ANNO .XXXIII N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 1981 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTIT�TO POUGRMIC� E t~��A b~Ll� S'tAiO 

ROMA 1981 



ABBONAMENTI ANNO 1981 

ANNO ............................. L. 22.000 


UN NUMERO SEPARATO �� � � � �� � �. � � � � )) 4.000 

Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza O. Verdi, 1O -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in Ital:1 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 dcl 13 luglio 1966 


(3219062) Roma, 1981 -Istituto P�ligraflco e Ze�ca dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura 

del/'avv. Franco Favara) . . . . . . � . . pag. 623 

Sezione seconda: 
GIURISPRUDENZA .COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura del/'avv. Oscar Fiumara) � . � 672 

Sezione terza: 
GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, 
Carlo Sica e Antonio Cingolo) . � . . � . � � 703 

Sezione quarta: 
GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati 
Adriano Rossi e Antonio Catrical�) � � . . � � 732 

Sezione. quinta: 
GIURISPRUDE_NZA AMMINISTRATIVA (a cura 
del/'avv. Raffaele Tami�zzo} . . � . � � . � � 736 

Sezione sesta: 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato 
Carlo Baf�le) . . . . . . � . . . � � 763 

Sezione settima: 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) � . � 828 

Sezione ottava: 
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avv.ti 
Paolo Di Tarsia Di Be/monte e Nicola Bruni) . . � 869 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 


LEGISLAZIONE 
pag. 85 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 

Glauco NORI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; 
GUICCIARDI, Genova; Mavce1lo DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; 
Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, 
Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco A.RGAN, Torino; Maurizio DE 
FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANDb, Venezia. 



Pubblichiamo il saluto indirizzato dall'Avvocato generale aill'Associa� 
zione Ualiana dei giuristi europei in occasione dell'incontro-dibattito tenutosi 
nella Sala Vanvitelli il 12 febbl"aio 1982 sul tema �Il giudice nazionale 
e il diritto comunitario �, 

E per me motivo di grande soddisfazione dare il benvenuto, nella sede 
dell'Avvocatura, agli amici dell'Associazione italiana dei giuristi europei 
e ringraziare a nome dell'Istituto, dei colleghi e mio personale, tutti gli 
intervenuti: un ringraziamento particolare va, poi, naturalmente, agli illustri 
relatori che si apprestano ad introdurre questo incontro-dibattito. 

L'argomento � di grande attualit� e questo Istituto, a nome del quale 
ho l'onore ed il piacere di rivolgere il mio saluto, ne � consueto protagonista. 


Mi sia consentita una disgressione dal tema specifico per sottolineare 
con quanto calore io rivolgo questo saluto: la mia vita di studioso ed operatore 
del diritto -per una singolare coincidenza -si riallaccia tutta alle 
tappe pi� significative dell'evoluzione dell'idea dell'integrazione europea. 

Avevo appena conseguito la laurea in legge, nel giugno 1941, quando 
fu emesso il messaggio, che profondamente � rimasto nel mio animo, del 
Manifesto di Ventotene. 

Era la prima ideazione di un programma politico di Unione Europea 
nel nome della democrazia e della libert� in opposizione alla dittatura 
fascista ed al forsennato nazionalismo guerresco. Certo si potrebbe andare 
molto indietro e ricordare altre antiche espressioni programmatiche, come 
l'opuscolo del 1814 del Saint Simon, che s'intitolava al proposito di una 
� riorganizzazione della societ� Europea ... per riunire i popoli d'Europa in 
un solo corpo politico, conservando ciascuno la sua indipendenza nazionale
�. Ma cos� indietro -per la verit� -non arrivano i miei anni; ed 
oggettivamente il manifesto di Ventotene apriva una ben diversa e nuova 
visione ispirata al superamento dei nazionalismi per l'affermazione dei 
valori di democrazia e di libert�. 

E, di nuovo, ero appena entrato nel settembre 1946, congedandomi cos� 
dal lungo servizio militare, nell'Avvocatura di Stato, quando Winston Churchill, 
che fu il primo dei grandi uomini politici a rendersi interprete delle 
aspirazioni europee della societ� del dopoguerra, lanci� il famoso appello 
di Zurigo per la costruzione degli Stati Uniti d'Europa. 

E fu in occasione della mia prima esperienza di collaborazione con la 
attivit� di Governo, prestata ad Aldo Moro, che vennero firmati in Roma, 
nel 1957, i Trattati che creavano (sulla linea del gi� vigente Trattato CECA) 
gli organismi sovranazionali della Comunit� Economica Europea e della 
Comunit� Europea dell'Energia Atomica. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Raccolsi allora i primi commenti e le prirne caute ma penetranti intuizioni 
del grande uomo politico, cui rivolgo un commosso, riverente pensiero 
di omaggio. E fu di nuovo con lui che, nel 1970, quale Capo del Servizio 
del Contenzioso Diplomatico, partecipai a quel Consiglio d'Europa 
che, tra il 1 e il 2 dicembre, deliber� che le elezioni europee si tenessero 
in data unica nei Paesi membri. 

Quella deliberazione � significativamente il solo precedente richiamato 
nel preambolo della Decisione della Comunit� Europea che approv� l'Atto 
per le elezioni europee, sottoposti insieme all'approvazione del Parlamento 
italiano nel 1976, su proposta del Ministro degli Esteri, Aldo Moro. 

Ed oggi sono qui ad ascoltare, nell'�sercizio della mia nuova responsabilit�, 
questo dibattito, che investe un tema che felicemente dimostra 
quanta strada -superando stenti e difficolt� -sia stata finora compiuta 
ed� incoraggia a proseguire nell'ancora lungo e faticoso cammino della 
integrazione europea. 

Oggi, per�, non vi � chi non avverta l'angustia di un orizzonte operativo 
ristretto ai confini nazionali e non senta che il grande ideale della 
integrazione europea pu� ancora rappresentare, nel suo realizzarsi, un 
significativo contributo del Vecchio continente all'evolversi della civilt� 
umana. 

Di recente Massimo Severo Giannini ha individuato il nucleo della 

� crisi interepocale �, che stiamo� vivendo, nella dissoluzione degli Stati na


zionali, giunti ormai al compimento del loro ciclo vitale. 

La� diagnosi � probabilmente esatta e, se cos� �, la Comunit� Europea 
rappresenta una' tempestiva risposta alle esigenze dei tempi nuovi che 
vanno maturando . 

. 

Possiamo intanto rilevare che accanto ai primi immediati risultati di 

integrazione sul piano economico, si vanno ormai cogliendo quelli che si 

realizzano sul piano giuridico, i quali seguono con pi� meditata lentezza, 

che � propria del conservatorismo degli uomini di legge. O piuttosto vorrei 

dire -se non dispiaccia il neologismo -del loro costruzionismo, che 

richiede una solida sedimentazione su cui elevare e concretare le nuove 

strutture, funzionali ai modi ed ai tempi dell'evoluzione sociale. 

E si pu� dire ormai compiuta irreversibilmente la prima costruzione 

di un ordinamento comunitario. Importante � constatare che la problema


tica dei suoi rapporti con l'ordinamento interno fa parte, ormai, dell'espe


rienza �quotidiana degli operatori giuridici; cos� come � solidamente acqui


sita l'esistenza di un giudice a Lussemburgo con cui il giudice nazionale 

ha preso disinvoltamente a colloquiare a' sensi dell'art. 177 del Trattato. 

Non � un caso, d'altronde, che alla Presidenza della Suprema Corte 

di Cassazione sieda oggi un uomo come Mario Berri, c.he ha dedicato una 

intensa e profonda attivit� alla costruzione ed alla diffusione del Diritto 

comunitario. 

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�. .�Jggi :U~Pfes'idente Berti non � con noi pircli�-:-come ua-v�lut� cott<? 
semente comunicare -partecipa ad una cerimonia commemorativa di Vit~ 
torio Bachelet. Desidero associarmi a nome di tutti al rimpianto, ricordando 
il valore del giurista e l'altissimo sereno impegno civile che anim� la sua 
vita e ne caus� l'assassinio. Le due immagini di Moro e di Bachelet appartengono 
al patrimonio ideale dei giuristi, non soltanto italiani, che si inchinano 
con riverente pensiero alla loro memoria. 

E neppure � un caso che la Corte Costituzione, con le due recenti sentenze-
176 e 177/81, abbia ape-rto 'f}.uovi spiragli interpretativi in tema di' 
integrazione tra ordinamenti. E conforta, ancora, la constatazione che vi 
sono molti u�r�iini politici sei1sibili all'esigenza di crear� finalniente un

. 

. 

sistema che valga ad adeguare tempestivamente l'ordinamento interno a 
quello comunitario in forme quanto pi� possibile equivalenti a quelle del 
�trasformatore continuo �. Ed �, infine, mio preciso dovere, al riguardo, a' 
sensi dell'art. 15 della legge 103/1979 sull'ordinamento dell'Avvocatura, 
ritornare sul ia segnalaz(on� g-i� fatta al Governo d{ una grave carenza del 
nostro siStema legislativo. E necessario ormai superarla nel solco della 
indicazione (e dell'ammonimento) che proviene dalle sentenze surrichiarhate, 
'della Corte costituzionale. Non si pu�-ulteriormente indugiare di 
fronte alla urgenza di creare un adeguato meccanismo tecnico (ai giuristi 
non manca l'inventiva per assecondare la volont� politica, tanto che indicazioni 
sono state gi� fornite anche da questo Istituto e potrano essere 
opportunamente approfondite); di creare, dicevo, uno strumento capace di 
assicurare il tempestivo e continuo adeguamento dell'ordinamento interno 
alle direttive comunitarie, cos� da far coincidere gli atteggiamenti concreti 
del Paese con lo spirito europeo che anima� il Governo ed il Parlamento 
italiani. 

E questo il momento di farlo, ora che l'Europa appare sempre meno 
un'astrazione e sempre pi� si impone come una realt� viva nella coscienza 
sociale. 

Traendo auspicio da questa convinzione, vorrei concludere il mio saluto 
per non rubare altro tempo ai relatori, che illustreranno il tema della 
collaborazione tra giudici nazionali e giudici comunitari: un rapporto che 
s'iscrive a grande rilievo nello spirito e negli ideali che presiedono al processo 
di evoluzione dell'integrazione europea. 

Lo sviluppo di queSto processo � un sicuro pegno di pace e di fratellanza 
tra i popoli, particolarmente tra quelli accomunati nel destino da un 
patrimonio di tradizioni e di civilt� che insieme dobbiamo salvare. Vi sono 
in esso quei valori essenziali che rappresentano il filo di continuit� tra la 
civilt� del passato, che non dobbiamo rinnegare, e la civilt� di domani, 
che dobbiamo 'concorrere -noi giuristi per la nostra parte -a costruire. 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

I. 
F. CARAMAZZA, L'equo canone nella locazione di immobili urbani: 
natura dei compiti dell'ISTAT; giudice competente nelle relative 
I 

controversie, � anno precedente " cui riferire la valutazione . I, 736 

I 

M. 
CONTI, Libera circolazione di capitali e disciplina valutaria . I, 677 
F. 
FAVARA, La rimozione delle disposizioni legislative nazionali incompatibili 
con norme comunitarie ad esse anteriori . . I, 635 
O. 
FIUMARA, In tema di proroga tacita della competenza nella Convenzione 
di Bruxelles 27 settembre 1968 . . . . . . . . I, 672 
U. 
GARGIULO, Sulla pretesa al contributo per la programmazione 
del film � Ultimo tango a Parigi >>, definito delitto dal giudicato 
penale . . . . . . . . . . . . . . I, 746 
S. 
LAPORTA, � Legge casa " ed espropriazioni statali . I, 861 

PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ACQUE 

-Acque sotterranee -Pubblicit� -Ricomprensione 
in zone soggette a 
tutela -Sufficienza -Esclusione Attitudine 
a pubblico generale interesse 
-Necessit�, �867. 

-Giudizio e procedimento -Rinvio 
al cod. proc. civ. -Carattere formale 
e non recettizio, 846. 

-Giudizio e procedimento -Riserva 
di impugnazione -Forma -Dichiarazione 
a verbale -Validit�, 844. 

-Giudizio e procedimento -Sentenza 
non definitiva -Riserva di impugnazione 
-Estinzione del giudizio Proponibilit� 
dell'impugnazione, 844. 

-Laghi -Limiti dell'alveo -Individuazione 
-Criterio, 844. 
-Laghi -Spiagge lacuali -Demanialit� 
-Criteri, 844. 

APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Contabilit� 
provvisoria -Avere di riserva 
rispetto ai lavori contabilizzati Sussiste 
-Contabilit� di fatto -Riserve 
-Onere -Inapplicabilit�, 828. 

-Appalto di opere pubbliche -Riserve 
� Ostacoli ai lavori ancora presenti 
in sede di consegna -Tempo 
della riserva � Verbale di consegna, 

828. 
-Appalto di opere pubbliche -Riserve 
-Fatto continuativo -Tempo 
e forma della riserva -Sospensione 
dei lavori � Verbale di ripresa, 828. 
-Appalto di opere pubbliche -Riserve 
-Sospensione di fatto -Tempo 
della riserva -Prima contabilizzazione 
successiva alla ripresa dei lavori, 
828. 

. ASSICURAZIONE 

-Danni da circolazione di veicoli o 
natanti non identificati � Fondo di 
garanzia per le vittime della strada Natura 
indennitaria delle prestazioni, 
666. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Convenzione di Bruxelles sulla competenza 
giurisdizionale e l'esecuzione 
delle decisioni in materia civile 
e commerciale -Eccezione di incompetenza 
-Difese sul merito Compatibilit�, 
con nota di FIUMARA, 

672. 
-Dazi all'esportazione e all'importazione 
� Recupero a posteriori -Disciplina 
comunitaria -Applicazione � 
Limiti, 695. 
-Libera circolazione delle merci e libera 
circolazione di capitali . Trasferimento 
di valuta � Normativa differem:
iata, con nota di CONTI, 676. 
-Libera circolazione di capitali -Clausola 
di salvaguardia -Campo di 
applicazione -Limiti, con nota di 
CONTI, 676. 
-Libera circolazione di capitali Esportazione 
di banconote -Restrizioni 
nazionali -Compatibilit� con 
il trattato, con nota di CONTI, 676. 
-Libera circolazione di capitali -Nuove 
restrizioni di capitali -Divieto Insussistenza, 
con nota di CONTI, 676. 
-Movimenti di capitali non liberalizzati 
� Misure di controllo e sanzioni 
penali � Poteri degli Stati membri Limiti 
� Insussistenza, con nota di 
CONTI, 676. 
-Organizzazioni comuni di mercato 
per i settori delle uova e del pollame 
� Diritto di .visita sanitaria -Legge 
nazionale di adeguamento al diritto 
comunitario -Criterio di interpretazione 
� Sopravvenienza di norme 
comunitarie confliggenti con la 
disposizione � sub judice � -Inammissibilit� 
delle questioni prospettate, 
con nota di FAVARA, 635. 

CONTABILIT� PUBBLICA 

..:.. 
Finanza pubblica allargata -Nuove e 
maggiori spese a carico di enti territoriali 
o di aziende pubbliche Previsione 
della spesa ed indicazione 
della copertura finanziaria -Necessit�, 
623. 


X 

INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

-Titoli di spesa -Controllo Corte dei 
conti -Ai-t. 18 t.u. n. 1214 del 1934 Modalit� 
di applicazione -Controllo 
sull'ordine di pagamento e sul titolo 
giuridico della spesa, con nota di 
GARGIULO, 746. 

EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE 

-Alloggi -Assegnazione -Fase precedente 
e successiva -Controversie Diversa 
competenza del giudice amministrativo 
e del giudice oi;dinario, 
729. 

ESPROPRIAZIONE PER P.U. 

-A favore di Amministrazioni statali 
-Indennit� determinata secondo 
la legge 22 ottobre 1971, n. 865 Opposizione 
a stima -Competenza 
della Corte d'appello, 732. 

-Indennit� -Criteri dettati dalla legge 
28 gennaio 1977, n. 10 -Disciplina 
transitoria -Ambito di applicazione, 
con nota di LAPORTA, 861. 

-Indennit� -Criteri dettati dalla legge 
29 luglio 1980, n. 385 per la determinazione 
in via provvisoria -Ambito 
di applicazione, con nota di 
LAPORTA, 861. 

-Legge sulla casa -Cessione volontaria 
dell'immobile -Disciplina -Applicabilit� 
alle espropriazioni statali 
-Esclusione, con nota di LAPORTA, 
861. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Difetto di giurisdizione -Irregolare 
composizione dell'organo giurisdizionale 
-Riconferma -Mancanza 
della indipendenza del giudice -Sua 
eliminazione successiva -Vizio originario 
della nomina -Sussiste, 726. 

-Ius superveniens -Immediata applicabilit� 
in ogni stato e grado del 
giudizio -Limiti, 721. 

-Ius superveniens -Immediata applicabilit� 
in ogni stato e grado del 
giudizio -Mancanza d'impugnazione 
della statuizione affermativa della 
giurisdizione del giudice poi divenuto 
incompetente -Irrilevanza, 703'. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Intervento in giudizio -Ad adiuvandum 
-Legittimazione -Associazione 
di categoria ente esponenziale -Legittimazione 
propria a ricorrere Inammissibilit� 
dell'intervento -Lo


cazione -Immobili urbani -Equo r 
canone -Aggiornamento del canone 
-Variazione. prezzi al consumo Determinazione 
-� Anno preceden


I

te� ex art. 7�1 u.c.; L. n. 329 del 1978 


I r;

� quello antecedente alla data di 
scadenza contrattuale, con nota CARAMAZZA, 
736. 


IMPIEGO PUBBLICO 

-Controversie in materia d'indennit� 
di buonuscita dovuta-a dipendenti 
statali -Giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo, 703'. 

-Domanda di interessi moratori e 
rivalutazione monetaria su crediti 

I

di retribuzione -Questione di diritti 
patrimoniali conseguenziali -Inconfigurabilit� 
-Giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo -Sussiste, 
705. � 


-Indennit� di buonuscita -Nuova disciplina 
in tema di computabilit� 
della tredicesima -Estinzione dei 
giudizi pendenti -Riguarda anche le 
domande accessorie, 734. 

-Indennit� di buonuscita -Ritardato 
pagamento -Rivalutazione a sensi 
dell'art. 429 cod. proc. civ. -Non 
spetta, 721. 

-Indennit� di fine rapporto dovuta 
a dipendente di ente pubblico non 
economico -Controversie -Giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo, 
704. 

-Ritardato pagamento della retribuzione 
spettante al dipendente -Rivalutazione 
monetaria del credito -� 
dovuta, 705. 

-Ritardato pagamento dell'indennit� 
e rivalutazione monetaria -Questione 
inerente a ��diritti patrimoniali 
conseguenziali � -Inconfigurabilit� Giurisdizione 
esclusiva del giudice 
amministrativo, 703. 

LAVORO 

-Divieto di interposizione -Appalti 
con.cessi da amministrazioni autonome 
dello Stato -Decreto presidenziale 
22 novembre 1961 n. 11192 -Ha 
natura regolamentare, 670. 

LEGGE 

-Infortuni sul lavoro -Malattie professionali 
-Modifiche ad integrazioni 
di tabelle allegate a decreto le




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

gislativo -Autorizzazione ad appostarle 
mediante atto amministrativo 
-Legittimit� costituzionale, 630. 

LOCAZIONE 

-Equo canone -Aggiornamento del 
canone -Indice Istat -Sindacato 
del giudice amministrativo -Ammissibilit�, 
con nota di CARAMAZZA, 

736. 
ORDINAMENTO GIUDIZIARIO 

-Referendum regionale -Esame della 
legittimit� della richiesta -Attribuzione 
con Iegge. regionale alla Corte 
di appello di Cagliari -Questione 
non manifestamente infondata, 634. 

PREVIDENZA 

-Notai -Trattamento di quiescenza 
a carico della Cassa nazionale del 
notariato -Esclusione di esercenti 
temporanei da professione di notaio 
-Illegittimit� costituzionale, 654. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

-Cassazione -Riproposizione del ricorso 
-Inammissibilit� -Condizioni, 

844. 
- 
Impugnazioni -Ricorso per cassazione 
-Impugnazione immediata e 
riserva di ricorso -Sentenza definitiva 
-Individuazione -Giudizio relativo 
a cause scindibili riunite per 
aumento soggettivo -Condizioni, 

844. 
- 
Processo esecutivo -Estinzione del 
processo per rinuncia del creditore 
procedente -Ordinanza del giudice 
dell'esecuzione -Irreclamabilit� -Illegittimit� 
costituzionale, 665. 

PROCEDIMENTO PENALE. 

-Decreto di citazione -Notifica ad 
uno solo dei due difensori -Nullit� 
assoluta -Inesistenza -Irregolarit� Sussiste, 
�869. 

REATO 

-Omissione di atti d'ufficio -Richiesta 
di informazioni alla P.A. -Termine 
-Inammissibilit� -Tempi tecnici 
per la risposta -Soggezione del 
giudice aHa P. A., 873. 

REGIONI 

-Disponibilit� di cassa delle Regioni 
-Obbligo di tenerle in conti correnti 
non vincolati presso la tesoreria 
dello Stato -Legittimit� costituzionale, 
623. 

-Legge regionale interpretativa -Limiti, 
658. � 

-Regioni a statuto speciale -Disponibilit� 
di cassa di dette Regioni Obbligo 
di tenerle in conti correnti 
non vincolati presso la tesoreria 
dello Stato -Legittimit� costituzionale 
fatta eccezione per Sardegna e 
Valle d'Aosta, 624. 

RESPONSABILIT� CIVILE 

-Circolazione di autoveicolo -Trasporto 
di cortesia -Responsabilit� 
del proprietario ex art. 2054 cod. 

civ. -Esclusione, 664. 
-Poste -Servizio postale di consegna 
di raccomadata -Ritardo -Responsabilit� 
dell'Amministrazione -Esclu� 
sione, 7'34. 

RICORSI AMMINISTRATIVI 

-Annullamento e revoca d'ufficio -Discrezionalit� 
-Limiti � Aspettative 
giuridiche e situazioni di attesa � 
Non costituiscono limite -Fattispecie 
-Diritto di credito scaturente da 
provvedimento amministrativo di� 
chiarato illegittimo, con nota di GARGIULO, 
746. 

SICILIA 

-Indennit� spettante ai membri della 
Giunta regionale -Parziale trasla� 
zione dall'l.R.P.E.F. a carico del bilancio 
regionale -Illegittimit� costituzionale, 
658. � 

-Legge regionale -Sindacato di merito 
da parte del Parlamento � Esclusione, 
624. 

-Ricorso dello Stato alla Corte costituzionale 
avverso leggi regionali si� 
ciliane -Assenza del Commissario 
dello Stato per ferie o l�gittimo impedimento 
-Legittimazione ad impugnare 
-Spetta al vice commissario 
dello Stato, 657. 

SPETTACOLI PUBBLICI 

-Cinematografia e teatro -Films -Programmazione 
obbligatoria � Ammis



Xll INDICE DELLA 

sione -Conseguente diritto al contributo 
-Annullamento d'ufficio Prima 
della liquidazione del contributo, 
Possibilit�, con nota di GARGIULO, 
746. 

-Cinematografia e teatro -Films Programmazione 
obbligatoria -Ammissione 
-Successiva sentenza penale 
di oscenit� del film -Caducazione 
del provvedimento di ammiss\
one, con nota di GARGIULO, 746. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Accertamento -Modificazione per 
sopravvenuta conoscenza di elementi 
nuovi -Nozione -Fattispecie, 781. 

-Imposta sul reddito di ricchezza 
mobile -Avviamento -Cessione di 
azienda -Presunzione -Applicabilit� 
dell'art. 197 del t.u. 29 gennaio 1958 

n. 645 -Esclusione, 794. 
-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
-Pensioni -Sono equiparate ai 
redditi di lavoro subordinato -Pensioni 
erogate non in relazione ad 
un rapporto di lavoro subordinato Irrilevanza 
della distinzione, 790. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
-Redditi di lavoro autonomo Redditi 
prodotti anteriormente al 
lo gennaio 1974 e percepiti successivamente 
-Ritenuta alla fonte -Diritto 
al rimborso, 769. 

-Sanzioni non penali per le violazioni 
-Sanzioni in sede di riscossione 
-Applicabilit� dell'art. 248 del 

t.u. 29 gennaio '1958 n. 645 -Esclusione, 
790. 
TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro -Agevolazione 
per le case di abitazione non di lusso. 
Uffici e negozi -Nozione -Agenzia 
bancaria, 784. 

-Imposta di registro -Concordato 
fallimentare con assuntore -Base 
imponibile -Crediti privilegiati -Vi 
sono compresi, 824. 

-Imposta di registro -Privilegio Decorrenza 
-Imposta principale alla 
data di confezione dell'atto -Impo


GIURISPRUDENZA 

-Imposta di registro -Privilegio -Validit� 
-Azione esercitata contro il 
debitore -Termine di decadenza, 

800. 
-Imposta sull'Entrata -Diritti di riscossione 
di titoli cambiari per conto 
di clienti -Banca non avente propri 
sportelli sulla piazza -Delega a 
banca corrispondente -Diritto corrisposto 
dal cliente alla banca incaricata 
-Costituisce per intero entrata 
imponibile -Provvigione corrisposta 
dalla banca incaricata alla 
banca corrispondente -Altra entrata 
autonomamente imponibile, 774. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Accertamento tributario -Notificazione 
-Nullit� -Sanatoria -Art. 21 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 -Applicabilit� 
ai rapporti anteriori -Esclusione, 
807. 
-Accertamento Tributario -Notificazione 
-Nullit� -Sanatoria -Notifica 
eseguita in luogo diverso da quello 
prescritto -Inapplicabilit�, 807. 

-Accertamento tributario -Notificazione 
-Sanatoria -Necessit� dell'impugnazione 
dell'atto -Impugnazione 
di atto successivo -Non si verifica, 

807. 
-Contenzioso tributario -Appello Notifica 
-Omissione -Nullit� -Notifica 
dell'avviso di fissazione di 
udienza -Comparizione dell'appellato 
-Sanatoria -Esclusione, 763. 

-Contenzioso tributario -Giudizio di 
terzo grado -Imposta di ricchezza 
mobile -Plusvalenza -Accertamento 
dell'intento di speculazione -Deducibilit�, 
con nota di BAFILE, 813. 

-Contenzioso tributario -Morte della 
parte -Omessa dichiarazione -Pronunzia 
della decisione -Legittimit� Art. 
31 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 Inapplicabilit� 
nel caso che l'evento 
sopravvenga mentre il giudizio � 
pendente, 798. 

-Contenzioso tributario -Ricorso alla 
Commissione centrale -Motivazione :
� necessaria -Indicazione di motivi 
specifici -Non � necessaria, 818. 

sta complementare e suppletiva da1la 
data della registrazione, 800. 
-Contenzioso tributario -Ricorso alla 
Commissione centrale -Presentazio

RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DEU..O STATO Xllt 

ne presso la segreteria della Commissione 
centrale -Inammissibilit�, 
8'16. 

-Contenzioso tributario -Ripartizione 
di potest� tra commissioni di 
primo e secondo grado e corte d'ap� 
pello -:�. questione di competenza 
e non di giurisdizione, con nota di 
BAFILE, 813. 

-Potest� tributaria di imposizione Decreto 
legge non convertito -Sue


cessiva disciplina dei rapporti sorti 
-Legittimit� -Imposta di fabbricazione 
-Fattispecie, 786. 

-Potest� tributaria di imposizione Obbligazione 
tributaria -Momento 
della nascita -Imposta di fabbricazione 
-Fattispecie, 786. 

-Repressione delle violazioni -Pena 
pecuniaria -Coscienza e volont� Ignoranza 
della norma tributaria Irrilevanza, 
821. 

-11�1111111111111r1r11111r11=1111r11111111�11&1 



t. 
INDICE CRONOLOGICO ..k 

~ DELLA GIURISPRUDENZA ~ 

~ 

j: 
I 1: 
CORTE COSTITUZIONALE 
8 giugno 1981, n. 92 . . . . pag. 623 
8 giugno 1981, n. 94 . . . )) 623 
8 giugno 1981, n. 95 . . . )) 624 

I 10 luglio 1981, n. 127 . . . . . . . . )) 630 iJ5 ottobre 1981, n. 175 (ordinanza) . )) 634 ~ 
26 ottobre 1981, n. 176 . . )) 635 

I

26 ottobre 1981, n. 177 . . )) 636 
26 ottobre .1981, n. 179 . . )) 654 I 10 dicembre 1981, n. 187 . )) 657 
17 dicembre 1981, n. 192 . )) 664 
17 dicembre 19&1, n. 195 . )) 665 
29 dicembre 1981, n. 202 . )) 666 
29 dicembre 1981, n. 205 . )) 670 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

3� sezione, 22 ottobre 1981, nella causa 27/81 . . . . . pag. 672 
11 novembre 1981, nella causa 203/80 . . . . . . . . )) 676 
3� Sezione, 12 novembre 19&1, nelle cause 212-217/80 . )) 695 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 10 novembre 1980, n. 6027 . pag. 763 
Sez. I, 20 novembre 1980, n. 6164 . )) 769 
Sez. Un., 5 gennaio 1981, n. 11 . )) 774 
Sez. I, 6 gennaio 1981, n. 49 . )) 781 
Sez. I, 8 gennaio 1981, n. 1141 . . )) 784 
Sez. Un., 8 gennaio 1981, n. 148 . )) 786 
Sez. I, 15 gennaio 1981, n. 361 . )) 790 
Sez. I, 15 gennaio 1981, n. 366 . l> 794 
Sez. I, 21 gennaio 1981, n. 4% . . )) 798 
Sez. I, 26 gennaio 19&1, n. 571 . . )) 800 
Sez. I, 26 gennaio 1981, n. 572 . . )) 807 
Sez. I, 4 marzo 198:1, n. 1240 . )) 813 
Sez. I, 9 marzo 1981, n. 1312 . )) 816 
Sez. I, 9 marzo 1981, n. 1316 . )) &18 
Sez. I, 9 aprile 1981, n. 2041 . . )) 732 
Sez. I, 9 aprile 1981, n. 2045 . )) 821 
Sez. I, 14 aprile '1981, n. 2227 . . . )) 824 
Sez. Un., 17 giugno 1981, n. 3943 . )) 704 
Sez. Un., 27 giugno :1981, n. 4184 . )) 703 
Sez. Un., 2 luglio 1981, n. 4285 . . )) 828 
Sez. Un., 16 luglio 1981, n. 4628 . . )) 734 

i 

! I 

I 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURi\ DELLO STATO xv 

Sez. Un., 20 luglio ,1981, n. 4674 . . . )) 721 
Sez. III, 24 settembre 19'81, n. 5'176 . )) 764 
Sez. Un., 24 settembre 1981, n. 5690 . )) 726 
Sez. Un., 28 ottobre 1981. n. 5693 ... )) 846 
Sez. Un.,. 5. novembre 1981, n. 5'826 . )) 729 
Sez. Un., 14 dicembre :1981, n. 6591 . � 844 

TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE 

7 aprile .1981, n. 11 . . pag. 861 
5 dicembre 1981, n. 45 . � 867 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. plen., 30 ottobre :1981, n. 7 . . pag. 705 
Sez. VI, '10 novembre '1981, n. 657 . � 736 
Sez. VI, 11 dicembre 1981, n. 743 . )) 746 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 
Sez. Un., 7 febbraio 19&1, n. 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 869 

TRIBUNALE DI ROMA 
Sez. Il, 14 ottobre 1981 . pag. 873 


PARTE PRIMA 



SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 giugno 1981, n. 92 -Pres. Amadei -Rel. Volterra 
-Comune di Roccafranca ed altri (avv. Trebeschi), comune di 
Piancogno ed altro (avv. Romagnoli), comune di Alfianello ed altro 
(avv. Roversi Monaco), comune di Brescia (avv. Amorth), comune di 
Vicenia (avv. Tosato), Presidente Consiglio dei Ministri e Ministero 
del tesoro (avv. Stato Carafa). 

Contabilit� pubblica -Fhlanza pubblica allargata -Nuove e maggiori 
spese a carico di enti territoriali. o di aziende pubbliche -Previsione 
della spesa ed indicazione della copertura finanziaria -Necessit�. 

(Cast., artt. 2, 52 e 81; legge 9 ottobre 1971, n. 824; art. 6). 

Il legislatore ordinario non pu� addossare, ad enti o aziende rientranti 
nella cosiddetta finanza pubblica allargata, nuove e maggiori spese senza 
indicare i mezzi con cui farvi fronte. 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 giugno 1981, n. 94 -Pres. Amadei -Rel. Andrioli 
-Regione Veneto (avv. Viola) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Azzariti). 

Regioni -Disponibilit� idi cassa delle Regioni -Obbligo di tenerle !in conti 
correnti non vincolati presso la tesoreria dello Stato -Legittimit� 
costituzionale. 

(Cast., art. 119; I. 3 agosto 1978, n. 468, art. 31). 

L'art. 119 Cost. pur affermando l'autonomia finanziaria regionale, non 
impone affatto che le somme spettanti alle Regioni e defluenti dal bilancio 
dello Stato debbano essere integralmente ed immediatamente accreditate 
alle tesorerie regionali; non contrasta con detto articolo l'obbligo delle 
Regioni di tenere le disponibilit� liquide provenienti dal bilancio dello Stato 
in conti correnti non vincolati presso il tesoro dello Stato (1). 

(1 e 3) Una tecnica legislativa pi� attenta avrebbe potuto forse prevenire l'insorgere 
di queste controversie. L'art. 31 della legge n. 468 del 1978 concerne, 
infatti, soltanto le somme defluenti dal bilancio dello Stato alle casse regionali e, 
tutto conSiiderato, si limita a regolare alcune modalit� di tale flusso (non diversa




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

624 

III 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 giugno 1981, n. 95 -Pres. Amadei -Rel. An 
drioli -Regione Sioilia (avv. Fazio), Regione Friuli Venezia Giulia (avv. 
Pacia), Regione ValJ.e d'Aosta (avv. RomanelJ.i), Regione Sardegna (avv. 
Guarino) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Azzariti). 

Sicilia -Legge regionale -Sindacato di merito da parte del Parlamento Esclusione. 


Regioni -Regioni a statuto speciale -Disponibilit� di cassa di dette Regioni 
-Obbligo di tenerle in conti correnti non vincolati presso fa tesoreria 
dello Stato -Legittimit� costit11Uonale fatta eccezione per Sardegna 
e Valle d'Aosta. 

(Statuto Sicilia, artt. 19, 20, 36 e 38; Statuto Friuli Venezia Giulia, art. 4; Statuto 
Valle d'Aosta, art. 50; Statuto Sardegna, artt. 7, 8 e 56; 1. 3 agosto 1978, n. 468, art. 31). 

Lo statuto siciliano, a differenza degli statuti speciali di altre Regioni, 
non prevede il sindacato di merito da parte del Parlamento sugli atti legislativi 
della Regione; tale sindacato non � pertanto consentito (2). 

La disposizione che pone anche alle Regioni a statuto speciale l'obbligo 
di tenere le disponibilit� liquide provenienti dal bilancio dello Stato in un 
conto corrente non vincolato presso il tesoro dello Stato, pur riducendo le 
disponibilit� di cassa delle tesorerie regionali, non esclude che queste 
rimangano soggette alla competenza legislativa regionale in materia di ordinamento 
degli uffici. Detta disposizione, peraltro, � incostituzionale per 
quanto concerne la Regione Valle d'Aosta, non essendo stata preceduta dall' 
�accordo con la Giunta regionale� prescritto dall'art. 50 del relativo statuto, 
e per quanto concerne la Regione Sardegna, non essendo stato rispettato 
quanto disposto dall'art. 56 del relativo statuto in ordine al procedimento 
di formazione delle norme di attuazione (3). 

mente da quanto fa, ad esempio, l'art. 26 del d.l. 22 dicembre 1981 n. 786); per il 
che non era necessario configurare un �obbligo� delle regioni (di tenere le 
somme de quibus in conti correnti non vincolati con il tesoro), �obbligo� per 
il quale appare difficile individuare il contenuto e configurare una correlata 
situazione soggettiva attiva. Inoltre, l'art. 31 citato, mentre appare ridondante 
per quanto test� osservato, risulta incompleto, non prevedendo esso alcuno specifico 
rimedio nel caso venga omessa l'emanazione, ai sensi del secondo comma, 
dell'atto di accreditamento dei fondi. 

(2) L'Avvocatura dello Stato aveva sostenuto che tale mancata esplicita previsione, 
nello Statuto siciliano, di un limite di merito della potest� legislativa di 
quella Regione, doveva ritenersi superata con l'entrata in vigore della Costituzione 
repubblicana. La Corte ha preferito non raccogliere tale pur significativa 
indicazione, senza peraltro approfondire l'argomento, pur di notevole importanza 
politico-costituzionale. Forze, la mancata attivazione nei trentatr� anni ormai 
trascorsi dal 1948 del sindacato del Parlamento sulle delibere legislative regionali 
pu� avere indotto ad una sottovalutazione della questione di principio prospettata, 
sulla quale sarebbe bene tornare. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I 

(omissis) La Corte ritiene innanzitutto non fondate le censure mosse 
alla norma impugnata, in riferimento agli artt. 2 e 52 della Costituzione. 
Ed infatti se � ben vero che nella sentenza n. 27 del 1965 fu affermata la 
competenza esclusiva deHo Stato a disporre previdenze e benefici in 
relazione ad eventi bellici, tale pronunzia non comportava certo il divieto 
che soggetti diversi dallo Stato fossero chiamati a sopportarne dl relativo 
onere, restando invece nella discrezionalit� del legislatore, ove razionalmente 
esercitata, imporre, nei limiti delle altre norme della Costituzione, 
a soggetti divei;s,i l'adempimento di tale compito, proprio in relazione a 
quei doveri di solidariet� politica, economica e sociale (cfr. sent. n. 12/ 
1972) citati in alcune ordinanze di rimessione. (omissis) 

� per contro fondata, nei limiti di cui appresso si dir�, la questione 
relativa all'art. 81, quarto comma, della Costituzione. 

Tale principio costituzionale, infatti, non pu� essere eluso dal legislatore, 
addos,sando ad enti, rientranti nella cos� detta finanza pubblica allargata, 
nuove e maggiori spese, senza indicare i mezzi con cui farvi fronte. 
IJ co1legamento finanziario tra simili enti e lo Stato � infatti tale da dar 
luogo ad un unico complesso, come lo stesso legislatore ha riconosciuto con 
l'art. 27 della Jegge n. 468 del 1978, secondo cui �le leggi che comportano 
oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico di biJanci degli enti 
di cui al precedente a:rt. 25, devono contenere la previsione dell'onere stesso 
nonch� J'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, 
annuali e pluriennali �. 

L'impugnato art. 6 invece non si cura affatto di prevedere come gli enti 
in parola possano far f1ronte ad una spesa che l'indagine istruttoria espe� 
rita dalla Cor.te ha accertato ingentissima, cos� violando il principio generale 
dell'obbligo di copertura che la Corte ha sempre ritenuto estendersi 
oltre iJ bilancio dello Stato persona in senso stretto (sent. nn. 9-1958, 541958, 
7-1959, 11-1959, 47-1959, 66-1959, 31-1961, 32-1961. 

La dichiarazione di illegittimit� costituzionale dell'art. 6 si circoscrive 
soggettivamente, nei limiti della rilevanza delle questioni prospettate, ai 
comuni, alle aziende municipalizzate e ai relativi consorzi. Essa pertanto 
non .riguarda n� la congregazione di carit�, n� l'ente pubblico economico 
di cui alle ordinanze del pretore di Brescia..., enti che non possono essere 
compresi nel complesso della finanza pubblica allargata, come fatto palese 
dai citati articoli della legge n. 468 del 1978. 

Per essi il legislatore, includendoli nell'art. 4 della legge n. 336 del 
1970, non era dunque tenuto a prevedere con quali modalit� e con quali 
mezzi essi dovessero far fronte al versamento agli enti erogatori delle 
indennit� di buonuscita, o di previdenza, o di anzianit�, di cui all'art. 6 
della legge n. 824 del 1971, del corrispettivo in valore capitale dei benefici derivanti 
dall'applicazione della citata legge n. 336 del 1970 sul tratta



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

626 

mento di pensione nonch� il maggior importo corrisposto a titolo di 
indennit� di buonuscita o di previdenza in applicazione della legge 
medesima. Nei termini nei quali sono state proposte sono pertanto non 
fondate Je questioni so11evate. (�missis) 

II 

L'obbligo di tenere la disponibilit� liquida in conti correnti vincolati 
con iil tesoro � <limitato ad assegnazioni, contributi e quanto altro 
provenienti dal bilancio dello Stato, e non tocca in alcun modo fondi 
di altra provenienza: tale � ci:! disposto del primo comma dell'art. 31, 
il quale non soffre interpretazione estensiva prospettata in qualche 
passo delle difese scritte della Regione. 

H meccanismo di cui all'art. 31, secondo comma, non comporta violazione 
dell'art. 119 Cost. (n�, meno ancora, degli altri parametri :richiamati 
nel r.icorso): da un ~ato, infatti, i tributi propri e le quote di 
tributi erariali, attribuiti alle Regioni da!l.l'ar.t. 119, secondo comma, e che 
transitano nella maggior parte per il bilancio dello Stato, sono espressamente 
,correiam � ai bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad 
adempiere le loro funzioni normali�; d'altro lato, Je ulteriori entrate 
regionali, provenienti dal bilancio deHo Stato, sono finalizzate -in 
modo pi� o meno specifico, secondo le diverse iipotesi -al f.inanri.amento 
di programmi regionali di sviluppo od all'effettuazione di particolari interventi, 
previsti da apposite disposizioni legislative statali. In entrambi 
i casi, dunque, J'art. 119 Cost., pur affermando l'autonomia finanziaria 
regionale, non impone affatto che ile somme spettanti alle Regioni e 
defluenti dal bHancio dello Stato debbano essere integralmente ed immediatamente 
accreditate alle tesorerie regionali, pur quando le Regioni 
stesse non dimostrino di doversene servire per l'esercizio deJ.le 
loro attribuzioni. Essenziale � soltanto -come la Corte ha gi� chiar.ito 
nclLa sentenza n. 155 del 1977 -che i conti correnti istituiti pxesso la 
tesoreria centrale non si trasformino � in un anomaJo strnmento di controllo 
sulla gestione finanziaria regionale �. Ma tale non � il caso dell'art. 
31 della legge n. 468 del 1978,. che non xiguarda le entrate acquisite 
direttamente dalle Regioni, e non ha di mira Ie singole misure regionali 
di spesa, Jimitandosi a regolare i ritmi di accreditamento dei fondi 
innanzi detti daJla tesoreda dello Stato alle tesorerie delle Regioni: per 
di pi� precisando che ci� deve svolgersi sulla base ed in conformit� alJe 
previste esigenze ed alle accertate disponibilit� di cassa de1le Regioni, 
quali desunte appunto dai periodici documenti, indicati nel secondo e 
terzo comma, provenienti dagli organi responsabili delle Regioni mede


sime. (omissis) 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

III 

Nessuno dei motivi, nei quali si articola iJ ricorso, con cui la Regione 
siciliana ha investito gli artt. 31, 34 e 36 legge 468/1978, merita 
accoglimento. 

aa) La violazione deg1i artt. 20 e 38 dcllo Statuto, cui fornirebbe esca 
l'assoggettamento all'art. 31 del contributo di solidari.et� nazionaJe previsto 
nella legge 27 aprile 1978, n. 182, sarebbe validamente prospettata 
sol se fosse lecito interpretare :J.'art. 3 della legge 182/1978 nel senso che il 
contributo sia da versare alla Regione dallo Stato in unica soluzione e 
all'inizio dell'anno successivo a quello cui si riferisce, ma � sufficiente 
scorrere il testo deHa disposiz.ione ( � il contributo di cui aH'art. 1 viene 
versato alla Regione nehl'anno successivo a que1lo cui si :riferisce ... �) per 
cogliere la fallacia del presupposto interpretativo, s.ia sin troppo evidente 
essendo che lo Stato adempie al debito sol che versi alla Regione 
l'importo dovuto nel corso dell'anno successivo a quello cui 1il contributo 
si riferisce. � Lo Stato verser� annualmente alla Regione � -dispone 
del resto l'ail1t. 38, primo comma, dello Statuto -� a titolo di 
so1idariet� nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano 
economico, nell'esecuzione di lavori pubblici�. Tale �adempimento non 
viene posto in forse dall'applicazione dell'art. 31, per modo che la censura 
in esame � destituita di base. 

ab) La censura di violazione degli artt. 19 e 36 dello Statuto, che 
derivere'bbe dal ricomprendere nella generi.ca previsione dehl'art. 31 
(�quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato�) lo stanziamento di 
lire 430 miliardi previsto al cap. 4534 dello stato di previsione del Tesoro 
con Ja denominazione �somme occorrenti per J.a regolazione contabile 
delle entrate erariali riscosse dalla Regione siciliana � non pu� 
ritenersi fondata in quanto iii gettito delle entrate stesse viene gi� riscosso 
direttamente dalla Regione. Infatti, la regolazione contabile attuata 
per fini puramente interni nell'ambito dello Stato -evidenzia 
che tali entrate -a differenza di quelle alla Regione fornite dallo Stato 
per iJ contributo ex art. 38 dello Statuto speciale -non ;provenendo sostanzialmente 
dal bilancio dello Stato, non sono, per loro natura, soggette 
al meccanismo di cui all'art. 31 predetto. (omissis) 

e) La circostanza, infine, che lo Statuto siciliano, a differenza degli 
Statuti speciali di altre Regioni (Sardegna, Valle d'Aosta, Trentino AftoAdige, 
FriuJ.i-Venezia Giulia), non preveda il sindacato di merito da parte 
del Parlamento naz.ionale su atti �legislativi della Regione che sarebbe 
consentito, in contrasto con i richiamati parametri, da11'art. 34, non giova 
a dire illegittimo l'impugnato testo. L'ultimo comma dell'articolo in questione 
( � Qualora il Governo riscontri fa mancata attuazione della armonizzazione 
prevista dal precedente comma pu� promuovere la questione 


628 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di merito per contrasto di interessi ai sensi del quarto comma dell'articolo 
127 deHa Cos�1lituzione �) va infatti inteso in conformit� con Ie previsioni 
f!.e1Ia Costituzione e degli Statuti. speciali, riguardanti il controllo 
preventivo delle leggi regionali: riferendolo dunque al:J.e Regioni 
OI1dinarie, nonch� a11e sole Regioni differenziate i cui Statuti. speciali 
contengano disposizioni corrispondenti a que11a stabHita dal comma 
finale dell'art. 127 Cost. 

Neppure H ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia merita accoglimento. 


a) La denuncia di viola21ione dell'art. 1 dello Statuto, da cui sarebbero 
affetti gli artt. 31 e_ 36, pecca di apriorismo perch� l'attribuzfone 
dehla personalit� giuridica implica il riconoscimento, aLI'ente che ne � 
beneficiario, della capacit� di essere soggetto di rapporti giuridici, ma 
non getta 1uce sulla concreta consistenza e sussistell2'1a dei rapporti medesimi. 


b) La riserva, alla Regione fatta dall'art. 4 n. 1 deHo Statuto, dell'ordiinamento 
degli uffioi e degli enti dipendenti da1la Regione medesima, 
non basta a imprimere fondatezza a1l'impugnazione degli articoli 
31 �e 36: sia perch� lo stesso art. 1 avverte che la potest� legislatii.va 
nel settore degli Uffici e degli a1tri Enti dipendenti e nelle altre tredici 
materie compete s� alla Regione, ma � in armonia con la Costituzione, 
con i pr.incipi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato, con 
le norme fondamentali delle r�iforme economico-sociali e con gJ:i obblighi 
internazionali deHo Stato >>, nonch� � ne1 rispetto degli interessi nazionali 
e dii quelli delle altre Regioni�; sia perch� le norme impugnate, 
pur 'incidendo sulle disponibilit� liquide della competente tesoreria regionale, 
non escludono affatto che la tesoreria medesima rimanga soggetta 
alla potest� legisfativa regionale (anche in base alfa specifica disposizione 
del.l'art. 33 della legge 19 maggio 1976, n. 335). 

Quanto poi all'art. 30, la circostanza che esso imponga ai Comuni, alle 
Province ed alle Regioni di trasmettere al Ministro del tesoro una serie 
di dati non !implica affatto gli atipici controlli di merito sulle spese 
degli enti autonomi, che sono censurati dal ricorso regionale. Detti dati 
vanno infatti utilizzati dal Ministro stesso, al solo scopo di presentare 
al ~aruamento le annuali relazioni sul fabbisogno dell'� intero settore 
pubblico�. 

Diversa sorte va riservata al :nicorso della Regione della Valle d'Aosta 
nella parte in cui si � dedotta la violazione dell'art. 50, comma terzo, 
dello Statuto della Regione e delle disposizioni della legge 6 dicembre 
1971, n. 1065 (revisione dell'ordinamento finanziario della Regione Valie 
d'Aosta~, con cui conflitta 1'1impugnato art. 31. 

Sulla base dell'art. 50, terzo comma, dello Statuto, per il quale 
�entro due anni dall'elezione del Consiglio deHa Valle, con legge dello 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Stato, in accordo con la Giunta regionale, sar� stahllito, a modifica degli 
artt. 12 e 13, un ordinamento finanziario della Regione�, sono state emanate 
dapprima la legge 29 novembre 1955, n. 1179 (ordinamento finanziario 
della V'aLle d'Aosta), H cui art. 16 disponeva che �esso rester� in 
vigore fino alla data di attuazione del regime di zona franca previsto 
dall'art. 14 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta. Le eventuali successive 
modifiche alla presente legge saranno adottate con Jegge ordinaria, 
d'accordo con la Giunta regionale�, e poi fa vigente legge 6 dicembre 
1971, n. 1065, il cui art. 18 statuisce che �Ia presente legge ha 
effetto dalla data di inizio dell'anno finanziario 1971. Da detta data 
cessa di avere .effetto l'ordinamento finanziar.io di cui a;lla legge 29 novembre 
1955, n. 1179, fermo restando ril disposto dell'art. 14 del1la legge 
stessa�. 

L'art. 5, quarto e quinto comma deHa legge 1065/1971, che, in una 
con gli ar.tt. 2 e 4 della stessa legge, � coinvolto nell'impugnazione, dispone 
che � L'intendenza di finanza di Aosta provveder� mensilmente, 
mediante ordinativi su ordini di accreditamento emessi senza limiti di 
importo, a corrispondere alla Regione Je quote dei proventi ad essa 
spettanti -1a norma dell'art. 3, primo comma, e deU'art. 4 -suUa 
base dei versamenti in conto competenza e residui effettuati nelJa coesistente 
sezione di tesoreria provinciale e dei versamenti di curi al secondo 
comma. La stessa intendenza provveder� altres� a co:rrispondere 
annualmente alla Regione, mediante ordinativi su ordini di accreditamento 
emessi senza limiti di importo, il provento di cui all'art. 3, secondo comma, 
determinato con le modalit� ivi indicate�. 

In riferimento alla disposizione, che per contestualit� di esposizione 
si � riprodotta in extenso, la Regione ha posto '1'ail.ternativa della 
coesistenza della medes.ima con l'art. 31 e, quindi, della carenza d'interesse 
della stessa Regione alla impugnazione ovvero della incompatibLlit� 
delle due disposizioni per basarvi la vfolazrione dell'art. 50, terzo 
comma, dello Statuto, provocata dall'essere l'art. 31 stato adottato in 
difetto de1l'accordo della Regione. 

La Corte non pu� non accogliere la seconda alternativa voltach�, 
mentre l'intendenza di finanza di Aosta, a sensi dell'art. 5, deve procedere 
-mensihnente o !alla scadenza dell'anno -a corrispondere alla 
Regione gli importi ad essa spettanti, diverse sono la sequenza e la cadenza 
temporale scandite dall'art. 31. 

Pertanto, va dichiarata ila fondatezza della questione di legittimit� 
-per violazione dell'art. 50, terzo comma, dello Statuto e in relazione 
all'art. 5, quarto e quinto comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1065 deH'art. 
31 della legge 5 agosto 1978, n. 468, adottata senza l'accordo con 

la Regione Valle d'Aosta. (omissis) 


630 

RASSEGNA DELL'A\'VOCATURA DELLO STATO 

Il nucleo centrale del �ricorso della Regione autonoma della Sardegna 
si sostanzia in ci� che in virt� del combinato disposto degli 
artt. 7 e 8 de1lo Statuto e degli artt. 32 e 36 delle norme d'attuazione 
del medesimo, di cui al d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, ila quota deHe 

entrate tributarie di spettanza della Regione deve essere direttamente 

I i 

versata dahl'organo ricevitore alla Regione negli stessi termini stabiliti 
per ihl versamento 'allo Stato e che tale meccanismo non pu� coesistere 
con fo procedure delineate nell'art. 31. Il contrasto deve risolversi in 

I

danno di quest'ultima norma non solo e non tanto perch� l'art. 41 del 

~ 

d.P.R. 250/1949 ammonisce che le disposizioni vigenti sulla contabilit� 
I ~ 

generale deHo Stato si estendono alla Regione sarda solo � in quanto 
applicabili�, quanto perch� gli �artt. 32 a 36 dello stesso decreto potevano 

!

essere modificati sol nel rispetto dell'art. 56 deHo Statuto, che � stato 

!

invece tenuto in non cale nella confezione della legge, di cui fa �parte 
l'art. 31. (omissis) 

I 

I 

J 
CORTE COSTITUZIONALE, 10 luglio 1981, n. 127 -Pres. Amadei -Rel. �~ 
i 
~

Ferrari-Romanini (avv. Agostini) e I.N.A.I.L. (avv. Cataldi). 

i 

~ 

1

Legge -Infortuni sul lavoro -Malattie professionali -Modifiche ad intef.


� 

>:

grazioni di tabelle allegate a decreto legislativo -Autorizzazione ad '


,.f: 

appostarle mediante atto amministrativo -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 23, 76, 77 e 38; d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, art. 3). 


Ii

B 

Il legislatore (anche quello delegato) pu� autorizzare un organo del'~
� 

.

l'esecutivo a modificare o integrare, mediante uno o pi� atti di norma' 
~ 

I I

zione secondaria, tabelle, liste o elenchi contestuali ad un atto legisla


tivo (1). 

!

(omissis) La materia delle malattie professionali � fondamentaili 


~ 

mente disciplinata dal d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che ha approvato ; 
il testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro 

I

gli dnfortuni sul lavoro e le malattie professionali. Con tale normativa 

risttlta adottato nel nostro ordinamento il sistema tabellare rigido, o 

I

tassativo, cos� denominato, perch� garantisce li1 riconoscimento automa-

I 

(1) La sentenza in rassegna esamina -con lo sguardo un po' troppo rivolto 
al caso sub judice -una questione di rilievo tutt'altro che secondario; e precisamente 
la questione se sia costituzionalmente corretta la disposizione legislativa 
(eventualmente di legislazione delegata) la quale autorizzi la modifica o integra-
I 


I 


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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 631 

tico del diiritto alla rendita solo nel caso in cui la malattia contratta 
e ila lavorazione svolta 11isu1tino comprese nelle apposite tabelle che 
sono annesse al predetto testo 'unico, mentre nei casi di malattie o 
lavorazioni non tabellate, ancorch� sostanzialmente affini a queste, i 
lavoratori non sono ammessi a provarne la natura o l'origine professionale. 
Furono queste considerazioni ad indurre taluni giiudici a dubitare, 
in rappo11to agli ar.tt. 3 e 38 della Costituzione, della legittimit� costituzionale 
del sistema tabellaxe e, qUJindi, a sottoporre la relativa questione 
al giudizio di questa Corte, chiamata peraltro a giudicare il d.P.R. 

n. 1124 del 1965, cio� la legge delegata, che appunto esprime e disciplina 
quel sistema (sentenza di questa Corte n. 206 del 1974). 
Il P.retore di Vigevano, pur muovendo dalle stesse considerazioni che 
provocarono la summenzionata sentenza, con la quale questa Corte dichiar� 
infondata la questione di legittimit� costituzione del sistema tabellare, 
ha denunziato direttamente l'i1legittimit� costituzionale del d.P.R. 

n. 482 del 1975, e precisamente le modifiche ed integrazioni da questo 
apportate aMe tabelle (allegati 4 e 5) annesse al d.P.R. n. 1124 del 1965. 
La questione, cos� come proposta, � inammissibile. 
Il d.P.R. n. 482 del 1975, trovando ila sua fonte, non gi� in una legge 

di delega2Jione, ma in una Jegge delegata, ed essendo adottato, non gi� 
dal governo, ma dal ministro della sanit�, di concerto con quello del 
lavoro, palesemente non rientra, ,sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto 
il profilo formale, tira gli atti di normazione primaria, sui quali soltanto 
questa Corte pu� esercitare i..I suo sindacato a norma dell'art. 134 della 
Costituzione. E non pu� non convenirsi esaminando l'atto anche sotto il 
profilo contenutistico, che il sistema tabellare, di cui appunto si denunzia 
l'incostitu2Jionalit�, � posto dal d.P.R. n. 1124 del 1965, al quale qui nessuna 
censura viene ID.volta, non gi� dal d.P.R. n. 482 del 1975. Questo si 
limita a modificare ed integrare le tabelle -annesse alla legge delegata, 

zione di altra disposizione legislativa (contestuale o meno) ad opera di un atto 
normativo sub-primario, quale un regolamento emanato ai sensi dell'art. 87 Cost. 

o un regolamento ministeriale. 
La risposta data dalla Corte lascia traspadre riserve e sospetti forse non 
giustificati. Si pu� parlare di � ineleganza � nei riguardi di una tecnica legislativa 
che, invece di separare nettamente l'area della normazione primaria da 
quella della normazione secondaria, dia luogo alla produzione di norme primarie 
le quali, mentre conservano � valore di legge � finch� vigenti, hanno in s� il tarlo 
di una modificabilit� o eliminabilit� per atto sub-primario ossia dell'assenza di 
� forza di legge � (su tale nozione SANDULLI, Legge (Diritto costituzionale), in N.mo 
Dig. It., IX, 633, ESPOSITO, La validit� delle leggi, rist. 1964, 24; MoouGNO, Legge in 
generale, in Enc. dir., XXIII, 890). Non pare per� che wm siffatta tecnica legislativa 
-� inelegante� quanto si vuole -possa essere circondata da generico disfavore 
o, peggio, debba essere circoscritta a �materie che postulano valutazioni di 



632 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

non solo mediante l'inserimento di nuove voci, ma anche mediante formulazioni 
pi� elastiche di pressoch� tutte le voci, le quali pertanto assumono, 
per la loro genericit� e comprensivit�, una notevole capacit� di 
espansione. 

� viceversa infondata Ja questione di legittimit� costituzionale sollevata 
dal 'f.ribunale di Bolzano, secondo il quale le tabelle deUe malattie 
professionali e delle relative lavorazioni morbigene annesse al testo 
unico n. 1124 del 1965, essendo adottate con atto avente forza di legge, 
non possono essere modificate od integrate, se non con un atto di eguale 
valore normativo. Dovrebbe pertanto, secondo il giudice a quo, essere 
dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli 1artt. 23, 
76, 77 e 38 della Costituzione, I'art. 3 del d.P.R. n. 1124 del 1965, il quale 
facoltizza, invece, modifiche ed integrazioni alle proprie tabelle mediante 
un atto di natura amministrativa, quale appunto il d.P.R. n. 482 del 1975. 

Non pu� non osservarsi in contravio che nel nostro ordinamento � 
riscontrabile una certa proclivit� del legislatore a collocare in un testo 
legislativo, per lo pi� come allegati, e perci� in aggiunta alla parte squisitamente 
normativa, anche dati della reaJt�, indiv.iduaN. in base a criteri 
illecnici. Accade sovente, in tali casi, che il legislatore, anche quello 
delegato, demandi poi all'esecutivo, o all'organo dell'esecutivo competente 
per materia, di apportare a quei dati gli aggiustamenti che l'esperienza, 
una pi� matura riflessione, il progresso tecnico, rendano consigliabili. 
Meglio che un metodo, � un espediente, questo, tutt'altro che 
inconsueto, anche se non certo irreprensibile sotto il prof.Ho concettuale, 
che non pu� tuttavia essere dichiarato di per s� [}legittimo e che, 
quindi, 12on rende a sua volta illegittimo l'atto c�n cui l'esecutivo modi� 
fica o integra quei dati. La contestualit� di tabelle, liste, elenchi e della 

carattere tecnico e perci� logicamente, oltre che tradizionalmente, di partinenza 
dell'esecutivo�. 

L'ordinamento normativo italiano � irrigidito oltre misura dalla eccessiva 
estensione dell'area coperta dalla normazione primaria; e ci� per il congiunto 
operare di una attivit� legislativa del Parlamento portata piuttosto ad avocare 
a s� ogni spazio di normazione che a riconoscere la sufficienza e spesso la preferibilit� 
di fonti subalterne, di una legislazione delegata che risente della propensione 
(talvolta furbesca) a miscelare nei testi redatti in attuazione della delega 
disposizioni emanabili in forza del generale potere regolamentare dell'esecutivo, 
di legislazioni regionali tanto prolifiche quanto poco avvertite della esigenza di 
evitare che il decentramento della funzione legislativa produca un massiccio 
passaggio al livello primario di momenti decisionali sostanzialmente amministrativi. 


In un ordinamento tanto affollato di disposizioni aventi � forza di legge�, al 

punto che il Parlamento e gli altri � legislatori ,, -oberati di lavoro -non 

riescono a smaltire la domanda di legislazione che sale dal Paese, non pare il 

caso di dare eccessivo rilievo alla validit� � estetica� di soluzioni (che � riduttivo 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 633 

autorizzazione alla loro modifica od integrazione mediante un atto di 
normazione secondaria � 1a prova che J'inserzione, in una legge o atto 
equiparato, specie se promosso dalla necessit� ed urgenza, di quelle 
tabelle, liste, elenchi � meramente occasionale e che, pertanto, non pu� 
ravvisarsi in tale metodo l'intenzione di riservare al '1egislatore materie 
che postulano valutazioni di carattere tecnico, e perci� logicamente, 
oltre che tradizionalmente, di pertinenza dell'esecutivo. 

La Corte ha avuto pi� volte occasione di pronunciarsi sul punto 
(sentenze n. 43 del 1959, n. 61 del 1963, n. 40 del 1970, n. 139 del 1976, 

n. 142 del 1979). In particolare, ha escluso (sentenza n. 32 del 1966) la 
illegittimit� costituzionale di una norma -J'art. 17 del r.d.l. 8 settem� 
bre 1932, n. 1390 -che rimetteva al potere esecutivo 1l'approvazione 
delle modificazioni del piano regolatore di massima contestualmente 
approvato con lo stesso atto legisJativo, implicitamente ritenendo com� 
patibile col sistema -in quanto non sintomatico n� di un trasferimento 
di competenza dagli organi del potere 1egis1ativo a quelli del potere 
amministrativo, n� di un'attribuzione a questi ultimi del temporaneo 
eserciZJio del potere legislativo -la circostanza che, per particolari 
ragioni, si fosse fatto ricorso all'atto legislativo in materia li.stituzionalmente 
affidata alla cura di organi amministrativi, dei quali si confermava 
Ia potest�, prevedendone l'esercizio �come mezzo (e come mezzo 
pi� adatto) per adeguare il piano di mas�sima alle esigenze pratiche della 
sua esecuzione e del suo sviluppo �. 
Contrariamente perci� a quanto ritiene il Tribunale di Bolzano, 
l'�art. 3 del d.P.R. n. 1124 del 1965 sfugge alla denunziata censura di 
illegittimit� costituzionale e conseguentemente la relativa questione .risuJ.ta 
non fondata. Appare, invece, improprio ed alquanto contraddittorio 

i:l richiamo agJ.i artt. 76 e 77 della Costituzione nello stesso momento 
in cui si afferma che il d.P.R. n. 482 del 1975 � atto ammi111istrativo, cui 
pertanto non si addice il richiamo ai menzionati articoli. Il vero � che 
nell'art. 3 del d.P.R. n. 1124 del 1965 non si configura alcuna subdelega 
da parte del Jegislatore delegato .... (omissis) 
chiamare �espedienti�) le quali valgano ad assicurare una maggiore elasticit� 
ed adeguatezza al sistema. 

Del resto, nell'ambito del diritto civile la presenza di numerosissime norme 
dispositive accanto a quelle cogenti assicura la coesistenza dell'autonomia privata 
con la supremazia della legge; ed i rapporti tra norme comunitarie (formalmente 
di 1ivello regolamentare) e leggi nazionali anteriori con esse incompati� 
bili possono -essi pure -venir configurati, negli Stati la cui Costituzione non 
� stata adattata alla� realt� delle istituzioni europee, come costruiti su una ampia 
autorizzazione a delegificare data dalle leggi di ratifica dei trattati. 



634 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
CORTE COSTITUZIONALE, 15 ottobre 1981, n. 175 (ordinanza) -Pres. Elia -
Rel. La Pergola -Comitato promotore referendum abrogativo legge 
reg. Sardegna 28 aprile 1978, n. 32 (avv. Mellini e Panunzio), Federazione 
della caccia (avv. D'Onofrio) e Regione Sardegna (avv. Guarino). 
Ordinamento giudizilario -Referendum regionale -Esame della legittimit� 
della richiesta � Attribuzione con legge regionale alla Corte di 
appello di Cagliari -Questione non manifestamente infondata. 
(Cost., art. 108; I. reg. Sardegna 17 maggio 1957, n. 20, art. 6). 
Non � manifestamente infondata, in relazione all'art. 108 Cast., la questione 
di costituzionalit� della disposizione di legge regionale che conferisce 
ad un organo giudiziario il compito di accertare la legittimit� delle 
richieste di referendum regionale (1). 
(omissis) Ritenuto che con l'ordinanza in epigrafe la sezione civile 
feriale della Corte d'appello di Cagliari, costituita 1n ufficio per il referendum 
popolare ai sensi della legge reg. sarda 17 maggio 1957, n. 20, nel 
procedimento concernente la richiesta di referendum per l'abrogazione di 
pi� articoli della legge reg. 28 aprile 1978, n. 32, ha sollevato in riferimento 
all'art. 32 dello statuto sardo, questione di legittimit� costituzionale dell'art. 
1, lett. a), della citata legge n. 20 del 1957: si assume infatti da detto 
ufficio per il r-eferendum che la norma censurata abbia introdotto l'istituto 
del referendum abrogativo in violazione dell'invocata disposizione 
statutaria, la quale consentirebbe soltanto il referendum del tipo sospensivo 
o preventivo. (omissis) 
Considerato che la sezione della corte d'appello -ufficio per il referendum 
popolare -solleva irl suddetto incidente di costituzionalit�, in 
quanto. essa � chiamata ex art. 6 legge n. 20 del 1957 ad accertare la legittimit� 
delle richieste di abrogazione popolare, prima di provveder-e alla 
verifica del numero complessivo dei richiedenti, e agli ulteriori co~piti 
che ad essa spettano nel corso della procedura prevista dal titolo I della 
legge ( � referendum di cui all'art. 32 dello statuto �); che pu� prospettarsi 
il dubbio se, nel configurare una sezione della corte d'appello come ufficio 
per il referendum popolare, con le relative attribuzioni in ordine alla 
(1) La Corte costituzionale sembra propensa ad aderire alla tesi -sostenuta 
dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione (decisioni 
25 maggio 1978, in Foro it., 1978, I, 1602, e 15 dicembre 1980, in Giur. cast. 
1980, 1668; contra, per�, FRANCO, Raccolta e autentica di firme per la richiesta di 
referendum, in Giur. cast. 1981, I, 572) -del carattere giurisdizionale degli organi 
competenti a verificare la ritualit� ed ammissibilit� delle richieste di referendum. 
Nel senso che le regioni non sono competenti a legiferare in tema di ord�� 
namento giudiziario, cfr. le sentenze n. 4 del 1956, n. 12 del 1957, n. 115 del 1972, 
n. 103 e n. 114 del 1975, n. 81 del 1976 e n. 72 del 1977 della Corte costituzionale. 
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PARIB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 635 

procedura referendaria, la legge regionale interferisca dndebitamente nell'ambito 
riservato alfa legge dello Stato daJ precetto costituzionale, che, 
governa la produzione delle norme sull'ordinamento giudizJiario e su ogni 
magistratura (art. 108 Cost.); che la corte ritiene pertanto di dover sollevare 
incidentalmente, in riferimento all'anzidetto parnmetro, questione 
di legittimit� costituzionale dell'art. 6 legge n. 20 del 1957; che tale questione 
non manifestamente infondata, � altres� r~levante, giacch� essa 
investe la norma istitutiva de1le attribuzioni, neH'esercizJio delle quali la 
sezione corte d'appello-ufficio per il referendum popolare promuove il 
presente giudizio. 

P.Q.M. 
Dispone la trattazione innanzi a s� della questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 6 legge reg. sarda n. 20 del 1957, nella parte in cui 
conferisce aJla corte d'appello-ufficio per il referendum popolare le attribuzioni 
che concernono le richieste di referendum abrogativo, in ri.feri-1 
mento all'art. 108 Cost. (omissis) 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 ottobre 1981, n. 176 -Pres. Gionfrida -Rel. 
La Pergola -s.p.a. Comavicola (avv. Catalano) e P.residente Consiglio 
dei Ministri (avv. Stato Zagari). 

Comunit� europea � Organizzaziom comuni di mercato per i settori deHe 

uova e del pollame � Diritto di visita sanitaria � Legge nazionale di 

adeguamento al diritto comunitario � Criterio di inter:pretazione 


Sopravvenienza di norme� comunitarie confliggenti con la disposizio


ne � sub judice � � Inammissibilit� delle questioni prospettate. 

(Cost., art. 11; legge 23 gennaio 1968, n. 30; legge 30 dicembre 1970, n. 1239). 

Fra le possibili interpretazioni di una disposizione di adeguamento. 
della legislazione nazionale al diritto comunitario, si deve preferire quella 
conforme al principio -riconosciuto dal nostro stesso ordinamento second� 
cui deve essere garantita l'osservanza dei trattati 1:stitutivi delle 
comunit� economiche europee e delle norme (regolamenti CEE, decisioni 
CECA ecc.) da essi derivate; la Corte costituzionale � competente ad indicare 
detta interpretazione. L'art. 1 della legge 14 novembre 1977, n. 839 

(1-3) La rimozione delle disposizioni legislative nazionali incompatibili con 
norme comunitarie ad esse anteriorf,. 
Le sentenze in rassegna contengono una prima risposta della nostra Corte 
costituzionale alle affermazioni contenute nella sentenza 9 marzo 1978, in causa 

n. 106/77, della Corte di giustizia delle Comunit� europee (in questa Rassegna, 
1978, I, 179, ove indicazione delle sentenze -com'� noto, di avviso non proprio 

636 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ha abrogato la legge 30 dicembre 1970, n. 1239, per quanto concerne i prodotti 
soggetti ad organizzazione comune dei mercati agricoli, e con effetto 
retroattivo; peraltro, la predetta legge del 1970 deve ritenersi caducata 
anche per quanto incompatibile con i regolamenti CEE 29 ottobre 1975 

n. 2771 e n. 2777. (1). 
II 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 ottobre 1981 n. 177 -Pres. Gionfrida -Rel. 
La Pergola -Burgassi e s.p.a. Galbani (avv. Catalano) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Zagari). 

Corte costituzionale � Questioni di costituzionalit� concernenti incompatibilit� 
di leggi nazionali rispetto a norme comunitarie -� ammissibile 
solo se la legge nazionale � posteriore. 

Comunit� europee � Organizzazioni comuni di mercato per i settori delle 

carni e dei prodotti della pesca -Diritto di visita sanitaria -Impor


tazione da paesi terzi � Opera anche per esse il divieto delle tasse 

di effetto equivalente. 

(Cost., art. 11; legge 23 gennaio 1968, n. 30; legge 30 dicembre 1970, n. 1239). 

Presupposto indefettibile per l'ammissibilit� delle questioni di legittimit� 
costituzionale di disposizioni di legge nazionale per asserita incompatibilit� 
con regolamenti comunitari � che dette disposizioni siano posterori 
ai regolamenti con i quali confliggono e non siano state caducate da 
altri regolamenti ad esse sopravvenuti (2). 

Il divieto delle tasse di effetto equivalente opera parimenti per gli 
scambi infracomunitari e per le importazioni da paesi terzi (3). 

I 

La controversia, dalla quale trae ongme il presente giudizio, verte 
innanzi .al Tribunale di Milano sul rimborso delle somme che la societ� 
Comavicola assume iHegittimamente percette dall'amministrazione doganale. 
Com'� esposto in narrativa, si tratta di importazioni (di uova e pol



concorde a quello della Corte comtll1iitaria -rese in precedenza dalle nostre 
Corti costituzionali e di cassazione), alla quale sono seguiti numerosi scritti di 
commento (BARILE, Un impatto tra il diritto comunitario e la costituzione italiana, 
Giur. costituz., 1978, 641; BERRI, Brevi riflessioni sulla �lezione� della Corte 
comunitaria, Giur. it. 1978, I, l, 1153; Bosco G., Rapporti fra diritto comunitario e 
diritto nazionale, Cons. Stato, 1978, II, 519; CAPELLI F., Conflitto fra Corte di 
giustizia di Lussemburgo e Corte costituzionale italiana, Dir. comun. scambi 
internaz., 1978, 289; CARBONE S.M. e SORRENTINO F., Corte di giustizia o Corte 
federale delle Comunit� europee, Giur. costituz., 1978, 654; CATALANO, I mezzi 
per assicurare la prevalenza dell'ordinamento comunitario sull'ordinamento interno, 
Giust. civ., 1978, I, 816; CoNOORELLI L., Il caso Simmenthal e il primato 
del diritto comunitario: due Corti a confronto, Giur. costituz., 1978, 669; FRAN



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 637 

lame), alle quali � stato applicato il diritto di visita sanitaria, qual'� 
previsto nella legislazione interna (r.d. 27 luglio 1931, n. 1265,. successivamente 
modificato dal d.l.C.p.S. 27 settembre 1947, n. 1099, e legge 23 
gen:nado 1968, n. 30, ed infine dalla legge 30 dicembre 1970, n. 1239). Le 
merci importate -precisa il giudice a quo -cadono d'altro fato sotto 
la disciplina dettata dagli organi della Comunit� economica europea prima 
.c;on i regolamenti n. 21/62 e 22/62 (del 4 aprile 1962), poi con i regolamenti 

n. 122/67 e 123/67 (del 13 giugno 1967), relativi all'organizzazione comune 
dei mercati, rispettivamente nei settori delle uova e del pollame. La normazione 
test� citata stabilisce, tra l'altro (art. 13 del regolamento n. 122/67; 
art. 13 del regolamento 123/67) che negli scambi intercomunitari � vietata 
la riscossione di qualsiasi dazio doganale, o tassa. di effetto equivalente. 
Nell'ordinanza di rinvio si osserva, altres�, che secondo la ormai ferma 
giurisprudenza della Corte comunitaria del Lussemburgo, il diritto di 
visita rientra nell'ambito del divieto cos� configurato. Il conflitto che qui 
sussiste tra Ja norma interna e la prescrizione comunitaria andrebbe risolto, 
si dice, secondo i criteri gi� enunciati in precedenti pronunzie dri. 
questa Corte: e cio�, dirsapplicando la norma interna, se incompatibile con 
il regolamento comunitario che la segue nel tempo, e ne determina l'implicita 
caducazione; sollevando invece la questione di costituzionalit�, 
dove la norma interna sia posta in violazione di un anteriore regolamento 
comunitario, perch� �a1lora essa sarebbe, in riferimento �all'art. 11 Cost., 
affetta da un vizio di illegittimit�, del quale conosce esclusivamente il 
CHINI A., Il diritto comuntario tra Corte di giustizia e Corte costituzion�le, 
Giust. civ., 11978, IV, 116; MIGLIAZZA, Il giudizio di legittimit� costituzionale e 
la Corte di giustizia delle Comunit� europee, Riv. proc., 1978, 328; MoNACo, 
Sulla recente giurisprudenza costituzionale e comunitaria in tema di �rapporti 
fra diritto comunitario e diritto interno, Riv. europ., 1978, 287; MoscoNI, Contrasto 
tra norma comunitaria e norma interna posteriore: possibili sv�luppi 
dopo la sentenza 106/77 della Corte di giustizia, Riv. internaz. priv. proc./ 
1978, 515; PAoNE, Primato del diritto comunitario e disapplicazione del diritto 
degli Stati membri, Riv. internaz., 1978, 429; cfr. anche l'opera collettiva di 
BARILE, BERRI CAPURSO, CoNDORELLI, GEMMA, LAMBERTI ZANARDI e TREVES, MALTESE, 
MIGLIAZZA, MONACO, MOSCONI, POCAR, SPERDUTI, TOSATO, T�LCHINI e UDINA, Il primato 
del diritto comunitario ei giudici italiani, a cura del Centro di difesa e 
prevenzione sociale, edito da F. Angeli nel 1979). 

Com'� noto, la Corte del Lussemburgo, reputandosi autorizzata a sindacare 
la disciplma costituzionale della funzione giurisdizionale all'interno del nostro 
Paese (in particolare per quanto attiene al rapporto tra la legge e il giudice, 
ai limiti della giurisdizione ordinaria e ammnistrativa, e all'ordine delle competenze 
dei singoli giudici), ha nella sentenza 9 marzo 1978 ritenuto che la previsione 
di una �pregiudiziale costituzion�le necessaria� per la rimozione delle 
disposizioni legislative nazionali incompatibili con norme comunitarie ad esse 
anteriori determinerebbe una �riduzione della concreta efficacia del diritto comunitario
� e quindi contrasterebbe con i trattati istitutivi delle Comunit�. Ci� ha 
ritenuto non senza incorrere in una qualche contraddizione: affermando che 



638 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

giudice costituzionale. NeHa specie, le norme implicitamente caducate, e 
da disapplicare, sarebbero quelle che contemplavano il diritto di visita 
prima dell'entrata dn vigore dei regolamenti comunitari del 1967; sarebbero 
d'altrn canto costituzionalmente illegittime le altre, che hanno contemplato 
la riscossione di tale diritto nel 1968 e nel 1970, e cos� disatteso 
le previgenti norme comunitarie. Diverso, e dncompatibile, sarebbe 
d'altra parte H criterio sancito dalla Corte del Lussemburgo con la pronunzia 
resa, in causa 106/77, ex art. 177 del Trattato, sull'interpretazione 
dell'art. 189 del Trattato medesimo. In detta decisione, avverte il giudice 
a quo, si � invero affermata la necessaria disapplicazione delle norme 
interne confliggenti con quelle comunitarie, non importa se runteriori o 
successive. Di fronte all'alternativa di seguitre l'una soluzione giurisdizionale, 
anzich,� l'altra, il Tribunale di Milano ritiene di promuovere il giudizio 
di questa Corte: e a questo fine solleva una prima questione, al cui eventuale 
accoglimento � subordinato J'incidente di costituzionalit� che concerne 
la norma regolatrice della specie, com'� qui di seguito precisato. 

La prima questione � sostanzialmente dedotta in base al seguente ordine 
di rilievi: 

a) La giurisprudenza costituzionale italiana sarebbe venuta adeguandosi 
alla coscienza europeistica, che s.i � intanto diffusa nel paese, fino a 
riconoscere, non soltanto l'applicabilit� immediata, ma la prevalenza delle 
norme comunitarie nei confronti delle confliggenti statuizioni del legislatore 
statale: sempre sull'assunto, tuttavia, che questo risultato si con


�qualsiasi giudice nazionale, adito nell'ambito della sua competenza, ha l'obbligo 
di applicare integralmente il diritto comunitario�, la Corte comunitaria ha 
riconosciuto (e non poteva non riconoscere) spettare a ciascuno Stato membro 
il potere di stabilire l'ambito -e territoriale e per materia e funzionale -della 
competenza dei �propri giudici (che sono pur sempre giudici nazionali e non 
organi decentrati delle Comunit�). 

� gi� stato osservato (CoNDORELLI, op. cit., 670) che �non spetta certo alla 
Corte delle Comunit� di decisione quando l'atto legislativo nazionale si forma 
validamente o no,� ed in quest'ultimo caso come tale invalidit� debba essere fatta 
valere; n� tanto meno le spetta stabilire quali siano i poteri del giudice interno 
di fronte ad una legge nazionale viziata; n� -meno che mai -le compete il diritto 
di smantellare il sistema della giurisdizione costituzionale accentrata, previsto 
dalla Costituzicne di uno Stato membro, per sostituirvi quello della giurisdizione 
costituzionale diffusa, in riferimento alla supposta esigenza di assicurare 
un migliore e pi� uniforme rispetto del diritto comunitario. Invece la 
Corte si arroga proprio tutti questi inediti poteri e pretende di fare le lezioni alla 
Corte costituzionale, attribuendosi il diritto di rfformare la Costituzione italiana, 
cos� come essa viene letta dal suo giudice naturale. Richiamare il giudice comunitario 
a fare il suo mestiere significa ricordargli che esso ha invece il potere 
di interpretare tanto i trattati comunitari quanto gli atti derivati (dei quali � 
.inoltre competente a valutare la validit�); ha poi il potere di stabilire quando 
uno Stato membro viola gli obblighi comunitari, ma ci� solo nel rispetto delle 
procedure adeguate, che sono quelle sancite negli artt. 169 e 170 CEE, e cio� 
dietro ricorso della Commissione o di altro Stato membro. La Corte andrebbe 

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639

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

segue in conformit� dei rimedi offerti da11a giustiizia ordinaria o dal sindacato 
di costituzionalit�, secondo i casi. DaJ canto Joro, i giudici del 
Lussemburgo avrebbero inteso prescindere da simili ripartizioni delle 
competenze all'interno de11'ordinamento statale: perci� la suddetta pronunzia 
interpretativa affermerebbe che il giudice statale disapplica sempre 
e comunque le norme incompatibfili col diritto comunritario, senza 
dover attendere o chiedere che esse siano rimosse con legge di abrogazione, 
o con altro procedimento all'uopo prescritto daJila Costituzione statale 
(qual �, nell'ordinamento italiano, quello che si conclude con la dichiarazione 
di i!llegittimit� costituzionale). Per questa via, si soggiunge, 
viene peraltro a delinearsi una nuova figura di invalidit�, eccettuata dalla 
cognizione della Corte, in quanto esso implica non l'annullabilit�, ma ila 
radicaJe nullit� dell'atto leg~slativo interno, rJJevabiile da qualsiasi organo 
giudicante. 

b) La Corte costituzionale e i giudici della Corte comunitaria giungerebbero 
a11e divergenti conclusioni sopra richiamate anche in conseguenza 
delle �rispettive sistemazioni teoriche dei rapporti tra ordinamento 
comunitario e ordinamento interno. Questa Corte, si dice, assume l'uno e 
l'aJtro ordinamento come distinti, ancorch� coordinati secondo il Trattato; 
l'aJtra li configura invece come reciprocamente integrati, e cos� afferma 
che ~e norme comunitarie, scaturendo dalla sola fonte che pu� 
produrle ed estinguerle, sono intangibili dahle norme interne, rispetto alle 
quali esse acquistano rango superiore. 

poi invitata a leggere l'art. 171 CEE, a tenore del quale � quando la Corte di giusti2lia 
riconosca che uno Stato membro ha mancato a uno degli obblighi ad esso 
incombenti in virt� del presente Trattato ... �, essa non pu� sostituirsi allo Stato 
inadempiente e riformare il suo ordinamento interno: lo stesso articolo prevede 
testualmente che, in una ipotesi del genere, lo Stato (e lui solo) � �..� tenuto a 
prenaere i provvedimenti che la esecuzione della sentenza della Corte di giustizia 
importa �. Tanto basta per concludere che la Corte � incorsa in un clamoroso 
eccesso di potere comunitario. 

Queste considerazioni possono essere condivise. Ma forse non centrano il 
maggior difetto della sentenza della Corte di giustizia comunitaria: quello di essere 
rimasta sul terreno processuale, di aver avuto � troppo� presente lo strumento 
offertole dall'art. 177 del trattato CEE, e di non aver approfondito adeguatamente 
il discorso sostanziale del rapporto tra norme comunitarie e norme 
nazionali, forse nel convincimento di aver esaurito tale discorso mediante la 
formula -la cui portata � ben lungi dall'essere stata esaurientemente analizzata 
-della supremazia o primato o primaut� del diritto comunitario .Ne � 
venuta fuori una pronuncia � troppo � semplice, se non altro perch� non tiene 
conto dei limiti di effettivit� (prima che di competenza) dell'ordinamento comunitario. 


Nelle sentenze che si commentano, la Corte costituzionale ha, potrebbe 
dirsi con terminologia militare, � rifiutato il contratto�, prudentemente ed 
opportunamente riservandosi di dare una risposta in futuro, quando gli equilibri 
politici tra ordinamento nazionale ed ordinamento comunitario avranno 
trovato un meno instabile e provvisorio assetto. E' un fatto che, al presente, 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

640 

e) Dopo di che, sii prospetta l'ulteriore problema cli stabilire se fa 
sentenza resa ex art. 177 dalla Corte del Lussemburgo vincoli in ogni caso 
gli organi statuali, ivi inclusa Ia .Corte; ovvero se -competendo a detti 
organi cli sindacare la pertinenza della pronunzia alla materia comunitaria 
-si debba nella specie concludere che la statuizione concernente iJ 
disposto dell'art. 189 travalica la sfera riservata ai giudici del Lussemburgo 
ex art. 177, per occuparsi del modo come fa pre\Calenza del diritto 
comunitario va autonomamente regolata e garantita, nel proprio ambito, 
dall'ordinamento statuale. 

Il Tribunale di Milano dtiene, per parte sua, che l'efficacia vincolante 
della sentenza comunitaria non possa essere revocata in dubbio, anche se 
pronunciata, come neHa specie, in un procedimento promosso, ex art. 177, 
da altro giudice nazionale. I due ordinamenti -si osserva al :riguardo, 
accogliendo il punto d1 vista dei giudici comunitari -sono integrati, di 
guisa che nel sistema da essi composto non pu�, propriamente, nemmeno 
darsi alcun conflitto fra norme comunitarie e norme interne. Sorgerebbe, 
se mai, il solo problema della loro compatibilit�, che in definitiva � risolto, 
nella via prevista dall'art. 117, ad opera della Corte del Lussemburgo. 
L'inerenza alla materia comunitaria delle questioni so1levate in quella 
sede non potrebbe essere allora accertata da altro giudice, che la Corte 
an2'Jidetta, istituzionalmente investita dell'interpretazione del Trattato. 

pur essendo trascorsi ventiquattro anni dal trattato di Roma, la costruzione 
europea (e con essa la sostanza dei rapporti anche di forza tra istituzioni 
comunitarie e Stati membri e tra questi ultimi) � ancora in fieri, costretta dai 
limiti vistosi delle aree � messe in comune �, (ad esempio, si vuole � libero� 
il commercio infracomunitario delle merci prodotte, ma non sono � messi in 
comune � gli oneri per fronteggiare la disoccupazione dei lavoratori espulsi 
dalla produzione e i mezzi necessari ad assicurare l'equilibrio dei conti -che 
rimangono di ciascuno Stato -con l'estero) e collegata con le fonti sostanziali 
delle � sovranit� � solo in via derivata, per il tramite delle ben pi� corpose 
realt� statali, effettive detentrici della forza politica, militare e finanziaria, 
ed investite di immediate e generali responsabilit� nei confronti delle popolazioni. 
In tale oggettiva situazione, appare non pienamente legittimato -sul 
piano della legittimazione politica sostanziale -il pur generoso tentativo di 
forzare a colpi di sentenze il cammino verso traguardi unitari. 

A ben vedere, la cautela tenuta dalla Corte costituzionale risulta aderente 
alle effettive attuali scelte costituzionali del nostro Paese, il silenzio finora 
serbato dal legislatore costituente in ordine alla costruzione europea dovendo 
essere interpretato come valutazione politica di non ancora raggiunta maturit� 
e completezza di detta costruzione, e non potendo essere riguardato semplicisticamente 
come manifestazione di accidia o trascuratezza. 

Le sentenze in rassegna hanno dichiarato l'inammissibilit� delle . questioni 
sollevate dai giudici a quibus, dopo aver affermato -con interpretazione della 
legislazione ordinaria (e quindi con operazione non riservata alla specifica 
esclusiva giurisdizione della Corte costituzionale) -che le disposizioni nazionali 
sospettate di incompatibilit� con norme comunitarie erano gi� state � rimosse 
� in forza di eventi ad esse sopravvenuti che ne avevano determinato 



641

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

d) Dato il vincolo scaturente dalla pronuncia comunitaria, prosegue 
il giudice a quo, si soMeva in questa sede il dubbio, se il disposto che 
essa ravvisa nell'art. 189 del Trattato, urti, in quanto efficace nell'ordinamento 
interno, contro il principio delJa soggezione del giudice alla legge 
(art. 101 Cost.), finch� questa non sia dichiarata illegittima daMa Corte, 
nei modi prescritti per l'esercizio del sindacato di costituzionalit� (artt. 134 
e 136 Cost.). Nell'ordin�nza di l'invio � cos� denunciata, in riferimento ai 
test� citati parametri costituzionali, l'illegittimit� costituzionale della legge 
14 ottobre 1957, n. 1203, nella parte, appunto, in cui rende esecutivo in 
Italia l'art. 189 del Trattato, come interpretato con la sentenza n. 106/77 
della Corte di giustizia. Nel porre la questione, si fa peraltro riferimento 
alla sentenza n. 183/73. In detta pronuncia, ricorda il giudice a quo, 
questa Corte si � riservata di sindacare la perdurante compatibilit� del 
Trattato con la Costituzione, pur escludendo che i singoli regolamenti 
comunitari -atti diversi dalJe leggi statali -siano innanzi ad essa impugnabili. 
La riserva cos� avanzata opererebbe quando la Corte fosse 
chiamata ad accertare se .l'esercizio dei poteri affidati agli organi della 
Comunit�, deviando dalle finalit� stabilite nel Trnttato, 1.�:inisca per vuJnerrure 
i principi fondamentali del nostro ordinamento o i diritti inalienabili 
della persona umana. In una &i.mile evenienza, la compressione 
della sovranit� statuale, che � altrimenti consentita dall'art. 11 Cos.t., viene 
preclusa, si osserva, in virt� di una � controlimitazione �, posta a salvaguardia 
dell'ordine istituzionale interno. I precetti costituzionali di cui si 

�la estinzione o la caducazione �; ci� sulla base della premessa che � indefettibile 
presupposto per la rilevanz� ,, di una questione di costituzionalit� � la 
non avvenuta anteriore rimozione della disposizione sottoposta all'esame della 
Corte costituzionale. Implicito, ma non ribadito, � rimasto il principio secondo 
cui la incostituzionalit� di leggi nazionali posteriori a norme comunitarie, per 
incompatibilit� con queste, pu� essere nel nostro ordinamento dichiarata unicamente 
dalla Corte costituzionale e non, in modo diffuso, dai giudici ordinari 
o amministrativi aditi dagli interessati. 

Peraltro, il linguaggio usato in queste sentenze -pur di inammissibilit� lascia 
chiaramente trasparire che la Corte costituzionale reputa necessaria una 
approfondita rimeditazione, sul terreno sostanziale pi� che su quello processuale, 
dei rapporti tra norme comunitarie e norme nazionali: si parla infatti 
di � rimozione ,, e � caducazione ,, delle norme, anzich� di � abrogazione "� cos� 
indicandosi la strada di un superamento degli strumenti concettuali sinora 
utilizzati e di un pluralismo delle vicende che -per conseguenza della sovrapposlZlone 
di norme nuove ad altre preesistenti -producono l'effetto di disattivazione 
(o, se si preferisce, di inefficacia per l'avvenire) delle norme preesistenti. 


Ed in effetti, per venire a capo della complessa problematica sollevata (rectius, 
evidenziata, ch� era gi� nell'aria da alcuni anni) dalla citata sentenza 
9 marzo 1978, appare necessario porre preliminarmente due punti fermi, e cio�: 

1) la soluzione deve essere trovata a Roma e non al Lussemburgo, posto 
che le sentenze comunitarie non sono in grado (e, per di pi�, non sono legittimate) 
ad operare modifiche agli assetti costituzionali italiani, se manca una 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

642 

prospetta la lesione andrebbero dunque fat~i assurgere al piooo in cui 
risiedono i fondamentali ed irrinunziabili valori costituzionali, perch� la 
questione si criveli fondata. Diversamente, andrebbe accolta Ja tesi sancita 
nella pronunzia comunitaria, e dovrebbe ritenersi che nelJ'ordinamento 
interno si � �reso operante ex art. 11 Cast., iJ criterio della disapplicabilit� 
immediata delle norme contrarie a1 diritto comunitario, qual � dvi configurato. 
Pur adottando tale ultima soluzione, la' Corte potrebbe, del resto, 
enucleare dal contenuto della costituzione materiale altri inderogabili 
valori, �e garantirne l'osservanza con l'estendere il suo controllo 1ai regolamenti 
comunitari: i quali, si soggiunge, risulterebbero in questa prospettiva 
integrati nel sistema degli atti normativi interni, e cos� assoggettabili 
al sindacato di costituzionalit�. 

La 1seconda questione � poi prospettata sull'assunto che la Corte ritenga 
la fondatezza della prima, affermando il proprio potere di sindacare 
le norme interne che contraddicono al pcrevigente diritto comunitario. 
Precisamente, sono censurate, per asserito contrasto con .l'art. 11 Cost., 
le norme istitutive del diritto di visita, che si denunziano come [esiive 
degli artt. 9, 12, 13 e 95 del Trattato, e dei regolamenti comunitari n. 122 
e n. 123 del 1967. 

Una riflessione s'impone subito con riguardo al nesso d[ dipendenza 
logica, com'� posto neH'o11dinanza di rinvio, della seconda questione dalla 
prima: la quale ultima investe, nei termini sopra .precisati, la compatibiHt� 
fra J~art. 189 del Trattato e la soggezione al sindacato di costitu


attiva rispondenza degli organi legislativi, amministrativi e giurisdizionali del 
nostro Paese; 

2) la soluzione deve essere trovata sul terreno sostanziale dianzi indicato, 
e non pu� essere ricercata sul terreno dei limiti delle diverse giurisdizioni costituzionale, 
ordinaria (in senso lato), europea -e dei rapporti tra loro; 
non poco distorsivo � infatti un approccio del tipo � come risolvere il conflitt� 
tra Corte del Lussemburgo e Corte costituzionale�, mentre -d'altro canto poco 
corretto � far leva sui giudici ordinari (sempre nel senso pi� lato) e 
vellicarne l'eventuale protagonismo per tentare di scardinare � dal basso� un 
assetto costituzionale. 

l'osti questi due punti fermi, si deve anzitutto, ritenere intangibile il canone 
-fondamentale nella Costituzione italiana (come del resto nelle Costituzioni 
degli altri Stati membri) della subalternit� del giudice alla legge (art. 
101 Cost.), canone ribadito nella sentenza Corte cost., n. 232 del 1975 proprio 
in relazione alla impossibilit� per il giudice ordinario di � d,isapplicare � sic 
et simpliciter le leggi nazionali, sia pur in nome di una asserita prevalenza 
del diritto comunitario. Rimangono quindi obbligate altre strade, delle quali 
alcune indicazioni vengono dalla stessa Corte costituzionale. 

Una prima indicazione � contenuta, appunto, nella sentenza n. 176 che qui 

S:I commenta, la quale ha introdotto (rectius, ha valorizzato) una sorta di 
articolo 12 bis delle preleggi affermando (in coerenza con quanto in altra 
occasione ritenuto anche dalla Corte di cassazione) che � fra le possibili interpretazioni
� di una disposizione legislativa deve essere preferita quella che assi} 
I'. 
1: 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 643 

zionalit� delle leggi interne, che divergono da anteriori statuizioni comunitarie. 
Ora, il problema cos� prospettato rileva per .l'esame della seconda 
questione -e questa acquista, a sua volta, rilevanza per la definizione 
del giudizio a quo, che concerne le norme istitutive del diritto di visita evidentemente 
ad una condizione: le norme censurate devono essere assoggettabili 
al controllo della Corte; occorre perci� che esse non risultino 
rimosse in forza di alcun titolo, che ne determini l'estinzione e la caducazione 
nel caso di specie. Per le considerazioni che seguono, tale rilevanza, 

invece, difetta: con il risultato che l'una o l'altra delle proposte questioni 

vanno dichiarate inammissibili. 

Nella questione che si solleva in v<ia subordinata vengono -� stato 
premesso -denunciate due leggi nazionali, come successive ed incompatibili 
r1spetto ai regolamenti comunitari del 1967: Ja legge n. 30 del 
1968 e la legge n. 1239 del 1970, con le annesse previsioni tabellari (i prodotti 
cui afferiscono le importazioni nel giudizi� a quo figurando ,rispettivamente 
indicati ai nn. 8, 16 e 17 della tabeHa del 1968 e alle lettere B. 
I e H in quella del 1970). Ora, la prima delle dette leggi � abrogata e 
sostituita dalla seconda. Diversamente, dunque, da quel che si assume 
nel provvedimento di remissione, sarebbe, semmai, la sola legge del 1970 
a dettare il regolamento della specie. Ma, in proposito, occorre anzitutto 
osservare che il diritto di visita sanitaria � stato soppresso con legge 
14 novembre 1977, n. 839 (�importazione ed esportazione di bestiame, 
carni, prodotti ed avanzi di carni animali, e per i paesi della Comunit� 
Economdca Europea. Soppressione dei diritti di visita sanitaria�). 

cura la compatibilit� dell'ordinamento nazionale a quello comunitario. Trattasi 

di un primo importante passo che la Corte ha fatto recependo l'avviso di 

chi (CONDORELLI, op. cit., 672) aveva in precedenza osservato: � In effetti, quando 

il Parlamento italiano ha fin qui dettato norme contrastanti col diritto comu


nitario, lo ha sempre fatto inavvertitamente, e cio� senza averne minimamente 

mtenzione. Tanto basta per constatare come si tratti del terreno ideale in cui 

il giudice, senza stare a scomodare la Costituzione, potrebbe operare per 

risolvere i conflitti impiegando il collaudatissimo criterio della presunzione di 

conformit�, teorizzato in maniera insuperata da Dionisio Anzilotti e da Donato 

Donati, nonch� utilizzato abbastanza di frequente dalla giurisprudenza :negli 

mtimi decenni. � il criterio secondo cui, tra varie interpretazioni possibili di 

mia norma nazionale, il giudice deve preferire quella conforme agli impegni 

mternazionali dello Stato a tutte le altre, in base alla presunzione che il legi


slatore non abbia voluto far incorrere lo Stato nella responsabilit� interna


zionale �. In senso sostanzialmente conforme CONFORTI, Regolamenti comunitari 

leggi nazionali e Corte costituzionale, Foro it., 1976, I, 542, e BARILE, op. cit., 645. 

Va aggiunto che -in entrambe le sentenze n. 175 e n. 176 -la Corte 

costituzionale ha ricordato la necessit� di tener co~to anche della normativa 

comunitaria successiva alla disposizione nazionale sospettata di incostituzio


nalit� per incompatibilit� con anteriori norme comunitarie. 

Un secondo passo potrebbe essere compiuto dal legislatore ordinario me


diante una integrazione all'art. 15 delle preleggi volta a disattivare l'effetto di 

abrogazione delle norme comunitarie ad opera di leggi nazionali sopravvenute, 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

644 

Di quest'atto legislativo importa richiamare Ja disposizione contenuta 
nell'art. l, cos� testualmente formulata: �I diritti di visita sanitaria, di 
cui �alla tabella annessa alla legge 30 dicembre 1970, n. 1239, non sono 
dovutd sui prodotti soggetti ad organizzazione comune dei mercati agricoli, 
nonch� sugli altri prodotti indicati nella tabella stessa, in importazione 
ed esportazione interessanti il territorio di uno degli Stati membri 
della Comunit� Economica Europea �. Il giudice a quo osserva che, con 
ci�, nulla si dispone per fa restituzione delle somme ihlegittimamente riscosse 
dall'Amministrazione, in applicazione del soppresso diritto. Si 
assume dunque che la test� citata statuizione abrogatrice disponga soltanto 
per il futuro, senza toccare la specie sottoposta all'esame del Tri� 
bunale di Milano, per non avere espressamente derogato la regola dell'irretroattivit� 
della Jegge, posta nell'art. 11 delle disposizioni sulla legge 
in generale. Senonch� una deroga siffatta -rimessa alla prudente valutazione 
del legislatore fin dove non contrasti con precetti o principi costituzionali 
-non deve essere necessariamente disposta in modo espresso, 
ma pu� anche risultare voluta, in base ai comuni canoni ermeneutici, 
esaminando, prima di tutto, se 11.'effetto \retroattivo sia giustificato dallo 
scopo, che la norma persegue. E nella specie, vi � un dato, che si desume 
con certezza, sia dalla relazione dei ministri proponenti il relativo 
disegno, sia dai lavori della commissione parlamentare in sede deliberante: 
Ja legge n. 889 del 1977 � diretta a sopprimere il diritto di visita 
sanitaria in tutto l'ambito, in cui la preesistente legislazione confliggeva 

ogniqualvolta un siffatto effetto di abrogazione non sia a queste esplicitamente 
nttr1buito dal legislatore nazionale (qualcosa di simile � previsto dall'art. 1, 
.~omrna secondo, della legge 7 gennaio 1929, n. 4): una siffatta deroga depotenzierebbe 
le disposizioni nazionali emanate in non piena e non proclamata consapevolezza 
della loro incompatibilit� con norme comunitarie. 

In effetti, l'effetto di abrogazione di una norma da parte di una norma 
successiva � accadimento interno ad un ordinamento configurato come unitario, 
accadimento determinato da una attitudine -riconosciuta da tale ordinamento 
alla fonte successiva -a disciplinare l'oggetto regolato dalla norma preceuente 
(cfr. ESPOSITO, Consuetudine (dir. cost.), in Enc. dir., IX, 1961, 468). L'effetto 
di abrogazione �, secondo autorevoli insegnamenti (cfr. PuGLIATTI, Abrogazione 
(teoria generale), in Enc. dir., I, 1958, 141; CRISAFULLI, Lezioni di diritto 
costituzionale, 1971, 164), conseguenza di una inesauribilit� e continuit� della 
funzione normativa, la quale deve seguire la domanda di � innovazione� che 
sale dalla collettivit� cui le norme nuove sono destinate. In quest'ottica, il 
criterio lex posterior derogat priori � semplice strumento per la soluzione delle 
antinomie tra norme appartenenti allo stesso ordinamento (ad opera di un 
giudice competente ad interpretare e la lex posterior e la legge anteriore), e 
non postula una superiorit� della lex posterior sulla anteriore, che anzi en� 
trambe sono commisurate ed integrate dalla disposizione che disciplina il prodursi 
dell'effetto abrogativo; sicch� la prevalenza della lex posterior risulta 
piuttosto il prodotto di una norma positiva, per certi versi tecnica, volta ad 
assicurare in modo pressoch� automatico la funzionalit� di un sistema norma




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PARTE 
I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 645 

con iil divieto, sancito nel diiritto comunitario, delle misure fiscali equivalenti 
al dazio doganale. Per questa via, si legge peraltro nella suddetta 
relazione, Jo Stato avrebbe rimediato all'inadempimento di un obblri.go 
scaturente dal Trattato di Roma, e scongiurato le conseguenze del 
ricorso alla procedura ivi prevista all'art. 189, e gi� promossa daHa Commissione 
della C.E.E. Va poi ricordato che l'osservanza del Trattato istitutivo 
della C.E.E. e della normazione da essa deriivata, si atteggia nell'ordinamento 
interno come un limite, al quale la legge deve conformarsi. 
Secondo Costituzione, il diritto comunitario prevale sul diritto interno 
incompatibile, come questa Corte ha in varie pronunzie chiarito. 

Si deve dunque ritenere che il legislatore, statuendo � i diritti di 
visita sanitaria non sono dovuti� non abbia disposto solo per l'avvenire: 
ma abbia voluto esonerare il privato dalla previgente misura fiscale, 
pienamente e precisamente, come richiestQ dalla necessit� di adattare la 
legislazione italiana alle esigenze derivanti dal Trattato. Il che, poi, 
implica che la previsione del diritto di visita si consideri rimossa nella 

tivo, che non la conseguenza di un rechtslogischer Prinzip riconducibile diretr::
imente alla norma fondamentale (in tal senso, MERKL, Die Lehre von der 
Rechtskraft, 1923, 240; contra, KELSEN, Das Problem der Souverii.nitii.t und die 
Theorie der Volkerrechts, 1928 115). 

Ci� detto, appare evidente la opportunit� di affrontare la problematica de 
qua considerandola in termini dinamici, come � regimentazione dei flussi di 
norme� (uso deliberatamente una terminologia �idraulica�), anzich� in termini 
statici, come raffronto tra singole disposizioni date (e datate). Ed invero 
sia il legislatore nazionale sia quello (legislatore in senso lato) comunitario sono 
iegittimati a produrre norme destinate a cadere sui medesimi soggetti ed a 
regolare gli stessi oggetti, in altre parole a confluire in un unico alveo; ci� 
per� accade -con tutto il dovuto rispetto per coloro che aspirerebbero ad 
un superamento tranchant delle costruzioni � dualiste � o � pluraliste � -ope-. 
rancto l'uno e l'altro dei legislatori anzidetti nell'ambito del proprio ordinamento 
cne rimane distinto anche se riconosce l'altro e perci� stesso non � separato (1). 

(1) Mi si consenta di richiamare quanto scritto nello scritto Le comunit� europee e 
l'Awocatura dello Stato (facente parte dello Studio per il centenario dell'Awocatura dello 
Stato, 1976, 514). 
... Dunque non pare contestabile che l'ordinamento comunitario presenta tuttora caratteri 
di ordinamento � derivato �, in quanto � nato e vive strettamente legato alla volont� 
comune dei sei (oggi nove) stati contraenti. Esso inoltre presenta caratteri d'ordinamento 
�particolare� (e conseguentemente �settoriale�) in quanto � rivolto a finalit� specifiche 
e a disciplinare soltanto settori delimitati dalla vita sociale degli stati membri: di qui la 
necessit� e l'importanza delle relazioni tra i settori affidati alle Comunit� e tutti gli altri 
settori rimasti affidati agli Stati, relazioni che si svolgono su un piano, per cos� dire, 
orizzontale e continuo, Comunit� e Stati operando complementarmente, contiguamente e 
pariteticamente.

