ANNO XXVII -N. 6 NOVEMBRE -DICEMBRE 1975 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ROMA ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO 1975 ABBONAMENTI ANNO � � � � � � . . � . � . . � � . . � . . � � . . . � � . � . L. 12.750 UN NUMERO SEPARATO � � � . . . . . . � � . � . . . � 2.250 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: LIBRERIA DELLO STATO -PIAZZA G. VERDI, 10 � ROMA e/e postale 1/2640 Stampato in Italia � Printed in ltal:y Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lu1dlo 1966 (6219007) Roma, 1976 -Istituto Poligrafico dello Stato P.V. A decorrere dal presente numero la Sezione di Giurisprudenza Costituzionale viene curata dal collega Giuseppe AngeliniRota, che lascia l'incarico di� redigere la Sezione di Giurispru~ denza Tribut�ria. Al collega Michele Savarese, collocato a riposo a domanda, la Redazione rivolge un cordiale saluto ed il pi� vivo ringraziamento per la proficua attivit� svolta. La Redazione INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura de/J'avv. Giuseppe Angelini-Rota) pag. 953 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura dell'avv. Arturo Marzano) � 985 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura dell'avv. Benedetto Baccari) � I 009 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura dell'avvocato Adriano Rossi) . . � � � � � . � . � � � I 02 6 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura de//'avv. Ugo Gargiulo) � . � � � . � � � � � � I040 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato Carlo Bafile) . � . . . . � . � � � I072 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura del/'avv. Arturo Marzano) . � � � � � � � � � � � � � � I 123 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura del/'avv. Paolo Di Tarsia di Be/monte) � � . � � � � � � � I I 46 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO QUESTIONI pag. 119 LEGISLAZIONE � 143 CONSULTAZIONI � 153 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bm�i; Michele DIPACE, Bologna; Giovanni CoNTU, Cagliari; Americo RALLO, Caltanissetta; Filippo CAPECE MINUTOLO DEL SASSO, Catanzaro; Raffaele TAMIOZZO, Firenze; Francesco GuICCIARDI, Genova; Adriano Rossr, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Giuseppe MINNITI, Messina; Marcello DELLA VALLE, Milano; Aldo ALABISO, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Pier Giorgio LIGNANI, Perugia; Rocco BERARDI, Potenza; Umberto GIARDINI, Torino; Maurizio DE FRANCHis, Trento; Paolo ScoTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI RossI A., L'insolvenza del concessionario dell'esecuzione di opera pubblica . . . . . . . . . � . I, 1031 RossI A., Perdita dell'avviamento commerciale per espropriazione per p.u. . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 1039 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE PUBBLICHE ED ELETTRICITA -Canoni -Decorrenza -Grandi derivazioni -Termine originario di ultimazione dei lavori -Sospensione del canone -Possibilit� -Limiti, 1132. -Competenza e giurisdizione -Dei tribunali delle acque -Controversie per danni da opere eseguite dalla P.A. -Danni derivanti da comportamento colposo -Ricomprensione -Condizioni, 1125. -Competenza e giurisdizione -Incrementi alluvionali -Incontestata estraneit� all'alveo -Controversia sull'aa;>partenenza -Tribunali delle acque -Competenza -Esclusione, 1127. -Competenza e giurisdizione -Tribunale superiore delle acque e Consiglio di Stato -Provvedimenti in materia di acque pubbliche -Competenza del Tribunale superiore, 1137. -Diritto all'uso dell'acqua -Concessione -Scadenza -Rifiuto di rinnovazione -Illegittimit� per contrasto col diritto d'uso -Esclusione, 1141. -Giudizio e procedimento -Tribunale superiore -Consulenza tecnica -Inammissibilit�, 1141. -Piano regolatore generale degli acquedotti -Ricorso giurisdizionale -Termine -Decorrenza, 1139. ADOZIONE -Famiglia -Adesione speciale dei figli legittimi -Effetti -Questione di legittimit� costituzionale -Non � fondata, 964. APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Capitolato generale di appalto per i lavori di competenza del Ministero dei lavori pubblici -Richiamo nei contratti con enti pubblici diversi dallo Stato -Efficacia negoziale -Modifiche del capitolato generale di appalto Irrilevanza nella disciplina del rapporto, 1123. -Appalto di opere pubbliche -Capitolato speciale di appalto Prezzi unitari -Indicazione in lettere ed in cifre -Discordanza -Prevalenza dell'indicazione pi� vantaggiosa per l'amministrazione, 1129. ATTO AMMINISTRATIVO -Eccesso di potere -Travisamento dei fatti -Accertamento nel giudizio -Condizioni, 1141. -Obbligo di motivazione Natura -Limiti, 1063. CIRCOLAZIONE STRADALE -Patente di guida -Sospensione prefettizia -Questione di legittimit� costituzionale -Non � fondata, 965. COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Credito e risparmio -Esercizio I del credito -Revoca -Impugnativa -Competenza del T.A.R. La~ zio, 1060. -Dipendenti della Presidenza della I Repubblica -Giurisdizione del t � giudice amministrativo, 1020. I r i. -Giurisdizione ordinaria e amministrativa -Urbanistica -Vincoli urbanistici senza indennizzo: giu- I INDICE risdizione dell'AGO -L. 19 novembre 1968, n. 1187: irretroattivit�, 1009. Impiego pubblico -Esazione Passaggio di gestione dall'appaltatore al Comune: status del personale -Iscrizione dei dipendenti nel quadro del personale delle imposte di consumo -Giurisdizione amministrativa, 1015. -Impiego pubblico -Iscrizione nel quadro del personale delle imposte di consumo -Diritto soggettivo: esclusione, 1016. -Impiego pubblico e privato -Diritti patrimoniali -Cumulo di trattamento di attivit� con trattamento di pensione -Recupero somme corrisposte indebitamente -Giurisdizione del giudice di legittimit�, 1058. -Principi generali -Regolamento di giurisdizione -Giudizio dinanzi al-T.A.R. -Sos~ensione del procedimento -Obbligo -Sussiste -Automaticit� -Esclusione Poteri di indagine del T.A.R. Esclusione, 1068. -Regolamento di competenza Rapporto tra lo strumento regolato dagli artt. 42 e 43 c.p.c. e il regolamento di cui all'art. 31 L. 1034/1971 -Diversit� -Sussiste, 1071. -Regolamento di competenza nei giudizi innanzi al T.A.R. -Sospensione del processo, 1071. COMUNIT� EUROPEE -Agricoltura -Organizzazioni comuni dei mercati -Scambi di prodotti agricoli -Perturbazioni prodotte da provvedimenti valutari -Importi compensativi -Determinazione -Periodo di validit� -Situazione soggettiva degli esportatori, 985. -Agricoltura -Organizzazioni comuni dei mercati -Scambi di prodotti agricoli -Perturbazioni prodotte da provvedimenti valutari -Importi compensativi -Metodo di calcolo -Modifica -Lesione del principio dell'affidamento -Esclusione, 985. CONFLITTO DI ATTRIBUZIONI Tribunali di Torino e di Milano Richiesta di trasmissione di documenti inerenti al fenomeno della mafia in Sicilia -Commissione parlamentare d'inchiesta Rifiuto -Illegittimit� -Limiti, 953. . CONTABILIT� GENERALE DELLO STATO -Esigibilit� di crediti verso lo Stato -Interessi -Decorrenza, 1028. CONTRATTI DELLA P.A. -Revisione prezzi -Prezzi correnti alla data di aggiudicazione e alla data delle intervenute variazioni -Minimi di paga sopravvenuti -Applicazione' -Legittimit� -Sussiste, 1055. COSA GIUDICATA Effetti -Possibilit�, in relazione a norme sopravvenute, di adozione di un provvedimento analogo a quello annullato -Sussiste, 1063. Esecuzione -Diniego di licenza edilizia -Annullamento e successiva sopravvenienza di piano regolatore -Nuovo diniego -Legittimit� -Sussiste, 1063. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -Referendum abrogativo -Procedimento -Competenze dell'ufficio centrale per il referendum e della Corte Costituzionale, 981. -V., anche Adozione, Circolazione, Conflitto di attribuzioni, Delitti contro la integrit� e sanit� della stirpe, Lavoro, Procedimento civile, Regione, Trentino -Alto Adige. DELITTI CONTRO LA INTEGRIT� E SANIT� DELLA STIRPE -Ammissibilit� del referendum abrogativo in ordine alle relative disposizioni del codice penale, 981. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO EDILIZIA -Contenuto del programma di fabbricazione -Figura tipica -Individuazione degli standards di cui all'art. 41 quinquies della L. 17 agosto 1942, n. 1150, 1066. -Contenuto del programma di fabbricazione -Figure tipiche e atipiche del programma -Differenze in rapporto alla possibilit� di imporre vincoli, 1065. -Contenuto del programma di fabbricazione -Imposizione di vincoli a spazi e servizi pubblici su aree di propriet� privata -Illegittimit� -Sussiste, 1052. -Contenuto dei programmi di fabbricazione -Possibilit� di imposizione di vincoli di inedificabilit� o comunque a contenuto sostanzialmente espropriativo -Non sussiste, 1065. - Figura tipica del programma di fabbricazione -Relazione con la L. 30 novembre 1973, n. 756 Possibilit� di imporre vincoli a propriet� private -Non sussiste, 1065. -Licenza di costruzione -Attivit� vincolata -Limiti -Effetti, 1063. - Piano di lottizzazione -Art. 8 L. 6 agosto 1967, n. 765 -Lottizzazioni antecedenti al 2 dicembre 1966 -Prescrizioni nuove e difformi rispetto al piano di lottizzazione, introdotte con piano regolatore generale Necessit� della motivazione Sussiste, .1054. -Programma di fabbricazione Deliberazione di accoglimento di osservazioni -Adozione da parte della Giunta e non del Consiglio Comunale -Illegittimit� -Sussiste, 1051. -Programma di fabbricazione Imposizione ex novo di vincoli assoluti di inedificabilit� -Esclusione, 1051. - Programma di fabbricazione. Osservazione -Accoglimento Omissione della ripubblicazione della deliberazione di adozione del programma modificato -Illegittimit� -Sussiste, 1051. -Programma di fabbricazione Vincolo di inedificabilit� su fascia di terreno confinante con strada non pubblica -Illegittimit�, 1051. -Programma di fabbricazione Zona di rispetto di cimiteri Determinazione del Medico Provinciale -Competenza -Sussiste, 1052. -Programma di fabbricazione e regolamento edilizio -Decorrenza del termine per impugnazione -Pubblicazione all'albo pretorio -Rilevanza, 1051. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -Edilizia scolastica -Commissione Provinciale per l'edilizia scolastica -Giudizio di idoneit� sull'area da vincolare -Necessit� Sussiste, 1056. -Edilizia scolastica -Decreto di vincolo dell'area -Parere dell'Ingegnere Capo dell'Ufficio del Genio Civile -Necessit� -Non sussiste, 1057. -Edilizia scolastica -Mancato rispetto del termine di emanazione del decreto di vincolo dell'area -Natura -Decadenza Non sussiste, 1057. -Edilizia scolastica -Procedimento di approvazione del vincolo Relazione con diversa destinazione di piano particolareggiato Possibilit� di modificazione -Legittimit� -Sussiste, 1056. -Esecuzione da parte dello Stato di piani di ricostruzione di comuni danneggiati dalla guerra Concessione a privati dell'esecuzione dell'espropriazione -Fallimento del concessionario -Obbligo del pagamento dell'indennizzo a carico dello Stato, con nota di A. ROSSI, 1031. -Indennit� Immobile urbano adibito dal proprietario all'esercizio di attivit� commerciale Compenso per avviamento commerciale -Esclusione, con nota di A. ROSSI, 1039. INDICE XI -Normativa -Titolo II L. n. 865/ 1971 -Opere pubbliche non connesse ad opere di urbanizzazione -Applicabilit� -Effetti, con nota di R. TAMIOZZO, 1049. -Occupazione d'urgenza -Giudizio sulla durata della proroga Discrezionalit� -Sussiste, con nota di R. TAMIOZZO, 1049. Occupazione d'urgenza -Impugnativa del decreto prefettizio di occupazione -Area non di propriet� del ricorrente -Censure Carenza di interesse -Sussiste, 1057. Occupazione d'urgenza -Mancata notificazione ad un comproprietario del decreto di introduzione nel fondo -Redazione stato di consistenza -Intervento dell'interessato -Sanatoria -Sussiste, 1057. -Occupazione d'urgenza -Proroga del termine -Proroga successiva al deposito dell'indennit� ma anteriore alla scadenza del termine -Legittimit� -Sussiste, con nota di R. TAMIOZZO, 1049. -Occupazione d'urgenza -Proroga del termine -Trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia urbanistica Regime transitorio -Legittimit� del provvedimento prefettizio Sussiste, con nota di R. TAMIOZZO, 1049. -Occupazione d'urgenza -Proroga del termine in caso di indifferibilit� e urgenza ex lege -Obbligo di motivazione -Non sussiste, con nota di R. TAMIOZZO, 1049. -Occupazione d'urgenza -Provvedimento emesso dopo la scadenza del termine per l'inizio delle espropriazioni ma prima della scadenza del termine per eseguire i lavori -Legittimit� Sussiste, 1057. Occupazione d'urgenza -Rapporto con il provvedimento di espropriazione -Autonomia -Effetti in relazione alla diversit� dei termini, con nota di R. TAMIOZZO, 1050. -Occupazione d'urgenza -Termine quinquennale ex art. 20 L. 865/1971 -Applicabilit� di detto termine alle occupazioni anteriori alla legge 865/1971 -Sussiste, con nota di R. TAMIOZZO, 1049. FERROVIE -Tranvie -Concessione -Passaggio di ferrovie su strada ordinaria -Allargamenti e deviazioni -Appartenenza, 1035. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Ricorso giurisdizionale -Espropriazione per pubblica utilit� Provvedimenti della Commissione provinciale per l'edilizia scolastica -Giudizio di idoneit� dell'area -Atto autonomamente impugnabile -Ricorso proposto in sede di impugnativa del decreto di occupazione e del decreto di imposizione del vincolo -Irricevibilit� -Sussiste, 1057. . -Ricorso giurisdizionale -Proponibilit� -Limiti in materia di pretese patrimoniali di pubblici dipendenti -Pretese derivanti direttamente dalla legge -Impugnativa di provvedimento formale -Necessit� -Non sussiste, 1067. GUERRA -Danni di guerra -Contributo di ripristino -Detrazione -Somme corrisposte a titolo diverso dal risarcimento -Indennizzi di assicurazione -Vanno detratti, 1059. IMPIEGO PUBBLICO Orario di lavoro -Personale ausiliario -Inizio un'ora prima degli altri impiegati -Settima ora -Retribuzione come lavoro straordinario -Non spetta, 1046. -Orario di lavoro -Uffici della Capitale -D.C.G. 17 settembre 1939 -Non � pi� in vigore Applicabilit� dell'art. 106 R.D. n. 2960 del 1923, n. 1046. - Stipendi, assegni e indennit� Assegno � ad personam � -Fattispecie di passaggio di carriera XII RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Aumenti periodici -Criteri di valutabilit� -Effetti -Divieto di reformatio in peius, 1053. Stipendi, assegni e indennit� Passaggio di carriera -Differenza fra� vecchia e nuova retribuzione -Conservazione del trattamento -Diritto alla corresponsione di un importo compensativo -Provvedimento. di determinazione dell'assegno �ad personam � -Natura -Non � autoritativo -Impugnabilit� nel termine di prescrizione, 1053. IMPOSTA COMPLEMENTARE SUL REDDITO Azionisti -Aumento del valore nominale delle azioni e distribuzione di azioni gratuite a seguito di passaggio a capitale delle riserve -Non costituisce percezione di utili -Non tassabilit�, 1083. IMPOSTA DI REGISTRO Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Decadenza -Prescrizione -Rivendita dell'area senza indicazione di provenienza -Sospensione della prescrizione, 1112. Agevolazione per l'industrializzazione del Mezzogiorno -Primo acquisto di terreni e fabbricati Trasferimento di stabilimento industriale gi� attivato e in dissesto -Esclusione dell'agevolazione, 1119. Agevolazione per l'industrializzazione del Mezzogiorno -Primo acquisto di terreni e fabbricati per l'attuazione di iniziative industriali -Certificazione di raggiungimento del fine -Termine per la presentazione -Rilascio di certificato negativo contenente indirettamente la attestazione Necessit� di tempestiva presentazione, 1111. Conferimenti in societ� -Costituzione di patrimonio destinato allo scopo sociale -Distinzione tra conferimento a titolo di propriet� o a titolo di godimento Irrilevanza, 1083. Prezzi e corrispettivi -Indicazione unica riferita a pi� beni Diversi regimi tributari -Scissione del corrispettivo unico Ammissibilit� -Supplemento di accertamento, con nota di C. BAFILE, 1102. IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE -Esenzione per nuove imprese artigiane e piccole industrie nell'Italia settentrionale� -Costituzione in data anteriore all'entrata in vigore della legge 29 luglio 1957, n. 635 -Esclusione Ampliamento o rinnovamento di azienda gi� esistente -Irrilevanza, 1085. Esenzione per nuove imprese artigiane e piccole industrie nell'Italia settentrionale -Imprese di autotrasporti -Compete, 1086. Esenzione per nuove imprese artigiane e piccole industrie nell'Italia settentrionale -Trasferimento di imprese e industrie esistenti nei territori agevolati -Si applica, 1085. IMPOSTA DI SUCCESSIONE Deduzione di passivit� -Conto corrente bancario -Legge 24 dicembre 1969, n. 1038 -Utilizzazione con emissione di assegni Necessit� -Rinuncia alla contestazione afferente alla documentazione -Concetto e limiti, 1080. IMPOSTA SULLE SOCIET� Opere Pie -Gestione di aziende con fini di lucro -Esenzione Limiti, con nota di C. BAFILE, 1077. IMPOSTE DOGANALI -Responsabile di imposta -Spedizioniere doganale -Operazione di contrabbando alla quale lo spedizioniere sia estraneo -Sua responsabilit� per l'obbligazione di imposta -Esclusione, 1084. IMPOSTE E TASSE IN GENERE Accertamento -Carattere dichia! rativo -Competenza e giurisdi ! Ij INDICE XIII zione -Momento della nascita dell'obbligazione tributaria -Avveramento del presupposto -Ufficio competente a liquidare il tributo, 1109. -Azione in sede ordinaria -Precedente decisione di commissione -Termine semestrale -Sospensione feriale -Si applica, 1112. -Imposte dirette -Maggiorazione di aliquota per ritardata iscrizione a ruolo -Infedele dichiarazione -Concetto, con nota di C. BAFILE, 1072. -Imposte indirette -Condono di cui al d.l. 5 novembre 1973, n. 6'6-0 convertito con la legge 19 dicembre 1973, n. 823 -Controversia concernente soltanto interessi e soprattasse Inapplicabilit�, 1106. -Imposte indirette -Interessi Prescrizione -Durata -Termine quinquennale -Si applica -Termine pi� breve per la prescrizione dell'imposta -Irrilevanza, 1095. Interessi --Decadenza da agevolazioni -Decorrenza dalla data di esigibilit� dell'imposta principale, 1113. -Pena pecuniaria -Prescrizione Decorrenza -Imposta di successione -Denuncia infedele -Decorrenza del giorno della commessa violazione, 1116. LAVORO Diritto di svoLgere attivit� sindacale all'interno dei luoghi di lavoro -Inapplicabilit� ai lavoratori autonomi -Illegittimit� costituzionale -Escl�sione, 979. LEGGI, DECRETI E REGOLAMENTI Criterio di interpretazione -Legge innovativa -Limiti in relazione alla legittimit� della norma -Conseguenze in ordine alla interpretazione deLla L. 756/1973, 1065. PENSIONI -Pensionati riassunti -Comulo di trattamenti -Ex indennit� integrativa speciale I.N.A.I.L. -Cumulabilit� -Sospensione della corresponsione Illegittimit�, 1058. PROCEDIMENTO CIVILE -Appello -Obbligazioni solidali Litisconsorzio necessario -Esclusione, 1026. -Convalida di sfratto per cessazione del rapporto di lavoro Inapplicabilit� del regime vincolistico delle locazioni -Illegittimit� costituzionale -Esclusione, 967. PROCEDIMENTO PENALE -Notificazioni all'imputato irreperibile -Nomina di difensore d'ufficio residente sul posto -Imputato munito di difensore di fiducia residente in luogo� diverso -Necessit�, 1154. REATO - Acque pubbliche -Pesca -Art. 6 R.D. n. 1604 dell'8 ottobre 1931 Riferimento alla sola ipotesi che l'ammissione avvenga a scopo di pesca -Erroneit�, 1146. - Pesca -Scarico di rifiuti di stabilimenti industriali in acque pubbliche -Reato di pericolo, 1146. REGIONE -Provincie autonome del Trentino- Alto Adige -Questioni di costituzionalit� di leggi statali proposte in via principale -Limiti di ammissibilit�, 969. RICORSO GIURISDIZIONALE -Motivi -Specificazione -Necessit� -Criterio -Fattispecie Inammissibilit� per genericit�, 1059. XIV RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Tassa e bollo -Inosservanza del;. le norme sul bollo -Sanzione di improcedibilit� ex art. 28 D.P.R. n. 492 del 1953 -Abrogazione ex D.P.R. n. 642 del 1972 -Adempimenti d'ufficio, 1059. TRATTATI E CONVENZIONI INTERNAZIONALI -G.A.T.T. -Clausola di riserva limitativa -Legislazione nazionale vigente alla data del 10 ottobre 1949 in tema di i.g.e. sui medicinali -Disparit� di trattamento tra medicinali importati e medicinali di produzione nazio nale -Persistenza -Legittimit�, con nota di A. MARZANO, 991. TRENTINO-ALTO ADIGE -D.L. 2 febbraio 1948, n. 23 sul riacquisto della cittadinanza italiana da parte degli alto atesini Contrasto col principio di tutela delle minoranze linguistiche Insussistenza, 969. � -D.P.R. 1 febbraio 1974, n. 50 sull'esercizio del diritto di voto per l'elezione del consiglio regionale e dei consigli comunali della provincia di Bolzano -Illegittimit� costituzionale -Esclusione, 972. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 22 ottobre 1975, n. 231 pag. 953 30 ottobre 1975, n. 234 964 30 ottobre 1975, n. 235 965 17 dicembre 1975, n. 238 967 17 dicembre 1975, n. 239 969 17 dicembre 1975, n. 240 972 17 dicembre 1975, n. 241 979 22 dicembre 1975, n. 251 981 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 10 dicembre 1975, nelle cause 95-98/74, 15/75 e 100/75 . . . . pag. 985 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 25 ottobre 1974, n. 3119 . pag. 1026 Sez. I, 11 novembre 1974, n. 3523 1028 Sez. I, 12 novembre 1974, n. 3566 1031 Sez. I, 12 novembre 1974, n. 3570 1035 Sez. I, 13 novembre 1974, n. 3596 1039 Sez. I, 16 gennaio 1975, n. 166 1086 Sez. Un., 7 maggio 1975, n. 1759 1009 Sez. Un., 10 maggio 1975, n. 1815 1072 Sez. I, 28 maggio 1975, n. 2173 1077 Sez. Un., 12 giugno 1975, n. 2332 1015 Sez. I, 19 giugno 1975, n. 2461 1080 Sez. I, 16 luglio 1975, n. 2800 1083 Sez. I, 25 luglio 1975, n. 2902 1083 Sez. Un., 5 agosto 1975, n. 2979 1020 Sez. III, 26 agosto 1975, n. 3018 1123 Sez. I, 19 settembre 1975, n. 3072 1084 Sez. I, 1 � ottobre 1975, n. 3089 1085 Sez. I, 2 �ttobre 1975, n. 3110 1095 Sez. I, 2 ottobre 1975, n. 3114 1085 Sez. I, 7 ottobre 1975, n. 3185 1102 Sez. III, 10 ottobre 1975, n. 3250 1125 Sez. I, 13 ottobre 1975, n. � 3276 1106 Sez. I, 16 ottobre 1975, n. 3362 . 1109 Sez. Un., 20 ottobre 1975, n. 3403 991 Sez. I, 20 ottobre 1975, n. 3409 1111 Sez. I, 20 ottobre 1975, n. 3426. . 1112 XVI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sez. I1I, 25 ottobre 1975, n. 3561 Sez. I, 27 novembre 1975, n. 3966 Sez. I, 27 novembre 1975, n. 3967 Sez. I, 13 dicembre 1975, n. 4098 CORTE D'APPELLO DI PALERMO 23 settembre 1975 ............ TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE 13 giugno 1975, n. 14 27 giugno 1975, n. 16 15 luglio 1975, n. 19 18 luglio 1975, n. 20 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. plen., 1� luglio 1975, n. 8 Sez. IV, 17 giugno 1975, n. 594 Sez. IV, 24 giugno 1975, n. 611 Sez. IV, 8 luglio 1975, n. 665 . Sez. IV, 11 luglio 1975, n. 688 Sez. IV, 11 luglio 1975, n. 695 Sez. IV, 11 luglio 1975, n. 696 Sez. IV, 11 luglio 1975, n. 699 Sez. IV, 26 settembre 1975, n. 776 Sez. IV, 26 settembre 1975, n. 778 Sez. IV, 26 settembre 1975, n. 838 Sez. V, 27 giugno 1975, n. 924 Sez. V, 4 luglio 1975, n. 937 Sez. V, 11 luglio 1975, n. 1024 Sez. V, 11 luglio 1975, n. 1027 Sez. V, 30 settembre 1975, n. 1233 Sez. VI, 3 giugno 1975, n. 178 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 11 aprile 1975, n. 7985 Sez. II, 20 giugno 1975, n. 1086 pag. 1127 1112 ' 1116 1119 pag. 1129 pag. 1132 1137 1139 1141 pag. 1046 1049 1051 1053 1054 1055 1056 1057 1058 1059 1060 1063 1065 1065 1067 1068 1071 pag. 1146 1154 PARTE SECONDA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLE CONSULTAZIONI COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Giurisdizione civile -Straniero Ingresso nel territorio nazionale, 152. CONTABILIT� DELLO STATO -Amministrazione dello Stato Danni prodotti ad altra Amm.ne o ad Azienda autonoma -Imputazione spesa, 152. FALSO -Falso -Impiegato dello Stato Falsit� ideologica in tabella di missione, 152. IMPIEGO PUBBLICO -Falso -Impiegato dello Stato Falsit� in tabella di missione, 152. IMPOSTA SUL PATRIMONIO -Imposta straordinaria sul patrimonio -Privilegio -Estinzione, 152. IMPOSTE DIRETTE _:_ Reati finanziari -Omessa denuncia dei redditi -Prescrizione Du: i:ata, 153. PRESCRIZIONE -Reati finanziari -Omessa denuncia dei redditi -Prescrizione Decorrenza, 153. PUBBLICO UFFICIALE -Falso -Impiegato dello Stato Falsit� ideologica in tabella di missione, 153. -Reati finanziari -Omessa denuncia dei redditi -Prescrizione - Durata, 154. -Reati finanziari -Omessa denuncia dei redditi -Prescrizione - Decorrenza, 154. REGIONI -Atti amministrativi gi� di competenza statale -Pubblicazione nella G.U. della Repubblica, 154. -Atti amministrativi gi� di competenza statale -Pubblicazione del B.U. della Regione, 154. -Atti amministrativi gi� di competenza statale -Pubblicazione tanto nella G.U. della Repubblica quanto nel B.U. della Regione -Impugnativa -Decorrenza del termine, 154. RESPONS.AiBILIT� CIVILE -Giurisdizione civile -Straniero Ingresso nel territorio nazionale, 154. RICORSI AMMINISTRATIVI -Atti amministrativi gi� di competenza statale -Pubblicazione nella G.U. della Repubblica, 155. -Atti amministrativi gi� di competenza statale -Pubblicazione nel B.U. della Regione, 155. -Atti amministrativi gi� di competenza statale -Pubblicazione tanto nella G.U. della Repubblica quanto nel B.U. della Regione -Impugnativa -Decorrenza del termine, 155. XVIII RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ' QUESTIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 119 LEGISLAZIONE XVIII RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ' QUESTIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 119 LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE I. -Norme dichiarate incostituzionali . pag. 142 II. -Questioni dichiarate non fondate . 142 III. -Questioni proposte . . . . . . . 143 PARTE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 22 ottobre 1975, n. 231 -Pres. Bonifacio -Rei. Crisafulli -Tribunali di Torino e di Milano (avv.ti Dall'Ora e Bovio) c. Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia (avv.ti Sandulli e Pisapia). Conflitto di attribuzioni � Tribunali di Torino e di Milano � Richiesta di trasinissione di documenti inerenti al fenomeno della mafia in Sicilia . -Cominissione parlamentare d'inchiesta -Rifiuto -Illegittimit� � Limiti. (1. 11 marzd 1953, n. 87, art. 47). La Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia non ha l'obbligo di trasmettere ai Tribunali di Torino e di Milano gli atti e documenti da essa formati o direttamente disposti, gli scritti e gli anonimi ad essa originariamente rivolti, atti tutti che la Commissione medesima abbia ritenuto di mantenere segreti ai fini dell'adempimento delle proprie funzioni, mentre ha l'obbligo di trasmettere gli altri atti e documenti in suo possesso, che, a norma di legge, non siano coperti all'origine da segreto o siano esposti da seg1�eto non opponibile all'autorit� giudiziaria penale. (Omissis). -1. -I giudizi per conflitto di attribuzione, promossi con le due ordinanze dei tribunali di Torino e di Milano nei confronti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della �mafia �, a seguito del rifiuto da questa opposto di trasmettere ai tribunali medesimi, che ne avevano fatto formale richiesta, determinati atti e documenti in suo possesso, ritenuti dai giudici predetti necessari ai fini dell'accertamento della verit� nei rispettivi processi, involgono sostanzialmente le stesse questioni e vanno perci� decisi con unica sentenza. 2. -La difesa della Commissione eccepisce pregiudizialmente la inammissibilit� dei conflitti, sia sotto il profilo soggettivo che sotto il profilo oggettivo. Deduce, infatti, per un verso, che n� i tribunali ricorrenti n� essa Cqmmissione sarebbero legittimati -rispettivamente -,-a solleva~e i conflitti in oggetto ed a resistervi, non essendo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO organi �competenti a dichiarare definitivamente la volont� del potere cui appartengono �, come prescritto dall'art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e che manchevebbe altresl, per alitro verso, la materia di conflitto e difetterebbe nei tribunali l'interesse a ricorrere, perch� gli atti e documenti, cui si riferivano le loro richieste e i dinieghi della Commissione, o non sarebbero validamente utilizzabili come mezzi di prova nei processi in corso in sede dibattimentale o avrebbero potuto e potrebbero essere richiesti ai soggetti, pubbliche autorit� e privaU, che li avevano autonomamente formati e da cui provenivano. Gli argomenti addotti, peraltro, non sono tali da indurre la Corte a mutare l'avviso gi� espresso in linea di prima delibazione nelle ordinanze nn. 228 e 229 del corrente anno, alla motivazione delle quali, con le ulteriori precisazioni che seguono, si fa quindi espresso rinvio. 3. -Pi� particolarmente, sotto il profilo soggettivo, riecheggiando una nota tesi dottrinale che, nell'interpretazione del primo comma dell'arit. 37, tende a distinguere gli organi che possono entrare tra loro in conflitto da quelli legittimati al relativo giudizio (i quali ultimi sarebbero unicamente gli organi supremi dei poteri cui i primi appartengono), si assume che, nella specie, i conflitti avrebbero dovuto essere proposti dalla Corte di cassazione, anzich� dai tribunali direttamente interessati, e nei confronti delle Camere, anzich� della Commissione d'inchiesta. Senonch�, a prescindere dalle difficolt� che allo accoglimento, in generale, di siffatta tesi, derivano dallo stesso testo dell'art. 37, dove parlandosi di � conflitto � si allude all'oggetto del giudizio,� e non viceversa al giudizio sul conflitto, e dove pe11tanto il riferimento agli organi competenti a dichiarare definitivamente la volont� dei poteri va inteso come rivolto a designare gli organi confl. iggenti, e non soltanto quelli legittimarti ad processum, � significativo rilevare che la difesa della Commissione esplicitamente ammette -da un lato -che alle Commissioni d'inchiesta deve riconoscersi (ed � positivamente riconosciuta) un'amplissima autonomia, tanto pi� quando, come nel caso in oggetto, siano istituite con legge e senza prefissione di termini, quindi destinate a durare oltre le 1slingole legi:slature; ed aLtres� ammette -d'11-ltro lato -che attualmente l'ordinamento non predispone (almeno, � espressamente �) i congegni attraverso i quali l'organo giudiziario �minore� potrebbe sollecitare l'intervento della Corte di cassazione, la quale a sua volta (si aggiunge) non pu� essere considerata giuridicamente come �superiore � rispetto agli altri, senza dire delle perplessit� (anch'esse accennate, ma non risolte, nelle deduzioni di costituzione della Commissione) che la struttura �com PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 955 posita � della stessa Corte di cassazione farebbe sorgere quando si volesse pi� precisamente stabilire in quale delle due articolazioni (Plrimo Presidente, Sezioni Unite, ecc.) dovrebbe ritenersi .concentrata la competenza a proporre conflitto. Ma tutte queste ammissioni, riserve e perplessit� finiscono per avvalorare indirettamente, anche sul terreno pratico, le conclusioni cui la Corte ebbe a pervenire nelle ordinanze nn. 228 e 229, evidenziando -da un lato -il carattere �diffuso� che tipicamente contrassegna il potere giudiziario, ciascuna componente del quale � idonea a � porre in essere pronuncie sulle quali la Corte di cassazione non sarebbe in grado di esercitare il proprio sind~cato, se non nei casi previsti dai codici di rito e (con la sola eccezione di cui all'art. 41, primo comma, cod. proc. civ.) sempre dietro iniziativa di chi sia parte in giudizio; nonch� -d'altro lato -l'indipendenza di cui godono, durante il corso del loro mandato, le Commissioni parlamentari d'inchiesta, anche nei confronti delle Camere, le quali, come non potrebbero procedere esse stesse, direttamente, ad inchieste ex art. 82 Cost., cosi nemmeno 'sono autorizzate ad interferire nelle deliberazioni adottate dalle Commissioni medesime per il pi� proficuo svolgimento dei loro lavori. � da soggiungere che l'art. 37 della legge n. 87, nel definire i conflitti tra poteri la cui risoluzione spetta alla Corte costituzionale, non muove dal criterio della definitivilt� degli atti che ne possono essere all'origine, ch� anzi in rtali conflitti (a differenza che in quelli tra Stato e Regioni o tra Regioni) un atto pu� addirittura mancare, essendo sufficiente a determinarli un mero comportamento, anche omissivo; ma designa gli organi legittimati a sollevarli ed a resistel'IVi alla stregua della loro capacit� ad impegnare l'intero potere. N�, in tale ordine di idee, ha riferimento agli organi che -in concreto abbiano dichiarato definitivamente la volont� del potere, quanto invece agli organi a ci� �competenti�, vale a dire che ne abbiano l'astratta possibilit�. Perde perci� consistenza il rilievo della difesa della Commissione, secondo cui, a norma dell'art. 200 cod. proc. pen., le ordinanze istrut torie dei tribunali ricorrenti, aJ:le quali seguirono le risposte negative della Commissione, sarebbero state (e sarebbero), oltre che revocabili come ogni ordinanza, impugnabili unitamente alla sentenza di merito. 4. -� anche da disattendere l'eccezione di inammissibilit� sotto il profilo oggettivo, per mancanza di materia di conflitto e carenza di interesse, che, peraltro, nella parte in cui accenna a distinguere tra le diverse specie di atti richiesti dai tribunali e rifiutati dalla Commissione, finisce per involgere questioni inerenti al merito della . 956 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO controversia, o comunque con questo strettamente connesse, sulle quali occorrer� soffermarsi in prosieguo. Ferma restando tale riserva, pu� e deve essere ribadito che sussiste indubbiamente nei casi in esame materia di conflitto e interesse a sollevarlo, assumendosi dai tribunali ricorrenti che dal rifiuto illegittimamente opposto dalla Commissione risulterebbe menomata la sfera di attribuzioni ad essi garantita dalla Costituzione, per l'impedimento derivantene all'acquisizione delle prove ritenute necessarie per l'accertamento della verit�. N� pu� contestarsi che ogni valutazione sulla utilit� e sulla valida utilizzabilit� in giudizio dei mezzi di prova � di esclusiva competenza dell'autorit� giudiziaria procedente, sottraendosi pertanto a qualsiasi sindacato che non sia quello esplicabile dal giudice eventualmente adito in sede di gravame. 5. -Nel merito, la controversia concerne determinati atti e documenti dell'inchiesta antimafia, non inseriti negli Atti parlamentari (Documento n. XXIII-2, Septies, della V Legislatura) come allegati alla �Relazione sui lavori svolti e sullo stato del fenomeno mafioso al termine della V Legislatura�, ivi pubblicata, ma specificatamente indicati nell'elenco, anch'esso allegato alla relazione predetta (n. 62), denominato � Indice analij;ico della documentazione esistente agli atti della Commissione�. Ed il problema di fondo che si dibatte in entrambi i giudizi �, dunque, pi� precisamente, se la Commissione abbia l'obbligo giuridico di trasmettere all'autorit� giudiziaria tali atti e documenti, potendo esimersene soltanto nei casi ed alle condizioni di cui all'art. 342 cod. proc. pen. (in relazione anche all'art. 352), ovvero se, in considerazione delle finalit� di pubblico interesse cui � costituzionalmente preordinato il potere di inchiesta e delle prerogative di cui godono le Assemblee legislative ed i loro organi, nell'esercJzio delle loro funzioni istituzionali (delle quali soltanto � questione nella specie e tra le quali certamente rientra la funzione ispettiva, esprimentesi tra l'altro attraverso le inchieste), sia da riconoscere alla Commissione predetta la facolt� di stabilire se e quali dei suoi atti e relativa documentazione debbano essere coperti da segreto, opponibile anche agli organi giudiziari. La posizione � di assoluta indipendenza � del Parlamento, come di altri organi �ai vertici dello Stato�, anche nei loro rapporti reciproci (sent. n. 143 del� 1968), � stata pi� volte riaffermata da questa Corte (sent. n. 15 del 1969 e sent. n. 110 del 1970: quest'ultima, C)On particolare riferimento alle deroghe alla giurisdizione, ammissibili nei loro confronti pur se ,� sempre di stretta interpretazione �), che non ha mancato, in occasione del conflitto insorto tra la Commissione parla-'~ mentare inquirente per. i giudizi di accusa e il giudice istruttore del I !I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 957 tribunale di Roma, di sottolineare la necessit� di contemperare �l'autonomia e l'indipendenza del potere giudiziario da ogni altro potere � con �l'indipendenza del po�tere politico rispetto ad ogni indebita ingerenza �, anche da parte del potere giudiziario (sent. n. 13 del 1975). Pi� analiticamente, l'indipendenza delle Camere (riflettentesi naturalmente sui loro organi) si articola, nella normativa direttamente dettata dal testo costituzionale, nell'autonomia organizzativa e normativa spettante a ciascuna di �esse (�riserva di regolamento � : art. 64, primo comma); nella loro esclusiva competenza alla convalida dei propri membri (art. 66); nella non responsabilit� dei medesimi � per i voti dati e le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni � (art. 68, primo comma: immunit�, sotto questo aspetto, assoluta, che, in omaggio al principio democratico rappresentativo, l'art. 122, ultimo comma, estende anche ai membri dei Consigli regionali), oltre che nella immunit�, che pu� dirsi relativa, di cui al secondo comma del detto art. 68 (non proseguibilit� dell'azione penale e di:vieto di arresto e perquisizione personale o domiciliare senza autorizzazione dell'Assemblea, fuori dei casi di flagrante delitto che comporti obbligatoriet� di mandato di cattura). Alle quali disposizioni, contenute � nella Costituzione, si aggiungono poi, svolgendone ed applicandone i principi, quelle dei regolamenti parlamentari, tra cui sono specialmente da ricordare, ai fini che qui interessano, l'art. 62 del Regolamento della Camera e il corr�spondenite art. 69 del Regolamento del Senato, che attr�buiscono ai rispeibtivi Presidenti l'esercizio dei poteri di polizia e la disposizione della forza pubblica nell'interno delle Assemblee: poich� da queste disposizioni, per lunga tradizione, si suole trarre la regola della cos� detta �immunit� della sede� (valevole anche per gli altri supremi organi dello Stato) in forza della quale nessuna estranea autorit� potrebbe far eseguire coattivamente propri provvedimenti rivolti al Parlamento �ed ai suoi organi. Di guisa che, ove gli organi parlamentari non vi ottemperassero, sarebbe unicamente possibile provocare l'intervento di questa Corte, in sede di conflitto di attribuzione, cos� come precisamente � avvenuto nel caso in oggetto. 6. -Ma � soprattutto da rilevare che, fermo restando che il principio fondamentale in materia � quello della pubblicit� degli atti parlamentari (art. 64, secondo comma, Cost.), � tuttavia rimesso alla valutazione delle Camere (e rientra nella autonomia costituzionale ad esse, come sopra accennato, garantita) di derogarvi in singoli casi, deliberando di riunirsi in seduta segreta (nella quale ipotesi, gli art:t. 34, punto 3�, Reg. Camera e 60, punto 4�, Reg. Senato consentono che possano altresi stabilire di non farne stendere processo verbale). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO A sua volta, l'art. 72 Cost., nel terzo comma, demanda ai regolamenti parlamentari di determinare le forme di pubblicit� dei lavori delle Commissioni legislative: al che, codificando una prassi gi� formatasi sotto il vigore dei precedenti regolamenti, provvede ora l'art. 65 del Regolamento della Camera, disponendo che tale pubblicit� sia assicurata � medianite resoconti pubblicati nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari�, a cura del Segretario Generale. E del principio implicito in questa disposizione, espr�essamente dettata per le Commissioni legislative, ha fatto applicazione, nel caso in oggetto, la Commissione di inchesta, cosi stabilendo nell'art. 1 del suo Regolamento interno del 31 luglio 1969 e nell'art. 1 del successivo Regolamento del 16 maggio 1973. Sempre in tema di pubblici<t�, a parte per ora le .disposizioni regolamentari che prevedono il segreto delle Commissioni � nell'interesse dello Stato� (art. 65, punto .3�, Reg. Camera, ed analogamente, seppure con formulazione pi� generica, parlando di � documenti, notizie o discussioni che inter�essano lo Stato�, l'art. 31, punto 3�, Reg. Senato), sulle quali dow� tornarsi subito appresso, mette conto rammenitare in particolar modo quelle dettate per le indagini conoscitive esperite dalle Commissioni, cui viene data facolt� di decidere di non fare verbale n� resoconto stenografico delle sedute a dette indagini dedicate (art. 144, punto 4�, Reg. Camera, e art. 48, Reg. Senato): trattandosi evidentemente di un settore di attivit� parlamentare molto vicino a quello delle inchieste. 7. -Dal complesso dei principi e delle disposizioni richiamate nei precedenti nn. 5 e 6 si ricava, dunque, che le Commissioni parlamelntari d'inchiesta, le quali, sostituendo necessariamente a norma dell'art. 82, primo comma, Cost. il plenum delle Camere, a buon diritto possono configurarsi come le stesse Camere nell'atto di procedere alla inchiesta, sono libere di organizzare i propri lavori, anche stabilendo -in fotto od in parte -il segreto delle attivit� da esse direttamente svolte e della documentazione risultante dalle indagini esperite: e ci� in funzione del conseguimento dei fini istiituzionalmente ad esse propri, specificamente indicati, nel c:aso in oggetto, dall'art. 2 della legge 20 dicembre 1962, n. 1720, a termini del quale � La Commissione, esaminate la genesi e le caratteristiche del fenomeno della mafia, dovr� proporre le misure necessarie per reprimerne le manifestazioni ed eliminarne le cause�. Non vale in contrario l'argomento che l'ordinanza del tribunale di Milano vorrebbe trarre proprio dalle disposizioni dei regolamenti parlamentari, ricordate alla fine del punto precedente, relative al segreto � nell'interesse dello Stato �, poich� tali disposizioni, che lette PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 959 ralmente non tanto consentono, quanto impongono, la segretezza di determinate sedute delle Commissioni, in realt� rimettono pur sempre all'apprezzamento politico delle stesse (sicuramente non sindacabile dall'Autorit� giudiziaria) di verificare se e quando l']potesi pvevista concretamente ricorra; e perci�, nella sostanza, lungi dall'intaccare i principi sopra enunciati, ne offrono indiretta conferma. Senza dire che la circostanza che, per. particolari casi, sia prescritto un obbligo non basterebbe ad� escludere, per ogni altro, una facolt�, che appare invece, secondo il gi� detto, insita nell'autonomia delle Camere e dei loro organi, .e segnatamente delle Commissioni di inchiesta da esse istituite; per le quali ultime la segretezza, che pu� circondarne i laivori, � funzionalizzata al conseguimento dei fini alle medesime assegnati. Ora, com'� riconosciuto, pu� ben dirsi, unanimemente dalla dottrina antica e recente, .tali fini differiscono nettamente da quelli che caratterizzano le istruttorie delle autorit� giudiziarie. Compito delle Commissioni parlamentari di inchiesta non � di �giudicare�, ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l'esercizio delle funzioni delle Camere; esse non rtendono a produrre, n� le loro relazioni conclusive producono, alcuna modificazione giuridica (com'� invece proprio degli atti giurisdizionali), ma hanno semplicemente lo scopo di mettere a disposizione delle Assemblee tutti gli elementi utili affinch� queste possano, con piena cognizione delle situazioni di fatto, deliberare la propria linea di condotta, sia promuovendo misure legislative, sia invitando il Governo a adottare, per quanto di sua competenza, i provvedimenti del caso. L'attivit� di inchiesta rientra, insomma, nella pi� lata posizione della funzione ispettiva delle Camere; muove da cause pontiche ed ha finaut� del pari politiche; n� potrebbe rivolgersi ad accertare reati e connesse responsabilit� di ordine penale, ch� se cos� per avventura facesse, invaderebbe indebirtamente la sfera di attribuzioni del potere giurisdizionale. E, ove nel corso delle indagini vengano a �conoscenza di fatti che possano costituire reato, le Commissioni sono tenute a farne rapporto all'autorit� giudiziaria, cos� come, nel caso in oggetto, la Commissione antimafia si � vincolata a fare con i propri regolamenti interni sopra citati, del 1969 e del 1973, e, stando a quanto affermato nella relazione, in pratica ha fatto. Come sono diversi i fini, cos� differiscono o possono differire i mezzi di cui si avvalgono le Commissioni parlamentari d'inchiesta, rispetto a quelli tipici dell'autorit� giudiziaria. Il secondo comma dell'art. 82 Cost. arttribuisce, bens�, alle prime � gli stessi poteri �, e prescrive �le stesse limitazioni�, di quest'ultima, e ci� per consentire loro di superare, occorrendo, anche coercitivamente, gli ostacoli nei quali potrebbero scontrarsi nel loro operare. Ma le Commissioni restano libere di prescegliere modi di azione diversi, pi� duttili ed 960 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esenti da formalismi giuridici, facendo appello alla spontanea collaborazione dei cittadini e di pubblici funzionari, al contributo di studiosi,, ricorrendo allo sipoglio di g.iornal.i e riviste, e via dicendo. Come esattamente fu notato da una antica dottrina, le persone dalle Commissioni interrogate non depongono propriamente quali �testimoni�, ma forniscono informazioni; e lo stesso � a dirsi delle relazioni varie che pubbliche autorit� possono, su richiesta delle Commissioni, ad esse presentare con riferimento a determinate situazioni e circostanze ambientali, tra cui bene possono trovar posto anche stati d'animo e convincimenti diffusi, registrati per quel che sono, indipendentemente dalla loro fondatezza, da chi, per la sua particolare esperienza o per l'ufficio ricoperto, sia meglio in grado di averne diretta notizia. Ma siffatti obiettivi e mezzi di azione, nella loro reciproca connessione, postulano logicamente che le Commissioni d'inchiesta abbiano il potere di opporre il segreto alle risultanze di volta in volta acquisite nel corso della loro indagine, libere rimanendo di derogarvi, quando non lo vietino altri principi, ogni qual volta non possano derivarne conseguenze tali da impedire o intralciare gravemente l'assolvimento del loro compito: specie per venire incontro a richieste provenienti da autorit� giudiziarie, in uno spirito di doverosa collaborazione tra organi di poteri distinti e diversi, per fini di giustizia. In questo senso, il segreto delle Commissioni di inchiesta non corrisponde, a rigore, ai vari specifici tipi di segreto previsti dalle norme dei codici di diritto e procedura penale, ma pu� qualificarsi piuttosto, pi� genericamente, come un segreto funzionale, del quale spetta alle Commissioni medesime determinare la necessi,t� ed i limiti. E non importa che, nella specie, la Commissione antimafia, nel suo ricordato regolamento interno del 1973, abbia ritenuto di affermare un �segreto istruttorio � e poi un �segreto di ufficio�, ed a quest'ultimo abbia fatto riferimento nelle lettere di risposta ai tribunali ricorrenti, che stanno alle origini dei sollevati conflitti, adoperando anche circonlocuzioni e perifrasi non sempre necessarie, poich� quel che conta � la sostanza, e la sostanza � quella che emerge dalle considerazioni fin qui svolte. Comunque, che la Commissione antimafia potesse opporre un segreto alle richieste delle autorit� giudiziarie non viene contestato, se ben si guarda, dallo stesso tribunale di Torino, che, in un primo momento, nell'ordinanza 4 giugno 1973, dopo aver affermato in premessa che al Parlamento �unicamente spetta, nell'esercizio della discrezionalit� politica, di stabilire e in quali limiti dare pubblicit� agli atti � dell'inchiesta, invitava l'organo parlamentare al riesame � dell'opportunit� di aderire alla richiesta� precedentemente avanzata, con riferimento alla documentazione � non pubblicata, pur se di essa vi � cenno nel testo delle relazioni�. Mentre poi, nell'ordinanza-ricorso PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE del 18 aprile 1975, il tribunale medesimo sollevava il conflitto, a'Ssumendo che con la intervenuta pubblicazione, nel 1972, della �Relazione sui lavori svolti e sullo stato del fenomeno mafioso, al termine della V Legislatura�, sarebbe venuto meno il segreto per determinazione della stessa Commissione, per avere questa disposto di pubblic'are tra gli allegati alla Relazione predetta l'indice analitico cui si � sopra accennato al punto 5. Ma ~i tratta di un equivoco, nel quale d'altronde cade anche la dUesa del tribunale di Milano, insistendo, sia pure in linea subordinata, su analoga tesi. Altro �, infatti, pubblicare una serie di documenti, quali appunto quelli di cui agli allegati da 1 � a 61 uniti alla relazione presentata al termine della~ V Legislatura, a1tro pubblicare un indice di documenti tuttora detenuti dalla Commissione; alitra cosa � �esteriorizzare il contenuto di certi arbti, altro limitarsi a renderne nota 1'esistenza. E poich�, come a suo luogo non si � mancato di rilevare, il contrasto tra Commissione e tribunali ricorrenti verte esclusivamente intorno a documenti inclusi nell'indice, rimangono ferme le conclusioni fin qui raggiunte, nel senso che la Commissione d'inchiesta disponeva e dispone, in funzione delle proprie finalit�, del regime di pubblicit� o di segretezza dei documenti in questione. 8. -Tali conclusioni, peraltro, come dovrebbe ri~ultare implicito nel gi� detto, valgono limttatamente' alla documentazione relativa ad accertamenti svolti o direttamente disposti dalla Commissione, oltre che alle discussioni che hanno avuto luogo nel corso delle sue sedute e alle valutazioni ed apprezzamenti in quella sede espressi, ma non divulgati attraverso le relazioni pubblicate, e sono logicamenite estensibili ad esposti ed anonimi ad essa rivolti. Le considerazioni che precedono quanto ai particolari metodi di indagine cui una Commissione d'inchiesta pu� ricorrere, alla natura confidenziale o comunque riservata che possono avere le informazioni ad essa fornite o da essa raccolte, delle quali non sempre la Commis.sione � in grado di accertare con sufficiente sicurezza la piena conforn�st� al vero, giustificano, infatti, la eventuale segretezza dei risultati in tali forme acquisiti, e di questi soltanto, anche per non esporre quanti forniscono informazioni al rischio di conseguenze dannose. Ed � o�vvio che anche la sola prospettiva di consimili rischi costituirebbe una remora non indifferente per gli interessati, minacciando di compromettere il conseguimento, non soltanto delle finaUt� della singola inchiesta, ma altres�, in prospettiva, di ogni possibile inchiesta futura, vanificando in definitiva il potere che l'art. 82 Cost. conferisce alle Camere. 962 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 9. -Entro l'ambito test� precisato, il limite che dal segreto funzionale delle Commissioni d'inchiesta (cui esse soltanto hanno facolt� di derogare) pu� derivaTe all'.esel'cizio della funzione giurisdizionaJe, al diritto di difesa delle parti, essenzialmente connaturato al suo vario esplicarsi, non pu� essere giudicato illegittimo. A criteri analoghi si � ispirata la sentenza n. 13 del 1975, sopra citata, in tema di rapporti tra giurisdizione penale e potere politico; mentre, per quel che pi� pa:ct;icolarmente concerne il diritto di difesa garantito nell'ar,t. 24 Cost., la Corte nella sua giurisprudenza, costantemente affermandone il carattere di diritto fondamentale, ha pi� volte avuto occasione di rilevare come non sia da escludere che esso abbia ad incontrare determinati limiti, necessari a contemperarne la tutela con quella pure spettante ad altri interessi costituzionalmente rilevanti; purch� in ogni caso detti limiti �non siano di entit� tale da comprometterne seriamente l'esercizio� (sent. n. 175 del 1970), o peggio da ridurlo ad un nome vano. Il che non si verifica quando una Commissione d'inchiesta si attenga al criterio, nella specie adottato, come risulta dal resoconto della seduta del 16 novembre 1972, di indicare alle autorit� che ad essa richiedono documenti copel'ti dal suo segreto �le fonti delle notizie raccolte... in modo che le predette autorit� siano poste in grado di svolgere in materia propri autonomi accertamenti�. Pu� aggiungersi, con specifico riguardo alla presente controversia, che non soltanto l'ampiezza delle relazioni gi� pubblicate e l'abbondanza della documentazione allegata, ma la stessa formulazione dell'indice, che costituisce, come accennato, un vero e proprio sommario, sono suscettibili di offrire ai tribunali ricorrenti una traccia tutt'altro che esigua per procedere essi stessi, ove lo ritengano, agli incombenti istruttori del caso, nei modi e nelle forme previste dal codice di rito. 10. -D'altro canto, non tutti i documenti nella specie richiesti dai tribunali ricorrenti e rifiutati dalla Commissione si riferiscono ad atti da questa formati o direttamente disposti ai propri fini e secondo i propri metodi di lavoro. Sono, infatti, tra essi ricompresi anche atti precostituiti da altre autoriit� o da enti pubblici, nell'esplicazione dei loro compiti istituzionali; come pure documenti privati e scritti anonimi. Di questi ultimi, consistenti in un esposto rivolto alla Commissione da Michele Pantaleone nonch� in letter�e anonime aventi riguardo al medesimo, del pari indirizzate alla Commissione (doc. di cui al n. 846 dell'indice allegato alla relazione pubblicata nel 1972, nn. 2 e 3), si � gi� detto sopra, al punto 8 della motivazione, che debbono essere assimilati a quelli formati o disposti dalla Commissione, perch� nessuna j differenza sostanziale sussiste tra deposizioni o confidenze da questa ! I I i PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE raccolte ed esposti o lettere, anche se anonime, ad essa direttamente pervenuti. Non vi �, pertanto, obbligo di trasmetterli ai giudici richiedenti. Tra gli altri atti che la Commissione semplicemente detiene, una considerazione a parte meritano quelli indicati ai nn. 787 e 788 dell'indice pi� volte citato, e precisamente i verbali di trascrizione delle intercettazioni telefoniche, nonch� le trascrizioni dei relativi nastri magnetici, riferentisi all'apparecchio di Italo Jalongo, trasmessi dalla PrQcura della Repubblica presso il tribunale di Roma e dalla Questura di Roma. Questi documenti, inerendo ad un procedimento penale in corso di istruttoria, erano e sono gi� a disposizione del potere giudiziario, complessivamente considerato, entro l'ambito del quale non mancano gli strumenti suscettibili di consentirne ai giudici che vi abbiano .interesse l'acquisizione, n� gli strumenti per dirimere eventuali contrasti� tra i'una e l'altra autorit� giudiziaria (art. 51 cod. In'OC. 1PeD.). E non pu� ritenersi illegittimamente menomata la sfera di attribuzioni del potere giudiziario, per il fatto che la Commissione parlamentare, organo di un diverso potere, abbia rifiutato di consegnarli al tribunale di Milano, invitandolo per l'appunto a procurarseli presso l'altra autorit� giudiziaria investita del processo cui originariamente pertengono. Per tutto il resto, e sempre nell'ambito della specie di atti e docu menti di cui ora .si discorre, in ordine ai quali la Commissione non pu� invocare il proprio segreto funzionale (e non ha, in effetti, invocato), si itratta di accertare se e per quali tra essi i soggetti da cui origina riamente provengono fossero, alla stregua di specifiche norme di legge (della cui legittimit� costituzionale non sorge questione nei presenti conflitti) tenuti ad un segreto opponibile anche all'autorit� giudiziaria penale. Ma l'ipotesi non ricorre nella specie. Ed infatti: 1) il prospetto dei voti preferenziali delle elezioni regionali 1963 nella Provincia di Palermo, trasmesso da quella Prefettura (doc. di cui al n. 69 dell'indice, richiesto dal tribunale di Torino) non pu� considerarsi comunque segreto e la Commissione pel'tanto ha l'obbligo di trasmetterlo al tribunale predetto; 2) considerazioni analoghe e identiche 'concil.usioni viai1gono per gli atti della Commissione d'inchiesta del Consiglio della Regione Lazio sul caso Rimi ed i relativi resoconti stenografici (doc. di cui ai nn. 736 e 784 d�ll'indice, richiesti dal tribunale di Milano); 3) appartengono alla categoria di atti coperti da segreto d'uf ficio o professionale, non opponibile peraltro all'autorit� giudiziaria in sede penale: -le copie delle deliberazioni della Cassa di Risparmio � Vit torio Emanuele � di Palermo, relative ai rapporti tra la Cassa mede 964 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sima ed il Vassallo, e gli estratti conti delle varie operazioni (doc. di cui al n. 8, nn. 1 e 2, richiesti dal tribunale di Torino); -la �documentazione varia� della Questura di Palermo, relativa alla proposta di assegnazione a soggiorno obbligato di Francesco Vassallo (doc. di cui al n. 627, richiesto dal tribunale di Torino); -il fascicolo personale intestato al medesimo presso il Comando della Guardia di finanza di Palermo, riferentesi alle infrazioni valutarie accertate nei suoi confronti e comprendente altres� note informative, documentazione e corrispondenza varia (doc. di cui al n. 12, richiesto dal tribunale di Torino); -l'aLtro fascicolo personale, intestato ad ltalo Jalongo e trasmesso dalla Questura di Roma (doc. di cui al n. 790, richiesto dal tribunale di Milano). In ordine ai quali tutti va pertanto affermato l'obbligo della Commissione parlamentare di trasmetterli ai tribunali richiedenti, restando pur sempre esclusi, in conformit� dei princ�pi sopra affermati ai punti 7 e 8 della motivazione, eventuali atti inseriti nei documenti ora elencati, ma formati dietro speeifica richiesta della Commissione medesima e ad essa rivolti. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 30 ottobre 1975, n. 234 -Pres. Bonifacio - Rel. Og�ioni -PuT1Pi ed altri; Presidente Constiglio Miintstrii. (sost. avv. gen. dello Stato Giorgio Azzariti). Adozione -Famiglia -Adozione speciale dei figli legittimi � Effetti � Que-��� stione di legittimit� costituzionale � Non � fondata. (Cost. artt. 3, 29, 30, 31; legge 5 giugno 1967, n. 431). Non � fondata, in riferimento agli artt. 3, 29, 30 e 31 Cest., ia: questione di legittimit� costituzionale degli artt. 314/4, 314/8, 314/11 e 314/26 cod. civ., nei limiti in cui consentono che sia dichiarata l'adozione speciale dei figli legittimi, nonostante l'opposizione dei genitori, con l'effetto della cessazione di ogni rapporto tra l'adottato e la famiglia di origine, salvi i divieti matrimoniali e le norme penali fondate sui rapporti di parentela (1). (1) Sull'istituto dell'adozione speciale in funzione della tutela dell'interesse del minore abbandonato, cfr. Corte Cost. 3 dicembre 1969, n. 145, in questa Rassegna 1969, I, 1004; 6 luglio 1971, n. 158; ivi, 1971, I, 999; 20 marzo 1974, n. 76, ivi, I, 774. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 965 CORTE COSTITUZIONALE, 30 ottobre 1975, n. 235 -Pres. Bonifacio Rei. De Marco -Pirillo e Galanello (n. c.); Presidente Consiglio Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Carafa). Circolazione stradale -Patente di guida -Sospensione prefettizia -Questione di legittimit� costituzionale -Non � fondata. Non � fondata, in riferimento agli artt. 3, 16, 24, e 25 Cost., la �questione di legittimit� costituzionale dell'art. 91, secondo comma, del d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393 (codice della strada), in quanto detta norma, che conferisce al Prefetto il potere di sospendere la patente, non � in contrasto col principio della libert� di circolazione (1 ). (Omissis). -Si tratta del secondo comma dell'art. 91 del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 (codice della strada), che dispone: �La patente pu� essere sospesa dal prefetto alle persone diffidate ai sensi dell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 � e che, come si � riferiito in narrativa, viene denunziato a questa Corite perch� sarebbe in contrasto : a) con l'art. 3 della Costituzione, in quanto riserverebbe un trattamento diverso a persone che si trovano nella identica posizione di diffidati; b) con l'art. 16 della Costttuzione, in quanto la sospensione della patente, non essendo limitata nel tempo o sottoposta a periodici riscontri dei mottvi che l'hanno determinata, comporterebbe una limitazione della libert� di circolazione eccedente i limiti consentiti da tale precetto costituzionale; c) con l'art. 24, comma secondo, della Costituzione, in quanto non sarebbe assicurata alcuna difesa al diffidato; d) con l'art. 2.5, comma primo, della Costituzione, in quanto introdurrebbe una misura di prevenzione la cui applicazione sarebbe sottratta al giudice naturale. 2. -Prima di passare all'esame di tali censure deve premettersi che sono distinte e diverse le sfere di attribuzioni che il legislatore ha riitenuto conferire da un lato al prefetto, dall'altro all'autorit� giudiziaria. (1) Cfr. Corte Cost. 29 aprile 197'1, n. 87, in questa Rassegna, 1971, I, 543. 