione. Ci� riguarda, naturalmente, anche le valute precedentemente importate da non residenti. 6. Sul sesto quesito. Cambiando l'ordine seguito dall'ordinanza, appare opportuno occuparst, prima degli altri, del sesto quesito, con il quale, in sostanza, si chiede se gli articoli 71 e 106 del Trattato pongano degli obblighi di � standstill � e se tali obblighi riguardino anche l'ipotesi in cui vengano punite con detenzione e multa infrazioni (non modificate nella loro configurazione) precedentemente punite con sanzioni amministrative. Sul secondo punto, appare chiaro che la risposta deve essere negativa. Le � nuove restrizioni � alle quali si riferiscono l'art. 71 e l'art. 106, par. 3, sono, evidentemente, soltanto i nuovi divieti di compiere determinate operazioni, nonch� le nuove e pi� restrittive condizioni alle quali venga subordinata la liceit� di altre operazioni. Del tutto diverso e irrilevante rispetto ai fini perseguiti dalle due norme � invece il caso in cui un'attivit� gi� qualificata come illecita e, come tale, colpita da determinate sanzioni venga successivamente assoggettata a sanzioni pi� gravi. La � restrizione�, ossia il divieto di compiere quella determinata attivit� resta, in tal caso, del tutto immodificata, n� ha importanza, ai fini del diritto comunitario, la qualit� o la misura delle sanzioni che alla violazione del divieto conseguono e che dipendono da mutevoli valutazioni, da parte del legislatore nazionale, della loro efficacia dissuasiva. Tale considerazione appare assorbente. Pu� aggiungersi, tuttavia, che il richiamo all'art. 106, par. 3, non � giustificato. Questa norma si riferisce, infatti, ai soli trasferimenti relativi alle transazioni invisibili enumerate nell'allegato III, fra i quali non sono comprese le importazioni ed esportazioni materiali di mezzi di pagamento non finalizzate ad alcun particolare scopo. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 689 16. -Con la terza questione si chiede, in sostanza, se un princ1p10 di diritto comunitario o una norma del Trattato garantiscano al non residente il diritto di riesportare valuta precedentemente importata e non utilizzata.. 17. -Va innanzitutto rilevato che, come emerige da1le soluzioni fornite alle prime due questioni, il grado di Hberalizzazione dei movimenti di capitali e la graduale abolizione delle restrizioni valutarie non scaturiscono da un principio generale, ma sono di,sciplinati dagli artt. 67 e 69 del T.rattato e dalle menzionate direttive 11 maggio 1960 e 18 dicembre 1962, adottate per l'attuazione degli stessi. Si deve tuttavia accertare se nei settori in cui, a norma di dette disposizioni, i movimenti di capitali non devooo ancora essere obbligatoriamente libera!lizzati -come nel caso dei trasferimenti di valuta in contanti -i soggetti dell'ordinamento comunitario usufruiscono di diritti che gli Stati membri sono tenuti a rispettare in forza delle norme di � standstill � di cui all'art. 71 del Quanto, poi, all'art. 711, � evidente che esso non pone alcuna vera obbligazione di standstill. La stessa formula letterale adoperata (nel testo italiano: � Gli Stati membri procurano di non introdurre nuove restrizioni �; nel testo francese: � ... s'efforcent de ... �; nel testo tedesco: � ... werden bestrbt sein �) indica chiaramente che il comportamento previsto non � configurato come obbligatorio, ma solo come oggetto di una dichiarazione rinforzata di intenzioni. Ben diversamente, infatti, si esprimono le norme del Trattato che pongono veri e propri obblighi di consolidazione, come, ad es., l'art. 12 (�Gli Stati membri si astengono dall'introdurre tra loro nuovi dazi doganali�), l'art. 31 (�Gli Stati membri si astengono dall'introdurre tra loro nuove restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente�), l'art. 53 (�Gli Stati membri non introducono nuove restrizioni aillo stabilimento nel loro territorio dei cittadini degli altri Stati membri�), l'art. 76 (� ... Nessuno degli Stati membri pu� rendere meno favorevoli.. le varie disposizioni che disciplinano la materia all'entrata in vigore del presente Trattato�), ecc. Risulta, del resto, chiaramente dai lavori preparatori che la ben diversa formula dell'art. 71 fu introdotta, su proposta delle delegazioni belga, olandese e italiana, proprio in base alla considerazione che non sarebbe stato equo imporre, in questo settore, un vero e proprio obbligo di standstill. Vi erano, infatti, alcuni Stati membri dell'istituenda Comunit� che, avendo gi� raggiunto un livello molto progredito in materia di libera circolazione di capitali, non avrebbero potuto mantenere in futuro la situazione esistente prima del Trattato. D'altro canto, le particolari esigenze del mercato comune ben avrebbero potuto rendere necessario di modificare le basi stesse e i metodi della gi� attuata disciplina liberalizzatrice del movimento di capitali (cfr.: Commentario del Trattato istitutivo della e.E.E., diretto da Quadri, Monaco e Trabucchi, vol. I, Milano, 1965, pag. 527). 7. Sui quesiti quarto e quinto. Questi quesiti, cos� come sono formulati, postulerebbero un giudizio, inammissibile in questa sede, sulla validit� della normativa vigente in Italia. Essi possono esser presi in considerazione, pertanto, soltanto in quanto chiedono, in sostanza, se sussistano norme o principi di diritto comunitario 690 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Trattato o dell'art. 106 del trattato, disposizioni cui il giudice nazionale si � richiamato, anche se in un altro contesto, nella sesta e nell'ottava questione. 18. -Ai termini dell'art. l, primo comma, gli Stati membli procurano di non introdurre all'interno della Comunit� nuove restrizioni di cambio pregiudizievoli ai movimenti di capitali e di non rendere pi� .restrittive le discipline esistenti. 19. -In ragione dell'impiego del termine �procurano�, i:1 testo di questa disposizione si distingue nettamente dai termini pi� tassativi in cui sono redatte altre disposizioni simili concernenti le restrizioni a!lla libera circolazione delle merci, delle persone e dei servizi. Dalla suddetta formulazione risulta che, comunque, l'art. 71, primo comma, non impone agli Stati membri un obbligo assoluto, che possa essere invocato dai singoli. che vietino di colpire con sanzioni che comportino reclusione, multe e confische l'esportazione, da parte di non residenti, di valute per le quali non esista prova della legittima importazione; owero se sussistano norme o principi di diritto comunitario che vietino di trattare allo stesso modo questa fattispecie (in cui c'� �solo� la mancata prova del legittimo possesso della valuta esportata) e l'altra di un'esportazione di valuta di cui risulti positivamente provato l'illecito possesso. � necessario premettere che, anche cos� posti, i quesiti di cui si tratta pos� sono risultare fuorvianti. La fattispecie illecita prevista dall'art." 1 del d.l. 4 marzo 1976, n. 31 consiste, infatti, sempre e soltanto, nell'esportazione di valuta senza autorizzazione. � questo connotato negativo che caratterizza il fatto-reato in ogni sua possibile manifestazione, senza che occorra mai, in sede giudiziale, alcuna indagine sulla provenienza della valuta esportata. Per quanto riguarda, in particolare, i non residenti, l'autorizzazione alla esportazione, secondo la gi� richiamata giurisprudenza della Corte di Cassazione, pu� esistere in due forme: come autorizzazione generale ed automatica, valevole in tutti i casi in cui esista il documento prescritto per provare la precedente importazione (o il legittimo acquisto in Italia), ovvero come autorizzazione specifica rilasciata a chi, pur non essendo in possesso del documento vistato dalla Dogana, riesca a provare adeguatamente alla competente autorit� amministrativa la precedente importazione. Il reato, perci�, sussiste soltanto se faccia difetto tanto l'una, quanto l'altra forma di autorizzazione amministrativa, senza che possa mai porsi un problema di prove, in sede giudiziale, della prove;iaienza della valuta esportata. In tal modo, il quesito n. 5 viene a perde~e ogni contenuto, mentre, a proposito del quesito n. 4, va osservato che la legge italiana non punisce affatto la mancata osservanza di semplici � formalit� �, ma punisce, anche nel caso dei non residenti, unicamente l'esportazione illecita (e, cio�, non debitamente autorizzata, in via generale o in via particolare) di valuta. Comunque, rispetto ad ambedue i quesiti va sottolineato che, non esistendo alcuna norma o principio di diritto comunitario in materia di esportazioni materiali non finalizzate di valuta, non pu� esistere neppure alcun vincolo in materia di sanzioni applicabili ai fatti illeciti definiti dalle norme nazionali. _.�:���-*-�_,,�X @ . .{:. ,.. _.�:���-*-�_,,�X @ . .{:. ,.. 691 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 20. -I movimenti di capitali costituiscono soltanto una parte delle operazioni che danno luogo a trasferimenti di valuta. Gius,tamente, quindi, il giudice nazionale menziona l'art. 106, che mixa a garantire i trasferimenti di valuta necessari tanto per la liberalizzazione dei movimenti di capitali quanto per la libera circolazione delle merci, dei servizi e delle persone e ohe, per di pi�, non contiene le limiti;tzioni espressamente contemplate dalle disposizioni gi� esaIIl!�nate. 21. -Pi� specificamente, nella sesta questione, il giudice nazionale fa menzione dell'obbligo di � standstill � enunciato dall'art. 106, n. 3, primo comma. Ai termini di questa disposizione, gli Stati membri s'impegnano a noo introdu11re nei loro rapporti nuove restrizioni per i trasferimenti relativi aille cosiddette transazioni � invis�biLi � enumerate neH'elenco di cui all"a:JJlegato III del Trattato. Codesta On. Corte ha avuto occasione di affermare che anche l'applicazione di sanzioni penali palesemente eccessive pu� costituire, in ben'� determinati casi, ostacolo al pieno esercizio dei diritti soggettivi attribuiti ai singoli dalle norme comunitarie. Cos�, ad esempio, � stato ritenuto che le sanzioni applicate in caso di violazione dell'obbligo di munirsi di una carta d'identit� o di un passaporto non possono assumere una gravit� tale da divenire un ostacolo alla libert� di ingresso e di soggiorno prevista dal Trattato (sent. 14 luglio 1977, in causa 8/77 Sagulo); che, del pari, le sanzioni per l'inosservanza di formalit� prescritte per la notifica dell'ingresso di stranieri non possono essere talmente sproporzionate da risolversi in un ostacolo alla libera circolazione delle persone (sent. 7 luglio 1976, in causa 118/75 Watson); che l'inosservanza dell'obbligo di dichiarare la provenienza originaria delle merci importate non pu� dar luogo all'irrogazione di sanzioni talmente gravi da equivalere ad una restrizione quantitativa vietata dal Trattato (sent. 30 novembre 11977, in causa 52/77 Cayrol; e sent. 15 dicembre 1976, in causa 41/76 Donckerwolcke); ecc. Ma, al di l� di queste ben precise ipotesi, in cui la repressione penale finisce col diventare uno strumento per attuare limitazioni non consentite dei diritti riconosciuti dal Trattato, non esiste, nel diritto comunitario, alcuna norma o principio generale che ponga vincoli al legislatore nazionale nella scelta e nella graduazione delle sanzioni applicabili a comportamenti che costituiscano violazione di disposizioni puramente interne. Se, cio�, si tratta di infrazioni a norme accessorie o strumentali direttamente poste da �fonti comunitarie o da queste autorizzate entro determinati limiti, ben si com prende come l'applicazione delle relative sanzioni debba rispondere al criterio fondamentale di non incidere sul libero esercizio delle libert� e dei diritti diret tamente attribuiti dalle norme primarie. Ma se, invece, si tratta di infrazioni a norme poste dal legislatore nazionale in un ambito lasciato libero dalla nor mativa comunitaria, non sarebbe logico e coerente ipotizzare che all'assenza di vincoli nella formulazione e nella graduazione del precetto fondamentale possa far riscontro una incomprensibile restrizione dell'autonomo potere di valutare e graduare le sanzioni ritenute adeguate. Nel nostro caso, si tratta appunto di un'ipotesi del se�ondo tipo, per cui non potrebbero ad essa applicarsi i principi che codesta On. Corte ha elaborato con esclusivo riguardo a quelle del primo tipo. 692 RASSEG'IA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 22. -A tale proposito � opportuno ricordare che l'imputato nella causa principale ha sostenuto di aver inteso riesportare una somma precedentemente importata allo scopo di effettuare acquisti ,di carattere commerciale, non gi� una somma corrispondente ad un'operazione effettivamente compresa nell'elenco di cui aU'aliegato III. 23. -Le questioni relative all'art. 106, n. 3, vanno pertanto risolte nel senso che questa disposizione non si applica alla riesportazione dli una somma precedentemente importata allo scopo di effettuare acquisti di carattere commerciale che risultano non effettuati. 24. -Nell'ordi:nanza di rinvio non sono espressamente citati i primi due paragrafi dell'art. 106. Dato }'.asserito scopo deM'importazione della somma di cui trattasi, questi due paragrafi rivestono tuttavia interesse nel contesto della terza questione. Ai termini di tali disposizioni, gli Stati membri si impegnano ad autorizzare, alla scadenza del periodo tmnsitorio, i pagamenti relativi, fra l'altro, agli scambi di merci. I primi due paragrafi dell'art. 106 mirano quindi a garantire la libera circolazione � evidente, comunque, che, nella specie, nessuna sproporzione o eccesso potrebbe ragionevolmente riscontrarsi nella legislazione italiana. � ben noto che le legislazioni in materia degli altri Stati membri non sono meno severe di quella italiana e che, in genere, esse prevedono pene restrittive della libert� personale per le infrazioni alle norme valutarie. Ci� costituisce, gi� di per s�, una prova evidente del fatto che il legislatore italiano del 1976 non si � affatto ispirato a criteri di assurdo e cieco rigore, ma, sulla spinta di una situazione economica generale particolarmente grave, ha ritenuto semplicemente di dover rafforzare il carattere dissuasivo delle sanzioni previste per le violazioni -sempre pi� numerose -alle norme valutarie, sostanzialmente allineandosi, in tal modo, alle legislazioni degli altri Paesi pi� evoluti. Si consideri, del resto, il quadro generale delle sanzioni previste dal D.L. 4 marzo 1976, n. 31 e successive modificazioni. Se la valuta illecitamente esportata 1ammonta a cifra inferiore a lire 500 mila, non si applicano sanzioni penali, ma solo una sanzione pecuniaria di carattere amministrtivo. Se, invece, si tratta di esportazioni di valuta per un ammontare compreso fra le lire 500 mila e le lire 5 milioni, � prevista soltanto una pena pecuniaria (multa dalla met� al triplo del valore della valuta esportata). Se, infine, si superano i 5 milioni di lire, la pena edittale contempla la reclusione da uno a sei anni e la multa dal doppio al quadruplo del valore esportato. Come si vede, le varie ipotesi sono opportunamente graduate proprio al fine della commisurazione di sanzioni che appaiono perfettamente congrue rispetto alle loro obiettive caratteristiche. Quanto, poi, alla ipotesi pi� grave, i margini di discrezionalit� lasciati al giudice sono talmente ampi da consentirgli di tener conto di tutte le circostanze di ogni caso concreto e di pervenire all'applicazione di una pena pienamente adeguata all'effettiva gravit� del singolo episodio criminoso ed alla pericolosit� del reo (si consideri, in proposito, che in questa materia si pu� passare da limitati episodi di esportazioni occasionali di. pochi milioni di lire a fattispecie di complesse e gravissime macchinazioni poste in essere per esportare illecitamente molti miliardi. La pena massima PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 693 effettiva deMe merci autorizzando tutti i trasferimenti di valuta aH'uopo necessari. Per contro, queste disposizioni non obb[igano gli Stati ad autorizzare l'importazione e l'esportazione di banconote per effettuare operazioni commerciali qualora tali trasferimenti non stiano necessari per fa libera circo1azione delle merci. Nell'ambito di negozi d'indole commerciJale, questo modo di trasferimento, che peraltro non � conforme agli usi, non pu� essere considerato rispondente a tale necessit�. 25. -Le considera:zJioni che precedono consentono di risolvere tla terza questione pregiudiziale nel senso che nessun principio di diritto comumtario, nessuna deHe norme di questo diritto relative ai movimenti di capitali, n� le disposizioni dell'art. 106 concernenti� i pagamenti relativi ag1i scambi 'di merci garantiscono ai non residenti il di.ritto di riesportare banconote precedentemente importate allo scopo di realiz:z;are negozi d'indole commerciale, ma non utilizzate. prevista dalla legge non pu� certamente considerarsi eccessiva rispetto a ipotesi di quest'ultimo tipo). 8. Sul settimo quesito. Il Tribunale di Bolzano chiede se sia conforme al diritto comunitario l'applicazione delle stesse sanzioni alle 1infrazioni valutarie commesse sia dai residenti che dai non residenti. La risposta non pu� che essere positiva. L'art. 7 del Trattato, che vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalit�, non ha alcuna attinenza al tema, trattandosi, qui, non di nazionalit� ma ,di residenza. :B piuttosto l'art. 67 che esige la soppressione, in materia di movimenti di capitali, delle discriminazioni fondate, fra l'altro, sulla residenza delle parti. Ma � appunto in base a tale principio che deve ritenersi perfettamente legittima una legislazione penale che non introduca alcuna diversit� di trattamento fra residenti e non residenti. Diverse possono essere (e in effetti sono) le norme sostanziali che pongono determinati obblighi o oneri agli uni e agli altri. Ma di fronte ad una violazione, che comunque comporti esportazione di valuta non autorizzata nei dovuti modi, ogni discriminazione rispetto alle sanzioni applicabili non avrebbe, evidentemente, alc;una giustificazione. 9. Sull'ottavo quesito. Il Tribunale di Bolzano chiede, in sostanza, se sia compatibile con il diritto comunitario una norma interna che preveda determinate formalit� all'atto della importazione di valuta e consideri le formalit� stesse come prova esclusiva dell'importazione ai fini della liceit� della successiva riesportazione. Anche questo quesito, cos� com'� formulato, appare fuorviante. Come abbiamo gi� detto, infatti, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, il non residente che non sia in possesso del documento di importazione della valuta vistato dalla Dogana pu� sempre chiedere all'autorit� amministrativa competente un'autorizzazione specifica all'esportazione, ove sia in grado di provare, naturalmente in maniera seria e rigorosa, che, nonostante la mancata compilazione del documento prescritto in via generale, la valuta da esportare provenga effettivamente da una precedente importazione o da un legittimo acquisto effettuato in Italia. Non si pone, perci�, nessun problema, in sede giudiziale, di � prove esclusive � o di limitazione dei diritti di difesa. Il reato esiste soltanto se l'esportazione di valuta non risulta autorizzata dall'autorit� amministrativa, PARTE I, SEZ. Il, GIUR!S. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE amministrative o repressive non devono esulare dai limiti di quanto � strettamente :ri.ecessa["io, Je modalit� di controllo non devono es�sere concepite in modo da limitare la libert� voluta dal Trattato e non � lecito comminare in proposito sanzioni taJmente sproporzionate rispetto alla gravit� dell'iinfrazione da risolversi in un ostaodlo a tale libert�. 28. -Situazioni simi1i a quelle cui si Tiferisce tale giurisprudenza possono presentarsi, nell'ambito dei movimenrti di c:apitaJi e dei trasferimenti di valuta, per quanto concerne '1e misure di controllo mantenute in vigore dagli Stati membri in forza, ad esempio, dell'art. 5 della prima direttiva di attuazione dell'art. 67, ma unicamente in relazione ad opel.1azioni la cui libera'lizzazione sia contemplata dal diritto comunitario. I limiti stabiliti dalla suddetta giurisprudenza servono ad evitare che le libert� garantite da'l diritto comunitario non siano compromesse d.:ile misll!I'e di controllo che questo stesso diritto permette agli Stati membri di conservare. Diverso � il caso nella fattispecie. Dalle soluziom delle altre questioni pregiudiziali risulta la liberalizzazione dell'operazione adottate prima delle direttive. La giurisprudenza precitata non si applica in un caso del genere. 29. ...,-Le questioni da ultimo in esame vanno pertanto ,1Jisolte nel senso che per quanto concerne i movimenti di capiitali ed i trasferimenti di valuta che gl~ Stati membri non sono tenuti a liberaliz:ziare in base alle norme comunitarie, queste ultime non limitano il potere degli Stati membri di adottare misure di controllo e di imporne l'osservanza mediante sanzioni penali. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 3� Sez,ione, 12 novembre 1981, nehle cause 212-217/80 -Pres. Touffait -Avv. Gen. Ros�z Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dalla Corte di Cassazione i1lalian:a nelle cause Amministriazione delle Finanze c. le societ� Meridionale Industria Salumi, Italo Orlandi e figlio, Molino figli di Gino Borgioli (avv. Catalano), Salumificio di Verona V1asanel�i, F.lli Ultrocchi e Vincenzo Divella (avv. Ubertazzi � Capelli). Interv.: Governo italiano ~avv. Stato BmgugHa) e Commissione delle C.E. (ag. Prozzillo). Comunit� europee � Dazi all'esportazione e all'importazione � Recupero a posteriori � Disciplina comunitaria � Applicazione � Limiti. (Regolamento CEE del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697). Il regolamento del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697 (relativo al recupero �a posteriori� dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che 696 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento), non si applica alle liquidazioni dei dazi all'importazione o all'esportazione effettuate anteriormente al 1� luglio 1980 (1). (omissis) 1. -Con ordinanze 2 �luglio 1980, pervenute alla Corte H 27 ottobre 1980, la Corte Suprema di Cassazione, in Roma, ha .proposto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, quattro questioilli pregiudiziali, identiche nelle cmque �cause riunite, vertenti surWinterprevazione del regolamento del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, relativo al ricupero �a posteriori � dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che non sono stati cor11isposti dal debitore per le merci dichiarate per U!l1 regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento (G. U. n. L 197, pag. 1). 2. -Tali questioni sono state soldevate nell'ambito di controversie fra alcuni operatori economici e l'Amministrazione delle Finanze dello Stato. Gli operatori avevano proposto opposizione avverso alcune ingiunzioni fiscalJ di modific� con cui l'Amministrazione, prima della data di entrata in vigore del predetto regolamento, cio� anteriormente al 1� luglio 1980, aveva foro intimato di pagare una somma pari all:a differenza fra fil prelievo agricolo c.alcolato secondo l'aliquota in vigore hl giorno dell'ac( 1) Cfr. in questa Rassegna le sentenze citate dalla Corte di Giustizia: 15 giugno 1976, nella causa 113/75, FRECASSETTI, ivi, 1976, I, 524, con nota di MARZANO, Dazi, prelievi e �giorno dell'importazione �; 27 marzo 1980, nelle cause riunite 66, 127 e 128/79, SALUMI, ivi, 1980, I, 535, con nota di MARZANO, La restituzione di somme indebitamente riscosse come forma di risarcimento rilevante nell'ambito dell'ordinamento comunitario. La soluzione data dalla Corte di Giustizia al problema dell'ambito tem� porale di operativit� del regolamento n. 1697/79 � conforme a quella proposta nelle osservazioni scritte dal Governo italiano. A sostegno della inapplicabilit� del regolamento relativamente a debiti doganali sorti prima della sua entrata in IVigore, si erano svolti tre ordini di considerazioni: a) L'art. S del regolamento (la disposizione, cio�, alla quale in particolare si riferiscono le ordinanze di rinvio), al suo n. 1 dispone che �le autorit� competenti non possono iniziare nessuna azione di ricupero... � in presenza di determinate circostanze; al suo n. 2, attribuisce facolt� alle stesse autorit� � ... di non procedere al ricupero a posteriori dei dazi... �, Secondo il n. 2 dell'art. 2 � l'azione di ricupero inizia con la notifica all'interessato dell'importo dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione di cui � debitore �. L'insieme di tali disposizioni mostra che, dal punto di vista letterale, l'art. 5 riguarda attivit� non ancora poste in essere -alla data di entrata in vigore del regolamento -da parte delle autorit� competenti. Se infatti l'art. 5 avesse voluto ricomprendere nel suo ambito anche attivit� di recupero gi� PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 697 cettazione della dichiarazione di importazione e quello corrispondente alla aliquota pi� favorevole riscontrata fra fa dichiarazione d'importazione e l'immissione in consumo dei prodotti. L':amministrazione 1sosteneva che l'aliquota pi� favorevole era stata :applicata erroneamente. 3. -Emerge dagli atti che J'Amininisrtrazione italiana, fino al 1976, aveva oostantemente calcolato �l'importo dei prelievi applicando, su richiesta dell'importatore, il sistema dell'aliquota pi� favorevole. La Corte ha tuttavia dichiarato, nehla sentenza 15 giugno 1976 (causa 113/75, Frecassetti, Racc. pa~. 983), che tale sistema non pu� essere applicato ai prelievi agricoli all'importazione da paesi terzi, che vanno caJcolati secondo l'ali� quota, in vigore nel .giorno in cui 1a dichiarazione d'importazione della merce � accettata dagli uffici doganali. 4. -La Corte ha parimenti riconosciuto, nella sentenza 27 marzo 1980 (cause 66, 127 e 128/79, Salumi, Racc. pag. 1237), che � compito dell'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, se non vi sono disposizioni comunitarie in materia, stabilire le modalit� e le condizioni di riscossione degli oneri finanziari comunitari, purch� dette modalit� iniziate, esso avrebbe dovuto dire che le autorit� competenti non possono iniziare o proseguire nessuna azione di recupero. L'art. 5, cos� come le altre disposizioni del regolamento n. 1697, seguendo la regola generale, dispone soltanto per il futuro, e non concerne quindi attivit� di recupero gi� iniziate alla data della sua entrata in vigore. Cos� come dispone soltanto per il futuro l'art. 2, in particolare il 2� com� ma del n. l, relativo al termine oltre il quale non pu� pi� essere avviata l'azione di recupero. Tale termine (triennale) non potrebbe invero riferirsi anche ad azioni gi� iniziate; eventualmente entro il pi� lungo termine di prescrizione o di decadenza previsto dagli ordinamenti nazionali. N� sono state dettate disposizioni transitorie per il passaggio dalle precedenti discipline nazionali alla disciplina comunitaria di cui al citato art. 2, n. 1, 2� comma. b) Un secondo argomento, a sostegno dell'opinione del Governo italiano, si fonda sul rapporto tra gli artt. 5 e 9 del regolamento in questione. L'art. 9 dispone, nella sua parte finale che � ... gli Stati membri non sono tenuti, qualora non abbiano proceduto al recupero a posteriori di tali dazi in applicazione del presente regolamento, a procedere all'accertamento delle risorse proprie corrispondenti ai sensi del regolamento (CEE, Euratom, CECA) n. 28~1/ 1977 �. Il 5� considerando del regolamento n. 1697/79 sottolinea l'opportunit� di � ...ricordare che gli Stati membri non sono in detti casi obbligati ad effettuare il corrispondente accertamento �. Per il regolamento n. 2891/77, � ... un diritto � accertato non appena il credito corrispondente � stato debitamente stabilito dal servizio o dall'organismo dello Stato membro� (art. 2, primo comma); mentre (art. 7, n. 2, primo comma) �i diritti accertati sono riportati nella contabilit� entro il 20 del secondo mese successivo a quello nel corso del quale ha avuto luogo l'accertamento �, Ci� significa, da un lato che per i debiti doganali sorti prima dell'entrata in vigore del regolamento n. 1697/79, l'accertamento e la contabilizzazione (ai 698 RASSEG'!A DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e condizioni non rendano hl sistema di riscossione delle tasse e degli oneri comunitari meno efficace di quello relativo alle tasse e agli onevi nazioml! li dello stesso tipo. 5. -Risalendo tale ultima sentenza ad una data anteriore a quella dell'entrata in vigore del regolamento n. 1697/79, l'oggetto delle presenti cause consiste per l'appunto nello sitabilire se, nella fiattispecie, debba essere applicato il diritto nazionale ovvero il 1regolamento comunitario nel frattempo entrato in vigore. La Covte Suprema di Oassazione ha quindi sottoposto alla Corte in via pregiudiziale le seguenti quattro questioni: � a) se il regolamento (CEE) n. 1697 del 1979 del Consiglio del 24 foglio 1979, ed in particolare l'a11t. 5, operi riguardo a1le liquidazioni di prelievi agricoli, inferiori all'importo legaJmente dovuto, effettuate anteriormente aJ 1� luglio 1980, ,per le quali, pure prima di tale data, circa la cui legittimit�, sotto altri aspetti, penda controvevsia davanti al giudice nazionaJe; b) in caso di risposta affermativa al quesito sub a), se nella previsione dell'art. 5, ed in quaJe dei suoi due pamgrafi, rientri la liquidazione sensi del regolamento n. 2891/77) sono gi� avvenuti; dall'altro, che l'art. 9 del regolamento n. 1697/79, mentre autorizza gli Stati membri a non procedere all'accertamento delle risorse proprie corrispondenti, non li autorizza ad annullare gli accertamenti e le contabilizzazioni gi� eseguite; Deve pertanto ritenersi che anche l'art. 9 del regolamento n. 1697/79 disponga soltanto per il futuro: nel senso di autorizzare gli Stati membri a non procedere all'accertamento di diritti costituenti risorse proprie, qualora di tali diritti sia vietata l'azione di recupero (art. 5 n. 1), ovvero gli Stati membri abbiano facolt� di non procedere al recupero dei diritti stessi (art. 5 n. 2). Questa conclusione, concernente l'art. 9, avvalora la tesi sostenuta a proposito dell'art. 5. Non s� potrebbe infatti ammettere che gli Stati membri debbano o possano soprassedere ad azioni di 11ecupero di diritti sorti, accertati e contabilizzati prima dell'entrata in vigore del regolamento n. 1697/79, senza attribuire, agli stessi Stati membri, la possibilit� di annullare i corrispondenti atti di accertamento e di contabilizzazione, posti in essere ai sensi del regolamento n. 2891/77 ovvero di quello, n. 2/71, precedentemente in vigore. Poich� tale facolt� di annullamento non � prevista dal regolamento n. 1697, ne consegue che il divieto di iniziare azioni di re,::upero (ovvero la facolt� di non iniziarle) co11cerne soltanto debiti sorti a partire dal tl" luglio 1980, quindi non accertati e contabilizzati in precedenza. Opinare diversamente significherebbe obbligare gli Stati membri a non recuperare determinati diritti e, nel contempo, obbligarli a mettere a disposizione della Commissione (ai sensi del regolamento n. 2891/1977) le somme corrispondenti a tali diritti non recuperati. e) Un terzo argomento deriva dall'interpretazione logica delle disposizioni in questione. Se il divieto, o la facolt�, di cui all'art. 5 del regolamento n. 1697/79 si dovessero riferire anche ad azioni di recupero gi� iniziate, si avrebbe la conse �'.�'.�'.�'.�'.�'.�:-'.�:-'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.� .�:�:�:-:�::::Z�'."."�Z '.�Z�Z�:�:�:�:�z:z�:-:� .�=�=�~�'.-'.-'.�:�'.�'.�'.�'.-'.�'.�'.�'.�'.�'.<�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.".�'.�"� .-.�-.-.-.-.-.z�:�Z-'.�'.".�:�:". ----,. --.,. .,. ..,.,..,,.,,.,. -..,.,.,. ---, ---.� -,�,-,-� . � ' . � � . . � ..��� . � � PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 699 in misura inferiore all'importo legalmente dovuto di prelievi agvicoli avvenuta, per un verso, in sostanziale aderenza alla norma comunitaria secondo l'indfu:iizzo interpretativo della stessa, allora desumibHe da atti uffioiali di organi della Comunit� e riconosciuto corretto dalla giurisdizione nazionale, ma poi disatteso dalla Corte di giustizia, e, per altro verso, in corrispondenza .formale con norme nazionaili, successivamente riconosciute estranee alla materia, ma all'epoca ad essa costantemente applicate dalla competente autorit� amministrativa nazionale in conformit� di circolari ed istruzioni diramate dai suoi organi di vertice; e) in caso di risposta affermativa al quesrito s_ub b) nel senso di applicabilit� dell'art. 5, par. 2, se la disciplina in questo prevista (ove gi� operativa per l'avvenuta emanazione deJJe disposi:ziioni di appHcaziione di cui al suo secondo comma) valga a rendere fogittime, Tispetto all'ordinamento comunitario, normative nazionali gi� anteriormente emanate, regolanti la misura dei prelievi da percepire in quantit� inferiore e comunque diverna da quella prescritta, all'epoca, da norme comunitacr:iie; d) in caso di risposta negativa, se la d�scip1ina deJJ'art. 7 del medesimo regolamento sia applicabile anche alle dscos,sioni successive-a11a sua guenza che, nelle stesse condizioni,_ l'esonero del debitore potrebbe dipendere dalla maggiore o minore sollecitudine dell'attivit� di recupero delle autorit� competenti, ovvero dalla maggiore o minore durata dei procedimenti giudiziari. Debiti della stessa natura e sorti nello stesso periodo riceverebbero un trattamento diverso, pur ricorrendo le medesime circostanze; e ci� in contrasto con il principio di uguaglianza al quale -secondo la giurisprudenza della Corte (sentenza 27 marzo 1980, in cause 66, 127 e 128/79, paragrafi 14-15) -deve ispirarsi il sistema generale delle disposizioni finanziarie. del Trattato CEE, comprendente gli oneri finanziari (anche i prelievi agricoli) che la Comunit� � competente ad imporre. 3. -Quanto al quarto quesito -si era rilevato -esso presuppone che, alle azioni di recupero gi� in corso (e relative quindi a debiti precedenti), non sia applicabile la disciplina dell'art. 5 del regolamento n. 1697/79. Di conseguenza, sarebbe conforme al diritto comunitario che le azioni proseguano pur dopo l'entrata in vigore del citato regolamento. Per tale ipotesi, la Corte Suprema di Cassazione chiede di conoscere se, in base all'art. 7 del regolamento medesimo, sia vietato di procedere alla riscossione di interessi di mora. Secondo il Governo italiano, la risposta a tale quesito deve essere negativa. Se � vero infatti che tutto il regolamento n. 1697/79 si applica soltanto ai d~biti-doganali sorti dopo la sua entrata in vigore, ne deriva che i debid precedenti, per i quali siano tuttora in corso le azioni di recupero, continuano �d essere regolati dalle discipline nazionali anteriormente applicabili; e cio� continuano a produrre interessi moratori, anche dopo il 1� luglio 1980, se un tale effetto era previsto dalle discipline nazionali anteriormente applicabili. I.M.B: 700 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO entrata in vigore relativa a ricuperi per liquidazioni inferi�ri all'importo legalmenrt:e dovuto effettuate, nella situazione descritta sub b), anteriormente al 1� luglio 1980. 6. -Con la prima questione, il giuidice naziona:le chiede in sostanza se il regolamento n. 1697/79 si applichi alle liquidazioni dei dazi all'importazione o all'esportazione effettuate anteriormente alla data della sua entrata in vigore. 7. -IJ regolamento n. 1697/79 si propone, come risu!lta dall'art. l, di determinare le condizioni cui � �subordinato 11 recupero dei dati alla importazione o all'esportazione che non siaino statd richiesti al debitore per merci dichiarate per U!Il regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento. Le :auitorit� competenti, quando accertano che tali dazi non sono stati richiesti, sono tenute ad iniziare un'azione di recupero; tuttavia, questa non pu� pi� essere avviata dopo la scadenza del termine di tre anni a decorrere dailla data di contabi1izzazione delil'importo originari.amente richiesto ovvero, .se non vi � stata contabiliz2lazione, a decorrere daJJ.a data in cui � nato il debito doganale (art. 2, n. 1). In taluni oasi, il regolamento vieta l'avvio di un'azione di recupero (art. 5, ID.. 1) ovvero prevede 1a facolt� di non procedere al recupero (art. 5, n. 2). Esso dispone altres� che, in taluni casi, non sia riscosso alcun .interesse di mora sulle somme ricuperate (art. 7). 8. -Poich� tuttavia il iregolamento non contiene alcuna norma �transitoria, per stabilire Ja sua efficacia nel tempo ci si deve richiamare ai p11incipi interpretativi generailmente .riconosciuti, a11a luce sia del testo, sia della ratio e della struttura di tale normativa. 9. -Se le norme di procedura, a quanto si ritiene ��ID. genocale, si applicano a tutte Je controversie pendenti aill'atto della loro entrata mvigore, ci� non vale per Je norme sostanziaU. M contrario, secondo fa comune interpretazione, ques1te ultdme concernono mpporti giuridici definiti anteriormente alla Joro entrata in vigore .solo se dal loro testo, dalJ.a loro ratio o dalla loro struttura risulti chiaramente che va loro attribuita ta:le efficacia. 10. -Tale interpretazione .garantisce i~ rispetto dei priincipi_di certez2Ja del diritto e di Jegittimo .~idamento in virt� dei quaH le norme comunitarie debbono presentare caratteri di chiarezza e prevedibilit� per gli amministrati. La Corte ha pi� volte evidenziato l'importanza che rivestono tali principi, 1n particolare nelle sentenze 25 gennaiio 1979 (causa 98/78, Racke, Racc. pag. 69; �causa 99/78, Decker, Racc. pag. 101), ove essa .-.-.-.�.z�:�:-z�z�:�z-:.-:�:�:�:�:.-:� ....�.�.�.�.�.�.�.�.�.'.�.�.�-�.�.<.�.�.�-�.�:.�.�.�.-.�.�.�.�.�:.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.. .� . . . . . . . . . . . .�.�.��..�. � � � � � � � .�.�.�-:�'.-'.�'.�:�~�'.�'.�:�:�:�'.�:�'.�'.�'.�'.�'.�:�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.)'.�'.�'.�:�'.�'.�:�Z�'.{�'.�'.:'.�'.�:�:�'.�'.�:�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�Z�:�:�z�:-:-:.-: PARTE �, SEZ, �IJ GIUR�S. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE ha affermato che, di norma, iJ principio deMa ceTtez:ro del diritto osta a che l'efficacia nel tempo di un atto comunitario decorra da una data anteriore alla sua pubblica:ziione e che solo ,eccezionalmente pu� derogarsi a tale principio, ove lo imponga l'obiettivo da �realizzare e ove sia debitamente tutelato il legittimo afl�idamento degli interessati. 11. -Al riguairdo va innanzi.tutto pireso atto che il regolamento di cui trattasi mira alla disciplina globale del ricupero dei dazi all'importazione e dei dazi 1all'esportazione der.iva:nti vuoi dall'applicazione deilla politiica agrico1a com.ne, vuoi daiHe disposizioni del Trattato relative all'unione doganale. Sostituendo . le discipline nazionali in materia con una cHsciplina comrmitairia, tale regolamento 1ntroduce norme, 1sia procedurali sia sostanziali, che formano un tutt'un�co inscindibile e le cui singole disposi: zJioni non possono essere considerate isolauamente in ordine alla tloro efficacia nel tempo. 12. -Quindi non pu� riconoscersi efficacia retro:attiV1a alle di�sposizioni del regolamento a meno che indizi sufficientemente chiari non conducano a concluderie in tal senso. Ora, va rilevato che tanto iil testo quanto la struttura complessiva del regolamento, lungi d'.:11 fornfu:-e indizi di una effioada retroattiva, portano a concludere che quest'uHimo dispone solo per H futuro. 13. -Ci� si ricava, innanz:itutto, dalla lettera stessa delle disposiZJioni del regolamento che contemplano l'obbligo o il divieto di � iniziare� azioni di 1ricupero e che quindi non possono riguaridaxe procedimenti gi� in atto alla data di entrata in vigore del regolamento. Ci� si rioava aitres�, in secondo luogo, dal 11asso di tempo interco1t1So fra l'adozione del regolamento, il 24 lugHo 1979, e la sua entrata in vigore, il 1� fogHo 1980, che dimostra che il Consiglio non riteneva urgente il'operativit� detla normativa comunitaria. 14. -Per di pi�, se si estendesse l'iambito di applicazfone del regolamento a tutte Ie cont�roversie pendenti dinanzi ai giudici nazionali .alla data della 1sua entriata in vigore, l'applicazione del diritto interno oppure della normativa comunitaria dipenderebbe dal comportramento deLle autorit� nazionali e, pi� in pa11ticolaire1 dail foro zelo nell'avviare e nell'esaunire un procedimento giudiziario. Ci� potrebbe portare ad una disparit� di trattamento ingiustifioata a fronte di operazioni effettuate in condizioni analoghe e sarebbe incompatibile coi principi di uguaglianza e di equit�. Per circoscrivere l'ambito di applicazione nel tempo del regolamento va quindi presa in consideriazione la data della liquidazione originaria dei dazi. 702 RASSEGNA DELL1AWOCATURA DELLO STATO 15. -Discende dall'insieme delle considerazioni che preoedono che il regolamento riguarda soltanto le operazioni di 1importazione o di esportazione in ordine a1lle quali le liquidazioni doganali sJano s�tate effettuate dal 1� luglio 1980 in poi. 16. -La prima questione sollevata d:a:Ha Corte Suprema di Cassazione va quindi risolta nel senso che il regolamento del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, non 1si applica aNe liquidazfoni dei dazi aU'importazione o all'esportazione effettuate anteriormente al 1� luglio 1980. 17. -Non � necessario risolvere la seconda e la te�rza questione, che sono state solilevate solo in caso di soluZJione affermativa della prima. La soluzione della questione sub 4) si ricava implicitamente da quella data alla prima. (omissis) .�.�.�.�.�.�.�.�.�r.-.�.-..-r.�.-r,�.�r.�r.r,r.�rr.�.�.�.� �����cr.�.�.�rr.�.-.�.�.�r.-.-..,..... � ,.,. �� ,.��,. .., � .� �� ,. � SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 giugno 1981, n. 4184 -Pres. Rossi - Rel. Bile -P. M. Sifocchi (conf.) -E.N.P.A.S. (avv. Stato Laporta) c. Pennino. Giurisdizione civile -� Ius superveniens � -Immediata applicabilit� in ogni stato e grado del ,giudizio -Mancanza d'impugnazione della statuizione affermativa della giurisdizione del giudice poi 1divenuto incompetente � Irrilevanza. (cod. proc. civ., artt. 5 e 37; legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6}. Impiego pubblico -Controversie in materia d'indennit� di buonuscita dovuta a dipendenti statali -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6). Impiego pubblico -Ritardato pagamento dell'indennit� di buonuscita a dipendenti statali -Domanda di interessi e rivalutazione monetaria Questione inerente a � diritti patrimoniali conseguenziali � -Inconfigurabilit� -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, art. 30; legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6). Il principio, desumibile dal coordinamento tra il primo comma dell'art. 37 cod. proc. civ. ed il sistema delle impugnazioni, secondo cui il giudice superiore. pu� conoscere della questione di giurisdizione solo se la statuizione resa sul punto nel precedente grado di giudizio sia� stata oggetto di impugnazione, non � applicabile nel caso di sopravvenuta disciplina normativa della giurisdizione atteso che lo jus superveniens importa, per il giudice divenuto carente di giurisdizione, l'impossibilit� di conoscere del merito della lite (1). (1) Nello stesso senso, e per l'applicazione dello jus superveniens anche dopo una pronuncia regolatrice di giurisdizione intervenuta sotto il vigore della pre�edente normativa, cfr. Cass., S.U., 20 dicembre 1972, n. 3628, in Foro It. l973, I, 1119. V.' pure, per una diversa applicazione dello stesso principio, Cass., S.U., 20 luglio 1981, n. 4674, in questo fascicolo. (2) Piana applicazione del dettato normati~o. iri ordine al quale va pure ricordato che Corte Cost., 10 dicembre 1981, n. ,185, ha fugato ogni sospetto di incostituzionalit� ivi compreso quello che, con riferimento all'immediata appli� �azione' dello� jus superveniens in tem�a di giurisdizione anche nei giudizi pen RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO 704 A sensi dell'art. 6, primo comma, legge 20 marzo 1980, n. 75, la controversia attinente all'individuazione del trattamento retributivo da assumere a base di liquidazione della indennit� di buonuscita spettante a dipen� dente statale appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (2). Poich� la domanda di c.d. � rivalutazione � dell'indennit� di buonuscita, corrisposta in ritardo, non deduce un comportamento colposo del� l'Ente debitore, successivo e distinto~ rispetto a quello estrinsecatosi nell'emanazione del provvedimento impugnato, ma ha per oggetto la somma dovuta espressa in termini monetari tali da garantire l'inalterabilit� del suo potere reale di acquisto, la cognizione della relativa controversia spetta al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, al pari della controversia avente ad oggetto gli interessi (da qualificare corrispettivi) richiesti per il ritardo, obbiettivamente considerato, nella corresponsione dell'indennit� (3). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 giugno 1981, n. 3943 -Pres. Rossi - Rel. Piel'i -P. M. Fabi (diff.) -E.N.P.A.S. (avv. Stato Laporta) c. De Simone (avv. Moscarini). Impiego pubblico : Indennit� di fine rapporto dovuta a dipendente di ente pubblico non economico � Controversie � Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, artt. 29 e 30; legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 7; legge 20 marzo 1975, n. 70, art. 13). Le controversie in materia di indennit� di fine rapporto dovuta da un Ente pubblico ai propri dipendenti appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, anche allorquando -fuori causa il diritto del dipendente collocato a riposo -si faccia questione, esclusivamente, delle pretese scaturenti dal ritardo, in s� considerato, nel pagamento dell'indennit� (4). denti, si alimentava, in numerose ordinanze di rimessione, col richiamo al principio della immodirfi:cabilit� del � giudice naturale �;. v. anche Sez. Un. 110 giu� gno 1981, n. 3768. (3-4-7) La questione di giurisdizione in ordine alla domanda di rivalutazione monetaria risulta decisa, dall'Adunanza Plenaria e dalle Sezioni Unite (al cui indirizzo la prima ha fatto, del resto, esplicito richiamo), sul filo di un identico iter argomentativo; occorre, invece, segnalare che per quanto riguarda la do� manda relativa agli interessi la soluzione della questione di giurisdizione � solo apparentemente identica, avendo in realt� le Sezioni Unite argomentato dalla qualificazione degli interessi come � corrispettivi � l� dove !'.Adunanza PARTE I, SEZ. III, GIURlS~ SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 705 III CONSIGLIO DI STATO, Ad. plen., 30 ottobre 1981, n. 7; Pres. Pescato!re; Rel. Serio -Pennarola (avv. Abbamonte e Piegari) c. l.A.C.P. Provincia di Salerno (avv. Mobilio). Impiego pubblico � Ritardato pagamento della retribuzione spettante al dipendente � Rivalutazione monetaria del credito -� dovuta. (cod. proc. civ., art. 429). Impiego pubblico . Domanda di interess,i moratori e rivalutazione mo� netaria su crediti di retribuzione . Questione di diritti patrimoniali conseguenziali � lnconfigurabilit� :� Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo � Sussiste. (r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 30; cod. proc. civ., art. 429). Tanto se percepita da dipendenti pubblici quanto se percepita da quelli privati, la retribuzione si caratterizza per la sua essenziale preordinazione a soddisfare esigenze di sostentamento, ond'� ,che, quanto meno sotto il profilo economico, la posizione di entrambe le categorie di lavo-. ratori non pu� ritenersi diversa relativamente alla diminuzione patrimoniale subita dal creditore in caso di ritardo nell'adempimento della prestazione retributiva a carico del datore di lavoro (5). La disciplina dettata dal terzo comma dell'art. 429 cod. proc. civ., in materia di rivalutazione dei crediti di lavoro -da un lato ascrivendo alla categoria dei fatti notori il maggior danno sofferto dal dipendente.I per il ritardo o l'inadempimento della prestazione dovutagli e, dall'altro, prefigurando una mora � ex re� nella disponibilit� del creditore, diutur- Plenaria ha diversamente affrontato il problema, con impostazione della quale converr� attendere ulteri�ri verifiche. Con specifico riguardo agli interessi, dovuti per il ritardato pagamento della buonuscita, cfr., in senso diverso: Cass., S.U., 13 settembre 1978, n. 4127 (in Foro it., 1978, I, 1872 e particolarmente col. 1883) dalla cui motivazione ed, in ispecie, dall'esplicito richiamo all'art. 1282, primo comma, cod. civ., si desume la qualificazione degli interessi in questione come �corrispettivi�; e la successiva Cass., S.U., 17 novembre 1978, n. 5330 (in questa Rassegna, 1979, I, 268) che, invece, ritenne applicabile la regola di diritto comune dettata dall'art. 1224 cod. civ. sull'obbligo di corrispondere degli interessi legali nel caso di �mora� nell'adempimento delle obbligazioni pecuniarie. {S-6) Com'� noto, la Corte Costituzionale ha pi� volte negato che la limitazione dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. ai soli crediti di lavoro nascenti da rapporto di lavoro privato abbia creato disparit� di trattamento a danno dei dipendenti pubblici (cfr. sentenze 14 gennaio 1977, n. 13 e 20 gennaio 1977, n 43). La decisione dell'Adunanza Plenaria sembra, invece, espressione della ten denza ad assimilare �pubblico� e �privato� nel settore del rapporto di la 706 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO namente presente nel luogo del pagamento, a ricevere la prestazione retributiva -consente di dare una rilevanza automatica alla svalutazione monetaria con riferimento a tutti indistintamente i crediti di lavoro, in essi compresi quindi anche quelli dei dipendenti pubblici (6). Gli interessi di mora e la rivalutazione monetaria chiesti relativamente alla retribuzione spettante al dipendente pubblico si trovano in un rapporto di connessione diretta e necessaria con l'obbligazione principale, s� che la relativa domanda -non implicando una questione patrimoniale conseguenziale -appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (7). I (omissis) 3. -Success1ivamente a11a proposizione del ricorso principale � entrata in vigore la 1legge 20 marzo 1980, n. 75, che ha disciplinato organicamente la materia del ca:lcolo deH'1inde:ninit� di buonusoita spet� tante ai dipendenti dello Stato, e delle aziende autonome. La nuova regolamentazione -che era stata preceduta da una complicata vJcenda -legislativa (decreto-legge 29 maggio 1979, n. 163, non conveir� tito; legge 13 agosto 1979, n. 374, di sanatoria degli effetti del decreto citato fino al 30 novembre 1979; legge 6 dicembre 1979, n. 610, di proroga di tale itermine) -ha, sul piano sostanziale, stabilito che la tredicesima mensilit� deve essere computata, entro certi t1imiti, ai fini della liquidazione dell'ifildennit� di buonuscita. Sul piano processuale l'art. 6 della legge ha attribu~to le controversie in matel1ia di indennit� di buonuscita e di indennit� di cessazione del r.apporto di impiego relative al personale dello Stato e delle aziende autonome alla giurisdi:liione esclusiva dei tribuna!li amministrativi regionali (e del Consiglio di Stato, in grado di appello) (pnimo comma); ed ha statuito che i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge ed aventi ad oggetto la dliquidazione dell'indennit� di buonuscita con finclusione della tredicesima mensilit� voro dipendente ed �, in tal senso, sintomatico l'ordine dei rilievi svolti dalla decisione in rassegna con specifico riguardo ai principi sottolineati dalla Corte Costituzionale. � appena da avvertire che il principio affermato dall'Adunanza plenaria non appare applicabile in ipotesi di ritardato pagamento della indennit� di buonuscita, la cui natura di prestazione previdenziale -riconosciuta dalla prevalente giurisprudenza e scaturente, del resto, dall'obbligo di contribuzione a carico del dipendente statale -preclude, come pi� volte affermato dalla Corte Suprema, la possibilit� di un utile richiamo ad una norma speciale di diritto sostanziale (quale si � ravvisata nella disposizione dell'ultimo comma dell'art. 429 cod. proc. civ.) dettata per i soli crediti di lavoro. In argomento v., in questo fascicolo, Cass., Sez. Un., 20 luglio 1981, n. 4674. Z."'.�'.<:.C.�Z.':."'.'.'.J'.'.<:.�:�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.'.�.�.�.�.�.�.�.�.�.'.'.".'.".�.�.�.�/.�.�.:_!.�.�,�.�.�.�.�.-.�.-.�.�.�.�.�.�.�.-.-.-.-.-.-.-.-.-.�.--.�.�rr.-.-.-.-.-.--.�.-.--.�.�.-.--.,..-.��.�.���.�..�����..�...��.� ,,. ��������.������ ����.�:.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.� . .....�.� ------.�.�.���.�.��.��.�,�,...�,�..... ! PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 707 sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese (secondo comma). 4. -Nena presente controversia J'attuaile resistente ha anzitutto chiesto all'autorit� giudiziaria ordinairia la condanna delil'E.N.P.A.S. alla erogazione di wn'indenil!�t� di buonuscita correlata a:l trattamento �retl["ibutivo corruspondente aUe funzioni da Jui esercitate. Si tratta quindi di un caso contemplato dal primo comma dell'�rt. 6 citato, onde la controversia -concernente l'entit� deli'indennit� di buonuscita -dov:rebbe essere dichiarata devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice ammirustrativo. L'appJ.i.oa:lJione dell'<art. 6, primo comma, pone peraltrn un duplice ordine di questioni. Occorre in primo �luogo verificare quale rilievo abbia la drcostanza che la sentenza di appello, per la parte in curi ha dichiarato la giurisdizione del giudiice ordinario, non sia stata impugnata con il'ricorso per cassazione (evidentemente per rispettare 1'orientamento giurisprudem'liale inaugurato dalle Sezioni Ull1i1te con la sentenza n. 3595 del 1976, e successiviamente confermato da numerose altre decisioni). Certamente il principio deUa riJevabilit� d'ufliicio del difetto di giuTisdfaione in ogni stato e grado del giudizio deve essere coordinato con il sistema delle impugna:z;ioni, nel �Senso che -ove sia s�tart:a emessa una statuizione sulla giurisdizione -i giudici deUe successive fasi processuali potranno conoscere della questione so>ltanto se essa sia stata riproposta in sede di impugna:z;ione, e in caso contmTio sono tenuti, ai sensi dell'art. 329, secondo comma, cod. proc. civ., a rilevare fa formazione del giudicato interno suUa questione stessa (cl�r. senten:lJa deUe Sezioni Unite n. 1506 del 1976, e molte altre successive). Ma questo oTientamento non pu� essere utiliz2lato nelil.a specie, qua:lifioata dailla sopravvenienza di una legge che ha sottratto ila controversia a:1la giurisdizione del giudice adito. l.Ja conseguenza di una legge siffatta � l'impossibi'lit� per tale giudice di conoscere del merito della lite: e questo ri:1ievo -di immediata e non disoutibide evidenza -appare decisivo al fine di ritenere che il difetto di giurisdizione derivante da jus superveniens debba prevalere anche sulla preolusione conseguente alla mancata impugnazione della statuizione con cui il giudice 1adito abbia, prima dell'entrata in vigore della nuova legge, dichiarato la propria giurisdizione. Per un'applicazione dello stes,so pTincipio alla materia elettorale cf.r. la sentenza n. 3628 del 1972. In conseguenza la presente controversia deve consideir.arsi assoggettata a11a disciplina posta daH'a11t. 6, primo comma, della legge n. 75 del 1980. 5. -In altri ricorsi proposti dall'E.N.P.A.S. e discussi all'udienza del 26 febbraio 1981 le difese dei resistenti hanno soHeva:to iatlcune questioni di 1legittimit� costituzionale dell'airt. 6 della legge n. 75 del 1980, PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE legge, ed in particolare -secondo una tradizione legislaitiva ininterrotta, che va dall'M"t. 30, secondo comma, del testo unico approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, fino aJil'art. 7, terzo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 -Ia riserva al'l'auitorit� giudiziaria ordinaria della giurisdizione in tema di questioni attinenti a diritti patrimoniali conseguenziaii alla pronunzia di illegittimit� de[J'atto contro cui si ric011re. � quindi necessario accertare se le pretese alla rivalutazione delle somme chieste all'ENPAS ,ed alla corresponsione deg1i interessi 1egali per il oaso di ritardato pagamento -aventi certamente natuTa patrimoniale -siano co1legate al rapporto concernente l'indennit� di buonuscita da ill!Il nesso genetico diretto e immediato (idoneo a farle ritenere comprese nella devoluzione delle ,relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), ovvero rappresentino conseguenze uJteriori rispetto a1l'ill.egittimit� del provvedimento de1J'ente pubblico (e debbono perci� definirsi questioni su diritti patrimoniali consequenzraE, riservate alla giurisdizione del giudice ordinario). 7. -La pretesa alla rivalutazione della somma che si assume dovuta dall'ENPAS, � fondata dall'attuale resistente sull'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., il quale nel testo modificato dalla legge 11 agosto 1973, n. 533, stabilisce che il giudice, quando pronunoia sentenza di condanna al pagamento di somme di danaro per crediti di iLavoro, deve detenninare, ohre gli interessi nella misurra legale, ~l maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto. La norma -secondo l'interpretazione accolta daHa Corte di Cassazione -cfr., per la girurisprudenza delle Sezioni Unite, l'ordinanza n. 310 del 1977 -mira a far coincidere la somma globale di danaro giuridicamente attribuibHe al lavoratore con queUa che, dal punto di vista economico, costituirebbe il corrispettivo esatto tenendo conto del reale potere di acquisto della moneta. E gi� in precedenza a:ltJre sentenze della Corte avevano sorttolineato come fa norma in esame avesise posto una presunzione assoJuta di dannosit� della svalutazione monetaria, togliendo ,rilevanza all'elemento soggettivo dell'inadempimento e introducendo un criterio Jegale autonomo di liquidazione del credito (cfr. sentenza n. 495 del 1975 e successive). Sulla base di tali premesse � agevole comprendern che la domanda di 1c1d. � rivalutazione � non si riferisce ad un comportamento colposo dell'amministJrazione debitrice, successivo e distinto dspetto a quello estrinsecatosi nell'emissione del provvedimento impugnato in sede di giurisdizione esclusiva, ma ha per oggetto direttamente e immediatamente la somma cui il dipendente ritiene di aver diritto, esrpresisa in termini monetari tali da garantire l'inalterabilit� del suo potere rreale di acquisto. 710 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In altre parole l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. non attribuisce al dipendente un diritto ulteriore risrpetto a quello su cui ha inciso in via diretta ed immediata J'atto amministrativo impugnato ed annullato e che comunque costituisce l'oggetto sostanziale del giudizio amministirativo. Invero, quell'ulteriore diritto si configura come diritto patrimoniale conseguenziale perch� l'accertamento dell'illegittimit� e l'annullamento dell'atto amministrativo impugnato si pone come uno -ma non l'unico degli elementi deJla fattispecie costitutiva del diritto stesso; la quale � distinta e diversa da quella cui si coordina il diritto (o la situazione giuridica) �Che forma oggetto deHa tutela invocata ne�l giudizio amministrativo. Sulla base di queste precisazioni ben pu� dirsi perci� che, limitandosi l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., a somminis.trare un criterio legale ed inderogabile di determinazione del credito verso la pubblica amministrazione, la pretesa su di esso fondata � indissolubilmente collegata con il rapporto devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall'art. 6, primo comma, della legge n. 75 del 1980. La sottrazione alla cognizione del giudice ordinario non si pone sotto alcun aspetto in contrasto con i princ�pi fondamentali regolanti l'istituto della giurisdizione esclusiva. Poich� in questa sede il problema � stato esaminato soltanto dal punto di vista della giurisdizione, non occorre ricordare l'orientamento della Sezione Lavoro di questa Corte che -anteriormente alla devoluzione delle relative controversie alfa giurisdizione esclusiva amministrativa e nel solco della decisiione n. 162 del 1977 della Corte costituzionale -ha affrontato e ['isoLto in senso negativo la questione dell'applicabilit� dell'art. 429, terzo comma, cod. rproc. civ. all'indennit� di buonuscita dei dipendenti statali (cfr. sentenza n. 4127 del 1978) e, pi� in generale, a tutti i crediti di natura previdenziale (cfr. fra Je molte, le sentenze nn. 1345, �1347, 1922, 3127, 4318, 4687, 6355 del 1979; 358, 1025, 1345, 1348, 2731, 4961, 5951 dcl 1980; 375 del 1981). 8. -Lo 'Stesso discorso vale anche per la domanda di condanna del~ l'ENPAS al pagamento degli interessi <legali per il rita11dato pagamento delle somme richieste. In tema di interessi su somme dovute dalla rpubblica amministrazione ai propri dipendenti nell'ambito del rapporto di pubbJico impiego il �riparto delle giurrsdizioni da tempo non d� Juogo ad incertezze. La pretesa di interessi corrispettivi che costituiscono accessori legali del credito principale liquido ed esigibile e, a'l pari di esiso, sono dovuti in adempimento degli obblighi strettamente inerenti al rapporto di impiego -rientJrano nella giurisdizione esolusiv:a del giudice amministrativo, laddove quella concernente gli interessi moratori maturati sulle stesse somme -che ham10 un �titolo autonomo nel colpevole ri1tairdo� dell'amminist. razione debitrice e costituiscono quindi una conseguenza ulteriore .................,! PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE della decisione del giudice amministrativo 1sulla spettanza delila somma ha per oggetto un diritto patrimoniale consequenzialle ed � pertanto devoluta alla giuris<dizione ordinaria. Sul punto si registra piena concordanza della giurisprudenza deHe Sezioni Unite (cfr. gi� la sentenza n. 3668 del 1972 e, pi� specificamente, Je nn. 358 del 1975 e 5464 del 1977) e di quella del Consiglio di Stato (cfr. Adunanza plenaria, decisione n. 22 del 1968. Se di �recente quailche dubbio � sorto, esso ha riguardato piuttosto i limiti entro cui un credito verso l'amministrazione pu� definirsi �liquido ed esigibile al fine della 1sua collocazione nella categoria dei crediti produttivi di interes�si corrispettivi: cfr. !'ordinanza n. 10 del 1980 della Sezione VI che ha rimesso la questione all'Adunanza plenaria). Diviene perci� determinante veriif�caire 'la natura degli interessi spettanti �ail pubblico dipendente per effetto del ritardo con cui gli venga corrisposta l'indennit� di buonuscita. La materia � discip'linat�a dall'art. 14 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 che -modificando l'art. 142 de.I r.d. 27 giugno 1928, n. 1369 -ha previsto l'obbligo dell'amministrazione di predisporre tre mesi prima della cessazione del �servizio per limiti di et� la documentazione occorrente ai fini della liquidazione deM'indennit� di buonuscita e la 1sua trasmissione all'ENPAS, nonch� l'obbligo di tale ente di emettere il mandato di pagamento per rendere possibile l'effettiva corresponsione dell'indennit� immediatamente dopo la cessazione del servizio e comunque non oltre i quindici� giorni da questa data (il termine diventa di trenta giorni ove Ja cessazione da!l servizio avvenga per qualsiasi altra causa). Da �tempo ormai la norma � stata interpretata dalla Corte di cassazione nel senso che essa attribuisce al pubblico' dipendente un diritto soggettivo al puntuale pagamento e rende del tutto inapplicabiJe al rappwto in esame la disciplina prevista datla legge sulla contabilit� di Stato che consentiirebbe di ravvisare un diritto solo �al momento dell'emissione del mandato di pagamento. E conseguentemente le Sezioni Unite (cfr., fra le altre, le sentenze nn. 4546 del 1976, 4077 del 1977, 5330 del 1978) hanno -prima de11'entrata in vigore della .legge n. 75 del 1980 -ritenuto le relative domande attribuite alla giurisdizione del �giudice ordinario. Dal canto suo la sezione lavoro della corte -esaminando i�l problema della natura giuridica degli interessi spettanti al dipendente statale in ipotesi di �ritardato pagamento dell'indennit� di buonuscita -ha affermato D.'�:petutamente che alla scadenza dei termini previsti daJ citato art. 14 l'indennit� stessa (gi� liquida per effetto della predisposizione del � progetto di liquidazione� da parte del.l'amministrazione) diviene altres� pienamente esigibile onde, in caso di ritardo nella corresponsione, l'ente debitore � tenuto automaticamente nei confronti dell'ex dipendente al pagamento de~li interessi ai sensi dell'art. 1282, primo comma, cocl. civ.; gli interessi sono quindi definiti esplicitamente corrispettivi e la loro decor� 712 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO renza � considerata un effetto legale della disciplina del .rapporto obbli.gatorio e in particolare della natura liquida ed esigibHe del credito pecuniario scaduto. (cfr. le sentenze nn. 4127 del 1978, id., 1978, I, 1872; 510 e 6453 del 1979, id., Rep. 1799, voce Impiegato dello Stato, nn. 1055, 1053). Proprio perch� il dilritto del creditore a tali interessi prescinde del tutto da indagini sulila colpevolezza del debitore nella fase dehl'.adempimento, esso non pu� considerarsi inerente ad una prestazione � ulteriore � rispetto a que1la principale, e perci� soggetto al regime dei diritti patrimoniali consequenziali. Al contrario esso concerne un accessorio Jegale del credito principale. I I II I (omissis) Col primo mezzo, il ricorrente denunzia violazione degli ~ artt. 29 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e 7 legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ~ in velazione all'art. 360, n. l, cod. proc. civ., cos� riproponendo ancora la ! 1 sua eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione del giudice adito. 1 ; 'i Osserva al riguardo il ricoJ.1rente che, secondo l'insegnamento giuri' sprudenziale, Ia giurisdizione esclusiva del giudice .amministrartivo irelativa f:f al rapporto d'impiego con enti pubblici non economici 1riguarda Je con~ I ~ !1 troversie in cui il rapporto d'impiego costituisca il titolo immediato e diretto della pretesa fatta valere; ci� che si verifica, in particolare, per quelle pretese patrimoniali che, collegate alla cessazione del rapporto trovano pur sempre in esso il loro fondamento. Ci� posto, i giudici del merito hanno ritenuto la non sussistenza della relazione stretta ed immediata tra la pretesa fatta valere in causa dal De Simone, in quanto, fuor I viati da una mera identit� terminologica (ma non di sostanza), hanno I I ritenuto di 1trovarsi di fronte a1la normale indennit� di buonuscita dei I dipendenti stataJli, di cui � stato ripetutamente affermato in giurispru ! denza il carattere meramente previdenziale, e non retriburt!ivo. Ma nel I caso di specie la �situazione � del tutto diversa, non essendo mai stato I I I iil De Simone un dipendente statale, bens� un dipendente dell'ENPAS. In questa situazione, non �solo non sussiste quella diveJ.1sit� di soggetti tra 1 J'ex datore dii lavoro e l'Ente tenuto a:Il'erogazione p1revidenzia:le, che ha sempre costituito l'argomento principale che ha consentito di affermare i il carattere meramente previdenziaile dell'indennit� in questione; ma sussiste anche .11 nesso di necessaria derivazione della pretesa del rapporto di .impiego; infatti l'indennit� di buonuscita che l'ENPAS deve corrispondere, alla cessazione del rapporto, ai suoi propri dipendenti, ha tutte le caratterisitiche di un'indennit� di anzianit�, come ben risulta sia dall'art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70, sia dal regolamento per il tratta �����������1.�.�.�.��"'������������--.-:.�.-.-.-.-.-...�.�.-.�.-.�.�.-:.-.�.�;.� ----.-.-.-.-.z.-.-.-.z.�.-. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE mento di quiescenza e previdenza del personale dell'ENPAS, di cui al d.l. 22 febbraio 1971 (artt. 31 e 32). Ci si trova quindi di fronte, nel caso di specie, non gi� ad un'erogazione previdenziale, ma ad una retribuzione differita; fa pretesa riguarda dunque il pagamento di un elemento del traittameinto economico, che trova iJ suo fondamento �diretto nella cessazione del rapporto d'impiego, e rientra pertanto neLI'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. N� potrebbe ritenersi che trattasi di uno dei c.d. �diritti patrimoniali consequenziali� di cui ahl'ar.t. 30 del r.d. n. 1054 del 1924, �riservato alla giurisdizione dell'A.G.0., atteso che Ia pretesa � stata ricondotta al fatto, oggettivamente considerato, del dtardo del pagamento (interessi col'!'ispettivi e non moratori). La censura � fondata. Le premesse da cui muove Ja difesa dell'ENPAS sono indubbiamente esatte. L'indennit� di buonuscita spettante ai dipendenti delJ.'Ente in conseguenza del loro collocamento a 1riposo non ha nulla a che fare con la indennit� di buonuscita spettante agli ex dipendenti dello Stato. Trattasi infatti .di un'erogazione assimilabile, come natura, all'indennit� .di anzianit� spettante agli impiegati privati, essendo pari a tanti dodicesimi de'Ho stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servitlo prestato, essendo posta a carico deU'Ente datore di .Javocro (e non di un altro soggetto), ed essendo costituita esclusivamente da versamenti del datore di lavoro, e non anche da contributi del lavoratore. Da:U'indennH� �.n questione esula quindi ogni carattere previdenziale, avendo essa invece natura di retribuzione differita. In questo senso, i richiami della sentenza impugnata alla �giurisprudenza di questa Corte Suprema in .tema di indennit� di buonuscita degli impiegati statali non sono assolutamente per.tinenti. Ci� posto, se fosse in discussione la sussistenza o meno dell'obbligo delJ'Ente di pagare l'indennit� (in quanto si contestasse, aid es. la preesistenza di un vero e proprio rapporto impiegatizio, o per qualsiasi altro motivo); ovvero se si discutesse dell'entit� dell'indennit� spettante (ad es., in quanto fosse in discussione l'ammontare dello stipendio annuo in godimento al momento del collocamento a riposo, ovvero il'anzianit� di servizio dell'impiegato) d si troverebbe di fronte indubbiamente ad una controversia in cui il Tapporto d'impiego costituirebbe iJ titolo immediato e diretto de1la pretesa fatta valere. Nella specie di causa, la controversia non tocca alcuno di questi punti; del tutto pacifica, � infatti la spettanza dell'indennit�, e parimenti pacifico � l'ammontare di essa. In concreto, l'ex dipendente si � doluto del fatto che l'indennit� ~nonch� due ratei mensili di pensione) gli siano stati pagati con un ingiustificabile ritardo. � lecito chiedeTsi, a questo punto, se ci si trovi di fronte ad un esempio di quei � diritti patrimoniali consequenziali � che, a norma del RASSEGNA DELL1AVVOCAtUAA DELLO STATO 714 l'art. 30 del r.d. n. 1034 del 1924, possono e devono esser fatti valere dinanzi all'Autorit� Giudiziaria Ordinaria. Ma la risposta al quesito non pu� che essere negativa. Secondo infatti, un orientamento giurJ!Sprudenziale ormai costante di questa Corte regolatrice, rientrano nell'ambito dei �diritti patrimoniali consequen:lliali � gili interes!Si moratori, ma non vi rientrano quelli corrispettivi; gli interessi, cio�, che sono �dovuti come conseguenza automatica del ritardo ~i un pagamento, indipendentemente dalla colposit� o dolosit� del J:"itardo, e che costi�tuiscono solo la contropartita del fatto obiettivo della disponibilit� del denaro mantenuta dal debitore anche per periodo successivo a quelfo stabilito per il pagamento. Orbene: � chiaro che la natura degli interessi richiesti (se moratori e corrispettivi) dev'essere valutata obiettivamente, e non semplicemente alla stregua della qualificazione che le parti abbiano ad essi attribuita. Nel caso di specie, la stessa senten:lla impugnata ha posto in risalto come dalla normativa che disciplina fa materia emerga J'automaticit� della decorren21a degli interes�si, ove da parte dell'Ente tenuto :aill'eJ:"ogazione delta pensione o dell'indennit� di fine rapporto si superi un determinato termine dalla cessazione del rapporto stesso senza che i pagamenti avvengano concretamente, indipendentemente dalla sussistenza di un �ritardo colpevole; e ci� depone chiaramente nel senso del caratte'l"e corrispettivo degli interessi. Non vale a dimostrare il contrar.io .il fatto che la difesa dell'ENPAS si sia affaticata, nel corso dei giudizi di merito, a cercar di dimostrare l'incolpevolezza del ritardo, giaoch� tale linea difensiva eira stata adottata sul presupposto della non applicabilit� all'ENPAS della normativa di cui alla legge n. 70 del 1975, presupposto giustamente dai giudici d'appello disat teso. Cos� stando le cose, affermato il carattere coJ:"rispettivo degli interessi di cui .si discute, la carenza di giurisdizione del giudice ad�to � evidente. Gli interessi corrispettivi, infatti, dovuti come conseguenza automatica di un obiettivo ritardo, e .senza che sussista la necessit� di un comporta mento in qualche modo illecito e colposo del debitore, costituiscono chia ramente un semplice accessorio del debito principale (pensione ed inden nit�), non presentando rispetto ad esso una particolare autonomia. � quin di PJ:'Oprio il pregresso rapporto d'impiego che costituisce il titolo diretto ed immediato della pretesa fatta valere in causa. Le controversie relative a questi nteressi devono quindi seguire Ja stessa sorte di quelle attinenti al debito principale, e cio� alla pensione ed alle indennit� di fine rapporto, essendo p'l"evista per esso la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, (al quale �spetta, 1appunto, la cognizione di ogni contro versia attinente al �rapporto di pubblico impiego). Il primo motivo deve quindi essere accolto. (omissis) PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 715 III (omissis). 