Quanto precede conduce a ritenere meritevoli di attenzione, pi� che la reciprocaseparazione e autonomia dell'ordinamento delle Comunit� rispetto a quello di ciascuno 
degli Stati, l'essenza e modalit� del coordinamento e della cooperazione tra tali ordina� 
menti e tra le istituzioni proprie di ciascuno di essi. A ben vedere, la separazione e 
distinzione tra ordinamenti evoca solo un sistema di limiti negativi complementari tra loro, 
ed � strumento di salvaguardia invocato, per solito, dall'ordinamento che, in un dato 
momento storico, ritiene di essere pi� debole; mentre, al contrario, coordinamento e cooperazione 
implicano una dose (maggiore o minore, a seconda delle circostanze)1 di integrazione 
e cio� rapporti pi� stretti tra gli ordinamenti, e implicano una qualche preminenza di 
un ordinamento su un altro. 

Ci� traspare con chiarezza dalla evoluzione degli orientamenti della giurisprudenzadella Corte di giustizia delle Comunit� europee, in concomitanza con il rafforzarsi della 



646 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sfera del diritto interno dal momento in cui essa risulta, ai sensi del 
diritto comunitario, incompatibile con la proibizione del dazio doganaJe. 
Spetta all'interprete individuare quest'insorgenza deH'effetto abrogante, 
in relazione, da un canto, alla voce tabellare che andrebbe in concreto 
applicata, dall'altro, alle statuizioni degli organi comunitari. che sanciscono 
il divieto di appJicarla, nel corrispondente settore dell'organizzazione 
comune del mercato. Ora, nell'ordinanza di rinvio si afferma che 
siffatto divieto era internamente efficace -per quel che concerne il 
procedimento pendente avanti il Tribunale di Milano -ancor prima 
dell'emanazione dell'abrogata legge del 1970. Si osserva, quindi, dallo 
stesso giudice a quo che fa disposizione istitutiva del diri.tto di visita, 
posta in tale ilegge, contraddice -insieme con Ja rilevante previsione 
deH'annessa tabella, ed in questo caso ab initio -il precetto comunit�i.
rio. Se la specie � cos� costruita, ne segue, per le ragioni or om dette, 
che essa cade sotto il disposto della norma abrogante sin daill'entrata in 
vigore della ilegge del 1970. 

Una conferma dei rilievi fin qui svolti si ha, del resto, sol che si 
guardi aJ diverso atteggiarsi di altre figure di abrogazione, sempre in 
ordine a tasse equivalenti al dazio doganale. 

I due flussi di norme nascono dunque � diversi �; per il che inappropriato 
appare il ricorso ad uno strumento concettuale -l'abrogazione -utile invece 
per regolare la successione nel tempo di norme prodotte tutte nell'ambito di 
uno stesso ordinamento. Ovviamente, tale inadeguatezza dello strumento abrogazione 
tenderebbe a manifestarsi nei due sensi, nei riguardi della norma statale 
anteriore a quella prodotta dalla Comunit� (a questo fine -va precisato -i 
trattati resi esecutivi con leggi nazionali si intendono non compresi tra le norme 
comunitarie), e nei riguardi della norma prodotta dalla Comunit� anteriore a 
norma statale. 

La confluenza dei due flussi di norme nello stesso unico alveo avrebbe 
potuto essere prevenuta mediante � chiuse � atte ad interrompere uno dei due 
flussi, ossia operando sul piano della competenza a legiferare. Se si fosse adottata 

costruzione comunitaria. A una J?rima fase, ormai lontana, nella quale tale Corte ha postol'accento sulla � rigorosa separazione fra i poteri delle istituzioni comunitarie e quelli degli 
Stati membri � e su � il fatto che il diritto interno... e il diritto comunitario costituiscono 
due orientamenti giuridici distinti e diversi �, � seguita, ad opera della stessa Corte, daP.prima 
la valorizzazione del ruolo degli individui (persone fisiche o giuridiche) quali utili 
coadiutori per l'attuazione dell'ordinamento comunitario all'interno dei singoli Stati, e 
poi l'affermazione della � integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che 
promanano da fonti comunitarie � e, congiuntamente, della � preminenza del diritto comunitario 
�; mentre, in altra sentenza di poco successiva, � stato sottolineato il momento 
della cooperazione tra istituzioni, e precisamente si � parlato di una � cooperazione fra 
giudici... la cui caratteristica consiste nel fatto che il giudice nazionale e la Corte di 
giustizia, ciascuno, entro i limiti della propria competenza ed allo scopo di garantire l'applicazione 
uniforme del diritto comunitario, devono collaborare direttamente all'elaborazione 
della decisione �. La preminenza dell'ordinamento comunitario nelle materie ad esso devolute 
� stata poi ancor pi� vigorosamente sostenuta, in relazione -si noti -ai � conflitti tra 
norme comunitarie e norme nazionali� (in materia di intese), affermandosi che tali conflitti 
vanno risolti applicando il principio del � primato del diritto comunitario �. 

A questo punto sono rimaste piuttosto talune giurisdizioni nazionali a sottolineare il 
momento della separazione e reciproca autonomia degli ordinamenti comunitario e statale: 
un esempio � offerto dalle sentenze della Corte costituzionale italiana (sulle quali si torner� 
tra breve), ove si configurano � orbite giuridiche separate � e � sistemi giuridiciautonomi e distinti, ancorch� coordinati � ���� 

I 


I 

I 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 647 

Tale � il oaso della legge 24 giugno 1971, n. 447, nella quale si dice, 
all'art. 2, che il diritto di statistica � abolito, sempre in quanto incompatibile 
con le prescriziioni comunitarie, da1la �data di entrata in vigore� 
della stessa legge. Si vede in questa specie come la retroattivit� dell'atto 
abrogativo -in quanto essa si connette funzionalmente con l'adegua. 
mento del1a normazione interna agli obbl~ghi comunitari -non possa 
essere esclusa, in via di presunzione, daU'interprete. Invero, nel citato 
articolo della legge del 1971, � inserita una espressa ed apposita previsione, 
appunto per disporre che l'abolizione del diritto di statistica non retroagisoe, 
e decorre, invece, dall'entrata in vigore della legge suddetta. 
H difetto, nel1a legge del 1977, di un analogo regolamento degli effetti 
temporali dispiegati dalla norma abrogante costituisce, quindi, un ulteriore 
ausilio interpretativo a conforto del risultato sopra raggiunto. A 
ci� si aggiunge che la legge del �1971 � stata emanata prima che la Corte 
stabilisse, nel corso di successive decisioni, il sicuro fondamento costituzionale 
della prevalenza e dell'applicabilit� immediata del diritto comunitario. 
L'assetto poi dato ai 1rapporti tra questo diritto, e le norme 
prodotte dal legislatore nazionale, offre all'interprete un altro ed assorbente 
titolo giustificativo del1a soluzione, che si � detto soccorrere nel caso 
in esame: in definitiva, si viene ad adottare, fra le possibili interpreta:zJioni 
della norma che sopprime il diritto di visita, quella conforme, sia alle 
prescrizioni degli organi della Comunit�, sia ai principi del nostro stesso 

questa soluzione, le norme prodotte dall'ordinamento incompetente sarebbero 
eliminate perch� invalide, e non i meccanismi propri della repressione degli atti 
invalidi. Come � noto, non � questa la soluzione adottata: � stata -ed oppor� 
tunamente -preferita la soluzione di non impedire la confluenza dei due flussi 
(ferma restando -s'intende -la possibile invalidit� della normativa comunitaria 
nell'eventualit� siano superati i limiti del relativo ordinamento), e di far 
�precipitare al fondo � le norme statali incompatibili con quelle comunitarie. Il 
fatto che si usi il metro della � incompatibilit� ,, non deve per� indurre a ritenere 
che un siffatto " precipitare al fondo � altro non sia se non un effetto abrogativo: 
in realt�, uno stesso metro � utilizzato per fenomeni ontologicamente 
diversi. 

Si tratta, dunque, di vedere come -restando entro i termini della nostra 

Costituzione scritta (e che non si intende modificare) -possa pervenirsi al 

risultato di far �precipitare al fondo � dell'alveo le norme nazionali incompa


tibili con il diritto comunitario: risultato, questo, che solo l'ordinamento statale 

(e non quello comunitario) pu� disporre acch� venga prodotto al suo interno. 

Per le norme nazionali anteriori il nostro �diritto vivente� ha, com'� noto, 
operato mediante una sostanziale equiparazione quoad effectum del sopravvenire 
di una norma comunitaria al sopravvenire di una lex posterior, ossia configurando 
l'effetto prodotto dal sopravvenire della norma comunitaria incompatibile 
come se fosse un effetto di abrogazione. L'identit� del metro -� incompatibilit�
� -ha facilitato e reso quasi naturale tale operazione, ma ha determinato 
equivoci, avendo posto in ombra il � come se � di cui si � detto. In realt�, 
che non si tratti di vera abrogazione � palese: diversi sono i � flussi � di prove




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

648 

ordinamento, che garantiscono ~a osservanza del Trattato, e delle norme 
da esso derivate. 

Vi � ancora un aspetto della presente indagine, sotto il quale va 
preso in considerazione il vigente rngime dei rapporti tra norme comunitari.
e e norme intern~. Il diritto di visita � abolito -si � detto -in 
tutta quell'area, nella quale, secondo ~e prescrizioni della C.E.E., deve 
esserne esclusa l'applicazione. Nell'ambito cos� definito, il congegno della 
abrogazione espressa agisce, d'altra parte, in ogni caso: e cos� anche 
quando si siano gi� verificati gli effetti caducatol'i (equivalenti, nell'ordinamento 
interno, a quelli dell'abrogazione implicita), che si connettono 
con la produzione di norme comunitarie successive ed incompatibili, 
rispetto alla Jegge n. 1239 del 1970, e a1l'iannessa tabella. 

Ora, la Corte ritiene che gli effetti oaducatori test� descritti colpiscano 
solo la norma costituita dalla singola voce tabeHare, sotto la quale 
i regolamenti comunitari siano volta a volta venuti ad incidere nel possibile 
campo di applicazione del diritto di visita. Detto ci�, si affaccia la 
seguente conclusione: il legislatore del 1977 ha abrogato legge e tabella 
del 1970, in via generale e per ragioni di uniformit� e certezza di disciplina, 
mentre il fenomeno estintivo delle norme interne, connesso al 
sopravvenire della normativa comunitaria ha la circoscritta incidenza, 
che sopra si rilevava. Ma ci� non toglie -anzi necessariamente comporta 
-che si attribuisca la stessa decorrenza temporale all'abrogazione 
espressa della legge del 1970, nel suo complesso e alla puntuale ed implicita 

nienza delle norme a raffronto, diversa la loro legittimazione costituzionale e 
politica (come del resto confermato dalla circostanza, non poco significativa, 
della non casuale assenza di disposizioni comunitarie di abrogazione espressa 
di disposizioni nazionali). 

Per le norme nazionali posteriori non era (e non �) utilizzabile lo strumento 
abrogazione; e non si � trovato -gi� elaborato e pronto all'uso -un qualche 
altro strumento atto ad operare sul piano dei limiti di efficacia. Era (ed �) invece 
disponibile lo strumento -gi� noto ed operante sul piano della invalidazione 
-della pronuncia di illegittimit� costituzionale, che infatti � stato utilizzato, assumendosi 
a parametro l'art. 11 Cost. 

Due vicende diverse quindi per ottenere lo stesso risultato di � precipitare 
al fondo � dell'alveo le norme statali incompatibili, e per regolare manifestazioni 
tutto considerato non molto dissimili del medesimo fenomeno; ed in effetti (se si 
esclude, come doveroso, l'ipotesi di lex posterior nazionale volutamente contra 
foedus) non pare che le prerogative sovrane del nostro Parlamento e del nostro 
Stato sarebbero vulnerate dalla inefficacia (o, se si preferisce, inutilit�) della l�x 
posterior nazionale piii. di quanto gi� non siano vulnerate dalla inefficacia, per 
abrogazione implicita, della legge nazionale anteriore rispetto alla sopravvenuta 
norma comunitaria incompatibile (come confermato dalle sentenze in rassegna, 
che rammentano la necessit� di valorizzare le norme comunitarie successive alla 
stessa legge asserita come posteriore). 

Quanto sin qui osservato induce a ritenere percorribile la strada dianzi 
prospettata -di una integrazione all'art. 15 delle preleggi. La non pro



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 649 

caducazione delle voci tabellari: l� dove, s'intende, sia nella specie intervenuto 
anche quest'ultimo evento normativo. L'aboli:zJione del diritto di 
visita � stata -in sede di abrogazione espressa -infatti prevista, con 
esclusivo riferimento � ai prodotti soggetti ad organizzazione comune 
del mercato�; Ja disposi:zJ�.one che contemplava tale onere pecuniario � 
soppressa sempre in ragione, oltre che nei limiti, della sua incompatibilit� 
con le prescrizioni comunitarie: e dunque dal momento, al quale 
tale incompatibilit� Vla fatta risalire dalJ'interprete, come si � spiegato. 

Resta da aggiungere un ultimo e decisivo rilievo. U giudice a quo 
assume che non solo la legge di abrogazione del 1977, ma nemmeno 
altri eventi normativi, quale sarebbe la sopravvenienza di un incompatibile 
regolamento comunitario, abbiano comunque estinto l'efficacia delle 
norme rego1atrici dehla specie. 

Cos� non �, tuttavia. Altra normativa comunitaria � intervenuta nella 
materia, che formava oggetto dei regolamenti n. 122 e 123 deJ 1967. 
Questi due 1atti sono i s.oli consideriati dal giudice a quo, che deduce, nella 
seconda delle prospettate questioni, fa loro �anteriorit� nei confronti delle 
leggi del 1968 e del 1970, in conseguenza denunciate come illegittime, per 
presunta violazione dell'art. 11 Cost. Non si tien conto, per�, delle norme 
comunitarie pi� recenti: queste contenute nei regolamenti n. 2771 del 
1975 e n. 2777 del 1975, relativi rispettivamente �all'organizzazione comune 

duzione ad opera della lex posterior nazionale dell'effetto di abrogazione ben 
potrebbe giustificarsi in un'ottica di pluralit� degli ordinamenti giuridici e di distinzione 
dell'ordinamento comunitario da quello nazonale. E' ben vero che siffatta 
soluzione, oltre a determinare una certa �asimmetria � (le norme comunitarie 
conformi ai trattati istitutivi delle Comunit� e successive a leggi nazionali 
continuerebbero a caducare queste ultime: cfr. la sentenza n. 163 del 1977 della 
Corte costituzionale), lascerebbe irrisolti i problemi derivanti dalla compresenza 
di norme (comunitarie e nazionali) tra loro incompatibili e cpnfliggenti; e quindi 
di comandi e/o divieti e/o permessi �contrari� o �contraddittori� (BoBBIO, 
Teoria dell'ordinamento giuridico, Giappichelli, .1%0, '87); tali problemi si concreterebbero 
tuttavia non nella insolu]Jilit� di vere e proprie antinomie (che possono 
aversi solo tra norme appartenenti allo stesso ordinamento), ma in inconvenienti 
�pratici� superabili in molti casi mediante operazioni di � interpretazione abrogante 
� (BOBBIO, op. cit, 106) compiute da giudici ordinari o amministrativi di 
�hiiarati a ci� competenti (ev.entuiaillmente con aooorg.imenti deJI genere di quelilii 

previsti dall'art. 23 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 o dall'art. 796 cod. proc. civ.), 
anche mediante applicazione di quella sorta di art. 12 bis delle preleggi di cui si 
� detto dianzi; Nei casi di non superabile incompatibilit� rimarrebbe pur sempre 
aperto il rimedio del sindacato di costituzionalit� sulla disposizione legislativa 
nazionale posteriore. 

� Ovviame~te, la possibilit� per i giudici di procedere ad � interpretazione 
�brogante � dovrebbe rimanere subordinata ad una previa interpretazione, per 
cos� dire autenticata, della normativa �comunitaria ad opera della Corte di giu




650 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
dei mercati nei settori delle uova e del poJJame (l'uno e l'altro adottati 
650 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
dei mercati nei settori delle uova e del poJJame (l'uno e l'altro adottati 
dal Consiglio della C.E.E. il 29 ottobre 1975 ed entratri in vigore prima 
della data in cui � stato emesso il provvedimento di remissione). Il 
divieto della riscossione di qualsiasi dazio doganale o tassa di effetto 
equivalente si trova espressamente sancito nell'art. 11.2 di ciascuno di 
questi pi� �recenti regolamenti comunitari, i quali seguono in ordine di 
tempo WJ.e norme istitutive del diritto di visita. Operando dl divieto 
comunitario come detti atti prescrivono, le confliggenti norme interne, 
censurate in questa sede, devono -secondo il criterio enunciato dalla 
Corte, e richiamato nella stessa ordinanza di rinvio -considerarsi implicitamente 
caducate: e ci� -occorre precisare -sempre dal momento 
in cui esse risultano incompatibili con il divieto che, posto nella precedente 
normativa comunitaria, � stato nella specie confermato dai successivi 
�regolamenti della C.E.E. Di qui il necessario risultato che, riguardo 
alle anzidette disposizioni interne, non pu� essere instaurato alcun giudizio 
di costituzionalit�. 

Questa conclusione, va infine avvertito, s'impone anche a voler prescindere 
dalla legge cli. abrogazione del 1977, e dalle osservazioni sopra 
esposte in ordine ai suoi effetti temporali. La questione � comunque 
inammissibile. 

stizia delle Comunit� europee: le sentenze rese da detta Corte potrebbero pertanto 
costituire il fondamento delle operazioni ermeneutiche di adeguamento d�l-� 
l'ordinamento nazionale a quello comunitario. 

Un terzo passo potrebbe essere costituito dalla previsione di una procedura 
a livello di autorit� di Governo (procedura nel cui ambito l'Avvocatura dello 
Stato, competente per il contenzioso comunitario, potrebbe assumere un ruolo 
consultivo e propositivo) per la risoluzione non giudiziaria delle incompatibilit� 
tra ordinamento comunitario e ordinamento statale incidenti sulle attivit� amministrative. 
Appare infatti incongruo affidare solo a giudici il compito di risolvere 
-in esito a processi inevitabilmente costosi e di lunga durata -i problemi 
posti da disarmonie tra i predetti ordinamenti. 

Con il compimento di questi tre passi, potrebbe ritenersi sufficientemente 
eliminata -sul piano empirico, che poi � anche il piano (rilevante per un ordinamento 
per tanti versi ancora internazionale) della � effettivit�� -quella � riduzione 
della concreta efficacia del diritto comunitario � che ha indotto la Corte 
del Lussemburgo a ritenere contrastante con il trattato di Roma la previsione 
di una � pregiudiziale costituzionale necessaria� (quale ravvisata dalla giurisprudenza 
della nostra Corte costituzionale). 

L'approccio empirico qui prospettato (e che � suggerito in modo neppur 
molto recondito dalla Corte costituzionale con le sentenze in rassegna) ovviamente 
lascia irrisolti i problemi di fondo, per affrontare i quali appare per� doveroso 
porre premesse diverse da quelle solitamente adottate dai giuristi che si 
occupano di diritto comunitario. La tendenza di costoro � di avvicinarsi ai problemi 
cui si � fatto cenno in un'ottica essenzialmente normativistica, avendo 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 651 

II 

Nel presente giudizio sono censurati, per asserito contrasto con 
l'art. 11 Cost., gli articoli unici delle foggi 23 gennaio 1968, n. 30, e 30 dicembre 
1970, n. 1239. Dette disposizioni prevedono il diritto di _visita 
sanitaria, che si riscuote, ai confini dello Stato, per J'iimportazione (od 
esportazione) del bestiame, o dei prodotti ed avanzi animali indicati 
nelle annesse tabelle. Esse vengono denunziate come incompatibili, ai 
sensi del diritto comuni1Jario, con il divieto del dazio doganale, e delle 
tasse di effetto equivalente, fra le quali il diritto di visita andrebbe 
sic:uramente annoverato. (omissis) 

Detto ci�, l'ammissibilit� de1la questione va subito controllata sotto 
altro riflesso. Come si � premesso, la violazione dei .regolamenti comunitari 
� dedotta con esclusivo triferimento a1l'ipotesi in cui essi precedono 
la norma nazionale: la quale deve dunque dettare il regolamento della 
specie, senza che 1altro evento normativo ne intacchi, a sua volta, ~'efficacia. 
Questo evidente ed indefettibHe presupposto per Ja .rilevanza del 
problema di costituzionaHt� sottoposto a1l'esame della Corte sussiste, 
solo in quanto la norma istitutiva del diritto di visi1Ja non risulti gi� 
rimossa, in forza di un qualche titolo, che ne determini la estinzione o la 
oaducazione nel oaso di specie. Il che, per tragioni qui di seguito esposte, 
� invece da escludere. 

Il diritto di visita � stato soppresso -occorre anzitutto osservare con 
Jegge 14 novembre 1977, n. 889, che aH'art. 1 cos� recita: �I diritti 
di visita sanitaria, di cUJi alla tabella annessa alla legge 30 dicembre 1970, 

n. 1239, non sono dovuti sui prodotti soggetti ad organizzazione comune 
dei mercati agricoli, nonch� sugl!i altri prodotti indicati nella tabella 
presenti rapporti e gerarchie tra norme giuridiche e trascurando invece la dinamica 
politica che vi sta dietro, quasi che i fenomeni di prevalenza e di subordinazione 
tra norme non esprimessero situazioni di prevalen.za e di subordinazione 
tra i poteri che attraverso quelle norme si manifestano; nonch� tra le forze reali, 
pre-giuridiche, di cui tali poteri sono espressione. 

Il discorso torna dunque al punto del quantum di responsabilit� (prima 
che di potere) che le istituzioni europee, e collegialmente gli Stati che della 
Comunit� fanno parte, sono in grado di assumere nei riguardi delle popolazioni: 
una Comunit� la quale rimanga ancora all'attuale livello di struttura inter-governativa 
in attesa che accanto ad essa vengano costruite organizzazioni di forze 
politiche a dimensione continentale ed una sede parlamentare di confronto e 
di decisione, una Comunit� la quale -per motivi pur legittimi, quali quelli 
determinati dai limiti delle aree � messe in comune � o dall'eseguit� delle risorse 
del bilancio comunitario -non assuma su di s� parte cospicua dei pesi e delle 
responsabilit� per lo sviluppo di regioni, di classi sociali, e in genere delle 
popolazioni, una Comunit� siffatta non pare possa vantare, per il diritto da essa 
prodotto, un � primato� che trovi fondamento in una originaria ed autentica 
legittimazione sostanziale anzich� in un riconoscimento di utilit� empiricamente 
reso, via via, dagli Stati membri. 

FRANCO FAVARA 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

652 

stessa, in importazione ed esportazione interessanti il territorio di uno 
degli Stati membri della Comunit� Europea�. Detta statuizione -come 
� stato in alt:ria decisione affermato (isent. 176/81) -va intesa in conformit� 
dello scopo, che il legislatore ha perseguito nel dettarla. Essa � 
posta per adeguare l'ordinamento interno aHe esigenze derivanti dalla 
attuazione del T:riattato di Roma; e nella pxonunzia test� richiamata 
questa Corte ha pertanto concluso che la pirevisione del diritto di visita 
si considera rimossa ne1lia sfera del diritto interno, dal momento in cui 
essa risulta incompatibile, ai sensi del diritto comunirtJario, con 1a proibizione 
del dazio doganale. Ora, in tutte indistintamente Je ordinanze di 
rinvio si afferma che la legge del 1970 diverge ab initio dagli invocati 
regolamenti comunitari. Cos� costruita la specie, iLa disposizione impositiva 
dell'onere fiscale in parola deve ritenersi abrogata a partire dalla 
entrata dn vigore della legge, neHa quale essa � contenuta. 

Una precisazione va fatta per iJ oaso di specie, prospettato nell'ordinanza 
del Presidente del Tribunale di Trento. 

Le importazioni effettuate dalla Societ� promotrice di quel procedimento 
monitorio -si afferma da detto giudice -visailgono, m parte, 
ad una fase temporale, che � coperta dalla citata legge nel 1968. Nello 
stesso provvedimento di rinvio si aggiunge, tuttavia, che dopo l'entrata 
in vigore di quest'ultima legge, altre norme della CEE sono intervenute 
a regolare il mercato delle carni suine e di parti di animali commestibili 
(il citato reg. n. 827/68, adottato il 28 giugno 1968 ed entrato in vigore il 
1� luglio 1968, cfr. artt. 1.2.2. e 4.1). Le disposizioni di questo successivo 
atto confermano il divieto del dazio doganale che, in quel settore della 
normativa comunitaria, gi� precludeva la riscossione del diritto di visita 
(altrettanto deve dirsi del regolamento CEE n. 805 del 27 giugno 1968, per 
quanto nel caso o:ria considerato concerne in particolare .�J mercato delle 
carni bovine: cfr. artt. 20.2 e 22). Il che implica che anche fa norma 
del 1968 si consideri, nella specie, oaducata retroattivamente. 

AnaJ.oghe osservazioni soccorrono, del resto, con riguardo alla legge 
del 1970: la quale � andata essa pure soggetta agli effetti caducatori, 
scaturiti dalla sopravvenienza d[ confliggenti norme comunitarie. Successivamente 
a11'entrata .in vigore di detta legge sono stati invero emanati 
altri due regolamenti della CEE: il regolamento del 29 ottobre 1975, 

n. 2759/75, che sopraggiunge, rispetto a quelli invocati dal Presidente 
del Tribunale di Trento quali fonti regolatrici del mercato delle oarrti 
suine;. e il regolamento del 19 gennaio 1976, n. 100/76, relativo al settore 
dei prodotti della pesoa, che viene in considerazione nei giudizi pendenti 
davanti al Tribunale di Napoli e al Presidente del Tribunale di Firenze. 
La previsione del diritto di visita risulta fuor di dubbio incompatibiJe 
con le statuizioni, che in tali ultimi atti puntualmente confermano, 
ciascuna nel proprio ambito, il divieto del dazio doganale (cfr. art. 17.2 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

reg. n. 2759/75; art. 18.2 reg. n. 100/76). Nelle ordinanze di rinvio, per�, 
non si tien conto di queste pi� recenti norme comunHarie. Va aHora 
avvertito che fa legge del 1970 � investita -sempre dalla sua entrata 
in vigore -sia da11'abrogazione espressa, disposta con la legge del 1977, 
sia dall'ulteriore ed autonomo effetto della caducazione implicita, per la 
test� rilevata persistenza, in seno alla disciplina comunitaria, del divieto 
del dazrl.o doganale. 

L'uno e J'altro di questi fenomeni ablatori incidono poi sulla disposizione 
istitutiva del diritto di visita sotto ogni profilo della sua possibile 
applicazione ai casi di specie. Nessun rilievo ha, infatti, la circostanza 
ohe si tratti di importazioni non solo da paesi membri della CEE, ma 
altres� -come avviene nei giudizi da cui traggono origine le ordinanze 
dei Presidenti dei Triibunali di Firenze e di Trento -da Stati terzi. 
L labrogazione o la caducazione della norma in esame, vengono qui ad 
atteggiarsi nel senso di abbracciare tutta l'area, nella quale l'abolita 
misura fiscale risulta incompatibile con le prescrizioni comUil!�tarie. Nella 
legge del 1977, � vero, si dice che il diritto di visita � soppresso per le 
importazioni �interessanti i.I territorio di uno degli Stati membri della 
Comunit� Europea�. Ma ci� non toglie che H previgente onere fiscale 
cessi di operare anche negli scambi con i terzi Stati, quando, come qui 
accade, questo risultato sia imposto dalle stesse norme comUil!�tar.ie, nelle 
quali � sancito .il divieto del dazio doganale. � 1alle prescrizioni comunitarie, 
occor.re ricordare, che il .legislatore del 1977 vuole adeguarsi. Tale 
�, dunque, Ja finalit� della istatuizione in esame, dalla qua1e l'interprete 
non pu� prescindere: tanto pi�, in quanto essa risulta chiaramente confermata 
dalla formula, che ivi si adotta appunto per definire la sfera degli 
effetti scaturenti dall'abolizione del diritto �di visita. Al riguardo si individuano, 
precisamente, i prodotti che non vengono pi� gravati all'atto 
dell'importazione: e si fa, certo, riferimento alla Comunit� europea, ma 
col designare, non l'area dalla quale dl prodotto esonerato deve provenire, 
bens� il regime normativo cui esso viene sottoposto, che ne condiziona H 
trattamento fiscale come esige l'instaurazione del mercato comune. E 
cos�, infatti, precisamente si statuisce: �i diritti di visita non sono 
dovuti sui prodotti soggetti ad organizzazione comune del mercato �. Dal 
canto loro, i regolamenti comunitari hanno organizzato il mercato, nei 
settori che interessano in questa sede, tenendo fermo -prima della 
legge del 1970 e dopo -:-il divieto del dazio doganale con espresso riferimento 
anche alle importazioni dai paesi terzi [cfr. la normazione della 
CEE relativa all'organizzazione dei mercati: art. 17,2 reg. n. 121/67, 
13 giugno 1967 (mercato delle carni suine); art. 1.2.2. reg. n. 827/1968, 
28 giugno 1968 (mercato delle carni suine e bovine); art. 20.2 reg. n. 805/68, 
27 giugno 1968 (mercato delle carni bovine); art. 17.2 reg. n. 2759/75, 
29 ottobre 1975 (mercato carni suine); art. 17.2 reg. n. 2142/70, 20 otto



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

bre 1970 (mercato dei prodotti della pesca); art. 18.2 reg. n. 100/76, 
19 gennaio 1976 (mercato dei prodotti della pesca)]. 

L'Avvocatura dello Stato obietta in proposito che, secondo la giurispru� 
denza della Corte di giustizia, il diritto di visita cade sotto il suddetto 
divieto -e non importa se questo sia configurato nei termini sopra 
descritti -soltainto nella sfera degli scambi intercomunitari: di guisa che 
il diritto stesso potrebbe ancora applicarsi alle importazioni da paesi terzi. 
Il rilievo � per� infondato. In un procedimento promosso ex art. 177 del 
Txattato dal Pretore di Alessandria (causa n. 70/77), la Corte di giustizia 
della Comunit� ha infatti considerato l'imposizione del diritto di vis!ita, 
anche in riferimento agli scambi con gli Stati terzi, come un onere pecuniario 
equivalente al dazio doganaile, e ne ha quindi ritenuto l'incompatibilit� 
con le norme comunitarie, sulle quali verteva in quell'occasione la 
domanda di pronunzia pregiudiziale. Si afferma al riguardo nella decisione 
ora richiamata: �La Corte ha dkhiarato che la nozione di tassa d'effetto 
equivalente a un dazio doagnale ha, negli artt. 12, n. 1 e 2, del regolamento 

n. 14/64 e 20, n. 2, del regolamento n. 805/1968, la stessa portata che negli 
artt. 9 e seguenti del Trattato; di conseguenza, vanno considerati tasse 
d'effetto equivalente a dazi doganali, ai sensi degli artt. 12, n. 2, del regolamento 
n. 14/64 e 20, n. 2, del regolamento n. 805/68; gli oneri pecuniari, 
di qualsriasi entit�, imposti per ragioni di controllo sanitario degli animali 
e delle carni bovine importati dai paesi terzi, a meno che tali oneri 
facciano parte di un sistema generale di tributi interni gravanti sistematicamente, 
secondo gH stessi criteri e neHa stessa fase di distribuzione, 
sia sulle merci nazionali, sia su quelle importate �. 
Ora il diritto di visita non pu�, nemmeno nel presente caso, essere per 
alcun verso ricondotto tra gJi oneri pecuniari, che i giudici del Lussemburgo 
discriminano dal dazio doganale, secondo il criterio sopra enunciato. 
Nella specie, dunque, il divieto della tassa equivalente al daZJio opera 
pienamente, come � previsto dalla normazione comunitaria: e cos�, anche 
con riguardo alle importazioni dagli Stati terzi. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 ottobre 1981, n. 179 � Pres. Volterra� Rel. De 
Stefano -Brucato Turchio (avv. Cacciavmani) e Cassa nazionale del 
notariato (avv. Sivieri). 

Previdenza e assistenza -Notali -Trattamento di quiescenza a carico della 

Cassa nazionale del notariato -Esclusione di esercenti temporanei 

da professione di notaio -Illegittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 38; r.d.l. 27 maggio 1923, n. 1324, art. 3). 

L'art. 3, comma terza, del r.d.l. n. 1324 del 1923 contrasta con l'art. 3, 
comma primo, posto in relazione con l'art. 38, comma secondo, della 
Costituzione, nella parte in cui non prevede che il trattamento di quiescenza 
ivi contemplato per i notai cessati dall'esercizio e per le loro famiglie, 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

debba esser corrisposto, ricorrendo i medesimi presupposti, anche agli 
aspiranti al notariato, forniti dei requisiti necessari per la nomina, temporaneamente 
autorizzati all'esercizio delle funzioni notarili in virt� dell'art. 6 
della legge n. 89 del 1913, cessati dall'esercizio, ed alle loro famiglie. 

L'art. 3, comma terzo, del r.d.I. 27 maggio 1923, n. 1324, sulla Cassa 
nazionale del notariato, convertito iin fogge 17 aprhle 1925, n. 473, prevede, 
nell'interpretazione accolta dal giudice a quo, che soltanto i notai nominati 
a s�guito di concorso, e le loro famiglie, abbiano diritto, cessando dall'esercirlo, 
al trattamento pensionistico corrisposto dahla Cassa. Ne rimangono, 
quindi, esclusi quegli � aspiranti al notariato, forniti dei requisiti 
necessari per la nomina�, che su loro domanda, in applicazione dell'art. 6 
della legge 16 febhraio 1913, n. 89, suH'ord:inamento del notariato, sli.ano 
stati temporaneamente autorizzati ad esercitare le funzioni notarm nelle 
isole dove non esista alcun notaio, o in a1tre localit�, egualmente prive 
di sede notaTile, che, per le condizioni topogr:afiche o di viabilit�, non 
possano agevolmente, anche solo per certi periodi dell'anno, comunicare 
con i luoghi viciniori provvisti di notaio. Ma non Ticonoscendo anche a 
taJ:i soggetti 1il diritto a trattamento pensionistico, la norma contrasterebbe 
con gli artt. 3 e 38, comma secondo, della Costituzione. (omissis) 

La questione � fondata. 

GiQ"Va premettere che la Cassa nazionale del notariato � compresa nel 
n�vero degli enti pubblici che gestiscono forme obbligatorie di previdenza 
ed assistenza (crr. tabella allegata alla legge 20 marzo 1975, n. 70). Tutti. i 
notai, i:n concomitanza con 1a loro iscrizione nel ruolo collegiale dei notai 
in esercizio, sono iscritti di ufficio alla Cassa, cui sono tenuti a versar~ 
(tramite J'AI1chivio notarile del distretto), per gli atti soggetti ad annotamento 
nei repertori, il 20 per cento degli onorari loro spettanti, nonch� 
quote supplementari progressive degli onorari medesimi, nella misura 
stabilita dagli artt. 17 e 18 della legge 22 novembre 1954, n. 1158, e dalla 
tariffa notarile. I notai devono inoltre corrispondere alla Cassa un contributo 
per ogni atto iscritto nei repertori (art. 27 della legge n. 1158 del 1954). 
Spetta, .infine, alla Cassa per intero la quota di onorario (liquidata dall'Ufficio 
del registro), corrispondente alla differenza fra li.J �valore accertato 
ai fini tributari e quelilo risultante da11'atto o dichiarato dalle parti (art. 18 
della legge n. 1158 del 1954 e 17 della vigente tariffa notarile). In corrispetmvo 
del versamento dei contributi imposti dalla legge a loro carico la 
Cassa (unitamente ad altre provvidenze) corrisponde ai notai cessati dalresercizio 
ed alle loro famiglie un trattamento di quiescenza, la cui misura 
e le cui modalit� sono determinate con deliberazioni della Commissione 
amministratrice, soggette all'approvazione del Ministro per la grazia e 
giustizia ~art. 13 deHa legge 3 agosto 1949, n. 577). 

L'esercente funzioni notarili in virt� del menzionato art. 6 della legge 

n. 89 del 1913, autorizzato 1aH'uopo con decreto del Pres1idente della 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

656 

Repubblica, � � considerato come notaio rispetto alla responsabilit� civile, 
penale e disciplinare dipendente dai suoi atti�. Prima di assumere le 
funzioni, egli � tenuto -come espHci1lamente vien ribadito nel relativo 
decreto di nomina -ad adempiere agli stessi obblighi stabiliti per il 
1t1otaio dagli artt. 18 e 24 della ripetuta 1legge n. 89 del 1913. I quali si 
concretano, tra l'altro, nel dare cauzione; nel prestare giuramento davant1i 
al tribunale civile nella cui giurisdizione trovasi la sede; nel ricevere dal 
Consiglio notarile il �sigillo� (con Ja dizione �notaio�); nello ,scmvere 
nell'apposito registro la propria firma accompagnata dall'impronta del 
sigillo; nell'aprire l'ufficio nel luogo assegnato. Adempiuto quanto prescritto, 
fincamcato ottiene la �iscrizione nel ruolo dei notai esevcenti del 
collegio�, e con ci� � investito delle funzioni. Funzioni, che non possono 
venir esplicate fuori dell'isola, del comune o della frazione assegnati, ma 
il cui esercizio, entro tale �mbito, non si differenzia in alcun modo da 
quelllo commesso ad un notaio. Al pari di quest'ultimo, J'incaricato ex 
art. 6 esercita le sue funzioni nomine proprio (mentre il coadiutore, ex 
art. 45 della legge n. 89 del 1913, esercita le funzioni notariH in nome e 
nell'interesse del notaio impedito); fa parte del Collegio notarile ed ha 
diritto di interveniire alle sue adunanze (art. 93 del regolamento per 
l'esecuzione della legge n. 89 del 1913, approvato con r.d. 10 settembre 1914, 

n. 1326); � sottoposto alle ispezioni biennali; riscuote, per g1i atti e per 
le prestazioni notarili, gli onorari, i diritti accessori, le indennit� ed i 
compensi secondo quanto determinato dalla Tariffa, nella stessa misura 
prevista per H notaio. AI cessar dall'esercizio gli atti da Jui ['icevuti 
devono -come per il notaio -essere depositati e conservati nelll'archivio 
del distretto notarile (art. 6 e 106, n. 6, della �legge n. 89 del 1913). 
In conclusione, pur non acquisendo lo status professionale dei notai 
nominati a s�guito di pubblico concorso, gl'incaricati ex art. 6 sono ad essi 
pienamente accomunati nell'esercizio delle funzioni, e quindi sul piano 
conoceto dell'attivit� lavorat,iva: al.Ja quale fa appunto riferimento, ai fini 
previdenziali, la norma di carattere generale dell'art. 38, comma secondo, 
della Costituzione (cfr. sentenza di questa Corte n. 108 del 1977). Lo stesso 
congegno previdenziaile, come instaurato dal denunciato art. 3, comma 
terzo, del r.d.l. n. 1324 del 1923 e come strutturato dalla conseguente 
normativa, innanzi richiamata, sulla obbligatoria devoluzione alla Cassa 
di quote degli onorari spettanti per gli atti soggetti ad annotamento nei 
repertori notarili, rende evidente il fondamentale nesso tra prestazione 
dell'attivit� lavorativa e concessione del trattamento di quiescenza ai notai 
e loro familiari. 

Priva di persuasiva giustificazione, e perci� arbitraria, appare dunque 
la discriminazione operata dalla denunciata norma con l'escludere, 1t1ella 
interpretazione propugnata dalla Cassa ed accolta dal giudice a quo, i 
suindicati soggetti che abbiano esercitato funzioni notarili ex art. 6, da quel 



l'ARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

trattamento di quiescenza che v:iene invece riconosciuto ai notai al cessar 
dall'esercizio delle funzioni, che sono, ripetesi, le medes,ime per entrambe 
le categorie. 

Sotto l'anzidetto profilo, ed in relazione alLa primaria esigenza, costituzionalmente 
garantita, di assicurare a tutti i lavoratori un trattamento 
prewdenziaile in caso di invalidit� e vecchiaia, non pu� assurgere a ragionevole 
motivo deMa disparit� di tvattamento operata dalla denunciata 
norma il diverso � s!istema di nomina � cui fa riferimento La difesa della 
Cassa. Invero, non � determinante n� sufficiente la conseguita nomina a 
s�guito di pubblico concorso, per qualificare i notai come lavoratori ed 
applicare ad essi la normativa previdenziale, richiedendosi invece -come 
si � gi� ricordato -che essi abbiano iniziato ad esercitare colliCretamente 
le ['eilative fun:l)ioni e siano stati all'uopo iscritti, curati i necessari adempimenti, 
nel ruolo collegiale dei �notai in esercizio� (art. 3 del� ,testo delle 
disposizioni sulla previdenza e sull'assistenza ai notai ed alle loro famiglie, 
deliberate il 21 ottobre 1955 dalla Commissione amministratrice della 
Cassa ed approvate il 10 novembre 1955 dal Ministro per la grazia e 
giustizia). Requisito questo, afferente all'esercizio de11e funzioni notarili, 
prescritto tanto per i notai quanto per gl':incaricati ex art. 6. 

Del pari non rilevano, sempre al perseguito fine di giustificare il 
denegato riconoscimento del diritto al trattamento di quiescenza, Ja �preca� 
riet� � e la �temporaneit��, sottolineate dalla difesa della Cassa, dell'inca11ico 
conferito ai sensi del pi� volte citato art. 6 della legge n. 89 del 1913. 
Pur non assistito, come per i notai, dal connotato de1la stabile permanenza 
nell'ufficio, tale incarico si concreta sempre in un'attivit� lavorativa che 
non si differenzia in verun modo da quella svolta dai notai, e che di 
fatto -come per l'appunto � avvenuto nel caso oggetto del giudizio a 
quo -pu�, ,nonostante fa suddetta �precariet��, protrarsi anche per 
diversi anni. D'altronde, la equiparazione ai notai, ai fini deil. trauamento 
di quiescenza, degl'incaricati ex art. 6 -equiparazione, Ja cui mancata 
previsione il giudice a quo imputa alla denunciata norma -compoirta che 
il relativo diritto venga a maturazione, oltre che nei casi di morte o di 
inabilit� permanente ed assoluta, solo con i,l raggiungimento di determinati 
traguardi di anzianit� di esercizio: il che conferisce all'esercizio 
medesimo un cavattere di continuit� professionale. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 dicembre 1981, n. 187 -Pres. Elia -Rel. Fer:
rari -Commissario dello Stato (vice avv. gen. Stato Azzariti) e Regione 
Sicilia (avv. Maniscalco Basile). 

Sicilia -Ricorso dello Stato alla Corte costituzionale avverso leggi regionali 
siciliane -Assenza del Commissario delfo Stato per ferie o legittimo 
impedimento -Legittimazione ad impugnare -Spetta al vke 
commissario dello Stato. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

658 

Regioni � Legge regionale interipretativa � Limiti. 

Sicilia -Indennit� spettante ai membri della Giunta regionale -Parziale 

traslazione dall'IRPEF a carico del bilancio regionale � Illegittimit� 

costituzionale. 

In caso di .assenza per ferie o legittimo impedimento del Commissario 
dello Stato, la legittimazione ad impugnare leggi regionali siciliane spetta 
al vice commissario dello Stato (1). 

Il legislatore regionale, non pu�, con una legge che ha solo il nome di 
legge interpretativa, dichiarare l'autentico significato di una propria legge 
anteriore, quando questa non riveli gravi ed insuperabili anfibologie o non 
abbia dato luogo a contrastanti applicazioni specie in sede giurisprudenziale. 


La regione Sicilia non pu�, con propria legge, estendere la portata 
di una legge statale di esenzione o agevolazione fiscale, trasferendo a 
carico del bilancio regionale parte dell'onere tributario gravante su taluni 
contribuenti (2). 

L'eccezione preliminare di inammissibilit� del ricorso non pu� essere 
accolta. 

Indipendentemente dal documento prodotto alla pubbHca udienza 
dall'Avvooatum dello Stato, dai quale risulta l'assenza del Commissario 
dello Stato dalla sede �per ragioni di servizio� dai1 17 dicembre 1977 al 
17 gennaio 1978, la 1lettura del!l'art. 28 dello Statuto, quale viene prospettato 
dalla difesa della Regione, !risulta iriduttiva, in quanto limitata ad un solo 
dato testuale -la Jocuzione � Commissrurio dello Stato� -, e prescinde 
dalla proposizione relativa finale dello stesso articolo, che viceversa � 
imprescindibile. Proprio in virt� dell'integrazione conferitale da tale 
proposizione, infatti, Ja norma assurge a valore di compiuta disciplina, 
nella quale sdltanto Ja figura dell'organo deililo Stato della Regione siciliana 
pu� essere esatllamente, realisticamente e razionalmente valutata, anche 
alla stregua di inviolabili principi costituzionali. 

(1) Merita segnalare il brano della prima parte della motivazione, nel quale 
la Corte accenna (un po' en souplesse) alla questione se l'esercizio di una funzione 
di rilevanza costituzionale, quale non viene negato sia la promozione di un 
giudizio costituzionale (o l'intervento in esso), di per s� comporti il riconoscimento 
della qualit� di organo costituzionale all'organo dello Stato all'esercizio 
di detta funzione legittimato. La Corte ha dato una risposta studiatamente circoscritta, 
affermando che � la natura di organo amministrativo... non sembra... 
conciliabile con quella di organo costituzionale�; risposta che lascia aperta la 
questione de qua per un organo, quale l'Avvocatura dello Stato, che amministrativo 
non pu� essere considerato. 
(2) Il principio enunciato appare di notevole importanza perch� suscettibile 
di applicazioni in ambiti diversi da quello, molto specifico, cui si riferisce il caso 
deciso. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

A sensi della suddetta proposizione relativa, il Commissario dello 
Stato, cui [e leggi dell.'Assembllea regionale vanno inviate entro tre giorni, 
pu� impugnare tali leggi � entro i successivi cinque giorni �. La tes.i della 
Regione, secondo cui -poich� il Vice Commissario non � previsto dallo 
Statuto sioHiano e pu� pertanto esercitare solo funzioni irnterne -la 
legittimazione a promuovere giudizi di costituzionalit� .sarebbe assolutamente 
infungibile, nel senso che essa spetterebbe esclusivamente al Commissario 
dello Stato, comporterebbe l'inammissibile conseguenza della non 

.operativit� del potere di impugnazione nei periodi di legittima assenza o 
legittimo impedimento del Commissario de1lo Stato. E poich� si devono in 
ogni oaso rispettare -a non dir altro -gli articoli 32, primo comma, 
e 36, ultimo comma, Cost., il primo dei quali �tutela fa salute oome fondamentale 
diritto deJJJ.'Jndividuo �, mentre Jl secondo proclama H � diritto... 
a ferie annuali� irrinunziabili, la sola alternativa per ovviare all'eventualit� 
di un'assernza per legittimo impedimento � .la soluzione adottata col 

d.P.R. 4 giugno 1969, n. 488, il cui art. 2 prevede appunto Ja nomina di un 
Viice Commissario, che non solo � coadiuva il Commissario dello Stato�, 
ma anche �lo sostituisce in caso di assenza o impedimento �. 
La difesa della Regione, pur riconoscendo l'esistenza del principio 
generale che ammette l'esercizio vicario delle funzioni nelJle strutture gerarchizzate, 
afferma tuttavia che tale pviincipio non � trasferibfile dal campo 
del �diritto amministrativo a quello dell'o!'dinamento costituzionale, ed in 
particolare nel caso di specie, in cui �una funzione costituzionale (tale � 
la promozione d.i un gfodizio costituzionale) sia affidata da una norma 
costituzionale ad un organo costituzionale monocratico �. Non occorre 
certo affrontare la problematica del concetto di �organo costituzionale�, 
degli indici di riconoscimento di tale categoria, quali teori.zzati dalia 
dottrina, delle prerogative che vi sono c�nnesse, n� ricordare che nel 
nostro ordinamento un elenco di detti organi -ai fini penali taissativo si 
rinviene solo Iiel codice penale (articolo 289), per convenire che la 
deduzione defila natura di organo costituzionaile insostituibile dalla titolarit� 
del potere di promuovere giudizi costituzionali prova troppo: � sufficiente 
in proposito tenere presente quanto si � dilatata l'area degli organi e, in 
genere, �~elle entit� soggettive cui � stata ormai riconosciuta la legittimazione 
a promuovere, sia pure in via incidentale, giudizi che hanno pur 
sempre per oggetto la legittimit� costituzionale delle leggi. Appare allora 
superfluo aggiungere che la natura di organo amministrativo, quale inlnegabilmente 
� pur sempre il Commissario deLlo Stato (come del resto questa 
Corte ha gi� avuto occasione di affermare con la sentenza n. 6/1970), non 
sembra, tanto sul piano concettuale, quanto sul piano positivo, conciliabile 
con quella di organo costoituzionale. Inoltre, nella specie, l'orgarno de quo 
� portatore di interessi obiettivi, che possono perci� essere tutelati egualmente 
bene �dall'organo vicario, il quale ripete" anch'esso l'investitura, come 


~ 

&

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

660 

~ 

l 
�

B

esattamente ha osservato l'Avvocatura dello Stato, dal Governo della 
Repubblica ed appartiene anch'esso -vale la pena di sottolineare -alla 
medesima alta dirigenza dello Stato. (omissis). 

Nel merito, la Jegge impugnata appare nella sua interezza viziata da ~ 
illegittimit� costituzionale. f. 

I\

Nell'ordinamento statale, i membri deil Governo hanno un trattamento 
economico complessivo pari a quello dei gradi gerarchici pi� elevati. Cos� IIdispone l',art. 2 della Jegge 8 apriJe 1952, n. 212. Nello stesso ordinamento, i 

I

membri del Parfamento godono, invece, di un trattamento privilegiato, nel 

I 
~ senso che le relative indennit� parlamentari non soggiacciono per fotero 
al normale regime di tassazione, ma ne sono esentate nella misura del 
sessanta per cento, che poi l'art. 2, penultimo comma, del1a legge 24 aprile 
1980, n. 146, ha ridotto al trenta per cento. Cos� stabiliva gi� 1a legge 31 ottobre 
1965, 111. 1261, invocando esplicitamente J'art. 69 Cost. e nel dichiarato 
intento di �garantire il libero svolgimento del mandato�; cos� ha disposto 

I pi� compiUtamente e defu:titivtamente il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, 
sull'istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. 

I 

In particolare, l'art. 47, primo comma, lettera d), di tale normativa assimila ~ 

I 

al reddito di �lavoro dipendente Je indennit� � percepite dai membri del ,~ 
Parlamento � e quelle, � comunque denominate, percepite per le cariche j 
elettive e per Ie funzioni di cui agli articoli 134 e 135 Cost. �; a sua volta il i f 
successivo art. 48, quarto comma, stabilisce che � le indennit� indicate alla f

'

�

lettera d) dell'art. 47 costituiscono reddito nella misura del quaranta per ; 
f 
cento del loro ammontare ail netto dei contributi previdenziali �. f 
E 
Se si considera poi che, ail contrario, � le indennit�, i gettoni di presenza f 

o ailtri compensi corrisposti dallo Stato, dalle ,regioni, dalle province e dai 
I

comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni�, pur essendo anch'essi assii 
milati, per espresso dettato del medesimo art. 47, Jett. e), al reddito di f 

lavoro dipendente, non risultano sottratti al normale regime di tassazione, 

il sistema creato con fa riforma del 1973 a:isulta con tutta chiarezza: il 

I 

trattamento tributario privilegiato non spetta ai membri del Governo, 

I

bens� esclusivamente ai membri del Parlamento -nonch�, ai sensi del


l'art. 6 della legge n. 1261 del 1965, anche �ai consiglieri delle .regi0111i a 

statuto speci~e � e, per effetto dell'art. 47, lett. d), del d.P.R. n. 597 del 

I 

1973, alle altre cariche elettive -, ma neppure per ogni indennit�, gettone 

I 

di presenza o altro compenso percepito nell'esercizio di pubbliche fun


!

zi0111i, bens� esclusivamente per le indennit� di cui alla gi� menzionata 

I 

lett. d) de11'.art. 47 deil d.P.R. n. 597 del 1973. Se si considera altres� che, I 
con deliberazione n. 605 del 13 febbraio 1975, la sezione di controllo della I 
Corte dei conti dichiar� parzialmente illegittimi, rifiutandone il visto e la 
registrazione, due decreti del Presidente della Regione siciliana, proprio 
perch� e nella parte in cui, facendo applicazione dell'art. 1 della legge 
regionale 30 gennaio 1956, n. 8, sottraevano al normale regime di tassazione 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 661 

le indennit� corrisposte ai membri della Giunta, non pu� non ritenersi che 
la legge impugnata dal V:ice Commissario dello Stato si pone In immediato 
rapporto di consecuzione, non solo temporiaJe, con la pronuncia della 
sezione di controllo delJ:a Corte dei conti e con i rilievi ivi contenuti. 
Essa risulta, infatti, adottata proprio a:1 fine di superare fostacolo rappresentato 
dalila Corte dei conti. E non pu� certo dirsi conform� al sistema 
costituzionale, configurandosi, 1anzi, come un oaso esemplarre di sviamento 
strumentale della funzione legislativa, il :ricorso appunto allo strumento 
dehla legge interpretativa, per porre il vizio riJevato dahl'organo di controllo 
al riparo da ta!le controllo. 

Il problema dell'indennit� ai membri della Giunta regionale venne 
affrontato dall'Assemblea siciliana ancor prima dehla costituzionalizzazione 
de1lo Statuto, e precisamente con 'la legge regionale 29 dicembre 1947, 

n. 19, che 'recava il titdlo di �determinazione della indennit� mensile al 
Bresidente della Regione ed agli Assessori e del :rimborso spese per incarichi 
agli stessi o ai Deputati �. Tale [egge stabilliva, quantificandole, e con 
decorrenza dal primo giugno dello stesso anno, le diverse misure de1l'indenlllit� 
mensile -,al lordo -per il Presidente deLla Regione, per gli 
Assessori effiettivi e per quelli supplenti. Il suddescritto sistema dur� 
poco meno di un decennio, essendo stato sostituito nel 1956 dali'art. 1 
della regge n. 8, a ,sensi del quale rl'indennit� mensile, con decorrenza dal 
1� agosto 1955, non � pi� qua111tificata, ma prevista in misurra pari -sempl'e 
al 1lordo, tuttavia -al trattamento economico mensile spettante, 
rispettivamente, al Presidente ed ai Vice Presidenti dell'Assemblea regionale 
siciliana. 
Non ;rileva a!l riguardo la constatazione che il trattamento economico 
di questi ultimi, cui � stato ancorato quello dei membri del!la Giunta, non 
essendo disposto con legge, ma con atto interno del ConsigHo di PTesidenza 
dell'Assemblea in virt� dell'articolo 11 del .relativo regolamento, 
pu� subire periodiche variazioni. R:ileva, viceversa, il dato di fatto che 
fil sistema instaurato neil 1956, il quale testualmente stabHisce per i membri 
della Giunta -� bene ripeterlo -una indennit� mensile � forda �, 
non ha dato motivo a questione per circa un ventennio, cio� dal 1956 
al 1975. Fu solo in quest'ultima data, infatti, che nacque la questione, 
e precisamente quando la Corte dei conti in sede di controllo ebbe occasione 
di esaminare i due decreti dei quali si � gi� detto, emanatJi in materia 
dal Presidente de1la Regione siciliana nell'ottobre del precedente anno 
1974. La competente sezione di contr0!1lo non ammise al visto ed alla registm2Jione 
i due decreti, ma non gi� peTch� negasse la legittimit� dell'attribuzione 
di un'indennit� mensile ai membri della Giunta o dell'assunzione 
�come parametro di quella dei membri della Presidenza della Assemblea, 
bens� esclusivamente perch� il particolare regime di tassazione, riservato 
ai membri di 011gani elettivi, risultava dai due decreti esteso ai membri 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

del governo regionale, mentre non spetta neppure ai membri del governo 
nazionale. 

In altre parole, quel particolare regime di tassazione costJituisce una 
deroga, come verr� predsato nel seguito della presente motivazione, e fa 
sua estensione oltre i casi tassativamente previsti costituisce un'applicazione 
nuova e diversa; nuova e diversa, sia rispetto alil:a lettera della 
legge regionaJe n. 8 del 1956, sia rispetto all'applicazione costantemente 
fattane in passato. Ma allora fa legge impugnata, risolvendosi ii:n sostanza 
nell'espansione dell'ambito di quella deroga, non gi� interpreta, ma dispone. 
Essa, insomma, non � iinterpretativa, bens� innovativa, e ne � prova 
-documentale, si direbbe -il mutamento della forrnul'a � indenn1t� mensile 
lorda�, coniata .gi� nel 1947 e ribadita nel 1956, in � misura mensile 
netta �, introdotta con la sedicente interpretazione autentica, nell'intento 
di realizzare mediante un atto legislatJivo quel medesimo disegno che non 
em stato possib:ille realizzare con un atto amminist.rativo. 

Ma non � interpretativa anche per una considerazione di diverso 

ordine. Il Jegisilatore pu� sempre riformare la disoipilina vigente, modi


fioando la legge anteriore, ed un legiS!latore regionale dotato di potest� 

esclusiva, godendo di ampia discrezionalit�, sia pure nei Jimiti delle leggi 

costituzionali, pu� sempre disciplinare l'oI'dinamento degli uffici e degli 

enti regionailii, come appunto previsto da!ll'articolo 14, lett. p), dello Sta


'1luto della Regione siciJiana. Non pu�, per�, dksi che faccia egualmente 

buon uso della sua potest� il fogislatore che si sostituisca �al potere cui 

� riservato il compito istituzionale di interpretare Ia legge, dichiarandone 

mediante altra �legge l'autentico significato con valore obbEgatorio per 

tutti e, quindi, vincolante anche per il giudice, quando non ricorrano 

quei oasi in cui la legge anteriore riveli gravi ed insuperabili anfibologie 

o abbia dato foogo a contrastanti applicazioni, specie in sede giurisprudenziaile. 
Ora, la legge �regionale siciliana n. 8 del 1956 non contiene sUil punto 

formule ambigue, n� ha provocato, almeno per oiroa un ventennio, con


trasti :in sede applicativa. La legge impugnata, quindi, ha solo al nome 

di interpretazione autentica. 

La difesa della Regione sostiene che fa legge impugnata non ha inteso 

� sottrarre al normale regime di imposizione tributaria l'indennit� spet


tante al Presidente della Regione ed agli Assessori�: iii legislatore regio


nale del 1956 aveva disposto che membri della Giunta e membri della 

Presidenza dell'Assemblea godessero di trattamenti economici di pari 

entit�. Tale essendo la mens legislatoris -prosegue la difesa della Re


gione -, una volta che per effetto dell'esonero, nella misura di sei 

decimi, dall'imposta sul :reddito delle persone fisiche (IRPEF), riconosciu


to solo ai membri della Presidenza dell'Assemblea, si � verificata una 

notevole differenza fra i due ordini di retribuzione, la sola via per rista(.


bilire fra le due categorie la paI'it� voluta dal legislatore del 1956 � ,, 

�~ 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

appunto quelila di riconoscere al Presidente della Giunta ed aghl Assessori 
una � retribuzrione lorda maggiore .di que1la attribuita al Presidente ed ai 
Vice Presidenti dell'Assemblea, di guisa che la stessa, diminuita di tutti 

tributi >applicabili, dei quali � prevista puntuale appld.cazione, risulti 
pari, al netto, a quella che, al netto, ricevono, rispettivamente, il Presidente 
ed i Vice Presidenti delil'assemblea �. (omissis) 

Sembra indubitabile che la legge impugnata trae origine, meglio che 
occasione, dalla riforma tributarfa, cio� dall'iistituzione e disciplina dell'imposta 
sUil 1reddito delle persone fisiche (IRPEF): questa reca la data 
del 1973 (d.P.R. n. 597), i due decreti del Presidente della Regione sioi:liana, 
dichiarati illlegittimi dalla Corte deli conti, recano la data del 1974. Ne 
deriva che si tratta essenzialmente di ques1Ji.one di dli.ritto" tributario. 
Ne offre conferma fa relazione illustrativa della legge impugnata, che 
proprio aJJl.a imposizione IRPEF fa espresso r�chiamo. 

Sembra 1altrettanto indubitabiie che, se si tiene presente l'iartioolo 53, 
primo comma, Cost., secondo cui � tutti sono tenuti a concorrere alle 
spese pubbliche in ragione della loro capacit� contributiva�, la norma 
di cui aill'articolo 48, quarto comma, del menzionato d.P.R. n. 597 del 1973, 
1a quale stabilisce che le indennit� dei membri degli organi elettivi � costituiscono 
reddito nella misura del quaranta per cento�, si configura come 
una deroga al suddetto principio costituzionale; una deroga consistente 
in una esenzione parziaile dall'imposta, e perci� insuscettibile, in quanto 
tale, di interpretazione estensiva, e che inoltre solo il Jegiiisfo.tore statale 
pu� motivatamente disporre. 

Valutando adesso la legge impugnata alla stregua delle due puntualizzazrioni 
che precedono, ni:sulta che questa, disponendo in materia tributaria, 
ha estesa l'esenzione 1parziale -dli cui peraltro i membri della 
Giunta gi� godono in quanto consi~ieri regionalli -a categorie non 
previste dal 1sistema iinstaurato col d.P.R. n. 597 del 1973, cos� violando 
taria, ha esteso l'esenzione parziale -di cui peraltro i membd della 
in rapporto a tutti gli altri contribuenti -, oltre che fa riserva di legge 
statale sulle esenzioni fiscali. Basta al riguardo porre mente al meccanismo 
escogitato dalla legge nel suo effettivo concretarsi, qua[e in definitiva 
viene descritto nella stessa relazione i11ustrativia: la disparit� nasce 
in seguito a!l'tesonero parziale riconosciuto all'una categoria, ma non 
anche all'altra; la parit� si ristabilisce versando a questa una maggiorazione 
che corrisponda perfettamente aHa maggiore imposta da essa 
dovuta. Ma cos� hl tributo viene effettivamente, anche se indirettamente, 
pagato dalla finanza regionale, non gravando pi� sul contribuente, e si 
consegue, s�, :la effettiva parit� di trattamento retributivo, ma si conse.. 
gue, prima ancora, l'effettiva parit� fiscale. La legge pu� certamente stabilire 
le indennit� dei membri della Giunta nelle misure che ritiene pi� 
congrue, ma una legge interpretativa non �, altrettanto certamente, lo 


664 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

strumento pm idoneo e costituzionalmente legittimo, quando disponga 
una maggiorazione del trattamento economico di ailcuni pubblici dipendenti 
al fine di esonerare tali contribuenti dal pagamento, sia pur solo 
parziale, delle imposte dovute secondo il sistema tributario. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicebre 1981, n. 192 -Pres. Elia -Rel. Maccarone 
-Boggiano Pico (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice 
avv. gen. Stato Azzariti). 

Responsabilit� civile � Circolazione di autoveicolo -Trasporto di cortesia Responsabilit� 
del proprietario ex art. 2054 cod. civ. -Esclusione. 
(Cost., art. 3; cod. civ., art. 2054). 

Non contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 2054, terzo comma, cod. civ., nella 
parte in cui esclude, persino quando sia stata accertata la colpa del conducente, 
la responsabilit� del proprietario del veicolo per i danni sofferti 
dal trasportato per cortesia (1). 

La Corte � chiamata a decidere se l'art. 2054, terzo comma, cod. civ., 
interpretato dalla giurispruden2la nel senso che la presunzione di responsabilit� 
iVli sancita a carico del proprietario di un autoveicolo per i danni 
prodotti dalla circolazione del veicolo stesso non � operante a favore del 
terzo trasportato a titolo di� cortesia anche quando risulti dimostrata 
la colpa del conducente, induca una irragionevOil:e discriminazione a danno 
di detta categoria di danneggiati, rispetto a tutti gli altri utenti deHa strada 
garantiti invece dalla presunzione stessa. (omissis) 

Giova premettere, che, come Ja dottrina e la giurisprudenza hanno 
costantemente riconosciuto, la presunzione di responsabilit� ex art. 2054 
cod. civ. dn materia di oircolazione dei veicoli � intesa ad offrire una 
particolare garanzia a favore dei terzi danneggiati che rimangono estranei 
alla circolaZJione del veicolo e che, come tali, non sono in condizioni 
di prevedere ed eVlitare il danno. L'operatiVlit� di tale particolare garanzia 
� stata invece esclusa per quanto Tliguarda i terrzi trasportati a qualsiasi 
titolo, ivi compreso il trasporto di cortesia, in quanto costoro hanno 
modo, usando la ordinaria diligenza, di prevedere ed eVlitare il danno e, 
comunque, sanno che richiedendo o accettando il trrasporto, possono 
andare lincontro ai pericoli e danni devivanti dal fatto deHa circolazione 
del veicolo sul quale sono trasportati, ed affrontano quindi scientemente 
i rischi del tvasporto (Cor:te cost. sent. n. 55/75). E Ja Corte, con la stessa 
sentenza, ha gi� avuto occasione di affermare, conseguentemente, che, 
�non versando i terzi e le persone trasportate nella stessa situazione 

(1) Cfr. Cass. 27 marzo 1979, n. 1767, in Foro it., 1979, I, 912, e FLAMINI, Il 
trasporto amichevole, 1977. 
l 

I 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 665 

di vii:ttime della strada e di danneggiati�, non � irraziionale che le dette 
rispettive posizioni vengano considerate non uguali e differentemente 

disciplinate quanto al regime del risarcimento del danno. 

Comunque, a parte le considerazioni ora riferite, da11e quali non vi � 
motivo di discostarsi, e facendo :riferimento al particolare profilo della 
pretesa irrazionalit� della differenziazione dei trattamenti nel caso di 
riconosciuta colpevolezza deil conducente, deve osservarsi che, come fa 
giurii!sprudenza non ha mancato di porre in evidenza, la norma censurata 
non � scindibile nel suo aspetto formale ed in quello sostanziale essendo 
concepita unitariamente, come � dimostrato dalla stretta relazione intercoNente 
tm le disposizioni ivi contenute, tutte indissolubilmente connesse 
alla 'statuizione fondamentale concernente la presunzione di responsabilit� 
del conducente, di oui Je altre disposizioni costituiscono evidenti 
articolazioni. Non � pertanto lecito ritenere che quando la responsabilit� 
del conducente risulti ,accertata in concreto, indirpendentemente dalla presumione, 
il proprietario del veicolo possa essere chiamato a rispondere 
ai sensi del terzo comma dell'art. 2054 cod. dv., che appunto costituisce 
estensione ed articolazione del principio presuntivo posto col primo 
comma. 

L'inapplicabilit� della presunzione importa, cio�, quella dell'intera 
norma, postulando ti:l ritorno al regime normale di cui all'art. 2043 cod. 
oiv. anche per quanto riguarda la responsabilit� del proprietario. Questi, 
pertanto, potrebbe, nel caso, essere chiamato a rispondere solo ai sensi 
dell'art. 2048 cod. civ. (responsabilit� dei genitori, tutori, etc.) o dell'articolo 
2049 cod. civ. (responsabilit� dei padroni e dei committenti). (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicembre 1981 n. 195 -Pres. Elia -Rel. 
Andrioli -Cassa di risparmio di Roma (n.p.) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Procedimento civUe -Processo esecutivo -Estinzione del processo per 

rinuncia del creditore procedente -Ordinanza del giudice dell'es.ecu


zione -lrreclamabilit� -Illegittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 3; cod. proc. civ., artt. 629 e 630). 

Contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 630, ultimo comma, cod. proc. civ., 
nella parte in cui non estende, in relazione all'art. 629 cod. proc. civ., 
il reclamo previsto nell'art. 630, ultimo comma stesso, all'ordinanza del 
giudice dell'esecuzione dichiarativa dell'estinzione del processo esecutivo 
per rinuncia agli atti (1). 

(1) Forse la questione avrebbe potuto essere risolta dal giudice ordinario 
mediante una interpretazione sistematica (e neppure estensiva) delle prime 
parole dell'art. 630, comma primo, cod. proc. civ. 

666 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La Corte non sindaca nel merito la :interpretazione del disposto, coordinato 
in riferimento alla specie concreta, degli artt. 629, 630 ultimo 
com.ma e 631 ultimo com.ma cod. proc. civ., che ha indotto il giudice 
a quo a dire irreclamabile la ordinanza del giudice deill'esecuzione dichiarativa 
dell'eSitinzione del processo per rinuncia agli atti perch� fa motivazione 
svolta dal Tribunale di Civitavecchia � sufficiente e coerente. 

Ci� premesso, la irrazionalit� del diverso trattamento riservato 'alle 
due (anzi tre) ipotesi causative dell'estinzione del processo esecutivo 
nel �diritto vivente�, cos� com.e ricostruito dal giudice a quo, e quindi 
la violazione dehl'art. 3 comma primo Cost. non sfuggono anche a chi 
si limiti a visionare la fattispecie concreta, la quale pone in chiaro la 
tutt'altro che remota eventualit� di errori nell'individuazione dell'oggetto 
della rinuncia, e non si dilunghi a riflettere, com.e pur si deve, per un 
verso sulle non lievi difficolt� applicative cui d�n luogo in fatto e in 
diritto i due primi com.mi dell'art. 629 separatamente e congiuntamente 
considerati, e, per altro verso, sull'uJtlim.o com.ma dell'art. 631 che estende 
la garanzia del reclamo alla estinzione del processo esecutivo per mancata 
comparizione delle parti. 

N� ad eliminare la denunciata irrazionalit� giovano la legittimazione, 
ai rinuncianti in ipotesi riconosciuta, a sperimentare la opposizione agli 
atti esecutivi, perch� tale rimedio non � precluso aHe parti pregiudicate 
dalla ordinanza dichiarativa dell'estinzione per inattivit� che pur hanno 
a disposizione il reclamo, e l'impugnabilit�, con ricorso in Cassazione per 
violazione di legge ex art. 111, secondo com.ma, Cost., dell'ordinanza del giudice 
dell'esecuzione consecutiva alla rinuncia agli atti, perch� hl trattamento, 
che da chi cos� argomenta si riserverebbe ai creditori rinuncianti, 
non cessa di essere deteriore rispetto alla condizione delle parti, pregiudicate 
dalla ordinanza di estinzione per inattivit� o per mancata comparizione 
(artt. 630 e 631 cod. proc. civ.), le quali ben pos,sono sperimentare 
il ricorso in Cassazione avverso la sentenza resa sul reclamo, seppure 
non si reputa tale sentenza suscettibile di appello. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 dicembre 1981, n. 202 � Pres. Elia� Rel. Bucciarelli 
Ducci � S.p.A. Le Assicurazioni d'Italia (avv. Pasania), L'Assicuratrice 
Italiana S.p.A. (avv. Bernardini), Reale Mutua di assicurazioni 
(avv. Vassallo di Castiglione) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice 
avv. gen. Stato Carafa). 

' Assicurazioni � Danni da circolazione di veicoli o natanti non identificati � 
Fondo di garanzia per le vittime della strada � Natura indennitaria 
delle prestazioni. 
(Cost., artt. 3, 24 e 32; I. 24 dic�mbre 1969, n. 990, art. 21). 

Le prestazioni del �Fondo di garanzia per le vittime della strada� 
a favo re di persone danneggiate da veicolo o natante non identificato hanno 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 667 

natura indennitaria e non risarcitoria. Non contrastano con gli artt. 3, 24 
e 32 Cost. i limiti alla indennizzabilit� posti dall'art. 21 della legge 24 dicembre 
1969 n. 990. 

La prima questione :riguarda l'art. 21, primo, secondo e terzo comma, 
della fogge 24 dicembre 1969, n. 990 in riferimento all'art. 3 Cost., nella 
parte in etti !limita il riconoscimento del danno alle persone, provocato 
da veicolo o natante :rimasto sconosciuto, aillle ipotesi di morte o di inabi~ 
lit� temporanea superiore a novanta giorni e di invalidit� permanente 
superiore al 20 % (primo comma); entro un massimo di L. 15.000.000 per 
persona sinistrata (primo comma); alla determinazione del reddito del 
danneggiato in misUra non superiore al :reddito lordo di favoro dichiarato 
o accertato in sede fiscale o, in difetto, al minimo !imponibile (terzo 
comma). 

Si dubita, infatti, nelle ordinanze di rimessione che tali disposizioni 
introducano una disparit� di trattamento tra danneggiati a seconda che 
il danno sia stato provocato da veicolo o natante non identificato, o 
invece da veicolo o natante identificato e assicurato, nel qual caso 
il risarcimento non � soggetto ai :limiti suddetti cos� come non soggiace 
a detti limiti allorquando, pur intervenendo il Fondo di garanzia, il danno 
viene provocato da veicolo identificato Ina non assicurato o da veicolo 
identificato e assicurato con una impresa posta in stato di liquidazione 
con dichiarazione di insolvenza. 

N� ha spostato i termini del problema Ja sopravvenuta modifica del 

terzo comma introdotto con dl. 23 dicembre 1976, n. 857, in quanto i fatti 

formanti oggetto delle ordinanze si �sono verificati prima della predetta 

modifica. 

La questione non � fondata. 

La diverisit� di disciplina stabilita da!Ha norma impugnata tra i dan


neggiati da veicolo o natante rimasto sconosciuto e gli altri danneggiati 

non opera un'irrazionale diversit� di trattamento di fronte a situazioni 

omogenee. Infatti, la situazione obbiettiva in cui si � verificato il danno 

alla persona danneggiata da veicolo o natante non identificato � ben diversa 

da quella riguardante la persona danneggiata da veicolo identificato e 

assicurato e la relativ:a diversa tutela apprestata non appare viziata da 

arbitrariet� o irrazionalit�. 

Per il danno cagionato da mezzi identificati il diritto al risarcimento 

discende infatti dai principi in tema di responsabilit� aquiliana e di assi


curazione del rischio, attraverso l'intervento dell'assicm:atore a sostegno 

dell'assicurato, previo accertamento in contraddittorio della responsabi


lit� civhle di quest'ultimo. 

Nel caso, invece, di danni causati da mezzi non identificati nessun 

ristoro essi avrebbero potuto trovare attraverso le norme che disdptl:in:ano 


668 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la responsabilit� civHe e il rapporto di assicurazione, cosicch� in quasi 
tutti i paesi av:anzati sono stati 'adottati nuovi strumenti che rispondessero 
a principi di solidariet�. 

Il nostro .legislatore, onorando gli impegni assunti con la firma della 
Convenzione di Strasburgo del 20 aprile 1959, ha introdotto tale nuova 
disciplina con Ja Jegge n. 990 del 1969, istituendo :il � Fondo di garanzia 
per Je vittime della strada�, allo scopo di indennizzare i danni causati 
da mezzi rimasti sconosciuti o non assicurati oppure assicurati con 
impvese poste in stato di liqrndazione con dichiarazione di insolvenza 
(artt. 19, 20 e 21). 

Nella prima ipotesi, che � quella che nella specie interessa, la 
mancata individuazione del responsabile esula dallo schema ll:ipico della 
responsabilit� aquiliana conferendo atlla prestazione del Fondo di garanzia 
Ja natura di un indennizzo, pi� !rispondente ai principi di solidariet�, 
anzich� i caratteri di un risarcimento nel senso proprio del 
termine. 

La mancata identificazione del responsabile, infatti, fa s� che la prestazione 
del Fondo, anzich� ,rappresentare il corrispettivo di premi versati 
dall'assicurato riconosciuto responsabfile, gravi in definitiva sulla 
generalit� degli assicurati incolpevoli, cosicch� appare ragionevole Hmitare 
l'intervento solidarristico ai casi pi� gravi di danno aMa persona e 
porre altres� limiti all'ammontare dell'indennizzo, sia con la fissazione 
di un massimo, sia con fimposizione di criteri particolarmente rigorosi 
nclJ.'accertamento del reddito. 

N� ta!l.e ipotesi pu� essere assimilata a quella del veicolo identificato 
ma non assicuriato o di veicolo assicurrato con impresa insolvente, dato 
che in questi casi � semprre possibile per il Fondo di garanzia esercitare 
l'azione di 1regresso sia nei confronti del conducente sia nei confronti 
del proprietario del veicolo. 

Corispondono, quindi, �ad una obbiettiva diversit� di situazioni le 
tre limitazioni previste dalla norma impugnata, cosicch� non sussiste 
alcuna violazione del principio di eguaglianza. (omissis) 

Con fa seconda questione la Corte � chiamata a decidere se il medesimo 
art. 21 deNa legge 24 dicembre 1969, n. 990 �contrasti con gli 
artt. 3 e 32 Cost., nella parte in cui limita la risarcibil.it� del danno causato 
da veicolo o natante non identificato in �riferimento a minimi di 
invalidit� permanente e al reddito lordo di lavoro dichiarato o accertato 
in 'sede fiscale. 

Jil giudice a quo dubita, infatti, che tali limitazioni, oltre a determinare 
disparit� di trattamento, violino iii principio deilla tutela della 
salute, non risultando garantita l'integrit� fisica del danneggiato, indipendentemente 
dalla sua capacit� di reddito. 

Anche tale questione non � fondata. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

� pur vero, infatti, che l'art. 32 Cost., ha innanzi tutto come oggetto 
cli tutela l'integrit� fisica, ma detta tutela si realizza nella durpJice direzione 
di apprestare misure di prevenzione e di assicurare cure gratuite 
agli indigenti. 

Nel caso di specie la norma impugnata non contrasta con alcuna 
deiMe finalit� perseguite dall'art. 32 Cost. in quanto da un lato non ha 
un rapporto diretto con gli obbiettivi di prevenzione, riguardando un 
momento successivo alla lesione del bene protetto, daill'altro, lungi dal 
lasciare senza protezione indigenti abbisognevoli di cure, introduce una 
forma di intervento solidaristico, che amplia [a possibilit� di ristoro del 
dann� alla persona (in materia di responsabilit� civile) a soggetti che 
altrimenti ne resterebbero privi. 

Che tale intervento sia sottoposto ad alcune limitazioni -come quelle 
lamentate nella ordinanza di rimessione -risponde ad una valutazione 
discrezionale del legislatore che, nel prevedere una prestazione del Fondo 
di natura indennitaria, ha voluto condizionarla, tra f'altro, alla sussistenza 
di un certo grado di invaili:dit� e ad un accertamento rigoroso 
del reddito del danneggiato. 

L'ultima questione � se lo stesso art. 21 legge. 24 dicembre 1969, 

n. 990 (nel testo originario) contrasti con gli artt. 3 e 24 �Cost., nella 
parte in cui :limita il risarcimento del danno causat� da veicolo o natante 
non identificato alla determinazione del reddito del danneggiato 
sulla base delle risUiltanze fiscali. 
Il giudice a quo si chiede se tale disposizione, oltre a determinare la 
disparit� di trattamento, non violi altres� il diritto di difesa della per~' 
sona danneggiata, introducendo un sistema di prova legale che non consente 
di dare dimostrazione dei propri diritti diversa da quella emergente 
dalle risultanze fiscali. 

Anche tale questione non � fondata. (omissis) 

Riguardo al denunciato contrasto con f'art. 24 Cost., occorre rilevare 
che l'impugnato art. 21 defila legge n. 990/69 al terzo comma non pone 
alcun limite al diritto di difesa del danneggiato, iii quale ha piena 
facolt� di dimostrare l'esistenza dei presupposti deil. suo diritto al risardmento, 
ma � quest'ultimo che, per Ja particolare natura indennitaria 
della prestazione del Fondo, � soggetto, al momento della liquidazione 
del danno, al limite sostanziale di dover essere 'l'apportato al reddito 
dichiarato dallo stesso danneggiato o accertato in sede fiscale. 

E nessuna censura pu� essere mossa al legislatore del 1969 se ri


tenne di collegare l'intervento solidaristico del Fondo in favore del dan


neggiato a quel dovere primario di solidariet� che � il fedele adempi


mento dehl'obbligo tributario nei confronti della collettivit�. 

Non vi �, pertanto, alcuna violazione deH'art. 24 Cost. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

670 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 dicembre 1981, n. 205 -Pres. Elia -Rel. Andrioli 
-Casciato (n.p.), Ministro dei trasporti e Presidente Consiglio 
dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Lavoro -Divieto di inte11p05izione -Appalti concessi da amministrazioni 

autonome dello Stato -Decreto presidenziale 22 novembre 1961, n. 1192 � 

Ha natura regolamentare. 

(Cost., artt. 3, 4, 35 e 76; d.P.R. 22 novembre 1961, n. 1192, artt. 2 e 3). 

Il d.P.R. 22 novembre 1961, n. 1192, emanato in forza dell'art. 8 della 

l. 23 ottobre 1960, n. 1369, non � decreto legislativo ma ha natura regolamentare. 
(omissis) Per l'art. 8 1. 23 ottobre 1960, n. 1369 �con decreto del 
Presidente della Repubblica, su propost�a congiunta dei Ministri per le 
finanze, per i trasporti, per le poste e le telecomunicazioni e per il lavoro 
e fa previdenza sociaile, entro sei mesi dall'entrata in vigore de~a .resente 
legge, 1saranno emanate ~e norme per la disci~i:na dell'impiego di manodopera 
negli appalti concessi daille Amministrazioni autonome delle 
Ferrovie dello Stato, dei Monopoli di Stato e delle poste e telecomunicazioni, 
in conformit� con le disposizioni di cui ai precedenti articoili, 
tenendo conto delle esigenze tecniche deNe Amministrazioni stesse e 
salvaguardando gli interessi del personale dipendente delle imprese forni


trici di manodopera � (comma primo) e � qualora non vengano emanate 

le norme di cui al precedente comma nel termine ivi previsto, la presente 

legge trover� applicazione anche nei confronti delle predette Ammini


strazioni autonome dello Stato� (comma secondo). 

L'art. 8 in una con non poche modifiche fu inserito, nella proposta 

di legge approvata �da!lla Oamera dei Deputati nella seduta del 15 ottobre 

1959, dal Senato deNa Repubblica nella seduta del 14 luglio 1960 e le 

Commissioni permanenti IV e XIII della Camera cos� giustificarono l'inser


zione neNa Relazione presentata �alla Presidenza il 6 ottobre 1960 (Atti 

parlamentari -Camera dei Deputati, n. 130-134-C): � Riteniamo che la 

delega data al Governo con l'art. 8 costituisca un notevole perfeziona


mento della Iegge e auspichiamo che, nei termini .revisti dalla delega 

stessa, avvenga la sistemazione delle numerosissime situazioni difformi 

dal dettato della presente legge >>. 

Nondimeno i due commi dell'art. 8 convincono che la norma non 

confer� ai Governo delega ad emanare decreto avente valore di legge 

ordinaria: da un :lato, nel tessuto verbale della disposizione non si 

avvertono verba che esprimano siffatta volont� perch� le Camere si sono 

limitate a conferire il potere di emanare norme senza far parola della 

forza di legge che avrebbe dovuto in ipotesi rivestirle, e, per altro verso, 

non hanno additato al Governo princ�pi ma gili han fatto obbligo di 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 671 

emanare norme conformi alle precedenti disposizioni -nessuna esdusa 
-della legge tenendo conto delle esigenze tecniche delle Amministrazioni 
e salvaguardando gli interessi dcl personale dipendente dalle 
imprese fornitrici della manodopera. N� la intitolazione deHa 'legge (divieto 
di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e 
nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e 
di servizi) fa verbo del1a delega di cui all'art. 8. 

In perfetta armonia con [ dati ricavati dal primo comma sta il 
secondo comma deWart. 8, id quale condiziona l'applicazione di tutta la 
legge aMe Amministrazioni autonome alla emanazione, da parte del 
Governo, delle norme di cui a[ primo comma nel termine di sei mesi 
dalla entrata in vigore della legge. 

In disparte il mancato Tichiamo degli artt. 76 e 77 Cost. nel preambolo 
del d.P.R., fa fissazione di termini per la prolazione di questo e ila carenza 
del parere del Consiglio di Stato per la equivocit� degli indizi a favore 
della natura di decreto legislativo delegato nel d.P.R. medesimo, potrebbero 
gettar luce Ja frase della Relazione delle Commissioni referenti della 
Camera, che si � riportata, e, soprattutto, la procedura di approvazione 
diretta adottata nel caso dalla Camera, che � richiesta daWart. 72 ultimo 
comma Cost. Peraltro � lecito replicare che tale procedura ben pu� essere 
seguita anche per disegni di legge attributivi di potest� regolamentare 
e che la frase della relazione per investire l'intera materia dehla proposta 
ha carattere polisenso. 

In tale guisa giudicando, la Corte 'rimane fedele 1a1l'orientamento 

interpretativo manifestato con la sentenza 13 marzo 1974, n. 63 con cui la 

dichiarazione di parziale illegittimit�, per contrasto con ['art. 3 Cost., 

dell'art. 21 d.P.R. 21 aprile 1975, n. 373 sul conglobamento dell'assegno 

temporaneo nello stipendio del personale statale fu tra il'altro motivata 

con l'affermata natura regolamentare deUe norme contenute nell'art. 2 

d.P.R. 1192/1961. Risultato esegetico che non vincola ovviamente i giudici 
competenti che saranno chiamati a scrutinare se i materiali normativi 
che si sono passati in rassegna valgano a costruire un valido regolamento 
pur privo di forza di 'legge. 

SEZIONE SECONDA 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 
SEZIONE SECONDA 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE -3" sezione, 
22 ottobre 1981, nella causa 27/81 -Pres. Touffait -Avv. Gen. Capotorti 
-Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta � dalla Corte 
d'Appello di Versailles nella causa Rolli: c. Ossberger Turbinenfabrik -
Interv.: Governo italiano (Avv. Stato Fiumara) e Commissione delle 

C.E. (ag. Mc Clellan, avv. De Ricci). 
Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale 
e l'esecuzione delle decisioni mmateria civile e commerciale � 
Eccezione di incompetenza � Difese sul merito � Compatibilit�. 
(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con 

legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 18). 

L'art. 18 della convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 va interpretato 
nel senso che esso consente al convenuto non solo di eccepire 
l'incompetenza ma anche di presentare congiuntamente, in via subordinata, 
difese nel merito, senza che ne risulti compromessa l'eccezione, 
sostenuta in via principale, di incompetenza (1). 

(omissis) Invero, fra le varie versioni linguistiche dell'art. 18 della 
Convenzione esistono divergenze quanto ail se il convenuto, per negare 
la competenza al giudice adito, debba limitarsi ad eccepire l'incompetenza 
di questo, oppure, al contrario, possa pervenire allo stesso risultato 
contestando sfa la competenza del giudice �adito sia la fondatezza deHa 
domanda attrice; tuttavia, quest'ultima soluzione � pi� conforme agli 
scopi ed allo spirito della Convenzione. Infatti, a norma deil diritto pro


(1) Nello stesso senso� la sentenza, di poco anteriore, 24 giugno 1981, nella 
causa 150/80, ELEFANTEN SCHUH. 
La soluzione accolta dalla Corte era stata proposta anche dal Governo italiano 
con le osservazioni che seguono. 
In tema di proroga tacita della: competenza nella Convenzione di Bruxelles 
27 settembre 1968 (art. 18). 

1. -(omissis) La Corte d'Appello di Versailles chiede alla Corte di giustizia 
di precisare se l'art. 18 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 
(sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile 
e commerciale) debba essere inteso: 
a) nel senso che esso �vieti, nel caso in cui venga sollevata l'eccezione di 
incompetenza, di cui tale disposizione fa salva la proponibilit�, in modo che il 
giudice statuisca a titolo definitivo sulla competenza prima di far luogo alla 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 673 

cessuale civile di taluni Stati contraenti, il convenuto che si limita a 
sollevare il problema de11a competenza potrebbe vedersi precludere la 
possibilit� di dedurre i mezzi attinenti al merito qualora i:l giudice 
respingesse 'l'eccezione d'incompetenza. Una interpretazione dell'art. 18 
che consentisse di pervenire ad un ,risultato del genere sarebbe incompatibille 
con 1a tutela dei diritti de11a difesa nel procedimento di origine, 
che costituisce una delle finalit� della Convenzione. (omissis) 

trattazione del merito, di far va1ere congiuntamente, 1n via subordinata, le eccezioni 
relative al merito �; 

b) ovvero nel senso che esso permetta (anche se ci� non � ivi precisato), nel 
sollevare l'eccezione d'incompetenza di cui esso sancisce la proponibilit�, di concludere 
contemporaneamente, ma in via subordinata, sul merito, onde dare al 
giudice adito la possibilit� di pronunciarsi, se necessario, con una sola decisione 
tanto sul merito quanto sull'eccezione, sull'esempio di quanto espressamente 
previsto dall'art. 76 del nuovo Codice di procedura civile francese, con formalit� 
preordinate alla tutela dei diritti della difesa�. 

2. -Il dubbio sarebbe sorto in conseguenza di una ritenuta difformit� 
fra le quattro versioni linguistiche della norma (facenti tutte ugualmente fede: 
art. 68 della conv.). L'art. 18, infatti, dopo aver precisato che �al di 
fuori dei casi in cui la sua competenza risulta da altre disposizioni della 
presente convenzione, il giudice di uno Stato contraente davanti al quale 
il convenuto � comparso � competente >>, dispone che tale norma non � applicabile: 
-(nel testo francese) � si la comparution a pour objet de contester 
la comp�tence... � 
-(nel testo italiano) �se ia comparizione avviene solo per eccepire 
-la incompetenza... � 
-(nel testo olandese) � indien de verschijning uitsluitend ten doel heeft 
de bevoegdheid te betwisten � 
-{nel testo tedesco) � wenn der Beklagte sich nur einsliisst im Mangel 
der Zustandigkeit geltend zu machen... �. 
Nei testi italiano, olandese e tedesco v'� l'avverbio �solo -uitsluitend 
-nur �, mentre nel testo francese non v'� l'avverbio corrispondente. 

3. -Nell'ordinamento processuale italiano l'art. 167 cod. proc. civ. stabilisce, 
in linea generale, che �nella comparsa di risposta (cio� nel primo 
atto difensivo) il convenuto deve proporre tutte le sue difese ... e formulare 
le conclusioni>>. I successivi articoli 183 e 184 consentono, per�, di modificare 
le domande, eccezioni e conclusioni precedentemente formulate e proporre 
nuove eccezioni che non siano precluse da specifiche disposizioni di legge; 
ci� pu� avvenire in corso di istruttoria finch� la causa non sia rimessa dal 
giudice istruttore al collegio per la decisione (questa possibilit� non �, per�, 
ammessa in procedimenti particolari, come in quello relativo alle controversie 
di lavoro, dove tutte le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili 
d'ufficio devono essere proposte nella prima memoria difensiva a 
pena di decadenza: art. 416 c.p.c.). 
Il convenuto, quindi, pu� proporre gradatamente le sue difese (in linea 
generale, salvo le preclusioni specificamente previste dalla legge) e pu� limitarsi 
a sollevare prima una sola eccezione che ritenga decisiva per poi aggiungere 
altre eccezioni � difese, se e quando lo ritenga opportuno. Questa 
facolt� concessa al convenuto incontra un preciso limite al momento della 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

674 

rimessione della causa al collegio giudicante: il giudice istruttore, infatti, allorch� 
rimette la causa al collegio, -anche per la decisione separata di una 
questione di merito avente carattere preliminare o di una questione attinente 
alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali -, invita 
le parti a precisare le conclusioni che intendono sottoporre al collegio stesso 
e tali conclusioni devono essere interamente formulate anche per il merito, 
in quanto in ogni caso la rimessione investe il collegio di tutta la causa 
(artt. 1.87 e 189): il collegio, infatti, potr� limitarsi a decidere solo la questione 
specificamente rimessagli dal giudice istruttore ovvero potr� decidere 
su tutte le domande proposte e sulle relative eccezioni, se non ritiene 
necessaria una ulteriore istruttoria (art. 277). 

Questo sistema -che, a quanto pare, � simile a quello adottato negli 
altri ordinamenti processuali dei Paesi firmatari della convenzione -, da 
un lato tende ad assicurare l'equilibrio fra l'esigenza di evitare sprechi di 
attivit� processuale (ammettendo la decisione separata su una questione la 
cui soluzione appaia idonea a risolvere da sola la lite) e l'esigenza dell'economia 
del giudizio (ammettendo che il Giudice passi senz'altro alla valutazione 
di tutte le questioni se, risultata non risolutiva la decisione della prima 
di esse, non ritenga necessaria un'ulteriore istruttoria); e da un altro lato 
tende ad assicurare l'equilibrio fra le esigenze della difesa (lasciando, cio�, 
alla prudente valutazione di ciascuna delle parti l'opportunit� di prospettare 
ed approfondire tutte o alcune delle proprie difese) e la garanzia della maggior 
rapidit� del processo (evitando che la necessit� di decisioni separate 
ritardi la definizione del processo, con effetti pregiudizievoli per colui che 
chiede giustizia). 

In questo quadro, l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano 
rispetto al giudice straniero (la ripartizione di attribuzioni tra giudice 
italiano e giudice straniero nell'ordinamento processuale italiano attiene alla 
giurisdizione e non alla competenza), salvo che non sia rilevabile d'ufficio se 
il convenuto � contumace o comunque in materie particolari, � pu� essere 
rilevata soltanto dal convenuto costituito che non abbia accettato espressamente 
o tacitamente la giurisdizione italiana� (art. 37; la giurisprudenza 
ritiene che l'eccezione possa essere sollevata solo in limine litis, nella prima 
difesa, perch� altrimenti si configurerebbe un'accettazione tacita della giurisdizione 
italiana). Sollevata l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice 
italiano, il convenuto valuter� egli stesso se sia opportuno aggiungere 
anche eventuali altre eccezioni, o difese di merito, in via subordinata, in 
quanto il giudice istruttore potrebbe rimettere la causa al collegio per la 
decisione solo sulla questione di giurisdizione o su ogni altra questione, 
e nell'un caso e nell'altro il collegio potrebbe decidere solo sulla giurisdizione 
oppure, respinta l'eccezione di giurisdizione, entrare nel merito della 
causa, se ritenesse superflua una istruttoria ulteriore. 

4. -La convenzione di Bruxelles non ha modificato il sistema processuale 
suddetto. 
L'art. 20 dispone che l'incompetenza � dichiarata d'ufficio dal giudice 
se il convenuto non comparisca. L'art. 18 dispone che la competenza del 
giudice, che non avrebbe competenza, rimane ferma (salvo !i casi di competenza 
inderogabile) se il convenuto comparisce: la comparizione del convenuto, 
cio�, impedisce al giudice di dichiararsi incompetente (salvo, appunto, 
i casi di competenza inderogabile). La convenzione si �, per�, preoccupata 
di dare un'ulteriore garanzia al convenuto, consentendogli di evidenziare 
al giudice le ragioni per le quali egli ritiene che il giudice stesso non sia 
competente: e cos� la seconda parte del primo comma dell'art. 18 stabilisce 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONAL� 

che non si ha proroga della competenza � se la comparizione avviene... per 
eccepire 1a incompetenza�. 

Il testo francese della norma non pone alcuna difficolt� interpretativa: 
non si ha proroga di competenza se il convenuto compare ed eccepisce la 
incompetenza. Saranno ovviamente le norme nazionali a stabilire con quali 
formalit� ci� deve avvenire: non v'� alcun limite posto dalla convenzione. 
Coerentemente, la Relazione alla convenzione, a proposito dell'art. 18, avverte 
che � ...il convenuto potr�, basandosi sulla convenzione, invocare le disposizioni 
della medesima davanti al giudice adito e sollevare una eccezione 
di incompetenza�, precisando che � per stabilire fino a quando il convenuto 
potr� sollevare tale eccezione, nonch� per determinare il significato 
giuridico del termine " comparire ", bisogner� riferirsi alle norme di procedura 
in vigore nello Stato del giudice adito �. 

In questa prospettiva la convenzione non impedisce al convenuto che 
voglia far valere l'eccezione di incompetenza di aggiungere, in via subordinata, 
altre eccezioni e difese di merito: la compatibilit� della proposizione 
dell'eccezione con la proposizione delle tesi subordinate andr� valutata secondo 
le norme degli ordinamenti processuali dei singoli Stati. Nell'ordinamento 
italiano (e a quanto pare anche negli altri ordinamenti) la compatibilit� 
sussiste: anzi � prudente quel convenuto che, non essendo assolutamente 
certo della fondatezza deWeccezione di incompetenza, svolga le sue 
difese interamente e compiutamente anche nel merito. 

5. -Alle stesse conclusioni deve, per�, pervenirsi anche secondo i testi 
italiano, olandese e tedesco, malgrado che in questi vi sia l'avverbio � soltanto 
-nur -uitsluitend �. L'uso di questo avverbio, invero, non appare 
affatto decisivo: con esso si � voluto soltanto rafforzare il concetto della 
comparizione giustificata dall'esigenza di far valere con maggior efficacia 
l'eccezione di incompetenza, senza effetti sananti. 
La soluzione contraria, invero, non appare logica: 11 convenuto che 
ritenga il giudice incompetente per non soggiacere alla sua competenza o 
non dovrebbe comparire (con il rischio che il giudice non conoscendo bene 
tutti gli aspetti della vertenza, che il convenuto potrebbe prospettargli, si 
dichiari competente) o dovrebbe costituirsi e limitarsi ad eccepire la incompetenza 
(costringendo il giudice ad emettere in ogni caso una sentenza sulla 
sola competenza, con grave pregiudizio per l'economia dei giudizi). 

� stato obiettato che consentendo al giudice, davanti al quale � stata 
eccepita l'incompetenza, di pronunciarsi anche nel merito, si limita il diritto 
di difesa del convenuto. Ci� non � vero. In effetti il convenuto, sapendo che 
il giudice pu� ,anche decidere il merito, potr� ben svolgere tutte le sue difese 
di merito in linea subordinata: se non lo fa, ci� dipende dalla sua valutazione 
della fondatezza dell'eccezione di incompetenza e dall'affidamento che 
in essa ripone. 

Vi � piuttosto da considerare che, imponendosi al convenuto che voglia far 
valere la incompetenza di astenersi dal proporre altre difese subordinate, si 
apre una via facilissima per gravi abusi: ogni convenuto che intenda procrastinare 
l'esito del giudizio si costituir� sollevando un'eccezione (anche manifestamente 
infondata) di incompetenza del giudice adito, ottenendo un notevole 
prolungamento dei tempi necessari per definire il giudizio, in quanto costringerebbe 
il giudice ad emettere una sentenza sulla sola competenza. E questo 
� palesemente assurdo. 

6. -Ordunque, poich� il testo dell'art. 18 deve avere un unico significato, 
questo non pu� essere che quello indicato nel paragrafo 4 del presente scritto, 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 677 

Non costituisce violazione del trattato CEE il mancato ricorso ai 
procedimenti di cui all'art. 73 per quanto concerne restrizioni imposte 
ai movimenti di capitali che lo Stato membro interessato non sia tenuto 
a liberalizzare in forza delle norme comunitarie (2). 

L'art. 71, 1� comma, del trattato CEE (ai termini del quale gli Stati 
membri �procurano� di non introdurre nuove restrizioni) non impone 
agli Stati membri un obbligo assoluto, che possa essere invocato dai 
singoli (3). 

L'art.� 106, n. 3, del trattato CEE non si applica alla riesportazione di 
una somma precedentemente importata allo scopo di effettuare acquisti 
di carattere commerciale che risultano non essere stati realizzati. Nessun 
principio di diritto comunitario, nessuna delle disposizioni di questo 
diritto relative ai movimenti di capitali, n� le disposizioni dell'art. 106 
concernenti i pagamenti relativi agli scambi di merci garantiscono ai non 
residenti il diritto di riesportare banconote precedentemente importate 
allo scopo di realizzare negozi d'indole commerciale, ma non utilizzate (4). 

Per quanto concerne i movimenti di capitali e i trasferimenti di 
valuta che gU Stati membri non s�no tenuti a liberalizzare in base alle 
norme comunitarie, queste ultime non limitano il potere degli Stati 
membri di adottare misure di controllo e di imporre l'osservanza mediante 
sanzioni penali (5). 

(omissis) 1. Con ordinanza 6 ottobre 1980, pervenuta in cancelleria 
il 16 ottobre 1980, il Tribunale di Bolzano ha sottoposito a questa Corte, 
in forza dell'art. 177 del Trattato CEE, talune questioni pregiudiziali 
relative all'interpretazione degli artt. 67, 69, 71, 73 e 106 dello stesso 
Trattato, nonch� all'esis.tenza di vari principi di diritto comunitario, al 
fine di potersi pronunziare sUilla compatibilit� con detti articoli e principi 
di talune disposizioni della normativa italiana in materia valutaria. 

(1-5) La sentenza in rassegna ha accolto integralmente le tesi sostenute nell'interesse 
del Governo italiano con l'atto di intervento che riproduciamo nelle 
parti essenziali. 

Libera circolazione di capitali e disciplina valutarla. 

1. Premessa. La legislazione italiana in tema di esportazione materiale di 
valute. 
Il procedimento penale pendente davanti al Tribunale di Bolzano trae 
origine dal tentativo compiuto da un cittadino italiano non residente di esportare 
senza autorizzazione una certa quantit� di lire italiane e di marchi tedeschi. 

Vengono in discussione, perci�, le norme interne e le norme comunitarie 
che si riferiscono ad operazioni di questo genere, rientranti fra quelle che la 
nomenclatura allegata alla direttiva del Consiglio dell'll maggio ,1%0 (G.U.C.E. 



678 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di un procedimento 
penale pr~mosso nei confronti di un cittadino italiano, ,residente nella 
Repubblica federale di Germania, cui si fa carico di aver tentato di 
esportare daH'Italia, senza 'l'autorizzazione prescritta daLle norme valutarie 
italiane, fra l'altro la somma di 24.000 DM, di cui venne t!rovato in 
possesso il 16 luglio 1979 alla frontiera italo-austriaca. L'imputato ha 
sostenuto di aver importato in precedenza tale somma in Italia, senza 
dichiararla, per acquistare taluni macchinari necessari per ['impresa 
ch'egli gestisce in Germania, e di essere stato cos.tretto a riesportarla 
perch� la fabbrica presso la quale intendeva effettuare �l'acquisto era 
chiusa per ferie. 
3. -L'art. 14 del decreto ministeriale italiano 7 agosto 1978 (Gazzetta 
Ufficiale n. 220 dell'8 agosto 1978) consente la libera importazione di 
banconote estere. L'art. 13 dello stesso decreto dispone che l'esportazione, 
da parte di non residenti, di banconote estere � ammessa entro i 
limiti dell'ammontare precedentemente importato o dell'ammontare che 
12 luglio 1960, pag. 921) indica come � importazioni ed esportazioni materiali 
di valori� non finalizzate ad alcuno scopo particolare (voce XIII). 
In sintesi, la disciplina vigente in Italia � la seguente. 

L'importazione di biglietti di Stato e di banca esteri � libera sia per i residenti 
che per i non residenti (art. 14 del DM. 7 agosto 1978, in G.U.R.I. n. 220 
dell'8 agosto 1978. La norma riproduce analoghe disposizioni contenute in testi 
normativi precedenti) L'importazione di biglietti di Stato e di banca italiani 
� ammessa, invece, solo per importo limitato al seguito di viaggiatori residenti 

o non residenti. 
L'esportazione di biglietti di Stato e di banca italiani pu� effettuarsi, sia 
da parte dei residenti che dei non residenti, unicamente in base ad autorizza� 
zione ministeriale (art. 6, secondo comma, del D.L. 6 giugno 1956, n. 476, convertito 
nella legge 25 luglio 1956, n. 786). Per i biglietti di Stato e di banca esteri, 
va ricordato, anzitutto, che per i residenti sussiste in Italia l'obbligo di offrire 
in cessione all'Ufficio Italiano dei Cambi tutte le valute estere di cui siano in 
possesso (art. 8 D.L. 6 giugno 1956, n. 476). Essi possono, tuttavia, ottenere 
determinate assegnazioni di valuta, con l'autorizzi:tzione all'esportazione, quando 
si recano all'estero per scopi di turismo, affari, studio o cura (art. 10 del 

D.L. 6 giugno 1956, n. 476). Al di fuori di questa ipotesi, l'esportazione materiale 
di biglietti di Stato o di banca esteri da parte di residenti (che si siano sottratti 
all'obbligo di cessioni all'U.I.C.) costituisce un illecito. I non residenti, invece, 
possono legittimamente possedere valute estere, sia che le abbiano importate 
(come si � detto, non vi sono limiti all'importazione), sia che le abbiano legittimamente 
acquisite in Italia. Essi sono autorizzati ad esportare tali valute, ma 
devono naturalmente comprovarne il legittimo possesso (precedente importazione 
o acquisto in Italia) secondo modalit� stabilite dal Ministero del commercio 
con l'estero (art. 13, lett. b), del D.M. 7 agosto 1978, in G.U.R.I. n. 220 dell'8 agosto 
1978. Anche questa norma riproduce analoghe disposizioni contenute in 
precedenti testi normativi). 
Per quanto riguarda, in particolare, i biglietti di Stato o di banca precedentemente 
importati da non residenti, le disposizioni emanate dal Ministero 
del commercio con l'estero a norma del richiamato art. 13 stabiliscono che 



679

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

ha formato oggetto di :legittimo acquisto in Italia, da provare secondo le 
modalit� stabilite dal Ministro del commercio con l'estero. Tali modalit� 
sono state staMlite, in particolare, con circolare 3 maggio 1974, n. A/300, 
deM'Ufficio Ina:liano dei Cambi, la quale, al n. 11, dispone che i non Tesidenti 
possono ,riesportare H denaro denunciato a mezzo del � modello V 2 � 
all'atto dell'entrata in Italia. 