3 966 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 966 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La netta differenziazione tra queste due distinte sfere di attribuzioni ed il criterio fondamentale che serve ad ideilltificarle sono stati chiaramente enunciati nelle sentenze di questa Corte n. 6 del 1962 e n. 87 del 1971: la sfera di attribuzioni riservate al prefertt.o ha per oggetto l'attivit� tipicamente amministrativa riguardante il rilascio (ed eventuale annullamento o revoca) della patente ed il conseguente accertamento della sussistenza dei requisirti e delle condizioni all'uopo stabilirti dalla legge; la sfera di attribuzioni riservata all'autorit� giudiziaria ha per oggetto la cognizione dei reati preveduti dal codice della strada e la conseguente inflizione delle relative pene anche accessorie. 3. -Tanto premesso, si rileva: a) che la questione di legittimit� costituzionale in riferimento all'art. 3 della CosUtuzione (ordinanze del pretore di Oristano) deve essere dichiarata manifestamente infondata, perch� in tali sensi questa Corte ha gi� deciso con la citata sentenza n. 87 del 1971 e non � stato addotto alcun nuovo argomento che possa giustificare una diversa soluzione; b) che la questione di legittimit� in riferimento all'art. 16 della Costituzione (ordinanza del pretore di Asti) deve del pari essere dichiarata manifestamente infondata perch� in tale senso questa Corte ha gi� deciso con l'altra sentenza n. 6 del 1962, con la quale si � affermato e dimostrato che lungi dall'essere in contrasto con il richiamato precetto costituzionale, come si assume con l'ordinanza di rinvio, la norma denunciarta ne costituisce applicazione; c) che la questione di legittimit� in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, sollevata per la prima volta con le due ordinanze del pretore di Oristano, � infondata in quanto avverso il provvedimento di sospensione della patente, ovie ne ricorrano gli estremi, possono essere esperiti tutti i mezzi di gravame sia in via amministrativa sia in via giurisdizionale preveduti dalla legge avv1erso gli �atti amministrativi; d) che la questione di violazione dell'art. 25, comma primo, della Costi<tuzione, pure sollevata per la prima volta con le due ordinanze del pretore di Oristano, � del pari infondata, perch� la sospensione della patente preveduta dalla norma denunciaita non costituisce misura di prevenzione, bens� artto di autotutela consentito dalla potest� di revoca, che corrisponde a quella di emanazione di qualsiasi atto amministrativo, sia dovuto, sia discrezionale, sempre che concorrano gli estremi all'uopo richiesti dalla legge. -(Omissis). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 967 CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicembre 1975, n. 238 -Pres. Oggioni - Rel. Reale -Stoppa c. Cappello. Procedimento civile � Convalida di sfratto per cessazione del rapporto di lavoro � Inapplicabilit� del regime vincolistico delle locazioni � Ille� gittimit��costituzionale � Esclusione. � (Cost. artt. 2 e 3; cod. proc.' civ., artt. 659 e 665). Non � fondata, con riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione, la questione di legittimit� costituzionale degli articoli 659 e 665 del codice di procedura civile che disciplinano la convalida dello sfratto per cessazione del rapporto di lavoro senza applicazione del regime vincolistico delle locazioni (1). (Omissis). -3. -Le questioni non �sono fondate sotto alcun profilo. Va considerato, innanzi tutto, che l'art. 659 c.p.c., secondo l'opi nione comunemente seguita, pu� ricevere applicazione solo quando la cessazione del rapporto di prestazione d'opera non � pi� controversa. Pertanto non v'� ragione di dolersi della mancata distinzione tra le varie ipotesi di scioglimento del rappovto, e segnatamente tra quella di 1scadenza del termine prefissato e quella di lic:enziamento illegiJttimo, ipotizzate dal giudice a quo, dal momento che in entrambi i casi il I rilascio dell'immobile, osservandosi la speciale procedura di cui all'ar ticolo 659, pu� essere ordinato solo quando relativamente. allo sciogli mento non sussista pi� contestazione. Si ricava poi dai lavori preparatori e dal testo della norma impu gnata che il legislatore ha illlteso riferirsi a quelle situazioni in cui il godimento dell'immobile non trova la sua fonte in un distinto contratto di locazione ma in un contratto di lavoro; a quelle ipotesi, cio�, nelle quali la concessione del godimento di un immobile non � fine a se stessa ma riveste nell'economia del contratto, che appunto per questo � carat terizzato da una diversa funziohe economico-sociale, una rilevanza acces soria e non primaria, ricollegata alla prestazione d'opera. Al contrario, la disciplina vincolistica delle locazioni presuppone -come � noto -proprio l'esistenza di un tipico contratto di loca (1) Sulla costituzionalit� del procedimento di convalida di sfratto cfr. Corte Cost. 18 maggio 1972, n. 89, in questa Rassegna 1972, I, 747, e in particolare sull'art. 665 cod. proc. civ. cfr. Corte Cost. 27 giugno 1973, n. 94, ivi, 1973, I, 1051. 968 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione, e quindi di un contratto nel quale la concessione del godimento dell'immobile verso corrispettivo costituisce l'oggetto essenziale dellie pattuizioni delle parti. Le situazioni sono quindi diverse. E ci� � sufficiente, secondo i principi costantemente affermati da questa Corte, per escludere che l'applicazione dell'art. 659 c.p.c., razionalmente interpretato in riferimento alle singole fattispecie, la cui identificazione � riservata al giudice, comporti violazione dell'art. 3 della Costituzione. 4. -F~er quanto concerne in modo specifico l'art. 665 c,p.c. (che peraltro � stato impugnato non tanto separatamente quanto per i suoi riflessi sull'art,. 659) � agevole osservare che se, per quanto si � detto, l'esclusione della proroga legale e la correlativa previsione del potere di intimare lo sfratto e.la licenza per finita locazione sono giustificate nelle ipotesi previste dall'art. 659 c.p.c., non pu� poi ritenersi che il procedimento che dall'esercizio di quel potere trae origine determini, di per s�, rtra il prestatore d'opera, cui � applicabile l'articolo predetto ed i Utolari di un rapporto locatizio, destinatari della disciplina vincolistica, una disparit� di trattamento tale da violare l'art. 3 della Costituzione. E ci� rtanto pi� se si considera che questa Corte con reiterate pronuncie ha, sia pure sotto profili parzialmente diversi, riconosciuto che detto procedimento � adeguatamente giustificato dalla specialittl della materia e che le sue caratt�ristiche non ledono il diritto alla difesa, tutelata dall'art. 24 della Costituzione; ci� sul riflesso che le norme del procedimento ordinario non sono le sole che assicurino la tutela giurisdizionale e che quindi � da ritenere legittima la creazione di un sistema che abbia riguardo alle particolarit� del rapport,o da regolare ai fini della salvaguardia d'interessi ritenuti degni di protezione giuridica (sent. n. 89 del 1972; n. 94 del 1973 e n. 171 del 1974). 5. -Gli artt. 659 e 665 c.p.c. sono impugnati anche con riferimento all'art. 2 Cost., ma senza alcun collegamento immediato e diretto con altre norme della Costituzione. Anche rtale questione � pertanto infondata posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'art. 2 si limita a proclamare in via generale l'inderogabile valore di quei diritti che formano il patrimonio inalienabile della persona umana, mentre � nelle norme successive che essi sono poi presi singolarmente in considerazione e, come tali, garantiti e tutelati (sent. n. 33 del 1974 e n. 37 del 1969). -(Omissis). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZION'ALE 969 CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicembre 1975, n. 239 -Pres. Oggioni - Rel. Rossi -Presidente giunta provinciale di Bolzano (avv. Guarino) c. Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Stato Giorgio Azzariti). Regione � Provincie autonome del Trentino-Alto Adige � Questioni di costi� tuzionalit� di leggi statali proposte in via principale � Limiti di ammissibilit�. Trentino-Alto Adige � D.L. 2 febbraio 1948 n. 23 sul riacquisto della citta� dinanza italiana da parte degli alto atesini � Contrasto col principio di tutela ~elle minoranze linguistiche � Insussistenza. (Cost., artt. 2 e 6; I. cost. 10 novembre 1971, n. 1, art. 51; d.l. 2 febbraio 1948, n. 23). La Regione e le Provincie autonome del Trentino-Alto Adige possono dedurre direttamente in ricorso avverso leggi statali la violazione di norme costituzionali semp1�ech� si concretino in una lesione della sfera di competenza costituzionale loro garantita (1). Non � fondata, con riferimento al principio di tutela delle minoranze linguistiche, la questione di costituzionalit� del d.l. 2 febbraio 1948 n. 23 che subordina a te1�mini di decadenza l'istanza degli alto atesini diretta ad ottenere la revoca dell'opzione della. cittadinanza tedesca (art. 1) o il riacquisto della cittadinanza italiana per coloro che avessero acquistato quella germanica (art. 2), od escludono dal riacquisto (art. 5 in relazione all'art. 2) coloro che, tra l'altro, abbiano appartenuto alle SS o alla Gestapo, abbiano ricoperto cariche in altri organismi della Germania nazista o dimostrino fanatismo od odiosit�. antiitaliana o siano stati condannati come criminali di guerra o per collaborazionismo (2). (Omissis). -1. -Le questioni proposte dalla Provincia di Bolzano possono essere cos� riassunte: a) se contrasti o meno con l'art. 22 della Costituzione, che vieta la privazione della cittadinanza per motivi politici, l'articolo unico del r.d.l. 10 gennaio 1926, n. 16, secondo cui � revocabile per indegnit� politica la concessione della cittadinanza italiana in seguito ad opzione effettuata a norma dei trattati di pace conseguenti la prima guerra mondiale; b) se contrastino o meno con il principio di tutela delle minoranze linguistiche (nel significato risul (1-2) Sulla inammissibilit� della impugnativa diretta da parte delle Regioni e Provincie autonome delle leggi statali che non violino la sfera di competenza costituzionale loro garantita cfr. Corte Cost. 18 maggio 1960, n. 32, in Giurispr. cost. 1960, 537, Corte Cost. 11 marzo 1961, n. 1, ivi 1961, 3 e da ultimo Corte Cost. 16 ap['ile 1975, n. 86, ivi 1975, 799. 970 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tante dall'art. 51 della legge costituzionale n. 1 del 1971, in relazione agli artt. 2, 26 e 50 della stessa legge, all'art. 2 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige e agli artt. 2 e 6 della Costituzione) gli artt. 1 e seguenti (segnatamente 2, 3 e 5) del decreto legislativo 2 febbraio 1948, n. 23, che subordinano a termini di decadenza l'istanza degli alto atesini diretta ad ottenere la revoca dell'opzione della cittadinanza tedesca (art. 1) o il riacquisto della cittadinanza italiana per coloro che avessero acquistata quella germanica (art. 2), ed escludono dal riacquisto (art. 5 in relazione all'a:rit. 2) coloro che, tra l'altro, abbiano appartenuto alle SS o alla Gestapo, abbiano ricoperto cariche in altri organismi della Germania nazista o dimostrato fanatismo od odiosit� antiitaliana o siano stati condannati come criminali di guerra o per collaborazionismo, per il dubbio che le norme impugnate, derogando al regime generale stabilito dalla legge sulla cittadinanza del 1912, comprimano il gruppo etnico di lingua tedesca. L'Avvocatura dello Stato solleva eccezioni d'inammissibilit� osservando che dovrebbe trovare applicazione il principio di continuit� o, alternativamente, ritenersi che il principio di tutela delle minoranze linguistiche operi immediatamente in tutti i rapporti giudirici, con caducazione del disposto normativo con esso confliggen:te. Le eccezioni sono infondate. Risulta, infatti, che nella specie la ricorrente non ha denunciato invasione da parte di leggi statali anteriori di competenze legislative rivendicate oggi come proprie sulla base della legge costituzionale n. 1 del 1971 (sentenza n. 86 del 1975). N� il principio giuridico dedotto dall'art. 51 di detta legge, pu� dar luogo, attesa la sua formulazione, all'abrogazione delle norme impugnate, le quali quindi, nel caso in esame, sono suscettibili di giudizio di legittimit� costituzionale. 2. -La prima questione, tuttavia, � per altri motivi inammissibile. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, le Regioni o le Provincie autonome possono dedurre in ricorso violazioni di norme costituzionali sempvech� si concretino in una lesione della sfera di competenza costituzionale loro garantita. L'impugnata norma del 19;.!6 opera in un ambito che trascende gli interessi della popolazione alto atesina di lingua tedesca, riferendosi agli allogeni dei territori gi� facenti parte del Regno austro-ungarico che avessero ottenuto la cittadinanza italiana in seguito all'opzione prevista dai trattati di pace conseguenti alla prima guerra mondiale (cfr. articoli 71 e seguenti legge 26 settembre 1920, n. 1321; art. 7 legge 19 dicembre 1920, n. 1778; art. 47 leg!?Je 21 febbraio 1923, n. 281). Il denunciato contrasto con l'art. 22 della Costituzione non pu� quindi essere oggi prospettato come censura autonoma dalla Provincia di Bolzano, e potrebbe venir PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE legittimamente sollevato, in via incidentale, da parte di un giudice che fosse chiamato ad applicare il r.d.l. 10 gennaio 1926, n. 16. 3. -N� appare fondata la seconda questione. L'impugnato d.l. 2 febbraio 1948, n. 23, emanato a seguito di consultazioni diplomatiche� con I'Austria, ed apprezzato dalle autorit� austriache come contenente � norme eque e liberali � nei confronti degli optanti naturalizzati, ha preso atto della situazione giuridica e di fatto conseguente1 alla legge 21 agosto 1939, n. 1241, ed ai successivi accordi i�talo4edeschi, consentendo a coloro che avessero a suo tempo volontariamenite rinunciato alla cittadinanza italiana ed acquistato quella germanica, di riacquistare la cittadinanza italiana, malgrado le scelte precedenti. Il legislatore del 1948 ha tuttavia stabilito che le dichiarazioni dirette al riacquisto della cittadinanza italiana, dovessero essere presentate entro termini di decadenza, e che le categorie di persone, sopra sinteticamente descritte, indicate nell'art. 5 della normativa in esame, foS'sero escluse dal riacquisto. � principalmente contro tali disposizioni che sono dirette le de nunce della ricorrente, assumendosi che il sistema normativo applica bile al riacquisto della cittadinanza italiana da parte degli alto atesini derogherebbe ingiustificatamente alla disciplina generale stabilita dalla legge 13 giugno 1912, n. 555, sulla cittadinanza, mediante disposizioni speciali che pregiudicano il gruppo minoritario di lingua tedesca. Per quanto concerne il regime di coloro che, avtendo soltanito optato per la cittadinanza germanica, non l'abbiano tuttavia acquistata, l'impugnato d.l. n. 23 del 1948 consente che essi conservino la cittadirianza italiana sol che dichiarino di revocare l'opzione nei termini di decadenza stabiliti dall'art. 3. Questo ne determina variamente la durata, da un minimo di 90 giorni ad un massimo di un anno con possibilit� di remissione in termini, in maniera adeguata alle varie ipotesi considerate e non diversa dalla predisposizione di altri termini di decadenza previsti dall'ordinamento giuridico italiano. L'art. 5 della normativa denunciata risulta disposizione specifica e limitatrice dei poteri governativi rispetto all'art. 9 della legge generale del 1912, secondo cui il Governo pu� rendere inefficace il riacquisto della cittadinanza �per gravi motivi e su conforme parere del Consiglio di Stato�. Nel caso degli alto atesini i motivi sono assai pi� circoscritti: occorre che le persone indicate nell'art. 2 del d.l. del 1948 abbiano ricoperto importanti incarichi nella SOD, nella ADEURST, nella ADO, abbiano fatto parte della Gestapo, siano stati ufficiali o sottufficiali delle SS; siano stati condannati come criminali di guerra o per collaborazionismo, si siano resi colpevoli di atti di crudelt� o 972 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO �di grave persecuzione in danno di cittadini italiani; abbiano dimostrato faziosit� nazista, fanatismo o odiosit� antiitaliana nella !Ill'01pagan.da per le opzioni tra il 23 giugno 1939 e il 5 maggio 1945 (art. 5 citato d.l. del 1948). La previsione di ipotesi specifiche in raffronto all'ampio tenore della legge generale sulla cittadinanza, dimostra che la normativa impugnata non lede il principio di tutela del gruppo etnico minoritario. Le norme procedimentali in esame assicurano infatti ogni garanzia gi� nella fase amministrativa, prevedendo che il parere in ordine alla esclusione dal riacquisto sia emesso, dopo apposita istruttoria in contraddittorio con l'interessato, da una commissione presieduta da un magistrato e composta, su base paritetica, da membri facenti parte dei due gruppi linguistici, nel rispetto del principio costituzionale invocato. Ferma restando1 la distinzione tra revoca della concessione della cittadinanza ed esclusione dal riacquisto di chi, acquistando una citta dinanza straniera, abbia volontariamente rinunciato a quella italiana, pu� ancora aggiungersi che i casi di esclusione previsti per gli alto atesini rispondono in generale agli stessi criteri che legittimano la perdita della cittadinanza secondo la legge italiana del 1912 ed i testi normativi corrispondenti di molti paesi europei. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicembre 1975, n. 240 -Pres. Oggioni - Rel. Trimarchi -Presidente giunta provinciale di Bolzano (avv. Guarino) c. Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Stato Giorgio Azzadti). Trentino-Alto Adige � D.P.R. 1 febbraio 1974 n. 50 sull'esercizio del diritto di voto per l'elezione del consiglio regionale e dei consigli comunali della provincia di Bolzano -Illegittimit� costituzionale � Esclusione. (Stat. spec. 31 agosto 1972, n. 670, artt. 2, 4, 25, 56 e 63; d.P.R. 1� febbraio 1973, n. 30, art. 9, comma terzo). Non � fondata, con riferimento agli artt. 2, 4, 25, 56 e 63 dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, la questione di legittimitd costituzionale dell'art. 9, comma terzo, del d.P.R. 1� febbraio 1973 n. 50 limitatamente agli incisi � ... qualora abbiano esercitato la facoltd prevista dall'art. 11, secondo comma, del citato testo unico n. 223, chiedendo l'iscrizione nelle liste elettorali per un comune della Regione Trentino-Alto Adige � e � ... semprech� abbiano esercitato la predetta facolt� �. f I f ! l PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (Omissis). -1. -Con il ricorso introduttivo del presente giudizio la Provincia autonoma di Bolzano chiede che, in riferimento agli articoli 2_, 3, 6 e 48 della Costituzione, agli artt. 2, 4, 25, 56 e 63, dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige (t.u. 31 agosto 1972, n. 670) ed al principio di tutela delle minoranze linguistiche, sia dichiarata l'illegittimit� costituzionale dell'art. 9, comma terzo, del d.P.R. 1� febbraio 1973, n. 50 (esercizio del diritto di voto per le elezioni del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige, nonch� per quelle dei Consigli comunali della Provincia di Bolzano, in attuazione della legge costituzionale 10 novembre 1971, n. 1) limitatamente agli incisi � ... qualora abbiano esercitato la facolt� prevista dall'art. 11, secondo comma, del dtato testo unico n. 223, chiedendo l'iscrizione nelle liste elettorali per un comune della Regione Trentino-Alto Adige... � e � ... semp,rech� abbiano esercitato la predetta facoH� �. 2. -Assume la Provincia ricorrente che �il cittadino cancellato dal registro della popolazione stabile per emigrazione definitiva all'estero, che rientri in Italia dopo che siano scaduti i primi sei anni di emigrazione, anche se non abbia fatto la richiesta di reiscrizione di cui al comma secondo dell'art. 11, t.u. 20 marzo 1967, n. 223, � in grado di riacquistare immediatamente, al suo rientro in Italia, il diritto elettorale attivo, per il solo fatto di fissare la residenza in uno dei comuni della Repubblica�, e che invece il cittadino, il quale sia emigrato all'estero dopo avere gi� maturato un quadriennio di residenza in uno dei comuni del territorio regionale del Trentino-Alto Adige o dopo avervi gi� trascorso un periodo di tempo inferiore, e rientri dall'estero direttamente in tale territorio, riacquista il diritto elettorale solo subordinatamente all'esercizio della facolt� di cui al citato art. 11, comma secondo, del testo unico n. 223 del 1967 e viene privato del �beneficio della maturazione gi� avvenuta del periodo quadriennale di residenza nel territorio della Regione o della utilizzazione del minor periodo che vi abbia trascorso, ed ancor pi� dello stesso diritto elettorale fino a quando non siano trascorsi quattro nuovi anni. La norma denunciata, pertanto, violerebbe in modo specifico gli artt. 25' e 63 del d.P.R. n. 670 del 1972, perch� �il diritto di esercitare l'elettorato attivo dopo che si sia risieduto per quattro anni nel territorio regionale ha carattere assoluto e non pu� essere subordinato, dalla legge o dalla norma di attuazione, ad alcuna ulteriore condizione �' e perch� l'art. 9, invece, come si � detto, subordina tale diritto costituzionale assoluto al 1empestivo esercizio della facolt� di cui all'ar,t. 11 del d.P.R. n. 223 del 1967. Si avrebbe inoltre la diretta violazione dell'art. 2 dello Sta1uto speciale che riconosce nella Regione �parit� di diritti ai cittadini�, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in relazione agli artt. 3 e 48 della Costituzione, e agli artt. 25 e 63 dello Statuto. Mentr,e il cittadino che abbia acquisito il diritto all'elettorato nella Regione e che quivi ritorni direttamente dopo l'emigrazione all'estero, viene costretto ad esercitare tempestivamente la ripetuta facolt� di cui al citato art. 11, comma secondo, del t.u. n. 223 sotto pena di perdere diversamente il diritto elettorale per un quadriennio, e se non esercita quella facolt� viene privato in assoluto del diritto elettoraile per un ipeviodo quadriennale (poi1ch� non pu� ottenere l'iscrizione nella !Lista ,elettor:a~e n� in un comune deillla R,egi001e, n� in un qualsiasi altro comune della Repubblica); il cittadino residente in altro comune della Repubblica e che nel rimanente rterritorio dello Stato si stabilisca al ritorno dall'emigrazione, � in grado di esercitare il diritto all'elettorato non appena rientrato in Italia. La Provincia ricorrente tende, cos�, attraverso la richiesta di declaratoria dell'illegittimit� costituzionale dei detti incisi dell'art. 9, comma terzo, sopra indicati, a che sia affermato che il cittadino italiano, il quale abbia gi� maturato il quadriennio di residenza nel territorio della Regione Trentino-Alto Adige, sia emigrarto all'estero e dopo sei anni faccia direttamente rirtorno nel territorio della Regione, sia in grado di ottenere la immediata iscrizione nelle liste elettorali, in conformit� di quanto dispone l'art. 25 dello Statuto speciale (1t.u. n. 670 del 1972), o possa riunire al periodo di residenza in passato trascorso il nuovo periodo, al fine di completamento del quadriennio. 3. -La situazione del cirttadino che emigri definitivamente o meglio stabilmente, ai fini che interessano la tenuta delle liste e degli schedari elettorali e per le conseguenti posizioni giuridiche in ordine al diritto elettorale attivo, � considerata nell'art. 11 del t.u. n. 223 del 1967. A norma del primo comma, il cittadino (cancellato dal registro di popolazione stabile, e cio� dall'anagrafe della popolazione residente nel comune) resta iscritto nelle liste elettorali del comune stesso per sei anni a decorrere dalla data della eliminazione da1Ha predetta anagrafe della popolazione residente, semprech� conservi i requisiti per essere elettore, A norma del secondo comma, lo stesso cittadino pu� durante il sessennio chiedere la conservazione dell'iscrizione nelle dette liste e se vi procede, acquista il diritto a mantenere l'iscrizione in tali liste senza alcun limite di tempo. Se non avanza la richiesta, allo scadere del sessennio � cancellato dalle liste; in tal caso, per�, pu� chiedere la reiscrizione semprech� sia in possesso dei prescritti requisiti. Ed infine se (non � stato mai iscritto nelle liste elettorali o) dalle liste � stato cancellato, pu� chiedere l'iscrizione nelle liste elettorali del co PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE mune di nascita o del comune di nascita dei propri ascendenti o (se donna straniera che abbia acquistato la cittadinanza italiana a seguito di matrimonio contratto con il cittadino italiano) del comune nelle cui liste elettorali il madto si trova o del comune di nascita dello stesso. Qualora il cittadino, emigrato stabilmente all'estero, rientri definitivamente dall'estero e si stabilisca in un comune non compreso nel territorio della Regione Trentino-Alto Adige, pu� esercitare sin da quel momento il diritto elettorale attivo se iscritto nelle liste elettorali di quel comune o potr� esercitarlo a far tempo da quando, a seguito della iscrizione nel registro ~i popolazione stabile, sar� d'ufficio iscritto nelle liste elettorali del ripetuto comune. Parzialmenrte diversa � la disciplina che si riferisce al cittadino che, prima dell'espatrio e sino a quel momento, abbia avuto la residenza in un comune del �territorio della Regione Trentino-Alto Adige per un periodo ininterrotto di almeno quattro anni o per un periodo minore. Anche nei suoi confronti, finch� risiede all'estero, sono applicabili le norme sopra indicate relative al mantenimento dell'iscrizione nelle liste elettorali per un sessennio, e alla richiesta di conservazione dell'iscrizione, o di reiscrizione; e per lui, inoltre, � prevista la possibiUt� (ex art. 9, comma terzo, del d.P.R. n. 50 del 1967) di chiedere l'iscrizione nelle liste elettorali per un comune della Regione TrentinoAlto Adige. Rientrato definitivamente dall'estero nel territorio della Regione, tale cittadino nella prima delle due ipotesi sopra dette � considerato residente nella Regi�ne da almeno quattro anni qualora abbia esercitato la facolt� prevista dall'art. 11, secondo comma, del t.u. n. 223 chiedendo l'iscrizione nelle liste elettorali per un comune della Regione, e dal momento del rientro potr� esercitare il diritto elettorale attivo nella Regione. Se quella facolt� non abbia esercitato e non sia comunque iscritto nelle liste elettorali del Comune ove ha fissato la residenza, ottenuta l'iscrizione nel registro di popolazione stabile occorrer� il decorso di un nuovo periodo quadriennale ininterrotto di residenza nel comune perch� egli possa ottenere l'iscrizione nelle liste elettorali. Quando il cittadino sia emigrato all'estero dalla Regione nel corso del quadriennio e sia quindi iscritto nelle liste elettorali aggiunte di altro comune della Repubblica, permane iscrttto in quest'ultimo co mune. Se, per altro, il cittadino rimpatria e si stabilisce nella Regione, dopo aver chiesto di essere iscritto nelle liste elettorali di un comune di essa, ai fini del compimento del quadriennio di residenza nella Regione, gli viene riconosciuto anche il periodo di residenza� ivi tra scorso prima del trasferimento all'estero. Se non ha avanzato la detta iichiesta, ai detti fini il periodo di tempo ora indicato non gli giova. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 4. -� titolare del diritto elettorale attivo ogni cittadino che abbia raggiunto la maggiore e't�, e non si trovi in alcuna delle condizioni previste dagli artt. 2 e 3 del t.u. n. 223 del 1967. Per l'esercizio .del diritto, inoltre, l'elettore deve risultare iscritto nelle liste elettorali, in quanto l'iscrizione � una condizione indispen sabile salvo che, in mancanza, l'interessato presenti una sentenza che lo dichiari elettore, a norma dell'art. 47 del t.u. 30 marzo 1957, n. 361, e dell'art. 39 del t.u. 16 maggio 1960, n. 570, e ai sensi delle corri spondenti norme delle leggi elettorali regionali. Per il cittadino residente all'estero sono dettate le norme sopra indicate, per la tenuta delle liste elettorali e per l'iscrizione nelle stesse. Tra tali norme sono quelle contenute nell'avt. 11, primo e secondo comma, del t.u. n. 223 del 1967. E per esse non dovrebbe dubitarsi (in contr.asto con quanto assume, invece, la Provincia ricorrente con le consideraz~oni svolte in memoria) della loro conformit� a Costituzione (art. 48) per ci� che prevedere l'onere di chiedere la conservazione dell'iscrizione nelle liste ovvero la reiscrizione non integra una limitazione del diritto: il comportamento necessitato, a parte il fatto �che, se posto in essere, � dimostrativo o indica~ivo di una persistente volont� o persuasione del cittadino (residente stabilmente all'estero) di essere legato alla madre patria, non costituisce in s� un rilevante sacrificio della sfera di libert� e di autonomia del soggetto. Per i cittadini che rimpatrino definitivamente dall'estero, non vi � identit� di trattamento, circa l'iscrizione nelle liste elettorali e la concreta possibilit� di esercitare il diritto elettorale attivo: c'�, infatti, il cittadino che, emigrato all'estero dopo aver compiuto il quadriennio ininterrotto di residenza nella Regione o nel corso di detto quadrien nio, all'atto del rimpatrio si stabilisca nella Regione, ed il cittadino che non trovandosi in quelle condizioni all'atto dell'espatrio, rimpatri del pari e si stabilisca in un comune non compreso nel territorio della Regione. Ma la normativa che prevede e comporta tale disparit� di t;ratta mento, ed in particolave quella oggetto di denuncia, ha una sua ade guata e razionale giustificazione. Giova, anzitutto, tener presente che l'art. 25, ultimo comma, del t.u. del 1972 (nonch� l'art. 63 che all'art. 25 rinvia) detta una norma in materia di esercizio del diritto elettorale attivo, nel territorio della Regione Trentino-Alto Adige, nelle elezioni regionali e comunali (della Provincia di Bolzano), secondo cui �per l'esercizio del diritto elettorale attivo � richiesto il requisito della residenza nel territorio regionale per un periodo ininterrotto di quattro anni�� La norma, dettata all'evidente scopo di � impedire che, mediante affrettate ed artificiose iscrizioni anagrafiche dell'ultima ora, possano PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 977 essere diluite le minoranze di lingua tedesca e ladina� (come esattamente rileva l'Avvocatura generale dello Stato), non incide sulla �itolarit� del diritto (per cui -si ripete -sono richiesti i requisiti positivi e negativi di cui agli artt. 1, 2 e 3 del t.u. n. 223, in coerenza con il disposto dell'art. 48 della Costituzione), ma solo sull'esercizio. Essa � ripresa e svolta dal d.P.R. n. 50 del 1973, secondo cui sono 'elettori del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige e dei Consigli comunali della Provincia di Bolzano i cittadini che risiedono, alla data di pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi elettorali, ininterrottamente, nel territorio della Regione da almeno quattro anni (artt. 1, comma primo, e 5, comma primo). E detta norma trova ,esatto riscontro nell'art. 5 della legge regionale 23 luglio 1973, n. 9, che ha sostituito l'art. 8 della legge regionale 20 agosto 1952, n. 24, e successive modificazioni. Il periodo di tempo a cui si riferisce, � di quattro anni, ininterrotto e cio� continuo, e da accertarsi,. iniziando, a ritroso, dalla data di pubblicazione del mani:llesto di convocazione dei comizi elettorali. Il che significa che il diritto elettorale attivo possa essere esercitato nel terr~torio della Regione non da chi vi abbia avuto in qualsiasi tempo la residenza per un quadriennio continuo ma solo da chi vi abbia risieduto in modo continuativo almeno nel quadriennio anteriore alla detta data. Essendo codesta la normativa per l'esercizio nella Regione del diritto elettorale attivo l� ove, nell'art. 9, comma terzo, del d.P.R. n. 50 del 1973, � detto che si considerano residenti nella Regione da almeno quattro anni i cittadini che alla darta dell'emigrazione all'estero avevano risieduto ininterrottamente nel territorio della Regione per almeno quattro anni e che rimpatrino definitivamente dall'estero e si stabiliscano nel territorio della Regione; o � detto che colOro che all'atto del rimpatrio risultino ancora essere iscritti nelle liste elettorali aggiunte, vi permarranno sino a quando non matureranno il prescritto periodo residenziale nel territorio regionale, tenuto conto del periodo gi� compiuto nello stesso territorio prima del trasferirne~ all'estero, sono dettate, per i soggetti trovantisi nelle indicate condizioni, disposizioni di favore. La residenza per un periodo almeno quadriennale �o inferiore al quadriennio nel territorio regionale � ipotizzata come in realt� man. cante, e la legge ci� nonostante ne presume la esistenza, solo che l'interessato, prima di trasferirsi in un comune della Regione, abbia esercitato la pi� volte detta facolt� e almeno abbia chiesto l'iscrizione nelle liste elettorali per un comune della Regione. Ove non fossero state dettate le indicate disposizioni di favore, il ci<ttadino, ancorch� iscritto nelle liste elettorali di un comune del 978 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Trentino-Alto Adige, al suo rientro nella Regione non avrebbe potuto esercitare il diritto elettorale attivo perch� privo del requisito della durata quadriennale e ininterrotta �della residenza e non lo avrebbe potuto esercitare fino al verificarsi di codesto requisito. 5. -Tutto ci� premesso, va preliminarmente osservato che sono inammissibili e non possono quindi essere prese in considerazione le censure che hanno diretto ed esclusivo riferimento a disposizioni costituzionali e precisamente agli artt. 2, 3 e 48 della Costituzione, perch� la dedotta violazione non si presenta come lesione della� sfera di competenza della Provincia; e che a diversa valutazione (in conformit� a quanto detto dalla Corte in precedenti occasioni: sentenza n. 1 del 1961 e n. 192 del 1970) si presta il riferimento all'art. 6 della Costituzione, perch� tale disposizione pu� dirsi invocata come principio generale che sta a fondamento dell'art. 2 dello Statuto speciale, illuminandone il contenuto, di modo che � e rimane assunta a parametro la disposizione statutaria. � Risulta ammissibile ma non � fondata la questione come sopra sollevata in riferimento agli al'tt. 2 (anche in relazione all'art. 6 della Costituzione), 4, 25, 56 e 63 dello Statuto speciale nonch� al principio di tutela delle minoranze linguistiche. Ed infaitti : a) le norme denunciate non contrastano con gli artt. 25 e 63 del d.P.R. n. 670 del 1972 perch� esse non limitano in alcun modo, nei confronti dei cittadini che si trovino nelle condizioni di cui ai primi .tre commi dell'art. 9 del d.P.R. n. 50 del 1973, il diritto elettorale attivo, e rispettano anzi il disposto statutario secondo cui �per. l'esercizio -del diritto elettorale attivo � richiesto il requisito della residenza nel territorio regionale per un periodo ininterrotto di quattro anni�; b) tenuto conto del fatto che per i cittadini residenti nel territorio della Regione l'esercizfo del diritto elettorale attivo � subordinato alla verificazione, alla data di pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi elettorali, dell'anzidetta condizione, appare razionale e giustificato che per questi cittadini, all'atto in cui essi rientrano definitivamente dall'estero nel territorio della Regione, sia previsto un trattamento giuridico non del tutto corrispondente a quello previsto� per tutti gli altri cittadini all'atto in cui essi rientrano definitivamente dall'estero nel restante territorio nazionale; e) la normativa de qua, ove la si consideri in relazione all'eventualit� che il cittadino, pur avendo i requisiti di cui agli artt. 1, 2 e 3 del d.P.R. n. 223 del 1967, possa, per un certo periodo e addirittura sino ad un quadriennio, non essere legittimato ad esercitare il diritto PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 979 elettorale aittivo, non appare costituzionalmente illegittima, poich� quella eventualit� � strettamente connessa al particolare requisito voluto dall'art. 25, ultimo comma, dello Statuto speciale; d) non pu� vedersi nella normativa denunciata alcuna violazione deil'art. 2 dello Statuto speciale e del principio di tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina perch� nella Regione � con quella normativa riconosciuta parit� di diritti ai cittadini qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono; e correlativamente non ricorre neppure la pretesa violazione dell'art. 6 della Costituzione; e) infine, non risulta esistente e non � neppure specificato l'asserito contrasto delle norme denunciate con l'art. 4 dello Statuto speciale. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 17 dicembre 1975, n. 241 -Pres. Oggioni - Rel. Astuti -Sindacato Ausiliari Totocalcio c. CONI (avv. Prosperetti); Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. g.en. Stato Giorgio Azzariti). Lavoro . Diritto di svolgere attivit� sindacale all'interno dei luoghi di lavo� ro . Inapplicabilit� ai lavoratori autonomi � Illegittimit� costituzio� nate � Esclusione. (Cost. artt. l, 3, 39; I. 20 maggio 1970, n. 300, artt. 14, 20, 27 e 28). Non � fondata, con riferimento agli articoli 1, 3 e 39 della Costituzione, la questione di legittimit� costituzionale degli articoli 14, 20, 27 e 28 dello Statuto dei lavoratori (l. 20 maggio 1970 n. 300) i quali garantiscono ai soli prestatori di lavoro subordinato l'attivit� sindacale aziendale mediante riunioni di assemblee nelle unit� produttive e la disponibilit� di locali per le rappresentanze sindacali aziendali e le relative riunioni (1 ). (Omissis). -1. -Il pretore di Genova solleva, in riferimento agli artt. 1, 3 e 39, primo comma, della Costituzione, la questione cli legittimita costituzionale degli artt. 14, 20, 27 e 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300. Secondo l'ordinanza di rimessione, le norme denunciate dello � Statuto dei lavoratori �, in qUla[lto rapplicabilii ai sollii. rapporti di lavoro subordinato, con esclusione dei rapporti di lavoro autonomo, confliggerebbero con il principio sancito dall'art. 39, primo comma, della Costituzione, che assicura la libert� di organizzazione sindacale a tutti i lavoratori, � senza distinzione in ordine alla natura del (1) Sui criteri di distinzione fra lavoro autonomo e lavoro subordi-~ nato cfr. Cass. 2 febbraio 1973 n. 324, in questa Rassegna 1973, I1 369 con nota di L. SICONOLFI. R4SSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lavoro svolto, sia esso prestato alle dirette dipendenze di altra persona, o pi� o meno autonomamente�. Ulteriore profilo di incostituzionalit� dovrebbe inoltre ravvisarsi rispetto agli artt. 1 e 3 della Costituzione, di cui il principio enunciato nell'art. 39 � � diretta applicazione e specificazione �, e �alla luce dei quali la itutela della libert� e della dignit� sociale compete senza differenza a tutti coloro che traggano la propria fonte di sostentamento dall'esplicazione di attivit� lavorativa, subordinata o autonoma che sia �. 2. -La questione non � fondata. Altro � la libert� di organizzazione sindacale, che l'art. 39 della Costituzione riconosce e garantisce a tutti i lavoratori, siano essi subordinati o autonomi, ed altro � il diritto di svolgere attivit� sindacale all'interno dei luoghi di lavoro, che l'art. 14 dello �Statuto dei lavoratori� assicura, nei confronti dei datori di lavoro, in necessaria correlazione con l'esistenza di rapporti di lavoro o di impiego subordinato. La disposizione dell'art. 14, come quelle degli artt. 20 e 27, concernenti l'attivit� sindacale aziendale mediante riunione di assemblee nelle unit� produttive, e la disponibilit� di locali per le rappresentanze sindacali aziendali e le relative riunioni, costituiscono una speciale forma di tutela del lavoro subordinato, diretta ad assicurare l'esercizio dell'attivit� sindacale nell'ambito dell'azienda, all'interno dei luoghi di lavoro e, sotto certe condizioni, nelle singole unit� produttive. Questa particolare tutela � stata dettata con riguardo alla posizione dei lavoratori subordinati nell'orga. nizzazione dell'impresa, in funzione del fatto che essi prestano con continuit� la loro opera nell'interno di una comunit� organizzata di lavoro, caratterizzata da vincoli di dipendenza e subordinazione. � evidente che i motivi a cui si ispira questa speciale disciplina normativa non sussistono nei confronti dei lavoratori autonomi, i quali non prestano la loro opera al servizio esclusivo d'un datore di lavoro, n� sono permanentemente inseriti in una organizzazione aziendale, con vincoli di subordinazione. La essenziale differenza che intercorre tra lavoro subordinato e lavoro autonomo giustifica pienamente non solo la diversa regolamentazione giuridica di questi rapporti, ma anche il diiverso regime di tutela delle due categorie di lavoratori per quanto attiene all'esercizio delle attivit� sindacali. Escludendo l'applicabilit� ai lavoratori autonomi delle disposizioni degli artt. 14, 20 e 27 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e conseguent�mente anche dei mezz~ di repressione della condotta antisindacale del datore di lavoro previsti dall'art. 28, il legislatore non ha violato n� gli artt. 1 e 39 della Costituzione, n� l'art. 3, dato che il principio di eguaglianza postula parit� di trattamento solo quando eguali siano le condizioni soggettive ed oggettive a cui si riferisce una determinata disciplina giuridica. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 3. -� opportuno precisare che la prospettata disparit� di trattamento non sussiste nemmeno nei casi in cui, come nella fattispecie che ha dato luogo al presente giudizio, trattisi di attivit� lavorativa avente bens� carattere autonomo, ma prestata in favore di un solo soggetto, e svolta in locali messi a disposizione dal medesimo. Ci� che ha rilievo ai fini della speciale tutela dell'esercizio delle attivit� sindacali nei luoghi di larvoro � infatti precisamente il vincolo di subordinazione conseguente al rapporto di dipendenza, che si concreta con l'effettiva inserzione permanente dei lavoratori nella organizzazione aziendale. Ben diversa � invece la posizione di chi, come i cosiddetti � ausiliari ~ del CONI-Totocalcio, venga invitato di volta in volita a prestare opera quale scrutinatore delle schedine dei GOncorsi-pronostici, senza obbligo di presentarsi al lavoro n� sanzioni per l'ingiustificata assenza, e quindi anche senza la possibilit� per l'ente di contare stabilmente sulle sue prestazioni. Di fronte a tale posizione dei lavoratori, per cui lo stesso giudice a quo ha riitenuto di dover escludere nel rapporto il carattere della subordinazione, � chiaro che nessuna rilevanza pu� attribuirsi al fatto che l'attivit� saltuaria e discontinua venga prestata presso un solo soggetto, e nei locali� da questo predisposti. La natura del rapporito, data l'effettiva autonomia dei lavoratori, non richiede ovviamente alcuna particolare tutela quanto allo esercizio dell'attivit� sindacale che essi ben possono svolgere liberamente, senza che occorrano speciali forme di garanzia per la sua esplicazione nell'interno dei luoghi di lavoro, o nell'ambito di una organizzazione aziendale alla quale sono estranei, non essendo legati da alcun vincolo di dipendenza. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 22 dicembre 1975, n. 251 -Pres. Oggiorni - Rel. De Stefano (Camera di consiglio). Costituzione della. Repubblica -Referendum abrogativo -Procedimento Competenze dell'ufficio centrale per il referendum e della Corte Costituzionale. (Cost. art. 75; 1. 25 maggio 1970, n. 352). Delitti contro la integrit� e sanit� delle stirpe -Ammissibilit� del referendum abrogativo in ordine alle relative disposizioni del codice penale. (Cost" art. 75, secondo comma; cod. pen. artt. 546, 547, 548, 549, comma secondo, 440, 351, 552, 553, 554, 555). Spetta all'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di Cassazione la competenza ad accertare la legittimit� della richiesta di referendum prevista dall'art. 75 della Costituzione, anche relativamente alle disposizioni di legge che in epoca anteriore o successivamente alla richiesta di referendum siano state dichiarate costi 982 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tuzionalmente illegittime. Spetta, invece, alla Corte Costituzionale giu-dicare se la richiesta di referendum abrogativo presentata a norma dell'art. 75 della Costituzione sia ammissibile ai sensi del secondo comma dell'articolo stesso (1). Le disposizioni degli articoli 546, 547, 548, 549, com.ma secondo, 550, 551, 552, 553, 554 e 555 del codice penale non rientrano tra. quelle eccettuate dall'art. 75, comma secondo, della Costituzione e pertanto � ammissibile la richiesta di referendum popolare per la loro abrogazione (2). (Omissis). -1. -Nel complesso procedimento instaurato dalla legge 25 maggio 1970, n. 352, al fine di determinare le modalit� di attuazione del referendum popolare per l'abrogazione di una legge o di un atto avente valore di legge, previsto dall'articolo 75 della Costituzione, assumono precipuo rilievo le funzioni demandate all'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione a norma dell'art. 12 della citata legge. Tale Ufficio �, infatti, chiamato, dal successivo art. 32, ad accertare che la richiesta di referendum sia conforme alle norme di legge, rilevando con ordinanza le eventuali irregolarit� e decidendo, con ordinanza definitiva, sulla legittimit� della richiesta medesima. Una volta poi espletate le operazioni di votazione e di scrutinio, � lo stesso Ufficio che, ricevuti i verbali e i relativi allegati, procede all'accertamento delle condizioni prescritte dal penultimo comma dell'art. 75 della Costituzione, e alla conseguente proclamazione dei risultati del referendum (art. 36 legge cit.). Infine, all'Ufficio anzidetto compete dichiarare che le operazioni non hanno pi� corso, se, prima della data dello svolgimento del referendum, la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singo1e disposizioni cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati (art. 39 legge cit.). Al controllo di legittimit� demandato all'apposito Ufficio � preclusa soltanto la cognizione dell'ammissibilit� del referendum, ai sensi del secondo comma dell'art. 75 della Costituzione (art. 32, comma secondo, legge cit.). Per l'art. 2 della legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, spetta, infatti, alla Corte costituzionale giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell'art. 75 della Costitu (1-2) La sentenza 26 gennaio 1972 n. 10 richiamata in motivazione � pubblicata in questa Rassegna 1972, I, 13. Va segnalato che successivamente l'Ufficio centrale per il referendum, con ordinanza del 7 gennaio 1976 emessa in applicazione dell'art. 39 della 1. 25 maggio 1970 n. 352, ha dichiarato che le operazioni relative al referendum non hanno pi� corso limitatamente all'art. 553 cod. pen., mentre non sussistono -allo stato -ragioni ostative allo svolgimento delle stesse operazioni relativamente alle altre norme del codice penale di cui alla iniziativa in esame. ~ :~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE zione, siano ammissibili ai sensi del secondo comma dell'articolo stesso. E le modalit� di tale giudizio -in conformit� a quanto previsto dal richiamato art. 2 della legge cost. n. 1 del 1953 -sono state appunto stabilite dalla citata legge n. 352 del 1970, precisamente all'art. 33. Trattasi, dunque, di una competenza che si � aggiunta a quelle demandate alla Corte dall'art. 134 della Costituzione; ed il relativo giudizio, per il limitato oggetto (sentenza di questa Corte n. 10 del 1972), per la sua inserzione in un procedimento unitario che si articola in pi� fasi consecutive e conseguenziali, per la sua peculiare funzione di controllo in ordine ad un atto del procedimento di abrogazione in corso, si atteggia con caratteristiche specifiche ed autonome nei confronti degli altri giudizi riservati a questa Corte, ed in particolare rispetto ai giudizi sulle controversie relative alla legittimit� costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge. 2. -Alla stregua di tali premesse, si d� atto che l'Ufficio centrale per il referendum, con l'ordinanza del 7 novembre 1975, ha dichiarato legittima la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione degli artt. 546, 547, 548, 549, comma secondo, 550, 551, 552, 553, 554, 555 del codice penale. Ne consegue per la Corte, nella sede attuale, il compito di verificare se tali disposizioni appartengano o meno alle categorie di leggi sottratte al referendum abrogativo dal secondo comma dell'art. 75 della Costituzione (leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali). 3. -Gli articoli dianzi indicati -tutti collocati sotto il Titolo X, Dei delitti contro la integrit� e la sanit� della stirpe, del Libro II del codice penale -concernono un complesso di ipotesi delittuose, e precisamente l'aborto di donna consenziente (art. 546), l'aborto procuratosi dalla donna (art. 547), l'istigazione all'aborto (art. 548), la morte o lesione della donna derivate dal fatto preveduto dall'art. 546 (art. 549, comma secondo), gli atti abortivi su donna ritenuta incinta '(art. 550), la procurata impo1tenza alla procreazione (art. 552), l'incitamento a pratiche contro la procreazione (art. 553), il contagio di sifilide o di blenorragia (art. 554); inoltre, l'articolo 551 contempla una riduzione delle pene stabilite dagli articoli da 546 a 550, dianzi indicati, e dall'art. 545 (del quale non � proposta l'abrogazione), se a1cuno dei fatti ivi preveduti � commeisso per �causa di onore; e l'art. 555 prevede un aumento della pena, e nel caso di recidiva la interdizione perpetua dalla professione sanitaria, se il colpevole di uno dei delitti preveduti dall'art. 545, dalla prima pa11te e dal secondo capoverso dell'art. 546, dagli artt. 548, 549, 550, dalla prima parte dell'art. 552 e dall'art. 553, � persona che esercita una professione sani 984 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO taria. Appare evidente che tali disposizioni non rientrano tra quelle eccettuate dall'art. 75, comma secondo, della Costituzione, e pertanto � ammissibile la richiesta di referendum popolare per la loro abrogazione, una volta che ne � stata dichiarata la legittimit� a mente deil.l'art. 32 della citata legge n. 352 del 1970. 4. -Cosi precisati i limiti della sua competenza, la Corte non pu� non rilevare che, con sua sentenza n. 49 del 10 marzo 1971, pubblicata in G. U. n. 74 del 24 marzo 1971, � stata dichiarata la iii.legittimit� costituzionale dell'art. 553 cod. pen. (incitamento a pratiche contro la procreazione), del quale ora il promosso referendum intende conseguire l'abrogazione; e che detto articolo, pertanto, ha cessato di avere efficacia, ai sensi dell'art. 136 della Costituzione, fin dal giorno successivo alla pubblicazione della richiamata sentenza, n� pu�, da tale data, aver pi� applicazione (art. 30, comma terzo, 1e,gge 11 marzo 1953, n. 87), con ci� risultando assorbita la finalit� cui istituzionalmeme � preordinato il referendum abrogativo. Rileva, altresi, la Corte che, con sua sentenza n. 27 del 18 febbraio 1975, pubblicata in G. U. n. 55 del 26 febbraio 1975, � stata dichiarata la illegilttimit� costituzionale dell'articolo 546 cod. pen. (aborto di donna consenziente), �nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venir interrotta quando l'ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo, grave, medicalmente accertato nei sensi di cui iri motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre �; e che tale pronuncia � intervenuta in data posteriore a quella (5 febbraio 1975) in cui -come rilevasi dalla motivazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale presso la Corte di cassazione -i promotori avevano reso nota, ai sensi e per gli effetti dell'art. 7 della citata legge n. 352 del 1970, la loro iniziativa per la richiesta di un referendum abrogativo, tra gli altri, del menzionato art. 546, dando cosi avvio al relativo procedimento. La Corte si. arresta a tali constatazioni, senza inoltrarsi nelle loro implicazioni: non appartiene, infatti, al presente giudizio la cognizione della problematica che si profila in conseguenza di quanto rilevato, potendo essa investire -riferita che sia all'initero complesso normativo o ai soli due articoli sopra menzionati o ad uno solo di essi -tanto la conformit� a legge della richiesta di referendum, quanrto l'ulteriore svolgimento delle operazioni (art. 39 legge n. 352 del 1970). Come si � innanzi ricordato, ai relativi controlli, ed alla soluzione delle pertinenti questioni, � preposto l'Ufficio centrale per il referendum, al quale questa sentenza va comunicata, in ottemperanza al disposto dell'ultimo comma dell'art. 33 della citata legge. (Omissis). ~' "J SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 10 dicemba:-e 1975, nelle cause 95-98/74, 15(75 e 100/75 -Pres. Lecourt -Avv. ge'rt. Trabucchi -Uinion Nationale des Coop�r:ativies &grlcoles de C�r�ales, Soci�t� Coop�rative Agricole de Ja Haute Normandie, Soci�t� de �commerc.e, de stockage et d'�tude de l'Ouest Eur01P�en (avv. E.spinosa e Ryzigeir), Compagnie Continentaile France (avv. JeanDenis Bredin), Companie A1g�r~enne de Meunerie (avv. Brisac) e Comptoir Commerciai Andr� et Cie (avv. Lussan) c. Commissione delle Comunit� europee (ag. GHsdorf e Paulin) e Consiglio delle Comunit� europee (ag. Vignes). Comunit� europee -Agricoltura -. Organizzazioni comuni dei mercati Scambi di prodotti agricoli -Perturbazioni prodotte da provvedimenti valutari -Importi compensativi -Determinazione -Periodo di validit� -Situazione soggettiva degli esportatori. (Regolamento del Consiglio 12 maggio 1971, n. 974). Comunit� europee -Agricoltura -Organizzazioni comuni dei mercati Scambi di prodotti agricoli � Perturbazioni prodotte da provvedimenti valutari � Importi compensativi � Metodo di calcolo � Modifica � Lesione del principio dell'affidamento � Esclusione. (Regolamento del Consiglio 12 maggio 1971, n. 974; regolamento del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2746; regolamento del Consiglio 30 aprile 1973, n. 1112). Le disposizioni del regolamento del Consiglio 12 ma.ggio 1971, n. 974 non attribuiscono agli esportatori alcun diritto a che venga mantenuto in vigore un determinato metodo di calcolo degli importi compensativi. Ai sensi dell'art. 1 di questo regolamento, il diritto di fruire di un importo compensativo o l'obbligo di pagarlo sorgono unicamente in funzione dell'effettiva esportazione e solo nel momento in cui essa ha luogo (1). La prevedibilit� di una modifica del si."ltema di calcolo degli i1nlJ)orti compensativi esclude che gli operatori intereSiSati possano fare legittimo affidamento sul pe1�durm�e di un previgente sistema .(2). (1-2) La sentenza in rassegna va segnalata sia per la lineare esposizione, in essa contenuta, circa � le finalit� e le vicissitudini del regime degli importi compensativi ., :sia per la rilevanza di principio del criterio adottato per escludere che una modifica del sistema di calcolo degli importi compensativi, anche se disposta senza norme transitorie, possa rendere fa Comu RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 986 (Omissis). -In diritto. I sei ricorsi in esame tendono a :far condannare la Commissione al :pagamento di varie 1somme�, a tlitolo di risarcimento dei danni che le ricorrenti avrebbero ,subito 1a �causa dell'aP1P[icazione del nuovo metodo di calcolo degl'importi compenisativi, :i.istituito con regolamento del Consli,glio n. 1112/73 (G. U. 1973, n. L 114, ;pag. 4), ad �esportazioni per le quali il rilascio della Li1cenza era avvenuto anteriormente ailla modiifica apportata col suddetto testo. Bench� il danno derivante dall'appliicazione del nuovo metodo di 1cialcolo ;sia stato limitato dai provvedimenti. tranSiito11i adottati dalila Commissione �col regolamento n. 2:042/73 (G. U. 1973, n. 207, pag. 34), questi inon sarebbero stalti tuttavia sufficienti ad eliminarlo �compLetamente. SuLla ricevibilit�. Pur senza oollevare un'espressa ecceziione d'iirr:i!cevibilit�, la Commtssione fa carico alle ricorrenti neHe cause 95-9�8/74, .con riferimento aH'art. 37, � 4, del 1regolamento di procedura, di non aver a1legato ai :nLcorisi tutti i contratti e le licenze �d?esportaz:ione in base alle qua1Li esse sostengono d:i aver acquistato il diritto a1l'applicazione di un determmato metodo di ,calJcolo degli importi compensativi, OIJP'llT'e dli av;er agito facendo affidamento �sul fatto che tale metodo 1siarebbe r.imasto in vigore. Va ritenuto che le denunciate irregolarit� non 1so1.o hanno potuto Olstacolare le parti �convenute neillla preparazione della J:oro linea di dlllesa, ma inoltre oono state sanate, sen21a alcuna valli.da giustificazione, :solo dopo la conclusione della fuse scritta e pochi giornii prima dell.'mizio della fase orale del procedimento. Bench� non sia po:ssd.bHe, al!lo istato diegli atti, decidere in merito all'entit� del :preteso d~mno, la Corte � tuttaiviiia in grado di pronunciami 1su1La questione preliminare delhl'eventu.Me respon sabil!it� della Comunit�. NeUe cause 95-97/74 e 100/75, come pure, in parte, nella causa 98/74, le licenze d'esportazione erano state rlilasciate a terz.i pri:ma della modifica del regime degli imiporti compensativi ovvero prima della SUJa entrata nit� responsabile dei danni in ipotesi subiti per aver presupposto o confidato nella persistente applicazione del previgente sistema: criterio con il quale sono state rigettate le numerose domande di risar.cimento proposte in ragione della modifica del sistema di calcolo degli tmporti compensativi disposta con il regolamento del Consiglio 30 aprile 1973, n. 1112. Quanto ai limiti in cui pu� ammettersi una responsabiUt� della Comunit� �per attivit� normativa, ed in particolare per l'adozione di nuove norme senza disposizioni transitorie, cfr., da ultime, le sentenze della Corte di giustizia 4 febbraio 1975, nella causa 169/73, e 14 maggio 1975, nella causa 74/74, retro I, 654 e 655, con note di commento e richiamo ai precedenti. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE in vigore, mentre gli .estratti sono stati trasmessi alle ricorrenti solo in data succesiS1iva. Contro i rispettivi Ticol'si il Consiglio eccepLsce espressamente l'trricevi:bilit�, sostenendo che il diritto ail dsaTcimento ex art. 215 non � trasfexiibile, e 1che quindi il titolo 1su cui si fondano le dcorrenti non ha a.J.cun valore. Le ricorrenti ne11e �cause 95-97/74 �e 100/75 fanno valere contratti da esse stipulati prima che intervenisse .1a modlfiica �del sudid!etto regime o prima della 1sua entrata in v.igore, e .secondo i quali �esse �eTano tenute ad ademp1iere .