1 -La principale questione sulla quale questa Adunanza Pfonaria � chiamata a pronunciarsi concerne l'applicabilit� o meno de.Ua rivalutazione monetada ai crediti di lavoro dei dipendenti pubblici. La problematica della incidenza deMa svaJutazione sulle obbligazioni pecuniarie in generale non � nuova ed � stata per lungo tempo oggetto di approfondite elaborazioni .giurisprudenziali e dottrinali. Ma a ridestarla e a riproporla in tutta la sua portata ha certamente contribuito la innovazione legislativa introdotta nell'ambito dei crediti di lavoro dalla Jegge n. 533 del 1973, modiffoativa del testo di cui all'art. 429 c.p.c., che nel dettar norme sul pagamento di somme di denaro per detti orediti, ha stabilito 'che il giudice deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, anche il maggior danno eventualmente sub�to dal lavoratore per la diminuzione del valore del suo credito, e ci� con decorrenza dal giorno delJa maturazione del suo diritto. E' agevole riconoscere che tanto siffatta innovazione legislativa, quanto del resto le diverse elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali cui si � fatto cenno, hanno tenuto ben presente Ja particolare tutela di cui sono meritevoli i crediti di lavoro in relazione alla peculiare funzione della retribuzione diretta soprraHutto a garantire bisogni primari ed insopprimibili della vita. 11ale fondamentale principio � stato varie volte propugnato dalla Cocte Costituzionale che, nel precisare il suo pensiero intorno a1l'art. 429 c.p.c. nel testo moclificato dalla succitata legge n. 533 del 1973, ha richiamato l'attenzione �sulla particolare tutela del ilavoro nella Costituzione, ['.�tenendo giustificato il trattamento privilegiato xiservato ai crediti di lavoro rispetto ahle aUre obbligazioni pecunia~ie di differente nart:ura, crediti che per la foro stessa qualit� �trovano nello sfondo, hl presidio e la garanzia (per cos� d.ire rafforzata) di pi� precetti costituzionali, quali quelli contenuti negli 1artt. 1, 3 cpv, 4, 34 e 36 �. (sent. n. 13 del 1977). Nel contesto dunque di tale peculiare tutela la Corte ha ritenuto razionalmente collocata nell'ordinamento la richiamata disciplina regolatrice dei crediti di lavoro, e ci� peraltro sulla base di tre distinti riJievi che non ha mancato di ribadire nella successiva sentenza n. 43 del 1977, cio�: l'esigenza di mantenere inalterato il potere di acquisto di beni reali delle somme costituenti oggetto dei predetti crediti del lavoratore, p0sta in rclazione alle finalit� di sostentamento proprie deMa retribuzione giusta l'art. 36 Cost.; l"esigenza, collegata sempre a dette finalit�, di porre runa remora al ritardo nell'adempimento aHa scadenza delle obbligazioni relative aJJe prestazioni �retributive; l'esigenza infine di riequilibrio delle posizioni economiche delle parti con il recupero in favore del lavoratore de1l"arricchimento conseguito dal datore di lavoro che ha utiilizzato nella 716 RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO 716 RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO propria struttura organizzativa la forza di lavoro senza corrispondere al lavoratore quanto a Jui dovuto alle prescritte scadenze. Occorre per� soggiungere che ila stessa Corte, nonostante abbia riconosciuto la sussistenza della prima delle anzidette esigenze anche neffambito del lavoro dei dipendenti pubblici, ha 1Juttav1a ritenuto che ricorressero sufficienti ragioni per ravvisarsi una diversit� di posiziioni di questi ultimi dipendenti .rispetto a quelle dei prestatori di lavoro privato, finendo quindi col negare ai primi il trattamento privilegiato, la cui garanzia costituzionale aveva conclamato in favore di qualsivoglia credito. Rileva l'Adunanza che l'esigenza di sostentamento, quaile connotazione essenziale de1la retribuzione tanto se percepita dai dipendenti pubWici, quanto se percepita da quelli privati, non pu� non costituire di per s� valida ed insuperabile �ragione di accomunamento, quanto meno sotto il profilo economico, delle posizioni di entrambe le categorie di lavoratori, non potendo in nessun caso ravvisarsi una diverisit� sostanzialJ:e di situazioni rispetto alla diminuZ�one patrimoniale che deriva dall'inesatto adempimento delle obbligazioni. Accade spesso che i pagamenti della P.A. siano procrastinati e coloro che anche per Junghi anni siano stati alle dipendenze dello Stato e di Enti pubblici apprestando le loro migliori energie lavorative, debbano attendere per riscuotere, con moneta svilita, il necessario per vivere. Tale ritardo non pu� non essere suscettibile di ristoro proprio per il soddisfacimento di una di quelle esigenze che la Corte Cositituzionale ha in&viduato a sostegno della �ratio� della nuova normativa, sustanziantesi nel riequilibrio delle posizioni economiche delle parti. Se il problema dell'arricchimento-depauperamento non pu� esser posto nell'ambito delle obbligazioni pecuniarie nel caso di esatto e tempestivo adempimento, stante che l'alea � Ja necessaria conseguenza del principio nominalistico, non possono, per converso, il ritardo o l'inadempimento non assurgere a momento produttivo di danno e quindi porsi come causa risa11citoria. La mora aggrava il rischio insito, per il rilevato principio nominalistico, in ogni obbligazione peouniaria, dando luogo ad un debito per il danno che si aggiunge ahlo originario debito nominalistico. E se innegabi!le � il pregiudizio a carico del dipendente-creditore, innegabhle � a!tres� il locupletamento che Jo Stato o gli Enti pubblici sono nelle condizioni di potere conseguire, stante che essi, mentre da una parte risparmiano una erogazione di ricchezza fa termini reali, pagano, dall'altra, con moneta svilita per il decorso del tempo dovuto alla loro inadempienza. La retribuzione, com'� noto, si concreta in un corrispettivo commisurato a11a qualit� .e quantit� delile prestazioni rese dal dipendente ed, ove questi tali prestazioni regolarmente effettui sia per qualit� che per quantit�, ponendo la propria forza di lavoro a beneficio dell'Amministrazione, I I ............ ����~������....~.... .,.,.,......,..................................., ,.,., ...... , ...... ������....... ................. . .............._ ! l'AR'l'E I, SEZ. Ilt, GIURIS. SU OUESTIONI DI GlURISDlZIONE non � certamente lecito che la controprestazione retributiva non sia da questa ahla scadenza posta nella disponibilit� del dipendente, al cui pregiudizio eoonomico qui[ldi non potr� non corrispondere un correlativo vantaggio dell'Amministrazione. Da ci� consegue che la responsabilit� per mora dello Stato e degli enti pubblici in nessun caso pu� essere negata secondo i generaH principi dell'inadempimento delle obbligazioni, dettati dall'�art. 1218 e.e. e lini particolare da:hl'ar.t. 1224 stesso codice, che nella fattispecie in esame costituisce la pi� cospicua norma; n� tanto meno pu� essere vianificata per via di presunte difficolt� dii accert�amento e di liquidazione dei crediti, dalle quali talvolta si � propensi a trarre spunto per indulgere sulla inerzia dei pubblici debitori. Le spese pubbliche di regola richiedono, oltre agli stanziamenti, particolari procedimenti di liquidazione e di controllo, ma non � da escludere che iJl credito sia gi� perfetto ed esigibile al momento delil!a scadenza, senza pertanto che sia necesisario un apposito e distinto procedimento amministrativo di autorizzazione al pagamento, per cui le dette difficolt�, coo le quali si tenderebbe ad esentare la P.A. dalla responsabilit� per i rritardi, non sempre ricorrono. Ma comunque, a parte il fatto che un efficiente assetto organizzativo del1a amministrazione dovrebbe esser sufficiente ad evitare il p:rolungarsi di detti .procedimenti oltre ogni ragionevole limite temporaile, � da escludere che possa nei confrronti della P.A. ad una responsabilit� di tipo comune, regolata dalle leggi civili, sovrapporsi una diversa responsabili<t� subordinata a mere esigenze contabili non prevista daJl'ordinamento. Tutt'al pi�, ove rla dilatazione della fase perfezionativa del credito non dipendesse da colpevole ritardo della P.A. e fosse da questa in concreto dimostrato caso per caso che l'indugio procedimentale non sia ad essa imputabile, potrebbero scattare i meccanismi di carattere soggettivo che esc1udono �le conseguenze risarcitorie dell'inadempimento o del ritardo in �Connessione alla prova rigorosa che il sopravvenuto inadempimento non sia stato evitabile, n� superabile con la normale diligenza del debitore. Giova dunque rilevare che se � pur vero che allilo stato de1la vigente legislazione la sanzione della svalutazione monetaria ben pu� costituire remora a11e Jungaggini procedimentali di liquidazione e disp!i:egare quindi la sua forzia dissuadente a dilatare oltre ogni ragionevole limite temporaJe le fasi di autorizzazione al pagamento, � tuttavia ai legirslatore che spetta ,iJ compito di sne1lire dette procedure rendendole pi� semplici ed omogenee con opportune norme che siano idonee ad accelerare i tempi di liquidazione. Consegue dunque da quanto finoI'a si � detto che il problema della svalutazione monetaria in relazione al ritardo o al!l'inadempimento delle prestazioni retributive nei confronti dei pubblici dipendenti in nessun 718 RASSEGNA DELL1AVVOCAfiJkA D�LLO STAT� caso pu� essere eluso. Esso rimane ancorato ai comuni principi de1la riesponsabilit� stabilita dalla legge. In particolare trova il suo fondamento e la sua soluzione nel combinato disposto dei richiamati artt. 1218 e 1224, cio� in uno schema tradizionale che non � di molto dissimile da quello previsto all'art. 429 c.p.c., nel testo introdotto dalla legge n. 533 del 1973. Anzi, in un certo senso, quest'ultima disciplina postula nell'ambito dei crediti di lavoro una riscrittura, se non addirittura una interpiretazione autentica delle succitate norme del cod. civ., contribuendo al tempo stesso a dare una direzione pi� definita e determinata alfa tecnica risarcitoria. Non � invero da sottovalutare nel nuovo testo normativo la tendenZJa del legislatore ad attribuire rilevanza � in re ipsa � a:lla svalutazione monetaria, non con�siderandola cio� come fonte od occasione di danno. La nuova legge del 1973 infatti introduce al riguardo un automatismo risarcitorio che di regola non rricorre nel tradizionale schema cui si � fatto cenno, ricollegantesi ai richiamati artt. 1218 e 1224 cpc., ponendo 1 quest'ultima norma a carico del creditore l'onere de1la dimostrazione del maggior danno sub�to. Tuttavia, se l'onere della prova del danno e la concorrente superfluit� dell'atto di costituzione in mora nella innova� zione legislati'"a di cui al succitato art. 429 c.p.c., sono traHi essenziali e connotazioni incisive ed aderenti al trattamento privUegiato di cui, secondo i richiamati pirincipi costituzionali, godono i crediti di Javoro, <;letti meccanismi nell'ambito del lavoro pubblico trovano del pari la loro realizzazione mediante la tutela propria delle obbligazioni pecuniarie incentrata sull'art. 1224 cpv e.e. Basta rilevare in proposito che l'art. 115 cpv c.p.c. da facolt� a1 giudice, senza bisog1I10 di prova, di porre a base del1a p;rop:ria decisione le nozioni di fatto che rientrano nella ,comune esperienza e, secondo l'o;rientamento giurisprudenziale espresso dalla Corte di Cassazione, tra dette nozioni rientrano la svailutaZJione monetaria e la relativa entit� (Cass. Civ. 17 Jugl!io 1952 n. 2254), sicch� ben pu� procedersi automaticamente alla liquidazione del maggior danno mediante il fatto notorio della svalutazione monet,ariia, calcolandone la ,relativa misura secoodo J'indice Istat, in ci� soccoiirendo iil testo modificato deH'art. 150 disp. att. c.p.c. N� d'altronde deve ritenersi che nella fattispecie in esame ;sfa necessario l'atto di costituzione 1n mora. Innanzitutto � da rilevare che non solt�nto ne1la previisione normativa di cui l'innovato art. 429 c.p.c. � possibile la mora �ex re >>, rnicol1I'rendo siffatto tipo di mora anche in ipotesi di diritto comune. Nell'ambito, infatti, di applicazione della disposizione di cui all'art. 2119 c.ic. sono riconducibili a:1le suindicate ipotesi la corresponsfone dei minimi inderogabili ed altri comportamenti del datore di lavoro costituenti ille f :-z.:-:::::�Z�Z�Z�Z�Z�'.�:�z-:�:�z�z:;.-:-:-:�Z�Z�Z-:~i:;;;;;;;;-:�Z�Z�Z�:�:�.�:�.-:�.�.�:'.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�1.�.-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�:.-.�.�.-.�.-.�.�.�.-.�.�.-.-.-.-.-.�.-.-.-.�.�.�--.�.--�� ����-.-.�-:�:�:�'.".�'.�'.�'.�Z".".�:�:�z�z-:-:.-:-:-:�:�z.-:�z�:�:�:-:-:�;�:�:�:�.�:�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�-�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�:.-.�.-.�.-.�.-.-.�.�.-.-...................-.�.-.-.-.-.---.-.-.-.-) PARTE I, S�Z. ifl, GiUi'US. SU QUESTi�NI Di G�URISDIZI�NE ~19 citi di natura 1contrattuailie, quali la manoata 1co:rresponsiione degli emolumenti per ferie non godute e per giornate festive. Ma giova poi osservare, per quanto concerne gli altri crediti di lavoro, che questi rientrano tra le obbligaziioni normalmente eseguibili al domicilio del i0reditore, per i quali � ammessa la mora automatica. E' noto che jJ vigente codice non accoglie indistintiamente il principio �dies interpehlat pro homine �, ma distingue a tal fine le obbligazioni da adempiere al domid1io del debitore da quelle da adempiere al domicilio del creditore e solo per queste ultime non prevede il preventivo atto di intimazione (art. 2119, cpv. n. 3, cod. civ.). n luogo di ,lavoro, senza dubbio ,concorre ad individuare il domicilio, inteso come centro dove la persona stabilisce la sede dei suoi affari o dei suoi interessi. E' da rilevare peraltro che gli artt. 1182 e 1219 e.e. panlano di domicilio in senso lato, cio� edificio o Jocaile dove il creditore si trovi alda scadenza del debito e, pi� in generale, con ,riferimento alfa fattispecie in esame, qualsiasi luogo che rientri nella sfera territoriale di attivit� del lavoratore. Ci� induce a ritenere che ai fini di qualificare come � portables � e non � qu�rables � i crediti in parola, assume senz'altro rilievo l'attivit� di cooperazione del dipendente, attivit� che si esteriorizza nella totale disponibilit� dello stesso al ricevimento della prestazione retributiva, essendo egili professionalmente e diuturnamente presente nel luogo del pagamento, donde, in ultima analisi, un atto di messa in mora alla scadenza prefissata nei confronti dehl'Amministrazione debitrice sarebbe dogkamente superfluo e giuridicamente non richiesto dall'ordinamento. Come dunque � agevole os,servare .anche neM'ambito di appdicazione dei principi di di:ritto comune, i crediti di lavoro ricevono una peculiare protezione, 11 che soddisfa i precetti costituzionali dianzi ricMamati ed aderisce al tempo stesso a:lla tendenza � legislativa pi� attuale, quale � quella che si trae :dal testo innovato deltl'art. 429 c.p.c. Le agevolazioni invero cui si � fatto cenno, concernenti, da una parte, la sussistenza per fatto notorio del maggior danno che al dipendente deriva in 1conseguenza del ritardo o deH'inadempimento della prestazione dovu tagli e la mora �ex re �, dall'altira, che nei credi1i in pa:ro1a per i rHevati congegni normativi ben pu� essere ravvisata, cons�entono di dare una rile vanza automa:tioa a:lla svalutazione monetaria con riferimento a tutti indistintamente i crediti di 1lavoro, in essi .compresi quindi anche qu~1li dei dipendenti pubblici. Ritiene pertanto 1l'Adunanza che, pur in costanza del principio nomi nalistico sul quale si fondano le prestazioni retributive, ove sussista il 11i1lardo o lo inadempimento di tali prestazioni da parte dell'Amministra zione, viene senz'altro meno iJ principio dell'insensibilit� de1le obbligazioni pecuniarie aLla svalutazione monet�aria, trovando questa automatica appli RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO 720 cazione in forza del rischio che il ritardo o l'inadempimento comportano a carico dell'Amministrazione 'debitrice ed i!n correlazione peraltro alla tecnica 'risarcitoria in materia usata dal legiSilatove, che consente di attrarre in una fattispecie unica e complessa tanto i momenti di maturazione dei crediti stessi, quanto i relativi -interessi e .la iloro svalutazione e di realizzare quindi un meccanismo di conser~azione del valore economico della J'etribuzione, a'tto a ripristinarne il potere di acquisto connesso alla sua natura e alle sue finalit�. 2 -Siffatte conclusioni consentono anche di risolvere Ia questione attinente alla giurisdizione, la quale, quindi, nonostante abbia carattere pregiudiziale, va ora qui. esaminata, stante la refluenza che su essa hanno i rilevati profili della svalutazione monetaria. L'ordinanza di rimessione pone il problema se tale svalutazione, in quanto intesa come � maggior danno�, esuli dalla giurisdizione del giudice amministrativo e se, qui111di, integrando una questione patrimoniale conseguenziale, sia soggetta alla giurisdizione del giudice ordinario. Ritiene l'Adunanza che a tal quesito non possa che esser data risposta negativa. Come gi� si � avuto modo di rilevare, la tecnica in materia usata dal legislatore consente di attrarre in una fattispecie unica e complessa i momenti di maturazione dei crediti di lavoro, la loro svalutazione e la loro liquidazione. Ci� non pu� che indurre a ritenere che il quid pluris, in cui detta svalutazione si sostanzia; mantenga pur sempre il carattere della retribuzione dovuta al dipendente per le prestazioni effettuate. Questa Adunanza (dee. 7.4.1981 n. 2) ha gi� avuto modo di esaminare l'analoga questione concernente gli interessi moratori che, secondo un precedente indirizzo giurisprudenziale, in quanto di natura risarcitoria, erano stati ritenuti rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario ed ha escluso che tali interessi potessero prospettare una questione patrimoniale conseguenziale, trovandosi rispetto alla retribuzione in un rapporto di connessione diretta e necessaria, per cui in relazione ad essi � stata affermata la giuuisdizione del giudice amministrativo. Non ritiene il Collegio di discostarsi da siffatta impostazione anche per quanto concerne la svalutazione monetaria (in riferimento, peraltro, all'orientamento recentemente espresso dalle SS.UU. della Corte di Cassazione, con sentenza n. 4184 del 27 giugno 1981). Detta svalutazione, invero, non introduce un incremento ulteriore nelle ragioni creditorie del dipendente, ma opera una quantificazione di valori ontologicamente e funzionalmente coincidenti con i momenti originari di maturazione del diritto alla retribuzione. Con il riconoscimento della svalutazione monetaria cio� si attua un meccanismo automatico di conservazione e di reintegrazione dcl patrimonio del creditore deMa diminuzione patHa, sicch� in essa non � dato PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 721 ravvisare un � posteriUIS � rispetto alla stessa retribuzione, ma piuttosto un elemento �sfJrettamente connesso con le prestazioni lavorative gi� effettuate nel corso del rapporto. Giova peraltro rilevare che il detto meccanismo prescinde daUa costituzione in moria �ed � ancorato, per quanto concerne ill � quantum � ad indici prestabriJHti qua!li quel.Ii lstat, i.I che vale a confermare che la conservazione del valore � un � qui!d � che � propirio delLa retribuzione e nella quale anzii si immedesima. La questione dunque di che trattaisi, non caratterizzata da alcuna conseguenzialit� di ordine patrimoniale, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 luglio 1981, n. 4674 -Pres. Rossi; Rel. Pierii; P. M. Fabi (diff.). -E.N.P.A.S. (avv. S.tato Laporta) c. Pepe. Giurisdizione civile � � Ius superveniens � -Immediata applicabilit� in ogni stato e grado del giudizio -Limiti. (cod. proc. civ., artt. 5 e 37; legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6). Impiego pubblico -Indennit� di buonuscita -IUtardato pagamento -Riva lutazione a sensi dell'art. 429 cod. proc. civ. -Non spetta. (art. 429 cod. proc. civ.). Il principio dell'immediata applicabilit� dello jus supeirveniens in materia di giurisdizione non pu� trovare applicazione allorquando, in seguito ad affermazione implicita od esplicita della propria giurisdizione, il giudice adito abbia pronunciato sul merito, anche relativamente ad una parte soltanto della domanda, e la statuizione cos� emessa sia passata in giudicato (1). Il terza comma dell'art. 429 cod. proc. civ. contiene una norma di carattere sostanziale, come tale non compresa nel rinvio operato dal successivo art. 442 (in tema di controversie previdenziali) alle disposizioni di carattere processuale riguardanti le controversie di lavoro. Deve, pertanto, escludersi che un credito di natura previdenziale, come quello dei dipendenti statali all'indennit� di buonuscita, sia suscettibile di rivalutazione monetaria a sensi del citato art. 429 cod. proc. civ. (2). ~1) L'applicabilit� dello jus superveniens non trova, invece, ostacolo nel giudicato formale sulla giurisdizione: cfr Cass., Sez. Un., 27 giugno 1981, n. 4184 in questo fascicolo. (2) Giurisprudenza consolidata, come � ricordato in motivazione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 722 (omissis) -Nelle more del giudizio � entrata in vigore la legge 20 marzo 1980, n. 75, che, al primo comma dell'art. 6, ha stabilito che � le controversie in materia di indennit� di buonuscita e di indennit� di cessazione del rapporto d'impiego relative al personale dello Stato e delle aziende autonome appartengono alla giurisdizione esclusiva del Tribunali Amministrativi Regionali �, e che � � abrogata ogni diversa disposizione �. Anche quindi se nel.la presente controversia non sono pi� state sollevate da alcuna delle parti questioni di giurisdizione, � necessario esamill!aire, prima di entrare nel merito del� ricorso, se le disposizioni di l.egge sopra menzionate debbano essere comunque applicate d'ufficio -come del resto la difesa dell'E.N.P.A.S. ha prospettato in sede dii discussione orale. Al riguardo, occo:Pre riilevare innanzi tutto che netla presente oausa non sono state proposte o comunque discusse questioni inerenti ad una eventuale !riliquidaziione dell'indennit� di buonuscita al fine di tener conto, nella base di calcolo, anche della tredicesima mensilit�. Non vi � quindi luogo a provvedere, ai sensi della disposizione del secondo comma dell'art. 6 della legge n. 75 del 1980, ad una declaratoria di estinzione del giudizio a spese compensate. Occorre soltanto considerare se si sia verificato o meno un difetto di giurisdizione sopravvenuto, con conseguente improponibilit�, in questa sede, delle domande attoree. Ci� posto, potrebbe porsi H problema se le domande proposte in causa dal Pepe (condanna dell'ENPAS al pagamento degli interessi ed al risarcimento del danno da svalutazione monetaria, per aver l'Ente provveduto con grave ritardo al pagamento dell'indenint� di buonuscita) possano considerarsi o meno �controversie in materia di indennit� di buonuscita �, o riguardino, invece, �diritti patrimonia1H consequenziali � alla pronunzia sulla legittimit� deH'atto o provvedimento amministrativo, riservati comunque, a norma dell'art. 30 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, alla cognizione del giudice ordinario. Ma, in realt�, il problema non ha, nella presente controversia, un rilievo decisivo. E' vero, infatti, che gli interessi che neMa specie sono stati richiesti sono ricollegati alla tardivit� de'l pagamento dell'indennit�; ma non � stata dedotta la sussistenza di una colpa (e meno che mai del dolo) dell'Ente tenuto all'erogazione, e gli interessi sono stati richiesti come sempi!ice ed automatica conseguenza del ritardo; si tratta quindi (quale che sia stata la qualifica attribuita alla domanda delle parti) di interessi corrispettivi, e non di interessi moratori, ai quali un costante orientamento giurisprudenziale nega la natura di dfritti patrimoniali consequenziiali, per essere gli stessi strettamente e direttamente collegati col capitale a cui si riferiscono. Ond'� che la giurisdizione sulla domanda relativa agli interessi dovrebbe spettare allo stesso giudice al quale � attribuita la giurisdizione esclusiva su tutte 1e questioni inerenti all'indennit� di buonuscita. Analoghe considerazioni devono farsi poi in relazione alla domanda di rivalutazione monetaria, in re1lazione anche in PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE questo caso ad un saldo orientamento giurisprudenziale che considera la domanda stessa, come prevista a norma dell'art. 429 cod. proc. civ. (ed a differenza di quanto dovrebbe dirsi per una domanda proposta ai sensi dell'art. 1224 cod. civ.) come inerente alla quantificazione della somma dovuta e quindi strettamente collegata al problema del pagamento dell'indennit� di cui si discute; anche in questo caso deve quindi negarsi che ci si trovi di fronte ad un diritto patrimoniale consequenziale, talch� la giurisdizione a conoscere della domanda dovrebbe essere attribuita allo stesso giudice (amministrativo) cui spetta la giurisdizione esclusiva sulle controversie in tema di indennit� di buonuscita. Ma tutto ci� non � sufficiente, nel caso di specie, per consentire di affermare la giurisdizione del giudice amministrativo. Ci si trova, infatti, di fronte ad un'ipotesi di jus superveniens concemente H tema del1la giurisdizione; e secondo un orientamento giurisprudenziale di questa Corte Regolatrice, ribadito in altrre pronuncie coeve a11a presente, lo jus superveniens suddetto pu� prevalere sul giudicato puramente formale formatosi sul punto, e oio� su1La preclusione derivante da nna pronunzia non impugnata e divenutJa quindi definittlva che abbia investito il solo tema della giurisdi:tione. Ma questo principio non trova applicazione nell'ipotesi in cui, in seguito ad un'affermazione implicita ed esplicita della propria giurisdizione, il giudice ad�to abbia omesso statuizioni di merito sul rapporto dedotto in giudizio, attribuendo o negando alla parte richiedente un bene della vita, e tali statuizioni di merito abbiano acquistato efficacia di giudicato sostanziale. In tal caso, l'jus superveniens, come non pu� incidere sul giudicato (sostanziale) gi� formatosi, non potendo modificare una situazione ormai consolidatasi, non pu� neppure impedire al giudice di pronunziarsi anche su altri punti controversi dello stesso rapporto che siano tuttora sub judice. �, invero, l'efficacia espansiva del giudicato sostanziale che osta all'applicazione di quel principio specie perch�, di regola, (come � avvenuto anche nel caso di specie) le statuizioni gi� definitivamente adottate in ordine al rapporto controverso costituiscono le premesse logico-giuridiche delle ulteriori pronunzie su altri capi di domanda fondati sullo stesso rapporto. Orbene: questa situazione di costituzione di un giudicato sostanziale, implicante anche J'affermazione della giurisdizione del g1udice ad�to, si � verificata nella presente. causa. � Invero, nel caso di cui ci si occupa, l'ENPAS, convenuto in primo grado, eccep� il difetto di giurisdizione dcl giudice ad�to. Il Pretore disattese tale eccezione, ed accolse una delle domande di merito del Pepe. L'ENPAS propose appello incidentale, senza peraltro in quella sede riproporre la questione di giurisdizione; talch� la relativa statuizione del primo giudice pass� in giudicato. Non solo: il Tribunale di Napoli, in sede di appello, ha accolto l'impugnazione principale del Pepe, che ha visto cos� accolte RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 724 tutte e due le sue domande di merito (interessi e svalutazione monetaria), con d� vedendo implicitamente riaffermata, da parte del giudice d'appello, la propria giurisdizione. E non basta: il presente 1ricorso de'll'ENPAS riguarda 1.]Ila sola dehle domande attoree, e cio� quella attinente al risarcimento dei danni per svalutazione monetaria, mentre la statuizione di condanna in tema di interessi per tardivo pagamento � passata �IIl giudicato. Vi � quindi stata, in causa, un'affermazione espilicita in tema di giurisdizione del giudice di primo grado, passata in giudicato; a cui ha fatto poi seguito una statuizione di merito, implioante comunque logicamente la riaffermazione della giurisdizione del giudice d'appello, anch'essa pas1sata �IIl giudicato. In questa situa:llione, il tema della giurisdizione � ormai intangibile, n� resta pi� spazio per discuterne in questa sede (e tanto pi� d'ufficio, ilil assoluta mancanza di ricorso sul punto). Occorre quindi pa:ssare all'esame di merito del ricorso, col quale l'ENPAS denunzia, ai sensi dell'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 15, disp. prel. cod. civ., 1224 e 1282 cod. civ., 442 e 429 cod. proc. civ., 270 e seguenti r.d. 3 maggio 1924, n. 827, 22 r.d. 7 giugno 1928, n. 1639, 37 r.d. 26 luglio 1942, n. 997 e 57 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, nonch� contraddittoriet� della motivazione. Ll ricorrente pone in risalto, innanzi tutto, la contraddizione insita nella motivazione della sentenza impugnata, la quale dapplima -per riaffermare la giurisdizione deH'A.G.O. -afferma la natura previdenziale e non retributiva delil'indennit� di buonuscita e dei suoi accessrn:i, e successivamente, al fine di affermare la concedibilit� deHa rivalutazione, afferma l'equival�nza o l'anafogia tra l'indennit� di buonuscita e l'irndennit� di anziandt�, s� da doversi considerare anche la prima, sostanzialmente, come �credito di lavoro �, con conseguente applicabi'lit� dell'art. 429 cod. proc. civ. Assume poi che, a norma dell'art. 442 cod. proc. civ., Je disposizioni del capo I del titolo IV del libro II del cod. proc. civ., si applicano �nei procedimenti � in materia previdenziale; e che dal tenore di tale disposizione si evince chiaramente come solo le norme processuali relative ai rapporti di lavoro si . applichino integralmente ai giudizi previdenzia1i, e non anche quindi le norme sostanziali (come, inequivocabilmente, � la disposizione dell'art. 429, terzo comma, che attribuisce al lavoratore un diritto soggettivo patrimoniale). Ci� posto, rileva che per poter applicare l'art. 429, terzo comma, anche ai crediti previdenziali ed assistenziali occorrerebbe dimostrare l'identit�, o quanto meno l'assimilabilit�, tra crediti di lavoro e crediti previdenziali; ci� che nella specie non � affatto avvenuto (essendosi, al contrario, ribadito il carattere previdenziale e non retributivo dell'indennit� di buonuscita). L'Ente ricorrente osserva poi che i giudici del merito hanno omesso di esaminare se le norme che rendono applicabile all'ENPAS la normativa sulla contabilit� dello Stato siano state o meno abro PARTE I, SEZ, III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE gate dalla nuova normativa sU!l processo del lavoro; aggiungendo che se tale indagine fosse stata �compiuta si sarebbe dovuto riconoscere che una norma speciale (quella relativa all'ENPAS) non pu� essere derogata da una norma generale (il cod. proc. ci".), in mancanza di un'espressa volont� legislativa in tal senso. Ha infine osservato che ricorrono validissime ragioni per negare l'applicazione della disposizione dell'art. 429, terzo comma, cod. proc civ., ai crediti previdenziali, come evidenziato da autorevoli pronunzie giuridisprudenziali, tra cui in particolare la sentenza n. 162 del 1977 della Corte Costituzionale. La censura � fondal:a, almeno ne1le sue parti es,senziaH. Invero, ila denunziata contraddittoriet� della motivazione effettivamente sussiste, ma non assume particolare dlievo di per s�, investendo essa un'argomentazione addotta dal giudice d'appello ad abundantiam, in aggiunta ad altre argomentazioni teoricamente sufficienti, di per s� sole, a sostenere la dedsione. IrrHevoote, ai fini ohe qui interessano -e cio� in ordiine al problema dell'�applicabiilit� o meno ai credirti previdenzialli della disposizione dell'art. 429 cod. proc. civ. -� l'argomentazione relativa alla permanenza o meno in vigore delle norme che rendono applicabile all'ENPAS la normativa sulla contabilit� generale dello Stato; mentre non va taciuto che su'l �punto una costantissima .giurisprudenza di questa Corte (Cfr., ad es., Cass. 13 luglio 1978, n. 4127; Cass. Sez. Un. 17 novembre 1978, n. 5330; Cass. 23 gennaio 1979, n. 510; Cass. 11 dicembre 1979, n. 5423) ritiene che per effetto dell'entrata in vigore del'art. 26 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 � venuta a cessare, con riferimento alla materia che qui interessa, l'efficacia di tutte le norme, comprese quelle sulla contabilit� generale dello Stato, con essa incompatibili; talch� l'argomentazione, oltrech� irrilevante, sarebbe anche infondata. Ma ci� non toglie che un orientamento giurisprudenziale altrettanto saldo si sia formato in relazione all'inapplicabilit� ai crediti previdenziali dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., proprio per il fatto che trattasi di una norma di carattere sostanziale, mentre il rinvio di cui all'art. 442 cod. proc. civ., opera solo in relazione alle disposizioni di carattere processuale; mentre non sussistono la maggior parte dei motivi che hanno indotto il legislatore a dis,porre la riva'lutazione dei crediti di favoro, ed in particolare ['esigenza, di porre una remora a resistenze e ritardi ingiust1ficati e caratterizzati da fini speculativi, dei datori di lavoro neH'adempimento delle loro obbligazioni. Orientamento giurisprudenzia[e ohe trae conforto anche da una senten: zJa, sia pure interpretativa, della Corte Costituzionale. D'a:1tm parte, il rilievo contenuto nella sentenza, secondo cui la legi1slazione successiva al 1973 parrebbe ribadire il concetto dell'applicabilit� ai crediti previdenziali dell'art. 429 cod. proc. civ. non pare fondato: il fatto che il legislatore abbia imposto agli Enti previdenziali di corrispondere immediatamente RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 726 all'avente diritto un trattamento di quiescenza provvisorio a titolo di anticipazione sul definitivo, ed il fatto che si ,sia imposto agli Enti di liquidare le 1indennit� di buonuscita nel pi� breve tempo possibile, dimostra proprio ch~.si � voluto seguire una via diversa da queHa della Tivalutazione delle indennit� corrisposte in ritardo, mirando a far s� che nessun ~itardo abbia a verificarsi. Il ricorso deve quindi essere accolto, nel merito, e la sentenza impugnata -Jimitatamente aJ capo di pronunzia investito dall'impugnazione, e cio� a quello relativo all'applicazione della rivalutazione ex art. 429 cod. proc. civ. delle somme tardivamente pagate al Pepe a titolo d'indennit� di buonuscita -dev'essere cassata, con rinvio della causa ad altro giudice. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 settembre 1981, n. 5690 -Pres. Berri -Rei. Sgroi � P. M. Saja � Giuliano (avv. Pomarici) c. Prefetto di Palermo (avv. Stato Favara). Giurisdizione civile -Difetto di giurisdizione � Irregolare composizione dell'organo giurisdizionale � Riconferma � Mancanza della indipendenza del giudice � Sua eliminazione successiva � Vizio originario della nomina � Sussiste. La irregolare composizione dell'organo giurisdizionale collegiale si inquadra nel difetto di giurisdizione quando si tratti della illegittimit� della nomina che derivi dalla violazione di una norma organica sullo stato del giudice e che, perci�, si traduca nell'assoluta inidoneit� del soggetto nominato ad assumere la veste e le funzioni di membro di un organo giurisdizionale. Pertanto, la indipendenza dei membri di un organo giurisdizionale � co1npromessa dalla possibilit� della riconferma nell'incarico, la quale, anche se venuta meno per legge successiva, non elimina il vizio originario della nomina (1). Denunciando l'irregolarit� della composizione de11'organo collegiale che ha pronunciato la sentenza impugnata sotto iil profilo che uno dei suoi membri � laici � � carente del requisito essenziale della indipendenza, il ricorrente prospetta indubbiamente una questione cilassificabille in astratto i�ra queHe che possano essere pmposte avverso le decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa. (1) Applicazione in tema di nomina dei giudici � laici � del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana, in applicazione del d.P.R. 5 aprile 1978 ,n. 204 il quale, modificando il d.l.l. 6 maggio 1948, n. 645, ha escluso la possibilit� della conferma della nomjna. ,,,;...............l PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 727 Per vero, suHa scorta della giurisprudenza di questa S.C. -a parte le ipotesi, estranee alla specie, di alterazione strutturale di un giudice coMegiale o di diversit� qualitativa del componente rispetto a quello delineato dalla legge, che ne preveda l'estrazione dia una data categoria di soggetti, -la irregolare composizione dell'organo giurisdizionale 1 collegiaile si inquadria sotto lo schema del difetto di giurisdizione esclusivamente quando si tratti dell'illegittimit� della nomina che derivi dalla violazione di una norma organica concernente lo stato di giudice e che, perci�, si traduca neH'assoluta inidoneit� dei soggetto nominato ad aissumere la veste e Je funzioni di membro di un organo giurisdizionale (cfr. Cass. 9 ottobre 1974, n. 2715; Cass. 5 giugno 1975, n. 2233; Cass. 15 dicembre 1977, n. 5465). Per stabilire se una violazione di quest'uiltimo tipo sia ravvisabile nella partecipazione aJl collegio giudicante di un giudice � laico � nominato in applicabione della norma di cui all'art. 3, comma secondo del d.1.1. n. 654 del 1948, dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 25 del 1976, va tenuto conto che: 1) in un sistema fondaito sulla ripartizione e sull'articolazione bilanciata dei poteri, l'indipendenza dei componenti degli organi deHa magistratura assume H ruolo di requisito necessario e qualificante per i titolari deHa funzione giwrisdizionale; 2) questo va<lore � garantito anche per i componenti de�l Consiglio di Stato -del quale il ConsigJio di giusitizia amministrativa costituisce una sezione -in forza di un espresso precetto costituzionale (art. 100, comma 3� Cost.); 3) ad avviso dellla Corte Costituziona'1e � .rindirpendenza dei membri del Consiglio di giustizia amministrativa designati dalla Giunta regionale � �sicuramente compromessa per effetto deHa disposizione che prevede, al termine del quadriennio, la possibilit� della riconferma nell'incarico, secondo il discrezionale apprezzamento del Governo regionale�: nella sentenza n. 25 del 1976, dalla quaJ.e la frase trascritta � desunta, si �richiama l'analogo principio -affermato con sentenza n. 49 del 1968 -secondo cui la 'semplice prospettiva del reincarico basta ad esc!ludere l'indipendenza dei componenti della G.P.A. estranei aU'amministrazione rispetto ai consigli provincia.li e regionali; e significativamente si precisa, ailtres�, che la questione della costituzionalit� della normativa vigente per la nomina di parte dei componenti del Consiglio di Giustizia amministrativa in sede giurisdizionale incide in modo diretto sulla giurisdizone dell'organo o, quanto meno, su1l'eserczio della medesima. Esaminando la medesima questfone le Sezioni Unite (con sentenza 12 giugno 1980, n. 3737) hanno affermato che ogni elusione o compressione del fondamenta:le principio di indipendenza del giudice integra la violazione di una norma organica concernente lo stato deil giudice stesso (tale rango dovendo necessariamente riconoscersi al precetto costituzionale dell'art. 100, comma 3� e a1Me disposizioni che gili danno diretta ns RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO attuazione), ne consegue che ne11a specie si realizza, come riflesso dell'immediato collegamento tra prospettiva del reincarico e menomazione dell'indipendenza, posto dailla Corte Costituzionale a fondamento della deolaratoria di i!l!legittimit� deJll'art. 3 comma 2� citato, l'ipotesi di difetto di giurisdizione prima delineata. A questa soluzione non pu� opporsi che -una vo~ta venuta meno la possibilit� della riconferma dei membri �laici � deJ Consiglio di giustizia amministrativa per effetto deHa sentenza n. 25 del 1976 della Corte Costituzionale -sarebbe coerentemente cessata ogni minaccia alla indipendenza del giudice non pi� riconfermabHe. A prescindere dalla singolarit�, sul piano logico, dell'assunto che vorrebbe togliere rileV'ainza al vizio proprio a partire dal momento in cui esso � stato fatto emergere dalla pronuncia della Corte Costituziona~e, � decisiva la considerazione che il momento rilevante per stabilire se il requisito deLl'indipendenza � posseduto dail giudice � quello originario della nomina, ove si consideri che non � in gioco l'atteggiamento di dipendenza adottato in concreto dal giudice, sospettabile di seguire nell'espletamento delle funzioni giurisdizionali le direttive dell'autorit� designante, ma il difetto di quel requisito in s� considerato, sud quale non pu� influire, con virt� sanante, la 'sopravvenuta impossibiliit� del reincarico, inidonea a cancellare a posteriori quel sospetto che vizia la scelta governativa e che perdura per tutto il tempo in cui lo stato di giudice, viziato neUa sua nascita, esplica la sua rilevanza. � appena H caso di sottolilileare che si � fuori dell'ambito di operativ1t� del principio che esolude ['invalidazione dell'atto amministrativo come riflesso automatico deHa dichiamzione di i!1legittimit� costituzionale della norma sulla oui base l'atto stesso � stato emanato. L'ipotesi in esame non si caratterizza in ['agione del vizio del provvedimento di nomina, venuto alla luce aHorch� la scadenza dei termini lo ha reso inoppugnabile; ma ha riguardo al difetto di indipendenza come qualit� negativa del giudice, nel suo ruolo di titolare di funzioni giurisdizionali, per le quali ha ricevuto 'l'investitura e per i'l cui esercizio l'indipendenza � un requisito soggettivo indispensabHe, laddove la sentenza n. 25 del 1976 della Corte Costituzionale ne ha svelato l'inesistenza ab origine, in diretta violazione della garanzia costituzionale che assiste quel requisito, attribuendogli una rilevanza essenzia'le ,rispetto allo stato di giudice. Per questa ragione non pu� �invocarsi il-principio giurisprudenzfale, secondo cui il vizio di composizione del collegio giudicante non include la i1legittimit� relativa ailla nomina dei componenti del collegio stesso: per vero, il riferimento agli atti di investitura .e alfa loro regolarit� formale (ai quaJi di norma occorre stare ove non sia stata proposta la relativa impugnazione nella competente sede e nei termini di legge) l I - PARTE I, SEZ. III\. GIURIS. SU QUESTIONI. DI GIURISDIZIONE non risulta giustificato, aillorch� -come si � premesso -si configurino difetti :cos� essenziali da comportare l'assoluta inidoneit� dei singoli giudici a far parite di, un organo giurisdizionaile. H discorso 'SV01to suil piano degli effetti deHa pronuncia di illeg1ttimit� costituzionale (art. 136 Cost. e art. 30 legge n. 87 del 1953) risuJta fuori centro rispetto all'impostazione qui . seguita, giacch� non si tratta di stabilire da quale momento la norma dell'art. 3, comma 2� del dJ. n. 654 del 1948 ha cessato di �vere efficacia a seguito della sentenza n. 25 del 1976 della Corte Costituzionale. Nella presente fase del giudizio non viene, infatti, in riJlievo un problema di applicazione diretta della norma citata; n� si discute di un provvedimento di nomina, emanato sulla base di tale norma in epoca successiva alla pubblicazione della predetta sentenza. Il presente ricorso _:_ lo si � gi� rprecisaito -propone esclusivamente il quesito ben distinto concernente i rif1les�si, ,sUJlla potestas decidendi del giudice, dell'aocertafo difetto del requisito dell'indipendenza~ La sentenza impugnata � stata deliberata ill 14 giugno 1977 ed � stata pubblicata il 7 febbraio 1979. Alla stregua del principio conso1idato, secondo cui la capacit� del giudice deve essere verificata con riferimento alla data della deliberazione (cfr. Cass. 16 ottobre 1979, n. 5392; Cass. 16 ottobre 1970, n. 2051; Cass. 23 luglio 1969, n. 2785), non pu� spiegare alcuna incidenza sulla soluzione della questione in esame il D.P.R. 5 aprile 1978, n. 204, il quale, nel modificare il d.l. 6 maggio 1948, n. 654, ha fra l'altro, esduso la possibilit� della conferma della nomina (airt. 2) ed ha stabilito che i membri designati dalla Giunta regionale in carica alla data della sua entrata in vigore (25 maggio 1978) conservano il loro ufficio fino ail momento della nomina dei successori. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 novembre 1981, n. 5826 -Pres. Bezzi -Est. Zappu1Ji -P. M. Saja -Arca,rese (avv. De Nicolellis) c. Ministero dei LL.PP. (avv. Stato Corti). Edilizia economica e popolare � Alloggi . Assegnazione � Fase precedente e successiva � Controversie � Diversa competenza del giudice amministrativo e del giudice ordinario. In materia di alloggi economici e popolari, va segnalata la contrapposizione, tra la previa fase di natura pubblicistica dell'assegnazione, caratterizzata dall'esercizio di poteri discrezionali da parte dell'ente assegnante e da posizioni di interesse legittimo a favore dei richiedenti l'assegnazione stessa, e quella che si instaura, dopo la stessa, con il conseguente rapporto contrattuale, di natura privatistica e caratteriz RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DtlLLO STATO zata da posizioni di diritto soggettivo e da conseguenti obblighi a carico delle parti, con diversa competenza per le relative controversie rispettivamente del giudice amministrativo e di quello ordinario (1). � Il ricorrente Luigi Arcarese ha prospettato nel suo ricorso l'esistenza di ragioni per la giurisdizione del giudice ordinario nehla controversia, pur da esso stesso, proposta prima innanzi la Commissione di Vigilanza per il Lazio per l'Edilizia Popolare ed Economica e poi innanzi il Tribunale Amministrativo Regionale, indicando la configurabilit� di diritti soggettivi rispettivamente di lui medesimo e dellla sorella Rita Carmela Arcarese: 1) neMa occupazione da parte sua dell'appartamento contestato da oltre un decennio -con l'assenso della cooperativa e nella incuria totale della sorella, nonch� nell'adempimento degli incombenti pecuniari e ammin1s1lrativi inerenti a'Lla sua posizione di occupante; 2) nella assegnazione in propriet� alla sorella dell'alloggio della quale si chiedeva l'annullamento. Il ricorso � infondato sotto entrambi gli aspetti. Invero, va preliminarmente considerata la ormai convaUdata distinzione e contrapposizione, in materia di a1loggi economici e popo!lari, tra la previa fase di natura pubblicistica deM'assegnazione, caratterizzata dall'esercizio di poteri discrezionali da parte deH'ente assegnante e da posizioni di interesse legittimo a favore dei richiedenti l'assegnazione stessa, e quella che si instaura, dopo la stessa, con H conseguente rapporto contrattuale, di natura privatistica e caratterizzata d� posizioni di diritto soggettivo e da conseguenti obblighi a carico delle parti, con diversa competenza per le relative controversie rispettivamente del giudice ammi� nistrativo e di quello ordinario. Ci� premesso, � facile osservare che la dedotta occupazione rultradecennale da parte dehl'Arcarese, come l'asserita acquiescenza deUa cooperativa e della formale assegnataria e l'adempimento dei menzionati oneri da parte sua, sono stati posti a base di una richiesta da lui presentata in relazione alla mancata sua ammissione come socio della cooperativa e aiHa mancata pronuncia di decadenza della sorella da1la corrispondente assegnazione di queM'appartamento. Quei fatti, perci�, sono diretti, nelle deduzioni delil'istante, a incidere nella fase di prenotazione e assegnazione degli alloggi e riguardano le posizioni del socio o aspirante socio in relazione agli interessi pubblici peI"seguiti dall'ente assegnante nella sua attivit� prevista e regolata dal t.u. deHe disposizioni sull'edilizia popolare ed economica approvato con r.d. 28 aprile 1938, n. 1165 e dahle successive leggi in materia. (1) Giurisprudenza specifica. l'AR'.l'E I, s�i:t. Iii, GlURIS. str �UESTI�NI D� Gt�JRISbIZI�NE Trattasi, per quanto concerne la domanda di ammissione come socio dell'istante, di un interesse legittimo in quanto, pur fuori di una formale g:raduatoria secondo la forma consueta, il privato richiedente rimane collocato in un rapporto di subordinazione, rispetto a:ll'interesse pubblico ed � tutelato dal particolare procedimento innanzi la commissione di vigilanza. N� la menzionata occupazione, consentHa o no, non prevista in alcuna norma di legge, pu� in akun modo tr~sformare quell'interesse in un diritto con superamento deHa citata fase di ammissione e assegnazione, posta come condizione necessaria e inderogabile per la costituzione del successivo rapporto privatistico. Analogamente i menzionati adempimenti pecuniari e amministrativi possono dare origine a eventuali diritti di rimborso o comunque di carattere pecuniario, ma non hanno rilevanza per ,quanto riguarda i1l dedotto rapporto del rico11rente con la cooperativa per l'alloggio in questione. Per quanto concerne la mancata pronunzia di decadenza deMa sorella Rita Carmela dalla sua posizione di socia, � da porre in rilievo, in primo luogo, 1che � ivrilevante e inammissibile in questa sede la produzione da parte del ricorrente del verbale di assegnazione a favore della istessa dell"appartamento suddetto, avente, tra l'altro, secondo le stesse indicazioni di costui, una data posteriore alil'inizio del giudizio. Inoltre, anche la resistente, 111ell'assenza di un rapporto contrattuale derivante ~H'assegnazione, aveva soltanto un interesse legittimo tutelabile, come tale, solo innanzi H giudice amministrativo. Non �, poi, fuor luogo osservare che, comunque e indipendentemente dai1la estraneit� del richiedente al rapporto tra la cooperativa e la asse gnataria, non pu� in alcun modo ravvisarsi un diritto soggettivo del suddetto istante a richiedere alfa cooperativa medesima l'adempimento di un asserito obbligo a pronunziare quella decadenza, H ohe rientra indubbiamente nell'esercizio di un potere discrezionale attribuito alla stessa. SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 aprile 1981, n. 2041 -Pres. Marchetti - Rel. Scanzano -P. M. Nicita (conf.) -Azienda autonoma F. S. (avv. Stato Sernicola) c. Consorzio costruzione gestione zona industriale porto e provincia di Ancona (avv. Di Mattia). Espropria7lione per P. U. -A favore di Amministraziorii statali -Indennit� determinata sec�ndo la legge 22 ottobre 1971, n. 865 -Opposizione a stima -Competenza della �Corte d'appello. (legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19; legge 27 giugno 1974, n. 247). Attinendo anche la fase giudiziale, introdotta con l'opposizione a stima, alla determinazione dell'indennit� 'di espropriazione, il richiamo operato -in tema di espropriazioni statali -dalla legge 27 giugno 1974, n. 247 alle disposizioni del titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865 � relative alla determinazione dell'indennit� di espropriazione � deve ritenersi esteso anche all'art. 19 di tale testo normativo, con la conseguenza che l'opposizione alla stima operata, in espropriazioni statali, secondo il procedimento ed i criteri della c.d. �legge sulla casa� va proposta alla Corte d'appello (1). (omissis) L'amministrazione ricorrente sostiene che, dopo l'estensione_.. operata con la 1. 27 giugno 1974, n. 247 -delle disposizioni del titolo secondo del!la il. 865/71 relative alla determinazione dell'indennit�, a tutte le espropriazioni preoI'dinate ad opere di competenza deNo Stato e degli enti pubblici, le dette disposizioni sono operanti anche per quanto :riguarda LI.a determinazione giudiziale dehla detta indennit�. Ne consegue -:soggiunge -che LI.a competenza a decidere in ordine alla congruit� dell'indennit� determinata, come nella specie, ai sensi della '1. 865/71, spetta alla Corte d'appeLlo. L'istanza � fondata. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in sede di opposizione giudiziale alla stima dell'1indeI1JI1it� occorre fare riferimento (1) Principio da condividere pienamente, oltre che per le esatte considerazioni svolte nella motivazione, in base al rilievo secondo cui la diversa soluzione che la Corte ha correttamente respinto -avrebbe comportato solo per le espropriazioni statali un doppio grado sul merito dell'opposizione frustrando in tal modo l'evidente scopo della legge del 1974 che ha inteso parificare il trattamento dei soggetti interessati da espropriazioni a favore di enti pubblici. PARTE l, SEZ. lV, GIURISPRUDENZA ClVILE 733 alla normativa da cui la Pubblica Amministrazione ha tratto il suo potere di espropriazione; e tale principio vale anche al fine dedl'indiividuazione del giudioe competente a decidere sUill'opposizione medesima, ed indipendentemente da ogni questione in ordine alla correttezza del irifer�mento della stessa P. A. aUa normativa applicata (v. Cass. 3185/77, 1908/78, 3590/78, 900/79, 5282/79, 5350/80). Ricorre pertanto la competenza della Corte d'appeillo quaile giudice di unico grado, secondo l'art. 19 della I. 22 ottobre 1971, n. 865, quando in sede amministrativa l'indennit� di espropria:zJione sia stata determinata secondo tale legge (v. le sentenze citate, nonch� Cass. 109/75, 679/75, 763/75 e altre). L'opinione, espressa dal Tribunale, secondo cui ,l'art. 4 deHa I. 247/74 avrebbe bens� unificato i criteri di determinazione amministrativa dell'indennit� (estendendo J'applicabilit� degli artt. 16 e 17 della legge 865/71 a tutte le espropriazioni per opere di competenza delJo Stato e degli enti pubblici), ma avrebbe lasciato in vita la duplicit� di competenza in sede di opposizione giudiziale, limitando quella della Corte d'Appello alla sola materia per la quale essa � stata originariamente prevista (cio� le esproprazioni disposte in tema di edilizia residenziale pubblica e di opere di urbanizzazione primaria e secondaria) non trova giustificazione n� nella lettera della legge n� in esigenze sistematiche (che anzi la contraddicono). Ed invero: a) poich� ,l'estensione disposta col citato airt. 4 concerne � le disposizioni contenute nel titolo II I. 22 ottobre 1971, n. 865, relative alla determinazione dell'indennit� di espropriazione�, e poich� il giudiizio demandato dalla Corte d'Appello daill'art. 19 -compreso nel titolo secondo di tale fogge, � diretto aUa determinazione di una nuova indennit�, � pi� aderente -al dato normativo ritenere che il riferimento alla determinazione dell'indennit� comprenda anche la determinazione giudiziale; b) ci�, �, poi, coerente con esigenze di chiarezza e di sempJicit�, oltre che con ragioni di sistema, essendo stata la competenza (della Corte d'Appehlo) in unico grado prevista in redazione ad un criterio determinativo (dell'indennit�) cui non � estraneo un certo automatismo; ed allora � logico ritenere che l'estensione di tale criterio comporti una corrispondente estensione della competenza giudiziaria. Deve conclusivamente affermarsi che, 1siccome neHa specie l'inden nit� di espropriazione � stata determinata secondo la legge 865/71, aHa quale poi il decreto di espropriazione ha fatto riferimento (e non rileva che il decreto di occupazione sia stato emesso in base all'a111t. 71 della I. 20 giugno 1865, n. 2359, data l'autonomia del procedimento di occupazione rispetto a quello di espropriazione), la competenza a conoscere della causa promossa dal consorzio con la citazione su indicata spetta alla Corte d'Appello di Ancona, ai sensi dell'art. 19 I. 22 ottobre 1971, n. 865. (omissis) 9 MSSEGNA DELL1AVVOCATURA D�LLO StA'rcl 734 CORTE DI CASSAZIONE, s�ezioni Unite, 16 foglio 1981, n: 4628 -Pres. Rossi -Rel. Scribano -P. M. SiJocchi (c�nf.) -E.N.P.A.S. (avv. Stato Laporta) c. Cail�. Impiego pubblico -Indennit� di buonuscita -Nuova disciplina in tema di computabilit� della tredicesima -Estinzione dei giudizi pendenti Riguarda anche le domande accessorie. (legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6). In applicazione del secondo comma dell'art. 6 legge 20 marza 1980, n. 75, l'estinzione dei giudizi pendenti va dichiarata non solo relativamente alla domanda di integrazione della buonuscita col computo della tredicesima mensilit� ma anche in quanto riguarda le pretese accessorie (interessi e rivalutazione monetaria sulla maggior somma dedotta ad oggetto della domanda principale) (1). \ (1) Nello stesso senso, le coeve sentenze nn. 4629, 4630, 4631, 4632 e 4633. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 24 settembre 1981, n. 5176 -Pres. Pedroni -Est. Gabriele -P. M. Dottori -Soc. Icomes (avv. Piaggio) c. Ministero delle Poste (avv. Stato Gargiulo). Responsabilit� civile � Poste -Servizio postale di consegna di raccomandata -Ritardo -Responsabilit� dell'Amministrazione -Esclusione. L'Amministrazione delle Poste non pu� ritenersi responsabile dal danno preteso dal privato nel caso di ritardo nel recapito della corrispondenza per disguido interno dell'Ufficio accettante (1). (omissis) Con il primo mezzo la ricorrente deduce �violazione e falsa applicazione dell'art. 6 d.p. 29 mairzo 1973 (t.u. delle dispos1izioni legisiative in materia postale), pe:r non avere il giudice del merito riconosciuto che Ja citata norma dell'art. 6, ispirata dalla necessit� di garantke a:ll'Amministrazione la pi� ampi~ discrezionalit� nella organizzazione dei servizi postali, non vale ad escludere anche la responsabHit� da comportamento colposo della stessa Amministrazione, come quello, nella specie verifica �l) Esattamente la Cassazione ha ritenuto non ipotizzabile una responsabilit� dell'Amministrazione delle Poste ove nel particolare settore del servizio postale prestato all'utente dovessero verificarsi inconvenienti o imperfezioni nell'adempimento delle prestazioni; e ci� in conformit� alle previsioni dell'art. 6 d.P.R. 29 marzo 1973, n. �156. PARTE �, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA �fvn.E tosi, del ritardo nel recapito della corrispondenza, pe,r un disguido interno dell'ufficio accettante. Ll mezzo non � fondato. Riconosce fa stessa ricorrente che spirito della esclusione delle respon� sabilit�, la quale nel particolare settore dell'attivit� postale, prestata all'utente, assume natura contrattuale, sia quelfo di garantire ahl'Ammi� nistrazione fa pi� ampia discrezionalit� neHa organizzazione del pubblico serviizio, senza dovere essa rispondere di conseguenze pregiudizievoli dei sistemi, metodi e modalit� posti in essere, interessanti un campo di azione per sua stessa natura delicato e complesso. L'esistenza di una ratio legis, cos� identificata, spiega e giustifica il sistema limitativo della responsabilit�, istituito con ile norme in esame, inteso a porre la P.A. al riparo da sanzioni risarcitorie, per inconve� nienti ed imperfezioni nell'adempimento delle prestazioni, inseparabili dalle scelte oiiganizzative da essa fatte, le quali possono anche tradursi nel mancato rispetto di regole di servizio da parte del dipendente, delle quali .l'organizzazione connessa non sia taie da garantire l'assoluta e costante osservanza. Con il secondo mezzo la ricorrente deduce � violazione e fa1sa applicazione dell'art. 6 t.u., in relazione all'art. 2043 cod. civ.�, per non avere il giudice del merito riconosciuto che vi era sempre una responsabilit� dell'Amministrazione peT fatto illecito, tale dovendosi considerare il mancato inoltro delle due raccomandate nei tempi regolari. n mezzo, ipotizzante il concorso dei due tipi di responsabilit�, contrattuale ed extracontrattuale, non � fondato, richiedendosi per la responsabilit� aquiliana la lesione di un diritto assoluto dell'utente, perpetrata in offesa al principio fondamentale del neminem laedere -che erga omnes lo tutela -, anche se a vruneTarlo sia per avventura concomitante un fatto lesivo da inadempimento contmttuale. Nella specie, ovviamente, poteva ritenersi esistente solo quest'ultimo, non potendo porsi come lesione di diritto assoluto erga omnes queHa incidentale sul diritto dell'utente alla puntualit� nel recapito deilla corrispondenza, ohe unicamente nel negozio trova la sua matrice. Pertanto, Ja tutela poteva essere solo quella delfa responsabilit� contrattuale nei modi e nei limiti staMliti dalla legge. (omissis) PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 737 mento del costo� della vita in funzione dei suoi riflessi sull'ordinata amministrazione del regime della propriet� edilizia; pertanto, essendo l'U.P.P.I. legittimata a proporre ricorso giurisdizionale, per far valere l'interesse del quale � Ente esponenziale, in via autonoma, � inammissibile il suo intervento ad adiuvandum nel giudizio promosso da alcuni piccoli proprietari (2). L'art. 71 ultimo comma l. 27 luglio 1978 n. 392, il quale prevede la rivalutazione pari al 75% dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai ed impiegati dell'ultimo anno del canone di locazione degli immobili ad uso non abitativo (equo canone), non pu� essere letto senza tener conto dei precedenti artt. 32 e 63, i quali parlano di anno con riferimento rispettivamente all'inizio della locazione ed alla data di entrata in vigore della legge; pertanto, anche nell'ultimo comma dell'art. 71 �l'anno precedente � non pu� essere che quello antecedente alla data di scadenza contrattualmente prevista al quale la citata norma espressamente si richiama (3). ritativamente un'attivit� discrezionale dell'ISTAT, il quale, nel rilevare e calcolare l'ammontare dell'indice dei prezzi al consumo, � in assenza di qualsiasi. indicazione � della legge, opererebbe �scelte e valutazioni... fra tutte quelle che la tecnica e la scienza statistica consentono di ottenere�, con conseguente incidenza su interessi legittimi. L'affermazione appare tanto poco convincente che lo stesso Tribunale, appena tre pagine pi�1 avanti, si contraddice recisamente affermando: �La norma (art. 71, ultimo comma, della legge 392/78) che attribuisce all'ISTAT la competenza di definire la variazione dell'indice dei prezzi al consumo, non offre per� alcuna possibilit� di compiere esercitazioni ermeneutiche... Il legislatore si � infatti espresso... indicando la sua precisa volont� di prendere in considerazione le variazioni verificatesi nell'anno solare precedente quello di applicazione dell'indice >>. Tale ultima affermazione -a parte il merito dell'interpretazione della norma -merita di essere condivisa: il compito affidato all'ISTAT dalla norma ripetuta � un compito vincolato di certazione da cui esula qualsiasi profilo di discrezionalit�; compito utilizzabile dal giudice ordinario nei suoi risultati e nei limiti della loro conformit� a legge, in quanto tali risultati costituiscono un dato esser.iziale per la composizione di conflitti di interessi interprivati. Fuor di polemica giover� ricordare che l'ultimo comma dell'art. 71 della legge 27 luglio 1978 n. 392 -relativo alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione non soggette a proroga ed in corso all'entrata in vigore della legge -testualmente recita: � Il canone potr� essere aggiornato annualmente su richiesta del locatore dal giorno della scadenza contrattualmente prevista, in base al 75 per cento della variazione accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati verificatasi nell'anno precedente�. La lezione della norma sembra indiscutibile per quanto attiene alla natura della funzione attribuita all'ISTAT, che ha ad oggetto un mero �accertamento �, incompatibile con qualsivoglia discrezionalit�. A tal punto sembra ineludibile un'alternativa: o per discrezionalit� del l'ISTAT in subiecta materia si intende quella esercitata al momento delle scelte dei metodi e degli oggetti di rilevazione (ad es. determinazione della composi 738 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Il primo motivo dell'appello non � fondato. L'appellante ha dedotto in primo grado un difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto l'Istat, nel definire l'indice dei prezzi al consumo,_ ai fini de11'applicazione deU'art. 71 u.c. della legge 27 luglio 1978 n. 392, non godrebbe di alcuna discrezionalit�, sicch� spetterebbe al giudice ordinario accertare, caso per caso, l'effettivo incremento dei prezzi, yerificatosi nell'anno precedente, in sede di composizione dei conflitti interprivati, ed in tale sede, il giudice non sarebbe in alcun modo vincolato dalle indicazioni fornite dall'Istat. La sentenza appellata ha, per�, esattamente osservato che l'art. 71 u.c. della .legge 27 luglio 1978 n. 392 ha evidentemente rimesso all'Istat iJ compito di calcolare l'aumento dei prezzi al consumo per le famigl.ie di operai ed impiegati, alJo scopo di assicurare l'osservanza dei criteri di fondo, ed ha chiaramente affidato a detto I�stituto la sceha e la valutazione del� l'indice da adottare, �tra tutti queUi che la tecnica e la scienza statistica consentono di ottenere. zione del c.d. �paniere�), come sembrerebbe evincersi da alcuni passi della sentenza impugnata, ed allora il te11mine sarebbe usato in senso proprio ma fuori di luogo nel caso di specie, in quanto riferito ad una scelta di tipo politico che si pone a monte della attivit� oggi in contestazione e che non � -n� potrebbe essere -oggetto di giudizio; oppure per discrezionalit� si intende una facolt� di scelta di diversi periodi di riferimento vincolante per gli amministrati ai sensi e per gli effetti del ripetuto art. 71 ed allora si afferma cosa doppiamente inesatta, perch� la legge non lascia all'ISTAT alcuna facolt� di scelta sul periodo di riferimento che � �l'anno precedente... il giorno della scadenza contrattualmente prevista� (salvo accertare cosa debba intendersi per �anno) e perch� la legge non obbliga, certo, il giudice civile a �fare stato� di �quel� dato ISTAT. Ben al contrario, invece, di fronte alla pubblicazione di un dato ritenuto non conforme a legge (ad es. pubblicazione delle variazioni mensili invece che annuali) il giudice civile, nel dirimere la controversia interprivata, dovrebbe disattendere l'erroneo accertamento e valersi, invece, di quello effettuato con� formemente a legge. Non si dimentichi, infatti, che ogni mese l'ISTAT pubblica tutta una serie di dati (variazioni mensili, variazioni annuali, indice medio annuale ecc.: cfr. Cappelli, l'Equo canone, Maiorca, 11979, 232) fra i quali il giudice (ordinario) ha il potere (e il dovere) di scegliere quelli indicativi dell'aumento previsto dalla legge come parametro da utilizzare a determinati effetti, salva sempre la possibilit�, se nessuno di quelli pubblicati rispondesse a tale previsione, di una richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c. 2) Violazione e falsa applicazione, alternativamente, dell'art. 21 legge 6 di� cembre ,1971 n. 1034 o del principio -comune nel nostro ordinamento a tutti i processi di azione privata (cfr. art. 100 c.p.c., art. 5, secondo comma T.U. com. e proc. 1934) -che per agire in giudizio occorre avervi interesse. La difesa delle resistenti amministrazioni aveva eccepito in primo grado l'inammissibilit� dell'intervento, deducendo come l'interesse dedotto in lite dal ricorrente fosse contingente, in quanto proprio -e caratteristico della concreta situazione enunciata e non si estendesse affatto, generalizzandosi, alla categoria. La convenienza dell'uno o dell'altro tipo di conteggio dell'inflazione cambia, infatti, a seconda della data di stipula del contratto, ed � suscettibile di ! I !I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 739 Del resto, la stessa Avvocatura dello Stato 'riconosce che nei metodi e nella scelta degli oggetti di rilevazione (composi:zJione del cosiddetto �paniere�) sussiste una discrezionalit� della PubbHca Amministrazione, pur ritenendo che si tratti di una discrezionaHt� po'1itica, non sindacabi:le in questa sede. Conclusione, questa, che invece non pu� essere condivisiva, perch� l'Istat non � organo politico e non ha competenza per compiere v,alutazioni di ordine politico, essendo chiamato a svolgere compiti eminentemente tecnici; epper� � da esaludere che la legge in questione, nell'affidargli il compito di stabilire ai fini di cui tratta l'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, abbia inteso attribuirgli funzioni di natura politica. L'accertamento compiuto dall'Istat involge, dunque, soltanto attivit� di ordine tecnico e la giurisprudenza, come � noto, consente al giudice amministrativo di sindacare ogni forma di disorezionalit� della Pubblica Amministrazione, sotto il profilo dell'eccesso di potere. camb?are ancora nel futuro, apparendo chiaro che il sistema adottato dalJIISTAT rispetto a quello rivendicato dall'originario ricorrente, � meno favorevole . al locatore in tempi in cui l'inflazione decelera il suo ritmo (come � accaduto nel caso di specie), penalizza invece il conduttore in caso inverso (come potrebbe essere nel periodo attuale). Ex converso, il criterio rivendicato dall'Appino privilegia il locatore nel primo caso, il conduttore nel secondo. � del pari evidente che la disparit� di trattame11to � tanto maggiore quanto pi� avanzata nell'anno � la data di scadenza: minima in gennaio, massima in dicembre. Che se poi si fosse voluto costruire la posizione legittimante dell'UPPI come quella di chi � portatore di un proprio interesse alla corretta gestione di un servizio concernente la piccola propriet� edilizia, si sarebbe dovuto, allora, eccepire -si concludeva, in prime cure -la inammissibilit� dell'intervento ad altro titolo e cio� per elusione del termine di decadenza imposto a chi abbia titolo per ricorrere e pretenda, invece, a termine scaduto, di dedurre ugualmente il proprio interesse in giudizio attraverso la via indiretta dell'adesione al ricorso altrui. Il T A.R. per il Lazio ha ritenuto di superare l'obiezione attraverso le seguenti due affermazioni: la mancata prova di un conflitto di interessi fra proprietari �peraltro di difficile dimostrazione� e la legittimazione dell'ente esponenziale alla tutela di interessi collettivi di categoria. Nessuna delle due affermazioni pu� essere condivisa: il conflitto di interessi denunciato non richiede specifiche prove, emergendo da una semplice analisi logica della cronaca, s� che -non che essere di difficile dimostrazione -si rileva ictu oculi. Sar� sufficiente, infatti, postdatare di un anno la vicenda per vedere come alla data di scadenza contrattuale del 1� novembre 1979, l'interpretazione AppinoUPPI porti ad una rivalutazione del canone dell'll,25 % (75 per cento del 14,7 %, svalutazione del 1978 sul 1977) mentre l'interpretazione ISTAT porti ad una rivalutazione del 15,33 % (75 % del 20,44 %, svalutazione verificatasi nell'arco annuale che va dall'ottobre 1978 all'ottobre 1979). 