4. -A norma dell'art. 1 della legge 30 aprile 1976, n .159, ['esportazione 
non autorizzata di divise per un valore superiore a 500.000 lire � 
punita 1con la J:eclusione da uno a sei anni e con una multa d'importo 
variabile dal doppio al quadruplo del valore delle divise esportate. Prima 
del 1976 tali infrazioni costituivano soltanto illeciti amministrativi, e non 
reati, ed erano punite solo con sanzioni amministirative consistenti nel 
pagamento di una somma fino al quintuplo del valore dei beni esportati. 
5. -Nell'ordinanza di rinvfo il giudice nazionale si J:ichiama alla 
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, sec()[}do cui il non 
l'autorizzazione automatica all'esportazione � condizionata al possesso della 

� dichiarazione di possesso di valute e titoli� (c.d. �modello V2 �) ricevuta 

e vistata dalla Dogana all'atto dell'ingresso nel territorio italiano (questo docu


mento � necessario, non solo per la riesportazione, ma anche per ogni altro 

impiego consentito in Italia, per il quale sia richiesta la dimostrazione della 

regolare pertinenza estera). Ci� non significa, tuttavia, che, in mancanza del 

� mod. V2 �, il non residente non possa in alcun modo esportare la valuta da 

lui legittimamente posseduta. Ha, infatti, ritenuto la Corte di Cassazione (nel


la sentenza del 12 aprile 11980, n. 4779, richiamata anche dall'ordinanza del Tribu


nale di Bolzano) che � sempre possibile per il non residente che non sia in 

possesso del modello V2 (e che, quindi, non possa avvalersi dell'autorizzazione 

generale accordata dalle norme richiamate) chiedere alle competenti autorit� 

amministrative un'autorizzazione specifica, fornendo in quella sede sufficienti 

elementi di prova della precedente importazione. 

La violazione dei precetti richiamati si concreta, quindi, nell'esportazione 

(o nel tentativo di esportazione) di valute estere che non abbiano formato 

oggetto di regolare assegnazione ad un residente con autorizzazione all'<espor


tazione, ovvero di valute estere detenute da un non residente che non sia in 

possesso n� del documento prescritto in generale per comprovarne la legittima 

provenienza (precedente importazione o acquisto in Italia), n� di un'autorizza


zione specifica. Per gli illeciti di questo tipo, la legge valutaria (D.L. 6 giugno 

1956, n. 476, convertito nella legge 25 luglio 1956, n. 786, art. 15) prevedeva origina


riamente una sanzione di carattere amministrativo consistente nel pagamento 

di una somma fino al quintuplo del valore delle valute oggetto dell'esportazione 

illecita o del tentativo di esportazione. Con l'art. 1 del decreto legge 4 marzo 

1976, n. 31 (nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 23 dicemb11e 1976, n. 863) 

� stata introdotta, ove il valore dei beni esportati superi le lire 500 mila, una 

sanzione di carattere penale (reclusione da uno a sei anni e multa dal doppio 

al quadruplo del valore dei beni esportati, ovvero solo multa dalla met� al triplo 

del valore medesimo, se questo non eccede le lire 5 milioni), applicabile a � chiun


que, senza l'autorizzazione prevista dalle norme in materia valutaria, ovvero 

con autorizzazione indebitamente ottenuta, esporta con qualsiasi mezzo fuori 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

680 

residente che, avendo omesso di compilare il modello V 2 all'atto della 
entrata nel territorio italiano, tenti di .riesportare la valuta ch'egli afferma 
avere legittimamente importato, commette itl reato di cui all'airt. 1 della 
legge n. 159 del 1976. 

6. -Tenuto conto di tali circostanze, il giudice nazionale chiede alla 
Corte di risolvere le seguenti questioni: 

� 1) Se, dopo la scadenza del periodo transitorio, le restrizioni ai 
movimenti di capitali di cui all'art. 67 del Trattato CEE si debbano 
intendere soppresse, indipendentemente da quanto disposto dal successivo 
art. 69. 

2) Se 1'omissione, da parte del Governo italiano, della procedura 
di consultazione, stabilita nell'art. 73 del Trattato, in relazione d.1. 
4 marzo 1976, n. 31, convertito in legge 30 aprile 1976, n. 159, determini violazione 
del Trattato medesimo. 

3) Se un principio o una norma del Trattato garantiscano al non 
residente il diritto di riesportare la valuta precedentemente importata e 
non utilizzata, anche se convertita in Lire italiane. 

del territorio dello Stato valuta nazionale od estera, titoli azionari od obbligazioni, 
titoli di credito, ovvero altri mezzi di pagamento�. 

2. Le disposizioni comunitarie in tema di esportazione materiale di valute. 
L'art. 69 del Trattato dispone, com'� noto, che � il Consiglio, deliberando su 
proposta della Commissione, che all'uopo consulta li Comitato monetario di cui 
all'articolo 105, stabilisce, all'unanimit� nel corso delle due prime tappe e a 
maggioranza-qualificata in seguito, le direttive necessarie alla progressiva attuazione 
delle disposizioni dell'articolo 67 �, e cio� le direttive necessarie 
affinch� si pervenga, �nella misura necessaria al buon funzionamento del 
mercato comune �, alla graduale soppressione delle restrizioni ai movimenti 
dei capitali appartenenti a persone residenti negli Stati membri. 

Il Consiglio, avvalendosi del potere attribuitogli da questa disposizione, 
ha emanato la direttiva dell'll maggio 1960 (in G.U.C.E. 12 luglio 1960, pag. 921), 
modificata dalla successiva direttiva 63/21/CEE del 18 dicembre 1962 (in G.U.C.E. 
22 gennaio 1963', pag. 62). Per quanto si dir� pi� oltre, commentando il primo 
quesito posto dal Tribunale di Bolzano, la disciplina contenuta in queste due 
direttive � tuttora in vigore e costituisce il quadro normativo comunitario entro 
il quale devono muoversi le legislazioni degli Stati membri. Su di essa, perci�, 
� necessario soffermarsi brevemente. 

Le direttive prendono in considerazione tutte le possibili forme di movimenti 
di capitali e le distinguono (allegato I) in quattro categorie. I movimenti 
di capitali di cui alla prima categoria sono completamente liberalizzati, nel 
senso che gli Stati membri sono tenuti ad accordare ogni autorizzazione di 

cambio necessaria per la conclusione o l'esecuzione delle transazioni che hanno 
ad oggetto tali movimenti. Si tratta, in sostanza, delle operazioni pi� intimamente 
connesse con il funzionamento del mercato comune (investimenti diretti; 
investimenti immobiliari; emigrazione; ecc.). I movimenti della seconda categoria 
(elenco B: operazioni in titoli trattati in borsa) devono esser consentiti 
mediante autorizzazioni generali per la conclusione o l'esecuzione delle relative 

..........J 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 681 

4) Ln caso affermativo, se l'eventuaile inadempimento di formalit� 
prescritte dalla [egislazione valutaria dello Stato dal quale le somme sono 
riesportate al seguito, nelle circostanze anzidette, possano essere punite 
con pene che comportano la confisca della valuta, la multa fino a cinque 
volte l'ammontare della valuta stessa, nonch� la restrizione della libert� 
personale fino a cinque am1i (salvo maggiorazioni nel caso di concorso 
di pi� persone). 

5) Se, nel caso di risposta affermaitiva al precedente quesito, l'eventuale 
inadempimento aHe formalit� come sopra possa comportare pene 
della stessa gravit� di quelle comminate per l'esportazione iMecita di 
valuta. 

6) Se, dopo la scadenza del periodo transitorio, debba considerarsi 
compatibile con gli obblighi di � standstiill � enunciati dagli artt. 71 e 
106 (3) una legge interna che aggravi le sanzioni comminate da altra 
precedente come quando vengono punite con detenzione e multa, configurandole 
quali delitti, infrazioni ila cui inosservanza era precedentemente 
punita con sarizioni amministrative. 

transazioni. La terza categoria (elenco C: operaziom m titoli non trattati in 
borsa; emissione di titoli sul mercato estero; concessione di prestiti a medio 
e lungo termine) non forma oggetto, invece, di una previsione di liberalizzazione 
incondizionata: gli Stati membri possono, infatti, ove lo richieda la realizzazione 
degli obiettivi della loro. politica economica, mantenere o ristabilire le 
restrizioni valutarie ai relativi movimenti di capitali, restando attribuito alla 
Commissione il potere di emanare raccomandazioni in proposito. 

Tutti i movimenti di capitali non compresi in queste tre prime categorie 
rientrano nell'elenco D, che espressamente contempla, fra l'altro, proprio la fattispecie 
che interessa la presente controversia,� e cio� l'importazione o l'esportazione 
materiale di valori (titoli, mezzi di pagamento e oro) non destinata alla 
realizzazione di una delle operazioni� contemplate dalle altre voci dei quattro 
elenchi. Per questi movimenti (che non interessano in alcun modo il buon 
funzionamento del mercato comune) non � prevista alcuna misura obbligatoria 
di liberalizzazione. Gli Stati membd non hanno, infatti, altro obbligo che quello 
di comunicare alla Commissione le variazioni apportate alle disposizioni che 
di:soi:piliinWllO questa categoriJa di movimenti di oapi1JaJii (art. 7, secondo comma, 
della prima direttiva). 

Al di fuori. di questo obbligo di informazione, pu� affermarsi, quindi, che 

una disciplina comunitaria sostanziale in tema di importazione ed esportazione 

materiale di valori a tutt'oggi non esiste. 

3. Sul primo quesito. 
3.1.-Il Tribunale di Bolzano chiede se, dopo la scadenza del periodo tran


sitorio, tutte le restrizioni ai movimenti di capitali di cui all'art. 67 del Trattato� 

si debbano intendere automaticamente soppresse, indipendentemente da quanto 

disposto dal successivo art. 69 e dalle richiamate direttive di attuazione. 

La risposta non pu� che essere negativa. 

La lettera dell'art. 67 � molto chiara nel senso che la soppressione delle 
restrizioni ai movimenti di capitali dev'essere attuata soltanto �nella misura 
necessaria al buon funzionamento del mercato comune �. Come ha esattamente 



-



682 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

7) Se il principio secondo :il quale situazioni wsuguali non possono 
essere trattate in modo uguale (compreso anch'esso nel divieto di discriminazione 
di cui tra l'altro all'art. 7 del Trattato) consenta che le mede


1

sime pene inflitte da uno Stato membro per l'esportazione iillecita di 
valuta o per l'inadempimento 'di formailit� vaiutarie, si appliohino indiscriminata19ente, 
tanto ai residenti in quello Stato, quanto ai rnon 
residenti. 

8) Se dopo la scadenza del periodo transitorio debbano considerarsi 
compatibili con gli artt. 67, 71 e 106 (3) del Trattaito, disposizioni 
inteme che prescrivano determinate formalit� al fine de!ll'ese:rdzio del 
pur riconosciuto diritto di riesportare capitaili, precedentemente importati, 
ponendo l'adempimento di tali formaliit:� quale prova esclusiva della 
precedente importazione, cos� in sostanza sanzionando penalmente la 
loro omissione �. 

osservato l'Avvocato generale Mayras nelle conclusioni presentate nella causa 

n. 7/78 (Regina c. Thompson, Racc. 1978, pag. 2287), non �, perci�, possibile 
riconoscere alla norma efficacia diretta n� ammettere che la stessa attribuisca 
diritti soggettivi a singoli individui. 
� illuminante, in proposito, il confronto con le altre norme del Trattato 
che subordinano la propria ,applicazione alla sola condizione temporanea della 
scadenza del periodo transitorio, dettando, per il resto, precisi e tassativi obblighi 
di risultato che gli Stati membri devono assolutamente conseguire al pi� tardi 
alla detta scadenza. Cos�: gli artt. 30 e 34, che tassativamente vietano ogni 
restrizione quantitativa all'importazione e all'esportazione di merci nonch� qualsiasi 
misura di effetto equivalente; l'art. 48, che pone l'obbligo incondizionato 
di assicurare, al pi� tardi al termine del periodo transitorio, la libera circolazione 
dei lavoratori; l'art. 52, che ugualmente pone una precisa obbligazione di 
risultato, consistente nella soppressione delle restrizioni alla libert� di stabilimento; 
l'art. 59 che detta identica norma per le restrizioni alla libera prestazione 
dei servizi all'interno della Comunit�; ecc. 

Relativamente a queste e ad altre analoghe previsioni, codesta On. Corte 
di Giustizia ha avuto pi� volte occasione di affermare il principio secondo cui 
l'efficacia diretta delle disposizioni del Trattato che dettano precisi obblighi di 
risultato da conseguire entro un termine tassativamente indicato non pu� essere 
esclusa n� affievolita dalla circostanza che tali obblighi non siano stati osservati 
da determinati Stati membri o che le istituzioni della Comunit� non abbiano 
emanato, durante il periodo transitorio, le norme di attuazione. Ma ben diversa 
�, evidentemente, la situazione normativa nascente dal dettato dell'art. 67. Questa 
norma, infatti, non pu� considerarsi per s� completa e giuridicamente perfetta. 
Essa non pone alcun preciso obbligo di risultato da conseguirsi entro la fine del 
periodo transitorio, ma stabilisce soltanto un principio, una linea di tendenza, 
la cui attuazione � legata al verificarsi di una condizione (che la soppressione 
di una determinata restrizione sia � necessaria al buon funzionamento del mercato 
comune�) il cui apprezzamento implica necessariamente l'esercizio, non di 
semplici poteri di accertamento obiettivo dei fatti, ma di veri e propri poteri di 
valutazione largamente discrezionale dell'interesse della Comunit�. 

Come si legge nelle citate conclusioni dell'Avvocato Generale Mayras, mentre 
le altre norme del Trattato pi� sopra richiamate subordinano la propria 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 683 

7. -Tali questioni possono essere divise in due gruppi. Le prime 
tre e la sesta concemono soprattutto l'interpretazione delle disposizioni 
del Trattato relative ai movimenti di capitali e ai trasferimenti di vafluta. 
Le altre riguardano gli eventuali limiti imposti da'l diritto comunitario 
alle norme penali o di procedura penale che gli Stati membri hanno 
adottato in 'Settori aventi relazione con tale diritto. 
Sull'interpretazione delle disposizioni relative ai movimenti di capitali e 
ai trasferimenti di valuta. 

8. -La prima questione concerne l'efficacia deH'aa:t. 67, e pi� esattamente 
del n. 1 di questo, dopo la 'scadenza del periodo transitorio. Questo 
articolo apre il capitolo relativo ai capitoli, compreso nel titolo concernente 
la �libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali�, 
il quale figura nella parte seconda del Trattato intitolata �Fondamenti 
della Comunit� �. La struttura di tali disposizioni corrisponde aU'enumerazione, 
di cui all'.art. 3 del Trattato, dei mezzi contemplati per la realizza-
piena applicazione alla sola scadenza del periodo transitorio, � l'art. 67 subordina 
la graduale soppressione delle restrizioni ai movimenti di capitali ad una 
condizione temporanea e ad una condizione permanente. Pur ammettendo che 
il periodo transitorio previsto per la soppressione delle misure d'effetto equivalente 
alle restrizioni quantitative all'importazione e all'esportazione delle merci 
si applichi altres� alla soppressione delle restrizioni alla libera circolazione dei 
capitali, la clausola " nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato 
comune" rimane sempre valida, anche dopo la scadenza del periodo transitorio. 
Lo stesso criterio del " buon funzionamento del mercato comune � deve altres� 
guidare l'azione della Comunit�, per esempio, in materia di ravvicinamento delle 
legislazioni nazionali (art. 3, h) �, 

Il richiamo all'art. 3 h appare, in realt�, quanto mai appropriato e dimostra 

all'evidenza come l'apprezzamento della necessit� di una determinata misura al 

buon funzionamento del mercato comune appartiene sempre, per sua stessa 

natura, alla sfera delle valutazioni politiche, che possono competere soltanto 

agli organi legislativi della Comunit� e degli Stati membri. E cos�, anche nel 

caso dell'art. 67, lo stabilire se la soppressione di una determinata restrizione 

ai movimenti di capitali sia o non sia richiesta dalle esigenze di buon funzio


namento del mercato comune implica necessariamente una valutazione di merito, 

che non pu� non rientrare nella competenza esclusiva del Consiglio a norma 

dell'art. 69. 

La concreta attuazione del principio enunciato dall'art. 67 �, perci�, neces


sariamente rimessa, anche dopo la scadenza del periodo transitorio, alle dispo


sizioni che il Consiglio deve emanare ai sensi dell'art. 69. Il �buon fuonziona


mento del mercato comune � non �, infatti, un traguardo che possa dirsi mai 

raggiunto una volta per tutte. L'adeguamento del regime dei movimenti dei 

capitali a questo valore fondamentale esige (esattamente come il ravvicina


mento delle legislazioni nazionali), uno strumento di intervento continuo e non 

limitato nel tempo, che possa tener conto delle mutevoli e complesse circo


stanze atte ad influire, di volta in volta, sulla realizzazione degli interessi com


plessivi della comunit�. E ci� conferma che solo attraverso l'emanazione delle 



PARIB I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 685 

10. -Per questi motivi, l'art. 67, n. l, differisce dalle disposizioni 
concernenti la libera circolazione delle merci, delle persone e dei servizi, 
nel senso che l'obbligo di liberalizzare i movimenti di capitali � contemplato 
solo � nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato 
comune �. L'ampiezza di tale limitazione, che perdura dopo la scadenza 
del periodo transitorio, varia nel tempo e dipende dall'apprezzamento 
delle necessit� del mercato comune e dalla va!lutazione sia dei vantaggi 
.sia dei rischi che Ia liberalizzazione potrebbe presentare per detto mercato, 
tenuto conto della situazione del momento e, in ispecie, del grado 
d'integrazione raggiunto nei settori per i quali i movimenti di capitali 
hanno un'importanza particolare. 
11. -Tale valutazione spetta, in primo �luogo, al Consiglio, secondo 
il procedimento contemplato dall'art. 69. In base a quest'ultimo il Con-
Appunto in funzione di� questa scelta di fondo operata dall'art. �104 del 
Trattato si spiega perfettamente l'assenza, negli artt. 67 e 69, di vincoli rigidi 
e tassativi in tema di disciplina dei movimenti di capitali. Non sarebbe, infatti, 
coerente con l'attribuzione ai singoli Stati membri della responsabilit� della 
politica monetaria l'imposizione di un obbligo incondizionato e illimitato di 
liberalizzazione dei trasferimenti di valuta senza contestuale corrispettivo. La 
disciplina dei movimenti di capitali �, per larga parte, strumentale ed accessoria 
rispetto alle misure tendenti all'equilibrio della bilancia dei pagamenti e alla 
difesa del valore della moneta. Non si comprenderebbe, perci�, il senso di 
un'ipotetica disposizione che mirasse a sottrarre del tutto questo essenziale 
strumento di intervento agli Stati membri, che pur restano responsabili del 
raggiungimento degli scopi di politica monetaria indicati dall'art. 104. 

Il problema che si pone, in realt�, � quello di assicurare un giusto equilibrio 

fra le due esigenze, ugualmente essenziali per il buon funzionamento del mer


cato comune, di pervenire, da un lato, alla massima possibile liberalizzazione 

dei trasferimenti di capitali e di garantire, dall'altro, la massima possibile ef


ficacia alle misure adottate dagli Stati membri per raggiungere la stabilit� dei 

cambi e dei prezzi interni. Ed � appunto questo problema che l'art. 69 risolve 

nella maniera pi� logica e razionale, attribuendo, cio�, al Consiglio in via per


manente (e non solo durante il periodo transitorio) quel potere di direttiva 

che � l'unico idoneo ad assicurare, con la necessaria duttilit� e nei modi di volta 

in volta adeguati alle mutevoli circostanze, l'equilibrato e contemporaneo perse


guimento tanto del fine di ampliare, per quanto pi� � possibile, la libert� di 

trasferimento di risorse finanziarie, quanto di quello di consentire (sempre nel


l'interesse del buon funzionamento del mercato comune) un reale ed efficace 

controllo dei flussi monetari idonei ad incidere pesantemente sulle bilance dei 

pagamenti degli Stati membri. 

La stretta connessione esistente fra la disciplina dei movimenti dei capitali 

e quella della bilancia dei pagamenti � attestata anche dall'art. 71, secondo 

comma, per il quale gli Stati membri � si dichiarano disposti ad andare oltre 

il livello di liberalizzazione dei capitali previsto dagli articoli precedenti, nella 

misura in cui ci� sia loro consentito dalla situazione economica, in particolare 

dalla situazione della loro bilancia dei pagamenti �, 

Questa stessa disposizione costituisce, d'altra parte, la riprO'Va pi� chiara 

ed evidente dell'impossibilit� di intendere l'art. 67 come rivolto ad attuare 

6 



686 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

siglio ha adottato due direttive, la prima in data 11 maggio 1960 (G. U. 
del 12 luglio 1960, pag. 921) e la seconda, che integra e modifica la prima, 
in data 18 dicembre 1962 (G. U. del 22 gennaio 1963, pag. 62). Negli allegati 
delle due direttive l'insieme dei movimenti di capitali � suddiviso in 
quattro categorie (elenchi A, B, C e D). Per i movimenti inclusi negli 
elenchi A e B le direttive prescrivono una iliberalizzazione incondizionata. 
Per quel che concerne invece i movimenti di cui all'elenco C, le direttive 
autorizzano gli Stati membri a mantenere in vigore o a ripristinare restrizioni 
valutarie vigenti alla data dell'entrata in vigoTe della prima direttiva, 
qualora la libert� di tali movimenti possa ostacolare la realizzazione 
degli scopi della politica economica dello Stato interessato. Infine, per 
i movimenti di cui all'elenco D le direttive non impongono agli Stati 
membri alcun provvedimento di liberalizzazione. In quest'ultimo elenco 
figurano, fra l'altro, l'importazione e l'esportazione materiale di valori, 
comprese le banconote. 

un'automatica e completa liberalizzazione dei movimenti di capitali. Se cos� 
fosse, .non avrebbe senso, infatti, l'indicazione di una linea di tendenza volta 
(ad � an<lare oltre � il livello di liberalizzazione (evidentemente solo parziale e 
limitato) previsto dagli artt. 67 e seguenti. 

3.3. � Le considerazioni svolte portano, quindi, a concludere che la realizzazione 
del principio posto dall'art. 67 del Trattato � rimessa alle disposizioni 
attuative che il Consiglio deve emanare a norma dell'art. 69. Ne consegue, 
naturalmente, che le disposizioni emanate durante il periodo transitorio conservano 
la loro piena validit� ed efficacia anche dopo la scadenza del periodo 
stesso. E poich� tali disposizioni, come gi� abbiamo sottolineato, non contemplano 
alcuna misura di liberalizzazione delle esportazioni materiali e immotivate 
di valute, il quesito posto dal Tribunale di Bolzano nel caso di specie 
risulta privo di oggetto. 
Vogliamo darci carico, tuttavia, dell'ipotesi che le direttive del Consiglio 
del 1960 e del 1962 si ritengano, invece, caducate fin dalla scadenza del periodo 
transitorio e che, a partire dalla stessa scadenza, si debba attribuire efficacia 
diretta all'art. 67. Ci� significherebbe, non certo che tutte le restrizioni ai 
movimenti di capitali siano venute automaticamente meno (la limitazione posta 
dall'art. 67 non si pu�, invero, considerare come non scritta), ma soltanto che 
la compatibilit� di ogni singola restrizione con le esigenze del � buon funzionamento 
del mercato comune � dovrebbe essere di volta in volta valutata direttamente 
dai giudici. Nel nostro caso si tratterebbe, perci�, di stabilire se sia 
�ompatibile con quelle esigenze una norma che consente ai non residenti di 
esportare valuta estera soltanto nel limite, adeguatamente comprovato, di una. 
precedente importazione o di un legittimo acquisto effettuato all'interno. 

Orbene, appare del tutto evidente che non pu� sussistere alcun ragionevole 
dubbio suHa perfetta compatibilit� di una simile disciplina con il buon funzionamento 
del mercato comune. Pi� in generale, anzi, bisogna dire che un'ipotetica, 
completa libert� di effettuare importazioni ed esportazioni materiali di 
mezzi di pagamento in nulla gioverebbe al commercio infracomunitario, ma 
solo renderebbe estremamente agevoli i movimenti speculativi pi� rovinosi per 
il complessivo equilibrio monetario della Comunit�. 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA. E INTERNAZIONALE 687 

12. -Si devr, concludere che l'obbligo, sancito dall'art. 67, n. 1, 
di a~olire le restrizioni ai movimenti di capitali non pu� essere precisato, 
in relazione ad una categoria determinata di tali movimenti, indipendentemente 
dalla valutazione effettuata dal Consiglio, nell'ambito dell'art. 
69, circa la necessit� di liberalizzare detta categoria per il buon 
funzionamento del mercato comune. II Consiglio ha finora dtenuto che 
tale necessit� non sussista per quanto concerne l'esportazione di banconote 
-operazione di cui si fa carico alJ'imputato nella causa principale 
-e nulla autorizza a credere che, con tale presa di posizione, esso 
abbia ecceduto i limiti del suo potere discrezionale. 
13. -La prima questione dev'essere pertanto risolta come segue: 
l'art. 67, n. 1, va interpretato nel senso che le restrizioni all'esportazione 
di banconote non possono intendersi soppresse dopo la scadenza del 
periodo transitorio, indipendentemente da quanto disposto dall'art. 69. 
La prova pi�t chiara di tutto ci� � data dalla considerazione che, in materia 
di importazione ed esportazione materiale di valute, le legislazioni nazionali di 
tutti gli Stati membri sono sempre state, e tuttora sono, molto restrittive, senza 
che in ci� sia mai stato avvertito alcun ostacolo all'attuazione dei principi fondamentali 
del mercato comune. La liberalizzazione. del movimento dei capitali 
�, infatti, funzionale alle esigenze del mercato comune solo nel limite in cui contribuisce 
al fine dell'ottimizzazione delle strutture economiche (art. 2), consentendo 
investimenti diretti in tutta l'area della Comunit�. A ci� pu� aggiungersi 
l'esigenza di ravvicinare le condizioni di finanziamento delle imprese operanti 
nella Comunit�, nonch� l'esigenza di rendere effettiva la libert� di stabilimento. 
Appunto a questi fini opportunamente provvedono le direttive del 1960 e del 
1962. Ma una ipotetica estensione indiscriminata, al di l� di essi, del principio 
della liberalizzazione, fino a comprendervi perfino i trasferimenti puri e semplici 
di mezzi di pagamento non finalizzati ad alcuno scopo particolare, non 
servirebbe pi�, in alcun modo, al buon funzionamento del mercato comune, ma 
servirebbe soltanto ad agevolare � fughe � di capitali a puri fini di evasione 
fiscale, nonch� a favorire pericolosi movimenti speculativi di � hot mon~y � e 
a rendere impossibile ogni efficace politica congiunturale. 

4. Sul secondo quesito. 
Il Tribunale di Bolzano chiede se l'omissione, da parte del Governo italiano, 
della procedura stabilita nell'art. 73 del Trattato in sede di emanazione del 

D.L. 4 marzo 1976, n. 31 costituisca violazione del Trattato medesimo. 
Cosi posto, il quesito � evidentemente irricevibile. Il procedimento previsto 
dall'art. 177 non �, infatti, utilizzabile per chiedere alla Corte di Giustizia di 
pronunciarsi su presunte violazioni del Trattato da parte di uno Stato membro, 
ovvero di pronunciarsi sull'interpretazione di una norma interna e sulla sua 
compatibilit� con il diritto comunitario. 

Per quanto riguarda, comunque, l'interpretazione dell'art. 73 del Trattato, 
pu� osservarsi che questa norma, tenuto conto di quanto si � detto circa la 
portata degli artt. 67 e 69, ha una sfera di efficacia ben delimitata e che essa 
mira a consentire che, dopo l'intervenuta emanazione di concrete misure di 
liberalizzazione ai sensi dell'art. 69, uno Stato membro possa temporaneamente 
tornare sui suoi passi e ristabilire, per motivi contingenti, restrizioni gi� 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

14. -La seconda questione del giudice nazionale concerne la clausola 
di salvaguardia contenuta nell'art. 73. Questo articolo consente agli 
Stati membri di istituire, a determinate condizioni e secondo determinate 
procedure, restrizioni che essi sarebbero altrimenti, in base aMe norme 
generali sui movimenti di capitali, tenuti a non imporre. Esso non si 
applica nel caso di restrizioni la cui istituzione sia gi� consentita in forza 
delle suddette norme generali. 
15. -Tenuto conto delJa soluzione della prima questione, per risolvere 
la seconda � sufficiente dichiarare che non costituisce violazione del 
T.rattato il mancato ricorso alle procedure di cui all'art. 73 per quainto
1

concerne ;restrizioni imposte ai movimenti di capitali che lo Stato membro 
interessato non sia tenuto a liberalizzare in forza delle norme comunitarie. 


abolite in via generale. La norma, perci�, non ha alcuna possibilit� di trovare 
applicazione nei casi, come quello delle generiche importazioni o esportazioni 
materiali di valute, per i quali nessuna disposizione di liberalizzazione sia stata 
emanata. 

5. Sul terzo quesito. 
La risposta appare implicita in quanto gi� si � detto: nessuna norma o 
principio comunitario si occupa delle esportazioni materiali di mezzi di paga� 
mento non finaJi7.z;ite a particolari scopi se non per escludere, rispetto ad esse, 
ogni misura obbligatoria di liberalizzazione. Ci� riguarda, naturalmente, anche 
le valute precedentemente importate da non residenti. 

6. Sul sesto quesito. 
Cambiando l'ordine seguito dall'ordinanza, appare opportuno occuparst, 
prima degli altri, del sesto quesito, con il quale, in sostanza, si chiede se gli 
articoli 71 e 106 del Trattato pongano degli obblighi di � standstill � e se tali 
obblighi riguardino anche l'ipotesi in cui vengano punite con detenzione e 
multa infrazioni (non modificate nella loro configurazione) precedentemente 
punite con sanzioni amministrative. 

Sul secondo punto, appare chiaro che la risposta deve essere negativa. Le 
� nuove restrizioni � alle quali si riferiscono l'art. 71 e l'art. 106, par. 3, sono, 
evidentemente, soltanto i nuovi divieti di compiere determinate operazioni, 
nonch� le nuove e pi� restrittive condizioni alle quali venga subordinata la 
liceit� di altre operazioni. Del tutto diverso e irrilevante rispetto ai fini perseguiti 
dalle due norme � invece il caso in cui un'attivit� gi� qualificata come 
illecita e, come tale, colpita da determinate sanzioni venga successivamente assoggettata 
a sanzioni pi� gravi. La � restrizione�, ossia il divieto di compiere 
quella determinata attivit� resta, in tal caso, del tutto immodificata, n� ha 
importanza, ai fini del diritto comunitario, la qualit� o la misura delle sanzioni 
che alla violazione del divieto conseguono e che dipendono da mutevoli valutazioni, 
da parte del legislatore nazionale, della loro efficacia dissuasiva. 

Tale considerazione appare assorbente. Pu� aggiungersi, tuttavia, che il 
richiamo all'art. 106, par. 3, non � giustificato. Questa norma si riferisce, infatti, 
ai soli trasferimenti relativi alle transazioni invisibili enumerate nell'allegato III, 
fra i quali non sono comprese le importazioni ed esportazioni materiali di mezzi 
di pagamento non finalizzate ad alcun particolare scopo. 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

689 

16. -Con la terza questione si chiede, in sostanza, se un princ1p10 
di diritto comunitario o una norma del Trattato garantiscano al non 
residente il diritto di riesportare valuta precedentemente importata e non 
utilizzata.. 
17. -Va innanzitutto rilevato che, come emerige da1le soluzioni fornite 
alle prime due questioni, il grado di Hberalizzazione dei movimenti 
di capitali e la graduale abolizione delle restrizioni valutarie non scaturiscono 
da un principio generale, ma sono di,sciplinati dagli artt. 67 e 69 
del T.rattato e dalle menzionate direttive 11 maggio 1960 e 18 dicembre 
1962, adottate per l'attuazione degli stessi. Si deve tuttavia accertare se 
nei settori in cui, a norma di dette disposizioni, i movimenti di capitali 
non devooo ancora essere obbligatoriamente libera!lizzati -come nel caso 
dei trasferimenti di valuta in contanti -i soggetti dell'ordinamento 
comunitario usufruiscono di diritti che gli Stati membri sono tenuti 
a rispettare in forza delle norme di � standstill � di cui all'art. 71 del 
Quanto, poi, all'art. 711, � evidente che esso non pone alcuna vera obbligazione 
di standstill. La stessa formula letterale adoperata (nel testo italiano: � Gli 
Stati membri procurano di non introdurre nuove restrizioni �; nel testo francese: 
� ... s'efforcent de ... �; nel testo tedesco: � ... werden bestrbt sein �) indica 
chiaramente che il comportamento previsto non � configurato come obbligatorio, 
ma solo come oggetto di una dichiarazione rinforzata di intenzioni. Ben 
diversamente, infatti, si esprimono le norme del Trattato che pongono veri e 
propri obblighi di consolidazione, come, ad es., l'art. 12 (�Gli Stati membri si 
astengono dall'introdurre tra loro nuovi dazi doganali�), l'art. 31 (�Gli Stati 
membri si astengono dall'introdurre tra loro nuove restrizioni quantitative e 
misure di effetto equivalente�), l'art. 53 (�Gli Stati membri non introducono 
nuove restrizioni aillo stabilimento nel loro territorio dei cittadini degli altri 
Stati membri�), l'art. 76 (� ... Nessuno degli Stati membri pu� rendere meno 
favorevoli.. le varie disposizioni che disciplinano la materia all'entrata in vigore 
del presente Trattato�), ecc. 

Risulta, del resto, chiaramente dai lavori preparatori che la ben diversa 
formula dell'art. 71 fu introdotta, su proposta delle delegazioni belga, olandese e 
italiana, proprio in base alla considerazione che non sarebbe stato equo imporre, 
in questo settore, un vero e proprio obbligo di standstill. Vi erano, infatti, 
alcuni Stati membri dell'istituenda Comunit� che, avendo gi� raggiunto un 
livello molto progredito in materia di libera circolazione di capitali, non avrebbero 
potuto mantenere in futuro la situazione esistente prima del Trattato. 
D'altro canto, le particolari esigenze del mercato comune ben avrebbero potuto 
rendere necessario di modificare le basi stesse e i metodi della gi� attuata 
disciplina liberalizzatrice del movimento di capitali (cfr.: Commentario del 
Trattato istitutivo della e.E.E., diretto da Quadri, Monaco e Trabucchi, vol. I, 
Milano, 1965, pag. 527). 

7. Sui quesiti quarto e quinto. 
Questi quesiti, cos� come sono formulati, postulerebbero un giudizio, inammissibile 
in questa sede, sulla validit� della normativa vigente in Italia. 
Essi possono esser presi in considerazione, pertanto, soltanto in quanto 
chiedono, in sostanza, se sussistano norme o principi di diritto comunitario 



690 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 


Trattato o dell'art. 106 del trattato, disposizioni cui il giudice nazionale 

si � richiamato, anche se in un altro contesto, nella sesta e nell'ottava 
questione. 

18. -Ai termini dell'art. l, primo comma, gli Stati membli procurano 
di non introdurre all'interno della Comunit� nuove restrizioni di cambio 
pregiudizievoli ai movimenti di capitali e di non rendere pi� .restrittive 
le discipline esistenti. 
19. -In ragione dell'impiego del termine �procurano�, i:1 testo di 
questa disposizione si distingue nettamente dai termini pi� tassativi in 
cui sono redatte altre disposizioni simili concernenti le restrizioni a!lla 
libera circolazione delle merci, delle persone e dei servizi. Dalla suddetta 
formulazione risulta che, comunque, l'art. 71, primo comma, non impone 
agli Stati membri un obbligo assoluto, che possa essere invocato dai 
singoli. 
che vietino di colpire con sanzioni che comportino reclusione, multe e confische 
l'esportazione, da parte di non residenti, di valute per le quali non esista prova 
della legittima importazione; owero se sussistano norme o principi di diritto 
comunitario che vietino di trattare allo stesso modo questa fattispecie (in cui 
c'� �solo� la mancata prova del legittimo possesso della valuta esportata) e 
l'altra di un'esportazione di valuta di cui risulti positivamente provato l'illecito 
possesso. 

� necessario premettere che, anche cos� posti, i quesiti di cui si tratta pos� 
sono risultare fuorvianti. La fattispecie illecita prevista dall'art." 1 del d.l. 4 marzo 
1976, n. 31 consiste, infatti, sempre e soltanto, nell'esportazione di valuta senza 
autorizzazione. � questo connotato negativo che caratterizza il fatto-reato in 
ogni sua possibile manifestazione, senza che occorra mai, in sede giudiziale, 
alcuna indagine sulla provenienza della valuta esportata. Per quanto riguarda, 
in particolare, i non residenti, l'autorizzazione alla esportazione, secondo la gi� 
richiamata giurisprudenza della Corte di Cassazione, pu� esistere in due forme: 
come autorizzazione generale ed automatica, valevole in tutti i casi in cui esista 
il documento prescritto per provare la precedente importazione (o il legittimo 
acquisto in Italia), ovvero come autorizzazione specifica rilasciata a chi, pur 
non essendo in possesso del documento vistato dalla Dogana, riesca a provare 
adeguatamente alla competente autorit� amministrativa la precedente importazione. 
Il reato, perci�, sussiste soltanto se faccia difetto tanto l'una, quanto 
l'altra forma di autorizzazione amministrativa, senza che possa mai porsi un 
problema di prove, in sede giudiziale, della prove;iaienza della valuta esportata. 

In tal modo, il quesito n. 5 viene a perde~e ogni contenuto, mentre, a 
proposito del quesito n. 4, va osservato che la legge italiana non punisce affatto 
la mancata osservanza di semplici � formalit� �, ma punisce, anche nel caso 
dei non residenti, unicamente l'esportazione illecita (e, cio�, non debitamente 
autorizzata, in via generale o in via particolare) di valuta. 

Comunque, rispetto ad ambedue i quesiti va sottolineato che, non esistendo 
alcuna norma o principio di diritto comunitario in materia di esportazioni 
materiali non finalizzate di valuta, non pu� esistere neppure alcun vincolo in 
materia di sanzioni applicabili ai fatti illeciti definiti dalle norme nazionali. 



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691

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

20. -I movimenti di capitali costituiscono soltanto una parte delle 
operazioni che danno luogo a trasferimenti di valuta. Gius,tamente, quindi, 
il giudice nazionale menziona l'art. 106, che mixa a garantire i trasferimenti 
di valuta necessari tanto per la liberalizzazione dei movimenti di 
capitali quanto per la libera circolazione delle merci, dei servizi e delle 
persone e ohe, per di pi�, non contiene le limiti;tzioni espressamente contemplate 
dalle disposizioni gi� esaIIl!�nate. 
21. -Pi� specificamente, nella sesta questione, il giudice nazionale 
fa menzione dell'obbligo di � standstill � enunciato dall'art. 106, n. 3, primo 
comma. Ai termini di questa disposizione, gli Stati membri s'impegnano 
a noo introdu11re nei loro rapporti nuove restrizioni per i trasferimenti 
relativi aille cosiddette transazioni � invis�biLi � enumerate neH'elenco di 
cui all"a:JJlegato III del Trattato. 
Codesta On. Corte ha avuto occasione di affermare che anche l'applicazione 
di sanzioni penali palesemente eccessive pu� costituire, in ben'� determinati 
casi, ostacolo al pieno esercizio dei diritti soggettivi attribuiti ai singoli dalle 
norme comunitarie. Cos�, ad esempio, � stato ritenuto che le sanzioni applicate 
in caso di violazione dell'obbligo di munirsi di una carta d'identit� o di un 
passaporto non possono assumere una gravit� tale da divenire un ostacolo alla 
libert� di ingresso e di soggiorno prevista dal Trattato (sent. 14 luglio 1977, in 
causa 8/77 Sagulo); che, del pari, le sanzioni per l'inosservanza di formalit� 
prescritte per la notifica dell'ingresso di stranieri non possono essere talmente 
sproporzionate da risolversi in un ostacolo alla libera circolazione delle persone 
(sent. 7 luglio 1976, in causa 118/75 Watson); che l'inosservanza dell'obbligo di 
dichiarare la provenienza originaria delle merci importate non pu� dar luogo 
all'irrogazione di sanzioni talmente gravi da equivalere ad una restrizione quantitativa 
vietata dal Trattato (sent. 30 novembre 11977, in causa 52/77 Cayrol; e 
sent. 15 dicembre 1976, in causa 41/76 Donckerwolcke); ecc. 

Ma, al di l� di queste ben precise ipotesi, in cui la repressione penale 

finisce col diventare uno strumento per attuare limitazioni non consentite dei 

diritti riconosciuti dal Trattato, non esiste, nel diritto comunitario, alcuna 

norma o principio generale che ponga vincoli al legislatore nazionale nella 

scelta e nella graduazione delle sanzioni applicabili a comportamenti che 

costituiscano violazione di disposizioni puramente interne. Se, cio�, si tratta 

di infrazioni a norme accessorie o strumentali direttamente poste da �fonti 

comunitarie o da queste autorizzate entro determinati limiti, ben si com


prende come l'applicazione delle relative sanzioni debba rispondere al criterio 

fondamentale di non incidere sul libero esercizio delle libert� e dei diritti diret


tamente attribuiti dalle norme primarie. Ma se, invece, si tratta di infrazioni 

a norme poste dal legislatore nazionale in un ambito lasciato libero dalla nor


mativa comunitaria, non sarebbe logico e coerente ipotizzare che all'assenza di 

vincoli nella formulazione e nella graduazione del precetto fondamentale possa 

far riscontro una incomprensibile restrizione dell'autonomo potere di valutare 

e graduare le sanzioni ritenute adeguate. 

Nel nostro caso, si tratta appunto di un'ipotesi del se�ondo tipo, per cui non 

potrebbero ad essa applicarsi i principi che codesta On. Corte ha elaborato 

con esclusivo riguardo a quelle del primo tipo. 



692 

RASSEG'IA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

22. -A tale proposito � opportuno ricordare che l'imputato nella 
causa principale ha sostenuto di aver inteso riesportare una somma precedentemente 
importata allo scopo di effettuare acquisti ,di carattere 
commerciale, non gi� una somma corrispondente ad un'operazione effettivamente 
compresa nell'elenco di cui aU'aliegato III. 
23. -Le questioni relative all'art. 106, n. 3, vanno pertanto risolte 
nel senso che questa disposizione non si applica alla riesportazione dli 
una somma precedentemente importata allo scopo di effettuare acquisti 
di carattere commerciale che risultano non effettuati. 
24. -Nell'ordi:nanza di rinvio non sono espressamente citati i primi 
due paragrafi dell'art. 106. Dato }'.asserito scopo deM'importazione della 
somma di cui trattasi, questi due paragrafi rivestono tuttavia interesse 
nel contesto della terza questione. Ai termini di tali disposizioni, gli Stati 
membri si impegnano ad autorizzare, alla scadenza del periodo tmnsitorio, 
i pagamenti relativi, fra l'altro, agli scambi di merci. I primi due 
paragrafi dell'art. 106 mirano quindi a garantire la libera circolazione 
� evidente, comunque, che, nella specie, nessuna sproporzione o eccesso 
potrebbe ragionevolmente riscontrarsi nella legislazione italiana. 

� ben noto che le legislazioni in materia degli altri Stati membri non 
sono meno severe di quella italiana e che, in genere, esse prevedono pene restrittive 
della libert� personale per le infrazioni alle norme valutarie. Ci� costituisce, 
gi� di per s�, una prova evidente del fatto che il legislatore italiano 
del 1976 non si � affatto ispirato a criteri di assurdo e cieco rigore, ma, sulla 
spinta di una situazione economica generale particolarmente grave, ha ritenuto 
semplicemente di dover rafforzare il carattere dissuasivo delle sanzioni previste 
per le violazioni -sempre pi� numerose -alle norme valutarie, sostanzialmente 
allineandosi, in tal modo, alle legislazioni degli altri Paesi pi� evoluti. 

Si consideri, del resto, il quadro generale delle sanzioni previste dal D.L. 
4 marzo 1976, n. 31 e successive modificazioni. Se la valuta illecitamente esportata 
1ammonta a cifra inferiore a lire 500 mila, non si applicano sanzioni penali, 
ma solo una sanzione pecuniaria di carattere amministrtivo. Se, invece, si tratta 
di esportazioni di valuta per un ammontare compreso fra le lire 500 mila e le 
lire 5 milioni, � prevista soltanto una pena pecuniaria (multa dalla met� al 
triplo del valore della valuta esportata). Se, infine, si superano i 5 milioni 
di lire, la pena edittale contempla la reclusione da uno a sei anni e la multa 
dal doppio al quadruplo del valore esportato. 

Come si vede, le varie ipotesi sono opportunamente graduate proprio al 
fine della commisurazione di sanzioni che appaiono perfettamente congrue rispetto 
alle loro obiettive caratteristiche. Quanto, poi, alla ipotesi pi� grave, i 
margini di discrezionalit� lasciati al giudice sono talmente ampi da consentirgli 
di tener conto di tutte le circostanze di ogni caso concreto e di pervenire 
all'applicazione di una pena pienamente adeguata all'effettiva gravit� del singolo 
episodio criminoso ed alla pericolosit� del reo (si consideri, in proposito, che 
in questa materia si pu� passare da limitati episodi di esportazioni occasionali 
di. pochi milioni di lire a fattispecie di complesse e gravissime macchinazioni 
poste in essere per esportare illecitamente molti miliardi. La pena massima 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 693 

effettiva deMe merci autorizzando tutti i trasferimenti di valuta aH'uopo 
necessari. Per contro, queste disposizioni non obb[igano gli Stati ad autorizzare 
l'importazione e l'esportazione di banconote per effettuare operazioni 
commerciali qualora tali trasferimenti non stiano necessari per fa 
libera circo1azione delle merci. Nell'ambito di negozi d'indole commerciJale, 
questo modo di trasferimento, che peraltro non � conforme agli 
usi, non pu� essere considerato rispondente a tale necessit�. 

25. -Le considera:zJioni che precedono consentono di risolvere tla terza 
questione pregiudiziale nel senso che nessun principio di diritto comumtario, 
nessuna deHe norme di questo diritto relative ai movimenti di 
capitali, n� le disposizioni dell'art. 106 concernenti� i pagamenti relativi 
ag1i scambi 'di merci garantiscono ai non residenti il di.ritto di riesportare 
banconote precedentemente importate allo scopo di realiz:z;are negozi 
d'indole commerciale, ma non utilizzate. 
prevista dalla legge non pu� certamente considerarsi eccessiva rispetto a ipotesi 
di quest'ultimo tipo). 

8. Sul settimo quesito. 
Il Tribunale di Bolzano chiede se sia conforme al diritto comunitario 
l'applicazione delle stesse sanzioni alle 1infrazioni valutarie commesse sia dai 
residenti che dai non residenti. 

La risposta non pu� che essere positiva. 

L'art. 7 del Trattato, che vieta ogni discriminazione effettuata in base alla 
nazionalit�, non ha alcuna attinenza al tema, trattandosi, qui, non di nazionalit� 
ma ,di residenza. :B piuttosto l'art. 67 che esige la soppressione, in materia di 
movimenti di capitali, delle discriminazioni fondate, fra l'altro, sulla residenza 
delle parti. Ma � appunto in base a tale principio che deve ritenersi perfettamente 
legittima una legislazione penale che non introduca alcuna diversit� 
di trattamento fra residenti e non residenti. Diverse possono essere (e in effetti 
sono) le norme sostanziali che pongono determinati obblighi o oneri agli uni 
e agli altri. Ma di fronte ad una violazione, che comunque comporti esportazione 
di valuta non autorizzata nei dovuti modi, ogni discriminazione rispetto 
alle sanzioni applicabili non avrebbe, evidentemente, alc;una giustificazione. 

9. Sull'ottavo quesito. 
Il Tribunale di Bolzano chiede, in sostanza, se sia compatibile con il diritto 
comunitario una norma interna che preveda determinate formalit� all'atto della 
importazione di valuta e consideri le formalit� stesse come prova esclusiva 
dell'importazione ai fini della liceit� della successiva riesportazione. 

Anche questo quesito, cos� com'� formulato, appare fuorviante. Come abbiamo 
gi� detto, infatti, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, 
il non residente che non sia in possesso del documento di importazione della 
valuta vistato dalla Dogana pu� sempre chiedere all'autorit� amministrativa competente 
un'autorizzazione specifica all'esportazione, ove sia in grado di provare, 
naturalmente in maniera seria e rigorosa, che, nonostante la mancata compilazione 
del documento prescritto in via generale, la valuta da esportare provenga 
effettivamente da una precedente importazione o da un legittimo acquisto effettuato 
in Italia. Non si pone, perci�, nessun problema, in sede giudiziale, di 
� prove esclusive � o di limitazione dei diritti di difesa. Il reato esiste soltanto 
se l'esportazione di valuta non risulta autorizzata dall'autorit� amministrativa, 



PARTE I, SEZ. Il, GIUR!S. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

amministrative o repressive non devono esulare dai limiti di quanto 
� strettamente :ri.ecessa["io, Je modalit� di controllo non devono es�sere 
concepite in modo da limitare la libert� voluta dal Trattato e non � lecito 
comminare in proposito sanzioni taJmente sproporzionate rispetto alla 
gravit� dell'iinfrazione da risolversi in un ostaodlo a tale libert�. 

28. -Situazioni simi1i a quelle cui si Tiferisce tale giurisprudenza 
possono presentarsi, nell'ambito dei movimenrti di c:apitaJi e dei trasferimenti 
di valuta, per quanto concerne '1e misure di controllo mantenute 
in vigore dagli Stati membri in forza, ad esempio, dell'art. 5 della prima 
direttiva di attuazione dell'art. 67, ma unicamente in relazione ad opel.1azioni 
la cui libera'lizzazione sia contemplata dal diritto comunitario. 
I limiti stabiliti dalla suddetta giurisprudenza servono ad evitare che le 
libert� garantite da'l diritto comunitario non siano compromesse d.:ile 
misll!I'e di controllo che questo stesso diritto permette agli Stati membri 
di conservare. Diverso � il caso nella fattispecie. Dalle soluziom delle 
altre questioni pregiudiziali risulta la liberalizzazione dell'operazione adottate 
prima delle direttive. 
La giurisprudenza precitata non si applica in un caso del genere. 
29. ...,-Le questioni da ultimo in esame vanno pertanto ,1Jisolte nel 
senso che per quanto concerne i movimenti di capiitali ed i trasferimenti 
di valuta che gl~ Stati membri non sono tenuti a liberaliz:ziare in base alle 
norme comunitarie, queste ultime non limitano il potere degli Stati membri 
di adottare misure di controllo e di imporne l'osservanza mediante 
sanzioni penali. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 3� Sez,ione, 12 novembre 
1981, nehle cause 212-217/80 -Pres. Touffait -Avv. Gen. Ros�z Domande 
di pronuncia pregiudiziale proposte dalla Corte di Cassazione 
i1lalian:a nelle cause Amministriazione delle Finanze c. le societ� 
Meridionale Industria Salumi, Italo Orlandi e figlio, Molino figli di 
Gino Borgioli (avv. Catalano), Salumificio di Verona V1asanel�i, F.lli 
Ultrocchi e Vincenzo Divella (avv. Ubertazzi � Capelli). Interv.: Governo 
italiano ~avv. Stato BmgugHa) e Commissione delle C.E. (ag. Prozzillo). 


Comunit� europee � Dazi all'esportazione e all'importazione � Recupero 
a posteriori � Disciplina comunitaria � Applicazione � Limiti. 
(Regolamento CEE del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697). 

Il regolamento del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697 (relativo al recupero 
�a posteriori� dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che 


696 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate per un 
regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento), non 
si applica alle liquidazioni dei dazi all'importazione o all'esportazione 
effettuate anteriormente al 1� luglio 1980 (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanze 2 �luglio 1980, pervenute alla Corte H 
27 ottobre 1980, la Corte Suprema di Cassazione, in Roma, ha .proposto, 
ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, quattro questioilli pregiudiziali, 
identiche nelle cmque �cause riunite, vertenti surWinterprevazione del regolamento 
del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, relativo al ricupero �a posteriori 
� dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione che non sono 
stati cor11isposti dal debitore per le merci dichiarate per U!l1 regime doganale 
comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento (G. U. n. L 197, 
pag. 1). 

2. -Tali questioni sono state soldevate nell'ambito di controversie 
fra alcuni operatori economici e l'Amministrazione delle Finanze dello 
Stato. Gli operatori avevano proposto opposizione avverso alcune ingiunzioni 
fiscalJ di modific� con cui l'Amministrazione, prima della data di 
entrata in vigore del predetto regolamento, cio� anteriormente al 1� luglio 
1980, aveva foro intimato di pagare una somma pari all:a differenza fra 
fil prelievo agricolo c.alcolato secondo l'aliquota in vigore hl giorno dell'ac(
1) Cfr. in questa Rassegna le sentenze citate dalla Corte di Giustizia: 15 giugno 
1976, nella causa 113/75, FRECASSETTI, ivi, 1976, I, 524, con nota di MARZANO, 
Dazi, prelievi e �giorno dell'importazione �; 27 marzo 1980, nelle cause riunite 
66, 127 e 128/79, SALUMI, ivi, 1980, I, 535, con nota di MARZANO, La restituzione di 
somme indebitamente riscosse come forma di risarcimento rilevante nell'ambito 
dell'ordinamento comunitario. 
La soluzione data dalla Corte di Giustizia al problema dell'ambito tem� 
porale di operativit� del regolamento n. 1697/79 � conforme a quella proposta 
nelle osservazioni scritte dal Governo italiano. 

A sostegno della inapplicabilit� del regolamento relativamente a debiti doganali 
sorti prima della sua entrata in IVigore, si erano svolti tre ordini di considerazioni: 


a) L'art. S del regolamento (la disposizione, cio�, alla quale in particolare 
si riferiscono le ordinanze di rinvio), al suo n. 1 dispone che �le autorit� 
competenti non possono iniziare nessuna azione di ricupero... � in presenza di 
determinate circostanze; al suo n. 2, attribuisce facolt� alle stesse autorit� 
� ... di non procedere al ricupero a posteriori dei dazi... �, 

Secondo il n. 2 dell'art. 2 � l'azione di ricupero inizia con la notifica all'interessato 
dell'importo dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione di 
cui � debitore �. 

L'insieme di tali disposizioni mostra che, dal punto di vista letterale, 
l'art. 5 riguarda attivit� non ancora poste in essere -alla data di entrata in 
vigore del regolamento -da parte delle autorit� competenti. Se infatti l'art. 5 
avesse voluto ricomprendere nel suo ambito anche attivit� di recupero gi� 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 697 

cettazione della dichiarazione di importazione e quello corrispondente alla 
aliquota pi� favorevole riscontrata fra fa dichiarazione d'importazione 
e l'immissione in consumo dei prodotti. L':amministrazione 1sosteneva che 
l'aliquota pi� favorevole era stata :applicata erroneamente. 

3. -Emerge dagli atti che J'Amininisrtrazione italiana, fino al 1976, 
aveva oostantemente calcolato �l'importo dei prelievi applicando, su richiesta 
dell'importatore, il sistema dell'aliquota pi� favorevole. La Corte ha 
tuttavia dichiarato, nehla sentenza 15 giugno 1976 (causa 113/75, Frecassetti, 
Racc. pa~. 983), che tale sistema non pu� essere applicato ai prelievi 
agricoli all'importazione da paesi terzi, che vanno caJcolati secondo l'ali� 
quota, in vigore nel .giorno in cui 1a dichiarazione d'importazione della 
merce � accettata dagli uffici doganali. 
4. -La Corte ha parimenti riconosciuto, nella sentenza 27 marzo 1980 
(cause 66, 127 e 128/79, Salumi, Racc. pag. 1237), che � compito dell'ordinamento 
giuridico interno di ciascuno Stato membro, se non vi sono 
disposizioni comunitarie in materia, stabilire le modalit� e le condizioni 
di riscossione degli oneri finanziari comunitari, purch� dette modalit� 
iniziate, esso avrebbe dovuto dire che le autorit� competenti non possono iniziare 
o proseguire nessuna azione di recupero. 

L'art. 5, cos� come le altre disposizioni del regolamento n. 1697, seguendo la 
regola generale, dispone soltanto per il futuro, e non concerne quindi attivit� 
di recupero gi� iniziate alla data della sua entrata in vigore. 

Cos� come dispone soltanto per il futuro l'art. 2, in particolare il 2� com� 
ma del n. l, relativo al termine oltre il quale non pu� pi� essere avviata 
l'azione di recupero. Tale termine (triennale) non potrebbe invero riferirsi 
anche ad azioni gi� iniziate; eventualmente entro il pi� lungo termine di prescrizione 
o di decadenza previsto dagli ordinamenti nazionali. N� sono state 
dettate disposizioni transitorie per il passaggio dalle precedenti discipline nazionali 
alla disciplina comunitaria di cui al citato art. 2, n. 1, 2� comma. 

b) Un secondo argomento, a sostegno dell'opinione del Governo italiano, si 
fonda sul rapporto tra gli artt. 5 e 9 del regolamento in questione. 

L'art. 9 dispone, nella sua parte finale che � ... gli Stati membri non sono 
tenuti, qualora non abbiano proceduto al recupero a posteriori di tali dazi in 
applicazione del presente regolamento, a procedere all'accertamento delle risorse 
proprie corrispondenti ai sensi del regolamento (CEE, Euratom, CECA) n. 28~1/ 
1977 �. Il 5� considerando del regolamento n. 1697/79 sottolinea l'opportunit� di 
� ...ricordare che gli Stati membri non sono in detti casi obbligati ad effettuare 
il corrispondente accertamento �. 

Per il regolamento n. 2891/77, � ... un diritto � accertato non appena il credito 
corrispondente � stato debitamente stabilito dal servizio o dall'organismo dello 
Stato membro� (art. 2, primo comma); mentre (art. 7, n. 2, primo comma) �i 
diritti accertati sono riportati nella contabilit� entro il 20 del secondo mese 
successivo a quello nel corso del quale ha avuto luogo l'accertamento �, 

Ci� significa, da un lato che per i debiti doganali sorti prima dell'entrata 
in vigore del regolamento n. 1697/79, l'accertamento e la contabilizzazione (ai 



698 RASSEG'!A DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

e condizioni non rendano hl sistema di riscossione delle tasse e degli oneri 
comunitari meno efficace di quello relativo alle tasse e agli onevi nazioml!
li dello stesso tipo. 

5. -Risalendo tale ultima sentenza ad una data anteriore a quella 
dell'entrata in vigore del regolamento n. 1697/79, l'oggetto delle presenti 
cause consiste per l'appunto nello sitabilire se, nella fiattispecie, debba 
essere applicato il diritto nazionale ovvero il 1regolamento comunitario 
nel frattempo entrato in vigore. La Covte Suprema di Oassazione ha 
quindi sottoposto alla Corte in via pregiudiziale le seguenti quattro questioni: 
� a) se il regolamento (CEE) n. 1697 del 1979 del Consiglio del 
24 foglio 1979, ed in particolare l'a11t. 5, operi riguardo a1le liquidazioni 
di prelievi agricoli, inferiori all'importo legaJmente dovuto, effettuate 
anteriormente aJ 1� luglio 1980, ,per le quali, pure prima di tale data, circa 
la cui legittimit�, sotto altri aspetti, penda controvevsia davanti al giudice 
nazionaJe; 

b) in caso di risposta affermativa al quesito sub a), se nella previsione 
dell'art. 5, ed in quaJe dei suoi due pamgrafi, rientri la liquidazione 

sensi del regolamento n. 2891/77) sono gi� avvenuti; dall'altro, che l'art. 9 del 
regolamento n. 1697/79, mentre autorizza gli Stati membri a non procedere 
all'accertamento delle risorse proprie corrispondenti, non li autorizza ad annullare 
gli accertamenti e le contabilizzazioni gi� eseguite; 

Deve pertanto ritenersi che anche l'art. 9 del regolamento n. 1697/79 disponga 
soltanto per il futuro: nel senso di autorizzare gli Stati membri a non procedere 
all'accertamento di diritti costituenti risorse proprie, qualora di tali diritti sia 
vietata l'azione di recupero (art. 5 n. 1), ovvero gli Stati membri abbiano facolt� 
di non procedere al recupero dei diritti stessi (art. 5 n. 2). 

Questa conclusione, concernente l'art. 9, avvalora la tesi sostenuta a proposito 
dell'art. 5. Non s� potrebbe infatti ammettere che gli Stati membri debbano 

o possano soprassedere ad azioni di 11ecupero di diritti sorti, accertati e contabilizzati 
prima dell'entrata in vigore del regolamento n. 1697/79, senza attribuire, 
agli stessi Stati membri, la possibilit� di annullare i corrispondenti atti di 
accertamento e di contabilizzazione, posti in essere ai sensi del regolamento 
n. 2891/77 ovvero di quello, n. 2/71, precedentemente in vigore. 
Poich� tale facolt� di annullamento non � prevista dal regolamento n. 1697, 
ne consegue che il divieto di iniziare azioni di re,::upero (ovvero la facolt� di 
non iniziarle) co11cerne soltanto debiti sorti a partire dal tl" luglio 1980, quindi 
non accertati e contabilizzati in precedenza. 

Opinare diversamente significherebbe obbligare gli Stati membri a non 
recuperare determinati diritti e, nel contempo, obbligarli a mettere a disposizione 
della Commissione (ai sensi del regolamento n. 2891/1977) le somme corrispondenti 
a tali diritti non recuperati. 

e) Un terzo argomento deriva dall'interpretazione logica delle disposizioni in 
questione. 
Se il divieto, o la facolt�, di cui all'art. 5 del regolamento n. 1697/79 si 
dovessero riferire anche ad azioni di recupero gi� iniziate, si avrebbe la conse


�'.�'.�'.�'.�'.�'.�:-'.�:-'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.� .�:�:�:-:�::::Z�'."."�Z '.�Z�Z�:�:�:�:�z:z�:-:� .�=�=�~�'.-'.-'.�:�'.�'.�'.�'.-'.�'.�'.�'.�'.�'.<�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.".�'.�"� .-.�-.-.-.-.-.z�:�Z-'.�'.".�:�:". ----,. --.,. .,. ..,.,..,,.,,.,. -..,.,.,. ---, ---.� -,�,-,-� . � ' . � � . . � ..��� . � � 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 699 

in misura inferiore all'importo legalmente dovuto di prelievi agvicoli 
avvenuta, per un verso, in sostanziale aderenza alla norma comunitaria 
secondo l'indfu:iizzo interpretativo della stessa, allora desumibHe da atti 
uffioiali di organi della Comunit� e riconosciuto corretto dalla giurisdizione 
nazionale, ma poi disatteso dalla Corte di giustizia, e, per altro 
verso, in corrispondenza .formale con norme nazionaili, successivamente 
riconosciute estranee alla materia, ma all'epoca ad essa costantemente 
applicate dalla competente autorit� amministrativa nazionale in conformit� 
di circolari ed istruzioni diramate dai suoi organi di vertice; 

e) in caso di risposta affermativa al quesrito s_ub b) nel senso di 
applicabilit� dell'art. 5, par. 2, se la disciplina in questo prevista (ove 
gi� operativa per l'avvenuta emanazione deJJe disposi:ziioni di appHcaziione 
di cui al suo secondo comma) valga a rendere fogittime, Tispetto all'ordinamento 
comunitario, normative nazionali gi� anteriormente emanate, 
regolanti la misura dei prelievi da percepire in quantit� inferiore e comunque 
diverna da quella prescritta, all'epoca, da norme comunitacr:iie; 

d) in caso di risposta negativa, se la d�scip1ina deJJ'art. 7 del medesimo 
regolamento sia applicabile anche alle dscos,sioni successive-a11a sua 

guenza che, nelle stesse condizioni,_ l'esonero del debitore potrebbe dipendere 
dalla maggiore o minore sollecitudine dell'attivit� di recupero delle autorit� 
competenti, ovvero dalla maggiore o minore durata dei procedimenti giudiziari. 

Debiti della stessa natura e sorti nello stesso periodo riceverebbero un trattamento 
diverso, pur ricorrendo le medesime circostanze; e ci� in contrasto con 
il principio di uguaglianza al quale -secondo la giurisprudenza della Corte 
(sentenza 27 marzo 1980, in cause 66, 127 e 128/79, paragrafi 14-15) -deve ispirarsi 
il sistema generale delle disposizioni finanziarie. del Trattato CEE, comprendente 
gli oneri finanziari (anche i prelievi agricoli) che la Comunit� � competente 
ad imporre. 

3. -Quanto al quarto quesito -si era rilevato -esso presuppone che, 
alle azioni di recupero gi� in corso (e relative quindi a debiti precedenti), non 
sia applicabile la disciplina dell'art. 5 del regolamento n. 1697/79. Di conseguenza, 
sarebbe conforme al diritto comunitario che le azioni proseguano pur dopo 
l'entrata in vigore del citato regolamento. 
Per tale ipotesi, la Corte Suprema di Cassazione chiede di conoscere se, in 

base all'art. 7 del regolamento medesimo, sia vietato di procedere alla riscossione 

di interessi di mora. 

Secondo il Governo italiano, la risposta a tale quesito deve essere negativa. 

Se � vero infatti che tutto il regolamento n. 1697/79 si applica soltanto ai 
d~biti-doganali sorti dopo la sua entrata in vigore, ne deriva che i debid 
precedenti, per i quali siano tuttora in corso le azioni di recupero, continuano 
�d essere regolati dalle discipline nazionali anteriormente applicabili; e cio� 
continuano a produrre interessi moratori, anche dopo il 1� luglio 1980, se un tale 
effetto era previsto dalle discipline nazionali anteriormente applicabili. 

I.M.B: 

700 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

entrata in vigore relativa a ricuperi per liquidazioni inferi�ri all'importo 
legalmenrt:e dovuto effettuate, nella situazione descritta sub b), anteriormente 
al 1� luglio 1980. 

6. -Con la prima questione, il giuidice naziona:le chiede in sostanza 
se il regolamento n. 1697/79 si applichi alle liquidazioni dei dazi all'importazione 
o all'esportazione effettuate anteriormente alla data della sua 
entrata in vigore. 
7. -IJ regolamento n. 1697/79 si propone, come risu!lta dall'art. l, 
di determinare le condizioni cui � �subordinato 11 recupero dei dati alla 
importazione o all'esportazione che non siaino statd richiesti al debitore 
per merci dichiarate per U!Il regime doganale comportante l'obbligo di 
effettuarne il pagamento. Le :auitorit� competenti, quando accertano che 
tali dazi non sono stati richiesti, sono tenute ad iniziare un'azione di recupero; 
tuttavia, questa non pu� pi� essere avviata dopo la scadenza del 
termine di tre anni a decorrere dailla data di contabi1izzazione delil'importo 
originari.amente richiesto ovvero, .se non vi � stata contabiliz2lazione, a 
decorrere daJJ.a data in cui � nato il debito doganale (art. 2, n. 1). In taluni 
oasi, il regolamento vieta l'avvio di un'azione di recupero (art. 5, ID.. 1) 
ovvero prevede 1a facolt� di non procedere al recupero (art. 5, n. 2). Esso 
dispone altres� che, in taluni casi, non sia riscosso alcun .interesse di 
mora sulle somme ricuperate (art. 7). 
8. -Poich� tuttavia il iregolamento non contiene alcuna norma �transitoria, 
per stabilire Ja sua efficacia nel tempo ci si deve richiamare ai 
p11incipi interpretativi generailmente .riconosciuti, a11a luce sia del testo, 
sia della ratio e della struttura di tale normativa. 
9. -Se le norme di procedura, a quanto si ritiene ��ID. genocale, si applicano 
a tutte Je controversie pendenti aill'atto della loro entrata mvigore, 
ci� non vale per Je norme sostanziaU. M contrario, secondo fa comune 
interpretazione, ques1te ultdme concernono mpporti giuridici definiti anteriormente 
alla Joro entrata in vigore .solo se dal loro testo, dalJ.a loro ratio 
o dalla loro struttura risulti chiaramente che va loro attribuita ta:le 
efficacia. 
10. -Tale interpretazione .garantisce i~ rispetto dei priincipi_di certez2Ja 
del diritto e di Jegittimo .~idamento in virt� dei quaH le norme 
comunitarie debbono presentare caratteri di chiarezza e prevedibilit� per 
gli amministrati. La Corte ha pi� volte evidenziato l'importanza che 
rivestono tali principi, 1n particolare nelle sentenze 25 gennaiio 1979 (causa 
98/78, Racke, Racc. pag. 69; �causa 99/78, Decker, Racc. pag. 101), ove essa 
.-.-.-.�.z�:�:-z�z�:�z-:.-:�:�:�:�:.-:� ....�.�.�.�.�.�.�.�.�.'.�.�.�-�.�.<.�.�.�-�.�:.�.�.�.-.�.�.�.�.�:.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.. .� . . . . . . . . . . . .�.�.��..�. � � � � � � � .�.�.�-:�'.-'.�'.�:�~�'.�'.�:�:�:�'.�:�'.�'.�'.�'.�'.�:�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.)'.�'.�'.�:�'.�'.�:�Z�'.{�'.�'.:'.�'.�:�:�'.�'.�:�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�Z�:�:�z�:-:-:.-: 


PARTE �, SEZ, �IJ GIUR�S. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

ha affermato che, di norma, iJ principio deMa ceTtez:ro del diritto osta 
a che l'efficacia nel tempo di un atto comunitario decorra da una data 
anteriore alla sua pubblica:ziione e che solo ,eccezionalmente pu� derogarsi 
a tale principio, ove lo imponga l'obiettivo da �realizzare e ove 
sia debitamente tutelato il legittimo afl�idamento degli interessati. 

11. -Al riguairdo va innanzi.tutto pireso atto che il regolamento di cui 
trattasi mira alla disciplina globale del ricupero dei dazi all'importazione 
e dei dazi 1all'esportazione der.iva:nti vuoi dall'applicazione deilla politiica 
agrico1a com.ne, vuoi daiHe disposizioni del Trattato relative all'unione 
doganale. Sostituendo . le discipline nazionali in materia con una cHsciplina 
comrmitairia, tale regolamento 1ntroduce norme, 1sia procedurali sia 
sostanziali, che formano un tutt'un�co inscindibile e le cui singole disposi:
zJioni non possono essere considerate isolauamente in ordine alla tloro 
efficacia nel tempo. 
12. -Quindi non pu� riconoscersi efficacia retro:attiV1a alle di�sposizioni 
del regolamento a meno che indizi sufficientemente chiari non conducano 
a concluderie in tal senso. Ora, va rilevato che tanto iil testo quanto 
la struttura complessiva del regolamento, lungi d'.:11 fornfu:-e indizi di una 
effioada retroattiva, portano a concludere che quest'uHimo dispone solo 
per H futuro. 
13. -Ci� si ricava, innanz:itutto, dalla lettera stessa delle disposiZJioni 
del regolamento che contemplano l'obbligo o il divieto di � iniziare� 
azioni di 1ricupero e che quindi non possono riguaridaxe procedimenti gi� 
in atto alla data di entrata in vigore del regolamento. Ci� si rioava aitres�, 
in secondo luogo, dal 11asso di tempo interco1t1So fra l'adozione del regolamento, 
il 24 lugHo 1979, e la sua entrata in vigore, il 1� fogHo 1980, che 
dimostra che il Consiglio non riteneva urgente il'operativit� detla normativa 
comunitaria. 
14. -Per di pi�, se si estendesse l'iambito di applicazfone del regolamento 
a tutte Ie cont�roversie pendenti dinanzi ai giudici nazionali .alla 
data della 1sua entriata in vigore, l'applicazione del diritto interno oppure 
della normativa comunitaria dipenderebbe dal comportramento deLle autorit� 
nazionali e, pi� in pa11ticolaire1 dail foro zelo nell'avviare e nell'esaunire 
un procedimento giudiziario. Ci� potrebbe portare ad una disparit� di 
trattamento ingiustifioata a fronte di operazioni effettuate in condizioni 
analoghe e sarebbe incompatibile coi principi di uguaglianza e di equit�. 
Per circoscrivere l'ambito di applicazione nel tempo del regolamento va 
quindi presa in consideriazione la data della liquidazione originaria dei 
dazi. 

702 

RASSEGNA DELL1AWOCATURA DELLO STATO 

15. -Discende dall'insieme delle considerazioni che preoedono che 
il regolamento riguarda soltanto le operazioni di 1importazione o di esportazione 
in ordine a1lle quali le liquidazioni doganali sJano s�tate effettuate 
dal 1� luglio 1980 in poi. 
16. -La prima questione sollevata d:a:Ha Corte Suprema di Cassazione 
va quindi risolta nel senso che il regolamento del Consiglio 24 luglio 
1979, n. 1697, non 1si applica aNe liquidazfoni dei dazi aU'importazione 
o all'esportazione effettuate anteriormente al 1� luglio 1980. 
17. -Non � necessario risolvere la seconda e la te�rza questione, che 
sono state solilevate solo in caso di soluZJione affermativa della prima. 
La soluzione della questione sub 4) si ricava implicitamente da quella data 
alla prima. (omissis) 
.�.�.�.�.�.�.�.�.�r.-.�.-..-r.�.-r,�.�r.�r.r,r.�rr.�.�.�.� �����cr.�.�.�rr.�.-.�.�.�r.-.-..,..... � ,.,. �� ,.��,. .., � .� �� ,. � 


SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 giugno 1981, n. 4184 -Pres. Rossi -
Rel. Bile -P. M. Sifocchi (conf.) -E.N.P.A.S. (avv. Stato Laporta) 

c. Pennino. 
Giurisdizione civile -� Ius superveniens � -Immediata applicabilit� in 
ogni stato e grado del ,giudizio -Mancanza d'impugnazione della statuizione 
affermativa della giurisdizione del giudice poi 1divenuto incompetente 
� Irrilevanza. 

(cod. proc. civ., artt. 5 e 37; legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6}. 

Impiego pubblico -Controversie in materia d'indennit� di buonuscita 
dovuta a dipendenti statali -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 


(legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6). 

Impiego pubblico -Ritardato pagamento dell'indennit� di buonuscita a 
dipendenti statali -Domanda di interessi e rivalutazione monetaria Questione 
inerente a � diritti patrimoniali conseguenziali � -Inconfigurabilit� 
-Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 

(r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, art. 30; legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6). 
Il principio, desumibile dal coordinamento tra il primo comma dell'art. 
37 cod. proc. civ. ed il sistema delle impugnazioni, secondo cui il 
giudice superiore. pu� conoscere della questione di giurisdizione solo se 
la statuizione resa sul punto nel precedente grado di giudizio sia� stata 
oggetto di impugnazione, non � applicabile nel caso di sopravvenuta disciplina 
normativa della giurisdizione atteso che lo jus superveniens importa, 
per il giudice divenuto carente di giurisdizione, l'impossibilit� di conoscere 
del merito della lite (1). 

(1) Nello stesso senso, e per l'applicazione dello jus superveniens anche dopo 
una pronuncia regolatrice di giurisdizione intervenuta sotto il vigore della 
pre�edente normativa, cfr. Cass., S.U., 20 dicembre 1972, n. 3628, in Foro It. 
l973, I, 1119. V.' pure, per una diversa applicazione dello stesso principio, Cass., 
S.U., 20 luglio 1981, n. 4674, in questo fascicolo. 
(2) Piana applicazione del dettato normati~o. iri ordine al quale va pure 
ricordato che Corte Cost., 10 dicembre 1981, n. ,185, ha fugato ogni sospetto di 
incostituzionalit� ivi compreso quello che, con riferimento all'immediata appli� 
�azione' dello� jus superveniens in tem�a di giurisdizione anche nei giudizi pen

RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO

704 


A sensi dell'art. 6, primo comma, legge 20 marzo 1980, n. 75, la controversia 
attinente all'individuazione del trattamento retributivo da assumere 
a base di liquidazione della indennit� di buonuscita spettante a dipen� 
dente statale appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
(2). 

Poich� la domanda di c.d. � rivalutazione � dell'indennit� di buonuscita, 
corrisposta in ritardo, non deduce un comportamento colposo del� 
l'Ente debitore, successivo e distinto~ rispetto a quello estrinsecatosi nell'emanazione 
del provvedimento impugnato, ma ha per oggetto la somma 
dovuta espressa in termini monetari tali da garantire l'inalterabilit� del 
suo potere reale di acquisto, la cognizione della relativa controversia 
spetta al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, al pari 
della controversia avente ad oggetto gli interessi (da qualificare corrispettivi) 
richiesti per il ritardo, obbiettivamente considerato, nella corresponsione 
dell'indennit� (3). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 giugno 1981, n. 3943 -Pres. Rossi -
Rel. Piel'i -P. M. Fabi (diff.) -E.N.P.A.S. (avv. Stato Laporta) c. De 
Simone (avv. Moscarini). 

Impiego pubblico : Indennit� di fine rapporto dovuta a dipendente di ente 
pubblico non economico � Controversie � Giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo. 

(r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, artt. 29 e 30; legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 7; legge 
20 marzo 1975, n. 70, art. 13). 
Le controversie in materia di indennit� di fine rapporto dovuta da un 
Ente pubblico ai propri dipendenti appartengono alla giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo, anche allorquando -fuori causa il diritto 
del dipendente collocato a riposo -si faccia questione, esclusivamente, 
delle pretese scaturenti dal ritardo, in s� considerato, nel pagamento dell'indennit� 
(4). 

denti, si alimentava, in numerose ordinanze di rimessione, col richiamo al 
principio della immodirfi:cabilit� del � giudice naturale �;. v. anche Sez. Un. 110 giu� 
gno 1981, n. 3768. 

(3-4-7) La questione di giurisdizione in ordine alla domanda di rivalutazione 
monetaria risulta decisa, dall'Adunanza Plenaria e dalle Sezioni Unite (al cui 
indirizzo la prima ha fatto, del resto, esplicito richiamo), sul filo di un identico 
iter argomentativo; occorre, invece, segnalare che per quanto riguarda la do� 
manda relativa agli interessi la soluzione della questione di giurisdizione � 
solo apparentemente identica, avendo in realt� le Sezioni Unite argomentato 
dalla qualificazione degli interessi come � corrispettivi � l� dove !'.Adunanza 



PARTE I, SEZ. III, GIURlS~ SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 705 

III 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. plen., 30 ottobre 1981, n. 7; Pres. Pescato!re; 
Rel. Serio -Pennarola (avv. Abbamonte e Piegari) c. l.A.C.P. Provincia 
di Salerno (avv. Mobilio). 

Impiego pubblico � Ritardato pagamento della retribuzione spettante al 
dipendente � Rivalutazione monetaria del credito -� dovuta. 

(cod. proc. civ., art. 429). 

Impiego pubblico . Domanda di interess,i moratori e rivalutazione mo� 
netaria su crediti di retribuzione . Questione di diritti patrimoniali 
conseguenziali � lnconfigurabilit� :� Giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo � Sussiste. 

(r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 30; cod. proc. civ., art. 429). 
Tanto se percepita da dipendenti pubblici quanto se percepita da 
quelli privati, la retribuzione si caratterizza per la sua essenziale preordinazione 
a soddisfare esigenze di sostentamento, ond'� ,che, quanto meno 
sotto il profilo economico, la posizione di entrambe le categorie di lavo-. 
ratori non pu� ritenersi diversa relativamente alla diminuzione patrimoniale 
subita dal creditore in caso di ritardo nell'adempimento della prestazione 
retributiva a carico del datore di lavoro (5). 

La disciplina dettata dal terzo comma dell'art. 429 cod. proc. civ., 
in materia di rivalutazione dei crediti di lavoro -da un lato ascrivendo 
alla categoria dei fatti notori il maggior danno sofferto dal dipendente.I 
per il ritardo o l'inadempimento della prestazione dovutagli e, dall'altro, 
prefigurando una mora � ex re� nella disponibilit� del creditore, diutur-

Plenaria ha diversamente affrontato il problema, con impostazione della quale 
converr� attendere ulteri�ri verifiche. 

Con specifico riguardo agli interessi, dovuti per il ritardato pagamento della 
buonuscita, cfr., in senso diverso: Cass., S.U., 13 settembre 1978, n. 4127 (in Foro 
it., 1978, I, 1872 e particolarmente col. 1883) dalla cui motivazione ed, in ispecie, 
dall'esplicito richiamo all'art. 1282, primo comma, cod. civ., si desume la qualificazione 
degli interessi in questione come �corrispettivi�; e la successiva Cass., 
S.U., 17 novembre 1978, n. 5330 (in questa Rassegna, 1979, I, 268) che, invece, 
ritenne applicabile la regola di diritto comune dettata dall'art. 1224 cod. civ. 
sull'obbligo di corrispondere degli interessi legali nel caso di �mora� nell'adempimento 
delle obbligazioni pecuniarie. 

{S-6) Com'� noto, la Corte Costituzionale ha pi� volte negato che la limitazione 
dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. ai soli crediti di lavoro nascenti 
da rapporto di lavoro privato abbia creato disparit� di trattamento a 
danno dei dipendenti pubblici (cfr. sentenze 14 gennaio 1977, n. 13 e 20 gennaio 
1977, n 43). 

La decisione dell'Adunanza Plenaria sembra, invece, espressione della ten


denza ad assimilare �pubblico� e �privato� nel settore del rapporto di la




706 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

namente presente nel luogo del pagamento, a ricevere la prestazione retributiva 
-consente di dare una rilevanza automatica alla svalutazione 
monetaria con riferimento a tutti indistintamente i crediti di lavoro, in 
essi compresi quindi anche quelli dei dipendenti pubblici (6). 

Gli interessi di mora e la rivalutazione monetaria chiesti relativamente 
alla retribuzione spettante al dipendente pubblico si trovano in un 
rapporto di connessione diretta e necessaria con l'obbligazione principale, 
s� che la relativa domanda -non implicando una questione patrimoniale 
conseguenziale -appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
(7). 

I 

(omissis) 3. -Success1ivamente a11a proposizione del ricorso principale 
� entrata in vigore la 1legge 20 marzo 1980, n. 75, che ha disciplinato 
organicamente la materia del ca:lcolo deH'1inde:ninit� di buonusoita spet� 
tante ai dipendenti dello Stato, e delle aziende autonome. 

La nuova regolamentazione -che era stata preceduta da una complicata 
vJcenda -legislativa (decreto-legge 29 maggio 1979, n. 163, non conveir� 
tito; legge 13 agosto 1979, n. 374, di sanatoria degli effetti del decreto 
citato fino al 30 novembre 1979; legge 6 dicembre 1979, n. 610, di proroga 
di tale itermine) -ha, sul piano sostanziale, stabilito che la tredicesima 
mensilit� deve essere computata, entro certi t1imiti, ai fini della liquidazione 
dell'ifildennit� di buonuscita. Sul piano processuale l'art. 6 della 
legge ha attribu~to le controversie in matel1ia di indennit� di buonuscita 
e di indennit� di cessazione del r.apporto di impiego relative al personale 
dello Stato e delle aziende autonome alla giurisdi:liione esclusiva dei 
tribuna!li amministrativi regionali (e del Consiglio di Stato, in grado di 
appello) (pnimo comma); ed ha statuito che i giudizi pendenti alla data 
di entrata in vigore della legge ed aventi ad oggetto la dliquidazione 
dell'indennit� di buonuscita con finclusione della tredicesima mensilit� 

voro dipendente ed �, in tal senso, sintomatico l'ordine dei rilievi svolti dalla 
decisione in rassegna con specifico riguardo ai principi sottolineati dalla Corte 
Costituzionale. 

� appena da avvertire che il principio affermato dall'Adunanza plenaria non 
appare applicabile in ipotesi di ritardato pagamento della indennit� di buonuscita, 
la cui natura di prestazione previdenziale -riconosciuta dalla prevalente 
giurisprudenza e scaturente, del resto, dall'obbligo di contribuzione a carico 
del dipendente statale -preclude, come pi� volte affermato dalla Corte Suprema, 
la possibilit� di un utile richiamo ad una norma speciale di diritto sostanziale 
(quale si � ravvisata nella disposizione dell'ultimo comma dell'art. 429 cod. proc. 
civ.) dettata per i soli crediti di lavoro. In argomento v., in questo fascicolo, 
Cass., Sez. Un., 20 luglio 1981, n. 4674. 

Z."'.�'.<:.C.�Z.':."'.'.'.J'.'.<:.�:�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.'.�.�.�.�.�.�.�.�.�.'.'.".'.".�.�.�.�/.�.�.:_!.�.�,�.�.�.�.�.-.�.-.�.�.�.�.�.�.�.-.-.-.-.-.-.-.-.-.�.--.�.�rr.-.-.-.-.-.--.�.-.--.�.�.-.--.,..-.��.�.���.�..�����..�...��.� ,,. ��������.������ ����.�:.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.� . .....�.�

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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 707 

sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese (secondo 
comma). 

4. -Nena presente controversia J'attuaile resistente ha anzitutto 
chiesto all'autorit� giudiziaria ordinairia la condanna delil'E.N.P.A.S. alla 
erogazione di wn'indenil!�t� di buonuscita correlata a:l trattamento �retl["ibutivo 
corruspondente aUe funzioni da Jui esercitate. Si tratta quindi di un 
caso contemplato dal primo comma dell'�rt. 6 citato, onde la controversia 
-concernente l'entit� deli'indennit� di buonuscita -dov:rebbe essere 
dichiarata devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice ammirustrativo. 
L'appJ.i.oa:lJione dell'<art. 6, primo comma, pone peraltrn un duplice 
ordine di questioni. 

Occorre in primo �luogo verificare quale rilievo abbia la drcostanza 
che la sentenza di appello, per la parte in curi ha dichiarato la giurisdizione 
del giudiice ordinario, non sia stata impugnata con il'ricorso per 
cassazione (evidentemente per rispettare 1'orientamento giurisprudem'liale 
inaugurato dalle Sezioni Ull1i1te con la sentenza n. 3595 del 1976, e successiviamente 
confermato da numerose altre decisioni). 

Certamente il principio deUa riJevabilit� d'ufliicio del difetto di giuTisdfaione 
in ogni stato e grado del giudizio deve essere coordinato con il 
sistema delle impugna:z;ioni, nel �Senso che -ove sia s�tart:a emessa una 
statuizione sulla giurisdizione -i giudici deUe successive fasi processuali 
potranno conoscere della questione so>ltanto se essa sia stata riproposta 
in sede di impugna:z;ione, e in caso contmTio sono tenuti, ai sensi dell'art. 
329, secondo comma, cod. proc. civ., a rilevare fa formazione del 
giudicato interno suUa questione stessa (cl�r. senten:lJa deUe Sezioni Unite 

n. 1506 del 1976, e molte altre successive). 
Ma questo oTientamento non pu� essere utiliz2lato nelil.a specie, qua:lifioata 
dailla sopravvenienza di una legge che ha sottratto ila controversia 
a:1la giurisdizione del giudice adito. 

l.Ja conseguenza di una legge siffatta � l'impossibi'lit� per tale giudice 
di conoscere del merito della lite: e questo ri:1ievo -di immediata e non 
disoutibide evidenza -appare decisivo al fine di ritenere che il difetto 
di giurisdizione derivante da jus superveniens debba prevalere anche sulla 
preolusione conseguente alla mancata impugnazione della statuizione con 
cui il giudice 1adito abbia, prima dell'entrata in vigore della nuova legge, 
dichiarato la propria giurisdizione. Per un'applicazione dello stes,so pTincipio 
alla materia elettorale cf.r. la sentenza n. 3628 del 1972. 

In conseguenza la presente controversia deve consideir.arsi assoggettata 
a11a disciplina posta daH'a11t. 6, primo comma, della legge n. 75 del 1980. 

5. -In altri ricorsi proposti dall'E.N.P.A.S. e discussi all'udienza 
del 26 febbraio 1981 le difese dei resistenti hanno soHeva:to iatlcune questioni 
di 1legittimit� costituzionale dell'airt. 6 della legge n. 75 del 1980, 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

legge, ed in particolare -secondo una tradizione legislaitiva ininterrotta, 
che va dall'M"t. 30, secondo comma, del testo unico approvato con r.d. 
26 giugno 1924, n. 1054, fino aJil'art. 7, terzo comma, della legge 6 dicembre 
1971, n. 1034 -Ia riserva al'l'auitorit� giudiziaria ordinaria della giurisdizione 
in tema di questioni attinenti a diritti patrimoniali conseguenziaii 
alla pronunzia di illegittimit� de[J'atto contro cui si ric011re. 

� quindi necessario accertare se le pretese alla rivalutazione delle 
somme chieste all'ENPAS ,ed alla corresponsione deg1i interessi 1egali 
per il oaso di ritardato pagamento -aventi certamente natuTa patrimoniale 
-siano co1legate al rapporto concernente l'indennit� di buonuscita 
da ill!Il nesso genetico diretto e immediato (idoneo a farle ritenere comprese 
nella devoluzione delle ,relative controversie alla giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo), ovvero rappresentino conseguenze uJteriori 
rispetto a1l'ill.egittimit� del provvedimento de1J'ente pubblico (e debbono 
perci� definirsi questioni su diritti patrimoniali consequenzraE, riservate 
alla giurisdizione del giudice ordinario). 

7. -La pretesa alla rivalutazione della somma che si assume dovuta 
dall'ENPAS, � fondata dall'attuale resistente sull'art. 429, terzo comma, 
cod. proc. civ., il quale nel testo modificato dalla legge 11 agosto 1973, 
n. 533, stabilisce che il giudice, quando pronunoia sentenza di condanna 
al pagamento di somme di danaro per crediti di iLavoro, deve detenninare, 
ohre gli interessi nella misurra legale, ~l maggior danno eventualmente 
subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, 
condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno 
della maturazione del diritto. La norma -secondo l'interpretazione 
accolta daHa Corte di Cassazione -cfr., per la girurisprudenza delle Sezioni 
Unite, l'ordinanza n. 310 del 1977 -mira a far coincidere la somma globale 
di danaro giuridicamente attribuibHe al lavoratore con queUa che, dal 
punto di vista economico, costituirebbe il corrispettivo esatto tenendo 
conto del reale potere di acquisto della moneta. E gi� in precedenza 
a:ltJre sentenze della Corte avevano sorttolineato come fa norma in esame 
avesise posto una presunzione assoJuta di dannosit� della svalutazione 
monetaria, togliendo ,rilevanza all'elemento soggettivo dell'inadempimento 
e introducendo un criterio Jegale autonomo di liquidazione del credito 
(cfr. sentenza n. 495 del 1975 e successive). 
Sulla base di tali premesse � agevole comprendern che la domanda 
di 1c1d. � rivalutazione � non si riferisce ad un comportamento colposo 
dell'amministJrazione debitrice, successivo e distinto dspetto a quello 
estrinsecatosi nell'emissione del provvedimento impugnato in sede di giurisdizione 
esclusiva, ma ha per oggetto direttamente e immediatamente 
la somma cui il dipendente ritiene di aver diritto, esrpresisa in termini 
monetari tali da garantire l'inalterabilit� del suo potere rreale di acquisto. 


710 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In altre parole l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. non attribuisce 
al dipendente un diritto ulteriore risrpetto a quello su cui ha inciso in 
via diretta ed immediata J'atto amministrativo impugnato ed annullato 
e che comunque costituisce l'oggetto sostanziale del giudizio amministirativo. 
Invero, quell'ulteriore diritto si configura come diritto patrimoniale 
conseguenziale perch� l'accertamento dell'illegittimit� e l'annullamento 
dell'atto amministrativo impugnato si pone come uno -ma non l'unico degli 
elementi deJla fattispecie costitutiva del diritto stesso; la quale 
� distinta e diversa da quella cui si coordina il diritto (o la situazione 
giuridica) �Che forma oggetto deHa tutela invocata ne�l giudizio amministrativo. 
Sulla base di queste precisazioni ben pu� dirsi perci� che, 
limitandosi l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., a somminis.trare un 
criterio legale ed inderogabile di determinazione del credito verso la pubblica 
amministrazione, la pretesa su di esso fondata � indissolubilmente 
collegata con il rapporto devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo dall'art. 6, primo comma, della legge n. 75 del 1980. La 
sottrazione alla cognizione del giudice ordinario non si pone sotto alcun 
aspetto in contrasto con i princ�pi fondamentali regolanti l'istituto della 
giurisdizione esclusiva. 

Poich� in questa sede il problema � stato esaminato soltanto dal 
punto di vista della giurisdizione, non occorre ricordare l'orientamento 
della Sezione Lavoro di questa Corte che -anteriormente alla devoluzione 
delle relative controversie alfa giurisdizione esclusiva amministrativa e 
nel solco della decisiione n. 162 del 1977 della Corte costituzionale -ha 
affrontato e ['isoLto in senso negativo la questione dell'applicabilit� dell'art. 
429, terzo comma, cod. rproc. civ. all'indennit� di buonuscita dei 
dipendenti statali (cfr. sentenza n. 4127 del 1978) e, pi� in generale, a tutti 
i crediti di natura previdenziale (cfr. fra Je molte, le sentenze nn. 1345, 

�1347, 1922, 3127, 4318, 4687, 6355 del 1979; 358, 1025, 1345, 1348, 2731, 4961, 
5951 dcl 1980; 375 del 1981). 

8. -Lo 'Stesso discorso vale anche per la domanda di condanna del~ 
l'ENPAS al pagamento degli interessi <legali per il rita11dato pagamento 
delle somme richieste. 
In tema di interessi su somme dovute dalla rpubblica amministrazione 
ai propri dipendenti nell'ambito del rapporto di pubbJico impiego 
il �riparto delle giurrsdizioni da tempo non d� Juogo ad incertezze. La 
pretesa di interessi corrispettivi che costituiscono accessori legali del 
credito principale liquido ed esigibile e, a'l pari di esiso, sono dovuti in 
adempimento degli obblighi strettamente inerenti al rapporto di impiego 
-rientJrano nella giurisdizione esolusiv:a del giudice amministrativo, 
laddove quella concernente gli interessi moratori maturati sulle stesse 
somme -che ham10 un �titolo autonomo nel colpevole ri1tairdo� dell'amminist.
razione debitrice e costituiscono quindi una conseguenza ulteriore 


.................,! 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

della decisione del giudice amministrativo 1sulla spettanza delila somma ha 
per oggetto un diritto patrimoniale consequenzialle ed � pertanto devoluta 
alla giuris<dizione ordinaria. Sul punto si registra piena concordanza 
della giurisprudenza deHe Sezioni Unite (cfr. gi� la sentenza n. 3668 del 
1972 e, pi� specificamente, Je nn. 358 del 1975 e 5464 del 1977) e di quella 
del Consiglio di Stato (cfr. Adunanza plenaria, decisione n. 22 del 1968. 
Se di �recente quailche dubbio � sorto, esso ha riguardato piuttosto i limiti 
entro cui un credito verso l'amministrazione pu� definirsi �liquido ed esigibile 
al fine della 1sua collocazione nella categoria dei crediti produttivi 
di interes�si corrispettivi: cfr. !'ordinanza n. 10 del 1980 della Sezione VI 
che ha rimesso la questione all'Adunanza plenaria). 

Diviene perci� determinante veriif�caire 'la natura degli interessi spettanti 
�ail pubblico dipendente per effetto del ritardo con cui gli venga corrisposta 
l'indennit� di buonuscita. 

La materia � discip'linat�a dall'art. 14 del d.P.R. 28 dicembre 1970, 

n. 1079 che -modificando l'art. 142 de.I r.d. 27 giugno 1928, n. 1369 -ha 
previsto l'obbligo dell'amministrazione di predisporre tre mesi prima della 
cessazione del �servizio per limiti di et� la documentazione occorrente ai 
fini della liquidazione deM'indennit� di buonuscita e la 1sua trasmissione 
all'ENPAS, nonch� l'obbligo di tale ente di emettere il mandato di pagamento 
per rendere possibile l'effettiva corresponsione dell'indennit� immediatamente 
dopo la cessazione del servizio e comunque non oltre i quindici� 
giorni da questa data (il termine diventa di trenta giorni ove Ja cessazione 
da!l servizio avvenga per qualsiasi altra causa). 
Da �tempo ormai la norma � stata interpretata dalla Corte di cassazione 
nel senso che essa attribuisce al pubblico' dipendente un diritto 
soggettivo al puntuale pagamento e rende del tutto inapplicabiJe al rappwto 
in esame la disciplina prevista datla legge sulla contabilit� di Stato 
che consentiirebbe di ravvisare un diritto solo �al momento dell'emissione 
del mandato di pagamento. E conseguentemente le Sezioni Unite (cfr., fra 
le altre, le sentenze nn. 4546 del 1976, 4077 del 1977, 5330 del 1978) hanno 
-prima de11'entrata in vigore della .legge n. 75 del 1980 -ritenuto le 
relative domande attribuite alla giurisdizione del �giudice ordinario. Dal 
canto suo la sezione lavoro della corte -esaminando i�l problema della 
natura giuridica degli interessi spettanti al dipendente statale in ipotesi 
di �ritardato pagamento dell'indennit� di buonuscita -ha affermato D.'�:petutamente 
che alla scadenza dei termini previsti daJ citato art. 14 l'indennit� 
stessa (gi� liquida per effetto della predisposizione del � progetto 
di liquidazione� da parte del.l'amministrazione) diviene altres� pienamente 
esigibile onde, in caso di ritardo nella corresponsione, l'ente debitore 
� tenuto automaticamente nei confronti dell'ex dipendente al pagamento 
de~li interessi ai sensi dell'art. 1282, primo comma, cocl. civ.; gli 
interessi sono quindi definiti esplicitamente corrispettivi e la loro decor� 


712 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

renza � considerata un effetto legale della disciplina del .rapporto obbli.gatorio 
e in particolare della natura liquida ed esigibHe del credito pecuniario 
scaduto. (cfr. le sentenze nn. 4127 del 1978, id., 1978, I, 1872; 510 
e 6453 del 1979, id., Rep. 1799, voce Impiegato dello Stato, nn. 1055, 1053). 

Proprio perch� il dilritto del creditore a tali interessi prescinde del 
tutto da indagini sulila colpevolezza del debitore nella fase dehl'.adempimento, 
esso non pu� considerarsi inerente ad una prestazione � ulteriore � 
rispetto a que1la principale, e perci� soggetto al regime dei diritti patrimoniali 
consequenziali. Al contrario esso concerne un accessorio Jegale 
del credito principale. 

I

I 

II I 

(omissis) Col primo mezzo, il ricorrente denunzia violazione degli ~ 
artt. 29 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e 7 legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ~ 
in velazione all'art. 360, n. l, cod. proc. civ., cos� riproponendo ancora la !

1 

sua eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione del giudice adito. 1 
;

'i 

Osserva al riguardo il ricoJ.1rente che, secondo l'insegnamento giuri' 
sprudenziale, Ia giurisdizione esclusiva del giudice .amministrartivo irelativa f:f 
al rapporto d'impiego con enti pubblici non economici 1riguarda Je con~ 


I 
~ 
!1 

troversie in cui il rapporto d'impiego costituisca il titolo immediato 
e diretto della pretesa fatta valere; ci� che si verifica, in particolare, 
per quelle pretese patrimoniali che, collegate alla cessazione del rapporto 
trovano pur sempre in esso il loro fondamento. Ci� posto, i giudici del 
merito hanno ritenuto la non sussistenza della relazione stretta ed immediata 
tra la pretesa fatta valere in causa dal De Simone, in quanto, fuor


I 

viati da una mera identit� terminologica (ma non di sostanza), hanno I 

I

ritenuto di 1trovarsi di fronte a1la normale indennit� di buonuscita dei 

I

dipendenti stataJli, di cui � stato ripetutamente affermato in giurispru


!

denza il carattere meramente previdenziale, e non retriburt!ivo. Ma nel I 
caso di specie la �situazione � del tutto diversa, non essendo mai stato I 

I

I

iil De Simone un dipendente statale, bens� un dipendente dell'ENPAS. 
In questa situazione, non �solo non sussiste quella diveJ.1sit� di soggetti tra 1 
J'ex datore dii lavoro e l'Ente tenuto a:Il'erogazione p1revidenzia:le, che ha 
sempre costituito l'argomento principale che ha consentito di affermare 

i 

il carattere meramente previdenziaile dell'indennit� in questione; ma sussiste 
anche .11 nesso di necessaria derivazione della pretesa del rapporto 
di .impiego; infatti l'indennit� di buonuscita che l'ENPAS deve corrispondere, 
alla cessazione del rapporto, ai suoi propri dipendenti, ha tutte 
le caratterisitiche di un'indennit� di anzianit�, come ben risulta sia dall'art. 
13 della legge 20 marzo 1975, n. 70, sia dal regolamento per il tratta


�����������1.�.�.�.��"'������������--.-:.�.-.-.-.-.-...�.�.-.�.-.�.�.-:.-.�.�;.� ----.-.-.-.-.z.-.-.-.z.�.-. 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

mento di quiescenza e previdenza del personale dell'ENPAS, di cui al d.l. 
22 febbraio 1971 (artt. 31 e 32). Ci si trova quindi di fronte, nel caso di specie, 
non gi� ad un'erogazione previdenziale, ma ad una retribuzione differita; 
fa pretesa riguarda dunque il pagamento di un elemento del traittameinto 
economico, che trova iJ suo fondamento �diretto nella cessazione del rapporto 
d'impiego, e rientra pertanto neLI'ambito della giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo. N� potrebbe ritenersi che trattasi di 
uno dei c.d. �diritti patrimoniali consequenziali� di cui ahl'ar.t. 30 del 

r.d. n. 1054 del 1924, �riservato alla giurisdizione dell'A.G.0., atteso che Ia 
pretesa � stata ricondotta al fatto, oggettivamente considerato, del dtardo 
del pagamento (interessi col'!'ispettivi e non moratori). 
La censura � fondata. 

Le premesse da cui muove Ja difesa dell'ENPAS sono indubbiamente 
esatte. L'indennit� di buonuscita spettante ai dipendenti delJ.'Ente in conseguenza 
del loro collocamento a 1riposo non ha nulla a che fare con la 
indennit� di buonuscita spettante agli ex dipendenti dello Stato. Trattasi 
infatti .di un'erogazione assimilabile, come natura, all'indennit� .di anzianit� 
spettante agli impiegati privati, essendo pari a tanti dodicesimi de'Ho 
stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servitlo prestato, 
essendo posta a carico deU'Ente datore di .Javocro (e non di un altro soggetto), 
ed essendo costituita esclusivamente da versamenti del datore di 
lavoro, e non anche da contributi del lavoratore. Da:U'indennH� �.n questione 
esula quindi ogni carattere previdenziale, avendo essa invece 
natura di retribuzione differita. In questo senso, i richiami della sentenza 
impugnata alla �giurisprudenza di questa Corte Suprema in .tema 
di indennit� di buonuscita degli impiegati statali non sono assolutamente 
per.tinenti. 

Ci� posto, se fosse in discussione la sussistenza o meno dell'obbligo 
delJ'Ente di pagare l'indennit� (in quanto si contestasse, aid es. la preesistenza 
di un vero e proprio rapporto impiegatizio, o per qualsiasi altro 
motivo); ovvero se si discutesse dell'entit� dell'indennit� spettante (ad es., 
in quanto fosse in discussione l'ammontare dello stipendio annuo in godimento 
al momento del collocamento a riposo, ovvero il'anzianit� di servizio 
dell'impiegato) d si troverebbe di fronte indubbiamente ad una controversia 
in cui il Tapporto d'impiego costituirebbe iJ titolo immediato 
e diretto de1la pretesa fatta valere. Nella specie di causa, la controversia 
non tocca alcuno di questi punti; del tutto pacifica, � infatti la spettanza 
dell'indennit�, e parimenti pacifico � l'ammontare di essa. In concreto, 
l'ex dipendente si � doluto del fatto che l'indennit� ~nonch� due ratei 
mensili di pensione) gli siano stati pagati con un ingiustificabile ritardo. 

� lecito chiedeTsi, a questo punto, se ci si trovi di fronte ad un 
esempio di quei � diritti patrimoniali consequenziali � che, a norma del



RASSEGNA DELL1AVVOCAtUAA DELLO STATO

714 

l'art. 30 del r.d. n. 1034 del 1924, possono e devono esser fatti valere dinanzi 
all'Autorit� Giudiziaria Ordinaria. Ma la risposta al quesito non pu� che 
essere negativa. 

Secondo infatti, un orientamento giurJ!Sprudenziale ormai costante di 
questa Corte regolatrice, rientrano nell'ambito dei �diritti patrimoniali 
consequen:lliali � gili interes!Si moratori, ma non vi rientrano quelli corrispettivi; 
gli interessi, cio�, che sono �dovuti come conseguenza automatica 
del ritardo ~i un pagamento, indipendentemente dalla colposit� o dolosit� 
del J:"itardo, e che costi�tuiscono solo la contropartita del fatto obiettivo 
della disponibilit� del denaro mantenuta dal debitore anche per periodo 
successivo a quelfo stabilito per il pagamento. Orbene: � chiaro che la 
natura degli interessi richiesti (se moratori e corrispettivi) dev'essere valutata 
obiettivamente, e non semplicemente alla stregua della qualificazione 
che le parti abbiano ad essi attribuita. 

Nel caso di specie, la stessa senten:lla impugnata ha posto in risalto 
come dalla normativa che disciplina fa materia emerga J'automaticit� 
della decorren21a degli interes�si, ove da parte dell'Ente tenuto :aill'eJ:"ogazione 
delta pensione o dell'indennit� di fine rapporto si superi un determinato 
termine dalla cessazione del rapporto stesso senza che i pagamenti 
avvengano concretamente, indipendentemente dalla sussistenza di un �ritardo 
colpevole; e ci� depone chiaramente nel senso del caratte'l"e corrispettivo 
degli interessi. 

Non vale a dimostrare il contrar.io .il fatto che la difesa dell'ENPAS 

si sia affaticata, nel corso dei giudizi di merito, a cercar di dimostrare 

l'incolpevolezza del ritardo, giaoch� tale linea difensiva eira stata adottata 

sul presupposto della non applicabilit� all'ENPAS della normativa di cui 

alla legge n. 70 del 1975, presupposto giustamente dai giudici d'appello disat


teso. Cos� stando le cose, affermato il carattere coJ:"rispettivo degli interessi 

di cui .si discute, la carenza di giurisdizione del giudice ad�to � evidente. 