~i obblighi derivanti dalle licenze. Pel'lch� la normativa comunita: riia permette la cessione di estratti delLe Ucenze, alle riicOl'lrenti deve essere consentito di provare ch'esse appartengono a11a categoria d:eli titolari di diritti quesiti o idiicoloro il �cui 1egilttimo affidamento merita ip11otezione. La circostanza che le ricorrenti fossero in possesso dli e1S1tratti loro ceduti da terzi pu� essere ri:Levante nel merito, ma non �influisse sulila ricevibilit� dei r:icor:si. Nel merito. Le ricorrenti sostengono, .in primo luogo, che l'applicazione del nuovo metodo di �calcolo degl'importi compensativi alle es;portazioni effettuate in base a contratti .stipulati anteriormente ha violato i loro diiritti quesiti, sorti all'atto del rilascio delle licenze d'esportazione in cui e1'a stato prefissato l'importo de1lia restituzione. Pur ammettendo 1che gl'importi compensativi non po1ssono costituire oggetto di rp�refuslsazione, esse asisumono che il metodo di calcolo degJ:i stessi, qual era al mOlffiento dellla �sottoscrizione � deille licenze, doveva �essere mantenuto .in voigOTe duTante l'intero periodo di valiidit� dei titoli, .per tutte !le esportazioni cui questi si riferivano. Le disp01sizioni del regolamento n. 974/71 non attr~bu1scono agli esportatori alcun diritto a che venga mantenuto in vigore un deteTminato metodo di ca1colo degl"importi comp�ensati'Vi. Ai 1sen:si dell'art. 1 di questo regolamento, ili. diritto dii :f.ruire di un im_uorto compensa.t1ivo o l'obbl.ligo di .pagarlo �sorgono unicamente in funzione de1l'efiettiva esportazione e solo nel momento in cui essa ha luogo. I.l mezzo usato sul1a violazione di �diritti quesiti va perci� disatteso. Le ricorrenti �sostengono inoltre che l'app1kazione del nuovo metodo di c�ailcolo degl'imxiorti compensativi ha violato il principio de1l'a:ffidaa: nento, per aver reso vane le iloro legittime aspettative quanto al perdurare del .sistema precedente. � opportuno ricord1ar�e anzitutto le finalit� e le vfo1sslitudini del regime degli importi compensativi. Il 1sistema dell'unit� di conrto comunitaria, equivalente ad un certo 1peso di oro, ha ipel'lmesso a SIUO tempo, 988 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO grazie ai rapporti 1sta1biiHti :Era le monete degli Stati membri, la determinazione di prezzi unici per l'intera Comunit�. Gli eventi monetari del 1971, caratter�:zzati dall'abbandono, in prati-ca, del regilllle internazionale relativo ai margini di osc-illazione dei ta<SSi di cambio, hanno indotto !hl Consiglio a creare un sistema ,che, alil'occOI'll"enza, consentisse agli Stati membri di riscuotere (all'importazione) e di veDsaire (all'esportazione) degli importi COlllliPemB.tivi, sia negli scambi con ,gli ail:tri Stati membr.ii, sia in quelli coi Paesi terzi. Tale sistema mirava a neutralizzare l'incidenza dei provvedimenti mon~taci sui pil'ezzi di taluni prodotti agricoli di base ;per i quaili vigevano iPI"ezzi d'intervento, al fine di evitare deviazioni d.i traffico. Il caratteit"e provvisorio del regime de~'dimporti compensativi � sottolineato dal regolamento del Consiglio n. '974/71, M cui art. 8, n. 2., dispone 1che tale regime � cessa di essere applicabile a decorrere dal momento in ,cui tutti gli Stati membri interessati applicano nuovament1e le regolamentazione internazionaJ.e relati.va ai ma~gini di fluttuazione dei tassi \- di ,cambio �. Contrariamente a quanto sostengono le 11i!correnti, questa norma che ha lo scopo di 1stabilire �ill te1'lll:ine :per l'automatica abrogazione del regolamento, lascia intatto il diovere delle isitdtuziion.i comunitarie di moddlficaire iJl sistema ogni quailvolta <Ci� ap;pai:a necessario per garaintire 1a 1sua funzione �Correttiva. AJ.tirimenti, l'appliicaziione del regime degl'iimporti compensativi avrebbe potuto divenire fonte di distorsioni. In pl'atica, Il sistema subiva varie modliifiche e veniva esitesio di fatto a tutti gli Stati membri originari; dopodich� ii:l CollJsigllio, con regolamento n. 2746/72, lo rendeva obbligatorfo e decidleva che il finanZliamento sarebbe avvenuto nell'ambito della pdlitica a~iioola 'comune. Nonostante l'adozione delle suddette modiifiche, ri:l metodo di caLcolo dlegl'li.mporti compensativi non veniva cambiato negJ.i aru:J.!i t971 e 1972:, e consiistew ne11'aippl:Lcare, ai ;p,rezzi dei prodotti agricoli di cui tratlbasd, una percentuale parri al �d.vall'lio :fra la parit� ufficiale e ila parit� reale della moneta naziionail.e rispetto al'dollaro U.S.A. In tal modo, il Consiglio intendeva tener conto della 1ciricostanza che gli scambi avvenivano in gran rparte sui]la base del dolllaro. Poich� il tas1so di 'cambio dcl dollaro U.S.A. veniva rpreso in cons:tdle!ramone !P�T' H caJ.colo degl'importi compenisativi, H suddetto sistema offriva di fatto una eerta protezione contro il rischio ,connesso -rielJ'ipotesd dli contratti stipulati in dollari -ad una svalutazione di questa mone.ta, anche 1se tale protezione non ha mai costituito uno 1specffico obiettivo del siistema. Poich�, all',inizio del 1973, nonostante il.a swlutazione ,intervenuta nel :febbrafo, la presisione sUJl dollaro U.S.A. continuava a :liaT!sis1enti!re, il ConsigJ.fo decideva, nella seduta dei giorni 11 e 12 maTZO 1973, che, [n primo :luogo, 11e banche cientrali degli Stati membri avrebbero cessato di sostenere il dollaro e, in 'secondo luogo, le monete dei 1sei Stiaiti membri PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 989 avrebbero potuto fluttuare veriso 'l'esterno.. pur dS!Pettando nei Ll.olr'o reciprooi rnrpporti determinati mairgini di oisdlil.azione. Di 1conseguenza, ed in segutto a richiesta formulata daJ. ConsigiLio U 12 marzo 1973, la Commissione 1proponeva allo stesso Consig'lio, il 21 mairzo ooccesiSlivo, di abbandonare il riferimento al dollavo per sostituirlo, quanto ai sei StaH membrii: le cui monete fluttuavano ail.Ll.'unisono, col riferimento a taisiSii centrali e, quanto agli altri tre Stati membrd, ,col rdfei.;imento a taSSli riappresentatiivi, fissati in base ai cambi rilevati sul meircato durante un determiinato iperiodo. L'eventualit� �che U Consiglio aipprovas:sie I.a p!l'o1posta 1Presenitatagli dalla Commissione il 2�1 marzo (pr�poista attesa�fin dail. 12 marzo e immediatamente giunta �a conoscenza degi1i. ambienti interessati, sia tramirte la sta.ffi\Pa, si:a grazie ai l'egol.ari 1contatti con la Commd:sisiione) diveniva sempre pi� rprohabile, tanto pi� <ehe la decitSlione adottiaita dal Co!lllSigilio hl 12 marzo �imp]:icav�a quotidiane modifiche dlei tassri. dii 1cambio vigenti fra �1e monete degli Stati membiri e il do1lilairo. La .proposta veniva effettiviamente approvata dal COillsig1io col regolamento n. 1112/73, del 30 apriile 1973,. pubblicato l!o :stesso giorno ed entrato in vigore 1ill 1� maggio successiV'o. A norma dell'art. 3 del regolamento n. 1112/73, questo ha effetto � a decol'lrere dal giorno in cui entrano in vigore le modaiil.it� necessarie per !l:a sua applicazione �. La Commissione, iehe aveva adottato i regolamenti d'attuazione iJ. 30 maggto 1973, li pubbLiicava nell!a Gazzetta Ufficiale 1so:10 il 4 giugno 1973, :data in cui eSISI� �Cominciaivano ad essere efficaci. Al fine di eisaminaoce in tale 1contesto le operazioni. clle 1sono all'origine dei presenti r.i:corsi., � opportuno faTe una distinzione a seconda che i �c0ntraitti d'esportaziione siano stati conclusi in epoca successiva o anter: iore alla pubblicazione del ;regolamento n. 1112/73. Contratti stipulati dopo il 30 ap1�ile 1973. Le ricorrenti che hanno �Concluso �contratti d'esportazfone dopo il 30 aprile 1973 non potevano :ignora;re il regollamento n. 1112/73, n� il nuovo metodo di calcolo degli impocti �compensativi. Nel testo de1l regolamento, nulla fa pensare che le modalit� d:'attuazfone avrebbero �com( preS10 un qualSliasi .provv�edimento transitorio relativo �ai �contratti stipulati prima della data 1stabi1:ita per l'ap�piltc1azione dlel nuovo metodo di ca1colo degl'importi �di �cui trattas1i. Essendo libere di ;piriendere tutte le precauziioni che sembrassero loro utili, nella 1stesur.ra dei contratti di vendita, queste ricorrenti non possono sostenere di aver assunto intpegni in quanto facevano affidamento sul mantenimento in v;Lgwe deil. vecchio metodo di calcolo, per le .progettate e1siportazionL 990 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Contratti stipu,lati prima del 30 aprile 1973. -Contratto del 23 marzo. La ricorrente nelJla 1causa 15/75 ha 1concluso un contratto d!'esiportazione ,il 23 marzo 1973, vale a idi:re ill giorno stesso in cUJi Jia Commis1sione sottoponevia la sua proposta al Consiglio. Il �contr<atto riguardtava J.a vendi. ta di 35.000 tonne11ate dli orzo all'fan1presia polacca RoUimpex, ad un prezzo espresso in dCJlllari. La dcol"lrente a1s.sume ch'essa avrebbe ipotuto dare esecuzione a�l contratto fOirnendo Slia orzo di ,produzione �comUIIllitaria, 1siia orzo prodotto in Paesi europei non membri dellia Comunit�. In quesit'Utlitima ipotesi, essa avrebbe acqutstato 1La merce in dohlari, men1Jre nella pcima aivrebbe pagato H prezzo comune, ma avrebbe potuto fruWe dielLa resti.rtuzione alla esportazione e dell'importo �compensativo. Essendosi �riservata, nel cont:riatto, un'opzione riguardo alla provenienza dell'orzo, la ricorrente non pu� far valere di aver assunto impegni in funzione dell'affidamento �ch'elSiSa faceva 1sulil'esistenza di un dimporito compensativo, e tanto meno sul mantenimenrto in vigore del vecchio metodo di calcolo di tale importo. Esercitando, il 30 marzo 1973, iJ. suo di:rlitto di 01Pziooe 1a fuvore de11a esportazione di orzo comUillitairio, e chiedendo una licenzia d!i durata eccez.iona1mente lunga, 1con prefissazione �delJ.'im!Porto deJ.1la rrestituziJone, la ricorrente, da avveduto esportatore, ha :liatto una 1scelta dli poli1lica comrnercila:le in funziOille de.ll'andamento del mercato, ,con tutti i rischi ad essa ine:rienti. Fra tali ris;chi prevedibili al.la data del 30 mano o, al maisimo, d/ell 20 apriJ.e, giorno in �cui ile veniiva riLaisciiata la Hcenza -�ed in 'culi. essa avrebbe ancora potuto ritirare la proprda domanda -vi era '1a probabilit� che n met�do di calcolo degl'dmporti com!)ensiati'Vli vellJ�SSe modificato. Anche se non era sicuro che l:a modifica prroposta dia!l.La Commissione sa:riebbe .stata decisa dal Coosiiglio, un ptrud~te operatore avrebbe dovuto rendersi �conto, a quell'epoca, che era imm1nente fistituzione di un nuovo metodo di 1calcolo. La ricorrente non pu� quindi far vaJ.ere iJ. 1suo legittimo affidamento nel perdui:rare del metodo aipp1i:cato in !Precedenza. Contratti del 28 e del 29 marzo. Con un contratto conclUJSIO a Mos,ca, in data 28 marzo 1973, fra un importatore sovietico ed un es~ortatol'e francese (GroujP'ement d'Int�r�ts Economiques Francec�r�ales), quest'ultimo 1s'impegnava a vendere 300 mila tonnellate di 0trzo :francese (qua,ntirtativo portato l'indomani a 500.000 tonnellate), ad un ;prezzo espre:sso in dollari. krf&%&��wrr@f�&1 11tf~'rfl1r01~f!111r11a=1rwa&Nrtrrtt&-1r;11~r1!ri1lirr1r~11111r�1 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE Le J:"Lcorrenti ne1le 1cause 95��98/74 hanno iptl'ecisato 1che detto contriatto el'la sfato negoziato �d!al Governo :liranceise, in quanto � operazione dJi prestigio �, che lasciava all'esportatore so.lo un modesto margine di :profitto, ma era destinata ad a~ire un nuovo mercato :llrtanoose 1di �cereal:i. Concluso il .contratto, 110 ste1s:so Govierno avrebbe dJnvitato varti commercianti fl'lancesi ad eseguiirllo e, a quanto -sostiene la xicoIT:ente nella 100U1SJa 98/74, avrebbe ,1oro imuo1sto tale 'esecuzione. Le ricoJ:"renti e parecchi altri commercianti avriebbero rperc:i�. aperto, nelil'aip!I'ile 1973, un � conto sootale �. Tuttavia, il documento ,prodotto ,in .giudiz~o 1relativamente a questo punto non � datato, n� del r.esto vi figura la rricoNente nel11Ja causa 96/74. In ogni 1caso, alla da.fa del 29 marzo il Oon:siig1l:io a'V'eva gi� dieUberato in merito a1la proposta de11a Comm�ISSione, �e -tenuto conto deH'insieme di cilicostanze dii ,cui sopra -la modmca del s~stema di calicolo degli im; porti compellJSativi era iptl'evedib~1e. Non .si pu� quindi 1sostenere che !il contratto del 29 marzo sia ,stato ,stipulato .dafil'agente fl'lancese in funziione .dell'affidamento sul mantenimento in vigore del vecchio metodo di calicolo d:i tali ]mporti. Il fatto 'che il contratto del 29 marzo sia stato stipulato !P�er 1.llil quantitativo di 500.000 tonnellate, a lungo termine e in dolila!l'li, in un momento in cui le banche centralii degli Stati membri non erano ipi� tenute ad intervenire a ,sostegno di questa moneta, d:mpli:caiva in realt� un notevole rischio commerciale. Tenuto conto di tutti questi elementi, � 'inamrnilssibile J.a tesi secondo cui le l'liicorrenti poteviano, 1all'epoca de11a .conclusione del .contratto. :Ilare affidamento 1sul pro-durare del 1siistema iprecedentemente �in vigore. I riico~si vanno perci� respilllti. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, sez. un.., 20 ottobre 1975, n. 3403 -Pres. Boccia -Rel. Leone -P. M. Di Majo (diff.) -S.ip.a. Laboratoxi Glaxo (avv. Scarrpa) c. MiniiStero delLe .finanze (avv. Stato Fanelli). Trattati e convenzioni internazionali � G.A.T.T. -Clausola di riserva limi� tativa � Legislazione nazionale vigente alla data del 10 ottobre 1949 in tema di i.g.e. sui medicinali -Disparit� di trattamento tra medici� nali importati e medicinali di produzione nazionale � Persistenza Legittimit�. (G.A.T.T., art. IV; d.1.1. 19 ottobre 1944, n. 348, art. 10; legge 7 gennaio 1949, n. l, art. 11; d.m. 9 febbraio 1949). Per quanto conce1�ne i 'medicinali, per legislazione vigente atla data del 10 ottobre 1949 ai sensi deUa clausola di riserva limitaftiva prevista 'Tiel G.A.T.T., tale da legittimare, se discriminatoria rispetto ai prodotti RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 992 importati, la persistente applicazione di un trattamento differenziato, deve intendersi la normativa contenuta all'art.10 del d.l.l. 19 ottobre 1944, n. 348 ed all'm�t. 11 della legge 7 gennaio 1949, n. 1, con la quale � stata stabilita in via generale e come contenuto del sistema di imposizione, sia pur conferendosi al Ministro il compito di determinare le aliquote in concreto applicabili, la discriminazione delle aliquote i.g.e per i prodotti importati rispetto a quetli nazionali; ed alla operativit� del.la clausola di riserva limitativa non � quindi di ostacolo la scadenza del termine di efficacia del singolo provedimento ministeriale vigente alla data del 10 ottobre 1949, che non rappresentava la legislazione a quella data vigente, ma costituiva atto di normazione secondaria integrativo delle indicate disposizioni legislative (1). (Omissis). --All'esame deltle var:ie rproposizioni ne1l!e quali si a.r:t:icola H motivo di ricol�so, giova piremette:re il richiamo delle Jdnee gene1rali di appJ.iicazdone dell'Accordo G.A.T.T. nehl'oroinamento italiano, stabilite da questa Corte di Cassazione, con una serie di sentenze (qualcuna dehle quali � stata tenuta pTe1sente anche dalla Corte di Venezi<a neliLa decisione che si esamina), che hanno !Studiato 1in rprofondi.t� le questioni r.elartive a tale materia: si tratta delle sentenze 17 arprhl.e 197�2 n. 1196, 8 giugno 1972 n. 1771 e 1773, 4 geillilaio 1975 n. 2 ~ 7 gennaio 1975 n. 10. Secondo le medi�tate 1condusioni di dette sentenze: (1) Ancora in tema di normativa G.A.T.T. 1. -Con la :sentenza in rassegna, e �con le altre due in pari data n. 3407 e n. 3408 (di contenuto rispettivamente analogo e conforme), le Sezioni unite hanno avuto nuovamente occasione di pronunciarsi a proposito della normativa G.A.T.T., questa volta in tema di prodotti medicinali. Nella prima parte delle tre decisioni risultano espressamente confermati i vari principi enunciati gi� in precedenti sentenze, e da ultimo in quelle 4 gennaio 1975, n. 2 e 7 gennaio 1975, n. 10 (retro, I, 82 e 88), sulla diretta applicabilit� delle .clausole del G.A.T.T., sulla necessit� di intendere il princiipio della parit� di trattamento tributario con riferimento al carico fiscale complessivo gravante sul prodotto nazionale e sul corrispondente prodotto straniero, e sulla inammissibilit� di valutazioni volte a verificare la idoneit� di determinati provvedimenti legislativi a realizzare la perequazione di trattamento voluta dal legislatore. � stato ribadito, in parti.colare, che � dinanzi ad una legge interna che riveli lo scopo di adeguare i due trattamenti secondo appositi criteri e misure, al fine di eliminare una posizione di pregiudizio del prodotto nazionale rispetto a .quello importato, il giudice � privo di potere per escludere la reale necessit� della perequazione e Pl'?r applicare, in contrasto con la legge, iJ. trattamento tributario, disposto per i prodotti nazionali, anche ai prodotti importati �, e che � il giudice quando ravvisa che una legge da applicare persegue lo scopo di adeguare il trattamento tributario, secondo appositi criteri o misure, al fine di eliminare una posizione che il legislatore considera di pregiudizio del prodotto nazionale rispetto a quello im PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 993 1) Non ha fondamento la teSii. secondo �La quale per tutta J.a seconda parte del!l'Accordo G.A.T.T., ne1l!a quale � mserirta la norma III che qui interessa non sarebbe im.tervenuto l'ordine di esecuzione da parle del legislatore italiano, stcch� la norma III non sarebbe stata inserita nello orddnaimento giuridico italiano. Al �Contrario, daJ.le le~~ di esecuzione 5 aprile 1950, n. 295 e 7 novembre ig,57 n. 1307, risulta .che 1o stato Italiano ha recepito nel 1suo ordinamento, in modo totale, le iParti prima e terzia <lle1l'Accordo Generale ed ha recepito pure 1a parte :seconda dehlo Accordo medesimo, anche ,se solo nella mism-a in cui tale parite 11LsuJ.tavia compatibile con La legislazione vigente aJ. 10 ottobre 1949: 1cio� ll'wdine di esecuzione contenuto ruille dette leggi ha adottato la dausol!a di ri:sea:va limitativa (,cosiddetta stand~sti11), �con la quale lo Stato ri:servante, nelJ.o aderire ad un Trattato multilaterale, mira a 1sal'Vaguardare im. qualche parte la pro,prfa le�gislazione, nel senso di 'consentire l'~cazione deli 1 Trattato (nella specie, della parte seconda dell'A1cco11do G.A.T.T., ma solo rper il caso e nel limite 'che non sii abbia i:ncompaitdbillit� con Ja ile~isliazione vigente ad una data determinata. portato, deve appJ.i.care la legge, senza possibilit� di accertare se il presupposto pregiudizio �sussistesse nella realt� e senza poter stabilire se i criteri o le misure adottate dal legislatore siano o meno idonee a stabilire la perequazione di trattamento �; e rimane invero ancora da verificare a quale concreto risultato :possa condurre l'indagine dell'interprete sul �carico complessivo delle imposizioni che direttamente o indirettamente colpiscono il prodotto importato e quello nazionale similare, ai fini della comparazione dei due trattamenti., considerato che per eHminare la sperequazione in ipotesi ravvisata dovrebbero calcolarsi a.Uquote diverse da quelle stabiJ.ite dalle leggi o .quantomeno dovrebbe necessariamente disapplicarsi, quando il divario risultasse .coincidente alla misura di una determinata imposizione, la legge che tale disposizione imponesse, e quindi procedersi a quel sindacato di merito ed a quella � disapplkazione � che le dporfate affermazioni di principio escludono invece a priori. 2. -NeHe tre decisioni in rassegna, inoltre, le Sezioni unite hanno per la prima volta preso in considerazione, quanto alla questione di principio sulla idoneit� delle clausole del G.A.T.T. ad attribuire ai singoli diritti soggettivi suscettibili di tutela in sede giurisdizionale, la diversa soluzione affermata dalla Corte di giustizia delle Comunit� �europee, alla quale aveva accennato la difesa della controricorrente Amministrazione. � L'Amministrazione delle finanze -hanno infatti rilevato le Sezioni unite -osserva che in recenti sue decisioni la Corte di giustizia delle Comunit� europee ha affermato che le norme del G.A.T.T. non sono idonee, perch� prive del carattere di norme seif-executing, ad attribuire ai singoli cittadini degli Stati aderenti il diritto di farle valere in giudizio (sent. 12 dicembre 1972, nelle cause riunite n. 22 e n. 24 del 1972 e 24 ottobre 1973, nelJ.a .causa n. 9 del 1973). �L'osservazione � esatta -hanno affermato le Sezioni unite -ma non � determinante di modifiche nella giurisprudenza di questa Corte suprema, perch� le decisioni ora citate della Corte di giustizia delle Comu RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 994 2) La norma dell'art. III parte seconda dell'Accovdo Generale, con cui le parti contraenti rd1conoscono che le tas:se e le altre imrposb~ioni interne, cosi come le 1eg.gi, regolamenti e iptt"escrizioni rtiguardanti le vendite, la messa in vendita, l'acquisto, i.il trasporto, Ja d1sitr1buzd.one o l'utiilizzaziione dei prodotti nO!Il. dovranno eisse:re applicati a�i prodotti illl!Porlati o naziooaJi in maniera da ;prote~~ere ilta pToduzione n1aiz.ionale e s'impegnano a non sottoporre le merci dli tmrportazioni a tasse o altre imposizioni interne, :supell'I�ori a quelle �che 1co1piscono i !PJ'Odortti nazioniali simiilari, dev'essere dntesa nel .senso 1che la parit� di trattamento deive essere riarprpoirtata non al 1singoJo atto ii.mpositivo contsiiderato a se stante che possa coJpire il pil'odotto nazionale o quello importato dn occas~one di un atto economtco che il.'interes1si, bens� al �carko tri'butairfo comp1le1ssivo �che in�cida, neJ. territoil'io d'elio Sfato, .su un dletermmato .prodotto: il quale cari.co trihuta'1'1i!o non pu� esseire maggiore, per i prodotti 1importati dlai Paesi aderenti ali'Accol'do, di quello che g.rava swi prodotti nazionali simtlari. la norma, infatti, tende a ragg.iung�ere una pairit� sostanzdJale, non formale, tra i trattamenti tributavi, al fine di ars1sdocUiI'are la libera cilI'coJazione dei ptrodott1, oon 1l'abo1izione dei mezzi diretti o indiretti d1 protezione deilla piI"'oduzionie naizionale: :parit�, qudindii, quantitativamente eguale, anche se i fattori componenti sono qualitatiwmente d.iffererut1i. In tale valutazione comparativa non viene in 1con:sdderazione iii. regime nit� europee prescindono dalla valutazione di concretezza che le norme dell'Accordo generale possono acquisire con l'inserzione nella legislazione di questo o di �quello tra gli Stati aderenti, concretezza che si pone in termini diversi e che probabilmente solo il giudice nazionale pu� valutare in pieno, neHa considerazione unitaria dell'ordinamento in cui opera. � Ma giova pure aggiungere -precisano le tre sentenze -che l'interpretazione adottata da questa Corte di cassazione � pi� aperta e pi� consona ai .principi internazionali .circa l'obbligo degli Stati aderenti di dare ad essi, nell'ordinamento interno, l'applkazione che meglio realizzi gli scopi per i quali i Trattati stessi sono stati conclusi �. 3. -Certamente, la sommariet� �di tali valutazioni pu� spiegarsi con l'accenno solo incidentale fatto daJla difesa dell'Amministrazione, nella specie, alJ.'orientamento della Corte di giustizia delle Comunit� europee. Deve peraltro escludersi, evidentemente, che le riprodotte considerazioni possano aver fornito adeguata giustificazione di una cosl radicale divergenza di soluzioni (gi� in altre occasioni evidenziata: cfr. in Rass. Avv. Stato, 1974, 314 e segg., in nota, e 1975, 82 e segg., in nota), e soprattutto delle gravi conseguenze cui tale divergenza pu� dar luogo nell'ambito dell'ordinamento comunitario. 4. -L'affermazione secondo cui le norme de~ G.A.T.T. avrebbero acquisito una � concretezza� (evidentemente non gi� loro propria) con la loro inserzione nell'ordinamento interno (e quindi con l'ordine di esecuzione) appare del resto sostanzialmente contraddittoria con lo stesso iter logico seguito, nelle precedenti note decisioni, per affermare l'efficacia self-executing delle clausole del G.A.T.T.: efficacia che risulta infatti riconosciuta in ra\, :�~ ~kr1t&ilMii11Kirflfifilrfftiwtftft11"l&iftc�wtr&~rltffilti&{ftlr~ilfllfillftrl&fllilfS9 PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 995 tdbutario cui i prodotti importati si1ano stati isottoposti nel Paese di ![)roduzfone, sta perch� il Paese imporrtato.re non /PU� vedere 'compromessa 11a sua sovranit� con,di:llionandola ai provvedlimenti trtbutaTi dei Paesi C�aii quaU provengono i !PII'Odotti importati, 1Slia iperch� le norme deil:l'accordo G.A.T.T. si riferiscono esclusivamente e testualmente a11~e norrme interne dei Pae,si importatorri, .che nel loro teriritoTlio assog.gettano ad tmposizioni i prodottiL imporrtati. N elJ.a valutazione dell �carico complessivo delle imposizioni stabilite per i prodotti importati, non vengono in 1considerazione IJJeprpure i mbutii che si riscuotono peT il :liatto o aH'atto deli'importa~ione, trattaIJJdosi di tributi doganaJii non 1contemp]Jati ne<lla dawsola d:i rp~it� deU'AocoLrdo Generale. Se per� un'rtmposta all'impo!I'taziooe rcorrils![)�ondle a quella che, seppur dhnersamente congegnata, coJ.piis.ce il.a 1stessa merce all"in.terrno come '1'1.G.E. alJ.'irnporrtazione rispetto all'I.G.E. sugli atti linteTIIlli. di commercio -essa �deve essere considerata vera e propria imposta interna; 3) Rientra nei compiti degli organi amministrativi e giiuriiisdizionali del Pae:se importatore, senza necessit� dii uJ.terior�e intervento degrlii. org,ani legiisrlativli, acceirtare il carico complesrsivo delile imposlizLiJo,ni �che gione dello specifico contenuto precettivo di tali clausole, in quanto, cio�, il principio di cui all'art. IV, ad esempio, �non si esaurisce in una mera generica enunciazione programmatica, ma contiene un precetto sufficientemente specifico, completo nei suoi elementi, e, come tale, capace di operare senza bisogno di una ulteriore integrazione legislativa� (cfr.: sentenza 4 gennaio 1975, n. 2 e 7 gennaio 1975, �Il. 10, Rass. Avv. Stato, 1975, I, 82 e 88), e quindi secondo prospettiva nelJ.'ambito della quale �l'inserzione, mediante l'ordine di esecuzione, nell'ordinamento interno non veniva certo considerata come idonea a far acquisire alle clausole del G.A.T.T. una concretezza della quale fossero di per s� in ipotesi prive. In altri termini, una volta ritenutosi, secondo lo �stesso criterio di valuta zione adottato dalla Corte di giustizia deHe Comuni�t� europee (ma con opposto risu1tato), che le norme del G.A.T.T. sono per loro natura di por tata precettiva, e quindi come tali suscettibili, con loro ricezione nell'or dinamento interno, di diiretta ed immediata aprplic�azione ed in parti.colare idonee ad attribuire ai singoli diritti soggettivi, non � possibile, senza contraddire la pFemessa, far derivare tale efficacia e tale (gi� presupposta) concretezza dalJ.'inserzione-delle norme nell'ordinamento interno, tanto pi� quando la legge di riceztlone, coone risulta nelJ.a specie, nessuna integra zione o precisazione contenga che possa far acquisire alle norme interna zionali una concretezza maggiore o diversa di quella .gi� loro propria. 5. -Anche la seconda delle argomentazioni sopra riprodotte (quella cio� con la quale le SeZlioni unite deHa Corte di cassazione hanno sottolineato, con implicita .censura della diversa soluzione adottata dalla Corte di giustizia delle Comunit� europee, la maggiore aderenza della propria soluzione ai princ�pi internazionali � circa l'obbligo degli Stati aderenti ai Trattati di dare ad essi, neJ.l'ordinamento interno, l'applicazione che meglio realizzi gli scopi per i quali i Trattati stessi sono stati conclusi �) non sembra possa assumersi risolutiva ai fini in esame; e ci� in quanto il RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 996 diirettamenrte o inclirettamente 'colpiscooo i.il prodotto 1mportato e quello nazionale :s;iJmilare, ai fini della �comipaTtazione idei due trattamenti. Peraltro, dinanzi ad una legge interna �che riveli lo scoipo di adeguare i due trattamenti secondo �aiPposi1li. oriiteri e misure, a11 fine di e11milna.11e una posizione di pregiudizio del prodotto nazionale mpetto a quello importato, i.il giudice � privo di votere per e1scludere la reale necessit� della perequa:cione e per a:PIP1iioore, in �contrasto �con la legige, il trattamento tmbutario, disposto per d prodotti nazionali, anche ai prodotti iim,portati. Queste Sezionii Unite ,rfoonfermano aincora una ~olta i ,criterii generalli di awlicazione �del!l'Aocordo G.A.T.T. nel territorio dlelJJa RepubblLca Italiana riichiamati or ora ed in 1confutazione dei quali, in questo giudizio, non 1sono addotte rag.kynd. nuove. L'ammlirnilstraZJiooe delle Finanze osserva che in recenti sue de,cisdond J.a Corte di Gius1li.zia delle Comunit� EUJI"OiPee ha affermato che 1e norme del G.A.T.T. non sono idonee, 1Pertch� iprdve del carattere dID noirrne seit-executing, ad attrdbuire ai singoJ:i cittadini degli Sta1Ji. aderenti il dl�roitto di :farle vialere in .giudi:cio ~sent. 12 dicembre 1972 nelle cause r.:iiund.te n. 22 e 214 del 1972 �e 2,4 ottdbre 1973 neiLl:a cauiga n. 9 del 1973). L'osservazione � esatta ma non � determinante di rilievo evidenzia in effetti la esigenza di rispettare gli obblighi assunti in sede internazionale (e non pu� quindi, sotto questo profilo, non essere condiviso), e presuppone, oltretutto, la soluzione da vedficare (la superfluit�, cio�, di norme interne da emanare per l'applicazicme dei principi concorda. U in sede internazionale), ma non � di iper s� co-nfermativo della portata self-executing delle clausole dell'Accordo. Una tale portata del resto, trattandosi di norme a[>plicabili, in via di principio, con la condizione della reciprocit�, comporterebbe la verifica, anche in sede giudiztale, della ricorrenza di tale 'condizione: verifica necessaria :proprio per un'applicazione � che meglio realizzi gli scopi per i quali i Trattati stessi sono stati conclusi �, per essere ovvio che ciascuno Stato interessato ha aderito al G.A.T.T. per agevolare J.e proprie esportazioni, e non quelle degli altri aderenti, e che si � ,quindi obbUgato a non ostacolaire ,le :i;mportazioni :proprio e soltarr:i,to in vista dei vantaggi che alla esportazione dei propri prodotti sar�ebbero derivati dall'analogo obbligo assunto dagli altri Stati, e non certo �allo scopo di favorire le loro espo-rtazioni. 6. -Le argomentazioni ,che inducono a dubitare della poirtata self-executing delle .clausole del G.A.T.T. so-no �state gi� altre volte riicoirdate, anche con riguardo alla necessit� di distinguere tra diretta applicabilit� di una norma e sua eventuale idoneit� ad attribuire ai 'Singoli didtti suscettibili di tutela in sede giurisdiziDnale. La esigenza di taile distinzione � stata di recente so-ttolineata, anche nell'ambito de1l'or,dinamento 0comUil!itario, dall'avv. gen Warner (e secondo imipostazione condivisa poi dalla Corte di giustizia delle Comunit� europee nella sentenza 22 gennaio 1976, resa nella causa 60/75, Russo) nelle conclusioni presentate per la 'causa 31/74, nelle quaH ha rilevato, dopo aver premesso-che senza l'art. 189 del �trattato CEE �ciascun iregolamento comunitario avrebbe dovuto venir recepito mediante la procedura prevista dalla PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 997 modifiche ne1la g1iurisprudenza di questa Corte Suprema, [>e1'Ch� le decisiond ora citate de11a Corte di Giustizia id:e1la CC.EE. ,p,reiscindono diatlla valutazione di concretezza ,che le noTme ,del:L'Accordo Generail.e possono acquisire con l'!nserzfone dehla legis�aziooe di questo o dli quel1o tra gJi Stati aderenti, 'concretezza 1che si pone in termini diiversJ e che probabilmente solo hl giudice nazionale pu� \n�tlutare in p1i1eno, neHa considerazione unitaria del!l'ordlinamento in 1cui O!�era. Ma giova pure aggiungere che l'interpret1azfone adottata da questia Corte di Cas1sazione � pi� apevta e pi� consona ai plt'dndpi interinazionali d!l'ca l'obbligo degli Sta1Ji aderenti ai Trattati dli dare ad 1essi, 1nelil'011dinamento interno, l'apip1ldicazione ,che megiUo rea1lizzi g1lri scopi per i qua1i i 'I1rattati :stessi ,sono stati �condusi. Premesso tutto quanto fin qui detto, si !)1otl'ebbe perveni:l'e rapiida 1 mente alila decisione di rigetto del r1corso, per �essere 1sitata proposta la domanda attrke e condotta la causa (Sul presurpposto, non CQII'retto, che si potesse valutare la parit� tributariia voluta dall'Accordo per 1oia;scun tLpo di imposta. Ma aJWa completeza deH'indagine .giova l'esame srpeooco del motivo dii ricooiso. costituzione dello Stato interessato., che da ci� �non si ['kava per� che qualsiasi norma di qualsiasi regolamento attribuisce ai ,cittadini degli Stati membri diritti soggettivi che i giudici nazionali devono tutelare�. �Noi tutti conosciamo -ha osservato al riguardo l'avv..gen. Warner leggi interne, che senza dubbio fanno parte della legislazione nazionale, contenenti norme che impongono aUo Stato o ad enti pubblici degli obblighi senza con d� attribuire ai cittadini col1!'ispondenti diritti �soggettivi. Tale � pure il caso dei regolamenti comunitari. Le J.oro norme hanno efficacia diretta, nel senso di attribuire diritti soggettivi .che possono essere tutelati dai giudici nazionali, solo quando possiedono 4 ben noti requisiti fissati dalla Corte, vale a dire siano .chiare ,e non �sottoposte a condizioni, ed altres� non richiedano ulteriori provvedimenti d'attuazione �. Tali argomentazioni, riferite ad una normativa di per s� direttamente applicabiile, ed utili ad evidenziare che il solo chiaro ed incondizionato contenuto di una norma non e.sclude la necessit� di ulteriori :provvedimenti di attuazlione, sono a maggior rilevanti, naturalmente, per quanto cmJicerne le norme contenute negli accordi internazionali, conclusi nell'ambito di un ordinamento del ,quale i singoli (a differenza di �quanto pu� dirsi per l'ordi namento �Comunitario) non .sono 1soggetti, re volti in via di :principio ad impegnare 1gli Stati, quali .soli soggetti del diritto internazionale; ed anche nella Legislazione nazionale, del resto, la sola ,chiarezza e completezza della norma non � sufficiente ad attribuire ai si:ngoli diritti soggettivi, cos� come non derivano certamente dLritti soggettivi (e sarebbe agevole fare esempi) dalla sola scadenza di un termine Iegi,sil.ativamente fissato per determinati adempimenti del legislatore, ,quando le preventivate norme non siano invece di fatto emanate. N� pu� non essere considerato che garantiTe ai singoli, in sede giuri sdizionale, l'osservanza degli obblighi assunti dallo Stato in sede interna 5 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 998 Tale motivo ,si articola in due propostizioni !Plrimarie: a) Quando le di.iS[loS!izioni de�l Tratta�to G.A.T.T. !P'l'evedono il.a prevalenza sul prindpfo di parit� tributaTia (da esso affenm1ato) della contraria leg;~Silazione nazdonale eventualmente vigente al 10 ottobre 1949, esse non possono che fa1r ~iferimento ad una J.egisit.azione che fosse in vigore a quella data e �sempTe �che e finch� essa fussie :rl1maista in wgoire; ogni quaJ. volta, invece, per qualis~asi motivo fosse venuto a �cesisare il vigore della contra<ria leg;i1sliazione naziona]e viiige:p.ite aJ.la data diel 10 otJtobire 1949, in quel momento sarebbe divenuto operante l'Obblligo s.ta,tuale d!i adeguaire la p<ropmia legislazione al precetto del TTattaito. b) In materia di p�mdotti medtcina1i, J.a ~eg;LsJ.afilone italiana vigente al 10 ottob!l'e 19149 e relativa ail trattamento tr�~butario era rostd.tuirta dal d.m. 9 febbraio 1949 (l.G.E. �con ail'iquota 1condensata diel 6 % all'atto de1la vendita fatta dal fubbricante o :produttore ded [xrodotti nazii-OnaU, aliquota condensata crel 10 % 1di I.G.E. all'impoctazdone per i iJ;J<rodotJtJ. esteri im(porta.ti); questo �d.m. per suo istesso espTesso d~osltlo, eira valid�' fino 1al 31 dicembre 1949 ed alla scadenza fu sostitUJito �Con i1l d.m. 17 dicembre 1949, �Che ripeteva analoga d~smpJ.ina di queJ.J.o precedente, e cosi via per g;Li amli successivi: ma tutti questi dec1reti, suc.ce1smvi a quelilo del 2iionale, significa in effetti privare .io Stato di forza contrattuale nei rapporti con gli altri Stati aderenti, impedendogli di condizionare la propria attivit� normativa di attuazione al comportamento degli altri Stati, ed imponendo1gli anzi, �COlll l'attribuire efficacia Tisolutiva alla sola legge di ratifica (rUevante invece anche nell'ambito dei. rapporti internazionali e di norma adottata, del resto, da tutti gU Stati aderenti), di emanare specifiche disposizioni legislative in contrasto con gli obblighi assunti in sede internazionale quante volte riteng.a di dover reagire ad eventuali inadempimenti di altri Stati. 7. -Per quanto concerne, in particolare, l'ad. II del G.A.T.T. (sulle quali si fondano le numerose domande volte ad ottenere la restituzione di somme corrisposte per diritti per i servizi amministrativi), la norma risulta in effetti espressione di un � impegno � deg.li Stati membri, rilevante nei l'apporti internazionali, .e la cui portata non � n� pu� essere modificata dalla sola le.gge di ratifica, senza la quale lo Stato non sarebbe vincolato� nemmeno nei rapporti internazionali; e se dovesse lo Stato considerarsi vincolato anche nei confronti dei singoli, per effetto dell'ordine di esecuzione, all'osservanza degli obblighi assunti in sede internazionale non si spiegherebbe la necessit�, inve.ce ravvisata da,l legislatore, di abolire il diritto di licenZJa (ritenuto incompatibile con la normativa G.A.T.T.) o di adottare la nuova tariffa doganale approvata, in attuazione degli impegni assunti, con il d.P.R. 7 luglio 1950, n. 442, co�nsi.derato che alla legge di ratifica dell'Accordo sd sarebbe dovuta riconoscere effi.oacia abrogativa del diritto di licenza (a quell'epoca pacifi.camente applicato ,e dscosso), e che la misura dei dazi consentiti sarebbe risultata calwlabile sulla base di norme deH'Accordo cMare ed incondi2iionate quanto quella in esame. In effetti, la norma dell'art. II del G.A.T.T. non pu� essere considerata avulsa dal complesso di norme nel quale � inser.Ua, e ritenuta quindi, in PARTE I, SEZ. li, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 999 febbliaio 1949, non erano vigenti al 10 ottobre 1949 e ;pe:rici�, a.hlorch� i!l legislatore 1italiano rese esecutivo dn Italia iil ~rnttato G.A.T.T. (19'50) non erano p1i� ope�ra.tivi le leggi tri�butarJ.e vigenti al 10 ottobre 1949, cwi. s'era riferita la clausola d'i riserva l!imitativa. Tal�e ragionamento, per�, ha una llogica solo apparente. Se, come riconoscono '1e :nicorrenti, iJ. de&eto del Ministro per le Fin1anze 9 febbl'aJ. o 1949 e quelili succes1sivi che 1o hanno :sostituito ahla scadenza sono atti ammindstrativi d.i no11mazione .seoondW'!ia, integrativi di atti no;rmativi prima.ri (disposizioni di le.gige, eSIPI'essamente autorizzanti l'integrazione per atti ammJ.n:Lstrativi, 0come l'art. 10 del d.l. 19 ottobre 1944, n. 348 e J.'art. 111. 7 gennaio 1949 n. 1, 1n aippllkaziione dei quali artdcolJi i decreti ministeriali suindl~cati sono stati emanati), non pu� sostener!sd. che fonte del trattamento �tributario differenziato tra '.P.rotdotti nazionalli � e :prodotti importati siano i decreti mirns.temaili, consli.derati a s�, senza co�Llegamento �con i provvedimenti leg.ils[ativi che 1l'emi1S1sdone di eissi hanno autorizzato : ci� al fine di 1aipplicare Ja clausola dli. rilSJerva ld.mitativia afferente a1l'applic1aziooe della .parte seconda dell'A!c1cordo generale, clausola contenuta nell'art. 1 del protocolllo �di Annecy -�seicondo� cui taJ.e quanto in s� per s� .chiara ed incondizionata, idonea ad attribuire diritti ai singoli; ed � nel �contesto dell'Aiccordo che si evidenzia la sua portata programmati.ca (o quanto meno il rilievo dell'impegno solo in sede internazionale), specialmente quando si consideri che numerose altre disposizioni contengono precetti chiari, precisi ed incondizionati (in tema di transito, valore in dogana, sanzioni pecuniari, restrizioni quantitative, aiuti alla produzione, ecc.) senza per �questo costituire, in foo-za deUa sola le.gge di ratifica, fonte di diritti soggettivi per i singoli (v., oltretutto, art. XXXV). 8. -Aippare superfluo, in questa sed.e, ricordare anaUticamente le note argomentazioni che hanno indotto la Corte di giustizia delle Comunit� europee, attraverso una valutazione globale delle .clausole deil G.A.T.T., ad escludere la possibilit� di riconoscere a tali .clausole portata di norme seifexecu. ting, idonee ad attribuire ai singoli diritti suscettibili di tutela in sede giurisdizionale. Va peraltro rilevato che ila sentenza 24 ottobre 1973, resa nella causa 9/73 (in questa Rassegna, 1974, I, 315) si riferisce proprio all'art. II, n. 1, lett. b, deJ G.A.T.T., a quella stessa disposizione, cio� in base alla quale si contesta la compatibilit� deHa legge 15 giugno 1950, n. 330 con la normativa G.A.T.T. In partkola;re, il giudice nazionale aveva in queUa occasione dubitato della legdttimit� dei regolamenti comunitari sul regime de~li importi compensativi, in quanto suscettibili di comp.ortare oneri all'importazione maggiori di queHi dei dazi consoUdati G.A.T.T. La Coil'te di giustizia, dopo aver Ticonosciuto che la validit� della normativa comunitaria pu� essere influenzata da una norma di diritto internazionale, ma � soltanto qualora detta norma sia vincollante per la ComunJ.t� ed attribuisca ai singoli cittadini di questa il diritto di esigerne giudizialmente l'o.sservanza �, ha espressamente ammesso che � ai sensi dell'art. II dell'Accordo Generaie, la concessione tariffaria in questione � vincofante RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1000 parte seconda dev'essere applikata in tutta li.a misura corrupiatiibile con La legisti.azione dii dascuno Stato aderente es1is:tente alJ:a data dello stesso Protocol!lo. Appare molto pi� �coerente �con 1i :pJ:'linC�!pi J:ogki e giu:ridicli. riferire la �locuzione � lieigiislazione �1Sliis:tente alla d!ata de1l Protocolilo � proprio aille leggi che, s.ia pure �conferendo al Minisko il compito di determinaire le aliquote in concreto appUciabi1i, hanno previ1sto in viia genera>le e 1come contenuto del s1stema di 1iimposizione J:a diis:c<l'1mli.nazione d!elile aliquote I.G.E. per i prodotti importati rispetto a quellii na2lional:i. A ipia<rte iil 1significato letterale del nome � legislazione � come il'dn:sieme d!eg1l.!i atti d!el potere J.egislatiivo che regoJ.ano l'attivit� de1lo Stato, d1egli enti, dei singol.!i con precetti muniiti di �sanziollli, nei oaiSI� in .cui la legge, com'� costituziOIIlalmente legittwo, �commetta al ,potere �1secutivo d:i de~rminare elementi, ipresupposti e limiti variamente indtviduahhlJ. di una prrestazione 1mponibile, &sando all'uopo i �criteT'i direttivi di base e le lililee generaH dell'es011cizio del potere determinativo, iJ. 1precetto e la relativa sanzione sono �gi� nella legge e 1Ie specificazioni �che es1S!i. <rkevono coJ. provvedltmento dli norma2lione secondaria �commessro iagl:i organi del potere esecutivo hanno efficacia dipendente e �condizionata da quella de�Lla Legge. Se, pertanto, questa dtspone che il potere detemntnativo dev'essere ese:mitato periodiciamente, �in modo che l'imposizione sia .succe:sisivamente per la Comunit� �; e gi� nelLa precedente sentenza, del resto, aveva statuito che �in tutti i casi in cui, in forza del trattato CEE, la Comunit� ha assunto dei poteri, gi� spettanti ag.U Stati membri, nell'ambito di applicazione del G.A.T.T., le disposizioni di questo sono vincolanti per la Comunit��. Nell'indagare sulla ricorrenza del secondo requisito richiesto, per�, la Corte di giustiz~a ha affermato, �secondo vaLutazfone gi� espressa nella precedente sentenza per il'art. XI dell'Accordo, che �l'art. II dell'Accordo Generale non attribuisce ai singo.U cittadini della Comunit� il diritto di esigerne giudizialmente l'osservanza �; ed ha di conseguenza escluso che la validit� dei regolamenti comunitari in discussione potesse assumersi compromessa dalle clausole del G.A.T.T. 9. -Risulta perci� evidente che la Corte di .giustizia a differente conclusione sarebbe pervenuta, quanto ialiLa validit� della normativa comunitaa" ia, se avesse ritenuto Je clausole del G.A.T.T. d:i portata self-executing; e poi.ch� 1a premessa deH'imipostazione � appunto il riconoscimento che la Comunit� � .subentrata ai singoli Stati membri negli obblighi da questi assunti, deve di conseguenza ritenersi che la Comunit� sarebbe obbligata anche nei confronti dei singoli ai .quali uno o .pi� Stati membri avessero gi� attribuito diritti soggettivi in base ahle clausole del GA.'�'.T., e che gli stessi regolamenti comunitari discussi ne1la causa 9/73 sarebbero illegittimi per quanto concerne i cittadini italiani, in quanto lesivi dei diirUti soggettivi ad essi attribuiti, secondo l'interpretazione dei giudici nazionali, dalla legge di ratifica del G.A.T.T. Queste le gravi conseguenze, neH'ordinamento comunitario, della denunciata divergenza di soluzioni, e non pu� non tenersene conto nella PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 1001 adeguata alle possibili variazioni degli eliementi dti ba,se, la modalit� temporail�e di efficacia deil. p1rovV'edimento determinativo non � 1oousa, a:l:la sica:denza, del velli�ir meno de1l'iintera diLS.ci.pil:ina nmmiativa; questa :rimane inalterata nel suo �contenuto di dilscipiHna 1che comrporta atti 1suc1ces1stirvi che rendano liquidabile l'obblig:azione trtibutarria, 1secondo i criiteTi. variabiili stabiliti nelJ.1a legge, rimaindando solo sosrpesa fino �alil.'emanazione del nuovo .provvedimento determinativo de.Jile aliquote. Ordunque, quando iJ. Protocollo d!i Annency specdfic� che J:a parte seconda dell'Accordo Generale di Ginevra potevia esser:e awWicata, dagli Stati aderenti, nella misura 'compatibile con la rtsrpettiva legisil.azione esilstente alla data del ProtocoJ.lo medesimo, si richiam� ane .leggi, dei singoli Stati aderenti con J.a clausola di riserva limitativa, che avevano posto imposizioni tributarie ed ai criteri di imposizione da esse disposti, non anche ai .provvedimenti determinativi delle aliquote variabili in apiPlkazione dei criteri ora detti. In linea ancor pi� ,generale, r anzi, sembra co~retto affermare �che li.a ammes:>a clausola di riserva limitativa sa1lvaguar:d'a hl collltenuto no!I'lllliativo sostanziaJ.e della legiis�l:azione vdgente ai1l:a data di rdtfel"imento, quale verifica del contrario orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione. La questione assume invero un rilievo di� non indifferente portata, sia perch� la normativa G.A.T.T. � oramai parte dell'ordinamento comunitario (e deve nell'iambito di tale ordinamento essere interp:retata), sia in quanto, comunque, la stessa .questi001e di principio non mancher� prima o poi di riproporsi, come gi� dinanzi al giudice tedesco, con sipecdfico riferimento alla normativa comunitaria; e non pu� evidentemente ammettersi che una stessa norma possa essere diversamente interpretata a seconda che la incompatibilit� dedotta dal singolo interessato sia riferita ad una norma interna o ad una norma comunita:ria. 10. -Per quanto concerne, in particolare, il diritto per i servizi amministrativi, la riJevanza comunitaria della questione risulta del resto ancora pi� evidente, per la incompatibilit� con la normativa comunitaria della inte�rpretazione della legge 24 giugno 1971, n. 447 fornita con la sentenza 21 ma�ggio 1973, n. 1455 della Corte di cassazione. Con tale decisione, invero, la legge 24 giugno 1971, n. 447 � stata intesa come rivolta ad abrogare il diritto per i servizi amministrativi negli scambi con i Paesi non aderenti al G.A.T.T., ma senza considerarsi che la legge si riferisce espressamente anche agli scambi intracomunitari, e quindi agli scambi con Paesi tutti aderenti al G.A.T.T.: rilievo utile a far affermare che l'indicata interpretazione (che conduce in effetti a �disapplicare� sia la legge 15 giugno 1950, n. 330 sia la legge 24 giugno 1971, n. 447) � in contrasto con la normativa comunitarda e con lo stesso criterio adottato dalle Sezioni unite del'l1a Corte di cassazione neilla sentenza 7 gennaio 1975, n. 10. Assume quindi rilievo, anche sotto questo profilo, la necessit�, in argomento, di una pronuncia pregiudi:zJiale di interp:retazione della Corte di giustizia delle Comunit� europee: richiesta intesa a dirimere una questione 1002 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO insieme di pvecetti che lo Stato aderente considera irrJnunziabili :per il proprio ordine giuridko : tale contenuto no.rmativo sostanzdaJe, presieinde dai mezzi di attuazione e di esecuzione di questo o di que1l ,precetto. Con riferimento alla specte, a1la daita del 10 ottobre 1949, l':imposfaione della I.G.E. sui prodotti. medtcinali ora rego:1ata, ol1tr:e che dalifa 1legge fondamentale del 1940, dal d.U. 19 ottobre 1944 n. 348, dalla legge 7 gennaio 1949 n. 1, dal d.l. 9 febbraio 1949 determdnativo delle ailiquorbe, ma il criterio di impos1izione a mezzo di aliquote differenziate tra p1rodotti importati e 1prodotti na2iionaili simila~i era g:i� dd�spo13lto nelile nonne legislative ora indk:ate e, per effetto della dausrnla di riiserva lim:itatirva dli cui trattasi, legittimamente � stato mantenuto anche oltre la data del 31 dicembre 1949, gforno di scadenza deUa validit� del detto d.m. 9 febbraio 1949. Naturalmente le. ricorventi 1contestano l'esattezza deill'a:ssuruto che il tvattamento differenziato, deteriore per H prodotto estero, di cui ai dd.mm. 9 febbraio 1949 e sucessivi, trovasse la rs1uia g,ius1tiificazione neHo stesso dtS!Posto dahl'art. 17 della legge n. 762 del 1940, dell'art. 40 del d.1.1. la cui rilevanza ai fini della dedsione, ai sensi dell'art. 177 del trattato di Roma, non pu� essere negata quando 1Si consideri che il quesito da rivolgere alla Corte di giustizia dovrebbe essere formulato al fine di conoscere se �le norme del trattato CEE .consentano ad uno Stato membro di attribuire alle clausole del G.A.T.T., sul territorio naziona:l.e, e sulla base delle norme interne, una portata ed una efficacia, nei confronti dei singoli, diverse da q_uelle riconosciute da tutti gli altri Stati membri e dalla Comunit� economica europea. 11. -La necessit� di investire della questione la Corte di giustizia delle Comunit� europee assume del resto rilievo anche sotto un ulteriore, autonomo, ed assmbente profilo. Le sopra riassunte consiiderazioni sembrano in effetti gi� sufficienti a consentire una autonoma verifica del precedente orientamento giurisprudenziale, e tali da condurre ad una interpretazione delle clauso1le del G.A.T.T. coerente con quella adottata in sede comunitaria; e ci� renderebbe possibile, secondo il consolidato e concorde indirizzo della dottrina e della giurisprudenza, una pronuncia sul'la questione senza preventivo interessamento della Corte di gtiustizia deUe Comunit� europee. Non pu� non essere ril:evato, tuttavia, che se a diverso avviso dovesse invece pervenirsi e ritenesse quindi la Corte dii cassazione di dover confermare la 1propria divergente mterpretazione sulla portata delle clausole del G.A.T.T., non altra altrnativa risulterebbe consentita se non quena di chiedere in argomento una ulteriore specifica pronuncia pregiudiziale di interpretazione alla Corte di giustizia delle Comunit� europee, discutendosi in effetti di una questione di diritto .comuil!itario, ed essendo il giudice nazionale d'ultima istanza obbligiato, ai sensi dell'art. 177, terzo comma, del trattato CEE, ad investire della que�stionc il giudice comunitario. 12. -Con dl trasferimento dei poteri attuato� con ii trattato CEE, l'istituzione dell'unione doganale prevista dagli artt. 12 e seguenti del Trattato, PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 1003 n. 348 del 1944 e dell'art. 11 della 1Legge n. 1 del 1'940 e sostengono che queste due ultime fonti normative non avrebbero ,conferito al Miniistro il potere di determinare aU:quote condensate iper i prodotti 1importati, tanto meno differenziate xdispeitto a quelle stabilite ;per i prodotti na:zionali. Mia i �Cennati decreti ministeriaJJi 1S10no 1srtati emessi In Viirt� del compito commeisso al Ministro daH'art. 11 deHa J.egl?Je 7 ,gennaio 1949 n. 1, che ha esteso alle entrate derivanti da1l commercio dei med'icina1i �la facolt� prevista dall'art. 10 del d.1.1. 19 ottobre 1944 n. 348 ai fini della determinazione degJ.i .s.peciali ,regimi di imposd.ziione de1l'I.G.E.; iMi 1contemplati �. Col definire 1in tal modo la facolt� ,conceSISla a11 Mi.n:ilstro, la norma ha .vibadito, interpretandolo, il 'contenuto d:e1l'a,rt. 10 del d.il. del 1944, nel senso che la facolt� 'conc~meva non :soilo la determdinazione del modo di �corre151Ponsiione dell'imposta (con ral?Jgua~o al volume de.gli affari o �con aliquote condensate ,iJn rapporto al ipvesunto numero degli atti economk.i imponibili), ma pi� in generale la dete�rminazione dli � spedali regimi di imposizione � deH'l.G.E., do� la determinazione in �concreto del 'Sistema dii tassazione da aip1plic1are in via ;pa�rticolare. Del ,resto, gd� dalla norma del 1944 questo contenuto apipaTiva chiaro, dato che, per akuni prodotti specificamente indicati, al crriteT:io normale ed il subingresso delLa Comunit� economica europea nei rapporti concernenti la normativa G.A.T.T., tale normativa � stata infatti recepita nell'ordinamento comunitardo e ne ,costituisce parte integrante; e nessun attuale auonomo rilievo � di conse,guenza possibile attribui!re ai "singoli provvedimenti nazionali, in ragione dei quali possano i ,giudici di ciascuno Stato membro assumersi competenti al:la interpretazione dell'Accordo. Come risulta daUa prassi internazionale e dalle stesse sentenze della Corte di giustizia delle Comunit� europee (v. pure oltre le decisioni gi� dtate, quelle rese nelle cause 10/62, Racc., 1962, 1, 14/69, Racc., 1969, 349, e 26/69, Racc., 1970, 565, sulla prevalenza del trattato CEE sulle convenzioni stipulate nell'ambito G.A.T.T. e sulla disciplina �fra la Comunit� e �i paesi terzi �), il fatto stesso che il G.A.T.T. vincolasse gi� tutti gli Stati membri della Comunit� economica europea e costituisse gi� una comune normativa nei rapporti con i Paesi terzi evidenzia invero la rilevanza del trasferimento dei poteri attuato nella materia doganale e tariffaria con la istituzione della Comunit� economica europea, ed esclude a priori che alla normativa G.A.T.T. possa attribuirsi, sulla base delle ipotesi divergenti disposizioni di diritto interno, una diversa portata in ciascuno Stato membro. In particolare, le leggi nazionali di ratifica e di esecuzione sono divenute necessariamente 1prive di una loro autonoma riilevanza ai fini i:n esame, e non possono costituire strumento che consenta al giudice nazionale una interpretazione rilevante oramai a livello comunitario; e quanto tale considerazione sia risolutiva subito si avverte, invero, quando si consideri che nessun potere � possibile riconoscere ai singoli Stati membri della Comunit� di denunciare l'Accordo G.A.T.T. o di abrogare i provvedimenti nazionali di ratifica e di esecuzione, risultando eventuali inizi1ative a tal fine rivolte prive di qualsiasi senso concreto, per essere RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1004 di app:liioazione dell'I.G.E., basato 1s:ull'1imposizione cli ciascun atto economico relativo al medesimo prodotto e s:igin.1i.ificativo di � entrata �, is'� sostituito il diverso siistema dell'aliquota condensata in :riapporto al numero presunto degli atti economki dmponibdil:i, 1cio� dell'aliquota uniica e .compJ.essiva per un'intera fase della ciil"C-Olazione dei beDI�: a tale fine era imprescindiibile l'attribuzione a;l Ministro del potere sia di 1stabild!re Ja fase da prendere in collllSliderazione, sia dii viailurtare il numero degJ.i atti economici che essa 'co~ortava e che a'Vevano fuilJZ)iione, di 'P["esupposto dell'imposizione, siia infine di ,stabiliire, in ra~iporto alfa struttura tecnica ed economica della fase presa in com;iidemziione, J.'aJiquota 'condensata di iimposta che si crileva1sse adeguata ri!Jipetto a quehle piarziaili � a cascata � applicabili ai 1singoli atti econom&ci secondo U orite'.I'io genera.ile. Quanto poi al potere di stabhlire aliquote condensate non solo per i prodotti nazionali ma ancihe per quelli imporrtati, taiLe ipote:re deve ritenersi attr:ibu:ito al Ministro in conseguenza del criterio di � 1coiI'Tdis1Pondenza ., stabilito dalla legge 19 giugno 1940 n. 762, tra iim,posta dovuta per la .cessione dei beni o ila :prestazione dei se!I"Vizi effiertJtuate nello Stato ed imposta (cosiddetta aJJ.'importazione) sulle meroi imporrtate daJll'estecro e dovute per il fatto obiettivo deH'dmportazione: �corriisipiondenza che impJ.foava l'esigenza sistematiica ,cli variare quest'ultima imposta in rela ciascuno Stato comunque tenuto ana osservanza della poUtica doganale, tariffaria e commerciale comunitaria, e non potendo di conseguenza violare gli obblighi assunti nell'ambito G.A.T.T. senza al tempo stesso violare quelli rilevanti nell'ordinamento comunitarrio. Di conseguenza, e per il fatto stesso che le trattative G.A.T.T. sono� ora gestite, nel comune interesse degli Stati membri, dalle Comunit� europee, non � consentito a1le autorit� nazionali dei singoli Stati membri, in esse comprese quelle giurisdizionali, di procedere ad una propria ed autonoma valutazione �sulla portata della normativa G.A.T.T., che deve ora essere necessariamente uniforme (a prescindere dai singoli provvedimenti nazionali a �Suo teffilPO adottati dai vari Stati rper l'adesione all'Accordo e per la sua ricezione nelil'orditnamento interno) in tutto il territorio delle Comunit� eurropee; ed iniziative in tale senso, ,quindi, si risolverebbero in una violazione del trattato CEE. 13. -In altri termini, la� Comunit� economica europea, nel subentrare negli obblighi assunti dagli Stati membri nell'ambito G.A.T.T., � divenuta titolare in proprio ed in esclusiva dei poteri in argomento prima spettanti ai �singoli Stati membri. Nell'ambito e nelil'esercizio di tale gestione la Comunit� ha ritenuto, attraverso la interpretazione della Corte di giustizia che le clausole del G.A.T.T. non .sono idonee ad attribuire ai singoli diritti che i giudici nazionali siano tenuti a tutelare e non possono per questo motivo compromettere la validit� della normativa comunitaria; e ci� nella premessa che le clausole del G.A.T.T, sono vincolanti per la Comunit�, nei confronti dei Paesi terzi e dei �Cittadini comunitari, negli ,stessi termini in cui erano :prima vincolati i singoli Stati membri. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 1005 zione aJla variazione dell'I.G.E. interna. Ma quesita corr�is;pcmdenza de11a imposta �sui prodotti importati a quella deihl'impoista 1sui p!l'odotti nazionali non .signifi.100/Vla pa:rit� di .imposdzfone; d due concetti s0010 diversi sia ne1l'indd�cazdone testuale �dei nomi, sia neUa 1srtruttura iintrmseca delle due sipecie di imposizioni: l'I.G.E. aUa imPortiazione non escludeva l'apipil.ica,., icme dell'I.G.E. sugli atti economicd. pOlsti in ess:eire nello Stato s:uiccessivao: nente al1l'importazione (anco:rich� .effettuati da filiaiLi, rappresentanti e depositari di ditte estere: e ci� a differenza dii quanto sit:aOO.lito per i pil'odotti nazionali, i di cui ipassag,gd d!al ;produttore a:i ll'awresentanti deposdtari non davano luogo ad entrata imponibhle) e peirci� sii poteva determinare un divairio tr:a �call'iico Lg.e. sui !Prodotti nazi�001al1i e �CaT>ico I.G.E. sui prodotti importati, essendo l'I.G.E. a11l'rimportazdone 1stabhlita in via largamente dfacll'ezionale o presuntiva dli adeguatezza. Ritenuto, dunque, che alla data del Protocollo di Annency la legisllazione italiana previedeva la discriminazione triobutarda tra pirodotti impotati e prodotti nazionali 'Similari quanto 1all'I.G.E., ilegittd.mamente taJ.e dtscricminazione � stata mantenuta anche dopo il'inserimento nell'Oll'd:dnamento italiano dei principi e diel\le norme dell'Aic1cortdo G.A.T.T. !in aipplicazione della cfausola di l'lilserva limitativa, I�ill viirt� deJ.ilia quale i principi di non preferenza protettiva peir i prodottd nazionali e di parit� di trattamento tributairfo tra essi ed i iprodotti impoirtati dovevano trovaTe In tale prospettiva, � evidente che nessun margine :residua (quaJ.e che sia la fattispecie da decidere) per autonome ed in ipotesi divergenti valutazioni delle autorit� nazionali dei singoli Stati membri; cos� come � evidente che gli stessi provvedimenti di diritto interno adottati in attuazione degli obblighi assunti con il G.A.T.T. sarebbero da intendere comunque abrogati dalla .successiva ed in ipotesi incompatibile normativa comunitaria: abrogazione .che sarebbe invece da escludeire, per invalidit� della normativa comunitaria, se le clausoJ.e del G.A.T.T. dovessero ritenersi� idonee ad attribuire, per effetto dell'ordine di esecuzione, di.ritti soggettivi ai singoili dttadini nazionali. 14. -Certamente, il giudice nazionale pu� dissentire dalla interpretazione in ipotesi gi� fornita dalla Corte di giustizia delle Comunit� europee relativamente a disposizioni di rilevanza comunitaria. Mentre per� ove a tale interpretazione intenda adeguarsi pu� il giudice nazionale prescindere dall'investire (nuovamente) della questione la Corte di giustizia, non pu� invece da tale preventivo interessamento astenersi, senza violare il trattato CEE, qualora ritenga �Censurabili le valutazioni espresse dal giudice comunitado; n� pu� del Testo escludere la competenza della Corte di giustizia per n carattere nazionale della norma in ragione del quale ritenga di poter valutare fa portata dell'Accordo internazionale, proprio 1per0ch� non � pi� ammissibile una gestione � nazionale � del G.A.T.T. e non pu� alla normativa dell'Accordo attribuirsi, sulla base delle norme di diritto inteirno, una portata diversa da quella riconosciuta rilevante in sede comunitaria. Non pu� non essere considerato, del resto, che se la rilevanza della normativa G.A.T.T. dovesse essere verificata con riferimento alle norme 1006 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO aippUoaziione com,patibilmente con la legfallazione (italiana) eststendo a:lla data del 10 ottoibre 1949, alla data c:io� del RrotocoLlo d:i Annency. La ricorrente sostiene poi, ne�l p:msieguo delle �censure contenute nell'unico motivo, che esattamente la Co!t'te dii. AppeLlo ha ritenuto che la parit� tributaria voluta �con il Trattato G.A.T.T. non dev'els1sere riferita a ciascuna imposta ma al cartco tributarto �CompJ.essivo incidente rispettdvamente sul prodotto importato e sul prodotto naziona1le s:irrni:lare: ma, a confutazione di quanto ritenuto dalla Corte d'Appeslfo, 1sostiene altres� �che nella comparazione desve liberamente valutairsd l'incidlooza dell'I.G.E. aLl'im,portazione, deill'I.G.E. per i fiatti economtci successivi a1l'iIT11Portazione e de1la imposita di conguaglio di cui aMa 1legge n. 570 del 1954, doviendosi eisdudesre �che l'I.G.E. alla importazdone e J.'imposta di conguaglio abbiano avuto, neU'intenzione manifestata dal legfa1latore, effkacdla ipeirequativa dell'imposizione sui prodotti importati a quelsla sui prodottii. nazionali, effic�aieia che l'interprete, �qual'� il g�udke, non potrebbe �sottoporre a riesame per stabilirne la 1corriispondenza ailla reale misura quantitativa dei ca11ichi tributari. Sul punto dlev'esse�re richiamata La giudsprudenza �contraria di queste Sezioni Unite, gi� riassunta .innanzi: il .giudice, quando 1J:1avviis1a che una legge da applicarie persegue .Jo scoi:po di adeguar�e H trattamento tributario, seicondo ap,positi or.iteri o misure, a.I fine dii elimina!t'e una ipos[zione che il legisilatore .conistderato di pregiudizio del ipTodotto nazionale rtsipetto a quello importato, deve applt1carie 1La legge, senza possibilit� dli accertare se il presuppolsto priegiuddzio sussistesse nella T'ealt� e senza di diritto interno, verrebbero in considerazione soltanto gli Stati contemplati nei protocolli e negli accordi di Annecy, di Torquay, di Ginevra del 7 giugno 1955, di Ginevra del 27 giugno, 25 luglio, 30 ��novembre 1955, e 18 aprile 1956, di Ginevra del 23 maggio 1956, e di Ginevra del 22 novembre 1958 (cfr., rispettivamente, leggi 5 aprile 1950, n. 295, 27 ottobre 1951, n. 1172, 14 aprile 1957, n. 356, 9 novembre 1957, n. 1164, 2 gennaio 1958, n. 25, e 12 agosto 1962, n. 1637), e soltanto i prodotti compresi nelle liste allegate a ciascun accordo o protocollo; e ci� in quanto nessun ulteriore provvedimento di diritto interno � intervenuto relativamente alle adesioni di altri Stati (oggetto, di norma, di specifici negoziati e accordi), e nessun ordine di esecuzione pu� relativamente a tali altri Stati ravvisarsi dal quale possano assumersi derivati diritti soggettivi dei singoli: rilievo che conferma la validit� della impostazione di principio sopra commentata (tanto pi� che la inapplicabilit� del diritto per i servizi amministrativi nei confronti degli altri Stati ora aderenti al G.A.T.T. non potrebbe certo desumersi dall'ordinamento comunitario, nell'ambito del quale la legittimit� dell'imposizione � stata riconosciuta anche negli scambi intracomunitari), e la cui rilevanza risulta ancora pi� evidente quando si consideri che sulla sola base dei provvedimenti di diritto interno dovrebbe escludersi l'applicabilit� del diritto per i servizi amministrativi anche per i prodotti importati dagli Stati che hanno medio PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 1007 1poter stabilire se i criteri o le misure adottate dal legis1atore siano o meno idonee a stabilire la perequazione di trattamento. Posto questo prinioipio, de�l resto molto ovvio, deve diTsi po1i innegabile �che .l'imposta di �conguaglio stabilita con la leg,ge de�l 1954 e � rapiportat: a alla imposta generale srulil'entrat:a che gli ste1s1si pTodotti (.cio� i prodotti industria1i importati da1'l'estei'o) avrebbe�ro asisolto durante la loro fabbrkazione in Italia � abbia avuto appunto ilo sc(l(po ili rendere eguale, per i 1prodotti �impO!rtati, il carko tributario LG.E. r:iisipetrto a queno incidente �sui beni prodotti in Italia; nessun'altra spiegazione � legittima, 1secondo il significato letterale, logico e .gfoiridko delle locuzioni ora �riportate. Il legislatore .italiano, che con la medesima legge di-spose la restituzione dell'I.G.E., sui prodotti esportati, nella sua sovrana valutazione si � reso conto che 1con eguale mezzo giuridiico i prodotti importati si presentavano generalmente sul mer.cato italiano p.i� favoriti, pel'ch� liberati dall'incidenza deLI'iimp01Sta sulle fasi della foro lavorazione all'estero ed ha inteso eliminare tale rag.ione di favore. Avendo anzi disposto che il diritto compensativo sulle importazioni cosi ~stituito doveva aggiunger.si all'imposta di cui all'art. 17 L 19 giugno 1940 n. 762 (cosiddetta I.G.E. all'importazione), i1l legislatore ha nello stesso tempo �ribadito il 1carattere perequativo anche dell'imposta ora detta, che gi� si ri:cava dal s�iisterna proprio della fogge del 1940. Bisogna anche aggiungere che, posto che il pirinc1iipio G.A.T.T. di parit� tributa.ria dev'essere riferito al trattamento tributario complessivo e non alla parit� delle singole imposte, com,porta cio� trattamento tributario quantitativamente eguale anche ls�e dsultante da imposte qualitativamente diverse, l'intera ilite appare ip�romossa, in concreto, e con tempore denunciato l'Accordo (come ad esempio la Cina, il Libano e la Siria; o le Filippine, che hanno nuovamente aderito solo dal 10 agosto 1973). 