740 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO N� sussiste la contraddittoriet� che l'appellante ravvisa nella sentenza impugnata. � evidente che ]l TAR del Lazio ha distinto tra il momento della scelta dei metodi di rillevazione, e quello del termine di riferimento per l'accertamento dell'indice dei prezzi: nel primo momento, sussiste discrezionalit� della Pubblica Amministrazione, mentre nel secondo l'attivit� della P.A. � vincolata. Ovviamente ci� non incide sulla configurazione dell'interesse leso, perch� finteresse legittimo � da ravvisare dovunque sussista un potere discrezionale, pi� o meno ampio, della P.A. Ed � evidente che la circostanza che, nell'esercizio del potere discrezionale, la P.A. sia vincolata sotto alcuni aspetti (il che accade normalmente) non vale a trasformare l'interesse legittimo in diritto soggettivo. Il secondo motivo de1l'appello �, invece, fondato. Esattamente il TAR ha ritenuto che l'Uppi ha la potest� di rappresentare gli interessi della categoria secondo l'art. 2 del proprio statuto, Nell'ipotesi ora fatta, un ricorso di segno uguale e contrario avrebbe potuto essere proposto da... un conduttore e sembrerebbe lecito dubitare fortemente della legittimazione ( ... e dell'interesse) dell'UPPI ad � adiuvarlo �. Sar� appena il caso di aggiungere che con un minimo sforzo di immaginazione, in relazione alle varie date di scadenze contrattuali ed all'irregolare andamento del fenomeno inflattivo, sarebbe agevole costruire tutta una costellazione di interessi dei singoli proprietari, interessati ora pi�, ora meno, ora affatto, all'accoglimento dell'una tesi e sempre pronti a trasformarsi il giorno dopo o un mese dopo o un anno dopo in interessati all'accoglimento delle tesi opposte o in disinteressati (per equivalenza). Il che � quanto dire che l'interesse fatto valere nel presente giudizio � un interesse di tipo personale e contingente non tutelabile in via �esponenziale� per l'immanente rischio di conflittualit� che esso comporta, come pure fatto presente da codesto Consesso nel corpo della motivazione della decisione della VI sezione n. 1'187 del 10 novembre 1978, a torto richiamata dal TAR a sostegno delle proprie tesi. Una volta affermato (e provato), infatti, che l'interesse dedotto dall'Appino non era un interesse del gruppo (dei piccoli proprietari) nel suo complesso n� una sommatoria di singoli interessi individuali, proprio alla stregua della giurisprudenza richiamata dai primi giudici avrebbe dovuto escludersi cos� una legittimazione di tipo esponenziale come un interesse (anche di mero fatto) ad � adiuvare � la difesa del singolo ricorrente, potendosi, tutt'al pi�, riconoscere in capo all'UPPI un interesse legittimante di natura propria, e cio� appartenente all'Associazione come soggetto a s� e diverso, quindi, cos� da quello dei singoli associati come da quello risultante dalla loro sommatoria. Un tale interesse quale potrebbe essere quello alla corretta gestione del servizio di rilevazi01;ie statistica dell'incremento del costo della vita, per i suoi riflessi sulla ordinata amministrazione della propriet� edilizia -� perfettamente configurabile ed � pienamente congruente con il contingente conflitto con interessi occasionali dei singoli proprietari, ma sarebbe (salvo sempre il problema della ammissibilit� o meno -di una sua tutela in giustizia in relazione ad una sua qualificazione quale �interesse diffuso�) idoneo a legittimare, se mai, un autonomo ricorso PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 741 e c10e gli .interessi di un gruppo organizzato. Il TAR si � richiamato alla decisione di questa Sezione del 10 novembre 1978 n. 1187. Ma appunto perci� (come esattamente rileva l'Amministmzione appellante) l'Uppi, essendo legittimata a proporre H ricorso giurisdizionale per far valere l'interesse del quale � ente esponenziale, doveva proporre H suo ricorso autonomo nei prescritti termini. L'interesse proprio de1l'Uppi, che trascende quello dei singoli proprietari, alfa corretta gestione del servizio di rilevazione statistica dell'incremento del costo della vita, in funzione dei suoi riflessi sull'ordinata amministrazione del regime della propriet� edilizia, non poteva legittimare l'Uppi ad un intervento ad adiuvandum per il sollo fatto che occasionalmente, nella specie, l'interesse generale, rehe l'associazione persegue, coinddeva con quello di una del'le parti di questo giudizio. Pertanto, la censura dell'Amministrazione che l'intervento dell'UPPI doveva essere dichiarato inammissibHe, risulta fondata. Anche �ll terzo motivo � fondato. e non gi� un intervento adesivo, che si risolverebbe in un facile strumento di elusione di un termine di decadenza ormai spirato. 3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 71 legge 27 luglio 1978, n. 392. La norma, il cui testo � stato gi� citato precedentemente, contempla una variazione-indice verificatasi �nell'anno precedente�. Il termine di riferimento a cui si riferisce la �precedenza� � �il giorno della scadenza contrattualmente prevista'" Secondo il TAR per il Lazio la norma andrebbe letta come se il termine di riferimento fosse individuato nell'� anno in cui cade il giorno della scadenza contrattualmente prevista'" Tale lettura sarebbe l'unica rispettosa della lettera e della ratio della norma, �agevolmente individuabile nelle finalit� di ottenere un indice costante per l'intero arco dell'anno'" in modo da evitare �inammissibili disparit� di trattamento... poich� le variazioni dei prezzi non avvengono in maniera uniforme ma risentono fortemente dell'andamento stagionale '" . La sottoscritta difesa non condivide n� le apodittiche affermazioni relative alla lettera n� le argomentazioni relative alla ratio della legge. Sotto il primo aspetto giova rilevare, infatti, che l'interpretare il termine � anno � come � arco temporale di 365 giorni � quando si tratta di far riferimento al periodo precedente un certo giorno, appare essere l'esegesi pi� ortodossa sotto il profilo letterale. Tanto vero che la lettura propugnata dal TAR richiede una operazione di ortopedia lessicale gi� sottolineata e tanto vero che il legislatore, ogniqualvolta ha inteso utilizzare la locuzione � anno � come �millesimo " lo ha espressamente precisato. Cos�, ad esempio, l'art. 20 della legge sull'equo canone individua il termine temporale di riferimento a quo nell'� anno di costruzione dell'immobile �, con un chiaro riferimento al millesimo. Di pi�, il termine �anno'" nella legge sull'equo canone, viene spesso usato nella sua accezione di � arco di tempo di 365 giorni �, soprattutto quando si vogliono individuare periodi � ingabbiati� per regolare la misura del canone (cfr. ad es. artt. 32 e 63 della legge), qua:le � quello in esame. Sotto il secondo aspetto, e cio� quello della �ratio� della norma, la confutazione della tesi del TAR appare ancora pi� agevole. L'art. 71 -come il prece ' ! PAR�E I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 743 e alla data di entrata in vigore della legge. Sicch�, anche nell'ultimo comma dell'art. 71, l'anno precedente non potrebbe essere che quello antecedente aMa data di scadenza contrattualmente prevista, :al quale la citata norma espressamente si richiama. Inoltre, come bene ha evidenziato l'Avvocatura, l'ultimo comma dell'art. 71 ha una finalit� perequativa ed una finalit� antinflazionistica. La finalit� perequativa viene conseguita ripartendo tra locatore e conduttore il costo dell'inflazione, mediante un incremento del canone, che � determinato dal legislatore per .gli dmmobiili aid uso abitativo (hl cosiddetto �equo canone�), mentre � individuato in base aill'indice dei prezzi (il 75% de11'1ndice dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai ed impiegati dell'ultimo anno) per gli imrriobhli ad uso non abitativo. Per questi ultimi immobili tale finalit� non verrebbe raggiunta con l'adozione di un indice costante dell'intero arco dell'anno, poich�, come ha sostenuto la difesa dell'amministrazione, un indice costante discriminerebbe ingiustamente i contraenti a seconda del mese d'inizio della condu addirittura da controspinta, proiettando in avanti gli effetti pregressi di una inflazione in caso di � raffreddamento � in atto. In realt�, il meccanismo ideato dal ricorrente per realizzare un proprio con� tingente interesse e sorprendentemente avallato dal TAR, mostra tutta la propria � perversit� � sol che lo si trasponga dalla esegesi dell'art. 71 -disposizione transitoria con effetti in via di esaurimento -a quella dell'art. 32, che, per coerenza ermeneutica dovrebbe essere interpretato alla luce degli stessi criteri. Un esempio chiarir� forse meglio la situazione. Si immaginino due coppie di appartamenti identici A e B, locati tutti ad uso non abitativo a prezzo pari -al momento delle rispettive stipule -al valore di mercato, per i canoni mensili rispettivi di X e Y, per una durata di sei anni e con decorrenza rispettiva 1� gennaio 1980-31 dicembre 1980 la prima coppia, e 1� gennaio 1980-31 dicembre 1979 la seconda e si immaginino le due seguenti ipotesi di incremento del costo della vita: 1) 20 per cento nel �1980, '81 e 82; O per cento in seguito; 2) Oper cento nel 1980, '81, '82 e '83; 60 per cento nell'84. Nella 1� ipotesi, e per la prima coppia A-B, secondo la tesi del TAR, il proprietario dell'appartamento A subirebbe un'inflazione del 60 per cento ('80+'81 + '82) di cui recupererebbe appena la met� (e cio� il 30 per cento quale 75 per cento degli anni '81 ed '82), mentre il proprietario dell'appartamento B subirebbe la minore inflazione del 40 per cento ('81 +'82, avendo scontato la svalutazione dell'80 nella pattuizione del canone) ma recuperer~bbe ugualmente il 30 per cento e cio� i tre quarti dell'incisione sopportata, con ingiustificabile privilegio rispetto al proprietario di A. Secondo la tesi ISTAT, invece, ferma la situazione del proprietario di A, sarebbe perequata quella cli B, che recupererebbe solo il 15 per cento dell'inflazione sofferta, restando esposto per il residuo 25 per cento e giustificandosi la differenza del 5 per cento nell'incisione (25 per cento contro 30 per cento) con l'esposizione del primo all'evento negativo (ed oggettivo) di aver subito l'inflazione per un anno in pi�. Nella seconda ipotesi, e per la seconda coppia di appartamenti A-B, per contro, secondo la tesi del TAR il proprietario dell'appartamento A recupererebbe RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 744 zione, essendo chiaro che, in relazione all'aumento od alla diminuzione dell'inflazione, diverso sarebbe il trattamento che verrebbero ad avere le locazioni che decorrono daill'inizio dell'anno (le quali verrebbero commisurate agli indici del costo deHa vita dell'anno solare precedente) e quelle che decorrono dalla fine dello stesso anno (che, essendo commisurate allo stesso indice, di nessun aumento o diminuzione potrebbero beneficiare in relazione alle variazioni intervenute nel corso dell'anno). L'uniformit� di fronte alla variet� delle situazioni, concreterebbe una disparit� di trattamento, incompatibiile con i:1 fine perequativo perseguito dalla legge. Si noti che non � esatto quanto il TAR ha ritenuto ne1l'appellata sentenza, l� dove afferma che � ove si dovesse applicare un indice diverso per ogni mese de11'anno, si verificherebbe una inammissibile disparit� di trat� tamento tra i diversi locatori nonch� tra i diversi conduttori, poich� le variazioni dei prezzi non avvengono in misura uniforme, ma risentono fortemente dell'andamento stagionale �. Esattamente, invero, �rileva la Avvocatura, che le impennate stagionali neHa curva dell'inflazione hanno rilievo quando si utilizza la variazione dell'indice del costo delia vita di il 45 per cento del 60 per cento di inflazione subita nel 5� anno (il 1984) perch� potrebbe aumentare del relativo 75 per cento il fitto del 6� anno, mentre il proprietario dell'appartamento B subirebbe per intero l'inflazione, in quanto l'aumento dei prezzi 1984 non potrebbe essere invocato che alla scadenza 31 dicembre 1985 (millesimo successivo): cio� alla data di scadenza del contratto e quindi inutil� mente. Secondo la tesi dell'ISTAT, invece i due proprietari subirebbero in egual misura il danno da inflazione, pacifico essendo che poca differenza potr� esserci fra la variazione di prezzi 31 dicembre 1983-31 dicembre ,1984 e quella .1� gennaio 1984-1� gennaio 1985. I due esempi fatti sono veramente casi limite, ma dimostrano come la tesi accolta dal TAR introduca nel riparto dei costi inflazionistici fra locatori e conduttori un elemento di alea tanto maggiore quanto pi� avanzata � nell'anno la data di stipulazione del contratto e che gioca a favore del proprietario in caso di decremento del tasso di inflazione (mediante protrazione nel tempo degli effetti perversi di aumenti precedenti); a favore del locatario in caso di aumento del tasso (ritardando nel tempo l'adeguamento parziale del canone). Non sembra necessario spendere troppe parole per dimostrare come tale conseguenza non solo confligga per incompatibilit� con uno schema sinallagmatico classico, rispetto al q.ale l'equilibrio delle prestazioni e controprestazioni � addirittura rigorosamente regolato dal legislatore entro precisi parametri; non solo contraddica, quindi, la finalit� perequativa perseguita; non soio frust11i la ratio anticongiunturale di �raffreddamento� dell'inflazione (introducendo, anzi, come si � visto, addirittura un meccanismo di �frenaggio� delle riduzioni di tasso); ma comporti addirittura la conseguenza dell'introduzione nel mercato immobiliare -gi� abba� stanza perturbato -di un'ulteriore elemento di distorsione che porterebbe a fluttuazioni dell'offerta e della domanda nell'arco dei dodici mesi in ragione delle previsioni di �riscaldamento� o di �raffreddamento� della congiuntura, con tutte le conseguenze che non � difficile immaginare. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 745 un mese, rispetto al mese precedente. Ma le vardazioni stagionali non hanno a:lcun rilievo, quando l'indice del costo della vita venga stabilito con riferimento all'arco di dodici mesi, nel quafo sono compresi tutti i mesi deill'anno, con conseguente compensazione delle variazionii in pi� o in meno, del costo della vita, verificatesi nei vari mesi dell'anno. Per� quanto rguarda la finalit� antinflazionistica, � da tenere conto del fatto che il legislatore ha dovuto contemperare opposti interessi: da un canto, occorreva che il periodo di riferimento nel cakolo deJ:l'indice del costo della vita, per le dianzi accennate finalit� per�quative, fosse il pi� vicino possibile ail momento d'inizio della decorrenza dell'aumento, ma, d'altro canto, occorreva evitare che il processo di raffreddamento dell'inflazione venisse ostacolato con iJ calcolo dell'indice deil costo della vita, riflettente una pregressa pi� intensa inflazione, con effetti contrastanti con la politica antinflazionistica. � chiaro che il legislatore il quale, con la sua politica, tende a combattere l'inflazione, non poteva partire dal presupposto di un aumento del processo inflazionistico; pertanto, con il commisura:re gli indici del costo della vita ai periodi pi� recenti, anzich� a quelli dell'anno solare precedente, ha perseguito una finalit� di contenimento dell'inflazione, ulteriormente rafforzandola con la limitazione del calcolo al 75% dell'aumento accertato del costo della vita. La tesi del TAR non tiene conto di quanto ora esposto e delle finalit� che il legisfatore intende ,raggiungere. Alla stregua delle argomentazioni svolte, l'appe1lo dell'Amministra� zione � fondato e va riformata l'impugnata sentenza con il rigetto del ricorso proposto da Appino Mario. Va dichiarato altres� inammissibile l'intervento ad adiuvandum deH'Uppi. (omissis) Da ultimo, sar� appena il caso di aggiungere che nessun pregio pu� essere riconosciuto all'argomentazione del TAR sulle variazioni � stagionali� dei prezzi, che andrebbero -per rispetto di un criterio di uniformit� ed eguaglianza � sterilizzate�, utilizzando soltanto la variazione verificatasi nell'arco dell'intero millesimo. L'argomento �, evidentemente, frutto di un grave equivoco: le � impen nate � stagionali della curva dell'inflazione rilevano, infatti, come � noto, quando si utilizza l'indice di variazione di un mese rispetto al precedente. Cos�, ad es., per (malinconica) tradizione sappiamo che l'aumento del costo della vita in settembre rispetto ad agosto ed in ottobre rispetto a settembre suole misurarsi in una percentuale molto maggiore di quella indicabile con 1/12 dell'intero anno. Ma nessuno -e l'ISTAT meno che meno -ha mai preteso di applicare i tassi di variazione mensile ai canoni di locazione e pacifico appare che le � ste rilizzazioni� della loro irregolarit� mediante inglobamento nell'arco dei dodici mesi si realizza in maniera perfettamente equivalente quale che sia il dies a quo prescelto per computare i 365 giorni, apparendo assolutamente evidente che in un tale arco di tempo ogni variazione stagionale -nel bene e male -eserci ter� la sua influenza una sola volta, confluendo a formare la media di una varia zione di pi� lungo periodo. I. F. CARAMAZZA ilARTE �, S�Z. V, GI�R�SPRUDENZA AMMINISfRATIVA 747 Il diritto di credito che sia scaturito da un provvedimento amministrativo poi riconosciuto illegittimo si esaurisce in un'aspettativa di tutela che l'ordinamento riconosce alla pretesa del creditore,_ per cui, come la riconosciuta illegittimit� del provvedimento costitutivo dell'obbligazione elimina ab origine il rapporto obbligatorio da cui quella pretesa trae fondamento, cos� non � ipotizzabile alcuna situazione consolidata, in favore del privato, che valga a rendere coercibile il credito in mancanza di una perdurante validit� del suo titolo giuridico (2). Nella schema legale degli aiuti alla cinematografia, il diritto al contributo sorge al perfezionarsi di una fattispecie complessa, che prevede non solo l'atto iniziale di ammissione alla programmazione (ascrivibile alla categoria pi� generale degli atti concessori) e, quindi, la successiva programmazione effettiva del film entro i limiti di tempo indicati dalla legge stessa, ma anche un atto finale, che risponde alla duplice funzione, di accettare i presupposti legali del credito del privato e di liquidare la relativa spesa a carico dell'Amministrazione, atto, dunque strutturalmente complesso, e prima del quale, non un diritto perfetto, ma una mera aspettativa, � possibile configurare in capo ai soggetti destinatari del beneficio; pertanto, l'eventuale provvedimento del Ministro del turismo e dello spettacolo di annullamento d'ufficio dell'ammissione alla programmazione obbligatoria di un film (nella specie, in seguito a giudicato penale che aveva riconosciuto la oscenit� del film stesso), non incontra il limite di � Ultimo tango a Parigi �, diretto da Bernardo Bertolucci ed ha esposto che con decreto del Ministero del Turismo e dello Spettacolo del 1� aprile 1974, n. 2653/CO 981 tale film � stato ammesso alla programmazione obbligatoria ed ai conseguenti benefici di cui alla L. 4 novembre 1965, n. 1213, modificata con L. 21 giugno 1975, n. 287 ed � stato, di fatto, programmato in Italia negli anni dal 1972 al 1976, con un incasso di L. 6.957.332:440; ma il Ministero non ha ancora provveduto alla erogazione del contributo di cui al primo comma dell'art. 7 della menzionata legge. Ha precisato ancora la Pea che si verte in tema di violazione di un diritto soggettivo perfetto, sorto dall'ammissione della programmazione, man mano ma~ turato nel quantum dal corso della programmazione, e, ovviamente, non vulnerato dalla interruzione della medesima per effetto della sentenza penale di condanna dell'attore e del produttore ex art. 528 cod. proc. civ., passata in giudicato nell'aprile 1976 (tale sentenza non incidendo, secondo l'assunto della Societ�, sulla fattispecie genetica del diritto de quo, n� sulla pregressa programmazione, ma soltanto impedendo l'ulteriore incremento quantitativo del diritto). Il Ministero del Turismo, nel costituirsi in giudizio, ha osservato che la P.E.A. non � titolare di un diritto soggettivo, di cui pu� assumere la lesione. Non esiste, nella specie, un provvedimento di concessione del contributo, efficace, perch� il decreto, sottoposto al visto della Corte dei Conti, non � stato registrato. E, di conseguenza, non produce effetti. E senza un provvedimento efficace, la pretesa conserva la natura di interesse legittimo, non di diritto soggettivo. Di qui, sorge il difetto di giurisdizione dell'A.G.O. 748 MSSEGNA l:JELL1AWOCATURA DELLO STATO situazioni soggettive consolidate prima che il detto atto finale sia stato emanato (3). La disposizione dell'art. 18 t.u. 12 luglio 1934 n. 1214, a termini della quale devono essere presentati al visto della Corte dei conti tutti gli atte con i quali si autorizzano spese quando l'autorizzazione sia contemporanea all'emissione dell'ordine di pagamento, va letta in correlazione con la norma generale di �contabilit� (art. 50 terzo comma R.D. 28 novembre 1923 n. 2440 e successive modificazioni) secondo cui, quando l'impegno della spesa viene accertato all'atto stesso in cui occorra disporre il pagamento, il titolo di pagamento pu� valere altres� come atto di autorizzazione della spesa; ci� significa che non solo l'ordine di pagamento, il quale a sua volta presuppone esaurita la fase della liquidazione, ma anche il titolo giuridico della spesa, cio� l'impegno o l'atto di autorizzazione della spesa medesima, devono essere assoggettati al controllo della Corte dei conti (4). (omissis) Fermo restando -secondo le considerazioni, sul punto ineccepibili, gi� svolte dal TAR -che la qualificazione del provvedimento impugnato deve rispondere a oriteru oggettivi, e cio� va fatua identificando il potere, tipizzato dall'ordinamento, nel cui ambito l'atto medesimo pu� essere ricondotto per i propri intrinseci connotati strutturali e funzionali, � di tutta ev.idenza �he il decreto 4 aprile 1979 del Ministero per iJ turismo e lo spettacolo non altrimenti pu� essere qualificato se non come Si sarebbe potuto parlare, se mai, di un diritto soggettivo (diritto al pagamento) se il contributo fosse stato gi� concesso (cfr. Cass. 28 ottobre 1966, n. 2693; Cass. 13 maggio 11963 n. 1179). Ma, prima della concessione, esiste nel richiedente, solo un interesse legittimo. La dizione della legge (� concesso... un contributo) � chiara; ed � evidente la ratio, che tende a favorir� non il produttore come tale, il suo interesse, ma la produzione di lungometraggi nazionali, l'interesse pubblico inerente a tale produzione. N� pu� ritenersi che la pretesa si trasformi in diritto perch� vi � stata l'ammissione alla programmazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5 della legge n. 1213 del 1965: la sentenza penale ha travolto tale ammissione, riconoscendo, nel film, l'esistenza di fatti costituenti reato e la proiezione di un tale tipo di film esclude di per s� qualsiasi pretesa (da tale aspetto vi � la improponibilit� assoluta della domanda). Nel merito la pretesa � infondata . Come � noto, la Corte di Cassazione, con sentenza 29 gennaio 1976, rigettando il ricorso proposto dagli imputati dei reati di cui agli artt. 110, 112, n. 1, 528 e 529 cod. pen. e 14 legge 21 aprile 1962 n. 161, ha reso definitiva la sentenza di condanna 26 settembre 1974 della Corte di Appello di Bologna, con la quale, dato il carattere osceno, il film � stato sequestrato e confiscato nelle relative copie. Ed � ovvio che, non solo per il periodo successivo, ma anche per il periodo precedente, la sentenza di condanna e confisca, accertando l'esistenza del reato, ha reso giuridicamente illecita, e quindi impossibile, qualsiasi pronuncia che PARTE t, SEZ. V, GXURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 749 atto tipico di annullamento, e ci� non solo, e non tanto, per la determinazione di volont� in tal senso espressa nel dispositivo, quanto anche, e .soprattutto, per il valore non meramente dichiarativo, ma costitutivo deglii effetti, che a questa determinazione l'ordinamento colilega. Ne11a specie infatti, il provvedimento impugnato arlempie alla funzione di eliminare dal mondo giuridico atti precedenti dell'Amministrazione che non hanno soltanto carattere ricognitivo di presupposti legalmente predeterminati, ma presentano un tipico contenuto di accertamento tecnico �discrezionale e sono, quindi, a loro volta produttivi di effetti giuridici, non altrimenti eliminabili che attmverso !la caducazione, appunto, degli atti-fonte. L'annullamento, peraltro, al di l� di alcune non esatte considerazioni teoriche esposte nella parte motiva del decreto ministeriale di cui si controverte, � giustificato dall'accertata invalidit� originaria degli atti annullati, di cui il competente Ministero ha verificato l'erroneit� del presupposto (cio� il giudizio su requisiti di ammissibilit� alla programmazione obbligatoria, espresso dal comitato di esperti), sia pure aLla [uce di ciocostanze sopravvenute. La tesi degli appellanti, secondo cui, una volta ammessa l'opera filmica alla programmazione obbligatoria suhla base di una valutazione favore..,. ple espressa in .sede amministrativa, non ci sarebbe spazio per contrastanti valutazioni di altri organi, ancOPCh� rese nell'eseocizio dcl magistero abbia valutato il film ai fini della programmazione e sia comunque diretta a far sorgere una pretesa a contributi, che non possono trovare la loro fonte in una azione v'ietata dalla legge penale, in un profitto di delittuosa provenienza. Dal reato compiuto ed accertato non pu� sorgere una pretesa, n� un interesse legittimo, n� un diritto. 2. -In pendenza nel giudizio dinanzi al giudice ordinario, il Ministero ha annullato il decreto di ammissione alla programmazione per contrasto col giudicato penale. Ha avuto cos� inizio la impugnativa che il TAR ha respinto, e poi l'appello dinanzi al Consiglio di Stato. 3. -L'atto di appello parte dalla considerazione che, secondo il TAR, (a) il concetto dello spettacolo osceno (art. 528 cod. pen.) -quello che offende il pu.dore -sarebbe � insito � in quello di spettacolo ordinato al volgare sfruttamento dei temi sessuali cui si riferisce l'art. 5 della legge n. 1213 e (b) in un film che sia proiettato al pubblico i fini di specu1azione commerciale risiedono nel fatto stesso che lo spettacolo � dato per conseguire un utile economico; ed osserva che, secondo il TAR, vi � coincidenza dell'area dei �film che sfruttino volgarmente temi sessuali � con quella dei film che offendano il comune sentimento del pudore (ed inoltre vi � coincidenza della �speculazione commerciale� (di cui alla legge n. 1213) con �il fine di lucro� propvio di ogni impresa), con la conseguenza che, accertato in modo definitivo dal giudice penale che un film offende il comune sentimento del pudore, esso sarebbe, per ci� solo, da considerare, ai fini degli artt. 5 e 7 della legge n. 1213, come un film � che sfrutta volgarmente temi sessuali �, e, per il principio della � prevalenza delle pronunzie dell'autorit� gi�diziaria su quelle dell'autorit� amministrativa, il TAR si esprime 10 750 RASSEGNA DELL1AWOCATURA DELLO STATO penale,. capaci di incidere sul precedente giudizio e di negarne retroattivamente la validit�, non appare accettabile, in quanto muove da unra vis.ione parziale e fuorviante dei due sistemi normativi, rispettivamente penale e amministrativo, dalla cui integ.razione soltanto pu� scaturire una disciplina organica e razionaJe nella fattispecie concreta sottoposta al.l'esame del giudice. Invero appare evidente che per 11 principio dell'unitariet� dell'ordinamento giuridico, non sia posisibile che uno stesso f�atto sia da un canto considerato antisociale e quindi punibile penalmente e da11'ailtro sia ritenuto apprezzabile e degno di incoraggiamento. �. vero che le disposizioni della L. 4 novembre 1965 n. 1213 -e, a monte, quella della L. 21 aprile 1962 n. 161 che discipHnano la censura preventiva esercitabile sulle rappresentazioni cinematografiche -non presentano punti di interferenza o contatto con i meccanismi di repressione penale, ma ci� non significa che non debba ricercarsi in altra sede dell'ordinamento, cio� in altre norme o clausole generali ritraibi1i dall'intrinseca razionalit� del sistema, quell'indispensabi~e momento di contatto, o di interferenza, tra procedimento amministrativo e girudicato penale, senza del quale altri e pi� fondamentali principi resterebbero offesi con conseguente rottura della continuit� e dell'armonia dell'ordmamento medesimo. . Punto di partenza dell'operazione ermeneutica, nehla f�attispecie .in esame, deve essere quindi la considerazione, che � un assioma logico prima nel senso che in base al giudicato sulle oscenit� del film i benefici degli artt. 5 e 7 non devono .essere accordati e, se accordati, devono essere revocati. Dopo questa esposizione che rispecchia la motivazione della sentenza, la difesa avversaria inizia la sua critica: si tratta di due sfere giuridiche, l'area delle quali non combacia. Quella di � offesa al comune sentimento del pudore � � notevolmente pi� estesa del concetto di spettacolo che � sfrutta volgarmente temi sessuali � e non vi � corrispondenza con le formule impiegate ai fini della programmazione e della sovvenzione. Quest'ultima si riferisce ai casi di � volgarit� � e di � sfruttamento� delle volgarit� ed implica un operato spregevole che non si accompagna a tutti i casi di offesa al comune sentimento del pudore. L'offesa a tale sentimento pu� anche non essere volgare; e in base al codice deve essere punita anche se non � volgare, se non sfrutta temi sessuali. Le valutazioni di cui aJl'art. 5 e all'art. 528 cod. pen. vengono effettuate alla stregua di parametri nettamente diversi. La diversit� del parametro spiega la diversit� dell'organo, del tipo di giudizio, della sfera di azione. Tutto questo significa che, una volta intervenuto un giudizio sulla oscenit� del lavoro occorre sempre un ulteriore e diverso giudizio per sapere se il lavoro comporti anche un volgare sfruttamento di temi sessuali. � volgare un giudizio non etico, ma estetico. Di conseguenza le due sfere non potranno venire in conflitto se non al punto e nel momento in cui vengono a combaciare. Se cos� il film � tolto dalla circo� lazione perch� fulminato da una sentenza penale, l'effetto della perdita� dei benefici comincer� a prodursi appunto in conseguenza della sua uscita dal circuito della distribuzione (effetto indiretto del giudicato) e non in virt� del giudicato. PARfE �, SEZ. V, Gll.i~tSPR'�DENZA AMMINISTRAT�\IA 751 ancora che giuridico, deHa inderogabilit� del comando penale, ma soltanto nel senso che un fatto, qualificabile come reato dall'ordinamento, non pu� mai essere produttivo di conseguenze favorevoli per il reo e neppure per terzi estranei all'illecito, ma anche nel senso che iJ. tempo occorrente al:l'accertamento del fatto-reato (accerta�nento che postula la ricostruzione storica del fatto e la .sua successiva quailiificazione normativa, nel quale momento di sintesi � il nucleo di incontestabile � ver. it� � della 1sentenza del giudice penale) non pu� essere neutro rispetto alla proibizione della norma inariminatrice; non pu�, cio�, far presumere lecito ci� che, rivelandosi a posteriori in contrasto con da norma, si pone .a:l di fuori del ~.iritto nel momento stesso in cui si Tealizza nel mondo delle relazioni umane. La sentenza del giudice penale, quindi, non � retroagisce � (o,� almeno, non pu� postularsene l'efficacia retroattiva nello stesso senso in cui tale espressione serve a qualificare una norma o un qualunque atto costitutivo di una nuova realt� giuridica) ma �accerta�, il che � quanto dire che essa riconosce un fatto, storicamente dato, e lo riporta alla .sua esatta connotazione giuridica; e poich� quel fatto � un dato della realt� che per il diritto non avrebbe dovuto essere ma � �stato, la sentenza del giudice penale non lo elimina come fatto, ma lo disconosce come � fatto normativo �, cio� nega che esso abbia potuto, sin dia1l'origine, produrre altri effetti se nbn quelli sfavorevoli, previsti da1l�la norma incriminatrice. Si � cos� riportata la critica alla sentenza. Se ne pu� condividere, da un punto di vista astratto (e cio� a prescindere dal caso di specie, sul quale in seguito ci soffermeremo) la distinzione della nozione di � volgare � da quella di � osceno �, nel senso per� che . � volgare � � un concetto pi� generico, che, traendo origine dal volgo, e cio� dagli strati socialmente e culturalmente �inferiori della popolazione, viene anche usato, come nella specie, con intenzione chiaramente spregiativa, che esclude qualsiasi pregio e valore ,particolare: implica un giudizio spregiativo; e riferito al tema che qui interessa indica una trattazione del tema sessuale in modo spregiativo e, data la sua genericit�, si contrappone a qualsiasi finezza, signorilit�, elevatezza e nobilt� di sentimenti. Osceno invece � un concetto specifico, che concerne l'offesa al pudore e riguarda la verecondia sessuale: l'interesse tutelato penalmen te � U pudore, che si espri111e � in una reazione emotiva, immediata e irriflessa, di disagio, turbamento e repulsione in ordine a comportamenti sessuali che per continuit� pedagogica, stratificazione di costumi ed esigenze morali, tendono a svolgersi nell'intimit� e nel riserbo� (Cass., Sez. III, 7 giugno 1976, Foro lt. 1976, Il, 711); e, pi� precisamente, l'osceno � � quello che offende fortemente il pudore in modo da suscitare schifo e ribrezzo)) (sul film che qui interessa v. C. Appello Bologna, 4 giugno 11973, Rass. Cinem. 1973, 133 e Cass. 29 gennaio 1976, ivi, 1977, 44). Gi� da questa astratta definizione, in contrasto con la difesa avversaria, appare evidente come uno spettacolo osceno, il quale rappresenti una esaltazione del fatto sessuale, e cio� susciti �disgusto� e repulsione, non pu� non 752 RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO Gli appellanti non negano certo l'esattezza del suesposto principio, ma affermano, per sottrarsi alle rigorose conseguenze della sua appli cazione, che il giudizio penale sul carattere osceno del film non coincide con queLlo che deve essere reso in sede amministrativa per 1l'ammissione dell'opera aHa programmazione obbligatoria e ai contributi di incenti vazione previsti dalle leggi special.i in materia. Questa affermazione, tuttavia -che, ,se fosse esatta, condurrebbe all'assurdo di concepire un'opera cinematografica al tempo stesso non rappresentabile per la legge penale e tuttavia da incentivarsi con denaro pubblico ai fini della legge amministrativa -non � condivisibile neppure nei presupposti dommatici, da cui muove, perch� il giudizio di disvalore sociale che � insito ne1l'ipotes.i di reato ex art. 528 Cod. pen. ha un significato globale, coinvolge cio� sia il contenuto latu sensu etico nel film che i suoi profili estetico-artistici, onde riassumere, in s�, assor bendola, ogni altra valutazione espressa in altre sedi ed ad altri fini. Non va:le, per negare l'intuitiva evidenza di questa considerazione, obiettare -come di fatto gli appellanti obiettano -che l'ammissione alla programmazione obbligatoria (� obbligatoria�, s'intende, isolo per gli esercenti delle sale cinematografiche) si basa sul semplice accerta mento che il film non � sfrutti volgarmente temi sessuali a fine di spe culazione commerciale�, 1laddove il �comune sentimento del pudore� presidiato dalla norma incriminatrice penale coinvolge un bene, apprez essere definito anche in senso spregiativo: la lesione dell'interesse pubblico (pudore) che lo spettacolo osceno comporta � certamente pi� grave (ed � perci� compreso, supera e travolge) la generica offesa al sentimento di finezza e signorilit� che � proprio della trattazione del tema sessuale eseguita in modo spregiativo. Ma, senza soffermarsi oltre sulle astratte definizioni e sulla distinzione delle fattispecie normative (art. 5 e art. 528 cod. pen.), sulla �distinzione del parametro, che spiega la diversit� dell'organo, del tipo di giudizio� perch� ci� potrebbe condurre a sterili discussioni, nella specie un rilievo � decisivo: il fatto, lo spettacolo osceno, � qualificato delitto sin dal primo momento in cui � stato compiuto; � qualificato delitto sin dalla sua prima proiezione in pubblico. In tali sensi il giudicato penale spiega la forza e la efficacia sua propria. Il delit� to � stato consumato con la prima proiezione, perch� la sentenza penale (e questo ci sembra addirittura ovvio) ha inteso colpire, �fulminare� il film sin dal primo momento della sua circolazione perch�, anche a seguire il ragionamento avversario, sin da quel momento la sfera delle agevolazioni e la sfera del lecito penale sono venute a �combaciare�, perch� sin da quel momento la sfera dell'osceno ha agito, travolgendo (o, se si vuole, coincidendo) e superando la c.d. sfera del volgare. Anzi, � l'intera circolazione del film, sin dall'inizio, che � delittuosa; � l'intera circolazione che � fuori dalle leggi n. '1213/1965 e n. 161/1962; � contro tali leggi, che, da nessun aspetto, e in nessun momento, la possono prendere in considerazione. �La oscenit� del film -ha precisato il TAR -non � un connotato dell'opera che pu� sussistere in un momento e dissolversi in un altro momento�. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 753 zabile sotto il profilo etico-sociale, che potrebbe essere offeso anche da rappresentazioni esteticamente accettabili. Al contrario, va affermato che il tema sessuale costituisce l'oggetto primario della previsione punitiva, e se la rappresentazione del nudo fatt!O 'sessuale � qualificabille come oscena, ci� s1gnirf�ca che non solo la vicenda narrata, ma la stessa narrazione, come mezzo espressivo di quel contenuto, � neutra rispetto ad ogni valore: � nella gratuit� dcllo episodio singolo rispetto all'intera trama naPrativa dell'opera, nella sua superfluit�, si potrebbe dire, riguardo al complesso delle emozioni anche estetiche che l'opera filmica nella globalit� de1le sue componenti tende a suscitare, ohe deve ravvisarsi il connotato tipico deM'osceno penalmente vietato e quindi la vera ragione del giudizio di disvalore sociale che ne � ailla base. Ci� significa che l'osceno in s� non ha contenuto apprezzabile n� forma esteticamente valida; � nuda rappresentazione di un fatto che, in quanto attiene alla parte pi� intima del comune sentimento di riserbo sessuale, usa violenza, con il suo contenuto, alla sfera emotiva delilo spettatore senza riscattare, con fa forma, la frattura dei valori ideali che es�sa ha determinato. D'altronde, la Corte suprema di cassazione, con giuPisprudenza costante, insegna che non pu� esservi pregio artistico delil'opera rf�~mica quando le sequenze oscene si presentino con carattere di gratuit�, quasi La oscenit� � una caratteristica, una qualifica attribuita al film dal giudicato penale, con la conseguenza che la sua intera circolazione andava impedita, vietata ab origine, sin dalla Commissione di censura, prima ancora del parere del Comitato degli esperti. E da una circolazione delittuosa non possono trarsi guadagni n� vantaggi, perch� gli uni e gli altri sono profitti da reato. Non ha senso, perci�, distinguere una fase precedente ed una fase successiva al giudicato penale, n� distinguere gli effetti diretti o riflessi del giudicato stesso. Qui -si ripete -e si conclude su questo aspetto, ha rilevanza la forza del giudicato che spiega gli effetti suoi propri sin dal primo momento in cui il delitto (la circolazione del film in pubblico) � stato consumato. 4. -Nell'atto di appello si esamina il giudicato penale per porre in rilievo che il film non trattava in modo volgare temi sessuali, ma era apprezzabile per la fonna ed i pregi esteriori. Tali affermazioni non rispondono al giudizio suHe oscenit� emesso il 3 giugno 1973 dalla Corte di Appello di Bologna, contro il quale gli imputati non proposero doglianza, come precisato nella sentenza della Cassazione del 29 gennaio 1976. � quindi su quel giudizio che occorre soffermarsi (anche se si omette per motivi ovvi la descrizione delle varie scene). La Corte afferma: � Detta scena dimostra troppo scopertamente la volont� di evidenziare il fatto sessuale, allo scopo di attirare e sollecitare lo spettatore verso l'aspetto sessuale della rappresentazione, invadendo nell'osceno per il disgusto che suscita sull'uomo normale� e poi �La scena indicata come quella del "burro" (che � valsa ad attirare masse di spettatori incuriositi) � obbiettivamente di una volgarit� evidenziata .che supera ogni limite di sopportazione... Oltre alla oscenit� in s� stessa, il com RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 754 �escrescenze degenerative� di un tessuto alla cui completezza stilistica esse non appaiono necessade; e dunque se l'affermazione di responsa bilit� penale comporta anche un giudizio negativo 1sui profitti estetici dell'opera, non pu� esservi dubbio che �La rappresentazione del fatto sessuale resta priva di ogni giustificazione: 1a gratuit� del mezzo espres sivo rivela qui necessariamente la volgarit� del fatto narrato. Si pu� allora comprendere quale sia 11 nesso che intercorre tra la norma amministrativa e quella penale: la rprima, infatti, opera nello spazio lasciato scoperto dalla soconda, cio� impone una valutazione di pregevolezza (o non spregevolezza) stilistica dell'operia ohe muove sol tanto dal punto in cui si sia arrestato il giudizio (di non oscenit�) del magistrato penale. Ail contrario, la riconosciuta oscenit� del film invade la sfera della valutazione amministrativa e, si potrebbe dire, la rende superflua, poich� la riappresentazione del nudo episodio sessuale che sia fine a se stesso, avulso, come si � detto, dal contesto narrativo della opera e quindi non essenziale al messaggio che attraverso questa si vuol trasmettere allo spettatore, comporta necessariamente ,anche un giudizio di valore estetico. Ci� rende inutile, peraltro, la ricerca del l'ulteriore elemento (il fine di speculazione commerciale) richiesto dal l'art. 5 della legge n. 1213 del 1965, posto che :l'util.izzaziorne della tema tica sessuale, quando non risponda alla essenzialit� del mezzo espres sivo del mondo ideale evocato dal film, � da intendersi obiettivamente piacimento a fine sessuale � dimostrato dalla lunghezza delle sequenze, ... in modo che lo spettatore possa apprezzare in tutta la sua volgarit� la sodomizzazione della donna: queste e le altre particolarit� dell'azione, evidenziano il fine di eccitare i pi� bassi istinti sessuali; a tutto discredito del pi� elementare buongusto, mettendo completamente nell'ombra quegli eventuali interessi di ordine estetico, che l'Autore ha asserito di aver voluto perseguire�. Si tratta, come � evidente, di un giudizio che ritiene il film, in modo grave, lesivo del � pudore: e in tale giudizio di merito non si riesce pi� a comprendere la distinzione, che ex adverso si prospetta, tra l'osceno ed il volgare, tra l'etica e la estetica, che � posta a premessa dell'appello. L'intera motivazione della sentenza, sulla valutazione delle varie sequenze del film, dimostra quanto sia vano, nella specie, porre una distinzione tra due concetti, l'osceno ed il volgare; anzi spiega come la oscenit� si sia realizzata attraverso scene di una volgarit� disgustevole, suscitando � un senso di profondo ribrezzo >>, che � lungi dal produrre alcuna emozione estetica � rende il film � un cospicuo saggio di pornografia �. 5. -Venuta meno la premessa, appare evidente la infondatezza della tesi avversaria. La controparte, pur riconoscendo, alla p.a., un potere generale di annullamento dei propri atti, nega che nella specie sussistevano vizi originari o sopravvenuti che potessero permettere un annullamento ex tunc. La doglianza passa poi ad esaminare la sentenza che ha ritenuto illegittimo il parere del Comitato che ha omesso di rilevare il carattere osceno del film, assumendo che il decreto di annullamento non si � basato su tale pretesa omissione e inoltre il Comitato non doveva pronunciarsi sulla pretesa oscenit�. ! ! PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 755 idonea a suscitare curiosit� morbosa e quindi ad accrescere la produttivit� commerciale (non H pregio stilistico) dell'opera filmica: questa � la funzione cui obiettivamente risponde [a rappresentazione dell'osceno, e sarebbe vano ricercare un ulteriore elemento subiettico (quasi un dolo 'Specifico}, che in quanto tale resta relegato nell'imponderabile sfera della psiche umana. Sulla base delle precedenti osservazioni � possibile affermare che il giudizio espresso dal comitato di esperti non era ,radicalmente nullo ab origine, ma soltanto incompleto; la sua incompletezza � 1stata rilevata da:l successivo giudicato penale, in quanto l'accertamento, con sentenza irrevocabile, del carattere osceno del film ha comportato anche un giudizio negativo sui suoi profili stilistici, ponendo in luce l'erroneit� delle valutazioni in proposito espresse dall'organo ammin~strrativo. Essendo venuto meno un presupposto essenziale del provvedimento di amniissione del film a~la programmazione obbligatoria, quest'ultima andav1a caducata, e legittimamente pertanto il Ministro per il turismo e lo spettacolo ha emesso l'impugnato decreto di annulilamento. A questo punto bisogna farsi carico dell'ulteriore profilo difensivo, desumibile dal secondo motivo degli originari ricorsi e riprodotto nel motivo sub n. 2, lett. c), degli appelli in esame sec()[ldo cui il potere di annullamento, quand'anche potesse configura11si sussistente nella 'specie, non avrebb~ potuto esercitarsi nei confronti di provvedimenti dai quali La critica � in contrasto con gli atti e con i princ�pi. Il decreto di annullamento ha richiamato� il parere del Consiglio di Stato, nel quale � detto che �il Comitato non � esentato da ogni giudizio sulla oscenit� del film che costituisce reato "� E si aggiunge che � tale esame era preliminare ed assorbente d'ogni altro apprezzamento, essendo evidente che un film che sia osceno secondo la norma penale, non potrebbe essere mai considerato quale film che non sfrutti il tema sessuale ai fini della speculazione commerciale �. �E se il reato di oscenit� viene definitivamente e comunque accertato dopo la deliberazione degli esperti, tale accertamento non pu� non incidere negativamente sulla deliberazione originaria, perch� fin da quel momento, ne ha reso giuridicamente illecito e impossibile il contenuto �, A tali considerazioni, racchiuse nel parere del Consiglio di Stato, occorre aggiungere che il Comitato ha espresso un giudizio, sia pure favorevole, su un film che violava un precetto penale, gi� in precedenza accertato dal giudice penale, essendo stato quel giudizio espresso in data 119 dicembre 1973 mentre l'accertamento giudiziale della oscenit� era precedente, e cio� del 3 giugno 1973 (tale � la data della sentenza della Corte di Appello di Bologna), e ci� a prescindere dal rilievo sulla identit� dei concetti, osceno e volgare, espressamente enunciati, come si � visto, in tale sentenza. Ora non pare sostenibile, n� fondata, la tesi che � rivolta ad affermare la legittimit� del parere. del Comitato, quando tale organo ha ritenuto sussistente nel film �sufficienti requisiti di idoneit� tecnica e qualit� spettacolari�, ma non si � reso conto che il film era osceno o (il che � lo stesso) sfruttava volgarmente temi sessuali: non si � reso conto che lo spettacolo implicava una violazione di un precetto penale, gi� in precedenza 756 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO erano gi� scaturiti diritti soggettivi perfetti in capo ai destinatari: il concreto esercizio di quel potere, comunque, avrebbe dovuto dare adeguato conto dell'interesse pubblico attuale che imponeva il sacrificio di situazioni soggettive consolidate, mentre di una siffatta puntuale motivazione non si rinviene traccia nell'impugnato decreto ministeriale. Anche queste argomentazioni difensive vanno disattese in quanto muovono da due presupposti teorici che non possono condividerisi. Il primo concerne l'affermazione di principio secondo cui ;l'annullamento in sede di autotutela di atti amministrativi illegittimi filcontrerebbe in ogni caso il limite del diritto soggettivo gi� sorto sulla base degli atti annuLlati: affermazione non esatta nel rigore della sua formulazione, perch� se per H diritito comunque vige l'opposto pdncipio della retroattiviit� dell'effetto d'anm�lamento di una precedente atrtivit� giuridioa (artt. 1441 segg. cod. civ.), ,ed anche senza limitazioni di tempo quando il vizio si deduca in via di eccezione (art. 1442 quarto comma cod. civ.), nel campo dei rapporti pubblicistki la giurisprudenza ha introdotto un contemperamento al vigore di quel principio ,soltanto a tutela di situazioni reali, tali cio� da comportare una composizione, dei vari interessi in giuoco, che non sarebbe possibi1e modificare senza sottrarre al privato un bene, o una utilit� finale, ad esso gi� attribuito con l'atto di (illegittimo) esercizio del potere. Esattamente il T.A.R. richiama precedenti di questo Consiglio dai quali pu� trarsi un insegnamento opposto a quello che gli appellanti accertata dal giudice penale, che non poteva essere ignorato da nessun organo amministrativo. La illegittimit� � qui originaria, non sopravvenuta; essa inficia l'atto di ammissione, che esattamente � stato annullato. La controparte esclude che gli atti di ammissione (del 1974 e 1975), anche se non portati ad esecuzione, potessero essere annullati, perch� non esisteva una loro illegittimit� che comunque non poteva discendere da una valutazione di oscenit� fatta ex post, e ad altri fini, dal magistrato penale. Anche su tale aspetto dobbiamo energicamente dissentire. Sul momento dell'accertamento penale (sin dalla prima proiezione) non possono sorgere dubbi, come non � lecito dubitare sulla rilevanza che l'accertamento penale ha su tutti gli atti amministrativi emessi in precedenza da altre autorit� che riguardino, ponendolo a loro presupposto, lo stesso fatto, ormai ritenuto in modo irrevocabile reato. E la rilevanza sia diretta sia riflessa � vincolante e cogente, nel senso che travolge gli effetti degli atti amministrativi comunque emessi (siano o no eseguiti), avendo essi origine in un reato non pi� contestabile per giudicato. Come � vietata la successiva proiezione di un film che � reato, cos� � contraria all'ordinamento anche la proiezione precedente al giudicato, avendo anche questa, per effetto della sentenza penale, la stessa valutazione giuridica: �, cio�, delittuosa. Ed � ovvio, perch� discende dalla logica, prima che dal diritto, che Io Stato non pu� obbligarsi a concedere contributi, a dare incentivi per consumare un reato. � � uno dei cardini dello Stato di diritto, chiaramente formulato sia dalla legge 20 marzo 1865 sull'abolizione del contenzioso amministrativo e ribadito dalla vigente Costituzione, quello j I I I i I I - PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 757 invocano in questa sede: l'affermazione, cio�, che fa situazione"limite al potere di annullamento in funzione di autotutela non pu� consistere in un:a meva aspettativa giuridica o in una posizione di semplice attesa, la quale non si sia gi� tradotta in un bene della vita gi� entrato nella sfera di giuridica disponibilit� del privato. In particolare il diritto di credito ohe sia 'scaturito da un provvedimento amministrativo, di poi riconosduto illegittimo, si esauris�ce in una aspettativa di tutela che l'ordinamento riconosce alla � pretesa� (il poter pretendere) del creditore; e come la 1riconosduta illegittimit� del provvedimento costitutivo dell'obbligazione elimina ab origine il rapporto obbJigatorio, da cui quella pretesa trae fondamento, cos� non � possibile ipotizza["e. alcuna .situazione �consolidata�, in favore del privato, che valga a rendere coercibile il credito in mancanza di una perdurante validit� del suo titolo giuridico. Non avrebbe senso, in altre parole, postulare un limite al potere di annullamento connesso con una mera esigenza di conservazione della tutela giuridica apprestata a una situazione di attesa, perch� qui l'utilit� concreta, il bene reale della vita, � ancora in fieri, e ci� che il privato chiede � soltanto la conservazione del vincolo e l'eventuale adempimento non pi� possibHi dove sia venuta meno '1a causa giuridica della obbligazione sorta (dall'atto illegittimo) a carico dell'Amministrazione. Nella fattispecie in esame, poi -e qui si rivela l'artificiosit� del secondo presupposto logico, su cui si basa l'argomentazione dffen:siva della prevalenza delle pronunzie dell'autorit� giudiziaria su quelle dell'Autorit� Amministrativa �. A tale principio si collegano varie norme, tra le quali quella che qui interessa, e cio� il carattere vincolante per la p.a. degli accertamenti emergenti dal giudicato penale: � art. 28 cod. proc. pen. � (parere Cons. Stato, Sez. I, 17 dicembre 1971, n. 3540). Ed allo stesso principio si informa la giurisprudenza, la quale, ai fini penali, ha ritenuto non vincolanti le pronuncie dell'autorit� amministrativa, tra cui rientra il nulla osta d<;!l Comitato degli Esperti (o delle Commissioni di censura) che non ha l'efficacia di escludere la punibilit� di uno spettacolo in effetti osceno, n� sotto il profilo dell'esimente dell'esercizio di un diritto, n� sotto il profilo del difetto dell'elemento psicologico del reato (cfr., proprio per il film in discussione, Cass. Sez. III, 29 gennaio ,1976, Riv. dir. cinem. 1977, 44). Nello stesso appello si insiste nella tesi secondo la quale gli atti di ammissione non andavano registrati dalla Corte dei Conti. � una tesi infondata. Il controllo preventivo della Corte dei conti -� chiaramente sancito nell'art. 18 del r.d. 12 luglio 1934 n. 1214 -si esplica, come controllo (preventivo) di legittimit�, su tutti gli atti che autorizzino spese (atto di impegno) per un importo superiore a lire 10.000 poi elevato a lire 2.400.000 (d.P.R. 30 giugno 1972 n. 422) quando l'autorizzazione non sia contemporanea all'emissione dell'ordine di pagamento. Nella specie si tratta di una autorizzazione non solo non contemporanea, ma anche distinta dal mandato di pagamento, e perci� andava registrata. 758 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO degli appellanti -� da negarsi che il decreto di ammissione dell'opera filmica alla rappresentazione obbligatoria valga di per s� a costituire immediatamente e direttamente il credito (per i soggetti indicati nell'art. 7 della legge n. 1213 del 1965) relativo ai contributi d'incentivazione. Nello schema legale, in verit� questo diritto sorge al perfezionarsi di una fattispecie complessa, che prevede non solo l'atto iniziale di ammissione alla programmazione (ascrivibile alla categoria pi� generale degli atti concessori), e, quindi, la successiva programmazione effettiva del film entro i limiti di tempo dalla legge stessa indicati, ma anche un atto finale, che risponde alla duplice funzione di accertare i presupposti legali del credito del privato e di liquidare la relativa spesa a carico della Amministrazione: atto, dunque, strutturalmente complesso con indubbia efficacia cost>itutiva, 1senza del quale, e prima del quale, non un diritto perfetto, ma una mera aspettativa � possibile configurare in capo ai soggetti destinatari del beneficio. Per questa ragione, tutte Je argomentazioni svolte dagli appellanti a sostegno deLla tesi, peraltro gi� fatta propria dal Tribumcle civile di Roma, secondo cui i decreti del 1� aprile 1974 e del 16 ottobre 1975, di ammissione del film alla programmazione obbligatoria,� erano di per s� perfetti ed efficaci, senza necessit� di riscontro positivo della Corte dei conti, sono in parte infondate e in parte irrilevanti. Sono irrilevanti, pe11ch� -come si � detto -da quei provvedimenti non avrebbe potuto sorgere la definitiva obbligazione a carico della P.A. prima dell'atto fi- Il controllo, infatti, non pu� esplicarsi che su atti amministrativi, in un momento preventivo alla loro esecuzione; � sull'atto, appena perfetto e prima dell'efficacia, che il controllo si esercita, nessuna rilevanza potendo avere la circostanza (eventuale) di un differimento dell'esecuzione della spesa al verificarsi di un evento estrinseco all'atto (nella specie, programmazione ed incasso). N� ha rilevanza, per escludere tale controllo preventivo, il controllo distinto e diverso che � pure prescritto sui mandati di pagamento, successivamente all'emanazione ed alla esecuzione dell'atto autorizzativo delle spese, detto � riscontro>>, previsto dal successivo art. 19, che � un istituto diverso (ma non alternativo) rispetto al controllo preventivo. Essendo la registrazione necessaria, per il rifiuto opposto dalla Corte dei Conti, il decreto, come si � detto, non � divenuto efficace, perch� non si era realizzata la fattispecie legale, nei suoi elementi integranti la efficacia (visto e registrazione), con la conseguenza che l'effetto cui esso era destinato non si � verificato, e quindi, il produttore non ha acquisito alcuna pretesa. � � risaputo, e dovrebbe essere noto anche al giudice adito, che i provvedimenti di concessione, una volta venuti in essere, ed al momento in cui diventano operanti, fanno nascere nei beneficiari dei veri e propri diritti. � fuori dubbio dunque che, dal momento della sua operativit�, il provvedimento che attribuisce un contributo, crea in lui un vero e proprio diritto soggettivo al pagamento della somma, e fa sorgere nell'amministrazione l'obbligazione corre ~ lativa� (nota in Riv. giur., ed. 1958, I, 172). f I ~ l I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 759 ilale del procedimento, tanto pi� che, secondo fondamentali principi di contabilit�, � impensabile che da un impegno generko di spesa, nel quale cio� non siano contenuti tutti gli elementi essenziali del costituendo rapporto obbligatorio, possa scaturire un diritro soggettivo perfetto in ~avore del privato. Tali argomentazioni sono peraltro infondate anche in riferimento al concreto contenuto assunto dai decreti ministerialli in esame (i quali avrebbero dovuto limitarsi ad autorizzare la programmazione, mentre nella specie hanno senz'a>ltro �concesso� il contributo, prim'ancora che si perfezionasse la fattispecie cui la legge condiziona H sorgere del credito relativo), in quanto il controllo della Corte dei conti deve .esercitarni sul primo atto costitutivo del vincolo giuridico a carico de1J'Amministrazione (il c.d. �impegno di spesa�), se in tale fase gli elementi essenziali del rnpporto siano gi� individuati e solo resti da quantificare H concreto ,ammontare del debito SU11la base di presupposti legali obiettivamente identificabili. La disposizione dell'art. 18 del R.D. 2 luglio 1934 n. 1214, a termini della quale devono essere presentati al visto della Corte tutti gli atti con i quali � si autorizzano altre spese... quando l'autorizzazione non sia contemporanea �all'emissione de11'ordine di pagamento... '" va letta in correlazione con fa norma generale di contab11it� (art. 50 terzo comma, del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 e succ. modif.) secondo cui � quando Nell'ultima parte dell'appello si richiama il princ1p10 in base al quale l'annullamento di un atto costitutivo di posizioni favorevoli non pu� essere annullato se non in presenza di ragioni di pubblico interesse da enunciare in motivazione, e a tale regola non pu� essere opposto il fatto che in mancanza. dell'esecuzione degli atti del 1974-75 non si erano prodotte, in favore dei ricorrenti, �situazioni consolidate"� Si aggiunge, � il consolidamento non deriva infatti daWesecuzione, ma dal tempo trascorso dalla nascita costitutiva del diritto,, (e del corrispondente obbligo). E l'arbitrio della mancata esecuzione per il periodo 1974-1979 non vale a farlo venir meno o ad indebolirlo. E poi nella specie ragioni di pubblico interesse sicuramente non ve ne erano per procedere all'annullamento. Tale critica non vale a superare l'ampia motivazione della sentenza, che non merita alcuna censura. Anzitutto non � esatto che la mancata esecuzione � arbitraria quando nella nella specie vi � stato il rifiuto del visto della Corte dei Conti, e vi � stato un parere negativo del Consiglio di Stato. Inoltre l'annullamento � un atto vincolato (al giudicato penale), e in tal caso non sarebbe occorsa alcuna motivazione, anche perch� non ancora efficace. Ma la p.a. ha motivato l'annullamento per impedire la concessione dei contributi, non ancora erogati: da tale aspetto l'atto non era stato ancora eseguito, con la conseguenza che non esistono n� esecuzione, n� situazioni consolidate. I benefici non erano stati conc~ssi, e sussisteva quindi un interesse pubblico rivolto ad evitare erogazioni di danaro a favore di chi � stato condannato. Gli atti emessi non generano obblighi a carico della p.a. e pretese a favore-dei RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 760 l'impegno della spesa viene accertato all'atto stesso in cui occorra disporre il pagamento, il titolo di pagameIJJto pu� valere altres� come atto di autorizzazione delta spesa�. Ci� significa che non solo l'ordine di pagamento, il quale a sua volta presuppone esaurita la fase di liquidazione, ma anche il titolo giuddico della spesa, cio� .appunto '.l'impegno o l'atto di autorizzazione della spesa medesima, devono essere assoggettati a controllo; e 'tale conclusione � avvalorata da quell'ormai costante il1lsegnamento della Corte dei conti che ritiene estens1ibille il proprio sinidacato agli atti preSIU!pposti dal singolo provvedimento liquidatorio ogni volta che �non si versi nella ipotesi di un mero presupposto di fatto� (delib. Sez. centr. Stato n. 814 del 6 ottobre 1972 n. 531 del 3 ottobre 1973, n. 461 del 1� dkembre 1971) ovviero che �una specifica norma di legge non preveda in ordine all'atto presupposto il controllo da parte di altro organo� (delib. n. 926 del 7 dicembre 1978; 111. 1079 del 12 giugno 1980). La lettura dell'art. 18 R.D. 2 luglio 1934 n. 1214, che siffatto insegnamento dello stesso giudice contabile suggerisce come la pi� adeguata al dettato costituzionale (art. 100, �secondo comma, Cost.), impone il ritenere esteso il controllo della Corte a tutti i momenti essenziali del procedimento di spesa: diversamente opinando, il dscontro della Corte sull'atto finale di pagamento si ridurrebbe al livello di una mera verifica di regolarit� formaile della documentazione inerente alla fase liquidatoria del debito; ci� oltre che porsi in contrasto con i principi, anche di rango costituzionale, che presiedono ,all'intero meccanismo di gestione e di controllo della spesa pubblica (secondo la gi� indicata interpretazione della Corte dei conti), tradirebbe anche la vera finalit� dell'art. 18 del R.D. privati, il contributo statale sugli incassi presupponendo un film legittimamente proiettato; altrimenti il produttore (ed i suoi complici) verrebbero �a trarre vantaggi da una attivit� che, se pure autorizzata in un �primo momento, � stata poi riconosciuta penalmente illecita dall'a.g. � (Cons. Stato, parere 10 aprile 1969 n. 1572, Cons. Stato 1970, Il, 1412). Ed il Consiglio di Stato, con tale parere, in un caso analogo, si � cos� pronunciato: �V'� solo da aggiungere che i benefici di legge dovranno essere negati non solo ai filrrt che contengono scene o sequenze ritenute "oscene " o "indecenti " da un giudicato penale, ma a tutti i film appartenenti al genere erotico-sessuale. J benefici suddetti sono stati previsti dal legislatore quale "incentivo" alla produzione di film nazionali di lungometraggio� (v. l'art. 7 legge n. 1213 del ,1965). � Ora i films del genere " sexy " non hanno affatto bisogno di incentivi, incoraggiamenti, agevolazioni o provvidenze; il loro dilagare dimostra in modo evidente che, pur essendo diretti ad una particolare categoria di spettatori (di chi sia in morbose condizioni psico-fisiche) detti film sono in grado di assicurare lauti guadagni a coloro che li producono e ne fanno commercio. Attribuendosi ulteriori benefici economici, a carico dell'Erario, si viene a travisare lo spirito delle norme vigenti in materia e a tradirne le finalit�. Si attua, in altri termini, un vero e proprio sperpero del pubblico denaro; e il Ministero del turismo PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 761 1214/34, che � quelJa di impedire iJl sorgere e il perfezionarsi di obbligazioni pe>euniarie, a carico dello Stato, senza il preventivo controllo della Corte medesima ~si vedano, in proposito, le preciisazioni fornite dal Di� rettore dell'Ufficio di controllo con nota n. 215 del 13 luglio 1981). D'altronde, quand'anche potesse ammettersi che i primi decreti del Ministero non abbisognavano di riscontro contabiJle, non muterebbero sostanzia:lmente i veri termini del problema, perch� le ragioni addotte dalla Corte dei conti per rifiutare il visto a quei dec�reti resterebbero valide per il successivo contirollo sull'atto di liquidazione ed erogazione della spesa, e gli appellanti non potrebbero comunque ottenere il pagamento delle somme richieste. Tutto si riduce a stabilire, quindi, se sia legittimo il rifiuto di registrazione -debba esso riferirsi alfordirrle di pagamento o a1l'atto presupposto di questo, cio� al titolo giuridiico del debito dell'Amministrazione -, e il rifiuto, per quanto innanzi si � detto, � giustificato appunto dall'originaria ilJegittimit� del provvedimento ammissivo del film ailila programmazione obbligatoria. Non pertinente appare, in proposito, l'ulteriore argomento difeillsivo -anch'esso mutuato dalla sentenza del Tribunale civile di Roma, favorevole alla tesi degli appeUainti -secoilJdo cui il rifiuto di adeIIlipimento, motivato con il richiamo al giudicato �penale, determinerebbe situazioni di iniqua disparit� di trattamento nei confronti di coloro -produttori, registi, esercenti di sale cinematografiche -che �avesisero gi� ottenuto le esenzioni erariali o il pagamento dei contributi di incentivazione al momento, in ipotesi successivo, del formarsi del giudicato penale di osceno. e dello spettacolo deve rigorosamente evitarlo con tutti i mezzi che l'ordinamento pone a sua disposizione, ecc. �. Ma vi � di pi�: il contributo costituisce una (parte del) vantaggio economico che discende dalla avvenuta proiezione in pubblico dello spettacolo osceno cos� ritenuto per giudicato penale; costituisce, cio�, il profitto che si collega alla avvenuta consumazione del reato sin dal primo momento, sin dalla prima proiezione, sin dal primo incasso; e, come profitto, ne andava ordinata la confisca ai sensi dell'art. 240 cod. pen. Era il giudice penale, cio�, che in sede di condanna (a prescindere, dall'intervento del giudice civile o del giudice amministrativo) ne poteva ordinare la confisca, come prodotto o come profitto. E se non lo ha fatto, � sempre il giudice (penale) dell'esecuzione che vi pu� provvedere, ai sensi dell'art. 655 cod. proc. pen. Non si vede quindi come, in sede giudiziaria, se ne possa, ora, pretendere il pagamento. Il quale va, comunque, negato, al fine di impedire che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze (art. 219 cod. proc. pen.). Il che � quanto dire che il contributo se fosse stato gi� concesso, doveva essere confiscato; e se fosse corrisposto ora, sono gli organi della polizia giudiziaria che devono intervenire per impedirne il pagamento. UGO GARGIULO 762 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Posto che, come sopra detto, il giudizio penale � rivela � soltanto la incompiutezza del precedente parere dell'&gano tecnico-amministrativo, e perci� fa venir meno un indispensabile presupposto del provvedimento di ammissione del film alla programmazione obbligatoria, il limite all'esercizio del potere di annullamento dell'aitto illegittimo, da parte deHa Amministrazione, discende in questo caso da una situazione di fatto, il cui carattere di causalit� e di accidentalit� non pu� certo interferire con l'esattezza dei princip� giuridici che vengono in rilievo nella fattispecie in esame. In altri termini, nel caso che l'obbligazione pecuniaria fosse <Stata gi� adempiuta con l'emissione del relativo ordine di pagamento, � .appunto dall'esaurirsi dell'intera fattispecie procedimentale che scaturirebbe il consolidamento della situazione soggettiva del privato, a giustificare il sacrificio della quale non sarebbe pi� sufficiente, per l'Amministrazione, invocare l'interesse pubblico al ripris.tino della legalit� vioiata. Tutt'affatto divel1Sa, per� deve essere la conclusione quando, come nel caso di specie, � la stessa legittimit� dell'aidempimento a venire in discussione, perch� nel:l'ipotesi fatta � per l'appunto il privato a dover pretendere l'atto conclusivo di un procedimento amministrativo di cui sia gi� venuto meno, in quel momento, il fondamento giuridico. La diversit� di trattamento, quindi, non � n� irrazionale n� iniqua, perch� non dipende da un atto arbitrario dell'Amministrazione o da lacune e contraddizioni del sistema, sibbene � correlata a diverse situazioni di :l�atto, che sfuggono al controllo del diritto proprio perch� appartengono alla sfera dell'imponderabile casualit� delle vicende umane. Discende da tutto quanto sopra detto che � infondata anche la censura di eccesso di p9tere mossa, sotto molteplici profili, all'impugnato decreto ministeriale 4 aprile 1979, sicch� gli appelli devono essere respinti in toto; conseguentemente, deve essere confermata la sentenza appellata previa integrazione della parte motiva nei sensi sopra precisati. (omissis) : : SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 novembre 1980 n. 6027 -Pres. Granata -Est. Corda -P. M. Minet1:i (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Villani. Tributi in genere -Contenzioso tributario -Appello -Notifica � Omis� sione . Nullit� . Notifica dell'avviso di fissazione di udienza � Compa� rizione dell'appellato � Sanatoria � Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 22). La omessa notifica dell.'atto d'appello, che viola il princzpto del contraddittorio produce la nullit� della decisione. La nullit� non � sanata n� dalla successiva notifica dell'avviso di fissazione di udienza n� dalla comparizione dell'appellato che dichiari di non accettare il contraddittorio (1). (omissis) Col primo motivo di censura, la ricorrente Amministrazione finanziaria denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 22 secondo e quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, in relazione all'art. 156, primo comma, c.rp.c. Dopo avere premesso che la notifica dell'atto di arppelJo incombe non gi� all'appellante, beDJS� alla Segreteria della commi:s.sione di secondo (1) � indubbiamente esatta l'affermazione che la violazione del princ1p10 del contraddittorio, che � radicale nel caso di omessa notifica dell'impugnazione, d� luogo a nullit� del procedimento e della decisione che lo conclude. Ci� si desume non soltanto da princ�pi generali, ma anche dagli artt. 24 e 29. Era anzi in base a queste norme che la situazione processuale poteva essere risolta. Per vero queste norme prevedono soltanto la rimessione alla Commissione di primo grado ove in questa fase il contraddittorio non si sia costituito; ma � chiaro che l'art. 29 capov., che si preoccupa di evidenziare l'eccezionalit� della rimessione dal terzo al primo grado, non esclude di certo che debba essere disposta la . rimessione al secondo grado ove in quella fase del procedimento non si sia costituito il contraddittorio. Questo non � soltanto un vizio del procedimento; � uno di quei vizi radicali che impongono la rinnovazione di una fase del processo (art. 354 cod. proc. civ.) anche quando il giudice della impugnazione abbia competenza di merito. Infatti la Commissione centrale mentre nelle questioni diverse dalla valutazione estimativa, decide in merito con una pronunzia che si sostituisce a quella impugnata e che assorbe eventuali vizi del procedimento, deve rimettere le parti al grado inferiore quando rilevi che il contraddittorio non si � costituito. E si deve anche ritenere che tale rimessione 764 l1\$$EGNA DELL1AVVOCATURA DELLO $TAt0 grado, sostiene che la �relativa omissione � non pu� essere considerata come una nullit� assoluta e insanabile, a ci� ostando il principio generale posto dal primo comma dell'art. 156 c.p.c. �. Si tratterebbe, pur sempre, di un'omessa formalit� �che si riverbera nel processo�; in relazione ad essa, per�, �non � prevista una sanzione di nullit��. La censura � infondata. Secondo una regola generale che non ;necessita, qui, di specifica �dimostrazione, la mancata notifica, alla controparte, dell'atto di impugnazione determina la nullit� del processo che, eventualmente, sia stato instaurato senza il rispetto del principio del contraddittorio. Ed �, chiarramente, a tale regola che si � richiamata la Commissione tributaria centrale, allorch� ha dichiarato la nullit� della decisione de1la Commissione di secondo grado, dopo 'avere rilevato che la pronuncia di merito era stata adottata quantunque fosse gi� risultato (per l'eccezione sollevata dall'appellato, comparso in giudizio solo per quel fine) che la Segreteria della Commissione predetta aveva omesso la notifica, al contribuente, deU'appello proposto dall'Ufficio. Ora, la ricorrente, che certo non ignora tali principi, afferma tuttavia che la nullit� in parola non si sarebbe verificata, poich� all'appellato fu la Commissione (�quando la Commissione rileva ... �) debba pronunziare d'ufficio. Naturalmente, poich� spetta sempre alla segreteria provvedere alle notificazioni, nessuna preclusione pu� verificarsi per nessuna delle parti. Assai approfondita � la disamina della possibilit� di sanatoria dell'omessa notificazione dell'atto introduttivo (il problema si pone allo stesso modo per il primo ed il secondo grado). Si deve convenire che la notifica (rectius: � comunicazione �) dell'avviso di fissazione di udienza non pu� essere equivalente alla notifica del ricorso. Pi� complesso � il problema della comparizione. Se � esatto che la costituzione con salvezza dei diritti quesiti � possibile, � anche vero come pure � stato osservato, che nel processo tributario non esistono diritti quesiti e non esistono le decadenze. Anche l'appello incidentale pu� essere proposto ancora all'udienza perch� se � esatto che il termine di 60 giorni dell'art 22 � perentorio � pure da precisare che questo termine decorre soltanto dalla notifica dell'appello principale. In sostanza ove, come nella specie, l'appellato che non abbia ricevuto la notifica dell'appello si presenti all'udienza e dichiari di non voler accettare il contraddittorio, la Commissione, alla quale spetta l'impulso del processo, dovrebbe fare quanto necessario per rimettere l'appellato nella condizione di esercitare tutti i suoi diritti (appello incidentale, produzione di documenti e di memorie); il procedimento malamente impostato deve comunque essere sanato nelle sue deficienze e deciso nel merito e mai risolversi con una pronunzia di rito. Ove la Commissione non abbia fatto nulla di tutto questo si p0tr� sempre valutare se l'appellato abbia sanato il vizio trovandosi nella condizione di poter esercitare in concreto la sua difesa. Non si poteva allora dare peso all'impossibilit� di proporre un appello incidenta1e sicuramente inammissibile. Resta comunque il grave vizio della non tempestiva conoscenza dell'appello che dava luogo. quanto meno, alle necessit� di un rinvio dell'udienza, argomentando dall'ultimo comma dell'art. 19. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (successivamente) notificato l'avviso di fissazione dell'udienza. Ma un tale assunto � chiaramente infondato. La notifica dell'atto di appello, infatti, � atto formale che non ammette equipollenti: se fosse vero, infatti, quanto affermato dalla ricorrente, nel processo tributario sarebbe sempre inutile la notifica dell'atto predetto (che, invece, � specificamente imposta dalla legge), poich� all'appellato deve, in ogni caso, essere comunicato l'avviso di fissazione dell'udienza. Srurebbe, cio�, inutile la norma che impone la detta notificazione; ma che una siffatta impostazione non possa essere accettata, lo si deduce, in primis, dal fatto che la norma predetta � stata, dal legislatore, dettata in attuazione del principio del contraddittorio, sulla cui rilevanza, anche a Jivello costituzionale, non � neppure il caso di diffondersi. B certo, comunque, che la notificazione dell'atto di appello � intesa a consentire all'appellato l'esercizio pi� pieno del diritto di difesa, sia perch� � il solo atto del processo tributario che legittima la proposizione, entro sessanta giorni, dell'eventuale appehlo incidentale (art. 22 quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636), sia perch� al suo compimento � rico.lllegata la concessione �di un ampio termine (1J1on inferiore a sessanta giorni) per l'approntamento delle difese, sia, infine, perch� agevola la esplicazione del predetto diritto di difesa, portando direttamente a conoscenza della parte appellata l'intero contenuto dei motivi del proposto gravame che, in senso contrario, l'appellato potrebbe conoscere so�o attraverso run pi� difficiile esame compiuto presso la segreteria deiHa commissione. Ed � intuitivo che, qualora la norma potesse essere interpretata nel senso voluto dall'Amministrazione ricoru-ente, ne deriverebbe, quantomeno, una menomazione del diritto di difesa, con evidente violazione dei principi sanciti dall'art. 24 della Costituzione. Privo �di pregio � anche l'a11gomento secondo cui la nullit� non potrebbe verificarsi perch� Ja omissione de1la notifica �, nella fattispecie in esame, da attribuire al giudice e non alla parte. Il principio, infotti, che nelle nullit� degli atti processuali potrebbe incorrere solo la parte, e non anche il giudice, � del tutto estraneo all'Ordinamento. Se mai, meriterebbe di essere chianito ohe daill'annullamento senza rinvio, pronunciato dalla Commissrone Tributaria Centrale nei confronti della decisione di secondo grado, l'appellante (l'Amministrazione Finanziaria) non pu� ritrarre sostanziale pregiudizio, poich� ta!le annullamento non chiude l'intero procedimento, ma riporta quest'uJtimo alla fase iniziale dell'appello, cio� ail momento del deposito del relativo atto dinanzi alla Commissione di secondo grado, cui incomber� sempre di procedere alla notifica dell'atto, per la quale la legge non ha stabilito alcun termine. La Commissione Tributaria Centrale, invero, ha adoperato la formula dell'annullamento senza rinvio, evidentemente perch�, interpretando le norme contenute negli articoli 24 e 29 del RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO decreto citato, ha ritenuto che l'ipotesi della mancata instaurazione del contraddittorio in grado di appello non rientra in alcuna di quelle per le quali � previsto l'annuihl.amento con rinvio. E rpoioh� sull'adozione di tale formula dispositiva non � stato proposto alcun motivo di ricorso, non compete a questa Corte Suprema di verificarne J.a conformit� alla legge: ma ogni eventuale pregiudizio per l'appellante -giova ripeterlo -� ovviabile mediante una semplice sollecitazione, alla Segreteria deiLla Commissione di secondo grado, per l'effettuazione della notifica. Col secondo motivo, Ja ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa arpplicazione degli amticoli 22 e 33 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636. Sostiene che lo stesso scopo cui tende la notifica dell'atto di appello � raggiunto dalla comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza di discussione, poich� la stessa consente alfa parte appellata � non solo di venire a conoscenza dell'appello, ma anche e soprattutto di poter compiere tutte le attivit� processuali che avrebbe potuto compiere se la Segreteria avesse a suo tempo notificato la copia dell'atto di impugnazione�. Aggiunge che, in tal caso, non sarebbe precluso aJla parte neppure di proporre l'eventuale appello incidentaile (eventualit� che, nel ca:so concreto, sarebbe esclusa dal fatto che la parte predetta era totalmente vittoriosa in primo grado), �poich� l'art. 22, quarto comma, del d.P.R. n. 636/72 non dispone che l'appello inddentaile debba venir proposto a pena di iinammissibilit� nei termini e modi nelle stesse nonne indicati, sembra fogico e possibile ritenere che lo stesso possa essere proposto secondo i principi generali anche nel primo atto defensionale, cio� nella memoria da depositare nel termine di cui al terzo comma dell'art. 19 �. Conclude, perci�, asserendo ohe la Commissione TributaTia Centraile avrebbe er.rato nel non ritenere ,che se anche vi fosse stata la � nullit� �, la stessa sarebbe rimasta sanata � in conseguenza del fatto che l'atto aveva raggiunto il suo scopo e nessuna preclusione processuale si era verificata a danno dell'appellato �. Anche questa censura � infondata. Come gi� si � osservato esaminando il primo motivo di ricorso, la mancata notifica dell'atto di impugnazione determina la nuhlit� del proce. dimento. Quest'ultima, tuttavia, pu� essere sanata dalla costituzione del convenuto, sempre che (avendo tale sanatoria efficacia ex nunc) non si sia nel frattempo verificata la decadenza dall'impu~azione, per essere, al momento della costituzione in giudizio, gi� scaduto il termine per la proposizione del gravame (cfr. la sentenza 25 giugno 1979 n. 3527). Situazione, quest'ultima, che peraltro non pu� verificarsi con riferimento al processo. tributario, giacch� il termine per l'impugnazione � solo previsto per la presentazione dell'atto di appello (60 giorni): la notificazione, infatti, deve . essere fatta a cura della Segreteria della Commissione di secondo grado. >:�'.".".�'.�'.�Z.-:�:�:.-;.-;.-;.-;.-;-:.-;�z�z�:1-:.-:.-:�:�:�:�:�:,:�:�:�.�.�.�.�.�.�.�.�.��'.�'.�'.<�'.�'.�'.�'.�'.-'.-'.:�'.�'.�'.<�'.�'.�'.�'.�'.�:�'.�'.-'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.-.-.-.-.-.-.-.�.-�'.'i�Z�:�:�:�:-:.-:�:�:�:�:;.� ��������������������---�.�.-.-.--.�.--.-.-.-.-.-.-.�.�..-.�.�.-..-.-r.-..-.-.-.----.-.-.--.-.---..�.��:�:-:�z�:�:�:-:-:.-:�:�:""�-����.:�:�:�:�'.-'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.-'.�'.-'.�:-:-:�:-; PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA e, in relazione ad essa, non � stabilito alcun termine (art. 22 quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636). Nel caso di specie, pertanto, il solo problema consiste nello stabilire se tale sanatoria si verifichi nell'ipotesi in cui il convenuto si sia costituito non gi� per accettare il CO!lltraddiittorio, bens�, unicamente, per eccepire la nullit� in questione: e ci� perch�, nel caso ooncreto (secondo quanto risulta dalla stessa decisione impugnata) la comparizione dell'appellato davanti ai1la Commissione di sec~ndo grado avvenne per quell'unico fine. Ora, secondo una regola variamente espressa, l'efficacia sanante della costituzione del convenuto si verifica anche nell'ipotesi in cui la costituzione stessa sia avvenuta solo per far rilevare l'irregolarit�. Se, infatti, la sanatoria si verifica come conseguenza del � raggiungimento dello scopo dell'atto� e se uno degli scopi (queMo che interessa) della vacatio in ius � quello di consentire al CO!llvenuto l'esplicazione delle proprie difese, non v'� dubbio che il raggiungimento di tale scopo non possa ritenersi escluso per il solo fatto che il convenuto abbia volontariamente rinunciato alla esplicazione delle difese predette e si sia limitato a eccepire l'irregolarit�. Questa regola, per�, non pu� trovare appHcazione nel caso del processo tributario di cui si discute, proprio perch� fa semplice comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza, che ha determinato la costituzione del convenuto (cui non era stato notifioato l'atto di aippe11o), � atto processuale che ha uno scopo minore rispetto a quello che � t1pico dell'atto di impugnazione nel suo complesso. CO!ll la sola comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza, infatti, non si persegue per intero lo scopo di porre il convenuto nella condizione di esplicare compiutamente ile proprie difese; e se, a seguito della costituzione del convenuto predetto, viene raggiunto solo questo scopo limitato, 1a sanatoria non si sar� verificata, pr0: prio perch� non potr� mai affermarsi che l'atto di impugnazione ha conseguito per intero il suo scopo. Va, invero, chiarito che lo scopo pu� ritenersi l'aggiunto solo se, nella serie del procedimento, si sia avverato 1l'evento (successivo) cui l'atto � preordinatoi e tale raggiungimento, com'� ormai pacifico, non pu� essere ravvisato nel prodursi dell'evento fisico che l'atto (inva!lidamente realizzato) � inteso a provocare come �acquisizione del risultato oggettivo nel quale risiede il fine del precetto �, bens� in quel comportamento della parte che rappresenta l'attuazione dell'obbligo, o l'adempimento deill'onere, o l'esercizio del potere, la cui costituzione era prevista quale effetto dell'atto viziato. Il fatto realizzato -come � stato osservato in dottrina in tanto costituisce �raggiungimento dello scopo�, in quanto � suscettibile di valutazione normativa come comportamento appartenente alla serie preordinato del procedimento. Il fenomeno, cio�, non � dato dal combinarsi dell'atto invalido come un �fatto ulteriore� destinato a comporre col primo una diversa fattispecie, prevista in rapporto di sussidiariet� 768 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rispetto alla fattispecie legale tipica: una simile c01IJ.f�gurazione, infatti, sarebbe forse accettabile sul piano sostanziaile, ma sicuramente non rispon� de alle caratteristiche del procedimento, nel quale Ja pretesa fattispecie �sussidi.aria� � data, puramente e semplicemente, daH'ulteriore compor� tamento dei soggetti, cui spetta a far progredire il processo verso la sua meta finale. Su11a base di queste enunciaziO!Ili, com'� noto, la dottrina ha acuta� mente osservato che la sanatoria per raggiungimento de1lo scopo -proprio perch� opera attraverso i�l comportamento della parte (cui spetterebbe di opporre J'eocezione di nullit�) e come ostacolo alla pronuncia di nullit� -si risolve in una forma di acquiescenza. Essa, perci�, non trova luogo laddove la nullit� sia rilevabile di ufficio, e se tale conclusione potrebbe apparire invalida in relazione al processo penale (nell'ambito del quale si �, da taluno, ritenuto che anche le nullit� assolute siano suscettibili di sanatoria per raggiungimento dello scopo), essa trova, invece, sicura conferma nel disposto dell'art. 164, secondo comma, cod. proc. civ., il quale palesemente si contrappone al disposto dehl'art. 188, secondo comma, cod. proc. pen. Infatti, mentre quest'ultima norma riconosce alla parte, la quale dichiari che la sua comparizione � determilil.ata dal solo intento di far rilevare l'irregolarit�, soltanto il diritto a un termine per la difesa, la costituzione del convenuto, nel processo civile, fascia sopravvivere fa nullit� della citazione, allorquando il convenuto medesimo faccia v:alere un �diritto anteriormente quesito � (ed � questa, com'� chiaro, un'ipotesi in cui la nuillit� deve essere rilevata di ufficio). � stato, invero, a tal proposito rilevato che oggetto dell'eccezione necessaria del convenuto � non tanto fil �rilievo dehla sussistenza di �uno dei vizi della citazione, quanto la deduzione della salvezza dei diritti quesiti. Ora, nel caso di specie, si � in presenza di una situazione sostanzialmen analoga a quest'ultima, poich� se anche l'eccezione deil convenuto non mirava a � far �salvo � un diritto quesito, tendeva tuttavia a far rilevare la preclusione, nell'ambito del processo, dell'esercizio di un diritto. L'art. 22, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 dispone che, dopo la notifica dell'appello (a cura deMa segreteria della commissione), fa parte appellata pu� entro sessanta giorni, proporre l'appe1lo incidentale. Nel comma suocessivo, poi, dispone che, trascorso tale termine, la �segreteria trasmette alla commissione di secondo grado l'atto di appello e l'eventuale appello inddentale. Successivamente (ai sensi del combinato disposto degli articoli 23 e 19) viene fissata l'udienza e, �almeno trenta giorni prima �, viene comunicato alle parti �l'avviso di fissazione. � chiaro, pertanto, che nel caso di specie la mancata notifica dell'atto di appello aveva precluso la possibilit� della proposizione dell'appehlo incidentale (n� rilevava -dovendosi, qui, enunciare una regola generale e astratta che, in concreto, H contribuente volesse o potesse proporlo); :::::::'.:'.:'.:::::::::::::.:::::.:.:::.:..:.:::?:::.:.:::::::.:.:.:::::::::::.:::::.:::::::~:;~::;:-.:.:-:-z.:.:-:-:-:-:-:�:-:-:-:-:-:-:-:�Z..../.�'..O:".�Z~-'..l'.O:�Z.l'.�'.J'.�Z.t'.�'.�:�Z"'."'.�'..0:".�Z�'."'.J'.�Z"'.�'."'.�'....h'.�:"'.�'."'.�Z�'.�'.�Z".�'.�'.�'.�'.�'.�::--'.�:�'.�'.-'.�'.".�Z".�'.�Z�Z�Z�'.�'.�'.�'.�'.".�Z�'.�:�Z�'.�'.�'.�'.�Z�:�:�:".�'.�'.�'.".".-'.".�'.�:�'.� .�.�.��:<-:�'.�'.".�'.�Z-'.�'.�Z�Z�'.<�Z�Z"'.':�z�z�z�z.-:�.�.�.�.-.�.'.'. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 769 ed � ovvio, perci�, che la costituzione del convenuto, resa possibile dalla comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza, proprio perch� permetteva (in astratto) l'esplicazione delle sole difese possibili nclla seconda fase del processo (deposito di memorie e documenti), non realizzava affatto quella fattispecie �che � tipica del � raggiungimento dehlo scopo dell'atto '" del quale si � detto. Tale raggiungimento, infatti, non potendo essere ravvisato nel fatto fisico della presenza del convenuto, dovrebbe, invece, essere ravvisato in un � comportamento � dehla parte che concretizzi il pierib esercizio del potere di difesa. Ci�, invero, rappresenta lo scopo tipico o peculiare deJJa predetta vacatio in ius; ed �, perci�, inevitabile la �Conclusione ohe se un taile �comportamento� � Teso impossibile, in quanto la costituzione del .convenuto avviene in una fase processuale in oui � ormai preclusa l'esplicazione delle �difese� tipiche della fase processualle precedente, lo �scopo dell'atto>>, non potr� mai dirsi realizzato. A ci�, naturalmente, consegue che nessuna sanatoria potr� ritenersi .realizzata. La inevitabiilit� di tale conclusione, peraltro, non � sfuggiita all'abile difesa dell'amministrazione, la qu�le, per�, tenta l'aggiramento dell'ostacolo assumendo che la (eventuale) proposizione dell'appello incidentale sarebbe possibile anche dopo la comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza. Un siffatto assunto �, per�, destituito di ogni fondamento, essenqo dalla fogge (art. 22, quarto comma, citato) previsto, per tale proposizione, un .termine la cui perentoriet� non sembra ammettere discussioni di sorta. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 novembre 1980 n. 6164 -Pres. Marchetti -Est. Cantillo -P. M. Antoci (conf.) -Ministero dehle Finanze (avv. Stato Rossi) c. Perchimunno (avv. Micheli). Tributi erariali diretti � Imposta sui r:edcllti di ricchezza mobile � Redditi di lavoro autonomo � Redditi prodotti anteriormente al 1 � gennaio 1974 e percepiti successivamente � Ritenuta alfa fonte � Diritto al rimborso. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 17, 81 e 115; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, artt. 9, 50, 83). Nel sistema del t.u. delle imposte dirette i redditi di lavoro autonomo soggetti all'imposta di ricchezza mobile erano tassati in base al principio di competenza, anche nei casi in cui erano soggetti a ritenuta alla fonte; di conseguenza rispetto ai redditi prodotti anteriormente all'entrata in vigore del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 (che ha invece introdotto per l'IRPEF i principi della tassazione per Cassa) e percepiti successiva 770 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mente le somme versate a seguito di ritenuta alla fonte vanno rimborsate ove l'esercizio al quale i redditi si riferiscono per ragione di competenza sia stato definito per condono (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso -denunciando la violazione degli artt. 115 e 128 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, 3 1. 28 ottobre 1970 n. 801, 83 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, 25 e 26 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, nonoh� vizi della motivazione -l'Amministrazione critica la decisione della Commissione tributaria centrale nella parte in cui ha ritenuto applicabile alla concreta vicenda:, in base all'art. 83 cit., il regime fiscale precedente alla riforma, nel convincimento che i redditi professionali fossero tassabili, nella normativa abrogata, con riferimento al periodo d'imposta in cui era stata esewuita la prestazione. Sostiene che, per i redditi di tale ~tura soggetti a ritenuta d'acconto, il presupposto del tributo venisse ad esistenza, invece, aJ. tempo della percezione, quando, do�, si operava la trattenuta, ~a quale, in caso contrario, avrebbe co1pito -ad. avviso della ricorrente -un reddito gi� tassato, e che perci�, non operando ne,! caso in esame il secondo comma di detta norma .transitoria; la Commissione avrebbe dovuto ritenere legittima la ritenut� effettuata secondo la nuova normativa e conseguenzialmente negare il diritto al rimborso dell'imposta, stante altres� l'irrilevanza deLla circostanza che il Perchin�.mno si fosse avvalso del condono di cui alla legge n. 823 del 1973, riflettente soltanto i vecchi tributi. La censura � infondata. Giova chiarire che Ja controversia -insorta in conseguenza della ritenuta di L. 4.225.000 effettuata dal Comune di Lesina, in forza dell'art. 25 del d.P.R. n. 600 del 1973, a titolo di acconto IRPEF sulla somma di L. 32.500.000 corrisposta all'avv. Perchinunno nel 1975, a saldo di presta" zioni professionali svolte in anni precedenti al 1973 -atti�ne all'indivi� duazione del tributo applicabile a tale reddito, occorrendo stabilire se esso, prodotto prima della riforma fiscale, ma percepito dopo l'entrata in vigore de1la stessa, sia soggetto alla nuova imposta personale ed alle relative procedure applicative, secondo la tesi qui riproposta dall'Ammi� nistrazione finanziaria, ovvero al soppresso tributo mobiliare, cos� come affermato da1le commissioni tributarie, che hanno perci� dichiarato illegittima la ritenuta e riconosciuto il diritto del contribuente al rimborso (1) L'affermazione che l'obbligo di ritenuta � solo strumentale e indipen� dente dall'obbligazione tributaria � certamente esatta. Oggi una riconferma di tale distinzione si ricava dal confronto degli artt. 37 e 38 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 riferiti l'uno alla inesistenza dell'obbligazione tributaria, l'altro all'inesistenza dell'obbligo di versamento. Meno facile � tuttavia l'affermazione che sotto il vigore del t.u. del 1978 lo stesso principio potesse essere applicato con tutto rigore. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA negando l'esistenza stessa dell'obbligazione tributaria, per avere egli definito, mediante condono, il. carico tributario afferente ai redditi degli anni precedenti al 1974. La ricorrente concorda sulla premessa -dalla quale correttamente muove la decisione impugnata_,...... che il problema di diritto intertemporaJe ora enunciato debba essere risolto alfa stregua della disciplina transitoria dettata dall'art. 83 del d.P.R. n. 597 del 1973 per i rapporti tributari sorti prima dehla sua entrata in vigore. La norma, dopo di avere fissato, nel primo comma, ila regola che i vecchi tributi continuano ad applicarsi in relazione ai presupposti di imposizione verificatisi in pa:-ecedenza (anteri011mente al 1� gennaio 1974), con il secondo comma stabilisce che lo stesso principio vige anche per i redditi percepiti dopo li.I 31 dicembre 1973 I�a1 base �ad un ddritto s0I1to entro questa data, sempre ohe debbano :imputarsi, secondo la disciplina anteriore, al periodo di imposta di insorgenza del diritto medesimo, a nulla rilevando, in tal caso, che per la legge IRPEF dovrebbero imputarsi ail periodo in cui sono stati effettivamente p�rcepiti. In sostanza, la seconda parte de1la disposizione conferma l'u1tratti vit� de1la pregressa normativa per tutti i fatti imponibili venuti ad esisten za .nel vigore della medesima, anche quando iil re9JC1ito relativo venga percepito in tempo �successivo, e conseguenzialmente attribuisce a tale cir costanza autonomo rilievo giuridico nell'ambito della disciplina sopravve nuta, assoggettando il cespite.alla nuova imposta solo se gi� in base alla vecchia legge la tassazione dovesse essere fatta con dguardo al periodo di imposta in cui � avvenuta la percezione, cio�, in ;pratica, a condizione che quest'ultima, e non la mera . produzione de1 reddito, rosti1:1U!isca pre supposto dell'imposizione tanto per �l nuovo quanto per il vecchio 1tributo. Applicando questa regola alla concreta vicen�la, va anzitutto rilevato che. ai fini dell'IRPEF i credditi di lavoro autonomo, qui:i.l � queHo in que stione, vanno 1sempre imputati aJ periodo d'imposta in cui sono p.erce� piti. L'art. 50 del d.P.R. n. 597 del 1973, infatti, in coerenza con il c.d. principio della tassazione per cassa, accolto in via <generale dall'art. 9 (secondo cui nella determinazione dei redditi e delle perdite non si tien conto dei crediti esigibili non ancora riscossi e dei debiti scaduti non pagati), testualmente dispone che �il reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni � costituito dalla differenza tra i compensi percepiti nel periodo d'imposta e Je spese inerenti all'esercizio dclil'arte o professione effettivamente sostenute nel periodo medesimo �. Non � seriamente contestabile, poi, che nel sistema dell'abrogata impo sta �di r.m. vigesse, all'opposto, il cid. principio della competenza, secondo il quale i redditi vengono tassati nel periodo in cui sono prodotti e sorge il diritto di percepirli. Come altre volte ha avvertito questa Corte, ci� risulta chiaramente, fra l'altro, dagli artt. 17 e 81 del t.u. n. 645 del 1958, che individuano il presupposto del tributo ndla �produzione di un red RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dito netto� e ricollegano l'obbligazione tributaria al momento in cui viene ad esistenza il cespite produttore del reddito medesimo, mentre l'effettiva 'Sua percezione � circostanza estranea ailla fattispecie impositiva (cfr. sent. n. 2874 del 1974). Questo criterio si trova espressamente confermato, per� i redditi derivanti dall'esercizio di arti e professioni, nell'art. 115, secondo il quale il reddito � �costituito dall'ammontare dei compensi delle attivit� svolte nell'anno dal soggetto�, detratte le spese relative, sicch� i ricavi e i costi debbono essere imputati all'anno di effettuazione delle prestazioni, indipendentemente dalle effettive entrate e uscite. L'esattezza di questa conclusione -che, secondo la normativa transitoria vale ad attrarre il rapporto in esame nell'orbita del vecchio tributo mobiliare -viene negata dall'amministrazione non gi� in assoluto, ma limitatam~nte ai :redditi professionali soggetti, come quello de quo, a ritenuta alla fonte, :relativi, cio�, a prestazioni a favore di enti pubblici o privati e di imprenditori commerciali, i quali, ai s�nsi del secondo comma dell'art. 128 del t.u. n. 645 del 1958, introdotto con l. 28 ottobre 1970 n. 801, erano obbligati ad operare, su due terzi delle somme corrisposte per tali prestazioni, una ritenuta dell'8% � a titolo di acconto dell'imposta dovuta dal soggetto percipiente �. A parere della 'l"icorrente, la ritenuta d'acconto .sarebbe un istitJuto proprio ed esclusivo dei tributi che assumono a presupposto dell'imposizione l'effettiva percezione del reddito, strutturati secondo fil criterio della � cassa � e non della � competenza �, non potendosi ammettere l'adempimento anticipato di un'obbligazione tributaria che, per essere relazionata al fatto generatore del reddito, al momento del prelievo � in acconto � non solo � gi� sorta, ma potrebbe essere stata anche adempiuta, sicch� si verificherebbe un'evidente duplicazione. La cit. [egge n. 801 del 1970, quindi, nelJ'assoggettare a ritenuta i redditi professionali di cui sopra, avrebbe implicitamente, ma necessariamente, modificato, rispetto ad essi, il presupposto del!l'imposizione, spostandolo dal momento deJl.a produzione a quello della percezione, con conseguenziale abrogazione in parte qua dell'art. 115, ad onta dell'assolutezza della sua portata .letterale, ascrivibi'le a difetto di coordinamento. La fragilit� della tesi si avverte, per�, sul piano normativo, gi� ai1la stregua di quest'ultimo rilievo, appena si consideri che il sistema della ritenuta d'acconto -per la P_!:ima volta adottato, ai fini del tributo mobiliare, con la l. 5 gennaio 1956 n. 1 -era previsto, sia pure per una ristretta categoria di redditi di lavoro autonomo (prodotti da stranieri o da residenti all'estero) nel testo originario dell'art. 128 del t.u. n. 645 del 1958 e successivamente fu esteso ai compensi dovuti dalle imprese commerciali per prestazioni artistiche �ed altre indicate nell'art. 1 della J. 21 aprile 1962 n. 226, contenente una nuova formulazione dehl'art. 128) e, infine, con fa Jegge cit. del 1970, ai compensi pagati dai soggetti sopra indicati per PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA le prestazioni d'opera profes1sionaile. In questo quadro legislativo, infatti, il discorso sull'asserita incompatibiiit� con il criterio de1la competenza non pu� essere circoscritto ai redditi professionali, ma deve investire, ovviamente, gli altri redditi soggetti a ritenuta, ugualmente tassati in rnlazione ail momento della produzione; e in questa pi� ampia prospettiva non solo riesce arduo far carico al legislatore di un difetto di coordinamento reiterato e di cos� vasto rilievo, ma fa tesi dell'incompatibilit� risulta compromessa in radice, per ci� che il criterio di imposizione sancito dall'articolo 115 e la ritenuta d'acconto coesistevano, come si � detto, nell'originaria disciplina del tributo. L'introduzione della ritenuta per i redditi professionali sicuramente non pu� essere interpretata, quindi, in chiave di modi~ca, ancorch� implicita, dei presupposti della tassazione e si inserisce, all'opposto, in un sistema che prevedeva queMo strumento, volto ad assicurare la riscossione del tributo lasciandone fe:rmo l'assetto sostanziale. La qual cosa si conferma considerando altres� che la ritenuta sui compensi professionali, secondo la legge n. 801 del 1970, non era firralizzata alla sola imposta di r.m., ma riguardava anche l'imposta complementare e i tributi locali; e lo stesso fenomeno si verificava per rultre ritenute, ugua!lmente funzionali ad una pluralit� di tributi articolati su presupposti diversi (cos�, ad es., quella stabilita con la cit. Jegge n. 226 del 1962). In realt�, sfugge alla ricorrente che la ritenuta d'acconto, nel nuovo come nel vecchio ordinamento delle imposte sui redditi � strutturata come fattispecie distinta dall'obbligazione tributaria cui si riferisce e ha funzione strumentale rispetto al soddisfacimento della stessa, dovendosi annoverare fra le tecniche di accertamento (in �senso lato) e di riscossione del tributo (ed � oggi previsita appunto dal d.P.R. n. 600 del 1973, concernente la riscossione delle imposte dirette). Essa consiste, invero, nell'obbligo imposto a determinati soggetti, nel momento in cui adempiono al4i ,loro obbligazione nei confronti del contribuente, di trattenere una quota parte dell'impm:to oggetto del pagamento e di versarla a1l'ente imrpositore in conto delreventuale debito tributario del medesimo percipiente. Pertanto non comporta alcuna altemzione dei principi sostanziali dell'impos~ione, n� sotto il profilo soggettivo, perch� l'obbligo giuridico suddetto wava su soggetto diverso dal contribuente, n� sotto l'aspetto oggettivo deHa fattispecie impositiva, perch� l'operazione � collegata ad un presuppos�to suo proprio, vale a dire l'adempimento de1la prestazione di cui � creditore �il soggetto passivo del tributo, in presenza del quale (fatto) la ritenuta deve sempre essere effettuata, a prescindere dall'esistenza e dall'ammontare del debito tributario, salvo il diritto del contribuente al rimborso ove H tributo risulti non dovuto, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO o dovuto in misura inferiore, dal controllo effettuato nelle sedi opportune, secondo gli ordinari procedimenti. Di qui il carattere meramente strumentale dell'istituto, nel senso che adempie in ogni caso ad una funzione cautelare, favorendo l'accertamento del reddito complessivo del percipiente e garantendo l'adempimento del tributo, e nel senso che, ove questo sia dovuto, costituisce un mezzo di riscossione del medesimo. Ci� posto, cade anche l'argomento -sul quale particolarmente insiste la ricorrente -circa l'asserita incompatibilit� concettuale e giuridica della ritenuta di acconto con il sistema della competenza: la circostanza che la trattenuta sia inscindibile da11a peocezione del reddito non spiega alcuna influenza, per quanto era detto, sul presupposto del tributo, essendo irrilevante, ai fini dell'operazione de qua, che il fatto costitutivo dell'obbligazione tributaria si perfezioni in quel momento o si sia perfezionato con la produzione del reddito. Vero � che la tassazione a consuntivo, con il criterio c.d. della cassa, adottato dalla vigente disciplina IRPEF, meglio si armonizza con la.ritenuta alla fonte, laddove il criterio opposto, seguito per l'imposta di r.m., dava luogo a difficolt� applicative, soprattutto in relazione alle iscrizioni provvisorie nei ruoli (che rendevano .frequenti lo sgravio o il rimborso delle ritenute); e a queste difficolt� si riferisce, in pratica, la ricorrente, tuttavia traendone I'inaccettabile conseguenza di cui sopra sul sistema di imputazione dei redditi. In conclusione, correttamente la Commissione centrale ha imputato H reddito in questione agli anni in cui fu prodotto, ai sensi dell'art. 115 cit., ed ha ritenuto applicabile la precedente disciplina, in forza della disposizione transitoria sopra ricordata. Il ricorso deve essere perci� respinto. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 gennaio 1981, n. 11 � Pres. La Farina � Est. Sandulli -P. M. SHocchi (conf.) -Banca Popolall"e di Milano (avv. Stella Richter) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti � Imposta sull'Entrata � Diritti di riscossione 'di titoli cambiari per conto di clienti � Banca non avente propri spor� telli sulla piazza � Delega a banca corrispondente � Diritto corrisposto dal cliente alla banca incaricata � Costituisce per intero entrata imponibile � Provvigione corrisposta dalla banca incaricata alla banca corrispondente � Altra entrata autonomamente imponibile. (I. 19 giugno 1940 n. 762, artt. 1, 3, 4; cod. civ. art. 1717 e 1856). Il diritto corrisposto dal cliente alla banca per la riscossione di titoli cambiari costituisce per l'intero importo entrata imponibile per la banca, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 775 anche se la banca incaricata non avendo propri sportelli sulla piazza debba delegare una banca corrispondente alla quale corrisponde una provvigione; detta provvigione che non costituisce spesa detraibile dall'entrata conseguita dalla prima banca � a sua volta un'entrata autonomamente imponibile per la banca corrispondente. Sono infatti realizzati due distinti rapporti fra loro indifferenti tra cliente e banca di fiducia a tra questa e la banca corrispondente e non un rapporto unico di sostituzione bancaria (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso -denunciando la violazione e la falsa aipplicazione degli artt. 1, 3 e 4 del decreto-legge 9 gennaio 1940 n. 2, convertito nella legge 19 giugno 1940 n. 762, in relazione agli artt. 1856 e 1717 cod. civ. -la banca ricorrente -premesso che una banca non possa assumere per s� il mandato della riscossione fuori piazza ex artt. 28 e 32 della legge bancaria 7 marzo 1938 n. 141-si duole che sia stata riconosciuta la natura di entrata, con ila conseguente sottoposizione aH'I.G.E., all'intero importo percepito per diritti di riscossione di titoli cambiari, per �onto di clienti, anche nell'ipotesi in cui il servizio bancario 'di incasso sia stato reso dalla banca incaricata, per mancanza di propri sportelli su.Ha piazza desiderata, :attraverso altre banche o banche eorrispondenti. neduce che a questa conclusione ila sentenza impugnata sia pervenut� muovendo dall'erronea premessa che tale servizio dia luogo, se eseguito su piazze nelle quali la banca incaricata non abbia filiali, ad una duplicit� di rapporto (tra cliente e banca e tra banca incaricata e banca corrispondente), con la conseguente tassabilit� dell'intera somma corrisposta a titolo di comm~ssione dal cliente, per fa indetraibillit� di essa, ai fini della determinazione dell'entrata imponibile, dell'ammontare versato dalla banca incaricata aJJa sua corrispondente, dovendo questo considerarsi spesa incidente sul costo di produzione del servizio. Sostiene che, invece, si tratti di un rapporto unitario, nel quale il compenso sia ricevuto anche (in parte). nell'interesse e per conto della banca corrispondente e costituisca, per questa .parte, non spesa di produzione del servizio, come tale non detraibile, ma separato compenso per la distinta prestazione della banca sostituta, come sarebbe dimostrato da11a considerazione che il cliente ha azione diretta verso la banca sostituta per la ;responsabilit� inerente aH'esecuzione dell'incarico commessole, anche S'e non gli sia stata comunicata l'avvenuta sostituzione (art. 1717 e 1856 cod. civ.), e come sarebbe confermato dal rilievo che, essendo entrambe le banche (incaricata e sostituta) ten.te al pagamento dell'imposta generale sull'entrata sulla � (1) La elaborata motivazione merita piena adesione. � particolarmente da segnalare ii metodo di indagine rivolto alla diretta considerazione della norma tributaria piuttosto che alla remota disciplina di diritto comune. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 776 rispettiva parte del compenso percepito, l'estensione dell'applicazione del tributo all'intero importo versato dal cliente allla banca da lui incaricata dell'incasso degli effetti darebbe luogo a duplicazione d'imposta. Il motivo � privo di fondamento. La Corte del merito -dopo avere precisato che, quando un cliente si rivolge ad una banca per l'incasso di effetti cambiari da eseguirsi in diversa localit� e la banca incaricata non abbia nel luogo desiderato dal cliente �na propria dipendenza, si avvale di altra banca corrispondente ivi operante, la somma pagata per l'operazione � comprensiva dell'importo versato dalla banca incaricata a1la corrispondente quale retribuzione dovutale per il servizio da essa espletato -ha statuito -condividendo la tesi dell'Amministrazione Finanziaria -che tutta la somma pagata dal cliente debba essere assoggettata all'imposta generale sull'entrata, anche se una parte di essa serva a compensare la banca �corrispondente, e, costituendo un autonomo movimento di denaro, debba essere tassata autonomamente, quale entrata verificatasi :a favore della corrispondente, a norma delfa legge organica sull'imposta generale sull'entrata. A tale statuizione Ja banca ricorrente -riproponendo la linea di difesa adottata in sede di merito -oppone che l'accoglimento del:la pretesa dell'amministrazione darebbe luogo ad una duplicazione d'imposta, in quanto nella fattispecie non sarebbero identificabili due distinti rapporti ma si configurerebbe un rapport<? unico, n:el senso che il cliente incarichi sin dall'origine contemporaneamente le due banche di provvedere all'incasso dei titoli cambiari e versi alla banca con cui direttamente tratta i compensi dovuti ad entrambe Je banche. Secondo fa costruzione deHa ricorrente, nel quadro del sistema bancario al fenomeno inteso a consentire, secondo il regime �contrattuale dei servizi bancari, l'incasso di effetti cambiari in piazza in cui la banca incaricata sia priva di sportelli, dovrebbe assegnarsi la veste giuridica deHa sostituzione bancaria (art. 1856, secondo comma, cod. civ.), costituente una specifica applicazione della sostituzione del mandatario (art. 1717 cod. civ.), onde -attuandosi, attraverso la sostituzione neH'incarico, una vera e propria intermediazione nella fornitura del servizio (simile, nel:la sostanza economka, a quella dell'agente e dello spedizioniere), richiesto daJ cliente alla banca sostituta (intermediaria) ne potrebbe essere imposto il pagamento dell'imposta generale su1l'entrata sul compenso spettante all'effettivo fornitore dell'unico servizio e, cio�, alla banca sostituta, incaricata dell'esecuzione di esso. Fra il cliente, la prima banca e la corrispondente -non essendo raffigurabile, nella realrt� economica, una duplicazione di rapporti per un unico servizio bancario compiuto una sola volta -si instaurerebbe un unico rapporto nel quale il regime della responsabilit� sarebbe impostato nel senso che dell'esecuzione dell'incarico sarebbe tenuta a rispondere I I I I I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 777 esclusivamente la banca sostituta, e non anche l'ente bancario sostituito, ed in <:ui il cliente avrebbe ex art. 1717, quarto comma, cod. civ., azione diretta (per responsabilit� ne11'esecuzione del mandato) nei confronti della banca corrispondente (sostituita) e questa (e non la banca sostituente) sarebbe investita della corrispondente azione contraria (actio mandati contraria), non essendo concepibile che un rapporto tipicamente sinallagmatico <:omporti obbligazioni a carico di una sola parte. Conseguente implicazione di tale concezione, ai fini tributari, sarebbe che la banca intermediaria (sostituita dalla banca corrispondente neHa esecuzione dell'unico servizio di incasso degli effetti cambiari fuori piazza) potrebbe essere tassata sul compenso relativo alla sua opera di intermediazione e non su quello da essa trasmesso alla banca sostituta che ha compiuto il servizio. bancario. l'l problema di fondo proposto �, quindi, se il pagamento della soppressa imposta generale sull'entrata sia dovuto dalla banca incaricata dell'incasso di effetti cambiari fuori piazza -ohe, essendo sfornita di sportelli ne1le piazze desiderate, abbia affidato l'esecuzione de[ servizio ad una banca corcl"ispondente, versando alla stessa una parte del compenso riscosso -sull'intero importo della commissione corrispostale dal cliente o soltanto sulla differenza tra tale compenso e la parte del corrispettivo trasmessa a1la bmca corrispondente. Intimamente collegato, in funzione strumentale, alla profilata questione � il quesito se, nella fattispecie relativa alla prestazione da parte di una bmca corrispondente del servizio bancario di incasso di effetti cambiari su piazze in cui l'istituto bancario incaricato sia privo di sportelli, debba ravvisarsi un unico raipporto, configurabile come sostituzione bancaria (art. 1856 secondo comma, cod. civ.) o una duplicit� di rapporti distinti, configurabili come mandato (intercorrente fra il cliente e la prima banca) e submandato (intercorrente fra questa e la banca cor.rispondente). Ai fini di una corretta impostazione del problema di base -trattandosi di una questione prevalentemente fiscale -occorre prendere le mosse �dalla finalit� perseguita dalla legge 19 giugno 1940 n. 762, istitutiva (in sostituzione deMa precedente tassa di scambio) dell'imposta generale sull'entrata. Gli autori di detta legge -pur costituendo (lo scambio di beni e) le prestazioni di servizi l'oggetto dell'imposta sull'entrata ed il presupposto '(o fatto generatore) del tributo stesso -hanno posto l'accento non tanto (su11'atto di scambio) o sulla prestazione di servizi quanto sull'entrata (in denaro o oon mezzi di pagamento sostitutivi del denaro) acqui stata in dipenrlenza (dello scambio o) de11a prestazione di servizi effettuata nel temtorio dello Stato (art. 1, primo comma). 778 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Invero, con la legge n. 762 del 1940 si � inteso assoggettare a tributo (proporzionale) -secondo quanto � precisato neHa relazione -�tutto il complesso delle entrate di un individuo o di un ente, a mezzo di imposizioni molteplici sui vari atti economici (scambi), dai quali al detto individuo od ente J'ent:rata deriva�. L'imposta generale suH'entt1:~ta �, quindi, �dovuta da colui a cui favore si verifica l'entrata con diritto di rivalsa su ohi esegue il versamento dei compensi e corrispettivi costituenti l'entrata� (art. 6, primo comma). Nel determinare la sfera d'imposizione, la legge istitutiva ha precisato come nelle categorie di entrate soggette ad imposta rientrino quelle conseguite in dipendenza di prestazioni di servizi da chiunque e nei confronti di chiunque effettuate (artt. 1, commi 1 e 2, 2, 3, 14 e 17) ed, in particolare, come sostituiscano entrate imponibili quelle derivanti dall'esercizio del credito, onde integrano entrate imponibili le provvigioni ed i compensi (fra cui i diritti di commissione) riscossi per le operazioni ed i servizi compiuti dagli istituti di credito a favore dei clienti (art. 3, lett. c). E -poich� la materia imponibile � costituita daill'entrata �lorda, � senza che sia ammessa alcuna detrazione a titolo di spese di produzione, imposte diritti, compartecipazioni ed altre, anche se tali oneri gravano direttamente l'entrata stessa� (art. 4, primo comma) -deve ritenersi che l'imposta colpisca, secondo fa sua particolare struttura, l'entrata lorda conseguita dalle aziende esercenti il oredito. Per modo che appare evidente che, nell'ipotesi in cui un cliente richieda ad una banca di curare la riscossione di una cambiale, consegnandole il titolo girato per l'incasso e versandole la provvigione, questa costituisca un'entrata tassabile con l'imposta generale sull'entrata. Nel caso, invece, che fa cambiale sia pagabile fuori piazza e la banca girataria del titolo per J.'incasso, non avendo una propria filiale nel luogo di pagamento, si avvalga della norma dell'art. 1856, secondo comma, cod. civ. incaricando della riscossione della cambiale un'altra banca o un suo corrispondente, a cui gira il titolo per procura (art. 22 comma 1 del r.d. 14 dicembre 1933 n. 1669, norme sulla cambiale e sul vaglia cambiario) e versa una parte della provvigione riscossa dal cliente, si disputa se l'imposta generale suU'entrata debba essere ugualmente applicata sull'intero ammontare della provvigione a carico deala banca che l'ha riscossa ovvero se da tale ammontare debba essere detratto il compenso versato alla banca corrispondente. Il problema � stato risolto dalle decisioni della Corte Suprema 3 febbraio 1976 n. 345 e 6 giugno 1975 n. 2239 in senso favorevole alla tesi dell'amministrazione finanziaria. Nel riproporre la questione la banca dcorrente ne ha sollecitato l'esame da parte delle Sezioni Unite, denunciando un conflitto fra le sta:: tuizioni contenute in dette sentenze e quelle contenute ne1le precedenti �: f f: ~ f: p�'pE#7�WKfr/72WW#Mo/o/o/WW'MW#WV&&WfrB7Wfro/W<cCWCW CW'V'4''%�WWo/&Wo/YWF' cwc cwcccwcryc'c'Yo/ cwccw�W'''J PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 779 decisioni della Suprema Corte n. 2521 dell'8 ottobre 1973 e n. 895 del 5 aprile 1966 in ordine al fenomeno della sostituzione del mandatario. La questione proposta -investendo, come in precedenza si � visto, un profilo prevalentemente fiscale -va irisolta -contrariamente a .quanto si sostiene dalla banca ricorrente -soprattutto in base aLle norme tri� butarie. Invero -ove si consideri che il cliente che richiede l'incasso del titolo cambiario fuori piazza versa l'intera provvigione alla banca da ilui incaricata di curare [a �riscossione; ohe tale provvigione � .tassab:iile con l'imposta generale sull'entrata (art. 3, lett. c), e che per la sua determinazione �non � ammessa ailouna detrazione a titolo di spesa di produzione, imposte, � tasse, diritti compartecipazione ed altre, anche se tali oneri gravano direttamente l'entrata stessa � (art. 4, primo comma) -deve pervenirsi a:lla conclusione che sull'intera provvigione riscossa la banca incaricata dell'operl:lzione di riscossione degli effetti cambiar�i, la quale consegue l'entrata, debba pagare l'imposta generale sull'entrata allo Stato, con diritto di rivalsa sul cliente (art. 6, comma 1). E ci� in quanto estranea e giuridicamente irrilevante, ai fini della risoluzione del problJ.ema, rimane la corresponsione di parte dell'entrata conseguita alla banca corrispondente, dal momento che ex lege non pu� tene~si conto in alcun modo dei titoli in virt� dei quali l'entrata � in concreto decurtata. E va:lida conferma di tale soluzione � che soltanto la banca incaricata ha fai possibilit� di esercitare a carico del cliente la rivaiJ.sa dell'imposta, attuando in tal modo il sistema di tassazione stabilito dalla :legge, il quale non fa gravare a suo carico il tributo. N� la prospettata soluzione pu� ritene11Si contraddetta dalla struttura dell'istituto della sostituzione bancaria di cui all'art. 1856, secondo com ma, cod. civ., non potendosi ammettere che, per effetto dell'esercizio della facolt� di sostituzione accoroata da tale norma alla banca incaricata, il cliente, rivoltosi a questa per l'operazione, possa venirsi a trovare vinco lato da un rapporto da 1ui non determinato e voluto, con un'altra banca a :lui sconosciuta ed estranea. Invero -come si riconosce dalia pi� autorevole dottrina -fra il cliente e la banca corir1spondente non viene a costituirsi alcun rapporto, operando quest'ultima nell'interesse e per conto della banca incaricata. E ci� in quanto, se� dovesse ammettersi la sussistenza di un rapporto gestorio diretto fra cliente e banca sostituita, dovrebbe .riconoscersi, con il diritto del mandante di agire nei confronti del sostituto ex art. 1717, quarto comma cod. civ. (profilo attivo della situazione sostitutiva), la tito larit� di un'actio mandati contraria (profilo passivo della situazione) all'istituto bancario corrispondente, il quale sarebbe in tal modo abilitato a richiedere direttamente al cliente il corrispettivo per l'eseguito incarico. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Ma -poich� la sostituzione nell'esecuzione dell'incarico della banca corrispondente, lasciando ferma fa responsabilit� della banca intermediaria modellata nei limiti dell'art. 1717 cod. civ. (!la .cui norma, pur essendo inquadrata sotto la generica rubrica �sostituto del mandatario� si occupa esclusivamente della responsabilit� del mandatario e del sosti� tuto, tacendo completamente in ordine all'esistenza di forme di tutela diretta spettanti al sostituto nei riguarrli del mandante), non attribuisce alla banca corrispondente a~cuna azione contro il cliente-mandante per ottenere la corresponsione del compenso, il quale � dovuto non dal cliente, ma dalla banca che le ha affidato l'incarico (cfr. in tal senso, Cass. sent. 16 gennaio 1953 n. 110), non potendosi esigere che H mandante paghi un secondo compenso al sostituto (o1tre quello comprensivo del suo, pagato al mandatario sostituente) -deve escludersi che un rapporto diretto si instauri fra cliente e banca corrispondente. Per modo che, nella complessa fattispecie prevista dal coordinato disposto degli artt. 1856, secondo comma, e 1717 cod. civ., accanto al rapporto originario di mandato, intercorrente fra il cliente e ila banca incaricata, deve ravvisarsi un secondo rapporto, �strumentale, fra la banca incaricata dal cliente e la banca corrispondente (sostituita), il cui compito � l'espletamento dell'attivit� gestoria originariamente devoluta alil.a banca sostituente. A tale affermazione, gi� contenuta nelle decisioni della Suprema Corte n. 345 del 3 febbraio 1976 e n. 2239 del 6 giugno 1975, non contraddice -�contrariamente a quanto si assume dalla ricorrente -il principio dettato nelle sentenze della stessa Corte Suprema n. 2521 deH'8 ottobre 1973 e n. 865 del 5 aprile 1966, secondo cui �se l'attivit� del sostituto sia stata utile nell'interesse del mandante e questi se ne sia giovato, iJl medesimo non pu� disconoscere l'opera del sostituto ed � tenuto a compensarla direttamente, quando non abbia gi� provveduto a versare al mandatario il relativo compenso�, in quanto tale statuizione, non riconoscendo ail sostituto un'azione contrattuale e costituendo semplice applicazione del principio dell'uhi commoda ibi incommoda in materia di gestione di affari (art. 2031 cod. civ.) e di arricchimento senza causa (art. 2041 cod. civ.) (comportante forme di protezione, variamente articolate, a favore di chi abbia speigato un'attivit� ridondante a vantaggio di un soggetto che, pux non legato al primo da un vincolo negoziale, abbia approvato e fatto proprio il risultato di quell'attivit�), vafo a contrastare, e non a favorire, la tesi dell'unicit� del rapporto (riguardando un'ipotesi diversa da quella in oui il cliente mandante provveda, come nel caso di specie, al pagamento dell'intera provvigione alla banca incaricata). Per modo che -nel rilevare l'insussistenza del preteso contrasto giurisprudenziale denunciato dalla banca ricorrente -va affermata in conclusione, la ricorrenza, nella fattispecie considerata, di due distinti PARJ:E I, s~z. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 781 rapporti di mandato (cliente-banca incaricata; banca sostituente-banca sostituta corrispondente), strutturalmente e funziO!llalmente autonomi, nei quali -:tmttandosi di mandati onerosi -viene corrisposto un distinto compenso da dasouno dei due manidanti a favore del rispettivo mandatario. �l compenso dovuto dall'ordinamento ailla banca incaricata e quello dovuto, a sua volta da questa alla banca sostituta -integrando due distinte entrate in denaro, conseguite da aziende di credito in corrispettivo di prestazioni di servizi bancari -devono, quindi, ritenersi sogig�tti entrambi, distintamente, all'imposta generale sull'entrata a norma delia l�gige 19 giugno 1940 n. 962. Pertanto, deve, in conclusione, affermarsi che � soggetta ad imposta generale suH'entrata l'intera provvigione corrisposta dal cliente ad una banca per la riscossione di titoli cambiari anche quando questa, per manoanza di propri sportelli su!Ue piazze desiderate, si avvalga dell'opera di altra banca corrispondente, cui versi una parte della provvigione, la quale non pu� essere considerata spesa di produzione del servizio, e come tale detraibile, e che � a sua volta autonomamente tassaibHe quale distinta entrata. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 gennaio 1981 n. 49 -Pres. Sposato Est. Sensale -P. M. Ferraiolo (diff.). Ministero dell.e Finanze i(avv. D'Avanzo) c. Marini (avv. !annetti del Grande). Tributi erariali diretti � Accertamento � Modificazione per sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi � Nozione � Fattispecie. (t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 35). L'integrazione e la modificazione dell'accertamento definitivo in base alla sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi � ammessa dall'art. 35 del T.U. delle imposte dirette quando emergono elementi del tutto ignoti che, se pure non debbano necessariamente ricollegarsi ad una fonte produttiva del reddito diversa da quelle considerate nell'accertamento, non potevano essere conoscibili dall'ufficio; � da escludere che l'ufficio possa ricorrere all'art. 35 per rivalutare elementi gi� noti e ritenuti non influenti o comunque per correggere errori commessi (1). (1) La enunciazione contenuta nella motivazione appare eccessivamente restrittiva. � esatto che la norma presuppone la ignoranza dei fatti non la non valorizzazione o non utilizzazione di essi ed � anche esatto che questo mezzo non consente di correggere errori di valutazione e di apprezzamento di fatti gi� noti o dei quali si aveva un principio di informazione. Sembra per� eccessivo 12 782 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con il primo motivo l'Amministrazione ricorrente denunzia la violazione dell'art. 35 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., censurando la decisione impugnata per avere escluso -sul presupposto della menzione (peraltro evasiva ,e generica) degli appalti per conto derLa cooperativa � 2 Gennaio� e della S;r.l. � Immobiliare Appartamenti panoramici >>, fatta dail contribuente nella dichiarazione unica dei redditi (in relazione alla quaile l'imponibile ai fini della imposta di R. M. era stato accertato con l'adesione del contribuente) -che essa Amministrazione, pur essendo venuta successivamente a conoscenza, a seguito d'informativa deil nuclleo di polizia tributaria, delle somme effettivamente incassate dal contribuente in relazione ai suddetti appalti, non potesse esercitare i:I potere d'accertamento integrativo, concesso dall:a norma citata. La Commissione tributaria ,centrale avrebbe dovuto considerare, invece, che a tal fine non si richiede che i nuovi elementi di fatto i quali giustificano l'accertamento integrativo, derivino da una fonte produttiva piuttosto che da un'altra o che siano stati acquisiti in un dato modo, ma basta che essi non siano stati tenuti presenti in preceidenza, peI'ch� ,completamente ignorati, di guisa che, se fossero stati conosciuti prima, avrebbero portato ad una diversa e maggiore valutazione del reddito. Con il secondo motivo la ricorrente censura la decisione impugnata, ai �sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione drca .un punto decisivo della controversia, avendo ritenuto che il contribuente avesise denunziato entrambi gli appalti con tutti i particolari idonei a i,dentificarli, senza considerare che la menzione che ne era stata fatta nella dichiarazione unica dei redditi era evasiva e generica, tanto da indurre essa Amministrazione a darvi credito e a definire l'imponibiJ.e con l'atto d'adesione del 13 novembre 1961. Il ricorso � infondato. Dalla decisione impugnata risulta che, in relazione alila dichiarazione unica dei redditi presentata dai! Marini Dettina per l'anno 1959, l'Ufficio� delle imposte dirette di Roma procedette ad accertamento del reddito soggetto a:d imposta di R.M. definito con J'adesione del contribuente in data 13 novembre 1961. Circa due anni dopo, il 23 dicembre 1963, l'ufficio, affermare che non possono essere utilizzati successivamente fatti conoscibili (ma non conosciuti) quali quelli acquisiti da successive indagini che l'ufficie> avrebbe potuto esperire anteriormente. Tutto in teoria � conoscibile; ma la norma dell'art. 35 pi� realisticamente d� rilevanza 'alla conoscenza successiva di ci� che non era oggettivamente noto, anche se avrebbe potuto essere conosciuto con diverse e pi� fortunate indagini. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA essendo venuto a �conoscenza di elementi di fatto da esso ritenuti nuovi, in seguito ad informativa del nucileo di polizia tributaria, notific� al contribuente run nuovo avviso di accertamento ad integrazione del precedente. Orbene, l'art. 35, :primo comma del t.u. 645/58 consente l'integrazione e la modificazione dell'accertamento, ancorch� sia intervenuta l'adesione del contribuente, in base alla sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi e cio� di elementi del tutto ignorati dalil'ufficio al momento del primo accertamento e che, se prima conosciuti, 1avrebbero dato luogo ad una diversa e maggiore valutazione deilil'imponibile accertato. E. escluso che possa trattarsi di elementi gi� noti e ritenuti non influenti ai fini della determinazione del reddito imponibile o insuffidentemente valutati nella Joro preesistente interezZla, poich� fa potest� di cui alla norma citata non � accordata all'Amministrazione al fine di correggere errori di apprezzamento commessi in precedenza. Ci� vuol dire che i nuovi elementi di fatto giustificativi dailil'accertamento integrativo, pur se non debbono necessariamente ricollegarsi ad una diversa fonte produttiva del reddito, devono essere, tuttavia, non 1soltanto non conosciuti, ma non conoscibili dall'ufficio al momento del precedente aJCcertamento (v. per il riferimento alla non riconoscibilit�, Cass. 4072/77 e 650/79). Infatti, il poter conoscere certi elementi di fatto e non svolgere la necessaria attivit� per prenderne effettiva conoscenza d� luogo ad una situazione non dissimile da quella in cui gli elementi siano gi� noti e tuttavia insufficientemente valutati o ritenuti non influenti ai fini della determinazione del reddito imponibile, avendo in comune, ciascU!Ila di tali ipotesi, la �riconducibilit� al compoTtamento dell'Amministrazione della mancata tempestiva conoscenza degli elementi necessari all'esatta determinazione dell'imponibile. Ci� vale, particolarmente, .quando -come ;risulta es1sere avvenuto nel caso concreto -la conoscenza dei nuovi elementi di fatto provenga dal risultato d'indagini disposte dall'ufficio e cio� da una fonte che esso avrebbe potuto utilizzare anche prima del concordato conduso con il contribuente. Lo stabilire se, nel caso concreto, l'Amministrazione fosse in grado di conoscere sin dalll'epoca del primo accertamento per adesione quegli elementi di cui venne 1a conoscenza successiV1amente � accertamento di fatto insindacabile in questa sede, avendo dato atto -la decisione im pugnata (conformemente a quanto ritenuto dalle commissioni di primo e di secondo grado) ohe dalla dichiarazione unica dei J.1edditi presentata dal �contribuente relativamente al 1959 risulta inequivocabilmente che gli appalti per la costruzione degli edifici deilla cooperativa � 2 Gen naio� e della S.I.A.P. erano stati denunziati con tutti i particofari ido RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 784 nei ad identificarli, per cui non poteva non ritenersi che essi fossero stati adeguatamente considerati in sede di concordato, sussistendo sin da quel momento, per l'Amministrazione, la possibilit� di un controllo, attraverso quell'esame delle fatture e degli altri documenti ingiustificatamente compiuto soltanto dopo il concordato, dei ricavi e dei costi� degli appalti. N� � coerente, da parte dell'Amministrazione, sostenere da un lato che i dati fomiti dalla parte er;ano evasivi e generici e dall'altro che �ssa non aveva motivo di disconoscere la veridicit� e l'attendibilit� della denunzia di parte; poich�, se fosse esatto il primo rilievo, maggiore sarebbe stato il dovere dell'Amministrazione di procedere a!l:le indagini necessarie al fine di controMare la veridicit� e l'attendibilit� degli elementi denunziati. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 8 gennaio 1981, n. 141 -Pres. Granata Est. Gualtieri -P. M. Valente (conf.). Ministero dehle Finanze (avv. Stato Mari) c. Credito Bergamasco. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per ile case �di abitazione non di lusso. Uffici e negozi -Nozione -Agenzia bancaria. (!. 2 luglio 1949 n. 408, art. 17). Agli effetti dell'agevolazione dell'art. 17 della legge 2 luglio 1949, n. 408, sono da considerare negozi i locali in cui vengono offerti direttamente al pubblico beni o servizi nell'esercizio di un'attivit� imprenditoriale e uffici i locali destinati, anche se in connessione con una impresa, a solo .svolgimento di attivit� amministrative e di direzione senza contatto con il pubblico. La sede di una agenzia bancaria pu� rientrare nell'una o nell'altra ipotesi a seconda che i locali, in conformit� della struttura, siano destinati a servizi a favore del pubblico o ad attivit� di direzione e amministrazione o puramente tecniche (1). (omissis) Con unico motivo l'J\Jmministrazione ricorrente, denunziando violazione e fa!lsa applicazione dell'art. 17 delila legge 2 luglio 1949, n. 408, nonch� illogicit� manifesta o, quanto meno, ome,ssa o insufficiente motivazione su punti decisivi, in relazione all'art. 360, n. 3 e (1) Una puntuale conferma della sent. 6 ottobre 1977 n. 4256, in questa Rassegna, 1978, I, 220. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 5 1c.p;c., deduce che i locali in questione, predisposti per essere adibiti a sede di agenzia bancaria devono, ai fini deUa legge anzidetta, essere qualificati come negozi e non come uffici, in quanto la comune �agenzia bancaria -a differenza della sede centrale o assimiJlabile dove si svolge solo la funzione creditizia ad un certo Jivello -ha carattere dominante d� negozio, svolgendosi in essa attivit� tipicamente commevciale, quale � quella de1la raccolta e della distribuzione del danaro e dci relativi servilii offerti aMa clientela. La .censura � fondata. � pacifico, in linea di fatto, che il Credito Bergamasco destin�, fin dall'origine, le porzioni immobiliari acquistate, poste al piano terra dell'edificio. in questione (otto vani per mq. 233), ad uffici bancari di agenzia. Ci� premesso, devesi rHevare che nell'interpretazione della Jegge n. 408/1949, i termini �negozio� ed �ufficio� vanno intesi in senso lato, e non gi� nel senso del lessico coNente, in quanto il legislatore non poteva fare una enumerazione precisa ed esauriente di tutte le ipotesi riconducibili alle categorie contrapposte a quella, bene individuabi! le, de1le case di abitazione. In considerazione di ci�, questa Corte ha gi� avuto occasione di precisare che, ai fini tributari qui considerati, deve intendersi per negozio qualunque focale 1in cui vengono offerti diirettamente al pubblico beni e servizi nell'esercizio di una attivit� imprenditoriale, mentre deve intendersi per ufficio qualunque locale destinato, sia pure in connessione con un'impresa, al solo 1svolgimento di attivit� di direzione ed amministrazione, senza necessit� di diretto contatto con il pubblico dei consumatori. La sede della Banca pu� rientrare nell'una o neM'altra ipotesi a seconda delle attivit� che, in conformit� alla struttura dei reJativJ. locali, vi sono esercitate. Pertanto, deve affermarsi che la sede di una agenzia bancaria in cui si svolgono 1direttamente a favore del pubblico le attivit� e i servizi tipici dell'istituto di credito, rientra, agli effetti del[a legge n. 408/194 nella categoria dei negozi e che tali vanno qualificati i focali istrutturalmente idonei all'esercizio di tali attivit�, mentre le sedi in oui la banca svolge attivit� di direzione e di amministrazione, o attivit� puramente tecniche, senza necessit� di contatto con la clientela, rientrano nella categoria degli uffici (cfr. Cass. 6 ottobre 1977, n. 4256). Conseguentemente devesi ritenere errata la decisione impugnata, la quale ha escluso la qua:Hfica di negozio ai locali in questione in base a1la distinzione tra �negozi� e �uffici� intesi nel senso del lessico corrente, 'considerando ufficio fa sede di una agenzia bancaria. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 786 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 8 gennaio 1981, n. 148 -Pres. Rossi Est. Bile -P.M. Caristo (conf.). Soc. Stock {avv. Urbani e Ascini) c. Ministero deUe Finanze (avv. Stato Azzariti). Tributi in genere -Potest� tributaria di imposizione -Decreto legge non convertito -Successiva disciplina dei rapporti sorti -Legittimit� Imposta m fabbricazione � Fattispecie. (Cost., art. 77; d.!. 27 agosto 1970, n. 621; I. 18 dicembre 1970, n. 1035). Tributi in genere -Potest� tributaria di imposizione -Obbligazione tribu taria -Momento della nascita -Imposta di fabbricazione -Fattispecie. (d.!. 27 agosto 1970, n. 621, art. 11). Poich� l'art. 77 della Costituzione non stabilisce alcun limite all'esercizio da parte del Parlamento del potere di regolare con legge gli effetti dei rapporti giuridici sorti in base a decreto legge non convertito, � legittima la legge 10 dicembre 1970, n. 1035, che ha previsto che restassero validi i rapporti sorti sulla base dell'art. 11 del d.l. 27 agosto 1970, n. 621 prima della sua caducazione per mancata conversione (1). Il rapporto giuridico tributario sorge nel momento in cui si determina la situazione di fatto considerata dalla legge come generatrice del debito di imposta; nel caso della imposta di fabbricazione una tantum sugli spiriti introdotta con l'art. 11 del d.l. 27 agosto 1970, n. 621, l'obbligazione � natia per effetto della giacenza di spiriti liberi da imposta al momento della entrata in vigore del decreto, indipendentemente dal successivo procedimento di liquidazione dell'imposta che opera al livello della esigibilit� e non a quello della nascita del rapporto (2). (omissis) 1. -Con iJ primo motivo del ricorso -deducendo violazione del d.l. 27 agosto 1970, n. 621, delJ'airticolo unico della legge 18 dicembre 1970, n. 1035, dehl'art. 12 delle disposizioni sulJa legge in generale, e dell'art. 77, terzo comma Cost. in riferimento all'art. 360, n. 3, c.p.c. -la S.p.A. Stock afferma che la Corte dii Appello ha erroneamente ritenuto fondata la pretesa dell'Amministrazione finanziaria di percepire l'aumento dell'imposta di fabbricazione sugli aJcoli liberi da imposta detenuti al!la data di entrata in vigore del decreto-legge n. 621 del 1970, ai sensi dell'art. 11 del decreto stesso, senza considerare: a) che il decreto non � stato tempestivamente convertito in legge e la legge 18 dicembre 1970, n. 1035 che ha dichiarato efficaci i rapporti giuridici, anche (1-2) Le Sezioni Unite hanno confermato l'indirizzo affermato con la sentenza 6 ottobre 1977, n. 4262, in questa Rassegna, 1978, I, 354. Della seconda massima, che riconferma un orientamento fermissimo, � notevole la rilevanza concreta degli effetti al di l� di una teorizzazione scolastica. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tributari, sorti suhla base del decreto-legge, deve essere intel.'pretata tenendo presente 'Che il successivo decreto-legge 26 ottobre 1970, n. 745, convertito �in legge 18 dicembre 1970, n. 1034, pur riproducendo quasi integralmente il contenuto del provvedimento non convertito, non contiene una disposizione corrispondente al citato art. 11; b) che la legge n. 1035 del 1970 attribuisce validit� agli atti gi� compiuti in base al decreto-legge non convertito, ma non anche a quelli eventualmente adottati dopo la scadenza del periodo di temporanea vigenza del provvedimento, e nella specie gli atti dell'Amministrazione fim.anziaria applicativi del tributo per cui � causa sono tutti successivi a tale scadenza; e) ohe la legge n. 1035 del 1970 definisce efficaci i rapporti giuridici sorti in base al decreto-legge non convertito, ma non anche quelli non ancora esauriti nel periodo di temporanea vigenza, e nella specie il rapporto tributario -se pur poteva considera1.1si sorto -non si era certamente esaurito in quel periodo; d) ohe fa legge n. 1035 del 1970 si � risolta .in una conversione tardiva di un decreto-legge. Con iJ. secondo motivo poi la ricorrente pri[];cipa[e afferma che la legge citata, sia per '1a sua attivit� sia per iJa genericit� della sua for_ mulazione, appare in contrasto con l'art. 77, comma 3, Cost. e pll."opone quindi la relativa questione di legdttimit� costituzionale. I due motivi -che, per connessione, possono esisere esaminati congiuntamente -sono infondati. I problemi sollevati dalla societ� ricorrente sono stati gi� esaminati, e risolti in senso ad ess1a sfavorevole, dalle sentenze n. 3871 e n. 4262 del 1977 deHa 1" sezione civile di questa Corte, e rispetto a tali pronunzie non sono stati prospettati argomenti nuovi o comunque idonei a gius.tificare una diversa solluzione. 2. -La circostanza di cui alla lettera a) � del tutto irrilevante. L'art. 5 del decreto-legge n. 621 aveva .disposto Ulil aumento delJ'imposta di fabbricazione sugli spiriti. Tale aumento si sarebbe aippli:cato agli spiriti in corso di fabbricazione, 111on ancora usciti dai locali . di produzione, ail momento della Joro immissione sul me1.1Cato e di �sso si sarebbe tenuto conto neHa determinazione del prezzo del prodotto finito, con la nota conseguenza della traslazione dell'incidenza tributaria sul consumatore. Era peraltro prevedibile che il nuovo prezzo avrebbe interessato anche i prodotti finiti ohe avevano gi� �scontato l'imposta nella minor misura prevista dalla legislazione precedente e che si trovavano nei magazzini dei produttori o presso i rivenditori in attesa di es,sere immessi sul mercato. Per evitare che l'applicazione del nuovo prezzo anche a tali giacenze potesse risolversi i111 un ingiustificato arricchimento dei detentori delle scorte, che avrebbero incassato una somma pi� elevata senza una .covrispondente maggiore spesa, l'art. 11 del decreto-legge -secondo un costante orientamento seguito in casi consimili ~cfr. di recente l'art. 17 della 1. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 788 31 ottobre 1980, n. 693) -ha istituito, parallelamente all'aumento dell'imposta di fabbricazione, un'imposta Wla tantum sulle giacenze di spiriti, in misura corrispondente alla differenza fra il nuovo importo dell'imposta e quello precedente. A seguito della mancata tempestiva conversione del l decreto fogge n. 621 sono stati emanati ,in data 18 dicemb'.Ve 1970 due distJ.niti provvedimenti legislativi. Da un J.ato la J:egge n. 1034 che, conve11tendo il decreto-legge 26 ottobre 1970, n. 745, ha nuovamente aumentato l'imposta di fabbricazione sugli spiriti, nella misura gi� contemplata dal precedente decreto. E dall'altro la legge n. 1035 che, dichiarando validi ed efficaci gli atti e i prowedimenti adottati e i rapporti giuridici, compresi quelli tributari, sorti sulla base del deareto non convertito, ha mantenuto feruna l'imposta sulle giacenze esistenti alla data di entrata in vigore deil decreto stesso. n decreto n. 745 perci� non ha riprodotto la disposizione dell'art. 11 del decreto n. 621 per la determinante ragione che la diS'ciplina delle giacenze es!iJs.tenti alla data di entrata in vigoce di I I ~quest'ultimo provvedimento era stata tenuta in vita dalla legge n. 1035. La mancata riproduzione -lungi dal tradurre un intento � abdioativo � del legislatore, come affe'.J:'IDa la ricorrente -pu� essere interpretata nel senso opposto ed � perfettamente coerente con J'esigemJa di evitare ingiustificate ~ disparit� di trattamento in situazioni sostanzialmente non differenziate. ~ I ~ 3. -Per quanto riguarda il plllllto di cui alJa lettera b), le precedenti sentenze della prima sezione hanno gi� posto in rilievo che -avendo il decretoJegge n. 621 introdotto una disciplina di svariate materie, al fine di porre rimedio alla orisi economica in corso -la successiva Iegge n. 1035, l emanata allo scopo di regolare gli effetti della mancata conversione del i �decreto stesso, ha adoperato intenzionalmente una terminologia comprenf: siva di tutte le ipotesi su cui doveva operare. f ~ Pertanto, attribuendo efficacia agli atti ed ai provvedimenti adottati I in base al decreto nonch� ai rapporti giuridici sorti in base ad essi, la E legge n. 1035 ha posto 'due previsioni alternative, onde esS'a � applicabile i alla fattispecie in esame sia ove sussista un'ipotesi di � Atto compiuto o I provvedimento adottato�, sia ove si tratti invece di un �rapporto giuri dico sorto � sulla base del decreto non convertito. Correttamente quindi I la sentenza impugnata ha ritenuto determinante il'accertamento dell'esistenza nella specie di un rapporto tributario sorto nel periodo della temI ! poranea vigenza del decreto. I ! 