Gli interessi corrispettivi, infatti, dovuti come conseguenza automatica 

di un obiettivo ritardo, e .senza che sussista la necessit� di un comporta


mento in qualche modo illecito e colposo del debitore, costituiscono chia


ramente un semplice accessorio del debito principale (pensione ed inden


nit�), non presentando rispetto ad esso una particolare autonomia. � quin


di PJ:'Oprio il pregresso rapporto d'impiego che costituisce il titolo diretto 

ed immediato della pretesa fatta valere in causa. Le controversie relative 

a questi nteressi devono quindi seguire Ja stessa sorte di quelle attinenti 

al debito principale, e cio� alla pensione ed alle indennit� di fine 

rapporto, essendo p'l"evista per esso la giurisdizione esclusiva del giudice 

amministrativo, (al quale �spetta, 1appunto, la cognizione di ogni contro


versia attinente al �rapporto di pubblico impiego). 

Il primo motivo deve quindi essere accolto. (omissis) 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 715 

III 

(omissis). 1 -La principale questione sulla quale questa Adunanza 
Pfonaria � chiamata a pronunciarsi concerne l'applicabilit� o meno de.Ua 
rivalutazione monetada ai crediti di lavoro dei dipendenti pubblici. 

La problematica della incidenza deMa svaJutazione sulle obbligazioni 
pecuniarie in generale non � nuova ed � stata per lungo tempo oggetto 
di approfondite elaborazioni .giurisprudenziali e dottrinali. Ma a ridestarla 
e a riproporla in tutta la sua portata ha certamente contribuito la 
innovazione legislativa introdotta nell'ambito dei crediti di lavoro dalla 
Jegge n. 533 del 1973, modiffoativa del testo di cui all'art. 429 c.p.c., che nel 
dettar norme sul pagamento di somme di denaro per detti orediti, ha 
stabilito 'che il giudice deve determinare, oltre gli interessi nella misura 
legale, anche il maggior danno eventualmente sub�to dal lavoratore per la 
diminuzione del valore del suo credito, e ci� con decorrenza dal giorno 
delJa maturazione del suo diritto. 

E' agevole riconoscere che tanto siffatta innovazione legislativa, 
quanto del resto le diverse elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali cui 
si � fatto cenno, hanno tenuto ben presente Ja particolare tutela di cui 
sono meritevoli i crediti di lavoro in relazione alla peculiare funzione 
della retribuzione diretta soprraHutto a garantire bisogni primari ed insopprimibili 
della vita. 

11ale fondamentale principio � stato varie volte propugnato dalla Cocte 
Costituzionale che, nel precisare il suo pensiero intorno a1l'art. 429 c.p.c. 
nel testo moclificato dalla succitata legge n. 533 del 1973, ha richiamato 
l'attenzione �sulla particolare tutela del ilavoro nella Costituzione, ['.�tenendo 
giustificato il trattamento privilegiato xiservato ai crediti di lavoro rispetto 
ahle aUre obbligazioni pecunia~ie di differente nart:ura, crediti che 
per la foro stessa qualit� �trovano nello sfondo, hl presidio e la garanzia 
(per cos� d.ire rafforzata) di pi� precetti costituzionali, quali quelli contenuti 
negli 1artt. 1, 3 cpv, 4, 34 e 36 �. (sent. n. 13 del 1977). 

Nel contesto dunque di tale peculiare tutela la Corte ha ritenuto razionalmente 
collocata nell'ordinamento la richiamata disciplina regolatrice 
dei crediti di lavoro, e ci� peraltro sulla base di tre distinti riJievi 
che non ha mancato di ribadire nella successiva sentenza n. 43 del 1977, 
cio�: l'esigenza di mantenere inalterato il potere di acquisto di beni reali 
delle somme costituenti oggetto dei predetti crediti del lavoratore, p0sta 
in rclazione alle finalit� di sostentamento proprie deMa retribuzione giusta 
l'art. 36 Cost.; l"esigenza, collegata sempre a dette finalit�, di porre runa 
remora al ritardo nell'adempimento aHa scadenza delle obbligazioni 
relative aJJe prestazioni �retributive; l'esigenza infine di riequilibrio delle 
posizioni economiche delle parti con il recupero in favore del lavoratore 
de1l"arricchimento conseguito dal datore di lavoro che ha utiilizzato nella 



716 RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO 716 RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO 
propria struttura organizzativa la forza di lavoro senza corrispondere al 
lavoratore quanto a Jui dovuto alle prescritte scadenze. 

Occorre per� soggiungere che ila stessa Corte, nonostante abbia riconosciuto 
la sussistenza della prima delle anzidette esigenze anche neffambito 
del lavoro dei dipendenti pubblici, ha 1Juttav1a ritenuto che ricorressero 

sufficienti ragioni per ravvisarsi una diversit� di posiziioni di questi ultimi 
dipendenti .rispetto a quelle dei prestatori di lavoro privato, finendo quindi 
col negare ai primi il trattamento privilegiato, la cui garanzia costituzionale 
aveva conclamato in favore di qualsivoglia credito. 

Rileva l'Adunanza che l'esigenza di sostentamento, quaile connotazione 
essenziale de1la retribuzione tanto se percepita dai dipendenti pubWici, 
quanto se percepita da quelli privati, non pu� non costituire di per 
s� valida ed insuperabile �ragione di accomunamento, quanto meno sotto 
il profilo economico, delle posizioni di entrambe le categorie di lavoratori, 
non potendo in nessun caso ravvisarsi una diverisit� sostanzialJ:e di 
situazioni rispetto alla diminuZ�one patrimoniale che deriva dall'inesatto 
adempimento delle obbligazioni. Accade spesso che i pagamenti 
della P.A. siano procrastinati e coloro che anche per Junghi anni siano 
stati alle dipendenze dello Stato e di Enti pubblici apprestando le loro migliori 
energie lavorative, debbano attendere per riscuotere, con moneta 
svilita, il necessario per vivere. 

Tale ritardo non pu� non essere suscettibile di ristoro proprio per il 
soddisfacimento di una di quelle esigenze che la Corte Cositituzionale 
ha in&viduato a sostegno della �ratio� della nuova normativa, sustanziantesi 
nel riequilibrio delle posizioni economiche delle parti. 

Se il problema dell'arricchimento-depauperamento non pu� esser posto 
nell'ambito delle obbligazioni pecuniarie nel caso di esatto e tempestivo 
adempimento, stante che l'alea � Ja necessaria conseguenza del principio 
nominalistico, non possono, per converso, il ritardo o l'inadempimento non 
assurgere a momento produttivo di danno e quindi porsi come causa 
risa11citoria. 

La mora aggrava il rischio insito, per il rilevato principio nominalistico, 
in ogni obbligazione peouniaria, dando luogo ad un debito per il danno 
che si aggiunge ahlo originario debito nominalistico. E se innegabi!le � il 
pregiudizio a carico del dipendente-creditore, innegabhle � a!tres� il locupletamento 
che Jo Stato o gli Enti pubblici sono nelle condizioni di potere 
conseguire, stante che essi, mentre da una parte risparmiano una erogazione 
di ricchezza fa termini reali, pagano, dall'altra, con moneta svilita 
per il decorso del tempo dovuto alla loro inadempienza. 

La retribuzione, com'� noto, si concreta in un corrispettivo commisurato 
a11a qualit� .e quantit� delile prestazioni rese dal dipendente ed, ove 
questi tali prestazioni regolarmente effettui sia per qualit� che per quantit�, 
ponendo la propria forza di lavoro a beneficio dell'Amministrazione, 

I


I 


............ ����~������....~.... .,.,.,......,..................................., ,.,., ...... , ...... ������....... ................. . .............._ ! 



l'AR'l'E I, SEZ. Ilt, GIURIS. SU OUESTIONI DI GlURISDlZIONE 

non � certamente lecito che la controprestazione retributiva non sia da 
questa ahla scadenza posta nella disponibilit� del dipendente, al cui pregiudizio 
eoonomico qui[ldi non potr� non corrispondere un correlativo 
vantaggio dell'Amministrazione. 

Da ci� consegue che la responsabilit� per mora dello Stato e degli enti 
pubblici in nessun caso pu� essere negata secondo i generaH principi 
dell'inadempimento delle obbligazioni, dettati dall'�art. 1218 e.e. e lini particolare 
da:hl'ar.t. 1224 stesso codice, che nella fattispecie in esame costituisce 
la pi� cospicua norma; n� tanto meno pu� essere vianificata per via 
di presunte difficolt� dii accert�amento e di liquidazione dei crediti, dalle 
quali talvolta si � propensi a trarre spunto per indulgere sulla inerzia 
dei pubblici debitori. 

Le spese pubbliche di regola richiedono, oltre agli stanziamenti, particolari 
procedimenti di liquidazione e di controllo, ma non � da escludere che 
iJl credito sia gi� perfetto ed esigibile al momento delil!a scadenza, senza 
pertanto che sia necesisario un apposito e distinto procedimento amministrativo 
di autorizzazione al pagamento, per cui le dette difficolt�, coo 
le quali si tenderebbe ad esentare la P.A. dalla responsabilit� per i rritardi, 
non sempre ricorrono. 

Ma comunque, a parte il fatto che un efficiente assetto organizzativo 
del1a amministrazione dovrebbe esser sufficiente ad evitare il p:rolungarsi 
di detti .procedimenti oltre ogni ragionevole limite temporaile, � da 
escludere che possa nei confrronti della P.A. ad una responsabilit� di tipo 
comune, regolata dalle leggi civili, sovrapporsi una diversa responsabili<t� 
subordinata a mere esigenze contabili non prevista daJl'ordinamento. 

Tutt'al pi�, ove rla dilatazione della fase perfezionativa del credito 
non dipendesse da colpevole ritardo della P.A. e fosse da questa in concreto 
dimostrato caso per caso che l'indugio procedimentale non sia ad 
essa imputabile, potrebbero scattare i meccanismi di carattere soggettivo 
che esc1udono �le conseguenze risarcitorie dell'inadempimento o del ritardo 
in �Connessione alla prova rigorosa che il sopravvenuto inadempimento 
non sia stato evitabile, n� superabile con la normale diligenza del debitore. 

Giova dunque rilevare che se � pur vero che allilo stato de1la vigente 
legislazione la sanzione della svalutazione monetaria ben pu� costituire 
remora a11e Jungaggini procedimentali di liquidazione e disp!i:egare quindi 
la sua forzia dissuadente a dilatare oltre ogni ragionevole limite temporaJe 
le fasi di autorizzazione al pagamento, � tuttavia ai legirslatore che 
spetta ,iJ compito di sne1lire dette procedure rendendole pi� semplici ed 
omogenee con opportune norme che siano idonee ad accelerare i tempi 
di liquidazione. 

Consegue dunque da quanto finoI'a si � detto che il problema della 
svalutazione monetaria in relazione al ritardo o al!l'inadempimento delle 
prestazioni retributive nei confronti dei pubblici dipendenti in nessun 


718 

RASSEGNA DELL1AVVOCAfiJkA D�LLO STAT� 

caso pu� essere eluso. Esso rimane ancorato ai comuni principi de1la 
riesponsabilit� stabilita dalla legge. In particolare trova il suo fondamento 
e la sua soluzione nel combinato disposto dei richiamati artt. 1218 e 
1224, cio� in uno schema tradizionale che non � di molto dissimile da 
quello previsto all'art. 429 c.p.c., nel testo introdotto dalla legge n. 533 

del 1973. 

Anzi, in un certo senso, quest'ultima disciplina postula nell'ambito 
dei crediti di lavoro una riscrittura, se non addirittura una interpiretazione 
autentica delle succitate norme del cod. civ., contribuendo al tempo 
stesso a dare una direzione pi� definita e determinata alfa tecnica risarcitoria. 
Non � invero da sottovalutare nel nuovo testo normativo la tendenZJa 
del legislatore ad attribuire rilevanza � in re ipsa � a:lla svalutazione 
monetaria, non con�siderandola cio� come fonte od occasione 
di danno. 

La nuova legge del 1973 infatti introduce al riguardo un automatismo 
risarcitorio che di regola non rricorre nel tradizionale schema cui si � 
fatto cenno, ricollegantesi ai richiamati artt. 1218 e 1224 cpc., ponendo 

1

quest'ultima norma a carico del creditore l'onere de1la dimostrazione del 
maggior danno sub�to. Tuttavia, se l'onere della prova del danno e la 
concorrente superfluit� dell'atto di costituzione in mora nella innova� 
zione legislati'"a di cui al succitato art. 429 c.p.c., sono traHi essenziali 
e connotazioni incisive ed aderenti al trattamento privUegiato di cui, 
secondo i richiamati pirincipi costituzionali, godono i crediti di Javoro, 
<;letti meccanismi nell'ambito del lavoro pubblico trovano del pari la 
loro realizzazione mediante la tutela propria delle obbligazioni pecuniarie 
incentrata sull'art. 1224 cpv e.e. 

Basta rilevare in proposito che l'art. 115 cpv c.p.c. da facolt� a1 
giudice, senza bisog1I10 di prova, di porre a base del1a p;rop:ria decisione 
le nozioni di fatto che rientrano nella ,comune esperienza e, secondo 
l'o;rientamento giurisprudenziale espresso dalla Corte di Cassazione, tra 
dette nozioni rientrano la svailutaZJione monetaria e la relativa entit� 
(Cass. Civ. 17 Jugl!io 1952 n. 2254), sicch� ben pu� procedersi automaticamente 
alla liquidazione del maggior danno mediante il fatto notorio della 
svalutazione monet,ariia, calcolandone la ,relativa misura secoodo J'indice 
Istat, in ci� soccoiirendo iil testo modificato deH'art. 150 disp. att. c.p.c. 
N� d'altronde deve ritenersi che nella fattispecie in esame ;sfa necessario 
l'atto di costituzione 1n mora. 

Innanzitutto � da rilevare che non solt�nto ne1la previisione normativa 
di cui l'innovato art. 429 c.p.c. � possibile la mora �ex re >>, rnicol1I'rendo 
siffatto tipo di mora anche in ipotesi di diritto comune. 

Nell'ambito, infatti, di applicazione della disposizione di cui all'art. 2119 
c.ic. sono riconducibili a:1le suindicate ipotesi la corresponsfone dei minimi 
inderogabili ed altri comportamenti del datore di lavoro costituenti ille


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PARTE I, S�Z. ifl, GiUi'US. SU QUESTi�NI Di G�URISDIZI�NE ~19 

citi di natura 1contrattuailie, quali la manoata 1co:rresponsiione degli emolumenti 
per ferie non godute e per giornate festive. 

Ma giova poi osservare, per quanto concerne gli altri crediti di lavoro, 
che questi rientrano tra le obbligaziioni normalmente eseguibili al domicilio 
del i0reditore, per i quali � ammessa la mora automatica. 
E' noto che jJ vigente codice non accoglie indistintiamente il principio 
�dies interpehlat pro homine �, ma distingue a tal fine le obbligazioni 
da adempiere al domid1io del debitore da quelle da adempiere al domicilio 
del creditore e solo per queste ultime non prevede il preventivo 
atto di intimazione (art. 2119, cpv. n. 3, cod. civ.). 

n luogo di ,lavoro, senza dubbio ,concorre ad individuare il domicilio, 
inteso come centro dove la persona stabilisce la sede dei suoi affari o dei 
suoi interessi. 

E' da rilevare peraltro che gli artt. 1182 e 1219 e.e. panlano di domicilio 
in senso lato, cio� edificio o Jocaile dove il creditore si trovi alda scadenza 
del debito e, pi� in generale, con ,riferimento alfa fattispecie in esame, 
qualsiasi luogo che rientri nella sfera territoriale di attivit� del lavoratore. 
Ci� induce a ritenere che ai fini di qualificare come � portables � 
e non � qu�rables � i crediti in parola, assume senz'altro rilievo l'attivit� 
di cooperazione del dipendente, attivit� che si esteriorizza nella totale disponibilit� 
dello stesso al ricevimento della prestazione retributiva, essendo 
egili professionalmente e diuturnamente presente nel luogo del pagamento, 
donde, in ultima analisi, un atto di messa in mora alla scadenza prefissata 
nei confronti dehl'Amministrazione debitrice sarebbe dogkamente 
superfluo e giuridicamente non richiesto dall'ordinamento. 

Come dunque � agevole os,servare .anche neM'ambito di appdicazione 
dei principi di di:ritto comune, i crediti di lavoro ricevono una peculiare 
protezione, 11 che soddisfa i precetti costituzionali dianzi ricMamati ed 
aderisce al tempo stesso a:lla tendenza � legislativa pi� attuale, quale � 
quella che si trae :dal testo innovato deltl'art. 429 c.p.c. 

Le agevolazioni invero cui si � fatto cenno, concernenti, da una parte, 

la sussistenza per fatto notorio del maggior danno che al dipendente deriva 

in 1conseguenza del ritardo o deH'inadempimento della prestazione dovu


tagli e la mora �ex re �, dall'altira, che nei credi1i in pa:ro1a per i rHevati 

congegni normativi ben pu� essere ravvisata, cons�entono di dare una rile


vanza automa:tioa a:lla svalutazione monetaria con riferimento a tutti 

indistintamente i crediti di 1lavoro, in essi .compresi quindi anche qu~1li dei 

dipendenti pubblici. 

Ritiene pertanto 1l'Adunanza che, pur in costanza del principio nomi


nalistico sul quale si fondano le prestazioni retributive, ove sussista il 

11i1lardo o lo inadempimento di tali prestazioni da parte dell'Amministra


zione, viene senz'altro meno iJ principio dell'insensibilit� de1le obbligazioni 

pecuniarie aLla svalutazione monet�aria, trovando questa automatica appli



RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO

720 

cazione in forza del rischio che il ritardo o l'inadempimento comportano 
a carico dell'Amministrazione 'debitrice ed i!n correlazione peraltro alla 
tecnica 'risarcitoria in materia usata dal legiSilatove, che consente di 
attrarre in una fattispecie unica e complessa tanto i momenti di maturazione 
dei crediti stessi, quanto i relativi -interessi e .la iloro svalutazione e 
di realizzare quindi un meccanismo di conser~azione del valore economico 
della J'etribuzione, a'tto a ripristinarne il potere di acquisto connesso 
alla sua natura e alle sue finalit�. 

2 -Siffatte conclusioni consentono anche di risolvere Ia questione 
attinente alla giurisdizione, la quale, quindi, nonostante abbia carattere 
pregiudiziale, va ora qui. esaminata, stante la refluenza che su essa hanno 
i rilevati profili della svalutazione monetaria. L'ordinanza di rimessione 
pone il problema se tale svalutazione, in quanto intesa come � maggior 
danno�, esuli dalla giurisdizione del giudice amministrativo e se, qui111di, 
integrando una questione patrimoniale conseguenziale, sia soggetta alla 
giurisdizione del giudice ordinario. 

Ritiene l'Adunanza che a tal quesito non possa che esser data risposta 
negativa. Come gi� si � avuto modo di rilevare, la tecnica in materia 
usata dal legislatore consente di attrarre in una fattispecie unica e complessa 
i momenti di maturazione dei crediti di lavoro, la loro svalutazione e 
la loro liquidazione. Ci� non pu� che indurre a ritenere che il quid pluris, 
in cui detta svalutazione si sostanzia; mantenga pur sempre il carattere 
della retribuzione dovuta al dipendente per le prestazioni effettuate. 

Questa Adunanza (dee. 7.4.1981 n. 2) ha gi� avuto modo di esaminare 
l'analoga questione concernente gli interessi moratori che, secondo un precedente 
indirizzo giurisprudenziale, in quanto di natura risarcitoria, erano 
stati ritenuti rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario ed ha 
escluso che tali interessi potessero prospettare una questione patrimoniale 
conseguenziale, trovandosi rispetto alla retribuzione in un rapporto di connessione 
diretta e necessaria, per cui in relazione ad essi � stata affermata 
la giuuisdizione del giudice amministrativo. Non ritiene il Collegio di discostarsi 
da siffatta impostazione anche per quanto concerne la svalutazione 
monetaria (in riferimento, peraltro, all'orientamento recentemente 
espresso dalle SS.UU. della Corte di Cassazione, con sentenza n. 4184 del 
27 giugno 1981). Detta svalutazione, invero, non introduce un incremento 
ulteriore nelle ragioni creditorie del dipendente, ma opera una quantificazione 
di valori ontologicamente e funzionalmente coincidenti con i 
momenti originari di maturazione del diritto alla retribuzione. 

Con il riconoscimento della svalutazione monetaria cio� si attua un 
meccanismo automatico di conservazione e di reintegrazione dcl patrimonio 
del creditore deMa diminuzione patHa, sicch� in essa non � dato 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 721 

ravvisare un � posteriUIS � rispetto alla stessa retribuzione, ma piuttosto 
un elemento �sfJrettamente connesso con le prestazioni lavorative gi� effettuate 
nel corso del rapporto. 

Giova peraltro rilevare che il detto meccanismo prescinde daUa costituzione 
in moria �ed � ancorato, per quanto concerne ill � quantum � ad 
indici prestabriJHti qua!li quel.Ii lstat, i.I che vale a confermare che la conservazione 
del valore � un � qui!d � che � propirio delLa retribuzione e nella 
quale anzii si immedesima. La questione dunque di che trattaisi, non caratterizzata 
da alcuna conseguenzialit� di ordine patrimoniale, rientra 
nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 luglio 1981, n. 4674 -Pres. Rossi; 
Rel. Pierii; P. M. Fabi (diff.). -E.N.P.A.S. (avv. S.tato Laporta) c. Pepe. 

Giurisdizione civile � � Ius superveniens � -Immediata applicabilit� in 
ogni stato e grado del giudizio -Limiti. 
(cod. proc. civ., artt. 5 e 37; legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6). 

Impiego pubblico -Indennit� di buonuscita -IUtardato pagamento -Riva


lutazione a sensi dell'art. 429 cod. proc. civ. -Non spetta. 

(art. 429 cod. proc. civ.). 

Il principio dell'immediata applicabilit� dello jus supeirveniens in 
materia di giurisdizione non pu� trovare applicazione allorquando, in seguito 
ad affermazione implicita od esplicita della propria giurisdizione, 
il giudice adito abbia pronunciato sul merito, anche relativamente ad una 
parte soltanto della domanda, e la statuizione cos� emessa sia passata in 
giudicato (1). 

Il terza comma dell'art. 429 cod. proc. civ. contiene una norma di carattere 
sostanziale, come tale non compresa nel rinvio operato dal successivo 
art. 442 (in tema di controversie previdenziali) alle disposizioni 
di carattere processuale riguardanti le controversie di lavoro. Deve, pertanto, 
escludersi che un credito di natura previdenziale, come quello dei 
dipendenti statali all'indennit� di buonuscita, sia suscettibile di rivalutazione 
monetaria a sensi del citato art. 429 cod. proc. civ. (2). 

~1) L'applicabilit� dello jus superveniens non trova, invece, ostacolo nel 
giudicato formale sulla giurisdizione: cfr Cass., Sez. Un., 27 giugno 1981, n. 4184 
in questo fascicolo. 

(2) Giurisprudenza consolidata, come � ricordato in motivazione. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

722 

(omissis) -Nelle more del giudizio � entrata in vigore la legge 
20 marzo 1980, n. 75, che, al primo comma dell'art. 6, ha stabilito che � le 
controversie in materia di indennit� di buonuscita e di indennit� di cessazione 
del rapporto d'impiego relative al personale dello Stato e delle aziende 
autonome appartengono alla giurisdizione esclusiva del Tribunali Amministrativi 
Regionali �, e che � � abrogata ogni diversa disposizione �. Anche 
quindi se nel.la presente controversia non sono pi� state sollevate da alcuna 
delle parti questioni di giurisdizione, � necessario esamill!aire, prima 
di entrare nel merito del� ricorso, se le disposizioni di l.egge sopra menzionate 
debbano essere comunque applicate d'ufficio -come del resto la 
difesa dell'E.N.P.A.S. ha prospettato in sede dii discussione orale. 

Al riguardo, occo:Pre riilevare innanzi tutto che netla presente oausa 
non sono state proposte o comunque discusse questioni inerenti ad una 
eventuale !riliquidaziione dell'indennit� di buonuscita al fine di tener 
conto, nella base di calcolo, anche della tredicesima mensilit�. Non vi 
� quindi luogo a provvedere, ai sensi della disposizione del secondo comma 
dell'art. 6 della legge n. 75 del 1980, ad una declaratoria di estinzione del 
giudizio a spese compensate. Occorre soltanto considerare se si sia verificato 
o meno un difetto di giurisdizione sopravvenuto, con conseguente 
improponibilit�, in questa sede, delle domande attoree. 

Ci� posto, potrebbe porsi H problema se le domande proposte in 
causa dal Pepe (condanna dell'ENPAS al pagamento degli interessi ed al 
risarcimento del danno da svalutazione monetaria, per aver l'Ente provveduto 
con grave ritardo al pagamento dell'indenint� di buonuscita) possano 
considerarsi o meno �controversie in materia di indennit� di buonuscita
�, o riguardino, invece, �diritti patrimonia1H consequenziali � alla pronunzia 
sulla legittimit� deH'atto o provvedimento amministrativo, riservati 
comunque, a norma dell'art. 30 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, alla cognizione 
del giudice ordinario. Ma, in realt�, il problema non ha, nella presente 
controversia, un rilievo decisivo. E' vero, infatti, che gli interessi che neMa 
specie sono stati richiesti sono ricollegati alla tardivit� de'l pagamento 
dell'indennit�; ma non � stata dedotta la sussistenza di una colpa (e meno 
che mai del dolo) dell'Ente tenuto all'erogazione, e gli interessi sono stati 
richiesti come sempi!ice ed automatica conseguenza del ritardo; si tratta 
quindi (quale che sia stata la qualifica attribuita alla domanda delle 
parti) di interessi corrispettivi, e non di interessi moratori, ai quali un 
costante orientamento giurisprudenziale nega la natura di dfritti patrimoniali 
consequenziiali, per essere gli stessi strettamente e direttamente collegati 
col capitale a cui si riferiscono. Ond'� che la giurisdizione sulla domanda 
relativa agli interessi dovrebbe spettare allo stesso giudice al 
quale � attribuita la giurisdizione esclusiva su tutte 1e questioni inerenti 
all'indennit� di buonuscita. Analoghe considerazioni devono farsi poi in 
relazione alla domanda di rivalutazione monetaria, in re1lazione anche in 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

questo caso ad un saldo orientamento giurisprudenziale che considera 
la domanda stessa, come prevista a norma dell'art. 429 cod. proc. civ. (ed a 
differenza di quanto dovrebbe dirsi per una domanda proposta ai sensi 
dell'art. 1224 cod. civ.) come inerente alla quantificazione della somma dovuta 
e quindi strettamente collegata al problema del pagamento dell'indennit� 
di cui si discute; anche in questo caso deve quindi negarsi che ci si 
trovi di fronte ad un diritto patrimoniale consequenziale, talch� la giurisdizione 
a conoscere della domanda dovrebbe essere attribuita allo stesso 
giudice (amministrativo) cui spetta la giurisdizione esclusiva sulle controversie 
in tema di indennit� di buonuscita. Ma tutto ci� non � sufficiente, nel 
caso di specie, per consentire di affermare la giurisdizione del giudice amministrativo. 
Ci si trova, infatti, di fronte ad un'ipotesi di jus superveniens 
concemente H tema del1la giurisdizione; e secondo un orientamento giurisprudenziale 
di questa Corte Regolatrice, ribadito in altrre pronuncie 
coeve a11a presente, lo jus superveniens suddetto pu� prevalere sul giudicato 
puramente formale formatosi sul punto, e oio� su1La preclusione 
derivante da nna pronunzia non impugnata e divenutJa quindi definittlva 
che abbia investito il solo tema della giurisdi:tione. Ma questo principio 
non trova applicazione nell'ipotesi in cui, in seguito ad un'affermazione 
implicita ed esplicita della propria giurisdizione, il giudice ad�to abbia 
omesso statuizioni di merito sul rapporto dedotto in giudizio, attribuendo 

o negando alla parte richiedente un bene della vita, e tali statuizioni 
di merito abbiano acquistato efficacia di giudicato sostanziale. In tal 
caso, l'jus superveniens, come non pu� incidere sul giudicato (sostanziale) 
gi� formatosi, non potendo modificare una situazione ormai consolidatasi, 
non pu� neppure impedire al giudice di pronunziarsi anche su 
altri punti controversi dello stesso rapporto che siano tuttora sub judice. 
�, invero, l'efficacia espansiva del giudicato sostanziale che osta all'applicazione 
di quel principio specie perch�, di regola, (come � avvenuto 
anche nel caso di specie) le statuizioni gi� definitivamente adottate in 
ordine al rapporto controverso costituiscono le premesse logico-giuridiche 
delle ulteriori pronunzie su altri capi di domanda fondati sullo stesso 
rapporto. 
Orbene: questa situazione di costituzione di un giudicato sostanziale, 
implicante anche J'affermazione della giurisdizione del g1udice ad�to, si 
� verificata nella presente. causa. � 

Invero, nel caso di cui ci si occupa, l'ENPAS, convenuto in primo grado, 
eccep� il difetto di giurisdizione dcl giudice ad�to. Il Pretore disattese 
tale eccezione, ed accolse una delle domande di merito del Pepe. L'ENPAS 
propose appello incidentale, senza peraltro in quella sede riproporre la 
questione di giurisdizione; talch� la relativa statuizione del primo giudice 
pass� in giudicato. Non solo: il Tribunale di Napoli, in sede di appello, 
ha accolto l'impugnazione principale del Pepe, che ha visto cos� accolte 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

724 

tutte e due le sue domande di merito (interessi e svalutazione monetaria), 
con d� vedendo implicitamente riaffermata, da parte del giudice d'appello, 
la propria giurisdizione. E non basta: il presente 1ricorso de'll'ENPAS 
riguarda 1.]Ila sola dehle domande attoree, e cio� quella attinente al risarcimento 
dei danni per svalutazione monetaria, mentre la statuizione di 
condanna in tema di interessi per tardivo pagamento � passata �IIl giudicato. 
Vi � quindi stata, in causa, un'affermazione espilicita in tema di 
giurisdizione del giudice di primo grado, passata in giudicato; a cui ha 
fatto poi seguito una statuizione di merito, implioante comunque logicamente 
la riaffermazione della giurisdizione del giudice d'appello, anch'essa 
pas1sata �IIl giudicato. In questa situa:llione, il tema della giurisdizione 
� ormai intangibile, n� resta pi� spazio per discuterne in questa 
sede (e tanto pi� d'ufficio, ilil assoluta mancanza di ricorso sul punto). 

Occorre quindi pa:ssare all'esame di merito del ricorso, col quale 
l'ENPAS denunzia, ai sensi dell'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la violazione 
degli artt. 15, disp. prel. cod. civ., 1224 e 1282 cod. civ., 442 e 429 
cod. proc. civ., 270 e seguenti r.d. 3 maggio 1924, n. 827, 22 r.d. 7 giugno 1928, 

n. 1639, 37 r.d. 26 luglio 1942, n. 997 e 57 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, 
nonch� contraddittoriet� della motivazione. 
Ll ricorrente pone in risalto, innanzi tutto, la contraddizione insita 
nella motivazione della sentenza impugnata, la quale dapplima -per 
riaffermare la giurisdizione deH'A.G.O. -afferma la natura previdenziale 
e non retributiva delil'indennit� di buonuscita e dei suoi accessrn:i, 
e successivamente, al fine di affermare la concedibilit� deHa rivalutazione, 
afferma l'equival�nza o l'anafogia tra l'indennit� di buonuscita e l'irndennit� 
di anziandt�, s� da doversi considerare anche la prima, sostanzialmente, 
come �credito di lavoro �, con conseguente applicabi'lit� dell'art. 
429 cod. proc. civ. Assume poi che, a norma dell'art. 442 cod. proc. 
civ., Je disposizioni del capo I del titolo IV del libro II del cod. proc. 
civ., si applicano �nei procedimenti � in materia previdenziale; e che dal 
tenore di tale disposizione si evince chiaramente come solo le norme 
processuali relative ai rapporti di lavoro si . applichino integralmente 
ai giudizi previdenzia1i, e non anche quindi le norme sostanziali (come, 
inequivocabilmente, � la disposizione dell'art. 429, terzo comma, che 
attribuisce al lavoratore un diritto soggettivo patrimoniale). Ci� posto, 
rileva che per poter applicare l'art. 429, terzo comma, anche ai crediti 
previdenziali ed assistenziali occorrerebbe dimostrare l'identit�, o quanto 
meno l'assimilabilit�, tra crediti di lavoro e crediti previdenziali; ci� 
che nella specie non � affatto avvenuto (essendosi, al contrario, ribadito 
il carattere previdenziale e non retributivo dell'indennit� di buonuscita). 
L'Ente ricorrente osserva poi che i giudici del merito hanno 
omesso di esaminare se le norme che rendono applicabile all'ENPAS 
la normativa sulla contabilit� dello Stato siano state o meno abro




PARTE I, SEZ, III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

gate dalla nuova normativa sU!l processo del lavoro; aggiungendo che 
se tale indagine fosse stata �compiuta si sarebbe dovuto riconoscere che 
una norma speciale (quella relativa all'ENPAS) non pu� essere derogata 
da una norma generale (il cod. proc. ci".), in mancanza di un'espressa 
volont� legislativa in tal senso. Ha infine osservato che ricorrono validissime 
ragioni per negare l'applicazione della disposizione dell'art. 429, 
terzo comma, cod. proc civ., ai crediti previdenziali, come evidenziato 
da autorevoli pronunzie giuridisprudenziali, tra cui in particolare la 
sentenza n. 162 del 1977 della Corte Costituzionale. 

La censura � fondal:a, almeno ne1le sue parti es,senziaH. 

Invero, ila denunziata contraddittoriet� della motivazione effettivamente 
sussiste, ma non assume particolare dlievo di per s�, investendo 
essa un'argomentazione addotta dal giudice d'appello ad abundantiam, 
in aggiunta ad altre argomentazioni teoricamente sufficienti, di per s� sole, 
a sostenere la dedsione. IrrHevoote, ai fini ohe qui interessano -e cio� 
in ordiine al problema dell'�applicabiilit� o meno ai credirti previdenzialli 
della disposizione dell'art. 429 cod. proc. civ. -� l'argomentazione relativa 
alla permanenza o meno in vigore delle norme che rendono applicabile all'ENPAS 
la normativa sulla contabilit� generale dello Stato; mentre non va 
taciuto che su'l �punto una costantissima .giurisprudenza di questa Corte 
(Cfr., ad es., Cass. 13 luglio 1978, n. 4127; Cass. Sez. Un. 17 novembre 1978, 

n. 5330; Cass. 23 gennaio 1979, n. 510; Cass. 11 dicembre 1979, n. 5423) 
ritiene che per effetto dell'entrata in vigore del'art. 26 del d.P.R. 29 dicembre 
1973, n. 1032 � venuta a cessare, con riferimento alla materia 
che qui interessa, l'efficacia di tutte le norme, comprese quelle sulla 
contabilit� generale dello Stato, con essa incompatibili; talch� l'argomentazione, 
oltrech� irrilevante, sarebbe anche infondata. Ma ci� non 
toglie che un orientamento giurisprudenziale altrettanto saldo si sia formato 
in relazione all'inapplicabilit� ai crediti previdenziali dell'art. 429, 
terzo comma, cod. proc. civ., proprio per il fatto che trattasi di una norma 
di carattere sostanziale, mentre il rinvio di cui all'art. 442 cod. proc. civ., 
opera solo in relazione alle disposizioni di carattere processuale; mentre 
non sussistono la maggior parte dei motivi che hanno indotto il legislatore 
a dis,porre la riva'lutazione dei crediti di favoro, ed in particolare ['esigenza, 
di porre una remora a resistenze e ritardi ingiust1ficati e caratterizzati 
da fini speculativi, dei datori di lavoro neH'adempimento delle 
loro obbligazioni. 
Orientamento giurisprudenzia[e ohe trae conforto anche da una senten:
zJa, sia pure interpretativa, della Corte Costituzionale. D'a:1tm parte, 
il rilievo contenuto nella sentenza, secondo cui la legi1slazione successiva 
al 1973 parrebbe ribadire il concetto dell'applicabilit� ai crediti previdenziali 
dell'art. 429 cod. proc. civ. non pare fondato: il fatto che il legislatore 
abbia imposto agli Enti previdenziali di corrispondere immediatamente 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

726 

all'avente diritto un trattamento di quiescenza provvisorio a titolo di 
anticipazione sul definitivo, ed il fatto che si ,sia imposto agli Enti di liquidare 
le 1indennit� di buonuscita nel pi� breve tempo possibile, dimostra 
proprio ch~.si � voluto seguire una via diversa da queHa della Tivalutazione 
delle indennit� corrisposte in ritardo, mirando a far s� che nessun ~itardo 
abbia a verificarsi. 

Il ricorso deve quindi essere accolto, nel merito, e la sentenza impugnata 
-Jimitatamente aJ capo di pronunzia investito dall'impugnazione, 
e cio� a quello relativo all'applicazione della rivalutazione ex art. 429 cod. 
proc. civ. delle somme tardivamente pagate al Pepe a titolo d'indennit� di 
buonuscita -dev'essere cassata, con rinvio della causa ad altro giudice. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 settembre 1981, n. 5690 -Pres. 
Berri -Rei. Sgroi � P. M. Saja � Giuliano (avv. Pomarici) c. Prefetto 
di Palermo (avv. Stato Favara). 

Giurisdizione civile -Difetto di giurisdizione � Irregolare composizione 
dell'organo giurisdizionale � Riconferma � Mancanza della indipendenza 
del giudice � Sua eliminazione successiva � Vizio originario 
della nomina � Sussiste. 

La irregolare composizione dell'organo giurisdizionale collegiale si 
inquadra nel difetto di giurisdizione quando si tratti della illegittimit� 
della nomina che derivi dalla violazione di una norma organica sullo 
stato del giudice e che, perci�, si traduca nell'assoluta inidoneit� del 
soggetto nominato ad assumere la veste e le funzioni di membro di 
un organo giurisdizionale. Pertanto, la indipendenza dei membri di un 
organo giurisdizionale � co1npromessa dalla possibilit� della riconferma 
nell'incarico, la quale, anche se venuta meno per legge successiva, non 
elimina il vizio originario della nomina (1). 

Denunciando l'irregolarit� della composizione de11'organo collegiale 
che ha pronunciato la sentenza impugnata sotto iil profilo che uno dei 
suoi membri � laici � � carente del requisito essenziale della indipendenza, 
il ricorrente prospetta indubbiamente una questione cilassificabille 
in astratto i�ra queHe che possano essere pmposte avverso le decisioni 
del Consiglio di giustizia amministrativa. 

(1) Applicazione in tema di nomina dei giudici � laici � del Consiglio di 
giustizia amministrativa della Regione Siciliana, in applicazione del d.P.R. 
5 aprile 1978 ,n. 204 il quale, modificando il d.l.l. 6 maggio 1948, n. 645, ha escluso 
la possibilit� della conferma della nomjna. 
,,,;...............l 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 727 

Per vero, suHa scorta della giurisprudenza di questa S.C. -a parte le 
ipotesi, estranee alla specie, di alterazione strutturale di un giudice 
coMegiale o di diversit� qualitativa del componente rispetto a quello 
delineato dalla legge, che ne preveda l'estrazione dia una data categoria 
di soggetti, -la irregolare composizione dell'organo giurisdizionale

1

collegiaile si inquadria sotto lo schema del difetto di giurisdizione esclusivamente 
quando si tratti dell'illegittimit� della nomina che derivi 
dalla violazione di una norma organica concernente lo stato di giudice e 
che, perci�, si traduca neH'assoluta inidoneit� dei soggetto nominato 
ad aissumere la veste e Je funzioni di membro di un organo giurisdizionale 
(cfr. Cass. 9 ottobre 1974, n. 2715; Cass. 5 giugno 1975, n. 2233; Cass. 
15 dicembre 1977, n. 5465). 

Per stabilire se una violazione di quest'uiltimo tipo sia ravvisabile 
nella partecipazione aJl collegio giudicante di un giudice � laico � nominato 
in applicabione della norma di cui all'art. 3, comma secondo del d.1.1. 

n. 654 del 1948, dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza 
n. 25 del 1976, va tenuto conto che: 1) in un sistema fondaito sulla 
ripartizione e sull'articolazione bilanciata dei poteri, l'indipendenza dei 
componenti degli organi deHa magistratura assume H ruolo di requisito 
necessario e qualificante per i titolari deHa funzione giwrisdizionale; 
2) questo va<lore � garantito anche per i componenti de�l Consiglio di 
Stato -del quale il ConsigJio di giusitizia amministrativa costituisce una 
sezione -in forza di un espresso precetto costituzionale (art. 100, 
comma 3� Cost.); 3) ad avviso dellla Corte Costituziona'1e � .rindirpendenza 
dei membri del Consiglio di giustizia amministrativa designati dalla 
Giunta regionale � �sicuramente compromessa per effetto deHa disposizione 
che prevede, al termine del quadriennio, la possibilit� della riconferma 
nell'incarico, secondo il discrezionale apprezzamento del Governo 
regionale�: nella sentenza n. 25 del 1976, dalla quaJ.e la frase trascritta � 
desunta, si �richiama l'analogo principio -affermato con sentenza n. 49 
del 1968 -secondo cui la 'semplice prospettiva del reincarico basta 
ad esc!ludere l'indipendenza dei componenti della G.P.A. estranei aU'amministrazione 
rispetto ai consigli provincia.li e regionali; e significativamente 
si precisa, ailtres�, che la questione della costituzionalit� della 
normativa vigente per la nomina di parte dei componenti del Consiglio 
di Giustizia amministrativa in sede giurisdizionale incide in modo diretto 
sulla giurisdizone dell'organo o, quanto meno, su1l'eserczio della medesima. 
Esaminando la medesima questfone le Sezioni Unite (con sentenza 
12 giugno 1980, n. 3737) hanno affermato che ogni elusione o compressione 
del fondamenta:le principio di indipendenza del giudice integra la 
violazione di una norma organica concernente lo stato deil giudice stesso 
(tale rango dovendo necessariamente riconoscersi al precetto costituzionale 
dell'art. 100, comma 3� e a1Me disposizioni che gili danno diretta 


ns RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

attuazione), ne consegue che ne11a specie si realizza, come riflesso 
dell'immediato collegamento tra prospettiva del reincarico e menomazione 
dell'indipendenza, posto dailla Corte Costituzionale a fondamento 
della deolaratoria di i!l!legittimit� deJll'art. 3 comma 2� citato, l'ipotesi 
di difetto di giurisdizione prima delineata. 

A questa soluzione non pu� opporsi che -una vo~ta venuta meno la 
possibilit� della riconferma dei membri �laici � deJ Consiglio di giustizia 
amministrativa per effetto deHa sentenza n. 25 del 1976 della Corte 
Costituzionale -sarebbe coerentemente cessata ogni minaccia alla indipendenza 
del giudice non pi� riconfermabHe. A prescindere dalla singolarit�, 
sul piano logico, dell'assunto che vorrebbe togliere rileV'ainza 
al vizio proprio a partire dal momento in cui esso � stato fatto emergere 
dalla pronuncia della Corte Costituziona~e, � decisiva la considerazione 
che il momento rilevante per stabilire se il requisito deLl'indipendenza 
� posseduto dail giudice � quello originario della nomina, ove si consideri 
che non � in gioco l'atteggiamento di dipendenza adottato in concreto 
dal giudice, sospettabile di seguire nell'espletamento delle funzioni giurisdizionali 
le direttive dell'autorit� designante, ma il difetto di quel 
requisito in s� considerato, sud quale non pu� influire, con virt� sanante, 
la 'sopravvenuta impossibiliit� del reincarico, inidonea a cancellare a 
posteriori quel sospetto che vizia la scelta governativa e che perdura per 
tutto il tempo in cui lo stato di giudice, viziato neUa sua nascita, esplica 
la sua rilevanza. 

� appena H caso di sottolilileare che si � fuori dell'ambito di operativ1t� 
del principio che esolude ['invalidazione dell'atto amministrativo 
come riflesso automatico deHa dichiamzione di i!1legittimit� costituzionale 
della norma sulla oui base l'atto stesso � stato emanato. 

L'ipotesi in esame non si caratterizza in ['agione del vizio del provvedimento 
di nomina, venuto alla luce aHorch� la scadenza dei termini 
lo ha reso inoppugnabile; ma ha riguardo al difetto di indipendenza 
come qualit� negativa del giudice, nel suo ruolo di titolare di funzioni 
giurisdizionali, per le quali ha ricevuto 'l'investitura e per i'l cui esercizio 
l'indipendenza � un requisito soggettivo indispensabHe, laddove la sentenza 
n. 25 del 1976 della Corte Costituzionale ne ha svelato l'inesistenza 
ab origine, in diretta violazione della garanzia costituzionale che assiste 
quel requisito, attribuendogli una rilevanza essenzia'le ,rispetto allo stato 
di giudice. 

Per questa ragione non pu� �invocarsi il-principio giurisprudenzfale, 
secondo cui il vizio di composizione del collegio giudicante non include 
la i1legittimit� relativa ailla nomina dei componenti del collegio stesso: 
per vero, il riferimento agli atti di investitura .e alfa loro regolarit� 
formale (ai quaJi di norma occorre stare ove non sia stata proposta la 
relativa impugnazione nella competente sede e nei termini di legge) 


l 


I 


-


PARTE I, SEZ. III\. GIURIS. SU QUESTIONI. DI GIURISDIZIONE 

non risulta giustificato, aillorch� -come si � premesso -si configurino 
difetti :cos� essenziali da comportare l'assoluta inidoneit� dei singoli 
giudici a far parite di, un organo giurisdizionaile. 

H discorso 'SV01to suil piano degli effetti deHa pronuncia di illeg1ttimit� 
costituzionale (art. 136 Cost. e art. 30 legge n. 87 del 1953) risuJta 
fuori centro rispetto all'impostazione qui . seguita, giacch� non si tratta 
di stabilire da quale momento la norma dell'art. 3, comma 2� del dJ. 

n. 654 del 1948 ha cessato di �vere efficacia a seguito della sentenza n. 25 
del 1976 della Corte Costituzionale. Nella presente fase del giudizio non 
viene, infatti, in riJlievo un problema di applicazione diretta della norma 
citata; n� si discute di un provvedimento di nomina, emanato sulla 
base di tale norma in epoca successiva alla pubblicazione della predetta 
sentenza. Il presente ricorso _:_ lo si � gi� rprecisaito -propone 
esclusivamente il quesito ben distinto concernente i rif1les�si, ,sUJlla potestas 
decidendi del giudice, dell'aocertafo difetto del requisito dell'indipendenza~ 
La sentenza impugnata � stata deliberata ill 14 giugno 1977 ed � 
stata pubblicata il 7 febbraio 1979. Alla stregua del principio conso1idato, 
secondo cui la capacit� del giudice deve essere verificata con riferimento 
alla data della deliberazione (cfr. Cass. 16 ottobre 1979, n. 5392; Cass. 
16 ottobre 1970, n. 2051; Cass. 23 luglio 1969, n. 2785), non pu� spiegare 
alcuna incidenza sulla soluzione della questione in esame il D.P.R. 
5 aprile 1978, n. 204, il quale, nel modificare il d.l. 6 maggio 1948, n. 654, ha 
fra l'altro, esduso la possibilit� della conferma della nomina (airt. 2) 
ed ha stabilito che i membri designati dalla Giunta regionale in carica alla 
data della sua entrata in vigore (25 maggio 1978) conservano il loro 
ufficio fino ail momento della nomina dei successori. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 novembre 1981, n. 5826 -Pres. 
Bezzi -Est. Zappu1Ji -P. M. Saja -Arca,rese (avv. De Nicolellis) c. 
Ministero dei LL.PP. (avv. Stato Corti). 

Edilizia economica e popolare � Alloggi . Assegnazione � Fase precedente 
e successiva � Controversie � Diversa competenza del giudice amministrativo 
e del giudice ordinario. 

In materia di alloggi economici e popolari, va segnalata la contrapposizione, 
tra la previa fase di natura pubblicistica dell'assegnazione, 
caratterizzata dall'esercizio di poteri discrezionali da parte dell'ente 
assegnante e da posizioni di interesse legittimo a favore dei richiedenti 
l'assegnazione stessa, e quella che si instaura, dopo la stessa, con 
il conseguente rapporto contrattuale, di natura privatistica e caratteriz



RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DtlLLO STATO 

zata da posizioni di diritto soggettivo e da conseguenti obblighi a carico 
delle parti, con diversa competenza per le relative controversie rispettivamente 
del giudice amministrativo e di quello ordinario (1). � 

Il ricorrente Luigi Arcarese ha prospettato nel suo ricorso l'esistenza 
di ragioni per la giurisdizione del giudice ordinario nehla controversia, 
pur da esso stesso, proposta prima innanzi la Commissione di Vigilanza 
per il Lazio per l'Edilizia Popolare ed Economica e poi innanzi il Tribunale 
Amministrativo Regionale, indicando la configurabilit� di diritti 
soggettivi rispettivamente di lui medesimo e dellla sorella Rita Carmela 
Arcarese: 1) neMa occupazione da parte sua dell'appartamento contestato 
da oltre un decennio -con l'assenso della cooperativa e nella incuria 
totale della sorella, nonch� nell'adempimento degli incombenti pecuniari 
e ammin1s1lrativi inerenti a'Lla sua posizione di occupante; 2) nella assegnazione 
in propriet� alla sorella dell'alloggio della quale si chiedeva 
l'annullamento. 

Il ricorso � infondato sotto entrambi gli aspetti. 

Invero, va preliminarmente considerata la ormai convaUdata distinzione 
e contrapposizione, in materia di a1loggi economici e popo!lari, 
tra la previa fase di natura pubblicistica deM'assegnazione, caratterizzata 
dall'esercizio di poteri discrezionali da parte deH'ente assegnante e da 
posizioni di interesse legittimo a favore dei richiedenti l'assegnazione 
stessa, e quella che si instaura, dopo la stessa, con H conseguente rapporto 
contrattuale, di natura privatistica e caratterizzata d� posizioni di diritto 
soggettivo e da conseguenti obblighi a carico delle parti, con diversa 
competenza per le relative controversie rispettivamente del giudice ammi� 
nistrativo e di quello ordinario. 

Ci� premesso, � facile osservare che la dedotta occupazione rultradecennale 
da parte dehl'Arcarese, come l'asserita acquiescenza deUa cooperativa 
e della formale assegnataria e l'adempimento dei menzionati 
oneri da parte sua, sono stati posti a base di una richiesta da lui presentata 
in relazione alla mancata sua ammissione come socio della 
cooperativa e aiHa mancata pronuncia di decadenza della sorella da1la 
corrispondente assegnazione di queM'appartamento. Quei fatti, perci�, 
sono diretti, nelle deduzioni delil'istante, a incidere nella fase di prenotazione 
e assegnazione degli alloggi e riguardano le posizioni del socio 

o aspirante socio in relazione agli interessi pubblici peI"seguiti dall'ente 
assegnante nella sua attivit� prevista e regolata dal t.u. deHe disposizioni 
sull'edilizia popolare ed economica approvato con r.d. 28 aprile 1938, 
n. 1165 e dahle successive leggi in materia. 
(1) Giurisprudenza specifica. 

l'AR'.l'E I, s�i:t. Iii, GlURIS. str �UESTI�NI D� Gt�JRISbIZI�NE 

Trattasi, per quanto concerne la domanda di ammissione come socio 
dell'istante, di un interesse legittimo in quanto, pur fuori di una formale 
g:raduatoria secondo la forma consueta, il privato richiedente rimane 
collocato in un rapporto di subordinazione, rispetto a:ll'interesse pubblico 
ed � tutelato dal particolare procedimento innanzi la commissione di 
vigilanza. 

N� la menzionata occupazione, consentHa o no, non prevista in 
alcuna norma di legge, pu� in akun modo tr~sformare quell'interesse in 
un diritto con superamento deHa citata fase di ammissione e assegnazione, 
posta come condizione necessaria e inderogabile per la costituzione 
del successivo rapporto privatistico. Analogamente i menzionati 
adempimenti pecuniari e amministrativi possono dare origine a eventuali 
diritti di rimborso o comunque di carattere pecuniario, ma non hanno 
rilevanza per ,quanto riguarda i1l dedotto rapporto del rico11rente con 
la cooperativa per l'alloggio in questione. 

Per quanto concerne la mancata pronunzia di decadenza deMa sorella 
Rita Carmela dalla sua posizione di socia, � da porre in rilievo, in primo 
luogo, 1che � ivrilevante e inammissibile in questa sede la produzione 
da parte del ricorrente del verbale di assegnazione a favore della istessa 
dell"appartamento suddetto, avente, tra l'altro, secondo le stesse indicazioni 
di costui, una data posteriore alil'inizio del giudizio. Inoltre, anche 
la resistente, 111ell'assenza di un rapporto contrattuale derivante ~H'assegnazione, 
aveva soltanto un interesse legittimo tutelabile, come tale, 
solo innanzi H giudice amministrativo. 

Non �, poi, fuor luogo osservare che, comunque e indipendentemente 

dai1la estraneit� del richiedente al rapporto tra la cooperativa e la asse


gnataria, non pu� in alcun modo ravvisarsi un diritto soggettivo del 

suddetto istante a richiedere alfa cooperativa medesima l'adempimento 

di un asserito obbligo a pronunziare quella decadenza, H ohe rientra 

indubbiamente nell'esercizio di un potere discrezionale attribuito alla 

stessa. 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 aprile 1981, n. 2041 -Pres. Marchetti -
Rel. Scanzano -P. M. Nicita (conf.) -Azienda autonoma F. S. (avv. 
Stato Sernicola) c. Consorzio costruzione gestione zona industriale 
porto e provincia di Ancona (avv. Di Mattia). 

Espropria7lione per P. U. -A favore di Amministraziorii statali -Indennit� 
determinata sec�ndo la legge 22 ottobre 1971, n. 865 -Opposizione 
a stima -Competenza della �Corte d'appello. 

(legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19; legge 27 giugno 1974, n. 247). 

Attinendo anche la fase giudiziale, introdotta con l'opposizione a stima, 
alla determinazione dell'indennit� 'di espropriazione, il richiamo operato 
-in tema di espropriazioni statali -dalla legge 27 giugno 1974, 

n. 247 alle disposizioni del titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865 � relative 
alla determinazione dell'indennit� di espropriazione � deve ritenersi 
esteso anche all'art. 19 di tale testo normativo, con la conseguenza che 
l'opposizione alla stima operata, in espropriazioni statali, secondo il procedimento 
ed i criteri della c.d. �legge sulla casa� va proposta alla Corte 
d'appello (1). 
(omissis) L'amministrazione ricorrente sostiene che, dopo l'estensione_.. 
operata con la 1. 27 giugno 1974, n. 247 -delle disposizioni del titolo 
secondo del!la il. 865/71 relative alla determinazione dell'indennit�, a tutte 
le espropriazioni preoI'dinate ad opere di competenza deNo Stato e degli 
enti pubblici, le dette disposizioni sono operanti anche per quanto :riguarda 
LI.a determinazione giudiziale dehla detta indennit�. Ne consegue -:soggiunge 
-che LI.a competenza a decidere in ordine alla congruit� dell'indennit� 
determinata, come nella specie, ai sensi della '1. 865/71, spetta 
alla Corte d'appeLlo. 

L'istanza � fondata. 
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in sede di 
opposizione giudiziale alla stima dell'1indeI1JI1it� occorre fare riferimento 

(1) Principio da condividere pienamente, oltre che per le esatte considerazioni 
svolte nella motivazione, in base al rilievo secondo cui la diversa soluzione che 
la Corte ha correttamente respinto -avrebbe comportato solo per le espropriazioni 
statali un doppio grado sul merito dell'opposizione frustrando in tal 
modo l'evidente scopo della legge del 1974 che ha inteso parificare il trattamento 
dei soggetti interessati da espropriazioni a favore di enti pubblici. 

PARTE l, SEZ. lV, GIURISPRUDENZA ClVILE 733 

alla normativa da cui la Pubblica Amministrazione ha tratto il suo potere 
di espropriazione; e tale principio vale anche al fine dedl'indiividuazione 
del giudioe competente a decidere sUill'opposizione medesima, ed indipendentemente 
da ogni questione in ordine alla correttezza del irifer�mento 
della stessa P. A. aUa normativa applicata (v. Cass. 3185/77, 1908/78, 
3590/78, 900/79, 5282/79, 5350/80). 

Ricorre pertanto la competenza della Corte d'appeillo quaile giudice 
di unico grado, secondo l'art. 19 della I. 22 ottobre 1971, n. 865, quando 
in sede amministrativa l'indennit� di espropria:zJione sia stata determinata 
secondo tale legge (v. le sentenze citate, nonch� Cass. 109/75, 679/75, 
763/75 e altre). 

L'opinione, espressa dal Tribunale, secondo cui ,l'art. 4 deHa I. 247/74 
avrebbe bens� unificato i criteri di determinazione amministrativa dell'indennit� 
(estendendo J'applicabilit� degli artt. 16 e 17 della legge 865/71 
a tutte le espropriazioni per opere di competenza delJo Stato e degli enti 
pubblici), ma avrebbe lasciato in vita la duplicit� di competenza in sede 
di opposizione giudiziale, limitando quella della Corte d'Appello alla sola 
materia per la quale essa � stata originariamente prevista (cio� le esproprazioni 
disposte in tema di edilizia residenziale pubblica e di opere di 
urbanizzazione primaria e secondaria) non trova giustificazione n� nella 
lettera della legge n� in esigenze sistematiche (che anzi la contraddicono). 
Ed invero: 

a) poich� ,l'estensione disposta col citato airt. 4 concerne � le disposizioni 
contenute nel titolo II I. 22 ottobre 1971, n. 865, relative alla determinazione 
dell'indennit� di espropriazione�, e poich� il giudiizio demandato 
dalla Corte d'Appello daill'art. 19 -compreso nel titolo secondo di 
tale fogge, � diretto aUa determinazione di una nuova indennit�, � pi� 
aderente -al dato normativo ritenere che il riferimento alla determinazione 
dell'indennit� comprenda anche la determinazione giudiziale; 

b) ci�, �, poi, coerente con esigenze di chiarezza e di sempJicit�, 
oltre che con ragioni di sistema, essendo stata la competenza (della Corte 
d'Appehlo) in unico grado prevista in redazione ad un criterio determinativo 
(dell'indennit�) cui non � estraneo un certo automatismo; ed allora 
� logico ritenere che l'estensione di tale criterio comporti una corrispondente 
estensione della competenza giudiziaria. 

Deve conclusivamente affermarsi che, 1siccome neHa specie l'inden


nit� di espropriazione � stata determinata secondo la legge 865/71, aHa 

quale poi il decreto di espropriazione ha fatto riferimento (e non rileva 

che il decreto di occupazione sia stato emesso in base all'a111t. 71 della 

I. 20 giugno 1865, n. 2359, data l'autonomia del procedimento di occupazione 
rispetto a quello di espropriazione), la competenza a conoscere della 
causa promossa dal consorzio con la citazione su indicata spetta alla Corte 
d'Appello di Ancona, ai sensi dell'art. 19 I. 22 ottobre 1971, n. 865. (omissis) 
9 



MSSEGNA DELL1AVVOCATURA D�LLO StA'rcl

734 

CORTE DI CASSAZIONE, s�ezioni Unite, 16 foglio 1981, n: 4628 -Pres. 
Rossi -Rel. Scribano -P. M. SiJocchi (c�nf.) -E.N.P.A.S. (avv. Stato 
Laporta) c. Cail�. 

Impiego pubblico -Indennit� di buonuscita -Nuova disciplina in tema 
di computabilit� della tredicesima -Estinzione dei giudizi pendenti Riguarda 
anche le domande accessorie. 
(legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6). 

In applicazione del secondo comma dell'art. 6 legge 20 marza 1980, 

n. 75, l'estinzione dei giudizi pendenti va dichiarata non solo relativamente 
alla domanda di integrazione della buonuscita col computo della 
tredicesima mensilit� ma anche in quanto riguarda le pretese accessorie 
(interessi e rivalutazione monetaria sulla maggior somma dedotta ad 
oggetto della domanda principale) (1). 
\ 

(1) Nello stesso senso, le coeve sentenze nn. 4629, 4630, 4631, 4632 e 4633. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 24 settembre 1981, n. 5176 -Pres. Pedroni 
-Est. Gabriele -P. M. Dottori -Soc. Icomes (avv. Piaggio) c. Ministero 
delle Poste (avv. Stato Gargiulo). 

Responsabilit� civile � Poste -Servizio postale di consegna di raccomandata 
-Ritardo -Responsabilit� dell'Amministrazione -Esclusione. 

L'Amministrazione delle Poste non pu� ritenersi responsabile dal danno 
preteso dal privato nel caso di ritardo nel recapito della corrispondenza 
per disguido interno dell'Ufficio accettante (1). 

(omissis) Con il primo mezzo la ricorrente deduce �violazione e falsa 
applicazione dell'art. 6 d.p. 29 mairzo 1973 (t.u. delle dispos1izioni legisiative 
in materia postale), pe:r non avere il giudice del merito riconosciuto 
che Ja citata norma dell'art. 6, ispirata dalla necessit� di garantke a:ll'Amministrazione 
la pi� ampi~ discrezionalit� nella organizzazione dei servizi 
postali, non vale ad escludere anche la responsabHit� da comportamento 
colposo della stessa Amministrazione, come quello, nella specie verifica


�l) Esattamente la Cassazione ha ritenuto non ipotizzabile una responsabilit� 
dell'Amministrazione delle Poste ove nel particolare settore del servizio postale 
prestato all'utente dovessero verificarsi inconvenienti o imperfezioni nell'adempimento 
delle prestazioni; e ci� in conformit� alle previsioni dell'art. 6 d.P.R. 
29 marzo 1973, n. �156. 


PARTE �, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA �fvn.E 

tosi, del ritardo nel recapito della corrispondenza, pe,r un disguido interno 
dell'ufficio accettante. 

Ll mezzo non � fondato. 

Riconosce fa stessa ricorrente che spirito della esclusione delle respon� 
sabilit�, la quale nel particolare settore dell'attivit� postale, prestata 
all'utente, assume natura contrattuale, sia quelfo di garantire ahl'Ammi� 
nistrazione fa pi� ampia discrezionalit� neHa organizzazione del pubblico 
serviizio, senza dovere essa rispondere di conseguenze pregiudizievoli dei 
sistemi, metodi e modalit� posti in essere, interessanti un campo di 
azione per sua stessa natura delicato e complesso. 

L'esistenza di una ratio legis, cos� identificata, spiega e giustifica il 
sistema limitativo della responsabilit�, istituito con ile norme in esame, 
inteso a porre la P.A. al riparo da sanzioni risarcitorie, per inconve� 
nienti ed imperfezioni nell'adempimento delle prestazioni, inseparabili 
dalle scelte oiiganizzative da essa fatte, le quali possono anche tradursi 
nel mancato rispetto di regole di servizio da parte del dipendente, delle 
quali .l'organizzazione connessa non sia taie da garantire l'assoluta e 
costante osservanza. 

Con il secondo mezzo la ricorrente deduce � violazione e fa1sa applicazione 
dell'art. 6 t.u., in relazione all'art. 2043 cod. civ.�, per non avere 
il giudice del merito riconosciuto che vi era sempre una responsabilit� 
dell'Amministrazione peT fatto illecito, tale dovendosi considerare il mancato 
inoltro delle due raccomandate nei tempi regolari. 

n mezzo, ipotizzante il concorso dei due tipi di responsabilit�, contrattuale 
ed extracontrattuale, non � fondato, richiedendosi per la responsabilit� 
aquiliana la lesione di un diritto assoluto dell'utente, perpetrata 
in offesa al principio fondamentale del neminem laedere -che erga omnes 
lo tutela -, anche se a vruneTarlo sia per avventura concomitante un 
fatto lesivo da inadempimento contmttuale. 

Nella specie, ovviamente, poteva ritenersi esistente solo quest'ultimo, 
non potendo porsi come lesione di diritto assoluto erga omnes queHa 
incidentale sul diritto dell'utente alla puntualit� nel recapito deilla corrispondenza, 
ohe unicamente nel negozio trova la sua matrice. 

Pertanto, Ja tutela poteva essere solo quella delfa responsabilit� contrattuale 
nei modi e nei limiti staMliti dalla legge. (omissis) 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 737 

mento del costo� della vita in funzione dei suoi riflessi sull'ordinata amministrazione 
del regime della propriet� edilizia; pertanto, essendo l'U.P.P.I. 
legittimata a proporre ricorso giurisdizionale, per far valere l'interesse del 
quale � Ente esponenziale, in via autonoma, � inammissibile il suo intervento 
ad adiuvandum nel giudizio promosso da alcuni piccoli proprietari 
(2). 

L'art. 71 ultimo comma l. 27 luglio 1978 n. 392, il quale prevede la rivalutazione 
pari al 75% dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie degli 
operai ed impiegati dell'ultimo anno del canone di locazione degli immobili 
ad uso non abitativo (equo canone), non pu� essere letto senza tener 
conto dei precedenti artt. 32 e 63, i quali parlano di anno con riferimento 
rispettivamente all'inizio della locazione ed alla data di entrata in vigore 
della legge; pertanto, anche nell'ultimo comma dell'art. 71 �l'anno precedente 
� non pu� essere che quello antecedente alla data di scadenza contrattualmente 
prevista al quale la citata norma espressamente si 
richiama (3). 

ritativamente un'attivit� discrezionale dell'ISTAT, il quale, nel rilevare e calcolare 
l'ammontare dell'indice dei prezzi al consumo, � in assenza di qualsiasi. indicazione
� della legge, opererebbe �scelte e valutazioni... fra tutte quelle che la 
tecnica e la scienza statistica consentono di ottenere�, con conseguente incidenza 
su interessi legittimi. 

L'affermazione appare tanto poco convincente che lo stesso Tribunale, 
appena tre pagine pi�1 avanti, si contraddice recisamente affermando: 

�La norma (art. 71, ultimo comma, della legge 392/78) che attribuisce 
all'ISTAT la competenza di definire la variazione dell'indice dei prezzi al consumo, 
non offre per� alcuna possibilit� di compiere esercitazioni ermeneutiche... Il 
legislatore si � infatti espresso... indicando la sua precisa volont� di prendere 
in considerazione le variazioni verificatesi nell'anno solare precedente quello 
di applicazione dell'indice >>. 

Tale ultima affermazione -a parte il merito dell'interpretazione della 
norma -merita di essere condivisa: il compito affidato all'ISTAT dalla norma 
ripetuta � un compito vincolato di certazione da cui esula qualsiasi profilo di 
discrezionalit�; compito utilizzabile dal giudice ordinario nei suoi risultati e nei 
limiti della loro conformit� a legge, in quanto tali risultati costituiscono un dato 
esser.iziale per la composizione di conflitti di interessi interprivati. 

Fuor di polemica giover� ricordare che l'ultimo comma dell'art. 71 della 
legge 27 luglio 1978 n. 392 -relativo alle locazioni di immobili adibiti ad uso 
diverso dall'abitazione non soggette a proroga ed in corso all'entrata in vigore 
della legge -testualmente recita: � Il canone potr� essere aggiornato annualmente 
su richiesta del locatore dal giorno della scadenza contrattualmente 
prevista, in base al 75 per cento della variazione accertata dall'ISTAT, dell'indice 
dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati verificatasi nell'anno 
precedente�. La lezione della norma sembra indiscutibile per quanto attiene alla 
natura della funzione attribuita all'ISTAT, che ha ad oggetto un mero �accertamento
�, incompatibile con qualsivoglia discrezionalit�. 

A tal punto sembra ineludibile un'alternativa: o per discrezionalit� del


l'ISTAT in subiecta materia si intende quella esercitata al momento delle scelte 

dei metodi e degli oggetti di rilevazione (ad es. determinazione della composi




738 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Il primo motivo dell'appello non � fondato. 

L'appellante ha dedotto in primo grado un difetto di giurisdizione del 
giudice amministrativo, in quanto l'Istat, nel definire l'indice dei prezzi 
al consumo,_ ai fini de11'applicazione deU'art. 71 u.c. della legge 27 luglio 
1978 n. 392, non godrebbe di alcuna discrezionalit�, sicch� spetterebbe 
al giudice ordinario accertare, caso per caso, l'effettivo incremento dei 
prezzi, yerificatosi nell'anno precedente, in sede di composizione dei conflitti 
interprivati, ed in tale sede, il giudice non sarebbe in alcun modo 
vincolato dalle indicazioni fornite dall'Istat. 

La sentenza appellata ha, per�, esattamente osservato che l'art. 71 u.c. 
della .legge 27 luglio 1978 n. 392 ha evidentemente rimesso all'Istat iJ compito 
di calcolare l'aumento dei prezzi al consumo per le famigl.ie di operai 
ed impiegati, alJo scopo di assicurare l'osservanza dei criteri di fondo, 
ed ha chiaramente affidato a detto I�stituto la sceha e la valutazione del� 
l'indice da adottare, �tra tutti queUi che la tecnica e la scienza statistica 
consentono di ottenere. 

zione del c.d. �paniere�), come sembrerebbe evincersi da alcuni passi della 
sentenza impugnata, ed allora il te11mine sarebbe usato in senso proprio ma 
fuori di luogo nel caso di specie, in quanto riferito ad una scelta di tipo politico 
che si pone a monte della attivit� oggi in contestazione e che non � -n� potrebbe 
essere -oggetto di giudizio; oppure per discrezionalit� si intende una facolt� 
di scelta di diversi periodi di riferimento vincolante per gli amministrati ai 
sensi e per gli effetti del ripetuto art. 71 ed allora si afferma cosa doppiamente 
inesatta, perch� la legge non lascia all'ISTAT alcuna facolt� di scelta sul periodo 
di riferimento che � �l'anno precedente... il giorno della scadenza contrattualmente 
prevista� (salvo accertare cosa debba intendersi per �anno) e perch� 
la legge non obbliga, certo, il giudice civile a �fare stato� di �quel� dato ISTAT. 
Ben al contrario, invece, di fronte alla pubblicazione di un dato ritenuto non 
conforme a legge (ad es. pubblicazione delle variazioni mensili invece che 
annuali) il giudice civile, nel dirimere la controversia interprivata, dovrebbe 
disattendere l'erroneo accertamento e valersi, invece, di quello effettuato con� 
formemente a legge. Non si dimentichi, infatti, che ogni mese l'ISTAT pubblica 
tutta una serie di dati (variazioni mensili, variazioni annuali, indice medio 
annuale ecc.: cfr. Cappelli, l'Equo canone, Maiorca, 11979, 232) fra i quali il giudice 
(ordinario) ha il potere (e il dovere) di scegliere quelli indicativi dell'aumento 
previsto dalla legge come parametro da utilizzare a determinati effetti, salva 
sempre la possibilit�, se nessuno di quelli pubblicati rispondesse a tale previsione, 
di una richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c. 

2) Violazione e falsa applicazione, alternativamente, dell'art. 21 legge 6 di� 
cembre ,1971 n. 1034 o del principio -comune nel nostro ordinamento a tutti i 
processi di azione privata (cfr. art. 100 c.p.c., art. 5, secondo comma T.U. com. 
e proc. 1934) -che per agire in giudizio occorre avervi interesse. 

La difesa delle resistenti amministrazioni aveva eccepito in primo grado 
l'inammissibilit� dell'intervento, deducendo come l'interesse dedotto in lite dal 
ricorrente fosse contingente, in quanto proprio -e caratteristico della concreta 
situazione enunciata e non si estendesse affatto, generalizzandosi, alla categoria. 

La convenienza dell'uno o dell'altro tipo di conteggio dell'inflazione cambia, 
infatti, a seconda della data di stipula del contratto, ed � suscettibile di 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 739 

Del resto, la stessa Avvocatura dello Stato 'riconosce che nei metodi 
e nella scelta degli oggetti di rilevazione (composi:zJione del cosiddetto 
�paniere�) sussiste una discrezionalit� della PubbHca Amministrazione, 
pur ritenendo che si tratti di una discrezionaHt� po'1itica, non sindacabi:le 
in questa sede. 

Conclusione, questa, che invece non pu� essere condivisiva, perch� 
l'Istat non � organo politico e non ha competenza per compiere v,alutazioni 
di ordine politico, essendo chiamato a svolgere compiti eminentemente 
tecnici; epper� � da esaludere che la legge in questione, nell'affidargli 
il compito di stabilire ai fini di cui tratta l'indice dei prezzi al 
consumo per le famiglie di operai ed impiegati, abbia inteso attribuirgli 
funzioni di natura politica. 

L'accertamento compiuto dall'Istat involge, dunque, soltanto attivit� 
di ordine tecnico e la giurisprudenza, come � noto, consente al giudice 
amministrativo di sindacare ogni forma di disorezionalit� della Pubblica 
Amministrazione, sotto il profilo dell'eccesso di potere. 

camb?are ancora nel futuro, apparendo chiaro che il sistema adottato dalJIISTAT 
rispetto a quello rivendicato dall'originario ricorrente, � meno favorevole . al 
locatore in tempi in cui l'inflazione decelera il suo ritmo (come � accaduto nel 
caso di specie), penalizza invece il conduttore in caso inverso (come potrebbe 
essere nel periodo attuale). 

Ex converso, il criterio rivendicato dall'Appino privilegia il locatore nel 
primo caso, il conduttore nel secondo. � del pari evidente che la disparit� di 
trattame11to � tanto maggiore quanto pi� avanzata nell'anno � la data di 
scadenza: minima in gennaio, massima in dicembre. 

Che se poi si fosse voluto costruire la posizione legittimante dell'UPPI come 
quella di chi � portatore di un proprio interesse alla corretta gestione di un 
servizio concernente la piccola propriet� edilizia, si sarebbe dovuto, allora, 
eccepire -si concludeva, in prime cure -la inammissibilit� dell'intervento ad 
altro titolo e cio� per elusione del termine di decadenza imposto a chi abbia 
titolo per ricorrere e pretenda, invece, a termine scaduto, di dedurre ugualmente 
il proprio interesse in giudizio attraverso la via indiretta dell'adesione 
al ricorso altrui. 

Il T A.R. per il Lazio ha ritenuto di superare l'obiezione attraverso le 
seguenti due affermazioni: la mancata prova di un conflitto di interessi fra 
proprietari �peraltro di difficile dimostrazione� e la legittimazione dell'ente 
esponenziale alla tutela di interessi collettivi di categoria. 

Nessuna delle due affermazioni pu� essere condivisa: il conflitto di interessi 
denunciato non richiede specifiche prove, emergendo da una semplice analisi 
logica della cronaca, s� che -non che essere di difficile dimostrazione -si 
rileva ictu oculi. 

Sar� sufficiente, infatti, postdatare di un anno la vicenda per vedere come 
alla data di scadenza contrattuale del 1� novembre 1979, l'interpretazione AppinoUPPI 
porti ad una rivalutazione del canone dell'll,25 % (75 per cento del 14,7 %, 
svalutazione del 1978 sul 1977) mentre l'interpretazione ISTAT porti ad una 
rivalutazione del 15,33 % (75 % del 20,44 %, svalutazione verificatasi nell'arco 
annuale che va dall'ottobre 1978 all'ottobre 1979). 



740 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

N� sussiste la contraddittoriet� che l'appellante ravvisa nella sentenza 
impugnata. � evidente che ]l TAR del Lazio ha distinto tra il momento 
della scelta dei metodi di rillevazione, e quello del termine di riferimento 
per l'accertamento dell'indice dei prezzi: nel primo momento, sussiste 
discrezionalit� della Pubblica Amministrazione, mentre nel secondo l'attivit� 
della P.A. � vincolata. 

Ovviamente ci� non incide sulla configurazione dell'interesse leso, 
perch� finteresse legittimo � da ravvisare dovunque sussista un potere 
discrezionale, pi� o meno ampio, della P.A. Ed � evidente che la circostanza 
che, nell'esercizio del potere discrezionale, la P.A. sia vincolata 
sotto alcuni aspetti (il che accade normalmente) non vale a trasformare 
l'interesse legittimo in diritto soggettivo. 

Il secondo motivo de1l'appello �, invece, fondato. 
Esattamente il TAR ha ritenuto che l'Uppi ha la potest� di rappresentare 
gli interessi della categoria secondo l'art. 2 del proprio statuto, 

Nell'ipotesi ora fatta, un ricorso di segno uguale e contrario avrebbe potuto 
essere proposto da... un conduttore e sembrerebbe lecito dubitare fortemente della 
legittimazione ( ... e dell'interesse) dell'UPPI ad � adiuvarlo �. 

Sar� appena il caso di aggiungere che con un minimo sforzo di immaginazione, 
in relazione alle varie date di scadenze contrattuali ed all'irregolare 
andamento del fenomeno inflattivo, sarebbe agevole costruire tutta una costellazione 
di interessi dei singoli proprietari, interessati ora pi�, ora meno, ora affatto, 
all'accoglimento dell'una tesi e sempre pronti a trasformarsi il giorno dopo 

o un mese dopo o un anno dopo in interessati all'accoglimento delle tesi opposte 
o in disinteressati (per equivalenza). 
Il che � quanto dire che l'interesse fatto valere nel presente giudizio � un 
interesse di tipo personale e contingente non tutelabile in via �esponenziale� 
per l'immanente rischio di conflittualit� che esso comporta, come pure fatto 
presente da codesto Consesso nel corpo della motivazione della decisione 
della VI sezione n. 1'187 del 10 novembre 1978, a torto richiamata dal TAR a 
sostegno delle proprie tesi. 

Una volta affermato (e provato), infatti, che l'interesse dedotto dall'Appino 
non era un interesse del gruppo (dei piccoli proprietari) nel suo complesso n� 
una sommatoria di singoli interessi individuali, proprio alla stregua della giurisprudenza 
richiamata dai primi giudici avrebbe dovuto escludersi cos� una 
legittimazione di tipo esponenziale come un interesse (anche di mero fatto) ad 
� adiuvare � la difesa del singolo ricorrente, potendosi, tutt'al pi�, riconoscere 
in capo all'UPPI un interesse legittimante di natura propria, e cio� appartenente 
all'Associazione come soggetto a s� e diverso, quindi, cos� da quello dei singoli 
associati come da quello risultante dalla loro sommatoria. Un tale interesse quale 
potrebbe essere quello alla corretta gestione del servizio di rilevazi01;ie 
statistica dell'incremento del costo della vita, per i suoi riflessi sulla ordinata 
amministrazione della propriet� edilizia -� perfettamente configurabile ed � 
pienamente congruente con il contingente conflitto con interessi occasionali dei 
singoli proprietari, ma sarebbe (salvo sempre il problema della ammissibilit� 


o meno -di una sua tutela in giustizia in relazione ad una sua qualificazione 
quale �interesse diffuso�) idoneo a legittimare, se mai, un autonomo ricorso 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 741 

e c10e gli .interessi di un gruppo organizzato. Il TAR si � richiamato alla 
decisione di questa Sezione del 10 novembre 1978 n. 1187. 

Ma appunto perci� (come esattamente rileva l'Amministmzione appellante) 
l'Uppi, essendo legittimata a proporre H ricorso giurisdizionale per 
far valere l'interesse del quale � ente esponenziale, doveva proporre H suo 
ricorso autonomo nei prescritti termini. 

L'interesse proprio de1l'Uppi, che trascende quello dei singoli proprietari, 
alfa corretta gestione del servizio di rilevazione statistica dell'incremento 
del costo della vita, in funzione dei suoi riflessi sull'ordinata amministrazione 
del regime della propriet� edilizia, non poteva legittimare 
l'Uppi ad un intervento ad adiuvandum per il sollo fatto che occasionalmente, 
nella specie, l'interesse generale, rehe l'associazione persegue, coinddeva 
con quello di una del'le parti di questo giudizio. Pertanto, la censura 
dell'Amministrazione che l'intervento dell'UPPI doveva essere dichiarato 
inammissibHe, risulta fondata. 

Anche �ll terzo motivo � fondato. 

e non gi� un intervento adesivo, che si risolverebbe in un facile strumento di 

elusione di un termine di decadenza ormai spirato. 
3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 71 legge 27 luglio 1978, n. 392. 
La norma, il cui testo � stato gi� citato precedentemente, contempla una 

variazione-indice verificatasi �nell'anno precedente�. Il termine di riferimento 
a cui si riferisce la �precedenza� � �il giorno della scadenza contrattualmente 
prevista'" 

Secondo il TAR per il Lazio la norma andrebbe letta come se il termine 
di riferimento fosse individuato nell'� anno in cui cade il giorno della scadenza 
contrattualmente prevista'" 

Tale lettura sarebbe l'unica rispettosa della lettera e della ratio della norma, 
�agevolmente individuabile nelle finalit� di ottenere un indice costante per l'intero 
arco dell'anno'" in modo da evitare �inammissibili disparit� di trattamento... 
poich� le variazioni dei prezzi non avvengono in maniera uniforme ma risentono 
fortemente dell'andamento stagionale '" . 

La sottoscritta difesa non condivide n� le apodittiche affermazioni relative 
alla lettera n� le argomentazioni relative alla ratio della legge. 

Sotto il primo aspetto giova rilevare, infatti, che l'interpretare il termine 
� anno � come � arco temporale di 365 giorni � quando si tratta di far riferimento 
al periodo precedente un certo giorno, appare essere l'esegesi pi� ortodossa 
sotto il profilo letterale. Tanto vero che la lettura propugnata dal TAR 
richiede una operazione di ortopedia lessicale gi� sottolineata e tanto vero che 
il legislatore, ogniqualvolta ha inteso utilizzare la locuzione � anno � come �millesimo 
" lo ha espressamente precisato. Cos�, ad esempio, l'art. 20 della legge 
sull'equo canone individua il termine temporale di riferimento a quo nell'� anno 
di costruzione dell'immobile �, con un chiaro riferimento al millesimo. 

Di pi�, il termine �anno'" nella legge sull'equo canone, viene spesso usato 
nella sua accezione di � arco di tempo di 365 giorni �, soprattutto quando si 
vogliono individuare periodi � ingabbiati� per regolare la misura del canone 
(cfr. ad es. artt. 32 e 63 della legge), qua:le � quello in esame. 

Sotto il secondo aspetto, e cio� quello della �ratio� della norma, la confutazione 
della tesi del TAR appare ancora pi� agevole. L'art. 71 -come il prece




' 

! 

PAR�E I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 743 

e alla data di entrata in vigore della legge. Sicch�, anche nell'ultimo comma 
dell'art. 71, l'anno precedente non potrebbe essere che quello antecedente 
aMa data di scadenza contrattualmente prevista, :al quale la citata norma 
espressamente si richiama. 

Inoltre, come bene ha evidenziato l'Avvocatura, l'ultimo comma dell'art. 
71 ha una finalit� perequativa ed una finalit� antinflazionistica. 

La finalit� perequativa viene conseguita ripartendo tra locatore e conduttore 
il costo dell'inflazione, mediante un incremento del canone, che 
� determinato dal legislatore per .gli dmmobiili aid uso abitativo (hl cosiddetto 
�equo canone�), mentre � individuato in base aill'indice dei prezzi 
(il 75% de11'1ndice dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai 
ed impiegati dell'ultimo anno) per gli imrriobhli ad uso non abitativo. 

Per questi ultimi immobili tale finalit� non verrebbe raggiunta con 
l'adozione di un indice costante dell'intero arco dell'anno, poich�, come 
ha sostenuto la difesa dell'amministrazione, un indice costante discriminerebbe 
ingiustamente i contraenti a seconda del mese d'inizio della condu


addirittura da controspinta, proiettando in avanti gli effetti pregressi di una 
inflazione in caso di � raffreddamento � in atto. 

In realt�, il meccanismo ideato dal ricorrente per realizzare un proprio con� 
tingente interesse e sorprendentemente avallato dal TAR, mostra tutta la propria 
� perversit� � sol che lo si trasponga dalla esegesi dell'art. 71 -disposizione transitoria 
con effetti in via di esaurimento -a quella dell'art. 32, che, per coerenza 
ermeneutica dovrebbe essere interpretato alla luce degli stessi criteri. 

Un esempio chiarir� forse meglio la situazione. 

Si immaginino due coppie di appartamenti identici A e B, locati tutti ad uso 
non abitativo a prezzo pari -al momento delle rispettive stipule -al valore 
di mercato, per i canoni mensili rispettivi di X e Y, per una durata di sei anni 
e con decorrenza rispettiva 1� gennaio 1980-31 dicembre 1980 la prima coppia, 
e 1� gennaio 1980-31 dicembre 1979 la seconda e si immaginino le due seguenti 
ipotesi di incremento del costo della vita: 

1) 20 per cento nel �1980, '81 e 82; O per cento in seguito; 

2) Oper cento nel 1980, '81, '82 e '83; 60 per cento nell'84. 

Nella 1� ipotesi, e per la prima coppia A-B, secondo la tesi del TAR, il proprietario 
dell'appartamento A subirebbe un'inflazione del 60 per cento ('80+'81 + '82) 
di cui recupererebbe appena la met� (e cio� il 30 per cento quale 75 per cento 
degli anni '81 ed '82), mentre il proprietario dell'appartamento B subirebbe 
la minore inflazione del 40 per cento ('81 +'82, avendo scontato la svalutazione 
dell'80 nella pattuizione del canone) ma recuperer~bbe ugualmente il 30 per cento 
e cio� i tre quarti dell'incisione sopportata, con ingiustificabile privilegio rispetto 
al proprietario di A. 

Secondo la tesi ISTAT, invece, ferma la situazione del proprietario di A, 
sarebbe perequata quella cli B, che recupererebbe solo il 15 per cento dell'inflazione 
sofferta, restando esposto per il residuo 25 per cento e giustificandosi la 
differenza del 5 per cento nell'incisione (25 per cento contro 30 per cento) con 
l'esposizione del primo all'evento negativo (ed oggettivo) di aver subito l'inflazione 
per un anno in pi�. 

Nella seconda ipotesi, e per la seconda coppia di appartamenti A-B, per 
contro, secondo la tesi del TAR il proprietario dell'appartamento A recupererebbe 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

744 

zione, essendo chiaro che, in relazione all'aumento od alla diminuzione 
dell'inflazione, diverso sarebbe il trattamento che verrebbero ad avere 
le locazioni che decorrono daill'inizio dell'anno (le quali verrebbero commisurate 
agli indici del costo deHa vita dell'anno solare precedente) e quelle 
che decorrono dalla fine dello stesso anno (che, essendo commisurate 
allo stesso indice, di nessun aumento o diminuzione potrebbero beneficiare 
in relazione alle variazioni intervenute nel corso dell'anno). L'uniformit� 
di fronte alla variet� delle situazioni, concreterebbe una disparit� 
di trattamento, incompatibiile con i:1 fine perequativo perseguito dalla 
legge. 

Si noti che non � esatto quanto il TAR ha ritenuto ne1l'appellata sentenza, 
l� dove afferma che � ove si dovesse applicare un indice diverso per 
ogni mese de11'anno, si verificherebbe una inammissibile disparit� di trat� 
tamento tra i diversi locatori nonch� tra i diversi conduttori, poich� 
le variazioni dei prezzi non avvengono in misura uniforme, ma risentono 
fortemente dell'andamento stagionale �. Esattamente, invero, �rileva la 
Avvocatura, che le impennate stagionali neHa curva dell'inflazione hanno 
rilievo quando si utilizza la variazione dell'indice del costo delia vita di 

il 45 per cento del 60 per cento di inflazione subita nel 5� anno (il 1984) perch� 
potrebbe aumentare del relativo 75 per cento il fitto del 6� anno, mentre il proprietario 
dell'appartamento B subirebbe per intero l'inflazione, in quanto l'aumento 
dei prezzi 1984 non potrebbe essere invocato che alla scadenza 31 dicembre 1985 
(millesimo successivo): cio� alla data di scadenza del contratto e quindi inutil� 
mente. 

Secondo la tesi dell'ISTAT, invece i due proprietari subirebbero in egual 
misura il danno da inflazione, pacifico essendo che poca differenza potr� esserci 
fra la variazione di prezzi 31 dicembre 1983-31 dicembre ,1984 e quella .1� gennaio 
1984-1� gennaio 1985. 

I due esempi fatti sono veramente casi limite, ma dimostrano come la tesi 
accolta dal TAR introduca nel riparto dei costi inflazionistici fra locatori e conduttori 
un elemento di alea tanto maggiore quanto pi� avanzata � nell'anno 
la data di stipulazione del contratto e che gioca a favore del proprietario in caso 
di decremento del tasso di inflazione (mediante protrazione nel tempo degli 
effetti perversi di aumenti precedenti); a favore del locatario in caso di aumento 
del tasso (ritardando nel tempo l'adeguamento parziale del canone). Non sembra 
necessario spendere troppe parole per dimostrare come tale conseguenza non solo 
confligga per incompatibilit� con uno schema sinallagmatico classico, rispetto 
al q.ale l'equilibrio delle prestazioni e controprestazioni � addirittura rigorosamente 
regolato dal legislatore entro precisi parametri; non solo contraddica, 
quindi, la finalit� perequativa perseguita; non soio frust11i la ratio anticongiunturale 
di �raffreddamento� dell'inflazione (introducendo, anzi, come si � visto, addirittura 
un meccanismo di �frenaggio� delle riduzioni di tasso); ma comporti 
addirittura la conseguenza dell'introduzione nel mercato immobiliare -gi� abba� 
stanza perturbato -di un'ulteriore elemento di distorsione che porterebbe 
a fluttuazioni dell'offerta e della domanda nell'arco dei dodici mesi in ragione 
delle previsioni di �riscaldamento� o di �raffreddamento� della congiuntura, 
con tutte le conseguenze che non � difficile immaginare. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 745 

un mese, rispetto al mese precedente. Ma le vardazioni stagionali non 
hanno a:lcun rilievo, quando l'indice del costo della vita venga stabilito 
con riferimento all'arco di dodici mesi, nel quafo sono compresi tutti i 
mesi deill'anno, con conseguente compensazione delle variazionii in pi� 

o in meno, del costo della vita, verificatesi nei vari mesi dell'anno. 
Per� quanto rguarda la finalit� antinflazionistica, � da tenere conto 
del fatto che il legislatore ha dovuto contemperare opposti interessi: da 
un canto, occorreva che il periodo di riferimento nel cakolo deJ:l'indice 
del costo della vita, per le dianzi accennate finalit� per�quative, fosse 
il pi� vicino possibile ail momento d'inizio della decorrenza dell'aumento, 
ma, d'altro canto, occorreva evitare che il processo di raffreddamento 
dell'inflazione venisse ostacolato con iJ calcolo dell'indice deil costo della 
vita, riflettente una pregressa pi� intensa inflazione, con effetti contrastanti 
con la politica antinflazionistica. � chiaro che il legislatore il quale, 
con la sua politica, tende a combattere l'inflazione, non poteva partire dal 
presupposto di un aumento del processo inflazionistico; pertanto, con il 
commisura:re gli indici del costo della vita ai periodi pi� recenti, anzich� 
a quelli dell'anno solare precedente, ha perseguito una finalit� di contenimento 
dell'inflazione, ulteriormente rafforzandola con la limitazione del 
calcolo al 75% dell'aumento accertato del costo della vita. La tesi del TAR 
non tiene conto di quanto ora esposto e delle finalit� che il legisfatore 
intende ,raggiungere. 

Alla stregua delle argomentazioni svolte, l'appe1lo dell'Amministra� 
zione � fondato e va riformata l'impugnata sentenza con il rigetto 
del ricorso proposto da Appino Mario. Va dichiarato altres� inammissibile 
l'intervento ad adiuvandum deH'Uppi. (omissis) 

Da ultimo, sar� appena il caso di aggiungere che nessun pregio pu� essere 

riconosciuto all'argomentazione del TAR sulle variazioni � stagionali� dei prezzi, 

che andrebbero -per rispetto di un criterio di uniformit� ed eguaglianza 


� sterilizzate�, utilizzando soltanto la variazione verificatasi nell'arco dell'intero 

millesimo. L'argomento �, evidentemente, frutto di un grave equivoco: le � impen


nate � stagionali della curva dell'inflazione rilevano, infatti, come � noto, quando 

si utilizza l'indice di variazione di un mese rispetto al precedente. 

Cos�, ad es., per (malinconica) tradizione sappiamo che l'aumento del costo 

della vita in settembre rispetto ad agosto ed in ottobre rispetto a settembre 

suole misurarsi in una percentuale molto maggiore di quella indicabile con 1/12 

dell'intero anno. 

Ma nessuno -e l'ISTAT meno che meno -ha mai preteso di applicare 

i tassi di variazione mensile ai canoni di locazione e pacifico appare che le � ste


rilizzazioni� della loro irregolarit� mediante inglobamento nell'arco dei dodici 

mesi si realizza in maniera perfettamente equivalente quale che sia il dies a quo 

prescelto per computare i 365 giorni, apparendo assolutamente evidente che 

in un tale arco di tempo ogni variazione stagionale -nel bene e male -eserci


ter� la sua influenza una sola volta, confluendo a formare la media di una varia


zione di pi� lungo periodo. 

I. F. CARAMAZZA 

ilARTE �, S�Z. V, GI�R�SPRUDENZA AMMINISfRATIVA 747 

Il diritto di credito che sia scaturito da un provvedimento amministrativo 
poi riconosciuto illegittimo si esaurisce in un'aspettativa di tutela 
che l'ordinamento riconosce alla pretesa del creditore,_ per cui, come la 
riconosciuta illegittimit� del provvedimento costitutivo dell'obbligazione 
elimina ab origine il rapporto obbligatorio da cui quella pretesa trae fondamento, 
cos� non � ipotizzabile alcuna situazione consolidata, in favore 
del privato, che valga a rendere coercibile il credito in mancanza di una 
perdurante validit� del suo titolo giuridico (2). 

Nella schema legale degli aiuti alla cinematografia, il diritto al contributo 
sorge al perfezionarsi di una fattispecie complessa, che prevede 
non solo l'atto iniziale di ammissione alla programmazione (ascrivibile 
alla categoria pi� generale degli atti concessori) e, quindi, la successiva 
programmazione effettiva del film entro i limiti di tempo indicati dalla 
legge stessa, ma anche un atto finale, che risponde alla duplice funzione, 
di accettare i presupposti legali del credito del privato e di liquidare la 
relativa spesa a carico dell'Amministrazione, atto, dunque strutturalmente 
complesso, e prima del quale, non un diritto perfetto, ma una mera aspettativa, 
� possibile configurare in capo ai soggetti destinatari del beneficio; 
pertanto, l'eventuale provvedimento del Ministro del turismo e dello spettacolo 
di annullamento d'ufficio dell'ammissione alla programmazione 
obbligatoria di un film (nella specie, in seguito a giudicato penale che 
aveva riconosciuto la oscenit� del film stesso), non incontra il limite di 

� Ultimo tango a Parigi �, diretto da Bernardo Bertolucci ed ha esposto che 
con decreto del Ministero del Turismo e dello Spettacolo del 1� aprile 1974, 

n. 2653/CO 981 tale film � stato ammesso alla programmazione obbligatoria 
ed ai conseguenti benefici di cui alla L. 4 novembre 1965, n. 1213, modificata 
con L. 21 giugno 1975, n. 287 ed � stato, di fatto, programmato in Italia negli 
anni dal 1972 al 1976, con un incasso di L. 6.957.332:440; ma il Ministero non ha 
ancora provveduto alla erogazione del contributo di cui al primo comma dell'art. 
7 della menzionata legge. 
Ha precisato ancora la Pea che si verte in tema di violazione di un diritto 
soggettivo perfetto, sorto dall'ammissione della programmazione, man mano ma~ 
turato nel quantum dal corso della programmazione, e, ovviamente, non vulnerato 
dalla interruzione della medesima per effetto della sentenza penale di condanna 
dell'attore e del produttore ex art. 528 cod. proc. civ., passata in giudicato 
nell'aprile 1976 (tale sentenza non incidendo, secondo l'assunto della 
Societ�, sulla fattispecie genetica del diritto de quo, n� sulla pregressa programmazione, 
ma soltanto impedendo l'ulteriore incremento quantitativo del diritto). 

Il Ministero del Turismo, nel costituirsi in giudizio, ha osservato che la 

P.E.A. non � titolare di un diritto soggettivo, di cui pu� assumere la lesione. 
Non esiste, nella specie, un provvedimento di concessione del contributo, efficace, 
perch� il decreto, sottoposto al visto della Corte dei Conti, non � stato 
registrato. E, di conseguenza, non produce effetti. 
E senza un provvedimento efficace, la pretesa conserva la natura di interesse 
legittimo, non di diritto soggettivo. Di qui, sorge il difetto di giurisdizione 
dell'A.G.O. 



748 

MSSEGNA l:JELL1AWOCATURA DELLO STATO 

situazioni soggettive consolidate prima che il detto atto finale sia stato 
emanato (3). 

La disposizione dell'art. 18 t.u. 12 luglio 1934 n. 1214, a termini della 
quale devono essere presentati al visto della Corte dei conti tutti gli atte 
con i quali si autorizzano spese quando l'autorizzazione sia contemporanea 
all'emissione dell'ordine di pagamento, va letta in correlazione con la norma 
generale di �contabilit� (art. 50 terzo comma R.D. 28 novembre 1923 

n. 2440 e successive modificazioni) secondo cui, quando l'impegno della 
spesa viene accertato all'atto stesso in cui occorra disporre il pagamento, 
il titolo di pagamento pu� valere altres� come atto di autorizzazione della 
spesa; ci� significa che non solo l'ordine di pagamento, il quale a sua 
volta presuppone esaurita la fase della liquidazione, ma anche il titolo 
giuridico della spesa, cio� l'impegno o l'atto di autorizzazione della spesa 
medesima, devono essere assoggettati al controllo della Corte dei conti (4). 
(omissis) Fermo restando -secondo le considerazioni, sul punto ineccepibili, 
gi� svolte dal TAR -che la qualificazione del provvedimento 
impugnato deve rispondere a oriteru oggettivi, e cio� va fatua identificando 
il potere, tipizzato dall'ordinamento, nel cui ambito l'atto medesimo pu� 
essere ricondotto per i propri intrinseci connotati strutturali e funzionali, 
� di tutta ev.idenza �he il decreto 4 aprile 1979 del Ministero per iJ turismo 
e lo spettacolo non altrimenti pu� essere qualificato se non come 

Si sarebbe potuto parlare, se mai, di un diritto soggettivo (diritto al pagamento) 
se il contributo fosse stato gi� concesso (cfr. Cass. 28 ottobre 1966, 

n. 2693; Cass. 13 maggio 11963 n. 1179). Ma, prima della concessione, esiste nel 
richiedente, solo un interesse legittimo. 
La dizione della legge (� concesso... un contributo) � chiara; ed � evidente 
la ratio, che tende a favorir� non il produttore come tale, il suo interesse, ma 
la produzione di lungometraggi nazionali, l'interesse pubblico inerente a tale 
produzione. 

N� pu� ritenersi che la pretesa si trasformi in diritto perch� vi � stata 
l'ammissione alla programmazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5 della legge 

n. 1213 del 1965: la sentenza penale ha travolto tale ammissione, riconoscendo, 
nel film, l'esistenza di fatti costituenti reato e la proiezione di un tale tipo 
di film esclude di per s� qualsiasi pretesa (da tale aspetto vi � la improponibilit� 
assoluta della domanda). 
Nel merito la pretesa � infondata . 

Come � noto, la Corte di Cassazione, con sentenza 29 gennaio 1976, rigettando 
il ricorso proposto dagli imputati dei reati di cui agli artt. 110, 112, n. 1, 528 
e 529 cod. pen. e 14 legge 21 aprile 1962 n. 161, ha reso definitiva la sentenza 
di condanna 26 settembre 1974 della Corte di Appello di Bologna, con la quale, 
dato il carattere osceno, il film � stato sequestrato e confiscato nelle relative 
copie. 

Ed � ovvio che, non solo per il periodo successivo, ma anche per il periodo 
precedente, la sentenza di condanna e confisca, accertando l'esistenza del reato, 
ha reso giuridicamente illecita, e quindi impossibile, qualsiasi pronuncia che 



PARTE t, SEZ. V, GXURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 749 

atto tipico di annullamento, e ci� non solo, e non tanto, per la determinazione 
di volont� in tal senso espressa nel dispositivo, quanto anche, 
e .soprattutto, per il valore non meramente dichiarativo, ma costitutivo 
deglii effetti, che a questa determinazione l'ordinamento colilega. 

Ne11a specie infatti, il provvedimento impugnato arlempie alla funzione 
di eliminare dal mondo giuridico atti precedenti dell'Amministrazione 
che non hanno soltanto carattere ricognitivo di presupposti legalmente 
predeterminati, ma presentano un tipico contenuto di accertamento tecnico
�discrezionale e sono, quindi, a loro volta produttivi di effetti giuridici, 
non altrimenti eliminabili che attmverso !la caducazione, appunto, 
degli atti-fonte. 

L'annullamento, peraltro, al di l� di alcune non esatte considerazioni 
teoriche esposte nella parte motiva del decreto ministeriale di cui si controverte, 
� giustificato dall'accertata invalidit� originaria degli atti annullati, 
di cui il competente Ministero ha verificato l'erroneit� del presupposto 
(cio� il giudizio su requisiti di ammissibilit� alla programmazione 
obbligatoria, espresso dal comitato di esperti), sia pure aLla [uce di ciocostanze 
sopravvenute. 

La tesi degli appellanti, secondo cui, una volta ammessa l'opera filmica 
alla programmazione obbligatoria suhla base di una valutazione favore..,.
ple espressa in .sede amministrativa, non ci sarebbe spazio per contrastanti 
valutazioni di altri organi, ancOPCh� rese nell'eseocizio dcl magistero 

abbia valutato il film ai fini della programmazione e sia comunque diretta 
a far sorgere una pretesa a contributi, che non possono trovare la loro fonte in 
una azione v'ietata dalla legge penale, in un profitto di delittuosa provenienza. 
Dal reato compiuto ed accertato non pu� sorgere una pretesa, n� un interesse 
legittimo, n� un diritto. 

2. -In pendenza nel giudizio dinanzi al giudice ordinario, il Ministero 
ha annullato il decreto di ammissione alla programmazione per contrasto col 
giudicato penale. Ha avuto cos� inizio la impugnativa che il TAR ha respinto, 
e poi l'appello dinanzi al Consiglio di Stato. 
3. -L'atto di appello parte dalla considerazione che, secondo il TAR, 
(a) il concetto dello spettacolo osceno (art. 528 cod. pen.) -quello che offende 
il pu.dore -sarebbe � insito � in quello di spettacolo ordinato al volgare sfruttamento 
dei temi sessuali cui si riferisce l'art. 5 della legge n. 1213 e (b) in un 
film che sia proiettato al pubblico i fini di specu1azione commerciale risiedono 
nel fatto stesso che lo spettacolo � dato per conseguire un utile economico; 
ed osserva che, secondo il TAR, vi � coincidenza dell'area dei �film che sfruttino 
volgarmente temi sessuali � con quella dei film che offendano il comune sentimento 
del pudore (ed inoltre vi � coincidenza della �speculazione commerciale� 
(di cui alla legge n. 1213) con �il fine di lucro� propvio di ogni impresa), con la 
conseguenza che, accertato in modo definitivo dal giudice penale che un film 
offende il comune sentimento del pudore, esso sarebbe, per ci� solo, da considerare, 
ai fini degli artt. 5 e 7 della legge n. 1213, come un film � che sfrutta volgarmente 
temi sessuali �, e, per il principio della � prevalenza delle pronunzie dell'autorit� 
gi�diziaria su quelle dell'autorit� amministrativa, il TAR si esprime 
10 



750 

RASSEGNA DELL1AWOCATURA DELLO STATO 

penale,. capaci di incidere sul precedente giudizio e di negarne retroattivamente 
la validit�, non appare accettabile, in quanto muove da unra vis.ione 
parziale e fuorviante dei due sistemi normativi, rispettivamente penale 
e amministrativo, dalla cui integ.razione soltanto pu� scaturire una disciplina 
organica e razionaJe nella fattispecie concreta sottoposta al.l'esame 
del giudice. Invero appare evidente che per 11 principio dell'unitariet� 
dell'ordinamento giuridico, non sia posisibile che uno stesso f�atto sia da 
un canto considerato antisociale e quindi punibile penalmente e da11'ailtro 
sia ritenuto apprezzabile e degno di incoraggiamento. 

�. vero che le disposizioni della L. 4 novembre 1965 n. 1213 -e, a 
monte, quella della L. 21 aprile 1962 n. 161 che discipHnano la censura 
preventiva esercitabile sulle rappresentazioni cinematografiche -non 
presentano punti di interferenza o contatto con i meccanismi di repressione 
penale, ma ci� non significa che non debba ricercarsi in altra 
sede dell'ordinamento, cio� in altre norme o clausole generali ritraibi1i 
dall'intrinseca razionalit� del sistema, quell'indispensabi~e momento di 
contatto, o di interferenza, tra procedimento amministrativo e girudicato 
penale, senza del quale altri e pi� fondamentali principi resterebbero 
offesi con conseguente rottura della continuit� e dell'armonia dell'ordmamento 
medesimo. 

. Punto di partenza dell'operazione ermeneutica, nehla f�attispecie .in 
esame, deve essere quindi la considerazione, che � un assioma logico prima 

nel senso che in base al giudicato sulle oscenit� del film i benefici degli artt. 5 e 7 
non devono .essere accordati e, se accordati, devono essere revocati. 