15. -Quanto al merito delle valutazioni adottate nelle tre sentenze in rassegna, ed in �particolare 1alle considerazioni con le quali � stata giustificata la persistente discriminazione nel trattamento tributario dei medicinali importati rispetto a quelli di produzione nazional,e, utili spunti sembrano potersene desumere quanto alla necesist� di tener presente, nel valutare la portata della clausola di riserva limitativa, non tanto lo specifico importo del tributo dovuto alla data del 10 ottobre 1949 su ciascun prodotto importato, quanto piuttosto il criterio impositivo differenziale rispetto a quello adottato per i prodotti nazionali: considerazione che dovrebbe risultare utile a giustificare, come si � gi� osservato commentando la sentenza 4 gennaio 1975, n. 2 (retro, I, 82, v. pa�g. 84, in nota, e pagg. 94 e segg.), la compatibilit� con l'art. IV del G.A.T.T. del d.iritto erariale su1le acqueviti importate, anche per quanto concerne le maggiorazioni disposte, per ovvie esigenze di adeguamento monetario, successivamente al 10 ottobre 1949. 16. -Da segnalare, infine, l'affermazione di principio, contenuta nella sentenza n. 3407, sulla diversit� della domanda volta ad ottenere il rimborso di quanto si assuma pagato in pi� per una determinata impost�a rispetto a RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1008 dotta nei vari gradi, su una base non con.ferente con la dlis1cli\.nlina giuridica appliicabile, potendo essere oggetto di tutela ;giurisdraionale non il rirnbomso di quanto 1si aissume ipagiato in !Pi� per questa o 1Petr que>Ha imposta II"el:ativa al prodotto importato, bens� iil di pi� pagato in riferimento a1l'im.porto com1Plessivo dei trrbuti diretti o mdi.retti grarvanti sulle due <:ategol'ie di prodotti e superiore quantitativamente rper queHi !�!m(portati. La Soc. Glaxo, ne1l'ulitima parte del ricorrso, pro[pon� wn';im(postazione della vertenza, a .suo parere, pi� seIIllpld�ce, precisamente a mezzo d!el collegamento tra l:a ,clausola della nazione !Pi� favorita 1prev:ista d!aHo accordo G.A.T.T. e wa d~ausola del prodotto nazionale prewsta dalilo airt. 7 del Trattato commerciale itafo-elvetico, ;relativo rpropriio ai prrodotti farmaceutici; fale norma avrebbe instaurato il trattamento pi� favorevole per l'importa2lione dei medLcinali ed avrebbe 1stabi1ito !l'assoluta pardt� tributaria tra i medici111ail.i importati e queilli nazionali. � sufficiente enunciarre la prO(posta [per doverla di'satt&JJdere, in quanto la nuova impo,sta.z.ione della ieaus:a comporta non solo un tOltale cambiamento dei profili giur.idid di essia, ma anche nuovi accertamenti di fatto, relativi appunto a quale sfa il trattamento pi� favorevolie che l'Italia ahbda stabiliito con altri Paesi per l'importaziooe dei prodotti medicinali. -(Omissis). quella diretta ad ottenere Ja restituzione di quanto pagato in pi� in violazione del principfo della parit� di trattamento, e quindi da valutare previo accertamento del carko fiscale complessivo gravante, rispettivamente, sul prodotto importato e su quello nazionale. � Perch� il giudice possa esplicare tale potere di accertamento -hanno infatti osservato J.e Sezioni unite -� necessario che la domanda giudiziale sia proposta col preciso contenuto che sia verificata J.a parit� globale nel s�nso indkato innanzi al fine di conseguire il rimborso non di ci� che si assume pagato in pi� per questa o per quell'imposta singolarmente indicata, bens� di quanto pagato in pi� in violazione del principio della paidt� globale. Non c'� rapporto di �Continenza, che presuppone una domanda di maggior contenuto nella qua1e possa intendersi compresa quella di minore portata, tra la domanda di rimborso per quanto pagato per i.g.e. o per imposta di conguaglio non dovuta e domanda di rimborso per quanto pagato in pi� xispetto� al carico tributario gJ.obale legittimo, concernente un determinato settore di produzione o di distribuzione di beni o di servizi. Si tr,att� invece di domande intrinsicamente <diverse sia per petitum, dato che l'oggetto del rimborso cambia radicalmente secondo che sia determinato in relazione alla singola imposta o in relazione al complesso delle imposizioni, sia per causa petendi stante che la illegittimit� della pretesa tributaria basata su ciascuna i~posta nulla ha di comune rcon quella xelativa ad un insieme di tributi diretti o indiretti incidenti in un determinato settore della vita economica e superiori quantitativamente ad un limite massimo prestabilito�. A. M. SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (*) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 maggio 1975, n. 1759 -Pres. Boccia -Rel. Corasaniti -P. M. Gentile (concl. conf.) -Azzi (avv.ti Guerra e Paneri) c. Comune di Torino (avv. Vecchione) e Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Giorgio Azzariti). Competenza e giurisdizione . Giurisdizione ordinaria e amministrativa � Urbanistica � Vincoli urbanistici senza indennizzo: giurisdizione dell'AGO � L. 19 novembre 1968 n. 1187: irretroattivit�. (I. 19 novembre 1968, n. 1187; I. 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 7, 40). Poich� l'art. 2 della legge 19 novembre 1968. n. 1187 -che stabilisce in cinque anni la durata massima dei vincoli urbanistici di piano regolatore generale su beni immobili determinati, in pendenza di approvazione del piano particolareggiato o di lottizzazione -indica nel momento della sua entrata in vigore l'inizio della decorrenza del suddetto termine quinquennale per i vincoli anteriormente imposti, deve ritenersi che i vincoli urbanistici, stabiiiti nei piani regolatori generali anteriori alla legge stessa siano stati imposti in forza di norme incostituzionali (e cio� ai sensi degli artt. 7 e 40 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, dichiarati incostituzionali con sentenza n. 55 del 1968 dalla Corte costituzionale in quanto imposti senza limiti di tempo, ossia integranti un'espropriazione senza indennizzo) e, pertanto, in difetto di potere dell'autoritd che li impose: da ci� consegue che l'azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno derivante dal provvedimento ablatorio rientra nella competenza giurisdizionale dell'AGO in quanto intesa alla tutela di un diritto soggettivo (1). (Omissis). -Con due distinti atti di citazione notificati in pari data Giuseppe Azzi convenne in giudizio davanti al Tribunale di Torino (1) L'importante decisione � in stretto collegamento con Cass. SS.UU., '7 maggio 1975 n. 1760 in questa Rassegna 1975, I, 3, pag. 6.S9. Vedansi, per interessanti notazioni, le considerazioni di G. DE FINA, Diritto all'indennit� del privato e potere espropriativo della P.A. nei procedimenti ablatori in Giust. civ. 1975, I, 1270. In dottrina cfr. MoDUGNo, Legge in generale; PATRONO, Legge (vicende delta), Enc. diritto, XXIII, 872 e 904. (*) Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha -collaborato anche l'avv. CARLO CARBONE. 1010 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO il Comune di Torino e I'Amministrazione statale dei lavori pubblici. Espose che un'area urbana di sua propriet� in Torino era stata assoggerttata a vari vincoli urbanistici: in particolare, col nuovo piano regolatore generale della dtt� di Torino approvato con decreto presidenziale 6 ottobre 1959 l'area era stata destinata in parte a mattatoio, in parte a fascia di arretramento costruzioni, in parte a sedime stradale; con la varianrte del piano regolatore approvata con decreto presidenziale 7 novembre 1963 l'area era stata destinata in parte a vierde pubblico, in parte a nuova strada, in parte a fascia di arretramento costruzioni; soggiunse che con decreto ministeriale del 15 giugno 1963 la stessa area era stata nella maggior parte vincolata per l'edilizia economicopopolare. Dedusse che per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 55 del 29 maggio 1968 -la quale ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale, per contrasto con l'art. 42 comma terzo della Costituzione, degli artt. 7, nn. 2, 3 e 4 e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica), nella parte in cui consentivano l'imposizione senza indennizzo su aree urbane di vincoli sostanzialmente espropriativi (cio� preordinati ad una espropriazione incerta e quando ovvero tali da importare l'inedificabilit� delle aree) a tempo indeterminato, imposizioni entrambe attuate sull'area di propriet� di esso istante prima col piano regolatore 6 ottobre 1959 e poi con la vari�nte approvata il 7 novembre 1963 -egli aveva diritto al risarcimento dei danni derivatigli dai vincoli anzidetti, diritto non escluso, o non escluso validamente dalla legge 19 novembre 1968, n. 1187, emanata per emendare le disposizioni della legge urbanistica dalla dichiar~ta illegittimit� costituzionale. Chiese pertanto, con uno degli atti di citazione, che fosse accertarta l'illegittimit� (rectius l'illiceit�) dei vincoli di cui ai decreti presidenziali 6 ottobre 1959 e 7 novembre 1963, con riferimento al tempo della loro emanazione al giorno antecedente l'entrata in vigore della legge n. 1187 del 1968 e che la Amministrazione comunale e la Amministrazione statale convenute -ad entrambe le quali erano imputabili gli strumenti urbanistici e quindi l'illecito con essi consumarto -fossero solidalmente condannate al risarcimento (c/o ad un indennizzo) per i danni prodotti dal tempo della rispettiva emanazione fino al 30 novembre 1968 (giorno antecedente quello di entrata in vigore della legge n. 1187 del 1968). E ci� previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di illegittimit� costituzionale della legge n. 1187 del 1968 qualora questa fosse interpretata come diretta ad escludere retroattivamente il diritto al risarcimento� dei danni prodotti nel periodo in parola. Con l'altro dei due atti di citazione l'Azzi chiese che, rimessa alla Corte Costii:tuzionale la questione di illegittimit� costituzionale della legge 19 novembre 1968 n. 1187 per contrasto con gli artt. 42 e 136 PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1011 della Costituzione, fosse, in caso di dichiarazione da parte della Corte Costituzionale della denunciata illegittimit� costituzionale, accertata dal giudice adito l'illiceit� dei vincoli e dei limiti come sopra imposti in riferimento anche al periodo successivo all'entra<ta in vigore della richiamata legge n. 1187 del 1968 e fossero solidalmente condannate le Amministrazioni convenute a risarcirgli i danni prodottisi per il detto periodo successivo. Le Pubbliche Amministrazioni convenute si costituirono in entrambi i giudizi e resistettero alla domanda. In ciascuno dei due giudizi il Tribunale rigett� la domanda. Su gravame dell'Azzi, la Corte d'Appello di Torino dichiar� invece la domanda improponibile per difetto di giurisdizione del giudice ordinario. L'Azzi ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria,. cui resistono il Comune di Torino con controricorso illustrato anche esso da memoria ed il Ministero dei Lavori pubblici con proprio controricorso. Motivi della decisione Il ricorso che qui si pre.de in esame � quello diretto contro la sentenza con la quale la Corte d'Appello di Torino ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda dell'odi�rno ricorrente Giuseppe Azzi avente per oggetto il risarcimento dei danni che egli assume a lui derivati -dai vincoli sostanzialmente espropriativi imposti ad un suo terreno dal Piano regolatore di Torino in base al combinato disposto degli artt. 7 e 40 della Legge urbanistica n. 1150 del 1942 dichiarato illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale n. 55 del 1968 -nel periodo anteriore all'entrata in vigore della legge n. 1187 del 1968, con la quale ai detti vincoli � stato appostlo un termine temporale. (Con distinta pronuncia viene in pari data deciso anche l'altro ricorso, diretto contro la sentenza con la quale la stessa Corte ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda dell'Azzi avente per oggetto il risarcimento dei danni a lui derivati dai detti vincoli nel periodo successivo alla entrata in vigore della legge n. 1187 del 1968). In particolare il ricorrente deduce che la Corte del merito ha errato in quanto ha riconosciuto efficacia retroattiva all'art. 2 della legge n. 1187 del 1968, ritenendo che questa consideri i vincoli sostanzialmente espropriativi di cui ai piani preesistenti come imposti ab origine nell'esercizio di un potere ablatorio esistente, e conseguentemente come interessi legittimi le situazioni giuridiche fatte valere RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rispetto a tali vincoli anche relativamente al tempo anteriore alla entrafa in vigore della legge stessa. Soggiunge il ricorrente che, se la Corte del merito avesse inteso negare consistenza di diritto soggettivo alla situazione giuridica da lui dedotta indipendentemente dalla ritenuta retroattivit� della legge n. 1187 del 1968, anche in tale ipotesi essa avrebbe errato, per non avere considerato che la dichiarazione di illegittimit� costituzionale (nella specie intervenuta con la sentenza CoI1te Cost. n. 55 del 1968) della legge attributiva alla P.A. di un potere ablatorio (nella specie la legge n. 1150 del 1942) restituisce alla situazione giuridica incisa dal provvedimento ablatorio emesso in base a quella legge e nell'esercizio di quel potere -da ritenere in fai caso mai attribuito alla P.A. -piena dignit� di diriitto soggettivo (motivo secondo). Per l'ipotesi, poi, che la legge n. 1187 del 1968 sia per essere ritenuta retroattiva, il ricorrente solleva questione di legittimit� costituzionale della legge stessa in quanto, velativamente ai Piani regolatori preesistenti, consentirebbe una durata complessiva dei vincoli (risultante dal cumulo della durata anteriore e di quella successiva alla entrata in vigore della legge) superiore al limite entro il quale, secondo il criterio di ragionevolezza adottato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 55 del 1968, i vincoli sostanzialmente espropriativi senza indennizzo dovrebbero essere contenuti perch� la loro previsione non integri violazione della Costituzione (motivo secondo). Premesso che, in questo giudizio, la questione di legittimit� costituzionale dena� legge n. 1187 del 1968, anche se riferiita alla sua retro. attivirt�, assumerebbe rilevanza soltanto se la legge stessa dovesse ritenersi retroattiva, ya riconosciuto che � pregiudiziale ed in pari tempo assorbente la questione interpretativa concernente tale retro attivit�~ Dalla soluzione della detta questione dipende se la situazione giuridica dedotta nel presente giudizio in riferimento ai danni derivati dai vincoli ablatori imposti fino alla entrata in vigore della nuo'Va legge debba definirsi di diritto soggettivo o di interesse legittimo col conseguente difetto di giurisdizione, nella seconda ipotesi, del giudice ordinario. A questo proposito, infatti, non pu� condividersi la affermazione della sentenza impugnata secondo la quale la detta situazione giuridica sarebbe in ogni caso di interesse legittimo per ci�, che I'Azzi, dolendosi di vincoli sostanzialmente espropriativi imposti senza indennizzo, avrebbe fatto valere lo scorretto esercizio e non gi� l'inesistenza del potere ablatorio. La affermazione, oltre a risentire della vietata tesi � della prospettazione �, si riannoda direttamente a quella secondo la quale la mancata attribuzione dell'indennizzo inciderebbe sul corretto .esercizio ma non anche sull'esistenza del potere ablatorio. Ma anche ! PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1013 tale seconda tesi, al pari della prima, va respinta, do'Vendosi ritenere che con la pre'Visione dell'indennizzo � posto un limite al potere espropriativo della Pubblica Amministrazione esclusivamente a garanzia dell'espropriato, e che l'osservanza del detto limite condiziona l'esistenza stessa del potere ablatorio mentre la mancata osservanza di esso incide su un diritto soggettivo (1569/70). Non � meno certo, poi, che se il limite cos� posto dalla stessa Costituzione sia rimosso con legge la quale in tal modo snaturi il diritto ad interesse legittimo -la dichiarazione di illegittimit� incostituzionale della legge importa che la situazione giuridica � restaurata pienamente nella sua originaria consistenza di diritto soggettivo (sentenze di questa Suprema Come numeri 556/67, 448/70, 1733/72, questa ultima costituente precedente specifico). La decisione dipende, pertanto dalla questione della retroattivit� della legge n. 1187 del 1968. E sarebbe -si badi -una retroattivit� in senso proprio. Se realmente operasse -cosi come la Corte del merito ha sostanzialmente ritenuto -nel senso di valutare i Piani regolatori preesistenti, per quel che riguarda i vincoli con essi imposti, come atti di esercizio, ora per allora, del potere nuovamente attribuito in luogo di quello palesatosi inesistente alla stregua della dichiarazione di illegittimit� costituzionale della norma attribuiti<Va, o comunque nel senso di conferire loro anche per il passato l'e:ffiertto proprio degli atti di esercizio di un potere e cosi attraesse ex tunc nell'orbita di un po,tere, convertendole in interessi legittimi, le situazioni giuridiche configurabili in relazione ai vincoli, la nuova legge, lungi dal limitarsi a regolare le conseguenze permanenti o ancora da prodursi di un fatto pregresso, inciderebbe addiriittura su questo qualificandolo anche per il passato (301/73, 858/69). Per giunta la nuova legge, se retroattiva, qualificherebbe il fatto pregresso, per il passato, in modo diametralmente opposto a quello in cui esso sarebbe stato da qualificare alla stregua dell'ordinamento come emendato dalla sentenza della Corte Costiituzionale (n. 55 del 1968), sicch� apparirebbe tesa a vanificare il risultato del giudizio di costituzionalit� e sol per questo di dubbia legittimit� costituzionale essa stessa (sent. Corte Cost. n. 88 del 1966). Concorrono, dunque, due ragioni per condurre l'indagine circa la retroattivit� della legge n. 1187/68 con particolare cautela: quclla che discende, in linea generale, dalla esistenza nel nostro ordinamento del principio, ancorch� non sancito costituzionalmente, di cui all'art. 11 delle disposizioni preliminari al nostro codice civile, e quella che deriva dal sospetto di illegittimit� costituzionale cui la retroattivit� sarebbe, nel caso concreto, esposta (con la conseguente operativit� del criterio ermeneutico secondo il quale ove una norma sia suscettibile di essere 1014 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO interpretata in due sensi, uno dei quali appaia conforme a Costituzione e l'altro no, va preferirta l'interpretazione nel primo dei due� sensi). Sicch� particolarmente opportuno appare il richiamo della difesa del ricorrente al criterio interpretativo enunciato da questa Col'te Suprema (977/68), secondo il quale la retroattivit�, orve non risulti espressamente affermata, pu� essere desunta ad opera dell'interprete soltanto dalla inetti:tudine della norma, cos� come � letteralmente formulata, a disporre per' il futuro. Valutando, alla stregua del detto criterio, la disposizione contenuta nell'art. 2 della legge n. 1187 del 1968 -in cui secondo la sentenza impugnata si concreterebbe l'efficacia retroattiva della legge� stessa -si perviene agevolmente alla conclusione che l'afi�ermazione della Corte del meri:ito non pu� essere condivisa. In. riferimento al comma primo del detto articolo 2 -il quale prevede che i vincoli di piano regolatore preordinati all'espropriazione o tali da importare� l'inedificabilit� perdano efficacia con lo scadere dei cinque anni senza che siano stati approvati i piani particolareggiati o autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati e in ogni caso, con lo scadere del termi. De di attuazione dei piani particolareggiati o di lottizzazione -stabilisce il comma secondo dello stesso articolo che per i piani regolatori approvati prima della entrata in vigore della legge, il termine di cinque anni decorre da tale data. Orbene, non pu� dirsi che la norma, per il solo fatto di riferirsi ai Piani regolatori preesistenti alla sua entrata in vigore, vada interpretata necessariamente nel senso che dispone per il passato: nel senso, cio�, dianzi chiarito, che consideri i Piani regolatori preesistenti, per quanto attiene ai vincoli con essi imposti, come manifestazioni ora per allora del potere ablatorio nuovamente attribuito o che comunque� conferisca loro, anche per il passato, l'effetto proprio delle manife-� stazioni di un potere, con conseguente degradazione ad interessi legittimi delle situazioni giuridiche da essi coinvolte. La norma, anzi, allorch� fissa una durata ai vincoli imposti con i Piani regolatori preesistenti cos� adeguandoli alla nuova disciplina _:_ in relazione alla quale so1itanto � attribuito il potere di imporre vincoli sostanzialmenteespropriatirvi -mostra di considerare i detti Piani, per quel che concerne i vincoli in parola -come manifestazioni di potere ablatorio operanti ex nun�, vale a dire che attribuisce loro soltanto a partire da oggi l'efficacia propria delle manifestazioni di potere ablatorio, tanto che fa decorrere la durata dei vincoli dal giorno della propria entrata in vigore. � dunque dallo stesso giorno che la norma imprime carattel'e di interessi legittimi alle situazioni giuridiche coinvolte dai detti Piani regolatori e dai vincoli con essi imposti. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. Str QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1015 La interpretazione della norma nel senso di ravvisarne la portata retroattiva non trova riscontro del resito neppure nei lavori preparatori. Nella Relazione alla Camera del proponente Ministro dei Lavori pubblici si manifesta preocc4pazione per l'arresto che, a seguito della decisione della Corte Costituzionale n. 55 del 1968, subisce a tutti i livelli la pianificazione in itinere e, prescindendosi espressamente dagli effetti della decisione &tessa (segno, questo, che il legislatore non ha inteso incidere su tali effetti) si dichiara l'intento di ricostituire il potere di imporre vincoli anche sostanzialmente espropriativi nel senso chiarito dalla Corte Costituzionale, -dei quali si prospetta la indispensabilit� per la stessa possibilit� di attuazione dei piani regolatori senza la previsione di indennizzo e pur al riparo da censure riferite alla violazione dell'art. 42 della Costituzione; si propone a tal fine, come necessaria e sufficiente, la misura normativa della prefissione ai detti vincoli di precisi limiti di durata e si esprime l'avviso che �nel nuovo sistema� caratterizzato da tale prefissione �diventano costituzionali� anche disposizioni sostanzialmente conformi a quelle travolte dalla decisione della Corte CosUtuzionale (avtt. 7 e 40 della legge urbanistica). In tale quadro la apposizione degli stessi limiti di durata ai vincoli imposti con i piani preesistenti, con decorrenza a partire dal giorno di entrata in vigore della legge, si presenta come preordinata non gi� a legittimare per il passaito gli atti di imposizione di vincoli bens� a recuperare la portata effettuale (con i limiti segnati dalla nuova disciplina) soltanto per l'avvenire, senza alcuna valutazione volta al passato che non sia, per questa parte, meramente storica ed ontologica. La esclusione della retroattivit� della norma impovta che il ricorso va accolto affermandosi la giurisdizione del giudice ordinario, senza che sia necessario 1esaminare, attesa la sua irrilevanza, la questione di incostituzionaliit� della legge, prospettata col ricorso stesso per l'ipotesi di ravvisata retroattivit� ed in riferimento a quest'ultima. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 12 giugno 1975, n. 2332 -Pres. Laporta -Rel. Vela -P'. M. Di Majo (concl. conf.) -Amministrazione Finanze Stato (avv. Stato Mataloni) c. Rondinara (avv. Panariti). Competenza e giurisdizione -Impiego pubblico -Esazione -Passaggio di gestione dall'appaltatore al Comune: status del personale -Iscrizione dei dipendenti nel quadro del personale delle imposte di consumo Giurisdizione amministrativa. (d.l.c.p.s. 13 gennaio 1927; n. 135, art. 1; d.P.R. 36 ottobre 1972, n. 649, articoli 8, 9). 1016 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Competenza e giurisdizione � Impiego pubblico � Iscrizione nel quadro del personale delle imposte di consumo � Diritto soggettivo: esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 649, artt. 8, 9). In caso di trasferimento del servizio di riscossione delle imposte comunali da appalto a gestione diretta, del personale nominato dall'appaltatore continua con il Comune un rapporto 'd'impiego di natura privatistica, con conseguente giurisdizione deU'AGO; invece con l'iscrizione nei quadro speciale ad esaurimento previsto dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 649, i d~pendenti delle cessate gestioni di imposte di consumo sono assunti dal Ministero delle Finanze con un rapporto di pubblico impiego, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo (1). Nel procedimento precedente all'iscrizione dei dipendenti delle cessate gestioni di imposte di consumo nei quadro speciale ad esaurimento previsto dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 649, � rimesso alla P.A. l'accertamento del possesso, nei privato, di determinati requisiti, necessari all'acquisizione di uno status; ci� implica attribuzione di potere pubblico regolato da norma d'azione, rispetto al quale non sono ipotizzabili diritti soggettivi perfetti; conseguentemente, anche se i citati provvedimenti rimuovono limiti all'esercizio di diritti, finch� essi non siano emanati, quei diritti sono inattivi ed ai relativi titolari pu� riconoscersi soltanto l'interesse legittimo al tempestivo e corretto uso del potere da parte della P.A. (2). (Omissis). -Premesso che tanto il rapporto che viene a costituirsi tra il personale delle abolite imposte di consumo e lo Stato, per effetto dell'iscrizione nel quadro speciale previsto dagli amt. 8 e 9 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 649 quando quello, provvisorio, derivante dall'assunzione temporanea in servizio del predetto personale, contemplata nell'art. 19, quarto comma, dello stesso decveto, sono rapporti nuovi rispetto al rappomo intercorso con i precedenti datori di lavoro e presentano i connotati del pubblico impiego, l'Amministrazione ricorrente sostiene che soltanto al giudice amministrativo spetta conoscere di qualunque provvedimento (anche nella forma del silenzio-rifiuto) concernente le predette assunzioni, secondo gli artt. 2, 3, 4 ed (eventualmente) 7 1. 6 dicembre 1971 n. 1034 e dell'art. 26 ed (eventualmente) 29 n. 1 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054. Ci� perch� non sono configurabili posizioni di diritto soggettivo in ordine alla costituzione di rapporti di impiego pubblico. (1-2) Si pubblica integralmente l'interessante decisione che risolve, a qu~nto consta, questioni non dibattute precedentemente. Sulla prima parte della massima, comunque, cfr. Cass. 20 febbraio 1970 n. 390 in Giust. civ. 1970, I, 516. Ulteriori richiami, specie dottrinari, sono altresi riportati in Giust. civ. 1975, I, 1670. I I I ~~..,~ PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1017 Codesta impostazione viene poi completata e meglio precisata nella memoria illustrativa, ove� tra l'altro si aggiunge che. anche le norme �stabilite per far luogo all'iscrizione nel quadro speciale appaiono chiaramente indicative nel senso di voler dar vita ad un procedimento che, a prescindere da sue peculiarit�,-non si differenzia da un qualsiasi altro procedimento amministrativo inteso all'assunzione o all'inquadrament.o di personale nel campo del pubblico impiego al di fuori delle normali procedure concorsuali, e quindi soggetto alle �garanzie giurisdizionali proprie di tali procedimenti�. Il ricorso � pienamente fondato. Nei confronti dell'Amministrazione finanziaria il sig. Rondinara ha specificatamente chiesto al Tribunale di �dichiarare e statuire� che egli �ha diritto ai sensi degli artt. 8 e 9 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 649, all'iscrizione .nel quadro speciale ad esaurimento istituito presso il Ministero delle Finanze per il personale delle abolite imposte di consumo, a far tempo dal 1� gennaio 1973 o, in subordine, alla data di notifica del presente atto, o da quella ritenuta di giustizia�. Ma la posizione giuridica di cui l'attore chiede l'accertamento non � attualmente configurabile come diritto soggettivo perfetto e ci� significa che manca la condizione essenziale per promuovere l'azione (art. 2 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E). Non � sostenibile che il passaggio al servizio dello Stato dei dipendenti di gestioni di imposte di consumo, disciplinato in attuazione della delega contenuta nell'art. 13 1. 9 ottobre 1<971 n. 825, dal d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 649, presenta le stesse caratteristiche del passaggio dei dipendenti medesimi al servizio dei comuni, il quale avveniva in ottemperanza all'art. 3 d.l.C.P.S. 31 gennaio 1947 n. 135. Basta, per avere dimostrazione dell'errore, porre a confronto i due decreti. Con quello del 1947 si prescrisse espressamente che il personale avrebbe conservato � alle dipendenze del Comune lo stato giuridico derivante dal rapporto di impiego privato e la posizione acquisita alle dipendenze dell'appaltatore�, con relativa posizione previdenziale, tanto che si previde l'automatica estensione al detto personale di ogni modifica del traittamento giuridico, economico e previdenziale applicata in futuro nei riguardi del personale dipendente dagli appaltatori privati; n� si dubit� mai, in quanto derivava dalla ragione stessa del tras:furimento (assunzione diretta, da parte dei comuni, del servizio di esazione), che gli impiegati continuavano a svolgere le stesse mansioni gi� espletate per quegli appaltatori. Con il decreto del 1972, invece, mentre il trattamento previdenziale non ha subito modifiche, la posizione economica acquisita � staita soltanto considerata la base della retribuzione che avrebbe corrisposto lo Stato, giusta l'espressa previsione in tal senso della delega di cui al cit. art. 13 della legge n. 825 1018 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del 1971; le successive progressioni sono state disciplinate in modo nuovo (artt. 13 e 15). Inoltre, � stato disposto che il personale sarebbe stato utilizzato �per le esigenze degli uffici centrali e periferici del Ministero delle finanze, nonch� per le esigenze delle ricevitorie del lotto e delle segreterie delle commissioni tributarie� (art. 16), ossia in compiti diversi da quelli precedenti (i quali non potevano essere pi� svolti, essendo state soppresse le imposte di consumo). A tutto ci� va aggiunto il fondamentale rilievo che mentre il decreto del 1947 sottoponeva il trasferimento degli impiegati alle sole condizioni dell'anzianit� dei medesimi di almeno un a,nno e dell'assunzione diretta, da parte dei comuni, della gestione dei dazi, il decreto del 1972 ha stabilito una speciale procedura d'accertament� dei presupposti, da svolgersi, a seguito di presentazione di tempestiva domanda, presso un'apposita commissione. Mancano, dunque, nella fattispecie delineata nel secondo decreto, proprio gli elementi, quali l'abnorme forma di costituzione del rapporto col comune e la conservazione integrale del precedente stato giuridico ed economico e della precedente disciplina, che hanno indotto questa Corte a ravvisare in quella delineata dal primo decreto una prosecuzione dello stesso rapporto di impiego privato e quindi la giurisdizione ordinaria sulle controversie che ne derivavano (SS.UU. 1 20 febbraio 1970 n. 390; 7 luglio 1967 n. 1575; 28 gennaio 1956 n. 237; l� aprile 1953 nn. 887 ed 889; 8 agosto 1952 n. 2591). Ed ove si riflettta che, nel nuovo rapporto, datore di lavoro � lo stato, che oggetto ne � lo svolgimento di attirvit� pubbliche fino al raggiungimento dell'et� minima per il collocamento a riposo, che l'impiegato � assunto a seguito di formali provvedimenti amministrativi (lettera di assegnazione provvisoria dell'intendente di finanza e poi iscrizione nel quadro speciale); che egli viene inserito in un'apposita organizzazione del Ministero delle finanze; che, infine, sono del tutto eccezionali i casi di rapporti di lavoro privati con le amministrazioni statali, si avr� chiara la conclusione che trattasi ora di vero e proprio impiego pubblico. Fin qui, peraltro, si � dimostrato solo l'errore della ,tesi dell'attore, impostata soltanto sulla parificazione tra i due trasferimenti, e, per converso, l'esattezza dei rilievi che le ha mosso l'Avvocatura erariale: la questione di giurisdizione non pu� considerarsi risolta compiutamente, in quanto Rondinara non fa valere pretese derivanti da un rapporto gi� costituito, ma sostiene di avere diritto alla costituzione di tale rapporto. N�, per quanto del tutto eccezionale, un'ipotesi del genere pu� escludersi �a priori�. Senonch�, essa sarebbe prospettabile se, come avveniva nel comune il quale avesse assunto in proprio il servizio esattoriale, lo Stato fosse PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1019 :stato tenuto ad iscrivere l'impiegato �net quadro speciale per il solo iatto della cessazione del precedente �mpiego. Invece, si � gi� accennato che l'iscrizione � l'atto finale di una procedura d'accertamento seguita da un'apposita commissione. Occorreva, infatti, che ciascun interessato avesse fatto pervenire una domanda all'intendente di finanza entro il termine fissato dall'art. 19, primo comma, del decreto n. 649 (la cui esistenza � stranamente contestata dalla difesa di Rondinara), insieme ad una certificazione del datore di lavoro; sulla base di fali atti, mentre l'intendente assegnaiva provvisoriamente ad un ufficio l'impiegato, la commissione ne esami. nava la precedente posizione giuridica, secondo i criteri dettati nei primi due commi dell'art. 9 e poi, se l'indagine avesse dimostrato l'esi. stenza delle prescritte condizioni, avrebbe proposto al Ministro l'iscrizione, seguendo �l'ordine progressivo delle singole qualifiche in relazione all'anzianit� di servizio di ciascuna unit� di personale e, nei casi di pari anzianit�, all'et�� (art. 19, ultimo comma). Infine, contro il provvedimento di iscrizione, costitutivo, come s'� appena visto, anche della qualifica e dell'anzianit� dell'impiegato, e contro il provvedimento di reiezione della domanda, gli interessati possono proporre, nel termine di trenta giorni dalla daita della comunicazione... opposizione al Ministro per le Finanze, che decide in via definitiva�. Di fronte a questo sistema, pu� anche dirsi che l'Amministrazione non abbia alcun potere discrezionale di valutazione in ordine ai presupposti dell'iscrizione, la quale, pertanto, si configura come un provvedimento vincolato, in presenza di quei presupposti. Ma con ci� non si � apportato alcun argomento decisivo per ravvisare in capo all'ex impiegato delle esattorie di imposte di consumo un diritto soggettivo perfetto ad ottenerla. L'affidamento alla pubblica amministrazione del compito di accertare il possesso, da parte del privato, di determinati requisiti, necessal'i per fargli acquisire uno �status� (nel che consiste l'assunzione all'impiego) o svolgere una certa attivit�, implica attribuzione di potere pubblico, regolato da norme d'azione ed estrinsecantesi in provvedimenti, rispetto al quale non sono concepibili situazioni di diritto soggettivo. Di conseguenza, pur se codesti provvedimenti rimuovono limiti all'esercizio di diritti, resta il fatto che finch� essi non siano emanati, quei diritti sono inattivi (perci� da alcuni si parla di diritti fievoli � ab origine � o in attesa di espansione) ed ai relativi titolari non altro � dato riconoscere se non l'interesse legittimo al tempestivo e corretto uso del potere dell'autorit� amministrativa. Cos� inquadrata la fattispecie, deve concludersi che non solo l'accertamento preteso dall'attore indurrebbe ad un'indebita sostitu: zione dell'autorit� giudiziaria ordinaria in un'attivit� riservata alla 1020 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pubblica amministrazione (il che sarebbe in contrasto con l'art. 4 I. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E), ma, e ancor prima di ci�, sarebbe direitto a tutelare un interesse legittimo, innanzi alla predetta autorit�, in .contrasto con l'art. 2 di tale legge. Va dunque, dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. -(Omissis). CORT�E DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 agosto 1975, n. 2979 -Pres. Laporta -Rel. Simoncelli -P. M. Pedace (concl. conf.) -Amministrazione della Presidenza della Repubblica (avv. Stato Chiarotti) c. Cardone (avv.ti Miranda e Colombari). CompetellZa e giurisdizione � Dipendenti della Presidenza della Repubblica � Giurisdizione del giudice amministrativo. (1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, artt. 4 e 5; r.d. 26 giugno 1924, n. 2058, art. 29). I rapporti d'impiego pubblico intercorrenti con l'amministrazione della Presidenza della Repubblica sono soggetti alle regole ordinarie sul riparto delle giurisdizioni e pertanto le relative controversie rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo (1). (Omissis). -Col primo motivo della sua istanza, l'Amministrazione della Presidenza della Repubblica sostiene -con riferimento all'art. 87 della Costituzione e degli artt. 3 e 4 della legge 9 agosto 1948 -n. 1077 -che la controversia proposta dal Cardone (avente ad oggetto l'accertamento della pretesa costituzione di un rapporto di impiego da parte della Presidenza della Repubblica) debba essere ritenuta sottratta a qualsiasi giurisdizione, ordinaria o amministrativa, in base al principio della cosiddetta � autodichia � (sinonimo di � autogiustizia �, �giustizia autonoma� o �giustizia interna�), per la quale susciterebbe -ad avviso della ri�orrente -l'insindacabilit�, in ogni caso,. (1) La Suprema Corte ha deciso l'importante controversia tenendo presenti i noti elementi essenziali del rapporto di pubblico impiego ed interpretando il nostro ordinamento nel senso che, in linea, generale, non sia configurabile n princiipio secondo cui gli organi di rango costituzionale decidono da s� le controversie insorte con i propri dipendenti (c. d. autodichia). Per un pi� appirofondito esame dottrinario e giurisprudenziale dei due accennati profili, cfr. GIUSEPPE DE FINA, Rapporto d'impiego pubblico, in particolare, per i dipendenti della Presidenza della Repubblica,. in Giust. civ. 1975, I, 1602. ' PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE �1021 �da parte di alcun estraneo organo. giurisdizionale�, degli atti che provengono dagli organi supremi dello Stato, e in particolare degli atti relativi al rapporto d'impiego dei dipendenti dei supremi organi costituzionali. L'Amministrazione ricorrente soggiunge che I'� autodichia � � istituto ben noto all'ordinamento, il quale affonda le sue radici in una tradizione giuridica e politica fondata sull'esigenza dell'indipendenza, comune agli organi costituzionali; e, facendo espresso riferimento -per quanto concerne il rapporto d'impiego dei dipendenti dai supremi organi costituzionali -alla deroga alla giurisdizione di un organo esterno prevista, da apposite norme, nei confronti del personale della Corte dei Conti (artt. 3, primo comma, e 65 del t.u. n. 1214 del 1934), della Camera dei deputati (art. 12, terzo comma, del reg.� 18 febbraio 1971, in G.U. 1� marzo 1971 s.o.), del Senato (art. 12, primo comma, del reg. 17 febbraio 1971, in G.U. cit.) e della Corte Costituzionale (arit. 14, terzo comma, della legge 11 febbraio 1953, n. 87, mod. dall'art. 4 della legge 18 marzo 1958, n. 265; e reg. 8 aprile 1960), conclude che la deroga deve essere analogamente riconosciuta nei confronti del personale dipendente dalla Presidenza della Repubblica, indipendentemente da ogni specifica disciplina, non potendosi ravvisare alcuna necessit� di norme di dettaglio, come richiesta nei riguardi degli organi collegiali innanzi indicati, quando la �decisione giustiziale � debba essere emessa da un organo a composizione monocratica, e, in particolare dal Capo dello Stato. La tesi della ricorrente � infondata, essendo manifestamente in contrasto coi principi di diritto desumibili dall'intero sistema costituzionale. Nessuna norma della Costituzione, invero, statuisce l'insindacabilit� in sede giurisdizionale degli atti amministrativi emanati dagli organi cosiddetti �costituzionali�, �primari� o �supremi� dello Stato, n�, tanto. meno, attribuisce a itali organi alcun potere di � autogiustizia � o di � autodichia � (che risponderebbe, del resto, ad orientamenti politico- sociali incompatibili con la concezione di uno Stato repubblicano moderno, in cui �� la sovranit� appal'tiene al popolo �); mentre sono numerose le norme che, garantendo a tutti i cittadini indistintamente la tutela dei loro diritti o interessi legittimi davanti a giudici indipendenti (artt. 24, 105, 108, 113), dimostrano che in nessun caso il sistema consente che a particolari categorie di cittadini (e quindi -per ci� che interessa la fattispecie -al personale impiegato alle dipendenze di organi � costituzionali � o � primari �) possa restare precluso, in via di principio, il potere di disporre degli ordinari strumenti di giustizia: interpretazione, questa, che risponde esattamente ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 44 del 16 maggio 1968, 1022 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1a quale, dopo avere affermato, tra l'altro, che il sistema vigenite non esclude la possibilit� di �assoggettamento al controllo giurisdizionale di atti provenienti da organi indubbiamente costituzionali�, ha giudieato � inesatto � il rilievo, se formulato solo genericamente, che sia � vana impresa cercare un giudice idoneo a conoscere degli atti degli organi primari dello Stato�. Se, dunque, la prospettata tesi dell'� auto- dichia �, lungi dal trovare conforto nel sistema costituzionale vigente, � chiaramente contraddetta dallo stesso sistema, appare del tutto irrilevante, ai fini della questione di giurisdizione della quale trattasi, il riferimento -fatto dalla ricorrente -alle specifiche norme dettate da leggi o da regolamenti in tema di controversie del personale dipen< lente da determinati organi costiituzionali, quali la Camera dei deputati, il Senato e la Corte Costituzionale, poich� -a prescindere da -0gni altra considerazione -le norme anzidette, proprio perch� dettate, con manifesto carattere di eccezionalit�, con riguardo specifico a singoli organi, non valgono all'affermazione di un principio implicitamente negato dalla Costiituzione, n� tanto meno, sono suscettibili di applicazione oltre i casi in esse considerati. Giova osservare, ad ogni modo, che non a ragione la difesa del1' Amministrazione ricorrente, nel prospettare il difetto assoluto di giurisdizione sotto il profilo dell'� autodichia � dell'organo interessato alla �controversia proposta dal prof. Cardone, richiama le prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica. Ed invero, poich�, ai sensi dell'art. 3 della legge 9 agosto 1948 n. 1077, nonch� del vigente regolamento interno sullo stato giuridico ed economico del personale del Segretario generale dell� Presidenza della Repubblica, emanato con decreto presidenziale del 19 novembre 1968 il personale medesimo dipende esclusivamente dal Segretario Generale, � fuori dubbio che nella controversia concernente il dedotto rapporito d'impiego con lAmministrazione della Presidenza della Repubblica non viene affatto in questione l'esercizio della funzione presidenziale, s� che si possa fondatamente ipotizzare una qualsiasi inter: ferenza (di per s� inammissibile) del potere giurisdizionale nella funzione propria del Capo dello Stato, ma � interessata soltanto l'attivit� del Segretario, la quale, avendo carattere solo strumentale rispetto all'espletamento della funzione presidenziale, non pu� non essere considerata attivit� meramente amministrativa. � appena il caso di aggiungere, a dimostrazione dell'infondatezza del primo motivo del ricorso, che neanche il citato regolamento del personale del Segretario Generale contiene alcuna disposizione circa i modi di �tutela del personale, n�, tanto meno, prevede alcun organo cui il personale stesso debba rivolgere eventuali reclami avverso atti che ritenga lesivi dei propri diritti o interessi: il che sta a significare PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1023 l'assenza di qualsiasi esclusione del personale del quale trattasi dal potere di far ricorso agli ordinari strumenti di giustizia, tanto pi� che lo stesso testo normativo fa espresso riferimento, per quanto da esso non contemplaito, alle norme che regolano lo stato giuridico del per. sonale civile dello Stato. Ugualmente infondato � il secondo motivo dell'istanza, con cui I'Amministrazione ricorrente ribadisce, sotto un diverso profilo, la tesi del difetto assoluto di giurisdizione, deducendo che, poich� il regolamento del personale addetto alla Presidenza della Repubblica non prevede posti di sanitario in organico e poich� al prof. Cardone fu conferiito, in concreto, con provvedimento del 10 marzo 1954, solo un incarico professionale � con esclusione di ogni rapporto d'impiego � (come fu precisato nella lettera di affidamento dell'incarico), il rap. POl'to prospettato col ricorso al Pretore di Roma del 21 dicembre 1973 non sarebbe, in realt�, configurabile; e mancherebbe, di conseguenza, il giudice idoneo a conoscere della relativa controversia. La domanda del Cardone, in altri termini, �ipotizza�, secondo la testuale precisazione della ricorrente, �un certo rapporto giuridico, da cui pretende trarne certe conseguenze, che non esiste, che non pu� esistere sia per i termini in cui quel rapporto � insorto, sia per il contenuto del regolamento che lo dovrebbe disciplinare, che non ha un -Organico di sanitari�. Giova, in primo luogo, osservare che, ai fini della configurabilit� del rappovto di pubblico impiego, la quale -si noti -deve essere -qui valutata solo in astratto, itrattandosi di regolamento di giurisdizione, non � elemento di per s� negativo la dedotta inesistenza del posto di sanitario nel ruolo organico del personale dipendente dal1' Amministrazione evocata in giudizio. In proposito, questa Covte a S.U. ha avuto pi� volrte occasione di affermare (V., fra le altre, le sentenze 11 marzo 1974 n. 628, 7 novembre 1973 n. 2899 e 21 giugno 1969) che gli elementi essenziali del rapporto di pubblico impiego :sono, oltre alla natura di ente pubblico del datore di lavoro, l'atto formale di nomina del dipenderne e la continuit� della prestazione, da parte dello stesso, di un'attivit� correlata ai fini istituzionali dell'ente, con diritto a retribuzione e con vincolo di subordinazione; mentre il rapporto medesimo non resta escluso dalla circostanza che il dipendente sia stato destinato ad un posto non di ruolo, ovvero ad un posto non contemplato in organico. N�, in secondo luogo, ai fini della pretesa esclusione della possibilit� di configurare, nella fattispecie, un rapporto di pubblico impiego, pu� valere la riferita precisazione, contenuta nella lettera di nomina del Cardone, circa la definizione giuridica da darsi al rapporto. Anche per ci� che riguarda tale circostanza, infatti, questa Corte Suprema 1024 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ha costantemente affermato (V., tra le tante, le sentenze 7 novembre 1973, n. 2899, 21 giugno 1969 n. 2202 e 26 maggio 1969 n. 1861) che non � il nomen iuris attribuito dall'ente all'incarico, ma il contenuto sostanziale del rapporto che da questo deriva, l'elemento che vale a stabilire l'effeittiva natura giuridica del rapporto medesimo; e che, pertanto, ben si pu� ravvisare la nomina formale indispensabile alla configurazione del rapporto di pubblico impiego nell'atto in cui, pur negandosi l'intento di costituire un tale rapporto, sia contenwto, nella sostanza, l'affidamento di compiti o mansioni che possano essere esplefati solo attraverso un effettivo inserimento del soggetto incaricato nell'organizzazione dell'erute. Orbene, se -tenuto conto delle considerazioni che precedono non � dato revocare in dubbio che, col ricorso al Pretore del 21 dicembre 1973, il Cardone, nel formulare la sua domanda ha indicato la causa petendi con riferimento a circostanze di fatto che integrano tutti gli elementi essenziali dell'impiego pubblico innanzi menzionati (natura di pubblica amministrazione della datrice di lavoro; affidamento al lavoratore, con atto formale di nomina, di compiti rispondenti ad ordinarie esigenze dell'amministrazione stessa; ed espletamento, con carattere di continuit�, di itali compiti, fin dall'aprile del 1953, dietro retribuzione e con vincolo di subordinazione), � chiaro, che, essendosi prospettato, -a giustificazione della pretesa 'un rapporto di pubblico impiego, la competenza giurisdizionale a conoscere della relativa controversia appartiene al giudice amministrativo, cui � demandante, in via esclusiva, il contenzioso in materia: e in questi sensi � fondato il terzo motivo dell'istanza, proposto dall'Amministrazione ricorrente in via subordinata. Giov�a precisare, a questo punto, che erroneamenite la difesa del Cardone sostiene che la controversia debba essere attribuita alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario (e quindi del Pretore), in virt� della nuova disciplina del processo del lavoro, introdotta dalla legge 11 agosto 1973 n. 533. La citata legge, infatti, non prevede alcuna . modifica dei princip� relativi alla ripartizione della giurisdizione in materia di rapporto d'impiego: e ci� � chiaramente dimostrato dal nuovo testo, in essa contenuto, dell'art. 409 n. 5 c.p.c., il quale, ribadendo, nella sostanza, la disposizione dell'abrogato art. 429 n. 4 c.p.c., lascia immutata la esclusione dal rito del lavoro, e quindi dalla giurisdizione ordinaria, delle controversie relative a rapporti di lavoro pubblico � devoluti dalla legge ad altro giudice�. E tale interpretazione, peraltro, trova conforto nella formulazione dell'art. 11 della stessa legge, relativo alla disciplina del patrocinio a carico dello Stato, l� dove la norma, distinguendo esplicitamente tra �controversie di cui agli artt. 409 e 442 PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 1025 del codice di procedura civile � e controversie � concernenti il rapporto di lavoro dei dipendenti dello Stato, delle regioni, delle provincie, dei comuni e degli a1tri enti pubblici non economici�, conferma che queste ultime non sono comprese tra le controversie che, in virt� del citato art. 409 n. 5 c.p.c., sono di competenza del Pretore. N� pu� condividersi, per la manifesta infondatezza della quesitone cosi prospettata, il rilievo che l'art. 409 anzidetto, col lasciare immutata l'esclusione dalla competenza del giudice. ordinario per le controversie di lavoro derivanti da rapporto di impiego pubblico (riservate alla giurisdizione amministrativa), violerebbe il precetto di uguaglianza sancito dall'art. 3, in relazione anche agli artt. 4 e 35, della Costituzione. Ed invero, come questo Supremo Collegio ha avuto gi� occasione di precisare, con la sentenza del 21 agosto 1973 n. 2375; in ordine all'analoga esclusione della materia concernente il pubblico impiego dalla disciplina relativa al contenzioso in tema di licenziamenti individuali, ai sensi della legge 15 luglio 1966 n. 604, � la diversa natura del rapporto di pubblico impiego rispetto a quello privatistico che impone una diversa regolamentazione, almeno per quanto concerne la scelta del giudice: e l'art. 113 della stessa Costituzione non impedisce alla legge' ordinaria di regolare l'esercizio della tllltela giurisdizionale nei modi e con l'efficacia che pi� aderiscano alle singole situazioni, con il solo divieto di rendere quell'esercizio estremamente difficoltoso e puramente apparente. In ordine alla controversia proposta dal Cardone deve essere dichiarata, pertanto, la giurisdizione del giudice amministrativo ... omissis. SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 25 ottobre 1974, n. 3119 -Pres. La Farina -Est. Sammarco -P. M. Del Gro13so (,conf.) -Spada (avv. Minelli) c. Ministero Interno (avv. Stato Cerocchi). Procedimento civile � Appello � Obbligazioni solidali � Liticonsorzio neces sario � Esclusione. (cod. proc. civ., art. 331). L'obbligazione solidale passiva (conducente e proprietario di un. autoveicolo coinvolto in un sinistro) non fa sorgere in giudizio un litisconsorzio necessario (n� sostanziale n� proce$suale), per cui l'appello contro la sentenza assolutoria dei coobligati, proposto contro unfr soltanto di essi, non richiede l'integrazione necessaria del contraddittorio nei confronti degli altri (1). (Omissis). Con unico motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 331, 332, 102 e 103 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonch� l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, sostenendo, anziitutto, che nella specie non ricorreva un'ipotesi di litisconsorzio necessario, come ritenuto. dalla Corte di medito, in quanto si tratitava di un rapporto meramente obbligatorio con pluralit� di parti e, in secondo luogo, che, in ogni caso, la Corte di merito non aveva indicato le ragioni per le quali la causa doveva essere considerata inscindibile. La prima censura del motivo propone all'esame della Corte la questione se, una volta instauratosi il giudizio di primo grado nei con fronti del proprietario del veicolo e del conducente dello stesso, chia mati a rispondere solidalmente ex art. 2054 e.e. in sede di gravame, (1) Con questa decisione si consolida, dopo il contrasto giurisprudenziale ricordato in motivazione, l'indirizzo pi� recente del S.C. che esclude il litisconsorzio necessario processuale in appello, anche sotto il profilo della dipendenza di cause, nei giudizi contro coobbligati solidali passivi convenuti in unica causa in primo grado. In senso conf. da ultimo c. Cass. 8 gennaio 1974, n. 36; Cass. 16 dicembre 1974, n. 4305 e per qualche riferimento Cass. 25 settembre 1974, n. 2522. I 't l I I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 1027 occorre necessariamen,,te la presenza di entrambi i condebitori solidali oppure il giudizio d'impugnazione pu� svolgersi validamente nei confronti soltanto di uno di essi. La questione riceve soluzioni divergenti.' Alcune pronunce di questa Corte, partendo dalla premessa che le obbligazioni solidali danno luogo a cause distinte, hanno ritenuto che, qualora la causa concernente la responsabilit� del conducente del 'veicolo e quella riguardante la responsabilit� del proprietario dello stesso siano staite trattate in primo grado in un unico processo, viene a determinarsi una semplice connessione fra le due cause del tutta estrinseca, per cui il giudizio d'impugnazione pu� avere per oggetto� soltanto una di esse, indipendentemente dall'altra (Cass. 14 giugno 1972 n. 1882 -Cass. 28 luglio 1969 n. 2862). L'opposta soluzione, invece, pur ammettendo che il vincolo di solidariet� passiva fra il conducente di veicolo ed il proprietario del veicolo di cui al terzo comma dell'a11t. 2054 e.e. non implica unicit� di causa, attinge ad una diversa impostazione, in quanto introduce, rispetto al giudizio d'impugnazione, la nozione di cause dipendenti,. prevista dall'art. 331 c.p.c. Tale nozione � stata elaborata con approfondito impegno, in assenza di un costruttivo apporto della nottrina, dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha enucleato il concetto di cause dipendenti� nei seguenti precisi termini: ricorre l'ipotesi di cause fra loro dipendenti quando pi� cause distinte, riunite in un unico processo o per la natura propria delle situazioni giuridiche controverse (dipendenza di ordfune 'sostanziiale) o perr effetto delle domande TiSipettivamente \PX'Oposte dalle parti (dipendenza di carattere formale), debbono restare� unite anche in sede di gravame in quanto la decisione dell'una si estende logicamente e necessariamente all'altra, ovvero costituisce il presupposto logico e giuridico imprescindibile per il carattere di pregiudizialit� che le questioni oggetto della una hanno rispetto alle questioni trattaite nell'altra; in questa ipotesi, se le due cause sono state trattate in primo grado in un unico processo, si determina un litisconsorzio processuale, per cui in sede di appello e nella successiva fase di cassazione devono essere decise, come prescritto dall'art. 331 c.p.c. nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizi<> di primo grado (Cass. 31 maggio 1971 n. 1747; Cass. 10 novembre 1970 n. 2325; Cass. 23 aprile 1968 n. 1243). Applicando la nozione di cause dipendenti, come sopra individuata,. all'ipotesi in cui l'azione di responsabilit� civile contro il proprietario dell'autoveicolo e quella contro il conducente dello stesso siano state esperite in primo grado in un unico processo, se ne � tratta la conclusione che nel giudizio di gravame viene a profilarsi un litisconsorzi<> 1028 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO processuale, in quanto la decisione dell'una causa si estende logicamente e necessariamente all'altra. Ed � questa la tesi che viene propugnarta dall'amministrazione resistente. Ritiene, per�, la Corrte che la configurazione prospettata non pu� essere condivisa: invero, occorre tenere presente che per le obbligazioni solidali vige il principio sanciito dall'art. 1306 e.e., secondo cui la sentenza pronunciata fra il creditore ed uno dei debitori in solido non ha effetto contro gli altri debitori, i quali, peraltro, possono opporla al creditore salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore. Tale regola, evidentemente riguarda il merito della decisione contenuta nella sentenza, ma non vi � dubbio che essa abbia inevitabili ripercussioni anche alla situazione processuale di cui ci si occupa. Infatti, poich� le statuizioni della sentenza emessa nei confronti di uno dei debitori solidali non fanno stato nei confronti degli altri, l'estensione che la decisione della causa riguardante uno dei condebitori, alla causa concernente altro conclebitore solidale, anche se opera dal punto di vista logico, giuridicamente non pu� estrinsecarsi: pertanto, la regola enunciata dall'art. 1306 e.e. si traduce, per quanto attiene alle obbligazioni solidali, sul piano procedurale, nell'impossibilit� di stabilire un litisconsorzio processuale in sede di gravame, fra le varie cause dei debitori solidali, anche se esse hanno riceVUJto una trattazione unitaria nel giudizio di primo grado. Conclusivamente, quindi, va affermaito che per le obbligazioni solidali non pu� trovare applicazione la nozione di cause dipendenti quale risu11ta dall'art. 331 c.p.c. e, di conseguenza, non pu� trovare applic�zione la r.egola dettata dal detto arrticolo ai fini dell'integrazione del contraddiittorio nel giudizio d'impugnazione. :_ (Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 novembre 1974, n. 3523 -Pres. Maccarone -Est. Pajardi -P. M. Silocchi (conf.) -Ministero del Tesoro (avv. Stato Carafa) c. Soc. a.s. SAFAR di Brauzzi e C. (avv. M. Casella). Contabilit� generale dello Stato -Esigibilit� di crediti verso Io Stato � Interessi � Decorrenza. (cod. civ., art. 1224 e 1282; r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 54 e 55; r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 269 ss.). I crediti verso lo Stato diventano esigibili solo dopo che la spesa � stata ordinata dall'Amm.ne con l'emissione del relativo titolo, e da tale data decorrono gli interessi a favore del creditore (applicazione PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 1029 al caso in cui l'Amm.ne aveva eccepito la compensazione, peraltro in, parte riconosciuta non sussistente, di un proprio� credito col credito privato derivante da liquidazione di contratti di guerra (1). (Qmissis). -Con unico motivo di ricorso, il Ministero del Tesoro afferma che il diritto della Safar alla somma relativa alla prima delibera divenne definitivo con il giudicato. La Corte d'Appello inoltre ha deliberaito che secondo l'art. 9 del Decreto Luogotenenziale 25 marzo 1948, n. 674, le delibere del Commissario divengono esecutive con decreto del Ministro del Tesoro. Ne consegue, secondo il ricorrente, che la delibera in oggetto divenne definitiva solo quando venne emesso il decreto del Ministro del Tesoro in esecuzione del giudicato della Safar sulle somme accantonate. Infine ed in ogni caso in ordine a queste ultime il fermo era giustificato proprio dalla incertezza sui limiti della compensazione. Il motivo � fondato. Va premesso che i giudici di merirto sono partiti da una esatta serie di proposizioni. Anzitutto che la Pubblica Amministrazione non pu� considerarsi in mora fino a quando non abbia esplicato tutti gli accertamenti e controlli prescritti secondo la procedura cui � tenuta per legge, con la conseguenza che fino a tale momento, essendo la sua attivit� regolata da norme che la vincolano, l'�iter � prescritto per l'accel'ltamenrt;o e la liquidazione delle somme che spettano ai creditori dello Stato deve svolgersi in conforrrut� di quelle norme, e con la conseguenza ulteriore che, nei limiti in cui l'eventuale ritardo nel pagamento non pu� riferirsi a colpa dell'Amministrazione, non (1) Con la sentenza che si annota il S.C., a breve distanza di tempo, rettifica l'orientamento espresso con la sentenza 27 settembre 1974, numero 2527 (in questa Rassegna 1975, I, 528 ove in nota richiami), riaffermando il principio che soltanto con l'emissione del formale titolo di spesa i crediti nei confronti dello Stato diventano esigibili e, quindi, solo da tale momento cominciano a decorrere gli interessi (sia corrispettivi che moratori). Si nega in tal modo il diverso principio che � andato a volte affio rando in alcuni recenti arresti dello stesso S.C., secondo cui, ove la mancata emissione del formale titolo di spesa sia dovuta ad un com portamento, poi riconosciuto non legittimo, dell' Amm.ne, il credito do vrebbe ugualmente ritenersi esigibile e, quindi, sarebbero dovuti gli interessi. Devesi iribadire che tale orientamento non pu� essere condivis'o: il titolo di spesa in base alle disposizioni sulla contabilit� generale pu� essere emesso solo dopo che ogni contestazione � superata. E solo con l'emissione del formale titolo di spesa il credito verso l' Amm.ne diventa esigibile, e quindi produttivo di interessi a mente delle norme comuni. 