4. -Il punto di cui alla lettera e) pone il problema della definizione ! di �rapporto giuridico (tributario)" sorto� in base al deoreto n. 621. I La tesi della ricorrente -secondo cui per � rapporto giuridico sorto � ' deve intendersi un rapporto del tutto definito o esaurito -non pu� essere condivisa, posta l'intuitiva differenza che (sul piano 'logico e linguistico prima ancora che giuridico) separa il fenomeno de'l � sorgere � di un 1 I I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 789 rapporto, che :concerne l'origine, la nascita di esso, da quello della � definizione � o deill'� esaurimento�, che attiene per contro alla sua fine. Ed � assolutamente il�rilevante ol'opinione espressa al riguardo in una circolare dell'Amministrazione finanziaria, su cui inutiilnente la societ� si sof� ferma. N� si pu� dire -con la ricorrente -che in tal modo si attribuisce alla Iegge prevista dall'ultimo comma d((ll'art. 77 Cost., che ha natura certamente retroattiva, un'inammissibile portata ultrattiva. La legge con cui le Camere 1regolano i rapporti sorti sul'.la base dei decreti non convertiti � sicuramente retroattiva, nel senso :che la disciplina da essa posta si riferisce a situazioni verificatesi anteriormente alla sua entrata in vigore. Ma ci� non significa che la legge non possa -alla stregua di una valutazione la cui responsabilit� politica compete esclusivamente al Parlamento, salvo� il sindacato di 'legittimit� costituzionale -riconoscendo validit� ed efficacia ai rapporti nati nel periodo di temporanea vigenza del decreto, imprimere ad essi rilevanza per tutto il tempo del loro successivo esistere, fino alla sopravvenienza di un fatto estintivo. Per quanto concerne pi� particolarmente il rapporto giuridico tributario fa giurisprudenza di. questa Corte ha ripetutamente affermato che esso sorge nel momento in cui si determina ila situazione di fatto considerata dalla legge come generatrice del debito di imposta. Nel sistema introdotto dall'art. 11 del decreto-legge n. 621 il debito di imposta nasce per effetto della giacenza, al momento dell'entrata in vigore del decreto, di una certa quantit� di alcoli liberi da imposta, ohe il possessore deve denunziare nel termine di dieci giorni da quella data. Nel caso di specie � pacifico che la pretesa dell'Amministrazione finanziaria si riferisce ad alcoli giacenti presso l'attuale ricorrente aUa entrata in vigore del decreto e tempestivamente denunziati. Non � dubbio dunque che il fatto generativo del rapporto tributario si sia verificato nel periodo di temporanea vigenza ,del decreto e che i successivi atti dell'Amministrazione, posteriori a tale periodo ed in particolare la liquidazione dell'importo dovuto dal contribuente e la richiesta del pagamento attengono, non all'esistenza dell'obbligo tributario, bens� alla esigibilit� del debito dell'obbligato. I ripetuti richiami fatti dalla ricorrente ailla disciplina delle imposte di fabbricazione sugli spiriti, e specie all'art. 10 del testo unico approvato con d.m. 8 luglio 1924, non sono rilevanti. In primo �luogo .la liquidazione dell'imposta ad opera degli uffici finanziari competenti opera al livello dell'esigibilit�, della pretesa della Amministrazione e non a quello della nascita del rapporto, come si � gi� detto. E comunque la disciplina dell'imposta dovuta periodicamente sulle merci di volta in volta oggetto di fabbricazione non pu� essere utilmente richiamata per trarne criteri di interpretazione di una norma concernente invece un'imposizione tributaria� prevista con carattere di unicit�, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO riferita cio� alle sole merci esistenti ad una determinata data, per la quale il fatto costitutivo del rapporto � la giacenza a quella data e la stessa entit� del tributo � agevolmente determinabile moltiplicando l'importo previsto dalla norma per unit� di misura per la quantit� di merce denunziata dal detentore come giacente. 5. -In relazione ai punti di cui alla lettera cl), � sufficiente rilevare che l'art. 77 comma terzo, Cost., non prevede alcun limite nell'esercizio da parte del Parlamento del potere di regolare con legge i �rapporti sorti in base ad un decreto non convertito. E pertanto una legge che applicasse a ta.Ji rapporti l'identica disciplina introdotta dal decreto non potrebbe,. di per s�, essere considerata in contrasto con il citato art. 77, salvo beninteso il rispetto degli altri principi costituzionali. Una tale legge non si risolverebbe -come ritiene di affermare la ricorrente -in una conversione tardiva del decreto-legge, oltre il termine di sessanta giorni previsto dalla Costituzione, in quanto la disciplina dei rapporti in esame sarebbe posta diirettamente dalla legge rispetto a!Ja quale il precedente decreto avrebbe l'unico valore di un precedente storico, del tutto irrilevante sotto il profilo dell'individuazione della regolamentazione positiva. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 gennaio 1981, n. 361, Pres. Granata Est. Virgilio -P. M. Marozw della Rocca (conf.). Cassa di previdenza avvocati (avv. Cogliati Dezza) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Cevaro). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Pen� sioni -Sono equiparate ai redditi di lavoro subordinato -Pensioni erogate non in relazione ad un rapporto di favoro subm:idinato -lrri� levanza della distinzione. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 85, 87, 127 e 143; legge 4 dicembre 1962, n. 1682, art. 2). Tributi erariali diretti -Sanzioni non penali per le violazioni . Sanzioni in sede di riscossione . Applicabilit� dell'art. 248 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 . Esclusione. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 248). Sono sempre equiparati ai redditi di lavoro autonomo tutte le pensioni anche se (come quelle degli avvocati) non sono in relazione ad un anteriore rapporto di lavoro subordinato; su tutte va operata la ritenuta di acconto (1). La norma dell'art. 248 del t.u. delle imposte dirette, che prevede la inapplicabilit� delle sanzioni quando sia seriamente contestabile l'esi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 791 stenza dei presupposti della obbligazione, � in esclusiva relazione con le sanzioni in sede di accertamento e non trova applicazione per le sanzioni in sede di riscossione quali quelle dell'art. 264 per omessa ritenuta (2). (omissis) La ricorrente deduce: 1) -La Commissione centrale :non ha consiiderato, incorrendo anche nel vizio di difetto di motivazione, che la assimilazione delle pensioni al reddito di lavoro subordinato, introdotta con la legge n. 1682 del 1962, riguarda esclusivamente le pensioni corrisposte in relazione a un pregresso rapporto di lavoro subordinato, e non quelle di diversa natura, come sono le pensioni erogate dalla Cassa; 2) -Comunque, la obiettiva incertezza sull'esistenza dei presupposti della obbligazione tributaria, avrebbe dovuto far ritenere app1icabile, contrariamente a quanto ha deciso la Commissione centrale, fa disposizione dell'art. 248 del T.U. n. 645 del 1958, che esclude in questi casi l'irrogazione delle sanzioni. Il primo motivo � infondato. Dal coordinamento delle molteplici disposizioni contenute negli arti coli 85, 87, 127 e 143 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, risulta che anche le pensioni diverse da quelle riferibili ad Uil1 pregresso �rapporto di lavoro subordinato sono comprese nell'ambito della normativa sulla ritenuta di acconto per le imposte di ricchezza mobile e complementare. Questo risultato interpretativo trova supporto nella modifica appor tata all'art. 87 con la legge 4 dicembre 1962, n. 1682, per effetto della quale � le pensioni e le indennit� di anzianit� e di previdenza so:no assi milate al reddito del lavoro subordinato�. Poich� l'assimilazione � stata operata dal legislatore indiscriminata mente, per le categorie considerate (pensioni e indennit� di anzianit� e di previdenza), fa distinzione tra pensioni derivanti da pregresso rapporto di lavoro subordinato e pensioni non ricolilegantisi a tale tipo di attivit� lavorativa incontra un primo ostacolo nel tenore letterale della norma modificativa, e nel principio ermeneutico secondo cui �all'interprete non � consentito -ove non si ravvisino nel sistema altri validi elementi chia ramente indicativi di una diversa voluntas legis -di introdurre, rispetto alle categorie concettuali enunciate, differenziazioni e distinzioni non previste. n sistema derivante dalla modifica apportata all'art. 87 �risulta, dun que, di evidente linearit� sul piano testuale: gli obblighi posti a carico (1-2) La questione � nuova e di rilevante interesse. L'equiparazione delle pensioni agli stipendi � a tutti gli effetti; se si ammettesse una distinzione per sottrarsi all'obbligo della ritenuta, si dovrebbe affermare allo stesso tempo la non tassabilit�; il che sarebbe troppo. Sulla seconda massima v. Cass. 3 luglio 1979, n. 3735 in Riv. leg'. fisc. 1980 n. 267. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dei soggetti menzionati nell'art. 127 -compreso quello di cui all'art. 143 riguardante la ritenuta d'acconto -si riferiscono non soltanto ai redditi del �lavoro subordinato, secondo la originaria previsione dell'art. 87, ma anche a tutte le pensioni indistintamente (tranne, ovviamente, quelle che siano diversamente regolate in base a disposizioni speciali), tanto se collegate a pregresso rapporto di lavoro dipendente, quanto se dipendenti da altra causa. Questa portata della legge trova, peraltro, piena conferma sul piano della interpretazione logica, in quanto non � ravvisabile alcun elemento atto a giustificare un trattamento differenziato, ai fini che qui interessano, per ie due categorie di pensioni. La difesa della ricorrente ha posto in evidenza -per dedurne che la innovazione apportata all'art. 87 riguarda soltanto Je pensioni ricollegabili a pregresso rapporto di lavoro subordinato -alcune imprecisioni d'ordine testuale che, pur essendo formalmente esatte, non possono tuttavia indurre alla conclusione che se ne vorrebbe far derivare. Dopo l'assimilazione disposta con la legge del 1962; sicuramente � divenuta pleonastica, per quanto concerne la categoria delle pensioni, la suddivisione contenuta nell'art. 85 tra redditi di lavoro subordinato e �redditi alla cui produzione non concorrono attualmente n� capitale n� lavoro, come pensioni, vitalizi, sussidi e simili �. Infatti, per effetto della menzionata assimilazione, le pensioni risultano assoggettate alla medesima disciplina dei redditi del lavoro subordinato, per cui la loro tassabilit� in Cat. C/2 trova ora nell'assimilazione stessa la sua fonte normativa, con la conseguenza che la menzione, nella elencazione deH'art. 85, anche delle pensioni ha perduto la sua originaria rilev:anza. Ma da questo mancato coordinamento terminologico tra .Je molteplici disposizioni del T.U. del 1958 e il testo modificato dell'art. 87 non si pu� trarre la illazione che l'art. 85 sia stato consapevolmente lasciato invariato, in quanto il termine � pensioni � seguita a designare, nell'ambito .della categoria, quelle non riferibili a pregresso i:apporto di lavoro subordinato, e perci� non rientranti tra Je � assimilate � di cui alila legge del 1962, e che per questa specifica ragione era indispensabile mantenere immutato l'art. 85, al fine di evidenziare che le pensioni non assimilate erano pur sempre soggette a tassazione C/2. L'argomentazione, per quanto sottile, non pu� comportare la propugnata interpretazione dell'art. 87, nel testo modificato, perch� :le conclusioni che si vorrebbero far derivare dalla suindicata asserita giustificazione del mantenimento del termine �pensioni� ne1l'art. 85 si pongono sul piano de1la incompatibilit�, dal punto di vista letterale e logico, con la norma innovativa, la quale ha in definitiva inteso estendere, attraverso la assimilazione, l'obbligo della cosiddetta tassazione per ritenuta anche alle PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA pensioni di qualunque tipo e agli altri emolumenti menzion;;tti nella norma stessa. Gli ulteriori elementi indicati .daJla ricorrente sono egualmente inido� nei a suffragare la tesi sostenuta. Che gli articoli 127 e 143, ai fini della ritenuta d'acconto, usino le espressioni -non modificate dopo la innovazione della Jegge del 1962 �prestatori di lavoro� e �periodo di paga�, le quali non �si attagliano con precisione alla condizione dei pensionati (e tanto meno alla condizione dei pensionati non collegati a pregresso rapporto di lavoro subordinato, non essendo i loro emolumenti concettualmente classificabili come aventi natura di retribuzione differita) costituisce una mera anomal�a terminologica -non inconsueta nei contesti normativi di una certa complessit� che abbiaino sub�to frammentarie modifiche -facilmente emendabile ove si consideri che, per quanto concerne le pensioni, le indicate espressioni vanno intese nel senso di � soggetti percipienti � e � periodi di erogazione � delle somme. D'altronde, l'art. 89 (che disciplina la quota esente) parla, per tutti i redditi di cat. C/2, di detrazione �rapportata a ciascun periodo di paga�, e con tale espressione, che indubbiamente si riferisce anche alle pensioni di ogni tipo -in quanto sarebbe inconcepibile la esclusione di alcune di esse dal beneficio della quota esente -accomuna, con l'uso di terminologia non rigorosamente esatta, redditi e pensioni. Vi �, dunque, nello stesso sistema normativo in esame la conferma testuale dell'impiego di formule che, in senso rigorosamente letterali::; non si attagliano a tutte le categorie concettuali che pur risultano sussunte sotto la medesima espressione formale. Questa considerazione conferma che anche fo altre imprecisioni segnalate dalla ricorrente trovano la foro ragionevole spiegazione nel menzionato fenomeno d'imperfezione formale, sotto il profilo terminologico, di alcune disposizioni del T.U. del 1958, che si � maggiormente accentuato dopo le parziali modificazioni apportate alla normativa. Neppure il secondo motivo pu� essere accolto. La questione dell'inapplicabilit� della disposizione di cui all'art. 248 del T.U. n. 645 del 1958 alla ipotesi di omissione dell'obbligo di operare la dtenuta di aoconto (art. 264 stesso T.U.) � stata gi� esaminata e decisa da questa Corte Suprema con sentenza del 3 luglio 1979, n. 3735. � stato messo in evidenza che la norma di tutela del contribuente, in caso di obiettiva incertezza sulla esistenza dei presupposti de1la obbligazione tributaria, si riferisce soltanto 1aille ipotesi di sanzioni (per � l'omissione, la tardivit� e l'incompletezza della dichiarazione�) comminate nel titolo Xl, capo primo, del T.U., e non anche alle diverse ipotesi di �sanzioni in sede di riscossione �, costituenti oggetto del capo II del medesimo titolo XL 794 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Non solo dal punto di vista della formazione letterale della dispo� ~ sizione suddetta (art. 248), ma anche con riferimento alla sua colloca� zione nell'ambito del capo I, risuJta chiaro che il legislatore ha inteso limitare l'applicabilit� di quella disposizione alle omissioni e manchevolezze riferentisi agli obblighi a carico del contribuente nel momento '1~).. . . . della dichiarazione, cio� nella fuse di accertamento dei presupposti del tributo, mentre per le sanzioni relative a violazioni di obblighi �in sede di riscossione� (come � queHa consistente nell'omissione della ritenuta), la fattispecie ricade nella previsione dell'art. 264 del T.U. del 1958, ed esula pertanto dal[a srfera di operativit� della disposizione particolare invocata dalla ricorrente. Tale disposizione attiene, come si � gi� detto, alle sanzioni per le violazioni commesse nella diversa fase dell'accertamento del presupposto tributario, e non pu� essere estesa anche alle sanzioni, separatamente disciplinate, riguardanti violazioni commesse nella fase di -riscossione, le quali ultime non sono state ritenute dal legislatore meritevoli dello stesso trattamento, a causa evidentemente della differente condizione in cui si trova il contribuente, �rispetto a quella dell'obbligato ad operare la ritenuta di acconto. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 15 gennaio 1981, n. 366 � Pres. Sandulli . Est. Borruso � P. M. Leo (conf.) � Lippolis c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Mari). Tributi erariali diretti � Imposta sul reddito dti ricchezza mobile � Avviamento � Cessione di azienda � Presunzione � Applicabilit� dell'art. 197 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 � Esclusione. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 197). La presunzione stabilita dall'art. 197 del t.u. delle imposte dirette � operante soltanto ai fini della responsabilit� sussidiaria del cessionario per le imposte sui redditi prodotti dal cedente; deve di conseguenza dichiararsi la nullit� dell'accertamento che abbia fondato sulla presunzione di cessione di azienda un accertamento di plusvalenza per realizzo di avviamento (1). (1) Non pu� essere condiviso il formalismo che informa la decisione sopra riportata. Se pure non pu� disconoscersi che la stretta interpretazione dell'art. 197 del t.u. sulle jmposte dirette � nel senso che la presunzione di trasferimento � stabilita �agli effetti� della responsabilit� sussidiaria del cessionario, deve pure ammettersi che ad altri fini, ed in:lipendentemente da una norma specifica, si pu� presumere il trasferimento dell'azienda; gli stessi elementi sintomatici indicati nell'art. 197 del t.u. erano assunti anche nell'art. 18 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 795 .(omissis) Col primo motivo di ricorso il contribuente -premesso che ila presunzione di cessione di azienda posta dal citato art. 197 � dal medesimo espressamente limitata all'effetto di assicurare, con la responsabilit� solidale dei presenti cessionari, idonee garanzie patrimoniali per la riscossione de1le imposte ivi elencate nel caso di insolvenza del presunto ,cedente -lamenta che la Commissione Centrale avrebbe fatto una inammissibile applicazione analogica di tale norma, presumendo non soltanto la cessione ma anche, in tale occasione, 11 realizzo da parte del presunto cedente di un valore di avviamento, omettendo di considerare che in ordine a tlale realizzo -non confondibile col reddito di eserx:izio nessU! Ila presunzione legaile � posta dalla legge e ohe, pertanto, avrebbe dovuto la Finanza -e poi il contribuente -dare la prova del proprio assunto, in base ad una logica valutazione di elementi che conducessero a far ritenere effettivamente avvenuto il trasferimento de1l'azienda. Il motivo � fondato. La presunzione � iuris tantum � di cessione di azienda, posta dal quarto comma dell'art. 197 del t.u. delle leggi sulle imposte dirette, appro� vato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, nei confronti di chi, nei medesimi locali o in parte di essi, continui ad esercitare la stessa attivit� commerciale svoltla dai precedenti titolari dell'azienda che gli si presume ceduta, nori ha infatti, una portata generale nel campo delle imposte dirette, ma � espressamente limitata dal legislatore alla discipJina della riscossione delle imposte gi� accertate (o comunque gi� dovute dal contribuente) al solo fine di facilitarla stabilendo, rispetto al loro pagamento, una responsabilit� solidale tra 11 presunto cessionario e il presunto cedente. La �ratio� di una siffatta presunzione � del tutto evidente: poich� tra l'attivit� che .genera la debenza dell'imposta e il suo accertamento da dell'abrogata legge di registro come rivelatori di un trasferimento e sicuramente la plusvalenza per realizzo di avviamento pu� bene basarsi su una presunzione di trasferimento dell'azienda. Ed anzi se per affermare la responsabilit� del terzo per un obbligo altrui � necessaria una norma espressa, questa esigenza non esiste per lo stesso contribuente che non pu� trarre profitto dal non aver reso palese la cessione. Ora se i fatti rivelatori di una cessione sono stati posti a fondamento di un accertamento per realizzo di avviamento, occorrer� valutare la sussistenza della cessione sulla base degli elementi presuntivi addotti, anche se in modo non del tutto ortodosso nell'accertamento si � fatta menzione dell'art. 197. Lascia seriamente dubbiosi la parte finale della motivazione ove si afferma che gli organi di giustizia tributaria non avevano il potere di sostituire d'ufficio il fondamento della pretesa fatta valere dalla finanza per indagare, a prescindere dall'art. 197, se la cessione potesse essere dimostrata in .via di presunzione semplice, ma dovevano necessariamente dichiarare nullo l'accertamento. Un tale rigorismo di forme, che esalta il peccato di imperfetta menzione di una norma precludendo al giudice di conoscere sulla sostanza della controversia, � certamente inconciliabile con il giudizio tributario che � di merito sullo accertamento del rapporto. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO parte ,della Finanza (o la stessa dichiarazione dei redditi da essa ricavati presentata dal contribuente all'ufficio delle imposte) trascorre un tempo notevole che per l'accertamento pu� giungere a calcolarsi in anni (tanti quanti sono quelli stabiliti dalla legge per la prescrizione del diritto della FiI1Janza all'accertamento in rettifica o in sostituzione dell'imponibile dichiarato, senza contare la durata spesso lunghissima dell'eventuale contenzioso tributario), pu� ben accadere che, in sede di riscossione dell'imposta, definitivamente accertata a tanta distanza di tempo dall'anno in relazione. al quale essa � dovuta, hl contribuente abbia perduto ogni suo bene o comunque -in buona o in mala fede -se ne sia disfatto (ivi oompresa l'azienda da cui scatur� iJ. reddito oggetto dell'imposta), cosioch� il recupero della medesima divenga impossibile per difetto di cespiti pignorabili, con gravissimo pregiudizio, materiale e morale, per la Finanza e intollerabile incoraggiamento a tal forma non sanzionabile di evasione tributaria. Ad evitare un cos� deprecabile fenomeno il legislatore, nei primi tre commi del citato art. 197, ha stabilito la responsabilit� solidale �degli acquirenti a qualsiasi titolo di una azienda produttiva di reddito di R.M. cat. B o Cl � con i cessionari � p�r il pagamento delle imposte sui redditi dell'esercizio e di quella sui redditi di categoda C2 dovute sulla base della dichiarazione o degli accertamenti dell'ufficio, da tutti i precedenti titolari per il periodo d'imposta in corso alla data della cessione e per il periodo precedente�. Al quarto comma poi, i�I legislatore ha aggiunto: � Agli effetti dei commi che precedono si presume acquirente, salvo prova contraria, chi nei medesimi :locali o in parte di essi, esercita la stessa attivit� commerciale dei precedenti titolari dell'azienda�. Pu�, dunque, concludersi che, sia da un punto di vista strettamente letterale (dal quale la limitazione della presunzione � in.equivoca per effetto dell'inciso �Agli effetti dei commi che precedono�, inciso che esclude chiaramente estensioni di sorta), sia dal punto di vista della � ratio� della norma (fare dell'avvenuta cessione dell'azienda iJ. titolo di una responsabilit� soHdale tra cedente e cessionario per il pagamento delle imposte gi� dal cedente stesso dichiarate o accertate nei suoi confronti dall'Ufficio e favorire sul piano probatorio la Finanza nel servirsi di tale responsab11it� solidalle, con una presunzione di cessione che ribalti sul contribuente l'onere di provarne l'inesistenza) non vi sia alcuna plausibile. ragione per applicare la presunzione di cui trattasi in un settore e per effetti del tutto diversi da quelli in ordine ai quali � stata posta. La pretesa dell'Ufficio delle Imposte di Bari nei confronti del vecchio Giuseppe Lippolis non atteneva ad alcuna responsabilit� solidale con altri per il pagamento di imposte dirette gi� dichiarate o gi� accertate, ma in essa ci si � serviti della presunzione creata al fine di rendere pi� facil PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA mente operante tale responsabilit� per accertare una imposta nuova a carico del Lippolis stesso; per accertare, cio�, mediante presunzione che 11 predetto avrebbe ceduto fa sua azienda ad una societ� costituita tra suo figlio e sua nuora e da tale presunzione ricavare l'ulteriore presunzione che, al momento di tale cessione, egli avrebbe realizzato il. valore di avviamento dell'azienda ceduta. A prescindere dalla inammissibilit� della � praesumptio de praesumpto �, qui � sufficiente osservare, per accogliere il ricorso del Lippolis padre, che non poteva, ex art. 197 gi� pi� volte citato, essere presunta la cessione per una finalit� del tutto diversa da quella per la quale la presunzione di cessione � posta (e, ovviamente, non potendo essere presunta la cessione, neppure il realizzo del valore di avviamento che in tale occasione si sarebbe verificato). Come il ricorrente esattamente sostiene, nell'impugnata decisione si sarebbe in sostanza pervenuti a fare l'applicazione analogica di una norma dettata per una materia (la riscossione delle imposte dirette: titolo X, capo II del citato t.u. n. 645 del '58) ad una materia tutt'affatto diversa: l'accertamento delle imposte dirette e pi� precisamente la determinazione del reddito netto de1la R.M. cat. B e Cl: titolo V, capo III del medesimo t.u.). Orbene, in materia tributaria pu� essere ammessa -ove ne ricorrano le condizioni -l'interpretazione estensiva di una norma, ma non mai quella analogica, quando, come ne1la specie, si voglia basare sull'analogia con altra materia il titolo della debenza di un'imposta e Ja possibilit� per la Finanza di provarla mediante presunzione. Regola generale del diritto tributario � che non possano essere pretese dal contribuente se non quelle imposte tassativamente previste ne1la legge e che spetti alla Finanza l'onere di provare il presupposto economico-giuridico sul quale l'imposta stessa � dal legislatore fondata e che ognuno risponda normalmente soltanto delle imposte che lo riguardano (che sono cio� in correlazione con la sua capacit� contributiva: art. 53 Cast.). Pertanto, la possibi.Jit� di applicare analogicamente .il citato art. 197 fuori dei limiti di applicazione consentiti dalla lettera e) dalla � rntio � della norma, urta irrimediabilmente contro l'art. 14 delle preleggi ai sensi del quale � le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esso considerati�. Conseguentemente, poich� l'Ufficio delle Imposte ha basato l'accertamento �de quo� unicamente sulla presunzione, di cui al citato art. 117; una volta accertata l'illegittimit� di tale presunzione, l'accertamento stesso non pu� che essere annu1lato, non avendo gli organi della Giustizia tributaria il potere di sostituire d'ufficio, nel corso del processo, il fondamento della pretesa fatta valere dalla Finanza e, quindi, di indagare se -a prescindere dalla presunzione di cui al citato art. 197 -si potesse nella specie cogliere nelle difese dedotte dal contribuente per offrire la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 798 prova contraria alJa predetta presunzione, elementi probatori sufficienti a dimostrare in via presuntiva semplice (senzia far ricorso ad akuna specifica presunzione legale) l'esistenza di un trasferimento di azienda. E ci� anche perch� prova e contro-prova non possono che essere valutate unitariamente, sicch� se l'ufficio non aveva il diritto di usare come mezzo di prova la presunzione di cui trattasi, nessun conto pu� neppure tenersi dalle deduzioni di contro-prova illegittimamente provocate. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 gennaio 1981, n. 496 -Pres. Marchetti Est. Corda -P. M. Valente (conf.) -Nunziata c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Viceconte). Tributi in genere � Contenzioso tributario � Morte deJfa parte � Omessa dichiarazione � Pronunzia della decisione � Legittimit� � Art. 31 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 � Inapplicabilit� nel caso che l'evento sopravven� ga mentre il giudizio � pendente. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 31). La morte della parte produce effetti processuali soltanto quando sia dichiarata s� che in mancanza di dichiarazione � legittimamente pronunciata la decisione nei confronti della parte defunta in pendenza del procedimento, � in tale situazione non trova applicazione l'art. 31 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 che prevede la proroga del termine per l'impugnazione quando la morte sopravviene in pendenza del termine non quando sia avvenuta anteriormente all'inizio della decorrenza di detto termine (1). (omissis) Nel caso in esame, pertanto, il termine ultimo per la proposizione del ricorso, tenut� conto, appunto, della data di pubblicazione (1) :� molto importante l'affermazione che la morte non dichiarata � irrilevante sul processo, con la conseguenza che la sentenza pronunciata nei confronti della parte defunta passa in giudicato con la decorrenza dell'anno dalla pubblicazione ex art. 327 c.p.c. (per l'applicabilit� dell'art. 327, riaffermata anche in questa pronunzia, cfr. pi� diffusamente le sentenze 24 gennaio 1981, n. 542 e 27 gennaio 1981, n. 624, in questa Rassegna, .1981, I, 590). Esattissima � anche la precisazione che l'art. ~1 del d.P.R. n. 636 del 1972 disciplina soltanto l'ipotesi della morte che sopravviene mentre � gi� in corso il termine per proporre l'impugnazione. Resta il problema della notifica della decisione e soprattutto il ricorso per Cassazione quando la morte sia ignorata dall'Amministrazione e non � possibile entro il termine individuare gli eredi; sul punto v. C. BAFILE, Prime riflessioni sulla decorrenza del termine per la notifica del ricorso per Cassazione contro la decisione della Commissione Centrale, in questa Rassegna, 1977, I, 722. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA della decisione impugnata e della sospensione dei ternnini nel � periodo feriale�, scadenva il 1� settembre 1977; n� pu� ritenersi che fo stesso termine abbia subito �proroga� (ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) per effetto della morte del contribuente, poich� tale fatto si � verificato non gi� in pendenza del termine per la presentazione del ricorso contro la decisione impugnata, bens� in pendenza del gravame dell'Ufficio contro la pronuncia della Commissione Provinciale di Napoli. n citato art. 31, infatti, prevede -ai fini di detta �proroga� -l'ipotesi del decesso avvenuta in pendenza di un .termine ancora aperto; e del resto, se il termine in questione � prorogato di sei mesi dalla morte del contribuente, � ovvio che, essendo questa avvenuta in una precedente fase del giudizio, la stessa non pu� esercitare influenza alcuna agli effetti della tempestivit� del ricorso proposto davanti a questa Corte di Cassazione. Il ricorrente si adopera, inoltre, a dimostrare che sarebbe nulla la decisione impugnata, perch� emessa nei confronti del Nunziata deceduto, sostenendo che sarebbe conseguentemente nulla anche la notifica fatta ai figli che, al momento, non avevano la veste di �eredi�, ma solo di �chiamati alla eredit��. In proposito, per�, va osservato ohe il. decesso della parte in tanto pu� assumere rilevanza e, quindi, produrre effetti nel processo, in quanto venga dichiarato. E poich� non risulta che tale fatto fosse stato mai portato a conoscenza della Commissione Tributaria Centrale, non pu� che concludersi nel senso che la Commissione predetta bene ha pronunciato nei confronti del contribuente. In ogni caso, 11assunto contrario (e cio� l'alllegazione del fatto che il decesso era stato dichiarato e che, perci�, fa pronuncia era stata data nei confronti di un soggetto che gi� risultava come non pi� esistente) l'odierno ricorrente avrebbe dovuto, eventualmente, dedurre con una tempestiva impugnazione. Ma poich� deve� concludersi -in base a quanto si � detto in precedenza -che la notifica della decisione ai figli del contribuente era avvenuta quando gi� la decisione era passata in giudicato, � vano discutere della regolarit�, o meno, della notifica di che trattasi, anche se la questione � stata posta, in ultima analisi, per gli eventuali riflessi che avrebbe potuto avere sulla legittimazione ad processum. Ad abundantiam, tuttavia, pu� ancora osservarsi, secondo quanto suggerito dalla difesa dell'Amministrazione, che la posi� zione del ricorrente appare, in proposito, palesemente contraddittoria, perch� da un lato egli assume di avere proposto l'impugnazione nella sua qualit� di chiamato all'eredit� (e, quindi, per compiere un atto diretto alla conservazione del patrimonio relitto dal contribuente) e, dall'altro, finisce per negare di avere la legittimazione a esercitare il relativo diritto. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 800 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 gennaio 1981 n. 571 -Pres. Sandulli Est. Corda -P. M. Grossi (conf.) -Soc. Fiscambi (avv. Salvucci) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Rossi). Tl'ibuti erariali indiretti -Imposta di registro -Privilegio -Decorrenza Imposta principale dalla data di confezione dell'atto � Imposta com� plementare e suppletiva dalla data della registrazione. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 97; e.e. 2772). Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Privilegio -Validit� Azione esercitata contro il debitore -Termine di decadenza. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 97). Il privilegio speciale che assiste l'imposta di registro sorge al momento della confezione dell'atto per l'imposta principale ed al momento della registrazione per l'imposta complementare e suppletiva (1). Il privilegio speciale che assiste l'imposta di registro � soggetto al termine triennale di decadenza sia quando venga esercitato verso terza possessore sia quando venga vantato contro lo stesso debitore (2). (omissis) 1. -Col primo motivo, Ja ricorrente S.p.A. Fiscambi lamenta la violazione e falsa app.licazione degli articoli 97 della legge organica di registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269) e 2772 cod. civ. Critica la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il privilegio speciale sugli immobili, relativo al � supplemento� di imposta, prende data dal. momento in cui l'atto (al quale l'imposta di registro si riferisce) viene posto in (1-2) La prima massima introduce una illogica distinzione, sorretta da una argomentazione assai fragile. Ai fini del privilegio la distinzione va fatta tra imposta principale e complementare, soggette allo stesso regime, e imposta suppletiva. Ci� emerge chiaro sia dall'art. 97 della legge di registro ove si precisa che lo stesso privilegio garantisce anche l'imposta complementare, sia dall'art. 2772 e.e. nel quale la limitazione dell'ultima parte del primo comma riguarda soltanto l'imposta suppletiva. Le assai elaborate sentenze lrl maggio 1978, n. 2994 e 3 aprile 1979, n. 1878 (in questa Rassegna, 1978, I, 621 e 1979, I, 554) hanno affermato, a seguito di una disamina che supera le anteriori diverse statuizioni, che il privilegio sorge al momento della confezione dell'atto (ed � quindi poziore rispetto a diritti acquisiti nel tempo intercorrente tra la confezione e la registrazione) non soltanto per l'imposta principale, ma anche per l'imposta (complementare) dovuta a seguito di decadenza da agevolazioni; per la st�ssa ragione bisogna risalire alla data di confezione dell'atto non soltanto nelle varie ipotesi in cui l'imposta viene ordinariamente liquidata in un momento ritardato (negozio condizionato, contratto a corrispettivo variabile ecc.) ma anche per l'imposta � sul maggior valore accertato �. Nessuna ragione pu� giustificare il ritardo della operativit� del privilegio per l'imposta complementare; e sarebbe assurdo lasciare alla discrezione del PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 801 essere. Denuncia l'erroneit� di tale impostazione, assumendo che, in caso di � supplemento� di imposta, il privi!legio speciale suddetto prende, invece, data dal giorno della registrazione dell'atto; con la conseguenza nel caso concreto, che il privilegio non poteva essere esercitato in pregiudizio dei diritti di essa ricorrente che aveva iscritto (sull'immobile al quale si dferiva il tributo garantito dal privilegio speciale) un'ipoteca di undici giorni anteriore alda registrazione. La censura � fondata nei termini e limiti che saranno qui appresso indicati. La sentenza impugnata, per respingere il motivo di appello .incidentale proposto dalla Fiscambi contro la pronuncia di primo grado (motivo che ricalcava, ne1la sostanza, quello oggi riproposto in questa sede) si �, invero, limitata a enunciare la regola che il privilegio speciale sugli immobili, relativo alla �normale� imposta di registro, prende data dal giorno in cui � posto in essere l'atto soggetto a registrazione (e, a conforto, ha citato la sentenza di questa Corte Suprema 24 aprile 1963, n. 1086); mentre, nel caso di .imposta � suppletiva � il privilegio prende data dal giorno della registrazione. E, dopo questa premessa (peraltro neppure puntuale, perch� fa � normalit� � dell'imposta attiene alJa misura dell'aliquota, non gi� ailla natura dell'imposta stessa, di modo che ha ben scarso significato il contrapporre l'imposta �normale � a quella � suppletiva � quando voglia enunciarsi la regola del differente trattamento in tema di nascita del privilegio speciale; non esauriente, inoltre, perch� viene totalmente trascurata Ja considerazione del trattamento legale riservato all'imposta �complementare �) ha concluso che �essendo l'atto soggetto all'imposta di data anteriore alla iscrizione dell'ipoteca di cui la Fiscambi � titolare, non pu� dubitarsi che il conflitto fra privilegio speciale a favore dello Stato e diritto d'ipoteca spettante al terw si risolve a vantaggio del primo�. contribuente il poter manipolare l'efficienza del privilegio con il registrare l'atto successivamente (molte cose possono essere fatte nel termine di 20 giorni) ad altri atti di costituzione di diritti. A ben diverse esigenze deve sottostare l'imposta suppletiva (imprevedibile, mentre � sempre da prevedere, nel termine annuale di decadenza, un accerta� mento di maggior valore); ma la differenza non sta nella decorrenza del credito e del privilegio dal momento successivo della registrazione (� ben difficilmente accettabile che l'unica obbligazione tributaria di registro sorga frazionatamente in momenti diversi). Anche per l'imposta suppletiva il privilegio sorge (verso il debitore) al momento della confezione dell'atto, ma in realt� esso non � esercitabile verso i terzi che comunque abbiano acquisito diritti, anche successivamente alla registrazione. Per una ben diversa ratio il privilegio sulla imposta suppletiva cede sempre ai diritti dei terzi acquisiti prima che esso venga esercitato ed in ci� si distingue nettamente dall'imposta complementare. Del tutto fragile � l'argomentazione che aggancia la validit� del privilegio al decorso del termine di prescrizione individuando in ci� una differenza tra ~:::::::?-::?.::?.?.:::r.-rr:.::::::::;=::t.w.xr.w�.-r:::{.-::r1":::r-r:~?:::~~r:~:r:f~fff:~~~~f~rfr~~=J~~~~~~:~:~~~~ff?frf~f:f:ff:~~~f:~~~~~~~~~?~~r~~~~~f~~~~f~~~~~~~~~~~rffrfrt:rff]fili2WfmIK1r~--mrrtrf%f@'ftjf:rtKiW& �111111�1�11�1�111111111~PJ1�i�1111�r1��111�1� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 802 Siffatta conclusione, per�, non � neppure conseguente alla � premessa maggiore�, peroh� nel ragionamento seguito � chiaramente saltato il gradino della � premessa minore � ossia la qualificazione giuridica delle imposte in forza delle quali l'Amministrazione aveva esercitato H privilegio (tale non essendo, come si � accennato, quella qualifica di �normalit� � contenuta nella predetta �premessa maggior�). E se pu�, da un lato, affermarsi che quello qui rilevato integra gli estremi di un vizio di motivazione e, altres� che una tale denuncia � stata omessa dalla ricorrente, bene pu� da11'altro, ritenersi che anche la denuncia di � violazione e falsa applicazione degli articoli 97 della (vecchia) legge di registro e 2772 cod. civ. � ~quest'u1timo nel testo antecedente alla modif�ca apportata dalla legge 29 luglio 1975, n. 426) consente tuttavia, data la particolarit� della fattispecie (come sar� pi� avanti chiarito) di esaminare la questione sotto l'aspetto dell'intrinseco vizio giuridico contenuto nella predetta conclusione. La resistente Amministrazione finanziaria, peraltro, sembra negare anche, in modo assoluto, l'esattezza della riferita �premessa maggiore�, poich� sostiene (richiamandosi a1la �consolidata giurisprudenza�) che nascendo l'obbligazione tributaria sempre al momento del verificarsi del � presupposto � (ossia, giacch� si � in tema di imposta di registro, al momento in cui viene posto in essere l'atto soggetto a registrazione) solo a quel momento pu� essere fatto risalire il sorgere del privifogio speciale. Ma una siffatta convinzione, evidentemente, ha origine in una non attenta disamina dei precedenti giurisprudenziali invocati. Intanto va chiarito che l'art. 97 della legge organica di ~egistro del 1923, dopo avere premesso che fo Stato ha privHegio, secondo le norme stabilite dal codice civille, per la riscossione delle � tasse � di registro sui mobili e immobili cui la tassa si riferisce e, altres�, che il privilegio � garantisce anche la tassa dovuta sul maggior valore � accertato nel imposta principale e imposta complementare e suppletiva. Premesso che � ben possibile l'ipotesi che sia dovuta una imposta principale su atto gi� registrato (si pensi all'imposta dovuta su atto registrato per errore gratuitamente) soggetta a prescrizione triennale, si deve rilevare che � del tutto razionale il decorso della prescrizione dalla data della , registrazione, mentre sarebbe illogica la decorrenza da un momento anteriore; ma questo non significa che prima della registrazione non esiste nulla. Anche la seconda massima approfondisce scarsamente il problema. Senza dubbio tutte le numerose :pronunzie che hanno considerato di decadenza il termine dell'art. 97 si sono basate sull'esigenza di tutelare la circolazione dei beni e il diritto dei terzi; presumere che la stessa regola valga anche verso il debitore � troppo elementare se si considera la eccezionalit� della durata improrogabile del privilegio. La questione meriterebbe un maggiore approfondimento; essa si presenta sotto diversa luce con la normativa della legge vigente (art. 54 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634) che stabilisce invariabilmente l'estinzione del privilegio nel tennine di cinque anni dalla registrazione. t f I� ... -. I r ~l,-6A"4'--ffff1Wff-~1'!'."!2#'ffflli'W%0Wi>1ir7%'.$ J ____.__,,,__ : - 803 PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA giudizio di stima� (imposta complementare) disponeva che �l'azione si estingue nei termini stabiliti da1la presente legge per domandare il paga� mento della tassa o deil suo supplemento �. Ora, per quanto in questa sede non interessi particolarmente il problema de1la natura della � estinzione � (peraltro, unanimamente risolto nel senso che trattasi di una �decadenza�: v. ad es. la sent. n. 1086/63) non pu� tUJttavia, non rilevarsi che se l'estinzione delJ'1azione privilegiata � legata al termine stabilito 1per l'estinzione de11'azione diretta a chiedere il pagamento dell'imposta, analogo legame deve ritenersi sussistente per ci� ohe attiene alla nascita di detta azione. E poich� � stabilito che l'azione per chiedere l'imposta principale (l'imposta, ovviamente, dovuta per gli atti non registrati: ch�, se l'atto � presentato alla registrazione, l'imposta prmcipale non viene pi� in constiderazione, perch� COIU'.'isposta iin quel momento) si prescrive in venti anni {art. 138) mentre quella relativa 1alla richie. sta di pagamento del � supplemento di tassa � si prescrive col decorso di tre anni � dal giorno della registrazione� (art. 136, secondo comma) � di palmare evildemia che il privilegio nasce, nel primo caso, il giorno del com� pimento dell'atto, e nel secondo caso, il giorno della registrazione. E ci�, naturalmente, peroh� non pu� intendersi la concessione di un privilegio che non sia accessorio a un'azione esercitabile. N� vi � dubbio -anche al lume delle indicazioni fornite dalla migliore dottrina -che con l'espressione � supplemento di tassa � (peraltro non perfetta, sia perch� il voca� bolo � supplemento � non ha riscontro nell'art. 7 che specifica i vari tipi di imposta, classificate secondo la loro intima natura, in relazione al momento della riscossione; sia perch� il tributo in questione � un'imposta indiretta, non gi� una tassa, come invece, sembra ritenere la ricorrente) il legislatore abbia inteso riferirsi non solo all'imposta suppletiva, ma anche a queilla complementare: abbia inteso, cio�, riferirsi a tutte quelle imposte che, in relazione al momento della riscossione, differiscono dalla imposta principale. Questa stessa impostazione, d'altra parte appare gi� chiara nella giurisprudenza di questa Corte Suprema. Infatti, se da una parte si rin� viene la perentoria affermazione che il credito de1lo Stato per imposta di registro nasce, unitamente al connesso privilegio immobiJ.iare, al momento e per effetto della �confezione� delil'atto, per cui il privilegio stesso prevale, indipendentemente :da1la data di registrazione dell'atto dal� la cui tassazione nasce il credito d'imposta con esso garantito, sulle ipoteche di terzi iscritte sullo stesso immobile successivamente alla � confezione � dell'atto soggetto a registrazione (v. in tal senso, le sentenze 1879/79, 2294/78; 2293/73, 2856/72, 2271/69; 610/64 e sono evidentemente le sole sentenze che la Corte di appello e l'Amministrazione resistente 804 R~SSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO hanno tenuto presenti) si rinviene, daill'altra, J'affermazione apparentemente opposta, poich� la nascita del credito dello Stato, sempre ;per l'imposta di registro, e iJ connesso privilegio immobiliare sono fatti risalire al giorno della registrazione (sent. 2204/69; 2565/67; 1086/62). Non si tratta, per� a ben vedere di un � contrasto giurisprudenziale � bens� di due gruppi di sentenze che attengono a due fattispecie diverse: il primo riguarda l'imposta principale; il secondo, il �supplemento di tassa�, ossia l'imposta suppletiva o quella complementare. � chiaro, pertanto, che quando si discute di anteriorit� o prevalenza del privilegio speciale deHo Stato sulle ipoteche o altri diritti reali dei terzi, deve, in primo luogo, essere determinata con precisione la natura dell'imposta pretesa. La distinzione tra imposte principali, complementari o suppletive, infatti non � in linea generale rilevante solo agli effetti della prescrizione o dell'individuazione dei soggetti obbligati al pagamento, ma ailtres� per quanto si � detto, anche agli effetti del privilegio dello Stato per la riscossione. Lo stesso art. 1772 cod. civ. nel vecchio testo (vigente al tempo in cui � sorta la controversia in esame) stab11iva, fra l'aLtro, con una disposizione rimasta peraltro in vigore anche dopo la modifica del 1975, che �se si tratta di imposta di registro suppletiva, il privilegio non si pu� neppure esercitare in pregiudizio dei� diritti acquistati dai terzi dopo la registrazione dell'atto �. La necessi1t� dell'individuazione della natura de1l'imposta, perci�, appare quantomai necessaria. La norma or ora citata disponeva (e anche questa disposizione � rimasta .invariata) che hanno privilegio i crediti dello Stato per ogni tributo indiretto sopra gli immobili ai quali il tributo si riferisce, precisando che � il privilegio non si pu� esercitare in pregiudizio dei diritti che i terzi hanno anteriormente acquistati sugli immobHi �. E poich� � palese che l'anteriorit� in parola deve essere riferita al momento in cui il creditore d'imposta acquista il privilegio, sempre pi� evidente si manifesta la necessit� di individuare il � tipo � di imposta cui il privilegio � relativo proprio perch� il privilegio -come si � detto -nasce al momento del sorgere del credito (al momento della �confezione� dell'atto, per l'imposta principale, in caso �di omessa registrazione, al momento della registrazione per le imposte complementare e suippletiva). L'individuazione del tipo di imposta, cio�, finisce per diventare un elemento integrativo della fattispecie; ed � chiaro, aJlora, che la relativa omissione (riscontrabile, come si � premesso, nel ragionamento seguito dalla Corte d'appello) rileva non solo e non tanto come vizio logico del ragionamento (non dedotto in concreto), ma soprattutto come violazione di legge, nel senso della falsa applicazione �di essa. Il rilievo di taJe vizio, pertanto, comporta l'accog.Umento del motivo di ricorso in esame e quindi l'annu1lamento della sentenza. n giudice di rinvio, conseguentemente, dovr� procedere alla individuazione predetta, I I I I l I I ! I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tenendo conto delle circostanze di fatto gi� risultanti dagli atti e particolarmente di �quelle relative al giudizio di primo grado, nel quale la stessa Amministrazione finanziaria aveva precisato che il credito aveva titolo formaJe in due ingiunzioni di pagamento; a) la prima, relativa .aJla registrazione (avvenuta il 29 aprile 1964) dell'atto di vendita dell'immobile su cui iJ. privilegio gravava, originata dal fatto che l'Ufficio aveva accertato (appunto, dopo la registrazione) che trattavasi di �botteghe� e non di � appartamenti � per cui l'imposta doveva essere liquidata nella misura �normale�; b) la seconda, relativa alla �registrazione dell'atto di trasferimento di un appartamento (dello stesso stabile), originata dal fatto dell'omessa presentazione tempestiva dei documenti comprovanti la spettanza del beneficio, invocato ai sensi della legge reg. sic. 28 aprile 1954, n. 11. Solo dopo accertato il momento della nascita de1 privilegio :(e, quindi, dopo risolto il problema della �prevalenza� dell'una sull'aJtra delle garanzie), dovr�, poi, essere esaminato e risolto quello della eventuale estinzione del privilegio speciale, su cui l'attuale ricorrente aveva imperniato le proprie difese, nelle fasi di merito. L'estinzione del privilegio, infatti, acquista rilevanza nell'ipotesi che il privilegio stesso sia dichiarato prevaJente; ed � ovvio che il problema potr� essere risolto se, prima sar� individuato con esattezza (tenuto conto, appunto, del � tipo� di imposta) il momento della nascita del privilegio predetto. Va, infine, chiarito -sempre in relazione a questo primo motivo di ricorso -che non ha fondamento l'assunto �subordinato� dell'Amministrazione resistente, secondo cui, in ogni caso (cio� anche nell'ipotesi in cui fosse ritenuta l'anteriorit� dell'ipoteca della Fiscambi, rispetto alla nascita del privilegio), dovrebbe ritenersi la prevalenza del privilegio speciale. Tale assunto la resistente ha fondato sulle seguenti considerazioni: a) ai sensi del secondo comma dell'art. 2748 cod. civ., i creditori che hanno privilegio sui beni immobili sono preferiti ai creditori ipotecari �se la legge non dispone diversamente�; b) l'art. 2772, nel far salvi i diritti che i terzi hanno acquistato anteriormente sugli immobili, non contiene affatto quella diversa disposizione, perch� � riguarda solo il diritto di propriet� e i diritti reali di godimento, ma non anche i diritti reali di garanzia�. Tale assunto, � per� privo di fondamento perch� l'art. 2772, nella parte che interessa, contiene proprio -per tabulas una deroga alla norma contenuta nel secondo comma dell'art. 2748; mentre la sentenza 3637/71 di questa Corte Suprema invocata dalla resistente a sostegno del proprio assunto, non contiene affatto J'enunciazione di quel principio ma si limita a ribadire fa regola enunciata nel secondo comma (vecchio testo) del citato art. 2772, secondo cui il privilegio, �per quanto riguarda l'imposta di successione, non ha effetto a danno dei creditori del defunto che hanno iscritto ipoteca nei tre mesi dalla morte di lui �. 806 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 2. -Col secondo motivo, la ricorrente lamenta � omessa e contrad� <littoria motivazione in ordine all'esclusione dei limiti temporali previsti dal citato art. 97, nei confronti dei terzi, e pi� in particolare, dei terzi portatori di diritti reali di garanzia 1su beni oggetto di privilegio fiscale >>. Critica la sentenza nella parte in .cui afferma che la decadenza relativa al privilegio (art. 97 secondo comma) si verificherebbe solo nel caso in cui la Finanza agisca contro il terzo aoquirente dell'immobile gravato dal privilegio predetto. Denuncia l'erroneit� di tale impostazione assumendo che al contrario, la decadenza in parola pu� ritenersi verificata anche nella fattispecie caratterizzata dal fatto che l'Amministrazione finanziaria agisce direttamente contro il debitore d'imposta che abbia conservato il proprio diritto reale sull'immobile predetto, ovvero contro il terzo credi� tore di tale debitore. Anche questa censura � fondata. L'art. 97 della legge organica di registro del 1923 disponeva -come gi� si � ricordato -che � l'azione si estingue nei termini stabiliti dalla presente legge per domandare il pagamento della tassa o del suo supplemento �. E poich�, n� in taJe norma, n� in alcun'altra, al verificarsi della predetta decadenza � posto alcun limite di carattere soggettivo, deve senz'altro concludersi che la tesi affermata dai giudici di appello non ha riscontro alcuno nella realt� giuridica. La convinzione dei giudici di appello � stata, probabilmente determinata dal fatto che, contro il debitore di imposta, l'Amministrazione agisce, per il recupero entro termini che sono di prescrizione e non di decadenza: argomentando da tale incontestabile fatto si sarebbe, cio�, finito per concludere che anche l'azione privilegiata (al pari di quella di recupero, esercitata contro il debitore di imposta o il terzo suo creditore ipotecario) sarebbe soggetta a termini di prescrizione e non di decadenza. Ma una siffatta argomentazione � sicuramente erronea, perch� non tiene conto che nessuna norma, n� alcun inviolabile principio, autorizza a ritenere che >l'azione di recupero debba essere assistita dal privilegio per tutta la sua possibile durata (rprolungata, cio� da eventuali fatti interruttivi o sospensivi della prescrizione): laddove � �chiaro, invece, che l'azione predetta � � privilegiata � solo entro i limiti di tempo utili per far valere il privilegio (che, essendo di � decadenza � non subiscono quel prolungamento), scaduti inutilmente i quali l'azione di recupero che non fosse ancora prescritta cesserebbe, ovviamente, di essere privilegiata. I predetti giudici per�, non hanno per la verit� indicato alcun argomento logi:co-giuridico idoneo a sorreggere il loro convincimento, ma si sono limitati a dichiarare che doveva intendersi �pacifica� quell'intel1pretazione della norma poich� la stessa 1cos� risultava intel1pretata da questa Corte Suprema con la sentenza 3388/73 e dalla Corte Costituzionale con la sentenza 141/74. I I ! l I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 807 Siffatto assunto si colloca per� anche esso fuori della realt�, perch� se � vero, da un lato, che le sentenze citate sono entrambe relative a fattispecie in cui la Finanza aveva agito contro un terzo aoquirente dell'immobile (cio� non direttamente contro il terzo debitore d'imposta), non � men vero, dall'altro ohe le stesse non contengono affatto l'affermazione che la decadenza non pu� verificarsi quando l'Amministrazione agisc~ contro il debitore d'imposta ohe sia anche titolare del diritto reale sull'immobile gravato da privilegio speciale, ovvero contro il suo creditore ipotecario. Laddove, peraltro, riuscirebbe ben difficile comprendere la ratio di un diverso trattamento nei confronti del terzo acquirente e del terzo creditore ipotecario; giacch� nei confronti del primo l'azione privilegiata dell'Amministrazione sarebbe soggetta a termini di decadenza, mentre nei confronti dell'altro sarebbe soggetta a termini di prescrizione. � ben vero, d'altra parte, che nella sentenza della Corte costituzionale {in particolare) si accenna alla ratio legis che avrebbe tenuto conto, nel dettare il termine di decadenza, dell'esigenza di tutelare il terzo acquirente: ci� per� non signiifi<:a, ovviamente, che se in concreto manca un terzo acquirente non possa pi� parlarsi di decadenza. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 gennaio 1981, n. 572 -Pres. Marchetti Est. Martinelli -P.M. Catelani (diff.). Kemenater (avv. Tamburello) Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi mgenere � Accertamento tributario -Notificazione � Nullit� � Sa� natoria . Art. 21 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -Applicabilit� ai rapporti. anteriori � Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 21). Tributi in genere � Accertamento Tributarlo � Notificazione � Nullit� � Sanatoria � Notifica eseguita in luogo diverso da quello prescritto � Inapplicabilit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 21 e 24). Tributi in genere � Accertamento tributario � Notllicazione � Sanatoria � Necessit� dell'impugnazione dell'atto � Impugnazione di atto successivo � Non si veri.fica. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 21 e 24). La norma dell'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, concernente la sanatoria della notifica dell'atto di accertamento ha rilevanza, oltre che processuale, anche sostanziale e sotto questo profilo non � applicabile ai rapporti sorti anteriormente alla riforma tributaria (1). (.1-3) Se si rpu� concordare su;Ha pI'ima massima e particolarmente su.L1a affermazione che lia regoil.a !introdotta con ~�aI't. 21 ha una portata sostainziia;]e 808 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La sanatoria dell'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 trova applicazione nei casi di vizi comportanti nullit� relativa, ma non quando si tratti di inesistenza giuridica della notificazione, come nel caso che sia effettuata in luogo diverso da quello prescritto (2). La sanatoria prevista dall'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 opera soltanto quando la rinnovazione della notificazione riguarda l'atto direttamente investito dalla impugnazione, non anche quando sia impugnato un atto successivo, come nel caso che sia impugnato il ruolo sul presupposto della mancata notificata dell'accertamento (3). (omissis) Con il primo e secondo motivo che stante 1a loro interdipendenza logiica vanno congiuntamente esaminati, il ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 112 codice procedura civile, 25, 29, 31 primo comma d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, 153, 154, primo comma, 157, 162 primo comma codice procedura civile, 31, 32, 38 d.P.R. 29 gennaio 1955, n. 645 in relazione all'art. 360 n. 3 e 4 codice procedura civile, censura l'impugnata decisione pet aver, da un lato, omesso completamente di pronunciare sulle richieste del contribuente, che aveva eccepito l'assoluta mancanza di notificazione dell'accertamento nel domicilio fiscale, prescritta dall'art. 38, lett. c) e d) del d.P.R. 646/58 all'epoca vigente, e la decadenza del potere dell'ufficio di rinnovarla per la sopravvenuta scadenza del termine per l'accertamento, dall'altro, per avere disposto la rinnovazione della notificazione, pur senza averne il potere, e senza nemmeno rilevare che l'atto da rinnovare non era un atto meramente processuale; che alla nullit� aveva dato causa la stessa P. A. che aveva richiesto la in quanto concerne Ji'elimLnazione dehla decadenza dailJ potere dii accertamento, si deve disseDJtire dalllie altre due maissdme che riveliafilo la insufficiente consdderazdone deJ:t'ampia portata del probfoma. Innamii tutto va ricordato che neillle non molte occasioni �ll1 cud lia S.C. s!�. � ;pronunciata 1sono emerse rtendenze non undvoche. La 1sentenza 110 novembre 1979, n. 5789, citata nel rtesto (1n Foro It. 1980, I, 1034), proponendo un'iinterpretaz:ione ristrettissima de1Yart. 21, aveva affermato che illa sanator.iia in esso prevista potesse riguardare sotlrtainto J'atto cont['o cui � 'P'I'OPOSto 1iili ricorso e non un atto a'lllteriore ,sia pure presupposto e qumdi nel caso dd i!�coPso cO�lltro iUJ ruolo, basato sU!hla dnes1stenza dii una wilida notifica dii precedente accertamento, non poteva orilinami fa riinnovazione defila notifica de11l!010certamento. All'opposto altra pronunzia (13 giugno 1979, n. 3332 in Riv. Leg. fisc. 1980, 251), con una dm.terpretazioDJe 1aliliargiata daJili'a:rt. 21, ,ammetteva che 1La s1anatoria srn veriifichi quando d'ufficio di 1sua irnzia:tiva provveda a !t'innovare, 1anche dopo iIJ� 1scadenza del termine, ffia notifica del�.'acce:rtamento, senza che sffia nemmeno necessama un'ordhmnza defila commissione ed 1a[1Che indillpendenrtemente dailil:a fu:ntpuginazione. ' Altra pronunzia riconfermava che alhlia s1anatoma delil'.art. 21 non � dd osta,. colo ilJ'avv,enuta 1scadenza del termdne stabilito per 11a notifica dellli'accertamento (20 maggio '1980, n. 3306 rin questa Rassegna, 1981, I, 226), che anzi 11a mgiion d'essere deilila norma 1sta proprio in questo, non potendosi nemmeno dubitare PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 809 rinnovazione; e che la rinnovazione era, in ogni caso, preclusa da un termine perentorio, ,stabilito daJ.l'art. 32 del d.P.R. 645/1958, del quale era inammissibile una proroga. Con H terzo motivo, denunciando la violazione del combinato disposto degli artt. 157 e 162, primo comma, cod. proc. civ., nonch� del principio generale dell'obbligo della motivazione, il ricorrente censura l'impugnata decisione nel punto in cui avrebbe, apoditticamente, rilevato soltanto vizi di notifica, laddove si sarebbe trattato, invece, di una mancata (nel senso di non eseguita) notificazione nel comune di residenza e domicilio fiscale del contl.'ibuente. Con il quarto motivo, denunziando la violazione dei principi generali contenuti nell'art. 11, primo comma e 15 delle disposizioni sulla legge in generale, in connessione con la violazione degli artt. 31, primo comma, 38 lett. e) d) e ultimo comma del t.u. 645/1958, 21, 24, primo comma e 29 secondo comma, del d.P.R. 636/1972, 160 cod. proc. civ., 76 secondo comma, 31, 42, 43, 58, 59 e 6{) del d.P.R. 600/1973, il ricorrente deduce che, nella specie, non avrebbero potuto essere applicate le disposizioni sul domicilio fiscale e sulle notificazioni, introdotte con il d.P.R. 600/1973, n� quelle sui poteri delle commissioni tributarie di primo e di secondo grado in materia di rinnovazione di notificazione invalida dell'accertamento stablite dal d.P.R. 636/1972, dovendo applicarsi, invece, soltanto la normativa contenuta nel t.u. n. 645/1958, vigente al momento dell'accertamento in contestazione. Deduce, ancora, la violazione del principio generale dell'obbligo della motivazione, per non avere la C.T.C. indicato sotto quali dei vizi di notifi drelhl'ilJlJimitata possib~Lit� in ogni situazione di ripetere entro jJIJ termine ila notifica di quai1UJilque atrto. Con ffia reoeoossima novcll1a dcl proces,so tributamo (d.P.R. 3 novembre 1981, n. '7139) l'art. 21 � stato profondiaimente modificato, ma � rimasto sostanziiaffimente invariato il. co!Jlegiamenrf:o tra ordinanza di ri!llnoviazi.one e aJ�lto cOl!ltro ili quailie ili ricoziso � stato proposto. :e pert~to importante confutare il prinoipio del1ila iterza mas�sima. L'operativit� de:fil'airt. 21 nel senso delilJa tpossffibiilit� ,di rimiov,azione de[la notifica del.!l'aicoertamento SOilo quatndo questo sia ~'�atto ,cliirr'etitamente e formaJ.mente impugllliato, pu� faa-pens,are che il!a norma non 1abbia un pratico contenuto; � invece evidente m non lieve portata limlovart:dva deillla illOI1IDa, che non a caso � stata sospettata di ilfLeg;irf:thrui,t� ,oostiituzionailie. Nelffia formulazione letteriaile delil'airt. 21 fil riferimento ~M'arf:to �contro iil1 quale � stato P'roposto ili: ricorso � non ha una portata Jiimitatdiva, ma sta a sdgrrJI�ficare che non pu� essere clichia.ratla la decadenza a causa del: .djfetto di regofare notifica tutte le volite che taile regoLariit� v1iene comunque apposrba dail!1a parte, ma deve ~nveoe provvedersi ad ordinare :La rillrunova:zfone con effetto sonante. Ed invero non si comprende perch� di fronte ad una notiif�oa irregOllare de11'acoertamento si pos.sa avere sanatoria ove i;l soggetto pas1s~vo rioorra contro racoeritamento deduoendo per l'a;piprunto llJ'irregoiarit�, ma debba negarsi fa I I 810 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ~ i cazione per i quali la nuova legge consente la rinnovazione della notifica, ~ f; potesse farsi rientrare il vizio di non eseguita notifica nel comune di resi1: denza e di domicilio fiscale del contribuente. " f;f: ~: Le censure, per quanto di ragione, sono fondate. ~: Va, innanzitutto, rilevato che la sanatoria, con effetti ex tunc, prevista $ � dagli artt. 21, 24 d.P.R. n. 636 del 1972, per le notificazioni nulle, non soltanto degli atti processuali, ma dello stesso atto acoertativo ed impo~ sitivo del tributo (direttamente investito dall'impugnazione), assume per quest'ultimo atto, oltre che natura ed effetto processuale, anche quello di natura sostanziale. Tuttavia, se la disposizione in esame trova, ugualmente, Ii applicazione anche per i procedimenti in corso, riguardanti rapporti tributari insorti in data antecedente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 636 Ii del 1972, per quanto attiene alla natura e agli effetti processuali del.la sanatoria (in base al principio, di carattere generale, che gli atti proces I suali sono regolati dalle norme giuridiche in vigore al momento del loro p ! compimento), ci� non pu� affermarsi, per quanto attiene agli effetti sostanziali dell'atto investito dall'impugnazione del contribuente. II Infatti, la rinnovazione della notificazione dell'atto di accertamento I tributario, nullo per essere stato, irritualmente, notificato al contribuente 1 l (e senza che, comunque, detto atto abbia raggiunto il suo scopo nei ter ! mini e nelle forme previste nella pregressa legislazione), trova un limite ! ( invalicabile nell'intervenuta decadenza in cui sia incorsa la Finanza (ex i sanatoriia. ove ila stessa 1�il1rega1ar.it� venga dedotta in aJJtro momento ricorrendo I contro dii. ruolo o conko f�!ll!giwraione. Se s[ esarnM:Ja dilllamdcamente ila sequenza. deg1li atti, si vede cbim-amente ! che ['impugnazdone � rivOlllta contro ili'acoertamento ,anche se formailmente � ! impugnaito !l'atto di riscossione. L'ufficio hai noti.fulato t1Lll ,accertamento in modo che ha ritenruto regoliaire; il destmtario non :impugna il!'acoert:ame:nto e quiruli II � l'ufficio procede alhl'itscri2'lione a ruolo a tiitOtlo defiiniitiivo suillia premessa di un I accertamento non drmpugnato; a questo punto i1l soggetto passd'Vo ricorre con.I tro id ruolo affevmando, che esso non � stato preceduto daM'acc.ert:amenito; I ~�ufficio controdeduce che ['accertamento � stato notifioaito e produce in giuI I clizio i<l .rdativo :atto; a questo ,punto i!l ricoorente eccepir� che qucllla notifica I � nlllhlai. Di qwi nascerebbe una questione che potrebbe essere por.tata fino I I ailll!'estrema iiiStara'la, se non vemsse konoata dia un'ordinanza che d:iispone ilJa rinnova2'lione, e che riguarda la notifica dellili'accer:tamento. Come si pu� fondatamente affermare che tale questione concerne soltanto mcicorso C()[)Jtro dfJ. mollo e non riguarrdia l'acce:ctamento che non ,sarebbe stato i impugnato. Iniziaihnente l'accer.tamento non era stato ampugnato perch� se ne ignorava lltesistenza, ma quando l!'accertai:nento viene :prodotto in ,girudi2'lio e sru eccepisce ila nuJIJLit� deMa sua notifica, questo ddv:enta un atto contro ili quaJle iJ ricorso � proposto. In conclUJSione la chrara portata d:elll/airt. 21 � Dcl senso che Wa com:nriJss�Oi!le non pu� mai dichiarare :ha nuil!Li.t� dell!la notifica comunque eccepita, ma deve sempre ooc:IIiinare ilia rinnovazione. Inaccettabile � anche ila J:iimitazione dei1la seconda massima basata sulla arbitmri<a distinzione tra nullllit� assoluta e relativa. :�'..O:�:�:�:�Z.0:�:���:-:.-:1:�:�:�:�:�'.1:�:-�.-;.-;.z.:�:�Z�:�����:�Z�:..-�:���z-..,.,.,..,.,.r,.r.rrrrc��.-�.-,-.-�,,,.,. �.-� , ��� '"�H�� ���,. � ,._. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 811 art. 31, 32 t.u. n. 645 del 1958), costituente ormai una situazione quesita ed irreversibile. Alla luce dei suesposti principi, appare del tutto evidente l'errore in cui � incorsa la Commissione centrale nel disporre una rinnovazione dell'atto di accertamento, riguardante un rapporto tributario, antecedente all'entrata m vigore del nuovo regime tributario, e per il quale si era realizzata un'evidente ipotesi di decadenza (ex artt. 31, 32 t.u. cit.); senza peraltro, considerare che la disposizione di cui all'art. 21 d.P.R. n. 636 del 1972 trova applicazione soltanto nei casi di vizi della notificazione e di conseguenti nullit� relative, e non in quello in cui si tratti di inesistenza giuridica della notificazione. Questa Corte, con giurisprudenza consolidata, ha affermato che l'inesistenza giuridica della notificazione ricorre non soltanto quando questa manchi del tutto, ma anche quando sia effettuata in modo non assolutamente previsto dal codice di rito; tale cio� che non possa essere sussunta nel tipico atto di notificazione. Detta ipotesi si ha per realizzata ogni qualvolta, la medesima venga effettuata in un luogo diverso da quello prescritto che non abbia alcuna attinenza o riferimento con il destinatario della notificazione (cfr. Cass., Sez. I, 2 maggio 1977 n. 1670; Sez. I, 4 agosto 1977, n. 3481). ~ indubbio che in subiecta materia si � realizzata tale evenienza; atteso che si � proceduto alla notificazione in un diverso comune fiscale che non aveva alcun collegamento con il destina- Su questo punrto la norma tcibutaria fu un preciso mferimento ailll'art. 160 c.p.c.; � allora chiaro che tutte le nullit� inerenti alla individuazione della persona alla quale la copia va consegnata sono sanabili, mentre non lo sono quel!l.e reLaitive atlJl:a quiaLiit� del soggetto che esegue la notifica: i vizi cli quest'UJ!i. tima specie sono imputabili alla parte che richiede la notificazione; gli altri sono invece sottmttli ad ogni potere delilia parte che non potrebbe mai, con la migliore diligenza, evitare il rischio di una irregolarit�. Per questo quando la parte (nel caso l'ufficio) ha tempestivamente tentato la notificazione richiedente un uffiaiJallJe oa;pace, non pu� incorrere in irregolarit� che non Sii.ano sainabm. ~soitto questo profilo Jia nO!rl1la deli'art. 21 non � molito dissiIIllhlie da quelda delil'al't. 35 del rd. 8 J.ugilio .1937, n. 1516). Ma :l'individuazione deil!la persona atlJl:a quale Jia copia deve essere conse ~a impliiioa anche (e ricomprende nel!lia sanatoria) Jia determina2Jione del lliuogo .in cui J!a consegna medesima va eseguita: lie persone dd famiglia e addette alla casa o all'ufficio e, pi� ancora, il vicino, il domiciliatario, o la casa co mOOilllle, possono essere ritenute abillitate a ricevere Jia copia solo in r~one delila determilllazione del h1.ogo in cUI� il!a notifica andava esegudta. Non si pu� quindi condd'Vii.dere �'affermazione che l'esecuzione delila notlifica in luogo di verso da quel!Lo prescritto comporta una nullit� assoluta ed insanabile. Forse potrebbe profilarsi Uilla tale illpotesi se �la notifica fosse avvenuta in luogo asso lutamente estraneo a.d ogrui riferilmento con wl destinatario. Ma se, come spesso acca.de, si diiscurte se 1a notifica poteva avvenke nel luogo che dagli atti ri suilroa essere iJ1 domidlio fiscale nel quale ii! destinatario pi� non si trova o di a.Ltre simili questioni, � evidente che si l1ientra nella categoria di viZJi sanabili. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 812 tario della notificazione (cos� come � risultato acclarato �in punto di fatto� dalla Commissione Centrale). Ma a prescindere dalle considerazioni sopraesposte, la pronuncia della Commissione centrale � erronea per un'assorbente ragione. Infatti, l'art. 21 legge cit. consente la rinnovazione dell'atto, la cui notificazione sia nulla, al fine della sanatoria, so1tanto se l'oridine di rinnovazione della notificazione e la sua esecuzione, riguardino l'atto direttamente investito dall'impugnazione. Questa Corte ha in precedenza affermato che gli artt. 21, 24 si riferiscono alla notificazione dell'accertamento ove il medesimo sia stato, direttamente, investito dall'impugnazione, cosicch� nel caso in cui risulti impugnata l'iscrizione a rudlo, non rpossono utilizzarsi i principi fissati dagli artt. 160, 162 cod. proc. civ. che si riferiscono agli atti processuali e non ai loro antecedenti di fatto... (cfr. sent. I 10 novembre 1979, n. 5789). Ora � indubbio che nella fattispecie concreta in esame il ricorso del contri� buente ebbe ad investire la sola iscrizione a ruolo del tributo sul presupposto che l'Amministrazione finanziaria aveva proceduto, in modo irrituale, a tale iscrizione in base ad un accertamento non definitivo, in quanto non ritualmente notificato; e per il quale, di conseguenza, non erano decorsi i termini per la sua impugnazione. � indubbio, quindi, che la Commissione Tributaria avrebbe dovuto limitare la propria indagine in ordine all'esistenza dei presupposti previsti dall'art. 188 lett. a) t.u. n. 645 del 1958 (che, una volta accertati, non avrebbero potuto che comportare la nullit� dell'iscrizione a ruolo); senza disporre -cos� come fece -la rinnovazione della notificazione dell'atto di accertamento che non risultava investito dall'impugnazione del contri� buente. � indubbio che al compimento di tale incombente avrebbe dovuto procedere in via autonoma ed esclusiva l'Amministrazione finanziaria, una volta che fosse stata dichiarata la illegittimit� dell'iscrizione a ruolo; salva si intende, l'esistenza di ipotesi di decadenza ex 1art. 31, t.u. cit. N� ha alcun pregio l'assunto prospettato dall'Amministrazione finan� ziari1a, la quale afferma che l'art. 188 lett. a) t.u. n. 645 del 1958 prevede un'ipotesi di rimessione in termini in favore del contribuente per la proposizione dell'impugnazione avverso l'atto di accertamento, a lui non notifi� cato o notificato irritualmente, una volta che questi sia venuto a conoscenza dell'iscrizione a ruolo; cosicch� non soltanto il contribuente ha l'onere di svolgere con il ricorso contro il ruolo i motivi di censura in ordine all'atto di accertamento, ma la stessa Commissione ha il potere di disporre la rinnovazione della notificazione dell'anzidetto atto di accertamento. L'infondatezza di tale assunto si appalesa del tutto �evidente (a prescindere dalle considerazioni ricollegabili al caso concreto in esame e in precedenza �esposte), ove si consideri: a) che la legge, in vigore all'epoca, non poteva, ragionevolmente, imporre al contribuente, con la proposi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 813 zione del ricorso contro l'iscrizione a ruolo, anche una contestuale hnpugnazione dell'atto di accertamento, per il quale non essendo intervenuta� la notificazione, il medesimo non era stato posto in condizione di conoscere. le ragioni poste a fondamento dell'accertamento di ufficio, che, pure, all'epoca, era soggetto all'obbl1go idi motivazione (ex art. 37 t.u. cit.); b) l'atto di accertamento nullo per mancanza o vizio di notificazione non poteva ritenersi sanato per aver raggiunto il suo scopo (in via analogica degli artt. 156, 157 cod. proc. civ.) con l'intervenuta !�scrizione a ruolo, in quanto essa stessa irrituale, non essendo stata preceduta dall'esistenza di un accertamento definitivo; ma neppure poteva ritenersi sanato a seguito della intervenuta conoscenza dell'iscrizione a ruolo da parte del contribuente, non postulando questa la relativa conoscenza del contenuto dell'accertamento, presupposto dell'iscrizione; c) il carattere innovativo della disposizione dell'art. 21 d.P.R. n. 636 del 1972 per quanto attiene la sanatoria, con effetti ex tunc, degli atti, facenti parte del procedimento impositivo, e direttamente impugnati innanzi alle Commissioni tributarie. Nella pregressa legislazione tributaria, come questa Corte ha in precedenza affermato, era consentita l'applicabilit� dell'istituto della sanatoria dell'atto nullo nella notificazione per il raggiungimento da parte del medesimo del suo scopo, trattandosi di un principio di carattere generale, applicabile anche in materia tributaria; ma ci� era ritenuto realizzabile soltanto nel caso in cui il contribuente fosse stato posto in condizione di esercitare nel termine e nelle forme, previste dalla legge, la sua tutela amministrativa o giurisdizionale. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 marzo 1981 n. 1240 -Pres. Vigorita Est. Santasuosso -P. M. Minetti (diff.) Labanti (avv. Zavattaro) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Cevaro). Tributi in genere -Contenzioso tributario � Rilpartizione di potest� tra commissioni di primo e secondo grado e corte d'appello � E' questione di competenza e non di giurisdizione. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 40). Tributi in genere � Contenzioso tributario � Giudizio di terzo grado � lm� posta di ricchezza mobile � Plusvalenza � Accertamento dell'intento di speculazione Deducibilit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 40). L'attribuzione del potet'e decisorio alla cognizione delle commissioni di primo e secondo grado oppure alla Corte d'appello d� luogo ad una questione di competenza (tra organi della stessa giurisdizione) e non ad una questione di giurisdizione (1). (1.,2) L'argomento delila prima massima � di molto rilievo. La sentenza in esame risolve la questione con un semplice ricbdruno a due precedenti 14 814 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Costituisce una questione di estimazione complessa, deferibile al giudizio della Corte d'appello, l'accertamento dell'intento di speculazione ai fini della sussistenza della plusvalenza (2). (omissis) I ricorrenti sostengono che le doglianze proposte dinanzi alla Corte d'appello (inesistenza della societ� di fatto, mancanza della forma scritta per l'acquisto di immobili, difetto dei caratteri legali delle presunzioni, carenza dell'intento speculativo) non davano luogo a questioni attinenti al~a giurisdizione e non si limitavano a questioni di valutazione estimativa, involgendo la risoluzione di alcuni problemi giuridici. I ricorsi sono in �gran parte fondati. Che l'attribuzione delle varie questioni alla cognizione delle Commissioni di primo e secondo grado oppure alla Corte di appello dia luogo, nel nuovo sistema del contenzioso tributario ad un problema di competenz� tra organi della stessa giurisdizione tributaria, si deduce gi� da sentenze. n ricruamo no111 � dl!1 verit� molto pertinente; illa. prima sentenm (22 novembre 1977, n. 5086, in questa Rassegna, :1977, I, 874, con nota cli C. BAFILE) aveva considerato una questione di competenza, nell'ambito di una unica giurisdizione speciale, il diverso problema della ripartizione dei poteri fra commissioni di primo e secondo grado e Commissione Centrale; la seconda sentenza (22 giugno 1978, n. 3077, in Riv. Leg. fisc. 1978, n. 2276) si limita ad affermare de plano che le questioni di fatto di valutazione estimativa sono riservate alla � competenza esclusiva � delle Commissioni di primo e secondo grado. Certamente diverso � iil probLema quando, come nellla specie, fa [l�Jpamzione si pone fra CommiJsS�IOIIJ� di primo e secondo grado e Corte d'appetlJlo. FormaiLmerute si pone un confronto fra organi aP1Partenenti a ddverse giurisdi2Jiom. Tuttavia la Corte d'appe!Jlo, che � semp,re giudice dehlia impugnazione m terzo grado, � inserito in un processo tmitanio, almeno preva�entemente di giurisdiziione speciaile, e si pone neN!a stessa posizione e 11.1elilla stessa fwraione delJ1a Commdssione centraile. � stato detto in propostto che wa Cmte d'aiprpeiNo :partecipa ad tllil processo speciale (TESAURO, Limiti di esclusivit� della giurisdizione delle Commissioni Tributarie, in Riv.� Dir. Finan. 1916, II, 11"13) e che tutte le fasd deH'undco processo e quindi a111che queL!Ja deilllia Cocte d':a;prpeiNo hanno la medeS�IIIla naitum giunisdizionale (ANOOLINA, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale in materia tributaria, in Riv. dir. e proc. civ., 1978, 760); ~�unttaniet� dcl processo � altres� segnalata da Russo, Il nuovo processo tributario, Padova 1974, 73 ss.). TaiLe mnegabile umtaniet� non pu� portare adclirittura a ritenere che anche lia Corte d'appelli ddventa una gdudsdizione speciaffie. � per� I�ncontestabile che !i.il processo indziJato innanzi al giudice 1srpedaile, prosegue in terzo grado timnan.zli alla Corte d'appello (e proseguir� ulteriormente innanzi alla Corte di Cassazione), ed � sicuramente da escludere che innanzi alla Corte d'appello si inizi una nuova vicenda processuale (il che � molto importante ai fini dell'istruttoria). � quindd da condividere 'l'affermazione che dii verificaire il:a sussisrtenza dei poteri decisori del giudice di terzo grado non d� luogo ad una questione di giuridisdizione; sarebbe certamente inopportuno ingombrare le Sezioni unite con il gran numero di controversie su questo� argomento e sarebbe anzi pJ.� incongruente se Jia .idenmca questione si ritenesse di competenza con - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 815 alcune precedenti sentenze di questa Suprema Corte (22 novembre 1977 n. 5086; 22 giugno 1978 n. 3077). Tale orientamento, condotto anche alla luce dei criteri indicati dalla legge delegante, va confermato nella presente controversia. Ci si deve piuttosto soffermare sul secondo profilo delle tesi dei ricor� renti, se cio� le questioni prospettate dinanzi alla Corte di appello andavano inquadrate fra quelle di valutazione complessiva e non meramente estimativa. Al quesito ya data risposta affermativa sotto diversi profili. In tema di accertamento dell'intento speculativo di una operazione economica, mentre in un primo momento (sent. 17 maggio 1975 n. 1926) questa Corte av�eva ritenuto che in tale determinazione era ravvisabile una questione di estimazione semplice, siccome attinente all'identificazione dei caratteri di un fatto, con successiva pronuncia (sent. 19 febbraio 1979 mgua.vdo rula Col.D!llll�ssione centrale e di giurisdizione con riguardo a.lilla COTte d'appetlllo. Ma a ques1la condlusione pu� giungersi non tanto sull1a premessa che la Corte di 1aippello appwtdene ialil:a stessa giurisdm0t00 deltle CommiissiOltlii, qua.nito suililla 9SSel'Vaziione che non si pone affatto n� una questione di giurisddzione n� una questione dd competenza, bens� 1sempldcemente id: problema delilia aim� roiJssdbhliiit� di una dmpugnazione limitata. Se !IJ':impugnamone esorb~tia 1dad limiti 1 stabi!liiti nella [egge � sempliioome:nite inammissibi!le, ma non pu� par�Jarsi n� di incomipetenza n� di ilifetto dd giurisdmone del ~udioe addto (nessuno ha mai pensato ailila incompetenza o al difetto �di giurisdizione deL!Ja: Coote di cassazione rispetto a censure di merito). La seconda massima � ugualmente di molto interesse. Dopo che la S.C. con ['ordinarr12ia 19 giugno 1980 n. 337 (in questa Rassegna, 1981, I, 109, oon nota dii C. BAFILE) aveva, in contrasto con una consolJidalta tradizione, ~potizzato una figura compilietamente nuova del giudizio di terzo 1girado, � molto importaillte ilia riaffermazione che il criterio discriminatore dei poteri del ~udke di terzo grado � tuttora quelilo de11a contrapposizione ,tra estdmamone iSeIIJIPlioe ed esHmazione complessa. Non soddisfa per� l'applicazione del principio al caso concreto. Vi � in vero un preoedenrt:e specifico nelila sentenza 19 febbraio 1979 n. 1075 (in quesita Rassegna, 1979, I, 496) che � :t�er� contraddetto da ail!tre pronunzie. Mtra sentenza (19 novembre 1979 n. 6022 ivi, 1980, I, 429 con nota di C. BAFILE) solo sulla base dii una smgoLaire concezione del�'estimazione compiliessa afferma che ~�accer� tamento del�'intento speculativo, che di per s� rientrerebbe nell'estimazione semplice, pu� essere pronunoiato dal giudice �di verzo grado in quanto connesso con aLtra questdone di applicazione delilia legge. Ma decisamente per la ricomprensione dcl�a questione neltl'estimazione semplice � la sentenza 3 maggio 1979, n. 2553 in Riv. leg. fisc., 1979, 1967. L'accertamento dcll'intento �di specuiazdone e una questione 'di mero fiatto attinente al.l'esistenza del presupposto, giacch� l'intento idi speculazione fa diventaire un reddito un fenomeno ~trimenti irrhlevante; ognd questione di futto inerente all'esistenza, oltre che al.fa misum del fenomeno tributario, ri� guarda J'.estimazione sempiLice come ha ben mesiso in iluce J:a menzionata sen tenza 22 novembre .1977, n. 5086. CARLO BAFILE RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 816 n. 1074) e con riferimento sia alla nuova disciplina del contenzioso tributario sia alla precedente normativa, � stato ritenuto che la questione inerente alla qualificabilit�, come operazioni speculative, di vendite stipulate dal contribuente, al fine di stabilire se le plusvalenze con le medesime realizzate siano assoggettabili ad imposta di ricchezza mobile, esige, per la sua definizione, un'indagine ermeneutica sui criteri fissati dalla norma, per l'individuazione in astratto di detta fattispecie impositiva, nonch� la qualificazione giuridica dei fatti 'accertati, con riferimento al caso concreto; per cui 1a questione esorbita dalla mera valutazione estimativa. Pii1 in generale, deve riaffermarsi che le questioni puramente estimative sono quelle in cui la scelta dei criteri di valutazione ,e la determinazione del valore imponibile risultino basate su operazioni di carattere tecnico, quali quelle che attengano alla rilevazione dell'obbiettiva consistenza qualitativa o quantitativa del cespite, all'individuazione dei fattori di calcolo o all'espletamento di questo, mentre appartengono all'ambito della valutazione complessa, non solo tutte le questioni che comportano un'operazione giuridica di interpretazione ed applicazione di leggi, regolamenti, pronunce, atti e negozi giuridici, ma ogni violazione di legge ravvisabile anche nel vizio di motivazione o nell'errata risoluzione di questioni di fatto, con la sola esclusione delile questioni di fatto attinenti alla vailutazione estimativa ~Oass. 25 febbraio 1980, n. 1307, n. 1835/79; 5086/77 n. 2424/76 ed altre). In coerenza con tali principi, pu� affermarsi che anche gli altri profili sotto i quali il ricorso � prospettato, confermano la natura complessa della valutazione che i ricorrenti invocano da parte della Corte d'appello. Ed invero, l'indagine sui requisiti per l'esistenza di una societ�, sulla forma prescritta per l'acquisto di immobili da parte della societ� stessa, sui caratteri delle presunzioni, comportavano un'operazione giuridica di interpretazione e di applicazione di norme che la Corte d'appello ha omesso di compiere, nel presupposto della sua carenza di pote11e giurisdizionale sulla materia. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 marzo 1981 n. 1312 -Pres. Vigorita Est. Martinelli -P. M. Catelani (conf.). Vaglio (avv. Palladino) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Rossi). Tributi in genere -Contenzioso tributario � Ricorso alla Commissione centrale -Presentazione presso la segreteria della Commissione centrale Inammissibilit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 25). E inammissibile il ricorso in terza grado presentato presso la segreteria della Commissione Centrale, anzich� presso la segreteria della Commissione che ha pronunziato la decisione che s'impugna (1). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 817 (omissis) Con l'unico motivo, che si articola in pi� proposizioni logiche e giuridiche, la ricorrente lamentando la violazione dell'art. 24 terzo e quarto comma d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, censura l'impugnata decisione per aver omesso di rilevare l'inammissibilit� del ricorso sotto il profilo che irritualmente il ricorso de quo era stato depositato presso la segreteria della Commissione Centrale, anzich� a quella del giudice a quo (Commissione di II grado), cos� come � previsto dall'articolo citato; che il medesimo era stato notificato ad essa contribuente fuori termine; ovverosia oltre il 60� giorno. La censura � fondata. Va, innanzitutto, rilevato che la nuova legge sul contenzioso tributario, che ha innovato la pregressa normativa in materia, prevede, per la proposizione dell'impugnazione dell'atto di accertamento, e, in genere, di ogni altro atto facente parte del procedimento impositivo, nonch� per la impugnazione deLle decisioni delle Commissioni tributarie, una fattispecie procedimentale a formazione progressiva e complessa, costituita: a) da una fase iniziale, rappresentata dal deposito del ricorso presso la segreteria della Commissione Tributaria, come momento perfezionativo dell'esercizio del potere di impugnazione nel termine di decadenza contemplato dalla legge; b) da una successiva fase diretta alla costituzione del contraddittorio mediante la notificazione della copia del ricorso alla contropartie (con decorrenza dall'adempimento di tale formalit� del termine per la proposizione in grado di appello ed innanzi alla Commissione Centrale del controricorso e del ricorso incidentale). Va infine rilevato che per l'impugnazione della decisione della Commissione tributaria � stabilito dalla legge, come per il procedimento penale, il deposito dell'atto, concretizzante l'impugnazione presso la segreteria del giudice a quo che dovr� provvedere alla notificazione della copia del ricorso (ex art. 22 quarto comma, 25 terzo comma d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636). � indubbio che il sistema predisposto dal legislatore, in materia di contenzioso innanzi alle Commissioni Tributarie, � quello della citazione mediata e non diretta. Alla luce dei suesposti principi � evidente che in subiecta materia l'Amministrazione finanziaria non ha rispettato, con il ricorso innanzi alla Commissione Centrale, alcuno dei momenti e dei requisiti della fattispecie (1) La deoistione merita adesione. Sono infatti dii decisiva fu.mQJo!Itanza gilti adempimenti affidati alla segreteria della Commissione che ha pronunciato 1ia deciStione im:i>ugnata e lia ~toro omissione comrprometter,ebbe di1 ["egoliare svru� gimento del procedimento anche in relazione aHia eventuallit� che non avendosti tempestiva conosoenza delll~a~enuta proposizione del ricorso, rpos,sra essere adita la Corte d'appe11io. 818 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO procedimentale, predisposta dalla legge, per il perfezionamento dell'impugnazione. Infatti non soltanto il ricorso de quo non � stato depositato nel termine di decadenza presso la segreteria della Commissione tributaria di II grado (ex art. 25 d.P.R. citato), ma la stessa copia del ricorso non � stata notificata alla contribuente, ai fini della costituzione del contraddittorio, e del tempestivo e rituale esercizio del potere, spettante alla controparte, di proposizione del controricorso e del rico11so incidentale. N� pu� sopperire a tale carenza l'intervenuta comunicazione dell'avviso di udienza alla contribuente, in quanto atto atipico ed inidoneo al raggiungimento dello scopo proprio delle formalit� previste dagli artt. 22 quarto comma, 25 terzo comma d.P.R. citato e peraltro, posto in essere in epoca successiva al decorso del termine per la proposizione dell'impugnazione. N� in subiecta materia � calzante il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, espressa con la sentenza 27 maggio 1978 n. 2532, considerato che detta pronuncia riguarda una diversa fattispecie, nella quale l'atto d'impugnazione era stato, comunque, notificato diJ:1ettamente e tempestivamente alla controparte. , Neppure � calzante il richiamo all'art. 2 ultimo comma d.P.R. n. 1199 del 1971, che prevede l'ininfluenza del deposito del ricorso gerarchico presso un'autorit� incompetente, atteso che nella fattispecie, trattasi di procedimento giurisdizionale, nei confronti del quale non pu� trovare applicazione analogica una disposizione esclusivamente prevista in materia di procedimenti amministrativi. Pertanto, la Commissione Centrale doveva rilevare e pronunciare l'inammissibilit� dell'impugnazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 marzo 1981, n. 1316 -Pres. Granata Est. Lipari -P. M. Ferraiolo (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Stato Mari) c. Ospedale S. Croce di Fano (avv. Bracci). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso alla Commissione Centrale -Motivazione -:i!: necessaria -Indicazione di motivi specifici -Non � necessaria. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 22 e 25; c.p.c. art. 342 e 366). Il ricorso alla Commissione centrale, al pari dell'appello, deve essere motivato a pena di inammissibilit� (solo in primo grado pu� essere ammesso il ricorso interruttivo); tuttavia la mo�ivazione � sufficiente quando non generi incertezza circa quel che si chiede in giudizio, e non � richiesta la indicazione di motivi specifici o l'indicazione delle norme su cui l'impugnazione si fonda secondo quanto prescrivono gli artt. 342 e 366 cod. proc. civ. (1-2). (1-2) Importante � Ia preO�Js~onre che il !l.'iom.1so a:lilia Commissruone centrall. e, come pure J'apipelil.o, deve essere motivato, e che ill richiamo a:Ll.'art. 15 PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 819 (omissis) 1. Il ricorso principale e quello incidentale condizionato, essendo diretti contro la medesima decisione (della Commissione Centrale tributaria) devono essere riuniti e decisi con unica sentenza (art. 335 cod. proc. civ.). Il ricorso incidentale per cassazione, nonostante l'operato condizionamento, va esaminato con carattere di priorit� poich� investe una questione di rito di carattere preliminare contestando la stessa ammissibilit� del ricorso alla Commissione tributaria Centrale per difetto di sufficiente articolazione del motivo. Al riguardo, lamentando la violazione dell'art. 366 n. 4 cod. proc. civ., si sostiene appunto la inadeguata articolazione del motivo, comportante l'inammissibilit� del ricorso alla Commissione tributaria centrale. Va subito precisato che l'ente ospedaliero, invocando l'art. 366 n. 4 cod. proc. civ. nella rubrica del motivo incorre in una imprecisione formale che peraltro non si risolve nella violazione della norma suddetta volta a puntualizzare uno dei requisiti di ammissibilit� del ricorso per cassazione. Il ricorrente incidentale, cio�, ha operato una indebita sovrapposizione delle cause di inammissibilit� del ricorso per cassazione e del ricorso alla C.T.C. Ai sensi dell'art. 25 del d.P.R. 28 ottobre 1972 n. 636 il ricorso alla C.T.C. deve contenere �l'esposizione sommaria dei fatti ed i motivi dell'impugnazione � e stante l'operato rinvio all'art. 15 secondo comma del medesimo decreto va dichiarato inammissibile non solo �se risulta assolutamente incerto uno degli altri elementi indicati nel comma precedente alle 1lettere a), b), e), e)� in base a1 quaile resta esolusa la lettera d) iriguardante i motivi, ma anche in difetto di enunciazione dei motivi. del d;P.R. n. 636/11972 non 1stla a significare che Slia ammiisSwhiille iil ricorso runter: mttivo. Appare rtuttavia eooesisiva [',afferma:cione che ilJa motivaziione � 1sufficienrte quando non genera ince11tezza assoluta oiroa quel che 1si chiede in giuddzio di modo che non si richiede la specificit� dei motivi dell'art. 342 c.p.c. e meno che mail. w'arrticolazlione deilil'mt 366 n. 4. Per ogni impugnazione, e quindi anche per ffi'appeLlo, � sem;pre necesisaria IDa indiioa!llione speoifica dei motivi, che ha il:a funzione �dii :iindividuare ~e parti delilla decisione che si ill'.ltendono gravare per diistinguerile nettamente da quelle che con iL'impugnazione non vengono investite. Ma per iiJJ ricorso affila Comm:iJssi.one centraile si richiede qualcosa di pd�, se purn non pu� pretendersi quelfa partico~are 1aJ11ticooazione motivata carartteristica dcl ricorso per cass:aztione. Poich� l'impugnazione irma~ allila Commissione centrale � limitata, � evidentemente necessaria una motivazione che consenta 1Cli verificare se il'impugnazione � o meno ammissibile. Non ha aLlora moU1ta importanza iil superamento deillia formmazione .cJ,eJil'art. 46 deL r,d. 8 [uglio 1937 n. 1516; � il carattere essenziale dell'impugnazione, che si differenzia dall'o11d:iinario a;ppehlo, a 1rende11e necessaria Ullla quaJiificaita mouwazione del ricorso. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Ne consegue, quindi, che il ricorso alla C.T.C. � inammissibile se manca l'indicazione dei motivi dell'impugnazione, cos� come stabilito dall'art. 22 per l'ipotesi dell'appello (laddove in I grado � consentito il ricorso interruttivo). Non si richiede l'indicazione di motivi specifici (cfr. art. 342 cod. proc. civ.), n� la enunciazione dei �motivi per i quali si chiede la cassazione con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano� (cfr. art. 366 n. 4 cod. proc. civ.). Davanti alla C.T.C. non � ammesso il ricorso interruttivo, e non � consentito indicare i motivi stessi per relationem con riferimento a quelli proposti nei precedenti gradi; la dizione del nuovo contenzioso appare in definitiva meno formalistica di ,quella contenuta nell'art. 46 del r.d. 8 luglio 1937 n. 1516, secondo cui nel ricorso dovevano essere indicati gli articoli di legge o di regolamento che si affermavano violati. Tanto l'appello quanto il ricorso alla C.T.C. sono pertanto inammissibili solo quando vi sia incertezza assoluta circa quel che si chiede in giudizio. Pi� rigoroso, invece, il dettato del n. 4 dell'art. 366 cod. proc. civ. che, peraltro, � stato interpretato da questa S.C. nel senso che la specificazione dei motivi e la indicazione del loro supporto normativo non vanno considerati come requisiti autonomi e concorrenti, ma costituiscono una sorta di endiadi, dovendo cospirare alla puntualizzazione della censura mossa il cui contenuto pu� risultare con chiarezza dalle proposizioni illustrative anche se manchi la corrispondenza fra le medesime e l'esponente numerico delle disposizioni che ne consacrano i contenuti normativi invocati, ed anche se addirittura tale indicazione sia stata effettuata erroneamente, sempre che l'antitesi non sia tale da rendere del tutto incomprensibile la portata della doglianza. Da un lato, pertanto, il ricorrente incidentale non vede precluso l'esame della dedotta censura per avere erroneamente richiamato, quale norma parametro di questa l'art. 366 n. 4 cod. proc. civ. invece dell'art. 25 del d.P.R. n. 636, essendo chiaro che ha voluto dedurre il vizio di non adeguata articolazione del motivo formulato davanti alla Commissione tributaria Centrale, dall'altro ed a fortiori deve ritenersi che detto vizio non sussiste. Ed invero la Finanza, sostenendo che, a suo avviso, gli enti ospedalieri siano soggetti all'IVA ai sensi dell'art. 4 punto 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, ha chiaramente indicato la fonte normativa e la ragione giuridica dell'attacco mosso alla decisione di secondo grado che tale assoggettabilit� aveva negato, operando la relatio soltanto alle ragioni illustrative della pretesa assoggettabilit� che ben avrebbero potuto, come furono, essere spiegate nella successiva memoria, r,estando con sufficiente precisione circoscritto nell'ambito dell'impugnazione. (omissis) ' PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 821 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 aprile 1981 n. 2045 � Pres. Granata Est. Zappulli -P. M. Valente (conf.). Soc. Officine Aeronavali (avv. Caniato) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Cevaro). Tributi il.n genere -Repressione delle violazioni -Pena pecuniaria � Co scienza e volont� � Ignoranza della nonna tributaria � Irrilevanza. (!. 7 gennaio 1929 n. 4, artt. 3 e 4). La pena pecuniaria, pur distinguendosi nettamente dalla sanzione penale, presuppone la coscienza e volontariet� dell'azione od omissione a differenza della soprattassa che ha una applicazione automatica,� tuttavia, salva diversa disposizione derogatrice, � irrilevante l'ignoranza della norma tributaria violata (1). (omissis) Con il secondo motivo, ovviamente subordinato al rigetto del primo, � stata lamentata dalla societ� ricorrente la violazione nella sentenza impugnata del principio generale per il quale la pena pecuniaria prevista per le violazioni deHe leggi tributarie presuppone la responsabilit�, e cio� il dolo o la colpa del contribuente al quale � inflitta, mentre l'assenza pur della colpa nella specie risulta dal fatto che l'imposta doveva essere trattenuta dall'amministrazione committente sulla somma da pagare e, in caso di sua omissione era da corrispondere dalla appaltatrice su invito dell'amministrazione committente a pagarla nei modi normali. Ha sostenuto la ricorrente che nella stessa sentenza � stata contraddittoriamente affe:r.mata la assenza di tale colpa con il riconoscersi, nel disporre la compensazione delle spese, la presenza di � imponenti ragioni � per quest'ultima a seguito degli � innegabili affidamenti � che le erano pervenuti dall'amministrazione committente, poi contraddetta da altra, sul pagamento dell'imposta in questione. � Anche questo motivo � infondato. Invero, a prescindere dal fatto che nessuna norma prevede quell'invito, la corte di merito non ha disconosciuto il principio invocato dalla ricorrente, secondo il quale la pena pecuniaria prevista, in linea generale, dagli artt. 3 e 4 della 1. 7 gennaio 1929 n. 4, pu� essere inflitta solo in base ad una ritenuta responsabilit� del contribuente. Circa i Jimiti di quest'ultima � da rilevare che l'illecito amministrativo, di cui ai citati articoli, deve essere la conseguenza di una azione od omissione che sia imputabile al soggetto sul piano della mera coscienza e volont�, salvo che norme particolari pongano una diversa disciplina. ~1) Va segnalata La precisione delllLa motivazione sia su!l punto delil'elemento psicologico s]a suilila drcrilrevanza deliLa ignorantia legis. 822 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Giova osservare che la I. 7 gennaio 1929 n. 4, e in particolare con gli artt. 3 e 4, doveva porre i principi iniziali e fondamentali di una disciplina nel campo delle infrazioni tributarie, analoga per alcuni lati a quella penale ma nettamente distinta nei suoi effetti, tanto che il suddetto art. 4 statuiva espressamente che la conseguente � obbligazione ha carattere civile �. Se qualche equivoco poteva sorgere per quel termine di � pena pecuniari� �, rispetto al quale efl�ettivamente sarebbe stato pi� appropriato quello di sanzione amministrativa, l'espressa contrapposizione delle relative infrazioni ai reati, contenuta nell'art. 3 (� che non costituisce reato�), conferma la diversit� delle due categorie. Tuttavia, i richiami dello stesso art. 4, J>er la determinazione in concreto della sanzione stessa alla gravit� dell'infrazione e, per il lato psicologico, alla personalit� di chi l'ha commessa, da valutarsi secondo i p11eoedenti penali e giudiziari e, in genere, la sua condotta, manifestano e confermano che in tal materia non vi � l'automaticit� di applicazione delle sopratasse, ma � richiesta una precisa valutazione dell'elemento psicologico. Conseguentemente, da un lato la ritenuta esigenza di una rigorosa e generale applicazione di quelle sanzioni con un vigore corrispondente a quello delle norme penali, dall'altro il carattere pubblicistico delle norme tributarie hanno esoluso la rilevanza di errori di diritto nella interpretazione e applicazione delle norme tributarie che siano rimaste violate; secondo il principio del diritto pubblico ignorantia legis neminem excusat. N� da tale principio si sono discostate le pronunzie di questa Suprema Corte, con le quali, proprio in materia di imposta generale sull'entrata, � stato precisato che quando l'infrazione sia imputabile ad uno solO dei soggetti dell'atto economico generatore dell'imposta, al pagamento della stessa sono ugualmente tenuti verso lo Stato entrambi i soggetti, mentre, invece, al pagamento delle sopratasse e della penale � tenuto solo il soggetto al quale la trasgressione � imputabile (Cass. 9 ottobre 1971 n. 2781; 6 maggio 1975 n. 1749); in tali casi, infatti, mancano la coscienza e la volontariet� da parte del soggetto non imputabile, e non si tratta semplicemente di un suo errore. Lo stesso legislatore, nel regolare per .Je varie imposte, la repressione delle infrazioni, ha confermato, con l'apportare qualche specifica norma derogatrice, quel principio generale senza il quale essa non avrebbe avuto ragione di essere. Al riguardo, infatti, l'art. 248 del t.u. sulle Imposte Dirette approvato con il d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645 ]la statuito che le sanzioni previste per l'omissione, la tardivit� e l'incompletezza della dichiarazione prevista da quella legge non si applicano se l'obbligo della dichiarazione (e quindi del pagamento) era fondatamente contestabile per obiettiva incertezza sull'esistenza dei presupposti dell'obbligazione tributaria. La portata della norma e la specificit� dell'ipotesi prevista rendono PARTE I, SEZ, VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA chiaro che s1 e trattato di una vera e propria norma eccezionale, non suscettibile di applicazione analogica, rispetto alla necessit� in generale della sola coscienza e volontariet� dell'azione od omissione causati e dell'infrazione. Pertanto, bene nell'applicazione del principio, la corte di merito ha affiermato, circa la responsabilit� della societ�, che il� contribuente ha l'onere di verificare che il pagamento sia avvenuto nel modo previsto dalla legge, e cio� nella specie con la ritenuta da parte della pubblica amministrazione prevista dall'art. 45 del regolamento sull'imposta generale sull'entrata 26 gennaio 1940 n. 10 e, �in difetto, di eseguirlo nei modi ordinari... dovendo successivamente ravvisarsi nel mancato assolvimento di questi oneri una violazione sanzionabile �. � evidente che, quando l'amministrazione committente, come nella specie, non abbia provveduto alla suddetta ritenuta, l'appaltatrice non pu� essere responsabile di tale omissione della controparte n� di non avere provveduto al pagamento in altro modo dell'imposta prima della riscossione della somma, ove non ne abbia avuto previa notizia, attraverso il versamento in conto corrente postale previsto, in linea generale, dal primo comma del medesimo art. 45 del regolamento perch� tale omissione non � certo volontaria ma ci� non esclude che anche senza il menzionato invito, sorge a suo carico l'obbligo di provvedervi al pi� presto appena ne venga edotto. Infatti, essendo, dopo di ci�, a esistere quella volontariet� ,e quella coscienza poste a base della sua responsabilit�, l'inosservanza della citata norma da parte dell'amministrazione committente non esclude la sua obbligazione tributaria, n�, a causa del carattere imperativo delle leggi tributarie l'errore sulla interpretazione delle stesse pu� escludere l'applicabilit� delle sanzioni e delle pene pecuniarie. Pertanto, se da un lato il ritardo nel conseguente versamento dell'imposta, ove congruo e giustificato in relazione alle modalit� del pagamento a suo favore del prezzo o del corrispettivo e alle forme e mezzi del successivo adempimento, pu� rendere inapplicabile al ritardo stesso cos� limitato la suddetta penale, la successiva assenza del dovuto pagamento dell'imposta, come l'ulteriore mora rientrano necessariamente nelle inosservanze delle norme tributarie, senza che occorra una specifica indagine, cos� come affermato nella sentenza impugnata che ha legittimamente ravvisato quella responsabilit� nella violazione dell'obbligo di provvedere, pure in quel caso, al pagamento dell'imposta nei modi ordinari. Non pu� l'errore di una delle parti, pur se si tratti di una ammini strazione statale diversa da quella finanziaria competente, giustificare, anche ai fini dell'applicazione della penale, la omissione del pagamento dell'imposta dall'altra, che, senza ragione, ne trarrebbe un illegittimo arricchimento. (omissis) 824 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 aprile 1981 n. 2227 -Pres. Marchetti Est. D'Orsi -P. M.. Catelani (conf.) Barale c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Concordato fallimentare con assuntore -Base limponibile -Crediti privilegiati � Vi sono compresi. (r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, tariffa A, art. 32). Ai fini dell'imposta di registro sul concordato fallimentare con assuntore, la base imponibile � costituita da tutti i crediti oggetto del concordato, compresi quelli privilegiati (1). (omissis) La controversia propone un'unica questione consistente nell'accertare se nel caso di concordato fallimentare con assuntore (il quale si obblighi a pagare .tutti i debiti, privilegiati e chirografari, questi ultimi nella percentuale stabilita, ricevendo tutte le attivit� fallimentari e subentrando nelle azioni revocatorie, con immediata liberazione del fallito) l'imposta di registro prevista dall'art. 32 della tariffa all. A del regio decreto 30 giugno 1923 n. 3269 debba essere commisurata soltanto all'ammontare dei crediti chirografari od anche a quello dei crediti privilegiati. La Commissione centrale delle imposte ha dato al quesito risposta nel senso dell'applicabilit� della imposta sulla base dell'intera posizione debitoria, sotto il principale rilievo che l'intervento di un terzo comporta l'accollo di tale posizione nella sua interezza. Ha poi negato validit� alla tesi secondo cui i creditori privilegiati, essendo in ogni caso garantiti e non avendo diritto di voto in sede di approvazione del concordato, sarebbero estranei all'accollo; ha osservato in proposito che tale estraneit� non sussiste, in quanto il credito privilegiato potrebbe non trovare in pratica materia sufficiente per soddisfarsi. Ha, infine, richiamato la lettera dell'art. 32 della tariffa all. A che fa riferimento all'intera somma che si assume l'obbligo di pagare. A sostegno della tesi contraria, e, cio�, di quella che vuole commisu rare l'imposta al solo importo dei debiti chirografari il Barale sviluppa i due mezzi di ricorso. Con il primo mezzo denunciando il vizio di motivazione su un aspetto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., il ricorrente parte dalla premessa che secondo la tesi dell'ufficio nel caso {1) Viene confermato l'indirizzo contenuto nella sentenza 8 gennaio 1980, n. 19, iin ques,ta Rassegna, :1980, I, 631. Ne:hl'ipotesi ora decisa di col1COtJ'.1dato con as,suntore � di rtutta evidenm che i1 terzo assume �obbligaziOilli veriso tutti i credIDtonii, comprnsi i ptivliJLegiafa Ma tiln base ag�]Ji stesffi prmcipi si deve ritenere, come neL1a precedente serntenza, che iJl concordato �produce comunque degli effetti sui crediti privilegiati che di esso formano oggetto. I i ' ' ..... ..... ....... ... ...... ........................ . .,.,,. ..,. '-~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA in esame era stato considerato, ai fini dell'imposta di registro, anche l'importo dei crediti privilegiati unicamente perch� il garante del concordato era stato assuntore. La distinzione operata tra garante-fideiussore e garante-assuntore sarebbe arbitraria e la Commissione centrale avrebbe ritenuta non plausibile la tesi del contribuente senza una idonea motivazione. Con il secondo mezzo, strettamente connesso con il precedente, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 32 tariffa all. A L.R. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. e, facendo leva sulla mancanza di diritto al voto da parte dei creditori privilegiati ai quali deve in ogni caso essere assicurato il pagamento, insiste sulla mancanza di differenza tra il garante-fideiussore e il garante-assuntore; giudica poi irrilevante la cessione al garante dei beni del fallito sia perch� la cessione avviene solo dopo l'adempimento degli obblighi derivanti dal concordato e sia perch� il passaggio dei beni sconta poi la regolare tassazione. Il ricorrente nega anche che sulla base del concordato vi sia novazione nei rapporti tra l'imprenditore fallito e i suoi creditori per quanto riguarda i creditori privilegiati e insiste sul rilievo che in sede di concordato ci� di cui si discute � unicamente l'ammontare della percentuale dei crediti ~hirografari, sicch� i creditori privilegiati nulla hanno da concordare e non prendono nemmeno parte alla formazione ed approvazione del concordato. Nelle memorie illustrative, insistendo su questi concetti, aggiunge che i creditori privilegiati, per essere coinvolti nel concordato, debbono rinunciare al privilegio e solo in tal caso votano. Secondo la tesi dell'Amministrazione finanziaria, invece, sarebbero coinvolti nel concordato, pur non partecipando ad essa e lo stesso discorso varrebbe per l'assuntore, che non figura nel verbale di accertamento. Il ricorrente poi nelle memorie propone per la prima volta la questione dei limitati effetti del verbale di approvazione della proposta di concordato rispetto alla sentenza che conclude il giudizio di omologazione e afEerma che il verbale non potrebbe considerarsi con�ordato. Questa Corte ritiene che il ricorso sia infondato. Prescindendo dalla questione sollevata per la prima volta in memoria, che non pu� ovviamente essere presa in esame, in quanto funzione delle memorie � solo quella di illustrare il ricorso o il controricorso, va rilevato che il ricorso come si � detto propone l'esame dell'ambito di applicazione dell'art. 32 della tariffa all. A al regio decreto n. 3269 del 1923 in tema di concordato fallimentare con assuntore, se, cio� l'ammontare del concbrdato debba comprendere anche l'importo dei crediti privilegiati. La questione non � nuova nella giurisprudenza di questa Corte. Con la sentenza n. 4257 del 16 novembre 1976, questa Corte afferm� che l'imposta proporzionale di registro prevista .dall'ar.t. 32 della tariffa suddetta � applicabile oltre che ai crediti chirografari, anche a quelli privilegiati, qualora i titolari di questi ultimi, anzich� rimanere estranei all'ac 826 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cordo, partecipino al concordato, subendo una riduzione o variazione del loro credito. � da rilevare per� che in quella fattispecie non si discuteva se l'ammontare dei crediti privilegiati dovesse essere calcolato ai fini dell'imposta proporzionale: ma si trattava dello specifico caso di un creditore privilegiato, il quale aveva in sede di concordato accettato di postergare il soddisfacimento del suo credito all'integrale esecuzione del concordato. E risolvendo il quesito questa Corte afferm�. che l'ammontare di t�le credito doveva essere conteggiato. Il pi� completo caso del calcolo del valore del concordato fallimentare ~ai fini dell'imposta proporzionale di .registro), se �commisurato al solo importo da pagare ai creditori chirografari od anche a quello da corrispondere. ai creditori privilegiati, � stato esaminato diffusamente dalla sentenza n. 119 dell'8 gennaio 1980. Questa Corte in tale sentenza � partita dalla premessa secondo cui, in caso di concordato, il debito del fallito non � pi� quello che discende dal titolo originario, ma quello nascente dalla transazione conclusa mediante il concordato, sicch� all'obbligazione originaria viene a sostituirsi una nuova obbligazione, diversa non tanto per l'oggetto, quanto per il titolo, ed � . giunta. alla conclusione che in caso di concordato tutti i crediti privilegiati vengono a costituire la base imponibile ai fini della tassazione, per imposta proporzionale di registro, del concordato medesimo. In particolare � stato osservato che i creditori privilegiati, pur se non hanno diritto a voto, possono influire sull'omologazione del concordato sia opponendosi, sia chiedendone l'annullamento.. � stato ~che aggiunto che, ove si volesse collegare l'imponibile al consenso dato al concordato (per non considerare i crediti �privilegiati), non si comprenderebbe perch� debba essere conteggiato l'ammontare dei creditori chirografari, i cui titolari hanno votato contro il concordato. In particolare � stato rilevato che il suddetto art. 32 contempla � convenzioni � e � concordati � contempla cio� gli accordi veri e propri (convenzioni) e quelle particolari figure (concordati) che non possono essere ricondotte agli accordi e che costituiscono la regolamentazione della situazione debitoria dell'imprenditore in conseguenza di un procedimento complesso, talch� il problema della tassazione va impostato e risolto prescindendo dai principi che regolano la tassazione di negozi bilaterali o di contratti e tenendo conto del fatto che i creditori assistiti da privilegio, a seguito del concordato, hanno diritto di essere pagati, (con prelazione e per intero) in virt� del concordato stesso e indipendentemente dalla validit� dei titoli originariamente vantati. Tutte le suesposte proposizioni sono state affermate in un caso in cui si discuteva della tassazione di un concordato preventivo. Esse, per�, possono essere proficuamente rapportate al caso di specie, in cui si tratta di concordato fa1limentare. Le differenze tra l'un tipo di concordato e l'altro non riguardano infatti il meccanismo di approvazione SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 luglio 1981, n. 4285 -Pres. Granata -Est. Lipari -'P. M. Silocohi (conf.). -S.a.s. Impresa di costruzioni Mattioda Pierino e Figli ~avv. Giordano e Manfredonia) c. A.N.A.S. (avv. Stato Onufrio). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Contabilit� provvisoria -Onere di riserva rispetto ai lavori contabilizzati � Sussiste -Contabilit� di fat� to -Riserve -Onere -Inapplicabilit�. (r.d. 25 maggio 1895 n. 350, artt. 36, 37, 51, 53 e 54). Appalto -Ap.palto di opere pubbliche � Riserve � Fatto continuativo � Tempo e forma della riserva � Sospensione dei lavori � Verbale di ripresa. (r.d. 25 maggio 1895 n. 350, artt. 30, 36, 37, 51, 53 e 54}. Appalto � Appalto di opere pubbliche � Riserve � Sospensione di fatto � Tempo della riserva -Prima contabilizzazione successiva alla ripresa dei lavori. Appalto � Appalto di opere pubbliche � Riserva � Ostacoli ai lavori ancora presenti !In sede di consegna � Tempo della riserva � Verbale di consegna. (r.d. 25 maggio 1895 n. 350, artt. 10, 11, 36, 37, 51, 53 e 54). L'onere della riserva opera in principio ed analiticamente sulle singole partite di lavoro quali risultano dalle iscrizioni e trova il suo dies a quo nella rilevanza causale delle appostazioni contabili, volta a volta sottoscritte. Ne deriva che la contabilit� provvisoria, cio� quella relativa a lavori in avanzamento, comporta l'onere di riserva rispetto ai lavori contabilizzati, mentre le modalit� della sua tenuta, e quindi irregolarit� approssimazioni ritardi eccedenze provvisoriet� ed inadeguatezza delle partite contabili, possono rilevare in rapporto a concrete pretese ed in ragione dell'emergere �successivo� dell'attitudine di certi fatti a risultare one� rosi, ma non valere in s� ad escludere l'onere della riserva in genere per ogni lavoro contabilizzato. N� la contabilit� provvisoria pu� essere .ricondotta a quella di fatto, cio� non riprodotta sul registro di contabilit�, rispetto alla quale l'inesigibilit� dell'onere deriva dalla stessa mancanza del documento contabile da sottoscrivere (1). (1) Sui rapporti tra onere della riserva e contabilizzazione provvisoria, cfr., in senso conforme, neJJa giunsprudenza della cassazione, Cass., 20 gen PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 827 e di voto e la p~sizione dei creditori privilegiati � la medesima. Non a caso l'art. 32 della tariffa all. A L.R. parla di concordati � stipulati tanto prima che dopo la dichiarazione di fallimento �. Nel caso di specie, per�, la soluzione � resa ancor pi� agevole dal fatto che vi � stato l'intervento di un assuntore, con conseguente liberazione immediata di tutti i debitori falliti (societ� e singoli soci). E per non allargare il discorso, al di l� d�lla fattispecie in esame, conviene soffermarsi proprio sull'ipotesi di tassazione di un concordato fallimentare con assuntore. � noto che nel concordato viene ravvisato un atto complesso ed esso esce dal piano puramente privatistico per colorarsi dei riflessi pubblicistici propri della procedura fallimentare. Sotto tale profilo esso legittimamente coinvolge persone senza il loro consenso (es. creditori privilegiati, creditori chirografari non votanti, creditori che non hanno presentato domanda di ammissione al passivo), in base al nuovo titolo costituito appunto del concordato. Ora nel caso di concordato con assuntore non � possibile negare che dal punto di vista soggettivo sia sorto un nuovo rapporto obbligatorio anche per i creditori privilegiati. La novazione soggettiva, richiamata dal codice civile (art. 1235) solo dal lato passivo, non ha una disciplina propria unicamente perch� essa � conseguenza della sostituzione con altro soggetto del debitore originario con liberazione di quest'ultimo, attuata mediante i tipici mezzi della delegazione, dell'espromissione o dell'accollo. Non � qui il caso di indugiare sulla natura negoziale o contrattuale della novazione, che la pi� moderna dottrina tende ad escludere, preferendo ravvisare in essa un effetto che discende da atti di diversa natura. Ci� �he rileva -ai fini della imposta di registro -� il fenomeno economico derivante dal concordato, in base al quale un nuovo debitore si � sostituito ai precedenti nei confronti di tutti i creditori originari e il valore dell'atto � costituito appunto dall'insieme delle somme che il debitore deve pagare. (omissis) PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 829 La riserva non comporta necessariamente la contestuale quantificazione del pregiudizio risentito dall'appaltatore e perci�, riguardo ai c.d. fatti continuativi, tra i quali va ricompresa la sospensione, l'onere della iscrizione della riserva, salva la successiva quantificazione, sorge gi� nel momento in cui assume adeguata consistenza la percepibilit� della rilevanza causale del fatto dannoso, momento che, rispetto alle pretese fondate sull'intervenuta sospensione, certamente non pu� essere spostato oltre la sottoscrizione del verbale di ripresa dei lavori (2). La riserva, con cui l'appaltatore deduca d'aver subito un danno in conseguenza. di una sospensione di fatto dei lavori (avutasi a partire dalla consegna e per la mancata espropriazione di aree su cui eseguire i lavori), � tardiva se, in mancanza di verbale di ripresa dei lavori, non sia iscritta in occasione della prima contabilizzazione successiva all'effettivo inizio dei lavori e neppure all'atto della contabilizzazione successiva allo esaurimento della causa che aveva dato luogo alla sospensione di fatto (3). La riserva, con cui l'appaltatore deduca d'aver subito un danno in conseguenza del mancato o ritardato spostamento di linee telefoniche, telegrafiche ed elettriche nella zona in cui avrebbe dovuto eseguire l'opera, � correttamente ritenuta tardiva in base alla considerazione che i fatti riscontrati erano immediatamente valutabili nella loro portata, in quanto di palese ostacolo all'inizio dei lavori o ad un pieno ritmo di esecuzione, ed erano quindi suscettibili di incidere sulla produttivit� dell'impresa cagionando un accorciamento del termine contrattuale di esecuzione dell'opera, sicch� stante l'attualit� dell'incidenza causale, emergente dalla consistenza della zona al momento della consegna, la riserva avrebbe dovuto essere inserita nel verbale di consegna (4). (omissis). 1. -Si discute :in causa, in tema di contratto di appalto di opera pubblica, delle pretese dell'impresa appaltatrice fondate su riserve la cui tempestivit� � stata esclusa dai giudice di merito. La societ� ricorrente riconosce che la sentenza impugnata ha correttamentP, richiamato i principi fondamentali che reggono l'intero siste naio �1981, n 476, Giust. civ. Mass. 1981, 185; Cass. 10 gennaio 1979 n. 1162, in questa Rassegna :1979, I, 570 con richiamo di 'lll1teriori p11eoedentii. {2�3) In tema di fatto continuativo, cfr., Cass. 1 aprile 1980, n. 2097 e Oass. 16 o�tobre J.980, n. 5564, in quesrba Rassegna 11980, I, 967 e 969; Caiss. 119 gennaio 11979 n. 394, ivi, 1979, I, 573 �con richiamo di u!llteriori rpreoedentii; in tema di sospensli()[le, []Jeili �seillso che il verbale di ri1pI1esa dei i!Jav:ori costli1Juiisce la sede ullmima ;perch� ili'appail:tatore formuli la propria riiserv:a 1sulila leglittimiit� della sospensione o della sua durata e sui danni derivatigliene, Cass. l aprile 1980, n. 2097, Arch. giur. op. pubbl., �1980, II, 20; Cass. 17 ottobre 1977, n. 4430, ivi, 1978, II, 16; Cass. 15 1apr.hlie �1976 111. 11337, in questa Rassegna �1976, I, 619, Oass. 5 gennaio :1976 n. 8, ivi 11976, I, 124. {4) In argomento, cfr., Cass. 1 aprile 1980 n. 2097, in questa Rassegna 1980, I, 967 e Cass. 19 marzo 1980 n. �1818, in questa Rassegna, 1981, I, 410. 15 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ma delle riserve; ma assume che l'applicazione fatta in concreto di tali principi sia erronea. La ratio della prescrizione relativa alla riserva � infatti rappresentata -si osserva -dal1a ncessit� di tenere costantemente inforimata la stazione appaltante delle possibili variazioni in aumento del costo dell'opera, onde metterla in grado di adottare tempestivamente gli opportuni provvedimenti. Pertanto l'appaltatore � tenuto ad iscrivere ed 'esplicare le riserve negli appositi documenti contabili, secondo le norme dettate dal r.d. 25 maggio 1895 n. 350, restando escluso tale onore solo nel caso in cui la contabilit� sia informe e non ricostruibile, dovendosi altrimenti (e sipecificarilente anche in caso di contabillit� � rprovvisoria �) quando 111on sia ancora attualmente possibile individuare il maggior onere subito, procastinare l'iscrizione (ed eventualmente la sola esplicazione quantitativa) al momento in oui la ;rilevazione del maggior d001no e ila sua entit� siano (con media diligenza) percepibili. Ci� premesso, con il primo motivo si lamenta che, i giudici del merito abbiano negato la concreta ricorrenza di una contabilit� informe ed irricostruibile, senza procedere ad una puntuale ricostruzione del concetto, e senza accertare la riconducibilit� al modello normativo della fattispecie in cui si riscontravano due tipi di contabilit�, l'una informe e verit1era, l'altra formalmente ineccepibile, ma non rispondente aUa realt�. Nonostante le decisioni di questa Corte si riferiscano univocamente, per fissare il concetto di � contabilit� informe � a quella contenuta in brogliacci, l'ipotesi si verifica anche tutte le volte in cui le I1egistrazioni, pur essendo effettuate sui regolari registri non rispondono in alcun modo al reale stato dei lavori (mirando esclusivamente a consentire il pagamento di acconti all'impresa). L'impossibilit� del controllo andrebbe perci� ricollegata non soltanto alla mancanza dei requisiti formali nella tenuta della contabilit� ma pure alle suddette ipotesi. Nella specie il divario fra registrazioni e reale stato di avanzamento dei lavori �era imponente (219 partite iscritte rispetto a 1080 partite costi tuenti la contabilit� definitiva); ed in tale situazione l'onere di riserva e di relativa quantificazione risultava di impossibile osservanza. Aveva qumdi errato la Corte escludendo l'esonero dalle riserve ri spetto ad essa contabilit� di comodo -pur se formalmente regolare preordinata al pagamento degli stati di avanzamento dell'impresa. Si addebita alle sentenze di non avere dato decisivo rilievo alla cir costanza che la �contabilit� �reale� era tenuta su brogliaoci e 1o stesso li bretto delle misure non rispecchiava l'effettivo andamento dei lavori, men tre il registro ufficiale conteneva voci e cifre non rispondenti alla .realt�. Il sistema della doppia contabilizzazione rendeva possibHe la esplicazione di tutte le riserve ivi compres� quelle non attinenti alla materiale esecuzione dei lavori (differimento della data di inizio, condizioni delle I ,, ! I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI aree consegnate) venendo a dipendere la quantificazione specifica di ciascuna riserva dalla globale considerazione di tutti i dati relativi all'appalto (I motivo: violazione degli artt. 36, 37, 51, 53 'e 54 del r.d. 25 maggio 1895 n. 350 e dei principi generali in tema di riserve; omesso esame di punto decisivo, omessa e insufficiente motivazione). 2. -Il motivo non � fondato. In definitiva l'impresa pretende di addebitare alla Corte del merito un eITore di diritto per non avere allargato la nozione di contabilit� informe od irricostruibile a quella di contabilit� trascritta nei registri in via provvisoria senza puntuale corrispondenza agli effettivi stati di avanzamento dei lavori, mentre la contabilit� reale era contenuta in brogliacci che non avrebbero potuto essere e non vennero sottoposti all'appaltatore per la sottoscrizione, risultando quella formalmente versata nei registri sottoscritti dall'appaltatore puramente di comodo, e si propone di superare in effetti la lineare distinzione emergente dalla giurisprudenza di questa S.C. nel senso di postulare l'assoggettabilit� allo onere delle riserve anohe rispetto alla contabilit� provvisoria, in contrapposizione a quella informe (Cass. 476/81; 162/79; 2613/76; 1355/72). E pretende di corroborare in punto di fatto il proprio assunto deducendo l'omesso esame della circostanza che era stata tenuta appunto una doppia contabilit�, e che quella formalmente consacrata nei registri non rispondeva allo stato dei lavori, la cui decisivit�, sta o cade, ovviamente con l'accoglimento o la reiezione della tesi giuridica di cui vorrebbe rappresentare iii supporto fattuale. Il problema interpretativo � stato esaminato diffusamente dalla Corte d'Appello la quale ha escluso che sia consentito, in presenza di una contabilit� per partite provvisorie, differire l'adempimento dell'onel'e sino al definitivo allibramento di tutte le categorie di lavoro e di tutte le quantit�, poich� se al momento della sottoscrizione determinate quantit� iscritte implicano fatti che gi� si presentino come potenziale fonte di maggiori pretese, nei limiti suddetti operano i principi generali. Non sarebbe rispondente alle finalit� dell'istituto delle riserve -secondo la Corte del merito -esentare l'appaltatore dall'onere sol perch� la stazione appaltante � incorsa in irregolarit� ed approssimazione della tenuta dei registri della contabilit�, se tali irregolarit� non impediscono di cogliere la rilevanza causale incidente su maggiori oneri derivanti dalle relative appostazioni. La provvisoriet� della contabilit� gioca cio� soltanto sul detto piano della rilevanza causale, consentendo di differire il momento di iscrizione ed esplicazione delle riserve in dipendenza della percepibilit� del maggior onere, 11estando esclusa in generale la immediata denuncia solo rispetto ad una contabilit� non consacrata negli appositi registri del tutto informe e irricostruibile, che non viene sottoposta all'appaltatore per la sottoscrizione e non gli consente comunque obiettivamente di appurare RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 832 l'effettiva determinazione dei titoli di spesa e delle pretese riconosciutegli. La contabilit� provvisoria parziale, ha precisato la impugnata sentenza, riecheggiando l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte di Cassazione, si risolve in una registrazione limitata, ma entro questi limiti postula l'operativit� de11'onere di (tempestiva) riserva, in correlazione alla funzione svolta di consentire pagamenti parimenti parziali. Sul piano applicativo la Corte ha rilevato che la contabilit� tenuta dall'Anas, anche se si svolse mediante registrazioni di misure provvisorie, era stata formalmente ineccepibiJ.e, venendo trascritta nei prescritti registri debitamente vidimati, e sottoposti, di volta in volta, all'approvazione ecl. alla sottoscrizione dell'impresa, rispecchiando nelle singole voci esplicitamente contemplate, ed in quelle che ne risultavano chiaramente implicate li vari momenti di esecuzione dall'opera, ed i relativi oneri sopportati dall'appaltatore. Conseguentemente, secondo i giudici romani, le pretese dell'impresa concernenti le partite di lavori via via registrate, anche se per quantit� parziali, e che da queste partit'e erano comunque implicate, andavano iscritte al momento della sottoscrizione ed esplicate entro i quindici giorni successivi, salva la possibilit� di determinare anche successivamente il quantum preteso, ove � allo stato � il danno non fosse esattamente emerso, ovvero fosse ancora suscettibile di espansione. Di i�ronte a questa .adeguata motivazione, in di:ritto ed in fatto, le censure dell'impresa non appaiono centrate sia iper il taglio delle doglianze, sia perch� significativamente non si contesta in concreto il difetto di rilevanza causale rispetto alle riserve costituenti le singole pretese fatte valere in giudizio. Non quindi la provvisoriet� delle !'egistrazioni, ma la inavvedutezza dell'appaltatoJ1e che, fra le maglie di quelle pur inadeguate contabilizzazioni, non seppe cogliere il danno emergente sta al fondo della tardiva formulazione delle riserve e comunque, della mancata esplicazione delle medesime, con conseguente decadenza. E l'allargamento di prospettiva cos� insistentemente sottolineato nel ricorso e nella memoria non viene in considerazione poich� rispetto alle partite in quel conto allibrate la tempestiva deduzione delle riserve sarebbe stata agevolmente possibile. Mentre la Corte d'Appello muove dalla affermazione in diritto della idoneit� delle iscrizioni �provvisorie� a far scatta!'e l'onere delle riserve, non rilevando la eventuale irregolarit�, e solo per incidens ed in guisa di contrapposizione, ricorda che detto onere viene meno soltanto rispetto alla contabilit� informe ed irricostruibile, risultante dai brogliacci, � indecifrabile e non ostensibile � lasciando chiaramente intendere che il tema di discussione non riguardava una situazione siffatta, la compatibilit� con il suddetto onene delle registrazioni provvisorie, in sede di ricorso si addebita alla Corte medesima di non essersi data carico di fissar,e adeguatamente la nozione di contabilit� e di avere escluso la ricorrenza di ! ............................_._.___________�__ � --------------------..--------------------.------------------------------------�---�--------------------------------c---c-z-z-c-.-oc----. -------------------------r.--------J PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI questa ipotesi valorizzando le (provvisorie) registrazioni formali e trascurando la parallela contabilit� di fatto. Potrebbe, quindi, addirittura dubitarsi se la prospettiva de1la esclusione dell'onere in presenza di una doppia contabilit� (di cui quella formale meramente di comodo) sia una � qUJestione nuova� come tale inammissibile in cassazione. Il Collegio lo esclude sul rilievo che la tematica dell'esigibilit� o meno dell'onere ha informato di se l'intera lite risolvendosi-la riconducibilit� all'uno ed all'altro fondamento giuridico in una questione di mero diritto da decidere sulla base di elementi fattuali gi� comunque invocati davanti al giudice di appello. 3. -La censura pur formalmente ammissibile, non coglie nel segno, giacch� porta a sovrapporre e confondere due concetti che non interferiscono fra loro. La provvisoriet� de1Ja contabilit� formalmente rituale e risultante dagli appositi libri previsti dalla legge, non fa venir l'onere della riserva che non ha modo di estrinsecarsi solo quando le annotazioni restano estranee ai libri contabili (donde il riferimento ai brogliacci) e presentino connotati sostanziali tali da non consentire di intenderla e di trarre elementi orientativi (donde gli aggettivi �informe� con riguardo alla situazione di attuale confusione, ed � irricostruibile � con riferimento alla impossibilit� di apportare un minimo di uniformit�, chiarezza e coerenza a dati approssimativi incoerenti e confusi). Mentre la contabilit� provvisoria � comunque consacrata nel regi stro di contabilit�, che � il luogo di elezione della riserva, rispetto alla contabilit� �di fatto�, estranea al sistema garantistico che si realizza anche oon Jo strumento deJla risel."'Va, man-0a l'elemento di base perch� l'onere venga in considerazione, vale a dire la sottoscriziont! del docu mento contabile ufficiale (il registro appunto) cui deve accompagnarsi� la riserva in relazione al.la presa in considerazione di dati emergenti dalle appostazioni e nella misura comportanti un aggravio del costo dell'opera. Ne consegue che l'inesigibilit� dell'onere delle riserve rispetto alla con tabilit� di fatto � postulata dalla logica giuridica prima ancora che dalila piena applicazione delle norme positive. Per la verit� talora, specialmente nella giurisprudenza arbitrale si � manifestata la tendenza a ricondurre la contabilit� provvisoria trascritta nell'apposito registro, alla contabilit� di fatto formalmente inesistente, informe ed irricostruibile affidata ad appunti o brogliacci. Ma il superamento di questo orientamento � ormai acquisito. P:r;endendo Je mosse dai dati positivi va ricordato che la registrazione dei favori � effettuata anzitutto nei libretti delle misure, che sono tenuti, � in corrente� con il progresso dei lavori (art. 47 2� comma r.d. n. 350 del 1895); le relative annotazioni sono riportate nel registro di contabilit�, ed ac�ompagnate dalla indicazione del prezzo pattuito (artt. 53 e RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 834 54 del medesimo decrnto) in modo che sia possibile ricavarne gli stati di avanzamento quando debba farsi luogo al pagamento di rate di acconto (art. 58 1� comma r.d. n. 350 cit.), ed a tale trascrizione si correla, in termini di tempestivit�,. l'onere della riserva. Ai sensi dell'art. 42 2� comma del citato decreto la misurazione deve specificare la parte di lavoro eseguito, quando l'opera non risulta ancora ultimata, ed in questo senso si parla di lavori di avanzamento, con riferimento alla effettiva esecuzione dei medesimi in corso di completamento. La registrazione in avanzamento � designata nella prassi come �registrazione provvisoria�; e questa terminologia si � andata generalizzando, intendendosi per contabilit� provvisoria quella relativa a lavori in avanzamento (mentre in senso proprio la provvisoriet� va riferita a misurazioni non ancora riportate nei lib11etti delle misure nel caso che il direttore dei lavori non sia in loco, ovvero ai certificati di acconto emessi senza che risulti firmato il registro di contabilit� (cfr. artt. 48 e 58 2� comma r.d. n. 350 cit.). L'illegittimit� della tentata equiparazione della contabilit� provvisoria a quella informe, chiaramente diretta ad allargare l'ambito derogatorio al principio generale della riserva, appare manifesta ove si consideri che rispetto alla contabilit� informe, a ben vedere, non si tratta di introdurre una deroga, facendo radicalmente difetto i presupposti di operativit� dell'istituto perch� il dato contabile non � stato evidenziato nell'apposito registro, sicch� manca una contabilit� (formale) in senso proprio, cui correlare la riserva che deve essere tempestivamente formulata ogni qualvolta alle registrazioni si provveda, sia pure in via provvisoria, non rilevando la inesattezza e la arbitrariet� delle specifiche appostazioni. La diversit� essenziale delle due ipotesi � addirittura macroscopica, assumendo determinante rilievo l'inserzione nel registro di contabilit�, che costituisce l'unico punto di incontro giuridicamente rilevante, di appaltatore e pubblica amministrazione. Rispetto ai dati non ancora consacrati nel registro di contabilit�, la inapplicabilit� della regola della riserva discende direttamente dal diretto del presupposto. Invece, nel caso di contabilit� formalmente inserita nel registro, ma sostanzialmente inesatta e contestabile, non basta allegare irregolarit�, approssimazioni, ritardi, eccedenze da parte dell'amministrazione appaltante per escludere la necessit� della riserva (Cass. 78/74), venendo soltanto in rilievo, come ben messo in evidenza dall'impugnata sentenza, il criterio della rilevanza causale, alla stregua del quale l'appaltatore � tenuto ad iscrivere riserva, sempre che, e dal momento in cui, secondo indioi di media diligenza e di buona fede possa rendersi conto, nonostante le -riscontrate manchevolezze, del maggior aggravio derivante a suo �carico (non sussistendo nesso di causalit� fra le carenze contabili ed i fatti che dovrebbero formare oggetto di riserva). l I I .�.�.�.��.�.�.�.��.�.��.�.�.��.��.�.-.��.�.-.....-................................................-.-.......................................... .. ..... .... . ... ...... .. .. ... I t1;11rr:rr@1111~1~11r1l~:r1rirri,1!~~;1:1=1J;11r1r1lrj=rlrlirtlfr1rlJ!ittll�JIJ;lltlllilllillilllllllsffJ PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Esattamente, pertanto, l'impugnata sentenza ha sottolineato che le irregoladt� delle registrazioni contabili possono tutt'al pi� differire nel tempo il momento della dedu~ione ogni qualvolta i dati contabili registrati non consentono l'immediata rilevabilit� del maggior esborso cui l'appaltatore va incontro e che pu� dipendere sia dalla quantit� del lavoro svolto, sia dalle diverse modalit� di esecuzione. La provvisoriet� delle registrazioni in avanzamento non comporta l'esonero della riserva, nemmeno sotto il profilo, ampiamente trattato nel motivo, del carattere fittizio, o di comodo della contabilit�, formata al solo scopo di rendere possibile la compilazione degli stati di avanzamento 'ed i conseguenti pagamenti di acconti. Anche ad ammettere, concessivamente, che le circostanze esposte nel motivo di ri.corso siano state tutte acquisite in causa, risultando utilizzabili sul piano probatorio, non sembra superabile il rilievo che le registrazioni, per quanto difformi dalla realt�, nel momento in cui venivano effettuate al solo scopo di consentire i parziali pagamenti, evidenziavano certe partite di lavoro, alla stregua delle quali, in quanto ne emergessero maggiori pretese dell'appaltatore, scattava 11 relativo onere. Il discorso astratto sulla �impossibilit�� di formulare riserve e quantifilcarle prima che fosse completato il quadro della situazione effettiva dell'andamento dei lavori, non � condividibile, perch� l'onere delle riserve opera in principio ed analiticamente sulle singole partite di lavoro quali risultano dalle iscrizioni e trova il suo dies a quo nella rilevanza causale delle appostazioni contabili, volta a volta sottoscritte. Ne segue che finesattezza non pregiudica l'imprenditore per quanto riguarda le quantit�, ma � altrettanto ovvio che se viene in considerazione, in ipo,tesi, il costo unitario del lavoro eseguito, la provvisoriet� della registrazione non si riflette negativamente sulla rilevanza causale del fatto generatore di danno, venendo a dipendere dalla definitivit� delle misurazioni, solo eventualmente la quantificazione del danno gi� resosi evidente nell'an. Sotto questo aspetto la genericit� della censura nuoce all'impresa che non pu� pretendere di ricollegare alle modalit� di tenuta della contabilit� la applicabilit� del sistema delle riserve, ma la provvisoriet� ed inadeguatezza delle partite contabili avrebbe potuto invocare eventualmente, caso per caso, rispetto a ciascuna delle riserve formulate, per sostenerne la tempestivit� in relazione all'emergere �successivo� dell'attitudine di certi fatti ad aggravarne gli oneri rispetto alla originaria iscrizione. E poich� la Corte del merito si � richiamata ad ineccepibili criteri giuridici esattamente applicati quali canoni di valutazione alle singole riserve, ne ri:sulta la pretestuosit� delle dedotte censure ri:guardanti asseriti vizi di motivazione per omesso 1esame di fatti decisivi, non essendo le circostanze di fatto invocate dal ricorrente suscettibili di infirmare la 836 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO impostazione di fondo seguita dai giudici romani, che hanno escluso che una contabillit� riportata nel registro pur se provvi:soria, e di oomodo, non corrispondendo alla realt� valesse ad esonerare la impresa dal sistema delle riserve (riflettendosi se del caso soltanto sullo scorrimento in avanti del termine di deduzione), trattandosi di verificare caso per caso la tempestivit� della riserva in relazione alla peculiarit� della singola posta. (omissis) (omissis) Con il terzo mezzo si passa dal piano delle censure di principio, che investono la sentenza nella sua globalit�, alle contestazioni specifiche. E si sostiene che, per quanto riguarda i fatti continuativi, la Corte del merito, con riguardo alle riserve nn. 1, 2, 3, pur avendo enunciato principi esatti li avrebbe -ancora una volta -erroneamente applicati, non considerando � fatto continuativo� sia la sospensione di fatto intervenuta agli inizi del lavoro per mancata predisposizione degli atti di esproprio (prima riserva lett. b), sia la presenza degli ostacoli sul tracciato dell'opera da eseguire (riserva n. 2), dato che, in ambedue i casi, ci si trovava di fronte a situazioni che, come causa di maggiori oneri, si erano prodotte continuativamente sino al termine dell'appalto, dando origine a sempre nuovi e diversi oneri. Al riguardo la Corte contraddittoriamente da un lato avrebbe escluso che l'originaria sospensione dei lavori potesse considerarsi fatto continuativo (avendo esaurito ogni potenzialit� di produrre ulteriori oneri per l'impresa al momento dell'emanazione dell'ultimo decreto di esproprio), e dall'altro avrebbe respinto la richiesta di maggiori compensi derivanti dalla accelerazione dei lavori per ovviare il ritardo, sul rilievo .che, trattandosi di oneri coilll1essi alla sospensione originaria, l'avere omesso di proporre la riserva in quell'occasione precludeva. ogni richiesta per il riflettersi di tale fatto sull'intera durata dell'ap.. pailto ~ammettendo, quindi, implicitamente, la continuit� di effetti dannosi in precedenza negata). Il motivo non � del tutto chiaro, n� nella rilevazione dell'iter logico seguito dalla sentenza, n� nella critica che ad essa si muove denun� ciando (con rubrica identica a quelle proposte al secondo mezzo) la violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 54 del r.d. 25 maggio 1895 n. 350, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo). Giova quindi prendere le mosse dalla sentenza impugnata e dal riconoscimento che il ricorrente fa della esatta enucleazione del concetto di fatto continuativo e del suo riflettersi sulla disciplina della riserva operata dalla Corte romana, in aderenza agli orientamenti interpretativi di questa Corte. 