Dopo questa esposizione che rispecchia la motivazione della sentenza, la 
difesa avversaria inizia la sua critica: si tratta di due sfere giuridiche, l'area 
delle quali non combacia. Quella di � offesa al comune sentimento del pudore � 
� notevolmente pi� estesa del concetto di spettacolo che � sfrutta volgarmente 
temi sessuali � e non vi � corrispondenza con le formule impiegate ai fini della 
programmazione e della sovvenzione. Quest'ultima si riferisce ai casi di � volgarit�
� e di � sfruttamento� delle volgarit� ed implica un operato spregevole che 
non si accompagna a tutti i casi di offesa al comune sentimento del pudore. 
L'offesa a tale sentimento pu� anche non essere volgare; e in base al codice 
deve essere punita anche se non � volgare, se non sfrutta temi sessuali. Le valutazioni 
di cui aJl'art. 5 e all'art. 528 cod. pen. vengono effettuate alla stregua 
di parametri nettamente diversi. La diversit� del parametro spiega la diversit� 
dell'organo, del tipo di giudizio, della sfera di azione. Tutto questo significa 
che, una volta intervenuto un giudizio sulla oscenit� del lavoro occorre sempre 
un ulteriore e diverso giudizio per sapere se il lavoro comporti anche un volgare 
sfruttamento di temi sessuali. � volgare un giudizio non etico, ma estetico. 
Di conseguenza le due sfere non potranno venire in conflitto se non al punto 
e nel momento in cui vengono a combaciare. Se cos� il film � tolto dalla circo� 
lazione perch� fulminato da una sentenza penale, l'effetto della perdita� dei 
benefici comincer� a prodursi appunto in conseguenza della sua uscita dal 
circuito della distribuzione (effetto indiretto del giudicato) e non in virt� del 
giudicato. 


PARfE �, SEZ. V, Gll.i~tSPR'�DENZA AMMINISTRAT�\IA 751 

ancora che giuridico, deHa inderogabilit� del comando penale, ma soltanto 
nel senso che un fatto, qualificabile come reato dall'ordinamento, 
non pu� mai essere produttivo di conseguenze favorevoli per il reo e 
neppure per terzi estranei all'illecito, ma anche nel senso che iJ. tempo 
occorrente al:l'accertamento del fatto-reato (accerta�nento che postula 
la ricostruzione storica del fatto e la .sua successiva quailiificazione normativa, 
nel quale momento di sintesi � il nucleo di incontestabile � ver.
it� � della 1sentenza del giudice penale) non pu� essere neutro rispetto 
alla proibizione della norma inariminatrice; non pu�, cio�, far presumere 
lecito ci� che, rivelandosi a posteriori in contrasto con da norma, 
si pone .a:l di fuori del ~.iritto nel momento stesso in cui si Tealizza nel 
mondo delle relazioni umane. 

La sentenza del giudice penale, quindi, non � retroagisce � (o,� almeno, 
non pu� postularsene l'efficacia retroattiva nello stesso senso in cui 
tale espressione serve a qualificare una norma o un qualunque atto 
costitutivo di una nuova realt� giuridica) ma �accerta�, il che � quanto 
dire che essa riconosce un fatto, storicamente dato, e lo riporta alla .sua 
esatta connotazione giuridica; e poich� quel fatto � un dato della realt� 
che per il diritto non avrebbe dovuto essere ma � �stato, la sentenza 
del giudice penale non lo elimina come fatto, ma lo disconosce come 
� fatto normativo �, cio� nega che esso abbia potuto, sin dia1l'origine, 
produrre altri effetti se nbn quelli sfavorevoli, previsti da1l�la norma 
incriminatrice. 

Si � cos� riportata la critica alla sentenza. 

Se ne pu� condividere, da un punto di vista astratto (e cio� a prescindere 

dal caso di specie, sul quale in seguito ci soffermeremo) la distinzione della 

nozione di � volgare � da quella di � osceno �, nel senso per� che . � volgare � 

� un concetto pi� generico, che, traendo origine dal volgo, e cio� dagli strati 

socialmente e culturalmente �inferiori della popolazione, viene anche usato, come 

nella specie, con intenzione chiaramente spregiativa, che esclude qualsiasi pregio 

e valore ,particolare: implica un giudizio spregiativo; e riferito al tema che qui 

interessa indica una trattazione del tema sessuale in modo spregiativo e, data 

la sua genericit�, si contrappone a qualsiasi finezza, signorilit�, elevatezza e 

nobilt� di sentimenti. Osceno invece � un concetto specifico, che concerne 

l'offesa al pudore e riguarda la verecondia sessuale: l'interesse tutelato penalmen


te � U pudore, che si espri111e � in una reazione emotiva, immediata e irriflessa, 

di disagio, turbamento e repulsione in ordine a comportamenti sessuali che per 

continuit� pedagogica, stratificazione di costumi ed esigenze morali, tendono 

a svolgersi nell'intimit� e nel riserbo� (Cass., Sez. III, 7 giugno 1976, Foro lt. 

1976, Il, 711); e, pi� precisamente, l'osceno � � quello che offende fortemente il 

pudore in modo da suscitare schifo e ribrezzo)) (sul film che qui interessa 

v. C. Appello Bologna, 4 giugno 11973, Rass. Cinem. 1973, 133 e Cass. 29 gennaio 
1976, ivi, 1977, 44). 
Gi� da questa astratta definizione, in contrasto con la difesa avversaria, 
appare evidente come uno spettacolo osceno, il quale rappresenti una esaltazione 
del fatto sessuale, e cio� susciti �disgusto� e repulsione, non pu� non 



752 RASSEGNA DELL1AVVOCATURA DELLO STATO 

Gli appellanti non negano certo l'esattezza del suesposto principio, 

ma affermano, per sottrarsi alle rigorose conseguenze della sua appli


cazione, che il giudizio penale sul carattere osceno del film non coincide 

con queLlo che deve essere reso in sede amministrativa per 1l'ammissione 

dell'opera aHa programmazione obbligatoria e ai contributi di incenti


vazione previsti dalle leggi special.i in materia. 

Questa affermazione, tuttavia -che, ,se fosse esatta, condurrebbe 

all'assurdo di concepire un'opera cinematografica al tempo stesso non 

rappresentabile per la legge penale e tuttavia da incentivarsi con denaro 

pubblico ai fini della legge amministrativa -non � condivisibile neppure 

nei presupposti dommatici, da cui muove, perch� il giudizio di disvalore 

sociale che � insito ne1l'ipotes.i di reato ex art. 528 Cod. pen. ha un 

significato globale, coinvolge cio� sia il contenuto latu sensu etico nel 

film che i suoi profili estetico-artistici, onde riassumere, in s�, assor


bendola, ogni altra valutazione espressa in altre sedi ed ad altri fini. 

Non va:le, per negare l'intuitiva evidenza di questa considerazione, 

obiettare -come di fatto gli appellanti obiettano -che l'ammissione 

alla programmazione obbligatoria (� obbligatoria�, s'intende, isolo per 

gli esercenti delle sale cinematografiche) si basa sul semplice accerta


mento che il film non � sfrutti volgarmente temi sessuali a fine di spe


culazione commerciale�, 1laddove il �comune sentimento del pudore� 

presidiato dalla norma incriminatrice penale coinvolge un bene, apprez


essere definito anche in senso spregiativo: la lesione dell'interesse pubblico 
(pudore) che lo spettacolo osceno comporta � certamente pi� grave (ed � perci� 
compreso, supera e travolge) la generica offesa al sentimento di finezza e signorilit� 
che � proprio della trattazione del tema sessuale eseguita in modo 
spregiativo. 

Ma, senza soffermarsi oltre sulle astratte definizioni e sulla distinzione delle 
fattispecie normative (art. 5 e art. 528 cod. pen.), sulla �distinzione del parametro, 
che spiega la diversit� dell'organo, del tipo di giudizio� perch� ci� 
potrebbe condurre a sterili discussioni, nella specie un rilievo � decisivo: il fatto, 
lo spettacolo osceno, � qualificato delitto sin dal primo momento in cui � stato 
compiuto; � qualificato delitto sin dalla sua prima proiezione in pubblico. 
In tali sensi il giudicato penale spiega la forza e la efficacia sua propria. Il delit� 
to � stato consumato con la prima proiezione, perch� la sentenza penale 
(e questo ci sembra addirittura ovvio) ha inteso colpire, �fulminare� il film 
sin dal primo momento della sua circolazione perch�, anche a seguire il ragionamento 
avversario, sin da quel momento la sfera delle agevolazioni e la sfera 
del lecito penale sono venute a �combaciare�, perch� sin da quel momento 
la sfera dell'osceno ha agito, travolgendo (o, se si vuole, coincidendo) e superando 
la c.d. sfera del volgare. Anzi, � l'intera circolazione del film, sin dall'inizio, 
che � delittuosa; � l'intera circolazione che � fuori dalle leggi n. '1213/1965 
e n. 161/1962; � contro tali leggi, che, da nessun aspetto, e in nessun momento, 
la possono prendere in considerazione. �La oscenit� del film -ha precisato 
il TAR -non � un connotato dell'opera che pu� sussistere in un momento 
e dissolversi in un altro momento�. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 753 

zabile sotto il profilo etico-sociale, che potrebbe essere offeso anche da 
rappresentazioni esteticamente accettabili. 

Al contrario, va affermato che il tema sessuale costituisce l'oggetto 
primario della previsione punitiva, e se la rappresentazione del nudo 
fatt!O 'sessuale � qualificabille come oscena, ci� s1gnirf�ca che non solo 
la vicenda narrata, ma la stessa narrazione, come mezzo espressivo di 
quel contenuto, � neutra rispetto ad ogni valore: � nella gratuit� dcllo 
episodio singolo rispetto all'intera trama naPrativa dell'opera, nella sua 
superfluit�, si potrebbe dire, riguardo al complesso delle emozioni anche 
estetiche che l'opera filmica nella globalit� de1le sue componenti 
tende a suscitare, ohe deve ravvisarsi il connotato tipico deM'osceno 
penalmente vietato e quindi la vera ragione del giudizio di disvalore sociale 
che ne � ailla base. 

Ci� significa che l'osceno in s� non ha contenuto apprezzabile n� 
forma esteticamente valida; � nuda rappresentazione di un fatto che, 
in quanto attiene alla parte pi� intima del comune sentimento di riserbo 
sessuale, usa violenza, con il suo contenuto, alla sfera emotiva delilo 
spettatore senza riscattare, con fa forma, la frattura dei valori ideali 
che es�sa ha determinato. 

D'altronde, la Corte suprema di cassazione, con giuPisprudenza costante, 
insegna che non pu� esservi pregio artistico delil'opera rf�~mica 
quando le sequenze oscene si presentino con carattere di gratuit�, quasi 

La oscenit� � una caratteristica, una qualifica attribuita al film dal giudicato 
penale, con la conseguenza che la sua intera circolazione andava impedita, 
vietata ab origine, sin dalla Commissione di censura, prima ancora del parere 
del Comitato degli esperti. E da una circolazione delittuosa non possono trarsi 
guadagni n� vantaggi, perch� gli uni e gli altri sono profitti da reato. 

Non ha senso, perci�, distinguere una fase precedente ed una fase successiva 
al giudicato penale, n� distinguere gli effetti diretti o riflessi del giudicato 
stesso. Qui -si ripete -e si conclude su questo aspetto, ha rilevanza la forza 
del giudicato che spiega gli effetti suoi propri sin dal primo momento in cui il 
delitto (la circolazione del film in pubblico) � stato consumato. 

4. -Nell'atto di appello si esamina il giudicato penale per porre in rilievo 
che il film non trattava in modo volgare temi sessuali, ma era apprezzabile 
per la fonna ed i pregi esteriori. Tali affermazioni non rispondono al giudizio 
suHe oscenit� emesso il 3 giugno 1973 dalla Corte di Appello di Bologna, contro 
il quale gli imputati non proposero doglianza, come precisato nella sentenza 
della Cassazione del 29 gennaio 1976. 
� quindi su quel giudizio che occorre soffermarsi (anche se si omette per 
motivi ovvi la descrizione delle varie scene). La Corte afferma: � Detta scena 
dimostra troppo scopertamente la volont� di evidenziare il fatto sessuale, allo 
scopo di attirare e sollecitare lo spettatore verso l'aspetto sessuale della rappresentazione, 
invadendo nell'osceno per il disgusto che suscita sull'uomo normale� 
e poi �La scena indicata come quella del "burro" (che � valsa ad attirare 
masse di spettatori incuriositi) � obbiettivamente di una volgarit� evidenziata 
.che supera ogni limite di sopportazione... Oltre alla oscenit� in s� stessa, il com




RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

754 

�escrescenze degenerative� di un tessuto alla cui completezza stilistica 

esse non appaiono necessade; e dunque se l'affermazione di responsa


bilit� penale comporta anche un giudizio negativo 1sui profitti estetici 

dell'opera, non pu� esservi dubbio che �La rappresentazione del fatto 

sessuale resta priva di ogni giustificazione: 1a gratuit� del mezzo espres


sivo rivela qui necessariamente la volgarit� del fatto narrato. 

Si pu� allora comprendere quale sia 11 nesso che intercorre tra la 

norma amministrativa e quella penale: la rprima, infatti, opera nello 

spazio lasciato scoperto dalla soconda, cio� impone una valutazione di 

pregevolezza (o non spregevolezza) stilistica dell'operia ohe muove sol


tanto dal punto in cui si sia arrestato il giudizio (di non oscenit�) del 

magistrato penale. Ail contrario, la riconosciuta oscenit� del film invade 

la sfera della valutazione amministrativa e, si potrebbe dire, la rende 

superflua, poich� la riappresentazione del nudo episodio sessuale che sia 

fine a se stesso, avulso, come si � detto, dal contesto narrativo della 

opera e quindi non essenziale al messaggio che attraverso questa si 

vuol trasmettere allo spettatore, comporta necessariamente ,anche un 

giudizio di valore estetico. Ci� rende inutile, peraltro, la ricerca del


l'ulteriore elemento (il fine di speculazione commerciale) richiesto dal


l'art. 5 della legge n. 1213 del 1965, posto che :l'util.izzaziorne della tema


tica sessuale, quando non risponda alla essenzialit� del mezzo espres


sivo del mondo ideale evocato dal film, � da intendersi obiettivamente 

piacimento a fine sessuale � dimostrato dalla lunghezza delle sequenze, ... in 
modo che lo spettatore possa apprezzare in tutta la sua volgarit� la sodomizzazione 
della donna: queste e le altre particolarit� dell'azione, evidenziano il fine 
di eccitare i pi� bassi istinti sessuali; a tutto discredito del pi� elementare 
buongusto, mettendo completamente nell'ombra quegli eventuali interessi di 
ordine estetico, che l'Autore ha asserito di aver voluto perseguire�. Si tratta, 
come � evidente, di un giudizio che ritiene il film, in modo grave, lesivo del 
� pudore: e in tale giudizio di merito non si riesce pi� a comprendere la distinzione, 
che ex adverso si prospetta, tra l'osceno ed il volgare, tra l'etica e la 
estetica, che � posta a premessa dell'appello. L'intera motivazione della sentenza, 
sulla valutazione delle varie sequenze del film, dimostra quanto sia vano, 
nella specie, porre una distinzione tra due concetti, l'osceno ed il volgare; anzi 
spiega come la oscenit� si sia realizzata attraverso scene di una volgarit� disgustevole, 
suscitando � un senso di profondo ribrezzo >>, che � lungi dal produrre 
alcuna emozione estetica � rende il film � un cospicuo saggio di pornografia �. 

5. -Venuta meno la premessa, appare evidente la infondatezza della tesi 
avversaria. 
La controparte, pur riconoscendo, alla p.a., un potere generale di annullamento 
dei propri atti, nega che nella specie sussistevano vizi originari o sopravvenuti 
che potessero permettere un annullamento ex tunc. La doglianza passa 
poi ad esaminare la sentenza che ha ritenuto illegittimo il parere del Comitato 
che ha omesso di rilevare il carattere osceno del film, assumendo che il decreto 
di annullamento non si � basato su tale pretesa omissione e inoltre il Comitato 
non doveva pronunciarsi sulla pretesa oscenit�. 


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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 755 

idonea a suscitare curiosit� morbosa e quindi ad accrescere la produttivit� 
commerciale (non H pregio stilistico) dell'opera filmica: questa 
� la funzione cui obiettivamente risponde [a rappresentazione dell'osceno, 
e sarebbe vano ricercare un ulteriore elemento subiettico (quasi un 
dolo 'Specifico}, che in quanto tale resta relegato nell'imponderabile sfera 
della psiche umana. 

Sulla base delle precedenti osservazioni � possibile affermare che 
il giudizio espresso dal comitato di esperti non era ,radicalmente nullo 
ab origine, ma soltanto incompleto; la sua incompletezza � 1stata rilevata 
da:l successivo giudicato penale, in quanto l'accertamento, con sentenza 
irrevocabile, del carattere osceno del film ha comportato anche un giudizio 
negativo sui suoi profili stilistici, ponendo in luce l'erroneit� delle 
valutazioni in proposito espresse dall'organo ammin~strrativo. Essendo 
venuto meno un presupposto essenziale del provvedimento di amniissione 
del film a~la programmazione obbligatoria, quest'ultima andav1a caducata, 
e legittimamente pertanto il Ministro per il turismo e lo spettacolo 
ha emesso l'impugnato decreto di annulilamento. 

A questo punto bisogna farsi carico dell'ulteriore profilo difensivo, 
desumibile dal secondo motivo degli originari ricorsi e riprodotto nel 
motivo sub n. 2, lett. c), degli appelli in esame sec()[ldo cui il potere di 
annullamento, quand'anche potesse configura11si sussistente nella 'specie, 
non avrebb~ potuto esercitarsi nei confronti di provvedimenti dai quali 

La critica � in contrasto con gli atti e con i princ�pi. 

Il decreto di annullamento ha richiamato� il parere del Consiglio di Stato, 
nel quale � detto che �il Comitato non � esentato da ogni giudizio sulla oscenit� 
del film che costituisce reato "� E si aggiunge che � tale esame era preliminare 
ed assorbente d'ogni altro apprezzamento, essendo evidente che un film che 
sia osceno secondo la norma penale, non potrebbe essere mai considerato quale 
film che non sfrutti il tema sessuale ai fini della speculazione commerciale �. 
�E se il reato di oscenit� viene definitivamente e comunque accertato dopo la 
deliberazione degli esperti, tale accertamento non pu� non incidere negativamente 
sulla deliberazione originaria, perch� fin da quel momento, ne ha reso 
giuridicamente illecito e impossibile il contenuto �, 

A tali considerazioni, racchiuse nel parere del Consiglio di Stato, occorre 
aggiungere che il Comitato ha espresso un giudizio, sia pure favorevole, su un film 
che violava un precetto penale, gi� in precedenza accertato dal giudice penale, 
essendo stato quel giudizio espresso in data 119 dicembre 1973 mentre l'accertamento 
giudiziale della oscenit� era precedente, e cio� del 3 giugno 1973 (tale 
� la data della sentenza della Corte di Appello di Bologna), e ci� a prescindere 
dal rilievo sulla identit� dei concetti, osceno e volgare, espressamente enunciati, 
come si � visto, in tale sentenza. Ora non pare sostenibile, n� fondata, la tesi 
che � rivolta ad affermare la legittimit� del parere. del Comitato, quando tale 
organo ha ritenuto sussistente nel film �sufficienti requisiti di idoneit� tecnica 
e qualit� spettacolari�, ma non si � reso conto che il film era osceno o (il che 
� lo stesso) sfruttava volgarmente temi sessuali: non si � reso conto che lo 
spettacolo implicava una violazione di un precetto penale, gi� in precedenza 



756 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

erano gi� scaturiti diritti soggettivi perfetti in capo ai destinatari: il 
concreto esercizio di quel potere, comunque, avrebbe dovuto dare adeguato 
conto dell'interesse pubblico attuale che imponeva il sacrificio di 
situazioni soggettive consolidate, mentre di una siffatta puntuale motivazione 
non si rinviene traccia nell'impugnato decreto ministeriale. 

Anche queste argomentazioni difensive vanno disattese in quanto muovono 
da due presupposti teorici che non possono condividerisi. 

Il primo concerne l'affermazione di principio secondo cui ;l'annullamento 
in sede di autotutela di atti amministrativi illegittimi filcontrerebbe 
in ogni caso il limite del diritto soggettivo gi� sorto sulla base 
degli atti annuLlati: affermazione non esatta nel rigore della sua formulazione, 
perch� se per H diritito comunque vige l'opposto pdncipio della 
retroattiviit� dell'effetto d'anm�lamento di una precedente atrtivit� giuridioa 
(artt. 1441 segg. cod. civ.), ,ed anche senza limitazioni di tempo 
quando il vizio si deduca in via di eccezione (art. 1442 quarto comma 
cod. civ.), nel campo dei rapporti pubblicistki la giurisprudenza ha introdotto 
un contemperamento al vigore di quel principio ,soltanto a tutela 
di situazioni reali, tali cio� da comportare una composizione, dei 
vari interessi in giuoco, che non sarebbe possibi1e modificare senza 
sottrarre al privato un bene, o una utilit� finale, ad esso gi� attribuito con 
l'atto di (illegittimo) esercizio del potere. 

Esattamente il T.A.R. richiama precedenti di questo Consiglio dai 
quali pu� trarsi un insegnamento opposto a quello che gli appellanti 

accertata dal giudice penale, che non poteva essere ignorato da nessun organo 
amministrativo. La illegittimit� � qui originaria, non sopravvenuta; essa inficia 
l'atto di ammissione, che esattamente � stato annullato. 

La controparte esclude che gli atti di ammissione (del 1974 e 1975), anche 
se non portati ad esecuzione, potessero essere annullati, perch� non esisteva 
una loro illegittimit� che comunque non poteva discendere da una valutazione 
di oscenit� fatta ex post, e ad altri fini, dal magistrato penale. 

Anche su tale aspetto dobbiamo energicamente dissentire. 

Sul momento dell'accertamento penale (sin dalla prima proiezione) non 
possono sorgere dubbi, come non � lecito dubitare sulla rilevanza che l'accertamento 
penale ha su tutti gli atti amministrativi emessi in precedenza da altre 
autorit� che riguardino, ponendolo a loro presupposto, lo stesso fatto, ormai 
ritenuto in modo irrevocabile reato. E la rilevanza sia diretta sia riflessa � vincolante 
e cogente, nel senso che travolge gli effetti degli atti amministrativi comunque 
emessi (siano o no eseguiti), avendo essi origine in un reato non pi� 
contestabile per giudicato. Come � vietata la successiva proiezione di un film 
che � reato, cos� � contraria all'ordinamento anche la proiezione precedente 
al giudicato, avendo anche questa, per effetto della sentenza penale, la stessa 
valutazione giuridica: �, cio�, delittuosa. Ed � ovvio, perch� discende dalla 
logica, prima che dal diritto, che Io Stato non pu� obbligarsi a concedere contributi, 
a dare incentivi per consumare un reato. � � uno dei cardini dello 
Stato di diritto, chiaramente formulato sia dalla legge 20 marzo 1865 sull'abolizione 
del contenzioso amministrativo e ribadito dalla vigente Costituzione, quello 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 757 

invocano in questa sede: l'affermazione, cio�, che fa situazione"limite al 
potere di annullamento in funzione di autotutela non pu� consistere in 
un:a meva aspettativa giuridica o in una posizione di semplice attesa, la 
quale non si sia gi� tradotta in un bene della vita gi� entrato nella sfera 
di giuridica disponibilit� del privato. In particolare il diritto di credito 
ohe sia 'scaturito da un provvedimento amministrativo, di poi riconosduto 
illegittimo, si esauris�ce in una aspettativa di tutela che l'ordinamento 
riconosce alla � pretesa� (il poter pretendere) del creditore; e 
come la 1riconosduta illegittimit� del provvedimento costitutivo dell'obbligazione 
elimina ab origine il rapporto obbJigatorio, da cui quella 
pretesa trae fondamento, cos� non � possibile ipotizza["e. alcuna .situazione 
�consolidata�, in favore del privato, che valga a rendere coercibile 
il credito in mancanza di una perdurante validit� del suo titolo giuridico. 


Non avrebbe senso, in altre parole, postulare un limite al potere di 
annullamento connesso con una mera esigenza di conservazione della 
tutela giuridica apprestata a una situazione di attesa, perch� qui l'utilit� 
concreta, il bene reale della vita, � ancora in fieri, e ci� che il privato 
chiede � soltanto la conservazione del vincolo e l'eventuale adempimento 
non pi� possibHi dove sia venuta meno '1a causa giuridica della obbligazione 
sorta (dall'atto illegittimo) a carico dell'Amministrazione. 

Nella fattispecie in esame, poi -e qui si rivela l'artificiosit� del 
secondo presupposto logico, su cui si basa l'argomentazione dffen:siva 

della prevalenza delle pronunzie dell'autorit� giudiziaria su quelle dell'Autorit� 
Amministrativa �. 

A tale principio si collegano varie norme, tra le quali quella che qui interessa, 
e cio� il carattere vincolante per la p.a. degli accertamenti emergenti 
dal giudicato penale: � art. 28 cod. proc. pen. � (parere Cons. Stato, Sez. I, 
17 dicembre 1971, n. 3540). 

Ed allo stesso principio si informa la giurisprudenza, la quale, ai fini penali, 
ha ritenuto non vincolanti le pronuncie dell'autorit� amministrativa, tra cui 
rientra il nulla osta d<;!l Comitato degli Esperti (o delle Commissioni di censura) 
che non ha l'efficacia di escludere la punibilit� di uno spettacolo in effetti 
osceno, n� sotto il profilo dell'esimente dell'esercizio di un diritto, n� sotto 
il profilo del difetto dell'elemento psicologico del reato (cfr., proprio per il film 
in discussione, Cass. Sez. III, 29 gennaio ,1976, Riv. dir. cinem. 1977, 44). 

Nello stesso appello si insiste nella tesi secondo la quale gli atti di ammissione 
non andavano registrati dalla Corte dei Conti. � una tesi infondata. 

Il controllo preventivo della Corte dei conti -� chiaramente sancito nell'art. 
18 del r.d. 12 luglio 1934 n. 1214 -si esplica, come controllo (preventivo) 
di legittimit�, su tutti gli atti che autorizzino spese (atto di impegno) per un 
importo superiore a lire 10.000 poi elevato a lire 2.400.000 (d.P.R. 30 giugno 1972 

n. 422) quando l'autorizzazione non sia contemporanea all'emissione dell'ordine 
di pagamento. Nella specie si tratta di una autorizzazione non solo non contemporanea, 
ma anche distinta dal mandato di pagamento, e perci� andava 
registrata. 

758 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

degli appellanti -� da negarsi che il decreto di ammissione dell'opera 
filmica alla rappresentazione obbligatoria valga di per s� a costituire 
immediatamente e direttamente il credito (per i soggetti indicati nell'art. 
7 della legge n. 1213 del 1965) relativo ai contributi d'incentivazione. 

Nello schema legale, in verit� questo diritto sorge al perfezionarsi 
di una fattispecie complessa, che prevede non solo l'atto iniziale di ammissione 
alla programmazione (ascrivibile alla categoria pi� generale degli 
atti concessori), e, quindi, la successiva programmazione effettiva del 
film entro i limiti di tempo dalla legge stessa indicati, ma anche un atto 
finale, che risponde alla duplice funzione di accertare i presupposti legali 
del credito del privato e di liquidare la relativa spesa a carico della 
Amministrazione: atto, dunque, strutturalmente complesso con indubbia 
efficacia cost>itutiva, 1senza del quale, e prima del quale, non un diritto 
perfetto, ma una mera aspettativa � possibile configurare in capo ai 
soggetti destinatari del beneficio. 

Per questa ragione, tutte Je argomentazioni svolte dagli appellanti 
a sostegno deLla tesi, peraltro gi� fatta propria dal Tribumcle civile di 
Roma, secondo cui i decreti del 1� aprile 1974 e del 16 ottobre 1975, di 
ammissione del film alla programmazione obbligatoria,� erano di per s� 
perfetti ed efficaci, senza necessit� di riscontro positivo della Corte dei 
conti, sono in parte infondate e in parte irrilevanti. Sono irrilevanti, 
pe11ch� -come si � detto -da quei provvedimenti non avrebbe potuto 
sorgere la definitiva obbligazione a carico della P.A. prima dell'atto fi-

Il controllo, infatti, non pu� esplicarsi che su atti amministrativi, in un 
momento preventivo alla loro esecuzione; � sull'atto, appena perfetto e prima 
dell'efficacia, che il controllo si esercita, nessuna rilevanza potendo avere la 
circostanza (eventuale) di un differimento dell'esecuzione della spesa al verificarsi 
di un evento estrinseco all'atto (nella specie, programmazione ed incasso). 

N� ha rilevanza, per escludere tale controllo preventivo, il controllo distinto 
e diverso che � pure prescritto sui mandati di pagamento, successivamente 
all'emanazione ed alla esecuzione dell'atto autorizzativo delle spese, detto 
� riscontro>>, previsto dal successivo art. 19, che � un istituto diverso (ma non 
alternativo) rispetto al controllo preventivo. 

Essendo la registrazione necessaria, per il rifiuto opposto dalla Corte dei 
Conti, il decreto, come si � detto, non � divenuto efficace, perch� non si era 
realizzata la fattispecie legale, nei suoi elementi integranti la efficacia (visto 
e registrazione), con la conseguenza che l'effetto cui esso era destinato non si � 
verificato, e quindi, il produttore non ha acquisito alcuna pretesa. 

� � risaputo, e dovrebbe essere noto anche al giudice adito, che i provvedimenti 
di concessione, una volta venuti in essere, ed al momento in cui diventano 
operanti, fanno nascere nei beneficiari dei veri e propri diritti. � fuori 
dubbio dunque che, dal momento della sua operativit�, il provvedimento che 
attribuisce un contributo, crea in lui un vero e proprio diritto soggettivo al 
pagamento della somma, e fa sorgere nell'amministrazione l'obbligazione corre


~ 

lativa� (nota in Riv. giur., ed. 1958, I, 172). f 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 759 

ilale del procedimento, tanto pi� che, secondo fondamentali principi di 
contabilit�, � impensabile che da un impegno generko di spesa, nel 
quale cio� non siano contenuti tutti gli elementi essenziali del costituendo 
rapporto obbligatorio, possa scaturire un diritro soggettivo perfetto in 
~avore del privato. 

Tali argomentazioni sono peraltro infondate anche in riferimento al 
concreto contenuto assunto dai decreti ministerialli in esame (i quali 
avrebbero dovuto limitarsi ad autorizzare la programmazione, mentre 
nella specie hanno senz'a>ltro �concesso� il contributo, prim'ancora che 
si perfezionasse la fattispecie cui la legge condiziona H sorgere del credito 
relativo), in quanto il controllo della Corte dei conti deve .esercitarni 
sul primo atto costitutivo del vincolo giuridico a carico de1J'Amministrazione 
(il c.d. �impegno di spesa�), se in tale fase gli elementi 
essenziali del rnpporto siano gi� individuati e solo resti da quantificare 
H concreto ,ammontare del debito SU11la base di presupposti legali obiettivamente 
identificabili. 

La disposizione dell'art. 18 del R.D. 2 luglio 1934 n. 1214, a termini 
della quale devono essere presentati al visto della Corte tutti gli atti con 
i quali � si autorizzano altre spese... quando l'autorizzazione non sia 
contemporanea �all'emissione de11'ordine di pagamento... '" va letta in 
correlazione con fa norma generale di contab11it� (art. 50 terzo comma, 
del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 e succ. modif.) secondo cui � quando 

Nell'ultima parte dell'appello si richiama il princ1p10 in base al quale 
l'annullamento di un atto costitutivo di posizioni favorevoli non pu� essere 
annullato se non in presenza di ragioni di pubblico interesse da enunciare in 
motivazione, e a tale regola non pu� essere opposto il fatto che in mancanza. 
dell'esecuzione degli atti del 1974-75 non si erano prodotte, in favore dei ricorrenti, 
�situazioni consolidate"� Si aggiunge, � il consolidamento non deriva 
infatti daWesecuzione, ma dal tempo trascorso dalla nascita costitutiva del 
diritto,, (e del corrispondente obbligo). E l'arbitrio della mancata esecuzione 
per il periodo 1974-1979 non vale a farlo venir meno o ad indebolirlo. E poi nella 
specie ragioni di pubblico interesse sicuramente non ve ne erano per procedere 
all'annullamento. 

Tale critica non vale a superare l'ampia motivazione della sentenza, che 
non merita alcuna censura. 

Anzitutto non � esatto che la mancata esecuzione � arbitraria quando nella 
nella specie vi � stato il rifiuto del visto della Corte dei Conti, e vi � stato un 
parere negativo del Consiglio di Stato. 

Inoltre l'annullamento � un atto vincolato (al giudicato penale), e in tal 
caso non sarebbe occorsa alcuna motivazione, anche perch� non ancora efficace. 
Ma la p.a. ha motivato l'annullamento per impedire la concessione dei contributi, 
non ancora erogati: da tale aspetto l'atto non era stato ancora eseguito, 
con la conseguenza che non esistono n� esecuzione, n� situazioni consolidate. 
I benefici non erano stati conc~ssi, e sussisteva quindi un interesse pubblico 
rivolto ad evitare erogazioni di danaro a favore di chi � stato condannato. Gli 
atti emessi non generano obblighi a carico della p.a. e pretese a favore-dei 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

760 

l'impegno della spesa viene accertato all'atto stesso in cui occorra disporre 
il pagamento, il titolo di pagameIJJto pu� valere altres� come atto di 
autorizzazione delta spesa�. 

Ci� significa che non solo l'ordine di pagamento, il quale a sua volta 
presuppone esaurita la fase di liquidazione, ma anche il titolo giuddico 
della spesa, cio� .appunto '.l'impegno o l'atto di autorizzazione della 
spesa medesima, devono essere assoggettati a controllo; e 'tale conclusione 
� avvalorata da quell'ormai costante il1lsegnamento della Corte dei 
conti che ritiene estens1ibille il proprio sinidacato agli atti preSIU!pposti 
dal singolo provvedimento liquidatorio ogni volta che �non si versi nella 
ipotesi di un mero presupposto di fatto� (delib. Sez. centr. Stato n. 814 del 
6 ottobre 1972 n. 531 del 3 ottobre 1973, n. 461 del 1� dkembre 1971) ovviero 
che �una specifica norma di legge non preveda in ordine all'atto presupposto 
il controllo da parte di altro organo� (delib. n. 926 del 7 dicembre 
1978; 111. 1079 del 12 giugno 1980). 

La lettura dell'art. 18 R.D. 2 luglio 1934 n. 1214, che siffatto insegnamento 
dello stesso giudice contabile suggerisce come la pi� adeguata 
al dettato costituzionale (art. 100, �secondo comma, Cost.), impone il ritenere 
esteso il controllo della Corte a tutti i momenti essenziali del procedimento 
di spesa: diversamente opinando, il dscontro della Corte sull'atto 
finale di pagamento si ridurrebbe al livello di una mera verifica di regolarit� 
formaile della documentazione inerente alla fase liquidatoria del 
debito; ci� oltre che porsi in contrasto con i principi, anche di rango 
costituzionale, che presiedono ,all'intero meccanismo di gestione e di 
controllo della spesa pubblica (secondo la gi� indicata interpretazione della 
Corte dei conti), tradirebbe anche la vera finalit� dell'art. 18 del R.D. 

privati, il contributo statale sugli incassi presupponendo un film legittimamente 
proiettato; altrimenti il produttore (ed i suoi complici) verrebbero �a trarre 
vantaggi da una attivit� che, se pure autorizzata in un �primo momento, � stata 
poi riconosciuta penalmente illecita dall'a.g. � (Cons. Stato, parere 10 aprile 1969 

n. 
1572, Cons. Stato 1970, Il, 1412). 
Ed il Consiglio di Stato, con tale parere, in un caso analogo, si � cos� 
pronunciato: 
�V'� solo da aggiungere che i benefici di legge dovranno essere negati non 
solo ai filrrt che contengono scene o sequenze ritenute "oscene " o "indecenti " 
da un giudicato penale, ma a tutti i film appartenenti al genere erotico-sessuale. 
J benefici suddetti sono stati previsti dal legislatore quale "incentivo" alla produzione 
di film nazionali di lungometraggio� (v. l'art. 7 legge n. 1213 del ,1965). 

� Ora i films del genere " sexy " non hanno affatto bisogno di incentivi, incoraggiamenti, 
agevolazioni o provvidenze; il loro dilagare dimostra in modo 
evidente che, pur essendo diretti ad una particolare categoria di spettatori (di 
chi sia in morbose condizioni psico-fisiche) detti film sono in grado di assicurare 
lauti guadagni a coloro che li producono e ne fanno commercio. Attribuendosi 
ulteriori benefici economici, a carico dell'Erario, si viene a travisare lo spirito 
delle norme vigenti in materia e a tradirne le finalit�. Si attua, in altri termini, 
un vero e proprio sperpero del pubblico denaro; e il Ministero del turismo 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 761 

1214/34, che � quelJa di impedire iJl sorgere e il perfezionarsi di obbligazioni 
pe>euniarie, a carico dello Stato, senza il preventivo controllo della 
Corte medesima ~si vedano, in proposito, le preciisazioni fornite dal Di� 
rettore dell'Ufficio di controllo con nota n. 215 del 13 luglio 1981). 

D'altronde, quand'anche potesse ammettersi che i primi decreti del 
Ministero non abbisognavano di riscontro contabiJle, non muterebbero 
sostanzia:lmente i veri termini del problema, perch� le ragioni addotte 
dalla Corte dei conti per rifiutare il visto a quei dec�reti resterebbero valide 
per il successivo contirollo sull'atto di liquidazione ed erogazione della 
spesa, e gli appellanti non potrebbero comunque ottenere il pagamento 
delle somme richieste. 

Tutto si riduce a stabilire, quindi, se sia legittimo il rifiuto di registrazione 
-debba esso riferirsi alfordirrle di pagamento o a1l'atto presupposto 
di questo, cio� al titolo giuridiico del debito dell'Amministrazione 
-, e il rifiuto, per quanto innanzi si � detto, � giustificato appunto 
dall'originaria ilJegittimit� del provvedimento ammissivo del film ailila 
programmazione obbligatoria. 

Non pertinente appare, in proposito, l'ulteriore argomento difeillsivo 
-anch'esso mutuato dalla sentenza del Tribunale civile di Roma, favorevole 
alla tesi degli appeUainti -secoilJdo cui il rifiuto di adeIIlipimento, 
motivato con il richiamo al giudicato �penale, determinerebbe situazioni 
di iniqua disparit� di trattamento nei confronti di coloro -produttori, 
registi, esercenti di sale cinematografiche -che �avesisero gi� ottenuto 
le esenzioni erariali o il pagamento dei contributi di incentivazione al 
momento, in ipotesi successivo, del formarsi del giudicato penale di 
osceno. 

e dello spettacolo deve rigorosamente evitarlo con tutti i mezzi che l'ordinamento 
pone a sua disposizione, ecc. �. 

Ma vi � di pi�: il contributo costituisce una (parte del) vantaggio economico 
che discende dalla avvenuta proiezione in pubblico dello spettacolo osceno 
cos� ritenuto per giudicato penale; costituisce, cio�, il profitto che si collega 
alla avvenuta consumazione del reato sin dal primo momento, sin dalla prima 
proiezione, sin dal primo incasso; e, come profitto, ne andava ordinata la confisca 
ai sensi dell'art. 240 cod. pen. Era il giudice penale, cio�, che in sede di 
condanna (a prescindere, dall'intervento del giudice civile o del giudice amministrativo) 
ne poteva ordinare la confisca, come prodotto o come profitto. E se 
non lo ha fatto, � sempre il giudice (penale) dell'esecuzione che vi pu� provvedere, 
ai sensi dell'art. 655 cod. proc. pen. 

Non si vede quindi come, in sede giudiziaria, se ne possa, ora, pretendere 
il pagamento. Il quale va, comunque, negato, al fine di impedire che il reato 
venga portato ad ulteriori conseguenze (art. 219 cod. proc. pen.). Il che � quanto 
dire che il contributo se fosse stato gi� concesso, doveva essere confiscato; 
e se fosse corrisposto ora, sono gli organi della polizia giudiziaria che devono 
intervenire per impedirne il pagamento. 

UGO GARGIULO 



762 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Posto che, come sopra detto, il giudizio penale � rivela � soltanto la 
incompiutezza del precedente parere dell'&gano tecnico-amministrativo, 
e perci� fa venir meno un indispensabile presupposto del provvedimento 
di ammissione del film alla programmazione obbligatoria, il limite all'esercizio 
del potere di annullamento dell'aitto illegittimo, da parte deHa 
Amministrazione, discende in questo caso da una situazione di fatto, il 
cui carattere di causalit� e di accidentalit� non pu� certo interferire con 
l'esattezza dei princip� giuridici che vengono in rilievo nella fattispecie 
in esame. 

In altri termini, nel caso che l'obbligazione pecuniaria fosse <Stata gi� 
adempiuta con l'emissione del relativo ordine di pagamento, � .appunto 
dall'esaurirsi dell'intera fattispecie procedimentale che scaturirebbe il 
consolidamento della situazione soggettiva del privato, a giustificare il sacrificio 
della quale non sarebbe pi� sufficiente, per l'Amministrazione, 
invocare l'interesse pubblico al ripris.tino della legalit� vioiata. 

Tutt'affatto divel1Sa, per� deve essere la conclusione quando, come 
nel caso di specie, � la stessa legittimit� dell'aidempimento a venire in 
discussione, perch� nel:l'ipotesi fatta � per l'appunto il privato a dover pretendere 
l'atto conclusivo di un procedimento amministrativo di cui sia gi� 
venuto meno, in quel momento, il fondamento giuridico. 

La diversit� di trattamento, quindi, non � n� irrazionale n� iniqua, 
perch� non dipende da un atto arbitrario dell'Amministrazione o da lacune 
e contraddizioni del sistema, sibbene � correlata a diverse situazioni di 
:l�atto, che sfuggono al controllo del diritto proprio perch� appartengono 
alla sfera dell'imponderabile casualit� delle vicende umane. 

Discende da tutto quanto sopra detto che � infondata anche la censura 
di eccesso di p9tere mossa, sotto molteplici profili, all'impugnato 
decreto ministeriale 4 aprile 1979, sicch� gli appelli devono essere respinti 
in toto; conseguentemente, deve essere confermata la sentenza appellata 
previa integrazione della parte motiva nei sensi sopra precisati. (omissis) 

: 

: 


SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 novembre 1980 n. 6027 -Pres. Granata 
-Est. Corda -P. M. Minet1:i (conf.) Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Angelini Rota) c. Villani. 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Appello -Notifica � Omis� 
sione . Nullit� . Notifica dell'avviso di fissazione di udienza � Compa� 
rizione dell'appellato � Sanatoria � Esclusione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 22). 
La omessa notifica dell.'atto d'appello, che viola il princzpto del contraddittorio 
produce la nullit� della decisione. La nullit� non � sanata n� 
dalla successiva notifica dell'avviso di fissazione di udienza n� dalla 
comparizione dell'appellato che dichiari di non accettare il contraddittorio 
(1). 

(omissis) Col primo motivo di censura, la ricorrente Amministrazione 
finanziaria denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione 
e falsa applicazione dell'art. 22 secondo e quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 
1972 n. 636, in relazione all'art. 156, primo comma, c.rp.c. 

Dopo avere premesso che la notifica dell'atto di arppelJo incombe 
non gi� all'appellante, beDJS� alla Segreteria della commi:s.sione di secondo 

(1) � indubbiamente esatta l'affermazione che la violazione del princ1p10 
del contraddittorio, che � radicale nel caso di omessa notifica dell'impugnazione, 
d� luogo a nullit� del procedimento e della decisione che lo conclude. Ci� si 
desume non soltanto da princ�pi generali, ma anche dagli artt. 24 e 29. Era anzi 
in base a queste norme che la situazione processuale poteva essere risolta. 
Per vero queste norme prevedono soltanto la rimessione alla Commissione di 
primo grado ove in questa fase il contraddittorio non si sia costituito; ma � 
chiaro che l'art. 29 capov., che si preoccupa di evidenziare l'eccezionalit� della 
rimessione dal terzo al primo grado, non esclude di certo che debba essere 
disposta la . rimessione al secondo grado ove in quella fase del procedimento 
non si sia costituito il contraddittorio. Questo non � soltanto un vizio del procedimento; 
� uno di quei vizi radicali che impongono la rinnovazione di una 
fase del processo (art. 354 cod. proc. civ.) anche quando il giudice della impugnazione 
abbia competenza di merito. Infatti la Commissione centrale mentre 
nelle questioni diverse dalla valutazione estimativa, decide in merito con una 
pronunzia che si sostituisce a quella impugnata e che assorbe eventuali vizi del 
procedimento, deve rimettere le parti al grado inferiore quando rilevi che il 
contraddittorio non si � costituito. E si deve anche ritenere che tale rimessione 

764 l1\$$EGNA DELL1AVVOCATURA DELLO $TAt0 

grado, sostiene che la �relativa omissione � non pu� essere considerata 
come una nullit� assoluta e insanabile, a ci� ostando il principio generale 
posto dal primo comma dell'art. 156 c.p.c. �. Si tratterebbe, pur sempre, 
di un'omessa formalit� �che si riverbera nel processo�; in relazione 
ad essa, per�, �non � prevista una sanzione di nullit��. 

La censura � infondata. 

Secondo una regola generale che non ;necessita, qui, di specifica �dimostrazione, 
la mancata notifica, alla controparte, dell'atto di impugnazione 
determina la nullit� del processo che, eventualmente, sia stato instaurato 
senza il rispetto del principio del contraddittorio. Ed �, chiarramente, a 
tale regola che si � richiamata la Commissione tributaria centrale, allorch� 
ha dichiarato la nullit� della decisione de1la Commissione di secondo 
grado, dopo 'avere rilevato che la pronuncia di merito era stata adottata 
quantunque fosse gi� risultato (per l'eccezione sollevata dall'appellato, 
comparso in giudizio solo per quel fine) che la Segreteria della Commissione 
predetta aveva omesso la notifica, al contribuente, deU'appello proposto 
dall'Ufficio. 

Ora, la ricorrente, che certo non ignora tali principi, afferma tuttavia 
che la nullit� in parola non si sarebbe verificata, poich� all'appellato fu 

la Commissione (�quando la Commissione rileva ... �) debba pronunziare d'ufficio. 
Naturalmente, poich� spetta sempre alla segreteria provvedere alle notificazioni, 
nessuna preclusione pu� verificarsi per nessuna delle parti. 

Assai approfondita � la disamina della possibilit� di sanatoria dell'omessa 
notificazione dell'atto introduttivo (il problema si pone allo stesso modo per 
il primo ed il secondo grado). Si deve convenire che la notifica (rectius: � comunicazione
�) dell'avviso di fissazione di udienza non pu� essere equivalente alla 
notifica del ricorso. Pi� complesso � il problema della comparizione. Se � esatto 
che la costituzione con salvezza dei diritti quesiti � possibile, � anche vero 
come pure � stato osservato, che nel processo tributario non esistono diritti 
quesiti e non esistono le decadenze. Anche l'appello incidentale pu� essere 
proposto ancora all'udienza perch� se � esatto che il termine di 60 giorni 
dell'art 22 � perentorio � pure da precisare che questo termine decorre soltanto 
dalla notifica dell'appello principale. 

In sostanza ove, come nella specie, l'appellato che non abbia ricevuto la 
notifica dell'appello si presenti all'udienza e dichiari di non voler accettare il 
contraddittorio, la Commissione, alla quale spetta l'impulso del processo, dovrebbe 
fare quanto necessario per rimettere l'appellato nella condizione di esercitare 
tutti i suoi diritti (appello incidentale, produzione di documenti e di memorie); 
il procedimento malamente impostato deve comunque essere sanato nelle 
sue deficienze e deciso nel merito e mai risolversi con una pronunzia di rito. 

Ove la Commissione non abbia fatto nulla di tutto questo si p0tr� sempre 
valutare se l'appellato abbia sanato il vizio trovandosi nella condizione di poter 
esercitare in concreto la sua difesa. Non si poteva allora dare peso all'impossibilit� 
di proporre un appello incidenta1e sicuramente inammissibile. Resta 
comunque il grave vizio della non tempestiva conoscenza dell'appello che dava 
luogo. quanto meno, alle necessit� di un rinvio dell'udienza, argomentando 
dall'ultimo comma dell'art. 19. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(successivamente) notificato l'avviso di fissazione dell'udienza. Ma un tale 
assunto � chiaramente infondato. 

La notifica dell'atto di appello, infatti, � atto formale che non ammette 
equipollenti: se fosse vero, infatti, quanto affermato dalla ricorrente, 
nel processo tributario sarebbe sempre inutile la notifica dell'atto 
predetto (che, invece, � specificamente imposta dalla legge), poich� all'appellato 
deve, in ogni caso, essere comunicato l'avviso di fissazione 
dell'udienza. Srurebbe, cio�, inutile la norma che impone la detta notificazione; 
ma che una siffatta impostazione non possa essere accettata, lo 
si deduce, in primis, dal fatto che la norma predetta � stata, dal legislatore, 
dettata in attuazione del principio del contraddittorio, sulla cui 
rilevanza, anche a Jivello costituzionale, non � neppure il caso di diffondersi. 


B certo, comunque, che la notificazione dell'atto di appello � intesa a 
consentire all'appellato l'esercizio pi� pieno del diritto di difesa, sia 
perch� � il solo atto del processo tributario che legittima la proposizione, 
entro sessanta giorni, dell'eventuale appehlo incidentale (art. 22 quarto 
comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636), sia perch� al suo compimento 
� rico.lllegata la concessione �di un ampio termine (1J1on inferiore a sessanta 
giorni) per l'approntamento delle difese, sia, infine, perch� agevola la 
esplicazione del predetto diritto di difesa, portando direttamente a conoscenza 
della parte appellata l'intero contenuto dei motivi del proposto 
gravame che, in senso contrario, l'appellato potrebbe conoscere so�o 
attraverso run pi� difficiile esame compiuto presso la segreteria deiHa 
commissione. Ed � intuitivo che, qualora la norma potesse essere interpretata 
nel senso voluto dall'Amministrazione ricoru-ente, ne deriverebbe, 
quantomeno, una menomazione del diritto di difesa, con evidente violazione 
dei principi sanciti dall'art. 24 della Costituzione. 

Privo �di pregio � anche l'a11gomento secondo cui la nullit� non potrebbe 
verificarsi perch� Ja omissione de1la notifica �, nella fattispecie in 
esame, da attribuire al giudice e non alla parte. Il principio, infotti, che 
nelle nullit� degli atti processuali potrebbe incorrere solo la parte, e non 
anche il giudice, � del tutto estraneo all'Ordinamento. Se mai, meriterebbe 
di essere chianito ohe daill'annullamento senza rinvio, pronunciato dalla 
Commissrone Tributaria Centrale nei confronti della decisione di secondo 
grado, l'appellante (l'Amministrazione Finanziaria) non pu� ritrarre sostanziale 
pregiudizio, poich� ta!le annullamento non chiude l'intero procedimento, 
ma riporta quest'uJtimo alla fase iniziale dell'appello, cio� ail momento 

del deposito del relativo atto dinanzi alla Commissione di secondo grado, 
cui incomber� sempre di procedere alla notifica dell'atto, per la quale la 
legge non ha stabilito alcun termine. La Commissione Tributaria Centrale, 
invero, ha adoperato la formula dell'annullamento senza rinvio, evidentemente 
perch�, interpretando le norme contenute negli articoli 24 e 29 del 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

decreto citato, ha ritenuto che l'ipotesi della mancata instaurazione del 
contraddittorio in grado di appello non rientra in alcuna di quelle per le 
quali � previsto l'annuihl.amento con rinvio. E rpoioh� sull'adozione di tale 
formula dispositiva non � stato proposto alcun motivo di ricorso, non compete 
a questa Corte Suprema di verificarne J.a conformit� alla legge: ma 
ogni eventuale pregiudizio per l'appellante -giova ripeterlo -� ovviabile 
mediante una semplice sollecitazione, alla Segreteria deiLla Commissione di 
secondo grado, per l'effettuazione della notifica. 

Col secondo motivo, Ja ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 
cod. proc. civ., la violazione e falsa arpplicazione degli amticoli 22 e 33 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636. 
Sostiene che lo stesso scopo cui tende la notifica dell'atto di appello 
� raggiunto dalla comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza di 
discussione, poich� la stessa consente alfa parte appellata � non solo di 
venire a conoscenza dell'appello, ma anche e soprattutto di poter compiere 
tutte le attivit� processuali che avrebbe potuto compiere se la Segreteria 
avesse a suo tempo notificato la copia dell'atto di impugnazione�. 
Aggiunge che, in tal caso, non sarebbe precluso aJla parte neppure di proporre 
l'eventuale appello incidentaile (eventualit� che, nel ca:so concreto, 
sarebbe esclusa dal fatto che la parte predetta era totalmente vittoriosa 
in primo grado), �poich� l'art. 22, quarto comma, del d.P.R. n. 636/72 non 
dispone che l'appello inddentaile debba venir proposto a pena di iinammissibilit� 
nei termini e modi nelle stesse nonne indicati, sembra fogico 
e possibile ritenere che lo stesso possa essere proposto secondo i principi 
generali anche nel primo atto defensionale, cio� nella memoria da depositare 
nel termine di cui al terzo comma dell'art. 19 �. Conclude, perci�, 
asserendo ohe la Commissione TributaTia Centraile avrebbe er.rato nel 
non ritenere ,che se anche vi fosse stata la � nullit� �, la stessa sarebbe 
rimasta sanata � in conseguenza del fatto che l'atto aveva raggiunto il 
suo scopo e nessuna preclusione processuale si era verificata a danno dell'appellato 
�. 

Anche questa censura � infondata. 

Come gi� si � osservato esaminando il primo motivo di ricorso, la 
mancata notifica dell'atto di impugnazione determina la nuhlit� del proce. 
dimento. Quest'ultima, tuttavia, pu� essere sanata dalla costituzione del 
convenuto, sempre che (avendo tale sanatoria efficacia ex nunc) non si sia 
nel frattempo verificata la decadenza dall'impu~azione, per essere, al 
momento della costituzione in giudizio, gi� scaduto il termine per la proposizione 
del gravame (cfr. la sentenza 25 giugno 1979 n. 3527). Situazione, 
quest'ultima, che peraltro non pu� verificarsi con riferimento al processo. 
tributario, giacch� il termine per l'impugnazione � solo previsto per la 
presentazione dell'atto di appello (60 giorni): la notificazione, infatti, deve . 
essere fatta a cura della Segreteria della Commissione di secondo grado. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

e, in relazione ad essa, non � stabilito alcun termine (art. 22 quarto comma, 
del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636). 

Nel caso di specie, pertanto, il solo problema consiste nello stabilire 
se tale sanatoria si verifichi nell'ipotesi in cui il convenuto si sia costituito 
non gi� per accettare il CO!lltraddiittorio, bens�, unicamente, per eccepire 
la nullit� in questione: e ci� perch�, nel caso ooncreto (secondo quanto 
risulta dalla stessa decisione impugnata) la comparizione dell'appellato 
davanti ai1la Commissione di sec~ndo grado avvenne per quell'unico fine. 

Ora, secondo una regola variamente espressa, l'efficacia sanante della 
costituzione del convenuto si verifica anche nell'ipotesi in cui la costituzione 
stessa sia avvenuta solo per far rilevare l'irregolarit�. Se, infatti, 
la sanatoria si verifica come conseguenza del � raggiungimento dello scopo 
dell'atto� e se uno degli scopi (queMo che interessa) della vacatio in ius 
� quello di consentire al CO!llvenuto l'esplicazione delle proprie difese, non 
v'� dubbio che il raggiungimento di tale scopo non possa ritenersi escluso 
per il solo fatto che il convenuto abbia volontariamente rinunciato alla 
esplicazione delle difese predette e si sia limitato a eccepire l'irregolarit�. 

Questa regola, per�, non pu� trovare appHcazione nel caso del processo 
tributario di cui si discute, proprio perch� fa semplice comunicazione 
dell'avviso di fissazione dell'udienza, che ha determinato la costituzione 
del convenuto (cui non era stato notifioato l'atto di aippe11o), � atto processuale 
che ha uno scopo minore rispetto a quello che � t1pico dell'atto di 
impugnazione nel suo complesso. CO!ll la sola comunicazione dell'avviso 
di fissazione dell'udienza, infatti, non si persegue per intero lo scopo di 
porre il convenuto nella condizione di esplicare compiutamente ile proprie 
difese; e se, a seguito della costituzione del convenuto predetto, viene raggiunto 
solo questo scopo limitato, 1a sanatoria non si sar� verificata, pr0: 
prio perch� non potr� mai affermarsi che l'atto di impugnazione ha conseguito 
per intero il suo scopo. 

Va, invero, chiarito che lo scopo pu� ritenersi l'aggiunto solo se, nella 
serie del procedimento, si sia avverato 1l'evento (successivo) cui l'atto 
� preordinatoi e tale raggiungimento, com'� ormai pacifico, non pu� essere 
ravvisato nel prodursi dell'evento fisico che l'atto (inva!lidamente realizzato) 
� inteso a provocare come �acquisizione del risultato oggettivo nel 
quale risiede il fine del precetto �, bens� in quel comportamento della 
parte che rappresenta l'attuazione dell'obbligo, o l'adempimento deill'onere, 

o l'esercizio del potere, la cui costituzione era prevista quale effetto dell'atto 
viziato. Il fatto realizzato -come � stato osservato in dottrina in 
tanto costituisce �raggiungimento dello scopo�, in quanto � suscettibile 
di valutazione normativa come comportamento appartenente alla serie 
preordinato del procedimento. Il fenomeno, cio�, non � dato dal combinarsi 
dell'atto invalido come un �fatto ulteriore� destinato a comporre 
col primo una diversa fattispecie, prevista in rapporto di sussidiariet� 

768 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rispetto alla fattispecie legale tipica: una simile c01IJ.f�gurazione, infatti, 
sarebbe forse accettabile sul piano sostanziaile, ma sicuramente non rispon� 
de alle caratteristiche del procedimento, nel quale Ja pretesa fattispecie 
�sussidi.aria� � data, puramente e semplicemente, daH'ulteriore compor� 
tamento dei soggetti, cui spetta a far progredire il processo verso la sua 
meta finale. 

Su11a base di queste enunciaziO!Ili, com'� noto, la dottrina ha acuta� 
mente osservato che la sanatoria per raggiungimento de1lo scopo -proprio 
perch� opera attraverso i�l comportamento della parte (cui spetterebbe 
di opporre J'eocezione di nullit�) e come ostacolo alla pronuncia di 
nullit� -si risolve in una forma di acquiescenza. Essa, perci�, non trova 
luogo laddove la nullit� sia rilevabile di ufficio, e se tale conclusione 
potrebbe apparire invalida in relazione al processo penale (nell'ambito 
del quale si �, da taluno, ritenuto che anche le nullit� assolute siano suscettibili 
di sanatoria per raggiungimento dello scopo), essa trova, invece, 
sicura conferma nel disposto dell'art. 164, secondo comma, cod. proc. civ., 
il quale palesemente si contrappone al disposto dehl'art. 188, secondo 
comma, cod. proc. pen. Infatti, mentre quest'ultima norma riconosce alla 
parte, la quale dichiari che la sua comparizione � determilil.ata dal solo 
intento di far rilevare l'irregolarit�, soltanto il diritto a un termine per 
la difesa, la costituzione del convenuto, nel processo civile, fascia sopravvivere 
fa nullit� della citazione, allorquando il convenuto medesimo faccia 
v:alere un �diritto anteriormente quesito � (ed � questa, com'� chiaro, 
un'ipotesi in cui la nuillit� deve essere rilevata di ufficio). � stato, invero, 
a tal proposito rilevato che oggetto dell'eccezione necessaria del convenuto 
� non tanto fil �rilievo dehla sussistenza di �uno dei vizi della citazione, 
quanto la deduzione della salvezza dei diritti quesiti. 

Ora, nel caso di specie, si � in presenza di una situazione sostanzialmen 
analoga a quest'ultima, poich� se anche l'eccezione deil convenuto 
non mirava a � far �salvo � un diritto quesito, tendeva tuttavia a far rilevare 
la preclusione, nell'ambito del processo, dell'esercizio di un diritto. 

L'art. 22, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 dispone che, 
dopo la notifica dell'appello (a cura deMa segreteria della commissione), fa 
parte appellata pu� entro sessanta giorni, proporre l'appe1lo incidentale. 
Nel comma suocessivo, poi, dispone che, trascorso tale termine, la �segreteria 
trasmette alla commissione di secondo grado l'atto di appello e l'eventuale 
appello inddentale. Successivamente (ai sensi del combinato disposto 
degli articoli 23 e 19) viene fissata l'udienza e, �almeno trenta giorni 
prima �, viene comunicato alle parti �l'avviso di fissazione. 

� chiaro, pertanto, che nel caso di specie la mancata notifica dell'atto 
di appello aveva precluso la possibilit� della proposizione dell'appehlo incidentale 
(n� rilevava -dovendosi, qui, enunciare una regola generale 
e astratta che, in concreto, H contribuente volesse o potesse proporlo); 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 769 

ed � ovvio, perci�, che la costituzione del convenuto, resa possibile dalla 
comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza, proprio perch� permetteva 
(in astratto) l'esplicazione delle sole difese possibili nclla seconda 
fase del processo (deposito di memorie e documenti), non realizzava affatto 
quella fattispecie �che � tipica del � raggiungimento dehlo scopo dell'atto '" 
del quale si � detto. Tale raggiungimento, infatti, non potendo essere ravvisato 
nel fatto fisico della presenza del convenuto, dovrebbe, invece, essere 
ravvisato in un � comportamento � dehla parte che concretizzi il pierib 
esercizio del potere di difesa. Ci�, invero, rappresenta lo scopo tipico 

o peculiare deJJa predetta vacatio in ius; ed �, perci�, inevitabile la �Conclusione 
ohe se un taile �comportamento� � Teso impossibile, in quanto 
la costituzione del .convenuto avviene in una fase processuale in oui � 
ormai preclusa l'esplicazione delle �difese� tipiche della fase processualle 
precedente, lo �scopo dell'atto>>, non potr� mai dirsi realizzato. 
A ci�, naturalmente, consegue che nessuna sanatoria potr� ritenersi .realizzata. 
La inevitabiilit� di tale conclusione, peraltro, non � sfuggiita all'abile 
difesa dell'amministrazione, la qu�le, per�, tenta l'aggiramento dell'ostacolo 
assumendo che la (eventuale) proposizione dell'appello incidentale 
sarebbe possibile anche dopo la comunicazione dell'avviso di fissazione 
dell'udienza. Un siffatto assunto �, per�, destituito di ogni fondamento, 
essenqo dalla fogge (art. 22, quarto comma, citato) previsto, per tale proposizione, 
un .termine la cui perentoriet� non sembra ammettere discussioni 
di sorta. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 novembre 1980 n. 6164 -Pres. Marchetti 
-Est. Cantillo -P. M. Antoci (conf.) -Ministero dehle Finanze 
(avv. Stato Rossi) c. Perchimunno (avv. Micheli). 

Tributi erariali diretti � Imposta sui r:edcllti di ricchezza mobile � Redditi 
di lavoro autonomo � Redditi prodotti anteriormente al 1 � gennaio 
1974 e percepiti successivamente � Ritenuta alfa fonte � Diritto al 
rimborso. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 17, 81 e 115; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, 
artt. 9, 50, 83). 
Nel sistema del t.u. delle imposte dirette i redditi di lavoro autonomo 
soggetti all'imposta di ricchezza mobile erano tassati in base al principio 
di competenza, anche nei casi in cui erano soggetti a ritenuta alla fonte; 
di conseguenza rispetto ai redditi prodotti anteriormente all'entrata in 
vigore del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 (che ha invece introdotto per 
l'IRPEF i principi della tassazione per Cassa) e percepiti successiva




770 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mente le somme versate a seguito di ritenuta alla fonte vanno rimborsate 
ove l'esercizio al quale i redditi si riferiscono per ragione di competenza 
sia stato definito per condono (1). 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso -denunciando la violazione 
degli artt. 115 e 128 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, 3 1. 28 ottobre 1970 n. 801, 
83 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, 25 e 26 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, 
nonoh� vizi della motivazione -l'Amministrazione critica la decisione 
della Commissione tributaria centrale nella parte in cui ha ritenuto applicabile 
alla concreta vicenda:, in base all'art. 83 cit., il regime fiscale precedente 
alla riforma, nel convincimento che i redditi professionali fossero 
tassabili, nella normativa abrogata, con riferimento al periodo d'imposta 
in cui era stata esewuita la prestazione. Sostiene che, per i redditi 
di tale ~tura soggetti a ritenuta d'acconto, il presupposto del tributo 
venisse ad esistenza, invece, aJ. tempo della percezione, quando, do�, si 
operava la trattenuta, ~a quale, in caso contrario, avrebbe co1pito -ad. 
avviso della ricorrente -un reddito gi� tassato, e che perci�, non operando 
ne,! caso in esame il secondo comma di detta norma .transitoria; 
la Commissione avrebbe dovuto ritenere legittima la ritenut� effettuata 
secondo la nuova normativa e conseguenzialmente negare il diritto al 
rimborso dell'imposta, stante altres� l'irrilevanza deLla circostanza che 
il Perchin�.mno si fosse avvalso del condono di cui alla legge n. 823 del 
1973, riflettente soltanto i vecchi tributi. 

La censura � infondata. 

Giova chiarire che Ja controversia -insorta in conseguenza della 
ritenuta di L. 4.225.000 effettuata dal Comune di Lesina, in forza dell'art. 
25 del d.P.R. n. 600 del 1973, a titolo di acconto IRPEF sulla somma 
di L. 32.500.000 corrisposta all'avv. Perchinunno nel 1975, a saldo di presta" 
zioni professionali svolte in anni precedenti al 1973 -atti�ne all'indivi� 
duazione del tributo applicabile a tale reddito, occorrendo stabilire se 
esso, prodotto prima della riforma fiscale, ma percepito dopo l'entrata 
in vigore de1la stessa, sia soggetto alla nuova imposta personale ed alle 
relative procedure applicative, secondo la tesi qui riproposta dall'Ammi� 
nistrazione finanziaria, ovvero al soppresso tributo mobiliare, cos� come 
affermato da1le commissioni tributarie, che hanno perci� dichiarato illegittima 
la ritenuta e riconosciuto il diritto del contribuente al rimborso 

(1) L'affermazione che l'obbligo di ritenuta � solo strumentale e indipen� 
dente dall'obbligazione tributaria � certamente esatta. Oggi una riconferma 
di tale distinzione si ricava dal confronto degli artt. 37 e 38 del d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 602 riferiti l'uno alla inesistenza dell'obbligazione tributaria, l'altro 
all'inesistenza dell'obbligo di versamento. 
Meno facile � tuttavia l'affermazione che sotto il vigore del t.u. del 1978 
lo stesso principio potesse essere applicato con tutto rigore. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

negando l'esistenza stessa dell'obbligazione tributaria, per avere egli definito, 
mediante condono, il. carico tributario afferente ai redditi degli anni 
precedenti al 1974. 

La ricorrente concorda sulla premessa -dalla quale correttamente 
muove la decisione impugnata_,...... che il problema di diritto intertemporaJe 
ora enunciato debba essere risolto alfa stregua della disciplina transitoria 
dettata dall'art. 83 del d.P.R. n. 597 del 1973 per i rapporti tributari sorti 
prima dehla sua entrata in vigore. 

La norma, dopo di avere fissato, nel primo comma, ila regola che i 
vecchi tributi continuano ad applicarsi in relazione ai presupposti di 
imposizione verificatisi in pa:-ecedenza (anteri011mente al 1� gennaio 1974), 
con il secondo comma stabilisce che lo stesso principio vige anche per i 
redditi percepiti dopo li.I 31 dicembre 1973 I�a1 base �ad un ddritto s0I1to entro 
questa data, sempre ohe debbano :imputarsi, secondo la disciplina anteriore, 
al periodo di imposta di insorgenza del diritto medesimo, a nulla rilevando, 
in tal caso, che per la legge IRPEF dovrebbero imputarsi ail periodo 
in cui sono stati effettivamente p�rcepiti. 

In sostanza, la seconda parte de1la disposizione conferma l'u1tratti


vit� de1la pregressa normativa per tutti i fatti imponibili venuti ad esisten


za .nel vigore della medesima, anche quando iil re9JC1ito relativo venga 

percepito in tempo �successivo, e conseguenzialmente attribuisce a tale cir


costanza autonomo rilievo giuridico nell'ambito della disciplina sopravve


nuta, assoggettando il cespite.alla nuova imposta solo se gi� in base alla 

vecchia legge la tassazione dovesse essere fatta con dguardo al periodo 

di imposta in cui � avvenuta la percezione, cio�, in ;pratica, a condizione 

che quest'ultima, e non la mera . produzione de1 reddito, rosti1:1U!isca pre


supposto dell'imposizione tanto per �l nuovo quanto per il vecchio 1tributo. 

Applicando questa regola alla concreta vicen�la, va anzitutto rilevato 

che. ai fini dell'IRPEF i credditi di lavoro autonomo, qui:i.l � queHo in que


stione, vanno 1sempre imputati aJ periodo d'imposta in cui sono p.erce� 

piti. L'art. 50 del d.P.R. n. 597 del 1973, infatti, in coerenza con il c.d. 

principio della tassazione per cassa, accolto in via <generale dall'art. 9 

(secondo cui nella determinazione dei redditi e delle perdite non si tien 

conto dei crediti esigibili non ancora riscossi e dei debiti scaduti non 

pagati), testualmente dispone che �il reddito derivante dall'esercizio di 

arti e professioni � costituito dalla differenza tra i compensi percepiti nel 

periodo d'imposta e Je spese inerenti all'esercizio dclil'arte o professione 

effettivamente sostenute nel periodo medesimo �. 

Non � seriamente contestabile, poi, che nel sistema dell'abrogata impo


sta �di r.m. vigesse, all'opposto, il cid. principio della competenza, secondo 

il quale i redditi vengono tassati nel periodo in cui sono prodotti e sorge 

il diritto di percepirli. Come altre volte ha avvertito questa Corte, ci� 

risulta chiaramente, fra l'altro, dagli artt. 17 e 81 del t.u. n. 645 del 1958, 

che individuano il presupposto del tributo ndla �produzione di un red



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

dito netto� e ricollegano l'obbligazione tributaria al momento in cui 
viene ad esistenza il cespite produttore del reddito medesimo, mentre 
l'effettiva 'Sua percezione � circostanza estranea ailla fattispecie impositiva 
(cfr. sent. n. 2874 del 1974). Questo criterio si trova espressamente confermato, 
per� i redditi derivanti dall'esercizio di arti e professioni, nell'art. 115, 
secondo il quale il reddito � �costituito dall'ammontare dei compensi 
delle attivit� svolte nell'anno dal soggetto�, detratte le spese relative, 
sicch� i ricavi e i costi debbono essere imputati all'anno di effettuazione 
delle prestazioni, indipendentemente dalle effettive entrate e uscite. 

L'esattezza di questa conclusione -che, secondo la normativa transitoria 
vale ad attrarre il rapporto in esame nell'orbita del vecchio tributo 
mobiliare -viene negata dall'amministrazione non gi� in assoluto, ma 
limitatam~nte ai :redditi professionali soggetti, come quello de quo, a ritenuta 
alla fonte, :relativi, cio�, a prestazioni a favore di enti pubblici o privati 
e di imprenditori commerciali, i quali, ai s�nsi del secondo comma 
dell'art. 128 del t.u. n. 645 del 1958, introdotto con l. 28 ottobre 1970 n. 801, 
erano obbligati ad operare, su due terzi delle somme corrisposte per tali 
prestazioni, una ritenuta dell'8% � a titolo di acconto dell'imposta dovuta 
dal soggetto percipiente �. 

A parere della 'l"icorrente, la ritenuta d'acconto .sarebbe un istitJuto 
proprio ed esclusivo dei tributi che assumono a presupposto dell'imposizione 
l'effettiva percezione del reddito, strutturati secondo fil criterio della 
� cassa � e non della � competenza �, non potendosi ammettere l'adempimento 
anticipato di un'obbligazione tributaria che, per essere relazionata 
al fatto generatore del reddito, al momento del prelievo � in acconto � 
non solo � gi� sorta, ma potrebbe essere stata anche adempiuta, sicch� 
si verificherebbe un'evidente duplicazione. La cit. [egge n. 801 del 1970, 
quindi, nelJ'assoggettare a ritenuta i redditi professionali di cui sopra, 
avrebbe implicitamente, ma necessariamente, modificato, rispetto ad essi, 
il presupposto del!l'imposizione, spostandolo dal momento deJl.a produzione 
a quello della percezione, con conseguenziale abrogazione in parte qua dell'art. 
115, ad onta dell'assolutezza della sua portata .letterale, ascrivibi'le 
a difetto di coordinamento. 

La fragilit� della tesi si avverte, per�, sul piano normativo, gi� ai1la 
stregua di quest'ultimo rilievo, appena si consideri che il sistema della ritenuta 
d'acconto -per la P_!:ima volta adottato, ai fini del tributo mobiliare, 
con la l. 5 gennaio 1956 n. 1 -era previsto, sia pure per una ristretta 
categoria di redditi di lavoro autonomo (prodotti da stranieri o da residenti 
all'estero) nel testo originario dell'art. 128 del t.u. n. 645 del 1958 
e successivamente fu esteso ai compensi dovuti dalle imprese commerciali 
per prestazioni artistiche �ed altre indicate nell'art. 1 della J. 21 aprile 
1962 n. 226, contenente una nuova formulazione dehl'art. 128) e, infine, con 
fa Jegge cit. del 1970, ai compensi pagati dai soggetti sopra indicati per 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

le prestazioni d'opera profes1sionaile. In questo quadro legislativo, infatti, 
il discorso sull'asserita incompatibiiit� con il criterio de1la competenza 
non pu� essere circoscritto ai redditi professionali, ma deve investire, 
ovviamente, gli altri redditi soggetti a ritenuta, ugualmente tassati in rnlazione 
ail momento della produzione; e in questa pi� ampia prospettiva non 
solo riesce arduo far carico al legislatore di un difetto di coordinamento 
reiterato e di cos� vasto rilievo, ma fa tesi dell'incompatibilit� risulta compromessa 
in radice, per ci� che il criterio di imposizione sancito dall'articolo 
115 e la ritenuta d'acconto coesistevano, come si � detto, nell'originaria 
disciplina del tributo. 

L'introduzione della ritenuta per i redditi professionali sicuramente 
non pu� essere interpretata, quindi, in chiave di modi~ca, ancorch� implicita, 
dei presupposti della tassazione e si inserisce, all'opposto, in un sistema 
che prevedeva queMo strumento, volto ad assicurare la riscossione del 
tributo lasciandone fe:rmo l'assetto sostanziale. 

La qual cosa si conferma considerando altres� che la ritenuta sui 
compensi professionali, secondo la legge n. 801 del 1970, non era firralizzata 
alla sola imposta di r.m., ma riguardava anche l'imposta complementare 
e i tributi locali; e lo stesso fenomeno si verificava per rultre 
ritenute, ugua!lmente funzionali ad una pluralit� di tributi articolati su 
presupposti diversi (cos�, ad es., quella stabilita con la cit. Jegge n. 226 
del 1962). 

In realt�, sfugge alla ricorrente che la ritenuta d'acconto, nel nuovo 
come nel vecchio ordinamento delle imposte sui redditi � strutturata 
come fattispecie distinta dall'obbligazione tributaria cui si riferisce e ha 
funzione strumentale rispetto al soddisfacimento della stessa, dovendosi 
annoverare fra le tecniche di accertamento (in �senso lato) e di riscossione 
del tributo (ed � oggi previsita appunto dal d.P.R. n. 600 del 1973, concernente 
la riscossione delle imposte dirette). 

Essa consiste, invero, nell'obbligo imposto a determinati soggetti, nel 
momento in cui adempiono al4i ,loro obbligazione nei confronti del contribuente, 
di trattenere una quota parte dell'impm:to oggetto del pagamento 
e di versarla a1l'ente imrpositore in conto delreventuale debito tributario 
del medesimo percipiente. Pertanto non comporta alcuna altemzione dei 
principi sostanziali dell'impos~ione, n� sotto il profilo soggettivo, perch� 
l'obbligo giuridico suddetto wava su soggetto diverso dal contribuente, 
n� sotto l'aspetto oggettivo deHa fattispecie impositiva, perch� l'operazione 
� collegata ad un presuppos�to suo proprio, vale a dire l'adempimento 
de1la prestazione di cui � creditore �il soggetto passivo del tributo, 
in presenza del quale (fatto) la ritenuta deve sempre essere effettuata, a 
prescindere dall'esistenza e dall'ammontare del debito tributario, salvo 
il diritto del contribuente al rimborso ove H tributo risulti non dovuto, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

o dovuto in misura inferiore, dal controllo effettuato nelle sedi opportune, 
secondo gli ordinari procedimenti. 
Di qui il carattere meramente strumentale dell'istituto, nel senso che 
adempie in ogni caso ad una funzione cautelare, favorendo l'accertamento 
del reddito complessivo del percipiente e garantendo l'adempimento del 
tributo, e nel senso che, ove questo sia dovuto, costituisce un mezzo di 
riscossione del medesimo. 

Ci� posto, cade anche l'argomento -sul quale particolarmente insiste 
la ricorrente -circa l'asserita incompatibilit� concettuale e giuridica 
della ritenuta di acconto con il sistema della competenza: la circostanza 
che la trattenuta sia inscindibile da11a peocezione del reddito non spiega 
alcuna influenza, per quanto era detto, sul presupposto del tributo, essendo 
irrilevante, ai fini dell'operazione de qua, che il fatto costitutivo dell'obbligazione 
tributaria si perfezioni in quel momento o si sia perfezionato 
con la produzione del reddito. 

Vero � che la tassazione a consuntivo, con il criterio c.d. della cassa, 
adottato dalla vigente disciplina IRPEF, meglio si armonizza con la.ritenuta 
alla fonte, laddove il criterio opposto, seguito per l'imposta di r.m., 
dava luogo a difficolt� applicative, soprattutto in relazione alle iscrizioni 
provvisorie nei ruoli (che rendevano .frequenti lo sgravio o il rimborso 
delle ritenute); e a queste difficolt� si riferisce, in pratica, la ricorrente, 
tuttavia traendone I'inaccettabile conseguenza di cui sopra sul sistema 
di imputazione dei redditi. 

In conclusione, correttamente la Commissione centrale ha imputato 
H reddito in questione agli anni in cui fu prodotto, ai sensi dell'art. 115 
cit., ed ha ritenuto applicabile la precedente disciplina, in forza della 
disposizione transitoria sopra ricordata. 

Il ricorso deve essere perci� respinto. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 gennaio 1981, n. 11 � Pres. La Farina � 
Est. Sandulli -P. M. SHocchi (conf.) -Banca Popolall"e di Milano (avv. 
Stella Richter) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi erariali indiretti � Imposta sull'Entrata � Diritti di riscossione 
'di titoli cambiari per conto di clienti � Banca non avente propri spor� 
telli sulla piazza � Delega a banca corrispondente � Diritto corrisposto 
dal cliente alla banca incaricata � Costituisce per intero entrata imponibile 
� Provvigione corrisposta dalla banca incaricata alla banca corrispondente 
� Altra entrata autonomamente imponibile. 

(I. 19 giugno 1940 n. 762, artt. 1, 3, 4; cod. civ. art. 1717 e 1856). 
Il diritto corrisposto dal cliente alla banca per la riscossione di titoli 
cambiari costituisce per l'intero importo entrata imponibile per la banca, 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 775 

anche se la banca incaricata non avendo propri sportelli sulla piazza debba 
delegare una banca corrispondente alla quale corrisponde una provvigione; 
detta provvigione che non costituisce spesa detraibile dall'entrata conseguita 
dalla prima banca � a sua volta un'entrata autonomamente imponibile 
per la banca corrispondente. Sono infatti realizzati due distinti rapporti 
fra loro indifferenti tra cliente e banca di fiducia a tra questa e la banca 
corrispondente e non un rapporto unico di sostituzione bancaria (1). 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso -denunciando la violazione e la 
falsa aipplicazione degli artt. 1, 3 e 4 del decreto-legge 9 gennaio 1940 n. 2, 
convertito nella legge 19 giugno 1940 n. 762, in relazione agli artt. 1856 
e 1717 cod. civ. -la banca ricorrente -premesso che una banca non possa 
assumere per s� il mandato della riscossione fuori piazza ex artt. 28 e 32 
della legge bancaria 7 marzo 1938 n. 141-si duole che sia stata riconosciuta 
la natura di entrata, con ila conseguente sottoposizione aH'I.G.E., all'intero 
importo percepito per diritti di riscossione di titoli cambiari, per �onto 
di clienti, anche nell'ipotesi in cui il servizio bancario 'di incasso sia stato 
reso dalla banca incaricata, per mancanza di propri sportelli su.Ha piazza 
desiderata, :attraverso altre banche o banche eorrispondenti. 

neduce che a questa conclusione ila sentenza impugnata sia pervenut� 
muovendo dall'erronea premessa che tale servizio dia luogo, se eseguito su 
piazze nelle quali la banca incaricata non abbia filiali, ad una duplicit� di 
rapporto (tra cliente e banca e tra banca incaricata e banca corrispondente), 
con la conseguente tassabilit� dell'intera somma corrisposta a titolo di 
comm~ssione dal cliente, per fa indetraibillit� di essa, ai fini della determinazione 
dell'entrata imponibile, dell'ammontare versato dalla banca incaricata 
aJJa sua corrispondente, dovendo questo considerarsi spesa incidente 
sul costo di produzione del servizio. 

Sostiene che, invece, si tratti di un rapporto unitario, nel quale il compenso 
sia ricevuto anche (in parte). nell'interesse e per conto della banca 
corrispondente e costituisca, per questa .parte, non spesa di produzione del 
servizio, come tale non detraibile, ma separato compenso per la distinta 
prestazione della banca sostituta, come sarebbe dimostrato da11a considerazione 
che il cliente ha azione diretta verso la banca sostituta per la ;responsabilit� 
inerente aH'esecuzione dell'incarico commessole, anche S'e non gli sia 
stata comunicata l'avvenuta sostituzione (art. 1717 e 1856 cod. civ.), e come 
sarebbe confermato dal rilievo che, essendo entrambe le banche (incaricata 
e sostituta) ten.te al pagamento dell'imposta generale sull'entrata sulla � 

(1) La elaborata motivazione merita piena adesione. � particolarmente da 
segnalare ii metodo di indagine rivolto alla diretta considerazione della norma 
tributaria piuttosto che alla remota disciplina di diritto comune. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

776 

rispettiva parte del compenso percepito, l'estensione dell'applicazione del 
tributo all'intero importo versato dal cliente allla banca da lui incaricata 
dell'incasso degli effetti darebbe luogo a duplicazione d'imposta. 

Il motivo � privo di fondamento. 

La Corte del merito -dopo avere precisato che, quando un cliente 
si rivolge ad una banca per l'incasso di effetti cambiari da eseguirsi in 
diversa localit� e la banca incaricata non abbia nel luogo desiderato dal 
cliente �na propria dipendenza, si avvale di altra banca corrispondente ivi 
operante, la somma pagata per l'operazione � comprensiva dell'importo 
versato dalla banca incaricata a1la corrispondente quale retribuzione dovutale 
per il servizio da essa espletato -ha statuito -condividendo la tesi 
dell'Amministrazione Finanziaria -che tutta la somma pagata dal cliente 
debba essere assoggettata all'imposta generale sull'entrata, anche se una 
parte di essa serva a compensare la banca �corrispondente, e, costituendo 
un autonomo movimento di denaro, debba essere tassata autonomamente, 
quale entrata verificatasi :a favore della corrispondente, a norma delfa 
legge organica sull'imposta generale sull'entrata. 

A tale statuizione Ja banca ricorrente -riproponendo la linea di difesa 
adottata in sede di merito -oppone che l'accoglimento del:la pretesa dell'amministrazione 
darebbe luogo ad una duplicazione d'imposta, in quanto 
nella fattispecie non sarebbero identificabili due distinti rapporti ma si configurerebbe 
un rapport<? unico, n:el senso che il cliente incarichi sin dall'origine 
contemporaneamente le due banche di provvedere all'incasso dei titoli 
cambiari e versi alla banca con cui direttamente tratta i compensi dovuti 
ad entrambe Je banche. 

Secondo fa costruzione deHa ricorrente, nel quadro del sistema bancario 
al fenomeno inteso a consentire, secondo il regime �contrattuale dei 
servizi bancari, l'incasso di effetti cambiari in piazza in cui la banca incaricata 
sia priva di sportelli, dovrebbe assegnarsi la veste giuridica deHa 
sostituzione bancaria (art. 1856, secondo comma, cod. civ.), costituente una 
specifica applicazione della sostituzione del mandatario (art. 1717 cod. civ.), 
onde -attuandosi, attraverso la sostituzione neH'incarico, una vera e propria 
intermediazione nella fornitura del servizio (simile, nel:la sostanza economka, 
a quella dell'agente e dello spedizioniere), richiesto daJ cliente alla 
banca sostituta (intermediaria) ne potrebbe essere imposto il pagamento 
dell'imposta generale su1l'entrata sul compenso spettante all'effettivo 
fornitore dell'unico servizio e, cio�, alla banca sostituta, incaricata 
dell'esecuzione di esso. 

Fra il cliente, la prima banca e la corrispondente -non essendo raffigurabile, 
nella realrt� economica, una duplicazione di rapporti per un 
unico servizio bancario compiuto una sola volta -si instaurerebbe un 
unico rapporto nel quale il regime della responsabilit� sarebbe impostato 
nel senso che dell'esecuzione dell'incarico sarebbe tenuta a rispondere 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 777 

esclusivamente la banca sostituta, e non anche l'ente bancario sostituito, 
ed in <:ui il cliente avrebbe ex art. 1717, quarto comma, cod. civ., azione 
diretta (per responsabilit� ne11'esecuzione del mandato) nei confronti della 
banca corrispondente (sostituita) e questa (e non la banca sostituente) 
sarebbe investita della corrispondente azione contraria (actio mandati 
contraria), non essendo concepibile che un rapporto tipicamente sinallagmatico 
<:omporti obbligazioni a carico di una sola parte. 

Conseguente implicazione di tale concezione, ai fini tributari, sarebbe 
che la banca intermediaria (sostituita dalla banca corrispondente neHa 
esecuzione dell'unico servizio di incasso degli effetti cambiari fuori piazza) 
potrebbe essere tassata sul compenso relativo alla sua opera di intermediazione 
e non su quello da essa trasmesso alla banca sostituta che ha 
compiuto il servizio. bancario. 

l'l problema di fondo proposto �, quindi, se il pagamento della soppressa 
imposta generale sull'entrata sia dovuto dalla banca incaricata dell'incasso 
di effetti cambiari fuori piazza -ohe, essendo sfornita di sportelli 
ne1le piazze desiderate, abbia affidato l'esecuzione de[ servizio ad una 
banca corcl"ispondente, versando alla stessa una parte del compenso riscosso 
-sull'intero importo della commissione corrispostale dal cliente o soltanto 
sulla differenza tra tale compenso e la parte del corrispettivo trasmessa 
a1la bmca corrispondente. 

Intimamente collegato, in funzione strumentale, alla profilata questione 
� il quesito se, nella fattispecie relativa alla prestazione da parte di 
una bmca corrispondente del servizio bancario di incasso di effetti cambiari 
su piazze in cui l'istituto bancario incaricato sia privo di sportelli, 
debba ravvisarsi un unico raipporto, configurabile come sostituzione bancaria 
(art. 1856 secondo comma, cod. civ.) o una duplicit� di rapporti 
distinti, configurabili come mandato (intercorrente fra il cliente e la prima 
banca) e submandato (intercorrente fra questa e la banca cor.rispondente). 

Ai fini di una corretta impostazione del problema di base -trattandosi 
di una questione prevalentemente fiscale -occorre prendere le mosse 
�dalla finalit� perseguita dalla legge 19 giugno 1940 n. 762, istitutiva 
(in sostituzione deMa precedente tassa di scambio) dell'imposta generale 
sull'entrata. 

Gli autori di detta legge -pur costituendo (lo scambio di beni e) 
le prestazioni di servizi l'oggetto dell'imposta sull'entrata ed il presupposto 
'(o fatto generatore) del tributo stesso -hanno posto l'accento non 
tanto (su11'atto di scambio) o sulla prestazione di servizi quanto sull'entrata 
(in denaro o oon mezzi di pagamento sostitutivi del denaro) acqui


stata in dipenrlenza (dello scambio o) de11a prestazione di servizi effettuata 
nel temtorio dello Stato (art. 1, primo comma). 



778 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Invero, con la legge n. 762 del 1940 si � inteso assoggettare a tributo 
(proporzionale) -secondo quanto � precisato neHa relazione -�tutto 
il complesso delle entrate di un individuo o di un ente, a mezzo di imposizioni 
molteplici sui vari atti economici (scambi), dai quali al detto individuo 
od ente J'ent:rata deriva�. 

L'imposta generale suH'entt1:~ta �, quindi, �dovuta da colui a cui favore 
si verifica l'entrata con diritto di rivalsa su ohi esegue il versamento dei 
compensi e corrispettivi costituenti l'entrata� (art. 6, primo comma). 

Nel determinare la sfera d'imposizione, la legge istitutiva ha precisato 
come nelle categorie di entrate soggette ad imposta rientrino quelle 
conseguite in dipendenza di prestazioni di servizi da chiunque e nei confronti 
di chiunque effettuate (artt. 1, commi 1 e 2, 2, 3, 14 e 17) ed, in particolare, 
come sostituiscano entrate imponibili quelle derivanti dall'esercizio 
del credito, onde integrano entrate imponibili le provvigioni ed i compensi 
(fra cui i diritti di commissione) riscossi per le operazioni ed i 
servizi compiuti dagli istituti di credito a favore dei clienti (art. 3, lett. c). 

E -poich� la materia imponibile � costituita daill'entrata �lorda, � senza 
che sia ammessa alcuna detrazione a titolo di spese di produzione, 
imposte diritti, compartecipazioni ed altre, anche se tali oneri gravano 
direttamente l'entrata stessa� (art. 4, primo comma) -deve ritenersi 
che l'imposta colpisca, secondo fa sua particolare struttura, l'entrata 
lorda conseguita dalle aziende esercenti il oredito. 

Per modo che appare evidente che, nell'ipotesi in cui un cliente 
richieda ad una banca di curare la riscossione di una cambiale, consegnandole 
il titolo girato per l'incasso e versandole la provvigione, questa 
costituisca un'entrata tassabile con l'imposta generale sull'entrata. 

Nel caso, invece, che fa cambiale sia pagabile fuori piazza e la banca 
girataria del titolo per J.'incasso, non avendo una propria filiale nel luogo 
di pagamento, si avvalga della norma dell'art. 1856, secondo comma, cod. 

civ. incaricando della riscossione della cambiale un'altra banca o un suo 
corrispondente, a cui gira il titolo per procura (art. 22 comma 1 del r.d. 
14 dicembre 1933 n. 1669, norme sulla cambiale e sul vaglia cambiario) 
e versa una parte della provvigione riscossa dal cliente, si disputa se 
l'imposta generale suU'entrata debba essere ugualmente applicata sull'intero 
ammontare della provvigione a carico deala banca che l'ha riscossa 
ovvero se da tale ammontare debba essere detratto il compenso versato 
alla banca corrispondente. 
Il problema � stato risolto dalle decisioni della Corte Suprema 3 febbraio 
1976 n. 345 e 6 giugno 1975 n. 2239 in senso favorevole alla tesi dell'amministrazione 
finanziaria. 

Nel riproporre la questione la banca dcorrente ne ha sollecitato 
l'esame da parte delle Sezioni Unite, denunciando un conflitto fra le sta::


tuizioni contenute in dette sentenze e quelle contenute ne1le precedenti �: 

f 

f: 
~ 

f: 
p�'pE#7�WKfr/72WW#Mo/o/o/WW'MW#WV&&WfrB7Wfro/W<cCWCW CW'V'4''%�WWo/&Wo/YWF' cwc cwcccwcryc'c'Yo/ cwccw�W'''J 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 779 

decisioni della Suprema Corte n. 2521 dell'8 ottobre 1973 e n. 895 del 5 aprile 
1966 in ordine al fenomeno della sostituzione del mandatario. 

La questione proposta -investendo, come in precedenza si � visto, 
un profilo prevalentemente fiscale -va irisolta -contrariamente a .quanto 
si sostiene dalla banca ricorrente -soprattutto in base aLle norme tri� 
butarie. 

Invero -ove si consideri che il cliente che richiede l'incasso del titolo 
cambiario fuori piazza versa l'intera provvigione alla banca da ilui incaricata 
di curare [a �riscossione; ohe tale provvigione � .tassab:iile con l'imposta 
generale sull'entrata (art. 3, lett. c), e che per la sua determinazione 
�non � ammessa ailouna detrazione a titolo di spesa di produzione, imposte,
� tasse, diritti compartecipazione ed altre, anche se tali oneri gravano 
direttamente l'entrata stessa � (art. 4, primo comma) -deve pervenirsi 
a:lla conclusione che sull'intera provvigione riscossa la banca incaricata 
dell'operl:lzione di riscossione degli effetti cambiar�i, la quale consegue 
l'entrata, debba pagare l'imposta generale sull'entrata allo Stato, con 
diritto di rivalsa sul cliente (art. 6, comma 1). 

E ci� in quanto estranea e giuridicamente irrilevante, ai fini della 

risoluzione del problJ.ema, rimane la corresponsione di parte dell'entrata 

conseguita alla banca corrispondente, dal momento che ex lege non pu� 

tene~si conto in alcun modo dei titoli in virt� dei quali l'entrata � in 

concreto decurtata. 

E va:lida conferma di tale soluzione � che soltanto la banca incaricata 

ha fai possibilit� di esercitare a carico del cliente la rivaiJ.sa dell'imposta, 

attuando in tal modo il sistema di tassazione stabilito dalla :legge, il quale 

non fa gravare a suo carico il tributo. 

N� la prospettata soluzione pu� ritene11Si contraddetta dalla struttura 

dell'istituto della sostituzione bancaria di cui all'art. 1856, secondo com


ma, cod. civ., non potendosi ammettere che, per effetto dell'esercizio della 

facolt� di sostituzione accoroata da tale norma alla banca incaricata, il 

cliente, rivoltosi a questa per l'operazione, possa venirsi a trovare vinco


lato da un rapporto da 1ui non determinato e voluto, con un'altra banca 

a :lui sconosciuta ed estranea. 

Invero -come si riconosce dalia pi� autorevole dottrina -fra il 

cliente e la banca corir1spondente non viene a costituirsi alcun rapporto, 

operando quest'ultima nell'interesse e per conto della banca incaricata. 

E ci� in quanto, se� dovesse ammettersi la sussistenza di un rapporto 

gestorio diretto fra cliente e banca sostituita, dovrebbe .riconoscersi, con 

il diritto del mandante di agire nei confronti del sostituto ex art. 1717, 

quarto comma cod. civ. (profilo attivo della situazione sostitutiva), la tito


larit� di un'actio mandati contraria (profilo passivo della situazione) 

all'istituto bancario corrispondente, il quale sarebbe in tal modo abilitato 

a richiedere direttamente al cliente il corrispettivo per l'eseguito incarico. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Ma -poich� la sostituzione nell'esecuzione dell'incarico della banca 
corrispondente, lasciando ferma fa responsabilit� della banca intermediaria 
modellata nei limiti dell'art. 1717 cod. civ. (!la .cui norma, pur 
essendo inquadrata sotto la generica rubrica �sostituto del mandatario� 
si occupa esclusivamente della responsabilit� del mandatario e del sosti� 
tuto, tacendo completamente in ordine all'esistenza di forme di tutela 
diretta spettanti al sostituto nei riguarrli del mandante), non attribuisce 
alla banca corrispondente a~cuna azione contro il cliente-mandante per 
ottenere la corresponsione del compenso, il quale � dovuto non dal cliente, 
ma dalla banca che le ha affidato l'incarico (cfr. in tal senso, Cass. sent. 
16 gennaio 1953 n. 110), non potendosi esigere che H mandante paghi un 
secondo compenso al sostituto (o1tre quello comprensivo del suo, pagato 
al mandatario sostituente) -deve escludersi che un rapporto diretto si 
instauri fra cliente e banca corrispondente. 

Per modo che, nella complessa fattispecie prevista dal coordinato 
disposto degli artt. 1856, secondo comma, e 1717 cod. civ., accanto al 
rapporto originario di mandato, intercorrente fra il cliente e ila banca 
incaricata, deve ravvisarsi un secondo rapporto, �strumentale, fra la banca 
incaricata dal cliente e la banca corrispondente (sostituita), il cui compito 
� l'espletamento dell'attivit� gestoria originariamente devoluta alil.a banca 
sostituente. 

A tale affermazione, gi� contenuta nelle decisioni della Suprema Corte 

n. 345 del 3 febbraio 1976 e n. 2239 del 6 giugno 1975, non contraddice 
-�contrariamente a quanto si assume dalla ricorrente -il principio dettato 
nelle sentenze della stessa Corte Suprema n. 2521 deH'8 ottobre 1973 
e n. 865 del 5 aprile 1966, secondo cui �se l'attivit� del sostituto sia stata 
utile nell'interesse del mandante e questi se ne sia giovato, iJl medesimo 
non pu� disconoscere l'opera del sostituto ed � tenuto a compensarla 
direttamente, quando non abbia gi� provveduto a versare al mandatario 
il relativo compenso�, in quanto tale statuizione, non riconoscendo ail 
sostituto un'azione contrattuale e costituendo semplice applicazione del 
principio dell'uhi commoda ibi incommoda in materia di gestione di affari 
(art. 2031 cod. civ.) e di arricchimento senza causa (art. 2041 cod. civ.) 
(comportante forme di protezione, variamente articolate, a favore di chi 
abbia speigato un'attivit� ridondante a vantaggio di un soggetto che, pux 
non legato al primo da un vincolo negoziale, abbia approvato e fatto 
proprio il risultato di quell'attivit�), vafo a contrastare, e non a favorire, 
la tesi dell'unicit� del rapporto (riguardando un'ipotesi diversa da quella 
in oui il cliente mandante provveda, come nel caso di specie, al pagamento 
dell'intera provvigione alla banca incaricata). 
Per modo che -nel rilevare l'insussistenza del preteso contrasto 
giurisprudenziale denunciato dalla banca ricorrente -va affermata in 
conclusione, la ricorrenza, nella fattispecie considerata, di due distinti 


PARJ:E I, s~z. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 781 

rapporti di mandato (cliente-banca incaricata; banca sostituente-banca 
sostituta corrispondente), strutturalmente e funziO!llalmente autonomi, nei 
quali -:tmttandosi di mandati onerosi -viene corrisposto un distinto 
compenso da dasouno dei due manidanti a favore del rispettivo mandatario. 


�l compenso dovuto dall'ordinamento ailla banca incaricata e quello 
dovuto, a sua volta da questa alla banca sostituta -integrando due 
distinte entrate in denaro, conseguite da aziende di credito in corrispettivo 
di prestazioni di servizi bancari -devono, quindi, ritenersi sogig�tti 
entrambi, distintamente, all'imposta generale sull'entrata a norma delia 
l�gige 19 giugno 1940 n. 962. 

Pertanto, deve, in conclusione, affermarsi che � soggetta ad imposta 
generale suH'entrata l'intera provvigione corrisposta dal cliente ad una 
banca per la riscossione di titoli cambiari anche quando questa, per manoanza 
di propri sportelli su!Ue piazze desiderate, si avvalga dell'opera di 
altra banca corrispondente, cui versi una parte della provvigione, la quale 
non pu� essere considerata spesa di produzione del servizio, e come tale 
detraibile, e che � a sua volta autonomamente tassaibHe quale distinta 
entrata. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 gennaio 1981 n. 49 -Pres. Sposato Est. 
Sensale -P. M. Ferraiolo (diff.). Ministero dell.e Finanze i(avv. 
D'Avanzo) c. Marini (avv. !annetti del Grande). 

Tributi erariali diretti � Accertamento � Modificazione per sopravvenuta 
conoscenza di elementi nuovi � Nozione � Fattispecie. 

(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 35). 
L'integrazione e la modificazione dell'accertamento definitivo in base 
alla sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi � ammessa dall'art. 35 
del T.U. delle imposte dirette quando emergono elementi del tutto ignoti 
che, se pure non debbano necessariamente ricollegarsi ad una fonte produttiva 
del reddito diversa da quelle considerate nell'accertamento, non 
potevano essere conoscibili dall'ufficio; � da escludere che l'ufficio possa 
ricorrere all'art. 35 per rivalutare elementi gi� noti e ritenuti non influenti 
o comunque per correggere errori commessi (1). 

(1) La enunciazione contenuta nella motivazione appare eccessivamente 
restrittiva. 
� esatto che la norma presuppone la ignoranza dei fatti non la non 
valorizzazione o non utilizzazione di essi ed � anche esatto che questo mezzo 
non consente di correggere errori di valutazione e di apprezzamento di fatti 
gi� noti o dei quali si aveva un principio di informazione. Sembra per� eccessivo 

12 



782 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Con il primo motivo l'Amministrazione ricorrente denunzia 
la violazione dell'art. 35 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione 
all'art. 360 n. 3 c.p.c., censurando la decisione impugnata per avere 
escluso -sul presupposto della menzione (peraltro evasiva ,e generica) 
degli appalti per conto derLa cooperativa � 2 Gennaio� e della S;r.l. 
� Immobiliare Appartamenti panoramici >>, fatta dail contribuente nella 
dichiarazione unica dei redditi (in relazione alla quaile l'imponibile ai 
fini della imposta di R. M. era stato accertato con l'adesione del contribuente) 
-che essa Amministrazione, pur essendo venuta successivamente 
a conoscenza, a seguito d'informativa deil nuclleo di polizia tributaria, 
delle somme effettivamente incassate dal contribuente in relazione 
ai suddetti appalti, non potesse esercitare i:I potere d'accertamento integrativo, 
concesso dall:a norma citata. La Commissione tributaria ,centrale 
avrebbe dovuto considerare, invece, che a tal fine non si richiede 
che i nuovi elementi di fatto i quali giustificano l'accertamento integrativo, 
derivino da una fonte produttiva piuttosto che da un'altra o che 
siano stati acquisiti in un dato modo, ma basta che essi non siano 
stati tenuti presenti in preceidenza, peI'ch� ,completamente ignorati, di guisa 
che, se fossero stati conosciuti prima, avrebbero portato ad una diversa e 
maggiore valutazione del reddito. 

Con il secondo motivo la ricorrente censura la decisione impugnata, 
ai �sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., per omessa, insufficiente o contraddittoria 
motivazione drca .un punto decisivo della controversia, avendo ritenuto 
che il contribuente avesise denunziato entrambi gli appalti con tutti 
i particolari idonei a i,dentificarli, senza considerare che la menzione che 
ne era stata fatta nella dichiarazione unica dei redditi era evasiva e 
generica, tanto da indurre essa Amministrazione a darvi credito e a 
definire l'imponibiJ.e con l'atto d'adesione del 13 novembre 1961. 

Il ricorso � infondato. 

Dalla decisione impugnata risulta che, in relazione alila dichiarazione 
unica dei redditi presentata dai! Marini Dettina per l'anno 1959, l'Ufficio� 
delle imposte dirette di Roma procedette ad accertamento del reddito 
soggetto a:d imposta di R.M. definito con J'adesione del contribuente in 
data 13 novembre 1961. Circa due anni dopo, il 23 dicembre 1963, l'ufficio, 

affermare che non possono essere utilizzati successivamente fatti conoscibili 
(ma non conosciuti) quali quelli acquisiti da successive indagini che l'ufficie> 
avrebbe potuto esperire anteriormente. Tutto in teoria � conoscibile; ma la 
norma dell'art. 35 pi� realisticamente d� rilevanza 'alla conoscenza successiva 
di ci� che non era oggettivamente noto, anche se avrebbe potuto essere conosciuto 
con diverse e pi� fortunate indagini. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

essendo venuto a �conoscenza di elementi di fatto da esso ritenuti nuovi, 
in seguito ad informativa del nucileo di polizia tributaria, notific� al 
contribuente run nuovo avviso di accertamento ad integrazione del precedente. 


Orbene, l'art. 35, :primo comma del t.u. 645/58 consente l'integrazione 
e la modificazione dell'accertamento, ancorch� sia intervenuta 
l'adesione del contribuente, in base alla sopravvenuta conoscenza di elementi 
nuovi e cio� di elementi del tutto ignorati dalil'ufficio al momento 
del primo accertamento e che, se prima conosciuti, 1avrebbero 
dato luogo ad una diversa e maggiore valutazione deilil'imponibile accertato. 
E. escluso che possa trattarsi di elementi gi� noti e ritenuti non 
influenti ai fini della determinazione del reddito imponibile o insuffidentemente 
valutati nella Joro preesistente interezZla, poich� fa potest� 
di cui alla norma citata non � accordata all'Amministrazione al fine 
di correggere errori di apprezzamento commessi in precedenza. 

Ci� vuol dire che i nuovi elementi di fatto giustificativi dailil'accertamento 
integrativo, pur se non debbono necessariamente ricollegarsi 
ad una diversa fonte produttiva del reddito, devono essere, tuttavia, 
non 1soltanto non conosciuti, ma non conoscibili dall'ufficio al momento 
del precedente aJCcertamento (v. per il riferimento alla non riconoscibilit�, 
Cass. 4072/77 e 650/79). Infatti, il poter conoscere certi elementi 
di fatto e non svolgere la necessaria attivit� per prenderne effettiva 
conoscenza d� luogo ad una situazione non dissimile da quella in cui 
gli elementi siano gi� noti e tuttavia insufficientemente valutati o ritenuti 
non influenti ai fini della determinazione del reddito imponibile, 
avendo in comune, ciascU!Ila di tali ipotesi, la �riconducibilit� al compoTtamento 
dell'Amministrazione della mancata tempestiva conoscenza degli 
elementi necessari all'esatta determinazione dell'imponibile. 

Ci� vale, particolarmente, .quando -come ;risulta es1sere avvenuto 

nel caso concreto -la conoscenza dei nuovi elementi di fatto provenga 

dal risultato d'indagini disposte dall'ufficio e cio� da una fonte che esso 

avrebbe potuto utilizzare anche prima del concordato conduso con il 

contribuente. 