7 1030 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pu� parlarsi di mora. Ancora che, quando, al contrario, l'attivit� di accertamento si � esaurita e si sono compiuti tutti quegli atti che la legge sulla contabilit� dello Stato prescrive prima che un pagamento possa essere autorizzato, l'ulteriore ritardo diventa colpevole e sorge l'obbligo degli interessi. Peraltro, la soluzione della controversia � stata alterata da due elementi concettualmente inquinanti, uno di carattere speciale legato alla faittispecie, uno di carattere generale. Il primo riguarda la vicenda del controcredito opposto in compensazione. L'evenrto ha cosi attirato l'attenzione delle parti contraenti, che la stessa Pubblica Amministrazione ha riconosciuto la decorrenza degli interessi dalla data del giudicato formatosi in ordine al regime giuridico di tale controcredito (se cio� da pagarsi interamente o falcidiato), quando invece certamente, anche secondo la sua stessa tesi fartta valere in questo giudizio, tale data non aveva alcun significato per gli interessi maturati o maturandi a favore della Safar sul proprio credito..Pu� dirsi concretamente ed in sintesi che la vicenza di questa compensazione contestata ha il solo significato, in ordine ai crediti Safar, di causa di contestazione in ordine alla loro liquidazione e al loro pagamento. L'elemento di carattere generale riguarda la individuazione. del momento e dell'atto che rende esigibili i crediti dello Stato. Non gi� soltanto liquidi, concetto che attiene all'accertamento della quantit� del credito, ma anche, va ripetuto, esigibili, cio� concretamente richiedibili da parte del privato con conseguente maturazione degli interessi in 1 caso di ritardo. Su tale punto questa Suprema Corte � intervenuta con varie decisioni, affermando che pu� parlarsi di esigibilit� soltanto dopo che la spesa della competente Amministrazione sia stata ordinata con la emissione del relativo titolo di spese e non prima. Tale atto non � pacificamente mai stato posto in essere nel caso, con la conseguenza, in relazione a quanto sopra osservato, che costi tuisce un vantaggio di fatto per la Safar che la liquidazione preveda interessi decorrenrti dalla formazione sul giudicato del credito dello Stato. Pi� specificamente, l'art. 9 del decreto sopra richiamato del 1948 sancisce che se la delibera � accettata, il Commissario ne d� notizia al Ministro del Tesoro per la esecuzione, da effettuarsi con apposito decreto, mentre invece la impugnazione della delibera ne sospende la esecuzione. Si evince da ci� ancora pi� con evidenza non soltanto il rappovto tra il provvedimento commissariale e il provvedimento ministeriale, ma anche l'effetto che l'impugnazione della delibera commis ~ sariale ha sulla emanazione del provvedimento ministeriale. r: ~ !! I' PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 1031 E non vi � dubbio che il presente giudizio possa essere identificato come una puntuale impugnazione da parte della� Safar della delibera commissariale. In questo quadro di per s� assorbente si colloca il ricorso al mezzo giuridico amministrativo del cosiddetto fermo con effetti cawtelari, cui il Ministero del Tesoro ha fatto ricorso. Peraltro si tratta di un fattore parentetico che, quale ne sia la configurazione giuridica generale, non ha avuto il potere di influire sulla sorite della controversia, la quale non pu� essere decisa che alla luce del principio pi� volte ribadito delle esigibilit� come fenomeno produttivo di interessi sulle somme costituenti il credito, collegata indissolubilmente col decreto ministeriale. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 novembre 1974, n. 3566 -Pres. Giannattasio -Est. Mirabelli -P. M. Secco (conf.) -Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Galleani) c. Fusco. Espropriazione per pubblica utilit� -Esecuzione da parte dello Stato di piani di ricostruzione di comuni danneggiati dalla guerra -Conces sione a privati dell'esecuzione dell'espropriazione -Fallimento del concessionario -Obbligo del pagamento dell'indennizzo a carico dello Stato. (cod. civ., art. 1272; I. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, art. 334; I. 24 giugno 1929, n. 1127, art. 1; I. 27 ottobre 1951, n 1402, art. 16). L'Amm.ne dei LL.PP., che si � sostituita ad un comune per la realizzazione delle opere pubbliche previste nel piano di ricostruzione dei danni bellici ed ha poi dato in concessione ad una societ� privata l'esecuzione delle espropriazioni a tali fini necessarie, � obbligata al pagamento delle -indennit� spettanti ai proprietari espropriati ove il concessionario sia dichiarato fallito (1). (1) L'insolvenza del concessionario dell'esecuzione di opera pubblica. A chi voglia studiare la giurisprudenza per cogliere le ragioni sostanziali delle sue oscillazioni e, sopratutto, per individuare i motivi che le hanno giustificate, la sentenza che si annota pu� rappresentare un caso paradigmatico. Dopo che con ripetuti arresti (oltre le sentenze 10 dice~bre 1970, n. 2630; 11 maggio 1964, n. 1129; 9 maggio 1962, n. 928; v. Cass. 22 gennaio 1970, n. 136, in Giust. civ. 1970, I, 1230 ove ulteriori richiami) il S.C. aveva affermato il principio che �l'esecuzione dei lavori richiesti per l'attuazione dei piani di ricostruzione dei comuni danneggiati dalla guerra pu� essere data in concessione: poich� tale concessione � traslativa il concessionario, entro i limiti dell'atto di concessione, succede alla 1032 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -L'Amministrazione ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 della legge 24 giugno 1929, n. 1137, 11 della legge 25 giugno 1949, n. 409, 16 della legge 27 ottobre 1951, n. 1402, 3 e 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E 1703 sgg. cod. civ., 78 legge fallimentare, 110 e 111 cod. proc. civ., nonch� vizio di motivazione. L'Amministrazione�deduce, infatti, che la sentenza impugnata, dopo avere esattamente ritenuto che alla societ� Consedil era stata data la concessione di ricostruzione di Isernia e dopo avere esattamente riitenuto, altres�, che in base alle norme di legge ed al decreto di concessione doveva individuarsi nella Societ� Consedil il soggetto tenuto al pagamento dell'indennit� di esproprio e di occupazione agli espropriati ed altres� il soggetto legiittimato passivamente all~ domande giudiziali dei proprietari dei terreni occupati od esproprianti aventi ad oggetto le indennit� do'VUte, ha poi errato nel ritenere che la societ� Consedel era tenuta a pagare in forza di un mandato che, pur trovando fondamento nella concessione, non si confondeva con essa; che la concessione si era estinta gi� prima del fallimento della Consedil per il raggiungimento dello scopo; che il mandato a pagare si � estinto a seguito del fallimento e che, in conseguenza, la legittimazione passiva � passata all'Amministrazione, quale mandante. L'Amministrazione ricorrente fa rilevare, al riguardo, da un canto che nell'ambiito del rapporto pubblicistico di concessione non appare p.a. concedente e, quindi, � il solo legittimato passivamente ad avere parte nel giudizio relativo alla liquidazione e al pagamento delle indennit� dovute alle ditte espropriate �, con la sentenza che si annota lo stesso S.C. equiparando la concessione ad un appalto, afferma che ove all'appaltatore dei lavori vengono accollate anche le espropriazioni necessarie per la realizzazione delle opere appaltate, tale accollo non � privativo e conseguentemente nega che l'Amm.ne sia liberata dall'obbligo del pagamento dell'indennizzo dai proprietari espropriati, in caso di insolvenza del concessionario. Finch� la controversia rifletteva il conflitto -tra concessionario ed Amm.ne -circa chi dovesse ritenersi legittimato a resistere alle pretese dei terzi espropriati, la S.C. ha ritenuto di addossare tale onere, in via esclusiva al concessionario. Quando, invece, si � trattato di stabilire tra l'espropriato ed Amm.ne su chi dovesse gravare l'insolvenza dello stesso concessionario, tale onere � stato addossato all'Amm.ne. Mentre appaiono evidenti le ragioni di equit� che sorreggono tale decisione, non altrettanto limpido � l'iter giuridico seguito per giungervi. Secondo il S.C. poich� nell'm-t. 324 legge n. 2248 del 1865 all. F � previsto che l'Amm.ne possa accollare all'appaltatore �le espropriazioni� e tale accollo non � dichiarato espressamente privativo, in caso di insol PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 1033 isolabile un rapporto di mandato, di natura privatistica; che non sembra esatta l'affermazione che la concessione si estingua con il compimento dell'opera; e che, comunque, neppure secondo le norme di diritto privato il mandante � legittimato passivo nei confronti delle pretese dei creditori del mandatario, qualora questo sia insolvente. Da questi rilievi l'Amministrazione ricorrente trae la deduzione che qualora nell'incaricato, per appello o concessione, dell'esecuzione dell'opera pubblica sopravvenga l'insolvenza, questa resta a carico dei terzi che con l'appaltatore o il concessionario abbiano contrattato, senza che ci� possa portare ad addossare all'Amministrazione appaltante o concedente oneri diversi da quelli previsti dalla legge o dal disciplinare, e quindi anche dei terzi espropriati, se a carico dell'appaltatore o concessionario sia stata posta l'espropriazione. Questa Corte �, per�, d'avviso che, se la costruzione prospettata nella sentenza impugnata non pu� essere ritenuta accettabile, neppure le conclusioni cui perviene l'Amministrazione ricorrente appaiono conformi alla disciplina della materia. Ed invero, l'art. 16 della legge 27 ottobre 1951, n. 1402, prevedendo che i lavori da eseguire per l'attuazione dei piani di ricostruzione possano essere dati in concessione, con il pagamento delle spese in annualit�, applica a tale ipotesi la previsione dell'art. 1 della legge 24 giugno 1929, n. 1137, secondo cui possono essere concesse in esecuzione a province, comuni, consorzi o privati opere pubbliche di qua venza del concessionario l'obbligo del pagamento dell'indennit� spettante ai proprietari delle aree oggetto di espropriazione dovrebbe far carico ali'Amm.ne. Alla base di tale ragionamento sta la totale assimilazione della concessione per l'esecuzione di lavO'l'i, all'appalto. Ma a tale assimilazione ostano troppi argomenti sia formali che sostanziali perch� ne sia consentita una completa esposizione. Sar� sufficiente accennare, innanzitutto, alla circostanza che la dottrina assolutamente prevalente nega qualsiasi accostamento fra i due istituti, essendo strutturalmente l'appalto un atto di autonomia privata e la concessione un atto amministrativo soggetto in tutto alla disciplina pubblicistica (v. BENVENUTI, La concessione di opere pubbliche, in Acque, bonifiche ecc. 1958, 3 ss.; CARUSI, Rapporto organico e sostituzione nell'esecuzione di opere pubbliche, in questa Rassegna 1965, I, 1152; RoEHRsSEN, La concessione nel quadro dei sistemi di esecuzione delle opere pubbliche, in Rass. Lav. Pubbl. 1971, 1 ss.). In secondo luogo -e sopratutto -appalto e concessione sono funzionalmente diversi. Mentre con l'appalto l'appaltatore si assume l'obbligo nei confronti del committente di eseguire l'opera ed, eventualmente (art. 324 legge sui lavori pubblici), l'obbligo di provvedere al pagamento delle indennit� di espropriazione, mentre lo svolgimento della procedura di esproprio resta compito dell' Amm.ne, nel caso di concessione di esecuzione di opere 1034 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lunque natura ed il pagamento della spesa pu� essere previsto in unica soluzione od in annualit� ed essere stabilito in modo invariabile a corpo oppure a misura secondo la quantit� dei lavori. Nella spesa non � da ritenere cm:npreso, di regola, l'indennizzo per espropriazioni. Tuttavia � opinione unanime che all'ipotesi sia applicabile la previsione contenuta nell'art. 324 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, secondo cui le espropriazioni possono essere �accollate � all'appaltatore. Ed infatti tale accollo rist1lta espressamente previsto, nel caso in esame e nella maggior parte dei casi consimili, dal disciplinare di concessione, secondo cui all'ente concessionario �, appunto, devoluto il compito di predisporre ed espletare le operazioni e gli artti necessari per l'occupazione temporanea delle aree e per l'espropriazione delle medesime, comprese il pagamento per conto della Amministrazione concedente delle indenniit� dovute ai proprietari. � sulla base di queste disposizioni che questa Corte ha affermato, con le pronunce invocate dall'Amministrazione ricorrente (Cass. 9 maggio 1962, 928; 11 maggio 1964, n. 1129; 10 dicembre 1970, numero 2630) la legittimazione attiva e passiva del concessionario delle opere nelle controversie concernenti la liquidazione delle indennit�, di occupazione e di espropriazione. Va rilevato, per�, che n� nella disposizione contenuta nell'art. 324 della legge sui lavori pubblici n� in altra norma si trova sancito che l'accollo sia da considerare privativo, ossia liberatorio, nel senso pubbliche (con o senza gestione della stessa) comprensiva delle espropriazioni necessarie, il concessionario si sostituite in toto all'Amm.ne, compreso lo svolgimento della procedura di esproprio, assumendo a tutti gli effetti la veste dell'espropriante. Ne segue allora che, mentre nel primo caso pu� ben parlarsi di accollo cumulativo tra appaltatore ed Amm.ne, per cui in caso di insolvenza dell'appaltatore rAmm.ne deve ritenersi obbligata al pagamento dell'indennizzo ai proprietari espropriati, in caso di concessione non pu� parlarsi di accollo (n� privativo n� tanto meno cumulativo) trovandoci del tutto fuori dalla sfera privatistica. In tale ipotesi si parla in giurisprudenza di affidamento impll'oprio (v. da ultimo Cass. 11 luglio 1974, n. 2060, in questa Rassegna 1975, I, 156 ove in nota richiami) intendendosi con ci� l'integrale sostituzione di un soggetto ad un altro nello stesso svolgimento di un'attivit� pubblicistica. Essendovi sostituzione integrale del privato nella posizione della P.A., vi � anche deroga al principio fondamentale in tema di espropriazione per p.u. secondo il quale parte del rapporto � il soggetto a cui favore l'esproprio � stato pronunziato (cos� espressamente Cass. 31 gennaio 1968, n. 313, in questa Rassegna 1968, I, 419). Il concessionario assume, in sostanza, la veste di espropriante e su di lui in via esclusiva gravano tutti gli obblighi relativi alla esecuzione dell'opera pubblica, compreso il pagamento delle indennit� di espropriazione. A. ROSSI PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE che con l'accollo all'appaltatore od al concessionario l'Amministrazione espropriante resti liberata dall'obbligo di indennizzo nei confronti degli espropriati. .Non risulta_, cio�, dimostrato che con la norma suddetta si sia apportata deroga alle due regole fondamentali in materia di debilto di indennizzo e di accollo, quali sono enunciate negli artt. 324 della legge 25 giugno �1865, n. 2359, e 1273 cod. civile. Ai sensi della prima il debito dell'indennizzo � a carico di chi promuove l'espropriazione; ai sensi della seconda, l'accollo non libera il debitore originario se non per disposizione o convenzione espressa. Questa Corte nell'affermare, con le pronuncie citate, la legittimazione passiva del concessionario cui sia stata accollata l'espropriazione, ha implicitameillte ritenuto che, per la nah1ra stessa dei rapporti, non si applichi a tale ipotesi la regola che prevede la solidariet� tra accollante ed accollato, nell'ipotesi di accollo cumulatiivo, non liberatorio (art. 1273, rterzo comma, cod. civ.). Ma questa Corte non ha mai affermato, n� poteva affermare, che con l'accollo ai sensi della legge sui lavori pubblici sia derogata anche la regola secondo cui l'accollo � naturalmente cumulativo, e pu� avere efficacia liberatoria solo per previsione espressa (art. 1273, secondo comma, cod. civ.). Non essendo, dunque, liberatorio l'accollo previsto dalle disposizioni citate, deve essere ritenuto che, qualora il concessionario o l'appaltatore, cui sia starta accollata l'espropriazione, diventi insolvente, il debito rimane a carico dell'Amministrazione esproprianrte. La diversa soluzione, che l'Amministrazione ricorrenrte ipotizza, pu� forse adattarsi al caso in cui, come essa stessa ha indicato, il debito discenda da vincolo contrattuale tra l'appaltatore o concessionario ed il terzo, ma non certo all'ipotesi in cui sia stato accollato all'appaltatore o concessionario il debito dell'Amministrazione. Poich� la soluzione alla quale in tal modo si perviene coincide con quella adottata dalla sentenza impugnata, il ricorso deve essere respinto. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Eez. I, 12 novembre 1974, n. 3570 -Pres. Maccarone -Est. Zucconi Galli Fonseca -P. M. Cutrupia (diff.) Soc. p.az. Ferrovia Padana-Piazzola (avv. Sambiagio) c. ANAS (avv. Stato Tarin). Ferrovie � Tranvie � Concessione � Passaggio di ferrovie su strada ordina� ria � Allargamenti e deviazioni � Appartenenza. (r.d. 9 maggio 1912, n. 1447, art. 74). Affinch�, a mente dell'art. 74, primo comma, del t.u. 9 maggio 1912, n. 1447, l'ente ptoprietario della strada, su cui � imposta la 1036 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO servit� di passaggio di una ferrovia in concessione, acquisti la propriet� degli allargamenti e delle parziali deviazioni realizzate dalla concessionaria della _ferrovia, occorre accertare -e tale accertamento � demandato al giudice ordinario -se dette opere siano state rese necessarie dall'occupazione della sede stradale con la ferrovia (1). (Omissis). -La sentenza impugnata, dopo aver accertaito che la societ� concessionaria aveva acquistato a sue spese, in forza di espropriazione per pubblica utilit�, le aree di cui si controverte, cui poi si aggiunse il cavalcavia, cosi come previsto dalla convenzione del 10 gennaio 1910 relativa alla costruzione della ferrovia, ha ritenuto che si era successivamente realizzato il passaggio di propriet� delle aree stesse, a norma del su riportato terzo comma dell'art. 74 t.u. 9 maggio 1912, all'ente proprietario della strada deviata sul cavalcavia, per le considerazioni che seguono: a) perch� l'interpretazione da dare alla norma, laddove contempla le deviazioni �che possano occorrere�, � che in essa sono considerate non tanto le deviazioni resesi necessarie, ma quelle comunque realizzate, dovendosi assumere il verbo � occorrere �, piuttosto che nel suo significato di �abbisognare�, in quello di �accadere, verificarsi�, nel quale esso � pure correntemente usato; b) perch�, a pal'\te ci�, la costruzione del cavalcavia ferroviario sui sottostanti binari della ferrovia Padova-Bassano e sulla strada provinciale Tirolese fu resa necessaria dalla diffi.col!t�, che altrimenti si sarebbe incontrata, di innestare�1a nuova ferrovia sui binari dell'altra e di farla correre iungo la detta strada provinciale; c) perch�, inoltre, per poter ritenere concretamente integra<ta la previsione di legge � sufficiente che la deviazione sia stata conven zionalmente considerata necessaria dagli enti interessati, essendo irri levante che, con giudizio a posteriori, obl;>iettivamente necessaria essa possa non apparire. Col primo e col secondo motivo di ricorso (violazione e falsa ap plicazione dell'art. 74 t.u. n. 1447 del 1912; contraddittoriet� e difetto (1) Trattasi di questione nuova, per quanto consta. L'interpretazione dell'art. 74 T.U. n. 1447 del 1912 fornita dal S.C. con la sentenza in rassegna, attenta alla lettera della legge, apipaxe eccessivamente restrittiva. � chiaro, al contrario, che, proprio perch� trattasi dell'interpretazione di una norma che ha pi� di sessant'anni di vita e che � stata formulata con riferimento ad un-tipo di circolazione (chiaramente indicata dall'espres sione � ordinario carreggio �) che � da tempo definitivamente �scomparsa, l'interprete deve dare maggior peso al senso attuale della norma. Ed in tale prospettiva andr�, quindi, dalla Corte di rinvio, valutato se la costruzione di un cavalcavia ferroviario costituisca una � deviazione necessaria per consentire l'ordinario carreggio � su una strada statale. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE essenziale della motivazione, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.) la societ� ricorrente censura questa motivazione, adducendo in sostanza, da un lato, che la norma ritenuta applicabile � stata dalla Corte d'Appello erratamente interpretata, poich� non � vero che essa contempla qualsiasi deviazione decisa in connessione con la costruzione della ferrovia, anche se non collegata alla concreta e obbiettiva necessit� della costruzione ferroviaria secondo le modalit� stabilite, cosicch� al riguardo non poteva essere data esclusiva rilevanza alla convenzione, per il solo fatto che la deviazi_one era stata in essa prevista e considerata utile; e, d'a1tro lato, che la corte d'Appello ha omesso di considerare la circostanza decisiva che nel caso non s'era trattato d'una deviazione della strada provinciale (rimasta tale e quale, anche se in aggiunta al vecchio tronco fu costruito quello sopra il cavalcavia, accanto ai binari della nuova ferrovia) attuata per l'adattamento della sede ferroviaria, ma invece di un adaittamento del manufatto ferroviario per agevolare il traffico stradale, consentendo di evitare il sottostante passaggio a livello. La duplice censura � fondata. Quanto al primo profilo, attinente all'interpretazione del terzo comma del citato articolo 74, la corte suprema rileva che devesi distinguere fra le modalit� delle modificazioni (allargamenti o parziali deviazioni) apportate ad una strada preesistente in dipendenza dello adattamento ad essa della sede ferroviaria, ele ragioni delle modificazioni stesse. Le modalit� delle modificazioni, nei limiti in cui servono ad assicurare l'ordinario carreggio, sono per certo rimesse alla discrezionalit� della pubblica amministrazione (cos� come ad essa sono rimesse le modalit� di costruzione della ferrovia data in concessione). non sostituibile con diverso apprezzamento da parte del giudice; la dipendenza delle modificazioni dell'adattamento della sede ferroviaria, ovverosia !'.esigenza di assicurare con essa l'ordinario carreggio stradale, compromesso o alterato dalla costruzione della sede ferroviaria, � invece richiesta dalla norma, e la sua esistenza dev'essere verificata dal giudice come elemento della fattispecie costitutiva del passaggio di propriet� degli allargamenti o deviazioni all'ente proprietario della strada. Ci� risulta di tutta evidenza coordinando, come devesi, il comma in esame con quello precedente, il quale prende in considerazione le spese di allargamento o di parziale deviazione � che possano occorrere per la occupazione della sede stradale colla ferrovia �; ai medesimi casi si riferisce la successiva previsione del passaggio di propriet�, con la conseguenza che l'occupazione della sede stradale colla ferrovia � il presupposto dell'applicabilit� della norma. In altri termini, le scelte con cui si pone rimedio all'interferenza delle ferrovie sull'esercizio delle strade non sono -entro i limiti 1038 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sopra detti -sindacabili (si pensi alle decisioni di consentire un passaggio a livello oppure di ricorrere a un sopra o sotto-passaggio della ferrovia rispetto alla strada o viceversa); ma il giudice non pu� prescindere dall'accertare se gli allargamenti o le parziali deviazioni delle strade siano stati i mezzi per ovviare a quell'interferenza. La Col'lte del merito, che non ha distinto fra il necessario accertamento delle ragioni della deviazione, e la valutazione, preclusa �n\; ece al giudice, delle scelte tecniche che l'avevano fatta adottare, non ha fatto corretta applicazione della legge al caso concreto, poich� l'errore di interpretazione non � rimasto senza conseguenze nel procedimento formativo della decisione, ma ha condotto la covte ad omettere l'accertamento sopradetto. Viene con ci� in considerazione il secondo profilo, che pure si p�lesa fondato, della censura prospettata dalla ricorrente. Questa aveva dedotto anche in grado d'appello che la costruzione del cavalcavia ferroviario era stata decisa appunto per evitare ogni interferenza fra la nuova ferrovia e la strada provinciale �Tirolese�, la quale infatti rimase inalterata col suo passaggio a livello della ferrovia Padova- Bassano, e che la previsione di un cavalcavia itanto ampio da consentire che su di esso passasse non solo la ferrovia, ma anche la deviazione della strada provinciale, fu convenzionalmente stabilita per profittare dell'occasione ed attuare un miglioramento del traffico stradale, traffico che peraltro la nuova ferrovia, proprio per il progettato passaggio sul cavalcavia, non avrebbe affatto pregiudicato. Orbene, questa dedotta circostanza, che era stata oggetto di accertamento positivo da parte del tribunale, non � stata presa in esame dalla sentenza impugnata. Delle parti della motivazione dedicate alla valutazione del fatto, la prima (sopra, sub b) riguarda infatti la necessit� della costruzione del cavalcavia ferroviario come itale, e non prende in considerazione l'abbinamento ad esso della deviazione stradale; la seconda (supra, sub c) si limita a dare determinante rilievo alla circostanza che l'esigenza della deviazione era stata valutata in sede amministrativa, esplicitamente dichiarando irrilevante l'accertamento della obbiettiva necessiit� di essa come conseguenza del collocamento della nuova sede ferroviaria. Esiste pertanto anche il dedotto vizio di omessa motivazione su fatto decisivo. Col terzo motivo di ricorso (nullit� della decisione impugnata: art. 360 n. 4 e 5 in relazione all'art. 112 c.p.c.), la ricorrente lamenta, sotto il profilo di omessa pronuncia ovvero di insufficienza e contraddittoriet� della motivazione, che la sentenza impugnata abbia trascurato che la pretesa di risarcimento riguardava anche l'occupazione di aree diverse dal cavalcavia stradale (sede della ferrovia sul cavalcavia, aree adiacenti giacenti sul piano di campagna), e la abbia per tale PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 1039 parte respinta senza motivazione ritenendola erratamente assorbita nel giudizio emesso intorno all'area interessata dalla deviazione stradale, senza peraltro neppure ipotizzare un rapporto pertinenziale fra la strada e le altre aree. Anche questa censura � fondata. Giudicando nel modo che s'� visto circa l'avvenuto passaggio di propriet� ai sensi dell'art. 74, la corte d'appello ha dichiarato assorbito ogni altro aspetto del thema decidendum sottoposto al suo esame, non avvertendo che la questione della applicabilit� della norma suddetta poteva riferirsi soltanto alla parte del cavalcavia su cyi era stata fatta passare la deviazione stradale, ma non alle adiacenti e diverse aree che pure erano state oggetto, secondo l'accertamento del tribunale, di occupazione illegittima. Il rigetto della domanda di risarcimento relativa a tali aree � quindi assolutamente privo di motivazione. In relazione ai vizi riscontrati, l'impugnata sentenza dev'essere -cassata. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 novembre 1974, n. 3596 -Pres. Maccarone -Est. Milano -P. M. De Marco (di:ff.) -ANAS (avv. Stato Lancia) c. Merlonghi (avv. Brancaccio). Espropriazione pubblica utilit� -Indennit� � Immobile urbano adibito dal proprietario all'esercizio di attivit� commerciale � Compenso per avviamento commerciale -Esclusione. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39; 1. 27 gennaio 1963, n. 19, art. 6). L'indennit� di espropriazione deve essere commisurata al valore venale del bene senza tener conto di qualsiasi pregiudizio a carattere personale subito dall'espropriato, anche nell'ipotesi che oggetto della espropriazione sia un immobile m�bano adibito dal proprietario all'esercizio di un'attivit� comme1�ciale (1). (1) Perdita dell'avviamento commerciale per espropriazione per p.u. Il principio enunciato costituisce una conferma del consolidato orien tamento del S.C. in tema di determinazione dell'indennizzo per espropifia zione per p.u., secondo il quale l'indennit� va commisurata esclusivamente al valore in comune commercio del bene, senza tener conto dei vantaggi a carattere personale ricavabili dallo stesso proprietario o da terzi che godono -a qualsiasi titolo del bene espropriato (v. per richiami LANDI QuARANTA, Rassegna di giurisprudenza sull'espropriazione di pubblica uti lit�, Milano 1973, p. 137). La novit� della decisione sta nell'aver confermato tale principio anche in riferimento all'ipotesi in cui nell'immobile espropriato sia esercitata 1040 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Con l'unico motivo, l'Azienda ricorrente denuncia la violazione degli artt. 39, 27, 46, 52 e 54 legge 25 gennaio 1865 n. 2359, 1, 4 e 6 legge 27 gennaio 1963 n. 19, per aver la Corte di merito erroneamente ritenuto, peraltro con motivazione insufficiente e contraddiittoria, che alla Merlanghi Viola, gestendo essa una trattoria nello stabile espropriato, spettava, oltre all'indennit� di espropriazione, � anche un indennizzo per la perdita dell'avviamento commerciale. Lamenta, in particolare, la ricorrente che la sentenza impugnata, oltre ad aver erroneamepte richiamato l'al't. 46 della citata legge n. 2359 del 1865, trovando tale norma applicazione solo nei riguardi dei proprietari degli immobili che, senza essere colpiti dalla espropriazione, I abbiano subiito un danno permanente dall'esecuzione dell'opera pubblica, non abbia considerato che la Merlanghi era, non gi� conduttrice, bens� comproprietaria dei locali espropriati ed adibiti all'esercizio dell'attivit� commerciale e che, pertanto, nella specie, era applicabile, non la disciplina contenuta nella legge n. 19 del 1963 sulla tutela dell'avviamento commerciale, bens� quella sulle espropriazioni per pubblica utilit� e, in particolare la norma dell'art. 39, la quale stabilisce che l'indennit� di esproprio deve essere commisurata al valore venale dell'immobile senza che possa tenersi conto dei danni personali o indiretti. Il ricorso � fondato. � necessario, innanzi tutto, chiarire che, contrariamente a quanto si afferma dalla ricorrente, i giudici di merito hanno accertato che la un'attivit� commerciale, avente diretto contatto con il pubblico degli utenti o consumatori, e cio� in un'ipotesi che ricade nell'ambito dell'applicazione della legge 27 gennaio 1963, n. 19 sulla tutela giuridica dell'avviamento commerciale (La determinazione dell'indennizzo in caso di espropriazione di fondi rustici condotti in affitto � oggi� espressamente regolata dall'art. 17 della legge 22 ottobre 1971, n. 865). In realt� nella motivazione della decisione che si annota, lo sforzo del S.C. � tutto diretto ad escludere che la legge in parola possa, comunque, incider~ sulla .iateria in esame sottolineandosi che il richiamo contenuto nell'art. 6 legge cit. all'art. 27 della legge n. 2359 del 1865, conferma che l'indennit� di esproprio ha come unico destinatario il proprietario (o l'enfiteuta) nei cui confronti (quale titolare dell'indennit�) tutti gli altri titolari di diritti (reali o personali) sul bene possono far valere le proprie pretese. Peraltro non pu� sottacersi che se tale argomento � certamente efficace nel caso di specie, in cui era uno dei comproprietari dell'immobile espropriato che, svolgendo in detto immobile un'attivit� imprenditoriale con diretto contatto con il pubblico, pretendeva un compenso per l'avviamento commerciale perduto per effetto dell'esproprio, non del tutto convincente potrebbe apparire nella diversa ipotesi in cui l'indennizzo per un avviamento commerciale fosse richiesto sia dal proprietario espropriato, sia dal conduttore, i quali agissero congiuntamente, come consente l'art. 54 PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 1041 Merlonghi gestiva l'esercizio commerciale, avente sede nei locali espropriati, non in virt� di rappo11to di locazione, ma in qualit� di comproprietaria dei locali stessi e che, pe11tanto, nell'attribuirle l'indennizzo per la perdita dell'avviamento commerciale, hanno inteso, non gi� fare diretta applicazione dell'art. 6 della legge n. 19 del 1963, bens� desumere da tale disposizione una nuova interpretazione delle norme che regolano la determinazione della indennit� di esproprio, e, in particolar~, dell'al'lt. 39 della legge n. 2359 del 1865 (il richiamo all'al'lt. 46 della stessa legge, come si riconosce in memoria dagli stessi resistenti, � frutto di un mero errore materiale, rivelato dal contenuto della pronuncia). Pur non disconoscendo il principio generale, comunemente accettato e pi� volte ribadito da questa Corte Suprema, che l'art. 39 della legge sulle espropriazioni per pubblica utmt�, ai fini della determinazione dell'indennit� di esproprio, non considera altri diritti se non quelli di carattere reale afferenti all'immobile espropriato, con esclusione di ogni pregiudizio di carattere personale, i giudici di merito hanno tuttavia ritenuto che tale principio deve essere riveduto alla luce delle nuove disposizioni normative contenute nella legge n. 19 del 1963, e, in particolare, del disposto dell'art. 6 di detta legge, il quale, nel disporre che, in caso di espropriazione per pubblica utilit�, il conduttore � ammesso a reclamare ed a pretendere, sull'indennit� di espropriazione, un compenso per la perdita dell'avviamento � nei limiti e secondo i criteri� stabiliti nell'art. 4 e, cio�, �nella misura legge n. 2359 del 1865, richiamato dall'art. 6 legge n. 19 del 1963 (e questa sembra l'ipotesi decisa dal Trib. Roma, 9 luglio 1968, in Foro it. rep. 1969, voce Esprop. p.u., n. 96, il quale ha ritenuto che il conduttore abbia diritto di reclamare dal locatario il compenso sull'indennit�, nei lirrliti dell'aumento di questa determinato dall'avviamento commerciale). In tale caso l'ulteriore argomento addotto dal S.C. secondo cui � � lecito ritenere che nell'ipotesi prevista dall'art. 6, a differenza delle altre ipotesi di cessazione del rapporto di locazione prese in considerazione dalla legge in esame, questa abbia intest> riferirsi, non gi� ad un diretto e concreto vantaggio del locatore espropriato, bens� alla semplice possibilit� astratta di un vantaggio indipendentemente dalla circostanza che egli, in concreto, si giovi dell'incremento che l'immobile abbia conseguito dall'attivit� del conduttore �, lascia perplessi, solo che si consideri che la giurisprudenza costante dello stesso S.C. ritiene che il diritto del conduttore al compenso per l'avviamento commerciale a mente dell'art. 4 legge n. 19 del 1963 � condizionato alla prova _.,.. da darsi dal conduttore medesimo -della utilit� concreta che deriva al locatore dall'attivit� commerciale svolta nel locale (v. in tal senso da ultimo Cass. 8 febbraio 1974, n. 366). � ulteriore ragione di perplessit� deriva nella circostanza che seguendo l'argomento enunciato dalla decisione che si annota il proprietario espropriante subirebbe una duplice limitazione del suo diritto: la 1042 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'utilit� che pu� derivare al locatore�, presuppone necessariamente che nel calcolo dell'indennit� di espropriazione si debba tenere conto dell'avviamento perch� altrimenti il conduttore non potrebbe mai far valere �n diritto al compenso �mancandone l'oggetto�. Ma la Corte ritiene che tale opinione non possa essere condivisa. Non si pu� negare che la nuova legge sulla tutela dell'avviamento commerciale, ove si guardi al suo contenuto normativo, anche indipen�entemente dagli intendimenti politici perseguiti da chi la propose, manifesti chiaramente l'intendimento di tutelare prevalentemente l'interesse del conduttore. Giustamente � stato rilevato che la legge n. 19 del 1963 � redatta come se il legislatore guardasse esclusiivamente ad una delle parti del rapporto di locazione e cio� al conduttore, al quale soltanto essa esplicitamente a.ttribuisce dei diritti al punto che la posizione giuridica del locatore ne risulta solo negativamente configurata come riflesso e conseguenza dei limiti stabiliti ai diritti della controparte. Il conduttore appare, infatti, l'unico beneficiario delle disposizioni contenute nella legge, essendogli attribuito un diritto di prela . zione ove il proprietario intenta locare l'immobile a terzi, un diritto ad essere compensato per la perdita dell'avviamento che l'azienda subisca in conseguenza della cessazione del rapporto di locazione, sia pure nella misura dell'utilit� che ne pu� derivare al locatore, un diritto di optare, rinunciando al predetto compenso, per la proroga biennale del contratto di locazione e; infine, un diritto al compenso anche nel caso in cui l'immobile venga espropriato, in un caso, cio�, in cui, come prima derivante dai criteri fissati dalla legge sull'espropriazione per� p.u. per la liquidazione dell'indennizzo e la seconda derivante dall'ulteriore compenso spettante -in ogni caso -al conduttore. E mentre sulla legittimit� costituzionale del primo non possono esservi dubbi, non altrettanto pu� ritenersi del secondo limite, non potendosi considerare tale limite come posto nell'interesse generale, o, comunque � allo scopo di assicurarre la funzione sociale (della propriet�) e renderla accessibile a tutti� (art. 42 cit.). , La soluzione preferibile sembra allora quella, del resto conforme all'indirizzo accolto dallo stesso S.C. nell'interpretazione dell'art. 4 legge cit., e cio� di ritenere spettante al conduttore un compenso per l'avviamento solo ed in quanto l'avviamento medesimo venga �ad incidere sul valore in comune commercio del bene espropriato a cui va commisurato l'indennizzo per l'espropriazione. (Sulla soluzione accolta dal S.C., in senso conforme TABET, Espropriazioni per pubblico interesse e perdita dell'avviamento commerciale, in Giur. civ. 1975, I, 410 partendo peraltro dal diverso presupposto che il compenso dovuto dal legislatore al conduttorre spetti indipendentemente da un effettivo arricchimento del locatore dall'avviamento commerciale). A. ROSSI PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE � ovvio, il proprietario espropriato non ricava alcuna specifica utilit� del precedente avviamento, dato che l'immobile finisce per avere una destinazione del tutto diversa da quella precedente. Dispone, infatti, l'art. 6 della legge in esame che, in caso di espropriazione per pubblica utilit�, il diriitto del conduttore al compenso per la perdita dell'avviamento �viene soddisfatto�, nei limiti e secondo i criteri stabiliti dall'art. 4, sull'indennit� di espropriazione, e che a tale fine il conduttore � pu� valersi � delle norme di cui agli artt. 27 e 54 della legge sulle espropriazioni per pubblica utilit�. Ora non sembra che possa affermarsi che con tale disposizione, chiaramente diretta a favorire la sola parte per la quale si rendeva necessario intervenire, il legislatore abbia inteso rinnovare o modificare la norma fondamentale che regola la determinazione dell'indennit� di espropriazione, sancendo che nel �giusto prezzo� da attribuire all'immobile � in una libera contrattazione di compravendita � debba tenersi conto anche del plusvalore locativo postulato dall'art. 4 della legge n. 19 del 1963. In primo luogo non si pu� non rilevare che l'avviamento azien dale, inteso, secondo la comune accezione, come qualit� dell'azienda, non incide minimamente nella libera contrattazione in caso di com pravendita e, cio�, sul puro valore di scambio, indipendentemente dal danno subi�to dall'espropriato, e che, d'altra parte, l'espropriazione col pisce l'immobile e non l'attivit� commerciale in essa esercitata. Ma a prescindere da tali rilievi, sembra evidente che con la dispo sizione in esame ed � inteso sancire unicamente che il fatto dell'espro priazione, in quanto determina la cessazione immediata del rapporto di locazione, deve essere considerato alla stregua del precedente �art. 4, agli effetti della attribuzione al conduttore del compenso per la per dita dell'avviamento, stabilendo l'entit� del compenso stesso ed i modi con cui il conduttore pu� soddisfare il suo diritto. Nulla, invece, la norma dispone in ordine alla posizione del pro prietario espropriato nei confronti dell'espropriante, mentre, come chia ramente si evince dal suo testo, ove si parla di soddisfacimento del compenso �sull'indennit� di esproprio� ed ove � richiamato l'art. 27 della legge n. 2359 del 1865, a norma della quale i terzi aventi diritti sull'immobile �sono resi indenni dagli stessi proprietari�, la norma stessa configura il compenso riconosciuto al conduttore come un'obbli gazione del solo locatore espropriato, e ci� in applicazione del principio, fondamentale in tema di espropriazione per pubblica utilit�, che l'in dennit� di esproprio � unica ed ha come destinatario il proprietario (o l'enfiteuta), sicch� � questi, e non l'espropriante, il soggetto passivo di eventuali diritti che possono valutare i terzi estranei al procedimento di esproprio. 1044 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Vero � che la disposizione in esame, con il richiamare anche l'art. 54 della legge fondamentale sulle espropriaziorii., abilita il conduttore anche ad impugnare �come insufficiente� la indennit� di esproprio provvisoriamente determinata, ma se si rtiene presente che il pregiudizio patrimonial� che subisce il conduttore dalla cessazione del rapporto locativo, essendo mutevole da caso a caso, entro i limiti stabiliti dall'art. 4, non � determinabile a priori dal perito di cui all'art. 32 �.ella legge n. 2359 del 1865, e, soprattutto, se si considera la ben norta ed ampiamente criticata imperfezione delle norme contenurte nella legge in esame, si pu� a ragione ritenere, come � stato gi� ritenuto da autorevole dottrina, che il richiamo all'art. 54 legirttimi il conduttore ad impugnare la stima per la sua non rispondenza della indennit� preventiva al valore effettivo dell'immobile espropriato e non anche per la mancata o inadeguata determinazione dello speciale nocumento patrimoniale subito a seguito della cessazione del rapporto locativo. D'alrtra parte non � chi non veda come ben scarso sia l'interesse del condwttore a proporre la impugnazione ad una stima che sostanzialmente non lo pregiudica, posto che l'indennizzo per la perdita dell'avviamento gli deve essere � in ogni caso � corrisposto dal locatore. Non sembra, poi, alla Corte che abbia pregio l'unica argomentazione dalla quale la sentenza impugnata ha tratto la conclusione che anche al proprietario imprenditore, in virt� della norma in esame, spetti l'indennizzo per la perdita dell'avviamento e, cio�, che, dovendo, anche nel caso di espropriazione, il compenso al conduttore essere rapportato al vantaggio tratto dal locatore dal precedente avviamento, tale vantaggio non pu� non consistere in quello derivato al locatore dall'essersi tenuto conto dell'avviamento ai fini della determinazione. dell'indennirt� di �esproprio. A parte, infatti, ogni rilievo in ordine alla possibilit� di desumere una cosi rilevante modifica della norma che indica i criteri da applicare nella determinazione dell'indenni.t� di esproprio da un inciso di �assai incerto significato, non � esatto che, come affermato -dalla sentenza impugnata, il condurttore non potrebbe mai far valere il diritto riconosciutogli dalla norma in esame, �mandandone l'oggertto �, qualora non si tenesse conto dell'avviamento nella liquidazione dell'indennit� di esproprio perch�, come si � gi� detto, secondo il sistema della legge, il diritto del conduttore al compenso � autonomo rispetto alla misura dell'indennit� di esproprio liquidata al locatore, il quale � tenuto � in ogni caso� alla corresponsione dell'indennizzo per la perdita dell'avviamento. Se cos� � e se si tiene presente che, nel caso di cessazione del rapporto derivante da espropriazione per pubblico interesse, nessuna �utilit�� possono conseguire n� l'espropriante, n� l'espropriato da un avviamento incorporatosi in un immobile destinato ovviamente ad essere PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE demolito, � lecito ritenere, ad avviso della Corte, che nella ipotesi prevista dall'art. 6, a differenza delle altre ipotesi di cessazione del rapporto di locazione prese in considerazione dalla legge in esame, questa abbia inteso riferirsi, non gi� ad un diretto e concreto vantaggio del locatore espropriato, bensi alla semplice possibilit� astrartta di un vantaggio, indipendentemente dalla circostanza che egli, in concreto, si giovi dell'incremento che l'immobile abbia conseguito dall'attivirti'l del conduttore. Devesi, pertanto, concludere che la sentenza impugnata � incorsa in errore nel ritenere che la disciplina attuata nella legge n. 19 dei 1963 abbia innovato ai criteri di determinazione dell'indennit� di esproprio. -(Omissis). SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA(*) CONSIGLIO DI STATO, Ad. pJ.en., 1� lugJ.io 1975, n. 8 -Pres. Ve trano -Est. Iannelli -Barboni ed altri (avv. Martuscelli) c. Mini stero tesoro (avv. Stato Azzariti). Impiego pubblico -Orario di lavoro -Uffici della Capitale -D.C.G. 17 settembre 1939 -Non � pi� in vigore -Applicabilit� dell'art. 106 R.D. n. 2960 del 1923. Impiego pubblico -Orario di lavoro -Personale ausiliario -Inizio un'ora prima degli altri impiegati -Settima ora -Retribuzione come lavoro straordinario -Non spetta. Il decreto del Capo del Governo 17 settembre 1939, con il quale venne fissato l'orario degli uffici statali e degli enti pubblici della Capitale, comunque soggetti alla vigilanza dello Stato; dalle ore 8 alle 14 nei giorni feriali e dalle ore 8 alle 12 nelle domeniche e nei giorni festivi, senza alcuna interruzione, aveva carattere tempoiraneo, essendo strettamente legato alle circostanze e alle finalit�, che avevano determinato la sua emanazione (economia nelle spese per il funzionamento degli uffici e dei servizi); pertanto, una volta venuti meno i decreti 22 ottobre �1941 e 18 marzo 1942 (che -ferma la durata dell'orario di servizio in sei ore nei giorni feriali -dettarono nuove disposizioni in materia di orario per l'intero territorio nazionale, ivi compresa la Citt�, di Roma, rispettivamente valide fino al 31 marzo 1942 e al 31 ottobre 194.2) ha ripreso vigore ed efficacia l'art. 106 R.D. 30 dicembre 1923 n. 2960, tuttora vigente ai sensi dell'art. 385 primo comma T.U. 10 gennaio 1957 n. 3, che fissa in sette ore giornaliere l'orario di lavoro dei pubblici impiegati (1). Ai sensi dell'art. 106 R.D. 30 dicembre 1923 n. 2960, tuttora in vigore ai sensi dell'art. 385 primo comma T.U. 10 gennaio 1957 n. 3, (1-2) Sulla questione circa l'orario di servizio negli uffici statali della Capitale, se di� sei ovvero di sette ore, che ora � definitivamente risolta dall'Adunanza Plenaria in aderenza alla tesi sostenuta dalla Amministrazione dopo il contrasto di giurisprudenza delle Sezioni semplici, vedasi tale giurisprudenza e la nota in questa Rassegna 1973, I, 1142. (*) Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha collaborato anche l'avv. RAFFAELE TAMIOZZO. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1047 l'orario di lavoro dei pubbHci impiegati � fissato in sette ore giornaliere; pertanto, legittimamente l'Amministrazione nega il riconoscimento, a favore di dipendenti della carriera ausiliaria, della retribuzione, a titolo di lavoro straordinario, dell'ora di servizio in pi� (la settima) prestata rispetto alle sei ore giornaliere di lavoro che attualmente effettuano gli altri impiegati pubblici (2). (Omissis). -L'ordinanza di rimessione, nel richiamare alcuni pareri espressi dalla prima e dalla seconda Sezione di questo Consiglio (I Sez. n. 2506 detl. 1969; II Sez. n. 282 del 1970, ed a.Lcune deciisi-On1i giurisdizionaJ. i rese semiPre da questo CoI11Se1s.so (IV Sez .. 30 ottobre 1968 n. 676; IV Sez. 28 luglio 1971 n. 756), rfoorda che un dec:reto del Capo del Go .verno del 17 1s1ettembre 1939 fiss� l'orall'io degli uffici 1stata!li e degJ.i enti pubb1iiei della capitaJ.e in sei ore giornaliere, dail!le Oil'e otto alJle ore quattordici nei giorni ferialii, �senza alcuna interruzione e senza distinzione alcuna fra le varie �cateigorie di impiegati. Richiama, poi, la c:i.rcostianza �he gli ausilia1ri prestalllo un'ora di lavoro in pii� rispetto aigH ailtri impiega- ti delle altre �C'ategorie, e d� per provveder�e a(!Je incombenze di loro competenza (mantenere l'ordine la pulizia dei loca[i) prima delLl'dinizio del lavoro d'ufficio, cos� come chiaramente � 1s.tabdJito dlaU'art. 189 del T.U. n. 3 del 1957, che .prevede, appunto, le mansfoni del personale aus.Uia�rio. Ci� premesso, l'ordinanza chiede che lAdunanza plenaria, ai fini di stabilire un principio di carattere generale, si pronunzi sul quesito se al personale ausiliario spetti o meno la retribuzione come laivoro straordinario dell'.ora di servizio prestata quotidianamente in pi� rispetto agli impiegati delle altre categorie. Al quesito stesso lAdunanza plenaria non'pu� dare una compiuta risposta senza aver prima accertato la validi1t� o meno, sotto il profilo giuridico, delle premesse, da cui muove l'ordinanza di rimessione. L'art. 106 del R.D. 30 dicembre 1923 n. 2960, dispose, originariamente, nel primo comma, che �l'impiegato deve osservare l'orario di ufficio, la cui durata normale giornaliera � di sette ore e deve essere divisa in due periodi, salvi i casi di servizi speciali per i quali, con disposizione del Ministro, sia diversamente stabilito�. Tale disposizione era applicabile anche al �personale subalterno� (ora, ausiliario), in virt� dell'art. 119 dello stesso R.D. n. 2960 del 1923. Successivamente, il R.D.L. 3 ottobre 1935 n. 1856, autorizz� il Capo del Governo ad emanare con i suoi decreti, anche in deroga alle vigenti disposizioni legislative e regolamentari, norme intese a conseguire economia nelle spese per il funzionamento degli uffici e dei servizi, nei confronti delle Amministrazioni statali, delle amministrazioni, 1048 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO istituti ed enti indicati nell'art. 2 R.D.L. 1� giugno 1933 n. 641, e degli istituti scolastici pubblici e privati di qualsiasi ordine e grado. In base al detto R.D.L. n. 1856 del 1935, con decreto 17 settembre 1939, il Capo del Governo fiss� l'orario degli uffici statali e degli enti pubblici della capitale, comunque soggetti alla vigilanza dello Stato, dalle ore 8 alle 14 nei giorni feriali e dalle ore 8 alle 12 nelle domeniche e nei giorni festivi, senza alcuna interruzione. Questa Adunanza plenaria rileva che il decreto 17 settembre 1939 aveva indubbiamente carattere temporaneo, era legato strettamente, cio�, alle circostanze e alle finalit�, che avevano determinato la sua emanazione (economie nelle spese per il funzionamento degli uffici e dei sei:vizi). Il caraittere della sua temporaneit� � dimostrato dal fatto che il detto decreto venne abrogato dal decreto 22 ottobre 1941 che, ferma la durata dell'orario di servizio in sei ore nei giorni feriali, dett� nuove disposizioni in materia di orario per l'intero territorio nazionale, ivi compresa perci� la ci.itt� di Roma, valide fino al 31 marzo 1942. Ancora prima che scadesse questo ultimo termine, il 18 marzo 1942 venne emanato un ulteriore decreto, stabilendosi, sempre in materia di orario, una nuova normativa valida fino al 31 ottobre 1942. Scaduto, anche, quest'ultimo termine, non fu emanata alcuna altra disposizione al riguardo. Epper� riprendeva vigore ed efficacia la citata norma dell'art. 106 del R.D. 30 dicembre 1923 n. 2960, che, come si � detto, fissava in sette ore giornaliere l'orario di lavoro dei pubblici impiegati. Che la norma sancita nell'art. 106 primo comma sia tuttora vigente, � dimostrato dalla circostanza che essa � stata fatta espressamente salva dall'art. 385 primo comma del T.U. n. 3 del 1957. Ed � proprio in virt� di questo esplicito richiamo, contenuto nell'art. 385, che il legislatore del 1957 si � potuto limitare ad affermare, nell'art. 14 primo comma dello stesso T.U., soltanto il principio secondo cui l'orario di servizio dei pubblici impiegati �rimane regolato dalle norme in vigore�, individuate queste norme, appunto, nelle disposizioni del pi� volte citato art. 106, abrogando, in quanto incompatibili, tutte le a1tre norme. Vero � che nel secondo comma dello stesso art. 385 � sancito il princip,io secondo cui �rimangono in vigore le disposizioni regolamentari particolari delle singole Amministrazioni�, ma � pur vero che la validit� di tali disposizioni, come � esplicitamente detto, �, subordinata alla loro compatibilit� con le norme del T.U. Epper� non pu� ritenersi in vita l'art. 231 del regolamento approvato con R.D. 23 marzo 1933 n. 185, esteso, con decreto luogotenenziale del 31 agosto 1945 n. 532, all'Amministrazione del tesoro, in quanto il cita>to art. 231, proprio perch� stabilisce per gli ausiliari un orario di otto ore giornaliere, � incompatibile con il principio generale di cui all'art. 106. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1049 'In definitiva, � tuttora vigente la norma dell'art. 106 primo comma del menzionato R.D. 30 dicembre 1923 n. 2960, che stabilisce l'orario di lavoro degli impiegati, compresi gli ausiliari, in sette ore giornaliere. Perde, pertanto, pregio il primo motivo del ricorso, con il quale si lamenta la violazione dell'art. 14 del T.U. 10 gennaio 1957 n. 3, per mancato pagamento della settima ora a titolo di lavoro straordinario, poich� la detta settima ora � compresa nell'orario normale di lavoro. �, poi, manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale sollevata, in via subordinata, con il secondo motivo, in quanto la norma sopra citarta stabilisce una eguale durata dell'orario giornaliero di lavoro per rtutrti gli impiegati. Altra e diversa � la questione della disparit� di trattamento oggi esistente tra gli ausiliari e gli altri impiegati, i quali, pur in presenza di un'unica disciplina legislativa, prestano, in effetti, sei ore giornaliere di lavoro. Ma per tale questione nessun specifico motivo � starto dedotto dai ricorrenti, onde essa esula oggi dalla cognizione del giudice. -(Omissis). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 17 giugno 1975, n. 594 -Pres. (ff.) Benvenuto -Est. Rizzo -Ingenito ed alwi (avv.ti Montuori e Allodi) c. Prefetto di Napoli (avv. Stato Siconolfi) e Ospedale civile di Torre Annunziata (avv. Bonifacio). Espropriazione per pubblica utilit� -Normativa -Titolo II L. n. 865/1971 Opere pubbliche non connesse ad opere di urbanizzazione -Applicabilit� � Effetti. Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione d'urgenza -Proroga del termine -Proroga successiva al deposito dell'indennit� ma anteriore alla scadenza del termine -Legittimit� -Sussiste. Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione d'urgenza -Proroga del termine -Trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia urbanistica -Regime transitorio -Legittimit� del provvedimento prefettizio -Sussiste. Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione d'urgenza -Termine quinquennale ex art. 20 L. 865/1971 -Applicabilit� di detto termine alle occupazioni anteriori alla legge 865/1971 -Sussiste. Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione d'urgenza -Proroga del termine in caso di indifferibilit� e urgenza ex Iege -Obbligo di motivazione -Non sussiste. Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione d'urgenza -Giudizio sulla durata della proroga -Discrezionalit� -Sussiste. 1050 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione d'urgenza -Rapporto con il provvedimento di espropriazione -Autonomia -Effetti in relazione alla diversit� dei termini. La normativa prevista dal titolo II della L. 22 ottobre 1971 n. 865, ai sensi dell'art. 9 come interpretato autenticamente dalla'rt. 1 ter legge 25 febbraio 1973 n. 13 (quale risulta dalla successiva rettifica pubblicata nella G.U. 6 marzo 1972 n. 62), trova applicazione anche in tema c!i opere pubbliche non connesse ad opere di urbanizzazione; la norma dell'art. 1 ter citato ha carattere dichiarativo e non innovativo e quindi valore retroattivo; ne consegue che l'art. 20 della L. 865/1971 � applicabile anche alla realizzazione di un ospedale che concreta un'opera pubblica senza essere necessariamente connessa con un programma di fabbricazione (1). Atteso il carattere dichiarativo e quindi ?