6. Dopo aver precisato che il cosidetto � fatto continuativo� consiste in una causa che costantemente si ripete, e che � destinata ad PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 837 operare .come fonte di sempre nuovi e distinti, anche se analoghi effetti dannosi, la Corte del merito ha dato atto dell'evoluzione della giurispru denza sul punto, aderendo alla tesi per cui, anche rispetto al fatto continuativo, le riserve devono essere immediatamente iscritte non ap pena tale fatto risulti pienamente apprezzabile quale causa potenziale di un ag3ravr.meato della rrestazione, salva la precisazione dell'en tit� dei danni nelle successive registrazioni, ovvero anche nel conto finanziario (Cass. 78/74, 1148/75, 2841/75, 1458/75, e da ultimo 2097/80 e 476/81). La Corte ha, pertanto, disatteso le tesi dell'impresa la quale soste neva in primo luogo l'insussistenza dell'onere di iscrizione rispetto alle contabilizzazioni provvisorie (cfr. i precedenti paragrafi 2 e 3 peir la riproposizione della tesi in questa sede sotto la angolazione della equi parazione della contabilit� provvisoria a quella informe) ed assumeva in subordine che la riserva ben poteva essere avanzata rispetto ai � fatti continuativi, all'atto della sottoscrizione della contabilit� definitiva, ed ha escluso, in punto di fatto, che l'emergere dei fatti continuativi fosse stato �tempestivamente denunciato, non senza rilevare la incon ciliabilit� di questa osservazione con la principale Jinea difensiva seguita. Passando all'esame delle singole riserve la Corte ha rilevato (nei limiti della contestazione ancora rilevante in questa sede): che la ri serva sub 1 b) riguardava una sospensione di fatto dei lavori dalla con segna, avvenuta il 12 aprile 1963, sino al 10 ottobre a causa della ritar data emanaziione dei decreti di espropriazione (o di temporanea occu pazione) da parte della regione Valle d'Aosta; al riguardo l'impresa non aveva provato che il direttore dei lavori le avesse ,taciuto la m�n canza dei decreti di espropriazione, o di temporanea occupazione, im pedendole di iscrivere riserva nel verbale di consegna dei lavori; co munque alla data dell'ultimo decreto di esproprio e cio� al 10 ottobre, 1a sospensione avevia ormai esaurito la sua potenzialit� di danni (aven do avuto termine). Che non si poteva ravvisare in detta sospensione un fatto conti nuativo (Cass. 8/76) ma anche ad accedere alla qualificazione e facendo ricorso alla giurisprudenza pi� longanime della Cassazione, l'impresa avrebbe dovuto iscrivere riserva in mancanza di verbale di rip1:1esa dei lavori, in calce alla contabilizzazione sottoscritta il 30 novembre 1963 (sia pure nel presupposto erroneo di doverlo fare a caus�a dannosa ormai esaurita, non senza contare che gi� il 30 settembre 1963 vi era stata una prima contabilizzazione rispetto alla quale era stata iscritta una incomprens�ibile riserva per � revisione � laddove avrebbe dovuto de nunciare i fatti che avevano impedito lo svolgersi dei lavori secondo un ritmo normale, circostanza questa di agevole percepibilit� e di in dubbia rilevanza causale), invece la riserva era stata formulata sotto la data del 3 ottobre 1967, alla chiusura dei registri di contabilit�, e cio� 838 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO a distanza di oltre un anno dalla fine dei lavori e dalla sottoscrizione dell'ultima contabilizzazione provvisoria e ad oltre quattro anni dalla verificazione degli anormali eventi a cui si attribuisce l'attitudine a produrre danni; �e conseguentemente la riserva era stata sicuramente intempestiva; che quella sub 1/C, riguardante l'acceleramento dei lavori imposti dall'Anas, dipendendo dal ritardo iniziale, non tempestivamente dedotto, era come tale inammissibile e comunque si sarebbe verificata decadenza anche nell'ipotesi di iniziale iscrizione, per mancata riproduzione nel conto finale; . che quella sub 2 riguardava il 1risardmento del danno patito a causa del mancato o ritardato spostamento dalla zona dei lavori delle linee telefoniche, telegrafiche elettriche, degli impianti di illuminazione e delle cabine elettriche, ed alt11es� a causa delle misure di prevenzione adottate per garantire l'integrit� ed il funzionamento di tali impianti quasi per l'intera durata dei lavori; che una volta effettuata la consegna, nel relativo verbale l'impresa avrebbe dovuto iscrivere le riserve che riguardavano i fatti preclusivi all'inizio dei lavori od al loro normale svolgimento con incidenza sulla produttivit� e quindi riduzione del termine contrattuale di esecuzione dell'opera che rischiava di non poter essere rispettato; mentre non aveva provveduto a inserire la opportuna riserva nel verbale di inizio dei lavori pregiudicando definitivamente il suo eventuale buon diritto ad un indennizzo, non potend_osi il comportamento de1la P.A. al riguardo qualificare doloso o gravemente colposo ai fini de11a non operativit� del principio delle riserve che resta circoscritta comunque a .comportamenti non aventi diretta incidenza nella esecuzione dell'opena. 7. La ricognizione della motivazione della Corte d'Appello mette effettivamente in luce talune incertezze argomentative nella enucleazione del concetto di fatto continuativo, ma poich� tali incertezze riflettenti lo stesso svolgimento non del tutto lineare della giurisprudenza di questa Corte, non toccano il nucleo decisorio del giudizio di tempestivit� delle riserve formulate dopo che l'impresa, pur avendo avuto sicuramente in un certo momento del corso dei lavori, la oggettiva possibilit� di percepire la rilevanza causale di certi fatti, non si cur� di provvedere immediatamente alla relativa iscrizione, la conclusione di decadenza cui sono giunti i giudici di merito resiste alla critica, tutt'altro che puntuale, mossa dal ricorrente che non ha in effetti, individuato il punto debole del ragionamento dei giudici romani che rifletteva la oscillazione giurisprudenziale circa la inserzione delle sospensioni di fatto dei lavori tra le ipotesi di continuit�, e circa l'effettiva incidenza di una quailH1cazione siffatta sulla disdp'lina delle riserve. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Nel presupposto gi� sottolineato, del carattere generale dell'istituto della riserva, che atteso l'evidenziato collegamento con il registro di contabilit� viene meno solo nel caso di contabilit� informe ed irricostruibile, mentre sussiste anche nel caso di contabilizzazione irregolare o provvisoria (e di questi principi si � fatta applicazione nella confutazione del primo mezzo; cfr. amplius il precedente paragrafo 2) si sono venute evidenziando in giurisprudenza le ipotesi eccettuative; fra esse annoverando accanto ai fatti estranei all'oggetto dell'appalto e ai fini di documentazione dell'iter esecutivo dell'opera, nonch� al comportamento doloso, o gravemente colposo della P.A., non incidente direttamente sulla esecuzione dell'opera) anche i c.d. �fatti continuativi� discutendosi in ordine aJ!la inclusione, nella categoria delle intervenute sospensioni del lavoro durante il periodo contrattualmente previsto per la loro effettuazione. Ma pi� di recente � stato messo in luce ,che non � cOI'retto esdu� dere i predetti fatti continuativi dell'area di incidenza dell'istituto della tempestiva riserva. L'onere della riserva, in verit�, sussiste non solo rispetto ai fatti transuenti, ma anche per quelli continuativi, che presentano, anzi, una pi� spiccata idoneit� a riflettersi, in senso maggiorativo, sul costo dell'opera; la circostanza che l'evento considerato non abbia carattere istantaneo, ma consiste in una situazione il cui svolgimento si protrae nel tempo, opera soltanto nel senso di procrastinare eventualmente il momento in cui scatta l'onere medesimo nella duplice forma dell'iscrizione e della traduzione in una cifra determinata dalla pretesa. La consapevolezza che si trattasse di individuare il momento ultimo della iscrizione della riserva attinente ad una situazione di perdurante manifestarsi dell'evento causativo del danno, non fu peraltro immediatamente acquisita perch� le prime decisioni di questa S.C. intervenute in argomento riferendo il dies a quo per la decadenza da intempestivit� alla cessazione della continuazione (Cass. 830/72, 717/73), se non adididttura al termine dei Lavori (Cass. 2699/67) furono portate a sottolineare che l'onere da fatto continuativo, ripercuotendosi sull'intero ciclo di esecuzione dell'opera, si evidenziasse nella sua concreta misura soltanto ad esecuzione ultimata, sicch� sotto questo aspetto poteva ritenersi che venisse meno la stessa imposizione di formulare la pretesa, a pena di decadenza in corso d'opera. In successive decisioni peraltro, � stato messo in chiaro che l'unitaria considerazione delle finalit� cui l'istituto delle riserve tende, di controllare la misura della spesa dell'opera in fieri attraverso le sue possibili espansioni, comportava che altrettanto lineare ed unitario dovesse essere il criterio applicativo atto a realizzare sempre con immediatezza il collegamento fra la pretesa emergente e la conoscenza della medesima, sin dall'origine, da parte della stazione appaltante. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Si richiede, pertanto, rigorosamente, all'appaltatore di effettuare in ogni caso, e per ogni fatto suscettibile di comportare l'aggravamento della prestazione e quindi di riflettersi in senso maggiorativo sul corrispettivo, la riserva non appena la potenziale dannosit� venga in evidenza. Detto in altre parole, l'onere della riserva � operante, anche per i fatti continuativi, alla stregua del criterio della rilevanza causale dell'evento generatore della continuazione medesima, che pu� palesarsi, secondo criteri oggettivi di media diligenza, anche prima della cessazione della continuazione, restando differita la quantificazione del chie� sto risaocimento aftla epoca suooess�iva in cui si consolida definitiva� mente iJ. pregiudizio economico subito (Cass. 1960/72, 677, 1527, 2168. 2454/73, 78/74, 1148, 1458, 2221, 2841, 3958/75, 8, 76, 726/76, 4430/77, 394/79, 2097/80, 476/81). Il c.d. fatto continuativo consiste in un accadimento che, non avendo carattere istantaneo, si protrae nel tempo costantemente ripetendosi e che � destinato ad operare come fonte di sempre nuovi e distinti, anche se dello stesso tipo, effetti dannosi. In questo senso va contrapposto al fatto istantaneo con effetti permanenti, che si ripercuotono a cascata sull'intero ciclo esecutivo del rapporto pur essendo venuto meno il fatto generatore. Deve �trattarsi, dunque, di fatti eguali nelle modalit� di accadimento, e prodotti da cause costanti, di cui � sempre possibile l'accertamento lungo tutto il corso del loro operare, compreso il momento finale (Cass. 1527/73), riconducibili, cio�, ad una serie di ricorrenti episodi la cui ripetitivit� comporta rilevanre onerose e pregiudizievoli, non attribuibili alla singola circostama iso1atamente considerata (Cass. 677/73; 8/76). Emerge attraverso la sottolineatura della ripetitivit�, che d� evidenza e consistenza al danno, altrimenti trascurabile, se rapportato al singolo elemento, la preoccupazione della giurisprudenza, che ha introdotto la nozione, di evitare che l'appaltatore fosse tenuto, a pena di decadenza, all'iscrizione di riserva quando il fatto appena venuto in essere non palesava ancora apprezzabilmente la sua potenzialit� dannosa (evidenziata appunto dal ripetersi nel tempo), e quando soprattutto sarebbe stata inesigibile la quantificazione del maggior compenso preteso (che, erroneamente, si riteneva dovesse essere contestuale e immediata). Il fatto continuativo in itinere, pu�, quindi, non manifestare immediatamente, proprio perch� tale, la sua �rilevanza causale, e finch� non sia cessato non consente la puntuale quantificazi�ne del danno. Ne consegue che la tempestivit� della riserva viene a dipendere dalla obiettiva apprezzabilit� della rilevanza casuale, con salvezza di precisare la misura della richiesta, non appena possibile, nelle successive registrazioni, e con ulteriore onere d� riproposizione della riserva nel suo preciso ammontare, nel conto finale. Non �, perci�, esatto che soltanto al momento della cessazione della �continuazione possa emergere tale rilevanza causale correlandosi la tem PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI pestivit� solo e sempre alla cessazione medesima, vero essendo, invece, la reciproca, che cio� con la cessazione fa riJevanza � venuta necessariamente ad evidenziarsi. Correlativamente le riserve inscritte nel conto finale concernenti le sospensioni intervenute durante l'esecuzione dell'opera, e non enunciate in precedenza nel verbale di ripresa dei lavori sono da ritenere sicuramente intempestive (Oass. 2164/73, 2486/73, 2841/75). Ed invero, il verbale di ripresa dei lavori, rispetto alle pretese fondate sulla intervenut� sospensione, costituisce sicuramente il momento ultimo per la iscrizione della riserva (pur non potendosi escludere una anteriore manifestazione della rilevanza causale). Ma � sempre e solo a campeggiare detto criterio della� rilevanza causale; in ogni ipotesi di sospensione dei la'l.'ori appal'e i:rrilevante la contrapposizione di sentenze che escludono (Cass. 8/76, 3858/78, 3438/78) od ammettono (restante giurisprudenza) l'inquadramento nello schema del fatto continuativo degli 1episodi di sospensione dei lavori. Ed, infatti, tutte le pi� recenti decisioni di questa Corte appaiono univoche nel fare applicazione dell'enunciato criterio, indipendentemente dalla rilevanza data aHa continuit� in senso tecnico, con riguardo al fatto di sospensione. Il concetto di fatto continuativo (come � stato puntualizzato nella sentenza n. 2097 del 1980) non va ricostruito aprioristicamente, ma si correla all'esigenza che si voleva tutelare, quella cio� di escludere l'onere di (tempestiva) riserva, ogniqualvolta apparisse impossibile, o di estremamente ardua attuazione. Tali impossibilit� (o difficolt�) in un primo momento si valutano nel falso �]:1resupposto della inscindibilit� di iscrizione e quantificazione della riserva; una volta negata tale inscindibilit�, viene �esclusivamente in considerazione la individuazione temporale (con indagine di fatto) nel momento in cui assume adeguata consistenza la percepibilit� della rilevanza causale. A seconda che la giurisprudenza ritenga di agganciarsi ad una pi� o meno lata ricostruzione degli effetti sulla disciplina delle riserve del fatto continuativo ricollegando il termine di tempestivit� della riserva al compimento dei lavori (giusta la originaria impostazione che va disattesa ad avviso del collegio per le considerazioni che si sono venute esponendo), ovvero prendendo atto del superamento di quella concezione, accade che, per raggiungere il medesimo risultato applicativo, si escluda ovvero si includa, la sospensione dei lavori nella categoria, fermo restando l'univocit� dei risultati nel senso della intempestivit� di una riserva che non sia stata quantomeno enunciata nel verbale di ripresa dei lavori. Ci� messo in chiaro, ponendo l'accento sulla rilevanza causale e sulla gradualit� dell'eventua:le suo emergere di fronte alle ripetitivit�, va riba� dita la correttezza dell'adesione di un concetto lato di fatto continuativo, includendovi la sospensione dei lavori, non senza sottolineare che RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO specificamente detta sospensione, quando palesemente si presenti illegittima ab initio, non pu� non rivelarsi immediatamente susoettibile di incidere negativamente sul costo dell'opera. 8. -Alla stregua dei richiamati principi pu� procedersi alla confutazione del motivo rilevando che effettivamente la Corte di Appello quando ha negato che la sospensione di fatto dei lavori potesse inquadrarsi tra i fatti continuativi, non ha adottato una terminologia pienamente condividibile (anche se avallata da un certo orientamento della giurisprudenza di questa Corte). Ma, come si � posto in evidenza, tale negazione non ha esplicato alcun concreto effetto sul giudizio di intempestivit� espresso; anzi, a ben vedere, l'impresa ricorrente, pur avendo riconosciuto in tesi l'esattezza dell'orientamento giurisprudenziale che nega la possibilit� di differire la riserva, rispetto al fatto continuativo, sino al compimento dell'opus, nell'articolare la censura sembra riallacciarsi al superato orientamento, quando sottolinea che i fatti asseritamente continuativi � si sono riprodotti continuativamente sino al termine dell'appalto, dando origine a sempre nuovi e diversi oneri �. La notazione non � esatta perch� l'aggravio determinato dal fatto continuativo si esaurisce con il cessare della continuazione, dando luogo ad una componente di maggiore incidenza economica che viene a inserirsi come tale nel conto finale, senza peraltro accrescersi nell'ulteriore periodo che va dalla cessazione della continuazione al compimento dell'opus. La ratio decidendi, per quanto riguarda la riserva sub 1 b, relativa al ritardato inizio dei lavori, sta quindi nell'esatto rilievo che nel mo mento in cui si pot� effettivamente procedere ad iniziare l'esecuzione del l'opus si era ormai concretato ed esaurito l'evento potenzialmente produt tivo dei danni restando consolidati quelli gi� causati. E trattasi, all'evi denza di argomentazione del tutto coerente con le enunciazioni di mas sima che regolano la disciplina delle sospensioni medesime nell'ottica della tempestivit� delle riserve. E poich� la Corte del merito ha accertato che gi� in data 30 settem bre 1963 vi era stata una prima contabilizzazione di lavori eseguiti, nono stante il ritardo nelle espropriazioni, esattamente ne ha .tratto il corol lario della decadenza per omessa specifica riserva, a nulla rilevando quella �e per revisione� (dei prezzi unitari) nella prospettiva del minor tempo rimasto a disposizione per l'esecuzione dell'opus. Di fronte ad una riserva specifica iscritta soltanto nel conto finale par chiaro che tutto il discorso sul fatto continuativo in tanto potrebbe giovare all'impresa in quanto si accogliesse l'interpretazione da tempo superata che dalla continuit� del fatto erroneamente deduceva la possibilit� di differire .J'is�rizione della riserva sino al momento della sottoscrizione del conto finale. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 843 Non sussiste contraddizione nell'argomentazione della Corte che dalla mancata .tempestiva deduzione della sospensione iniziale come evento causativo di danni, trae corollario della inammissibilit� della pretesa di ulteriore compenso per le maggiori spese incontrate per rispettare i termini di scadenza contrattuale per l'esecuzione dell'opera, dato che appunto il danno subito per la sospensione iniziale era rappresentato dalla minore estensione dello spazio di tempo a disposizione per il compimento dei lavori, e la preclusione verificatasi a monte non poteva aggirarsi f�a.cendo valere autonomamente danni dipen!denti esclusivamente a1l'iniziale ritardo. Ci� non significa che i danni si proiettavano con perdurante continuit� lungo l'intero arco temporale della esecuzione, avendo avuto l'iniziale ritardo, che riduceva il periodo a disposizione dell'appaltatore, appunto questa incidenza causale di costringerlo a un maggior spiegamento di uomini e mezzi per rispettare i termini di consegna. Solo la quantificazione del danno poteva, quindi restare incerta, mentre era addirittura ovvio che la durata del ritardo iniziale esauriva il fatto continuativo generatore del danno medesimo. D'altra parte la motivazione riguardante la riserva 1 c) � fondata su una duplice argomentazione, osservandosi che anche se vi fosse stata riserva rispetto a1la sospensione dei lavori, l'autonoma riserva sulla accelerazfone occorsa per ultimarla in termine, sarebbe egualmente irisuiltata tardiva per non essere stata formulata in calce alla contabilizzazione del 28 luglio 1966, primo documento sottoscritto dopo la fine dei lavori. Infine, quanto alla riserva n. 2 (danno relativo al mancato o ritardato spostamento delle linee telefoniche, telegrafiche ed elettriche nella zona in cui doveva operare l'impresa) l'addebito alla Corte di non avere ritenuto tale mancato o ritardato spostamento come fatto continuativo si esaurisce nella sovrapposizione di una notazione meramente nominalistica, al ragionamento esattamente incentrato in termini di rilevanza causale. La Corte ha rilevato (senza preoccuparsi di una qualificazione ad hoc) che i fatti riscontrati erano immediatamente valutabili nella loro portata, in quanto di palese ostacolo all'inizio dei lavori, o ad un pieno ritmo di esecuzione, ed erano quindi suscettibili di incidere sulla produttivit� dell'impresa cagionando un accorciamento del termine contrattuale di esecuzione dell'opera, sicch� stante l'attualit� dell'incidenza, causale, emergente dalla consistenza della zona ai momento dehla consegna, l'impresa avrebbe dovuto inserire riserva nel verbale di consegna. In conclusione la presente vicenda nella riscontrata esattezza della decisione adottata dalla impugnata sentenza riconferma come la probfomatica delil'incidenza dei fatti continuativi sull'onere delle riserve si sia venuta ridimensionando a 1seguito di opportune puntualizzazioni giurisprudenziali poich� la stessa possibilit� di differire il momento ini RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 844 ziale della iscrizione in quanto la rilevanza causale emerga dal ripetersi del fatto o dal persistere nel tempo del fatto considerato, non ha nemmeno modo di manifestarsi rispetto ad ogni ipotesi di continuit� dal momento che in certi casi e per certi fatti il venir in essere dell'evento e l'emergere della sua rilevanza causale appaiono contestuali. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 14 dicembre 1981, n. 6591 -Pres. La Farina -Est. Carotenuto -P. M. Saja (conf.). -Ministeri dei lavori pubblici e delle finanz�e {avv. Stato del Greco) c. Trainotti (av.v. Ricci, Stoja); Bussinello (avv. Ricci, Stoja, Devoto), Scudellari e Soc. Club nautico Bardolino (avv. Rkci, Stoja) c. Ministero dei lavori pubblici e delle finanze. Procedimento civile -Cassazione . Riproposizione del ricorso � Inammissibilit� � Condizioni~ (cod. proc. civ., art. 387). Procedimento civile � Impugnazioni � Ricorso per cassazione � Impugna� zione immediata e riserva di ricorso � Sentenza definitiva � Individua. zione � Giudizio relativo a cause scindibili riunite per cumulo soggettivo � Condizioni. (cod. proc. civ., art. 103 e 361). Acque . Giudizio e procedimento � Riserva di impugnazione � Forma � Dichiarazione a verbale � Validit�. (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 189 comma quarto; cod. proc. civ., disp. att., artt. 129 e 133). Acque � Giudizio e procedimento � Sentenza non definitiva � Riserva di impugnazione � Estinzione del giudizio � Proponibilit� dell'limpu� gnazione. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 186 e 208; cod. proc. civ., disp. att., artt. 129 e 133). Acque � Laghi � Spiagge lacuali � .Demanialit� � Criteri. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 1; r.d. 1 dicembre 1895, n. 726, artt. 1, 2, 4, 5 e 33; t.u. 25 aprile 1904, n. 523, art. 97, lett. n); r.d. 18 maggio 1931, n. 544, art. 2, comma secondo). Acque � Laghi � Limiti. dell'alveo � Individuazione � Criterio. (cod. civ. art. 943). La rituale proposizione del ricorso per cassazione esaurisce il diritto di impugnazione e pertanto il ricorrente non pu� proporre altro ricorso n� per denunciare altri capi della sentenza impugnata n� per ripetere altre censure, anche se il termine per l'impugnazione non � ancora scaduto (1). La sentenza avente ad oggetto due distinti rapporti processuali relativi a cause scindibili unite per cumulo soggettivo, ha carattere di sen (1) In senso conforme Caiss., 11~ aipriilJe �1979 n. 2167, Giust. civ. Mass . .1979, 961; Cass., .18 maggio 1978 11.1. 2412, Giust. civ. Mass., .1978, 986. PARTE I, SEZ. VII, GIURJS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 845 tenza definitiva riguardo alla parte le cui domande siano totalmente rigettate, mentre � irrilevante che la pronunzia sulle spese del giudizio sia anche per questa causa rinviata alla successiva pronunzia definitiva sulla causa per cui il giudizio continua (2). La riserva di ricorso per cassazione avverso sentenza non definitiva del tribunale superiore delle acque pubbliche pu� essere validamente fatta, anzich� con atto notificato alle altre parti, con dichiarazione inserita nel verbale della prima udienza successiva al deposito della sentenza (3). Anche nel giudizio davanti ai tribunali delle acque e in forza del richiamo contenuto nell'art. 208 del T.U. 11 dicembre 1933 n. 1775 alle norme del codice di procedura civile si osserva il disposto dell'art. 129 delle disp. att. al cod. proc. civ.; pertanto, estintosi il giudizio per mancata riassunzione nel termine di sei mesi dalla cancellazione della causa dal ruolo a norma dell'art. 186 del T.U. del 1933, la sentenza contro cui fu fatta riserva di impugnazione acquista efficacia di sentenza definitiva e pu� essere fatta oggetto di impugnazione (4). La ragione della demanialit� delle acque pubbliche, cio� la loro idoneit� a soddisfare bisogni collettivi, giustifica l'estensione della demanialit� lacuale alla spiaggia, senza di che il bene pubblico non sarebbe fruibile dalla collettivit�. Pertanto, le spiagge lacuali, analogamente a In tema dd rapporti tra proposa:zn.one del ricoriso e ,consuma:lli.one del dilliitto di :iimpugnaizipne, 1a pwte fa �J.1iaffermaziorie del principio contenuto neli1'1wt. '387 CJP.C., secondo iill qua[e, purch� il! termine non 1sda scaduto :il ricorso pu� essere riproposto 1sdno .a quoodo ml ;primo non sia stato ddcmarato mamn:rls� sibi:le o drmprocedibfile (Cass., 5 .gennaio 1980 n. 32, Giust. civ. Mass. 1980, 17; Cass., Sez. Un., 11 ottobre 1979 n. 5276, Giust. civ. 1980, I, 100), vanno segnalate recenti !PronWJZie iin otri 1si � espressamente affermato che di! nuovo ricQII1So pu� aivere contenuto non identico (Cass., 2 giiiugno .1981, n. 3549, Giust. civ. Mass. 1981, .1245) e iperci� presentare nuovi mobiivi {10ass. 15 ~ugno 19719 n. 337i1, Giust. civ., 1980, I, 175). Su quest'ultimo punto, in senso contrario, cfr. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Milaino, 1966, II, 2, pag. 289, con richiamo a Cass. 9 luglio 1958 n. 2466 (in Giust. civ., 1958, I, 1437) e Cass. 14 marzo 1958 n. 841 (in Giur. it., 1959, I, l, 470), che per� riguardano il principio enunciato nclla imass:iima ora aitllllotarta. {2) In 1senso confonne, Cass., .2 api:iillie l'!J7 n. 1255, Giust. civ. Mass., 1977, 540, ove � la precisazione che la riserva di provvedere sulle spese si configura come omllisisllione di pronuncia, in violazione delfobbHgo dd regolare ilie s;pese con wa sente=a che cMude :il prooesso e qUI�ndi sd traduce in un vizio da far va1e11e con ~'iimpugina:cione iiimimeddaita. SUillLa prima parte delli1a mass:iima, neilllo s,tesso senso, Oass. 24 giugno 11980, n. 3968, Giust. civ. Mass., 1980, 1719; �Oass. 28 aprhlie 11978, n. 2005, Giust. civ. Mass., 19718, n. &13. ~3-4-7) 1La meno recente tra 1ie due 1sent=e m Rassegna esplilloita e ,teorizza un indirizzo mterp.1.1etat:iivo 1a mano a mano affermatosi attl'averso r'applfoazione concreta delilie norme del codice di rito del �1942 alle s&tuaziOtrui non disciplinate daffi T.U. del: 1933. 16 846 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quella del mare, per la funzione similare che adempiono, non si possono scindere dagli elementi dell'acqua e dell'alveo, di cui sono come una propaggine, presentandosi in natura come tratti aperti costituiti da terreno lasciato scoperto dalle acque nel loro volume normale. Ne deriva che l'estensione della spiaggia pu� solo formare oggetto di un accertamento specifico per ogni singolo tratto, da condursi in base alla obiettiva e naturale connessione dei luoghi con l'uso pubblico dell'acqua, quale � possibile ricavare da una visione complessiva dell'assetto idrogeologico ed economico del lago nel corso del tempo (5). L'estensione dell'alveo di un lago si determina con riferimento al ~ livello delle piene ordinarie allo sbocco (6). II I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 28 ottobre 1981 n. 5693 -Pres. Mirabelli -Est. Scanzano -P. M. Saja (conf.) -Ministero dei lavori pubblici (avv. dello Stato Viola) c. Miniero (avv. Compagno). Acque -Giudizio e procedimento � Rinvio ad cod. proc. civ. -Carattere formale e non recettizio. I (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 208; cod. proc. civ., art. 331). f: Per quanto riguarda il procedimento dinanzi ai tribunali regionali f� f: f ed al Tribunale superiore (in grado di appello) delle acque pubbliche, il i; riferimento dell'art. 208 t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775 al c.p.c. ha carattere ~ mobile, e si intende fatto al codice di procedura vigente nel momento in cui il procedimento si svolge (principio enunciato con riguardo agli effetti 1~ della mancata ottemperanza ad ordine di integrazione del contraddittorio emesso dal giudice delegato in applicazione dell'art. 331 codice proce I duca civile) (7). I :Si noter�, peralltro, che ambedue ile decisioni, sia pure :iincidientalrmente, f appaiono confffi'IDJare illa natUJra materiiiaJe deil: ir1nvio aill'art. 51'8 dcl �Codice del i 1865 contenuto nell'art. 202 ult. co. del T.U. del 1933 relativo al termine del ricorso per cassazione. I Sulil'OO'gomento ,deJhl!a drusoiplifam de~ proooclimento davaniti: ai tmbunaJi deili1e acque, dr., Casis., Sez. Un., 18 ottobrie .1979 n. 5246, in questa Rassegna I ~ 1980, I, 641 in tema di rapporti tra giudizio petitorio e possessorio; Tmilb. sup. B acque, 30 1giug:no 11978 n 22, iin questa Rassegna 197'9, I, 337, in tema di difese I ' tecniche; Tll1ib. 1sup. 1acque, 1 fobbriaio 11978 in. 7, in questa Rassegna 11979, I, 214, in tema di accertamento tecnico preventivo; Trib. 1sup. a<:que, il5 novembre 1977 in. 38, dn questa Rassegna ,19718, I, 642, in tema di condanna al pagamento I di provvisionale; Cass., Sez. Un., 2 febbraio 1973 n. 3U e 3'15 in Giust. civ. 1973, I, '560 con nota di SGROI V., Sistema processuale in materia di acque pubbliche i e rinvio alle norme del c�dice di procedura civile e in Foro It., 1973, I, 2853; Trib. 'sup. �acque 7 marzo 11974 n. 4, jn questa Rassegna 1974, I, 737 con nota di VITTORIA P., Statuizione sulla competenza e prosecuzione del giudizio. (5-6) In �arigomento, cfr., Trib. sup. a.eque 6 maggio 11980 n. 113 in questa Rassegna 1980, I, 862 con nota di richiami a dottrina e precedenti giurisprudenziali in tema di spiagge lacuali e alveo dei laghi. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA: DI A:CQUE ED A:PPA:LTI PUBBLICI 847 I (omissis) I tre ricorsi devono essere riuniti perch� i primi due (n. 4267/65 e n. 16/66) e, in parte, anche il terzo (n. 8003/80) sono stati proposti contro la stessa sentenza d'appello 8 giugno 1965 (la riunione del terzo ricorso ai precedenti sarebbe stata in ogni caso opportuna, anche se fosse stato diretto soltanto contro la sentenza 24 gennaio 1970, emessa in sede di rettificazione e di revocazione, data la pregiudizialit� del suo esame rispetto alle censure contro la sentenza d'appello). L'avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilit� del ricorso n. 8003/80 -'-proposto in data 30 ottobre 1980 da Camillo Bussinello, da Elsa Scudellari (quale erede di Carlo Scudellari) e dalla s.r.l. Club nautico di Bardolino -deducendo: 1) per la parte in cui si censura la sentenza di appello 8 giugno 1965, il diritto d'impugnazione � stato gi� esercitato col precedente ricorso notificato il 23 dicembre 1965; 2) per la parte in cui si censura la sentenza non definitiva 24 gennaio 1970, emessa in sede di 'rettificazione e di revocazione, � mancata la rituale riserva di impugnazione ai sensi dell'art. 202, terzo comma, t.u. sulle acque pubbliche 11 dicembre 1933 n. 1775, e, inoltre, non � mai intervenuta la pronuncia definitiva. Mentre � fondata la prima eccezione, la seconda � infondata (con la precisazione ohe, quanto ail ricorso proposto dal Bussinello, esiste una diversa ragione di inammissibilit�, della quale si dir� in seguito). Nella esposizione dei fatti di causa si � precisato che contro la sentenza di appello 8 giugno 1965 il Bussinello, lo Scudellari e la soc. Club nautico di Bardolino proposero, in data 14 dicembre 1965, ricorso allo stesso Tribunale superiore de'Lle acque pubbliche per rettificazione e per revocazione, e, in data 23 dicembre 1965, ricorso per cassazione. Col ricorso al Tribunale superiore veniva denunciato tra l'altro: 1) sotto il profilo della rettificazione, il vizio di extrapetizione (articolo 204 t.u. n. 1775 del 1933 in relazione all'art. 517, n. 4, c.p.c. 1865) per avere il Tribunale superiore trattato della questione della demaniaHt� dei terreni in relazione alla loro appartenenza all'afoeo del lago di Garda, mentre tale appartenenza, non rilevata dal tribunale regionale -che aveva ritenuto la demanialit� dei terreni in quanto facenti parte della spiaggia del lago -non era stata dedotta, in sede di appello, da alcuna delle parti; 2) sotto il profilo della revocazione, l'errore di fatto circa: a) la determinazione della quota di m. 65,69 come limite dell'alveo del lago; b) l'affermata esistenza di imbonimenti del terreno, relativamente ai mappali nn. 61, 63 e 164 del fogil.io IX, gi� intestati allo Scudellari, al fine di farli risultare, al di sopra della quota di m 65,69; e) l'indicazione in cm 25, anzich� in cm 15-20 (come accertato dal consulente tecnico), dello 848 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO strato artificiale di terren�> aggiunto alla quota naturale del mappale n. 84 gi� intestato al Bussinello. Con la sentenza 24 gennaio 1970 il Tribunale superiore rigett� il predetto motivo di rettificazione (rilevando 1l'inesistenza del prospettato vizio di extrapetizione in quanto la soluzione del problema della demanialit� dei terreni, da parte del giudice d'appello, in relazione alla loro appartenenza all'alveo del lago anzich� alla spiaggia, comportava soltanto l'adozione di un criterio giuridico circa la demanialit�, utilizzabile ex officio, ,e non l'accoglimento di una domanda non proposta dalle amministrazioni dello Stato) e accolse il motivo di revocazione concernente l'imbonimento dei mappali nn. 61 e 164 deHo Scudellari -dando con separata ordinanza i provvedimenti istruttori per la definizione del merito della controversia su tale punto -mentre rigett� gli� altri motivi di revocazione. Ci� posto, � da osservare che il ricorso in esame � articolato in quattro motivi dei quali il primo, il terzo e il quarto si riferiscono alla predetta sentenza 24 gennaio 1970 (nelle parti in cui ha rigettato: a) la domanda di rettificazione per vizio di extrapetizione; b) uno dei motivi di revocazione comuni a tutti i ricorrenti; e) il motivo di revocazione riguardante il terreno del Bussinello), mentre il secondo motivo � diretto contro la sentenza d'appello 8 giugno 1965, denrmciandosi -con riferimento alla ritenuta demanialit� dei terreni per la loro appartenenza all'alveo del 1lago -una violazione del giudicato sotto il profilo che il giudice di primo grado aveva ritenuto la demanialit� dei terreni in quanto facevano parte della spiaggia del lago e le amministrazioni dello Stato non avevano proposto appello incidentale sul punto. Considerando che la censura circa la pretesa violazione del giudicato fu gi� proposta nei medesimi termini -insieme con altra censura riguardante il vizio di extrapetizione -col primo motivo del precedente ricorso per cassazione notificato il 23 dicembre 1965, il secondo motivo del ricorso in ,esame � inammissibile in base al principio della consumazione del diritto di impugnazione. La giurisprudenza di questa corte ha ripetutamente affermato che la rituale proposizione del ricorso per cassazione esaurisce il diritto di impugnazione e pertanto il ricorrente non pu� proporre altro ricorso n� per denunciare altri vizi della sentenza impugnata n� per ripetere le stesse censure, anche se il termine per l'impugnazione n0\l1 � ancora scaduto (sent. 12 aprile 1979, n. 2,179; 18 maggio 1978, n. 2412; 6 maggio 1978, n. 2176). Prima di esaminare la seconda eccezione deve rilevarsi d'ufficio che il ricorso proposto dal Bussinello � inammissibile anche in relazione agli altri motivi (proposti contro la sentenza 24 gennaio 1970) perch� � tardivo. La sentenza 24 gennaio 1970, avente ad oggetto due distinti rapporti processuali relativi a cause scindibili, unite per cumulo soggettivo (la prima relativa ai terreni Bussinello e la seconda relativa ai terreni PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALn PUBBLICI Scudellari-01.ub nautico) ha carattere non definitivo solo per il rapporto riguardante questi ultimi terreni (la pronuncia rescindente, per ritenuto errore di fatto, si riferisce esclusivamente ad esso), mentre per la controversia di cui � parte il Bussinello ha natura di pronuncia definitiva, dato il totale rigetto nei suoi confronti sia della domanda di rettificazione sia di quella di revocazione e data l'irrilevanza della rimessione alla sensentenza definitiva della pronuncia sulle spese (Cass. 2 aprile 1977, n. 1255). Di conseguenza il Bussinello avrebbe dovuto proporre ricorso immediato entro il termine di quarantacinque giorni dalla notifica del dispositivo (airt. 202, ult. comma, t1u. n. 1775 del 1933) avvenuta in data 20 aprile 1970. H suo ricorso, essendo stato notificato il 30 ottobre 1980, � pertanto tardivo. La seconda eccezione di inammissibilit�, sollevata in relazione ai motivi con i quali si censura la sentenza 24 gennaio 1970, deve quindi essere esaminata solo con riferimento al ricorso proposto dailla Scudellari e dail club nautico. A sostegno di questa eccezione l'avvocatura dello Stato deduce: a) non � stata fatta rituale riserva d'impugnazione ai ,sensi dell'art. 202, terzo comma, n. 1775 del 1933; b) non � mai intervenuta la pronuncia definitiva. Il primo rilievo trae argomento dal testo della norma invocata secondo cui la dichiarazione di riserva d'impugnazione viene fatta � con regolare aitto di notificazione entro il termine assegnato per il ricorso�. Poich� nel caso in esame la riserva d'impugnazione, tempestiva quanto al rispetto del termine per il ricorso, � stata fatta nella forma consentita dagli art. 129 e 133 disp. att. in relazione all'art. 361 vig. c.p.c. (dichiarazione inserita nel verbale della prima udienza successiva al deposito della sentenza, tenuta in data 28 febbraio 1970) la corte ritiene che non esista ragione per negare efficacia aHa riserva. Gi� in precedenti pronunce queste sezioni unite, nell'affrontare il problema della equivalenza tra forme stabilite dal vigente c.p.c. e pre scrizioni processuali del t.u. n. 1775 del 1933, l'hanno risolto in base al criterio della compatibilit�. Cos�, in relazione all'impugnazione dclle sen tenze dei tribunali delle acque, hanno affermato che ad essa � applicabile il termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza non previsto dal t.u. considerando che questa previsione non contrasta con la disposizione del t.u. che fa decorrere il termine d'impugnazione dalla notifica del dispositivo da parte del cancelliere (sent. 15 marzo 1956, n. 761). Ma iJl criterio della compatibilit�, se pu� a ragione essere seguito quando non vi sia contrasto di funzione tra forme diverse, deve ancor pi� essere ritenuto valido quando tra due differenti forme processuali vi sia equivalenza assoluta sia degli effetti sia della tutela del contraddittorio. E questo sicuramente avviene nel caso in esame considerato che la dichiarazione all'udienza, in contraddittorio con la controparte, e la 850 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO notifica della dichiarazione sono atti che hanno funzione 1e portata oggettivamente identiche, tanto che lo stesso legislatore nel vig. art. 129 disp. att. c.p.c. considera assolutamente equivalenti le due diverse forme processuali. Il secondo rilievo dell'avvocatura non considera che la proposizione del ricorso per cassazione contro una sentenza non definitiva quando sia stata fatta riserva di impugnazione richiede necessariamente la pronuncia della sentenza definitiva, dal momento che per il disposto degli art. 129 e 133 disp. att. c.p.c. applicabili per effetto del generale richiamo contenuto nell'art. 208 t.u. sulle aoque pubbJiche (cfr. Trib. sup. 14 luglio 1979, n. 21) anche l'estinzione del processo nella fase successiva alla pronuncia della sentenza non definitiva rende proponibile l'impugnazione. E, nel caso in esame, l'estinzione del processo davanti al Tribunale superiore si � verificata -come eccep�to dai ricorrenti -ex art. 186 t.u. per la mancata riassunzione del processo neil. termine di sei mesi dalla cancellazione della causa dal ruolo (sulla possibilit� di accertare, in altro giudizio, l'eccepita estinzione, cfr. Cass. 28 luglio 1965, n. 1793. (omissis) Si pu� quindi passare amesame dell'unico motivo del ricorso dei ministeri dei lavori pubblici e delle finanze e del secondo motivo del ricorso dei privati, da trattare congiuntamente, in quanto riguardano entrambi la questione centrale della propriet� (pubblica o privata) dei terreni. � da premettere che il Tribunale regionale di Venezia aveva ritenuto che tutti i terreni in questione -occupati dal Bussinello, dal Trainotti e dallo Scudellari -fossero demaniali perich� facenti parte della spiaggia del lago di Garda. A fondamento della decisione aveva posto il principio che, per i laghi, vige una disciplina analoga a quella del demanio marittimo -con la conseguenza che la propriet� pubblica non ha per oggetto solo il bacino di contenimento dell'acqua (l'alveo) ma si estende alla spiaggia -considerando che per rendere possibile il migliore uso pubblico delle acque (approdo, transito, accesso al lago, ormeggio, deposito di bariche e di piccoli natanti) occorre che, al di l� del limite dove possono giungere le acque, vi sia un ulteriore tratto di terra capace di soddisfare queste esigenze. E i terreni dei ricorrenti, per la loro conformazione e ubicazione, rientravano in tale ambito. Con l'impugnata sentenza il Tribunale superiore ha ritenuto errato l'identico principio osservando: a) per le spiagge lacuali manca l'espressa previsione della demanialit� stabilita per le spiagge marine (art. 822 e.e.); b) dagli art. 1 e 2 reg. 1� dicembre 1895 n. 726 risulta che solo le spiagge lacuali destinate all'uso �pubblico sono demaniali, mentre tutte le altre sono private; e) le esigenze di pubblica utilit�, cui dovrebbero sopperire le spiagge lacuali, possono essere appagate nello spazio delimitato dalle piene ordinarie e possono ,essere soddisfatte caso per caso con idonei provvedimenti epropriativi. Ha quindi affermato che, dovendo PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQ�E ED APPALTI PUBBLICI 851 il problema della estensione della demanialit� dei laghi essere posto negli stessi termini di quello relativo a1le acque pubbliche in genere, la propriet� demaniale, oltre che all'acqua, si estende all'invaso che la contiene (alveo) e che, per la delimitazione dell'alveo, si pu� utilmente fare capo alla norma dell'art. 943 e.e. secondo cui la propriet� del lago si estende ai terreni che l'acqua copre nelle sue piene ordinarie all'altezza dello sbocco, mentre non comprende i terreni lungo la riva che l'acqua ricopre nei casi di piena straordinaria. Col d. 20 agosto 1948, che ha fissato a m. 65,69 sul livello del mare il limite della zona demaniale del lago di Garda, la p. a. -ha aggiunto il Tribunale superiore -ha inteso operare la delimitazione dell'alveo del lago con riferimento alla linea -�fino alla quale arrivano le acque non solo nelle piene ordinarie, ma anche nelle straordinarie, annualmente e periodicamente ricorrenti, escluse le piene eccezionali che si verificano a distanza di anni e si risolvono piuttosto in disalveamenti del lago � e per stabilire tale quota -la quale corrisponde a una altezza di m. 1,51 sull'idrometro di Desenzano e di m. 1,56 sull'idrometro di Peschiera e rispecchia il livello massimo raggiunto dalle acque del lago in occasione di piene �ricorrenti�, essendo stati trascurati dei livelli pi� alti raggiunti in alcuni anni (es. 1882, 1917, 1918) che presentano un carattere eocezionale -ha tenuto conto dei dati idrometrici relativi ad un ampio arco di tempo (dal 1882 al 1948) in modo da assicurarne l'attendibilit�. Ha quindi concluso che i terreni occupati dal Bussine11o e dallo Scudellari, posti originariamente (ossia prima della loro artificiale elevazione mediante imbonimenti) a quota inferiore a quella predetta, sono da ritenel'e demaniali, mentre quello occupato dal Trainotti, posto a quota superiore, � di propriet� privata, non potendo la demanialit� essere ad esso attribuita per la sua pretesa appartenenza alla spiaggia del lago. Ci� posto, mentre il Bussinello, lo Scudellari e il Club nautico di Bal'dolino (acquirente di una parte dei terreni Scudellari), col secondo motivo del loro ricorso denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 943 c. c. e il difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c,p,c.) in relazione alla determinazione della quota di m. 65,69 quale limite dell'alveo del Jago, i ministeri dei lavori pubblici e delle finanze, con l'unico motivo del loro ricorso diretto contro la :ritenuta esclusione della demanialit� del terreno occupato dal Trainotti, denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 822 e 943 e.e., delle norme del reg. 1� dicembre 1895 n. 726, dell'art. 97, lett. n), r.d.l. 25 luglio 1904 n. 523 in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. nonch� insufficienza e contraddittoriet� di motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.). Le parti private deducono che il Tribunale superiore ha esattamente affermato che l'alveo del Jago comprende soltanto il teneno che viene naturalmente. coperto dalle piene ordinarie all'altezza dello sbocco del RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO lago. Ma, nell'applicare questo principio al caso in esame, non ha pre� cisato quale fosse il livelJo normale delle acque allo sbocco del lago, in quanto non ha fatto riferimento alle piene ordinarie, utilizzando, al contrario, il livello raggiunto dalle acque nelle piene straordinarie. Infatti dai prospetti dei livelli raggiunti dalle acque nel corso degli anni, secondo i dati rilevati agli idrometri di Desenzano e di Peschiera (siti rispettivamente, a m. 64,08 e a m. 64,03 sul livello del mare) e da una relazione del genio civile al magistrato alle acque di Venezia (nota n. 3126/138, acquisita al processo) risulta che negli anni fra il 1878 e il 1914, presi in considerazione dall'amministrazione per stabilire la quota di m. 65,69 (corrispondente a m 1,51 sull'idrometro di Desenzano e a m 1,56 sull'idrometro di Peschiera) assunta dal Tribunale superiore come limite della zona demaniale il predetto livello viene raggiunto naturalmente e superato soltanto quattro volte (anni 1878, 1879, 188, 1189) mentre in tutti gli altri anni (escluso il 1882, in cui si ebbe una piena volontariamente provocata) la quota raggiunta fu in media di m 1,10 sull'idrometro di Desenzano, tanto che lo stesso ufficio del genio civile aveva proposto di fissare il limite della zona demaniale a m 65,18 sul livello del mare. Della stessa relazione risulta inoltre che la quota di m 65,59 fu stabilita prendendo per base soltanto le altezze massime raggiunte dalle acque del [ago in nove soltanto dei trentasette anni considerati e interpolando poi tale altezze per gli anni intermedi, senza tenere conto di quelle in concreto raggiunte. Negli anni indicati dal Tribunale superiore infine (dal 1882 al 1948) il livello di m 65,69 venne raggiunto e superato naturalmente solo in sette anni su un totale di sessantasei anni. Di conseguenza il criterio adottato dall'amministrazione doveva essere ritenuto incongruo, avendo in concreto fatto riferimento alle piene straordinarie, mentre il Tribunale superiore, senza alcuna indagine sul procedimento seguito, ha apoditticamente ritenuto esatta la determinazione della quota. D'altra parte lo stesso Tribunale superiore -precisano i ricorrenti -ha dato atto che l'amministrazione aveva tenuto conto � non solo delle piene ordinarie, ma anche delle piene straordinarie annualmente e periodicamente ricorrenti�. Ma con ci� � stata creata l'inammissibile distinzione delle piene straordinarie �ricorrenti� e si �, in definitiva, accolto un criterio di determinazione della quota contrastante col principio enunciato. Le amministrazioni pubbliche deducono che il Tribunale superiore ha erroneamente escluso la demanialit� delle spiagge dei laghi, la quale non solo � riconosciuta dalla dottrina ma si desume sia dal complesso delle norme del r.d. 1� dicembre 1895, n. 726 (regolamento per la vigilanza e per le concessioni delle spiagge, dei laghi pubblici e delle relative pertinenze) sia dall'art. 97, lett. n), r.d.l. 25 luglio 1904 n. 523, secondo cui � necessaria apposita autorizzazione amministrativa per � l'occupazione PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 853 delle spiagge dei laghi con opere stabili�. La demanialit� delle spiagge lacuali, inoltre, � stata affermata dalla giurisprudenza di questa corte (sent. 18 marzo 1948, n. 433). Bntrambi �i motivi sono fondarti. L'analogia fra demanio marittimo e demanio lacuale risale alla tradizion~ del diritto roma_rio (cfr. Dig. 50, 16, fr. 112, che, dopo l'affermazione della natura pubblica del litorale marino, aggiunge: idemque iuris est in lacu, nisi is totus privatus est) ed � comunemente ripresa dalla dottrina, la quale perviene alla equiparazione delle d�.e categorie. In tale equiparazione quello che costituisce il lido del mare (ossia la parte della riva che � a diretto contatto con l'acqua e si estende verso terra fin dove giungono i flutti delle ordinarie maree) fa parte, relativamente ai laghi, del loro alveo, il quale, essendo lo spazio geofisico che raccoglie le acque, si estende, secondo un principio pacifico, richiamato nell'art. 943 e.e., al terreno coperto dalJ.e acque nelle piene ordinarie. L'estensione della demanialit� lacuale alla spiaggi;:i. (ossia a una parte di terreno scoperto contiguo all'alveo) � razionalmente giustificata dalle stesse esigenze che determinano la demanialit�. Se questa � colJegata all'idoneit� dell'acqua a soddisfare bisogni collettivi (cfr. art. 1 t.u. n. 1775 del 1933) e, per i laghi pubblici, questi bisogni concernono essenzialmente il trasporto delle persone e delle cose da una sola sponda all'altra, il diporto e l'esercizio delia pesca da parte della collettivit�, la limitazione della propriet� pubblica all'alveo (ossia a una parte che � coperta dalle piene ordinarie) renderebbe illusorio il riconoscimento della demanialit� non consentendo il permanente accesso, nonch� la sosta per le attivit� strumentali ai fini dell'esercizio di quelle sopra indicate, relativamente a uno spazio scoperto contiguo allo specchio d'acqua. � in relazione a questa giustificazione razionale che varie norme dell'ordinamento -non sufficientemente considerate nelJ'impugriata sentenza -affermano la demanialit� delle spiagge e dei laghi pubblici. L'intero complesso normativo del r.d. 1� dicembre 1895, n. 726 (regolamento per la vigiJanza e per le concessioni delle spiagge, dei laghi pubblici e deHe relative pertinenze) non avrebbe senso al di fuori del riconoscimento della demanialit� delle spiagge e dei laghi pubblici, in relazione alle quali sono �attribuiti poteri di polizia alla pubblica amministrazione (art. 1), � previsto il procedimento di sclassificazione (art. 4) e sono disciplinati gli atti di concessione a favore dei privati (art. 5-33 costituenti H capo secondo, che contiene �disposizioni riguardanti le concessione di spiagge e di aree lacuali�). L'argomento a favore del normale carattere privato delle spiagge -che il Tribunale superiore ha ritenuto di trarre dall'art. 3 reg. in esame, secondo cui il ministro delle finanze, d'accordo con quello dei lavori pubblici, provvede alla risoluzion� in via amministrativa delle vertenze � sulla propriet� delle 854 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO spiagge e pertinenze lacuali� -rivela la sua fragilit� quando si consi I ~: deri che, essendo la demanialit� (come si � osservato) il presupposto di ': tutve le altre norme, quella in esame deve essere nettamente intesa nel : i ' senso che, in via amministrativa, la stessa pubblica amministrazione stabilisce fin dove si estende la demanialit� della spiaggia, la cui caratteristica � di non avere un confine certo verso l'entroterra, essendo la sua ampiezza relativa sia alla natura dei luoghi sia alle necessit� dell'uso pubblico (cfr. per la spiaggia del mare, la recente sentenza 6 maggio 1980, n. 2995). Altre norme che presuppongono la demanialit� sono: 1) l'art. 97, lett. n), t.u. 25 aprile 1904 n. 523 sulle opere idrauliche, che vieta � l'occupazione delle spiagge dei laghi con opere stabili, gli scavamenti lungo le stesse che possano promuovere il deperimento, le estrazioni di ciottoli, ghiaia e sabbia�, salva apposita autorizzazione amministrativa; 2) l'articolo 2, secondo comma, r.d. 18 maggio 1931 n. 544 che attribuisce alla competenza del ministero dei lavori pubblici � le concessioni per occupazioni di aree e spiagge lacuali, in quanto non entrino nella competenza degli uffici del genio civile �. Questa corte, del resto, ha gi� affermato la demanialit� delle spiagge dei laghi pubblici (sent. 18 marzo 1948, n. 433) mettendo in rilievo che, analogamente alla spiaggia del mare, per la funzione similare che adempiono non si possono scindere dagli elementi dell'acqua e dell'alveo, di cui sono come una propaggine, tratti aperti costituiti da spazio lasciato scoperto dalle acque nel loro volume normale. Fermo in linea di principio il problema della demanialit� delle spiagge lacuali � da osservare che la delimitazione del lago di Garda da parte della pubblica amministrazione mediante una linea giacente e una quota fissa sul livello del mare (m. 65,59) se � idonea a stabilire l'ampiezza dell'alveo -considerando che questa si determina con riferimento all'altezza che l'acqua raggiunge nelle piene ordinarie e che, in un lago, il livello dell'acqua � praticamente uniforme -non pu� ritenersi significativa della estensione dell'intera zona demaniale con riferi mento anche alla spiaggia. Quest'ultima, come si � detto, dovendo essere stabilita nella sua estensione tenendo conto sia della natura dei luoghi (pu� essere praticamente nulla per coste alte e rocciose che delimitino l'alveo) sia delle concrete necessit� collettive, pu� soltanto formare oggetto di un accertamento specifico per ogni singolo tratto della riva e non consente una determinazione indiscriminata come quella che risulta dalla indicazione di una quota fissa sul livello del mare. Ai fini di questo accertamento dovr� tenersi conto non tanto dell'attuale situazione dei luoghi (in ipotesi modificata in epoca relativamente recente dall'opera dell'uomo) ma della obiettiva e natura:le connessione dei luoghi con l'uso PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI pubblico dell'acqua, quale � possibile ricavare da una visione complessiva dell'assetto idrogeologico ed economico del lago nel corso del tempo. La determinazione concreta della spiaggia presuppone per� la delimitazione dell'alveo del lago di Garda non solo per il dato strutturale che la spiaggia ha inizio l� dove termina l'alveo ma anche perch� il problema della demanialit� dei terreni di cui � causa potrebbe (per tutti o per alcuni) essere risolto semplicemente in base all'accertamento della loro appartenenza all'alveo del lago, come ha ritenuto il Tribunale superiore per i terreni occupati dal Bussinello, dallo Scudellari e dal club nautico. Deve pertanto essere esaminato il motivo di ricorso dei privati con cui viene denunciata l'incongruit� di motivazione dell'impugnata sentenza circa la determinazione del limite dell'alveo a m. 65,59 sul livello del mare. Il Tribunale superiore, dopo avere enunciato l'esatto principio che l'estensione dell'alveo deve essere determinata con riferimento al livello delle piene ordinarie allo sbocco del lago (e gli idrometd di Desenzano e di Peschiera, per la loro ubicazione, sono idonei a rilevarlo) ha ritenuto rispondente a tale livello la quota di m. 65,59 sul livello del mare, dando atto che la pubblica amministrazione nel fissarla aveva tenuto conto �non solo delle piene ordinarie, ma anche delle straordinarie annualmente e periodicamente ricorrenti, escluse le piene eccezionali che si verificano a distanza di anni e si risolvono piuttosto in disalveamenti del lago �. Nel successivo corso della motivazione il Tribunale superiore si � limitato a osservare che � non vi � motivo alcuno per disattendere il criterio adottato dall'amministrazione per stabilire un diverso confine del lago � perch� � per stabilire quale sia il livello normale delle acque e fin dove queste possono giungere nelle piene ricorrenti occorre una indagine, accurata e diligente, che si estenda per un considerevole numero di anni�, e �nella specie si dispone di una serie di rilievi che si sono protratti dal 1882 al 1948 ed � agevole scorgere come la quota prescelta nel d.m., corrispondente ad un'altezza di m. 1,51 sull'idrometro di Desenzano e di m. 1,56 sull'idrometro di Peschiera, rispecchia il livello massimo raggiunto dalle acque del lago in occasione delle piene ricorrenti, mentre sono stati trascurati dei livelli pi� elevati raggiunti in alcuni anni (es. 1882, 1917, 1918) che presentano un carattere evidentemente eccezionale �. Questa motivazione non pu� ritenersi adeguata per dimostrare l'esattezza di un dato, non solo fondamentale per la decisione della controversia e di notevole rilevanza trattandosi di delimitare l'alveo di un grande lago come quello di Garda, ma che -secondo quanto affermato nella stessa sentenza impugnata -deve essere la risultante di una accurata indagine in base alla misurazione delle piene per un lungo ordine di anni. 856 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Manca innanzitutto qualsiasi chiarificazione intorno alla definizione di piena ordinaria con riferimento ai vari livelli (neppure sommariamente indkati) raggiunti dalle acque del lago. Il ripetuto riferimento al termine di piena � ricorrente � senza la precisazione di quale sia stata, statisticamente, la cadenza periodica di determinati livelli negli anni considerati, non d� alcun contributo per l'indicata chiarificazione, tanto pi� che si afferma essere state prese in considerazione dall'amministrazione anche � le. piene straordinarie annualmente e periodicamente ricorrenti �. L'ambiguit� di questa espressione non ha bisogno di essere sottolineata, considerando che un ricorso � annuale � rende la piena ordinaria e non straordinaria (donde l'inutilit� dell'affermazione che erano state prese in considerazione anche piene �straordinarie�) mentre un ricorso �periodico�, senza altra specificazione, � termine privo della necessaria concretezza per essere apprezzabile ai fini del controllo della congruit� della motivazione. Invero, essendo disponibili -secondo quanto affermato nell'impugnata sentenza -i dati relativi alle altezze massime raggiunte dalle piene in ciascun anno, per ben sessantasei anni (dal 1882 al 1948) la dimostrazione della esattezza della quota Cli m. 65,59 sul livello del mare (corrispondente a ID; 1,51 rispetto allo zero dell'idrometro di Desenzano e a m 1,56 rispetto '1allo zero dell'idrometro di Peschiera), quale indice del livello delle piene ordillarie, doveva essere fornita mediante la dettagliata esposizione dell'andamento delle piene durante tutto il periodo considerato, in modo da mettere in evidenza che quel determinato Hvello (tratto da una fascia di dati omogenei, perch� presentanti oscillazioni relativamente ristrette) costituiva il Umite raggiunto in un numero di anni talmente prevalente rispetto agli anni residui da rappresentare la norma. Il dato fenomenico espresso col termine di piena ordinaria � collegato all'accertamento della normale capacit� del bacino idrografico di cui il lago fa parte, tenuto conto sia dell'entit� dell'afflusso sia del coefficiente di deflusso, al di fuori del perturbamento determinato da cause eccezionali (meteoriche, geosismiche o prodotte dall'opera dello uomo per esigenze momentanee) e tale capacit� pu� essere rilevata soltanto attraverso la costanza nel tempo, entro una fascia di oscillazioni relativa.U\'.ente ristretta, dei livelli raggiunti dall'acqua. Ma di questa �costanza�, la quale � l'essenza della ordinariet� delle piene, non � stata fornita nella sentenza alcuna indicazione. Per effetto dell'accoglimento dei due motivi esaminati restano assorbiti il terzo e il quarto motivo del ricorso dei privati, riguardanti questioni relative ai singoli terreni (esistenza ed entit� degli imbonimenti, loro particolare destinazione) le quali presuppongono l'accertamento della estensione dell'alveo e della spiaggia del lago. PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 857 La sentenza 8 giugno 1965 deve pertanto essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa allo stesso Tribunale� superiore. (omissis) II (omissis) L'art. 208 t.u. sulle acque e sugli impianti elettrici, inserito nel capo (secondo del titolo quarto) contenente norme di procedura da osservarsi nei processi dinanzi ai tribunali delle acque pubbliche, dispone: � per tutto ci� che non sia regolato da11e disposizioni del presente titolo si osservano le norme del codice di procedura civile, dell'ordinamento e del regolamento giudiziario, approvati con r.d. 6 dicembre 1865, n. 2826 e 14 dicembre 1865, n. 2641, e delle successive leggi modificatrici ed integratrici, in quanto siano applicabili, nonch�, per i ricorsi previsti nell'art. 143, le norme del titolo III, capo II, del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, delle leggi sul Consiglio di Stato�. Con l'unico motivo di ricorso il ministero ll.pp. sostiene che il rinvio cos� disposto ha natura ricettizia, esprimendo lo specifico riferimento del legislatore a quel determinato codice una valutazione di adeguatezza, che non � dato all'interprete di poter modificare. Richiamandosi poi -sulla base di tale premessa -al sistema processuale proprio del detto codice, soggiunge: a) che il giudice delegato non era competente ad ordinare l'integrazione del contraddittorio (come non lo era a tenore delle disposizioni del citato testo unico specificamente concernenti i suoi poteri); b) che l'integrazione del contraddittorio avrebbe potuto essere disposta solo riguardo alle parti aventi interesse contrario a1la riforma della sentenza appellata (interesse che, nel caso, non aveva il comune di Sorrento, avendo esso ministero chiesto soltanto il rigetto della domanda proposta dal Miniera nei propri confronti; e) che, comunque, dalla mancata esecuzione dell'ordinanza di integrazione non potrebbe derivare l'inammissibilit� del gravame, non essendo tale sanzione prevista dal codice abrogato e non versandosi in tema di causa indivisibile. Denuncia pertanto violazione e falsa applicazione degli artt. 208 e 175 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 e dell'art. 469 cod. proc. civ. del 1865, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. vigente. La censura non � fondata. La tesi dell'amministrazione ricorrente si affida ad dato letterale (cui conferirebbe forza particolare l'espresso riferimento del citato art. 208 al codice di procedura del 1865 allora vigente) ed all'orientamento giurisprudenziale, emergente da varie sentenze con cui questa corte ha affermato che, pur dopo l'abrogazione del detto codice, il procedimento avanti ai tribunali delle acque rimane ancorato alla sua normativa {Cass. nn. 62/74; 2620/71; 1265/69; 1490/67; 1040/64; 950/63; 493/60). 858 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO Ma nessuno dei due elementi offre un sicuro sussidio alla tesi prospettata dal ricorso. Va anzitutto chiarito che la disposizione in argomento non contiene il supposto espresso riferimento (all'anno 1865 od al decreto di approvazione del vecchio codice) riguardando i regi decreti ivi indicati non il cod. proc. civ. (che � stato approvato con r.d. 25 giugno 1865 n. 2366), ma, rispettivamente, l'ordinamento ed il regolamento giudiziario. Il dato letterale, peraJtro, se valutato -come deve essere -nella sua interezza, potrebbe apparire addirittura controproducente, dal momento che l'articolo su indicato fa riferimento anche alle � successive leggi modificatrici ed integratrici �: aggiunta, questa, di apertura in~efinita, tale da prestarsi a ricomprendere anche il r.d. 28 ottobre 1940 n. 1443 con il quale � stato approvato il codice processuale vigente. Sembra tuttavia al collegio che attribuire ad essa aggiunta una tale portata significherebbe forzarne il signi:ficato, che pu� invece essere esattamente colto considerando che alla data di pubblicazione del testo unico sulle acque e sugli impiant� elettrici il cod. proc. civ. vecchio ormai di circa settanta anni, aveva sub�to una serie di modificazioni ed integrazioni: e si capisce che il legislatore, nel richiamare il codice e le altre leggi -ad esso complementari -volesse chiarire, attraverso la precisazione aggiunta, che il riferii.mento si intendeva fatto non al testo originario ma a quello risultante dalle modificazioni ed integrazioni gi� introdotte. Deve quindi constatarsi che la lettera della disposizione, unitaJ."I�amente considerata, non � tale da consentire 1a soluzione del problema. N� la soluzione auspicata dal ministero ricorrente pu� trovare un sicuro conforto nella giurisprudenza. Premesso che non mancano decisioni che si rifanno al codice vigente (v. Cass. 260/60, che iritiene applicabile il'art. 190), nelle sentenze espressive dell'orientamento richiamato dal detto ministero non solo :manca un approfondito esame dei termini della questione, ma, quasi sempre, all'enundazione del principio che proda.ma l'applicabilit� delle norme del codice abrogato, non fa riscontro l'effettiva applicazione di esse. Invero, a parte i ,,casi {i pi� numerosi) che conceirnono la indiv:itlua� zione del termine per il ricorso aHe sezioni unite contro le sentenze del tribunale superiore e che, riguardando un momento successivo aJl'esaurimento del procedimento avanti al giudice specializzato, potevano essere -come dovevano o sono stati -risolti senza necessit� di fare Jriferimento all'art. 208, e facendo invece applicazione dell'art. 202, ultimo c()[Il'ma, t.u. n. 1775 (che sia pure per relationem -ai termini indicati 111ell'art. 518 del codice di rito abrogato -esprime una propria disciplina della materia), si irilllvengono casi in 1cui la necessit� di fare diretta applicazione del codice abrogato viene superata valorizzandosi PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 859 La sostanziale corrispondenza della disoirplina dettata ne1 caso particolare dai due codici (sent. 493/60, cit.), o risultati raggiunti dalla giurisprudenza -nal senso rpoi recepito dal legislatore del 1942 -.gi� vigente il vecchio codice (sent. 62/74, id., 1974, 1I, 1407; 493/60, cit.). Deve, allora, conclude:rsi che il principio da cui muove l'odierno ricorso � recepito dalla giurisprudenza solo in apparenza: ci� che queste sezioni unite hanno in definitiva affermato gi� con la sentenza 2 febbmio 1973, n. 315 (id., 1973, I, 2853) a seguito di approfondito esame della natura dei riferimenti ad altre norme processuali, previsti nel citato t.u. Lo specifico problema che si pone nell'interpretazione dell'art. 208 la detta sentenza non ha espressamente considerato. Non ha mancato tuttavfa di sottolineare che in esso il richiamo al cod. proc. civ. costituisce, pi� che un rinvio in senso tecnico, l'enunciazione del comune principio dell'applicabilit� della legge genemle laddove quella speciale non dispone. IJ rilievo � condiviso dal collegio, in base alla constatazione che rifotimenti di questo tipo costituiscono i,l contenuto consueto di norme di chiusura, in funzione completiva di sistemi processuali particolari. L'applicabilit� delle comuni norme del cod. proc. civ. trovasi infatti, ad esempio, sancita, con quehla funzione, negli ar1lt. 82 e 82/3 d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570 come modificato dalla 1. 