Lo stabilire se, nel caso concreto, l'Amministrazione fosse in grado 

di conoscere sin dalll'epoca del primo accertamento per adesione quegli 

elementi di cui venne 1a conoscenza successiV1amente � accertamento di 

fatto insindacabile in questa sede, avendo dato atto -la decisione im


pugnata (conformemente a quanto ritenuto dalle commissioni di primo 

e di secondo grado) ohe dalla dichiarazione unica dei J.1edditi presentata 

dal �contribuente relativamente al 1959 risulta inequivocabilmente che 

gli appalti per la costruzione degli edifici deilla cooperativa � 2 Gen


naio� e della S.I.A.P. erano stati denunziati con tutti i particofari ido



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

784 

nei ad identificarli, per cui non poteva non ritenersi che essi fossero 
stati adeguatamente considerati in sede di concordato, sussistendo sin 
da quel momento, per l'Amministrazione, la possibilit� di un controllo, 
attraverso quell'esame delle fatture e degli altri documenti ingiustificatamente 
compiuto soltanto dopo il concordato, dei ricavi e dei costi� 
degli appalti. 

N� � coerente, da parte dell'Amministrazione, sostenere da un lato 
che i dati fomiti dalla parte er;ano evasivi e generici e dall'altro che 
�ssa non aveva motivo di disconoscere la veridicit� e l'attendibilit� della 
denunzia di parte; poich�, se fosse esatto il primo rilievo, maggiore 
sarebbe stato il dovere dell'Amministrazione di procedere a!l:le indagini 
necessarie al fine di controMare la veridicit� e l'attendibilit� degli elementi 
denunziati. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 8 gennaio 1981, n. 141 -Pres. Granata Est. 
Gualtieri -P. M. Valente (conf.). Ministero dehle Finanze (avv. 
Stato Mari) c. Credito Bergamasco. 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per ile case 

�di abitazione non di lusso. Uffici e negozi -Nozione -Agenzia bancaria. 

(!. 2 luglio 1949 n. 408, art. 17). 

Agli effetti dell'agevolazione dell'art. 17 della legge 2 luglio 1949, n. 408, 
sono da considerare negozi i locali in cui vengono offerti direttamente 
al pubblico beni o servizi nell'esercizio di un'attivit� imprenditoriale e 
uffici i locali destinati, anche se in connessione con una impresa, a solo 
.svolgimento di attivit� amministrative e di direzione senza contatto con 
il pubblico. La sede di una agenzia bancaria pu� rientrare nell'una o 
nell'altra ipotesi a seconda che i locali, in conformit� della struttura, 
siano destinati a servizi a favore del pubblico o ad attivit� di direzione 
e amministrazione o puramente tecniche (1). 

(omissis) Con unico motivo l'J\Jmministrazione ricorrente, denunziando 
violazione e fa!lsa applicazione dell'art. 17 delila legge 2 luglio 
1949, n. 408, nonch� illogicit� manifesta o, quanto meno, ome,ssa o insufficiente 
motivazione su punti decisivi, in relazione all'art. 360, n. 3 e 

(1) Una puntuale conferma della sent. 6 ottobre 1977 n. 4256, in questa 
Rassegna, 1978, I, 220. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

5 1c.p;c., deduce che i locali in questione, predisposti per essere adibiti 
a sede di agenzia bancaria devono, ai fini deUa legge anzidetta, essere 
qualificati come negozi e non come uffici, in quanto la comune �agenzia 
bancaria -a differenza della sede centrale o assimiJlabile dove si svolge 
solo la funzione creditizia ad un certo Jivello -ha carattere dominante 
d� negozio, svolgendosi in essa attivit� tipicamente commevciale, quale � 
quella de1la raccolta e della distribuzione del danaro e dci relativi servilii 
offerti aMa clientela. 

La .censura � fondata. 

� pacifico, in linea di fatto, che il Credito Bergamasco destin�, fin 
dall'origine, le porzioni immobiliari acquistate, poste al piano terra dell'edificio.
in questione (otto vani per mq. 233), ad uffici bancari di agenzia. 

Ci� premesso, devesi rHevare che nell'interpretazione della Jegge 

n. 408/1949, i termini �negozio� ed �ufficio� vanno intesi in senso 
lato, e non gi� nel senso del lessico coNente, in quanto il legislatore 
non poteva fare una enumerazione precisa ed esauriente di tutte le ipotesi 
riconducibili alle categorie contrapposte a quella, bene individuabi!
le, de1le case di abitazione. 
In considerazione di ci�, questa Corte ha gi� avuto occasione di 
precisare che, ai fini tributari qui considerati, deve intendersi per negozio 
qualunque focale 1in cui vengono offerti diirettamente al pubblico 
beni e servizi nell'esercizio di una attivit� imprenditoriale, mentre deve 
intendersi per ufficio qualunque locale destinato, sia pure in connessione 
con un'impresa, al solo 1svolgimento di attivit� di direzione ed 
amministrazione, senza necessit� di diretto contatto con il pubblico dei 
consumatori. 

La sede della Banca pu� rientrare nell'una o neM'altra ipotesi a seconda 
delle attivit� che, in conformit� alla struttura dei reJativJ. locali, 
vi sono esercitate. 

Pertanto, deve affermarsi che la sede di una agenzia bancaria in 
cui si svolgono 1direttamente a favore del pubblico le attivit� e i servizi 
tipici dell'istituto di credito, rientra, agli effetti del[a legge n. 408/194 
nella categoria dei negozi e che tali vanno qualificati i focali istrutturalmente 
idonei all'esercizio di tali attivit�, mentre le sedi in oui la banca 
svolge attivit� di direzione e di amministrazione, o attivit� puramente 
tecniche, senza necessit� di contatto con la clientela, rientrano nella 
categoria degli uffici (cfr. Cass. 6 ottobre 1977, n. 4256). 

Conseguentemente devesi ritenere errata la decisione impugnata, la 
quale ha escluso la qua:Hfica di negozio ai locali in questione in base 
a1la distinzione tra �negozi� e �uffici� intesi nel senso del lessico corrente, 
'considerando ufficio fa sede di una agenzia bancaria. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

786 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 8 gennaio 1981, n. 148 -Pres. Rossi Est. 
Bile -P.M. Caristo (conf.). Soc. Stock {avv. Urbani e Ascini) 

c. Ministero deUe Finanze (avv. Stato Azzariti). 
Tributi in genere -Potest� tributaria di imposizione -Decreto legge non 

convertito -Successiva disciplina dei rapporti sorti -Legittimit� 


Imposta m fabbricazione � Fattispecie. 

(Cost., art. 77; d.!. 27 agosto 1970, n. 621; I. 18 dicembre 1970, n. 1035). 

Tributi in genere -Potest� tributaria di imposizione -Obbligazione tribu


taria -Momento della nascita -Imposta di fabbricazione -Fattispecie. 

(d.!. 27 agosto 1970, n. 621, art. 11). 

Poich� l'art. 77 della Costituzione non stabilisce alcun limite all'esercizio 
da parte del Parlamento del potere di regolare con legge gli effetti 
dei rapporti giuridici sorti in base a decreto legge non convertito, � 
legittima la legge 10 dicembre 1970, n. 1035, che ha previsto che restassero 
validi i rapporti sorti sulla base dell'art. 11 del d.l. 27 agosto 1970, 

n. 621 prima della sua caducazione per mancata conversione (1). 
Il rapporto giuridico tributario sorge nel momento in cui si determina 
la situazione di fatto considerata dalla legge come generatrice del 
debito di imposta; nel caso della imposta di fabbricazione una tantum 
sugli spiriti introdotta con l'art. 11 del d.l. 27 agosto 1970, n. 621, l'obbligazione 
� natia per effetto della giacenza di spiriti liberi da imposta al 
momento della entrata in vigore del decreto, indipendentemente dal successivo 
procedimento di liquidazione dell'imposta che opera al livello 
della esigibilit� e non a quello della nascita del rapporto (2). 

(omissis) 1. -Con iJ primo motivo del ricorso -deducendo violazione 
del d.l. 27 agosto 1970, n. 621, delJ'airticolo unico della legge 18 dicembre 
1970, n. 1035, dehl'art. 12 delle disposizioni sulJa legge in generale, 
e dell'art. 77, terzo comma Cost. in riferimento all'art. 360, n. 3, 

c.p.c. -la S.p.A. Stock afferma che la Corte dii Appello ha erroneamente 
ritenuto fondata la pretesa dell'Amministrazione finanziaria di percepire 
l'aumento dell'imposta di fabbricazione sugli aJcoli liberi da imposta 
detenuti al!la data di entrata in vigore del decreto-legge n. 621 del 
1970, ai sensi dell'art. 11 del decreto stesso, senza considerare: a) che il 
decreto non � stato tempestivamente convertito in legge e la legge 18 dicembre 
1970, n. 1035 che ha dichiarato efficaci i rapporti giuridici, anche 
(1-2) Le Sezioni Unite hanno confermato l'indirizzo affermato con la 
sentenza 6 ottobre 1977, n. 4262, in questa Rassegna, 1978, I, 354. Della seconda 
massima, che riconferma un orientamento fermissimo, � notevole la rilevanza 
concreta degli effetti al di l� di una teorizzazione scolastica. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

tributari, sorti suhla base del decreto-legge, deve essere intel.'pretata tenendo 
presente 'Che il successivo decreto-legge 26 ottobre 1970, n. 745, 
convertito �in legge 18 dicembre 1970, n. 1034, pur riproducendo quasi 
integralmente il contenuto del provvedimento non convertito, non contiene 
una disposizione corrispondente al citato art. 11; b) che la legge 

n. 1035 del 1970 attribuisce validit� agli atti gi� compiuti in base al 
decreto-legge non convertito, ma non anche a quelli eventualmente adottati 
dopo la scadenza del periodo di temporanea vigenza del provvedimento, 
e nella specie gli atti dell'Amministrazione fim.anziaria applicativi 
del tributo per cui � causa sono tutti successivi a tale scadenza; 
e) ohe la legge n. 1035 del 1970 definisce efficaci i rapporti giuridici 
sorti in base al decreto-legge non convertito, ma non anche quelli non 
ancora esauriti nel periodo di temporanea vigenza, e nella specie il rapporto 
tributario -se pur poteva considera1.1si sorto -non si era certamente 
esaurito in quel periodo; d) ohe fa legge n. 1035 del 1970 si � 
risolta .in una conversione tardiva di un decreto-legge. 
Con iJ. secondo motivo poi la ricorrente pri[];cipa[e afferma che la 
legge citata, sia per '1a sua attivit� sia per iJa genericit� della sua for_
mulazione, appare in contrasto con l'art. 77, comma 3, Cost. e pll."opone 
quindi la relativa questione di legdttimit� costituzionale. 

I due motivi -che, per connessione, possono esisere esaminati congiuntamente 
-sono infondati. I problemi sollevati dalla societ� ricorrente 
sono stati gi� esaminati, e risolti in senso ad ess1a sfavorevole, 
dalle sentenze n. 3871 e n. 4262 del 1977 deHa 1" sezione civile di questa 
Corte, e rispetto a tali pronunzie non sono stati prospettati argomenti 
nuovi o comunque idonei a gius.tificare una diversa solluzione. 

2. -La circostanza di cui alla lettera a) � del tutto irrilevante. 
L'art. 5 del decreto-legge n. 621 aveva .disposto Ulil aumento delJ'imposta 
di fabbricazione sugli spiriti. Tale aumento si sarebbe aippli:cato agli 
spiriti in corso di fabbricazione, 111on ancora usciti dai locali . di produzione, 
ail momento della Joro immissione sul me1.1Cato e di �sso si sarebbe 
tenuto conto neHa determinazione del prezzo del prodotto finito, con la 
nota conseguenza della traslazione dell'incidenza tributaria sul consumatore. 


Era peraltro prevedibile che il nuovo prezzo avrebbe interessato anche 
i prodotti finiti ohe avevano gi� �scontato l'imposta nella minor misura 
prevista dalla legislazione precedente e che si trovavano nei magazzini dei 
produttori o presso i rivenditori in attesa di es,sere immessi sul mercato. 
Per evitare che l'applicazione del nuovo prezzo anche a tali giacenze 
potesse risolversi i111 un ingiustificato arricchimento dei detentori 
delle scorte, che avrebbero incassato una somma pi� elevata senza una 
.covrispondente maggiore spesa, l'art. 11 del decreto-legge -secondo un costante 
orientamento seguito in casi consimili ~cfr. di recente l'art. 17 della 1. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

788 

31 ottobre 1980, n. 693) -ha istituito, parallelamente all'aumento dell'imposta 
di fabbricazione, un'imposta Wla tantum sulle giacenze di spiriti, 
in misura corrispondente alla differenza fra il nuovo importo dell'imposta 
e quello precedente. A seguito della mancata tempestiva conversione del 

l

decreto fogge n. 621 sono stati emanati ,in data 18 dicemb'.Ve 1970 due distJ.niti 
provvedimenti legislativi. Da un J.ato la J:egge n. 1034 che, conve11tendo il 
decreto-legge 26 ottobre 1970, n. 745, ha nuovamente aumentato l'imposta 
di fabbricazione sugli spiriti, nella misura gi� contemplata dal precedente 
decreto. E dall'altro la legge n. 1035 che, dichiarando validi ed 
efficaci gli atti e i prowedimenti adottati e i rapporti giuridici, compresi 
quelli tributari, sorti sulla base del deareto non convertito, ha mantenuto 
feruna l'imposta sulle giacenze esistenti alla data di entrata in vigore 
deil decreto stesso. n decreto n. 745 perci� non ha riprodotto la disposizione 
dell'art. 11 del decreto n. 621 per la determinante ragione che 
la diS'ciplina delle giacenze es!iJs.tenti alla data di entrata in vigoce di 

I 
I ~quest'ultimo provvedimento era stata tenuta in vita dalla legge n. 1035. 
La mancata riproduzione -lungi dal tradurre un intento � abdioativo � del 
legislatore, come affe'.J:'IDa la ricorrente -pu� essere interpretata nel senso 
opposto ed � perfettamente coerente con J'esigemJa di evitare ingiustificate 

~ 

disparit� di trattamento in situazioni sostanzialmente non differenziate. 

~ 

I 
~ 

3. -Per quanto riguarda il plllllto di cui alJa lettera b), le precedenti 
sentenze della prima sezione hanno gi� posto in rilievo che -avendo il 
decretoJegge n. 621 introdotto una disciplina di svariate materie, al fine 
di porre rimedio alla orisi economica in corso -la successiva Iegge n. 1035, 
l 

emanata allo scopo di regolare gli effetti della mancata conversione del i 
�decreto stesso, ha adoperato intenzionalmente una terminologia comprenf: 
siva di tutte le ipotesi su cui doveva operare. f 
~ 

Pertanto, attribuendo efficacia agli atti ed ai provvedimenti adottati 

I

in base al decreto nonch� ai rapporti giuridici sorti in base ad essi, la E 
legge n. 1035 ha posto 'due previsioni alternative, onde esS'a � applicabile i 
alla fattispecie in esame sia ove sussista un'ipotesi di � Atto compiuto o 

I

provvedimento adottato�, sia ove si tratti invece di un �rapporto giuri


dico sorto � sulla base del decreto non convertito. Correttamente quindi 

I

la sentenza impugnata ha ritenuto determinante il'accertamento dell'esistenza 
nella specie di un rapporto tributario sorto nel periodo della temI


! 

poranea vigenza del decreto. 

I 

!

4. -Il punto di cui alla lettera e) pone il problema della definizione 
!

di �rapporto giuridico (tributario)" sorto� in base al deoreto n. 621. 

I 

La tesi della ricorrente -secondo cui per � rapporto giuridico sorto � ' 
deve intendersi un rapporto del tutto definito o esaurito -non pu� essere 
condivisa, posta l'intuitiva differenza che (sul piano 'logico e linguistico 
prima ancora che giuridico) separa il fenomeno de'l � sorgere � di un 1 

I 

I

I 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 789 

rapporto, che :concerne l'origine, la nascita di esso, da quello della � definizione
� o deill'� esaurimento�, che attiene per contro alla sua fine. Ed 
� assolutamente il�rilevante ol'opinione espressa al riguardo in una circolare 
dell'Amministrazione finanziaria, su cui inutiilnente la societ� si sof� 
ferma. 

N� si pu� dire -con la ricorrente -che in tal modo si attribuisce 
alla Iegge prevista dall'ultimo comma d((ll'art. 77 Cost., che ha natura certamente 
retroattiva, un'inammissibile portata ultrattiva. La legge con cui 
le Camere 1regolano i rapporti sorti sul'.la base dei decreti non convertiti 
� sicuramente retroattiva, nel senso :che la disciplina da essa posta si 
riferisce a situazioni verificatesi anteriormente alla sua entrata in vigore. 
Ma ci� non significa che la legge non possa -alla stregua di una valutazione 
la cui responsabilit� politica compete esclusivamente al Parlamento, 
salvo� il sindacato di 'legittimit� costituzionale -riconoscendo validit� 
ed efficacia ai rapporti nati nel periodo di temporanea vigenza del 
decreto, imprimere ad essi rilevanza per tutto il tempo del loro successivo 
esistere, fino alla sopravvenienza di un fatto estintivo. 

Per quanto concerne pi� particolarmente il rapporto giuridico tributario 
fa giurisprudenza di. questa Corte ha ripetutamente affermato che 
esso sorge nel momento in cui si determina ila situazione di fatto considerata 
dalla legge come generatrice del debito di imposta. Nel sistema 
introdotto dall'art. 11 del decreto-legge n. 621 il debito di imposta nasce 
per effetto della giacenza, al momento dell'entrata in vigore del decreto, 
di una certa quantit� di alcoli liberi da imposta, ohe il possessore deve 
denunziare nel termine di dieci giorni da quella data. Nel caso di specie 
� pacifico che la pretesa dell'Amministrazione finanziaria si riferisce ad 
alcoli giacenti presso l'attuale ricorrente aUa entrata in vigore del decreto 
e tempestivamente denunziati. Non � dubbio dunque che il fatto 
generativo del rapporto tributario si sia verificato nel periodo di temporanea 
vigenza ,del decreto e che i successivi atti dell'Amministrazione, posteriori 
a tale periodo ed in particolare la liquidazione dell'importo dovuto 
dal contribuente e la richiesta del pagamento attengono, non all'esistenza 
dell'obbligo tributario, bens� alla esigibilit� del debito dell'obbligato. 

I ripetuti richiami fatti dalla ricorrente ailla disciplina delle imposte 
di fabbricazione sugli spiriti, e specie all'art. 10 del testo unico approvato 
con d.m. 8 luglio 1924, non sono rilevanti. In primo �luogo .la liquidazione 
dell'imposta ad opera degli uffici finanziari competenti opera al 
livello dell'esigibilit�, della pretesa della Amministrazione e non a quello 
della nascita del rapporto, come si � gi� detto. 

E comunque la disciplina dell'imposta dovuta periodicamente sulle 
merci di volta in volta oggetto di fabbricazione non pu� essere utilmente 
richiamata per trarne criteri di interpretazione di una norma concernente 
invece un'imposizione tributaria� prevista con carattere di unicit�, 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

riferita cio� alle sole merci esistenti ad una determinata data, per la 
quale il fatto costitutivo del rapporto � la giacenza a quella data e la 
stessa entit� del tributo � agevolmente determinabile moltiplicando l'importo 
previsto dalla norma per unit� di misura per la quantit� di 
merce denunziata dal detentore come giacente. 

5. -In relazione ai punti di cui alla lettera cl), � sufficiente rilevare 
che l'art. 77 comma terzo, Cost., non prevede alcun limite nell'esercizio 
da parte del Parlamento del potere di regolare con legge i �rapporti sorti 
in base ad un decreto non convertito. E pertanto una legge che applicasse 
a ta.Ji rapporti l'identica disciplina introdotta dal decreto non potrebbe,. 
di per s�, essere considerata in contrasto con il citato art. 77, salvo beninteso 
il rispetto degli altri principi costituzionali. Una tale legge non si 
risolverebbe -come ritiene di affermare la ricorrente -in una conversione 
tardiva del decreto-legge, oltre il termine di sessanta giorni previsto 
dalla Costituzione, in quanto la disciplina dei rapporti in esame sarebbe 
posta diirettamente dalla legge rispetto a!Ja quale il precedente decreto 
avrebbe l'unico valore di un precedente storico, del tutto irrilevante sotto 
il profilo dell'individuazione della regolamentazione positiva. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 gennaio 1981, n. 361, Pres. Granata Est. 
Virgilio -P. M. Marozw della Rocca (conf.). Cassa di previdenza 
avvocati (avv. Cogliati Dezza) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Cevaro). 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Pen� 
sioni -Sono equiparate ai redditi di lavoro subordinato -Pensioni 
erogate non in relazione ad un rapporto di favoro subm:idinato -lrri� 
levanza della distinzione. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 85, 87, 127 e 143; legge 4 dicembre 1962, n. 1682, art. 2). 
Tributi erariali diretti -Sanzioni non penali per le violazioni . Sanzioni 
in sede di riscossione . Applicabilit� dell'art. 248 del t.u. 29 gennaio 
1958, n. 645 . Esclusione. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 248). 
Sono sempre equiparati ai redditi di lavoro autonomo tutte le pensioni 
anche se (come quelle degli avvocati) non sono in relazione ad un 
anteriore rapporto di lavoro subordinato; su tutte va operata la ritenuta 
di acconto (1). 

La norma dell'art. 248 del t.u. delle imposte dirette, che prevede la 
inapplicabilit� delle sanzioni quando sia seriamente contestabile l'esi



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 791 

stenza dei presupposti della obbligazione, � in esclusiva relazione con le 
sanzioni in sede di accertamento e non trova applicazione per le sanzioni 
in sede di riscossione quali quelle dell'art. 264 per omessa ritenuta (2). 

(omissis) La ricorrente deduce: 1) -La Commissione centrale :non ha 
consiiderato, incorrendo anche nel vizio di difetto di motivazione, che la 
assimilazione delle pensioni al reddito di lavoro subordinato, introdotta 
con la legge n. 1682 del 1962, riguarda esclusivamente le pensioni corrisposte 
in relazione a un pregresso rapporto di lavoro subordinato, e non 
quelle di diversa natura, come sono le pensioni erogate dalla Cassa; 
2) -Comunque, la obiettiva incertezza sull'esistenza dei presupposti della 
obbligazione tributaria, avrebbe dovuto far ritenere app1icabile, contrariamente 
a quanto ha deciso la Commissione centrale, fa disposizione dell'art. 
248 del T.U. n. 645 del 1958, che esclude in questi casi l'irrogazione 
delle sanzioni. 

Il primo motivo � infondato. 

Dal coordinamento delle molteplici disposizioni contenute negli arti


coli 85, 87, 127 e 143 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, risulta che anche le 

pensioni diverse da quelle riferibili ad Uil1 pregresso �rapporto di lavoro 

subordinato sono comprese nell'ambito della normativa sulla ritenuta di 

acconto per le imposte di ricchezza mobile e complementare. 

Questo risultato interpretativo trova supporto nella modifica appor


tata all'art. 87 con la legge 4 dicembre 1962, n. 1682, per effetto della 

quale � le pensioni e le indennit� di anzianit� e di previdenza so:no assi


milate al reddito del lavoro subordinato�. 

Poich� l'assimilazione � stata operata dal legislatore indiscriminata


mente, per le categorie considerate (pensioni e indennit� di anzianit� e di 

previdenza), fa distinzione tra pensioni derivanti da pregresso rapporto 

di lavoro subordinato e pensioni non ricolilegantisi a tale tipo di attivit� 

lavorativa incontra un primo ostacolo nel tenore letterale della norma 

modificativa, e nel principio ermeneutico secondo cui �all'interprete non 

� consentito -ove non si ravvisino nel sistema altri validi elementi chia


ramente indicativi di una diversa voluntas legis -di introdurre, rispetto 

alle categorie concettuali enunciate, differenziazioni e distinzioni non 

previste. 

n sistema derivante dalla modifica apportata all'art. 87 �risulta, dun


que, di evidente linearit� sul piano testuale: gli obblighi posti a carico 

(1-2) La questione � nuova e di rilevante interesse. L'equiparazione delle 

pensioni agli stipendi � a tutti gli effetti; se si ammettesse una distinzione per 

sottrarsi all'obbligo della ritenuta, si dovrebbe affermare allo stesso tempo la 

non tassabilit�; il che sarebbe troppo. 

Sulla seconda massima v. Cass. 3 luglio 1979, n. 3735 in Riv. leg'. fisc. 1980 

n. 267. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dei soggetti menzionati nell'art. 127 -compreso quello di cui all'art. 143 
riguardante la ritenuta d'acconto -si riferiscono non soltanto ai redditi 
del �lavoro subordinato, secondo la originaria previsione dell'art. 87, ma 
anche a tutte le pensioni indistintamente (tranne, ovviamente, quelle che 
siano diversamente regolate in base a disposizioni speciali), tanto se collegate 
a pregresso rapporto di lavoro dipendente, quanto se dipendenti 
da altra causa. 

Questa portata della legge trova, peraltro, piena conferma sul piano 
della interpretazione logica, in quanto non � ravvisabile alcun elemento 
atto a giustificare un trattamento differenziato, ai fini che qui interessano, 
per ie due categorie di pensioni. 

La difesa della ricorrente ha posto in evidenza -per dedurne che 
la innovazione apportata all'art. 87 riguarda soltanto Je pensioni ricollegabili 
a pregresso rapporto di lavoro subordinato -alcune imprecisioni 
d'ordine testuale che, pur essendo formalmente esatte, non possono tuttavia 
indurre alla conclusione che se ne vorrebbe far derivare. 

Dopo l'assimilazione disposta con la legge del 1962; sicuramente � 
divenuta pleonastica, per quanto concerne la categoria delle pensioni, la 
suddivisione contenuta nell'art. 85 tra redditi di lavoro subordinato e 
�redditi alla cui produzione non concorrono attualmente n� capitale n� 
lavoro, come pensioni, vitalizi, sussidi e simili �. 

Infatti, per effetto della menzionata assimilazione, le pensioni risultano 
assoggettate alla medesima disciplina dei redditi del lavoro subordinato, 
per cui la loro tassabilit� in Cat. C/2 trova ora nell'assimilazione 
stessa la sua fonte normativa, con la conseguenza che la menzione, nella 
elencazione deH'art. 85, anche delle pensioni ha perduto la sua originaria 
rilev:anza. 

Ma da questo mancato coordinamento terminologico tra .Je molteplici 
disposizioni del T.U. del 1958 e il testo modificato dell'art. 87 non si 
pu� trarre la illazione che l'art. 85 sia stato consapevolmente lasciato 
invariato, in quanto il termine � pensioni � seguita a designare, nell'ambito 
.della categoria, quelle non riferibili a pregresso i:apporto di lavoro 
subordinato, e perci� non rientranti tra Je � assimilate � di cui alila legge 
del 1962, e che per questa specifica ragione era indispensabile mantenere 
immutato l'art. 85, al fine di evidenziare che le pensioni non assimilate 
erano pur sempre soggette a tassazione C/2. 

L'argomentazione, per quanto sottile, non pu� comportare la propugnata 
interpretazione dell'art. 87, nel testo modificato, perch� :le conclusioni 
che si vorrebbero far derivare dalla suindicata asserita giustificazione 
del mantenimento del termine �pensioni� ne1l'art. 85 si pongono 
sul piano de1la incompatibilit�, dal punto di vista letterale e logico, con la 
norma innovativa, la quale ha in definitiva inteso estendere, attraverso la 
assimilazione, l'obbligo della cosiddetta tassazione per ritenuta anche alle 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

pensioni di qualunque tipo e agli altri emolumenti menzion;;tti nella norma 
stessa. 
Gli ulteriori elementi indicati .daJla ricorrente sono egualmente inido� 
nei a suffragare la tesi sostenuta. 

Che gli articoli 127 e 143, ai fini della ritenuta d'acconto, usino le 
espressioni -non modificate dopo la innovazione della Jegge del 1962 
�prestatori di lavoro� e �periodo di paga�, le quali non �si attagliano 
con precisione alla condizione dei pensionati (e tanto meno alla condizione 
dei pensionati non collegati a pregresso rapporto di lavoro subordinato, 
non essendo i loro emolumenti concettualmente classificabili come 
aventi natura di retribuzione differita) costituisce una mera anomal�a 
terminologica -non inconsueta nei contesti normativi di una certa complessit� 
che abbiaino sub�to frammentarie modifiche -facilmente emendabile 
ove si consideri che, per quanto concerne le pensioni, le indicate 
espressioni vanno intese nel senso di � soggetti percipienti � e � periodi 
di erogazione � delle somme. 

D'altronde, l'art. 89 (che disciplina la quota esente) parla, per tutti 
i redditi di cat. C/2, di detrazione �rapportata a ciascun periodo di 
paga�, e con tale espressione, che indubbiamente si riferisce anche alle 
pensioni di ogni tipo -in quanto sarebbe inconcepibile la esclusione di 
alcune di esse dal beneficio della quota esente -accomuna, con l'uso di 
terminologia non rigorosamente esatta, redditi e pensioni. 

Vi �, dunque, nello stesso sistema normativo in esame la conferma 
testuale dell'impiego di formule che, in senso rigorosamente letterali::; 
non si attagliano a tutte le categorie concettuali che pur risultano sussunte 
sotto la medesima espressione formale. 

Questa considerazione conferma che anche fo altre imprecisioni segnalate 
dalla ricorrente trovano la foro ragionevole spiegazione nel menzionato 
fenomeno d'imperfezione formale, sotto il profilo terminologico, di 
alcune disposizioni del T.U. del 1958, che si � maggiormente accentuato 
dopo le parziali modificazioni apportate alla normativa. 

Neppure il secondo motivo pu� essere accolto. 

La questione dell'inapplicabilit� della disposizione di cui all'art. 248 
del T.U. n. 645 del 1958 alla ipotesi di omissione dell'obbligo di operare 
la dtenuta di aoconto (art. 264 stesso T.U.) � stata gi� esaminata e decisa 
da questa Corte Suprema con sentenza del 3 luglio 1979, n. 3735. 

� stato messo in evidenza che la norma di tutela del contribuente, in 
caso di obiettiva incertezza sulla esistenza dei presupposti de1la obbligazione 
tributaria, si riferisce soltanto 1aille ipotesi di sanzioni (per � l'omissione, 
la tardivit� e l'incompletezza della dichiarazione�) comminate nel 
titolo Xl, capo primo, del T.U., e non anche alle diverse ipotesi di �sanzioni 
in sede di riscossione �, costituenti oggetto del capo II del medesimo 
titolo XL 


794 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Non solo dal punto di vista della formazione letterale della dispo� ~ 
sizione suddetta (art. 248), ma anche con riferimento alla sua colloca� 
zione nell'ambito del capo I, risuJta chiaro che il legislatore ha inteso 
limitare l'applicabilit� di quella disposizione alle omissioni e manchevolezze 
riferentisi agli obblighi a carico del contribuente nel momento 
'1~).. 
. 
. . 
della dichiarazione, cio� nella fuse di accertamento dei presupposti del 
tributo, mentre per le sanzioni relative a violazioni di obblighi �in sede 
di riscossione� (come � queHa consistente nell'omissione della ritenuta), 
la fattispecie ricade nella previsione dell'art. 264 del T.U. del 1958, ed esula 
pertanto dal[a srfera di operativit� della disposizione particolare invocata 
dalla ricorrente. 
Tale disposizione attiene, come si � gi� detto, alle sanzioni per le 
violazioni commesse nella diversa fase dell'accertamento del presupposto 
tributario, e non pu� essere estesa anche alle sanzioni, separatamente 
disciplinate, riguardanti violazioni commesse nella fase di -riscossione, 
le quali ultime non sono state ritenute dal legislatore meritevoli dello 
stesso trattamento, a causa evidentemente della differente condizione in 
cui si trova il contribuente, �rispetto a quella dell'obbligato ad operare la 
ritenuta di acconto. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 15 gennaio 1981, n. 366 � Pres. Sandulli . 
Est. Borruso � P. M. Leo (conf.) � Lippolis c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Mari). 
Tributi erariali diretti � Imposta sul reddito dti ricchezza mobile � Avviamento 
� Cessione di azienda � Presunzione � Applicabilit� dell'art. 197 
del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 � Esclusione. 
(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 197). 
La presunzione stabilita dall'art. 197 del t.u. delle imposte dirette � 
operante soltanto ai fini della responsabilit� sussidiaria del cessionario 
per le imposte sui redditi prodotti dal cedente; deve di conseguenza dichiararsi 
la nullit� dell'accertamento che abbia fondato sulla presunzione di 
cessione di azienda un accertamento di plusvalenza per realizzo di avviamento 
(1). 
(1) Non pu� essere condiviso il formalismo che informa la decisione sopra 
riportata. Se pure non pu� disconoscersi che la stretta interpretazione dell'art. 
197 del t.u. sulle jmposte dirette � nel senso che la presunzione di trasferimento 
� stabilita �agli effetti� della responsabilit� sussidiaria del cessionario, 
deve pure ammettersi che ad altri fini, ed in:lipendentemente da una 
norma specifica, si pu� presumere il trasferimento dell'azienda; gli stessi 
elementi sintomatici indicati nell'art. 197 del t.u. erano assunti anche nell'art. 18 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 795 

.(omissis) Col primo motivo di ricorso il contribuente -premesso 
che ila presunzione di cessione di azienda posta dal citato art. 197 � dal 
medesimo espressamente limitata all'effetto di assicurare, con la responsabilit� 
solidale dei presenti cessionari, idonee garanzie patrimoniali per 
la riscossione de1le imposte ivi elencate nel caso di insolvenza del presunto 
,cedente -lamenta che la Commissione Centrale avrebbe fatto una 
inammissibile applicazione analogica di tale norma, presumendo non soltanto 
la cessione ma anche, in tale occasione, 11 realizzo da parte del presunto 
cedente di un valore di avviamento, omettendo di considerare che 
in ordine a tlale realizzo -non confondibile col reddito di eserx:izio nessU!
Ila presunzione legaile � posta dalla legge e ohe, pertanto, avrebbe 
dovuto la Finanza -e poi il contribuente -dare la prova del proprio 
assunto, in base ad una logica valutazione di elementi che conducessero 
a far ritenere effettivamente avvenuto il trasferimento de1l'azienda. 

Il motivo � fondato. 

La presunzione � iuris tantum � di cessione di azienda, posta dal 
quarto comma dell'art. 197 del t.u. delle leggi sulle imposte dirette, appro� 
vato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, nei confronti di chi, nei medesimi 
locali o in parte di essi, continui ad esercitare la stessa attivit� commerciale 
svoltla dai precedenti titolari dell'azienda che gli si presume ceduta, 
nori ha infatti, una portata generale nel campo delle imposte dirette, 
ma � espressamente limitata dal legislatore alla discipJina della riscossione 
delle imposte gi� accertate (o comunque gi� dovute dal contribuente) 
al solo fine di facilitarla stabilendo, rispetto al loro pagamento, una responsabilit� 
solidale tra 11 presunto cessionario e il presunto cedente. 

La �ratio� di una siffatta presunzione � del tutto evidente: poich� 
tra l'attivit� che .genera la debenza dell'imposta e il suo accertamento da 

dell'abrogata legge di registro come rivelatori di un trasferimento e sicuramente 
la plusvalenza per realizzo di avviamento pu� bene basarsi su una 
presunzione di trasferimento dell'azienda. Ed anzi se per affermare la responsabilit� 
del terzo per un obbligo altrui � necessaria una norma espressa, questa 
esigenza non esiste per lo stesso contribuente che non pu� trarre profitto dal 
non aver reso palese la cessione. 

Ora se i fatti rivelatori di una cessione sono stati posti a fondamento di 
un accertamento per realizzo di avviamento, occorrer� valutare la sussistenza 
della cessione sulla base degli elementi presuntivi addotti, anche se in modo 
non del tutto ortodosso nell'accertamento si � fatta menzione dell'art. 197. 

Lascia seriamente dubbiosi la parte finale della motivazione ove si afferma 
che gli organi di giustizia tributaria non avevano il potere di sostituire d'ufficio 
il fondamento della pretesa fatta valere dalla finanza per indagare, a prescindere 
dall'art. 197, se la cessione potesse essere dimostrata in .via di presunzione 
semplice, ma dovevano necessariamente dichiarare nullo l'accertamento. Un 
tale rigorismo di forme, che esalta il peccato di imperfetta menzione di una 
norma precludendo al giudice di conoscere sulla sostanza della controversia, 
� certamente inconciliabile con il giudizio tributario che � di merito sullo 
accertamento del rapporto. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

parte ,della Finanza (o la stessa dichiarazione dei redditi da essa ricavati 
presentata dal contribuente all'ufficio delle imposte) trascorre un tempo 
notevole che per l'accertamento pu� giungere a calcolarsi in anni (tanti 
quanti sono quelli stabiliti dalla legge per la prescrizione del diritto della 
FiI1Janza all'accertamento in rettifica o in sostituzione dell'imponibile 
dichiarato, senza contare la durata spesso lunghissima dell'eventuale contenzioso 
tributario), pu� ben accadere che, in sede di riscossione dell'imposta, 
definitivamente accertata a tanta distanza di tempo dall'anno in 
relazione. al quale essa � dovuta, hl contribuente abbia perduto ogni suo 
bene o comunque -in buona o in mala fede -se ne sia disfatto (ivi oompresa 
l'azienda da cui scatur� iJ. reddito oggetto dell'imposta), cosioch� 
il recupero della medesima divenga impossibile per difetto di cespiti 
pignorabili, con gravissimo pregiudizio, materiale e morale, per la Finanza 
e intollerabile incoraggiamento a tal forma non sanzionabile di evasione 
tributaria. 

Ad evitare un cos� deprecabile fenomeno il legislatore, nei primi tre 
commi del citato art. 197, ha stabilito la responsabilit� solidale �degli 
acquirenti a qualsiasi titolo di una azienda produttiva di reddito di R.M. 
cat. B o Cl � con i cessionari � p�r il pagamento delle imposte sui redditi 
dell'esercizio e di quella sui redditi di categoda C2 dovute sulla base della 
dichiarazione o degli accertamenti dell'ufficio, da tutti i precedenti titolari 
per il periodo d'imposta in corso alla data della cessione e per il periodo 
precedente�. 

Al quarto comma poi, i�I legislatore ha aggiunto: � Agli effetti dei 
commi che precedono si presume acquirente, salvo prova contraria, chi nei 
medesimi :locali o in parte di essi, esercita la stessa attivit� commerciale 
dei precedenti titolari dell'azienda�. 

Pu�, dunque, concludersi che, sia da un punto di vista strettamente 
letterale (dal quale la limitazione della presunzione � in.equivoca per 
effetto dell'inciso �Agli effetti dei commi che precedono�, inciso che 
esclude chiaramente estensioni di sorta), sia dal punto di vista della 
� ratio� della norma (fare dell'avvenuta cessione dell'azienda iJ. titolo 
di una responsabilit� soHdale tra cedente e cessionario per il pagamento 
delle imposte gi� dal cedente stesso dichiarate o accertate nei suoi confronti 
dall'Ufficio e favorire sul piano probatorio la Finanza nel servirsi 
di tale responsab11it� solidalle, con una presunzione di cessione che ribalti 
sul contribuente l'onere di provarne l'inesistenza) non vi sia alcuna plausibile. 
ragione per applicare la presunzione di cui trattasi in un settore e per 
effetti del tutto diversi da quelli in ordine ai quali � stata posta. 

La pretesa dell'Ufficio delle Imposte di Bari nei confronti del vecchio 
Giuseppe Lippolis non atteneva ad alcuna responsabilit� solidale con altri 
per il pagamento di imposte dirette gi� dichiarate o gi� accertate, ma in 
essa ci si � serviti della presunzione creata al fine di rendere pi� facil



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

mente operante tale responsabilit� per accertare una imposta nuova 
a carico del Lippolis stesso; per accertare, cio�, mediante presunzione 
che 11 predetto avrebbe ceduto fa sua azienda ad una societ� costituita 
tra suo figlio e sua nuora e da tale presunzione ricavare l'ulteriore presunzione 
che, al momento di tale cessione, egli avrebbe realizzato il. valore 
di avviamento dell'azienda ceduta. 

A prescindere dalla inammissibilit� della � praesumptio de praesumpto 
�, qui � sufficiente osservare, per accogliere il ricorso del Lippolis 
padre, che non poteva, ex art. 197 gi� pi� volte citato, essere presunta 
la cessione per una finalit� del tutto diversa da quella per la quale la 
presunzione di cessione � posta (e, ovviamente, non potendo essere presunta 
la cessione, neppure il realizzo del valore di avviamento che in tale 
occasione si sarebbe verificato). Come il ricorrente esattamente sostiene, 
nell'impugnata decisione si sarebbe in sostanza pervenuti a fare l'applicazione 
analogica di una norma dettata per una materia (la riscossione delle 
imposte dirette: titolo X, capo II del citato t.u. n. 645 del '58) ad una 
materia tutt'affatto diversa: l'accertamento delle imposte dirette e pi� 
precisamente la determinazione del reddito netto de1la R.M. cat. B e Cl: 
titolo V, capo III del medesimo t.u.). 

Orbene, in materia tributaria pu� essere ammessa -ove ne ricorrano 
le condizioni -l'interpretazione estensiva di una norma, ma non 
mai quella analogica, quando, come ne1la specie, si voglia basare sull'analogia 
con altra materia il titolo della debenza di un'imposta e Ja possibilit� 
per la Finanza di provarla mediante presunzione. Regola generale 
del diritto tributario � che non possano essere pretese dal contribuente 
se non quelle imposte tassativamente previste ne1la legge e che spetti 
alla Finanza l'onere di provare il presupposto economico-giuridico sul quale 
l'imposta stessa � dal legislatore fondata e che ognuno risponda normalmente 
soltanto delle imposte che lo riguardano (che sono cio� in correlazione 
con la sua capacit� contributiva: art. 53 Cast.). 

Pertanto, la possibi.Jit� di applicare analogicamente .il citato art. 197 
fuori dei limiti di applicazione consentiti dalla lettera e) dalla � rntio � 
della norma, urta irrimediabilmente contro l'art. 14 delle preleggi ai sensi 
del quale � le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali 

o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esso considerati�. 
Conseguentemente, poich� l'Ufficio delle Imposte ha basato l'accertamento 
�de quo� unicamente sulla presunzione, di cui al citato art. 117; 
una volta accertata l'illegittimit� di tale presunzione, l'accertamento stesso 
non pu� che essere annu1lato, non avendo gli organi della Giustizia tributaria 
il potere di sostituire d'ufficio, nel corso del processo, il fondamento 
della pretesa fatta valere dalla Finanza e, quindi, di indagare se 
-a prescindere dalla presunzione di cui al citato art. 197 -si potesse 
nella specie cogliere nelle difese dedotte dal contribuente per offrire la 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

798 

prova contraria alJa predetta presunzione, elementi probatori sufficienti 
a dimostrare in via presuntiva semplice (senzia far ricorso ad akuna specifica 
presunzione legale) l'esistenza di un trasferimento di azienda. E ci� 
anche perch� prova e contro-prova non possono che essere valutate unitariamente, 
sicch� se l'ufficio non aveva il diritto di usare come mezzo di 
prova la presunzione di cui trattasi, nessun conto pu� neppure tenersi 
dalle deduzioni di contro-prova illegittimamente provocate. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 gennaio 1981, n. 496 -Pres. Marchetti Est. 
Corda -P. M. Valente (conf.) -Nunziata c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Viceconte). 

Tributi in genere � Contenzioso tributario � Morte deJfa parte � Omessa 
dichiarazione � Pronunzia della decisione � Legittimit� � Art. 31 d.P.R. 
26 ottobre 1972, n. 636 � Inapplicabilit� nel caso che l'evento sopravven� 
ga mentre il giudizio � pendente. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 31). 
La morte della parte produce effetti processuali soltanto quando sia 
dichiarata s� che in mancanza di dichiarazione � legittimamente pronunciata 
la decisione nei confronti della parte defunta in pendenza del procedimento,
� in tale situazione non trova applicazione l'art. 31 del d.P.R. 
26 ottobre 1972, n. 636 che prevede la proroga del termine per l'impugnazione 
quando la morte sopravviene in pendenza del termine non quando 
sia avvenuta anteriormente all'inizio della decorrenza di detto termine (1). 

(omissis) Nel caso in esame, pertanto, il termine ultimo per la proposizione 
del ricorso, tenut� conto, appunto, della data di pubblicazione 

(1) :� molto importante l'affermazione che la morte non dichiarata � irrilevante 
sul processo, con la conseguenza che la sentenza pronunciata nei confronti 
della parte defunta passa in giudicato con la decorrenza dell'anno dalla 
pubblicazione ex art. 327 c.p.c. (per l'applicabilit� dell'art. 327, riaffermata 
anche in questa pronunzia, cfr. pi� diffusamente le sentenze 24 gennaio 1981, 
n. 542 e 27 gennaio 1981, n. 624, in questa Rassegna, .1981, I, 590). 
Esattissima � anche la precisazione che l'art. ~1 del d.P.R. n. 636 del 1972 
disciplina soltanto l'ipotesi della morte che sopravviene mentre � gi� in corso 
il termine per proporre l'impugnazione. 

Resta il problema della notifica della decisione e soprattutto il ricorso per 
Cassazione quando la morte sia ignorata dall'Amministrazione e non � possibile 
entro il termine individuare gli eredi; sul punto v. C. BAFILE, Prime 
riflessioni sulla decorrenza del termine per la notifica del ricorso per Cassazione 
contro la decisione della Commissione Centrale, in questa Rassegna, 1977, I, 722. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

della decisione impugnata e della sospensione dei ternnini nel � periodo 
feriale�, scadenva il 1� settembre 1977; n� pu� ritenersi che fo stesso termine 
abbia subito �proroga� (ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 636) per effetto della morte del contribuente, poich� tale fatto 
si � verificato non gi� in pendenza del termine per la presentazione del 
ricorso contro la decisione impugnata, bens� in pendenza del gravame 
dell'Ufficio contro la pronuncia della Commissione Provinciale di Napoli. 
n citato art. 31, infatti, prevede -ai fini di detta �proroga� -l'ipotesi 
del decesso avvenuta in pendenza di un .termine ancora aperto; e del 
resto, se il termine in questione � prorogato di sei mesi dalla morte del 
contribuente, � ovvio che, essendo questa avvenuta in una precedente fase 
del giudizio, la stessa non pu� esercitare influenza alcuna agli effetti della 
tempestivit� del ricorso proposto davanti a questa Corte di Cassazione. 

Il ricorrente si adopera, inoltre, a dimostrare che sarebbe nulla la 
decisione impugnata, perch� emessa nei confronti del Nunziata deceduto, 
sostenendo che sarebbe conseguentemente nulla anche la notifica 
fatta ai figli che, al momento, non avevano la veste di �eredi�, ma solo 
di �chiamati alla eredit��. 

In proposito, per�, va osservato ohe il. decesso della parte in tanto 
pu� assumere rilevanza e, quindi, produrre effetti nel processo, in quanto 
venga dichiarato. E poich� non risulta che tale fatto fosse stato mai portato 
a conoscenza della Commissione Tributaria Centrale, non pu� che concludersi 
nel senso che la Commissione predetta bene ha pronunciato nei 
confronti del contribuente. In ogni caso, 11assunto contrario (e cio� l'alllegazione 
del fatto che il decesso era stato dichiarato e che, perci�, fa pronuncia 
era stata data nei confronti di un soggetto che gi� risultava come 
non pi� esistente) l'odierno ricorrente avrebbe dovuto, eventualmente, 
dedurre con una tempestiva impugnazione. Ma poich� deve� concludersi 
-in base a quanto si � detto in precedenza -che la notifica della decisione 
ai figli del contribuente era avvenuta quando gi� la decisione era 
passata in giudicato, � vano discutere della regolarit�, o meno, della 
notifica di che trattasi, anche se la questione � stata posta, in ultima 
analisi, per gli eventuali riflessi che avrebbe potuto avere sulla legittimazione 
ad processum. Ad abundantiam, tuttavia, pu� ancora osservarsi, 
secondo quanto suggerito dalla difesa dell'Amministrazione, che la posi� 
zione del ricorrente appare, in proposito, palesemente contraddittoria, 
perch� da un lato egli assume di avere proposto l'impugnazione nella sua 
qualit� di chiamato all'eredit� (e, quindi, per compiere un atto diretto 
alla conservazione del patrimonio relitto dal contribuente) e, dall'altro, 
finisce per negare di avere la legittimazione a esercitare il relativo diritto. 

(omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

800 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 gennaio 1981 n. 571 -Pres. Sandulli Est. 
Corda -P. M. Grossi (conf.) -Soc. Fiscambi (avv. Salvucci) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Rossi). 
Tl'ibuti erariali indiretti -Imposta di registro -Privilegio -Decorrenza 


Imposta principale dalla data di confezione dell'atto � Imposta com� 

plementare e suppletiva dalla data della registrazione. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 97; e.e. 2772). 
Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Privilegio -Validit� Azione 
esercitata contro il debitore -Termine di decadenza. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 97). 
Il privilegio speciale che assiste l'imposta di registro sorge al momento 
della confezione dell'atto per l'imposta principale ed al momento della 
registrazione per l'imposta complementare e suppletiva (1). 

Il privilegio speciale che assiste l'imposta di registro � soggetto al 
termine triennale di decadenza sia quando venga esercitato verso terza 
possessore sia quando venga vantato contro lo stesso debitore (2). 

(omissis) 1. -Col primo motivo, Ja ricorrente S.p.A. Fiscambi lamenta 
la violazione e falsa app.licazione degli articoli 97 della legge organica 
di registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269) e 2772 cod. civ. Critica la sentenza 
impugnata nella parte in cui afferma che il privilegio speciale sugli 
immobili, relativo al � supplemento� di imposta, prende data dal. momento 
in cui l'atto (al quale l'imposta di registro si riferisce) viene posto in 

(1-2) La prima massima introduce una illogica distinzione, sorretta da una 
argomentazione assai fragile. Ai fini del privilegio la distinzione va fatta tra 
imposta principale e complementare, soggette allo stesso regime, e imposta 
suppletiva. Ci� emerge chiaro sia dall'art. 97 della legge di registro ove si 
precisa che lo stesso privilegio garantisce anche l'imposta complementare, sia 
dall'art. 2772 e.e. nel quale la limitazione dell'ultima parte del primo comma 
riguarda soltanto l'imposta suppletiva. 

Le assai elaborate sentenze lrl maggio 1978, n. 2994 e 3 aprile 1979, n. 1878 
(in questa Rassegna, 1978, I, 621 e 1979, I, 554) hanno affermato, a seguito di 
una disamina che supera le anteriori diverse statuizioni, che il privilegio sorge 
al momento della confezione dell'atto (ed � quindi poziore rispetto a diritti 
acquisiti nel tempo intercorrente tra la confezione e la registrazione) non 
soltanto per l'imposta principale, ma anche per l'imposta (complementare) 
dovuta a seguito di decadenza da agevolazioni; per la st�ssa ragione bisogna 
risalire alla data di confezione dell'atto non soltanto nelle varie ipotesi in cui 
l'imposta viene ordinariamente liquidata in un momento ritardato (negozio 
condizionato, contratto a corrispettivo variabile ecc.) ma anche per l'imposta 
� sul maggior valore accertato �. 

Nessuna ragione pu� giustificare il ritardo della operativit� del privilegio 

per l'imposta complementare; e sarebbe assurdo lasciare alla discrezione del 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 801 

essere. Denuncia l'erroneit� di tale impostazione, assumendo che, in caso 
di � supplemento� di imposta, il privi!legio speciale suddetto prende, 
invece, data dal giorno della registrazione dell'atto; con la conseguenza nel 
caso concreto, che il privilegio non poteva essere esercitato in pregiudizio 
dei diritti di essa ricorrente che aveva iscritto (sull'immobile al quale si 
dferiva il tributo garantito dal privilegio speciale) un'ipoteca di undici 
giorni anteriore alda registrazione. 

La censura � fondata nei termini e limiti che saranno qui appresso 
indicati. 

La sentenza impugnata, per respingere il motivo di appello .incidentale 
proposto dalla Fiscambi contro la pronuncia di primo grado (motivo 
che ricalcava, ne1la sostanza, quello oggi riproposto in questa sede) si �, 
invero, limitata a enunciare la regola che il privilegio speciale sugli immobili, 
relativo alla �normale� imposta di registro, prende data dal giorno 
in cui � posto in essere l'atto soggetto a registrazione (e, a conforto, ha 
citato la sentenza di questa Corte Suprema 24 aprile 1963, n. 1086); mentre, 
nel caso di .imposta � suppletiva � il privilegio prende data dal giorno 
della registrazione. E, dopo questa premessa (peraltro neppure puntuale, 
perch� fa � normalit� � dell'imposta attiene alJa misura dell'aliquota, non 
gi� ailla natura dell'imposta stessa, di modo che ha ben scarso significato 
il contrapporre l'imposta �normale � a quella � suppletiva � quando voglia 
enunciarsi la regola del differente trattamento in tema di nascita del privilegio 
speciale; non esauriente, inoltre, perch� viene totalmente trascurata 
Ja considerazione del trattamento legale riservato all'imposta �complementare
�) ha concluso che �essendo l'atto soggetto all'imposta di 
data anteriore alla iscrizione dell'ipoteca di cui la Fiscambi � titolare, 
non pu� dubitarsi che il conflitto fra privilegio speciale a favore dello 
Stato e diritto d'ipoteca spettante al terw si risolve a vantaggio del 
primo�. 

contribuente il poter manipolare l'efficienza del privilegio con il registrare 
l'atto successivamente (molte cose possono essere fatte nel termine di 20 
giorni) ad altri atti di costituzione di diritti. 

A ben diverse esigenze deve sottostare l'imposta suppletiva (imprevedibile, 
mentre � sempre da prevedere, nel termine annuale di decadenza, un accerta� 
mento di maggior valore); ma la differenza non sta nella decorrenza del 
credito e del privilegio dal momento successivo della registrazione (� ben 
difficilmente accettabile che l'unica obbligazione tributaria di registro sorga 
frazionatamente in momenti diversi). Anche per l'imposta suppletiva il privilegio 
sorge (verso il debitore) al momento della confezione dell'atto, ma in realt� 
esso non � esercitabile verso i terzi che comunque abbiano acquisito diritti, 
anche successivamente alla registrazione. 

Per una ben diversa ratio il privilegio sulla imposta suppletiva cede sempre 

ai diritti dei terzi acquisiti prima che esso venga esercitato ed in ci� si distingue 

nettamente dall'imposta complementare. 

Del tutto fragile � l'argomentazione che aggancia la validit� del privilegio 

al decorso del termine di prescrizione individuando in ci� una differenza tra 

~:::::::?-::?.::?.?.:::r.-rr:.::::::::;=::t.w.xr.w�.-r:::{.-::r1":::r-r:~?:::~~r:~:r:f~fff:~~~~f~rfr~~=J~~~~~~:~:~~~~ff?frf~f:f:ff:~~~f:~~~~~~~~~?~~r~~~~~f~~~~f~~~~~~~~~~~rffrfrt:rff]fili2WfmIK1r~--mrrtrf%f@'ftjf:rtKiW& 

�111111�1�11�1�111111111~PJ1�i�1111�r1��111�1� 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

802 

Siffatta conclusione, per�, non � neppure conseguente alla � premessa 
maggiore�, peroh� nel ragionamento seguito � chiaramente saltato il 
gradino della � premessa minore � ossia la qualificazione giuridica delle 
imposte in forza delle quali l'Amministrazione aveva esercitato H privilegio 
(tale non essendo, come si � accennato, quella qualifica di �normalit�
� contenuta nella predetta �premessa maggior�). E se pu�, da un 
lato, affermarsi che quello qui rilevato integra gli estremi di un vizio 
di motivazione e, altres� che una tale denuncia � stata omessa dalla ricorrente, 
bene pu� da11'altro, ritenersi che anche la denuncia di � violazione 
e falsa applicazione degli articoli 97 della (vecchia) legge di registro e 2772 
cod. civ. � ~quest'u1timo nel testo antecedente alla modif�ca apportata 
dalla legge 29 luglio 1975, n. 426) consente tuttavia, data la particolarit� 
della fattispecie (come sar� pi� avanti chiarito) di esaminare la questione 
sotto l'aspetto dell'intrinseco vizio giuridico contenuto nella predetta conclusione. 


La resistente Amministrazione finanziaria, peraltro, sembra negare 
anche, in modo assoluto, l'esattezza della riferita �premessa maggiore�, 
poich� sostiene (richiamandosi a1la �consolidata giurisprudenza�) che 
nascendo l'obbligazione tributaria sempre al momento del verificarsi del 
� presupposto � (ossia, giacch� si � in tema di imposta di registro, al 
momento in cui viene posto in essere l'atto soggetto a registrazione) solo 
a quel momento pu� essere fatto risalire il sorgere del privifogio speciale. 
Ma una siffatta convinzione, evidentemente, ha origine in una non attenta 
disamina dei precedenti giurisprudenziali invocati. 

Intanto va chiarito che l'art. 97 della legge organica di ~egistro del 
1923, dopo avere premesso che fo Stato ha privHegio, secondo le norme 
stabilite dal codice civille, per la riscossione delle � tasse � di registro sui 
mobili e immobili cui la tassa si riferisce e, altres�, che il privilegio 
� garantisce anche la tassa dovuta sul maggior valore � accertato nel 

imposta principale e imposta complementare e suppletiva. Premesso che � ben 
possibile l'ipotesi che sia dovuta una imposta principale su atto gi� registrato 
(si pensi all'imposta dovuta su atto registrato per errore gratuitamente) 
soggetta a prescrizione triennale, si deve rilevare che � del tutto razionale il 
decorso della prescrizione dalla data della , registrazione, mentre sarebbe 
illogica la decorrenza da un momento anteriore; ma questo non significa che 
prima della registrazione non esiste nulla. 

Anche la seconda massima approfondisce scarsamente il problema. Senza 
dubbio tutte le numerose :pronunzie che hanno considerato di decadenza il 
termine dell'art. 97 si sono basate sull'esigenza di tutelare la circolazione dei 
beni e il diritto dei terzi; presumere che la stessa regola valga anche verso il 
debitore � troppo elementare se si considera la eccezionalit� della durata improrogabile 
del privilegio. La questione meriterebbe un maggiore approfondimento; 
essa si presenta sotto diversa luce con la normativa della legge vigente (art. 54 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634) che stabilisce invariabilmente l'estinzione del 
privilegio nel tennine di cinque anni dalla registrazione. 
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803

PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

giudizio di stima� (imposta complementare) disponeva che �l'azione si 
estingue nei termini stabiliti da1la presente legge per domandare il paga� 
mento della tassa o deil suo supplemento �. 

Ora, per quanto in questa sede non interessi particolarmente il problema 
de1la natura della � estinzione � (peraltro, unanimamente risolto 
nel senso che trattasi di una �decadenza�: v. ad es. la sent. n. 1086/63) 
non pu� tUJttavia, non rilevarsi che se l'estinzione delJ'1azione privilegiata 
� legata al termine stabilito 1per l'estinzione de11'azione diretta a chiedere 
il pagamento dell'imposta, analogo legame deve ritenersi sussistente per 
ci� ohe attiene alla nascita di detta azione. E poich� � stabilito che l'azione 
per chiedere l'imposta principale (l'imposta, ovviamente, dovuta per gli 
atti non registrati: ch�, se l'atto � presentato alla registrazione, l'imposta 
prmcipale non viene pi� in constiderazione, perch� COIU'.'isposta iin quel momento) 
si prescrive in venti anni {art. 138) mentre quella relativa 1alla richie. 
sta di pagamento del � supplemento di tassa � si prescrive col decorso di 
tre anni � dal giorno della registrazione� (art. 136, secondo comma) � di 
palmare evildemia che il privilegio nasce, nel primo caso, il giorno del com� 
pimento dell'atto, e nel secondo caso, il giorno della registrazione. E ci�, 
naturalmente, peroh� non pu� intendersi la concessione di un privilegio che 
non sia accessorio a un'azione esercitabile. N� vi � dubbio -anche al 
lume delle indicazioni fornite dalla migliore dottrina -che con l'espressione 
� supplemento di tassa � (peraltro non perfetta, sia perch� il voca� 
bolo � supplemento � non ha riscontro nell'art. 7 che specifica i vari tipi 
di imposta, classificate secondo la loro intima natura, in relazione al 
momento della riscossione; sia perch� il tributo in questione � un'imposta 
indiretta, non gi� una tassa, come invece, sembra ritenere la ricorrente) 
il legislatore abbia inteso riferirsi non solo all'imposta suppletiva, ma 
anche a queilla complementare: abbia inteso, cio�, riferirsi a tutte quelle 
imposte che, in relazione al momento della riscossione, differiscono dalla 
imposta principale. 

Questa stessa impostazione, d'altra parte appare gi� chiara nella 
giurisprudenza di questa Corte Suprema. Infatti, se da una parte si rin� 
viene la perentoria affermazione che il credito de1lo Stato per imposta 
di registro nasce, unitamente al connesso privilegio immobiJ.iare, al 
momento e per effetto della �confezione� delil'atto, per cui il privilegio 
stesso prevale, indipendentemente :da1la data di registrazione dell'atto dal� 
la cui tassazione nasce il credito d'imposta con esso garantito, sulle 
ipoteche di terzi iscritte sullo stesso immobile successivamente alla � confezione
� dell'atto soggetto a registrazione (v. in tal senso, le sentenze 
1879/79, 2294/78; 2293/73, 2856/72, 2271/69; 610/64 e sono evidentemente 
le sole sentenze che la Corte di appello e l'Amministrazione resistente 


804 R~SSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

hanno tenuto presenti) si rinviene, daill'altra, J'affermazione apparentemente 
opposta, poich� la nascita del credito dello Stato, sempre ;per 
l'imposta di registro, e iJ connesso privilegio immobiliare sono fatti 
risalire al giorno della registrazione (sent. 2204/69; 2565/67; 1086/62). Non 
si tratta, per� a ben vedere di un � contrasto giurisprudenziale � bens� 
di due gruppi di sentenze che attengono a due fattispecie diverse: il primo 
riguarda l'imposta principale; il secondo, il �supplemento di tassa�, 
ossia l'imposta suppletiva o quella complementare. 

� chiaro, pertanto, che quando si discute di anteriorit� o prevalenza 
del privilegio speciale deHo Stato sulle ipoteche o altri diritti reali dei 
terzi, deve, in primo luogo, essere determinata con precisione la natura 
dell'imposta pretesa. La distinzione tra imposte principali, complementari 

o suppletive, infatti non � in linea generale rilevante solo agli effetti della 
prescrizione o dell'individuazione dei soggetti obbligati al pagamento, ma 
ailtres� per quanto si � detto, anche agli effetti del privilegio dello Stato 
per la riscossione. Lo stesso art. 1772 cod. civ. nel vecchio testo (vigente 
al tempo in cui � sorta la controversia in esame) stab11iva, fra l'aLtro, con 
una disposizione rimasta peraltro in vigore anche dopo la modifica del 
1975, che �se si tratta di imposta di registro suppletiva, il privilegio non 
si pu� neppure esercitare in pregiudizio dei� diritti acquistati dai terzi 
dopo la registrazione dell'atto �. La necessi1t� dell'individuazione della 
natura de1l'imposta, perci�, appare quantomai necessaria. 
La norma or ora citata disponeva (e anche questa disposizione � rimasta 
.invariata) che hanno privilegio i crediti dello Stato per ogni tributo 
indiretto sopra gli immobili ai quali il tributo si riferisce, precisando che 
� il privilegio non si pu� esercitare in pregiudizio dei diritti che i terzi 
hanno anteriormente acquistati sugli immobHi �. E poich� � palese che 
l'anteriorit� in parola deve essere riferita al momento in cui il creditore 
d'imposta acquista il privilegio, sempre pi� evidente si manifesta la 
necessit� di individuare il � tipo � di imposta cui il privilegio � relativo 
proprio perch� il privilegio -come si � detto -nasce al momento del 
sorgere del credito (al momento della �confezione� dell'atto, per l'imposta 
principale, in caso �di omessa registrazione, al momento della registrazione 
per le imposte complementare e suippletiva). 

L'individuazione del tipo di imposta, cio�, finisce per diventare un 
elemento integrativo della fattispecie; ed � chiaro, aJlora, che la relativa 
omissione (riscontrabile, come si � premesso, nel ragionamento seguito 
dalla Corte d'appello) rileva non solo e non tanto come vizio logico del 
ragionamento (non dedotto in concreto), ma soprattutto come violazione 
di legge, nel senso della falsa applicazione �di essa. 

Il rilievo di taJe vizio, pertanto, comporta l'accog.Umento del motivo 
di ricorso in esame e quindi l'annu1lamento della sentenza. n giudice di 
rinvio, conseguentemente, dovr� procedere alla individuazione predetta, 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

tenendo conto delle circostanze di fatto gi� risultanti dagli atti e particolarmente 
di �quelle relative al giudizio di primo grado, nel quale la stessa 
Amministrazione finanziaria aveva precisato che il credito aveva titolo 
formaJe in due ingiunzioni di pagamento; a) la prima, relativa .aJla registrazione 
(avvenuta il 29 aprile 1964) dell'atto di vendita dell'immobile 
su cui iJ. privilegio gravava, originata dal fatto che l'Ufficio aveva accertato 
(appunto, dopo la registrazione) che trattavasi di �botteghe� e non 
di � appartamenti � per cui l'imposta doveva essere liquidata nella misura 
�normale�; b) la seconda, relativa alla �registrazione dell'atto di trasferimento 
di un appartamento (dello stesso stabile), originata dal fatto 
dell'omessa presentazione tempestiva dei documenti comprovanti la spettanza 
del beneficio, invocato ai sensi della legge reg. sic. 28 aprile 1954, 

n. 11. Solo dopo accertato il momento della nascita de1 privilegio :(e, 
quindi, dopo risolto il problema della �prevalenza� dell'una sull'aJtra 
delle garanzie), dovr�, poi, essere esaminato e risolto quello della eventuale 
estinzione del privilegio speciale, su cui l'attuale ricorrente aveva 
imperniato le proprie difese, nelle fasi di merito. L'estinzione del privilegio, 
infatti, acquista rilevanza nell'ipotesi che il privilegio stesso sia 
dichiarato prevaJente; ed � ovvio che il problema potr� essere risolto se, 
prima sar� individuato con esattezza (tenuto conto, appunto, del � tipo� 
di imposta) il momento della nascita del privilegio predetto. 
Va, infine, chiarito -sempre in relazione a questo primo motivo di 
ricorso -che non ha fondamento l'assunto �subordinato� dell'Amministrazione 
resistente, secondo cui, in ogni caso (cio� anche nell'ipotesi in 
cui fosse ritenuta l'anteriorit� dell'ipoteca della Fiscambi, rispetto alla 
nascita del privilegio), dovrebbe ritenersi la prevalenza del privilegio speciale. 
Tale assunto la resistente ha fondato sulle seguenti considerazioni: 
a) ai sensi del secondo comma dell'art. 2748 cod. civ., i creditori che hanno 
privilegio sui beni immobili sono preferiti ai creditori ipotecari �se la 
legge non dispone diversamente�; b) l'art. 2772, nel far salvi i diritti che 
i terzi hanno acquistato anteriormente sugli immobili, non contiene affatto 
quella diversa disposizione, perch� � riguarda solo il diritto di propriet� 
e i diritti reali di godimento, ma non anche i diritti reali di 
garanzia�. 

Tale assunto, � per� privo di fondamento perch� l'art. 2772, nella 
parte che interessa, contiene proprio -per tabulas una deroga alla norma 
contenuta nel secondo comma dell'art. 2748; mentre la sentenza 3637/71 
di questa Corte Suprema invocata dalla resistente a sostegno del proprio 
assunto, non contiene affatto J'enunciazione di quel principio ma si limita 
a ribadire fa regola enunciata nel secondo comma (vecchio testo) del 
citato art. 2772, secondo cui il privilegio, �per quanto riguarda l'imposta 
di successione, non ha effetto a danno dei creditori del defunto che hanno 
iscritto ipoteca nei tre mesi dalla morte di lui �. 


806 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

2. -Col secondo motivo, la ricorrente lamenta � omessa e contrad� 
<littoria motivazione in ordine all'esclusione dei limiti temporali previsti 
dal citato art. 97, nei confronti dei terzi, e pi� in particolare, dei terzi 
portatori di diritti reali di garanzia 1su beni oggetto di privilegio fiscale >>. 
Critica la sentenza nella parte in .cui afferma che la decadenza relativa al 
privilegio (art. 97 secondo comma) si verificherebbe solo nel caso in cui 
la Finanza agisca contro il terzo aoquirente dell'immobile gravato dal 
privilegio predetto. Denuncia l'erroneit� di tale impostazione assumendo 
che al contrario, la decadenza in parola pu� ritenersi verificata anche 
nella fattispecie caratterizzata dal fatto che l'Amministrazione finanziaria 
agisce direttamente contro il debitore d'imposta che abbia conservato il 
proprio diritto reale sull'immobile predetto, ovvero contro il terzo credi� 
tore di tale debitore. 
Anche questa censura � fondata. 

L'art. 97 della legge organica di registro del 1923 disponeva -come 
gi� si � ricordato -che � l'azione si estingue nei termini stabiliti dalla 
presente legge per domandare il pagamento della tassa o del suo supplemento
�. E poich�, n� in taJe norma, n� in alcun'altra, al verificarsi della 
predetta decadenza � posto alcun limite di carattere soggettivo, deve 
senz'altro concludersi che la tesi affermata dai giudici di appello non ha 
riscontro alcuno nella realt� giuridica. La convinzione dei giudici di 
appello � stata, probabilmente determinata dal fatto che, contro il debitore 
di imposta, l'Amministrazione agisce, per il recupero entro termini 
che sono di prescrizione e non di decadenza: argomentando da tale incontestabile 
fatto si sarebbe, cio�, finito per concludere che anche l'azione 
privilegiata (al pari di quella di recupero, esercitata contro il debitore 
di imposta o il terzo suo creditore ipotecario) sarebbe soggetta a termini 
di prescrizione e non di decadenza. Ma una siffatta argomentazione � 
sicuramente erronea, perch� non tiene conto che nessuna norma, n� alcun 
inviolabile principio, autorizza a ritenere che >l'azione di recupero debba 
essere assistita dal privilegio per tutta la sua possibile durata (rprolungata, 
cio� da eventuali fatti interruttivi o sospensivi della prescrizione): 
laddove � �chiaro, invece, che l'azione predetta � � privilegiata � solo entro 
i limiti di tempo utili per far valere il privilegio (che, essendo di � decadenza
� non subiscono quel prolungamento), scaduti inutilmente i quali 
l'azione di recupero che non fosse ancora prescritta cesserebbe, ovviamente, 
di essere privilegiata. 

I predetti giudici per�, non hanno per la verit� indicato alcun argomento 
logi:co-giuridico idoneo a sorreggere il loro convincimento, ma si 
sono limitati a dichiarare che doveva intendersi �pacifica� quell'intel1pretazione 
della norma poich� la stessa 1cos� risultava intel1pretata da questa 
Corte Suprema con la sentenza 3388/73 e dalla Corte Costituzionale con 
la sentenza 141/74. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 807 

Siffatto assunto si colloca per� anche esso fuori della realt�, perch� 
se � vero, da un lato, che le sentenze citate sono entrambe relative a fattispecie 
in cui la Finanza aveva agito contro un terzo aoquirente dell'immobile 
(cio� non direttamente contro il terzo debitore d'imposta), non � 
men vero, dall'altro ohe le stesse non contengono affatto l'affermazione 
che la decadenza non pu� verificarsi quando l'Amministrazione agisc~ 
contro il debitore d'imposta ohe sia anche titolare del diritto reale sull'immobile 
gravato da privilegio speciale, ovvero contro il suo creditore ipotecario. 
Laddove, peraltro, riuscirebbe ben difficile comprendere la ratio 
di un diverso trattamento nei confronti del terzo acquirente e del terzo 
creditore ipotecario; giacch� nei confronti del primo l'azione privilegiata 
dell'Amministrazione sarebbe soggetta a termini di decadenza, mentre 
nei confronti dell'altro sarebbe soggetta a termini di prescrizione. � ben 
vero, d'altra parte, che nella sentenza della Corte costituzionale {in particolare) 
si accenna alla ratio legis che avrebbe tenuto conto, nel dettare 
il termine di decadenza, dell'esigenza di tutelare il terzo acquirente: ci� 
per� non signiifi<:a, ovviamente, che se in concreto manca un terzo acquirente 
non possa pi� parlarsi di decadenza. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 gennaio 1981, n. 572 -Pres. Marchetti Est. 
Martinelli -P.M. Catelani (diff.). Kemenater (avv. Tamburello) 
Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi mgenere � Accertamento tributario -Notificazione � Nullit� � Sa� 
natoria . Art. 21 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -Applicabilit� ai rapporti. 
anteriori � Esclusione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 21). 
Tributi in genere � Accertamento Tributarlo � Notificazione � Nullit� � 
Sanatoria � Notifica eseguita in luogo diverso da quello prescritto � 
Inapplicabilit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 21 e 24). 
Tributi in genere � Accertamento tributario � Notllicazione � Sanatoria � 
Necessit� dell'impugnazione dell'atto � Impugnazione di atto successivo 
� Non si veri.fica. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 21 e 24). 
La norma dell'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, concernente 
la sanatoria della notifica dell'atto di accertamento ha rilevanza, oltre che 
processuale, anche sostanziale e sotto questo profilo non � applicabile ai 
rapporti sorti anteriormente alla riforma tributaria (1). 

(.1-3) Se si rpu� concordare su;Ha pI'ima massima e particolarmente su.L1a 
affermazione che lia regoil.a !introdotta con ~�aI't. 21 ha una portata sostainziia;]e 



808 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La sanatoria dell'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 trova applicazione 
nei casi di vizi comportanti nullit� relativa, ma non quando si 
tratti di inesistenza giuridica della notificazione, come nel caso che sia 
effettuata in luogo diverso da quello prescritto (2). 

La sanatoria prevista dall'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 
opera soltanto quando la rinnovazione della notificazione riguarda l'atto 
direttamente investito dalla impugnazione, non anche quando sia impugnato 
un atto successivo, come nel caso che sia impugnato il ruolo sul 
presupposto della mancata notificata dell'accertamento (3). 

(omissis) Con il primo e secondo motivo che stante 1a loro interdipendenza 
logiica vanno congiuntamente esaminati, il ricorrente, lamentando 
la violazione degli artt. 112 codice procedura civile, 25, 29, 31 primo 
comma d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, 153, 154, primo comma, 157, 162 
primo comma codice procedura civile, 31, 32, 38 d.P.R. 29 gennaio 1955, 

n. 645 in relazione all'art. 360 n. 3 e 4 codice procedura civile, censura 
l'impugnata decisione pet aver, da un lato, omesso completamente di pronunciare 
sulle richieste del contribuente, che aveva eccepito l'assoluta 
mancanza di notificazione dell'accertamento nel domicilio fiscale, prescritta 
dall'art. 38, lett. c) e d) del d.P.R. 646/58 all'epoca vigente, e la 
decadenza del potere dell'ufficio di rinnovarla per la sopravvenuta scadenza 
del termine per l'accertamento, dall'altro, per avere disposto la rinnovazione 
della notificazione, pur senza averne il potere, e senza nemmeno 
rilevare che l'atto da rinnovare non era un atto meramente processuale; 
che alla nullit� aveva dato causa la stessa P. A. che aveva richiesto la 
in quanto concerne Ji'elimLnazione dehla decadenza dailJ potere dii accertamento, 
si deve disseDJtire dalllie altre due maissdme che riveliafilo la insufficiente consdderazdone 
deJ:t'ampia portata del probfoma. 

Innamii tutto va ricordato che neillle non molte occasioni �ll1 cud lia S.C. s!�. � 
;pronunciata 1sono emerse rtendenze non undvoche. 

La 1sentenza 110 novembre 1979, n. 5789, citata nel rtesto (1n Foro It. 1980, 
I, 1034), proponendo un'iinterpretaz:ione ristrettissima de1Yart. 21, aveva affermato 
che illa sanator.iia in esso prevista potesse riguardare sotlrtainto J'atto cont['o 
cui � 'P'I'OPOSto 1iili ricorso e non un atto a'lllteriore ,sia pure presupposto e qumdi 
nel caso dd i!�coPso cO�lltro iUJ ruolo, basato sU!hla dnes1stenza dii una wilida notifica 
dii precedente accertamento, non poteva orilinami fa riinnovazione defila notifica 
de11l!010certamento. 

All'opposto altra pronunzia (13 giugno 1979, n. 3332 in Riv. Leg. fisc. 1980, 
251), con una dm.terpretazioDJe 1aliliargiata daJili'a:rt. 21, ,ammetteva che 1La s1anatoria 
srn veriifichi quando d'ufficio di 1sua irnzia:tiva provveda a !t'innovare, 1anche dopo 
iIJ� 1scadenza del termine, ffia notifica del�.'acce:rtamento, senza che sffia nemmeno 
necessama un'ordhmnza defila commissione ed 1a[1Che indillpendenrtemente dailil:a 
fu:ntpuginazione. 

' Altra pronunzia riconfermava che alhlia s1anatoma delil'.art. 21 non � dd osta,. 
colo ilJ'avv,enuta 1scadenza del termdne stabilito per 11a notifica dellli'accertamento 
(20 maggio '1980, n. 3306 rin questa Rassegna, 1981, I, 226), che anzi 11a mgiion 
d'essere deilila norma 1sta proprio in questo, non potendosi nemmeno dubitare 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 809 

rinnovazione; e che la rinnovazione era, in ogni caso, preclusa da un 
termine perentorio, ,stabilito daJ.l'art. 32 del d.P.R. 645/1958, del quale era 
inammissibile una proroga. 

Con H terzo motivo, denunciando la violazione del combinato disposto 
degli artt. 157 e 162, primo comma, cod. proc. civ., nonch� del principio 
generale dell'obbligo della motivazione, il ricorrente censura l'impugnata 
decisione nel punto in cui avrebbe, apoditticamente, rilevato soltanto vizi 
di notifica, laddove si sarebbe trattato, invece, di una mancata (nel senso 
di non eseguita) notificazione nel comune di residenza e domicilio fiscale 
del contl.'ibuente. 

Con il quarto motivo, denunziando la violazione dei principi generali 
contenuti nell'art. 11, primo comma e 15 delle disposizioni sulla legge 
in generale, in connessione con la violazione degli artt. 31, primo comma, 
38 lett. e) d) e ultimo comma del t.u. 645/1958, 21, 24, primo comma e 
29 secondo comma, del d.P.R. 636/1972, 160 cod. proc. civ., 76 secondo 
comma, 31, 42, 43, 58, 59 e 6{) del d.P.R. 600/1973, il ricorrente deduce che, 
nella specie, non avrebbero potuto essere applicate le disposizioni sul 
domicilio fiscale e sulle notificazioni, introdotte con il d.P.R. 600/1973, n� 
quelle sui poteri delle commissioni tributarie di primo e di secondo 
grado in materia di rinnovazione di notificazione invalida dell'accertamento 
stablite dal d.P.R. 636/1972, dovendo applicarsi, invece, soltanto 
la normativa contenuta nel t.u. n. 645/1958, vigente al momento dell'accertamento 
in contestazione. 

Deduce, ancora, la violazione del principio generale dell'obbligo della 
motivazione, per non avere la C.T.C. indicato sotto quali dei vizi di notifi


drelhl'ilJlJimitata possib~Lit� in ogni situazione di ripetere entro jJIJ termine ila notifica 
di quai1UJilque atrto. 

Con ffia reoeoossima novcll1a dcl proces,so tributamo (d.P.R. 3 novembre 
1981, n. '7139) l'art. 21 � stato profondiaimente modificato, ma � rimasto sostanziiaffimente 
invariato il. co!Jlegiamenrf:o tra ordinanza di ri!llnoviazi.one e aJ�lto 
cOl!ltro ili quailie ili ricoziso � stato proposto. 

:e pert~to importante confutare il prinoipio del1ila iterza mas�sima. 

L'operativit� de:fil'airt. 21 nel senso delilJa tpossffibiilit� ,di rimiov,azione de[la 
notifica del.!l'aicoertamento SOilo quatndo questo sia ~'�atto ,cliirr'etitamente e formaJ.mente 
impugllliato, pu� faa-pens,are che il!a norma non 1abbia un pratico contenuto; 
� invece evidente m non lieve portata limlovart:dva deillla illOI1IDa, che non a 
caso � stata sospettata di ilfLeg;irf:thrui,t� ,oostiituzionailie. 

Nelffia formulazione letteriaile delil'airt. 21 fil riferimento ~M'arf:to �contro iil1 
quale � stato P'roposto ili: ricorso � non ha una portata Jiimitatdiva, ma sta a 
sdgrrJI�ficare che non pu� essere clichia.ratla la decadenza a causa del: .djfetto di 
regofare notifica tutte le volite che taile regoLariit� v1iene comunque apposrba 
dail!1a parte, ma deve ~nveoe provvedersi ad ordinare :La rillrunova:zfone con effetto 
sonante. 

Ed invero non si comprende perch� di fronte ad una notiif�oa irregOllare 
de11'acoertamento si pos.sa avere sanatoria ove i;l soggetto pas1s~vo rioorra contro 
racoeritamento deduoendo per l'a;piprunto llJ'irregoiarit�, ma debba negarsi fa 



I

I

810 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ~ 

i 

cazione per i quali la nuova legge consente la rinnovazione della notifica, ~ 

f;

potesse farsi rientrare il vizio di non eseguita notifica nel comune di resi1: 
denza e di domicilio fiscale del contribuente. " 
f;f: 

~:

Le censure, per quanto di ragione, sono fondate. ~: 
Va, innanzitutto, rilevato che la sanatoria, con effetti ex tunc, prevista $ 

�

dagli artt. 21, 24 d.P.R. n. 636 del 1972, per le notificazioni nulle, non 
soltanto degli atti processuali, ma dello stesso atto acoertativo ed impo~ 
sitivo del tributo (direttamente investito dall'impugnazione), assume per 
quest'ultimo atto, oltre che natura ed effetto processuale, anche quello di 
natura sostanziale. Tuttavia, se la disposizione in esame trova, ugualmente, 

Ii

applicazione anche per i procedimenti in corso, riguardanti rapporti tributari 
insorti in data antecedente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 636 


Ii

del 1972, per quanto attiene alla natura e agli effetti processuali del.la 
sanatoria (in base al principio, di carattere generale, che gli atti proces


I

suali sono regolati dalle norme giuridiche in vigore al momento del loro p ! 
compimento), ci� non pu� affermarsi, per quanto attiene agli effetti 
sostanziali dell'atto investito dall'impugnazione del contribuente. 


II 

Infatti, la rinnovazione della notificazione dell'atto di accertamento 

I

tributario, nullo per essere stato, irritualmente, notificato al contribuente 1

l

(e senza che, comunque, detto atto abbia raggiunto il suo scopo nei ter


!

mini e nelle forme previste nella pregressa legislazione), trova un limite ! 

(

invalicabile nell'intervenuta decadenza in cui sia incorsa la Finanza (ex i 

sanatoriia. ove ila stessa 1�il1rega1ar.it� venga dedotta in aJJtro momento ricorrendo 

I

contro dii. ruolo o conko f�!ll!giwraione. 
Se s[ esarnM:Ja dilllamdcamente ila sequenza. deg1li atti, si vede cbim-amente ! 
che ['impugnazdone � rivOlllta contro ili'acoertamento ,anche se formailmente � 

! 

impugnaito !l'atto di riscossione. L'ufficio hai noti.fulato t1Lll ,accertamento in modo 
che ha ritenruto regoliaire; il destmtario non :impugna il!'acoert:ame:nto e quiruli II 

� l'ufficio procede alhl'itscri2'lione a ruolo a tiitOtlo defiiniitiivo suillia premessa di un I 
accertamento non drmpugnato; a questo punto i1l soggetto passd'Vo ricorre con.I 
tro id ruolo affevmando, che esso non � stato preceduto daM'acc.ert:amenito; 

I 

~�ufficio controdeduce che ['accertamento � stato notifioaito e produce in giuI 
I 
clizio i<l .rdativo :atto; a questo ,punto i!l ricoorente eccepir� che qucllla notifica 

I 

� nlllhlai. Di qwi nascerebbe una questione che potrebbe essere por.tata fino I

I 

ailll!'estrema iiiStara'la, se non vemsse konoata dia un'ordinanza che d:iispone ilJa 
rinnova2'lione, e che riguarda la notifica dellili'accer:tamento. 


Come si pu� fondatamente affermare che tale questione concerne soltanto 
mcicorso C()[)Jtro dfJ. mollo e non riguarrdia l'acce:ctamento che non ,sarebbe stato i 
impugnato. Iniziaihnente l'accer.tamento non era stato ampugnato perch� se ne 
ignorava lltesistenza, ma quando l!'accertai:nento viene :prodotto in ,girudi2'lio e sru 
eccepisce ila nuJIJLit� deMa sua notifica, questo ddv:enta un atto contro ili quaJle 
iJ ricorso � proposto. 

In conclUJSione la chrara portata d:elll/airt. 21 � Dcl senso che Wa com:nriJss�Oi!le 
non pu� mai dichiarare :ha nuil!Li.t� dell!la notifica comunque eccepita, ma deve 
sempre ooc:IIiinare ilia rinnovazione. 


Inaccettabile � anche ila J:iimitazione dei1la seconda massima basata sulla 
arbitmri<a distinzione tra nullllit� assoluta e relativa. 


:�'..O:�:�:�:�Z.0:�:���:-:.-:1:�:�:�:�:�'.1:�:-�.-;.-;.z.:�:�Z�:�����:�Z�:..-�:���z-..,.,.,..,.,.r,.r.rrrrc��.-�.-,-.-�,,,.,. �.-� , ��� '"�H�� ���,. � ,._. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 811 

art. 31, 32 t.u. n. 645 del 1958), costituente ormai una situazione quesita 
ed irreversibile. 

Alla luce dei suesposti principi, appare del tutto evidente l'errore in 
cui � incorsa la Commissione centrale nel disporre una rinnovazione dell'atto 
di accertamento, riguardante un rapporto tributario, antecedente 
all'entrata m vigore del nuovo regime tributario, e per il quale si era 
realizzata un'evidente ipotesi di decadenza (ex artt. 31, 32 t.u. cit.); senza 
peraltro, considerare che la disposizione di cui all'art. 21 d.P.R. n. 636 
del 1972 trova applicazione soltanto nei casi di vizi della notificazione e di 
conseguenti nullit� relative, e non in quello in cui si tratti di inesistenza 
giuridica della notificazione. 

Questa Corte, con giurisprudenza consolidata, ha affermato che l'inesistenza 
giuridica della notificazione ricorre non soltanto quando questa 
manchi del tutto, ma anche quando sia effettuata in modo non assolutamente 
previsto dal codice di rito; tale cio� che non possa essere sussunta 
nel tipico atto di notificazione. Detta ipotesi si ha per realizzata 
ogni qualvolta, la medesima venga effettuata in un luogo diverso da 
quello prescritto che non abbia alcuna attinenza o riferimento con il 
destinatario della notificazione (cfr. Cass., Sez. I, 2 maggio 1977 n. 1670; 
Sez. I, 4 agosto 1977, n. 3481). ~ indubbio che in subiecta materia si � 
realizzata tale evenienza; atteso che si � proceduto alla notificazione in un 
diverso comune fiscale che non aveva alcun collegamento con il destina-

Su questo punrto la norma tcibutaria fu un preciso mferimento ailll'art. 160 
c.p.c.; � allora chiaro che tutte le nullit� inerenti alla individuazione della 
persona alla quale la copia va consegnata sono sanabili, mentre non lo sono 
quel!l.e reLaitive atlJl:a quiaLiit� del soggetto che esegue la notifica: i vizi cli quest'UJ!i. 
tima specie sono imputabili alla parte che richiede la notificazione; gli altri 
sono invece sottmttli ad ogni potere delilia parte che non potrebbe mai, con la 
migliore diligenza, evitare il rischio di una irregolarit�. Per questo quando la 
parte (nel caso l'ufficio) ha tempestivamente tentato la notificazione richiedente 
un uffiaiJallJe oa;pace, non pu� incorrere in irregolarit� che non Sii.ano sainabm. 
~soitto questo profilo Jia nO!rl1la deli'art. 21 non � molito dissiIIllhlie da quelda 
delil'al't. 35 del rd. 8 J.ugilio .1937, n. 1516). 

Ma :l'individuazione deil!la persona atlJl:a quale Jia copia deve essere conse


~a impliiioa anche (e ricomprende nel!lia sanatoria) Jia determina2Jione del 

lliuogo .in cui J!a consegna medesima va eseguita: lie persone dd famiglia e addette 

alla casa o all'ufficio e, pi� ancora, il vicino, il domiciliatario, o la casa co


mOOilllle, possono essere ritenute abillitate a ricevere Jia copia solo in r~one 

delila determilllazione del h1.ogo in cUI� il!a notifica andava esegudta. Non si pu� 

quindi condd'Vii.dere �'affermazione che l'esecuzione delila notlifica in luogo di


verso da quel!Lo prescritto comporta una nullit� assoluta ed insanabile. Forse 

potrebbe profilarsi Uilla tale illpotesi se �la notifica fosse avvenuta in luogo asso


lutamente estraneo a.d ogrui riferilmento con wl destinatario. Ma se, come spesso 

acca.de, si diiscurte se 1a notifica poteva avvenke nel luogo che dagli atti ri


suilroa essere iJ1 domidlio fiscale nel quale ii! destinatario pi� non si trova o di 

a.Ltre simili questioni, � evidente che si l1ientra nella categoria di viZJi sanabili. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

812 

tario della notificazione (cos� come � risultato acclarato �in punto di 
fatto� dalla Commissione Centrale). 

Ma a prescindere dalle considerazioni sopraesposte, la pronuncia della 
Commissione centrale � erronea per un'assorbente ragione. Infatti, l'art. 21 
legge cit. consente la rinnovazione dell'atto, la cui notificazione sia nulla, 
al fine della sanatoria, so1tanto se l'oridine di rinnovazione della notificazione 
e la sua esecuzione, riguardino l'atto direttamente investito dall'impugnazione. 


Questa Corte ha in precedenza affermato che gli artt. 21, 24 si riferiscono 
alla notificazione dell'accertamento ove il medesimo sia stato, direttamente, 
investito dall'impugnazione, cosicch� nel caso in cui risulti impugnata 
l'iscrizione a rudlo, non rpossono utilizzarsi i principi fissati dagli 
artt. 160, 162 cod. proc. civ. che si riferiscono agli atti processuali e non 
ai loro antecedenti di fatto... (cfr. sent. I 10 novembre 1979, n. 5789). Ora 
� indubbio che nella fattispecie concreta in esame il ricorso del contri� 
buente ebbe ad investire la sola iscrizione a ruolo del tributo sul presupposto 
che l'Amministrazione finanziaria aveva proceduto, in modo irrituale, 
a tale iscrizione in base ad un accertamento non definitivo, in quanto 
non ritualmente notificato; e per il quale, di conseguenza, non erano decorsi 
i termini per la sua impugnazione. 

� indubbio, quindi, che la Commissione Tributaria avrebbe dovuto 
limitare la propria indagine in ordine all'esistenza dei presupposti previsti 
dall'art. 188 lett. a) t.u. n. 645 del 1958 (che, una volta accertati, non 
avrebbero potuto che comportare la nullit� dell'iscrizione a ruolo); senza 
disporre -cos� come fece -la rinnovazione della notificazione dell'atto 
di accertamento che non risultava investito dall'impugnazione del contri� 
buente. � indubbio che al compimento di tale incombente avrebbe dovuto 
procedere in via autonoma ed esclusiva l'Amministrazione finanziaria, una 
volta che fosse stata dichiarata la illegittimit� dell'iscrizione a ruolo; salva 
si intende, l'esistenza di ipotesi di decadenza ex 1art. 31, t.u. cit. 

N� ha alcun pregio l'assunto prospettato dall'Amministrazione finan� 
ziari1a, la quale afferma che l'art. 188 lett. a) t.u. n. 645 del 1958 prevede 
un'ipotesi di rimessione in termini in favore del contribuente per la proposizione 
dell'impugnazione avverso l'atto di accertamento, a lui non notifi� 
cato o notificato irritualmente, una volta che questi sia venuto a conoscenza 
dell'iscrizione a ruolo; cosicch� non soltanto il contribuente ha 
l'onere di svolgere con il ricorso contro il ruolo i motivi di censura in 
ordine all'atto di accertamento, ma la stessa Commissione ha il potere di 
disporre la rinnovazione della notificazione dell'anzidetto atto di accertamento. 


L'infondatezza di tale assunto si appalesa del tutto �evidente (a prescindere 
dalle considerazioni ricollegabili al caso concreto in esame e in 
precedenza �esposte), ove si consideri: a) che la legge, in vigore all'epoca, 
non poteva, ragionevolmente, imporre al contribuente, con la proposi




PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 813 

zione del ricorso contro l'iscrizione a ruolo, anche una contestuale hnpugnazione 
dell'atto di accertamento, per il quale non essendo intervenuta� 
la notificazione, il medesimo non era stato posto in condizione di conoscere. 
le ragioni poste a fondamento dell'accertamento di ufficio, che, pure, 
all'epoca, era soggetto all'obbl1go idi motivazione (ex art. 37 t.u. cit.); 
b) l'atto di accertamento nullo per mancanza o vizio di notificazione non 
poteva ritenersi sanato per aver raggiunto il suo scopo (in via analogica 
degli artt. 156, 157 cod. proc. civ.) con l'intervenuta !�scrizione a ruolo, in 
quanto essa stessa irrituale, non essendo stata preceduta dall'esistenza di 
un accertamento definitivo; ma neppure poteva ritenersi sanato a seguito 
della intervenuta conoscenza dell'iscrizione a ruolo da parte del contribuente, 
non postulando questa la relativa conoscenza del contenuto dell'accertamento, 
presupposto dell'iscrizione; c) il carattere innovativo della 
disposizione dell'art. 21 d.P.R. n. 636 del 1972 per quanto attiene la sanatoria, 
con effetti ex tunc, degli atti, facenti parte del procedimento impositivo, 
e direttamente impugnati innanzi alle Commissioni tributarie. Nella 
pregressa legislazione tributaria, come questa Corte ha in precedenza 
affermato, era consentita l'applicabilit� dell'istituto della sanatoria dell'atto 
nullo nella notificazione per il raggiungimento da parte del medesimo 
del suo scopo, trattandosi di un principio di carattere generale, applicabile 
anche in materia tributaria; ma ci� era ritenuto realizzabile soltanto nel 
caso in cui il contribuente fosse stato posto in condizione di esercitare 
nel termine e nelle forme, previste dalla legge, la sua tutela amministrativa 
o giurisdizionale. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 marzo 1981 n. 1240 -Pres. Vigorita Est. 
Santasuosso -P. M. Minetti (diff.) Labanti (avv. Zavattaro) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Cevaro). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario � Rilpartizione di potest� tra 
commissioni di primo e secondo grado e corte d'appello � E' questione 
di competenza e non di giurisdizione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 40). 
Tributi in genere � Contenzioso tributario � Giudizio di terzo grado � lm� 
posta di ricchezza mobile � Plusvalenza � Accertamento dell'intento 
di speculazione Deducibilit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 40). 
L'attribuzione del potet'e decisorio alla cognizione delle commissioni 
di primo e secondo grado oppure alla Corte d'appello d� luogo ad una 
questione di competenza (tra organi della stessa giurisdizione) e non ad 
una questione di giurisdizione (1). 

(1.,2) L'argomento delila prima massima � di molto rilievo. La sentenza 
in esame risolve la questione con un semplice ricbdruno a due precedenti 

14 



814 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Costituisce una questione di estimazione complessa, deferibile al giudizio 
della Corte d'appello, l'accertamento dell'intento di speculazione ai 
fini della sussistenza della plusvalenza (2). 

(omissis) I ricorrenti sostengono che le doglianze proposte dinanzi 
alla Corte d'appello (inesistenza della societ� di fatto, mancanza della 
forma scritta per l'acquisto di immobili, difetto dei caratteri legali delle 
presunzioni, carenza dell'intento speculativo) non davano luogo a questioni 
attinenti al~a giurisdizione e non si limitavano a questioni di valutazione 
estimativa, involgendo la risoluzione di alcuni problemi giuridici. 

I ricorsi sono in �gran parte fondati. 

Che l'attribuzione delle varie questioni alla cognizione delle Commissioni 
di primo e secondo grado oppure alla Corte di appello dia luogo, 
nel nuovo sistema del contenzioso tributario ad un problema di competenz� 
tra organi della stessa giurisdizione tributaria, si deduce gi� da 

sentenze. n ricruamo no111 � dl!1 verit� molto pertinente; illa. prima sentenm 
(22 novembre 1977, n. 5086, in questa Rassegna, :1977, I, 874, con nota cli C. BAFILE) 
aveva considerato una questione di competenza, nell'ambito di una unica 
giurisdizione speciale, il diverso problema della ripartizione dei poteri fra commissioni 
di primo e secondo grado e Commissione Centrale; la seconda sentenza 
(22 giugno 1978, n. 3077, in Riv. Leg. fisc. 1978, n. 2276) si limita ad affermare 
de plano che le questioni di fatto di valutazione estimativa sono riservate alla 
� competenza esclusiva � delle Commissioni di primo e secondo grado. 

Certamente diverso � iil probLema quando, come nellla specie, fa [l�Jpamzione 
si pone fra CommiJsS�IOIIJ� di primo e secondo grado e Corte d'appetlJlo. 
FormaiLmerute si pone un confronto fra organi aP1Partenenti a ddverse giurisdi2Jiom. 


Tuttavia la Corte d'appe!Jlo, che � semp,re giudice dehlia impugnazione m 
terzo grado, � inserito in un processo tmitanio, almeno preva�entemente di 
giurisdiziione speciaile, e si pone neN!a stessa posizione e 11.1elilla stessa fwraione 
delJ1a Commdssione centraile. � stato detto in propostto che wa Cmte d'aiprpeiNo 
:partecipa ad tllil processo speciale (TESAURO, Limiti di esclusivit� della giurisdizione 
delle Commissioni Tributarie, in Riv.� Dir. Finan. 1916, II, 11"13) e che 
tutte le fasd deH'undco processo e quindi a111che queL!Ja deilllia Cocte d':a;prpeiNo 
hanno la medeS�IIIla naitum giunisdizionale (ANOOLINA, Giurisdizione ordinaria e 
giurisdizione speciale in materia tributaria, in Riv. dir. e proc. civ., 1978, 760); 
~�unttaniet� dcl processo � altres� segnalata da Russo, Il nuovo processo tributario, 
Padova 1974, 73 ss.). 

TaiLe mnegabile umtaniet� non pu� portare adclirittura a ritenere che anche 
lia Corte d'appelli ddventa una gdudsdizione speciaffie. � per� I�ncontestabile che 
!i.il processo indziJato innanzi al giudice 1srpedaile, prosegue in terzo grado timnan.zli 
alla Corte d'appello (e proseguir� ulteriormente innanzi alla Corte di Cassazione), 
ed � sicuramente da escludere che innanzi alla Corte d'appello si inizi una nuova 
vicenda processuale (il che � molto importante ai fini dell'istruttoria). 

� quindd da condividere 'l'affermazione che dii verificaire il:a sussisrtenza 
dei poteri decisori del giudice di terzo grado non d� luogo ad una questione 
di giuridisdizione; sarebbe certamente inopportuno ingombrare le Sezioni unite 
con il gran numero di controversie su questo� argomento e sarebbe anzi 
pJ.� incongruente se Jia .idenmca questione si ritenesse di competenza con 

-



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 815 

alcune precedenti sentenze di questa Suprema Corte (22 novembre 1977 

n. 5086; 22 giugno 1978 n. 3077). Tale orientamento, condotto anche alla 
luce dei criteri indicati dalla legge delegante, va confermato nella presente 
controversia. 
Ci si deve piuttosto soffermare sul secondo profilo delle tesi dei ricor� 
renti, se cio� le questioni prospettate dinanzi alla Corte di appello andavano 
inquadrate fra quelle di valutazione complessiva e non meramente 
estimativa. Al quesito ya data risposta affermativa sotto diversi profili. 

In tema di accertamento dell'intento speculativo di una operazione 
economica, mentre in un primo momento (sent. 17 maggio 1975 n. 1926) 
questa Corte av�eva ritenuto che in tale determinazione era ravvisabile una 
questione di estimazione semplice, siccome attinente all'identificazione dei 
caratteri di un fatto, con successiva pronuncia (sent. 19 febbraio 1979 

mgua.vdo rula Col.D!llll�ssione centrale e di giurisdizione con riguardo a.lilla COTte 
d'appetlllo. 

Ma a ques1la condlusione pu� giungersi non tanto sull1a premessa che la 
Corte di 1aippello appwtdene ialil:a stessa giurisdm0t00 deltle CommiissiOltlii, qua.nito 
suililla 9SSel'Vaziione che non si pone affatto n� una questione di giurisddzione 
n� una questione dd competenza, bens� 1sempldcemente id: problema delilia aim� 
roiJssdbhliiit� di una dmpugnazione limitata. Se !IJ':impugnamone esorb~tia 1dad limiti

1

stabi!liiti nella [egge � sempliioome:nite inammissibi!le, ma non pu� par�Jarsi n� di 
incomipetenza n� di ilifetto dd giurisdmone del ~udioe addto (nessuno ha mai 
pensato ailila incompetenza o al difetto �di giurisdizione deL!Ja: Coote di cassazione 
rispetto a censure di merito). 

La seconda massima � ugualmente di molto interesse. Dopo che la S.C. 
con ['ordinarr12ia 19 giugno 1980 n. 337 (in questa Rassegna, 1981, I, 109, oon nota 
dii C. BAFILE) aveva, in contrasto con una consolJidalta tradizione, ~potizzato una 
figura compilietamente nuova del giudizio di terzo 1girado, � molto importaillte 
ilia riaffermazione che il criterio discriminatore dei poteri del ~udke di terzo 
grado � tuttora quelilo de11a contrapposizione ,tra estdmamone iSeIIJIPlioe ed 
esHmazione complessa. 

Non soddisfa per� l'applicazione del principio al caso concreto. Vi � in vero 
un preoedenrt:e specifico nelila sentenza 19 febbraio 1979 n. 1075 (in quesita Rassegna, 
1979, I, 496) che � :t�er� contraddetto da ail!tre pronunzie. Mtra sentenza 
(19 novembre 1979 n. 6022 ivi, 1980, I, 429 con nota di C. BAFILE) solo sulla base 
dii una smgoLaire concezione del�'estimazione compiliessa afferma che ~�accer� 
tamento del�'intento speculativo, che di per s� rientrerebbe nell'estimazione 
semplice, pu� essere pronunoiato dal giudice �di verzo grado in quanto connesso 
con aLtra questdone di applicazione delilia legge. Ma decisamente per la ricomprensione 
dcl�a questione neltl'estimazione semplice � la sentenza 3 maggio 
1979, n. 2553 in Riv. leg. fisc., 1979, 1967. 

L'accertamento dcll'intento �di specuiazdone e una questione 'di mero fiatto 

attinente al.l'esistenza del presupposto, giacch� l'intento idi speculazione fa 

diventaire un reddito un fenomeno ~trimenti irrhlevante; ognd questione di 

futto inerente all'esistenza, oltre che al.fa misum del fenomeno tributario, ri� 

guarda J'.estimazione sempiLice come ha ben mesiso in iluce J:a menzionata sen


tenza 22 novembre .1977, n. 5086. 

CARLO BAFILE 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

816 

n. 1074) e con riferimento sia alla nuova disciplina del contenzioso tributario 
sia alla precedente normativa, � stato ritenuto che la questione inerente 
alla qualificabilit�, come operazioni speculative, di vendite stipulate 
dal contribuente, al fine di stabilire se le plusvalenze con le medesime 
realizzate siano assoggettabili ad imposta di ricchezza mobile, esige, per 
la sua definizione, un'indagine ermeneutica sui criteri fissati dalla norma, 
per l'individuazione in astratto di detta fattispecie impositiva, nonch� la 
qualificazione giuridica dei fatti 'accertati, con riferimento al caso concreto; 
per cui 1a questione esorbita dalla mera valutazione estimativa. 
Pii1 in generale, deve riaffermarsi che le questioni puramente estimative 
sono quelle in cui la scelta dei criteri di valutazione ,e la determinazione 
del valore imponibile risultino basate su operazioni di carattere 
tecnico, quali quelle che attengano alla rilevazione dell'obbiettiva consistenza 
qualitativa o quantitativa del cespite, all'individuazione dei fattori 
di calcolo o all'espletamento di questo, mentre appartengono all'ambito 
della valutazione complessa, non solo tutte le questioni che comportano 
un'operazione giuridica di interpretazione ed applicazione di leggi, regolamenti, 
pronunce, atti e negozi giuridici, ma ogni violazione di legge 
ravvisabile anche nel vizio di motivazione o nell'errata risoluzione di questioni 
di fatto, con la sola esclusione delile questioni di fatto attinenti 
alla vailutazione estimativa ~Oass. 25 febbraio 1980, n. 1307, n. 1835/79; 
5086/77 n. 2424/76 ed altre). 