�etroattivo della disposi zione di cui all'art. 1 ter L. 13/1972, legittimamente viene disposta la proroga dell'occupazione d'urgenza, quando detta proroga intervenga successivamente all'ordinanza di deposito dell'indennit�, ma anterior mente alla scadenza del termine originario di durata della occupa zione (2). Anche successivamente all'entrata in vigore del D.P.R. 15 gen naio 1972 n. 8 che ha trasferito alle Regioni a Statuto Ordinario le funzioni amministrative statali in materia di urbanistica, di viabilit�, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale, il Prefetto pu� ema nare il provvedimento di proroga dell'occupazione d'urgenza ex art. 20 L. 865/1971 nel periodo transitorio e precisamente qualora alla data del 1� aprile 1972 risulti gi� iniziata la procedura espropriativa e risulti �altres� gi� disposta l'occupazione d'urgenza con assunzione di impegni a carico dello Stato ex art. 49 R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 (3). Trova applicazione sia ai provvedimenti da adottare in epoca successiva sia a quelli adottati prima della sua entrata in vigore la disposizione contenuta nell'art. 20 L. 865/1971, a norma della quale l'occupazione d'urgenza pu� essere protratta fino a cinque anni dalla data di immissione in possesso, e ci� in deroga al principio .generale affermato dall'art. 73 della L. 25 giugno 1865 n. 2359, che prei,edeva un pe1�iodo di occupazione non superiore ai due anni (4). (1-7) Decisione di indubbia esattezza, che conferma in motivazione la soluzione legislativa circa le difficolt� interpretative sollevate dall'art. 9 L. 865/1971 in merito alle singole opere pubbliche, e cio� se queste fossero da .ritenersi ipotesi autonoma e distinta rtspetto alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ovvero da considerarsi nel loro stesso contesto. Come � noto, con l'art. 1 ter della Legge 25 febbraio 1972 n. 13 (come successivamente rettificato nella Gazzetta Ufficiale 6 marzo 1972 n. 62, errata-corrige pag. 865) si stabil� che le � singole opere pubbliche � non sono una species rispetto al genus costituito dalle opere di urbanizzazione PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1051 Qualora presupposti della occupazione d'urgenza siano la indiffe- 1�ibilit� e urgenza dell'opera, presupposti che conseguono direttamente dalla legge, non sussiste alcun obbligo di motivazione del provved�mento prefettizio di occupazione (5). Fermo il limite temporale di cinque anni, la durata della occupazione comporta valutazione ampiamente discrezionale, che attiene esclusivamente al merito (6). Poich� sussiste autonomia tra il provvedimento di espropriazione del Provveditore alle opere pubbliche e il provvedimento di occupazione d'urgenza del Prefetto, non pu� ravvisarsi il vizio di eccesso di potere nella semplice diversit� dei termini in essi posti, anche considerato che essi si riferiscono a valutazioni della situazione di fatto operate in epoche diverse (7). primaria e secondaria, ma costituiscono una categoria distinta rispetto a tutte le altre. Ne consegue, pertanto, l'applicabilit� della normativa di cui al titolo II L. 865/1971 alla realizzazione di singole opere pubbliche anche nella ipotesi in cui esse non siano connesse ad opere di wrbanizzazione. Sulla natura dichiarativa, e quindi ad effetti retroattivi, dell'art. 1 ter della L. 25 febbraio 1972 n. 13 cfr. parere Commissione speciale 24 giugno 1972 n. 18 (in Il Consiglio di Stato 1972, I, 1911); Di Ci'Ommo~ Il procedimento di espropriazione deHa legge sulla casa (in questa Rassegna 1973, II, 137); T.A.R. Lazio Sez. I, 27 novembre 1974 (ivi, 1975, I, 549). R.T. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 24 giugno 1975, n. 611 -Pres. De Capua -Est. Schinaia -Palopoli (arvv. Pallottino) c. Provveditorato regionale 00.PP. per la Calabria e Regione Calabria (n.c.) e Comune di Crucoli (avv. Amatucci). Edilizia -Programma di fabbricazione e regolamento edilizio -Decorrenza del termine per impugnazione -Pubblicazione all'albo pretorio -Rilevanza. Edilizia -Programma di fabbricazione -Osservazione -Accoglimento � Omissione della ripubblicazione della deliberazione di adozione del programma modificato -Illegittimit� -Sussiste. Edilizia -Programma di fabbricazione -Deliberazione di accoglimento di osservazioni -Adozione da parte della Giunta e non del Consiglio Comunale -Illegittimit� -Sussiste. Edilizia -Programma di fabbricazione -Imposizione ex novo di vincoli assoluti di inedificabilit� -Esclusione. Edilizia -Programma di fabbricazione -Vincolo di inedificabilit� su fascia di terreno confinante con strada non pubblica -Illegittimit�. l 1052 RASSEGNA DELL'AVV_OCATURA DELLO STATO i I Edilizia � Programma di fabbricazione � Zona di rispetto di cimiteri ! Determinazione del Medico Provinciale � Competenza -Sussiste. I I Edilizia � Contenuto del programma di fabbricazione -Imposizione di vincoli a spazi e servizi pubblici su aree di propriet� privata -Illegittii ~ mit� -Sussiste. Poich�, a norma dell'art. 31 L. 17 agosto 1942 n. 1150 e successive modificazioni, il programma di fabbricazione fa parte del regolamento edilizio, solo successivamente al periodo di pubblicazione all'albo I! pretorio �x art. 63, 3� co. T.U. 3 marzo 1934 n. 383 inizia a decorrere il termine per la sua impugnazione (1). Qualora la Giunta municipale, nell'adottare il programma di fabbricazione, accolga le osservazioni dei progettisti inerenti non gi� alla semplice eliminazione di errori materiali, ma a sostanziali modifiche del programma, senza procedere alla ripubblicazione della deliberazione di adozione del programma modificato, tale delibera risulter� illegittima (2). Illegittimamente la Giunta municipale procede, al posto del Consiglio comunale, alla adozione di una delibera che approva proposte di modifiche� dell'originaria deliberazione consiliare di adozione del programma di fabbricazione (3). P.oich� il programma di fabbricazione ha un contenuto di piano ridotto, esso non pu� imporre ex novo vincoli assoluti di inedificabilit� o di destinazione specifica delle singole aree, eccezion fatta per quei vincoli particolari che sono suscettibili di essere inseriti nei programmi di fabbricazione con piani particolari, con valore di variante e causativi di determinati effetti sulla propriet� privata, come il piano per l'edilizia economica e popolare, e per quei vincoli gi� gravanti su determinati beni, come, ad esempio, quelli che destinano aree all'esecuzione di opere pubbliche gi� in atto o in fase attuativa (per le quali siano in corso i procedimenti relativi connessi alla pubblica utilit� dell'opera e con efficacia espropriativa): in tali casi il programma di fabbricazione riveste, infatti, un carattere meramente .ricognitivo o esplicativo; conseguenteme1de, in difetto delle predette condizioni, non pu� essere contemplata da un programma di fabbricazione la previsione vincolante della costruzione di una superstrada, con connessa imposizione di zona di rispetto caratterizzata dal vincolo di inedificabilit� assoluta, su estese (1-7) Sul contenuto e i limiti del programma di fabbricazione esiste contrasto giurispirudenziale fra T.A.R. e Consiglio di Stato. Fra le pi� recenti decisioni cfr. Sez. V, 8 gennaio 1966 n. 27 (in Il Consiglio di Stato 1966, I, 60); Sez. V 22 dicembre 1970 n. 1194 (ivi, 1970, I, 2289); Sez. V 14 aprile 1972 n. 262 (ivi, 1972, I, 634); Sez. V, 22 febbraio 1974 n. 192 (ivi, 1974, I, 276); Sez. V, 15 marzo 1974 n. 259 (ivi, 1974, I, 459); Ad. PI. 9 aprile 1974 n. 3 (ivi, 1974, I, 505); T.A.R. Veneto 15 luglio 1974 n. 19 PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1053 fasce laterali, qualora di tale opera non sia gi� intervenuta la dichiarazione di pubblica utilit� (4). Il D.M. del Ministro LL.PP. 1 aprile 1968 n. 1404, emanato a norma dell'art. 19 L. 6 agosto 1967 n. 765, prevede limiti applicabili solo a strade pubbliche, ivi comprese quelle provinciali e comunali, ma non alle strade private, sia pur gravate da servit� di uso pubblico, relativamente alle quali, pertanto, nelle previsioni di un programma di .fabbricazione resta preclusa la possibilit� di imporre vincoli di inedificabilit� su strisce di terreno ad esse adiacenti (5). L'art. 338 del T.U. sulle leggi sanitarie del 1934 n. 1265, cosi come sostituito dall'art. 1 della legge 17 ottobre 1957 n. 983, prevede di norma un raggio non inferi01�e ai 200 metri quale zona di rispetto dei cimiteri; tale vincolo pu� peraltro essere ridotto con decreto del competente Medico provinciale; pertanto la maggiore estensione di d�tta zona rispetto a quella determinata dal Medico provinciale non pu� essere determinata con la delibera approvativa del programma di fabbricazione, non essendo ricognitiva, ma anzi contrastante con il vincolo precedente (6). Con il pro~ramma di fabbricazione non possono essere imposti positivamente sulle aree d� propriet� privata vincoli relativi a spazi pubblici e riservati alle attivit� collettive, a verde pubblico o a parcheggi (7). (ivi, 1974, parte speciale, 73); Sez. V 30 settembre 1974 n. 399 (ivi, 1974, I, 1038); T.A.R. Piemonte 5 febbraio 1975 n. 17 (in Rassegna T.A.R. 1975, I, 519); T.A.R. Piemonte 25 febbraio 1975 n. 47 (ivi 1975, I, 542). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 8 luglio 1975, n. 665 -Pres. De Capua -Est. Giovannini -Quaglia e altri (avv. Lorenzoni) c. Ministero Finanze (avv. Stato Bruno). Impiego pubblico -Stipendi, assegni e indennit� � Passaggio di carriera � Differenza fra vecchia e nuova retribuzione � Conservazione del trattamento -Diritto alla corresponsione di un importo compensativo Provvedimento di determinazione dell'assegno � ad personam � � Natura � Non � autoritativo � Impugnabilit� nel termine di prescrizione. Impiego pubblico � Stipendi, assegni e indennit� � Assegno � ad personam � � Fattispecie di passaggio di carriera -Aumenti periodici � Criteri di valutabilit� � Effetti � Divieto di reformatio in peius. Il diritto all'assegno ad personam, con funzione compensativa della differenza fra la vecchia (maggiore) e la nuova (minore) retribuzione, che si acquista nel passaggio di carriera del dipendente civile dello Stato, trova la sua disciplina negli artt. 3 L. 9 agosto 1957 n. 751 e 202 T.U. 10 gennaio 1957 n. 3, a norma dei quali la p.a. non esercita 1054 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO alcun potere discrezionale e di natura autoritativa nella determinazione dell'assegno ad personam; ne consegue che il provvedimento relativo � impugnabile nel termine di prescrizione (1). L'assegno ad personam nel caso di passaggio di carriera � istituto ricollegabile al principio della conservazione del trattamento economico gi� raggiunto e mira a impedire la reformatio in peius del trattamento medesimo; di tal che, pur in presenza di una fiotio juris in ordine alla rP.trodatazione del passaggio aHa data di nomina al nuovo impiego rispetto a quella dell'effettiva assunzione nel nuovo servizio, non pu� essere ign-0rato l'aumento economico medio itempore conseguito, e ci� al fine di non frustrare la finalit� propria di detto beneficio, volta pe1� l'appunt-0 a impedire che al dipendente venga corrisposta una retribuzione inferiore a quella goduta al momento della assunzione effettiva delle nuove funzioni, malgrado l'Amministrazione abbia continuato medio tempore ad avvalersi dell'operato del dipendente nel vecchio impiego assoggettandolo ai relativi doveri e responsabilit� (2). (1-2) Sulla natura e la finalit� specifica dell'assegno ad personam,. previsto dall'art. 202 T.U. 10 gennaio 1957 n. 3 cfr. Sez. IV, 21 marzo 1969 n. 80 (in Il Consiglio di Stato 1969, I, 707); Sez. IV, 2 luglio 1969 n. 333 (ivi, 1969, I, 1136); Sez. IV, 13 luglio 1971 n. 713 (ivi, 1971, I, 1347); Sez. VI, 23 novembre 1973 n. 546 (ivi, 1973, I, 1776). Con effetto dal 1� luglio 1970, ai esnsi del 3� co. art. 12 del D.P.R. � 28 dicembre 1970 n. 1079, nel caso di passaggio di carriera di cui al citato art. 202 e alle disposizioni analoghe, al personale delle Amministrazioni dello Stato, compreso quello ad ordinamento autonomo, che goda di uno stipendio, paga o retribuzione superiore a quello spettante �nella nuova qualifica o grado o categoria sono attribuiti, in luogo dell'assegno personale gi� previsto, gli aumenti periodici necessari per assicurare uno stipendio, paga o retribuzione di importo pari o immediatamente superiore a quello in godimento all'atto del passaggio. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 11 luglio 1975, n. 688 -Pres. Uccelcellatore -Est. Giovannini -Soc. Boscotre e altre (avv.ti Minieri, Mastropasqua e Sorrentino) c. Ministero lavori pubblici e altri (n.c.) e Comune di Cesano Boscone (avv..ti Bassani e Boitani). Edilizia � Piano di lottizzazione � Art. 8 L. 6 agosto 1967 n. 765 � Lottizzazioni antecedenti al 2 dicembre 1966 � Prescrizioni nuove e difformi rispetto al piano di lottizzazione, introdotte con piano regolatore generale � Necessit� della motivazione . Sussiste. L'assoggettamento di una zona del territorio comunale alle prescrizioni di un piano di lottizzazione non impedisce la successiva formazione ed emanazione di un piano regolatore generale contenente previsioni relative alla stessa zona, nuove e difformi; la assimilazione del piano di lottizzazione ad un piano regolatore particolareggiato e la PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1055 sua conseguenziale posizione di minorit� rispetto al piano regolatore generale postulano necessariamente la possibilit� di una modifica, da parte del secondo, della regolamentazione contenuta nel primo qualora sopravvengano specifiche ragioni di pubblico interesse. Tale principio resta operante anche per quanto concerne le lottizzazioni anteriori al 2 dicembre 1966 perch� fatte salve dall'art. 28, 8� CO., della L. 17 agosto 1942 n. 1150 come modificato dall'art. 8 della L. 6 agosto 1961 n. 765, e ci� i_n quanto tale ultima disposizione si limita esclusivamente a consentire la permanenza in vigore di lottizzazioni antecedenti alla predetta data anche se prive di una complementare convenzione edilizia. Peraltro la introduzione a mezzo di piano regolatore generale di prescrizioni nuove e difformi rispetto al piano di lottizzazione deve essere congruamente e analiticamente motivata, poich� in relazione al fondamento sostanzialmente pattizio dei piani di lottizzazione e delle convenzioni edilizie si costituisce in capo alla parte privata pur sempre una legittima aspettativa al completo compimento dei lavori previsti; cosicch� l'obbligo della motivazione del sopravveniente piano regolatore generale che modifichi il piano di lottizzazione si ricollega al noto principio secondo il quale la p.a. non pu� incidere sfavorevolmente mediante provvedimenti discrezionali su posizioni giuridiche attive se non evidenziandone espressamente le ragioni giustificative (1). (1) Sul rapporto fra piano di lottizzazione e piano regolatore generale, nonch� sulla necessit� della motivazione di quest'ultimo in caso di modifiche del primo, e, in genere, -del provvedimento che incida negativamente su situazioni soggettive degli amministrati, si richiamano -oltre alla acuta e approfondita indagine contenuta nella motivazione della presente decisione -le seguenti decisioni: Sez. II, 11 novembre 1969 n. 747 (in Il Consiglio di Stato 1973, I, 102); Sez. V 11 maggio 1973 n. 488 (ivi, 1973, I, 488); Sez. VI, 19 ottobre 1973 n. 360 (ivi, 1973, I, 1397); Sez. V, 30 novembre 1973 n. 986 (ivi, 1973, I, 1723); Ad. Pl. l"l maggio 1974 n. 5 (ivi, 1974, I, 697); Sez. VI, 19 aprile 1974 n. 145 (ivi 1974, I, -020); Sez. V, 28 febbraio 1975 n. 293 (ivi, 1975, I, 157); CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 11 luglio 1975, n. 695 -Pres. Uccellatore -Est. Rizzo -Soc. Oleificio Riforma fondiaria (avv. SpineJli) c. Ministero LL.PP. (avv. Stato Freni) e Impresa Mitaridonna (avv. Carbone). -Contratti della p.a. -Revisione prezzi -Prezzi correnti alla data di aggiudicazione e alla data delle intervenute variazioni -Minimi di paga sopravvenuti -Applicazione -Legittimit� -Sussiste. Poich� il disposto di' cui all'art. 1 D.Lvo 6 dicembre 1941 n. 1501 prevede -salvo patto contrario -la facolt� di procedere per lavori relativi ad opere pubbliche alla revisione dei prezzi, qualora sia riconosciuto da parte dell'Amministrazione -un aumento o una diminuzione 1056 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del costo complessivo in misura superiore al 10 % a seguito di variazioni di prezzi che siano intervenute successivamente alla presentazione delle offerte, � legittimo l'operato del Ministero dei LL.PP. il quale -accogliendo il ricorso proposto dalla ditta appaltatrice -stabilisca la revisione dei prezzi sulla base di nuovi minimi di paga fissati da un contratto interconfederale entrato in vigore in epoca successiva alla data di presentazione dell'offerta (1). (1) In tema di revisione dei prezzi nei contratti di appalto di opere pubbliche cfr. Sez. IV, 12 luglio 1974 n. 548 (in questa Rassegna 1975, I, 179 con nota di commento); Sez. IV, 11 marzo 1975 n. 270 (in Il Consiglio di Stato 1975, I, 282). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 11 luglio 1975, n. 696 -Pres. Uccellatore -Est. Carbone -Soc. Immobiliare Servio Tullio (avv. Lavitola) c. Provveditorato regionale 00.PP, del Lazio ed a1tri (avv. Stato Ricci) e Comune di Roma (avv.ti Rago e Carnovale). Espropriazione per pubblica utilit� � Edilizia scolastica -Procedimento di approvazione del vincolo � Relazione con diversa destinazione di piano particolareggiato � Possibilit� di modificazione � Legittimit� � Sussiste. Espropriazione per pubblica utilit� � Edilizia scolastica � Commissione Provinciale per l'edilizia scolastica � Giudizio di idoneit� sull'area da vincolare � Necessit� � Sussiste. Una precostituita destinazione di piano particolareggiato non pu� precludere la facoltd di apportare varianti al piano regolatore generale in sede di procedimento di approvazione di un vincolo per edilizia scolastica ex art. 14 l. 28 luglio 1967 n. 641; viene, infatti, in. tal caso a cad~re lo stesso presupposto del piano particolareggiato, mentre l'opera di edilizia scolastica che dovrd essere ubicata nell'area vincolata, possedendo i requisiti della pubblica utilitd e della urgenza, � altresi dotata di esecutivitd; ne consegue che il decreto del Provveditore alle 00.PP., che vincola a fini di edilizia scolastica un'area,. del tutto legittimamente modifiche1�d il p1�eesistente piano particola- 1�eggiato che in ipotesi destini ad altre finalitd l'area medesima (1). Ai sensi dell'art. 14 l. 28 luglio 1967 n. 641 la competente Commissione provinciale deve,solo rendere un giudizio di idoneitd sull'area da vincolare, e non � affatto obbligata ad effettuare scelte comparative e motivate fra una pluralitd di aree (2). (1-2) Sul provvedimento di approvazione e scelta dell'area da destinare a costruzione di un edificio scolastico cfr. Sez. IV, 17 dicemb:re 1974 n. 1065 (in Il Consiglio di Stato 1974, I, 1635); Sez. IV, 20 dicembre 1974 n. 1301 (ivi, 1974, I, 1639). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1057 CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 11 luglio 1975, n. 699 -Pres. Uccellatore -Est. Schinaia -!d� (avv.ti Vitale G. e G.) c. Prefetto di Reggio Calabria ed altri (avv. Stato Cosentino). Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Espropriazione per pubblica utilit� -Provvedimenti della Commissione provinciale per l'edilizia scolastica -Giudizio di idoneit� dell'area -Atto autonomamente impugnabile -Ricorso proposto in sede di impugnativa del decreto di occupazione e del decreto di imposizione del vincolo Irricevibilit� � Sussiste. Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione d'urgenza -Mancata notificazione ad un comproprietario del decreto di introduzione nel fondo -Redazione stato di consistenza -Intervento dell'interessato Sanatoria -Sussiste. Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione d'urgenza -Provvedimento emesso dopo la scadenza del termine per l'inizio delle espropriazioni ma prima della scadenza del termine per eseguire i lavori Legittimit� -Sussiste. Espropriazione per pubblica utilit� � Occupazione d'urgenza -Impugnativa del decreto prefettizio di occupazione -Area non di propriet� del ricorrente -Censure -Carenza di interesse -Sussiste. Espropriazione per pubblica utilit� -Edilizia scolastica -Mancato rispetto del termine di emanazione del decreto di vincolo dell'area -Natura Decadenza -Non sussiste. Espropriazione per pubblica utilit� -Edilizia scolastica -Decreto di vincolo dell'area � Parere dell'Ingegnere Capo dell'Ufficio del Genio Civile � Necessit� � Non sussiste. Il provvedimento della Commissione per l'edilizia scolastica, con il quale viene espresso giudizio di idoneit� sull'area indicata dal Comune per la costruzione di una scuola, essendo equiparato alla dichiarazione di pubblica utilit� ex art. 2, ottavo comma l. 26 gennaio 1962 n. 17, incide direttamente sul bene e pertanto � autonomamente impugnabile, con L'ulteriore conseguenza della irricevibilit� di un: ricorso avverso il medesimo proposto a termini scaduti, in sede di impugnativa dei decreti di occupazione di urgenza e di vincolo dell'area (1). Qualora uno dei comproprietari dell'area da occupare intervenga personalmente alle operazioni relative alla redazione dello stato di eonsistenza, si sana ogni vizio concernente la notificazione del decreto (1-6) cfr. prec. dee. Sez. IV, 11 luglio 1975 n. 696. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO prefettizio che autorizza i funzionari ad introdursi nell'area al predetto scopo accertativo (2). Legittimamente viene emanato il provvedimento di occupazione di urgenza, preordinato alla futura esp1�opriazione, successivamente alla scadenza dei termini per l'inizio delle espropriazioni e dei lavori, ma anteriormente alla scadenza di quelli relativi al compimento dell'opera (3). Non � ammissibile, per carenza di interesse, la censura relativa ad una erronea indicazione di appartenenza al ricorrente di un'area oggetto di un provvedimento di occupazione di urgenza, che sia invece di propriet� di un altro soggetto, qualora il ricorrente non abbia subito '!-lcuno specifico pregiudizio da detta erronea indicazione (4). Ai sensi dell'art. 2, quarto comma, l. 26 gennaio 1962 n. 17 il Provveditore alle Opere Pubbliche ha il termine di quindici giorni per l'emanazione del decreto di vincolo dell'area destinata a fini di edilizia scolastica; in mancanza di una esplicita previsione di decadenza, il termine in parola deve essere considerato semplicemente ordinatorio ad ogni effetto (5). Legittimamente il Provveditore alle 00.PP. pronuncia il vincolo di un'area da destinare alla costruzione di un edificio scolastico senza acquisire preventivamente il parere dell'Ingegnere Capo dell'Ufficio del Genio Civile; infatti, per effetto dell'art. 2 l. 26 gennaio 1962 n. 17,. che ha tacitamente abrogato l'art. 8 l. 9 agosto 1954 n. 615, il giudizio di idoneit� dell'area prescelta per fini di edilizia scolastica � di spettanza della Commissione Provinciale competente, di cui fa parte in qualit� di Presidente il predetto Organo del Genio Civile (6). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 26 S.ettembre 1975, n. 776 -p.re�s. Uccellatore -Est. Pezzana -Perrotti ed altro (avv.ti C. e N. Sciacca) c. Min~stero Tesoro e I.N.A.iLL. (avv.ti FJ.amini e Schillaci). Competenza e giurisdizione -Impiego pubblico e privato -Diritti patri� moniali -Cumulo di trattamento di attivit� con trattamento di pensione -Recupero somme corrisposte indebitamente -Giurisdizione del giudice di legittimit�. Pensioni -Pensionati riassunti -Comulo di trattamenti -Ex indennit� integrativa speciale I.N.A.I.L. -Cumulabilit� -Sospensione della corresponsione -Illegittimit�. Data la discrezionalit� -collegata ad esigenze di equit�, di buona amministrazione e di tutela della buona fede dei percipienti -dei provvedimenti con i quali la P.A. esercita la repetitio indebiti nei confronti dei propri dipendenti e pensionati per somme loro erroneamente PARTE I, SEZ. V, G,IURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1059 corrisposte, annullandone implicitamente il pagamento e stabilendone le modalit�, rientra nella giurisdizione del giudice di legittimit� la controversia relativa al recupero collegato alla corresponsione di emolumenti con violazione del divieto di cumulo fra trattamento di servizio attivo e trattamento di pensione, nei riguardi di un pensionato riassunto (1). L'ex indennit� integrativa speciale, una volta corrisposta autonomamente dall'Istituto nazionale contro gli infortuni sul lavoro (I.N.A.I.L.) ai propri dipendenti e poi conglobata nello stipendio, ha natura giuridica diversa dall'indennit� integrativa speciale spettante ai pensionati statali; pertanto, � illegittimo il provvedimento di sospensione della corresponsione della detta indennit� e di addebito delle somme corrisposte. (1) La stessa IV Sezione, di recente con ord.ze 3 giugno 1975 n. 568 e 569 (v. Consiglio di Stato, 1975, I, 713), con riguardo a sentenza della Corte di cassazione che ha dichiarato sussistente la giurisdizione della Corte dei conti, ha deferito la questione all'Adunanza plenaria delle Sezioni giurisdizionali. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 26 settembre 1975, n. 778 -Pres. De Capua -Est. Rizzo -Romano (avv. Liguori) c. Ministero tesoro (avv. Stato dei Greco). Ricorso giurisdizionale -Tassa e bollo -Inosservanza delle norme sul bollo -Sanzione di improcedibilit� ex art. 28 D.P.R. n. 492 del 1953 Abrogazione ex D.P.R. n. 642 del 1972 -Adempimenti d'ufficio. Guerra -Danni di guerra -Contributo di ripristino -Detrazione -Somme corrisposte a titolo diverso dal risarcimento -Indennizzi di assicurazione -Vanno detratti. Ricorso giurisdizionale -Motivi -Specificazione -Necessit� -Criterio Fattispecie -Inammissibilit� per genericit�. L'improcedibilit� del rieorso per infrazione delle norme sul bollo, prevista dall'art. 28 D.P.R. 25 giugno 1953 n. 492, � venuta meno con l'e.?1-trata in vigore del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642; pertanto, in caso di ricorso giurisdizionale redatto su foglio di carta semplice, il segretario della Sezione � tenuto ad inviare l'atto irregolare al competente Ufficio del registro, ai sensi dell'art. 19 .terzo ~omma D.P.R. n. 642 del 1972 cit. Ai sensi dell'art. 11 l. 27 dicembre 1953 n. 968, dal rism�cimento dei danni di guerra corrisposto in forma di contributo per il ripristino 1060 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del bene danneggiato di cui all'art. 23 l. cit. vanno detratte tutte le provvidenze per il recupero e il ripristino del bene, comunque corrisposte, e cio� anche a titolo diverso dal risarcimento del danno di guerra, nonch� gli indennizzi liquidati da societ� assicuratrici. La specificazione del motivo di censura basato su fatti e circostanze gi� noti all'atto della proposizione del ricorso gerarchico, ma non precisati nella generica formulazione del detto ricorso, � da considerare tardiva se effettuata solo in sede di ricorso giurisdizionale; pertanto, in tale ipotesi la doglianza conserva il suo camttere di genericit� e va disattesa per inammissibilit�. CONSIGLIO DI . STATO, Sez. IV, 26 settembre 1975, n. 838 -Pres. Uccellatore -Est. Giovannini -Banca d'Italia (avv.ti Sangiorgio. e Guarino) c. Fidotti ed altri (avv.ti Galateria e Ciufolini) e Ministero tesoro (avv. Stato Azzariti). Competenza e giurisdizione -Credito e risparmio -Esercizio del credito Revoca -Impugnativa -Competenza del T.A.R. Lazio. Il provvedimento di revoca dell.'autorizzazione all'esercizio del credito non ha efficacia territorialmente limitata alla sola circoscrizione giudiziaria in cui ha sede principale l'Impresa bancaria; pertanto, la relativa controversia rientra in primo grado nella competenza del Tribunale regionale del Lazio, ai sensi dell'art. 3 secondo e terzo comma L. 6 dicembre 1971 n. 1034. (Omissis). -Il ricorso per regolamento di competenza � fondato. Come � noto, ai sensi dell'art. 3 secondo e terzo comma della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 la competenza a conoscere delle impugnazioni giurisdizionali avverso atti degli organi centrali dello Stato spetta in primo grado al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, all'infuori delle ipoitesi in cui tali atti abbiano efficacia limitata terriJtorialmente alla circoscrizione di un diverso Tribunale amministrativo (ovvero riguardano pubblici dipendenti in servizio presso uffici ivi aventi sede), nel qual caso la competenza in questione spetta a quest'ultimo. Nella specie ritiene il Collegio che all'impugnato provvedimento di revoca dell'autorizzazione all'esercizio del credi,to non possa riconoscersi efficacia territorialmente limiitata alla sola circoscrizione giudiziaria ove ha sede principale l'impresa bancaria. All'uopo � in via preliminare da rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa degli attuali resistenti, l'individuazione dell'ambito di efficacia territoriale del suddetto provvedimento di re PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1061 voca dev�e necessariamente venir effettuato in relazione all'ambito di efficacia territoriale del provvedimento positivo di auitorizzazione: essendo infatti iii. piI'limo pTeordinato al �riibiro �itntegir:ale del secondo, i suoi effetti non possono non avere una identica estensione spaziale (giacch� altrimenti la revoca finirebbe col non soddisfare, quanto meno in parte, la sua naturale funzione caducatoria). Ora � noto che, come la dottrina ha da rtempo posto in luce, l'efficacia sostanziale delle autorizzazioni amministrative sta nella rimozione dell'impedimento stabilito dall'ordinamento all'esercizio di un diritto o, pi� in generale, di una determinata posizione giuridica soggetti:Va; l'autorizzazione, cio� a dire, costituisce tiJtolo di legittimazione alla esplicazione di un'attivit� che �, in sua mancanza, vietata dalla legge. L'efficacia territoriale di tal genere di provvedimenti non pu� pertanto che essere individuata in relazione all'ambito spaziale entro cui detti effetti sosrtanziali sono destinati ad operare. Al riguardo � invero da rilevare che in talune ipotesi l'autorizzazione vale a legittimare una attivit� esperibile esclusivamente, o per sua natura o per volont� dell'ordinamento, in una delimitata sfera territoriale (la quale pu� a sua volta essere intraregionale o ultraregionale: ci� avviene ad esempio, riguardo agli atti di competenza degli organi centrali dello Stato, per le autorizzazioni a demolire, modificare o restaurare cose di interesse artistico o storico ai sensi dell'art. 11 della L. 1� settembre 1939 n. 1089; per le autorizzazioni ad apportare modificazioni in aree soggette a servi1t� miutare, ai sensi dell'art. 19, quarto comma ultima parte del R.D. 4 maggio 1936 n. 1388; per le autorizzazioni alla installazione ed esercizi di impianti di diffusione sonora e televisiva via cavo, ai sensi degli arrtt. 25 e 26 della legge 14 aprile 1975 n. 103, etc.); in altre ipotesi, viceversa, l'autorizzazione vale a legittimare una arttivit� spazialmente indefinita. Ritiene il Collegio che per l'appunto entro tale seconda categoria debba venir ricompreso il provvedimenrto di autorizzazione all'inizio delle operazioni di credito. Invero, nel sistema stabilito dall'art. 28 della L. 7 marzo 1938 n. 141, � in materia prevista una prima autorizzazione vo1ta a consentire la costituzione dell'azienda di credito, a seguito della quale l'Autorit� giudiziaria pu� procederne alla iscrizione nel registro delle imprese ai sensi dell'art. 2330 Cod. dv. (attualmente nel registro tenuto presso la cancelleria del tribunale competente, in forza dell'art. 100 delle disposizioni di attuazione e transitorie del codice civile). A questo punto l'Impresa bancaria, in una con l'acquisto della personalit� di diritto, diviene titolare di una capacit� giuridica che la rende, al pari di quel che accade per ogni altro Ente morale, astrattamente idonea all'imputazione di atti e di rapporti giuridici svolgentisi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in una qualsiasi parte del territorio nazionale e degli stessi territori esteri, idoneiit� che peraltro � ad essa in concreto inibito di attuare fino alla emanazione dell'autorizzazione all'inizio delle operazioni. Quest'ultima autorizzazione, pertanto, compor.tando dal punto di vista sostanziale la rimozione dell'impedimento disposto dallo stesso citato art. 28 all'esercizio della suddetta generale capacit� giuridica, costiituisce titolo di legiittimazione all'esperimento di attivit� non territorialmente localizzata di talch� non pu� non ricomprendersi nell'ambito dei delineati provvedimenti ad efficacia spazialmente indefinita. N� detto rilievo � in contrasto con la disposizione contenuta nel medesimo art. 28 secondo cui sono necessarie ulteriori autorizzazioni per l'istituzione di sedi, filiali, succursali, agenzie, dipendente e recapi. ti: ci� in quanto tali pro'V'Vedimenti sono richiesti per la creazione di particolari organizzazioni stabili periferiche, ma non impingono sul semplice ordinario svolgimento delle funzioni istituzionali dell'Impresa bancaria, anche al di fuori della circoscrizione ove � sita la sua sede principale. Di conseguenza, poich� come si � innanzi detto al provvedimento di revoca dell'autorizzazione all'esercizio del credito deve riconoscersi efficacia terri,toriale identica a quella afferente il provvedimento posi tivo di autorizzazione, va ritenuta nella specie la fondatezza del ricorso per regolamento in esame eppertanto la competenza del Tribunale re gionale amministrativo del Lazio a conoscere dell'impugnato decreto ministeriale 27 settembre 1974, giusta il disposto dell'ari. 3 terzo com ma, della L. 6 dicembre 1971 a. 1034. Alla stessa conclusione pu� d'altra parte pervenirsi anche sotto un secondo profilo specifico al caso in questione. Risulta invero che la Banca Privata Italiana ha una filiale in Roma. Ora, nori c'� dubbio che la revoca dell'autorizzazione all'esercizio del credito concretizzi i suoi effetti oltrech� in Milano, ove l'Impresa ha }a sua sede, anche direttamente nella stessa Roma, comportando la immediata perdita della potest� di svolgimento delle operazioni da parte della suddetta filiale ivi esistente. Non ritiene al riguardo il Collegio di poter condividere il con trario assunto prospettato dalla difesa dei resistenti, secondo cui tale fenomeno costituirebbe mero effetto riflesso del provvedimento impu gnato eppertanto sarebbe irrilevante ai fini della individuazione del foro amministrativo competente. � noto infatti che, come pi� volte la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare, le filiali sono organi degli enti bancari cui appartengono (cfr. Cass. 20 ottobre 1956 n. 3717); in quanto tali sono pertanto esse stesse titolari della potest� di agire per conto dell'Ente, di italch� un provvedimento, quale quello nella specie impugnato, che �espropri� . l: t ~ f: f: ! PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA quella potest� non pu� che incidere non gi� di riflesso bensi in via diretta su di esse. Deve aggiungersi che di analoga efficacia territoriale ultraregionale va altres� definita la parte del decreto ministeriale impugnato con la quale � stata disposta la messa in liquidazione coatta ammini.strativa della Banca Privata, giacch� le relative operazioni dovranno essere compiute oltrech� presso la sede centrale in Milano anche presso, o quanto meno con riferimento, alla filiale di Roma. Nessuna influenza in ordine alla determinazione del Tribunale amministrativo competente � da ultimo ravvisabile nella parte dell'originario gravame con cui � stato impugnato il provvedimento del Governatore della Banca d'Italia di nomina del commissario liquidatore e del comi.taito di sorveglianza della Banca Privata Italiana. A parte ogni altra considerazione, trattandosi infatti di atto esecutivo del decreto ministeriale ed essendo pertanto il relativo giudizio legato da un vincolo di accessoriet� rispetto al giudizio avente ad oggetto quest'ultimo, deve ri<tenersi valere per esso la competenza del giudice della causa principale giusta i noti principi in tema di connessione processuale (arg. ex al.1t. 31 Cod. proc. civ.). Il ricorso della Banca d'Italia va pertanto accolto. -(Omissis). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 27. giugno 1975, n. 924 -Pres. (ff.) Pranzetti -Est. Giacchetti -Comune di Pisa (avv.ti Piccioli e Clarizia) c. Lazzeri e altra (avv. Colzi) -(Giudizio di appello, T.A.R. Toscana 27 agosto 1974 n. 66: annulla senza rinvio). Cosa giudicata -Effetti -Possibilit�, in relazione a norme sopravvenute, di adozione di un provvedimento analogo a quello . annullato -Sussiste. Atto amministrativo -Obbligo di motivazione -Natura -Limiti. Edilizia -Licenza di costruzione -Attivit� vincolata -Limiti -Effetti. Cosa giudicata -Esecuzione -Diniego di licenza edilizia -Annullamento e successiva sopravvenienza di piano regolatore -Nuovo diniego Legittimit� -Sussiste. Non viola il giudicato l'Amministrazione che adotti un provvedimento analogo a quello annullato in sede giurisdizionale, ma giustificato da norme sopravvenute in data anteriore a quella della notificazione della decisione del giudice, e ci� in relazione al noto principio secondo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cui il giudicato amministrativo si forma sull'atto impugnato e sulla base della situazione di fatto e di diritto che ha costituito le premesse del provvedimento; ferma restando, quindi, la possibilit� per gli interessati di sottoporre ad ulteriore controllo giurisdizionale l'operato del- Z'Amministrazione per accertarne la legittimit�, la sopravvivenza di nuove norme elimina ogni vincolo all'azione amministrativa e rende improponibile ogni questione connessa alla esecuzione del giudicato (1). Solo in presenza del presupposto relativo alla discrezionalit� della scelta demandata all'Autorit� decidente sorge il dovere di motivare il provvedimento; non sussiste tale obbligo, invece, in tema di esercizio di attivit� vincolata, nella quale non si pone un problema di comparazione fra interesse primario del quale l'Amministrazione � istituzionalmente attributaria, e gli interessi secondari della concreta fattispecie in considerazi�ne (2). Il rilascio di una licenza edilizia rientra nella attivit� strettamente vincolata all'osservanza di tutte le norme legislative, regolamentari e di piano regolatore, che regolano l'attivit� edilizia; il Sindaco in subiecta materia non ha alcun potere discrezionale e la normativa di cui all'art. 31 l. 17 agosto 194:2 n. 1150 e successive modificazioni ammette la deroga alle norme di piano regolatore solo al fine di realizzare edifici e impianti pubblici; anche l'art. 4:1 quater della citata l. 1150, nel sancire la decadenza delle licenze gi� concesse, che contrastino con le nuove p1�evisioni urbanistiche,, costituisce una ulteriore conferma della natura vincolata del provvedimento in parola (3). Il nuovo diniego di una licenza di costruzione, pronunciato dalla Amministrazione successivamente all'annullamento in sede giurisdizionale di un precedente diniego, pu� essere legittimamente e sufficientemente giustificato con il richiamo ad una normativa di piano regolatore medio tempore intervenuta, che vieti la concessione della licenza stessa; n� sussiste alcun obbligo di esternazione di motivi qualora il. diniego della licenza rappresenti l'unica determinazione che poteva essere adottata dal Comune in base alla predetta sopravvenuta normativa di piano regolatore (4). (1-4) Sulla motivazione del provvedimento amministrativo cfr. Sez. VI, 23 novemba:"e 1971 n. 937 (in Il Consiglio di Stato 1971, I, 2295); Sez. VI, 24 maggio 1974 n. 200 (ivi, 1974, I, 820); Csi. 10 maggio 1974 n. 140 (ivi, 1974, I, 823); Sez. VI, 18 ottobre 1974 n. 290 (ivi 1974, I, 1285); Sez. VI, 24 gennaio 1975 n. 14 (ivi, 1975, I, 44); Sez. IV, 25 febbraio 1975 n. 214 (ivi, 1975, I, 116). Sul riesame della domanda a seguito di annullamento in sede giurisdizionale cfr. in termini Sez. V, 25 ottobre 1974 n. 430 (ivi, 1974, I, 1233). PARTE. I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1065 CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 4 luglio 1975, n. 937 -Pres. Breglia Est. Prane:etti -Maino e altri (a'VV. Delli Santi) c. Provveditorato regionale 00.PP. per la Lombardia (n.c.) e Comune di Olgiate Comasco (avv. Bonaventura). Edilizia -Contenuto dei programmi di fabbricazione -Possibilit� di imposizione di vincoli di inedificabilit� o comunque a contenuto sostanzialmente espropriativo -Non sussiste. Emerge dalla legge urbanistica fondamentale 17 agosto 1942 n. 1150 (cos� come modificata dalla l. 6 agosto 1967 n. 765) il principio secondo il quale � preclusa la possibilit� di imposizione di vincoli di inedificabilit� o comunque a contenuto sostanzialmente espropriativo a mezzo dei programmi di fabbricazione in quanto strumenti urbanistici minori, fatti salvi peraltro i settori previsti da leggi speciali per l'edilizia economica e popolare, le opere di edilizia ospedaliera, universitaria ecc.; n� potrebbe sostenersi che siffatta limitazione di contenuto del programma di fabbricazione ne frusterebbe le finalit� di strumento urbanistico, ove si consideri che esso si riferisce� a piccoli centri per i quali normalmente non esiste il problema della reperibilit� delle aree da destinare ad opere pubbliche, essendo indifferente la localizzazione di queste ultime in relazione all'ampiezza dell'abitato (1). (1) cfr. nota a precedente dee. Sez. IV, 24 giugno 1975 n. 611. CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 11 luglio 1975. n. 1024 -Pres. Di Pace -Est. Riccio -Comune di S. Felice Circeo (avv. Cervati) c. Bertozzi (avrv. Carbone) -(Appello T.A.R. Lazio III Sez. 17 giugno 1974 n. 4: conferma). Edilizia -Contenuto del programma di fabbricazione -Figure tipiche e atipiche del programma -Differenze in rapporto alla possibilit� di imporre vincoli. Edilizia -Figura tipica del programma di fabbricazione � Relazione con la L. 30 novembre 1973 n. 756 � Possibilit� di imporre vincoli a propriet� private -Non sussiste. Leggi e decreti e regolamenti -Criterio di interpretazione � Legge inno� vativa -Limiti in relazione alla legittimit� della norma � Conseguenze in ordine alla interpretazione della L. 756/1973. 1066 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Edilizia � Contenuto del programma di fabbricazione . Figura tipica . Individuazione degli standars di cui all'art. 41 quinquies della L. 17 ago� sto 1942 n. 1150. L'art. 34 della legge 17 agosto 1942 n. 1150 regola la figura tipica del programma di fabbricazione che va tenuta distinta dalle figure atipiche disciplinate da successive leggi speciali le quali, in quanto emanate per soddisfare esigenze particolari, prevedono procedure speciali di esproprio e si servono per la realizzazione delle finalit� alle medesime connesse anche dei programmi di fabbricazione (ad es. i. 167I1962 per l'edilizia economica e popolare; l. 291 /1971 per l'edilizia ospedaliera ed universitaria; l. 865/1971 per le aree da destinare a insediamenti produttivi; l. 641 /1967 per l'edilizia scolastica); rispetto alle normative speciali, la figura tipica del programma di fabbricazione si caratterizza proprio dalla impossibilit� di imporre vincoli alla propriet� privata, essendo il suo scopo limitato alla determinazione delle linee direttrici dello sviluppo edilizio di un Comune, con indicazione dei limiti di ciascuna zona, i tipi di edilizia da praticarsi e le eventuali direttrici di espansione (1). La legge 756/1973 non ha innovato la struttura tipica del programma di fabbricazione, ma si � solo limitata alla proroga di altri due anni della efficacia della l. 19 novembre 1968 n. 1187, che prevedeva un limite temporale (5 anni) dei vincoli imposti col piano regolatore e che era stata a sua volta emanata per sopperire ad un rilievo di incostituzionalit� formulato dalla Corte Costituzionale con riferimento ai piani regolatori, i quali, con la imposizione del divieto di edificazione senza limiti di tempo, avrebbero comportato un esproprio senza indennizzo (2). Una legge con finalit� limitate, nella quale si pretenda di individuare innovazioni che incidono profondamente sulle strutture di istituti preesistenti, va interpretata con estrema prudenza, in conformit� anzitutto �col sistema preesiste.nte e poi col contenuto del dettato normativo per accertare se �effettivamente quest'ultimo possa avere una logica spiegazione solo riconoscendo l'innovazione, conclusione che va esclusa� qualora la nuova norma si inserisca perfettamente e legittimamente nel sistema preesistente senza modificarlo: e poich� la l. 75611973 effettivamente pu� inserirsi nel sistema preesistente senza modifiche, appare evidente che �laddove essa contempla vincoli nascenti da programmi di fabbricazione, essa si riferisce solo ai vincoli posti da quei programmi (atipici) che in via eccezionale possono contenerli, (1-3) La decisione conferma la sentenza del T.A.R. del Lazio III Sez., 17 giugno 1974 n. 4 (in Il Consiglio di Stato 1974, parte speciale, 169). Per riferimenti cfr. prec. dee. Sez. IV n. 611/1975 e giurisprudenva ivi richiamata. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1067 circostanza che non legittima affatto la ulteriore deduzione che i programmi di fabbricazione, nel loro contenuto normale, possano contenere vincoli alle propriet� private (3). L'art. 41 quinquies della l. 17 agosto 1942 n. 1150 dispone che in tutti i Comuni, in relazione alla formazione dei nuovi strumenti urbanistici e alla revisione dei preesistenti, vengano rispettati alcuni limiti inderogabili (che riguardano densit�, altezza e distanza) e alcuni rapporti massimi (tra spazi destinati ad insediamenti e spazi pubblici, tra cui i parcheggi). Siffatti limiti e rapporti rappresentano i cosiddetti standars, fissati con decreto ministeriale, che sono sostanzialmente criteri di massima cui debbono ispirarsi i vari strumenti urbanistici, cosicch� mentre il piano regolatore pu� tradurre gli standars nella esatta individ.azione delle aree da destinare ai vari scopi, siffatta possibilit� � preclusa al. programma di fabbricazione che deve contenere solo direttive di massima ex art. 34 l. 115011942, e che pertanto tradurr� gli standars solo nella prefissione di criteri che si ispirino ai rapporti e ai limiti sopra ricordati, senza peraltro poter giungere alla concreta individuazione delle aree (3). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 11 luglio 1975, n. 1027 -Pres. Di Pace -Est. Riccio -Losa (avv.iti Bussa e Vecchione) c. Ospedale provinciale �Amedeo di Savoia� di Torino (avv.ti Casavecchia e Menghini) -(Appello, T.A.R. Piemonte 19 giugno 1974 n. 30: conferma). Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale -Proponibilit� -Limiti in materia di pretese patrimoniali di pubblici dipendenti -Pretese derivanti direttamente dalla legge -Impugnativa di provvedimento formale -Necessit� -Non sussiste. In tema di pretese patrimoniali di pubblici dipendenti, quando trattasi di pretese direttamente derivanti dalla legge, il ricorso giurisdizionale � immediatamente proponibile senza impugnativa di un provvedimento formale della p.a.; ove invece si verta in ipotesi di vantaggi patrimoniali conseguenziali a modifiche della posizione del soggetto rispetto alla p.a., modifiche collegate necessariamente all'intervento di un provvedimento amministrativo con il quale si operi la modifica o si rifiuti la medesima, avverso quest'ultimo provvedimento il ricorso dovr� essere necessariamente diretto (1). (1) cfr. in termini Sez. IV, 30 giugno 1970 n. 488 (in Il Consiglio di Stato 1970, I, 935); Sez. IV, 2 luglio 1971 n. 646 (ivi, 1971, I, 1314); Csi. 17 febbraio 1972 n. 266 (ivi, 1972, I, 254); Sez. IV, 19 febbraio 1974 n. 188 (ivi, 1974, I, 212); T.A.R. Piemonte 19 giugno 1974 n. 30 (ivi, 1974, parte speciale, 62). 1068 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 30 settembre 1975, n. 1233 -Pres. (ff.) Pranzetti -Est. Cartalozzi -Prestia ed a1tl'i (avv. Mazzei) c. Demaio (avv. Lucifredi) e Miceli ed altri (n.c.) -(Appello, T.A.R. Calabria 23 gennaio 1975, n. 2, in Rass. T.A.R. 1975, I, 402: annulla con rinvio). Competenza e giurisdizione -Principi generali -Regolamento di giurisdi zione -Giudizio dinanzi al T .A.R. -Sospensione del procedimento � Obbligo � Sussiste -Automaticit� -Esclusione -Poteri di indagine del T.A.R. -Esclusione. La proposizione della domanda per regolamento preventivo di giurisdizione -espressamente consentita dall'art. 30 terzo comma l. 6 dicembre 1971 n. 1034 nelle more dei giudizi pendenti davanti ai Tribunali amministrativi regionali -importa ipso iure ed indeffettibilmente la temporanea sottrazione della potestas iudicandi al giudice adito, fino al momento della pronuncia delle Sezioni unite della Corte regolatrice, con la conseguenza che il processo di merito instaurato deve essere necessariamente sospeso; tale sospensione non � automatica, in quanto diviene operante solo per mezzo di apposita pronuncia del giudice adito, il quale, peraltro, non pu� e non deve compiere alcuna indagine approfondita o sommaria, n� alcun correlativo apprezzamento su profili formali o sostanziali del processo, neppure incidenter tantum, cio� ai limitati effetti della sospensione (1). (Omissis). -Il primo motivo dell'appello � fondato. Alla stregua del costante indirizzo giurisprudenziale della Corte di cassazione, la proposizione della domanda per regolamento preven tivo di giurisdizione -espressamente consentita dall'art. 30, terzo comma, della 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, nelle more dei giudizi pe1t1 denti dinanzi ai Tribunali amministrativi regionali -compo:rita ipso iure e indefettibilmente la temporanea sottrazione al giudice adito della potestas iudicandi fino al momento della pronunzia delle Sezioni unite e, in conseguenza, la necessaria sospensione del processo di me rito (v. Sez. un. 8 aprile 1963 n. 902; id. 17 febbraio 1965 n. 259; id. 20 dicembre 1972 n. 3632). L'anzidetta sospensione -che non preclude l'esercizio di poteri cautelari e, in particolare, l'emanazione di provvedimenti su eventuali (1) In senso conforme, sulla prima parte della massima, Cass. civ., SS.UU., 8 aprile 1963 n. 902, 17 febbraio 1965 n. 259 e 20 dicembre 1972 n. 3632, in La Settimana giuridica 1963, II, 564; 1965, II, 148; 1973; II, 43. In senso contrario, sulla seconda parte della massima, oltre alla sentenza del T.A.R. Calabria annullata con la presente decisione, Cass. civ. I Sez. 20 giugno 1973 n. 1822, ivi 1973, II, 825. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1069 istanze di sospensione dell'efficacia degli aitti impugnati -pur essendo obbligatoria, non ha tuttavia il carattere dell'automaticit�, poich� diviene concretamente operante so1tanto per mezzo di un'apposita statuizione del giudice a quo. Questo, peraltro, secondo il tenore letterale delle norme ora citate, la loro interpretazione logica e la finalit� dell'istituto in esame, che � quella di ottenere -al di fuori del sistema delle impugnazioni una sollecita pronunzia defini�tiva della Corte di Cassazione sul problema preliininare della giurisdizione per ridurre i tempi di svolgimento dei giudizi ed evitare qualsiasi spreco di attivit� processuale, non pu� compiere alcuna indagine approfondi�ta o sommaria, n� alcun correlativo apprezzamento su profili formali,. attinenti all'ammissibilit� e alla procedibilit� del proposto regolamento, oppure se !)rofili sostanziali, riguardanti la fondatezza del medesimo, nemmeno incidenter tantum cio� ai limitati effetti del disporre la sospensione. Il contrario avviso espresso in proposito dalla Corte regolatrice, con l'isolata sentenza della I Sezione 20 giugno 1973 n. 1822, in relazione alla ritualit� quanto al contenuto (domanda fondata su una norma dichiarata incostituzionale) del ricorso per regolamento di giurisdizione, non sembra al Collegio meritevole di adesione. Tale pronunzia, infatti, tralascia del tutto di considerare che il menzionato art. 367, primo comma, del Cod. proc. civ. subordina l'adozione dell'ordinanza non impugnabile di sospensione, testualmente, al mero accertament�, senza valutazioni di so11ta, del fatto giuridico costituito dal deposito nella cancelleria del giudice del merito di una copia del ricorso per cassazione, contenente la istanza di regolamento in parola, gi� notificato alle altre parti, e, implicitamente, anche la veTifica che la domanda stessa non si pr�esenti prima facie, ossia in maniera macroscopicamente chiara, sfornita di qualsiasi inerenza -sia pure formale o liinitata ad alcuni punti -all'oggetto del giudizio in corso. Giova osservare, inoltre, a confutazione della tesi accolta con la medesima sentenza, che, in base ad un principio generale della procedura civile, cui occorre richiamarsi nella presente controversia, mancando una diversa norma, la sottoposizione di una questione pregiudiziale -come quella della giurisdizione -insorta in un deterininato processo, alla cognizione in via principale di un diverso giudice, a decidere con efficacia di giudicato, esclude la possibilit� di una cognizione in via incidentale della questione stessa da parte del giudice originariamente adito. Infine, la possibilit� -sottolineata con particolare rilievo dall'appellato -della perpetrazione di abusi mediante lo strumento del regolamento preventivo di giurisdizione, suscettibile di essere impiegato, in contrasto con la sua specifica funzione, come espediente dila 1070 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO torio per allungare i tempi di durata dei processi costituisce un'evenienza che, riferendosi ad un aspetto patologico dell'Istituto, esige una attenta e meditata considerazione del legislatore al fine di apprestare, in quella sede, i rimedi ritenuti pi� congrui, ma che non consente in alcun modo agli organi giurisdizionali di disapplicare le norme attualmente in. vigore o di interpretarle in violazione di elementari canoni di ermeneutica. Nella specie, risulta dagli atti di causa che l'istanza per regolamento preventivo di giurisdizione del sig. Francesco Prestia, diretta alle Sezioni unite dalla Corte di cassazione e notificata per mezzo del servizio postale ai. sigg. Domenica Natale Demaio, Antonio Miceli e Domenico Antonio Marando il 15 gennaio 1975, � stata depositata in copia conforme all'originale -il 17 successivo nella segreteria del Tribunale amministratiVo regionale della Calabria, dinanzi al quale pendeva il ricorso proposto dai tre destinatari della suddetta notificazione per l'annullamento delle elezioni comunali di Plait�, svo1tesi il 26-27 novembre 1972. Esisteva, quindi, in maniera completa il presupposto del provvedimenrto soprassessorio di cui all'avt. 367, primo comma, del Cod. proc. civ. ove si consideri, da un lato, che non occorreva, ai fini dell'emissione di tale atto, il deposito nell'indicata segreteria degli avvisi di ricevimento (cartoline verdi) relativi all'eseguita notifica, i quali, invece, andavano depositati nella Cancelleria della Corte di cassazione ai fini della procedibiliit� dell'istanza di regolamento (artt. 369 del Cod. proc. civ.; 107 del D.P.R. 15 dicembre 1959 n. 1229; 4, 6, del R.D. 21 ottobre 1923 n. 2393); dall'altro, che quest'ultima, tendendo alla declaratoria della giurisdizione dell'Autorit� giudiziaria ordinaria nella controversia elettorale sottoposta al Giudice amministrativo investiva lo stesso oggetto della causa di merirto. In ta.le situazione il Tribunale adito avrebbe dovuto sospendere immediatamenrte il processo in corso, anzich� decidere la controversia (dopo la pubblica udienza di discussione del 22 gennaio 1975), sulla base di un'inammissibile delibazione -conclusasi negativamente della regolarit� formale del proposto regolamento (procura; deposito per soccombenza) e di un erroneo rilievo circa la mancanza nell'atto di esercizio di detto rimedio di � ogni specifica relazione col rtema oggetto del ricorso introduttivo del giudizio di merito�. L'inosservanza dell'obbligo ora precisato ha influito sulla validit� della impugnata pronunzia 22. gennaio 1975 n. 2, rendendola nulla per difetto di un requisito esenziale, ossia per carenza nel giudice che l'ha emessa del potere decisorio. Alla luce di quanto precede, il ricorso va accolto .e occorre, quindi, annullare, ai sensi dell'art. 35, primo comma, della L. 6 dicembre PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 1071 1971 .n. 1034, la sentenza in argomento con rinvio degli atti al Tribunale amministrativo regionale della Calabria, dove il processo instaurato dai sigg. Demanio, Miceli e Marando il 27 dicembre 1972, rester� sospeso in attesa che la Corte di cassazione definisca il procedimento per regolamento di giurisdizione promosso dal Prestia. La fondatezza della censura fin qui considerata preclude -per il suo carattere assorbente -l'esame di ogni altra questione. Sussistono ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese e g~i onorari di questo grado del giudizio. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 3 giugno 1975, n. 178 -Pres. Aru Est. Roselli -Bellusci c. I.N.A.M. -(Regolamento di competenza). Competenza e giurisdizione -Regolamento di competenza -Rapporto tra lo strumento regolato dagli artt. 42 e 43 c.p.c. e il regolamento di cui all'art. 31 L. 1034/1971 -Diversit� -Sussiste. Competenza e giurisdizione -Regolamento di competenza nei giudizi innanzi al T.A.R. -Sospensione del processo. L'art. 31 l. 6 dicembre 1971 n. 1034 contempla uno strumento diverso da quello previsto dagli artt. 42 e 43 c.p.c. poich� il regolamento di competenza previsto dal codice di procedura civile presuppone l'esistenza di un provvedimento formale del giudice di merito, laddove nel giudizio amministrativo � sufficiente l'istanza del resistente o di un interveniente che sollevi l'eccezione alla quale le altre parti non aderiscano (1). Ai sensi dell'art. 31 l. 1034/1971, in caso di accordo di tutte le parti, il Presidente del Tribunale adito, su loro istanza, provvedere alla trasmissione d'ufficio degli atti del ricorso ad altro Tribunale regionale; qualora, invece non vi sia accordo, sospende ii processo relati-. vamente al quale sia stato proposto il regolamento di competenza, affinch� si provveda poi da parte della Segreteria del Tribunale alla trasmissione degli atti al Consiglio di Stato: cossicch� l'inoltro degli atti al Consiglio di Stato trova il suo presupposto nel provvedimento di sospensione del processo e ad esso fa necessariamente seguito (2). (1-2) Questa decisione � conforme a quella del 29 aprile 1975 n. 475 (in H Consiglio di Stato 1975, I, 427), nella quale la Sez. IV ha precisato che, a norma dell'art. 31 L. 1034/1971, l'istanza di regolamento di competenza, bench� rivolta al Consiglio di Stato, va depositata presso la segreteria dei T.A.R. davanti al quale pende il giudizio, e ci� anche al fine di porre il Presidente nella condizione di conoscere l'atteggiamento delle altre parti e di provvedere -in caso di mancato accordo sulla eccezione alla sospensione del processo. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 10 maggio 1975, n. 1815 -P'res. Boccia -Est. Miele -P. M. Gentile (conf.) -Cassa di Risparmio dell'Aquila (avv. Pan�bianco) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Corsini). Imposte e tasse in genere -Imposte dirette -Maggiorazione di aliquota per ritardata iscrizione a ruolo -Infedele dichiarazione -Concetto. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 184 bis e 245). La nozione di infedele denunzia, non definita nel t.u. sulle imposte dirette, implica da parte del denunciante un comportamento quanto meno colposo nella indicazione degli elementi di fatto, attivi e passivi, che compongono il reddito, non anche nella valutazione giuridica dei fatti stessi; di conseguenza, quando siano stati esattamente denunciati i fatti non si configura una responsabilit� per pagamento di maggio1�e aliquota ove la qualificazione giuridica di essi proposta dal contribuente sia rettificata dall'Ufficio, come nel caso di non detraiblit� di passivit�. Detto concetto di infedele dichiarazione vale anche agli effetti dell'applicazione della soprattassa dell'art. 245, con la differenza che per la soprattassa, in talune ipotesi, si richiede un minimo di differenza tra reddito dichiarato ed accertato (1). (Omissis). -Con l'unico motivo la ricorrente Cassa di Risparmio, denunziando violazione e falsa applicazione degli articoli 184 bis e 245 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 245, afferma che erroneamente la (1) Conformi sono le sentenze in pari da nn. 1817, 1818, 1819, 1820. Questa pronunzia si discosta dalle precedenti (14 luglio 1972, n. 2392; 21 febbraio 1974, n. 461; 14 ottobre 1974, n. 2829, in questa Rassegna, 1972, I, 204, 1974, I, 975 e 1444) che avevano affermato una perfetta equiparazione tra gli artt. 184 bis e 245 sia in relazione al divario superiore al quarto tra imponibile dichiarato e accertato sia in relazione alla indeducibilit� di passivit�. Oggi si parte dall'affermazione, sulla quale non pu� pienamente consentirsi, che l'obbligo di pagamento della maggiorazione di aliquota presuppone quanto meno un comportamento colposo del contribuente e ci� si dice indipendentemente dalla qualificazione della maggiorazione(= interessi) come corrispettiva, compensativa, moratoria. Riallacciandosi al discorso pi� volte fatto sugli interessi nelle imposte indirette (v. C. Bafile, Ancora degli interessi sui tributi complementari, nota a Cass. 29 gennaio 1973 n. 271 e 2 febbraio 1973 n. 318, in questa Rassegna, 1973, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1073 Commissione Centrale ha ri<tenuto inapplicabile l'art. 245 del T.U. ai fini della definizione di denunzia infedele, nel mentre la connessione logica e concettuale esistente fra le varie norme del T.U. imponeva che, ai fini della individuazione della denunzia infedele, si tenesse conto dei cdteri indicati in detto articolo e, secondo il quale, non si ha denunzia infedele quando il divario tra reddito dichiarato e reddtto accertato sia inferiore ad un quarto o quando, in ogni caso, il divario dipenda dalla ritenuta indetraibilit� di spese, passiviJt� ed oneri, indicati dal contribuente nel loro esatto ammontare ma non J;"itenuti spettare dalla Amministrazione finanziaria, ipotesi che si verificava nella fattispecie. La censura � fondata. L'art. 184 bis del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 stabilisce che, decorso un semestre dalla data di pubblicazione del ruolo, in cui vengono iscritte le imposte risultanti dalle dichiarazioni presentate, si applica, indipendentemente dalle sanzioni stabilite nel tttolo XI, a carico del contribuente, che abbia omesso la dichiarazione o l'abbia presentata incompleta o infedele, una maggiorazione del 2,50 per cento sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base a rettifica delle dichiarazioni stesse o ad accevtamento dell'ufficio. Tale articolo, nel mentre pone sullo stesso piano, ai fini della obbligazione di interessi a c�rico del contribuente, le� ipotesi di omissione, incompletezza ed infedelt� della denunzia, non precisa la. nozione di queste tra forme di denunzia non conforme a legge ed in particolare usa il generico aggetti'Vo �infedele�, senza alcun riferimento di ordine esegetico n� qui n� altrove che permetta la definizione, e ci� a differenza della nozione di � omissione � o di � incompletezza � che possono ricavarsi agevolmente da altre norme del t.u. Si pu� per� I, 405) si dovrebbe affermare che fondamento della maggiorazione di aliquota, come degli interessi, � soltainto la mora che non presuppone un comportamento colposo ed � esclusa solo dalla impossibilit� di esatto adempimento per causa non imputabile (art. 1218 e.e.); non potrebbe quindi porsi a fondamento della maggiorazione di aliquota il comportamento colposo che non si richiede per gli interessi sulle imposte indirette o si richiede talvolta, con una notevole imprecisione di termini, soltanto per gli interessi sull'imposta complementare. Peraltro, poich� incontestabilmente sia per gli interessi che per la maggiorazione di aliquota la norma ha inteso porre contribuente e Amministrazione finanziaria su un piano di parit�, si dovrebbe ammettere che un comportamento almeno colposo da parte dell'Amministrazione dovrebbe essere il presupposto della indennit� per ritardato sgravio, il che potrebbe portare a neutralizzare quasi completamente gli effetti dell'art. 199 bis del t.u. � del 1958. Il vero � che l'infedele dichiarazione, come l'iscrizione a ruolo provvisorio per un importo superiore a quello definitivamente accertato, provocano, a favore e a danno delle due parti, un profitto e correlativa 1074 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO osseryare che, in linea generale, essendosi equiparate negli effetti queste tre ipotesi si debba fondatamente rifonere che esse siano espressione di un comportamento simile o analogo dell'obbligato alla denunzia fiscale, nel senso che, dovendosi ritenere la omissione o la incompletezza della denunzia effetto, quanto meno, della colpa del dichiarante, altrettanto debba ritenersi anche per la ipotesi della infedelt�. In effetti lessicalmente �infedele� significa, fra l'altro, con riferimento all'ipotesi in esame �non conforme alla verit� dei fatti�, il che implica che il comportamento del denunziante sia stato almeno colposo. Va aggiunto che le ipotesi suddette sono da porre in relazione con gli obblighi che incombono sul denunziante, la cui violazione pu� quindi dar luogo alla inosservanza di legge considerata nell'art. 184 bis. A tal proposito va osservato che il capo III del t.u. fa obbligo al cittadino di dichiarare periodicamente� nell'apposito modulo i redditi o i patrimoni soggetti ad imposta (art. 17). Tale dichiarazione deve essere unica per tutti i redditi o patrimoni del dichiarante e deve essere presentata, se si tratta di soggetto non tassabile in base a bilancio (art. 21), entro il 31 marzo. Questo termine � tassativo, onde, salvo che il ritardo non sia superiore ad un mese (art. 23) nel qual caso si fa luogo solo ad applicazione di sopra tassa (art. 243) la denunzia si considera omessa, legittimandosi cosi gli accertamenti d'imposta secondo gli artt . 