23 dicembre 1966 n. 1147 in tema cli contenzioso elettorale, nell'art. 39 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 sul contenzioso tributari.o, negli artt. 588, 672, 686 cod. nav., nell'art. 105 1. fall. Siffatti riferimenti imporitano l'applicabilit� del codice di procedum che vige nel momento in cui il processo si svolge, e nel testo riSUJltante dalle modificazioni ed integrazioni che nel tempo sono state apportate: essi, cio�, debbono necessariamente avere carattere mobile, per una elementare esigenza di unicit� del sistema processuale, perich�, laddove le rag;ioilli peculiari di uno specifico settore cessano di operare, si impongono in maniera eguale ed unitaria le ragioni (pubblicistiche) dell'assetto che la disciplina del processo assume nei vari momenti storici. Il detto sistema rischierebbe, altrimenti, di rimanere frantumato in una pluralit� di schemi gi� in s� deprecabile, e inoltre suscettibhle di creare difficolt� applicative nei oasi in cui a modifiche di procedura corrispondono modifiche di strutture organizzative. La stessa conclusione si impone esaminando la questione in termini di rinvio in senso tecnico. Premesso che il rinvio ricettizio importa l'acquisizione, nell'ambito di una disposizione, della norma contenuta in altra disposizione, la cui operativit� -nei termini in cui � stata recepita -rimane svincolata dalla sua vigenza nell'ordinamento di origine (o rispetto alla fonte di origine), e che il rinvio formale importa il rifeTimento ad altra norma in relazione alla fonte sua propria, con l'effetto dell'iautomatico adeguamento della norma rinviante a11a norma 11ichiamata, deve affermarsi che, in linea di tendenza, hanno natura 860 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ricettizia i rinvii a norme di altri ordinamenti, ed hanno invece natura formale i rinvii a norme interne all'ordinamento, salvo -in questo secondo caso -che la ragione del rinvio non risieda in una apprezzamento di particolare congruit� della norma richiamata rispetto alle esigenz;e del sistema cui appartiene la norma rinviante. Cos� come, infatti, non � presumibile che, nel richiamare una medesima norma, il legislatore si vincoli aprioristicamente ai possibili mutamenti che tale norma subisca nell'ordinamento suo proprio ed alle ragioni politiche che ivi possano gustificarili, egualmente deve presumersi che le ragioni le quali, all'interno dell'ordinamento determinano una modifica legislativa conservino la loro validit� in qualunque sede la norma modificata debba trovare applicazione. Orbene, deve escludersi che a base del rinvio di cui all'art. 208 t.u. n. 1775 sussista l'apprezzamento di congruit� di cui si � detto, trattandosi di un riferimento onnicomprensivo ad una disciplina processuale generale, da applicarsi peraltro dinanz;i ad organi, sia pure speciaLizzati, della stessa magistratura ordinaria, come sono i tribunali regionali delle acque ed il Tribunale superiore in grado di appello. Deve, per altro verso, escludersi che il legislatore del 1933 volesse, attraverso un rinvio ricettizio, e contro ogni senso storico, ancorare il procedimento in materia di acque pubbLiche ad un codice ormai superato, la cui radicale modifica, da pi� parti sollecitata, era gi� allo studio; e che ci�, per di pi�, volesse fare proprio mentre, nel t.u. che andava ad emanare, anticipava talune significative innovazioni gi� suggerite dagli studiosi del processo e poi recepite in via generale dal codice di rito del 1942. Deve, quindi, conclusivamente affermarsi che, per quanto riguarda iil procedimento dinanlli ai tribunali regionali ed al Tribunale superiore (in grado di appello) delle acque pubbliche, il riferimento dell'art. 208 t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775 al cod. proc. civ. ha carattere mobile, e si intende fatto al codice di procedura vigente nel momento in cui il procedimento si svolge. Dimostrata l'erroneit� del presupposto da cui essa muove, la censura prospettata col ricorso risulta eo ipso priva di fondamento. L'amministrazione ricorrente, invero, svolge le sue critiche con riferimento alla disciplina delle impugnazioill� dettate dal codice di procedura del 1865, ma non contesta che alla stregua del codice vigente -corrispondendo il giudice delegato dei tribunali delle acque pubbliche all'istruttore previsto da quest'ultimo codice -l'ordinanza di integrazione del contraddiiHorio emessa nella specie fosse legittima quanto a competenz;a e quanto a p~esupposti, n� contesta che la conseguenza della sua inosservanza sia la dichiarata inammissibilit� dell'appello. Il ricorso deve essere quindi rigettato, con le conseguenze di legge. ~ ~.........~ PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 861 TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 7 aprile 1981, n. 11 -Pres. Tambur rino -Rel. Granata -E.N.E.L. (avv. Guerra e Patern�) c. Cassa per il Mezzogiorno (avv. Stato Vittoria). Espropriazione per p.u. � Indennit� -Criteri dettati dalla legge 28 gen naio 1977, n. 10 -Disciplina transitoria � Ambito di applicazione. (legge 22 ottobre 1971, n. 865; legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 14 e 19). Espropriazione per p.u.. Legge sulla casa -Cessione volontaria dell'immobile -Disciplina -Applicabilit� alle espropriazioni statali -Esclusione. (legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 12; legge 27 giugno 1974, n. 247). Espropriazione per p.u. -Indennit�� Criteri dettati dalla legge 29 luglio 1980, n. 385 per la determinazione in via provvisoria -Ambito di applicazione. (legge 29 luglio 1980, n. 385}. A sensi della disposizione transitoria di cui all'art. 19 legge 28 gennaio 1977, n. 10, la nuova disciplina da questa dettata in tema di determinazione dell'indennit� di espropriazione non � applicabile nelle ipotesi in cui alla data di entrata in vigore della legge stessa risulti gi� emanato il decreto conclusivo della procedura d'esproprio (1). Deve escludersi che nel rinvio operato dalla legge 27 giugno 1974, n. 247 alle norme relative alla determinazione dell'indennit� contenute nel titolo secondo della legge 22 ottobre 1971, n. 865 sia compreso anche l'art. 12 � Legge casa � ed espropriazioni statali. I principi affermati dalla sentenza in rassegna meritano un momento di rifilessione per il'en0I1II1e i!1ii1Jievo pratico che rivestono e per i non pochi problll�mi -operatiW. che, durante la non iiaoiile gestazione dallle preannunciate nuove ddJsposiziom ffirl materia di indennit�, potrebbero derivarne neH'azione ammiinisitratiVla. La prima � diirompente � affermazione, sulla quale V1ail la rpeilla d:i soffermwsd!, 1concenne ~a ne~ app],icabiililit� nehle espropriazioni statailii deilil!a diiscipliina :suOOa oessiione volontaria delll.'imrrnob.ile espropdando ~art. ,12 [eggie 22 ottobre 19711 n. 865 e successive modiifiche riguaDdanti fa determinaz;ione dcl �prezzo� dcl tr.asfori:mento). Secondo il Tribunale, la disciplina in parola, attenendo ad un modo di acquiisizione deilila prdpriet� del bene, non potrebbe ritenersi compresa nel rilllVlio che ~a legge 27 giugno 1974 n. 247 ha fartto .ahlie � di!sposmonii contenUJte nel titolo II delWa legge 22 otitobre ,19711, n. 865, J."clative 1a1la detenniinazione delll.1a mdennit� di espropri.azione�: ma li pur seri aTgomen1Ji �addotti a sostegno deH'offe�rta 1SOl1Uzione non paiono del tutto perisuasivli, specie se verificati a[la luce deill1a ratio delt!ta ll:egge dru 1974 �evidentemente preo:ridiinata ad ,asskuvare p.1ena 1equiparazione di trat1JameI1Jto patrimoniale ali soggetti, attivi e passivi, deii rapportii d',esproprtlazione finatliUJati ailll!esecurione di opere ed interventi da parte di rutti gl:i enti pubblli.ci. � Rellative � ,a[[a determ:ina:llione dehl'dndemrlt� d'e~p,ropl.iiiazione non poosono riten�rsi 1so1tanto iIJe disposizioni con1ienenti ~ criteri sostanzia!ld per [a stima 17 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 862 di questa che, regolando la cessione volontaria dell'immobile, attiene ad un modo di acquisizione della propriet� del bene (2). Le disposizioni della legge 29 luglio 1980 n. 385, riproducenti in via provvisoria i criteri di determinazione dell'indennit� dettati dalle norme della legge 22 ottobre 1971, n. 865 dichiarate costituzionalmente illegittime, non sono applicabili nei casi in cui, alla data della pubblicazione della sentenza n. 5 del 1980 della Corte Costituzionale, sia gi� intervenuto il decreto d'esproprio (3). (omissis). Con il primo motivo del suo appello principale, l'Enel, che al Tribunale regionale aveva chiesto la condanna della Cassa per il Mezzo� giorno al risarcimento dei danni sofferti per la mancata applicazione del primo comma deH'airt. 12 legge n. 865 del 1971, in conseguenza della quale g1i sarebbe stato impedito di addivenire alla cessione bonaria dell'immobile con la maggiorazione prevista sull'indennit� provvisoria, critica la sentenza impugnata per avere reputato tale disposizione non compresa nella previsione dell'art. 4 D.L. n. 115 del 1974, come modificato da!lla legge di conversione n. 247 del 1974, ed dnsiste per la condanna della Cassa al pagamento della maggiorazione della indennit� di espropriazione previ� sta dal citato art. 12. Con il secondo motivo critica poi la sentenm impugnata per avere calcolato la :indennit� di occupazione con il metro degli interessi legali ~iimmobilJi (iartt. 16 e 17 delilia tle~e n. 865 del: 19711), g.i:acch� aililia � .determina7lione � delil'�ndenniizzo dovuto & perviene attraverso un procedimento, cio� una 1sequenza di attd dei quali ((Ja legge iregdlia forme, termini ed effetti. loL primo di tailii atti a il"iilevam.a esterna � l'offerta delllla indenruit� pro~ria, daillla cui notificazione ai proprietari iin.izia a decorrere un termine dilatorio per il compiimento degil:i >atti successivi e dlumnte il quallie gli. mteressati possono vallutare la convendenza del!JL'offerta 1stessa anche ai .fini d!i una cessione volon� tarla che, nonostante de forme, non pu� ridursi ruiltlJo schema dt una comune compravendiita di diritto privato concretando un �negozio di ddrirtto pubbliico � la cui 1so11te resta d�egatia ialila reailizzazione del:l'opena di pubblica utillit� (ad esempiio, aglii effettd della retrocessione). lil �prezzo�, correlativamente, non � un corrispettivo illiiberamente scatureIJ1te ,daiLJa voiliont� dehle paniti, ma Wl compenso per un sacrificio patrimonia:lie � accettato � ,daJJ. singolo din a1!Jternait!iva 131lla perdita del bene per artto aUltorita� trl'vo: e dunque ha !Piuttosto ~ oarraititertiJ ~ tm � iindenndzzo �. Tanto brevemente considerato su~lia natura delllla � cessione � e del � prez� zo � relativo, appare aa:iduo negaire che 11/offenta 1de1llia indernnit� provviisoria produoa idenitici effetti procedurali e sostanziali nelile espropriazioni 1srtatiaiLi. ed rin queillle n~goLaite dalll:a !legge � suilfu casa �, quando ilil partdcot1iaire SI�J :rifiletta che t1ia stiiipuda della cessione interrompe ill procedimento espropriatiiivo e che, ,di conseguenza, negare l'applicabilit� della disciplina della cessione equivale a negare ai soggetti interessati da espropriazioni statali la possibilit� di conseguire, in via non contenziosa, un pi� consistente ristoro patrimoniale per la perdita sofferta, con palese sperequazione di trattamento e, in definitiva, in contrasto con le gi� ri� cordate finalit� della legge n. 247 del 1974. PARIB I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 863 su1la indennit� di espropriazione, invece che in 1/12 di questa, come d~sposto dall'al11:. 20 terzo comma legge n. 865 del 1971, modificato dall'art. 14 L. 28 gennaio 1977 n. 10, applicabile .in forza della disposizione t:riansitoria dettata dall'art. 19 di questa ultima legge. Entrambi i motivi sono infondati, per ragioni fa cui sostanziale identit� ne impone l'esame congiunto. Sono del tutto estranee alla vicenda di causa le disposizioni dell'al11:. 19 dehla legge n. 10 del 1977, alla stregua del cui primo comma, �le disposiziioni di cui al precedente art. 14, in materia di determinazione dell'indennit� di espropriazione, non si applicano ai procedimenti in corso se la Mquidazione della indennit� predetta sia divenuta definitiva o non impugnabile o definita con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore deHa presente legge �. La proposizione � dall'Enel letta nel senso che lo ius superveniens troverebbe applicazione ogni qual volta la liquidazione delfindennit� non sia divenuta definitiva. Ma con tale dnterpretazione viene privato di ogni significato normativo, ed �anzi radicalmente espunto dal testo, il riferimento ai �procedimenti in corso�, che diverrebbe ovviamente affatto superfl�o ove si dovesse risolvere ed identificare nella non ancora sopravvenuta definizione della indennit�, dehla quale subito dopo Menirta, in propOSI�ltO, d'esser ricordato che pure I�!1 ConS~o dd Stato, orientaitosi in isede consuiltiva ;per Uilia mteripretazione restrlttdivia deLJ.a. iporta.ta del riinvio di cui ailllia Jegge n. 247 del 1914 :in termini non diversii, ancorch� pi� generici, cIW que1Jlii crd:sulltanti dailILa sentenza dn rassegna:, ha successivamente col'l'etllo, hl 1sede giurisdizionale, J'i�IJI�zialle indicazione sottcil�neando come ��a voler seguire la tesi delil'iniapptllicaibdwilt� (nel: proceddmento per espropriazioni sta.ta:Jli: nidx.) dcl menzionato ar.t. :12 delJIJa legge n. 865... si: verificherebbe il!evenienza che per l'espropriazione cui si riferisce l'art. 4 della legge n. 247 siffatto beneficio non opererebbe, essendo esso limita<to ailile espropr.iaziom origdn.arla� mente prevedute dalla legge n. 865: grave disparit�, questa, che non solo investirebbe le espropniazioni in regime transditor.io, come quelJlla iin esame, ma anche quelilJe suoceSIS'ive in ~me defini,tdvo � (cfr. COIJJs. Stato, IV, 13 novembre 1979, n. 11002, dn Cons. Stato, 119'79, I, :1587)�. Identdco rigore mogico formale presiede, nel\la sentenm i111 rassegna, anche aild'a:litra affermazione comiernente d ilimiiti d'aPIPillicazione del regime indenni.tar. io � proV'V�JSOrdo � dettaito daliLa qge 29 dugldo 1980, n. 385 ilia cui occasio legis, rappresentata dailJa sentenza dichiarativa delil'ifilieg;ittimilt� costituzionaile clei 1criiteni d'inderunilt� deliki. ~ge sulla ca~. induce, pemlitro a ritenere ellluse dail1a pronuncia iin esame iLe finalit� pe11seguliite dal tlegiis!Jatore con Je noo:me � taimpone �. Ili. TdbUIIl!lllle, d'Unque, ha negato che i oriiteri mdennimri provvisoriamente mprodottl dallll!a regge del: 11980 possano tro~are appldoa.zione IIlle� oasi dn cui, aJLJ;a data 1dW pubbildcazJione defili sentenm n. 5 del 11980 delila. Corte costituzionale, fosse gi� stato emanato il decreto conclusivo deil!IJa procedura d'espropri.o: cos� riduttd:vmnente mtel'pretaita ila disposdzione di cui alil!'a.rt. 3 delila regge cita<ta, consegue che nei giudizi ancora pendenti fil giudice delill'~ a stima 864 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � fatta puntuale ed inequivoca menzione. Per intendere correttamente il significato del:la disposizione occorre invece tenere presente, in premessa, che, mentre nel sistema delineato dalla fogge sull'espropriazione per p.u. del 1865, i due subprocedimenti relativf, rispettlvamente alla determinazione dell'indennit� ed aMa produzione dell'effetto ablativo vero e proprio sono ordinati in sequenza cronologica, nel senso che alla espropriazione si perviene soltanto dopo la definizione, in sede amministrativa della indennit� relativa, invece la legge del 1971, sulla quale la legislazione successiva, fra cui appunto la legge n. 10 del 1977, si innesta, ha tracciato un modulo procedimentale che pone in parallelo i subprocedimenti stessi, per cui soltanto la determinazione provvisoria dell'indennit� deve, e non pu� non esseve, antecedente alla espropriazione, laddove la liquidazione deWindennit� definitiva ad opera della P.A. pu� precedere, accompagnare o seguire la emissione del decreto di espropriazione. In questo quadro, allora, ben si intende come il procedimento, che, a norma dell'art. 19 legge n. 10 del 1977, deve essere �in covso � affinch� l'indennit� di espropriazione -sempre che gi�, a propria volta, non definita -possa essere Jiquidata secondo le ius superveniens del precedente art. 14 (modificativo dei criteri determinativi introdotti con la legge n. 865 del 1971), � quello concernente la emissione del decreto di espropriazione. Sicch� le nuove norme sulla liquidazione dell'indennit� di espropriazione non operano tutte le volte in cui vi sia gi� stata l'espropriazione, in piena consodovrebbe 1appl�care criteri imdennitarci diversi a seconda che neilile SJi,ngole procedure espropniattlve, ma~ri: preo:rdinate al1la reaiLizzazione �clJe:lla, stessa opera pubbliica, il decreto d'espropnio �risulti emanato prima o dopo iii. 6 febbraio 11980 (pubbllliieazione deLl!a sentenza dellia Corte costittuzionaile nelila Gazzetta Ufficiale). Framicamente, rtale soluzione desta non :poche perplessit�, quando �sotPrattutto .sii conskLerii. che neilJlla legge, non rnruicano spunti ermeneutici suff�icienti a secondare .hl: raggiungimento degilii evidenti obbiettiv.i del legiSllJatore. A ben guardare, hl principio affermato in sentenza riposa pressoch� esduSJ1vamen: te suhl!a :IJocuzione � p�roced.imenti Mi corso� usata dailll'art. 3 Llegge n. 385 del 1980, .ar.gornenuandosi in propos.ito che per � procedimento � debba in.tendersd il isub procedimento d'esproprio .e non ill (sub) procedimento di determinazione ,cJehl!'indermirt�, avente -rispetto al primo -svolgimento paraililelo e sosta:mliailrnente autonomo ne11a disaiiP\Ili!na dehla legge 'SWJ.a casa. Intanto, per�, pu� osservarsi che, nelle espropriazioni statali, non � ravvisabilJe lia stessa autonomia tra deterrni~ione (iarnmimstraJthna) deLl'dndenn.it� ed emanazione del decreto, esistente nel sistema della legge sulla casa, mentre la legge �tampone� del 1980 (art. 1) inequivocamente si riferisce anche alle espropriazioni statali, cos� che sembrerebbe opportuno diffidare del solo argomento basato �sul rilJi1evo deilita det11a autonomita tr.a .i due 1subprocecLimenti. Soccorire, po.i, ilia :lettera dehl!a legge, ehe dichiara appilicabiilii ti crateri. � provv: i;sori � anche agilii effetti dell"art. 15 Jegg;e 22 ottobre :1971 n. 865 (arit. 1): e l'articolo 115 �COS� richiamato conoeme, com'� noto, ilia deter.rn.inazione delil!'dndenn.it� da parte deM'U.T.E. che, nel �Stistema dehla legge sullia casa, dnterviiene dopo iil decreto d'espropriazione e _qumdi a procedimento ormai concluso. Ci� che, a PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 865 nanza del Testo con la tendenza dell'ordinamento positivo a computare la indennit� con riferimento a.il momento del trasfe:dmento ablativo e, quindi, in base alla normativa in tal momento vigente. Nella ,specie, essendo l'espropTiazione avvenuta nel 1976, occorre far capo alla disciplina risultante dal d.l. n. 115 del 1974, come convertito con legge n. 247 del 1974. Appunto con l'a!'ticolo unico di quest'ultima � stato premesso all'art. 4 del citato d.l., il comma a tenore del quale �le disposizioni contenute nel titolo II della L. 23 ottobre 1971 n. 865, relative alfa determinazione dell'indennit� di espropriazione si applicano a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni o di altri Enti pubblici o di diritto publico anche non territori.ali�. In forza del testuale disposto ~egislativo, dunque, non tutte le �norme sulil'esrpropriazione per pubblica utilit��, che sono ricomprese, come recita la 1sua stessa rubrica, nel titolo II della legge n. 865 del 1971, vanno a sostituil'si, per le categorie di espropriazione menzionate, alle corrispondenti disposizioni dettata dalla legge fondamentale del 1865, ma solo quelle concernenti la � determinazione dell'indennit� �. Ne consegue che, per le vicende ablative diverse da quelle ordinate alle particolari finalit� edilizie perseguite dalla quanto sembra, Tafforza le mgiom di dissenso da!lille conoliusioni m~gdunte �datlilla sentenza ~n esame, che -viceversa -ha 11avviisato nclJia emanazione del decreto d'espTQlpria:llione un msomnontabdile ostacolo, d'ordine sistematico, aJlJ.'appilica� zione delle norme delilla 'legge � tao:npone �. Iffi vero �, dn definlitiva, che da wn i!Jato 1l:e travagliate vicende dei criteri inden� nitiairi deLla legge SU�l!Ja caJSa e da1H''3Jltro i�Jl vuoto determinatosi nelll'ordinamento (almeno ne.bla prospettiva di una pdena panifica:ll�one, quoad indemnitatem, fra tutti ;i soggetti interessal:ii da espropriaz.iond 1a favore dd enti pubblici) per effetto delllia pronuncia delffia Corte Costituzionale hau:mo rappresentato per hl legdsffiatore fattom deterimi:nantd di un intervento restauratore d'wgienza, [)Jf;l quaile fa attenzione al sistema, del resto non presente nelle ripetute modifiche apportate vda vda 1ahla ilegig:e n. 885 del 1197.1, ha finito con il:'essere sacniif�cata �all'esigenza 1 di 1assiourare una uniformit� di tmUamento a tutte le situazioni 'ancora pendenti,. Nonostante la poco perspicua formulazione letterale della disposizione transitoria di cui 01hl'1art. 3 de]J]Ja �legge 385 dcl 1980, ipare di poter affermaxe, dn conclusione, che l'espressione �procedimenti in corso� usata dalla norma stia a s~gnifioare pendenza dei procedimenti destinam a sfociare nelLa kretrattabile deter~na:llione de!Windennit� d'espropriazione, essendo questo -in ultima ana~ i:si -il!'uIIJ�co significato capace �c!ID giara!ll:tiTe, col isolo 1filmite de!JLe 1situazioni definiite alfa data dei 6 fobbraio 11980, quell'eguaglianza di tra:ttamento faticosamente perseguita fin dagli s'terhlJi ed oscuri errata corrige sui segni d'iinterpunziione presenti nelil'omginaria formullia:zil.one del!l'art. 9 ffiegge n. 865 del ,197il, e, finalnnente, �11eai1Jizzata con ~a :Legigie n. 247 1del 1974. fil ffiegisillatore non � staJto �certamente foLice: ma, per fa ~erit�, non sembrerebbe che ma:nchdrno .argomenti [ettem1i, 1ogici e 1storici .sufficienti per 1 tradurre in effetto :La voLont� derlil1a legge n. 385 del 1980. 1SER!GIO LAPORTA 866 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO legge n. 865, il procedimento espropriativo non viene assoggettato alla nuova disciplina da questa introdotta, ma continua ad essere regolato dalla ricordata legge n. 2359 del 1865. <Hbene, attiene al subprocedimento espropriativo e non a que1lo volto alla determinazione della indennit�, la particolare fase regolata dall'art. 12, primo comma, che attribuisce al �proprietario espropriando� il �diritto di convenire con l'espropriante la cessione volontaria degli immobili per un prezzo� maggiorato in una certa misura rispetto alla �indennit� provvisoria�, entro un certo termine dalla comunicazione del �relativo importo effettuatogli a norma del precedente art. 11, quarto comma. Si tratta infatti di un � modo � o � titolo � di trasferimento che � �chiaramente alternativo rispetto a quello autoritativo costituito dal decreto di esproprio, e che quindi si inscrive nella stessa area procedimentale di questo e non certo in quella de1la indennit� la quale si correla proprio alla emanazione di quel decreto, che :invece qui manca in tesi, sicch� del tutto correttamente, e bene a ragione l'art. 12 denomina �prezzo�, e non indennit�, la somma determinata a mezzo del meccani smo da esso previsto e regolato. Le svolte considerazioni conducono a rigetto di entrambi i motivi, nei quali si articola l'appello prindpale dell'Enel. Quanto al primo, infatti, tleve escludersi che nella vicenda espropriativa in causa potesse trovare applicazione l'art. 12 della legge n. 865 del 1971. Quanto al secondo, l'applicazione dei criteri fissati dall'art. 20, terzo comma, legge n. 865 del 1971, e successive modificazioni, non pu� farsi discendere dalla estensione disposta con l'art. 4 primo roomma del d.l. n. 115 del 1974, aggiunto con la legge di conversione n. 247 del 1974, essa riferendosi, come gi� � visto, a11e norme contenute nel titolo II della legge n. 865 relative alla determinazione della � indennit� di espropriazione �, e non anche a quella della indennit� di occupazione. N� a tale risultato pu� pervenirsi in forza dell'art. 14 della legge n. 10 del 1977, sia perch� la vicenda � fuori dalla previsione dell'art. 19 stessa legge per essere la espropriazione avvenuta nel 1976, sia perch�, comunque, la estensione disposta con l'ultimo comma dell'art. 14 stesso ha per oggetto iJl secondo comma (concernente la durata dell'occupazione) e non il terzo (concernente la indennit� di cui qui si discute) dell'art. 20 legge n. 865 del 1971. Infine, a siffatti criteri neppure pu� farsi capo attraverso la loro ripr�duzione in via provvisoria nella legge n. 385 del 29 luglio 1980, emanata per fare fronte agli effetti demolitori conseguenti alla sentenza n. 5 del 1980 della Corte costituzionale in tale legge contenendosi, all'art. 3, una disposizione transitoda sostanzialmente identica a quella dettata con l'art. 19 della legge n. 10 del 1977, e quindi pur essa escludente, dall'ambito dello ius superveniens le vicende in cui il decreto di espropri~zione sia intervenuto nella vigenza della normativa anteriore. (omissis). PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 867 TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 5 dicembre 1981 n. 45 -Pres. Cortesani - Rel. Sandulli -Soc. S.T.A.N.I.C. (avv. Guia) e Ratachieri ed altri (avv. Garibaldi Longo) c. Ministero lavori pubblici (avv. Gen. Stato). Acque -Acque sotterranee -Pubblicit� -Ricomprensione in zone soggette a tutela -Sufficienza -Esclusione -Attitudine a pubblico generale interesse -Necessit�. (t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, artt. 1, 94, 95, 103, 104 e 105). La pubblicit� di un'acqua sotterranea non discende ex se dal suo trovarsi in un comprensorio soggetto a tutela, ma dalla sua attitudine ad usi di pubblico generale interesse (1). (omissis). Con le censure, in cui si articolano i riuniti atti di appello, si lamenta che il Tribunale regionale delle acque: a) abbia escluso la natura publica dell'acqua in base ad un accertamento del Genio civile eseguito in epoca successiva alla data dell'inquinamento; b) non abbia esaminato la questione sotto il profilo della notevole consistenza della quantit� di acqua estratta dal pozzo, sito in un comprensorio, in cui, ai sensi del d.P.R. 25 ottobre 1961 n. 1328, l'estrazione e l'utilizzazione dell'acqua sotterranea era soggetta alla tutela della Pubblica amministrazione, in quanto,� in base alla rilevante misura di risarcimento richiesta, avrebbe dovuto escludersi che l'acqua potesse essere utilizzata esclusivamente per usi domestici e di irrigazione di giardini e di orti. Entrambi i deLineati profili di doglianza sono privi di fondamento. Con la decisione denunciata, i giudici di primo grado hanno correttamente escluso la natura pubblica dell'acqua sulla base dell'accertamento compiuto dall'Ufficio del Genio civile di Bari, in quanto dalla nota del detto ufficio risUilta come la valutazione, circa la mancanza dell'acqua del'le caratteristiche essenziali necessarie perch� questa sia considerata ad uso pubblico di generale interesse, abbia avuto riguardo al modo di essere dell'acqua in s�, indipendentemente dall'abbandono in atto della presa d',acqua, come � reso palese dagli espressi riferimenti alle caratteristiche obiettive del pozzo, e cio� alla costruzione ed alle dimensioni del manufatto, alla profondit� di esso e, soprattutto, alla limitata quantit� di acqua �rinvenuta, i quali elementi non erano influenzabili dall'attualit� o no dell'attingimento. (11) Nelilo stesso senso, dr. Tmb. sup. ,acque 10 novembre 1915 n. 25, in questa Rassegna :1976, I, 158 ed dv~ mch1ami alia giux&sprudenza citata in motivazione. Sempre in tema di acque sotterranee, sul rapporto tra idoneit� ad usi di pubblico generale interesse e fessere questa effetto dell'opera dell'uomo, cfr. Cass., Sez. Un., .18 ottobre 11979 n. 5426 e 28 1aiprue 11976 n. 1507, in questa Rassegna 1980, I, 647 e 11976, I, 437. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N� la pubblicit� dell'acqua potrebbe discendere ex se dalla circostanza che, nell'ipotesi di specie, trattasi di acqua sotterranea facente parte di un comprensorio soggetto, ai sensi del d.P.R. n. 1328 del 1961, alla tutela della Pubblica amministrazione, in quanto la legge prevede la duplice ipotesi che le acque ricomprese in un siffatto comprensorio abbiano o no i caratteri per essere considerate pubbliche (artt. 103, secondo comma, e 104, primo comma del t.u. n. 1775 del 1933), (cfr. in tal senso, Trib. sup. acque pubbliche 15 marzo 1975 n. 25). Il decreto previsto dall'art. 94 del citato t.u., con cui � individuato il comprenso11io soggetto a tutela, assegna a questo una qualit� che rileva per l'attribuzione al.l'autorit� amministrativa di poteri di autorizzazione (art. 95) e di polizia (art. 105) in ordine alla ricerca, estrazione ed utilizzazione delle acque sotterranee; invece, la natura pubblica o privata delle acque sotterranee 'scoperte in tali comprensori dipende da11a loro attitudine ad usi di pubblico generale interesse (cfr. Cass. sent. 3 ottobre 1970 n. 1782; sent. 12 marzo 1960 n. 497). Invero, la legge, per la natura pubblica dell'acqua, prevede un duplice requisito che l'acqua si trovi in un comprensorio soggetto a tutela e che abbia, a norma dell'art. 1 del t.u. n. 1775 del 1933, l'attittidine a qualsiasi uso di gene:ria:le interesse (ed � in questo caso, che il Ministero dei lavori pubblici dispone, previo accertamento :detlia sussisten:m dei requisiti richiesti, la iscrizione nell'elenco delle acque publjliche). Per modo che anche nei comp11ensori �soggetti a tutela, le aoque sotterranee possono essere prive dell'attitudine ad usi di pubblico generale interesse. Nell'ipotesi di specie, le caratteristiche del pozzo accertate dall'Ufficio del genio civile di Bari (l'altezza di appena cm. 80 dell'acqua rinvenuta in sede di accertamento tecnico preventivo, la profondit� limitata di m. 10 dal piano di campagna a cui � stata rinvenuta J'acqua, e la vetust� e le dimensioni del pozzo, ecc.) fanno escludere che l'acqua possa essere considerata come utilizzabile dalla collettivit� e che abbia, quindi, natura pubblica. Entrambi i profili di censura, prospettati in sede di gravame, sono, pertanto, da disattendere. In conclusione, il ricorso di appello va rigettato e la decisione impugnata va confermata; onde, accertata la natura privata dell'acqua, ogni altra questione va demandata al giudice ordinario. (omissis) SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 febhraio 1981, n. 3 -Pres. Novelli � Rel. Radaelli -P.G. Saya (conf.) -rie. Murdooca Salvatore (avv. Stato Di Tarsia). Procedimento penale -Decreto di citazione � Notifica ad uno solo dei due difensori -Nullit� assoluta -Inesistenza � Irregolarit� -Sussiste. (art. 125, 128, 185 n. 3, 410, 422 c.p.p.). In funzione dell'esigenza primaria del difensore nel processo, l'ordinamento ritiene imprescindibile, a pena di nullit� assoluta, la presenza �del difensore, ma tale principio � fatto salvo quando la presenza sia resa possibile ed assicurata, restando peraltro funzionalmente indifferente che la difesa sia costituita da uno o pi� difensori. Pertanto non � stabilito a pena di nullit� che l'avviso del dibattimento sia notificato ad entrambi i difensori nominati dall'imputato, bastando la rituale notifica ad uno di essi (1). Ci� peraltro comporta una irregolarit� processuale per la quale � applicabile la norma di cui all'art. 154 c.p.p. (1). Il Murdocca (Salvatore), il Pavan ed il Pianta hanno proposto ricorso per cassazione, chiedendo in principalit�, il Murdocca, l'annullamento della sentenza impugnata per la gi� dedotta nullit� assoluta del decreto di citazione al giudizio di primo grado ed atti conseguenti, per violazione dei diritti della difesa, con richiamo all'art. 185 co. 1�, n. 3 cod. proc. pen.; in subordine, la riduzione della pena, il cui aumento da parte della Corte di merito � stato ingiustificatamente eccessivo in relazione ai criteri stabiliti dall'art. 133 cod. pen. ed alla valutazione delle attenuanti generiche; il Pavan, l'annullamento per difetto di motivazione in ordine al- Gl) La sentene:a delJLe Sezioni Unite risolve, nel 1senso sostenuto daill:'Avvo� oatura, iche era costituita parte civiLe, iLa controve11sa questione de~lle conseguenze dd!l'01n11ess:ai notifica ad uno dei due dMensoni dell'imputato per iill d~battimento e che rii<sol:v;e, lodevolmente .e coerentemente aJ:l'dndirizzo preva11entemente se, guffito .datfila Suprema COirte e di 1cui si � dato conto mol!tepllici vollte <in questa Rassegna, con una visione funzionale e non esasperatamente formalistica delle no'l1IIle di procedura poste a rtutela dei 1di11Hti delJ!a difesa (v. per indicaZJioni su questo orientamento I giudizi di costituzionalit� e il contenzioso dello Stato negli anni 1970-1975, I diritti della difesa, n. 634-638; ivi, anni 1966-1970 n. 685-689). 870 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'aumento della pena, non avendo la Corte preso in considerazione, in particolare, il comportamento processuale dell'imputato; deducendo il Pianta il difetto di motivazione sia in ordine alla ritenuta responsabilit� che al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 114 cod. pen. Motivi della decisione. 1. -� pregiudiziale, per quanto riguarda il Murdocca, la questione relativa aHa nullit� della citazione, sollevata dallo stesso. In relazione a tale motivo, appunto, � stata richiesta e disposta l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, essendovi in proposito disparit� di giurisprudenza da parte delle Sezioni Semplici. La difesa, come gi� nelle precedenti fasi, trae motivo dal fatto che,. come risulta dagli atti, l'avviso della data fissata per il dibattimento nel giudizio di primo grado � stato notificato regolarmente all'avv. Musumeci del Foro di Ivrea, uno dei difensori di fiducia del primo imputato, mentre all'altro, l'avv. Gasparini del Foro di Napoli, � stato notificato il 20 luglio per la udienza del 27 luglio, onde l'avv. Musumeci all'apertura del qibattimento di primo grado, fatto presente il ritardo, anche a nome dell'altro difensore chiese il rinvio del dibattimento, ma l'istanza fu respinta. Nel senso della nullit� assoluta cita un precedente recente (Cass. n. 1017/1976); in altri due precedenti citati (Cass. 15 ottobre 1960, Erario; 19 giugno 1962, Cirillo) era invece stata rilevata una nullit� relativa, sanata ai sensi dell'art. 422. 2. -La Corte d'appello ha disateso il motivo attinente alla nullit� dedotta sulla considerazione che non si verifica un pregiudizio della difesa quando partecipi al dibattimento l'altro difensore, non venendo meno in tal caso l'assistenza dell'imputato (peraltro, nella specie, confesso, aggiunge la sentenza). Cita in tal senso Cass. 26 ottobre 1957 (rie. Mazini), nonch� Cass. n. 6433/1974 (Nobile ) e 1113/1976 (lntellicata), le quali per� escludono in radice qualsiasi nullit� nel caso dell'avviso prescritto dall'art. 410, notificato ad uno solo dei due difensori nominati, e ci� sen2la riguardo all'avvenuta o meno comparizione dell'altro difensore. Nello stesso senso delle sentenze ora ricordate � la maggior parte della giurisprudenza di questa Corte (Sezioni Semplici). Non mancano, tuttavia, oltre quelle citate dalla difesa, numerose altre �decisioni che hanno riconosciuto possibile il verificarsi di una nullit� relativa, anche nei casi in cui le stesse l'hanno esclusa in concreto per essersi verificata una sanatoria, e questa, ora ai sensi dell'art. 422 (cfr. fra le pi� recenti Cass. n. 1162/1976; 3052/1978), ora per la semplice comparizione dell'altro difensore (n. 8824/1977; 326/1978), o dello stesso difensore non avvisato (n. 3533/ 1978 e 5872/1979, nel testo), ora per la acquiescenza dell'imputato e del difensore comparsi, atta a prevenire l'insorgenza stessa della nullit� (n. 450/1979, in Giust. Pen. 1980, III, 27). PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE Nel senso della nullit� assoluta viene talvolta ricordata Cass. 12 novembre 1957, rie. Salvi ed. in Riv. Pen. 1958, Il, 620, che afferma l'autonomia reciproca dei due difensori, ciascuno dei quali esercita il suo mandato in piena esplicazione dei relativi doveri e fruendo dei diritti che la legge processuale assegna al singolo difensore. Egualmente divisa a sua volta � la dottrina che si � pronunciata sul punto in esame. 3. -Nell'affrontare in questa sede la questione specifica di cui � causa non si pu� sottacere poi che gli orientamenti giurisprudenziali sono inv,ece prevalenti nell'affermare la nullit� assoluta nel caso di mancato avviso all'unico difensore, dopo che in tal senso si sono pronunciate queste stesse Sezioni Unite con la nota sentenza n. 1 S.U.P. del 13 febbraio 1965, rie. Formichetti, ed. in Giust. Pen. 1965, III, 321, che ha tratto argomento dalle finalit� generali dell'art. 410, poste in relazione con l'art. 185; vanno tenute presenti, peraltro, pi� recenti �decisioni, secondo le quali le sole nulli~ assolute ex art. 185 n. 3, dopo le innovazioni ;introdotte dall'art. 6 1. 8 agosto 1977 n. 534, sarebbero quelle affierenti alla mancata citazione dell'imputato e �l'assenza di difesa� nel dibattimento; in tal senso v. sul punto Sez. V, 19 marzo 1979, De Blasio, in .Giust. Pen. 1980, III 641, m. 530. N� si possono ignorare i contributi recati, anche ai pi� autorevoli livelli, in sede di teoria generale, all'istituto della difesa e al tema del difensore, nonch� gli ampi dibattiti dottrinali .e giurisprudenziali che hanno avuto riferimento all'art. 24 della Costituzione, culminati con la recente sentenza n. 188 in data 16 dicembre 1980 della Corte Costituzionale, che ha ribadito una generale linea di tendenza, gi� precedentemente affermata con la sent. n. 125 del 1979, in favo11e di una accentuata garanzia dei diritti di difesa dell'imputato, � del quale sono in gioco beni ed interessi fondamentali ed irrisarcibili, che attengono alla sua stessa personalit��. 4. -Tale chiave interpretativa, di peso indubbio, va tuttavia utilizzata in armonia con l'altra, ricordata oggi dal P.G. ,e dal difensore di parte civile, che considera la difesa dell'imputato nella sua unitariet� e consente di ricondurre i problemi particolari, come quello in esame, ai presupposti essenziali del processo penale di cognizione, il quale vede necessariamente contrapposte -almeno in partenza -davanti al giudice la funzione (unitaria) di accusa e quella di difesa altrettanto unitariamente concepita, in conformit� di autorevole corrente dottrinale nonch� della tesi soggia-. cente alla giurisprudenza prevalente di questa stessa Corte nella presente materia. Con gli artt. 125 e 128, da una parte ,e l'art. 185 n. 3, dall'altra, l'ordinamento ha inteso garantire appunto una risposta unitaria all'esigenza primaria del difensore nel processo, esigenza che � legata, ad un tempo, ai 872 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � fondamentali interessi della parte � ed al necessario equilibrio dialettico del contraddittorio, cos� come ad un equilibrio funzionale che, secondo assai autorevole dottrina, attiene allo stesso buon ordine del processo. In funzione di tutto ci� l'ordinamento ritiene generalmente imprescindibile la presenza del difensore, secondo le scelte che la legge lascia in primo luogo all'imputato. Tale principio cardine � tuttavia fatto salvo quando la presenza anzidetta sia resa possibile ed assicurata, restando peraltro funzionalmente indifferente, anche per la ulteriore validit� del processo, che la difesa del singolo imputato sia costituita da uno o da pi� difensori. 5. -lii prindpio cos� affermato nei suoi termini generali si ~i:percuote sulle situazioni particolari -quali sono l'obbligo previsto dall'art. 410 e la nullit� sancita dall'art. 412 in fine -, riguardanti le forme degli atti: non pu� in definitiva ritenersi stabilito a pena di nullit� l'obbligo di avviso della data del dibattimento ad entrambi i difensori nominati dall'imputato, una volta che l'avviso notificato ad uno di essi abbia assicurato la presenza minimale di difensore, scelto dalla parte, che l'ordinamento intende salvaguardare. Il principio di tassativit�, affermato dall'art. 184, si oppone tanto all'adozione di un criterio estensivo -che minerebbe, riguardo alle nullit�, un sistema processuale chiuso e rigido -, quanto ad una valutazione elastica del pregiudizio alla difesa, compiuta dal giudice caso per caso, l come la Corte di merito ha ritenuto invece di dover effettuare. I ~ 6. -Ci� non ,toglie peraltro che la mancata o ritardata partecipazione dell'avviso dell'udienza ad uno dei due difensori nominati costituisca una irregolarit�. La tesi contraria, che pur � talvolta sostenuta, riconoscerebbe nell'ufficio un obbligo solo parziale nel ,oaso di duplice nomina e, in I definitiva, una discrezionalit�, se non un arbitrio, veramente impensabile, anche perch� nessu~�a norma attribuisce al difensore avvisato, e tanto meno alla parte citata, l'onere -che pur sarebbe configurabile in astratto -di informare l'altro difensore. u �riferimento dell'art. 410 ai difensori in generale comporta un obbligo di notificazione a tutti indistintamente i difensori delle parti private, pur con differenti implicazioni in relazione alle diverse ipotesi. L'omissione del (tempestivo) avviso costituisce perci�, in ogni caso, una inosservanza di norma processuale, in violazione dell'obbligo generale stabilito dall'art. 154, primo comma, e l'adempimento esatto � sottoposto alle forme di vigilanza previste dai capoversi dello stesso articolo. Non � da escludere poi che il giudice, valutate le circostanze, onde prevenire un serio e concreto pregiudizio agli interessi dell'imputato ed alla funzione del difensore, disponga il rinvio del dibattimento, rientrando nella sua . ' Pi\RTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 873 discrezionalit� il verificare la sussistenza dell'� assoluta necessit� � che legittima tale provvedimento (art. 432, primo comma). 7. -Per tutti i motivi anzidetti la tesi di gran IUIIlga e da tempo prevalente in materia nella prassi giurisprudenziale va nuovamente confermata anche in questa sede ed il motivo va rigettato, pur intendendosi sul punto rettificata in parte, nei sensi indicati, la motivazione data dalla Corte di appello. TRIBUNALE DI ROMA, II sez., 14 ottobre 1981 -Pres. Panzarella -P.M. Del Giudice -Imp. Reali Palesati (avv. Stato Di Tarsia). Reato -Omissione di atti d'ufficio -Richiesta di informazioni alla P.A. � Termine -Inammissibilit� � Tempi tecnici per �la risposta � Soggezione del �giudice alla P.A. (art. 328 c.p., a,rt. 213 c.p.c.). Il potere riconosciuto al Giudice civile di chiedere informazioni alla Pubblica Amministrazione (art. 213 cod. proc. civ.) non si estende a quello di fissazione di un termine entro il quale le stesse devono pervenirgli. Il Giudice, alla pari di un qualsiasi altro utente dei servizi resi dalla Pubblica Amministrazione, deve ottenere la cennata risposta alla sua ri chiesta d� informazioni nei tempi tecnici normali del servizio e solo in difetto potr� porsi un problema di omissione indebita di un atto di ufficio (1). (omissis). Appellanti come in epigrafe gli imputati chiedono di essere assolti dall'imputazione loro ascritta per<:h� il fatto non 1sussiste, sostenendo che nella specie difetta la materialit� del reato loro contestato. La richiesta � fondata. Invero il potere riconosciuto al Giudice civile di (1) La sentenza del Tribunale contiene due affermazioni esattissime, che hanno consentito la riforma della sentenza del Pretore di Roma, profondamente erronea anche sotto �altri aspetti (v. in questa Rassegna, �1980, I, 874 con mia nota: Un reato di omissione di atti d'ufficio colposo o addirittura contravvenzionale?) oltre a quelli qui esaminati in specifica impugnazione proposta nell'interesse degli imputati. Due profili dell'assurda imputazi<;>ne erano stati infatti rilevati invano in primo grado e giustamente accolti dal giudice d'appello: l'inesistenza di una norma che consentisse, in tema di richiesta di informazioni alla P.A. a norma dell'art. 213 cod. proc. civ. ~per la problematica in materia v. I giudizi di costi tuzionalit� e il contenzioso dello Stato 1956-1960 n. 738; ivi, anni 1961-1965, n. 602), l'apposizione di un termine finale e la inconsistenza pretesa, in spregio al prin cipio della divisione dei poteri, di ottenere risposta senza tener conto dei normali tempi tecnici dell'Amministrazione. 874 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO chiedere informazioni alla Pubblica Amministrazione (art. 213 cod. proc. civ.), non si estende a quello di fissazione di un termine entro il quale le stesse devono pervenirgli. Nella specie, peraltro, il Giudice non fiss� alcun termine nello statuire a verbale che fossero richieste informazioni al Ministero degli Affari Esteri, ma fu il Cancelliere ad indicarfo autonomamente. Tanto premesso, si osserva peraltro che il Giudice, alla pari di un qualsiasi altro utente dei servizi resi dalla Pubblica Amministrazione, deve ottenere la cennata risposta alla sua �richiesta di informazioni nei tempi tecnici normali del servizio e solo in difetto potr� porsi un problema di omissione indebita di un atto di ufficio. Detti tempi tecnici sono stati nel caso concreto rispettati. Infatti � provato che le due note del Tribunale di Rovereto sono pervenute per due volte ad ufficio incompetente per un errore del protocollo e si ha la certezza dell'arrivo all'Ufficio competente solo dalla nota di sollecito alla fine di agosto 1979. � altres� provato che la risposta pervenne il 5 dicembre 1979 e che la situazione dell'ufficio competente era caratterizzata da carenza di personale, in particolare essendo stata assente per oltre due anni e mezzo, durante il periodo che ne occupa, la Palesati, unica addetta al reparto assieme al Reali. Non pu� dirsi dunque, avuto riguardo alla notoria lentezza della macchina burocritica giustamente, ma inutilmente, deprecata dall'opinione pubblica, che nella specie sia provata una ri'levante tardivit� nell'operato degli organi competenti, dovendosi negare dignit� di prova in tal senso alla presunzione di cognizione .tempestiva deJ.la richiesta affidata all'opposizione, nella nota di sollecito del Tribunale, dell'annotazione � riassegnare all'ufficio XII � presso il quale operano gli appellanti. Il verbo � riassegnare � potrebbe s� indicare una reiterazione della precedente assegnazione all'Ufficio XII della prima nota del Tribunale, ma anche contenere soltanto l'invito al protocollo di rinnovare la sua attivit� �di assegnazione investendo questa volta l'ufficio competente. Tale assoluta equivocit� del presupposto sul quale � fondata la presunzione del Pretore ne evidenzia pertanto l'inattendibilit�. L'insussistenza del fatto materiale solleva questo Giudice dall'indagine, sollecitata dal Reali, sulla titolarit� della responsabilit� del settore dal quale la risposta al Tribunale di Rovereto doveva essere predisposta. (omissis) PARTE SECONDA LEGISLAZIONE I � NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice di procedura civile. art. 630; ultimo comma, nella parte in cui non estende, in relazione all'art. 629, cod. proc. civ., il reclamo previsto nell'art. 630, ultimo comma stesso, all'ordinanza del giudice dell'esecuzione dichiarativa del� l'estinzione del processo esecutivo per rinuncia agli atti. Sentenza 17 dicembre 11981, n. 195, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. codice di procedura penale, art. 651, nella parte in cui non prevede che l'arresto del libero vigilato debba essere convalidato dal magistrato di sorveglianza entro le 48 ore successive al momento in cui l'arrestato � stato messo a disposizione dello stesso magistrato. Sentenza 17 dicembre 1981, n. 190, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. r.d.I. 27 maggio 1923, n. 1324, art. 3, terzo comma [convertito in legge 17 aprile 1925, n. 473], nella parte in cui non prevede che il trattamento di quiescenza ivi contemplato per i notai cessati dall'esercizio e per le loro famiglie, debba essere corrisposto, ricorrendo i medesimi presupposti, anche agli aspiranti al notariato, forniti dei requisiti necessari per la nomina, temporaneamente autorizzati all'esercizio delle funzioni notarili in virt�� dell'art. 6 della legge� 16 febbraio 1913, n. 89; cessati dall'esercizio, ed alle loro famiglie. Sentenza 26 ottobre 1981, n. 179, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. legge 11 febbraio 1971, n. 11, art. 19, secondo comma. Sentenza 16 novembre 1981, n. 181, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. legge approvata dall'assemblea regionale siciliana il 21 dicembre 1977�. Sentenza 10 dicembre 11981, n. 187, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. II � QUESTIONI NON FONDATE Codice civile, art. 2054, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 17 dicembre 1981, n. 192, G. V. 23 dicembre 1981, n. 352. codice di procedura civi1e, art. 5 (artt. 24 e 25 della Costituzione). Sentenza 10 dicembre 1981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 771 (art. 76 della Costituzione). Sentenza 10 dicembre 1981, n. 184, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 18 86 RASSEGNA �DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 5 giugno 1965, n. 759, art. 1, primo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Sentenza 10 dicembre 1981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 85 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 10 dicembre 1981, n. 186, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. legge 12 dicembre 1966, n. 1078, art. 5 (artt. 3, 42 e 51 della Costituzione). Sentenza 17 dicembre .1981, n. 194, G. U. 23 dicempre 1981, n. 352. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 32 (artt. 3, 36, 51, primo e terzo comma, e 53 della Costituzione). Sentenza 17 dicembre 1981, n. 193, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. legge 24 maggio 1970, n. 336, artt. 3 e 4 (artt. 2, 3, 36, 52, 53 e 81 della Costituzione). Sentenza 17 dicembre 1981, n. 189, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 2, 3, 36, 52, 53 e 81 della Costi� tuzione. Sentenza 17 dicembre 1981, n. 189, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. legge 13 agosto 1979, n. 374, art. 1 (artt. 3, 24, 38, 42, 70, 101, 102 e 113 della Costituzione). Sentenza 10 dicembre 1981, n. 185, G. U, 16 dicembre 1981, n. 345. legge 13 agosto 1979; n. 374, art. 1 (artt. 77 della Costituzfone). Sentenza 10 dicembre .1981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 4, ultimo comma (artt. 1, 3, 24, 25, 38, 102 e 104 della Costituzione). Sentenza 10 dicembre ,1981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo comma (artt. 3, primo comma, e 24 della Costituzione). Sentenza 10 dicembre .1981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo e secondo comma (artt. 3, 24 e 113 ,della Costituzione). � Sentenza 10 dicembre ,1981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, secondo comma (artt. l, 3, 24, 25, 38, 42, 70, 101, 102 e 104 della Costituzione). Sentenza 10 dicembre 11981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. i I l ~ 87 PARTE II, LEGISLAZIONE III -QUESTIONI PROPOSTE codice civile, art. 1284, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Voltri, ordinanza 22 ~iugno 1981, n. 583, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. codice di procedura civile, artt. 5 e 444, primo comma (artt. 3, 24, primo comma e 25, primo comma, della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 11 maggio 1981, n. 482, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. codice di procedura civile, artt. 232, 292 e 140 (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 10 maggio 1981, n. 553, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 9 maggio 1981, n. 559, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. Tribunale di Roma, ordinanze (due) 27 m�ggio e 28 aprile 1981, n. 560 e 561, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. codice penale, artt. 204, 215 e 222 (art. 3, 24 e 32 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanza 29 maggio 1981, n. 573, G. U. 9 dicembre 1981, n. 338. codice penale, artt. 582 cpv. e 61, n. 9 (artt. 3, 28, 97 e 13, quarto .comma � della Costituzione). Giudice istruttore Tribunale di Firenze, ordinanza 8 giugno 1981, n. 549, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. Giudice istruttore presso il Tribunale di Firenze, ordinanza 8 giugno 1981, n. 564, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. Giudice istruttore Tribunale di Firenze, ordinanza 8 giugno 1981, n. 570, G. U. 2 dicembre 1981, n. 332. codice penale, art. 584 (art. 3 della Costituzione). Corte d'assise d'appello di Venezia, ordinanza 27 maggio 1981, n. 555, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. codice penale, art. 688 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Castelfranco Veneto, ordinanza 29 maggio 1981, n. 529, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 30 gennaio 1981, n. 539, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. Pretore di Mestre, ordinanza 18 giugno 1981, n. 586, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice penale, art. 688 (artt. 3, 32 e 27, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanza 8 maggio 1981, n. 494, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. codice di procedura penale, art. 142 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 3 luglio 1981, n. 622, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. codice penale militare di pace, art. 186, ultimo comma, ultima ipotesi (artt. 3, e 27, terzo comma, della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanze (due) 1� aprile e 6 maggio 1981, nn. 517 e 518, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 1, n. 1 (artt. 3 e 29, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 18 febbraio 1981, n. 633, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. r.d. 11 febbraio 1929, n. 274, art. 16 (artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Rivarolo Canavese, ordinanza 27 maggio 1981, n. 540, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. legge 27 maggio 1929, n. 810, art. 1 (artt. 101 e 29 della Costituzione). Corte d'appello di Brescia, ordinanza 6 maggio 1981, n. 556, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 17 (artt. 101 e 29 della Costituzione).' Corte d'appello di Brescia, ordinanza 6 maggio 1981, n. 556, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. r.d. 27. giugno 1933, n. 703, art; 14, secondo �omma (artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 27 ottobre 1980, n. 524/81, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, artt. 72 e 76, secondo comma (artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 27 ottobre 1980, n. 524/81, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 63, primo e terzo comma (artt. 3, 24 97 e 113 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 27 ottobre 1980, n. 524/81, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, artt. 168 e 169 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 25 febbraio 1981, n. 521, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. J PARTE II, LEGISLAZIONE r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375 (artt. 3 e 47 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 24 aprile 1981, n. 492, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, ultimo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Milano, ordinanza 19 novembre 11980, n. 720/81, G. U . . 9 dicembre 1981, n. 338. Corte d'appello di Milano, ordinanza 21 gennaio 1981, n. 655, G. U. 9 dicembre 1981, n. 3.38. Corte d'appello di Milano, ordinanza 21 gennaio 1981, n. 660, G. U. 9 dicembre 1981, n. 338. d.l.C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 3 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione VI giurisdizionale, ordinanza 17 marzo 1981, n. 533, G. U. .18 novembre 1981, n. 318. legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 9 maggio 1981, n. 558, G. U. 25 novembre 1981, n .. 325. Tribunale di Roma, ordinanza 9 maggio 1981, n. 559, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. Tribunale di Roma, ordinanze (due) 27 maggio e 28 aprile 1981, n. 560 e 561, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 9, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Biella, ordinanza 7 aprile 1981, n. 532, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 2, n. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 4 giugno 1981, n. 550, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. legge 4 dicembre 1956, n. 1450, art. 16 (artt. 3, primo comma e 37 primo comma della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 25 novembre 1980, n. 551/81 G. U. 25 novembre 11981, n. 325. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80, quindicesimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 7 maggio 1981, n. 571, G. U. 9 dicembre 1981, n. 338. d.P.R. 15 giugno 19591 n. 393, art. 83 [modificato dalla legge 14 febbraio 1974, n. 62] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Voltri, ordinanza 2 dicembre 1980, n. 513/81, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 15 gi.gno 1959, n. 393, art. 121 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Livorno, ordinanza 7 luglio W81, n. 707, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 [come modificato dalla legge 5 mag� gio 1976, n. 313, art. 5] (art. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanze {due) 4 e 11 aprile 1981, nn. 575 e 576, G. V. 9 dicembre 1981, n. 338. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma, quarta ipotesi [come modificato dalla legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Cosenza, ordinanza 25 marzo 1981, n. 661, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, artt. 16 e 78 (artt. 2, 3 e 48 della Costituzione). Tribunale di Busto Arsizio, ordinanza 14 novembre 1980, n. 579/81, G. V. 30 dicembre 1981, n. 357. legge 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 13 (art. 3 della Costituzione). Pretore S. Angelo a Fasanella, ordinanza 7 aprile 1981, n. 544, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 134, secondo comma (artt. 25, primo com� ma e 103, ultimo comma, della Costituzione). Giudice istruttore presso il Tribunale militare di Padova, ordinanza 31 agosto 1981, n. 656, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Alba, ordinanza 6 marzo 1981, n. 548, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. legge 3 maggio 1967, n. 315, art. 26 (artt. 3, 36, 76 e 97 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 27 ottobre 1980, n. 524/81, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 [come modificato dalla legge 14 ot� tobre 1974, n. 497] (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale di Rovigo, ordinanza 18 giugno 1981, n. 554, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. legge 8 marzo 1968, n. 152, artt. 2, primo comma, lettera c) e 4, primo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 30 marzo 1981, n. 574, G. U. 2 dicembre 1981, n. 332. PARTE II, LEGISLAZIONE 91 legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 8 e 9 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 13 aprile 1981, n. 510, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 10 (artt. 3 e 41 della Costituzione). Pretore di Asti, ordinanza 9 giugno 1981, n. 546, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 1 (artt. 3, primo comma e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 15 giugno 1981, n. 562, G. U. 2 dicembre 1981, n. 332. legge 25 ottobre 1968, n. 1089, art. 18, nono comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Cagliari, ordinanza 20 maggio 1981, n. 552, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 � (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanza 17 febbraio 1981, n. 658, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. legge 30 dicembre 1970, n. 1239, (art. 11 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanze (due) 19 marzo 1981, n. 587 e 588/81, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanze (due) 1� giugno 1981, nn. 593 e 594, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. legge prov. Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, primo periodo e terzo comma (artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 5 maggio 1981, n. 585, G. U. 9 dicembre 1981, n. 338. legge provinciale di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 [e successive modi~ ficazioni] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 23 giugno 1981, n. 567, G. U. 2 dicembre 1981, n. 332. legge provincia di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, secondo periodo e terzo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 26 maggio 1981, n. 536, G. U. 18 novembre 1981, n. 318). Corte d'appello di Trento, ordinanza 30 giugno 1981, n. 584, G. U. 2 dicembre 1981, n. 332. Corte d'appello di Trento, ordinanza 24 febbraio 1981, n. 580, G. U. 9 dicembre 1981, n. 338. 92 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 4l, quarto comma, e 58, quarto comma (art. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Alessandria, ordinanze (due) 20 aprile e 20 maggio 1981, n. 568 e 569, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, ultimo comma (artt. 3 e 112 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 14 gennaio 1981, n. 515, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. Tribunale di Forl�, ordinanza 15 maggio 1981, n. 578, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 8, lettera c), tariffa ali. A parte I (artt. 3 e 76 della Costituzione). I , Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 20 dicembre 1979, n. 563/81, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26 (art. 76 della Costituzione). ~ Corte di cassazione, ordinanza 27 marzo 1981, n. 504, G. U. 4 novembre �981, n. 304. * d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 53, primo comma, della Costitu� ' zione). li Commissione tributaria di secondo grado di Ferrara, ordinanze (due) 7 e 14 novembre 1978, n. 617 e 618/81, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357). I I ~ legge provincia Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28 [e successive modi� ficazioni] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 17 marzo 1981, n. 528, G. U. 25 no� vembre 1981, n. 325. Corte d'appello di Trento, ordinanza 23 giugno 1981, n. 566, G. U. 2 dicembre 1981, n. 332. I d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Gorizia, ordinanza 14 aprile 1981, n. 530, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. I legge reg. Campania 21 febbraio 1973, n. 7, artt. 1 e 2 (artt. 76, 77 e 133 I Costituzione). f, i Tribunale amministrativo regionale della Campania, ordinanza 13 gennaio i 1981, n. 582, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. � I I f d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 [modificato dalla legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 45] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Susa, ordinanza 27 marzo. 1981, n. 512, G.U. 4 novembre 1981, n. 304. PARTE II, LEGISLAZION5 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 [come modificato dalla legge 14 apri� le 1975, n. 103, art. 45] (artt. 3 e 25 della Costituzione). Pretore di S. Margherita di Belice, ordinanza 25 marzo 1981, n. 526, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. di. 24 luglio 1973, n. 426, art. 1, quarto comma [convertito in legge 4 agosto 19i3, n. 495] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 21 luglio 1981, n. 6ll, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 76 (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di L'Aquila, ordinanza 26 giugno 1981, n. 615, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Milano, ordinanza 8 aprile 1981, n. 545, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. d.I. 5 novembre 1973, n. 660, art. 2, lett. b) [convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1973, n. 823] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Trapani, ordinanza 30 ottobre 1979, n. 634/81, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 1� febbraio 1981, n. 514, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 203, 204 e 205 (artt. 3, 36, 76 e 97 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 27 ottobre 1980, n. 524/81, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. d.l. 11 gennaio 1974, n. 1, art. 4, lettera f) (art. 23 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 13 gen� naio 1981, n. 538, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. legge 14 ottobre 1974 n. 497 artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanza 29 maggio 1981, n. 534, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. legge 18 aprile 1975 n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 3, 25, secondo comma, e 101 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanze (due) 27 marzo e 2 aprile 1980, nn. 522 e 523/81, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 25, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanze 23 gennaio e 13 febbraio 1981, nn. 505 e 506, G. U. 4 novembre 1981, n. 304). legge 3 giugno 1975, n. 160, artt. 9 e 10 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 21 maggio 1981, n. 509, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. legge 22 luglio 1975, n. 382, art. 4 (art. 125 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Calabria, ordinanza 7 ottobre 1980, n. 577/81, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 48, terzo comma (artt. 1, 2 e 3, primo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Perugia, ordinanza 26 marzo 1981, n. 535, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 26, 28, 71 e 80 (art. 3 della Costituzione). Giudice istruttore presso il Tribunale di Rovereto, ordinanza U maggio 1981, n. 565, G. U. 2 dicembre 1981, n. 332. legge 24 dicembre 1975, n. 706, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 25 febbraio 1981, n. 521, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. d.l. 4 marzo 1976, n. 31, art. 1, terzo comma [e successive modificazioni] (art. 3 e 41 della Costituzione). Corte d'appello di Caltanissetta, ordinanza 11 maggio 11981, n. 537, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. legge 29 aprile 1976, n. 177, art. 3, .ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 2 giugno 1980, n. 495/81, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2 (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Palermo, ordinanza 5 febbraio 1981, n. 520, G. U. 25 novembre 1981, n. 325). legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 22 (art. 32 della Costituzione). Pretore di Susa, ordinanza 11 gennaio 1980, n. 493/81, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. legge regione Lombardia 20 agosto 1976, n. 28, art. 13, ultimo comma (artt. 5, 108, primo comma, e 117 della Costituzione). Pretore di Legnano, ordinanze (due) 12 maggio 1981, n. 507 e 508, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. PARTE II, LEGISLAZIONE 9f legge 8 ottobre 1976, n. 689, art. 2, ultimo comma (artt. 3 e 35 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanza 24 aprile 1981, n. 516, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanza 12 marzo 1980, n. 527/81, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. legge 23 dicembre 1976, n. 863, art. 2, penultimo comma (artt. 3 e 35 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanza 24 aprile 1981, n. 516, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lettera b) (artt. 42 e 43 della Costituzione). Pretore di Trecastagni, ordinanze (quattro) 11 febbraio, 14 marzo e 15 febbraio 1980, n. 488, 489, 490 e 491/81, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. legge regione Basilicata 8 febbraio 1977, n. 10, art. 28 (artt. 97, 117, 118, 128 e 130 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, ordinanza 22 marzo 1979, n. 487/81, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. legge regione Molise 9 novembre 1977, n. 40, art. 21 (artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Molise, ordinanza 26 maggio 1981, n. 531, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. legge 27 febbraio 1978, n. 41 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 21 maggio 1981, n. 509, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1 (artt. 3, 42, 44 e 136 della Costituzione). Tribunale di Brindisi, ordinanza 3 giugno 1981, n. 640, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1, primo, secondo e terzo comma (artt. 3, 42, secondo comma e 44, primo comma, della Costituzione). Corte d'appello, sezione di Salerno, ordinanza 21 maggio ,1981, n. 511, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. legge 22 maggio 1978, n. 194, artt. 22, terzo comma e 4 (artt. 2, 3, secondo comma, 29, 30 e 31 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 25 maggio 1981, n. 519, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58, 59, nn. 4 e 8 e 65 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 4 maggio 1981, n. 547, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo ed. ottavo comma (art. 24 della Costituzione). Pretore di Civitanova Marche, ordinanza 18 maggio 1981, n. 572, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 16 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Trib1male di Torino, ordinanza 21 maggio 1981, n. 509, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. legge provincia di Bolzano 3 settembre 1979, n. 12, art. 1 (artt. 3, 6 e 41 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione� quarta giurisdizionale, ordinanza 16 dicembre 1980, n. 603/&l, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. legge reg. Lazio 18 settembre 1979, n. 79, art. 9 [come modificata dalla legge reg. 7 dicembre 1979, n. 95] (artt. 3, 33, 34 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 25 marzo 1981, n. 626, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. legge 23 novembre 1979, n. 595 (artt. 42, secondo comma e 44, primo comma, della Costituzione). � Corte d'appello, sezione di Salerno, ordinanza 21 maggio 1981, n. 511, G. U. 11 novembre 1981, n. 31.1. legge 23 novembre 1979, n. 595, art. 1 (artt. 3, 42, 44 e 136 della Costituzione). Tribunale di Brindisi, ordinanza 3 giugno 1981, n. 640, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 29 ottobre 1980, n. 525/81, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1, primo e secondo comma (artt. 42 terzo comma, e 136, primo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Firenze, ordinanze (tre) 12 giugno 1981, nn. 541, 542 e 543, G. U. 18 novembre 198.1, n. 318. legge 16 dicembre 1980, n. 858 (art. 25 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 1� febbraio 1981, n. 514, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 1� aprile 1981, n. 121, art. 104, primo comma (art. 103, terzo comma, della Costituzione). Giudice istruttore presso il Tribunale militare territoriale di Bari, ordinanza 27 maggio 1981, n. 557, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. legge 29 maggio 1981, n. 252, art. 1, secondo comma (artt. 3, primo comma, 32, primo comma, 33, primo e secondo comma, della Costituzione). Pretore di Ceglie Messapico, ordinanza 26 settembre 1981, n. 723, G. U. 9 dicembre 1981, n. 338. Pretore di Ceglie Messapico, ordinanza 26 settembre 1981, n. 724, G. U. 9 dicembre 1981, n. 338. legge 29 maggio 1981, n. 252, art. 2, primo e terzo comma, (art. 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Ceglie Messapico, ordinanza i6 settembre 1981, n. 723, G.U. 9 dicembre 1981, n. ~38. Pretore di Ceglie Messapico, ordinanza 26 settembre 1981, n. 724, G.U. 9 dicembre 1981, n. 338. dJ. 26 settembre 1981, n. 538, artt. 5 e 9 (artt. 117, 118, �119 e 3 della Costituzione). Presidente Giunta regionale Emilia-Romagna, ricorso 31 ottobre 1981, n. 57, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. d.I. 26 settembre 1981, n. 539, art. 2, primo comma (artt. 119, 117 e 123 della Costituzione). Presidente giunta regionale Liguria, ricorso 6 novembre 1981, n. 60, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. dJ. 26 settembre 1981, n. 539, artt. 2 e 4 (artt. 115 e 119 della Costituzione). Presidente giunta regionale Lombar�ia, ricorso 5 novembre 1981, n. 58, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. d.l. 26 settembre 1981, n. 539, artt. 2, 4 e 5 (artt. 119, 117 e 118 della Costituzione). Presidente giunta regionale Emilia -Romagna, ricorso 7 novembre 1981, n. 61, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. d.l. 26 settembre 1981, n. 539, art. 3 (artt. 7, 8 e 54, quarto comma dello statuto speciale regione Sardegna e 77 della Costituzione). Presidente giunta regionale Sardegna, ricorso 6 novembre 1981, n. 59, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. legge 15 ottobre 1981, n. 590 (artt. 8, nn. 8, 13, 17, 18, 21, 24 e 25; 9, n. 9; 16, primo comma; 17, 78; 107 e seguenti dello statuto speciale per il Trentino Alto Adige). Presidente provincia autonoma di Bolzano, ricorso 27 novembre 1981, n. 65, G. U. 9 dicembre 1981, n 338. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 15 ottobre 1981, n. 590 (artt. 8, nn. 13, 17, 21 e 24, 16, primo comma; 107 e seguenti dello statuto speciale per il Trentino -Alto Adige). Presidente provincia autonoma di Trento, ricorso 27 novembre 1981, n. 64, G. U. 9 dicembre 1981, n. 338. legge approvata Consiglio regionale d'Abruzzo il 21 ottobre 1981 (art. 117 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso ,16 novembre 1981, n. 62, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. legge riapprovata dal Consiglio provinciale di Bolzano il 28 ottobre 1981 (art. 8 dello statuto speciale per il Trentin� -Alto Adige). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 23 novembre 1981, n. 63, G. U. 2 dicembre 1981, n. 332. legge riapprovata il 5 novembre 1981 dal consiglio regionale dell'Emilia� Romagna (artt. 3 e 36 della Costituzione). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 1� dicembre 1981, n. 66, G. U. 9 dicembre 1981, n. 338.