In coerenza con tali principi, pu� affermarsi che anche gli altri profili 
sotto i quali il ricorso � prospettato, confermano la natura complessa 
della valutazione che i ricorrenti invocano da parte della Corte d'appello. 
Ed invero, l'indagine sui requisiti per l'esistenza di una societ�, sulla 
forma prescritta per l'acquisto di immobili da parte della societ� stessa, 
sui caratteri delle presunzioni, comportavano un'operazione giuridica di 
interpretazione e di applicazione di norme che la Corte d'appello ha omesso 
di compiere, nel presupposto della sua carenza di pote11e giurisdizionale 
sulla materia. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 marzo 1981 n. 1312 -Pres. Vigorita Est. 
Martinelli -P. M. Catelani (conf.). Vaglio (avv. Palladino) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Rossi). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario � Ricorso alla Commissione 
centrale -Presentazione presso la segreteria della Commissione centrale 
Inammissibilit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 25). 
E inammissibile il ricorso in terza grado presentato presso la segreteria 
della Commissione Centrale, anzich� presso la segreteria della Commissione 
che ha pronunziato la decisione che s'impugna (1). 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 817 

(omissis) Con l'unico motivo, che si articola in pi� proposizioni logiche 
e giuridiche, la ricorrente lamentando la violazione dell'art. 24 terzo e 
quarto comma d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, censura l'impugnata decisione 
per aver omesso di rilevare l'inammissibilit� del ricorso sotto il profilo 
che irritualmente il ricorso de quo era stato depositato presso la segreteria 
della Commissione Centrale, anzich� a quella del giudice a quo 
(Commissione di II grado), cos� come � previsto dall'articolo citato; che 
il medesimo era stato notificato ad essa contribuente fuori termine; 
ovverosia oltre il 60� giorno. 

La censura � fondata. 

Va, innanzitutto, rilevato che la nuova legge sul contenzioso tributario, 
che ha innovato la pregressa normativa in materia, prevede, per la proposizione 
dell'impugnazione dell'atto di accertamento, e, in genere, di ogni 
altro atto facente parte del procedimento impositivo, nonch� per la impugnazione 
deLle decisioni delle Commissioni tributarie, una fattispecie procedimentale 
a formazione progressiva e complessa, costituita: a) da una 
fase iniziale, rappresentata dal deposito del ricorso presso la segreteria 
della Commissione Tributaria, come momento perfezionativo dell'esercizio 
del potere di impugnazione nel termine di decadenza contemplato dalla 
legge; b) da una successiva fase diretta alla costituzione del contraddittorio 
mediante la notificazione della copia del ricorso alla contropartie (con 
decorrenza dall'adempimento di tale formalit� del termine per la proposizione 
in grado di appello ed innanzi alla Commissione Centrale del 
controricorso e del ricorso incidentale). 

Va infine rilevato che per l'impugnazione della decisione della Commissione 
tributaria � stabilito dalla legge, come per il procedimento penale, 
il deposito dell'atto, concretizzante l'impugnazione presso la segreteria del 
giudice a quo che dovr� provvedere alla notificazione della copia del 
ricorso (ex art. 22 quarto comma, 25 terzo comma d.P.R. 26 ottobre 1972 

n. 636). � indubbio che il sistema predisposto dal legislatore, in materia 
di contenzioso innanzi alle Commissioni Tributarie, � quello della citazione 
mediata e non diretta. 
Alla luce dei suesposti principi � evidente che in subiecta materia 
l'Amministrazione finanziaria non ha rispettato, con il ricorso innanzi alla 
Commissione Centrale, alcuno dei momenti e dei requisiti della fattispecie 

(1) La deoistione merita adesione. Sono infatti dii decisiva fu.mQJo!Itanza gilti 
adempimenti affidati alla segreteria della Commissione che ha pronunciato 
1ia deciStione im:i>ugnata e lia ~toro omissione comrprometter,ebbe di1 ["egoliare svru� 
gimento del procedimento anche in relazione aHia eventuallit� che non avendosti 
tempestiva conosoenza delll~a~enuta proposizione del ricorso, rpos,sra essere 
adita la Corte d'appe11io. 

818 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

procedimentale, predisposta dalla legge, per il perfezionamento dell'impugnazione. 


Infatti non soltanto il ricorso de quo non � stato depositato nel termine 
di decadenza presso la segreteria della Commissione tributaria di 
II grado (ex art. 25 d.P.R. citato), ma la stessa copia del ricorso non � 
stata notificata alla contribuente, ai fini della costituzione del contraddittorio, 
e del tempestivo e rituale esercizio del potere, spettante alla controparte, 
di proposizione del controricorso e del rico11so incidentale. N� pu� 
sopperire a tale carenza l'intervenuta comunicazione dell'avviso di udienza 
alla contribuente, in quanto atto atipico ed inidoneo al raggiungimento 
dello scopo proprio delle formalit� previste dagli artt. 22 quarto comma, 
25 terzo comma d.P.R. citato e peraltro, posto in essere in epoca successiva 
al decorso del termine per la proposizione dell'impugnazione. 

N� in subiecta materia � calzante il richiamo alla giurisprudenza di 
questa Corte, espressa con la sentenza 27 maggio 1978 n. 2532, considerato 
che detta pronuncia riguarda una diversa fattispecie, nella quale l'atto 
d'impugnazione era stato, comunque, notificato diJ:1ettamente e tempestivamente 
alla controparte. , 

Neppure � calzante il richiamo all'art. 2 ultimo comma d.P.R. n. 1199 
del 1971, che prevede l'ininfluenza del deposito del ricorso gerarchico 
presso un'autorit� incompetente, atteso che nella fattispecie, trattasi di 
procedimento giurisdizionale, nei confronti del quale non pu� trovare applicazione 
analogica una disposizione esclusivamente prevista in materia di 
procedimenti amministrativi. Pertanto, la Commissione Centrale doveva 
rilevare e pronunciare l'inammissibilit� dell'impugnazione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 marzo 1981, n. 1316 -Pres. Granata Est. 
Lipari -P. M. Ferraiolo (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Mari) c. Ospedale S. Croce di Fano (avv. Bracci). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso alla Commissione 
Centrale -Motivazione -:i!: necessaria -Indicazione di motivi specifici 
-Non � necessaria. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 22 e 25; c.p.c. art. 342 e 366). 
Il ricorso alla Commissione centrale, al pari dell'appello, deve essere 
motivato a pena di inammissibilit� (solo in primo grado pu� essere 
ammesso il ricorso interruttivo); tuttavia la mo�ivazione � sufficiente 
quando non generi incertezza circa quel che si chiede in giudizio, e non � 
richiesta la indicazione di motivi specifici o l'indicazione delle norme su 
cui l'impugnazione si fonda secondo quanto prescrivono gli artt. 342 e 
366 cod. proc. civ. (1-2). 

(1-2) Importante � Ia preO�Js~onre che il !l.'iom.1so a:lilia Commissruone centrall.
e, come pure J'apipelil.o, deve essere motivato, e che ill richiamo a:Ll.'art. 15 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 819 

(omissis) 1. Il ricorso principale e quello incidentale condizionato, 
essendo diretti contro la medesima decisione (della Commissione Centrale 
tributaria) devono essere riuniti e decisi con unica sentenza (art. 335 
cod. proc. civ.). 

Il ricorso incidentale per cassazione, nonostante l'operato condizionamento, 
va esaminato con carattere di priorit� poich� investe una questione 
di rito di carattere preliminare contestando la stessa ammissibilit� del 
ricorso alla Commissione tributaria Centrale per difetto di sufficiente 
articolazione del motivo. 

Al riguardo, lamentando la violazione dell'art. 366 n. 4 cod. proc. civ., 
si sostiene appunto la inadeguata articolazione del motivo, comportante 
l'inammissibilit� del ricorso alla Commissione tributaria centrale. 

Va subito precisato che l'ente ospedaliero, invocando l'art. 366 n. 4 
cod. proc. civ. nella rubrica del motivo incorre in una imprecisione formale 
che peraltro non si risolve nella violazione della norma suddetta volta a 
puntualizzare uno dei requisiti di ammissibilit� del ricorso per cassazione. 

Il ricorrente incidentale, cio�, ha operato una indebita sovrapposizione 
delle cause di inammissibilit� del ricorso per cassazione e del ricorso 
alla C.T.C. 

Ai sensi dell'art. 25 del d.P.R. 28 ottobre 1972 n. 636 il ricorso alla C.T.C. 
deve contenere �l'esposizione sommaria dei fatti ed i motivi dell'impugnazione
� e stante l'operato rinvio all'art. 15 secondo comma del medesimo 
decreto va dichiarato inammissibile non solo �se risulta assolutamente 
incerto uno degli altri elementi indicati nel comma precedente 
alle 1lettere a), b), e), e)� in base a1 quaile resta esolusa la lettera d) iriguardante 
i motivi, ma anche in difetto di enunciazione dei motivi. 

del d;P.R. n. 636/11972 non 1stla a significare che Slia ammiisSwhiille iil ricorso runter:
mttivo. 

Appare rtuttavia eooesisiva [',afferma:cione che ilJa motivaziione � 1sufficienrte 
quando non genera ince11tezza assoluta oiroa quel che 1si chiede in giuddzio 
di modo che non si richiede la specificit� dei motivi dell'art. 342 c.p.c. e meno 
che mail. w'arrticolazlione deilil'mt 366 n. 4. 

Per ogni impugnazione, e quindi anche per ffi'appeLlo, � sem;pre necesisaria 
IDa indiioa!llione speoifica dei motivi, che ha il:a funzione �dii :iindividuare ~e parti 
delilla decisione che si ill'.ltendono gravare per diistinguerile nettamente da 
quelle che con iL'impugnazione non vengono investite. 

Ma per iiJJ ricorso affila Comm:iJssi.one centraile si richiede qualcosa di pd�, 
se purn non pu� pretendersi quelfa partico~are 1aJ11ticooazione motivata carartteristica 
dcl ricorso per cass:aztione. Poich� l'impugnazione irma~ allila Commissione 
centrale � limitata, � evidentemente necessaria una motivazione che 
consenta 1Cli verificare se il'impugnazione � o meno ammissibile. Non ha aLlora 
moU1ta importanza iil superamento deillia formmazione .cJ,eJil'art. 46 deL r,d. 8 [uglio 
1937 n. 1516; � il carattere essenziale dell'impugnazione, che si differenzia 
dall'o11d:iinario a;ppehlo, a 1rende11e necessaria Ullla quaJiificaita mouwazione del 
ricorso. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Ne consegue, quindi, che il ricorso alla C.T.C. � inammissibile se 
manca l'indicazione dei motivi dell'impugnazione, cos� come stabilito 
dall'art. 22 per l'ipotesi dell'appello (laddove in I grado � consentito il 
ricorso interruttivo). 

Non si richiede l'indicazione di motivi specifici (cfr. art. 342 cod. 
proc. civ.), n� la enunciazione dei �motivi per i quali si chiede la cassazione 
con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano� (cfr. 
art. 366 n. 4 cod. proc. civ.). 

Davanti alla C.T.C. non � ammesso il ricorso interruttivo, e non � 
consentito indicare i motivi stessi per relationem con riferimento a quelli 
proposti nei precedenti gradi; la dizione del nuovo contenzioso appare 
in definitiva meno formalistica di ,quella contenuta nell'art. 46 del r.d. 
8 luglio 1937 n. 1516, secondo cui nel ricorso dovevano essere indicati gli 
articoli di legge o di regolamento che si affermavano violati. 

Tanto l'appello quanto il ricorso alla C.T.C. sono pertanto inammissibili 
solo quando vi sia incertezza assoluta circa quel che si chiede in 
giudizio. 

Pi� rigoroso, invece, il dettato del n. 4 dell'art. 366 cod. proc. civ. che, 
peraltro, � stato interpretato da questa S.C. nel senso che la specificazione 
dei motivi e la indicazione del loro supporto normativo non vanno 
considerati come requisiti autonomi e concorrenti, ma costituiscono una 
sorta di endiadi, dovendo cospirare alla puntualizzazione della censura 
mossa il cui contenuto pu� risultare con chiarezza dalle proposizioni illustrative 
anche se manchi la corrispondenza fra le medesime e l'esponente 
numerico delle disposizioni che ne consacrano i contenuti normativi invocati, 
ed anche se addirittura tale indicazione sia stata effettuata erroneamente, 
sempre che l'antitesi non sia tale da rendere del tutto incomprensibile 
la portata della doglianza. 

Da un lato, pertanto, il ricorrente incidentale non vede precluso 
l'esame della dedotta censura per avere erroneamente richiamato, quale 
norma parametro di questa l'art. 366 n. 4 cod. proc. civ. invece dell'art. 25 
del d.P.R. n. 636, essendo chiaro che ha voluto dedurre il vizio di non 
adeguata articolazione del motivo formulato davanti alla Commissione 
tributaria Centrale, dall'altro ed a fortiori deve ritenersi che detto vizio 
non sussiste. 

Ed invero la Finanza, sostenendo che, a suo avviso, gli enti ospedalieri 
siano soggetti all'IVA ai sensi dell'art. 4 punto 2 del d.P.R. n. 633 
del 1972, ha chiaramente indicato la fonte normativa e la ragione giuridica 
dell'attacco mosso alla decisione di secondo grado che tale assoggettabilit� 
aveva negato, operando la relatio soltanto alle ragioni illustrative 
della pretesa assoggettabilit� che ben avrebbero potuto, come furono, 
essere spiegate nella successiva memoria, r,estando con sufficiente precisione 
circoscritto nell'ambito dell'impugnazione. (omissis) 

' 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 821 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 aprile 1981 n. 2045 � Pres. Granata Est. 
Zappulli -P. M. Valente (conf.). Soc. Officine Aeronavali (avv. 
Caniato) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Cevaro). 

Tributi il.n genere -Repressione delle violazioni -Pena pecuniaria � Co


scienza e volont� � Ignoranza della nonna tributaria � Irrilevanza. 

(!. 7 gennaio 1929 n. 4, artt. 3 e 4). 

La pena pecuniaria, pur distinguendosi nettamente dalla sanzione 
penale, presuppone la coscienza e volontariet� dell'azione od omissione 
a differenza della soprattassa che ha una applicazione automatica,� tuttavia, 
salva diversa disposizione derogatrice, � irrilevante l'ignoranza della 
norma tributaria violata (1). 

(omissis) Con il secondo motivo, ovviamente subordinato al rigetto 
del primo, � stata lamentata dalla societ� ricorrente la violazione nella 
sentenza impugnata del principio generale per il quale la pena pecuniaria 
prevista per le violazioni deHe leggi tributarie presuppone la responsabilit�, 
e cio� il dolo o la colpa del contribuente al quale � inflitta, mentre 
l'assenza pur della colpa nella specie risulta dal fatto che l'imposta doveva 
essere trattenuta dall'amministrazione committente sulla somma da pagare 
e, in caso di sua omissione era da corrispondere dalla appaltatrice su 
invito dell'amministrazione committente a pagarla nei modi normali. 
Ha sostenuto la ricorrente che nella stessa sentenza � stata contraddittoriamente 
affe:r.mata la assenza di tale colpa con il riconoscersi, nel disporre 
la compensazione delle spese, la presenza di � imponenti ragioni � per 
quest'ultima a seguito degli � innegabili affidamenti � che le erano pervenuti 
dall'amministrazione committente, poi contraddetta da altra, sul pagamento 
dell'imposta in questione. � 

Anche questo motivo � infondato. Invero, a prescindere dal fatto che 
nessuna norma prevede quell'invito, la corte di merito non ha disconosciuto 
il principio invocato dalla ricorrente, secondo il quale la pena 
pecuniaria prevista, in linea generale, dagli artt. 3 e 4 della 1. 7 gennaio 1929 

n. 4, pu� essere inflitta solo in base ad una ritenuta responsabilit� del 
contribuente. Circa i Jimiti di quest'ultima � da rilevare che l'illecito 
amministrativo, di cui ai citati articoli, deve essere la conseguenza di una 
azione od omissione che sia imputabile al soggetto sul piano della mera 
coscienza e volont�, salvo che norme particolari pongano una diversa 
disciplina. 
~1) Va segnalata La precisione delllLa motivazione sia su!l punto delil'elemento 
psicologico s]a suilila drcrilrevanza deliLa ignorantia legis. 



822 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Giova osservare che la I. 7 gennaio 1929 n. 4, e in particolare con gli 
artt. 3 e 4, doveva porre i principi iniziali e fondamentali di una disciplina 
nel campo delle infrazioni tributarie, analoga per alcuni lati a quella 
penale ma nettamente distinta nei suoi effetti, tanto che il suddetto art. 4 
statuiva espressamente che la conseguente � obbligazione ha carattere 
civile �. Se qualche equivoco poteva sorgere per quel termine di � pena 
pecuniari� �, rispetto al quale efl�ettivamente sarebbe stato pi� appropriato 
quello di sanzione amministrativa, l'espressa contrapposizione delle 
relative infrazioni ai reati, contenuta nell'art. 3 (� che non costituisce 
reato�), conferma la diversit� delle due categorie. 

Tuttavia, i richiami dello stesso art. 4, J>er la determinazione in 
concreto della sanzione stessa alla gravit� dell'infrazione e, per il lato 
psicologico, alla personalit� di chi l'ha commessa, da valutarsi secondo i 
p11eoedenti penali e giudiziari e, in genere, la sua condotta, manifestano e 
confermano che in tal materia non vi � l'automaticit� di applicazione delle 
sopratasse, ma � richiesta una precisa valutazione dell'elemento psicologico. 

Conseguentemente, da un lato la ritenuta esigenza di una rigorosa e 
generale applicazione di quelle sanzioni con un vigore corrispondente a 
quello delle norme penali, dall'altro il carattere pubblicistico delle norme 
tributarie hanno esoluso la rilevanza di errori di diritto nella interpretazione 
e applicazione delle norme tributarie che siano rimaste violate; 
secondo il principio del diritto pubblico ignorantia legis neminem excusat. 

N� da tale principio si sono discostate le pronunzie di questa Suprema 
Corte, con le quali, proprio in materia di imposta generale sull'entrata, 
� stato precisato che quando l'infrazione sia imputabile ad uno solO dei 
soggetti dell'atto economico generatore dell'imposta, al pagamento della 
stessa sono ugualmente tenuti verso lo Stato entrambi i soggetti, mentre, 
invece, al pagamento delle sopratasse e della penale � tenuto solo il soggetto 
al quale la trasgressione � imputabile (Cass. 9 ottobre 1971 n. 2781; 
6 maggio 1975 n. 1749); in tali casi, infatti, mancano la coscienza e la 
volontariet� da parte del soggetto non imputabile, e non si tratta semplicemente 
di un suo errore. 

Lo stesso legislatore, nel regolare per .Je varie imposte, la repressione 
delle infrazioni, ha confermato, con l'apportare qualche specifica norma 
derogatrice, quel principio generale senza il quale essa non avrebbe avuto 
ragione di essere. Al riguardo, infatti, l'art. 248 del t.u. sulle Imposte 
Dirette approvato con il d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645 ]la statuito che le 
sanzioni previste per l'omissione, la tardivit� e l'incompletezza della 
dichiarazione prevista da quella legge non si applicano se l'obbligo della 
dichiarazione (e quindi del pagamento) era fondatamente contestabile per 
obiettiva incertezza sull'esistenza dei presupposti dell'obbligazione tributaria. 
La portata della norma e la specificit� dell'ipotesi prevista rendono 



PARTE I, SEZ, VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

chiaro che s1 e trattato di una vera e propria norma eccezionale, non 
suscettibile di applicazione analogica, rispetto alla necessit� in generale 
della sola coscienza e volontariet� dell'azione od omissione causati e 
dell'infrazione. 

Pertanto, bene nell'applicazione del principio, la corte di merito ha 
affiermato, circa la responsabilit� della societ�, che il� contribuente ha 
l'onere di verificare che il pagamento sia avvenuto nel modo previsto 
dalla legge, e cio� nella specie con la ritenuta da parte della pubblica 
amministrazione prevista dall'art. 45 del regolamento sull'imposta generale 
sull'entrata 26 gennaio 1940 n. 10 e, �in difetto, di eseguirlo nei modi 
ordinari... dovendo successivamente ravvisarsi nel mancato assolvimento 
di questi oneri una violazione sanzionabile �. 

� evidente che, quando l'amministrazione committente, come nella 
specie, non abbia provveduto alla suddetta ritenuta, l'appaltatrice non 
pu� essere responsabile di tale omissione della controparte n� di non 
avere provveduto al pagamento in altro modo dell'imposta prima della 
riscossione della somma, ove non ne abbia avuto previa notizia, attraverso 
il versamento in conto corrente postale previsto, in linea generale, 
dal primo comma del medesimo art. 45 del regolamento perch� tale 
omissione non � certo volontaria ma ci� non esclude che anche senza il 
menzionato invito, sorge a suo carico l'obbligo di provvedervi al pi� 
presto appena ne venga edotto. Infatti, essendo, dopo di ci�, a esistere 
quella volontariet� ,e quella coscienza poste a base della sua responsabilit�, 
l'inosservanza della citata norma da parte dell'amministrazione 
committente non esclude la sua obbligazione tributaria, n�, a causa del 
carattere imperativo delle leggi tributarie l'errore sulla interpretazione 
delle stesse pu� escludere l'applicabilit� delle sanzioni e delle pene 
pecuniarie. Pertanto, se da un lato il ritardo nel conseguente versamento 
dell'imposta, ove congruo e giustificato in relazione alle modalit� del pagamento 
a suo favore del prezzo o del corrispettivo e alle forme e mezzi 
del successivo adempimento, pu� rendere inapplicabile al ritardo stesso 
cos� limitato la suddetta penale, la successiva assenza del dovuto pagamento 
dell'imposta, come l'ulteriore mora rientrano necessariamente nelle 
inosservanze delle norme tributarie, senza che occorra una specifica indagine, 
cos� come affermato nella sentenza impugnata che ha legittimamente 
ravvisato quella responsabilit� nella violazione dell'obbligo di provvedere, 
pure in quel caso, al pagamento dell'imposta nei modi ordinari. 

Non pu� l'errore di una delle parti, pur se si tratti di una ammini


strazione statale diversa da quella finanziaria competente, giustificare, 

anche ai fini dell'applicazione della penale, la omissione del pagamento 

dell'imposta dall'altra, che, senza ragione, ne trarrebbe un illegittimo 

arricchimento. (omissis) 


824 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 aprile 1981 n. 2227 -Pres. Marchetti Est. 
D'Orsi -P. M.. Catelani (conf.) Barale c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Concordato fallimentare 
con assuntore -Base limponibile -Crediti privilegiati � Vi sono compresi. 


(r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, tariffa A, art. 32). 
Ai fini dell'imposta di registro sul concordato fallimentare con assuntore, 
la base imponibile � costituita da tutti i crediti oggetto del concordato, 
compresi quelli privilegiati (1). 

(omissis) La controversia propone un'unica questione consistente 
nell'accertare se nel caso di concordato fallimentare con assuntore (il 
quale si obblighi a pagare .tutti i debiti, privilegiati e chirografari, questi 
ultimi nella percentuale stabilita, ricevendo tutte le attivit� fallimentari 
e subentrando nelle azioni revocatorie, con immediata liberazione del 
fallito) l'imposta di registro prevista dall'art. 32 della tariffa all. A del 
regio decreto 30 giugno 1923 n. 3269 debba essere commisurata soltanto 
all'ammontare dei crediti chirografari od anche a quello dei crediti 
privilegiati. 

La Commissione centrale delle imposte ha dato al quesito risposta 
nel senso dell'applicabilit� della imposta sulla base dell'intera posizione 
debitoria, sotto il principale rilievo che l'intervento di un terzo comporta 
l'accollo di tale posizione nella sua interezza. 

Ha poi negato validit� alla tesi secondo cui i creditori privilegiati, 
essendo in ogni caso garantiti e non avendo diritto di voto in sede di 
approvazione del concordato, sarebbero estranei all'accollo; ha osservato 
in proposito che tale estraneit� non sussiste, in quanto il credito privilegiato 
potrebbe non trovare in pratica materia sufficiente per soddisfarsi. 
Ha, infine, richiamato la lettera dell'art. 32 della tariffa all. A che 
fa riferimento all'intera somma che si assume l'obbligo di pagare. 

A sostegno della tesi contraria, e, cio�, di quella che vuole commisu


rare l'imposta al solo importo dei debiti chirografari il Barale sviluppa i 
due mezzi di ricorso. 

Con il primo mezzo denunciando il vizio di motivazione su un aspetto 

decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., 

il ricorrente parte dalla premessa che secondo la tesi dell'ufficio nel caso 

{1) Viene confermato l'indirizzo contenuto nella sentenza 8 gennaio 1980, 

n. 19, iin ques,ta Rassegna, :1980, I, 631. Ne:hl'ipotesi ora decisa di col1COtJ'.1dato 
con as,suntore � di rtutta evidenm che i1 terzo assume �obbligaziOilli veriso tutti 
i credIDtonii, comprnsi i ptivliJLegiafa Ma tiln base ag�]Ji stesffi prmcipi si deve ritenere, 
come neL1a precedente serntenza, che iJl concordato �produce comunque 
degli effetti sui crediti privilegiati che di esso formano oggetto. 
I 
i 

' ' 

..... ..... ....... ... ...... ........................ . .,.,,. ..,. '-~ 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

in esame era stato considerato, ai fini dell'imposta di registro, anche 
l'importo dei crediti privilegiati unicamente perch� il garante del concordato 
era stato assuntore. La distinzione operata tra garante-fideiussore e 
garante-assuntore sarebbe arbitraria e la Commissione centrale avrebbe 
ritenuta non plausibile la tesi del contribuente senza una idonea motivazione. 
Con il secondo mezzo, strettamente connesso con il precedente, 
il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 32 tariffa 
all. A L.R. in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. e, facendo leva 
sulla mancanza di diritto al voto da parte dei creditori privilegiati ai quali 
deve in ogni caso essere assicurato il pagamento, insiste sulla mancanza 
di differenza tra il garante-fideiussore e il garante-assuntore; giudica poi 
irrilevante la cessione al garante dei beni del fallito sia perch� la cessione 
avviene solo dopo l'adempimento degli obblighi derivanti dal concordato 
e sia perch� il passaggio dei beni sconta poi la regolare tassazione. 
Il ricorrente nega anche che sulla base del concordato vi sia novazione 
nei rapporti tra l'imprenditore fallito e i suoi creditori per quanto riguarda 
i creditori privilegiati e insiste sul rilievo che in sede di concordato ci� 
di cui si discute � unicamente l'ammontare della percentuale dei crediti 
~hirografari, sicch� i creditori privilegiati nulla hanno da concordare e 
non prendono nemmeno parte alla formazione ed approvazione del concordato. 


Nelle memorie illustrative, insistendo su questi concetti, aggiunge 
che i creditori privilegiati, per essere coinvolti nel concordato, debbono 
rinunciare al privilegio e solo in tal caso votano. Secondo la tesi dell'Amministrazione 
finanziaria, invece, sarebbero coinvolti nel concordato, pur 
non partecipando ad essa e lo stesso discorso varrebbe per l'assuntore, 
che non figura nel verbale di accertamento. 

Il ricorrente poi nelle memorie propone per la prima volta la questione 
dei limitati effetti del verbale di approvazione della proposta di 
concordato rispetto alla sentenza che conclude il giudizio di omologazione 
e afEerma che il verbale non potrebbe considerarsi con�ordato. 

Questa Corte ritiene che il ricorso sia infondato. Prescindendo dalla 
questione sollevata per la prima volta in memoria, che non pu� ovviamente 
essere presa in esame, in quanto funzione delle memorie � solo 
quella di illustrare il ricorso o il controricorso, va rilevato che il ricorso 
come si � detto propone l'esame dell'ambito di applicazione dell'art. 32 
della tariffa all. A al regio decreto n. 3269 del 1923 in tema di concordato 
fallimentare con assuntore, se, cio� l'ammontare del concbrdato debba 
comprendere anche l'importo dei crediti privilegiati. 

La questione non � nuova nella giurisprudenza di questa Corte. 

Con la sentenza n. 4257 del 16 novembre 1976, questa Corte afferm� 
che l'imposta proporzionale di registro prevista .dall'ar.t. 32 della tariffa 
suddetta � applicabile oltre che ai crediti chirografari, anche a quelli privilegiati, 
qualora i titolari di questi ultimi, anzich� rimanere estranei all'ac



826 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cordo, partecipino al concordato, subendo una riduzione o variazione del 
loro credito. � da rilevare per� che in quella fattispecie non si discuteva 
se l'ammontare dei crediti privilegiati dovesse essere calcolato ai fini 
dell'imposta proporzionale: ma si trattava dello specifico caso di un creditore 
privilegiato, il quale aveva in sede di concordato accettato di postergare 
il soddisfacimento del suo credito all'integrale esecuzione del concordato. 
E risolvendo il quesito questa Corte afferm�. che l'ammontare di 
t�le credito doveva essere conteggiato. 

Il pi� completo caso del calcolo del valore del concordato fallimentare 
~ai fini dell'imposta proporzionale di .registro), se �commisurato al 
solo importo da pagare ai creditori chirografari od anche a quello da 
corrispondere. ai creditori privilegiati, � stato esaminato diffusamente 
dalla sentenza n. 119 dell'8 gennaio 1980. Questa Corte in tale sentenza � 
partita dalla premessa secondo cui, in caso di concordato, il debito del 
fallito non � pi� quello che discende dal titolo originario, ma quello 
nascente dalla transazione conclusa mediante il concordato, sicch� all'obbligazione 
originaria viene a sostituirsi una nuova obbligazione, diversa 
non tanto per l'oggetto, quanto per il titolo, ed � . giunta. alla conclusione 
che in caso di concordato tutti i crediti privilegiati vengono a costituire 
la base imponibile ai fini della tassazione, per imposta proporzionale di 
registro, del concordato medesimo. 

In particolare � stato osservato che i creditori privilegiati, pur se 
non hanno diritto a voto, possono influire sull'omologazione del concordato 
sia opponendosi, sia chiedendone l'annullamento.. � stato ~che 
aggiunto che, ove si volesse collegare l'imponibile al consenso dato al 
concordato (per non considerare i crediti �privilegiati), non si comprenderebbe 
perch� debba essere conteggiato l'ammontare dei creditori chirografari, 
i cui titolari hanno votato contro il concordato. In particolare 
� stato rilevato che il suddetto art. 32 contempla � convenzioni � e 
� concordati � contempla cio� gli accordi veri e propri (convenzioni) e 
quelle particolari figure (concordati) che non possono essere ricondotte 
agli accordi e che costituiscono la regolamentazione della situazione debitoria 
dell'imprenditore in conseguenza di un procedimento complesso, 
talch� il problema della tassazione va impostato e risolto prescindendo 
dai principi che regolano la tassazione di negozi bilaterali o di contratti 
e tenendo conto del fatto che i creditori assistiti da privilegio, a seguito 
del concordato, hanno diritto di essere pagati, (con prelazione e per 
intero) in virt� del concordato stesso e indipendentemente dalla validit� 
dei titoli originariamente vantati. 

Tutte le suesposte proposizioni sono state affermate in un caso in 
cui si discuteva della tassazione di un concordato preventivo. 

Esse, per�, possono essere proficuamente rapportate al caso di specie, 
in cui si tratta di concordato fa1limentare. Le differenze tra l'un tipo di 
concordato e l'altro non riguardano infatti il meccanismo di approvazione 



SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 luglio 1981, n. 4285 -Pres. Granata -Est. 
Lipari -'P. M. Silocohi (conf.). -S.a.s. Impresa di costruzioni Mattioda 
Pierino e Figli ~avv. Giordano e Manfredonia) c. A.N.A.S. (avv. Stato 
Onufrio). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Contabilit� provvisoria -Onere di 
riserva rispetto ai lavori contabilizzati � Sussiste -Contabilit� di fat� 
to -Riserve -Onere -Inapplicabilit�. 

(r.d. 25 maggio 1895 n. 350, artt. 36, 37, 51, 53 e 54). 
Appalto -Ap.palto di opere pubbliche � Riserve � Fatto continuativo � 
Tempo e forma della riserva � Sospensione dei lavori � Verbale di 
ripresa. 

(r.d. 25 maggio 1895 n. 350, artt. 30, 36, 37, 51, 53 e 54}. 
Appalto � Appalto di opere pubbliche � Riserve � Sospensione di fatto � 
Tempo della riserva -Prima contabilizzazione successiva alla ripresa 
dei lavori. 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Riserva � Ostacoli ai lavori ancora 
presenti !In sede di consegna � Tempo della riserva � Verbale di consegna. 


(r.d. 25 maggio 1895 n. 350, artt. 10, 11, 36, 37, 51, 53 e 54). 
L'onere della riserva opera in principio ed analiticamente sulle singole 
partite di lavoro quali risultano dalle iscrizioni e trova il suo dies a quo 
nella rilevanza causale delle appostazioni contabili, volta a volta sottoscritte. 
Ne deriva che la contabilit� provvisoria, cio� quella relativa a lavori 
in avanzamento, comporta l'onere di riserva rispetto ai lavori contabilizzati, 
mentre le modalit� della sua tenuta, e quindi irregolarit� approssimazioni 
ritardi eccedenze provvisoriet� ed inadeguatezza delle partite 
contabili, possono rilevare in rapporto a concrete pretese ed in ragione 
dell'emergere �successivo� dell'attitudine di certi fatti a risultare one� 
rosi, ma non valere in s� ad escludere l'onere della riserva in genere per 
ogni lavoro contabilizzato. N� la contabilit� provvisoria pu� essere .ricondotta 
a quella di fatto, cio� non riprodotta sul registro di contabilit�, rispetto 
alla quale l'inesigibilit� dell'onere deriva dalla stessa mancanza 
del documento contabile da sottoscrivere (1). 

(1) Sui rapporti tra onere della riserva e contabilizzazione provvisoria, 
cfr., in senso conforme, neJJa giunsprudenza della cassazione, Cass., 20 gen

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 827 

e di voto e la p~sizione dei creditori privilegiati � la medesima. Non a 
caso l'art. 32 della tariffa all. A L.R. parla di concordati � stipulati tanto 
prima che dopo la dichiarazione di fallimento �. 

Nel caso di specie, per�, la soluzione � resa ancor pi� agevole dal 
fatto che vi � stato l'intervento di un assuntore, con conseguente liberazione 
immediata di tutti i debitori falliti (societ� e singoli soci). E per 
non allargare il discorso, al di l� d�lla fattispecie in esame, conviene 
soffermarsi proprio sull'ipotesi di tassazione di un concordato fallimentare 
con assuntore. 

� noto che nel concordato viene ravvisato un atto complesso ed esso 
esce dal piano puramente privatistico per colorarsi dei riflessi pubblicistici 
propri della procedura fallimentare. Sotto tale profilo esso legittimamente 
coinvolge persone senza il loro consenso (es. creditori privilegiati, 
creditori chirografari non votanti, creditori che non hanno presentato 
domanda di ammissione al passivo), in base al nuovo titolo costituito 
appunto del concordato. 

Ora nel caso di concordato con assuntore non � possibile negare che 
dal punto di vista soggettivo sia sorto un nuovo rapporto obbligatorio 
anche per i creditori privilegiati. 

La novazione soggettiva, richiamata dal codice civile (art. 1235) solo 
dal lato passivo, non ha una disciplina propria unicamente perch� essa 
� conseguenza della sostituzione con altro soggetto del debitore originario 
con liberazione di quest'ultimo, attuata mediante i tipici mezzi della 
delegazione, dell'espromissione o dell'accollo. 

Non � qui il caso di indugiare sulla natura negoziale o contrattuale 
della novazione, che la pi� moderna dottrina tende ad escludere, preferendo 
ravvisare in essa un effetto che discende da atti di diversa natura. 
Ci� �he rileva -ai fini della imposta di registro -� il fenomeno 
economico derivante dal concordato, in base al quale un nuovo debitore 
si � sostituito ai precedenti nei confronti di tutti i creditori originari e 
il valore dell'atto � costituito appunto dall'insieme delle somme che il 
debitore deve pagare. (omissis) 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 829 

La riserva non comporta necessariamente la contestuale quantificazione 
del pregiudizio risentito dall'appaltatore e perci�, riguardo ai c.d. 
fatti continuativi, tra i quali va ricompresa la sospensione, l'onere della 
iscrizione della riserva, salva la successiva quantificazione, sorge gi� nel 
momento in cui assume adeguata consistenza la percepibilit� della rilevanza 
causale del fatto dannoso, momento che, rispetto alle pretese fondate 
sull'intervenuta sospensione, certamente non pu� essere spostato 
oltre la sottoscrizione del verbale di ripresa dei lavori (2). 

La riserva, con cui l'appaltatore deduca d'aver subito un danno in 
conseguenza. di una sospensione di fatto dei lavori (avutasi a partire dalla 
consegna e per la mancata espropriazione di aree su cui eseguire i 
lavori), � tardiva se, in mancanza di verbale di ripresa dei lavori, non sia 
iscritta in occasione della prima contabilizzazione successiva all'effettivo 
inizio dei lavori e neppure all'atto della contabilizzazione successiva allo 
esaurimento della causa che aveva dato luogo alla sospensione di fatto (3). 

La riserva, con cui l'appaltatore deduca d'aver subito un danno in 
conseguenza del mancato o ritardato spostamento di linee telefoniche, 
telegrafiche ed elettriche nella zona in cui avrebbe dovuto eseguire l'opera, 
� correttamente ritenuta tardiva in base alla considerazione che i fatti 
riscontrati erano immediatamente valutabili nella loro portata, in quanto 
di palese ostacolo all'inizio dei lavori o ad un pieno ritmo di esecuzione, 
ed erano quindi suscettibili di incidere sulla produttivit� dell'impresa cagionando 
un accorciamento del termine contrattuale di esecuzione dell'opera, 
sicch� stante l'attualit� dell'incidenza causale, emergente dalla consistenza 
della zona al momento della consegna, la riserva avrebbe dovuto 
essere inserita nel verbale di consegna (4). 

(omissis). 1. -Si discute :in causa, in tema di contratto di appalto di 
opera pubblica, delle pretese dell'impresa appaltatrice fondate su riserve 
la cui tempestivit� � stata esclusa dai giudice di merito. 

La societ� ricorrente riconosce che la sentenza impugnata ha correttamentP, 
richiamato i principi fondamentali che reggono l'intero siste


naio �1981, n 476, Giust. civ. Mass. 1981, 185; Cass. 10 gennaio 1979 n. 1162, in 
questa Rassegna :1979, I, 570 con richiamo di 'lll1teriori p11eoedentii. 

{2�3) In tema di fatto continuativo, cfr., Cass. 1 aprile 1980, n. 2097 e 
Oass. 16 o�tobre J.980, n. 5564, in quesrba Rassegna 11980, I, 967 e 969; Caiss. 119 gennaio 
11979 n. 394, ivi, 1979, I, 573 �con richiamo di u!llteriori rpreoedentii; in tema 
di sospensli()[le, []Jeili �seillso che il verbale di ri1pI1esa dei i!Jav:ori costli1Juiisce la 
sede ullmima ;perch� ili'appail:tatore formuli la propria riiserv:a 1sulila leglittimiit� 
della sospensione o della sua durata e sui danni derivatigliene, Cass. l aprile 
1980, n. 2097, Arch. giur. op. pubbl., �1980, II, 20; Cass. 17 ottobre 1977, n. 4430, ivi, 
1978, II, 16; Cass. 15 1apr.hlie �1976 111. 11337, in questa Rassegna �1976, I, 619, Oass. 
5 gennaio :1976 n. 8, ivi 11976, I, 124. 

{4) In argomento, cfr., Cass. 1 aprile 1980 n. 2097, in questa Rassegna 1980, 

I, 967 e Cass. 19 marzo 1980 n. �1818, in questa Rassegna, 1981, I, 410. 

15 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

ma delle riserve; ma assume che l'applicazione fatta in concreto di tali 
principi sia erronea. 

La ratio della prescrizione relativa alla riserva � infatti rappresentata 
-si osserva -dal1a ncessit� di tenere costantemente inforimata la stazione 
appaltante delle possibili variazioni in aumento del costo dell'opera, 
onde metterla in grado di adottare tempestivamente gli opportuni provvedimenti. 
Pertanto l'appaltatore � tenuto ad iscrivere ed 'esplicare le 
riserve negli appositi documenti contabili, secondo le norme dettate dal 

r.d. 25 maggio 1895 n. 350, restando escluso tale onore solo nel caso in 
cui la contabilit� sia informe e non ricostruibile, dovendosi altrimenti (e 
sipecificarilente anche in caso di contabillit� � rprovvisoria �) quando 111on 
sia ancora attualmente possibile individuare il maggior onere subito, 
procastinare l'iscrizione (ed eventualmente la sola esplicazione quantitativa) 
al momento in oui la ;rilevazione del maggior d001no e ila sua entit� 
siano (con media diligenza) percepibili. 
Ci� premesso, con il primo motivo si lamenta che, i giudici del merito 
abbiano negato la concreta ricorrenza di una contabilit� informe ed 
irricostruibile, senza procedere ad una puntuale ricostruzione del concetto, 
e senza accertare la riconducibilit� al modello normativo della fattispecie 
in cui si riscontravano due tipi di contabilit�, l'una informe e verit1era, 
l'altra formalmente ineccepibile, ma non rispondente aUa realt�. 

Nonostante le decisioni di questa Corte si riferiscano univocamente, 
per fissare il concetto di � contabilit� informe � a quella contenuta in 
brogliacci, l'ipotesi si verifica anche tutte le volte in cui le I1egistrazioni, 
pur essendo effettuate sui regolari registri non rispondono in alcun modo 
al reale stato dei lavori (mirando esclusivamente a consentire il pagamento 
di acconti all'impresa). 

L'impossibilit� del controllo andrebbe perci� ricollegata non soltanto 
alla mancanza dei requisiti formali nella tenuta della contabilit� ma pure 
alle suddette ipotesi. 

Nella specie il divario fra registrazioni e reale stato di avanzamento 

dei lavori �era imponente (219 partite iscritte rispetto a 1080 partite costi


tuenti la contabilit� definitiva); ed in tale situazione l'onere di riserva e 

di relativa quantificazione risultava di impossibile osservanza. 

Aveva qumdi errato la Corte escludendo l'esonero dalle riserve ri


spetto ad essa contabilit� di comodo -pur se formalmente regolare 


preordinata al pagamento degli stati di avanzamento dell'impresa. 

Si addebita alle sentenze di non avere dato decisivo rilievo alla cir


costanza che la �contabilit� �reale� era tenuta su brogliaoci e 1o stesso li


bretto delle misure non rispecchiava l'effettivo andamento dei lavori, men


tre il registro ufficiale conteneva voci e cifre non rispondenti alla .realt�. 

Il sistema della doppia contabilizzazione rendeva possibHe la esplicazione 
di tutte le riserve ivi compres� quelle non attinenti alla materiale 
esecuzione dei lavori (differimento della data di inizio, condizioni delle 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

aree consegnate) venendo a dipendere la quantificazione specifica di ciascuna 
riserva dalla globale considerazione di tutti i dati relativi all'appalto 
(I motivo: violazione degli artt. 36, 37, 51, 53 'e 54 del r.d. 25 maggio 1895 

n. 350 e dei principi generali in tema di riserve; omesso esame di punto 
decisivo, omessa e insufficiente motivazione). 
2. -Il motivo non � fondato. 
In definitiva l'impresa pretende di addebitare alla Corte del merito 
un eITore di diritto per non avere allargato la nozione di contabilit� 
informe od irricostruibile a quella di contabilit� trascritta nei registri in 
via provvisoria senza puntuale corrispondenza agli effettivi stati di 
avanzamento dei lavori, mentre la contabilit� reale era contenuta in 
brogliacci che non avrebbero potuto essere e non vennero sottoposti 
all'appaltatore per la sottoscrizione, risultando quella formalmente versata 
nei registri sottoscritti dall'appaltatore puramente di comodo, e si 
propone di superare in effetti la lineare distinzione emergente dalla giurisprudenza 
di questa S.C. nel senso di postulare l'assoggettabilit� allo 
onere delle riserve anohe rispetto alla contabilit� provvisoria, in contrapposizione 
a quella informe (Cass. 476/81; 162/79; 2613/76; 1355/72). E pretende 
di corroborare in punto di fatto il proprio assunto deducendo 
l'omesso esame della circostanza che era stata tenuta appunto una doppia 
contabilit�, e che quella formalmente consacrata nei registri non 
rispondeva allo stato dei lavori, la cui decisivit�, sta o cade, ovviamente 
con l'accoglimento o la reiezione della tesi giuridica di cui vorrebbe rappresentare 
iii supporto fattuale. 

Il problema interpretativo � stato esaminato diffusamente dalla Corte 
d'Appello la quale ha escluso che sia consentito, in presenza di una 
contabilit� per partite provvisorie, differire l'adempimento dell'onel'e sino 
al definitivo allibramento di tutte le categorie di lavoro e di tutte le 
quantit�, poich� se al momento della sottoscrizione determinate quantit� 
iscritte implicano fatti che gi� si presentino come potenziale fonte 
di maggiori pretese, nei limiti suddetti operano i principi generali. 

Non sarebbe rispondente alle finalit� dell'istituto delle riserve -secondo 
la Corte del merito -esentare l'appaltatore dall'onere sol perch� 
la stazione appaltante � incorsa in irregolarit� ed approssimazione della 
tenuta dei registri della contabilit�, se tali irregolarit� non impediscono 
di cogliere la rilevanza causale incidente su maggiori oneri derivanti dalle 
relative appostazioni. 

La provvisoriet� della contabilit� gioca cio� soltanto sul detto piano 
della rilevanza causale, consentendo di differire il momento di iscrizione 
ed esplicazione delle riserve in dipendenza della percepibilit� del maggior 
onere, 11estando esclusa in generale la immediata denuncia solo rispetto 
ad una contabilit� non consacrata negli appositi registri del tutto 
informe e irricostruibile, che non viene sottoposta all'appaltatore per la 
sottoscrizione e non gli consente comunque obiettivamente di appurare 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

832 

l'effettiva determinazione dei titoli di spesa e delle pretese riconosciutegli. 
La contabilit� provvisoria parziale, ha precisato la impugnata sentenza, 
riecheggiando l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte di 
Cassazione, si risolve in una registrazione limitata, ma entro questi limiti 

postula l'operativit� de11'onere di (tempestiva) riserva, in correlazione alla 
funzione svolta di consentire pagamenti parimenti parziali. 

Sul piano applicativo la Corte ha rilevato che la contabilit� tenuta 
dall'Anas, anche se si svolse mediante registrazioni di misure provvisorie, 
era stata formalmente ineccepibiJ.e, venendo trascritta nei prescritti 
registri debitamente vidimati, e sottoposti, di volta in volta, all'approvazione 
ecl. alla sottoscrizione dell'impresa, rispecchiando nelle singole 
voci esplicitamente contemplate, ed in quelle che ne risultavano chiaramente 
implicate li vari momenti di esecuzione dall'opera, ed i relativi 
oneri sopportati dall'appaltatore. 

Conseguentemente, secondo i giudici romani, le pretese dell'impresa 
concernenti le partite di lavori via via registrate, anche se per quantit� 
parziali, e che da queste partit'e erano comunque implicate, andavano 
iscritte al momento della sottoscrizione ed esplicate entro i quindici 
giorni successivi, salva la possibilit� di determinare anche successivamente 
il quantum preteso, ove � allo stato � il danno non fosse esattamente 
emerso, ovvero fosse ancora suscettibile di espansione. 

Di i�ronte a questa .adeguata motivazione, in di:ritto ed in fatto, le 
censure dell'impresa non appaiono centrate sia iper il taglio delle doglianze, 
sia perch� significativamente non si contesta in concreto il difetto 
di rilevanza causale rispetto alle riserve costituenti le singole pretese 
fatte valere in giudizio. 

Non quindi la provvisoriet� delle !'egistrazioni, ma la inavvedutezza 
dell'appaltatoJ1e che, fra le maglie di quelle pur inadeguate contabilizzazioni, 
non seppe cogliere il danno emergente sta al fondo della tardiva 
formulazione delle riserve e comunque, della mancata esplicazione delle 
medesime, con conseguente decadenza. E l'allargamento di prospettiva 
cos� insistentemente sottolineato nel ricorso e nella memoria non viene 
in considerazione poich� rispetto alle partite in quel conto allibrate la 
tempestiva deduzione delle riserve sarebbe stata agevolmente possibile. 

Mentre la Corte d'Appello muove dalla affermazione in diritto della 
idoneit� delle iscrizioni �provvisorie� a far scatta!'e l'onere delle riserve, 
non rilevando la eventuale irregolarit�, e solo per incidens ed in guisa di 
contrapposizione, ricorda che detto onere viene meno soltanto rispetto 
alla contabilit� informe ed irricostruibile, risultante dai brogliacci, � indecifrabile 
e non ostensibile � lasciando chiaramente intendere che il tema 
di discussione non riguardava una situazione siffatta, la compatibilit� 
con il suddetto onene delle registrazioni provvisorie, in sede di ricorso 
si addebita alla Corte medesima di non essersi data carico di fissar,e adeguatamente 
la nozione di contabilit� e di avere escluso la ricorrenza di 

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............................_._.___________�__ � --------------------..--------------------.------------------------------------�---�--------------------------------c---c-z-z-c-.-oc----. -------------------------r.--------J 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

questa ipotesi valorizzando le (provvisorie) registrazioni formali e trascurando 
la parallela contabilit� di fatto. 

Potrebbe, quindi, addirittura dubitarsi se la prospettiva de1la esclusione 
dell'onere in presenza di una doppia contabilit� (di cui quella 
formale meramente di comodo) sia una � qUJestione nuova� come tale 
inammissibile in cassazione. Il Collegio lo esclude sul rilievo che la tematica 
dell'esigibilit� o meno dell'onere ha informato di se l'intera lite 
risolvendosi-la riconducibilit� all'uno ed all'altro fondamento giuridico in 
una questione di mero diritto da decidere sulla base di elementi fattuali 
gi� comunque invocati davanti al giudice di appello. 

3. -La censura pur formalmente ammissibile, non coglie nel segno, 
giacch� porta a sovrapporre e confondere due concetti che non interferiscono 
fra loro. 
La provvisoriet� de1Ja contabilit� formalmente rituale e risultante 
dagli appositi libri previsti dalla legge, non fa venir l'onere della riserva 
che non ha modo di estrinsecarsi solo quando le annotazioni restano 
estranee ai libri contabili (donde il riferimento ai brogliacci) e presentino 
connotati sostanziali tali da non consentire di intenderla e di trarre 
elementi orientativi (donde gli aggettivi �informe� con riguardo alla situazione 
di attuale confusione, ed � irricostruibile � con riferimento alla 
impossibilit� di apportare un minimo di uniformit�, chiarezza e coerenza 
a dati approssimativi incoerenti e confusi). 

Mentre la contabilit� provvisoria � comunque consacrata nel regi


stro di contabilit�, che � il luogo di elezione della riserva, rispetto alla 

contabilit� �di fatto�, estranea al sistema garantistico che si realizza 

anche oon Jo strumento deJla risel."'Va, man-0a l'elemento di base perch� 

l'onere venga in considerazione, vale a dire la sottoscriziont! del docu


mento contabile ufficiale (il registro appunto) cui deve accompagnarsi� la 

riserva in relazione al.la presa in considerazione di dati emergenti dalle 

appostazioni e nella misura comportanti un aggravio del costo dell'opera. 

Ne consegue che l'inesigibilit� dell'onere delle riserve rispetto alla con


tabilit� di fatto � postulata dalla logica giuridica prima ancora che 

dalila piena applicazione delle norme positive. 

Per la verit� talora, specialmente nella giurisprudenza arbitrale si � 

manifestata la tendenza a ricondurre la contabilit� provvisoria trascritta 

nell'apposito registro, alla contabilit� di fatto formalmente inesistente, 

informe ed irricostruibile affidata ad appunti o brogliacci. 

Ma il superamento di questo orientamento � ormai acquisito. 

P:r;endendo Je mosse dai dati positivi va ricordato che la registrazione 
dei favori � effettuata anzitutto nei libretti delle misure, che sono tenuti, 
� in corrente� con il progresso dei lavori (art. 47 2� comma r.d. n. 350 
del 1895); le relative annotazioni sono riportate nel registro di contabilit�, 
ed ac�ompagnate dalla indicazione del prezzo pattuito (artt. 53 e 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

834 

54 del medesimo decrnto) in modo che sia possibile ricavarne gli stati di 
avanzamento quando debba farsi luogo al pagamento di rate di acconto 
(art. 58 1� comma r.d. n. 350 cit.), ed a tale trascrizione si correla, in termini 
di tempestivit�,. l'onere della riserva. Ai sensi dell'art. 42 2� comma 
del citato decreto la misurazione deve specificare la parte di lavoro eseguito, 
quando l'opera non risulta ancora ultimata, ed in questo senso si 
parla di lavori di avanzamento, con riferimento alla effettiva esecuzione 
dei medesimi in corso di completamento. La registrazione in avanzamento 
� designata nella prassi come �registrazione provvisoria�; e 
questa terminologia si � andata generalizzando, intendendosi per contabilit� 
provvisoria quella relativa a lavori in avanzamento (mentre in senso 
proprio la provvisoriet� va riferita a misurazioni non ancora riportate nei 
lib11etti delle misure nel caso che il direttore dei lavori non sia in loco, 
ovvero ai certificati di acconto emessi senza che risulti firmato il registro 
di contabilit� (cfr. artt. 48 e 58 2� comma r.d. n. 350 cit.). 

L'illegittimit� della tentata equiparazione della contabilit� provvisoria 
a quella informe, chiaramente diretta ad allargare l'ambito derogatorio 
al principio generale della riserva, appare manifesta ove si consideri 
che rispetto alla contabilit� informe, a ben vedere, non si tratta di introdurre 
una deroga, facendo radicalmente difetto i presupposti di operativit� 
dell'istituto perch� il dato contabile non � stato evidenziato nell'apposito 
registro, sicch� manca una contabilit� (formale) in senso 
proprio, cui correlare la riserva che deve essere tempestivamente formulata 
ogni qualvolta alle registrazioni si provveda, sia pure in via provvisoria, 
non rilevando la inesattezza e la arbitrariet� delle specifiche appostazioni. 


La diversit� essenziale delle due ipotesi � addirittura macroscopica, 
assumendo determinante rilievo l'inserzione nel registro di contabilit�, 
che costituisce l'unico punto di incontro giuridicamente rilevante, di 
appaltatore e pubblica amministrazione. 

Rispetto ai dati non ancora consacrati nel registro di contabilit�, la 
inapplicabilit� della regola della riserva discende direttamente dal diretto 
del presupposto. 

Invece, nel caso di contabilit� formalmente inserita nel registro, ma 
sostanzialmente inesatta e contestabile, non basta allegare irregolarit�, 
approssimazioni, ritardi, eccedenze da parte dell'amministrazione appaltante 
per escludere la necessit� della riserva (Cass. 78/74), venendo soltanto 
in rilievo, come ben messo in evidenza dall'impugnata sentenza, il 
criterio della rilevanza causale, alla stregua del quale l'appaltatore � tenuto 
ad iscrivere riserva, sempre che, e dal momento in cui, secondo 
indioi di media diligenza e di buona fede possa rendersi conto, nonostante 
le -riscontrate manchevolezze, del maggior aggravio derivante a suo �carico 
(non sussistendo nesso di causalit� fra le carenze contabili ed i fatti che 
dovrebbero formare oggetto di riserva). 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Esattamente, pertanto, l'impugnata sentenza ha sottolineato che le 
irregoladt� delle registrazioni contabili possono tutt'al pi� differire nel 
tempo il momento della dedu~ione ogni qualvolta i dati contabili registrati 
non consentono l'immediata rilevabilit� del maggior esborso cui 
l'appaltatore va incontro e che pu� dipendere sia dalla quantit� del lavoro 
svolto, sia dalle diverse modalit� di esecuzione. 

La provvisoriet� delle registrazioni in avanzamento non comporta 
l'esonero della riserva, nemmeno sotto il profilo, ampiamente trattato 
nel motivo, del carattere fittizio, o di comodo della contabilit�, formata 
al solo scopo di rendere possibile la compilazione degli stati di avanzamento 
'ed i conseguenti pagamenti di acconti. 

Anche ad ammettere, concessivamente, che le circostanze esposte nel 
motivo di ri.corso siano state tutte acquisite in causa, risultando utilizzabili 
sul piano probatorio, non sembra superabile il rilievo che le registrazioni, 
per quanto difformi dalla realt�, nel momento in cui venivano 
effettuate al solo scopo di consentire i parziali pagamenti, evidenziavano 
certe partite di lavoro, alla stregua delle quali, in quanto ne emergessero 
maggiori pretese dell'appaltatore, scattava 11 relativo onere. 

Il discorso astratto sulla �impossibilit�� di formulare riserve e 
quantifilcarle prima che fosse completato il quadro della situazione 
effettiva dell'andamento dei lavori, non � condividibile, perch� l'onere 
delle riserve opera in principio ed analiticamente sulle singole partite 
di lavoro quali risultano dalle iscrizioni e trova il suo dies a quo nella 
rilevanza causale delle appostazioni contabili, volta a volta sottoscritte. 

Ne segue che finesattezza non pregiudica l'imprenditore per quanto 
riguarda le quantit�, ma � altrettanto ovvio che se viene in considerazione, 
in ipo,tesi, il costo unitario del lavoro eseguito, la provvisoriet� 
della registrazione non si riflette negativamente sulla rilevanza causale 
del fatto generatore di danno, venendo a dipendere dalla definitivit� 
delle misurazioni, solo eventualmente la quantificazione del danno gi� 
resosi evidente nell'an. 

Sotto questo aspetto la genericit� della censura nuoce all'impresa 
che non pu� pretendere di ricollegare alle modalit� di tenuta della contabilit� 
la applicabilit� del sistema delle riserve, ma la provvisoriet� ed 
inadeguatezza delle partite contabili avrebbe potuto invocare eventualmente, 
caso per caso, rispetto a ciascuna delle riserve formulate, per 
sostenerne la tempestivit� in relazione all'emergere �successivo� dell'attitudine 
di certi fatti ad aggravarne gli oneri rispetto alla originaria 
iscrizione. 

E poich� la Corte del merito si � richiamata ad ineccepibili criteri 
giuridici esattamente applicati quali canoni di valutazione alle singole 
riserve, ne ri:sulta la pretestuosit� delle dedotte censure ri:guardanti asseriti 
vizi di motivazione per omesso 1esame di fatti decisivi, non essendo 
le circostanze di fatto invocate dal ricorrente suscettibili di infirmare la 


836 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

impostazione di fondo seguita dai giudici romani, che hanno escluso che 
una contabillit� riportata nel registro pur se provvi:soria, e di oomodo, non 
corrispondendo alla realt� valesse ad esonerare la impresa dal sistema delle 
riserve (riflettendosi se del caso soltanto sullo scorrimento in avanti 
del termine di deduzione), trattandosi di verificare caso per caso la tempestivit� 
della riserva in relazione alla peculiarit� della singola posta. 

(omissis) 

(omissis) Con il terzo mezzo si passa dal piano delle censure di principio, 
che investono la sentenza nella sua globalit�, alle contestazioni specifiche. 
E si sostiene che, per quanto riguarda i fatti continuativi, la Corte 
del merito, con riguardo alle riserve nn. 1, 2, 3, pur avendo enunciato principi 
esatti li avrebbe -ancora una volta -erroneamente applicati, 
non considerando � fatto continuativo� sia la sospensione di fatto intervenuta 
agli inizi del lavoro per mancata predisposizione degli atti di 
esproprio (prima riserva lett. b), sia la presenza degli ostacoli sul 
tracciato dell'opera da eseguire (riserva n. 2), dato che, in ambedue i 
casi, ci si trovava di fronte a situazioni che, come causa di maggiori 
oneri, si erano prodotte continuativamente sino al termine dell'appalto, 
dando origine a sempre nuovi e diversi oneri. 

Al riguardo la Corte contraddittoriamente da un lato avrebbe escluso 
che l'originaria sospensione dei lavori potesse considerarsi fatto 
continuativo (avendo esaurito ogni potenzialit� di produrre ulteriori 
oneri per l'impresa al momento dell'emanazione dell'ultimo decreto di 
esproprio), e dall'altro avrebbe respinto la richiesta di maggiori compensi 
derivanti dalla accelerazione dei lavori per ovviare il ritardo, sul 
rilievo .che, trattandosi di oneri coilll1essi alla sospensione originaria, 
l'avere omesso di proporre la riserva in quell'occasione precludeva. 
ogni richiesta per il riflettersi di tale fatto sull'intera durata dell'ap.. 
pailto ~ammettendo, quindi, implicitamente, la continuit� di effetti dannosi 
in precedenza negata). 

Il motivo non � del tutto chiaro, n� nella rilevazione dell'iter logico 
seguito dalla sentenza, n� nella critica che ad essa si muove denun� 
ciando (con rubrica identica a quelle proposte al secondo mezzo) la 
violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 54 del r.d. 25 maggio 
1895 n. 350, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto 
decisivo). 

Giova quindi prendere le mosse dalla sentenza impugnata e dal 
riconoscimento che il ricorrente fa della esatta enucleazione del concetto 
di fatto continuativo e del suo riflettersi sulla disciplina della 
riserva operata dalla Corte romana, in aderenza agli orientamenti interpretativi 
di questa Corte. 

6. Dopo aver precisato che il cosidetto � fatto continuativo� consiste 
in una causa che costantemente si ripete, e che � destinata ad 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 837 

operare .come fonte di sempre nuovi e distinti, anche se analoghi effetti 

dannosi, la Corte del merito ha dato atto dell'evoluzione della giurispru


denza sul punto, aderendo alla tesi per cui, anche rispetto al fatto 

continuativo, le riserve devono essere immediatamente iscritte non ap


pena tale fatto risulti pienamente apprezzabile quale causa potenziale 

di un ag3ravr.meato della rrestazione, salva la precisazione dell'en


tit� dei danni nelle successive registrazioni, ovvero anche nel conto 

finanziario (Cass. 78/74, 1148/75, 2841/75, 1458/75, e da ultimo 2097/80 e 

476/81). 

La Corte ha, pertanto, disatteso le tesi dell'impresa la quale soste


neva in primo luogo l'insussistenza dell'onere di iscrizione rispetto alle 

contabilizzazioni provvisorie (cfr. i precedenti paragrafi 2 e 3 peir la 

riproposizione della tesi in questa sede sotto la angolazione della equi


parazione della contabilit� provvisoria a quella informe) ed assumeva 

in subordine che la riserva ben poteva essere avanzata rispetto ai 
� fatti continuativi, all'atto della sottoscrizione della contabilit� definitiva, 
ed ha escluso, in punto di fatto, che l'emergere dei fatti continuativi 


fosse stato �tempestivamente denunciato, non senza rilevare la incon


ciliabilit� di questa osservazione con la principale Jinea difensiva seguita. 

Passando all'esame delle singole riserve la Corte ha rilevato (nei 

limiti della contestazione ancora rilevante in questa sede): che la ri


serva sub 1 b) riguardava una sospensione di fatto dei lavori dalla con


segna, avvenuta il 12 aprile 1963, sino al 10 ottobre a causa della ritar


data emanaziione dei decreti di espropriazione (o di temporanea occu


pazione) da parte della regione Valle d'Aosta; al riguardo l'impresa 

non aveva provato che il direttore dei lavori le avesse ,taciuto la m�n


canza dei decreti di espropriazione, o di temporanea occupazione, im


pedendole di iscrivere riserva nel verbale di consegna dei lavori; co


munque alla data dell'ultimo decreto di esproprio e cio� al 10 ottobre, 

1a sospensione avevia ormai esaurito la sua potenzialit� di danni (aven


do avuto termine). 

Che non si poteva ravvisare in detta sospensione un fatto conti


nuativo (Cass. 8/76) ma anche ad accedere alla qualificazione e facendo 

ricorso alla giurisprudenza pi� longanime della Cassazione, l'impresa 

avrebbe dovuto iscrivere riserva in mancanza di verbale di rip1:1esa dei 

lavori, in calce alla contabilizzazione sottoscritta il 30 novembre 1963 

(sia pure nel presupposto erroneo di doverlo fare a caus�a dannosa ormai 

esaurita, non senza contare che gi� il 30 settembre 1963 vi era stata 

una prima contabilizzazione rispetto alla quale era stata iscritta una 

incomprens�ibile riserva per � revisione � laddove avrebbe dovuto de


nunciare i fatti che avevano impedito lo svolgersi dei lavori secondo 

un ritmo normale, circostanza questa di agevole percepibilit� e di in


dubbia rilevanza causale), invece la riserva era stata formulata sotto 

la data del 3 ottobre 1967, alla chiusura dei registri di contabilit�, e cio� 


838 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

a distanza di oltre un anno dalla fine dei lavori e dalla sottoscrizione 
dell'ultima contabilizzazione provvisoria e ad oltre quattro anni dalla 
verificazione degli anormali eventi a cui si attribuisce l'attitudine a produrre 
danni; �e conseguentemente la riserva era stata sicuramente intempestiva; 


che quella sub 1/C, riguardante l'acceleramento dei lavori imposti 
dall'Anas, dipendendo dal ritardo iniziale, non tempestivamente dedotto, 
era come tale inammissibile e comunque si sarebbe verificata 
decadenza anche nell'ipotesi di iniziale iscrizione, per mancata riproduzione 
nel conto finale; . 

che quella sub 2 riguardava il 1risardmento del danno patito a 
causa del mancato o ritardato spostamento dalla zona dei lavori delle 
linee telefoniche, telegrafiche elettriche, degli impianti di illuminazione 
e delle cabine elettriche, ed alt11es� a causa delle misure di prevenzione 
adottate per garantire l'integrit� ed il funzionamento di tali impianti 
quasi per l'intera durata dei lavori; 

che una volta effettuata la consegna, nel relativo verbale l'impresa 
avrebbe dovuto iscrivere le riserve che riguardavano i fatti preclusivi 
all'inizio dei lavori od al loro normale svolgimento con incidenza sulla 
produttivit� e quindi riduzione del termine contrattuale di esecuzione 
dell'opera che rischiava di non poter essere rispettato; mentre non 
aveva provveduto a inserire la opportuna riserva nel verbale di inizio 
dei lavori pregiudicando definitivamente il suo eventuale buon diritto 
ad un indennizzo, non potend_osi il comportamento de1la P.A. al riguardo 
qualificare doloso o gravemente colposo ai fini de11a non operativit� del 
principio delle riserve che resta circoscritta comunque a .comportamenti 
non aventi diretta incidenza nella esecuzione dell'opena. 

7. La ricognizione della motivazione della Corte d'Appello mette 
effettivamente in luce talune incertezze argomentative nella enucleazione 
del concetto di fatto continuativo, ma poich� tali incertezze riflettenti 
lo stesso svolgimento non del tutto lineare della giurisprudenza 
di questa Corte, non toccano il nucleo decisorio del giudizio di tempestivit� 
delle riserve formulate dopo che l'impresa, pur avendo avuto 
sicuramente in un certo momento del corso dei lavori, la oggettiva 
possibilit� di percepire la rilevanza causale di certi fatti, non si cur� 
di provvedere immediatamente alla relativa iscrizione, la conclusione 
di decadenza cui sono giunti i giudici di merito resiste alla critica, tutt'altro 
che puntuale, mossa dal ricorrente che non ha in effetti, individuato 
il punto debole del ragionamento dei giudici romani che rifletteva 
la oscillazione giurisprudenziale circa la inserzione delle sospensioni 
di fatto dei lavori tra le ipotesi di continuit�, e circa l'effettiva 
incidenza di una quailH1cazione siffatta sulla disdp'lina delle riserve. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Nel presupposto gi� sottolineato, del carattere generale dell'istituto 
della riserva, che atteso l'evidenziato collegamento con il registro di 
contabilit� viene meno solo nel caso di contabilit� informe ed irricostruibile, 
mentre sussiste anche nel caso di contabilizzazione irregolare 

o provvisoria (e di questi principi si � fatta applicazione nella confutazione 
del primo mezzo; cfr. amplius il precedente paragrafo 2) si sono 
venute evidenziando in giurisprudenza le ipotesi eccettuative; fra esse 
annoverando accanto ai fatti estranei all'oggetto dell'appalto e ai fini 
di documentazione dell'iter esecutivo dell'opera, nonch� al comportamento 
doloso, o gravemente colposo della P.A., non incidente direttamente 
sulla esecuzione dell'opera) anche i c.d. �fatti continuativi� discutendosi 
in ordine aJ!la inclusione, nella categoria delle intervenute 
sospensioni del lavoro durante il periodo contrattualmente previsto per 
la loro effettuazione. 
Ma pi� di recente � stato messo in luce ,che non � cOI'retto esdu� 
dere i predetti fatti continuativi dell'area di incidenza dell'istituto della 
tempestiva riserva. 

L'onere della riserva, in verit�, sussiste non solo rispetto ai fatti 
transuenti, ma anche per quelli continuativi, che presentano, anzi, una 
pi� spiccata idoneit� a riflettersi, in senso maggiorativo, sul costo dell'opera; 
la circostanza che l'evento considerato non abbia carattere 
istantaneo, ma consiste in una situazione il cui svolgimento si protrae 
nel tempo, opera soltanto nel senso di procrastinare eventualmente il 
momento in cui scatta l'onere medesimo nella duplice forma dell'iscrizione 
e della traduzione in una cifra determinata dalla pretesa. 

La consapevolezza che si trattasse di individuare il momento ultimo 
della iscrizione della riserva attinente ad una situazione di perdurante 
manifestarsi dell'evento causativo del danno, non fu peraltro immediatamente 
acquisita perch� le prime decisioni di questa S.C. intervenute 
in argomento riferendo il dies a quo per la decadenza da intempestivit� 
alla cessazione della continuazione (Cass. 830/72, 717/73), se 
non adididttura al termine dei Lavori (Cass. 2699/67) furono portate a 
sottolineare che l'onere da fatto continuativo, ripercuotendosi sull'intero 
ciclo di esecuzione dell'opera, si evidenziasse nella sua concreta 
misura soltanto ad esecuzione ultimata, sicch� sotto questo aspetto 
poteva ritenersi che venisse meno la stessa imposizione di formulare 
la pretesa, a pena di decadenza in corso d'opera. 

In successive decisioni peraltro, � stato messo in chiaro che l'unitaria 
considerazione delle finalit� cui l'istituto delle riserve tende, di 
controllare la misura della spesa dell'opera in fieri attraverso le sue 
possibili espansioni, comportava che altrettanto lineare ed unitario dovesse 
essere il criterio applicativo atto a realizzare sempre con immediatezza 
il collegamento fra la pretesa emergente e la conoscenza della 
medesima, sin dall'origine, da parte della stazione appaltante. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Si richiede, pertanto, rigorosamente, all'appaltatore di effettuare in 
ogni caso, e per ogni fatto suscettibile di comportare l'aggravamento 
della prestazione e quindi di riflettersi in senso maggiorativo sul corrispettivo, 
la riserva non appena la potenziale dannosit� venga in evidenza. 
Detto in altre parole, l'onere della riserva � operante, anche per 
i fatti continuativi, alla stregua del criterio della rilevanza causale dell'evento 
generatore della continuazione medesima, che pu� palesarsi, 
secondo criteri oggettivi di media diligenza, anche prima della cessazione 
della continuazione, restando differita la quantificazione del chie� 
sto risaocimento aftla epoca suooess�iva in cui si consolida definitiva� 
mente iJ. pregiudizio economico subito (Cass. 1960/72, 677, 1527, 2168. 
2454/73, 78/74, 1148, 1458, 2221, 2841, 3958/75, 8, 76, 726/76, 4430/77, 
394/79, 2097/80, 476/81). 

Il c.d. fatto continuativo consiste in un accadimento che, non 
avendo carattere istantaneo, si protrae nel tempo costantemente ripetendosi 
e che � destinato ad operare come fonte di sempre nuovi e 
distinti, anche se dello stesso tipo, effetti dannosi. 

In questo senso va contrapposto al fatto istantaneo con effetti permanenti, 
che si ripercuotono a cascata sull'intero ciclo esecutivo del 
rapporto pur essendo venuto meno il fatto generatore. 

Deve �trattarsi, dunque, di fatti eguali nelle modalit� di accadimento, 
e prodotti da cause costanti, di cui � sempre possibile l'accertamento 
lungo tutto il corso del loro operare, compreso il momento finale (Cass. 
1527/73), riconducibili, cio�, ad una serie di ricorrenti episodi la cui 
ripetitivit� comporta rilevanre onerose e pregiudizievoli, non attribuibili 
alla singola circostama iso1atamente considerata (Cass. 677/73; 8/76). 
Emerge attraverso la sottolineatura della ripetitivit�, che d� evidenza e 
consistenza al danno, altrimenti trascurabile, se rapportato al singolo 
elemento, la preoccupazione della giurisprudenza, che ha introdotto la 
nozione, di evitare che l'appaltatore fosse tenuto, a pena di decadenza, 
all'iscrizione di riserva quando il fatto appena venuto in essere non 
palesava ancora apprezzabilmente la sua potenzialit� dannosa (evidenziata 
appunto dal ripetersi nel tempo), e quando soprattutto sarebbe stata inesigibile 
la quantificazione del maggior compenso preteso (che, erroneamente, 
si riteneva dovesse essere contestuale e immediata). 

Il fatto continuativo in itinere, pu�, quindi, non manifestare immediatamente, 
proprio perch� tale, la sua �rilevanza causale, e finch� non 
sia cessato non consente la puntuale quantificazi�ne del danno. Ne consegue 
che la tempestivit� della riserva viene a dipendere dalla obiettiva 
apprezzabilit� della rilevanza casuale, con salvezza di precisare la misura 
della richiesta, non appena possibile, nelle successive registrazioni, e 
con ulteriore onere d� riproposizione della riserva nel suo preciso ammontare, 
nel conto finale. 

Non �, perci�, esatto che soltanto al momento della cessazione della 
�continuazione possa emergere tale rilevanza causale correlandosi la tem



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

pestivit� solo e sempre alla cessazione medesima, vero essendo, invece, 
la reciproca, che cio� con la cessazione fa riJevanza � venuta necessariamente 
ad evidenziarsi. Correlativamente le riserve inscritte nel 
conto finale concernenti le sospensioni intervenute durante l'esecuzione 
dell'opera, e non enunciate in precedenza nel verbale di ripresa dei lavori 
sono da ritenere sicuramente intempestive (Oass. 2164/73, 2486/73, 
2841/75). Ed invero, il verbale di ripresa dei lavori, rispetto alle pretese 
fondate sulla intervenut� sospensione, costituisce sicuramente il momento 
ultimo per la iscrizione della riserva (pur non potendosi escludere 
una anteriore manifestazione della rilevanza causale). 

Ma � sempre e solo a campeggiare detto criterio della� rilevanza causale; 
in ogni ipotesi di sospensione dei la'l.'ori appal'e i:rrilevante la contrapposizione 
di sentenze che escludono (Cass. 8/76, 3858/78, 3438/78) od 
ammettono (restante giurisprudenza) l'inquadramento nello schema del 
fatto continuativo degli 1episodi di sospensione dei lavori. Ed, infatti, 
tutte le pi� recenti decisioni di questa Corte appaiono univoche nel 
fare applicazione dell'enunciato criterio, indipendentemente dalla rilevanza 
data aHa continuit� in senso tecnico, con riguardo al fatto di 
sospensione. 

Il concetto di fatto continuativo (come � stato puntualizzato nella 
sentenza n. 2097 del 1980) non va ricostruito aprioristicamente, ma si 
correla all'esigenza che si voleva tutelare, quella cio� di escludere l'onere 
di (tempestiva) riserva, ogniqualvolta apparisse impossibile, o di estremamente 
ardua attuazione. Tali impossibilit� (o difficolt�) in un primo 
momento si valutano nel falso �]:1resupposto della inscindibilit� di iscrizione 
e quantificazione della riserva; una volta negata tale inscindibilit�, 
viene �esclusivamente in considerazione la individuazione temporale (con 
indagine di fatto) nel momento in cui assume adeguata consistenza la 
percepibilit� della rilevanza causale. 

A seconda che la giurisprudenza ritenga di agganciarsi ad una pi� 

o meno lata ricostruzione degli effetti sulla disciplina delle riserve del 
fatto continuativo ricollegando il termine di tempestivit� della riserva 
al compimento dei lavori (giusta la originaria impostazione che va disattesa 
ad avviso del collegio per le considerazioni che si sono venute esponendo), 
ovvero prendendo atto del superamento di quella concezione, 
accade che, per raggiungere il medesimo risultato applicativo, si escluda 
ovvero si includa, la sospensione dei lavori nella categoria, fermo restando 
l'univocit� dei risultati nel senso della intempestivit� di una riserva 
che non sia stata quantomeno enunciata nel verbale di ripresa 
dei lavori. 
Ci� messo in chiaro, ponendo l'accento sulla rilevanza causale e sulla 
gradualit� dell'eventua:le suo emergere di fronte alle ripetitivit�, va riba� 
dita la correttezza dell'adesione di un concetto lato di fatto continuativo, 
includendovi la sospensione dei lavori, non senza sottolineare che 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

specificamente detta sospensione, quando palesemente si presenti illegittima 
ab initio, non pu� non rivelarsi immediatamente susoettibile di 
incidere negativamente sul costo dell'opera. 

8. -Alla stregua dei richiamati principi pu� procedersi alla confutazione 
del motivo rilevando che effettivamente la Corte di Appello 
quando ha negato che la sospensione di fatto dei lavori potesse inquadrarsi 
tra i fatti continuativi, non ha adottato una terminologia pienamente 
condividibile (anche se avallata da un certo orientamento della 
giurisprudenza di questa Corte). 
Ma, come si � posto in evidenza, tale negazione non ha esplicato 
alcun concreto effetto sul giudizio di intempestivit� espresso; anzi, a ben 
vedere, l'impresa ricorrente, pur avendo riconosciuto in tesi l'esattezza 
dell'orientamento giurisprudenziale che nega la possibilit� di differire la 
riserva, rispetto al fatto continuativo, sino al compimento dell'opus, 
nell'articolare la censura sembra riallacciarsi al superato orientamento, 
quando sottolinea che i fatti asseritamente continuativi � si sono riprodotti 
continuativamente sino al termine dell'appalto, dando origine a 
sempre nuovi e diversi oneri �. La notazione non � esatta perch� l'aggravio 
determinato dal fatto continuativo si esaurisce con il cessare della 
continuazione, dando luogo ad una componente di maggiore incidenza 
economica che viene a inserirsi come tale nel conto finale, senza peraltro 
accrescersi nell'ulteriore periodo che va dalla cessazione della continuazione 
al compimento dell'opus. 

La ratio decidendi, per quanto riguarda la riserva sub 1 b, relativa 

al ritardato inizio dei lavori, sta quindi nell'esatto rilievo che nel mo


mento in cui si pot� effettivamente procedere ad iniziare l'esecuzione del


l'opus si era ormai concretato ed esaurito l'evento potenzialmente produt


tivo dei danni restando consolidati quelli gi� causati. E trattasi, all'evi


denza di argomentazione del tutto coerente con le enunciazioni di mas


sima che regolano la disciplina delle sospensioni medesime nell'ottica


della tempestivit� delle riserve. 

E poich� la Corte del merito ha accertato che gi� in data 30 settem


bre 1963 vi era stata una prima contabilizzazione di lavori eseguiti, nono


stante il ritardo nelle espropriazioni, esattamente ne ha .tratto il corol


lario della decadenza per omessa specifica riserva, a nulla rilevando 

quella �e per revisione� (dei prezzi unitari) nella prospettiva del minor 

tempo rimasto a disposizione per l'esecuzione dell'opus. 

Di fronte ad una riserva specifica iscritta soltanto nel conto finale par 
chiaro che tutto il discorso sul fatto continuativo in tanto potrebbe giovare 
all'impresa in quanto si accogliesse l'interpretazione da tempo superata 
che dalla continuit� del fatto erroneamente deduceva la possibilit� 
di differire .J'is�rizione della riserva sino al momento della sottoscrizione 
del conto finale. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 843 

Non sussiste contraddizione nell'argomentazione della Corte che dalla 
mancata .tempestiva deduzione della sospensione iniziale come evento 
causativo di danni, trae corollario della inammissibilit� della pretesa di 
ulteriore compenso per le maggiori spese incontrate per rispettare i termini 
di scadenza contrattuale per l'esecuzione dell'opera, dato che appunto 
il danno subito per la sospensione iniziale era rappresentato dalla 
minore estensione dello spazio di tempo a disposizione per il compimento 
dei lavori, e la preclusione verificatasi a monte non poteva aggirarsi 
f�a.cendo valere autonomamente danni dipen!denti esclusivamente a1l'iniziale 
ritardo. 

Ci� non significa che i danni si proiettavano con perdurante continuit� 
lungo l'intero arco temporale della esecuzione, avendo avuto l'iniziale 
ritardo, che riduceva il periodo a disposizione dell'appaltatore, appunto 
questa incidenza causale di costringerlo a un maggior spiegamento 
di uomini e mezzi per rispettare i termini di consegna. 

Solo la quantificazione del danno poteva, quindi restare incerta, mentre 
era addirittura ovvio che la durata del ritardo iniziale esauriva il 
fatto continuativo generatore del danno medesimo. 

D'altra parte la motivazione riguardante la riserva 1 c) � fondata su 
una duplice argomentazione, osservandosi che anche se vi fosse stata 
riserva rispetto a1la sospensione dei lavori, l'autonoma riserva sulla accelerazfone 
occorsa per ultimarla in termine, sarebbe egualmente irisuiltata 
tardiva per non essere stata formulata in calce alla contabilizzazione 
del 28 luglio 1966, primo documento sottoscritto dopo la fine dei lavori. 

Infine, quanto alla riserva n. 2 (danno relativo al mancato o ritardato 
spostamento delle linee telefoniche, telegrafiche ed elettriche nella zona 
in cui doveva operare l'impresa) l'addebito alla Corte di non avere 
ritenuto tale mancato o ritardato spostamento come fatto continuativo 

si esaurisce nella sovrapposizione di una notazione meramente nominalistica, 
al ragionamento esattamente incentrato in termini di rilevanza 
causale. 

La Corte ha rilevato (senza preoccuparsi di una qualificazione ad 
hoc) che i fatti riscontrati erano immediatamente valutabili nella loro 
portata, in quanto di palese ostacolo all'inizio dei lavori, o ad un pieno 
ritmo di esecuzione, ed erano quindi suscettibili di incidere sulla produttivit� 
dell'impresa cagionando un accorciamento del termine contrattuale 
di esecuzione dell'opera, sicch� stante l'attualit� dell'incidenza, causale, 
emergente dalla consistenza della zona ai momento dehla consegna, 
l'impresa avrebbe dovuto inserire riserva nel verbale di consegna. 

In conclusione la presente vicenda nella riscontrata esattezza della 
decisione adottata dalla impugnata sentenza riconferma come la probfomatica 
delil'incidenza dei fatti continuativi sull'onere delle riserve si 
sia venuta ridimensionando a 1seguito di opportune puntualizzazioni 
giurisprudenziali poich� la stessa possibilit� di differire il momento ini




RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

844 

ziale della iscrizione in quanto la rilevanza causale emerga dal ripetersi 
del fatto o dal persistere nel tempo del fatto considerato, non ha nemmeno 
modo di manifestarsi rispetto ad ogni ipotesi di continuit� dal momento 
che in certi casi e per certi fatti il venir in essere dell'evento e 
l'emergere della sua rilevanza causale appaiono contestuali. (omissis) 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 14 dicembre 1981, n. 6591 -Pres. La 
Farina -Est. Carotenuto -P. M. Saja (conf.). -Ministeri dei lavori 
pubblici e delle finanz�e {avv. Stato del Greco) c. Trainotti (av.v. Ricci, 
Stoja); Bussinello (avv. Ricci, Stoja, Devoto), Scudellari e Soc. Club 
nautico Bardolino (avv. Rkci, Stoja) c. Ministero dei lavori pubblici 
e delle finanze. 

Procedimento civile -Cassazione . Riproposizione del ricorso � Inammissibilit� 
� Condizioni~ 
(cod. proc. civ., art. 387). 

Procedimento civile � Impugnazioni � Ricorso per cassazione � Impugna� 
zione immediata e riserva di ricorso � Sentenza definitiva � Individua. 
zione � Giudizio relativo a cause scindibili riunite per cumulo soggettivo 
� Condizioni. 
(cod. proc. civ., art. 103 e 361). 

Acque . Giudizio e procedimento � Riserva di impugnazione � Forma � 
Dichiarazione a verbale � Validit�. 

(r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 189 comma quarto; cod. proc. civ., disp. att., 
artt. 129 e 133). 
Acque � Giudizio e procedimento � Sentenza non definitiva � Riserva di 
impugnazione � Estinzione del giudizio � Proponibilit� dell'limpu� 
gnazione. 

(t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 186 e 208; cod. proc. civ., disp. att., artt. 129 e 133). 
Acque � Laghi � Spiagge lacuali � .Demanialit� � Criteri. 

(t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 1; r.d. 1 dicembre 1895, n. 726, artt. 1, 2, 4, 5 e 33; 
t.u. 25 aprile 1904, n. 523, art. 97, lett. n); r.d. 18 maggio 1931, n. 544, art. 2, comma 
secondo). 
Acque � Laghi � Limiti. dell'alveo � Individuazione � Criterio. 
(cod. civ. art. 943). 

La rituale proposizione del ricorso per cassazione esaurisce il diritto 
di impugnazione e pertanto il ricorrente non pu� proporre altro ricorso 
n� per denunciare altri capi della sentenza impugnata n� per ripetere altre 
censure, anche se il termine per l'impugnazione non � ancora scaduto 
(1). 

La sentenza avente ad oggetto due distinti rapporti processuali relativi 
a cause scindibili unite per cumulo soggettivo, ha carattere di sen


(1) In senso conforme Caiss., 11~ aipriilJe �1979 n. 2167, Giust. civ. Mass . .1979, 
961; Cass., .18 maggio 1978 11.1. 2412, Giust. civ. Mass., .1978, 986. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURJS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 845 

tenza definitiva riguardo alla parte le cui domande siano totalmente 
rigettate, mentre � irrilevante che la pronunzia sulle spese del giudizio 
sia anche per questa causa rinviata alla successiva pronunzia definitiva 
sulla causa per cui il giudizio continua (2). 

La riserva di ricorso per cassazione avverso sentenza non definitiva 
del tribunale superiore delle acque pubbliche pu� essere validamente 
fatta, anzich� con atto notificato alle altre parti, con dichiarazione inserita 
nel verbale della prima udienza successiva al deposito della sentenza 
(3). 

Anche nel giudizio davanti ai tribunali delle acque e in forza del 
richiamo contenuto nell'art. 208 del T.U. 11 dicembre 1933 n. 1775 alle 
norme del codice di procedura civile si osserva il disposto dell'art. 129 
delle disp. att. al cod. proc. civ.; pertanto, estintosi il giudizio per mancata 
riassunzione nel termine di sei mesi dalla cancellazione della causa 
dal ruolo a norma dell'art. 186 del T.U. del 1933, la sentenza contro cui fu 
fatta riserva di impugnazione acquista efficacia di sentenza definitiva e 
pu� essere fatta oggetto di impugnazione (4). 

La ragione della demanialit� delle acque pubbliche, cio� la loro idoneit� 
a soddisfare bisogni collettivi, giustifica l'estensione della demanialit� 
lacuale alla spiaggia, senza di che il bene pubblico non sarebbe 
fruibile dalla collettivit�. Pertanto, le spiagge lacuali, analogamente a 

In tema dd rapporti tra proposa:zn.one del ricoriso e ,consuma:lli.one del 
dilliitto di :iimpugnaizipne, 1a pwte fa �J.1iaffermaziorie del principio contenuto 
neli1'1wt. '387 CJP.C., secondo iill qua[e, purch� il! termine non 1sda scaduto :il ricorso 
pu� essere riproposto 1sdno .a quoodo ml ;primo non sia stato ddcmarato mamn:rls� 
sibi:le o drmprocedibfile (Cass., 5 .gennaio 1980 n. 32, Giust. civ. Mass. 1980, 17; 
Cass., Sez. Un., 11 ottobre 1979 n. 5276, Giust. civ. 1980, I, 100), vanno segnalate 
recenti !PronWJZie iin otri 1si � espressamente affermato che di! nuovo ricQII1So 
pu� aivere contenuto non identico (Cass., 2 giiiugno .1981, n. 3549, Giust. civ. 
Mass. 1981, .1245) e iperci� presentare nuovi mobiivi {10ass. 15 ~ugno 19719 n. 337i1, 
Giust. civ., 1980, I, 175). Su quest'ultimo punto, in senso contrario, cfr. SATTA, 
Commentario al codice di procedura civile, Milaino, 1966, II, 2, pag. 289, con 
richiamo a Cass. 9 luglio 1958 n. 2466 (in Giust. civ., 1958, I, 1437) e Cass. 14 

marzo 1958 n. 841 (in Giur. it., 1959, I, l, 470), che per� riguardano il principio 
enunciato nclla imass:iima ora aitllllotarta. 

{2) In 1senso confonne, Cass., .2 api:iillie l'!J7 n. 1255, Giust. civ. Mass., 1977, 
540, ove � la precisazione che la riserva di provvedere sulle spese si configura 
come omllisisllione di pronuncia, in violazione delfobbHgo dd regolare ilie s;pese 
con wa sente=a che cMude :il prooesso e qUI�ndi sd traduce in un vizio da far 
va1e11e con ~'iimpugina:cione iiimimeddaita. 

SUillLa prima parte delli1a mass:iima, neilllo s,tesso senso, Oass. 24 giugno 11980, 

n. 3968, Giust. civ. Mass., 1980, 1719; �Oass. 28 aprhlie 11978, n. 2005, Giust. civ. Mass., 
19718, n. &13. 
~3-4-7) 1La meno recente tra 1ie due 1sent=e m Rassegna esplilloita e ,teorizza 
un indirizzo mterp.1.1etat:iivo 1a mano a mano affermatosi attl'averso r'applfoazione 
concreta delilie norme del codice di rito del �1942 alle s&tuaziOtrui non 
disciplinate daffi T.U. del: 1933. 

16 



846 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

quella del mare, per la funzione similare che adempiono, non si possono 
scindere dagli elementi dell'acqua e dell'alveo, di cui sono come una propaggine, 
presentandosi in natura come tratti aperti costituiti da terreno 
lasciato scoperto dalle acque nel loro volume normale. Ne deriva che 
l'estensione della spiaggia pu� solo formare oggetto di un accertamento 
specifico per ogni singolo tratto, da condursi in base alla obiettiva e 
naturale connessione dei luoghi con l'uso pubblico dell'acqua, quale � 
possibile ricavare da una visione complessiva dell'assetto idrogeologico 
ed economico del lago nel corso del tempo (5). 

L'estensione dell'alveo di un lago si determina con riferimento al 

~ 

livello delle piene ordinarie allo sbocco (6). 

II I

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 28 ottobre 1981 n. 5693 -Pres. Mirabelli 
-Est. Scanzano -P. M. Saja (conf.) -Ministero dei lavori pubblici 
(avv. dello Stato Viola) c. Miniero (avv. Compagno). 

Acque -Giudizio e procedimento � Rinvio ad cod. proc. civ. -Carattere 
formale e non recettizio. 

I

(r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 208; cod. proc. civ., art. 331). 
f: 
Per quanto riguarda il procedimento dinanzi ai tribunali regionali f�
f: 

f

ed al Tribunale superiore (in grado di appello) delle acque pubbliche, il i; 
riferimento dell'art. 208 t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775 al c.p.c. ha carattere 

~ 

mobile, e si intende fatto al codice di procedura vigente nel momento in 
cui il procedimento si svolge (principio enunciato con riguardo agli effetti 1~ 
della mancata ottemperanza ad ordine di integrazione del contraddittorio 
emesso dal giudice delegato in applicazione dell'art. 331 codice proce


I

duca civile) (7). 

I 

:Si noter�, peralltro, che ambedue ile decisioni, sia pure :iincidientalrmente, f 
appaiono confffi'IDJare illa natUJra materiiiaJe deil: ir1nvio aill'art. 51'8 dcl �Codice del i 
1865 contenuto nell'art. 202 ult. co. del T.U. del 1933 relativo al termine del 
ricorso per cassazione. 

I 

Sulil'OO'gomento ,deJhl!a drusoiplifam de~ proooclimento davaniti: ai tmbunaJi 
deili1e acque, dr., Casis., Sez. Un., 18 ottobrie .1979 n. 5246, in questa Rassegna 

I 

~

1980, I, 641 in tema di rapporti tra giudizio petitorio e possessorio; Tmilb. sup. 

B 

acque, 30 1giug:no 11978 n 22, iin questa Rassegna 197'9, I, 337, in tema di difese I ' 
tecniche; Tll1ib. 1sup. 1acque, 1 fobbriaio 11978 in. 7, in questa Rassegna 11979, I, 214, 
in tema di accertamento tecnico preventivo; Trib. 1sup. a<:que, il5 novembre 
1977 in. 38, dn questa Rassegna ,19718, I, 642, in tema di condanna al pagamento 


I

di provvisionale; Cass., Sez. Un., 2 febbraio 1973 n. 3U e 3'15 in Giust. civ. 1973, 
I, '560 con nota di SGROI V., Sistema processuale in materia di acque pubbliche i 
e rinvio alle norme del c�dice di procedura civile e in Foro It., 1973, I, 2853; 
Trib. 'sup. �acque 7 marzo 11974 n. 4, jn questa Rassegna 1974, I, 737 con nota di 
VITTORIA P., Statuizione sulla competenza e prosecuzione del giudizio. 


(5-6) In �arigomento, cfr., Trib. sup. a.eque 6 maggio 11980 n. 113 in questa 
Rassegna 1980, I, 862 con nota di richiami a dottrina e precedenti giurisprudenziali 
in tema di spiagge lacuali e alveo dei laghi. 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA: DI A:CQUE ED A:PPA:LTI PUBBLICI 847 

I 

(omissis) I tre ricorsi devono essere riuniti perch� i primi due 

(n. 4267/65 e n. 16/66) e, in parte, anche il terzo (n. 8003/80) sono stati 
proposti contro la stessa sentenza d'appello 8 giugno 1965 (la riunione 
del terzo ricorso ai precedenti sarebbe stata in ogni caso opportuna, anche 
se fosse stato diretto soltanto contro la sentenza 24 gennaio 1970, 
emessa in sede di rettificazione e di revocazione, data la pregiudizialit� 
del suo esame rispetto alle censure contro la sentenza d'appello). 
L'avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilit� del ricorso 

n. 8003/80 -'-proposto in data 30 ottobre 1980 da Camillo Bussinello, da 
Elsa Scudellari (quale erede di Carlo Scudellari) e dalla s.r.l. Club nautico 
di Bardolino -deducendo: 1) per la parte in cui si censura la sentenza 
di appello 8 giugno 1965, il diritto d'impugnazione � stato gi� esercitato 
col precedente ricorso notificato il 23 dicembre 1965; 2) per la 
parte in cui si censura la sentenza non definitiva 24 gennaio 1970, emessa 
in sede di 'rettificazione e di revocazione, � mancata la rituale riserva di 
impugnazione ai sensi dell'art. 202, terzo comma, t.u. sulle acque pubbliche 
11 dicembre 1933 n. 1775, e, inoltre, non � mai intervenuta la pronuncia 
definitiva. 
Mentre � fondata la prima eccezione, la seconda � infondata (con 
la precisazione ohe, quanto ail ricorso proposto dal Bussinello, esiste 
una diversa ragione di inammissibilit�, della quale si dir� in seguito). 

Nella esposizione dei fatti di causa si � precisato che contro la sentenza 
di appello 8 giugno 1965 il Bussinello, lo Scudellari e la soc. Club 
nautico di Bardolino proposero, in data 14 dicembre 1965, ricorso allo 
stesso Tribunale superiore de'Lle acque pubbliche per rettificazione e per 
revocazione, e, in data 23 dicembre 1965, ricorso per cassazione. 

Col ricorso al Tribunale superiore veniva denunciato tra l'altro: 

1) sotto il profilo della rettificazione, il vizio di extrapetizione (articolo 
204 t.u. n. 1775 del 1933 in relazione all'art. 517, n. 4, c.p.c. 1865) per 
avere il Tribunale superiore trattato della questione della demaniaHt� dei 
terreni in relazione alla loro appartenenza all'afoeo del lago di Garda, 
mentre tale appartenenza, non rilevata dal tribunale regionale -che 
aveva ritenuto la demanialit� dei terreni in quanto facenti parte della 
spiaggia del lago -non era stata dedotta, in sede di appello, da alcuna 
delle parti; 

2) sotto il profilo della revocazione, l'errore di fatto circa: a) la determinazione 
della quota di m. 65,69 come limite dell'alveo del lago; 
b) l'affermata esistenza di imbonimenti del terreno, relativamente ai 
mappali nn. 61, 63 e 164 del fogil.io IX, gi� intestati allo Scudellari, al fine 
di farli risultare, al di sopra della quota di m 65,69; e) l'indicazione in 
cm 25, anzich� in cm 15-20 (come accertato dal consulente tecnico), dello 


848 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

strato artificiale di terren�> aggiunto alla quota naturale del mappale n. 84 
gi� intestato al Bussinello. 

Con la sentenza 24 gennaio 1970 il Tribunale superiore rigett� il predetto 
motivo di rettificazione (rilevando 1l'inesistenza del prospettato 
vizio di extrapetizione in quanto la soluzione del problema della demanialit� 
dei terreni, da parte del giudice d'appello, in relazione alla loro 
appartenenza all'alveo del lago anzich� alla spiaggia, comportava soltanto 
l'adozione di un criterio giuridico circa la demanialit�, utilizzabile ex 
officio, ,e non l'accoglimento di una domanda non proposta dalle amministrazioni 
dello Stato) e accolse il motivo di revocazione concernente 
l'imbonimento dei mappali nn. 61 e 164 deHo Scudellari -dando con 
separata ordinanza i provvedimenti istruttori per la definizione del merito 
della controversia su tale punto -mentre rigett� gli� altri motivi 
di revocazione. 

Ci� posto, � da osservare che il ricorso in esame � articolato in quattro 
motivi dei quali il primo, il terzo e il quarto si riferiscono alla predetta 
sentenza 24 gennaio 1970 (nelle parti in cui ha rigettato: a) la domanda 
di rettificazione per vizio di extrapetizione; b) uno dei motivi di 
revocazione comuni a tutti i ricorrenti; e) il motivo di revocazione riguardante 
il terreno del Bussinello), mentre il secondo motivo � diretto 
contro la sentenza d'appello 8 giugno 1965, denrmciandosi -con riferimento 
alla ritenuta demanialit� dei terreni per la loro appartenenza all'alveo 
del 1lago -una violazione del giudicato sotto il profilo che il 
giudice di primo grado aveva ritenuto la demanialit� dei terreni in quanto 
facevano parte della spiaggia del lago e le amministrazioni dello Stato 
non avevano proposto appello incidentale sul punto. 

Considerando che la censura circa la pretesa violazione del giudicato 
fu gi� proposta nei medesimi termini -insieme con altra censura riguardante 
il vizio di extrapetizione -col primo motivo del precedente 
ricorso per cassazione notificato il 23 dicembre 1965, il secondo motivo del 
ricorso in ,esame � inammissibile in base al principio della consumazione 
del diritto di impugnazione. La giurisprudenza di questa corte ha ripetutamente 
affermato che la rituale proposizione del ricorso per cassazione 
esaurisce il diritto di impugnazione e pertanto il ricorrente non pu� 
proporre altro ricorso n� per denunciare altri vizi della sentenza impugnata 
n� per ripetere le stesse censure, anche se il termine per l'impugnazione 
n0\l1 � ancora scaduto (sent. 12 aprile 1979, n. 2,179; 18 maggio 
1978, n. 2412; 6 maggio 1978, n. 2176). 

Prima di esaminare la seconda eccezione deve rilevarsi d'ufficio che 

il ricorso proposto dal Bussinello � inammissibile anche in relazione agli 

altri motivi (proposti contro la sentenza 24 gennaio 1970) perch� � tardivo. 

La sentenza 24 gennaio 1970, avente ad oggetto due distinti rapporti 
processuali relativi a cause scindibili, unite per cumulo soggettivo (la 
prima relativa ai terreni Bussinello e la seconda relativa ai terreni 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALn PUBBLICI 

Scudellari-01.ub nautico) ha carattere non definitivo solo per il rapporto 
riguardante questi ultimi terreni (la pronuncia rescindente, per ritenuto 
errore di fatto, si riferisce esclusivamente ad esso), mentre per la controversia 
di cui � parte il Bussinello ha natura di pronuncia definitiva, 
dato il totale rigetto nei suoi confronti sia della domanda di rettificazione 
sia di quella di revocazione e data l'irrilevanza della rimessione alla sensentenza 
definitiva della pronuncia sulle spese (Cass. 2 aprile 1977, n. 1255). 

Di conseguenza il Bussinello avrebbe dovuto proporre ricorso immediato 
entro il termine di quarantacinque giorni dalla notifica del dispositivo 
(airt. 202, ult. comma, t1u. n. 1775 del 1933) avvenuta in data 20 aprile 
1970. H suo ricorso, essendo stato notificato il 30 ottobre 1980, � pertanto 
tardivo. 

La seconda eccezione di inammissibilit�, sollevata in relazione ai 
motivi con i quali si censura la sentenza 24 gennaio 1970, deve quindi 
essere esaminata solo con riferimento al ricorso proposto dailla Scudellari 
e dail club nautico. 

A sostegno di questa eccezione l'avvocatura dello Stato deduce: a) non 
� stata fatta rituale riserva d'impugnazione ai ,sensi dell'art. 202, terzo 
comma, n. 1775 del 1933; b) non � mai intervenuta la pronuncia definitiva. 

Il primo rilievo trae argomento dal testo della norma invocata secondo 
cui la dichiarazione di riserva d'impugnazione viene fatta � con 
regolare aitto di notificazione entro il termine assegnato per il ricorso�. 

Poich� nel caso in esame la riserva d'impugnazione, tempestiva 
quanto al rispetto del termine per il ricorso, � stata fatta nella forma 
consentita dagli art. 129 e 133 disp. att. in relazione all'art. 361 vig. c.p.c. 
(dichiarazione inserita nel verbale della prima udienza successiva al deposito 
della sentenza, tenuta in data 28 febbraio 1970) la corte ritiene che 
non esista ragione per negare efficacia aHa riserva. 

Gi� in precedenti pronunce queste sezioni unite, nell'affrontare il 

problema della equivalenza tra forme stabilite dal vigente c.p.c. e pre


scrizioni processuali del t.u. n. 1775 del 1933, l'hanno risolto in base al 

criterio della compatibilit�. Cos�, in relazione all'impugnazione dclle sen


tenze dei tribunali delle acque, hanno affermato che ad essa � applicabile 

il termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza non previsto dal 

t.u. considerando che questa previsione non contrasta con la disposizione 
del t.u. che fa decorrere il termine d'impugnazione dalla notifica 
del dispositivo da parte del cancelliere (sent. 15 marzo 1956, n. 761). 
Ma iJl criterio della compatibilit�, se pu� a ragione essere seguito 
quando non vi sia contrasto di funzione tra forme diverse, deve ancor 
pi� essere ritenuto valido quando tra due differenti forme processuali vi 
sia equivalenza assoluta sia degli effetti sia della tutela del contraddittorio. 
E questo sicuramente avviene nel caso in esame considerato che 
la dichiarazione all'udienza, in contraddittorio con la controparte, e la 


850 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
notifica della dichiarazione sono atti che hanno funzione 1e portata oggettivamente 
identiche, tanto che lo stesso legislatore nel vig. art. 129 disp. 
att. c.p.c. considera assolutamente equivalenti le due diverse forme processuali. 
Il secondo rilievo dell'avvocatura non considera che la proposizione 
del ricorso per cassazione contro una sentenza non definitiva quando sia 
stata fatta riserva di impugnazione richiede necessariamente la pronuncia 
della sentenza definitiva, dal momento che per il disposto degli art. 129 e 
133 disp. att. c.p.c. applicabili per effetto del generale richiamo contenuto 
nell'art. 208 t.u. sulle aoque pubbJiche (cfr. Trib. sup. 14 luglio 1979, n. 21) 
anche l'estinzione del processo nella fase successiva alla pronuncia 
della sentenza non definitiva rende proponibile l'impugnazione. E, nel caso 
in esame, l'estinzione del processo davanti al Tribunale superiore si � 
verificata -come eccep�to dai ricorrenti -ex art. 186 t.u. per la mancata 
riassunzione del processo neil. termine di sei mesi dalla cancellazione 
della causa dal ruolo (sulla possibilit� di accertare, in altro giudizio, 
l'eccepita estinzione, cfr. Cass. 28 luglio 1965, n. 1793. (omissis) 

Si pu� quindi passare amesame dell'unico motivo del ricorso dei 
ministeri dei lavori pubblici e delle finanze e del secondo motivo del 
ricorso dei privati, da trattare congiuntamente, in quanto riguardano entrambi 
la questione centrale della propriet� (pubblica o privata) dei 
terreni. 

� da premettere che il Tribunale regionale di Venezia aveva ritenuto 
che tutti i terreni in questione -occupati dal Bussinello, dal Trainotti 
e dallo Scudellari -fossero demaniali perich� facenti parte della 
spiaggia del lago di Garda. A fondamento della decisione aveva posto il 
principio che, per i laghi, vige una disciplina analoga a quella del demanio 
marittimo -con la conseguenza che la propriet� pubblica non ha 
per oggetto solo il bacino di contenimento dell'acqua (l'alveo) ma si 
estende alla spiaggia -considerando che per rendere possibile il migliore 
uso pubblico delle acque (approdo, transito, accesso al lago, ormeggio, 
deposito di bariche e di piccoli natanti) occorre che, al di l� del 
limite dove possono giungere le acque, vi sia un ulteriore tratto di terra 
capace di soddisfare queste esigenze. E i terreni dei ricorrenti, per la loro 
conformazione e ubicazione, rientravano in tale ambito. 

Con l'impugnata sentenza il Tribunale superiore ha ritenuto errato 
l'identico principio osservando: a) per le spiagge lacuali manca l'espressa 
previsione della demanialit� stabilita per le spiagge marine (art. 822 
e.e.); b) dagli art. 1 e 2 reg. 1� dicembre 1895 n. 726 risulta che solo le 
spiagge lacuali destinate all'uso �pubblico sono demaniali, mentre tutte 
le altre sono private; e) le esigenze di pubblica utilit�, cui dovrebbero 
sopperire le spiagge lacuali, possono essere appagate nello spazio delimitato 
dalle piene ordinarie e possono ,essere soddisfatte caso per caso con 
idonei provvedimenti epropriativi. Ha quindi affermato che, dovendo 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQ�E ED APPALTI PUBBLICI 851 

il problema della estensione della demanialit� dei laghi essere posto 
negli stessi termini di quello relativo a1le acque pubbliche in genere, la 
propriet� demaniale, oltre che all'acqua, si estende all'invaso che la contiene 
(alveo) e che, per la delimitazione dell'alveo, si pu� utilmente fare 
capo alla norma dell'art. 943 e.e. secondo cui la propriet� del lago si 
estende ai terreni che l'acqua copre nelle sue piene ordinarie all'altezza 
dello sbocco, mentre non comprende i terreni lungo la riva che l'acqua 
ricopre nei casi di piena straordinaria. Col d. 20 agosto 1948, che ha fissato 
a m. 65,69 sul livello del mare il limite della zona demaniale del lago di 
Garda, la p. a. -ha aggiunto il Tribunale superiore -ha inteso operare 
la delimitazione dell'alveo del lago con riferimento alla linea -�fino 
alla quale arrivano le acque non solo nelle piene ordinarie, ma anche 
nelle straordinarie, annualmente e periodicamente ricorrenti, escluse le 
piene eccezionali che si verificano a distanza di anni e si risolvono piuttosto 
in disalveamenti del lago � e per stabilire tale quota -la quale 
corrisponde a una altezza di m. 1,51 sull'idrometro di Desenzano e di 

m. 1,56 sull'idrometro di Peschiera e rispecchia il livello massimo raggiunto 
dalle acque del lago in occasione di piene �ricorrenti�, essendo 
stati trascurati dei livelli pi� alti raggiunti in alcuni anni (es. 1882, 1917, 
1918) che presentano un carattere eocezionale -ha tenuto conto dei dati 
idrometrici relativi ad un ampio arco di tempo (dal 1882 al 1948) in 
modo da assicurarne l'attendibilit�. Ha quindi concluso che i terreni 
occupati dal Bussine11o e dallo Scudellari, posti originariamente (ossia 
prima della loro artificiale elevazione mediante imbonimenti) a quota 
inferiore a quella predetta, sono da ritenel'e demaniali, mentre quello 
occupato dal Trainotti, posto a quota superiore, � di propriet� privata, 
non potendo la demanialit� essere ad esso attribuita per la sua pretesa 
appartenenza alla spiaggia del lago. 
Ci� posto, mentre il Bussinello, lo Scudellari e il Club nautico di 
Bal'dolino (acquirente di una parte dei terreni Scudellari), col secondo 
motivo del loro ricorso denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 
943 c. c. e il difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia 
(art. 360, n. 5, c,p,c.) in relazione alla determinazione della 
quota di m. 65,69 quale limite dell'alveo del Jago, i ministeri dei lavori 
pubblici e delle finanze, con l'unico motivo del loro ricorso diretto contro 
la :ritenuta esclusione della demanialit� del terreno occupato dal 
Trainotti, denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 822 
e 943 e.e., delle norme del reg. 1� dicembre 1895 n. 726, dell'art. 97, lett. n), 

r.d.l. 25 luglio 1904 n. 523 in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. nonch� insufficienza 
e contraddittoriet� di motivazione su un punto decisivo della 
controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.). 
Le parti private deducono che il Tribunale superiore ha esattamente 
affermato che l'alveo del Jago comprende soltanto il teneno che viene 
naturalmente. coperto dalle piene ordinarie all'altezza dello sbocco del 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

lago. Ma, nell'applicare questo principio al caso in esame, non ha pre� 
cisato quale fosse il livelJo normale delle acque allo sbocco del lago, in 
quanto non ha fatto riferimento alle piene ordinarie, utilizzando, al contrario, 
il livello raggiunto dalle acque nelle piene straordinarie. Infatti 
dai prospetti dei livelli raggiunti dalle acque nel corso degli anni, secondo 
i dati rilevati agli idrometri di Desenzano e di Peschiera (siti rispettivamente, 
a m. 64,08 e a m. 64,03 sul livello del mare) e da una relazione 
del genio civile al magistrato alle acque di Venezia (nota n. 3126/138, 
acquisita al processo) risulta che negli anni fra il 1878 e il 1914, presi in 
considerazione dall'amministrazione per stabilire la quota di m. 65,69 
(corrispondente a m 1,51 sull'idrometro di Desenzano e a m 1,56 sull'idrometro 
di Peschiera) assunta dal Tribunale superiore come limite della 
zona demaniale il predetto livello viene raggiunto naturalmente e superato 
soltanto quattro volte (anni 1878, 1879, 188, 1189) mentre in tutti gli altri 
anni (escluso il 1882, in cui si ebbe una piena volontariamente provocata) 
la quota raggiunta fu in media di m 1,10 sull'idrometro di Desenzano, tanto 
che lo stesso ufficio del genio civile aveva proposto di fissare il limite della 
zona demaniale a m 65,18 sul livello del mare. Della stessa relazione risulta 
inoltre che la quota di m 65,59 fu stabilita prendendo per base soltanto le 
altezze massime raggiunte dalle acque del [ago in nove soltanto dei trentasette 
anni considerati e interpolando poi tale altezze per gli anni intermedi, 
senza tenere conto di quelle in concreto raggiunte. Negli anni indicati 
dal Tribunale superiore infine (dal 1882 al 1948) il livello di m 65,69 venne 
raggiunto e superato naturalmente solo in sette anni su un totale di 
sessantasei anni. Di conseguenza il criterio adottato dall'amministrazione 
doveva essere ritenuto incongruo, avendo in concreto fatto riferimento 
alle piene straordinarie, mentre il Tribunale superiore, senza alcuna indagine 
sul procedimento seguito, ha apoditticamente ritenuto esatta la 
determinazione della quota. D'altra parte lo stesso Tribunale superiore 
-precisano i ricorrenti -ha dato atto che l'amministrazione aveva 
tenuto conto � non solo delle piene ordinarie, ma anche delle piene straordinarie 
annualmente e periodicamente ricorrenti�. Ma con ci� � stata 
creata l'inammissibile distinzione delle piene straordinarie �ricorrenti� 
e si �, in definitiva, accolto un criterio di determinazione della quota 
contrastante col principio enunciato. 

Le amministrazioni pubbliche deducono che il Tribunale superiore ha 
erroneamente escluso la demanialit� delle spiagge dei laghi, la quale non 
solo � riconosciuta dalla dottrina ma si desume sia dal complesso delle 
norme del r.d. 1� dicembre 1895, n. 726 (regolamento per la vigilanza e 
per le concessioni delle spiagge, dei laghi pubblici e delle relative 
pertinenze) sia dall'art. 97, lett. n), r.d.l. 25 luglio 1904 n. 523, secondo cui 
� necessaria apposita autorizzazione amministrativa per � l'occupazione 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 853 

delle spiagge dei laghi con opere stabili�. La demanialit� delle spiagge 
lacuali, inoltre, � stata affermata dalla giurisprudenza di questa corte 
(sent. 18 marzo 1948, n. 433). 

Bntrambi �i motivi sono fondarti. 

L'analogia fra demanio marittimo e demanio lacuale risale alla tradizion~ 
del diritto roma_rio (cfr. Dig. 50, 16, fr. 112, che, dopo l'affermazione 
della natura pubblica del litorale marino, aggiunge: idemque iuris 
est in lacu, nisi is totus privatus est) ed � comunemente ripresa dalla dottrina, 
la quale perviene alla equiparazione delle d�.e categorie. 

In tale equiparazione quello che costituisce il lido del mare (ossia 
la parte della riva che � a diretto contatto con l'acqua e si estende verso 
terra fin dove giungono i flutti delle ordinarie maree) fa parte, relativamente 
ai laghi, del loro alveo, il quale, essendo lo spazio geofisico che 
raccoglie le acque, si estende, secondo un principio pacifico, richiamato 
nell'art. 943 e.e., al terreno coperto dalJ.e acque nelle piene ordinarie. 

L'estensione della demanialit� lacuale alla spiaggi;:i. (ossia a una parte 
di terreno scoperto contiguo all'alveo) � razionalmente giustificata dalle 
stesse esigenze che determinano la demanialit�. Se questa � colJegata 
all'idoneit� dell'acqua a soddisfare bisogni collettivi (cfr. art. 1 t.u. n. 1775 
del 1933) e, per i laghi pubblici, questi bisogni concernono essenzialmente 
il trasporto delle persone e delle cose da una sola sponda all'altra, 
il diporto e l'esercizio delia pesca da parte della collettivit�, la limitazione 
della propriet� pubblica all'alveo (ossia a una parte che � coperta 
dalle piene ordinarie) renderebbe illusorio il riconoscimento della demanialit� 
non consentendo il permanente accesso, nonch� la sosta per le 
attivit� strumentali ai fini dell'esercizio di quelle sopra indicate, relativamente 
a uno spazio scoperto contiguo allo specchio d'acqua. 

� in relazione a questa giustificazione razionale che varie norme dell'ordinamento 
-non sufficientemente considerate nelJ'impugriata sentenza 
-affermano la demanialit� delle spiagge e dei laghi pubblici. 

L'intero complesso normativo del r.d. 1� dicembre 1895, n. 726 (regolamento 
per la vigiJanza e per le concessioni delle spiagge, dei laghi 
pubblici e deHe relative pertinenze) non avrebbe senso al di fuori del 
riconoscimento della demanialit� delle spiagge e dei laghi pubblici, in relazione 
alle quali sono �attribuiti poteri di polizia alla pubblica amministrazione 
(art. 1), � previsto il procedimento di sclassificazione (art. 4) e 
sono disciplinati gli atti di concessione a favore dei privati (art. 5-33 
costituenti H capo secondo, che contiene �disposizioni riguardanti le 
concessione di spiagge e di aree lacuali�). L'argomento a favore del normale 
carattere privato delle spiagge -che il Tribunale superiore ha 
ritenuto di trarre dall'art. 3 reg. in esame, secondo cui il ministro 
delle finanze, d'accordo con quello dei lavori pubblici, provvede alla 
risoluzion� in via amministrativa delle vertenze � sulla propriet� delle 


854 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

spiagge e pertinenze lacuali� -rivela la sua fragilit� quando si consi


I 
~: 

deri che, essendo la demanialit� (come si � osservato) il presupposto di 

': 

tutve le altre norme, quella in esame deve essere nettamente intesa nel : 

i ' 

senso che, in via amministrativa, la stessa pubblica amministrazione stabilisce 
fin dove si estende la demanialit� della spiaggia, la cui caratteristica 
� di non avere un confine certo verso l'entroterra, essendo la sua 
ampiezza relativa sia alla natura dei luoghi sia alle necessit� dell'uso 
pubblico (cfr. per la spiaggia del mare, la recente sentenza 6 maggio 
1980, n. 2995). 

Altre norme che presuppongono la demanialit� sono: 1) l'art. 97, 
lett. n), t.u. 25 aprile 1904 n. 523 sulle opere idrauliche, che vieta � l'occupazione 
delle spiagge dei laghi con opere stabili, gli scavamenti lungo 
le stesse che possano promuovere il deperimento, le estrazioni di ciottoli, 
ghiaia e sabbia�, salva apposita autorizzazione amministrativa; 2) l'articolo 
2, secondo comma, r.d. 18 maggio 1931 n. 544 che attribuisce alla 
competenza del ministero dei lavori pubblici � le concessioni per occupazioni 
di aree e spiagge lacuali, in quanto non entrino nella competenza 
degli uffici del genio civile �. 

Questa corte, del resto, ha gi� affermato la demanialit� delle spiagge 
dei laghi pubblici (sent. 18 marzo 1948, n. 433) mettendo in rilievo che, 
analogamente alla spiaggia del mare, per la funzione similare che adempiono 
non si possono scindere dagli elementi dell'acqua e dell'alveo, di 
cui sono come una propaggine, tratti aperti costituiti da spazio lasciato 
scoperto dalle acque nel loro volume normale. 

Fermo in linea di principio il problema della demanialit� delle 
spiagge lacuali � da osservare che la delimitazione del lago di Garda 
da parte della pubblica amministrazione mediante una linea giacente e 
una quota fissa sul livello del mare (m. 65,59) se � idonea a stabilire 
l'ampiezza dell'alveo -considerando che questa si determina con riferimento 
all'altezza che l'acqua raggiunge nelle piene ordinarie e che, in 
un lago, il livello dell'acqua � praticamente uniforme -non pu� ritenersi 
significativa della estensione dell'intera zona demaniale con riferi


mento anche alla spiaggia. Quest'ultima, come si � detto, dovendo essere 
stabilita nella sua estensione tenendo conto sia della natura dei luoghi 
(pu� essere praticamente nulla per coste alte e rocciose che delimitino 
l'alveo) sia delle concrete necessit� collettive, pu� soltanto formare oggetto 
di un accertamento specifico per ogni singolo tratto della riva e 
non consente una determinazione indiscriminata come quella che risulta 
dalla indicazione di una quota fissa sul livello del mare. Ai fini di questo 
accertamento dovr� tenersi conto non tanto dell'attuale situazione dei 
luoghi (in ipotesi modificata in epoca relativamente recente dall'opera 
dell'uomo) ma della obiettiva e natura:le connessione dei luoghi con l'uso 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

pubblico dell'acqua, quale � possibile ricavare da una visione complessiva 
dell'assetto idrogeologico ed economico del lago nel corso del tempo. 

La determinazione concreta della spiaggia presuppone per� la delimitazione 
dell'alveo del lago di Garda non solo per il dato strutturale 
che la spiaggia ha inizio l� dove termina l'alveo ma anche perch� il 
problema della demanialit� dei terreni di cui � causa potrebbe (per tutti 

o per alcuni) essere risolto semplicemente in base all'accertamento della 
loro appartenenza all'alveo del lago, come ha ritenuto il Tribunale superiore 
per i terreni occupati dal Bussinello, dallo Scudellari e dal club 
nautico. 
Deve pertanto essere esaminato il motivo di ricorso dei privati con 
cui viene denunciata l'incongruit� di motivazione dell'impugnata sentenza 
circa la determinazione del limite dell'alveo a m. 65,59 sul livello 
del mare. 

Il Tribunale superiore, dopo avere enunciato l'esatto principio che 
l'estensione dell'alveo deve essere determinata con riferimento al livello 
delle piene ordinarie allo sbocco del lago (e gli idrometd di Desenzano 
e di Peschiera, per la loro ubicazione, sono idonei a rilevarlo) ha ritenuto 
rispondente a tale livello la quota di m. 65,59 sul livello del mare, 
dando atto che la pubblica amministrazione nel fissarla aveva tenuto 
conto �non solo delle piene ordinarie, ma anche delle straordinarie annualmente 
e periodicamente ricorrenti, escluse le piene eccezionali che si 
verificano a distanza di anni e si risolvono piuttosto in disalveamenti 
del lago �. Nel successivo corso della motivazione il Tribunale superiore 
si � limitato a osservare che � non vi � motivo alcuno per disattendere 
il criterio adottato dall'amministrazione per stabilire un diverso confine 
del lago � perch� � per stabilire quale sia il livello normale delle acque 
e fin dove queste possono giungere nelle piene ricorrenti occorre una 
indagine, accurata e diligente, che si estenda per un considerevole numero 
di anni�, e �nella specie si dispone di una serie di rilievi che si sono 
protratti dal 1882 al 1948 ed � agevole scorgere come la quota prescelta 
nel d.m., corrispondente ad un'altezza di m. 1,51 sull'idrometro di Desenzano 
e di m. 1,56 sull'idrometro di Peschiera, rispecchia il livello massimo 
raggiunto dalle acque del lago in occasione delle piene ricorrenti, mentre 
sono stati trascurati dei livelli pi� elevati raggiunti in alcuni anni (es. 
1882, 1917, 1918) che presentano un carattere evidentemente eccezionale �. 

Questa motivazione non pu� ritenersi adeguata per dimostrare l'esattezza 
di un dato, non solo fondamentale per la decisione della controversia 
e di notevole rilevanza trattandosi di delimitare l'alveo di un 
grande lago come quello di Garda, ma che -secondo quanto affermato 
nella stessa sentenza impugnata -deve essere la risultante di una accurata 
indagine in base alla misurazione delle piene per un lungo ordine 
di anni. 


856 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Manca innanzitutto qualsiasi chiarificazione intorno alla definizione 
di piena ordinaria con riferimento ai vari livelli (neppure sommariamente 
indkati) raggiunti dalle acque del lago. Il ripetuto riferimento al 
termine di piena � ricorrente � senza la precisazione di quale sia stata, 
statisticamente, la cadenza periodica di determinati livelli negli anni considerati, 
non d� alcun contributo per l'indicata chiarificazione, tanto 
pi� che si afferma essere state prese in considerazione dall'amministrazione 
anche � le. piene straordinarie annualmente e periodicamente ricorrenti 
�. L'ambiguit� di questa espressione non ha bisogno di essere sottolineata, 
considerando che un ricorso � annuale � rende la piena ordinaria 
e non straordinaria (donde l'inutilit� dell'affermazione che erano state 
prese in considerazione anche piene �straordinarie�) mentre un ricorso 
�periodico�, senza altra specificazione, � termine privo della necessaria 
concretezza per essere apprezzabile ai fini del controllo della congruit� 
della motivazione. 

Invero, essendo disponibili -secondo quanto affermato nell'impugnata 
sentenza -i dati relativi alle altezze massime raggiunte dalle piene 
in ciascun anno, per ben sessantasei anni (dal 1882 al 1948) la dimostrazione 
della esattezza della quota Cli m. 65,59 sul livello del mare (corrispondente 
a ID; 1,51 rispetto allo zero dell'idrometro di Desenzano e a 
m 1,56 rispetto '1allo zero dell'idrometro di Peschiera), quale indice del 

livello delle piene ordillarie, doveva essere fornita mediante la dettagliata 
esposizione dell'andamento delle piene durante tutto il periodo 
considerato, in modo da mettere in evidenza che quel determinato 
Hvello (tratto da una fascia di dati omogenei, perch� presentanti oscillazioni 
relativamente ristrette) costituiva il Umite raggiunto in un numero 
di anni talmente prevalente rispetto agli anni residui da rappresentare 
la norma. Il dato fenomenico espresso col termine di piena ordinaria � 
collegato all'accertamento della normale capacit� del bacino idrografico 
di cui il lago fa parte, tenuto conto sia dell'entit� dell'afflusso sia del 
coefficiente di deflusso, al di fuori del perturbamento determinato da 
cause eccezionali (meteoriche, geosismiche o prodotte dall'opera dello 
uomo per esigenze momentanee) e tale capacit� pu� essere rilevata soltanto 
attraverso la costanza nel tempo, entro una fascia di oscillazioni 
relativa.U\'.ente ristretta, dei livelli raggiunti dall'acqua. Ma di questa 
�costanza�, la quale � l'essenza della ordinariet� delle piene, non � stata 
fornita nella sentenza alcuna indicazione. 

Per effetto dell'accoglimento dei due motivi esaminati restano assorbiti 
il terzo e il quarto motivo del ricorso dei privati, riguardanti questioni 
relative ai singoli terreni (esistenza ed entit� degli imbonimenti, loro 
particolare destinazione) le quali presuppongono l'accertamento della 
estensione dell'alveo e della spiaggia del lago. 



PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 857 

La sentenza 8 giugno 1965 deve pertanto essere cassata, in relazione 
ai motivi accolti, con rinvio della causa allo stesso Tribunale� superiore. 

(omissis) 

II 

(omissis) L'art. 208 t.u. sulle acque e sugli impianti elettrici, inserito 
nel capo (secondo del titolo quarto) contenente norme di procedura 
da osservarsi nei processi dinanzi ai tribunali delle acque pubbliche, 
dispone: � per tutto ci� che non sia regolato da11e disposizioni del presente 
titolo si osservano le norme del codice di procedura civile, dell'ordinamento 
e del regolamento giudiziario, approvati con r.d. 6 dicembre 
1865, n. 2826 e 14 dicembre 1865, n. 2641, e delle successive leggi modificatrici 
ed integratrici, in quanto siano applicabili, nonch�, per i ricorsi 
previsti nell'art. 143, le norme del titolo III, capo II, del t.u. 26 giugno 
1924, n. 1054, delle leggi sul Consiglio di Stato�. 

Con l'unico motivo di ricorso il ministero ll.pp. sostiene che il rinvio 
cos� disposto ha natura ricettizia, esprimendo lo specifico riferimento del 
legislatore a quel determinato codice una valutazione di adeguatezza, che 
non � dato all'interprete di poter modificare. Richiamandosi poi -sulla 
base di tale premessa -al sistema processuale proprio del detto codice, 
soggiunge: a) che il giudice delegato non era competente ad ordinare 
l'integrazione del contraddittorio (come non lo era a tenore delle disposizioni 
del citato testo unico specificamente concernenti i suoi poteri); 

b) che l'integrazione del contraddittorio avrebbe potuto essere disposta 
solo riguardo alle parti aventi interesse contrario a1la riforma della sentenza 
appellata (interesse che, nel caso, non aveva il comune di Sorrento, 
avendo esso ministero chiesto soltanto il rigetto della domanda proposta 
dal Miniera nei propri confronti; e) che, comunque, dalla mancata 
esecuzione dell'ordinanza di integrazione non potrebbe derivare l'inammissibilit� 
del gravame, non essendo tale sanzione prevista dal codice 
abrogato e non versandosi in tema di causa indivisibile. 

Denuncia pertanto violazione e falsa applicazione degli artt. 208 e 
175 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 e dell'art. 469 cod. proc. civ. del 1865, 
in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. vigente. 

La censura non � fondata. La tesi dell'amministrazione ricorrente si 
affida ad dato letterale (cui conferirebbe forza particolare l'espresso riferimento 
del citato art. 208 al codice di procedura del 1865 allora vigente) 
ed all'orientamento giurisprudenziale, emergente da varie sentenze con 
cui questa corte ha affermato che, pur dopo l'abrogazione del detto codice, 
il procedimento avanti ai tribunali delle acque rimane ancorato alla sua 
normativa {Cass. nn. 62/74; 2620/71; 1265/69; 1490/67; 1040/64; 950/63; 
493/60). 


858 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

Ma nessuno dei due elementi offre un sicuro sussidio alla tesi prospettata 
dal ricorso. 

Va anzitutto chiarito che la disposizione in argomento non contiene 
il supposto espresso riferimento (all'anno 1865 od al decreto di approvazione 
del vecchio codice) riguardando i regi decreti ivi indicati non il 
cod. proc. civ. (che � stato approvato con r.d. 25 giugno 1865 n. 2366), ma, 
rispettivamente, l'ordinamento ed il regolamento giudiziario. 

Il dato letterale, peraJtro, se valutato -come deve essere -nella 
sua interezza, potrebbe apparire addirittura controproducente, dal 
momento che l'articolo su indicato fa riferimento anche alle � successive 
leggi modificatrici ed integratrici �: aggiunta, questa, di apertura in~efinita, 
tale da prestarsi a ricomprendere anche il r.d. 28 ottobre 1940 

n. 1443 con il quale � stato approvato il codice processuale vigente. 
Sembra tuttavia al collegio che attribuire ad essa aggiunta una tale 
portata significherebbe forzarne il signi:ficato, che pu� invece essere 
esattamente colto considerando che alla data di pubblicazione del testo 
unico sulle acque e sugli impiant� elettrici il cod. proc. civ. vecchio ormai 
di circa settanta anni, aveva sub�to una serie di modificazioni ed integrazioni: 
e si capisce che il legislatore, nel richiamare il codice e le altre 
leggi -ad esso complementari -volesse chiarire, attraverso la precisazione 
aggiunta, che il riferii.mento si intendeva fatto non al testo originario 
ma a quello risultante dalle modificazioni ed integrazioni gi� introdotte. 
Deve quindi constatarsi che la lettera della disposizione, unitaJ."I�amente 
considerata, non � tale da consentire 1a soluzione del problema. 
N� la soluzione auspicata dal ministero ricorrente pu� trovare un 

sicuro 
conforto nella giurisprudenza. 
Premesso che non mancano decisioni che si rifanno al codice vigente 

(v. Cass. 260/60, che iritiene applicabile il'art. 190), nelle sentenze espressive 
dell'orientamento richiamato dal detto ministero non solo :manca 
un approfondito esame dei termini della questione, ma, quasi sempre, 
all'enundazione del principio che proda.ma l'applicabilit� delle norme 
del codice abrogato, non fa riscontro l'effettiva applicazione di esse. 
Invero, a parte i ,,casi {i pi� numerosi) che conceirnono la indiv:itlua� 
zione del termine per il ricorso aHe sezioni unite contro le sentenze 
del tribunale superiore e che, riguardando un momento successivo aJl'esaurimento 
del procedimento avanti al giudice specializzato, potevano essere 
-come dovevano o sono stati -risolti senza necessit� di fare 
Jriferimento all'art. 208, e facendo invece applicazione dell'art. 202, ultimo 
c()[Il'ma, t.u. n. 1775 (che sia pure per relationem -ai termini indicati 
111ell'art. 518 del codice di rito abrogato -esprime una propria 
disciplina della materia), si irilllvengono casi in 1cui la necessit� di fare 
diretta applicazione del codice abrogato viene superata valorizzandosi 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 859 

La sostanziale corrispondenza della disoirplina dettata ne1 caso particolare 
dai due codici (sent. 493/60, cit.), o risultati raggiunti dalla giurisprudenza 
-nal senso rpoi recepito dal legislatore del 1942 -.gi� vigente 
il vecchio codice (sent. 62/74, id., 1974, 1I, 1407; 493/60, cit.). 

Deve, allora, conclude:rsi che il principio da cui muove l'odierno 
ricorso � recepito dalla giurisprudenza solo in apparenza: ci� che queste 
sezioni unite hanno in definitiva affermato gi� con la sentenza 2 febbmio 
1973, n. 315 (id., 1973, I, 2853) a seguito di approfondito esame della 
natura dei riferimenti ad altre norme processuali, previsti nel citato t.u. 

Lo specifico problema che si pone nell'interpretazione dell'art. 208 
la detta sentenza non ha espressamente considerato. Non ha mancato 
tuttavfa di sottolineare che in esso il richiamo al cod. proc. civ. costituisce, 
pi� che un rinvio in senso tecnico, l'enunciazione del comune 
principio dell'applicabilit� della legge genemle laddove quella speciale 
non dispone. IJ rilievo � condiviso dal collegio, in base alla constatazione 
che rifotimenti di questo tipo costituiscono i,l contenuto consueto di 
norme di chiusura, in funzione completiva di sistemi processuali particolari. 
L'applicabilit� delle comuni norme del cod. proc. civ. trovasi 
infatti, ad esempio, sancita, con quehla funzione, negli ar1lt. 82 e 82/3 

d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570 come modificato dalla 1. 23 dicembre 1966 
n. 1147 in tema cli contenzioso elettorale, nell'art. 39 d.P.R. 26 ottobre 1972 
n. 636 sul contenzioso tributari.o, negli artt. 588, 672, 686 cod. nav., 
nell'art. 105 1. fall. Siffatti riferimenti imporitano l'applicabilit� del codice 
di procedum che vige nel momento in cui il processo si svolge, e nel 
testo riSUJltante dalle modificazioni ed integrazioni che nel tempo sono 
state apportate: essi, cio�, debbono necessariamente avere carattere 
mobile, per una elementare esigenza di unicit� del sistema processuale, 
perich�, laddove le rag;ioilli peculiari di uno specifico settore cessano di 
operare, si impongono in maniera eguale ed unitaria le ragioni (pubblicistiche) 
dell'assetto che la disciplina del processo assume nei vari 
momenti storici. Il detto sistema rischierebbe, altrimenti, di rimanere 
frantumato in una pluralit� di schemi gi� in s� deprecabile, e inoltre 
suscettibhle di creare difficolt� applicative nei oasi in cui a modifiche di 
procedura corrispondono modifiche di strutture organizzative. 
La stessa conclusione si impone esaminando la questione in termini 

di rinvio in senso tecnico. Premesso che il rinvio ricettizio importa 
l'acquisizione, nell'ambito di una disposizione, della norma contenuta in 
altra disposizione, la cui operativit� -nei termini in cui � stata 
recepita -rimane svincolata dalla sua vigenza nell'ordinamento di 
origine (o rispetto alla fonte di origine), e che il rinvio formale importa 
il rifeTimento ad altra norma in relazione alla fonte sua propria, con 
l'effetto dell'iautomatico adeguamento della norma rinviante a11a norma 
11ichiamata, deve affermarsi che, in linea di tendenza, hanno natura 


860 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

ricettizia i rinvii a norme di altri ordinamenti, ed hanno invece natura 
formale i rinvii a norme interne all'ordinamento, salvo -in questo 
secondo caso -che la ragione del rinvio non risieda in una apprezzamento 
di particolare congruit� della norma richiamata rispetto alle 
esigenz;e del sistema cui appartiene la norma rinviante. Cos� come, infatti, 

non � presumibile che, nel richiamare una medesima norma, il legislatore 
si vincoli aprioristicamente ai possibili mutamenti che tale norma subisca 
nell'ordinamento suo proprio ed alle ragioni politiche che ivi possano 
gustificarili, egualmente deve presumersi che le ragioni le quali, all'interno 
dell'ordinamento determinano una modifica legislativa conservino 
la loro validit� in qualunque sede la norma modificata debba trovare 
applicazione. 

Orbene, deve escludersi che a base del rinvio di cui all'art. 208 

t.u. n. 1775 sussista l'apprezzamento di congruit� di cui si � detto, 
trattandosi di un riferimento onnicomprensivo ad una disciplina processuale 
generale, da applicarsi peraltro dinanz;i ad organi, sia pure speciaLizzati, 
della stessa magistratura ordinaria, come sono i tribunali regionali 
delle acque ed il Tribunale superiore in grado di appello. 
Deve, per altro verso, escludersi che il legislatore del 1933 volesse, 
attraverso un rinvio ricettizio, e contro ogni senso storico, ancorare il 
procedimento in materia di acque pubbLiche ad un codice ormai superato, 
la cui radicale modifica, da pi� parti sollecitata, era gi� allo 
studio; e che ci�, per di pi�, volesse fare proprio mentre, nel t.u. che 
andava ad emanare, anticipava talune significative innovazioni gi� suggerite 
dagli studiosi del processo e poi recepite in via generale dal codice 
di rito del 1942. 

Deve, quindi, conclusivamente affermarsi che, per quanto riguarda 
iil procedimento dinanlli ai tribunali regionali ed al Tribunale superiore 
(in grado di appello) delle acque pubbliche, il riferimento dell'art. 208 

t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775 al cod. proc. civ. ha carattere mobile, e si 
intende fatto al codice di procedura vigente nel momento in cui il procedimento 
si svolge. 
Dimostrata l'erroneit� del presupposto da cui essa muove, la censura 
prospettata col ricorso risulta eo ipso priva di fondamento. L'amministrazione 
ricorrente, invero, svolge le sue critiche con riferimento alla 
disciplina delle impugnazioill� dettate dal codice di procedura del 1865, 
ma non contesta che alla stregua del codice vigente -corrispondendo 
il giudice delegato dei tribunali delle acque pubbliche all'istruttore previsto 
da quest'ultimo codice -l'ordinanza di integrazione del contraddiiHorio 
emessa nella specie fosse legittima quanto a competenz;a e 
quanto a p~esupposti, n� contesta che la conseguenza della sua inosservanza 
sia la dichiarata inammissibilit� dell'appello. 

Il ricorso deve essere quindi rigettato, con le conseguenze di legge. 

~ 

~.........~ 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 861 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 7 aprile 1981, n. 11 -Pres. Tambur


rino -Rel. Granata -E.N.E.L. (avv. Guerra e Patern�) c. Cassa per il 

Mezzogiorno (avv. Stato Vittoria). 

Espropriazione per p.u. � Indennit� -Criteri dettati dalla legge 28 gen


naio 1977, n. 10 -Disciplina transitoria � Ambito di applicazione. 

(legge 22 ottobre 1971, n. 865; legge 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 14 e 19). 

Espropriazione per p.u.. Legge sulla casa -Cessione volontaria dell'immobile 
-Disciplina -Applicabilit� alle espropriazioni statali -Esclusione. 
(legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 12; legge 27 giugno 1974, n. 247). 

Espropriazione per p.u. -Indennit�� Criteri dettati dalla legge 29 luglio 1980, 

n. 385 per la determinazione in via provvisoria -Ambito di applicazione. 
(legge 29 luglio 1980, n. 385}. 
A sensi della disposizione transitoria di cui all'art. 19 legge 28 gennaio 
1977, n. 10, la nuova disciplina da questa dettata in tema di determinazione 
dell'indennit� di espropriazione non � applicabile nelle ipotesi 
in cui alla data di entrata in vigore della legge stessa risulti gi� emanato 
il decreto conclusivo della procedura d'esproprio (1). 

Deve escludersi che nel rinvio operato dalla legge 27 giugno 1974, 

n. 247 alle norme relative alla determinazione dell'indennit� contenute nel 
titolo secondo della legge 22 ottobre 1971, n. 865 sia compreso anche l'art. 12 
� Legge casa � ed espropriazioni statali. 

I principi affermati dalla sentenza in rassegna meritano un momento 
di rifilessione per il'en0I1II1e i!1ii1Jievo pratico che rivestono e per i non pochi 
problll�mi -operatiW. che, durante la non iiaoiile gestazione dallle preannunciate 
nuove ddJsposiziom ffirl materia di indennit�, potrebbero derivarne neH'azione 
ammiinisitratiVla. 

La prima � diirompente � affermazione, sulla quale V1ail la rpeilla d:i soffermwsd!, 
1concenne ~a ne~ app],icabiililit� nehle espropriazioni statailii deilil!a diiscipliina 
:suOOa oessiione volontaria delll.'imrrnob.ile espropdando ~art. ,12 [eggie 22 ottobre 
19711 n. 865 e successive modiifiche riguaDdanti fa determinaz;ione dcl 
�prezzo� dcl tr.asfori:mento). 

Secondo il Tribunale, la disciplina in parola, attenendo ad un modo di acquiisizione 
deilila prdpriet� del bene, non potrebbe ritenersi compresa nel rilllVlio 
che ~a legge 27 giugno 1974 n. 247 ha fartto .ahlie � di!sposmonii contenUJte nel 
titolo II delWa legge 22 otitobre ,19711, n. 865, J."clative 1a1la detenniinazione delll.1a 
mdennit� di espropri.azione�: ma li pur seri aTgomen1Ji �addotti a sostegno 
deH'offe�rta 1SOl1Uzione non paiono del tutto perisuasivli, specie se verificati a[la 
luce deill1a ratio delt!ta ll:egge dru 1974 �evidentemente preo:ridiinata ad ,asskuvare 
p.1ena 1equiparazione di trat1JameI1Jto patrimoniale ali soggetti, attivi e passivi, deii 
rapportii d',esproprtlazione finatliUJati ailll!esecurione di opere ed interventi da 
parte di rutti gl:i enti pubblli.ci. 

� Rellative � ,a[[a determ:ina:llione dehl'dndemrlt� d'e~p,ropl.iiiazione non poosono 
riten�rsi 1so1tanto iIJe disposizioni con1ienenti ~ criteri sostanzia!ld per [a stima 

17 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

862 

di questa che, regolando la cessione volontaria dell'immobile, attiene ad 
un modo di acquisizione della propriet� del bene (2). 

Le disposizioni della legge 29 luglio 1980 n. 385, riproducenti in via 
provvisoria i criteri di determinazione dell'indennit� dettati dalle norme 
della legge 22 ottobre 1971, n. 865 dichiarate costituzionalmente illegittime, 
non sono applicabili nei casi in cui, alla data della pubblicazione della 
sentenza n. 5 del 1980 della Corte Costituzionale, sia gi� intervenuto il 
decreto d'esproprio (3). 

(omissis). Con il primo motivo del suo appello principale, l'Enel, che 
al Tribunale regionale aveva chiesto la condanna della Cassa per il Mezzo� 
giorno al risarcimento dei danni sofferti per la mancata applicazione del 
primo comma deH'airt. 12 legge n. 865 del 1971, in conseguenza della quale 
g1i sarebbe stato impedito di addivenire alla cessione bonaria dell'immobile 
con la maggiorazione prevista sull'indennit� provvisoria, critica la 
sentenza impugnata per avere reputato tale disposizione non compresa 
nella previsione dell'art. 4 D.L. n. 115 del 1974, come modificato da!lla 
legge di conversione n. 247 del 1974, ed dnsiste per la condanna della Cassa 
al pagamento della maggiorazione della indennit� di espropriazione previ� 
sta dal citato art. 12. 

Con il secondo motivo critica poi la sentenm impugnata per avere 
calcolato la :indennit� di occupazione con il metro degli interessi legali 

~iimmobilJi (iartt. 16 e 17 delilia tle~e n. 865 del: 19711), g.i:acch� aililia � .determina7lione 
� delil'�ndenniizzo dovuto & perviene attraverso un procedimento, cio� 
una 1sequenza di attd dei quali ((Ja legge iregdlia forme, termini ed effetti. loL primo 
di tailii atti a il"iilevam.a esterna � l'offerta delllla indenruit� pro~ria, daillla 
cui notificazione ai proprietari iin.izia a decorrere un termine dilatorio per il 
compiimento degil:i >atti successivi e dlumnte il quallie gli. mteressati possono 
vallutare la convendenza del!JL'offerta 1stessa anche ai .fini d!i una cessione volon� 
tarla che, nonostante de forme, non pu� ridursi ruiltlJo schema dt una comune 
compravendiita di diritto privato concretando un �negozio di ddrirtto pubbliico � 
la cui 1so11te resta d�egatia ialila reailizzazione del:l'opena di pubblica utillit� (ad 
esempiio, aglii effettd della retrocessione). 

lil �prezzo�, correlativamente, non � un corrispettivo illiiberamente scatureIJ1te 
,daiLJa voiliont� dehle paniti, ma Wl compenso per un sacrificio patrimonia:lie 
� accettato � ,daJJ. singolo din a1!Jternait!iva 131lla perdita del bene per artto aUltorita� 
trl'vo: e dunque ha !Piuttosto ~ oarraititertiJ ~ tm � iindenndzzo �. 

Tanto brevemente considerato su~lia natura delllla � cessione � e del � prez� 
zo � relativo, appare aa:iduo negaire che 11/offenta 1de1llia indernnit� provviisoria produoa 
idenitici effetti procedurali e sostanziali nelile espropriazioni 1srtatiaiLi. ed rin 
queillle n~goLaite dalll:a !legge � suilfu casa �, quando ilil partdcot1iaire SI�J :rifiletta che t1ia 
stiiipuda della cessione interrompe ill procedimento espropriatiiivo e che, ,di conseguenza, 
negare l'applicabilit� della disciplina della cessione equivale a negare ai 
soggetti interessati da espropriazioni statali la possibilit� di conseguire, in via 
non contenziosa, un pi� consistente ristoro patrimoniale per la perdita sofferta, 
con palese sperequazione di trattamento e, in definitiva, in contrasto con le gi� ri� 
cordate finalit� della legge n. 247 del 1974. 



PARIB I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 863 

su1la indennit� di espropriazione, invece che in 1/12 di questa, come 
d~sposto dall'al11:. 20 terzo comma legge n. 865 del 1971, modificato dall'art. 
14 L. 28 gennaio 1977 n. 10, applicabile .in forza della disposizione 
t:riansitoria dettata dall'art. 19 di questa ultima legge. 

Entrambi i motivi sono infondati, per ragioni fa cui sostanziale identit� 
ne impone l'esame congiunto. 

Sono del tutto estranee alla vicenda di causa le disposizioni dell'al11:. 19 
dehla legge n. 10 del 1977, alla stregua del cui primo comma, �le disposiziioni 
di cui al precedente art. 14, in materia di determinazione dell'indennit� 
di espropriazione, non si applicano ai procedimenti in corso se la 
Mquidazione della indennit� predetta sia divenuta definitiva o non impugnabile 
o definita con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in 
vigore deHa presente legge �. La proposizione � dall'Enel letta nel senso 
che lo ius superveniens troverebbe applicazione ogni qual volta la liquidazione 
delfindennit� non sia divenuta definitiva. Ma con tale dnterpretazione 
viene privato di ogni significato normativo, ed �anzi radicalmente espunto 
dal testo, il riferimento ai �procedimenti in corso�, che diverrebbe ovviamente 
affatto superfl�o ove si dovesse risolvere ed identificare nella non 
ancora sopravvenuta definizione della indennit�, dehla quale subito dopo 

Menirta, in propOSI�ltO, d'esser ricordato che pure I�!1 ConS~o dd Stato, orientaitosi 
in isede consuiltiva ;per Uilia mteripretazione restrlttdivia deLJ.a. iporta.ta del 
riinvio di cui ailllia Jegge n. 247 del 1914 :in termini non diversii, ancorch� pi� 
generici, cIW que1Jlii crd:sulltanti dailILa sentenza dn rassegna:, ha successivamente 
col'l'etllo, hl 1sede giurisdizionale, J'i�IJI�zialle indicazione sottcil�neando come ��a 
voler seguire la tesi delil'iniapptllicaibdwilt� (nel: proceddmento per espropriazioni 
sta.ta:Jli: nidx.) dcl menzionato ar.t. :12 delJIJa legge n. 865... si: verificherebbe il!evenienza 
che per l'espropriazione cui si riferisce l'art. 4 della legge n. 247 siffatto 
beneficio non opererebbe, essendo esso limita<to ailile espropr.iaziom origdn.arla� 
mente prevedute dalla legge n. 865: grave disparit�, questa, che non solo investirebbe 
le espropniazioni in regime transditor.io, come quelJlla iin esame, ma anche 
quelilJe suoceSIS'ive in ~me defini,tdvo � (cfr. COIJJs. Stato, IV, 13 novembre 1979, 

n. 11002, dn Cons. Stato, 119'79, I, :1587)�. 
Identdco rigore mogico formale presiede, nel\la sentenm i111 rassegna, anche 
aild'a:litra affermazione comiernente d ilimiiti d'aPIPillicazione del regime indenni.tar.
io � proV'V�JSOrdo � dettaito daliLa qge 29 dugldo 1980, n. 385 ilia cui occasio 
legis, rappresentata dailJa sentenza dichiarativa delil'ifilieg;ittimilt� costituzionaile 
clei 1criiteni d'inderunilt� deliki. ~ge sulla ca~. induce, pemlitro a ritenere ellluse 
dail1a pronuncia iin esame iLe finalit� pe11seguliite dal tlegiis!Jatore con Je noo:me 
� taimpone �. 

Ili. TdbUIIl!lllle, d'Unque, ha negato che i oriiteri mdennimri provvisoriamente 
mprodottl dallll!a regge del: 11980 possano tro~are appldoa.zione IIlle� oasi dn cui, 
aJLJ;a data 1dW pubbildcazJione defili sentenm n. 5 del 11980 delila. Corte costituzionale, 
fosse gi� stato emanato il decreto conclusivo deil!IJa procedura d'espropri.o: cos� 
riduttd:vmnente mtel'pretaita ila disposdzione di cui alil!'a.rt. 3 delila regge cita<ta, 
consegue che nei giudizi ancora pendenti fil giudice delill'~ a stima 



864 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� fatta puntuale ed inequivoca menzione. Per intendere correttamente il 
significato del:la disposizione occorre invece tenere presente, in premessa, 
che, mentre nel sistema delineato dalla fogge sull'espropriazione per 

p.u. del 1865, i due subprocedimenti relativf, rispettlvamente alla determinazione 
dell'indennit� ed aMa produzione dell'effetto ablativo vero e 
proprio sono ordinati in sequenza cronologica, nel senso che alla espropriazione 
si perviene soltanto dopo la definizione, in sede amministrativa 
della indennit� relativa, invece la legge del 1971, sulla quale la legislazione 
successiva, fra cui appunto la legge n. 10 del 1977, si innesta, ha tracciato 
un modulo procedimentale che pone in parallelo i subprocedimenti stessi, 
per cui soltanto la determinazione provvisoria dell'indennit� deve, e non 
pu� non esseve, antecedente alla espropriazione, laddove la liquidazione 
deWindennit� definitiva ad opera della P.A. pu� precedere, accompagnare 
o seguire la emissione del decreto di espropriazione. In questo quadro, 
allora, ben si intende come il procedimento, che, a norma dell'art. 19 
legge n. 10 del 1977, deve essere �in covso � affinch� l'indennit� di espropriazione 
-sempre che gi�, a propria volta, non definita -possa 
essere Jiquidata secondo le ius superveniens del precedente art. 14 (modificativo 
dei criteri determinativi introdotti con la legge n. 865 del 1971), � 
quello concernente la emissione del decreto di espropriazione. Sicch� le 
nuove norme sulla liquidazione dell'indennit� di espropriazione non operano 
tutte le volte in cui vi sia gi� stata l'espropriazione, in piena consodovrebbe 
1appl�care criteri imdennitarci diversi a seconda che neilile SJi,ngole procedure 
espropniattlve, ma~ri: preo:rdinate al1la reaiLizzazione �clJe:lla, stessa opera 
pubbliica, il decreto d'espropnio �risulti emanato prima o dopo iii. 6 febbraio 11980 
(pubbllliieazione deLl!a sentenza dellia Corte costittuzionaile nelila Gazzetta Ufficiale). 
Framicamente, rtale soluzione desta non :poche perplessit�, quando �sotPrattutto .sii 
conskLerii. che neilJlla legge, non rnruicano spunti ermeneutici suff�icienti a secondare 
.hl: raggiungimento degilii evidenti obbiettiv.i del legiSllJatore. 

A ben guardare, hl principio affermato in sentenza riposa pressoch� esduSJ1vamen:
te suhl!a :IJocuzione � p�roced.imenti Mi corso� usata dailll'art. 3 Llegge n. 385 
del 1980, .ar.gornenuandosi in propos.ito che per � procedimento � debba in.tendersd 
il isub procedimento d'esproprio .e non ill (sub) procedimento di determinazione 
,cJehl!'indermirt�, avente -rispetto al primo -svolgimento paraililelo e 
sosta:mliailrnente autonomo ne11a disaiiP\Ili!na dehla legge 'SWJ.a casa. 

Intanto, per�, pu� osservarsi che, nelle espropriazioni statali, non � ravvisabilJe 
lia stessa autonomia tra deterrni~ione (iarnmimstraJthna) deLl'dndenn.it� ed 
emanazione del decreto, esistente nel sistema della legge sulla casa, mentre la 
legge �tampone� del 1980 (art. 1) inequivocamente si riferisce anche alle espropriazioni 
statali, cos� che sembrerebbe opportuno diffidare del solo argomento 
basato �sul rilJi1evo deilita det11a autonomita tr.a .i due 1subprocecLimenti. 

Soccorire, po.i, ilia :lettera dehl!a legge, ehe dichiara appilicabiilii ti crateri. � provv:
i;sori � anche agilii effetti dell"art. 15 Jegg;e 22 ottobre :1971 n. 865 (arit. 1): e l'articolo 
115 �COS� richiamato conoeme, com'� noto, ilia deter.rn.inazione delil!'dndenn.it� 
da parte deM'U.T.E. che, nel �Stistema dehla legge sullia casa, dnterviiene dopo iil 
decreto d'espropriazione e _qumdi a procedimento ormai concluso. Ci� che, a 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 865 

nanza del Testo con la tendenza dell'ordinamento positivo a computare la 
indennit� con riferimento a.il momento del trasfe:dmento ablativo e, quindi, 
in base alla normativa in tal momento vigente. 

Nella ,specie, essendo l'espropTiazione avvenuta nel 1976, occorre far 
capo alla disciplina risultante dal d.l. n. 115 del 1974, come convertito con 
legge n. 247 del 1974. Appunto con l'a!'ticolo unico di quest'ultima � stato 
premesso all'art. 4 del citato d.l., il comma a tenore del quale �le disposizioni 
contenute nel titolo II della L. 23 ottobre 1971 n. 865, relative alfa 
determinazione dell'indennit� di espropriazione si applicano a tutte le 
espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi 
da parte dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni o di 
altri Enti pubblici o di diritto publico anche non territori.ali�. In forza del 
testuale disposto ~egislativo, dunque, non tutte le �norme sulil'esrpropriazione 
per pubblica utilit��, che sono ricomprese, come recita la 1sua stessa 
rubrica, nel titolo II della legge n. 865 del 1971, vanno a sostituil'si, per le 
categorie di espropriazione menzionate, alle corrispondenti disposizioni 
dettata dalla legge fondamentale del 1865, ma solo quelle concernenti la 
� determinazione dell'indennit� �. Ne consegue che, per le vicende ablative 
diverse da quelle ordinate alle particolari finalit� edilizie perseguite dalla 

quanto sembra, Tafforza le mgiom di dissenso da!lille conoliusioni m~gdunte �datlilla 
sentenza ~n esame, che -viceversa -ha 11avviisato nclJia emanazione del decreto 
d'espTQlpria:llione un msomnontabdile ostacolo, d'ordine sistematico, aJlJ.'appilica� 
zione delle norme delilla 'legge � tao:npone �. 

Iffi vero �, dn definlitiva, che da wn i!Jato 1l:e travagliate vicende dei criteri inden� 
nitiairi deLla legge SU�l!Ja caJSa e da1H''3Jltro i�Jl vuoto determinatosi nelll'ordinamento 
(almeno ne.bla prospettiva di una pdena panifica:ll�one, quoad indemnitatem, fra 
tutti ;i soggetti interessal:ii da espropriaz.iond 1a favore dd enti pubblici) per effetto 
delllia pronuncia delffia Corte Costituzionale hau:mo rappresentato per hl legdsffiatore 
fattom deterimi:nantd di un intervento restauratore d'wgienza, [)Jf;l quaile fa 
attenzione al sistema, del resto non presente nelle ripetute modifiche apportate 
vda vda 1ahla ilegig:e n. 885 del 1197.1, ha finito con il:'essere sacniif�cata �all'esigenza 

1

di 1assiourare una uniformit� di tmUamento a tutte le situazioni 'ancora pendenti,. 

Nonostante la poco perspicua formulazione letterale della disposizione transitoria 
di cui 01hl'1art. 3 de]J]Ja �legge 385 dcl 1980, ipare di poter affermaxe, dn 
conclusione, che l'espressione �procedimenti in corso� usata dalla norma stia a 
s~gnifioare pendenza dei procedimenti destinam a sfociare nelLa kretrattabile 
deter~na:llione de!Windennit� d'espropriazione, essendo questo -in ultima ana~
i:si -il!'uIIJ�co significato capace �c!ID giara!ll:tiTe, col isolo 1filmite de!JLe 1situazioni 
definiite alfa data dei 6 fobbraio 11980, quell'eguaglianza di tra:ttamento faticosamente 
perseguita fin dagli s'terhlJi ed oscuri errata corrige sui segni d'iinterpunziione 
presenti nelil'omginaria formullia:zil.one del!l'art. 9 ffiegge n. 865 del ,197il, e, 
finalnnente, �11eai1Jizzata con ~a :Legigie n. 247 1del 1974. 

fil ffiegisillatore non � staJto �certamente foLice: ma, per fa ~erit�, non sembrerebbe 
che ma:nchdrno .argomenti [ettem1i, 1ogici e 1storici .sufficienti per

1

tradurre in effetto :La voLont� derlil1a legge n. 385 del 1980. 

1SER!GIO LAPORTA 



866 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

legge n. 865, il procedimento espropriativo non viene assoggettato alla 
nuova disciplina da questa introdotta, ma continua ad essere regolato dalla 
ricordata legge n. 2359 del 1865. <Hbene, attiene al subprocedimento espropriativo 
e non a que1lo volto alla determinazione della indennit�, la particolare 
fase regolata dall'art. 12, primo comma, che attribuisce al �proprietario 
espropriando� il �diritto di convenire con l'espropriante la cessione 
volontaria degli immobili per un prezzo� maggiorato in una certa misura 
rispetto alla �indennit� provvisoria�, entro un certo termine dalla comunicazione 
del �relativo importo effettuatogli a norma del precedente art. 11, 
quarto comma. Si tratta infatti di un � modo � o � titolo � di trasferimento 
che � �chiaramente alternativo rispetto a quello autoritativo costituito dal 
decreto di esproprio, e che quindi si inscrive nella stessa area procedimentale 
di questo e non certo in quella de1la indennit� la quale si correla 
proprio alla emanazione di quel decreto, che :invece qui manca in tesi, 
sicch� del tutto correttamente, e bene a ragione l'art. 12 denomina 
�prezzo�, e non indennit�, la somma determinata a mezzo del meccani


smo da esso previsto e regolato. 

Le svolte considerazioni conducono a rigetto di entrambi i motivi, nei 
quali si articola l'appello prindpale dell'Enel. 

Quanto al primo, infatti, tleve escludersi che nella vicenda espropriativa 
in causa potesse trovare applicazione l'art. 12 della legge n. 865 del 
1971. 

Quanto al secondo, l'applicazione dei criteri fissati dall'art. 20, terzo 
comma, legge n. 865 del 1971, e successive modificazioni, non pu� farsi 
discendere dalla estensione disposta con l'art. 4 primo roomma del d.l. 

n. 115 del 1974, aggiunto con la legge di conversione n. 247 del 1974, essa 
riferendosi, come gi� � visto, a11e norme contenute nel titolo II della legge 
n. 865 relative alla determinazione della � indennit� di espropriazione �, e 
non anche a quella della indennit� di occupazione. N� a tale risultato pu� 
pervenirsi in forza dell'art. 14 della legge n. 10 del 1977, sia perch� la 
vicenda � fuori dalla previsione dell'art. 19 stessa legge per essere la 
espropriazione avvenuta nel 1976, sia perch�, comunque, la estensione 
disposta con l'ultimo comma dell'art. 14 stesso ha per oggetto iJl secondo 
comma (concernente la durata dell'occupazione) e non il terzo (concernente 
la indennit� di cui qui si discute) dell'art. 20 legge n. 865 del 1971. 
Infine, a siffatti criteri neppure pu� farsi capo attraverso la loro ripr�duzione 
in via provvisoria nella legge n. 385 del 29 luglio 1980, emanata per 
fare fronte agli effetti demolitori conseguenti alla sentenza n. 5 del 1980 
della Corte costituzionale in tale legge contenendosi, all'art. 3, una disposizione 
transitoda sostanzialmente identica a quella dettata con l'art. 19 
della legge n. 10 del 1977, e quindi pur essa escludente, dall'ambito dello 
ius superveniens le vicende in cui il decreto di espropri~zione sia intervenuto 
nella vigenza della normativa anteriore. (omissis). 



PARTE I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 867 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 5 dicembre 1981 n. 45 -Pres. Cortesani -
Rel. Sandulli -Soc. S.T.A.N.I.C. (avv. Guia) e Ratachieri ed altri 
(avv. Garibaldi Longo) c. Ministero lavori pubblici (avv. Gen. Stato). 

Acque -Acque sotterranee -Pubblicit� -Ricomprensione in zone soggette 
a tutela -Sufficienza -Esclusione -Attitudine a pubblico generale 
interesse -Necessit�. 

(t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, artt. 1, 94, 95, 103, 104 e 105). 
La pubblicit� di un'acqua sotterranea non discende ex se dal suo 
trovarsi in un comprensorio soggetto a tutela, ma dalla sua attitudine ad 
usi di pubblico generale interesse (1). 

(omissis). Con le censure, in cui si articolano i riuniti atti di appello, 
si lamenta che il Tribunale regionale delle acque: 

a) abbia escluso la natura publica dell'acqua in base ad un accertamento 
del Genio civile eseguito in epoca successiva alla data dell'inquinamento; 


b) non abbia esaminato la questione sotto il profilo della notevole 
consistenza della quantit� di acqua estratta dal pozzo, sito in un comprensorio, 
in cui, ai sensi del d.P.R. 25 ottobre 1961 n. 1328, l'estrazione e 
l'utilizzazione dell'acqua sotterranea era soggetta alla tutela della Pubblica 
amministrazione, in quanto,� in base alla rilevante misura di risarcimento 
richiesta, avrebbe dovuto escludersi che l'acqua potesse essere utilizzata 
esclusivamente per usi domestici e di irrigazione di giardini e di orti. 

Entrambi i deLineati profili di doglianza sono privi di fondamento. 

Con la decisione denunciata, i giudici di primo grado hanno correttamente 
escluso la natura pubblica dell'acqua sulla base dell'accertamento 
compiuto dall'Ufficio del Genio civile di Bari, in quanto dalla nota del 
detto ufficio risUilta come la valutazione, circa la mancanza dell'acqua 
del'le caratteristiche essenziali necessarie perch� questa sia considerata 
ad uso pubblico di generale interesse, abbia avuto riguardo al modo di 
essere dell'acqua in s�, indipendentemente dall'abbandono in atto della 
presa d',acqua, come � reso palese dagli espressi riferimenti alle caratteristiche 
obiettive del pozzo, e cio� alla costruzione ed alle dimensioni 
del manufatto, alla profondit� di esso e, soprattutto, alla limitata quantit� 
di acqua �rinvenuta, i quali elementi non erano influenzabili dall'attualit� 

o no dell'attingimento. 
(11) Nelilo stesso senso, dr. Tmb. sup. ,acque 10 novembre 1915 n. 25, in questa 
Rassegna :1976, I, 158 ed dv~ mch1ami alia giux&sprudenza citata in motivazione. 
Sempre in tema di acque sotterranee, sul rapporto tra idoneit� ad usi di 
pubblico generale interesse e fessere questa effetto dell'opera dell'uomo, cfr. Cass., 
Sez. Un., .18 ottobre 11979 n. 5426 e 28 1aiprue 11976 n. 1507, in questa Rassegna 1980, 
I, 647 e 11976, I, 437. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

N� la pubblicit� dell'acqua potrebbe discendere ex se dalla circostanza 
che, nell'ipotesi di specie, trattasi di acqua sotterranea facente parte di un 
comprensorio soggetto, ai sensi del d.P.R. n. 1328 del 1961, alla tutela della 
Pubblica amministrazione, in quanto la legge prevede la duplice ipotesi che 
le acque ricomprese in un siffatto comprensorio abbiano o no i caratteri 
per essere considerate pubbliche (artt. 103, secondo comma, e 104, primo 
comma del t.u. n. 1775 del 1933), (cfr. in tal senso, Trib. sup. acque 
pubbliche 15 marzo 1975 n. 25). 

Il decreto previsto dall'art. 94 del citato t.u., con cui � individuato il 
comprenso11io soggetto a tutela, assegna a questo una qualit� che rileva per 
l'attribuzione al.l'autorit� amministrativa di poteri di autorizzazione (art. 95) 
e di polizia (art. 105) in ordine alla ricerca, estrazione ed utilizzazione delle 
acque sotterranee; invece, la natura pubblica o privata delle acque 
sotterranee 'scoperte in tali comprensori dipende da11a loro attitudine ad 
usi di pubblico generale interesse (cfr. Cass. sent. 3 ottobre 1970 n. 1782; 
sent. 12 marzo 1960 n. 497). 

Invero, la legge, per la natura pubblica dell'acqua, prevede un duplice 
requisito che l'acqua si trovi in un comprensorio soggetto a tutela e che 
abbia, a norma dell'art. 1 del t.u. n. 1775 del 1933, l'attittidine a qualsiasi 
uso di gene:ria:le interesse (ed � in questo caso, che il Ministero dei lavori 
pubblici dispone, previo accertamento :detlia sussisten:m dei requisiti richiesti, 
la iscrizione nell'elenco delle acque publjliche). 

Per modo che anche nei comp11ensori �soggetti a tutela, le aoque sotterranee 
possono essere prive dell'attitudine ad usi di pubblico generale interesse. 
Nell'ipotesi di specie, le caratteristiche del pozzo accertate dall'Ufficio 
del genio civile di Bari (l'altezza di appena cm. 80 dell'acqua 
rinvenuta in sede di accertamento tecnico preventivo, la profondit� limitata 
di m. 10 dal piano di campagna a cui � stata rinvenuta J'acqua, e la 
vetust� e le dimensioni del pozzo, ecc.) fanno escludere che l'acqua possa 
essere considerata come utilizzabile dalla collettivit� e che abbia, quindi, 
natura pubblica. 

Entrambi i profili di censura, prospettati in sede di gravame, sono, 
pertanto, da disattendere. 

In conclusione, il ricorso di appello va rigettato e la decisione impugnata 
va confermata; onde, accertata la natura privata dell'acqua, ogni 
altra questione va demandata al giudice ordinario. (omissis) 


SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 febhraio 1981, n. 3 -Pres. Novelli � 
Rel. Radaelli -P.G. Saya (conf.) -rie. Murdooca Salvatore (avv. Stato 
Di Tarsia). 

Procedimento penale -Decreto di citazione � Notifica ad uno solo dei due 
difensori -Nullit� assoluta -Inesistenza � Irregolarit� -Sussiste. 

(art. 125, 128, 185 n. 3, 410, 422 c.p.p.). 

In funzione dell'esigenza primaria del difensore nel processo, l'ordinamento 
ritiene imprescindibile, a pena di nullit� assoluta, la presenza �del 
difensore, ma tale principio � fatto salvo quando la presenza sia resa 
possibile ed assicurata, restando peraltro funzionalmente indifferente che 
la difesa sia costituita da uno o pi� difensori. Pertanto non � stabilito a 
pena di nullit� che l'avviso del dibattimento sia notificato ad entrambi i 
difensori nominati dall'imputato, bastando la rituale notifica ad uno di 
essi (1). 

Ci� peraltro comporta una irregolarit� processuale per la quale � 
applicabile la norma di cui all'art. 154 c.p.p. (1). 

Il Murdocca (Salvatore), il Pavan ed il Pianta hanno proposto ricorso 
per cassazione, chiedendo in principalit�, il Murdocca, l'annullamento della 
sentenza impugnata per la gi� dedotta nullit� assoluta del decreto di 
citazione al giudizio di primo grado ed atti conseguenti, per violazione dei 
diritti della difesa, con richiamo all'art. 185 co. 1�, n. 3 cod. proc. pen.; 
in subordine, la riduzione della pena, il cui aumento da parte della Corte 
di merito � stato ingiustificatamente eccessivo in relazione ai criteri 
stabiliti dall'art. 133 cod. pen. ed alla valutazione delle attenuanti generiche; 
il Pavan, l'annullamento per difetto di motivazione in ordine al-

Gl) La sentene:a delJLe Sezioni Unite risolve, nel 1senso sostenuto daill:'Avvo� 
oatura, iche era costituita parte civiLe, iLa controve11sa questione de~lle conseguenze 
dd!l'01n11ess:ai notifica ad uno dei due dMensoni dell'imputato per iill d~battimento 
e che rii<sol:v;e, lodevolmente .e coerentemente aJ:l'dndirizzo preva11entemente se,
guffito .datfila Suprema COirte e di 1cui si � dato conto mol!tepllici vollte <in questa 
Rassegna, con una visione funzionale e non esasperatamente formalistica delle 
no'l1IIle di procedura poste a rtutela dei 1di11Hti delJ!a difesa (v. per indicaZJioni su 
questo orientamento I giudizi di costituzionalit� e il contenzioso dello Stato 
negli anni 1970-1975, I diritti della difesa, n. 634-638; ivi, anni 1966-1970 n. 685-689). 



870 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'aumento della pena, non avendo la Corte preso in considerazione, in 
particolare, il comportamento processuale dell'imputato; deducendo il 
Pianta il difetto di motivazione sia in ordine alla ritenuta responsabilit� 
che al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 114 cod. pen. 

Motivi della decisione. 

1. -� pregiudiziale, per quanto riguarda il Murdocca, la questione 
relativa aHa nullit� della citazione, sollevata dallo stesso. In relazione a 
tale motivo, appunto, � stata richiesta e disposta l'assegnazione del ricorso 
alle Sezioni Unite, essendovi in proposito disparit� di giurisprudenza da 
parte delle Sezioni Semplici. 
La difesa, come gi� nelle precedenti fasi, trae motivo dal fatto che,. 
come risulta dagli atti, l'avviso della data fissata per il dibattimento nel 
giudizio di primo grado � stato notificato regolarmente all'avv. Musumeci 
del Foro di Ivrea, uno dei difensori di fiducia del primo imputato, mentre 
all'altro, l'avv. Gasparini del Foro di Napoli, � stato notificato il 20 luglio 
per la udienza del 27 luglio, onde l'avv. Musumeci all'apertura del qibattimento 
di primo grado, fatto presente il ritardo, anche a nome dell'altro 
difensore chiese il rinvio del dibattimento, ma l'istanza fu respinta. Nel 
senso della nullit� assoluta cita un precedente recente (Cass. n. 1017/1976); 
in altri due precedenti citati (Cass. 15 ottobre 1960, Erario; 19 giugno 1962, 
Cirillo) era invece stata rilevata una nullit� relativa, sanata ai sensi dell'art. 
422. 

2. -La Corte d'appello ha disateso il motivo attinente alla nullit� 
dedotta sulla considerazione che non si verifica un pregiudizio della difesa 
quando partecipi al dibattimento l'altro difensore, non venendo meno in 
tal caso l'assistenza dell'imputato (peraltro, nella specie, confesso, aggiunge 
la sentenza). Cita in tal senso Cass. 26 ottobre 1957 (rie. Mazini), nonch� 
Cass. n. 6433/1974 (Nobile ) e 1113/1976 (lntellicata), le quali per� escludono 
in radice qualsiasi nullit� nel caso dell'avviso prescritto dall'art. 410, 
notificato ad uno solo dei due difensori nominati, e ci� sen2la riguardo 
all'avvenuta o meno comparizione dell'altro difensore. 
Nello stesso senso delle sentenze ora ricordate � la maggior parte 
della giurisprudenza di questa Corte (Sezioni Semplici). Non mancano, 
tuttavia, oltre quelle citate dalla difesa, numerose altre �decisioni che 
hanno riconosciuto possibile il verificarsi di una nullit� relativa, anche nei 
casi in cui le stesse l'hanno esclusa in concreto per essersi verificata una 
sanatoria, e questa, ora ai sensi dell'art. 422 (cfr. fra le pi� recenti Cass. 

n. 1162/1976; 3052/1978), ora per la semplice comparizione dell'altro difensore 
(n. 8824/1977; 326/1978), o dello stesso difensore non avvisato (n. 3533/ 
1978 e 5872/1979, nel testo), ora per la acquiescenza dell'imputato e del 
difensore comparsi, atta a prevenire l'insorgenza stessa della nullit� 
(n. 450/1979, in Giust. Pen. 1980, III, 27). 

PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

Nel senso della nullit� assoluta viene talvolta ricordata Cass. 12 novembre 
1957, rie. Salvi ed. in Riv. Pen. 1958, Il, 620, che afferma l'autonomia 
reciproca dei due difensori, ciascuno dei quali esercita il suo mandato 
in piena esplicazione dei relativi doveri e fruendo dei diritti che la legge 
processuale assegna al singolo difensore. 

Egualmente divisa a sua volta � la dottrina che si � pronunciata sul 
punto in esame. 

3. -Nell'affrontare in questa sede la questione specifica di cui � 
causa non si pu� sottacere poi che gli orientamenti giurisprudenziali sono 
inv,ece prevalenti nell'affermare la nullit� assoluta nel caso di mancato 
avviso all'unico difensore, dopo che in tal senso si sono pronunciate queste 
stesse Sezioni Unite con la nota sentenza n. 1 S.U.P. del 13 febbraio 1965, 
rie. Formichetti, ed. in Giust. Pen. 1965, III, 321, che ha tratto argomento 
dalle finalit� generali dell'art. 410, poste in relazione con l'art. 185; vanno 
tenute presenti, peraltro, pi� recenti �decisioni, secondo le quali le sole 
nulli~ assolute ex art. 185 n. 3, dopo le innovazioni ;introdotte dall'art. 6 
1. 8 agosto 1977 n. 534, sarebbero quelle affierenti alla mancata citazione 
dell'imputato e �l'assenza di difesa� nel dibattimento; in tal senso v. 
sul punto Sez. V, 19 marzo 1979, De Blasio, in .Giust. Pen. 1980, III 641, 
m. 530. 
N� si possono ignorare i contributi recati, anche ai pi� autorevoli 
livelli, in sede di teoria generale, all'istituto della difesa e al tema del 
difensore, nonch� gli ampi dibattiti dottrinali .e giurisprudenziali che hanno 
avuto riferimento all'art. 24 della Costituzione, culminati con la recente 
sentenza n. 188 in data 16 dicembre 1980 della Corte Costituzionale, che ha 
ribadito una generale linea di tendenza, gi� precedentemente affermata 
con la sent. n. 125 del 1979, in favo11e di una accentuata garanzia dei 
diritti di difesa dell'imputato, � del quale sono in gioco beni ed interessi 
fondamentali ed irrisarcibili, che attengono alla sua stessa personalit��. 

4. -Tale chiave interpretativa, di peso indubbio, va tuttavia utilizzata 
in armonia con l'altra, ricordata oggi dal P.G. ,e dal difensore di parte 
civile, che considera la difesa dell'imputato nella sua unitariet� e consente 
di ricondurre i problemi particolari, come quello in esame, ai presupposti 
essenziali del processo penale di cognizione, il quale vede necessariamente 
contrapposte -almeno in partenza -davanti al giudice la funzione 
(unitaria) di accusa e quella di difesa altrettanto unitariamente concepita, 
in conformit� di autorevole corrente dottrinale nonch� della tesi soggia-. 
cente alla giurisprudenza prevalente di questa stessa Corte nella presente 
materia. 
Con gli artt. 125 e 128, da una parte ,e l'art. 185 n. 3, dall'altra, l'ordinamento 
ha inteso garantire appunto una risposta unitaria all'esigenza primaria 
del difensore nel processo, esigenza che � legata, ad un tempo, ai 


872 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� fondamentali interessi della parte � ed al necessario equilibrio dialettico 
del contraddittorio, cos� come ad un equilibrio funzionale che, secondo 
assai autorevole dottrina, attiene allo stesso buon ordine del processo. 

In funzione di tutto ci� l'ordinamento ritiene generalmente imprescindibile 
la presenza del difensore, secondo le scelte che la legge lascia in 
primo luogo all'imputato. Tale principio cardine � tuttavia fatto salvo 
quando la presenza anzidetta sia resa possibile ed assicurata, restando 
peraltro funzionalmente indifferente, anche per la ulteriore validit� del 
processo, che la difesa del singolo imputato sia costituita da uno o da pi� 
difensori. 

5. -lii prindpio cos� affermato nei suoi termini generali si ~i:percuote 
sulle situazioni particolari -quali sono l'obbligo previsto dall'art. 410 
e la nullit� sancita dall'art. 412 in fine -, riguardanti le forme degli 
atti: non pu� in definitiva ritenersi stabilito a pena di nullit� l'obbligo di 
avviso della data del dibattimento ad entrambi i difensori nominati 
dall'imputato, una volta che l'avviso notificato ad uno di essi abbia 
assicurato la presenza minimale di difensore, scelto dalla parte, che 
l'ordinamento intende salvaguardare. 
Il principio di tassativit�, affermato dall'art. 184, si oppone tanto 
all'adozione di un criterio estensivo -che minerebbe, riguardo alle nullit�, 
un sistema processuale chiuso e rigido -, quanto ad una valutazione 
elastica del pregiudizio alla difesa, compiuta dal giudice caso per caso, 

l

come la Corte di merito ha ritenuto invece di dover effettuare. 

I ~ 

6. -Ci� non ,toglie peraltro che la mancata o ritardata partecipazione 
dell'avviso dell'udienza ad uno dei due difensori nominati costituisca 
una irregolarit�. La tesi contraria, che pur � talvolta sostenuta, riconoscerebbe 
nell'ufficio un obbligo solo parziale nel ,oaso di duplice nomina e, in 
I

definitiva, una discrezionalit�, se non un arbitrio, veramente impensabile, 
anche perch� nessu~�a norma attribuisce al difensore avvisato, e tanto 
meno alla parte citata, l'onere -che pur sarebbe configurabile in 
astratto -di informare l'altro difensore. 

u �riferimento dell'art. 410 ai difensori in generale comporta un 
obbligo di notificazione a tutti indistintamente i difensori delle parti private, 
pur con differenti implicazioni in relazione alle diverse ipotesi. 

L'omissione del (tempestivo) avviso costituisce perci�, in ogni caso, 
una inosservanza di norma processuale, in violazione dell'obbligo generale 
stabilito dall'art. 154, primo comma, e l'adempimento esatto � sottoposto 
alle forme di vigilanza previste dai capoversi dello stesso articolo. Non � 
da escludere poi che il giudice, valutate le circostanze, onde prevenire 
un serio e concreto pregiudizio agli interessi dell'imputato ed alla funzione 
del difensore, disponga il rinvio del dibattimento, rientrando nella sua 

. ' 


Pi\RTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 873 

discrezionalit� il verificare la sussistenza dell'� assoluta necessit� � che 
legittima tale provvedimento (art. 432, primo comma). 

7. -Per tutti i motivi anzidetti la tesi di gran IUIIlga e da tempo 
prevalente in materia nella prassi giurisprudenziale va nuovamente confermata 
anche in questa sede ed il motivo va rigettato, pur intendendosi 
sul punto rettificata in parte, nei sensi indicati, la motivazione data dalla 
Corte di appello. 
TRIBUNALE DI ROMA, II sez., 14 ottobre 1981 -Pres. Panzarella -P.M. Del 
Giudice -Imp. Reali Palesati (avv. Stato Di Tarsia). 

Reato -Omissione di atti d'ufficio -Richiesta di informazioni alla P.A. � 
Termine -Inammissibilit� � Tempi tecnici per �la risposta � Soggezione 
del �giudice alla P.A. 

(art. 328 c.p., a,rt. 213 c.p.c.). 

Il potere riconosciuto al Giudice civile di chiedere informazioni alla 
Pubblica Amministrazione (art. 213 cod. proc. civ.) non si estende a quello 
di fissazione di un termine entro il quale le stesse devono pervenirgli. 

Il Giudice, alla pari di un qualsiasi altro utente dei servizi resi dalla 

Pubblica Amministrazione, deve ottenere la cennata risposta alla sua ri


chiesta d� informazioni nei tempi tecnici normali del servizio e solo in 

difetto potr� porsi un problema di omissione indebita di un atto di 

ufficio (1). 

(omissis). Appellanti come in epigrafe gli imputati chiedono di essere 
assolti dall'imputazione loro ascritta per<:h� il fatto non 1sussiste, sostenendo 
che nella specie difetta la materialit� del reato loro contestato. La 
richiesta � fondata. Invero il potere riconosciuto al Giudice civile di 

(1) La sentenza del Tribunale contiene due affermazioni esattissime, che 
hanno consentito la riforma della sentenza del Pretore di Roma, profondamente 
erronea anche sotto �altri aspetti (v. in questa Rassegna, �1980, I, 874 con mia nota: 
Un reato di omissione di atti d'ufficio colposo o addirittura contravvenzionale?) 
oltre a quelli qui esaminati in specifica impugnazione proposta nell'interesse 

degli imputati. 

Due profili dell'assurda imputazi<;>ne erano stati infatti rilevati invano in 

primo grado e giustamente accolti dal giudice d'appello: l'inesistenza di una 

norma che consentisse, in tema di richiesta di informazioni alla P.A. a norma 

dell'art. 213 cod. proc. civ. ~per la problematica in materia v. I giudizi di costi


tuzionalit� e il contenzioso dello Stato 1956-1960 n. 738; ivi, anni 1961-1965, n. 602), 

l'apposizione di un termine finale e la inconsistenza pretesa, in spregio al prin


cipio della divisione dei poteri, di ottenere risposta senza tener conto dei normali 

tempi tecnici dell'Amministrazione. 



874 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

chiedere informazioni alla Pubblica Amministrazione (art. 213 cod. proc. 
civ.), non si estende a quello di fissazione di un termine entro il quale le 
stesse devono pervenirgli. Nella specie, peraltro, il Giudice non fiss� alcun 
termine nello statuire a verbale che fossero richieste informazioni al 
Ministero degli Affari Esteri, ma fu il Cancelliere ad indicarfo autonomamente. 
Tanto premesso, si osserva peraltro che il Giudice, alla pari di un 
qualsiasi altro utente dei servizi resi dalla Pubblica Amministrazione, deve 
ottenere la cennata risposta alla sua �richiesta di informazioni nei tempi 
tecnici normali del servizio e solo in difetto potr� porsi un problema di 
omissione indebita di un atto di ufficio. Detti tempi tecnici sono stati nel 
caso concreto rispettati. Infatti � provato che le due note del Tribunale di 
Rovereto sono pervenute per due volte ad ufficio incompetente per un 
errore del protocollo e si ha la certezza dell'arrivo all'Ufficio competente 
solo dalla nota di sollecito alla fine di agosto 1979. � altres� provato che la 
risposta pervenne il 5 dicembre 1979 e che la situazione dell'ufficio competente 
era caratterizzata da carenza di personale, in particolare essendo 
stata assente per oltre due anni e mezzo, durante il periodo che ne 
occupa, la Palesati, unica addetta al reparto assieme al Reali. Non pu� 
dirsi dunque, avuto riguardo alla notoria lentezza della macchina burocritica 
giustamente, ma inutilmente, deprecata dall'opinione pubblica, che 
nella specie sia provata una ri'levante tardivit� nell'operato degli organi 
competenti, dovendosi negare dignit� di prova in tal senso alla presunzione 
di cognizione .tempestiva deJ.la richiesta affidata all'opposizione, nella nota 
di sollecito del Tribunale, dell'annotazione � riassegnare all'ufficio XII � 
presso il quale operano gli appellanti. Il verbo � riassegnare � potrebbe 
s� indicare una reiterazione della precedente assegnazione all'Ufficio XII 
della prima nota del Tribunale, ma anche contenere soltanto l'invito al 
protocollo di rinnovare la sua attivit� �di assegnazione investendo questa 
volta l'ufficio competente. Tale assoluta equivocit� del presupposto sul 
quale � fondata la presunzione del Pretore ne evidenzia pertanto l'inattendibilit�. 


L'insussistenza del fatto materiale solleva questo Giudice dall'indagine, 
sollecitata dal Reali, sulla titolarit� della responsabilit� del settore dal 
quale la risposta al Tribunale di Rovereto doveva essere predisposta. 

(omissis) 



PARTE SECONDA 



LEGISLAZIONE 


I � NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice di procedura civile. art. 630; ultimo comma, nella parte in cui non 
estende, in relazione all'art. 629, cod. proc. civ., il reclamo previsto nell'art. 630, 
ultimo comma stesso, all'ordinanza del giudice dell'esecuzione dichiarativa del� 
l'estinzione del processo esecutivo per rinuncia agli atti. 

Sentenza 17 dicembre 11981, n. 195, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. 

codice di procedura penale, art. 651, nella parte in cui non prevede che 
l'arresto del libero vigilato debba essere convalidato dal magistrato di sorveglianza 
entro le 48 ore successive al momento in cui l'arrestato � stato messo 
a disposizione dello stesso magistrato. 

Sentenza 17 dicembre 1981, n. 190, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. 

r.d.I. 27 maggio 1923, n. 1324, art. 3, terzo comma [convertito in legge 17 aprile 
1925, n. 473], nella parte in cui non prevede che il trattamento di quiescenza 
ivi contemplato per i notai cessati dall'esercizio e per le loro famiglie, debba 
essere corrisposto, ricorrendo i medesimi presupposti, anche agli aspiranti al 
notariato, forniti dei requisiti necessari per la nomina, temporaneamente autorizzati 
all'esercizio delle funzioni notarili in virt�� dell'art. 6 della legge� 16 febbraio 
1913, n. 89; cessati dall'esercizio, ed alle loro famiglie. 
Sentenza 26 ottobre 1981, n. 179, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. 

legge 11 febbraio 1971, n. 11, art. 19, secondo comma. 

Sentenza 16 novembre 1981, n. 181, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. 

legge approvata dall'assemblea regionale siciliana il 21 dicembre 1977�. 

Sentenza 10 dicembre 11981, n. 187, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 

II � QUESTIONI NON FONDATE 

Codice civile, art. 2054, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 17 dicembre 1981, n. 192, G. V. 23 dicembre 1981, n. 352. 

codice di procedura civi1e, art. 5 (artt. 24 e 25 della Costituzione). 

Sentenza 10 dicembre 1981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 

d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 771 (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 10 dicembre 1981, n. 184, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 

18 



86 

RASSEGNA �DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 5 giugno 1965, n. 759, art. 1, primo comma (art. 3, primo comma, della 
Costituzione). 
Sentenza 10 dicembre 1981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 85 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 10 dicembre 1981, n. 186, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 
legge 12 dicembre 1966, n. 1078, art. 5 (artt. 3, 42 e 51 della Costituzione). 
Sentenza 17 dicembre .1981, n. 194, G. U. 23 dicempre 1981, n. 352. 

legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 32 (artt. 3, 36, 51, primo e terzo comma, e 
53 della Costituzione). 

Sentenza 17 dicembre 1981, n. 193, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. 

legge 24 maggio 1970, n. 336, artt. 3 e 4 (artt. 2, 3, 36, 52, 53 e 81 della Costituzione). 


Sentenza 17 dicembre 1981, n. 189, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 2, 3, 36, 52, 53 e 81 della Costi� 
tuzione. 

Sentenza 17 dicembre 1981, n. 189, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. 

legge 13 agosto 1979, n. 374, art. 1 (artt. 3, 24, 38, 42, 70, 101, 102 e 113 della 
Costituzione). 

Sentenza 10 dicembre 1981, n. 185, G. U, 16 dicembre 1981, n. 345. 

legge 13 agosto 1979; n. 374, art. 1 (artt. 77 della Costituzfone). 

Sentenza 10 dicembre .1981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 4, ultimo comma (artt. 1, 3, 24, 25, 38, 102 e 104 
della Costituzione). 

Sentenza 10 dicembre ,1981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo comma (artt. 3, primo comma, e 24 
della Costituzione). 

Sentenza 10 dicembre .1981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo e secondo comma (artt. 3, 24 e 113 
,della Costituzione). � 

Sentenza 10 dicembre ,1981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, secondo comma (artt. l, 3, 24, 25, 38, 42, 70, 
101, 102 e 104 della Costituzione). 

Sentenza 10 dicembre 11981, n. 185, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 

i I 


l


~ 


87

PARTE II, LEGISLAZIONE 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

codice civile, art. 1284, primo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Voltri, ordinanza 22 ~iugno 1981, n. 583, G. U. 30 dicembre 1981, 

n. 357. 
codice di procedura civile, artt. 5 e 444, primo comma (artt. 3, 24, primo 
comma e 25, primo comma, della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 11 maggio 1981, n. 482, G. U. 4 novembre 1981, 

n. 304. 
codice di procedura civile, artt. 232, 292 e 140 (art. 24, secondo comma, della 
Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 10 maggio 1981, n. 553, G. U. 23 dicembre 1981, 

n. 352. 
codice penale, art. 57 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 9 maggio 1981, n. 559, G. U. 25 novembre 1981, 

n. 325. 
Tribunale di Roma, ordinanze (due) 27 m�ggio e 28 aprile 1981, n. 560 e 
561, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. 

codice penale, artt. 204, 215 e 222 (art. 3, 24 e 32 della Costituzione). 

Tribunale di Venezia, ordinanza 29 maggio 1981, n. 573, G. U. 9 dicembre 1981, 

n. 338. 
codice penale, artt. 582 cpv. e 61, n. 9 (artt. 3, 28, 97 e 13, quarto .comma � 
della Costituzione). 

Giudice istruttore Tribunale di Firenze, ordinanza 8 giugno 1981, n. 549, 

G. U. 25 novembre 1981, n. 325. 
Giudice istruttore presso il Tribunale di Firenze, ordinanza 8 giugno 1981, 
n. 564, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. 
Giudice istruttore Tribunale di Firenze, ordinanza 8 giugno 1981, n. 570, G. U. 
2 dicembre 1981, n. 332. 

codice penale, art. 584 (art. 3 della Costituzione). 
Corte d'assise d'appello di Venezia, ordinanza 27 maggio 1981, n. 555, G. U. 
25 novembre 1981, n. 325. 

codice penale, art. 688 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Castelfranco Veneto, ordinanza 29 maggio 1981, n. 529, G. U. 
25 novembre 1981, n. 325. 

codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Pretore di Lecce, ordinanza 30 gennaio 1981, n. 539, G. U. 25 novembre 1981, 

n. 
325. 
Pretore di Mestre, ordinanza 18 giugno 1981, n. 586, G. U. 30 dicembre 1981, 
n. 357. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

codice penale, art. 688 (artt. 3, 32 e 27, secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale di Venezia, ordinanza 8 maggio 1981, n. 494, G. U. 4 novembre 1981, 

n. 304. 
codice di procedura penale, art. 142 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 3 luglio 1981, n. 622, G. U. 25 novembre 1981, 


n. 325. 
codice penale militare di pace, art. 186, ultimo comma, ultima ipotesi (artt. 3, 
e 27, terzo comma, della Costituzione). 

Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanze (due) 1� aprile e 6 maggio 
1981, nn. 517 e 518, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. 

legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 1, n. 1 (artt. 3 e 29, secondo comma, della 
Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 18 febbraio 1981, n. 633, G. U. 16 dicembre 1981, 

n. 345. 
r.d. 11 febbraio 1929, n. 274, art. 16 (artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione). 
Pretore di Rivarolo Canavese, ordinanza 27 maggio 1981, n. 540, G. U. 11 novembre 
1981, n. 311. 

legge 27 maggio 1929, n. 810, art. 1 (artt. 101 e 29 della Costituzione). 

Corte d'appello di Brescia, ordinanza 6 maggio 1981, n. 556, G. U. 25 novembre 
1981, n. 325. 

legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 17 (artt. 101 e 29 della Costituzione).' 

Corte d'appello di Brescia, ordinanza 6 maggio 1981, n. 556, G. U. 25 novembre 
1981, n. 325. 

r.d. 27. giugno 1933, n. 703, art; 14, secondo �omma (artt. 3, 24, 97 e 113 della 
Costituzione). 
Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 27 ottobre 1980, 

n. 524/81, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. 
r.d. 
13 agosto 1933, n. 1038, artt. 72 e 76, secondo comma (artt. 3, 24, 97 
e 
113 della Costituzione). 
Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 27 ottobre 1980, 

n. 524/81, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. 
r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 63, primo e terzo comma (artt. 3, 24 97 e 113 
della 
Costituzione). 
Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 27 ottobre 1980, 

n. 524/81, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. 
r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, artt. 168 e 169 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 25 febbraio 1981, n. 521, G. U. 25 novembre 1981, 
n. 325. 

J 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375 (artt. 3 e 47 della Costituzione). 
Tribunale di Ravenna, ordinanza 24 aprile 1981, n. 492, G. U. 4 novembre 1981, 

n. 304. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, ultimo comma (art. 3, primo comma, 
della Costituzione). 
Corte d'appello di Milano, ordinanza 19 novembre 11980, n. 720/81, G. U . 
. 9 dicembre 1981, n. 338. 
Corte d'appello di Milano, ordinanza 21 gennaio 1981, n. 655, G. U. 9 dicembre 
1981, n. 3.38. 
Corte d'appello di Milano, ordinanza 21 gennaio 1981, n. 660, G. U. 9 dicembre 
1981, n. 338. 

d.l.C.p.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 3 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Consiglio di Stato, sezione VI giurisdizionale, ordinanza 17 marzo 1981, 

n. 533, G. U. .18 novembre 1981, n. 318. 
legge 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 1, 9 e 13 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 9 maggio 1981, n. 558, G. U. 25 novembre 1981, 
n .. 325. 
Tribunale di Roma, ordinanza 9 maggio 1981, n. 559, G. U. 25 novembre 1981, 

n. 325. 
Tribunale di Roma, ordinanze (due) 27 maggio e 28 aprile 1981, n. 560 e 
561, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. 

legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 9, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Biella, ordinanza 7 aprile 1981, n. 532, G. U. 18 novembre 1981, 

n. 318. 
d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 2, n. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 4 giugno 1981, n. 550, G. U. 25 novembre 1981, 

n. 325. 
legge 4 dicembre 1956, n. 1450, art. 16 (artt. 3, primo comma e 37 primo 
comma della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 25 novembre 1980, n. 551/81 G. U. 25 novembre 
11981, n. 325. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80, quindicesimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 7 maggio 1981, n. 571, G. U. 9 dicembre 
1981, n. 338. 

d.P.R. 15 giugno 19591 n. 393, art. 83 [modificato dalla legge 14 febbraio 1974, 
n. 62] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Voltri, ordinanza 2 dicembre 1980, n. 513/81, G. U. 4 novembre 1981, 

n. 304. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 15 gi.gno 1959, n. 393, art. 121 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Livorno, ordinanza 7 luglio W81, n. 707, G. U. 30 dicembre 1981, 

n. 357. 
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 [come modificato dalla legge 5 mag� 
gio 1976, n. 313, art. 5] (art. 3 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Orvieto, ordinanze {due) 4 e 11 aprile 1981, nn. 575 e 576, G. V. 
9 dicembre 1981, n. 338. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma, quarta ipotesi [come 
modificato dalla legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Cosenza, ordinanza 25 marzo 1981, n. 661, G. U. 30 dicembre 1981, 

n. 357. 
d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, artt. 16 e 78 (artt. 2, 3 e 48 della Costituzione). 
Tribunale di Busto Arsizio, ordinanza 14 novembre 1980, n. 579/81, G. V. 
30 dicembre 1981, n. 357. 

legge 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 13 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore S. Angelo a Fasanella, ordinanza 7 aprile 1981, n. 544, G. U. 11 novembre 
1981, n. 311. 

d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 134, secondo comma (artt. 25, primo com� 
ma e 103, ultimo comma, della Costituzione). 
Giudice istruttore presso il Tribunale militare di Padova, ordinanza 31 agosto 
1981, n. 656, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 

d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Alba, ordinanza 6 marzo 1981, n. 548, G. U. 25 novembre 1981, 

n. 325. 
legge 3 maggio 1967, n. 315, art. 26 (artt. 3, 36, 76 e 97 della Costituzione). 

Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 27 ottobre 1980, 

n. 524/81, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. 
legge 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 [come modificato dalla legge 14 ot� 
tobre 1974, n. 497] (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Tribunale di Rovigo, ordinanza 18 giugno 1981, n. 554, G. U. 23 dicembre 1981, 

n. 352. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, artt. 2, primo comma, lettera c) e 4, primo 
comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 30 marzo 1981, n. 574, G. U. 2 dicembre 1981, 

n. 332. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 91 

legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 8 e 9 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 

Pretore di La Spezia, ordinanza 13 aprile 1981, n. 510, G. U. 4 novembre 1981, 

n. 304. 
legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 10 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Asti, ordinanza 9 giugno 1981, n. 546, G. U. 18 novembre 1981, 

n. 318. 
d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 1 (artt. 3, primo comma e 38, secondo comma, 
della Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 15 giugno 1981, n. 562, G. U. 2 dicembre 1981, 

n. 332. 
legge 25 ottobre 1968, n. 1089, art. 18, nono comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Cagliari, ordinanza 20 maggio 1981, n. 552, G. U. 25 novembre 1981, 

n. 325. 
legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 � (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanza 17 febbraio 1981, 

n. 658, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. 
legge 30 dicembre 1970, n. 1239, (art. 11 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanze (due) 19 marzo 1981, n. 587 e 588/81, G. U. 
23 dicembre 1981, n. 352. 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanze (due) 1� giugno 1981, nn. 593 e 594, G. U. 
30 dicembre 1981, n. 357. 

legge prov. Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, primo periodo 
e terzo comma (artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 5 maggio 1981, n. 585, G. U. 9 dicembre 
1981, n. 338. 

legge provinciale di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 [e successive modi~ 
ficazioni] (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 23 giugno 1981, n. 567, G. U. 2 dicembre 
1981, n. 332. 

legge provincia di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo comma, 
secondo periodo e terzo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 26 maggio 1981, n. 536, G. U. 18 novembre 
1981, n. 318). 
Corte d'appello di Trento, ordinanza 30 giugno 1981, n. 584, G. U. 2 dicembre 
1981, n. 332. 
Corte d'appello di Trento, ordinanza 24 febbraio 1981, n. 580, G. U. 9 dicembre 
1981, n. 338. 


92 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 4l, quarto comma, e 58, quarto comma 
(art. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Alessandria, ordinanze (due) 
20 aprile e 20 maggio 1981, n. 568 e 569, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, ultimo comma (artt. 3 e 112 della 
Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 14 gennaio 1981, n. 515, G. U. 4 novembre 1981, 

n. 
304. 
Tribunale di Forl�, ordinanza 15 maggio 1981, n. 578, G. U. 11 novembre 1981, 
n. 311. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 8, lettera c), tariffa ali. A parte I (artt. 3 
e 76 della Costituzione). 
I 
,

Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 20 dicembre 1979, 

n. 563/81, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26 (art. 76 della Costituzione). 
~ 
Corte di cassazione, ordinanza 27 marzo 1981, n. 504, G. U. 4 novembre �981, 

n. 304. 
* 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 53, primo comma, della Costitu� ' zione). li 
Commissione tributaria di secondo grado di Ferrara, ordinanze (due) 7 e 14 
novembre 1978, n. 617 e 618/81, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357). 

I 

I ~ 

legge provincia Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28 [e successive modi� 
ficazioni] (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 17 marzo 1981, n. 528, G. U. 25 no� 
vembre 1981, n. 325. 
Corte d'appello di Trento, ordinanza 23 giugno 1981, n. 566, G. U. 2 dicembre 
1981, n. 332. 

I

d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Gorizia, ordinanza 14 aprile 1981, n. 530, G. U. 25 novembre 1981, 

n. 325. 
I 

legge reg. Campania 21 febbraio 1973, n. 7, artt. 1 e 2 (artt. 76, 77 e 133 

I 

Costituzione). 
f, 

i 

Tribunale amministrativo regionale della Campania, ordinanza 13 gennaio i 
1981, n. 582, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. � 

I 

I f

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 [modificato dalla legge 14 aprile 
1975, n. 103, art. 45] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Susa, ordinanza 27 marzo. 1981, n. 512, G.U. 4 novembre 1981, 

n. 304. 

PARTE II, LEGISLAZION5 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 [come modificato dalla legge 14 apri� 
le 1975, n. 103, art. 45] (artt. 3 e 25 della Costituzione). 
Pretore di S. Margherita di Belice, ordinanza 25 marzo 1981, n. 526, G. U. 
25 novembre 1981, n. 325. 

di. 24 luglio 1973, n. 426, art. 1, quarto comma [convertito in legge 4 agosto 
19i3, n. 495] (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Messina, ordinanza 21 luglio 1981, n. 6ll, G. U. 30 dicembre 1981, 

n. 357. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 76 (art. 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di L'Aquila, ordinanza 26 giugno 1981, 

n. 615, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Milano, ordinanza 8 aprile 1981, 

n. 545, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. 
d.I. 5 novembre 1973, n. 660, art. 2, lett. b) [convertito con modificazioni 
nella legge 19 dicembre 1973, n. 823] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Trapani, ordinanza 30 ottobre 
1979, n. 634/81, G. U. 30 dicembre 1981, n. 357. 

legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). 

Pretore di Pistoia, ordinanza 1� febbraio 1981, n. 514, G. U. 4 novembre 1981, 

n. 304. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 203, 204 e 205 (artt. 3, 36, 76 e 97 della 
Costituzione). 
Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 27 ottobre 1980, 

n. 524/81, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. 
d.l. 11 gennaio 1974, n. 1, art. 4, lettera f) (art. 23 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 13 gen� 
naio 1981, n. 538, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. 

legge 14 ottobre 1974 n. 497 artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Mantova, ordinanza 29 maggio 1981, n. 534, G. U. 11 novembre 
1981, n. 311. 

legge 18 aprile 1975 n. 110, art. 2, terzo comma (artt. 3, 25, secondo comma, 
e 101 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanze (due) 27 marzo e 2 aprile 1980, nn. 522 e 
523/81, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, terzo comma (art. 25, secondo comma, della 
Costituzione). 

Tribunale di Agrigento, ordinanze 23 gennaio e 13 febbraio 1981, nn. 505 e 
506, G. U. 4 novembre 1981, n. 304). 

legge 3 giugno 1975, n. 160, artt. 9 e 10 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 21 maggio 1981, n. 509, G. U. 4 novembre 1981, 

n. 304. 
legge 22 luglio 1975, n. 382, art. 4 (art. 125 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Calabria, ordinanza 7 ottobre 1980, 

n. 577/81, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. 
legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 48, terzo comma (artt. 1, 2 e 3, primo comma, 
della Costituzione). 

Corte d'appello di Perugia, ordinanza 26 marzo 1981, n. 535, G. U. 25 novembre 
1981, n. 325. 

legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 26, 28, 71 e 80 (art. 3 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso il Tribunale di Rovereto, ordinanza U maggio 1981, 

n. 565, G. U. 2 dicembre 1981, n. 332. 
legge 24 dicembre 1975, n. 706, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 25 febbraio 1981, n. 521, G. U. 25 novembre 1981, 

n. 325. 
d.l. 4 marzo 1976, n. 31, art. 1, terzo comma [e successive modificazioni] 
(art. 3 e 41 della Costituzione). 
Corte d'appello di Caltanissetta, ordinanza 11 maggio 11981, n. 537, G. U. 
25 novembre 1981, n. 325. 

legge 29 aprile 1976, n. 177, art. 3, .ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 2 giugno 1980, 

n. 495/81, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. 
legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2 (art. 24, secondo comma, della Costituzione). 

Tribunale di Palermo, ordinanza 5 febbraio 1981, n. 520, G. U. 25 novembre 
1981, n. 325). 

legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 22 (art. 32 della Costituzione). 

Pretore di Susa, ordinanza 11 gennaio 1980, n. 493/81, G. U. 4 novembre 1981, 

n. 304. 
legge regione Lombardia 20 agosto 1976, n. 28, art. 13, ultimo comma (artt. 5, 
108, primo comma, e 117 della Costituzione). 

Pretore di Legnano, ordinanze (due) 12 maggio 1981, n. 507 e 508, G. U. 4 novembre 
1981, n. 304. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 9f 

legge 8 ottobre 1976, n. 689, art. 2, ultimo comma (artt. 3 e 35 della Costituzione). 


Tribunale di Como, ordinanza 24 aprile 1981, n. 516, G. U. 18 novembre 1981, 

n. 318. 
legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3, 29, 31 e 53 della 
Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanza 
12 marzo 1980, n. 527/81, G. U. 18 novembre 1981, n. 318. 

legge 23 dicembre 1976, n. 863, art. 2, penultimo comma (artt. 3 e 35 della 
Costituzione). 

Tribunale di Como, ordinanza 24 aprile 1981, n. 516, G. U. 18 novembre 1981, 

n. 318. 
legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lettera b) (artt. 42 e 43 della Costituzione). 


Pretore di Trecastagni, ordinanze (quattro) 11 febbraio, 14 marzo e 15 febbraio 
1980, n. 488, 489, 490 e 491/81, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. 

legge regione Basilicata 8 febbraio 1977, n. 10, art. 28 (artt. 97, 117, 118, 128 
e 130 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, ordinanza 22 marzo 
1979, n. 487/81, G. U. 4 novembre 1981, n. 304. 

legge regione Molise 9 novembre 1977, n. 40, art. 21 (artt. 3, primo comma, 
e 97, primo comma, della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Molise, ordinanza 26 maggio 1981, 

n. 531, G. U. 11 novembre 1981, n. 311. 
legge 27 febbraio 1978, n. 41 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 21 maggio 1981, n. 509, G. U. 4 novembre 1981, 

n. 304. 
legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1 (artt. 3, 42, 44 e 136 della Costituzione). 

Tribunale di Brindisi, ordinanza 3 giugno 1981, n. 640, G. U. 30 dicembre 1981, 

n. 357. 
legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1, primo, secondo e terzo comma (artt. 3, 
42, secondo comma e 44, primo comma, della Costituzione). 

Corte d'appello, sezione di Salerno, ordinanza 21 maggio ,1981, n. 511, G. U. 
11 novembre 1981, n. 311. 

legge 22 maggio 1978, n. 194, artt. 22, terzo comma e 4 (artt. 2, 3, secondo 
comma, 29, 30 e 31 della Costituzione). 

Pretore di Padova, ordinanza 25 maggio 1981, n. 519, G. U. 11 novembre 1981, 

n. 311. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58, 59, nn. 4 e 8 e 65 (artt. 3 e 42 della 
Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 4 maggio 1981, n. 547, G. U. 18 novembre 1981, 

n. 318. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo ed. ottavo comma (art. 24 della 
Costituzione). 

Pretore di Civitanova Marche, ordinanza 18 maggio 1981, n. 572, G. U. 16 dicembre 
1981, n. 345. 

legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 16 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Trib1male di Torino, ordinanza 21 maggio 1981, n. 509, G. U. 4 novembre 1981, 

n. 304. 
legge provincia di Bolzano 3 settembre 1979, n. 12, art. 1 (artt. 3, 6 e 41 della 
Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione� quarta giurisdizionale, ordinanza 16 dicembre 1980, 

n. 603/&l, G. U. 16 dicembre 1981, n. 345. 
legge reg. Lazio 18 settembre 1979, n. 79, art. 9 [come modificata dalla 
legge reg. 7 dicembre 1979, n. 95] (artt. 3, 33, 34 e 117 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 25 marzo 1981, 

n. 626, G. U. 23 dicembre 1981, n. 352. 
legge 23 novembre 1979, n. 595 (artt. 42, secondo comma e 44, primo comma, 
della Costituzione). � 

Corte d'appello, sezione di Salerno, ordinanza 21 maggio 1981, n. 511, G. U. 
11 novembre 1981, n. 31.1. 

legge 23 novembre 1979, n. 595, art. 1 (artt. 3, 42, 44 e 136 della Costituzione). 

Tribunale di Brindisi, ordinanza 3 giugno 1981, n. 640, G. U. 30 dicembre 1981, 

n. 357. 
legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Tribunale di Genova, ordinanza 29 ottobre 1980, n. 525/81, G. U. 18 novembre 
1981, n. 318. 

legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1, primo e secondo comma (artt. 42 terzo 
comma, e 136, primo comma, della Costituzione). 

Corte d'appello di Firenze, ordinanze (tre) 12 giugno 1981, nn. 541, 542 e 543, 

G. U. 18 novembre 198.1, n. 318. 
legge 16 dicembre 1980, n. 858 (art. 25 della Costituzione). 

Pretore di Pistoia, ordinanza 1� febbraio 1981, n. 514, G. U. 4 novembre 1981, 

n. 304. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 1� aprile 1981, n. 121, art. 104, primo comma (art. 103, terzo comma, della 
Costituzione). 

Giudice istruttore presso il Tribunale militare territoriale di Bari, ordinanza 
27 maggio 1981, n. 557, G. U. 25 novembre 1981, n. 325. 

legge 29 maggio 1981, n. 252, art. 1, secondo comma (artt. 3, primo comma, 
32, primo comma, 33, primo e secondo comma, della Costituzione). 

Pretore di Ceglie Messapico, ordinanza 26 settembre 1981, n. 723, G. U. 
9 dicembre 1981, n. 338. 
Pretore di Ceglie Messapico, ordinanza 26 settembre 1981, n. 724, G. U. 
9 dicembre 1981, n. 338. 

legge 29 maggio 1981, n. 252, art. 2, primo e terzo comma, (art. 3, primo 
comma, della Costituzione). 

Pretore di Ceglie Messapico, ordinanza i6 settembre 1981, n. 723, G.U. 
9 dicembre 1981, n. ~38. 
Pretore di Ceglie Messapico, ordinanza 26 settembre 1981, n. 724, G.U. 
9 dicembre 1981, n. 338. 

dJ. 26 settembre 1981, n. 538, artt. 5 e 9 (artt. 117, 118, �119 e 3 della Costituzione). 


Presidente Giunta regionale Emilia-Romagna, ricorso 31 ottobre 1981, n. 57, 

G. U. 11 novembre 1981, n. 311. 
d.I. 26 settembre 1981, n. 539, art. 2, primo comma (artt. 119, 117 e 123 della 
Costituzione). 
Presidente giunta regionale Liguria, ricorso 6 novembre 1981, n. 60, G. U. 
18 novembre 1981, n. 318. 

dJ. 26 settembre 1981, n. 539, artt. 2 e 4 (artt. 115 e 119 della Costituzione). 

Presidente giunta regionale Lombar�ia, ricorso 5 novembre 1981, n. 58, G. U. 
18 novembre 1981, n. 318. 

d.l. 26 settembre 1981, n. 539, artt. 2, 4 e 5 (artt. 119, 117 e 118 della Costituzione). 
Presidente giunta regionale Emilia -Romagna, ricorso 7 novembre 1981, n. 61, 

G. U. 18 novembre 1981, n. 318. 
d.l. 26 settembre 1981, n. 539, art. 3 (artt. 7, 8 e 54, quarto comma dello 
statuto speciale regione Sardegna e 77 della Costituzione). 
Presidente giunta regionale Sardegna, ricorso 6 novembre 1981, n. 59, G. U. 
18 novembre 1981, n. 318. 

legge 15 ottobre 1981, n. 590 (artt. 8, nn. 8, 13, 17, 18, 21, 24 e 25; 9, n. 9; 
16, primo comma; 17, 78; 107 e seguenti dello statuto speciale per il Trentino 
Alto Adige). 

Presidente provincia autonoma di Bolzano, ricorso 27 novembre 1981, n. 65, 

G. U. 9 dicembre 1981, n 338. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 15 ottobre 1981, n. 590 (artt. 8, nn. 13, 17, 21 e 24, 16, primo comma; 
107 e seguenti dello statuto speciale per il Trentino -Alto Adige). 

Presidente provincia autonoma di Trento, ricorso 27 novembre 1981, n. 64, 

G. U. 9 dicembre 1981, n. 338. 
legge approvata Consiglio regionale d'Abruzzo il 21 ottobre 1981 (art. 117 
della Costituzione). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso ,16 novembre 1981, n. 62, G. U. 
25 novembre 1981, n. 325. 

legge riapprovata dal Consiglio provinciale di Bolzano il 28 ottobre 1981 
(art. 8 dello statuto speciale per il Trentin� -Alto Adige). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 23 novembre 1981, n. 63, G. U. 
2 dicembre 1981, n. 332. 

legge riapprovata il 5 novembre 1981 dal consiglio regionale dell'Emilia� 
Romagna (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 1� dicembre 1981, n. 66, G. U. 
9 dicembre 1981, n. 338.