80, 123, 142 del t.u. e l'applicazione della maggiorazione d'imposta prevista dall'art. 184 bis. Oltre che tempestiva, la denunzia deve essere � completa � cio� deve riguardare tutti indistintamente i redditi o i patrimoni del denunziante e di coloro per i quali vi � obbligo di denunzia da parte di italuno. Quanto alla ipotesi della mente un sacrificio anomali rispetto a quello che avrebbe dovuto essere il regolare adempimento della obbligazione; la funzione della maggiora zione di aliquota e dell'indennit� per ritardato sgravio � quella di neu tralizzare questa anomalia riportando, sia pure per equivalenza, alla nor malit� l'equilibrio del rapporto. In tutto questo la colpa non entra affatto. Resta comunque da chiarire che, come si � numerose volte affermato per gli interessi, la colpa sarebbe pur sempre presunta nel fatto stesso dell'infedelt� s� che, se pu� eventualmente ammettersi la prova contra ria da parte del contribuente, non si richiede certamente la prova della colpa con onere a carico dell'Amministrazione. Ma pur partendo da una premessa che non pu� accettarsi pacifica mente, la pronunzia delle Sezioni Unite ha apportato al problema un importante chiarimento su due punti. Posto che il contribuente ha l'ob bligo di presentare una denunzia veritiera sugli elementi di fatto, attivi e passivi, e non anche sulle valutazioni giuridiche che si propongono semplicemente ali'Amministrazione, si pu� escludere l'infedelt� di dichia razione (per mancanza di colpa), quando il divario fra gli imponibili ,_,__ �� .o/.&�.r" x �x , .ff0:,. ,:::::., :::: ....... .... ,_,__ �� .o/.&�.r" x �x , .ff0:,. ,:::::., :::: ....... .... PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 10i5 infedelt�, questa va esaminata con riferimento all'art. 24 .del t.u., il quale stabilisce che il denunziante deve esporre nella denunzia gli elementi attivi e passivi, necessari, secondo le norme concernenti le singole imposte, per la determinazione dei valori imponibili dei redditi e dei patrimoni posseduti dal soggetto nel periodo di imposta cui si riferisce la dichiarazione. Ci� significa che il denunzianrte � tenuto ad esporre degli elementi di fatto quali certamente si qualificano gli elementi attivi e passivi; non deve invece procedere anche ad una valutazioni giuridica di essi, valutazione che, essendo necessaria ai fini della determinazione della specie e dell'ammontare dell'imposta, � riservata all'Ufficio tributario (art. 31 del t.u.). Questo essendo il contenuto dell'obbligo del denunziante, egli non adempie al precetto di legge se indichi importi diversi dal vero dei redditi (elementi attivi) o degli elementi passivi, oppure, contrariamente al vero, attribuisca diversa provenienza o natura a tali elementi (indichi ad es. come reddito agrario un reddito professionale). Pu� rilevarsi che la indicazione degli elementi passivi non pu� avere altro scopo che quello di permetterne la eventuale deduzione dell'attivo e che, quindi, il denunziante il quale, dopo avere specificato l'elemento passivo, proceda alla sua contabilizzazione resta sempre nell'ambito degli obblighi dell'art. 24, cio� della esposizione degli elementi di fatto presupposti della imposta. Poich� il denunziante � tenuto solo ad esporre elementi di fatto senza che debba anche procedere alla loro valutazione giuridica, di questa non parlando l'a11t. 24, ne :viene che egli, se li abbia esattamente indicati, nel senso precisato, ha adempiuto ed esaurito il suo obbligo, e non ha rilevanza che la posta passiva, esattamente indicata, sia, in concreto, non detraibile, in quanto come si � gi� osservato, la deter dipende dalla indetraibilit� di passivit�, solo nell'ipotesi di indetraibilit� in senso giuridico di spese, passivit� ed oneri; il dovere di fedelt� riguarda anche gli elementi di fatto attinenti alle passivit�, s� che la denuncia � pur sempre infedele quando siano dichiarate passivit� inesistenti o dilatate. Solo quando la denuncia sia del tutto veritiera quanto ai fatti e l'eliminazione delle partite passive dipenda soltanto dalla applicazione della legge pu� escludersi l'infedelt�. L'altro punto importante, se pur trattato di sfuggita, � che l'equipa razione del concetto di infedele dichiarazione rispetto agii artt. 184 bis e 245 non � totale; solo per quest'ultima norma e solo in alcune ipotesi, per l'applicabilit� della soprattassa si richiede una differenza superiore al quarrto tra imponibHe dichiarato e accertato; ci� non vale per� per la maggiorazione di aliquota ed � questa una logica conseguenza della premessa assunta che l'infedelt� sia l'effetto di un comportamento omis sivo o colposo nella dichiarazione dei fatti, giacch� la colpa non � influen zata dalla entit� delle sue conseguenze. C. BAFILE 1076 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO minazione dell'imponibile e dalla imposta dovuta � compito esclusivo dell'Ufficio finanziario, il quale (art. 31) provvede al controllo delle dichiarazioni presentate, procede agli eventuali accertamenti in rettifica degli imponibili dichiarati e all'accertamento di ufficio quelli omessi. L'Ufficio rtributario, in possesso dei dati esatti relaitivi agli elementi attivi e passivi dei redditi o dei patrimoni, pu� provvedere alla loro valutazione e alla eventuale rettifica, se ritenga che l'elemenito passivo non sia suscettibile di valutazione. Questa essendo la normativa del t.u. 1958, non potvebbero farsi ricadere sul contribuente le conseguenze di una diversa qualificazione giuridica dell'elemento attivo o passivo esposto dal denunziante esattamente nei suoi connotati di fatto. Se cosi non fosse, si farebbe carico al denunziante di avere indicato, come gliene fa obbligo la legge, un elemento passivo e di avere proceduto, come � logico, alla sua deduzione dall'attivo. Il denunziante ove si ritenesse sussistente tale indifferenziata responsabilit� nel dubbio circa la deducibilit� di un determinato elemento passivo, si troverebbe nella situazione o di non dichiarare tale elemento passivo (con la conseguenza di do�ver pagare l'imposta in misura superiore al dovuto, giacch� l'art. 174 del t.u. stabilisce che sono iscritte a ruolo a titolo definiti�vo: � gli imponibili dichiarati dal contribuente �) oppure, nel caso in cui l'abbia posto in deduzione, di dovere corrispondere gli intevessi stabiliti dall'art. 184 bis. Pu� concludersi che la ipotesi di denunzia infedele si verifica solo quando il denunziante abbia dichiarato elementi attivi o passivi non conformi alla realt�, o perch� di diverso ammontare o per diversit� di natura o di proventenza. Le ulteriori dichiarazioni del denunziante circa la spettanza della detrazione di elementi passivi, valgono solo come esposizione all'Ufficio finanziario di itale conseguenza e pertanto esse non sono dichiarazioni di volont� ma solo unicamente proposte sottoposte all'Ufficio finanziario che solo ha il potere di accertare il loro fondamento. Va osservato che la denunzia infedele d� luogo, oltre che all'applicazione degli interessi per la ritardata iscrizione, eventualmente anche alle sanzioni dell'art. 245 del rt.u. A tal proposito va rilevato che detto articolo non contiene neppur esso alcuna definizione della denunzia infedele, ma solo la ripetizione del termine �infedele� sia nella intitolazione dell'articolo sia nel corpo in esso, per cui vale anche per la sanzione la stessa definizione sopra esposta. Si pu� rilevare che nel primo comma si stabilisce che la sanzione della sopratassa non � applicata se il divario tra l'imposta dovuta e quella relativa all'imponi:bile dichiarato non superi il quarto mentre se la infedelt� (secondo comma) riguardi, comprensivamenrte, redditi o patrimoni all'estero, ogni divergenza, anche se non superi il quarto, d� luogo alla applicazione della PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA sopratassa. � chiaro che da tali norme non pu� trarsi una nozione di infedelt� giacch� la norma presuppone la infedelt�, e solo in relazione alla ampiezza di essa fa derivare oppur no la sottoposizione del denunzian< te alla sanzione. Di modo che sia nel caso dell'art. 184-bis che dell'art. 245 del T.U. la nozione di denunzia infedele ha uno s<tesso contenuto, salvo nel caso dell'art. 245, come si � rilevaito, il rilievo della ampiezza della infedelt�. Non potrebbe portare a diverse conclusioni la natura che si volesse attribuire agli interessi che si debbono corrispondere secondo l'articolo 184-bis giacch�, siano essi interessi corrispettivi o compensa,t:iivi oppure moratori, ta1e obbligo deriva solo nel caso in cui la denunzia sia mancaillte, incompleta o infedele ipotesi che come si � visito richiedono per il loro verificarsi un comportamento quanto meno colposo del denunziante e non � sufficiente il semplice ritardo, nella iscrizione a ruolo. Quindi, nell'ambito della normativa del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645, non pu� dubitarsi che la denunzia � infedele solo nel caso in cui vi sia staita alterazione, contrariamente al v1ero, dei dati di fatto, da esporre nella denunzia, mentre una erronea valutazione giuridica di essi effettuata dal contribuente � irrilevante ai fini di far sorgere l'obbligo della corresponsione degli interessi di cui all'art. 184-bis del T.U. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez, I, 28 maggio 1975, n. 2173 -Pres. Giannattasio -Est. Payardi -P. M. Minetti (conf.) -Ministero delle Finarrae (avv. Stato Soprano) c. Ente Opere Laiche Lauretane (avv,. Galeazzi). Imposta sulle societ� -Opere Pie � Gestione di aziende con fini di lucro � Esenzione -Limiti. (1. 6 agosto 1954, n. 603, art. 1 e 3; t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 151). L'esenzione daU'imposta sulle societd per le opere pie abbraccia anche le attivitd industriali e commerciali che, bench� simili a quelle esercitabili da ogni altro imprenditore concorrente, siano strumentali dell'ente cui fanno capo (applicazione all'ipotesi di gestione di farmacia e di acquedotto). Tuttavia quando la gestione commerciale o industriale, non prevista nello statuto, sia totalmente estranea ai fini istituzionali, se pure di fatto i proventi siano destinati alle opere 1078 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'ente, non pu� pi� essere giustificato l'esonero (applicazione all'ipotesi di gestione di stabilimento idropinico) (1). (Omissis). -Con diligente, congrua e ortodossa valutazione dei testi fiscali, che non mette qui conto di ripetere analiticamente, i giudici di merito hanno nei due gradi uniformemente concluso che l'azienda della farmacia e l'azienda dell'acquedotto non rappresentano altro che mere attivit� strumentali dell'ente cui fanno capo, per corrispondere non so1tanto ai suoi bisogni economici essenziali, ma attraverso questo canale ai fini istirtuzionali di natura ed interesse pubblici che l'ente persegue e che giustifica l'esonero proprio in base al n. 6 dell'art. 3 della legge istitutiva dell'imposta sulle societ�. Non si nega che, di per s� considerata, l'attivit� industriale o commerciale di dette aziende sia del tutto equiparabile nel suo dinamismo merceologico a quella svolta da qualsiasi altro imprenditore concorrente (a prescindere qui dal regime di monopolio in cui si svolge l'attivit� dell'acquedotto). (1) Sulla tormentata questione dell'ampiezza della esenzione delle opere pie dall'imposta sulle societ� per le gestioni commerciali e industriali, la giurisprudenza della C.S. cerca a fatica una chiarificazione. Con la sent. 8 no�vembire 1973 n. 2933 (in questa Rassegna, 1973, I, 1009) si afferm� che un'attivit� esercitata in regime di concorrenza e per fine di lucro (nel caso una sala cinematografica aperta al pubblico) non pu� rientrare nell'esenzione accordata dall'art. 151 lett. i) del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, precisandosi anche che spetta all'intel'!Prete verificare obiettivamente se l'attivit� spiegata possa essere ricompresa nel fine istituzionale dell'ente, quale che sia il comportamento di esso nel dare o meno una costituzione autonoma e differenziata alla attivit� lucrativa; ed inoltre che la rispondenza dell'attivit� alle finalit� di interesse pubblico considerate dalla norma va valutata in senso stretto e in modo diretto e non in vista di una connessione strumentale. In senso del tutto opposto si pronunciava per� la C.S. con la sent. 11 dicembre 1974 n. 4189 (Riv. leg. Fisc., 1975, 1145); premesso che l'esenzione � esclusivamente soggettiva, essa va accordata, una volta recepita la esigenza di favorire l'ente, all'intera attivit� spiegata e quindi sia a quella direttamente conferente al fine statutario, sia a quella indiretta che e.gua1mente persegue il fine di interesse pubblico procurando i mezzi per la realizzazione della attivit� istituzionale. Con la sentenza ora intervenuta si assume una posizione intermedia: fino ad un certo limite (ma di assai difficile individuazione in concreto) � lecito ricomprendere nell'attivit� istituzionale anche quella 1strumentale; oltre quel limite si verifica �quella spaccatura strutturale� che non giustifica l'esonero. Il problema andrebbe rimediato al fine di offrire una soluzione pi� uniforme nell'applicazione dei singoli casi. Non sembra che l'art. 151, nelle varie ipotesi, intenda contemplare le attivit� complementari o strumentali estranee alle finalit� di pubblico interesse prese in considerazione; inoltre il criterio seguito dalla norma appare unitario ed omogeneo per tutte le categorie di soggetti elencate; se quindi limitazioni rigorose alla possibilit� di esercizio di attivit� estranee al fine vengono poste per le cooperative (lett. a e b) e si pretende per le aziende dello Stato e PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1079 Ma non � questo il criterio di individualizzazione della pretesa di esonero; anzi, a ben vedere, non lo � mai, perch� gli esoneri tributari riguardano sempre valutazioni ulteriori ed estrinseche rispetto alla mera considerazione economica del profitto dell'attivit� produttiva. Il vero momento rilevante riguarda la innucleazione della attivit� delle due aziende in considerazione dei fini perseguiti dalle stesse sia nel loro momento dinamico sia attraverso l'impiego del loro reddito. � puntualmente in funzione di questo momento che il legislatore ha ritenuto di non equiparare gli enti morali, pur nel momento in cui svolgono strumentalmente una attivit� industriale o commerciale, a speculatori nominalmente concorrenti che si presentano come operatori economici a fini meramente privatistici e personali. D'altra parte � stato acceritato irrevocabilmente in fatto che queste due aziende in oggetto non hanno alcuna autonomia n� strutturale n� di bilancio, e non costituiscono quindi una fonte meramente indi- degli enti locali (lett. d) che la gestione avvenga in regime di monopolio per servizi di interesse pubblico e infine per gli istituti di istruzione accademie e simili (lett. h) si vuole che sia assente ogni fine di. lucro, si deve pensare che limitazioni di egual natura valgono anche per le altre categorie di soggetti s� che se esse non sono espressamente stabilite � piuttosto perch� l'esercizio di attivit� svolte in regime di concorrenza e per fini di lucro � strutturalmente incompatibile con la natura di enti quali i Comuni e le Province, i consorzi di bonifica, gli istituti per l'edilizia popolare ed economica, gli istituti di previdenza e assistenza sociale le opere pie e gli enti ecclesiastici (lett. e, e, f, g, i). Sembra quindi che con maggio:r coerenza, e pi� certa delimitazione, si applicherebbe la norma di esenzione escludendo del tutto ogni possibilit� di connessione strumentale tra attivit� diretta e attivit� indiretta. Il problema viene poi discusso sotto altro profilo appena accennato nella sentenza ora intervenuta; si afferma, cio�, che per il principio dell'unicit� del bilancio, non sarebbe ammissibile una tassazione separata e differenziata per settori di attivit� :ricompresi nell'unico bilancio, s� che nel regime fiscale stabilito per l'ente in vista della sua struttura prevalente si assorbe ogni altra, anche occasionale o eccezionale, attivit� (Cass. 21 marzo 1974, n. 798, Riv. leg. fisc. 1974, 1127; 29 maggio 1974, n. 1539, in questa Rassegna, 1974, I, 1009). Anche su questo punto � necessario approfondire l'indagine. � incontestabile che nell'evoluzione della legislazione alla regola della tassazione separata per aziende (art. 13 della leg.ge 8 giugno 1936, n. 1231) successivamente limitata alle sole aziende aventi gestione e bilanci autonomi (art. 8, legge 5 luglio 1951, n. 573) � stata sostituita quella della unicit� del bilancio (art. 24, legge 5 gennaio 1956, n. 1) in fo:rza della quale, abolito ogni residuo di autonomia patrimoniale di aziende non aventi propria personalit� giuridica, la tassazione si attua nei confronti degli enti. Ma questo significa semplicemente che, per tutte le imposte dirette, il soggetto passivo � l'ente titolare del bilancio e non la sua azienda; si tratta cio� di una regola attinente all'individuazione del soggetto, alla dichiarazione, all'accertamento (inclusa nel primo titolo del t.u.) ma che 1080 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO retta di attivit� e di reddLto rispetto all'Ente, ma realizzano veramente la parte sostenitiva economica dell'Ente stesso nell'interno delle sue strutture. Il regime di monopolio dell'acquedotto e la parziale destinazione dell'attivit� farmaceutica al soccorso dei poveri di Loreto confermano ulteriormente queste considerazioni. Ptroprio per� coerentemente con tali conclusioni, e passando a considerare il ricorso principale, non si pu� dire che .la costruzione regga per quanto riguarda lo stabilimento idropinico, per il quale pu� dirsi che, ove anche di fatto il reddito sia destinato alle opere dell'Ente, si ha quella spaccatura strutturale tra Ente morale ed azienda industriale commerciale, che non giustifica pi� l'esonero. Anzi, lo stabilimento non � neppure indicato nello statuto dell'Ente, il quale quindi non � vincolato alla destinazione dei redditi dell'attivit� connessa, mentre il pluralismo della propriet� e della gestione, anche se di fatto in via contingente quest'ultima operata dall'Ente in esame, confermano le conclusioni. -(Omissis). non ha nessuna rilevanza sulla sostanza delle singole imposte e delle relative esenzioni. Posto che soggetto passivo � l'opera pia e non la sua azienda commerciale o industriale, deve tuttavia porsi il problema se per l'attivit� aziendale sia o no dovuta l'imposta sulle societ�, problema che pu� risolversi solo sulla base dell'art. 151 e non certo in base alle regole generali sul procedimento. Non esiste di certo nell'ordinamento una regola (sostanziale) di assorbimento delle attivit� accessorie nel regime tributario dell'attivit� principale, regola che, se esistesse, dovrebbe operare anche all'inverso quando l'esenzione � accordata per una limitata secondaria attivit� (ad esempio per determinati territori). Ma se esistesse l'impossibilit� di discriminare nell'unico bilancio le componenti attive esenti da quelle soggette all'imposta (possibilit� di discriminazione che � cosa del tutto diversa dall'unicit� del bilancio) si dovrebbe affermare che il regime tributario normale si estende anche ai settori esenti e non viceversa. C. BAFILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez, I, 19 giugno 1975, n. 2461 -Pres. leardi -Est. Longo -P. M. Pedace (conf.) -Cesarin c. Ministero delle Finanze (avv. Staio Saltini). Imposta di successione -Deduzione di passivit� -Conto corrente banca� rio -Legge 24 dicembre 1969 n. 1038 -Utilizzazione con emissione di assegni -Necessit� -Rinuncia alla contestazione afferente alla documentazione -Concetto e limiti. (1. 24 dicembre 1969, n. 1038, art. unico). Agli effetti della prova delle passivit� deducibili dall'asse e?�editario, il conto corrente bancario � idoneo, a norma dell'articolo unico PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTAR'.rA 1081 della legge 24 dicembre 1969 n. 1088, solo quando il debito da e'SSO risultante sia originato dalla emissione di assegni, non anche quando il saldo passivo sia prodotto da altri mezzi di utilizzazione. Lo ste�sso principio vale per le successioni apertesi prima dell'entrata in vigore della legge, s� che solo quando la prova della passivit� sia data con assegni tratti su conto corrente bancario le contestazioni debbono intendersi abbandonate (1). ... (Omissis). -Con l'unico mezzo del ricorso, deducendosi falsa interpretazione e violazione dell'articolo unico, IV e V comma, della legge 24 dicembre 1969, n. 1038, si sostiene che la sanatoria concessa da tale legge, e nel caso in esame controversa, concerne senza distinzione tutti i saldi passivi di conto corrente gi� ammessi in detrazione, e che la denunziata sentenza limiitando l'operativit� di essa alle sole passivit� ricollegabili ad emissione di assegni, avrebbe in pratica svuotato di contenuto la sanatoria medesima, concedendo alla Finanza di riportare in discussione saldi passivi gi� ammessi in detrazione nel definire il debi.to d'imposta, e ingiustamente parificando nel contenuto la disciplina del IV comma della norma e quella del V comma, riguardante invece i casi in cui il debito d'imposta non sia stato ancora definito. La censura non merita consenso. Dispone l'art. unico della legge 24 dicembre 1969, n. 1038, nel suo primo comma, che � ai fini dell'applicazione dei tributi successori sono ammessi in deduzione dall'asse ereditario i debiti derivanti da saldo passivo di conto corrente bancario, originato da emissione di assegni, quale che sia il rapporto contrattuale sottostante, purch� giustificati � dalla documentazione che la stessa norma elenca, e che comprende l'originale, o la copia autentica, degli assegni emessi, con indicazione degli estremi delle annotazioni operate sui libri di commercio dell'istituto di credito, anche per riassunto. Lo stesso articolo aggiunge poi, nel quarito comma, che relativamente alle successioni apertesi prima dell'entrata in vigore della legge e per le quali sia stato gi� definito il debito d'imposta con la deduzione dall'asse ereditario dei debiti nascenti dl). saldi passivi di conti correnti bancari, ogni successiva contestazione afferente la documentazione a suo �tempo prodoitta deve ritenersi rinunciata ad ogni effetto, (1) Decisione di evidente esattezza. La chiarezza della norma e la logica in essa insita, non consente di ammettere come prova valida delle passivit� gli addebitamenti sul conto corrente bancario che non risultino originati da emissione di assegni. Sulla seconda parte della massima che l~mita l'abbandono delle contestazioni anteriori ai soli casi nei quali la prova � in concreto fornita in conformit� della legge sopravvenuta v. Cass. 24 marzo 1975 n. 1109, in questa Rassegna, 1975, I, 591). 1082 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO con conseguente annullamento delle relative iscrizioni a paDtitario e delle successi�ve ingiunzioni fiscali, opposte o non opposte dai contribuenti. Infine, nel suo quinto comma, la disposizione statuisce che, relativamente alle successioni apertesi prima dell'entrata in vigore della legge e per le quali non sia stato ancora definito il deb~to d'imposta, gli eredi potranno documentare i debiti nascenti da saldi passivi di conti correnti bancari nei modi indicati dal primo comma dello stesso articolo unico. La normativa dianzi indicata � stata correttamente interpretata dai giudici di merito nel senso ch'essa si riferisce ai saldi passivi originati dall'emissione di assegni, indipendentemente dal fatto che i conti correnti siano stati eventualmente utilizzati anche mediante altre forme di prelievo. Una diversa e pi� restrittiva interpretazione, invero, vanificherebbe in gran par.te la porfata pratica della legge, che d'altronde, contemplando i � debiti derivanti da saldo passivo di conto corrente bancario, originato da emissione di assegni�, non distingue tra diverse specie o forme di conto corrente bancario, e peraltro appresta idonee forme intese a garantire che si tratta di saldi realmente originati da emissione di assegni. Ci� ap9are conforme alla ratio della legge, come posta in evidenza dalle sue disposizioni iniziali, dianzi indicate. Ma significherebbe valicare i confini di tale ratio e contraddire alla sua logica il sostenere, come fanno i ricorrenti, che con la sanatoria di cui al citato quarto comma (relativamente alle successioni apertesi prima dell'entrata in rvigore della legge nelle quali sia stato gi� definito il debito d'imposta) la norma, per il sol fatto ch'essa ha usato l'espressione �debiti nascenti da saldi passivi di conti correnti bancail'i �, abbia voluto prescirndere daJ. requisito che Sii ti1atti pur sempre di saldi originati dall'emissione di assegni. Il quinto comma invero, (relativo alla sanatoria riguardante le successioni apertesi prima dell'entrata in vigore della legge, ma nelle quali il debito d'imposta non sia stato ancora definito), pur usando la medesima espressione, dimostra chiaramente (come si desume dal contesto della disposizione) ch'essa va comunque riferita sempre a quella parte dei saldi che sia originata da emissione di assegni. Se dunque neppure l'argomento letterale conforta la tesi dei ricorrenti, del pari non pu� dirsi esatta l'ulteriore deduzione, seyondo cui l'interpretazione data dai giudici di merito si tradurrebbe in una ingiustificata parificazione della disciplina dettata, rispettivamente, dal IV e dal V comma. L'interpretazione suddetta, invero, lascia intatta la differenziazione fra le corrispettive ipotesi di legge, che solo nella prima (IV comma) l 1 i ! I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1083 impone di considerare rinunziata ogni contestazione sulla documentazione prodotta, ma deve intendersi -pur sempre nei confini e nell'ambito delle deduzioni consentite dalla legge stessa, che le vuole afferenti alle passivit� originate da emissione di assegni. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 luglio 1975, n. 2800 -Pres.. !cardi -Est. Arienzo -P. M. Marinelli (conf.) -Ministero delle Finanze (av;v. Stato Lancia) c. Bosi. Imposta di registro -Conferimenti in societ� � Costituzione di patrimonio destinato allo scopo sociale -Distinzione tra conferimento a titolo di propriet� o a titolo di godimento -Irrilevanza. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tariffa A, art. 81). Agli effetti dell'imposta sui conferimenti in societ� quel che � rilevante � soltanto il fatto obiettivo dell'apporto di patrimonio destinato alla realizzazione dello scopo sociale, qualificato come atto economicogiuridico con configurazione propria; di conseguenza � irrilevante ai fini dell'imposta che il conferimento produca o meno il trasferimento della propriet� da uno ad altro soggetto (che non sarebbe possibile nel caso di societ� non aventi personalit� giuridica) e quindi priva di effetti la distinzione tra conferimento in propriet� e conferimento in godimento (1). (1) Decisione di evidente esattezza. V., in senso conforme, Cass. 7 gennaio 1970 n. 23 (Riv. Leg. Fisc. 1970, 1060) nella quale si precisa anche che nel caso di conferimento a titolo di godimento ai soli fini della determinazione della base imponibile, deve tenersi conto del contenuto limitato dell'apporto, pur rimanendo invariabile il titolo della tassazione (imposta proporzionale dell'art. 1 della tariffa A) quale che sia la natura del conferimento. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 luglio 1975, n. 2902 -Pres. Rossi Est. Carnevale -P. M. Trotta (conf.) Saccardo (avv. Levis) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salto). Imposta complementare sul reddito -Azionisti � Aumento del valore nominale delle azioni e distribuzione di azioni gratuite a seguito di passaggio a capitale delle riserve � Non costituisce percezione di utili -Non tassabilit�. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 125, lett, d; 1. 29 dicembre 1962, n. 1745, art. 1; e.e. art. 2442). Sotto il vigore della norma dell'art. 135 lett. d del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, l'aumento del valore nominale delle azioni e la distribuzione di azioni gratuite conseguenti all'aumento del capitale 1084 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sociale attuato mediante imputazione a capitale di riserve e fondi speciali iscritti in bilancio, non da luogo a percezioni di utili e quindi non � soggetto all'imposta complementare a carico dell'azionista. Solo a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 1 della legge 29 dicembre 1962 n. 1745, � stata assoggettata ad imposta la parte dell'ammontare complessivo delle riserve e dei fondi speciali imputata a capitale che eccede il 25 % dell'ammontare complessivo dei dividendi attribuiti ai soci (1). (1) Sulla questione della tassabilit� con l'imposta di registro della imputazione di riserve a capitale v. Cass. 26 marzo 1973 n. 833, in questa Rassegna, 1973, I, 1149 con nota di A Rossi. Sulla questione delJ'assoggettamento ,all'imposta complementare si deve prendere atto della statuizione ora intervenuta. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 settembre 1975, n. 3072 -Pres. Caporaso -Est. La Torre -P. M. Mililotti (conf.) Ministero delle Finanze (a'Vv. Stato Di Tarsia) c. Gasperini (avv. Tiberini). Imposte doganali � Responsabile di imposta � Spedizioniere doganale � Operazione di contrabbando alla quale lo spedizioniere sia estraneo . Sua responsabilit� per l'obbligazione di imposta � Esclusione. (I. 25 settembre 1940, n. 1424, art.. 17; d.P.R. 22 gennaio 1972, n. 43, artt. 40 e 41). Lo spedizioniere doganale, al quale sia stata conferita la rappresentanza per fare dichiarazioni, compiere determinati atti o osservare speciali obblighi o norme, non risponde in via sussidiaria del pagamento dell'imposta nel caso che, senza il suo concorso, le merci introdotte nel recinto doganale siano contrabbandate (1). (1) La decisione sopra riportata d� una definizione troppo ristretta della responsabilit� sussidiaria dello spedizioniere. Sottolineando e interpretando restrittivamente le parole � per le operazioni da lui compiute �, giunge ad affermare l'esclusione della responsabilit� quando le operazioni oggetto dell'incarico di rappresentanza non sono state e non potevano essere compiute. Ma, prescindendo dalla situazione specifica che non emerge chiaramente, sembra evidente che in generale la responsabilit� sussidiaria riferita alla investitura di un soggetto in una determinata posizione, riguarda non solo gli atti � compiuti � ma anche, o soprattutto, l'omissione degli atti che dovevano compiersi; e quindi per l'imposta di registro di notaio Tisponde non solo degli obbUghi conseguenti alla effettuata richiesta registrazione ma soprattutto della omessa registrazione. Per le imposte doganali lo spedizioniere incaricato, dopo l'introduzione delle merci nel recinto doganale, di compiere le operazioni dovute, risponde principalmente dell'omissione � dell'osservanza di speciali obblighi o nome �. Ci� non esc1ude che possa anche presentarsi una situazione di forza maggiore che possa giustificare l'omissione, ma ci� deve essere oggetto di una diversa indagine da eseguire in relazione ai particolari obbligh,i (di custodia e vigilanza) che g�ravano sullo spedizioniere. r.:: ( ,. ~.. )!: f:~ :::: ~=: . . ~: ~j: ,_ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARiA 1085 I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� ottobre 1975, n. 3089 -Pres. Giannattasio -Est. Mazzacane -P. M. Martinelli (diff.) Ministero delle Finanze (avv. stato Soprano) c. Zanoner (avv. Rosati). Imposta di ricchezza mobile -Esenzione per nuove imprese artigiane e piccole industrie nell'Italia settentrionale -Costituzione in data anteriore all'entrata in vigore della legge 29 luglio 1957 n. 635 -Esclusione -Ampliamento o rinnovamento di azienda gi� esistente -Irrilevanza. (1. 29 luglio 1957, n. 635, art. 8; 1. 13 giugno 1961, n. 526, art. un.). L'esenzione dalle imposte dirette sul reddito per le nuove imprese artigiane e le nuove piccole industrie da costituirsi nelle zone depresse dell'Italia settentrionale (art. 8 legge 29 luglio 1957 n. 635 modificato dall'art. unico della legge 13 giugno 1961 n. 526) presuppone la costituzione di dette imprese o industrie in data successiva all'entrata in vigore della legge, indipendentemente dalla data di inizio della attivit� rilevante soltanto ai fini della deco1�renza del decennio di validit� dell'esenzione. Essendo il requisito della �novit�� essenziale, la esenzione � inapplicabile per le imprese e industrie gi� esistenti che dopo l'entrata in vigore della legge sono state ampliate, rinnovate o trasformate (1). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 ottobre 1975, n. 3114 -Pres. Mirabelli -Est. Milano -P. M. Pedace (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Stato Baccari) c. Soc. Torcitura del Piave. Imposta di ricchezza mobile -Esenzione per nuove imprese artigiane e piccole industrie nell'Italia settentrionale -Trasferimento di imprese e industrie esistenti nei territori agevolati -Si applica. (1. 29 luglio 1957, n. 635, art. 8; 1. 13 giugno 1961, n. 526, art. un.). Risponde al requisito di �novit�� necessario per l'esenzione dalle imposte dfrette sul reddito per le nuove imprese artigiane e le nuove (1-3) La prima sentenza, con assai approfondita motivazione, che pone a raffronto le analoghe ma diverse norme di incentivazione per l'Italia meridionale e per le aree depresse dell'Italia settentrionale, porta ad ulteriori conseguenze la regola gi� affermata con le sent. 9 giugno 1971 n. 1712 e 21 giugno 1971 n. 1920 (in questa Rassegna 1971, I, 1151). Meno rigorosa appare la motivazione della seconda sentenza diretta ad ampliare il concetto di costituzione di un nuovo organismo produttivo ~-:,,.. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO piccole industrie da costituirsi nelle zone depresse dell'Italia settentrionale (art. 8 legge 29 luglio 1957 n. 635, modificato dall'art. unico della legge 13 giugno 1961 n. 526) il trasferimento di imprese e aziende gi� esistenti nel territorio agevolato (2). III CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 gennaio 1975, n. 166 -Pres. Maccarone -Est. Arienzo -P. M. Minetti (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Stato Marzano) c. Niederbrunner. Imposta di ricchezza mobile e altre imposte dirette � Esenzione per nuove imprese artigiane e piccole industrie nell'Italia settentrionale � Impre se di autotrasporti � Compete. (1. 29 luglio l957, n. 635, art. 8; 1. 13 giugno 1961, n. 526, art. un.; 1. 22 luglio 1966, n. 614, artt. 8 e 12). L'esenzione dalle imposte dirette sul reddito per le nuove imprese. artigiane e le nuove piccole industrie da costituirsi nelle zone depresse dell'Italia settentrionale, � applicabile alle imprese di autotrasporti per conto terzi aventi sede nelle zone agevolate, anche se svolgono la loro attivit� al di fuori (3). I (Omissis). -L'Amministrazione delle Finanze, con unico motivo, denuncia la violazione degli artt. 8 1. 29 luglio 1957 n. 635, e 1 1. 25 luglio 1954 n. 860, in relazione agli artt. 360 n. 3 e 5 c.p.c. Sostiene che la Corte del merito ha erroneamente riconosciuto l'applicabiUt�, per l'impresa dello Zanoner, del beneficio fiscale previsto dall'art. 8 della 1. 29 luglio 1957, n. 635. Assume, infatti, che nel caso di ampliamento fino a comprendervi il trasferimento di un organismo esistente nella zona agevolata. Se questo � sicuramente lo scopo dichiarato delle agevolazioni per il Mezzogiorno, dirette a riequilibrare la distribuzione delle risorse, � dubbio che ci� valga per l'Italia settentrionale ove il trasferimento, che pu� essere di limitatissimo spazio, in aree depresse talvolta assai piccole pu� non dare il risultato voluto. Ancor meno persuade l'ultima pronunzia. L'impresa di autotrasporti, che in vero non si comprende se sia qualificata come impresa artigiana o piccola industria, sarebbe ricompresa nell'agevolazione per il sol fatto che essa ha la sede legale nel territorio di una zona depressa. Non si � per� considerato che per l'agevolazione in discussione il fattore territorio non pu� essere posto in relazione alla sede legale, perch� n� le 1 I l PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1087 di una impresa artigiana si � in presenza della stessa azienda e non di quella impresa che per essere �nuorva � deve sorgere e costi<tuirsi successivamente alla entrata in vigore della menzionata legge. Aggiunge che l'ampliamento dell'attivit� non impovta la �novit�� della impresa artigiana, poich� la �novit�� si determina, sotto l'aspetto formale e giuridic�, con la cessazione di una azienda e la creazione di un'altra. La censura � fondata. Per l'art. 8 della 1. 29 luglio 1957, n. 635 (modificata dalla 1. 13 giugno 1961 n. 526) � concessa la esenzione da ogni tributo diretto del reddito a favore di � nuove imprese artigiane � e � nuove piccole industrie� (queste ultime con non oltre 100 operai�, e, nei territori montani 500 operai) che vengono a costituirsi in determinati piccoli comuni delle localit� economicamente depresse del centro-nord (qualificate tali in base a provvedimento legislativo od a deliberazione amministrativa). La esenzione � concessa per dieci anni dalla data di inizio della attivit�, rilevabile con atto della competente Camera di Commercio, industria ed agricoltura. Nella interpretazione della norma citata questa Corte ha precisato (sent. 1920/71; 1712/71) che la sua efficacia coincide con il momento stesso della sua entrata in vigore e non pu� farsi risalire ad un momento anteriore, con l'estensione del beneficio a nuclei produttivi che fossero gi� sorti. Ci�, infatti, � reso palese dall'intero contesto della norma ed in particolare dalle parole � nuove � la cui ripetizione, con riguardo alle imprese artigiane ed alle piccole industrie, rivela l'intento legislativo di considerare la situazione concreta al momento della entrata in vigore della legge. Il significato delle parole usate dal legislatore sta ad indicare che il carattere della novit�, cui va connesso il beneficio fiscale, nella concorrenza di tutti gli altri requisiti voluti dalla legge, � stato posto con riferimento al sorgere delle dette imprese imprese artigiane n� le piccole industrie hanno una vera e propria sede legale essendo per esse ril,evante la sola residenza anagrafica del titolare che pu� avere un valore solo formale. Il fattore territorio va quindi individuato non nella sede, ma nell'organismo produttivo che deve operare nel territorio agevolato. Per il Mezzogiorno, si � ammesso che l'agevolazione possa competere quando la sede legale si trovi fuori del territorio agevolato se in esso si svolga l'attivit� operativa (Cass. 21 maggio 1975 n. 2007 in questa Rassegna, 1975, I, 877); questa pronunzia non pu� essere condivisa, ma ancor meno pu� essere approvata l'affermazione contraria. In questo quadro andava ben diversamente interpretata la norma specifica (art. unico della legge 13 giugno 1961 n. 526), che con finalit� interpretative, dichiara ricompresi nella agevolazione le imprese alberghiere e quelle esercenti trasporti a mezzo funi; evidentemente in questo caso non � la sede legale che conta ma la localizzazione degli impilanti 1088 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO od industrie successivamente all'entrata in vigore della legge. Il contesto della norma conduce, inoltre, ad escludere che la legge faccia riferimento alla concreta atti'Vit� produttiva e non alla costituzione giuridica dell'ente. Il pr.esupposto della esenzione, infatti, identificato nella costituzione di nuove imprese produttive, � distinto dal termine iniziale di decorrenza della esenzione fiscale, che coincide appunto con l'inizio della loro attivit�. Pertanto il criterio di identificazione delle imprese, cui � concesso il beneficio, va ricercato nel carattere dalla �novit�� dell'impresa, mentre l'inizio della attivit� � assunto come elemento per determinare la decorrenza del beneficio. I criteri enunciati valgono a definire la �novit�� delle imprese artigiane o delle piccole industrie anche in rapporto ad una impresa preesistente. Infatti poich� la novit� deve insistere, prima che nell'esercizio della attivit�, nella stessa costituzione del soggetto, dell'ente, ne deriva che se una impresa artigiana o una piccola iri.dustria abbia esercitato una determinata attivit� in un determinato settore ed il titolare di essa abbia poi ampliato o sviluppato l'azienda nel medesimo settore, non ricorre il requisito della �novit�� richiesto dalla norma citata: in definitiva, anche da un punto di vista obiettivo, l'impresa non diventa �nuova � sol perch� essa viene rinnovata nelle attrezzature e nelle capacit� produttive. Nella specie la Corte del merito ha ravvisato il carattere della novit� nella impresa artigiana di segheria dello Zanoner, pur essendo la stessa gi� esistente al momento di entrata in vigore della legge, per l'ampliamento e rinnovamento, della azienda avvenuto, con il trasferimento in altro immobile, con la dotazione di macchinari moderni e con la assunzione di altri operai; ed ha quindi affermato che debbono comprendersi tra le imprese nuove quelle che, pur derivando da imprese gi� esistenti, hanno caratteristiche idonee a distinguerle dalle prime per capacit� produttiva e per possibilit� di creare ulteriori fonti di lavoro. fissi alberghieri e di trasporto a fune. Dedurre da questo che l'agevolazione abbraccia tutte le imprese di trasporto con ogni mezzo ed anche quelle che operano prevalentemente o esclusivamente fuori del territorio agevolato significa capovolgere l'evidente significato della norma. Sulla questione oggetto dell'ultima sentenza l'Amministrazione ha comunque deliberato di allinearsi all'indirizzo della Corte di Cassazione, soprattutto in considerazione del fatto che ormai le pendenze sono in esaurimento; infatti, come mette anche in evidenza la motivazione della sentenza, la legge 22 luglio 1966 n. 6'14 espressamente dkhiara (art. 8) l'esenzione spettante alle nuove imprese artigiane e alle nuove piccole ed anche medie imprese industriali aventi per oggetto produzione di beni (e non di servizi); solo per i territori montani (art. 12) l'esenzione si estende agli impianti di trasporto per mezzo di funi. ! I, l l I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1089 Il convincimento cosi espresso dalla Corte del merito non costituisce un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimit� come si sostiene dal resistente --ma un erroneo giudizio sul carattere di � norvit� � dell'impresa (cui � connesso il beneficio fiscale) in base ai criteri pi� sopra delineati. Tali criteri trovano conferma nei presupposti e negli scopi delle leggi per lo sviluppo economico delle zone depresse dell'Italia centro-settentrionale. � noto che i pi� remoti interventi legislativi intesi a favorire lo sviluppo economico delle zone depresse dell'Italia centro-settentrionale (1. 29 luglio 1957, n. 635, e successive modificazioni) si sono svolti parallelamente a quelli diretti a stimolare la industrializzazione dell'Italia meridionale ed insulare (1. 29 luglio 1957, n. 634 e successive modificazioni). Ma i due tipi di legislazione -a parte la generica affinit� sul piano della valutazione politica sulla esigenza dell'aiuto finanziario dello Stato -si differenziano nettamente in ordine alle rispettive finalit� economiche ed agli strumenti idonei a conseguirle, segnandone il divario anche quanto alle agevolazioni tributarie: l'una, con la esenzione da ogni tributo diretto sul reddito, a favore unicamente delle � nuove imprese artigiane � e delle � nuo�ve piccole industrie � che vengono a restituirsi in determinati piccoli comuni delle localit� economicamente depresse del Centro-Nord; l'altra, con-la esenzione totale o parziale della imposta di r.m. a favore degli stabilimenti industriali tecnicamente organizzati che sorgono e vengono potenziati (cio� ampliati, trasformati o riattivati) in qualsiasi zona del Sud, anche se economicamente non depressa, considerato che lo scopo � quello di industrializzarla. Il confronto fra i due tipi di legislazione -nella diversit� di indirizzi cui essi adeguano -contribuisce a spiegare le differenze, quanto al trattamento fiscale, nella rispettiva disciplina normativa. Ed invero la legislazione per il Mezzogiorno, avendo come finalit� dichiarata la industrializzazione delle zone di esso; comprende per le agevolazioni tributarie, non solo le nuove iniziative, piccole o grandi che siano, ma anche quelle dirette al miglioramento, alla trasformazione od all'incremento, di quelle esistenti. La legislazione per il Centro Nord, invece, rion ha lo scopo di promuovere lo sviluppo della industrializzazione ma quello di stimolare il sorgere di iniziatirve nuo�ve nell'ambtto di una pi� generica finalit� intesa a sollevare il tono di alcune zone economicamente depresse del Centro-nord: ed il beneficio tributario -esteso ad ogni specie di tributo diretto sul reddiJto e non solo alla imposta erariale di ricchezza mobile -� concesso non gi� allo stabilimento, ma alla impresa, che peraltro deve essere nuova senza possibilit�, considerata la suindicata finalit� della legge, di estendere il beneficio medesimo ai casi di trasformazione, ampliamento o miglioramento dell'azienda. -(Omissis). 1090 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II (Omissis). -Con l'unico motivo del ricorso l'Amministrazione finanziaria denuncia la violazione degli artt. 8 legge 29 luglio 1957 n. 635 e 14 disposizioni sulla legge in generale, e censura la sentenza per aver ritenuto, peraltro .con motivazione contraddittoria ed insufficiente, l'applicabilit� del beneficio dell'esenzione decennale dell'imposta di ricchezza mobile nei confronti della societ� Torcitura del Piave. Sostiene, in particolare, che il requisito della � novit� � si riferisce chiaramente alla impresa in s� stessa e, cio�, come istituzione operante sul piano economico e nei suoi intrinseci elementi, e, non come affermato dai giudici di merito, al semplice suo insediamento nelle zone depresse di una impresa gi� altrove operante. Ci�, secondo la ricorrente, � avvalorato, oltre che dalla lettera della disposizione agevolativa, anche dal fatto che la disposizione stessa. � rivolta all'incremento della ricchezza nazionale e non al semplice trasferimento di attivit� economiche da zona all'altra del territorio nazionale. Tralasciando di considerare il dedotto vizio di motivazione, perch� il motivo di annullamento di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. riguarda punti di fatto e non profili di diritto della causa, rilevasi come la riassunta censura, che riproduce pedissequamente la tesi prospettata nelle fasi di merito senza critica alcuna delle contrarie argomentazioni contenute nella denunciata sentenza, appaia destituita di fondamento. In proposito � opportuno ricordare che, secondo l'art. 8 della citata legge n. 635 del 1957, le �nuove imprese artigiane e le nuove piccole industrie che vengono a costituirsi � in determinate localit� economicamente depresse dall'Italia settentrionale e centrale sono esenti, per dieci anni dalla data di inizio della loro attivit�, da ogni tributo diretto sul reddito. Attenendosi, come � doveroso, al significato proprio delle parole usate ed alla connessione di esse, la norma in questione, ad avviso di questa Corte Suprema, si presta ad essere intesa nel senso pi� ampio in cui ormai da oltre un decennio la suole univocamente intendere la Commissione centrale delle imposte (C.C. 17 febbraio 1964 n. 64542, 10 marzo 1967 n. 89034, 22 maggio 1968 n. 97133, 26 aprile 1968 n. 96656, 11 novembre 1969 n. 9852, 10 aprile 1970 n. 3782, 2 dicembre 1971 n. 9812, 7 aprile 1971 n. 3284, e 1 � giugno 1971 n. 5118), e cos� come � stata intesa dalla sentenza impugnata, dal momento che, per la zona economicamente depressa, � � nuova � tanto la piccola industria o la impresa artigiana frutto di un'autonoma iniziativa, quanto, quella che viene trasferita da altra localit�, e che in entrambi i casi ben si pu� parlare, secondo il linguaggio normale e PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA con riferimento alla zona di insediamento, di nuove imprese artigiane e di nuove piccole industrie che �vengono a costituirsi� in detta zona. Se � vero, infatti che il termine � cosrti�tuire �, secondo il normale contenuto attribuitogli dalla terminologia giuridica, serve ad esprimere il concetto relativo alla creazione di societ� o di persone giuridiche in genere e che, quindi, l'espressione �vengono a costituirsi� si presterebbe ad avvalorare la interpretazione sostenuta dall'Amministrazione, risultando consona ad esprimere il concetto di creazione di nuovi organismi industriali o artigiani oggettivamente considerati, tuttavia, se si tiene presente che la legge ha compreso nella disciplina dettata da citato art. 8, non soltanto le imprese aventi natura sociale, ma anche le imprese individuali e, persino quelle a11tigiane aventi i requisiti di cui alla legge 25 luglio 1956 n. 860, � dato fondatamente ritenere che la espressione sopra menzionata sia stata, nella specie, usata in senso atecnico ed ampio, e, cio�, per indicare il fenomeno dell'attivazione nelle zone depresse di un organismo produttivo, sia esso o meno caratterizzato dal requisito della novit� assoluta. N� vale obiettare, come fartto dalla ricorrente, che la norma agevolativa, se cos� intesa, avrebbe reso superfluo l'uso dell'aggettivo �nuovo�, mentre � criterio di ermenutica attribuire ad ogni parola usata dal legislatore una ragione di essere ad un senso pratico. A vincere l'obiezione, appare del tutto persuasiva la considerazio_ ne, formulata dalla sentenza impugnata, secondo quell'aggettivo � stato aggiunto sol�tanto per evitare che organismi industriali o a11tigiani, eventualmente gi� esistenti nelle zone depresse alla data di enrf'rata in vigore della legge, potessero, al fine di usufruire indebitamerute della concessa agevolazione fiscale, modificare apparentemente la loro natura o consistenza in modo da fare apparire di aver iniziato la loro attivit� di impresa produttiva successivamente e, quindi, per ribadire che, rispetto alla zona considerata, quegli organismi, per fruire del beneficio fiscale, dovevano essere caratterizzate dal carattere di novit� della fonte di lavoro, inteso in senso oggettivo, cio� come impiaruto artigianale o industriale che viene ad esistenza per la prima volta 'ed idoneo ad accrescere le fonti di lavoro della zona stessa. D'altra parte la volont� del legislatore va desunta dall'interprete, oltre che dalle espressioni letterali, da un adeguato esame del fonda mento e dello scopo della norma, senza di che l'interpretazione sa rebbe imperfetta, e spesso in contrasto con lo spirito della legge, che va, appunto, ricavato dai motivi che la determinarono e dallo scopo da raggiungere. E nella fattispecie, appare indubbio che la ratio della concessa agevolazione � ben pi� specifica di quella prospettata dalla� ricorrente Amministrazione. Essa, invero, � ravvisabile, non gi� nell'esigenza di 1092 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO incrementare la produzione e la ricchezza nazionale considerate in s� stesse (nel quel caso realmente il trattamento agevolaitivo potrebbe essere riconosciuto solo per le imprese nuove in senso assoluto), bens� in quella di determinare un aumento delle iniziatirve economiche in determinate zone del Paese, per rimediare i palesi squilibri territoriali, rompendo la tendenza al progressivo decadimento di quelle che, per un complesso di ragioni storico ambientali, ne erano rimaste prive. E se >tale � stato lo scopo del legislatore non � possibile limitare, nel senso propugnato dall'Amministrazione finanziaria, la concessa agevolazione fiscale, ma si deve riconoscere che essa spetti anche alle imprese che si trasferiscono nelle zone depresse da altre localit�, incontrando tutta quella serie di costi e svantaggi, che pu� essere ovviamente affrontata solo in vista di un vantaggio futuro. Va da ultimo rilevato che la ricorrente Amministrazione, � sostegno del suo contrario assunto, non pu� fare utile riferimento alla sentenza di questa Corte Suprema n. 1712 del 21 giugno 1971. Tale sentenza, invero, esaminava una questione ben diversa da quella oggetto della presente controversia e, cio�, se il carattere di �novit��, cui va connesso il diritto alla agevolazione fiscale di cui trattasi, potesse essere riconosciuta ad una societ� che, gi� costituita al momento dell'entrata in vigore della legge, aveva iniziato la sua attivit� di impresa produttiva successivamente. E questa Corte ribadendo il principio gi� affermato nella precedente sentenza 9 giugno 1971 n. 1712, ha dato risposta negativa al quesito, rilevando che l'agevolazione fiscale non � invocabile da parte di un organismo produttivo esistente in epoca anteriore alla legge, ancorch� non operante, posto che la costituzione di esso non pu� ritenersi determinato dal particolare regime tributar.io a quella epoca non ancora esistente. -(Omissis). III (Omissis). -L'Amministrazione ricorrente deduce la violazione ed erronea interpretazione dell'art. 8 della legge 29 luglio 1957 n. 635, dell'articolo unic:o della legge 13 giugno 1961 n. 625 e degli artt. 8 e 12 della legge 22 luglio 1966 n. 614 con riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. e sostiene che l'esenzione fiscale di cui all'art. 8 della citata legge sia applicabile esclusivamente alle imprese industriali produttrici dei beni e non anche a quelle produttrici di servizi, escluse le imprese alberghiere e di rtrasporto a mezzo funi in ragione della loro struttura tipicamente industriale. Tale assunto, secondo la ricorrente, emergerebbe dal contenuto letterale della nor-j ma, dalle risultanze dei lavori reparatori, dell'articolo unico della PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1093 legge 1961 n. 526, dall'art. 8 della legge 1966 n. 614, dal rilievo che l'impresa di autotrasporti per conto terzi non pu� essere qualificata come impresa artigiana agli effetti tributari ed, infine, dal difetto, nella specie, del collegamento funzionale tra atti<Vit� esercitata e territorio la cui concreta sussistenza � richiesta dalla norma di agevolazione. La doglianza � infondata. La sentenza impugna,ta, nel confermare quella di primo grado che aveva respinta la tesi della ricorrente, ha osservato che l'esenzione decennale di ogni tributo diretto sul reddito, previsto dall'art. 8 1. 29 luglio 1957 n. 635, ha lo scopo di favorire il sorgere di nuove imprese artigiane e di piccole industrie (per realizzare condizioni di minor disagio per le popolazioni delle aree depresse), senza distinzione tra attivit� imprenditoriali vo1te alla produzione di beni e quelle volte alla produzione di servizi ma con solo 'riguardo alle dimensioni delle nuove imprese di modeste organizzazioni di lavoro e di capitali e alla sede legale nell'ambito territoriale della zona depressa anche se l'impresa operi, come quella di autotrasporti, fuori di detta area. Le conclusioni, cui sono pervenuti i giudici di merito con esauriente e corretta mo>tivazione, sono aderenti al contenuto letterale logico della disposizione della quale si assume la violazione. Invero, l'art. 8 1. 1957 n. 635 non pu� interpretarsi nel senso dell'esclusione delle� agevolazioni delle imprese artigiane produttive di servizi e rispondenti, per epoca di costituzione, dimensioni e sede, ai requisiti voluti -dalla �citata nol'lffia che 'concede il beneifido ail:1e nuove � imprese artigiane� e alle �nuove piccole industrie� costituite nel territorio dei comuni aventi particolari caratteristiche di sviluppo demografico ed economico. Il tenore letterale della norma, che prevede le agevolazioni e le condizioni alle quali � subordinata, non consente la discriminazione, sostenuta dalla ricorrente, tra ,attivi,t� produttive di beni e di servizi che entrambe realizzano lo scopo dell'agevolazione di promuovere nelle localit� economicamente depresse iniziative, volte ad incrementare l'occupazione e a promuovere il benessere nei comuni con densit� demografica limitata ad una popolazione inferiore ai diecimila abitanti. N� possono desumersi argomenti contrari dai lavori preparatori e dal preteso parallelismo con le disposizioni incentivanti attivit� produttive di beni dei territori del mezzogiorno, nonch� dalla concezione ristretta del termine industria, come limitata all'attivit� di trasformazione� della materia, a�tteso che l'interpretazione restrittiva della norma risulterebbe in contrasto con la lettera e la ratio della stessa, escludendo dal beneficio proprio quelle imprese che pi� agevolmente possono sorgere in comuni siti in zone economicamente depresse e che pm sono utili per migliorarne le condizioni non solo economiche ma anche di sviluppo e di evoluzione dei servizi. Non �, inoltre, acceitta- Il 1094 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bile l'assunto di limitare il contenuto del termine industria attribuendogli un signilloarto in ,contrasto con la a,cceziooe comune e giwridica del termine stesso, nonch� con la definizione datane dalla giurisprudenza, che intende per attivit� industriali non soltanto quelle tipicamente produttive di beni mediante la ,trasformazione, la modificazione o la manipolazione della materia prima, ma anche quelle che si esplicano nella prestazione dei servizi. Ed, infine, non pu� attribuirsi alcun valore decisivo alle risultanze dei lavori preparatori che non sono univoci nel senso assunto dalla ricorrente e non possono, nella loro gene-ricit�, fornire validi elementi contrari al contenuto della legge ricostruito attraverso il significato delle parole e la ratio che ha ispirato� la norma. La contraria interpretazione non pu� derivare dalla legge del 1961 n. 526 che, anzi, offJ:".e ulteriori elementi fuvmevoili alla tesi delLla ires~stenrte. La ,cli.tata le~ge, con un articolo unico, nel isosrtituire gilti. ulrtimi due commi dell'art. 8 della legge n. 635 del 1957 e dettare i criteri per la identificazione delle localit� economicamente depresse, ha chiarito che l'esenzione decennale compete anche alle nuove imprese alberghiere e alle nuove imprese esercenti impianti di trasporti a mezzo funi comunque denominati. Tale disposizione, la cui natura interpretativa � stata riconosciuta da questa Corte (Cass. 7 settembre� 1970 n. 1244), sta ad indicare che, gi� nella disciplina originaria, la agevolazione non era limitata alle imprese produttive di beni, ma si estendeva anche a quelle produttive di servizi quale � l'impresa di trasporti, cosicch� dall'espressa menzione delle imprese esercenti traspovto a mezzo funi, diretta a chiarire la povtata della precedente legge, si deduce che questa comprendeva anche le imprese produttrici di servizi e che non possono escludersi dalla sua portata le imprese di trasporto con altri mezzi. A diversa conclusione non pu� indurre l'art. 8 della successiva legge del 1966 n. 614 che concede l'agevolazione decennale alle nuove imprese artigiane e alle nuove piccole e � medie � imprese industriali, con investimenti industriali in impianti fissi non superiori a due miliardi, aventi per oggetto la produzione di beni. A parte il rilievo che a tale disposizione non pu� attribuirsi, come pretende la ricorrente, contenuto interpretativo contrario al contenuto interpretativo della precedente legge del 1961, senza incorrere in contraddizione, la povtata innovativa della legge emerge dalle disposizioni inerenti i criteri di identificazione delle imprese destinatarie dell'agevolazione ed, in particolare, della previsione anche delle �medie� imprese dell'ampliamento delle aziende gi� estsrtenti e dalle dtsrposizioini spec1iali contenute nel capo secondo della legge per i territori montani, che, pur t richiamando, per certi aspetti, la normativa generale enunciata nel i: r: ~ .. ! f ~MlfW~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1095 capo primo con riguardo alle zone depresse, non limitano i benefici alle sole imprese produttrici di beni, includendo anche, in deroga alla disposizione generale, le imprese esercenti impianti di trasporto a mezzo funi. La normativa, quindi, della legge del 1966 per il suo contenuto innovativo non pu� essere applicata ad imprese sorte prima della sua entrafa in vigore. Inconferente, poi, � l'assunto che le imprese di trasporto per conto terzi non abbiano carattere artigianale e che, comunque, le espressioni imprese artigiane e piccole industrie abbiano un significato sostanzialmente equivalente. Al contrario, ai fini dell'applicazione della norma agevolativa, la legge, come � reso palese dall'endiadi usata, ha posto sullo stesso piano delle piccole industrie le imprese aritigiane senza esigere la sussistenza di particolari requisiti per individuare queste ultime. Infine, circa la mancanza del collegamento funzionale tra il territorio della zona depressa e l'attivi�t� di trasporto, che potrebbe svolgersi anche al di fuori di esso, non � consentito negare a siffatte imprese, qualunque sia il mezzo impiegarto nello svolgimento dell'attivit� di trasporto, il collegamento, stabile e continuativo, con il territorio ove si trova la sede amministrativa dell'impresa che comporta l'impianto di uffici e di servizi ed il reperimento della mano d'opera, realizzando quell'incremento economico della zona depressa cui l'agevolazione fiscale � preordinata. La sede legale dell'impresa cost1tuisce il centro di produzione del reddito derivante dall'attivit� imprenditoriale e aziendale e ad essa fanno capo i rapporti di indole giuridica ed economica. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 ottobre 1975, n. 3110 -Pres. Rossi Est. Lipari -P. M. Serio (conf.) -Ministero delle FinaJ:?.ze (avv. Stato Mazzella) c. Ferrante. Imposte e tasse in genere � Imposte indirette � Interessi � Prescrizione � Durata � Termh1e quinquennale � Si applica � Termine pi� breve per la prescrizione dell'imposta � Irrilevanza. (1. 26 gennaio 1961, n. 29; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, art. 86; e.e. art. 2948). Gli interessi moratori sulle imposte indirette, pur costituendo debito coUegato aUa obbligazione tributar~a, sono sempre soggetti aUa p1�escrizione quinquennale d�U'art. 2948 e.e., quale che sia la durata, pi� breve o pi� lunga, stabilita per la prescrizione deUa imposta cui accedono (1). (1) Malgrado qualche esitazione, la soluzione seguita nella sentenza sopra riportata, di evidente logicit� e coerenza, � quella gi� in passato prevalente. (Cass. 29 ottobre 1973 n. 2805 in questa Rassegna, 1974, I, 1096 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -1. -La questione sottoposta al Collegio consiste nello stabilire se il credito dell'amministrazione finanziaria per interessi moratori in tema di imposte indirette sugli affari, introdotti con la legge 26 gennaio 1961 n. 29, autenticamente interpretata dalla 1. 28 marzo 1962 n. 147, si prescriva nel termine fissato per l'imposta considerata cui tali interessi accedono (che � di tre anni sia per l'imposta di registro che per quella di successione alla stregua delle leggi del 1923: art. 136 r.d. n. 3269, art. 86 r.d. n. 3270, mentre esula dalla presente controversia la problematica posta dalla nuova legislazione tributaria che fa capo all'istituto della decadenza), ovvero quello quinquennale in applicazione del generale principio fissato dall'art. 2948 comma quarto e.e. La tesi della pr,escrizione triennale adottata dalla Commissione Centrale in tema di interessi accedenti ad imposta di successione, viene a ragione censurata dall'amministrazione con l'unico motivo del ricorso. Atteso l'ambito della materia del contendere in questa sede, il Collegio, nel presupposto incontestato dell'applicabilirt� delle citate leggi n. 29 del 1961 e n. 147 del 1962 anche ai rapporti tributari sorti prima della loro entrata in vigore, ma non ancora esauriti, e senza che venga in considerazione l'entit� degli interessi pretesi (in relazione alla offerta irretrattabile di maggior valore effettuata dai contribuenti 235; 5 gennaio 1972 n. 20, ivi, 1972, I, 281). La risoluzione, ormai definitiva, della questione non deve tuttavia ing~nerare dubbio sulla efficacia sul corso della prescrizione degli interessi degli atti interruttivi intervenuti sul credito di imposta, sulla base della dichiarata autonomia delle obbligazioni. Non esiste un necessitato collegamento delle soluzioni dei due problemi si che la diversa durata del termine (che sussiste anche per la pena pecuniaria) non si risolve ineluttabilmente nella indifferenza della obbligazione di interessi allo svolgimento del rapporto di imposta. Infatti la prescrizione per gli interessi non comincia a decorrere finch� � controverso e non definitivamente esigibile il credito di imposta (sent. 5 dicembre 1972, n. 20, citata) e ci� risponde alla :regola che non pu� prescriversi un credito che non pu� esser fatto valere. Ma anche dopo la liquidazione del credito di imposta, gli atti interruttivi ad esso inerenti sono efficaci anche sul credito di imposta (Cass. 13 luglio 1973 n. 2023, ivi, 1973, I, 960) ma non tanto per una identit� di natura dei due crediti quanto perch� gli interessi sono una obbligazione ex lege irrinunciabile che necessariamente accedono all'obbligazione di imposta si che ogni volta che l'Amministrazione interrompe la prescrizione del rapporto di imposta, l'interruzione si produce su tutto quanto per quel titolo � dovuto e quindi non solo per la somma domandata, ma per tutta la materia tassabile, e per gli accessori che ne sono necessario completamento, quali soprattasse, pena pecuniaria e interessi, poco rilevando a questo fine che per la prescrizione (come per taluni altri aspetti) gli interessi, al pari della pena pecuniaria, siano soggetti ad un regime diverso dall'imposta. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1097 in data 23 marzo 1957, che avrebbe consentito alla finanza di riscuotere immediatamente il tributo corrispondente al valore dichiarato, restando escluso che su tale maggior valore fossero dovuti, a far tempo dalla data della dichiarazione stessa, interessi moratori giusta l'indirizzo che si � venuto affermando: Cass. 29 ottobre 1973 n. 2804; 12 febbraio 1974 n. 404; 21 giugno 1974 n. 1831; 11 luglio 1974 n. 2056); deve limitarsi, dunque, a stabilire la durata del termine prescrizionale (triennale, ovvero quinquennale) agganciato ad una certa data di decorrenza degli interessi medesimi, esclusa qualsiasi controversia sull'ammontare dei medesimi in relazione al loro ambiito temporale di applicazione. 2. -Va dato atto che sul punto � riscontrabile qualche oscillazione nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, la quale pur ammettendo generalmente l'autonomia del credito per interessi rispetto a quello per il tributo cui accedono, (per escludere che le cause di sospensione ed interruzione della prescrizione relative al tributo si riflettono sul debito di interessi), non � stata sempre univoca nel riconoscere la durata quinquennale della prescrizione giusta la regola generale posta dal codice civile. La soluzione della durata quinquennale � comunque quella seguita ogni qual<Volita il problema � stato affrontato espressamente postulata di scorcio nella sentenza n. 20 del 5 gennaio 972, essa non viene dimostrata ex professo neppure nella sentenza 28 marzo 1973 n. 831 (resa in una controversia in cui era stato accantonato dalle parti il tema della durata del termine, e si discuteva solo della idoneit� dell'atto di dilazione intervenuto fra il contribuente e la finanza per il pagamento dell'imposta di successione ad interrompere la prescrizione oltre che per il capitale anche per gli interessi ex lege n. 26 del 1961) nella quale per� si sottolinea l'autonomia del , debito per interessi moratori, rispetto a quello per il tributo, e si specifica che la natura � in qualche modo analoga � di credito di imposta e di credito di interessi, non importa, tuttavia un indissolubile legame fra di essi. Sulla autonomia del credito di interessi si ~onda pure la sentenza di questa Corte: 6 giugno 1974 n. 1658, che s.e ne avv1ale per determinare uno scorrimento nella data di decorrenza del termine prescrizionale, che considera triennale (senza che tale questione formasse oggetto di puntuale riflessione cri1tica nella prospettiva circoscritta al tema della decorrenza e non gi� di durata del periodo prescrizionale). La identit� di natura fra debifo per interessi di mora ed obbligazione tributaria, per trarne la conseguente estensione della causa di interruzione dall'uno all'altro, viceversa � stata affermata dalle sentenze 13 luglio 1973 n. 2023 e 9 marzo 1973 n. 645. 1098 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nel senso della duraita quinquennale si esprimono comunque decisamente le sentenze di questa Corte 14 luglio 1972 n. 2394 e 29 ottobre 1973 n. 2805, le cui conclusioni il Collegio intende far proprie, ribadendone �ed integrandone, per quanto possa occorrere, le argomentazioni. 3. -Anteriormente all'entrata in vigore della 1. n. 29 del 1961, che ha dettato disposizioni di carattere generale in tema di interessi moraitori per debiti di imposte indirette sui trasferimenti di ricchezza, la relativa disci[>Hna non contemplava in modo specifico '1a corresponsione degli interessi; di conseguenza doveva farsi ricoriso al.le ordinarie norime del 1codke dvile, deducendola dall'inadempienza del debitoire d'imposta. Ln ta<le 1situazione non era 1pos�siibile dubitare dell'appHcabiHt� della norma dell'art. 2948 n. 4 .c..c. 1che dletta una regola unifol'IIDe per ila presel'izione del relativo diritto, .fissando un periodo unico di cinque anni 1sia per l'iipotesi .che il debito icui detti interessi a�cicedono si prescriva nel termine ordinario di �d�leci anni, sia per queHe di prescrizione abbreviata o presunta. Le leggi n. 29 del 1961 e n. 147 del 1962, hanno introdotto una disciplina ad hoc per il ritardo imputabile al contribuente nella esazione da parte del fisco della giU1Sta imposta dovuta sul 1maisferimento ic<msi 1 der:ato; e si � .stabilito che il contr1buente medesimo 1deve �COI'lrispond&e detti interessi dal momento in �cui l'imposta � divenuta esigibile nel caso in cui un suo com,portamento omtS1Sivo abbia impedito l'ie1satta determinazione del tributo. La fattispecie, cos� ricostruita crea un tipo di interessi moratori senza nulla disporre a proposito del relativo termine prescrizionale; ne consegue che accertato il diritto agli interessi alla stregua delle leggi suddette, nel silenzio delle medesime, deve farsi ricorso ai principi generali .per fi,ssare la durata dei.la pirescrizione. La corrispondenza che si vorrebbe isti-tuire fra termine di prescrizione dell'obbligazione tributaria principale e termine di prescrizione dei relativi interessi � solo falsamente suggestiva e non trova giuist�lfkazioni n� ne:tla p1retesa identit� idi natura fra interes1s1i moiratori e debito tributario n� nel caratter.e acceisisorio deUa obbligazione di interessi. Anzitutto le prescrizioni pi� brevi di quella ordinaria decennale fissate in mateda tributaria (cos� del ,resto come quelle p�i� lunghe) in quanto di discostano dalle regola di diritto comune presentandosi con carattere di generalit� in un settore dell'ordinamento, sono insuscettibili di interpretazione analogica, e tollerano soltanto l'interpretazione estensiva entro se.ttore considerato, nel corso degli estremi all'uopo necessari. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1099 L'introd~ione di una rpresc1ri2lione triennale per l'obbJ.iga:z.ione wibutaria si contrappone, quindi, alla prescrizione generale di diritto comune decennale, ma non comporta pari commisurazione per l'obbligazione degli interessi, perch� l'ordinamento generale non detta il :prmciipio deHa :corrispondenza biuni'Voca fra ,i .due termini, ma anzi all'opposto, scandisce la netta distinzione fra i medesimi. N� un principio di corrispondenza fra termine di prescrizione dell'obbligazione principiale tributaria e termine di prescrizione dell'obbligazione di interessi mor~tori pu� individuarsi, nel silenzo delle norme positive, in via di interpretazione sistematica a'Vendo riguardo al solo campo del diritto tributario. E se pure si po�tessero superare queste obiezioni di carattere preliminare il preteso procedimento estensivo non potrebbe avere ingresso perch� non � esatto giuridicamente il punto di partenza su cui si pretende far leva. Non � esatto, cio�, che il debito di interessi, pur avendo anch'esso earattere tributario, dato il suo .riferimento ad un rapporto di imposta, sia assimilabile ed equiparabile in toto all'obbligazione principale, venendone -invece -a costituirne un completamento accessorio, caratterizzato da autonomia strutturale e funzionale. Nelle citate sentenze n.. 2394 del 1972 e 2805 del 1973 � stata, invero esaurientemente posta 1in iluce la di:fferenm, di .natU!ra fra l'impo. sta e l'acces1so.ria obbligazione di interessi. Il rbributo lindilretto successiorlio trova il1suo pvesupposto (1per limitar:e ii dLscocso a queihlo qui considerato) nel trasferimento di benii e diritti di!Pendente da una stmceslSlione per causa di morte, � commLsurato per s1caglioni al valore Imponibile dell'og-' getto dell'avvenuto trasferimento, secondo aliquote :ri:sultaniti dailla tariffa, e .si presenta quindi come effetto idi un icomportamento del cootribuente .di piena e fedele osservanza deJ.J.e nonne 1Ln tema di denun2lia con esatta indicazione dei valori imponibili. Invece l'ol:ibligazione degli intevessi moratmi, che � mei.r<amente �eventuale ri1sp�etto al.la 1situa2lione integrante n presu~iposto del tributo, trova la 1sua 1cau:sa 1giuriddica in un comportamento omillssiivo, contra legem del �contr:ibuente, che ha impedito tempestiva esazione del tributo. E trattandosi di obbligazione autonoma ed autonomamente regolata, rispetto alle imposte, ane sopratasse ed alla pena pecuniaria, non possono trovare applicazione al riguardo le norme specificamente dettate dalla legge di imposta per regolare la prescrizione del solo tributo. L'accessoriet� della obbligazione di interessi rispetto a quella principale, contrariamente a quel che sembra presupporre la Commissione Centrale, non comporta identit� di disciplina giuridica. Tale accessoriet�, come � noto, si riferisce al solo momento genetico, mentre il credito di interessi gi� maturati costituisce una obbli 1100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gazione perfettamente autonoma rispetto a quella principale, e questa autonomia � verificabile nello stesso diritto positivo il quale prevede -in campo civilistico -una dissociazione nella durata del termine prescrizionale fra obbligazione principale ed obbligazione accessoria di interessi. Ne consegue che il credito principale e quello di interessi possono formare oggetto di separati atti di disposizione, che la prescrizione del credito principale non comporta automaticamente quella del credito agli interessi maturati, e che non deve essere fissato il medesimo termine prescrizionale per la sorte e per gli interessi. Intesa l'accessoo- iiet� in senoo limitatamente genetico, il co1l:leigamento fra inteTess1i e sorte si riflette solo sulle vicende della nascita del debito di interessi e non spiega pi� alcuna giuridica rilevanza quando non si tratta di rifarsi a q_uel vincolo e di valorizzarlo ulteriormente. Con il principio di accessoriet� limitato al momento genetico � compatibile l'indipendenza delle vicende successive della fattispecie che non si riflettano su taile momento; ad esso pu� quindi utilmente farsi ricorso per postulare l'identit� di misura temporale della durata della prescrizione per l'obbligazione principale e per quella accessoria. Va dato, invece, fondamentale rilievo alla circostanza -gi� sottolineata -che il legislatore dettando la disciplina generale della prescrizione, ha positivamente disatteso il criterio del parallelismo, simmetrico contrapponendo ad una molteplicit� di termini prescrizionali per i singoli diritti considerati l'unicit� di quello specificamente attinente alla obbligazione di interessi (corrispettivi, compensativi, moratori che siano). Il legislatore, cio�, ha valutato volta a volta la consistenza del diritto da sottoporre a prescrizione, in deroga all'intervallo decennale proprio di quella ordinaria, considerando l'obbligazione di interessi come categoria a s�, cui si applica un termine prescrizionale del tutto indipendente quanto a durata, ed unico, qualunque sia la natura del credito principale. Gi� nel campo civilistico, pu� accadere che il termine prescrizionale per interessi risulti pi� lungo di quello fissato dalla legge per l'obbligazione principale (cinque anni contrapposti a sei mesi, un anno, diciotto mesi, due anni). Dal sistema generale delle prescrizioni si ricava, dunque, il principio dello sganciamento del termine prescrizionale unico quinquennale degli interessi sia da quello ordinario fissato in dieci anni, sia da quelli delle prescrizioni brevi e presuntive. Ci� significa che tendenzialmente la natura giuridica del credito non si riflette sulla durata del termine prescrizionale dei relativi in teressi. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA La constatazione che in diritto posi.Jtivo, nel campo civilistico, la prescrizione di un credito d� interessi pu� essere pi� lunga d� quella prevista .per la soTte, ridimensiona l'airgomento che si baJSa su tale divario in casi come quello di specie in cui l'obbligazione principale � sottoposta a termine pi� breve. Del resto il criterio della simmetria, privo di ogni supporto normativo, portato alle 1sue estreme conseg.uen:re proverebbe troppo, conducendo ad ipotizzare una prescrizione ventennale per gli ~nteressi che accedono alla pretesa tributaria fondata su un atto non registrato. Il che � palesemente assurdo. In conclusione per sostenere la tesi della prescrizione triennale non giova richiamare il principio della accessoriet� che esaurisce i suoi effetti con riguardo aUe sole vicende genetiche dell'obbligazione di intereSl. si, e non si riflette su quel[,e ulteriori �che eventualLmente vi ,si rico1lleghino. N� appare producente il richiamo alla natura tributaria dell'obbligazione principale che verrebbe a comunicarsi a quella di interessi. Il carattere tributario dell'obbligazione non postula in alcun modo che il regime di prescrizione relativo si debba puntualmente. applicare all'obbligazione (pur essa tributaria) di interessi. Si � visto, infatti, che come regola generale restano dissociati natura giuridica del diritto, sottoposto a prescrizione secondo diverse misure temporali ed unicit� di durata dell'obbligazione di interessi a prescindere dalla natura giuridica del diritto cui accedono. E non � dato ravvisare specifiche ragioni derogatorie nel campo tributario. Non gioverebbe invocare al riguardo la esigenza della sollecita liquidazione e riscos�sfone dei tributi 'Pe.rch� se � importante assi:LcUJl'are alla collettivit� i mezzi finanziari occorrenti per il funzionamento degli apparati statuali, stimolando gli uffici ad un lavoro accelerato in tempi brevi tali finalit� si collocano sul piano di quelle valutazioni discrezionalmelllte operate anche in campo civilistico per differenziare i tempi prescrizionali rispetto al termine ordinario, e sono comunque, in astratto, compatibili con la concessione di uno spazio maggiore per il conseguimento di quelle prestazioni accessorie ed eventuali di interessi che, proprio come tali, meno incidono nell'economia del globale gettito del tributo. Deve pertanto ribadirsi che gli interessi moratori sulle imposte indirette di successione pur costituendo debito collegato alla obbligazione tributaria, non sono equiparabili alla medesima per quanto attiene alla individuazione del �termine prescrizionale che va fissato facendo capo alle call'aJtter1istiche tipiiche del credlito rii,guardante inte / 1102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ressi, come tale assoggettato alla prescrizione quinquennale di cui allo art. 2948 n. 4 e.e. e non gi� a quella triennale ex art. 86 r.d..n. 3270 del 1923, che si applica esclusivamente rispetto all'imposta cui gli interessi accedono. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 ottobre 1975, n. 3185 -Pres. Rossi -Est. Virgilio -P. M. Gentile (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Saltini) c. Banco di Sicilia (avv. Contaldi). Imposta di registro -Prezzi e corrispettivi -Indicazione unica riferita a pi� beni -Diversi regimi tributari -Scissione del corrispettivo unico Ammissibilit� -Supplemento di accertamento. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3369. art. 46). Il principio contenuto nell'art. 46 della legge di registro, che costituisce una deroga al principio pi� generale che ciascun bene deve essere soggetto a tassazione con la aliquota prevista in base alla sua intrinseca natura, non pu� essere applicato all'ipotesi di trasferimento di pi� beni con pattuizione di prezzo unitario pe1� assoggettare tutti i beni alla aliquota pi� onerosa o per escludere un'agevolazione spettante ad alcuni soltanto dei beni globalmente trasferiti. Di conseguenza, .anche se l'Amministrazione ha eseguito un unico accertamento globale, si deve procedere ad un supplemento di un accertamento, per determinare la quota-parte del valore riferibile all'immobile ammesso ai benefici utilizzando gli elementi gi� acquisiti senza modificare il valore complessivo precedentemente determinato (1). (Omissis). -Con unico motivo la ricorrente Amministrazione delle finanze denuncia violazione e falsa applicazione agli articoli 46, primo comma, del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, 21, secondo com (1) La decisione desta molte perplessit�. Pu� convenirsi sul punto che la ratio dell'art. 46 ha una caratterizzazione limitata ad una situazione che non � perfettamente identica a quella del trasferimento contestuale di pi� immobili soggetti a diverso regime; ma se per una esigenza considerata dalla norma necessaria, i mobili si considerano come immobili e sono soggetti al trattamento pi� gravoso per questi previsto, a maggior ragione la stessa regola dovrebbe valere per gli immobili soggetti a diverso regime. � comunque inevitabile che quando l'atto registrato non offre la possibilit� di scindere i valori, la tassazione si debba eseguire unitariamente applicando l'imposta normale anche per i beni che possono fruire della agevolazione; forse la ragione di ci� � soltanto pratica, ma essa � legata :ad una insuperabile necessit�. La sentenza in nota non considera che, PARTE I, SEZ.. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1103 ma, del d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, nonch� omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (il tutto in relazione ai numeri 3 e 5 �dell'art. 360 cod. proc. civ.), e censura la sentenza impugnata sotto questi profili; a) per non ~vere la Corte d'Appello considerato che il principio secondo il quale il negozio traslativo avente pi� oggetti � tassabile con le distinte aliquote ad essi corrispondenti � applicabile solo quando le parti abbiano indicato un prezzo distinto per i singoli beni, e non anche nell'ipo�tesi in cui abbiano attribuito un prezzo unico a tutti gli oggetti compresi nel negozio, non potendo -:-in tal caso la finanza scindere il valore dei beni unitariamente stabilito dai contraenti; b) per non avere, comunque, considerato la Corte che la finanza ha legittimamente contrapposto alla indicazione di un prezzo unico relativo a tutti i beni un accertamento di valore egualmente unico, per cui -essendo ormai decorsi i termini per procedere ad accertamenti analitici -non vi � la pratica possibilit� di� stabilire quanta par.te del prezzo unico suddetto deve essere attribuita all'immobile per il quale compete l'agevolazione tributaria di cui al d.1.1. 7 giugno 1945, n. 322, e di accertare, conseguentemente, la parte di prezzo che si riferisce, invece, al �trasferimento tassabile con imposta normale. In definitiva la ricorrente sostiene che nella fattispecie deve trovare applicazione il primo comma .dell'art. 46 della legge di registro del 1923, e che l'atto deve pertanto essere assoggettato per tutti gli immobili all'aliquota pi� onerosa e cio� alla normale imposta sui trasferimenti immobiliari, anche perch� la Corte d'Appello ha omesso di prima che possa configurarsi la possibilit� di un supplemento di accertamento, si pone la necessit� di registrare l'atto con l'applicazione della imposta principaie, imposta che, ove i prezzi e corrispettivi siano congrui, pu� anche estinguere il rapporto senza dar luogo a successivi accertamenti. E poich� la formalit� della registrazione (art. 3) deve essere eseguita a vista, previa percezione dell'imposta, al momento della presentazione e non pu� essere rifiutata o ritardata (n� pu� il contribuente dopo la presentazione recedere dal proposito ritirando l'atto), � evidente che il solo modo possibile per registrare l'atto � l'applicare all'unico e indifferenziato prezzo o corrispettivo l'aliquota normale o comunque pi� grave. Non sarebbe di certo possibile sospendere la registrazione per accertare di ufficio la quota parte del valore riferibile al bene che _pu� fruire dell'agevolazione. Una volta liquidata con criterio unitario l'imposta principale non pu� non liquidarsi con lo stesso criterio l'imposta complementare. . Molto problematico � poi il supplemento di accertamento che, fermo rimanendo il valore globale unico, legittimamente determinato � in contrapposto � al prezzo unico (Cass. 4 ottobre 1971 n. 2719 e 18 marzo 1972 n. 821, in questa Rassegna, 1972, I, 88 e 463), dovrebbe intervenire, anche dopo la scadenza del termine annuale, per determinare di ufficio la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO indicare il sistema per attribuire -dopo la definizione del procedimento di valutazione globale dei beni -separati valori a ciascuno di essi. Le censure sono prive di fondamento. Questa Corte Suprema ha gi� avuto occasione di rilevare (v. in motivazione, SS.UU., 3 luglio 1957, n. 2599, e 27 luglio 1956, n. 2908:} che il primo comma dell'art. 46 della legge di registro del 1923 costituisce una deroga rispetto al principio generale per cui, nel caso di trasferimento comprendente pi� beni, ciascuno deve essere soggetto alla relativa aliquota secondo la sua intrinseca natura, e che il criterio -di carattere particolare -della tassabiUt� con l'aliquota pi� onerosa (stabilito dalla citata norma per gli atti traslativi riguardanti beni mobili ed immobili) non pu� essere applicato oltre i casi espressamente consideraiti dalla norma stessa, avendo questa natura eccezionale, con conseguente impossibilit� di interpretazione analogica. Il principio risulta anche recentemente confermato, (da ultimo. Cass. 8 luglio 1974, n. 1980) con specifico riferimento alla materia delle agevolazioni tributarie, essendo stato ritenuto che nella ipotesi di vendita di un'area per prezzo unico, e di concordato sul valore venale egualmente avvenuto con metodo globale, devono essere tassate in maniera diversa la parte del bene avente i requisiti per fruire di benefici fiscali e la rimanente parte non soggetta al .trattamento agevolato, e che in tal caso � consentita la scissione del valore globale denunciato e concordato. Alla stregua dei richiamati principi non pu� ritenersi che la disposizione di cui al primo comma dell'art. 46 della legge di registro del 1923 stabilisca un criterio generale di tassazione, applicabile ogni quota-parte del valore del bene che pu� fruire dell'agevolazione; questa non � una semplice operazione esecutiva che, utilizzando gli elementi gi� acquisiti, si concreta in un completamento, di secondaria importanza, del precedente atto. Trattasi invece di un vero e proprio nuovo accertamento, che deve avere tutti i requisiti di sostanza e di forma, e che apre la via al ricorso del contribuente che pu� non essere d'accordo sulla determinazione del valore della quota-parte agevolata e quindi, per differenza, di quella non agevolata. Dovrebbe cio� accadere che anche dopo la scadenza dell'anno, mentre il valore globale dei beni � diventato definitivo o � oggetto di controversia di valutazione, si esegue un nuovo accertamento che pu� dar luogo ad una seconda controversia di valutazione. Nel caso ora in discussione non � concretamente possibile, almeno in sede di liquidazione di imposta princlpale, scindere i valori. Si deve allora ritenere che sia in forza della ragione obiettiva, di cui l'art. 46: rappresenta una delle manifestazioni, sia per il principio generalissimo dell'art. 8 che non ammette per la tassazione il ricorso ad elementi estrinseci all'atto, si debba necessariamente procedere ad una indistinta liquidazione dell'imposta sul corrispettivo unico. C. BAFILE .. ... ! PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1105 qualvolta per i diversi oggetti compresi in un negozio di trasferimento (di qualunque natura essi siano) risulti pattuito un prezzo unitario. Una tale conclusione non solo sarebbe inconciliabile con le affermazioni contenute nelle menzionate sentenze di questa Corte Suprema, ma contrasterebbe con la lettera della norma, che � chiaramente rivelatrice della volont� del legislatore del 1923 di stabilire uno speciale metodo di tassazione unicamente per gli atti traslativi, a titolo oneroso, di propriet� e di usufrutto o di altro diritto reale, quando si riferiscano �a beni mobili ed immobili�. Per l'applicabilit� della disposizione in esame occorre, quindi, il concorso di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contemplata dalla disposizione stessa, non essendo sufficiente che per vari oggetti del negozio di �trasferimento risulti pattuito un prezzo unitario e che la finanza abbia effettuato un accertamento di valore egualmente unico. � certament~ esatto che l'ufficio fiscale (Cass. SS.UU. 4 ottobre 1971, n. 2719) ha l'obbligo di indicare, nell'avviso di accertamento, il valore distintamente attribuito ad ognuno dei beni soltanto nell'ipotesi in cui anche l'atto contenga l'indicazione di un valore distinto, mentre alla denuncia di un valore complessivo pu� legittimamente essere contrapposto un ac.certamento di valore egualmente complessivo; ma ci� non implica che, di fronte ad una denuncia di valore globale, la finanza non possa procedere -quando sia necessario all'accertamento analitico rispetto ai singoli beni compresi nell'atto soggetto a tassazione. N� la circostanza che nella fattispecie in esame sia ormai esaurito il procedimento di determinazione del valore globale dei beni pu� costituire un valido motivo per negare i benefici fiscali a quella parte dei detti beni (e cio� all'intero edificio in Piazza De Ferrari n. 2) che la Commissione centrale delle imposte ha ritenuto ammissibile alle agevolazioni di cui al d.1.1. n. 322 del 1945. Nessun ostacolo sussiste, infatti, perch� la finanza (a causa della esigenza che deriva dalla definitiva statuizione sull'applicabilit� dei predetti benefici ad alcuni degl'immobili alienati con l'atto del 12 aprile 1946) proceda ad un supplemento di accertamento che -fermo restando il limite del valore globale gi� determinato per tutti i beni si limi.ti a stabilire quale sia la quota-parte del valore globale medesimo riferibile al fabbricato ammesso a fruire dei benefici fiscali, ut\lizzando in questa indagine gU elementi .che a suo tempo idov� necessaTLamente acquisire in oQ'dine ai singoli beni, sia purre al fine di attd1burLre aid es1si un valore globale. Contenuta nei limiti indicati la menzionata procedura SU(Pplementare non mira, ovviamente, a porre nuovamente in discussione il valore 1106 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO venale gi� complessivamente attribuito ai beni, ma tende unicamente a rendere possibile l'applicazione, ai diversi oggetti del negozio, delle aliquote cui essi devono essere assoggettati. Queste considerazioni assorbono la censura che la ricorrente muove alla Corte di appello per non avere indicato il metodo da seguire allo scopo di attribuire ai diversi immobili, dopo la definizione del procedimento di valutazione globale, separati valori. Non pu� comunque, non rilevarsi che la detta censura non ha consistenza, non essendo il giudice tenuto ad indicare alle parti il mezzo tecnico-giuridico per rendere possibile in concreto .l'attuazione di una statuizione giurisdizionale. Il ricorso va, pertanto, rigettato. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 ottobre 1975, n. 3276 -Pres. Pascasio -Est. Arienzo -P. M. Minetti (conf.) -Baldeschi (avv. Sambiagio) c. Ministero delle Finanze CAvv. Stato Angeilri.ni Rota). Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Condono di cui al d.I. 5 novembre 1973 n. 660 convertito con la legge 19 dicembre 1973 n. 823 � Controversia concernente soltanto interessi e soprattasse Inapplicabilit�. (d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito con legge 19 dicembre 1973, n. 823). Le norme per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria (c.d. condono) di cui al d.l. 5 novembre 1973 n. 660 convertito con la legge 19 dicembre 1973 n. 8;!3 presuppongono �la pendenza di una controversia sulla applicazione del tributo e quindi non si applicano alle controversie concernenti soltanto gli interessi o le soprattasse (1). (Omissis). -Con i quattro motivi del ricorso, i contribuenti, sotto il profilo della violazione dell'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. in relazione all'art. 65, 76, 75, r.d. 30 dkembre 1923 n. 3270; del d.L 7 agosto 1936 n. 1639; e degli artt. 1184, 1185; 1372, 1375 cod. civ. (1) Con. la sent. 15 marzo 1975 n. 1015 (in questa Rassegna 1975, I, 579) fu affermata con ineccepibile motivazione l'inapplicabilit� del condono alle controversie di soli interessi; ora, riaffermando gli stessi concetti, si esclude l'applicabilit� del condono anche per le controversie riguardanti la sola soprattassa. ~ ~ .............,~~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1107 sostengono che: 1) l'Amministrazione Finanziaria, nonostante il ritardo nel pagamento di una rata dell'imposta di successione dilazionata, abbia il potere discrezionale di ovviare alla decadenza del contribuente dalla dilazione, con ogni conseguenza in ordine alla tempestivit� dei pagamenti cos� effettuati; 2) dal comportamento dell'Uffi.cio che non aveva fatto valere immediatamente la decadenza della dilaz.ione, derivava il diriitto dei contribuenti alla riduzione della soprattassa come se il pagamento dell'intera imposta fosse stato eseguito nel termine di sessanta giorni dalla decadenza (art. 75 cpv. 1; successioni); 3) la Corte non abbia applicato l'art. 76, comma primo, legge citata, che riduce la soprattassa alla met� allorch� il pagamento delle somme dovute sia stato effettuato prima della notifica dell'ingiunzione; 4) gli interessi moratori sulle imposte scadute per effetto della decadenza dalla dilazione erano dovuti nella misura del 5% annuo e non del 3 % semestrale. In via preliminare deve esaminarsi il problema, sollevato dalla resistente che ne chiede soluzione negativa, se spetti ai contribuenti, che ne hanno fatto richiesta, la definizione della controversia in via amministrativa a' sensi del d.l. sul condono fiscale 5 novembre 1973 n. 660, convertito in legge il 19 dicembre 1973 n. 823. Nella particolare disciplina dettata dal menzionato decreto n. 660 del 1973, per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria, non rientrano -come gi� ha ritenuto questo S.C. (Cass. 15 marzo 1975 n. 1015) -:---le contro;-v~rsie che riguardano, non l'applicazione del tributo, la natura o la configurazione di esso, ma solo aspetti collaterali derivanti dalla nasci.fa del rapporto tributario, come avviene per le controversie che concernono gli interessi moratori previsti dalle note leggi 29 del 1961 e n. 147 del 1962 e le soprattasse per ritardato pagamento del �tributo dilazionato a norma della legge sulle successioni. Ci� emerge chiaramente dalla lettera stessa del prorvvedimento legislativo e, precisamente, quanto ialla imposizione indiilretta, daltl'art. 6 del provvedimento stesso il cui primo comma subordina la possibilit� di usufruire del condono alla circostanza di una controversia pendente riguardante �applicazione� del tributo, nonch� del quarto comma dell'art. 10, il quale esonera il contribuente dal pagamento degli interessi moratori solamente � per le imposte dovute in applicazione delle disposizioni del prese.nte decreto�. D'altra parte � sufficiente considerare la ratio delle disposizioni contenute nel provvedimento in esame, la quale, come risulta dai lavori preparatori, appare ispirata alla duplice esigenza di eliminare, da un lato, le numerosissime controversie tributarie pendenti prima dell'entrata in vigore della riforma tributaria e di realizzare, dall'altro, una, 1108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sia pure ridotta, entrata tributaria, acquisita con criteri di automaticit� e rapidit�, per trovare conferma dell'esattezza dell'enunciato principio. � facile, infatti, constatare che, ammettendo la possibilit� che nel concetto di controversia tributaria pendente rientri, non soltanto l'ipotesi della lite concernente l'applicazione del tributo, ma anche la contestazione giudiziale relativa esclusivamente all'obbligo del pagamento degli interessi moratori, si realizzerebbe soltanto la prima delle suindicate finalit�, ma non anche la seconda dal momento che nessun utile economico conseguirebbe l'erario dalla eliminazione delle predette controversie. , Le controversie, quindi, riguardanti esclusivamente gli interessi e le soprattasse non possono ritenersi comprese nel provvedimento di cui trattasi, dovendo il silenzio del legislatore, in ordine ad esse, essere interpretato come espressione di volont� negativa, e non essendo consentita l'interpretazione analogica per supplire ad eventuali omissioni in cui esso fosse incorso, trattandosi di materia disciplinata da norme eccezionali. N� potrebbe farsi ricorso alla interpretazione estensiva, pur consentita per le leggi eccezionali, sia perch� la estensione del condono alle predette contro'Versie non sarebbe conforme alla ratio legis, sia perch� il debiito di interessi, pur avendo anch'esso carattere tributario, non pu� assimilarsi all'obbligazione tributaria principale, n� pu� considerarsi come un ampliamento o un'e!'Jtensione di questa, perch� ne differisce nella sostanza e nelle condizioni (Cass. 5 gennaio 1972 n. 20 e 29 ottobre 1973 n. 2805). Quanto, poi, alla possibilit� di una disparit� di trattamento tra contribuenti (art. 3 Cost.), non pu� negarsi che il provvedimento legislativo in esame, col negare ai contribuenti che sollecitamente hanno pagato il tributo, controvertendo su aspetti accessori della tassazione, la possibilit� di fruire del condono, viene a porre gli stessi in una situazione diversa rispetto a quelli che, al momento dell'entrata in vigore della legge, hanno omesso anche il pagamento dell'imposta, deve per� riconoscersi che con ci� non si verifica una violazione del principio dell'eguaglianza nel senso ormai acquisito di corrispondenza tra disciplina normativa e stt�azioni di fatto identiche o similari, dal momento che la legge, escludendo il condono nel primo caso ed ammettendolo nel secondo, ha regolaito si�tuazioni elle, al momento della sua entrata in vigore, si presentavano obiettivamente diverse. Trattasi, d'altra parte, non di una disparit� di diritto, ma di una dispar1t� di mero fatto, inevitabile in tutti i provvedimenti del genere, che prescindono da ragioni di equit� e di giustizia sostanziale, essendo dettati da situazioni di necessit� emergente e di eccezionalit�, le quali senz'altro legittimano il comportamento inteso a superarle (cfr. Corite Cost. 15 dicembre 1967 n. 148 e 14 maggio 1969 n. 45). -(Omissis). " � i ! f, I! ~~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1109 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 ottobre 1975, n. 3362 -Pres. Giannattasio -Est. Miele -P. M. Pedace (conf.) -Soc. Cartiere del Timavo c. Ministero delle Finanze (a\rv. Stato Baccari). Imposte e tasse in genere � Accertamento -Carattere dichiarativo -Competenza e giurisdizione � Momento della nascita dell'obbligazione tributaria � Avveramento del presupposto -Ufficio competente a liquidare il tributo. Poich� l'obbligazione tributaria sorge, sia quanto all'esistenza sia quanto alla misura, nel momento in cui si verifica la situazione di fatto da cui la legge fa dipendere la nascita dell'imposta, s� che il .successivo accertamento, diretto a determinare l'importo del tributo, ha carattere puramente dichiarativo, dopo l'avveramento del presupposto (nella specie passaggio di merci della linea doganale) deve considerarsi sorto il rapporto giuridico di imposta necessariamente legato ad un Ufficio competente ad accertare e liquidare il tributo; in relazione a questo rapporto ed al relativo Ufficio va determinata la competenza del Tribunale del luogo ove risiede l'Ufficio dell'Avvocatura dello Stato, anche se l'accertamento non � ancora avvenuto. Non pu� invece ammettersi che prima della liquidazione dell'imposta un'azione di accertamento negativo in linea puramente teorica (e come tale di dubbia ammissibilitd) possa essere diretta contro l'Amministrazione Centrale innanzi al Tribunale di Roma sulla premessa che l'obbligazione tributaria non sia ancora sorta (1). (Omissis). -Con l'unico motivo la societ� ricorrente afferma che erroneamente il Tribunale ha dichiarata la sua incompetenza per territorio non avendo considerato che la fattispecie non pu� ritenersi regolata dall'art. 25 del c. proc. civ. non essendo ancora sorta alcuna obbli (1) Decisione esattissima di molto interesse. Sulla natura dichiarativa dell'accertamento, da pi� parti contestata, la giurisprudenza della Corte Suprema � sempre stata ben ferma (v. Relazione �Avv. Stato, 1966-70, II, 454 e segg., e Cass. 6 ottobre 1972 n. 2863, in-questa Rassegna, 1973, I, 910). L'obbligazione tributaria, che trae origine soltanto nella legge, sorge nel momento in cui si verifica la situazione di fatto considerata nella norma, completa di tutti i suoi elementi, quale che sia il modo e il tempo della dichiarazione, in forma vincolante, del suo contenuto. � pertanto incontestabile che all'avverarsi del presupposto non solo si costituisce il rapporto che crea doveri anche sanzionati (registrazione, denuncia, dichiarazione) ma nasce anche l'obbligazione di imposta i cui effetti, anche se successivamente accertati, decorrono da questo momento; di ci� danno la dimostrazione non solo i principi ge'nerali ma espresse norme come quelle degli artt. 15, 16 e 19 del r.d. 7 agosto 1936 n. 1639 che per le imposte indirette fissano come momento di riferimento per 12 lllO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gazione tributaria. Oggetto della domanda �_ l'accertamento che il precedente regime di deposito franco, di cui godrebbe la Cartiera, non era venuto meno per effetto del D.P.R. 30 dicembre 1969 n. 1133,. per cui legittimata passi'Vamente all'accertamento in questione � solo� l'Amministrazione centrale cui spetta ogni attribuzione in tema di. deposirto franco secondo la legge 8 luglio 1904 n. 351. Inoltre la condotta di questa Amministrazione centrale avrebbe fartto sorgere la pretesa al risarcimento dei danni. La censura non � fondata. Con la citazione introduttiva la societ� ha chiesto che si dichiari che il d.p.r. n. 1133 del 1969 (legge delegata attuaLmente abrogata e 1sostituita dafile noir:rne del!. T.U. d.p�.r. 23 gennaio 1973 n. 43) non ha soppresso il regime di deposito franco di cui essa godrebbe in forza del provvedimenrto del commissario di governo del cessato Territorio di Trieste ed inoltre la condanna dell'Amministrazione convenuta al risarcimento dei danni per l'eventuale applicazione nei suoi confronti del nuovo regime doganale disposto dal citato� D.P.R. n. 1133 del 1969. Tali domande si riallaccianoc ad un rapporto� giuridico d'imposta doganale gi� sussistente, in quanto essendo presupposto di tale rapporto la introduzione delle merci oLtre la linea doganale (art. 3.6 del!. T.U. 23 gennaiio 1973 n. 43) esso si � v&iificato� poich� la merce importata dalla societ�, � stata posta nel regime di �daziato sospeso� e sono state pretese dalla Societ� ricorrente la prestazione di cauzione in relazione all'ammontare dei tributi eventualmente dovuti. Non ha rilievo, ai fini del sorgere della obbligazione tributaria, che l'accertamento del tributo dovuto non sia stato ancora effettuato e sia solo prospettato come possibile, giacch�, come ha piQ volte affermarto questa Corte suprema, l'obbligazione tributaria sorge, sia quanto all'esistenza sia quanto alla misura, nel momento in cui si verifica la situazione di fatto da cui la legge fa dipendere la nascita dell'imposta. la determinazione del valore il�giorno del trasferimento e ancor pi� l'art. 3 della legge 26 gennaio 1961 n. 29 che fa decorrere gli interessi (ormai pacificamente definiti come moratori) dal giorno in cui l'imposta sarebbe stata dovuta se fossero stati adempiuti tutti gli obblighi imposti e l'art. 184/bis del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 che, analogamente, prevede una maggiorazione d'aliquota nei casi in cui l'imposta sia iscritta a ruolo� con ritardo rispetto alla normale esigibilit� riferita al tempo dell'avveramento del presupposto. Sul punto che la competenza per territorio va sempre determinata con riferimento all'ufficio tributario che ha liquidato (o deve liquidare} il tributo e mai considerando la domanda come diretta contro l'Ammi nistrazione Centrale (v. Cass. 29 ottobre 1973, n. 2806, Riv. leg. fisc.. 1974, 663). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA llll L'accertamento, pertanto, non � causa della nascita dell'obbligazione tributaria ma � solo l'atto con cui si determina l'importo del tributo ed ha carattere puramente dichiaratiivo (cfr. cass. 10 agosto 1966 n. 2191). Presupposto del tributo doganale, come si � osservato, � il passaggio dalla linea doganale di merci soggette a diritti di confine (art. 4 della L. 25 settembre 1940 n. 1124; ora art. 36 del T.U. D.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43), presupposto che si � verificato, secondo quanto riferisce la stessa societ� ricorrente, per essere state le merci, destinate allo stabilimento di S. Giov&nni di Duino, sottoposte al :�egime di dazio sospeso con l'onere della prestazione di cauzione. Quindi la azione di accertamento negativo non � stata proposta in linea puramente teorica (nel qual caso poteva anche farsi questione del difetto di interesse a proporla, in quanto avrebbe avuto contenuto di semplice azione di iattanza) ma riguarda un rapporto giuridico d'imposta gi� sorto, essendosi verificato il presupposto della obbligazione doganale. Plertanrto la competenza territoriale a giudicare � del giudice ove � sorto il rapporto giuridico d'imposta dal quale potrebbe derivare l'applicazione del tributo di cui si assume, in via preventiva, la illegittimit� e cio�, appuruto, del Tribunale di Trieste ove trovasi l'ufficio doganale che, in ipotesi, potrebbe procedere all'accertamento del tributo doganale. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 otrtobre 1975, n. 3409 -Pres. Giannattasio -Est. Miele -P. M. Serio (diff.) -Soc. Itafea (avv. Palandri) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Siconolfi). Imposta di registro � Agevolazione per l'industrializzazione del Mezzogiorno � Primo acquisto di terreni e fabbricati per l'attuazione di iniziative industriali � Certificazione di raggiungimento del fine � Termine per la presentazione � Rilascio di certificato negativo contenente indirettamente la attestazione � Necessit� di tempestiva presentazione. (d.I. 14 dicembre 1947, n. 1968, art. 5). L'agevolazione dell'art. 5 del d.l. 14 dicembre 1967 n. 1998 � subordinata alla presentazione all'Ufficio nel termine perentorio di tre anni dalla certificazione della Camera di Commercio attestante il conseguimento del fine industriale; tuttavia la certificazione, per la quale non si richiedono forme particolari pu� risultare anche indirettamente da altro atto che necessariamente presupponga l'accertamento richiesto (ipotesi del certificato che negando il conseguimento del fine industriale perch� � stato costruito un albergo, implicitamente ammette l'esistenza RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1112 di una costruzione destinata ad albergo); � per� sempre necessario che una certificazione, sia pure indiretta, sia presentata all'Ufficio nel termine stabilito (1). (1) Decisione esatta. Sull'argomento ben diversamente s1 e pronunziata la S.C. con la sent. 20 maggio 1975 n. 1987 (in questa Ras:llegna 1975, I, 747) che ha ammesso l'impugnabilit� innanzi all'A.G.O. della certificazione negata per ragioni di merito ed ha perfino ritenuto che il giudice di ufficio debba accertare quanto il contribuente non si � preoccupato di dimostrare. Oggi, pur riconoscendo che la certificazione formalmente negativa possa valere a dimostrare il fatto, esattamente si afferma che essa va sempre presentata all'Ufficio nel termine e non pu� essere sostituita o integrata da prove fornite in sede contenziosa. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 ottobre 1975, n. 3426 -Pres. Rossi -Est. D'Orsi -P. M. Gentile (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Salto) c. Bonomi (avv. Sabaitello). Imposte e tasse in genere -Azione in sede ordinaria � Precedente deci� sione di commissione � Termine semestrale � Sospensione feriale � Si applica. (l. 14 luglio 1965, n. 818, art. 1). Il termine di sei mesi per proporre l'azione in sede ordinaria dopo la decisione di una commissione � di natura processuale e quindi soggetto alla sospensione feriale (1). (1) Vengono confermate, ormai definitivamente, le pronunzie 12 luglio 1974, n. 2084 (in questa Rassegna 1974, I, 1249) e 23 ottobre 1974, n. 3053 (Riv. Leg. fisc., 1975, 597). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 novembre 1975, n. 3966 -Pres. Rossi -Est. Longo -P. M. Serio (conf.) -Soc. Parco Ruffo c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Mazzella). Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso � Decadenza -Prescrizione � Rivendita dell'area senza indicazione di provenienza � Sospensione della prescrizione. (l. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14 e 20; e.e. 3941, n. 8). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1113 Imposte e tasse in genere � Interessi � Decadenza da agevolazioni � Decorrenza dalla data di esigibilit� dell'imposta principale. (1. 26 gennaio 1961, n 29, art. 1). Quando la decadenza dall'agevolazione dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949 n. 408 � determinata dalla rivendita, prima della costruzione, dell'area acquistata, e l'atto di rivendita non contiene alcun accenno al titolo di provenienza dell'immobile e quindi non fornisce all'Ufficio indicazioni idonee a rilevare la decadenza, si verifica una causa di sospensione della prescrizione a norma dell'art. 2941 n. 8 cod. civ. (1). Nel caso di decadenza dai benefici fiscali (nella specie dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949 n. 408) gli interessi sulle imposte in misura ordinaria dovute dal contribuente ammesso ai benefici, decorrono dalla data di registrazione dell'atto inizialmente agevolato, o, se questa � anteriore, da quella di entrata in vigore della legge 26 gennaio 1961 n. 29 (2). (Omissis). -Con i primi due mezzi, che per la loro evidente connessione possono esaminarsi congiuntamente, si denunzia violazione ed erronea applicazione dell'art. 2 della legge 6 ottobre 1962, n. 1493, nonch� degli artt. 6 e 7 del D.L. 11 dicembre 1967 n. 1150, convertito nella legge 7 febbraio 1968 n. 26. �Sostiene la Societ� ricorrente, con le censure in esame, non aver la Corte tenuto conto che alla data di notificazione dell'ingiunzione (7 aprile 1966) relativa all'imposta pretesa per la nuova alienazione del suolo a suo tempo acquistato con l'atto per notaro Spena, era gi� decorso il termine settennale di prescrizione previsto dall'art. 2 della legge n. 1493 del 1962, e pertanto il diritto dell'Amministrazione finanziaria era estinto. (1-2) La prima massima � di grande interesse. La registrazione di un atto puro e semplice di vendita di un'area, che pu� essere richiesta presso un ufficio diverso da quello presso il quale fu registrato il precedente atto di acquisto, non mette di certo l'Ufficio nella condizione di constatare l'avvenuta decadenza; e se � vero che ai fini del decorso della prescrizione (art. 2935 e.e.) � rilevante la possibilit� in senso giuridico e� non la concreta possibilit� di fatto, deve pur ammettersi che la possibilit� meramente ipotetica, resa tale dal comportamento malizioso del contribuente, non pu� valere a mettere in movimento il decorso del termine. Con la seconda massima si conferma il recente orientamento (Cass. 14 febbraio 1975 n. 565, in questa Rassegna 1975, I, 563) che ha corretto la precedente inaccettabile soluzione. 1114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N� essa� Soci'et� era tenuta alla denunzia necessaria ai fini del consolidamento dell'agevolazione, perch� l'Amministrazione non le aveva mai notificato la formale richiesta prevista dall'ultimo comma della norma citata. Dall'insussistenza di siffatto obbligo di denunzia avrebbe dovuto dedursi, secondo la ricorrente, che ad essa Societ� non incombeva l'onere di indicare, nell'atto di rivendita, la provenienza dell'immobile; provenienza che, del resto, l'Amministrazione finanziaria pot� ugualmente individuare. Aggiunge la ricorrente che, dovendosi considerare estinto prima �della data predetta il rapporto tributario, ne derivava che nella specie non potevano trovare applicazione le disposizioni del D.L. 11 dicembre 1967, n. 1150, convertito nella legge 7 febbraio 1968, n. 26. Ed all'estinzione del diritto all'imposta principale conseguiva quella del diritto agli interessi, sopratasse ed accessori del debito. Le doglianze non sono suscettibili di accoglimento. A parte, invero, l'esattezza delle consider.azioni della corte d'appello, accennate in narrativa, circa l'applicabilit� della prescrizione settennale a sensi delle leggi n. 35 del 1960 e n. 1493 del 1962, va rilevato che le censure muovono dall'erroneo presupposto che il termine della prescrizione iniziasse a decorrere dall'originario atto di acquisto anzich� dall'atto (di rivendita) comportante la decadenza dal beneficio fiscale. In senso opposto si � gi� altre volte pronunziata questa S.C., affermando che l'azione dell'Amministrazione delle Finanze, intesa al pagamento dell'imposta ordinaria di registro in caso di incorsa decadenza dalle agevolazioni tributarie concesse nel settore dell'edilizia, mentre per gli atti successivi all'entrata in vigore della legge 2 febbraio 1960, n. 35, decorre dalla data della denunzia -cui le parti sono obbligate -dell'avvenuto verificarsi delle condizioni da cui dipende l'agevolazione, cos� come stabilito dalle leggi 11 dicembre 1967, n. 1150 e 7 febbraio 1968, n. 26, viceversa, prima dell'entrata in vigore della citata legge n. 35 del 1960 e della legge 6 ottobre 1962, n. 1493, si prescriveva nel termine di tre anni decorrente non dall.a data di registrazione dell'atto agevolato, bens� da quella dell'atto (nella specie, di rivendita) che importava la d�cadenza dalle agevolazioni gi� concesse (Cass. 15 marzo 1971, n. 725), salva, ove del caso, l'applicazione dell'�rt. 2941 n. 8, cod. civ. (Cass. 7. novembre 1970 n. 2271). D'altronde, nella fattispecie in esame l'inizio del decorso del termine prescrittivo non poteva nemmeno esser determinato nella data di registrazione dell'atto di rivendita (5 aprile 1963). La Corte d'a1ppello, invero con apprez.zamento di fatto insindacabile in questa sede, e del resto non ritualmente censurato dalla ricorrente, ha accertato che quell'atto non conteneva alcun accenno al titolo PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1115 di provenienza dell'immobile (e cio� dell'atto di acquisto dello stesso �da parte della Societ�), e quindi non forniva all'Ufficio indicazioni idonee a rilevare la decadenza ed in conseguenza di agire per far valere il diriitto alla percezione dell'imposta nella misura normale. Esattamente, pertanto, la corte di merito ha ritenuto sussistere nella specie la causa di sospensione della prescrizione, prevista dal n. 8 �dell'art. 2941 cod. civ. N� il fatto che, nonostante il comportamento <lel contribuente, l'Amministrazione abbia comunque, a un daito momento, rilevato la decadenza e notificato l'ingiunzione di pagamento �dell'imposta sarebbe stato sufficiente a ritenere che, medio tempore, la sospensione predetta non av~sse operato. Con il terzo mezzo, lamentando �omessa pronunzia sull'illegittimit� della pretesa alla sopratassa�, la ricorrente deduce che quest'ultima non avrebbe potuto considerarsi dovuta giacch�, se riferita agli interessi moratori, essa avrebbe difettato di presupposto,� e se riferita alla �tassa principale�, essa sarebbe� stata annullata dal tempestivo _pagamento dell'imposta principale, avvenuto nel periodo di tempo compreso nel condono di cui alla legge 23 dicembre 1966, n. 1139. La censura � infondata. La Corte ha irnvero pronunziato sul punto, �dichiarando legittima l'ingiunzione per la sopratassa, necessaria conseguenza, quest'ultima (a sensi dell'art. 20 della citata legge n. 408 del 1949) della decadenza dall'agevolazione fiscale. Il condono, cui la ricorrente si riferisce, comprendeva bensi l'esonero dal pagamento della sopratassa, ma subordinava la concessione di tale esonero alla definizione del contesto; la mancata definizione nel termine di legge per non essere stati pagati gli interessi comportava di necessit� l'inapplicabilit� �del condono. Infondato � del pari il quavto mezzo con cui, denunziando �omessa pronunzia sulla domanda subordinata relativa alla decorrenza degli interessi�, la ricorrente sostiene di aver dedotto che la decorrenza degli interessi moratori deve coincidere con la data� dell'atto di vendita e non con quello di acquisto. Il vizio di omessa pronunzia non sussiste. La Corte ha riconosciuto <lovuti gl'interessi allorch� ha ritenuto legittima l'ingiunzione notificata dall'amministrazione finanziaria, che ne intimava il pagamento. Mani festa � poi l'infondatezza dell'assunto ch'essi debbano decorrere dalla <lata della rivendita; trattasi di interessi di mora, che decorrono dal momento in cui � dovuto il tributo principale (Cass. 23 novembre 1971, n. 3396), val dire dall'atto di acquisto che avrebbe dovuto essere assog~ gettato alle normali imposte; ovvero, se tale atto � anteriore alle leggi che detti interessi ha istituiti, dalla data di entrata in vigore della legge. -(Omissis). 1116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 novembre 1975, n. 3967 Pres. Mirabelli -Est. Boselli -P. M. Minetti (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano) c. Crenna. Imposte e tasse in genere � Pena pecuniaria � Prescrizione � Decorrenza � Imposta di successione � Denuncia infedele . Decorrenza del giorno della commessa violazione. (1. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 17; r.d. 30 gennaio 1923, n. 3270, art. 43; e.e. art. 2935). La prescrizione della pena pecuniaria, che costituisce una obbligazione civile, comincia a decorrere dal giorno della commessa violazione a norma dell'art. 17 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 e non influisce sul corso di essa il procedimento di accertamento dell'imposta e il giudizio di valutazione innanzi alle Commissioni (1). (Omissis). -Con i due motivi del ricorso -che, per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente -la Amministrazione Finanziaria denunzia violazione degli artt. 17 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, dell'art. 2935 cod. civ. e dell'art. 43 �del d.l. 30 dicembre 1923 n. 3270, in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. ed assume che, stante la natura civilistica della obbligazione della pena pecuniaria per denuncia di successione infedele, la prescrizione quinquennale comincia a decorrere dal giorno dell'accertamento dell'avvenuta 'Violazione, non da quello in cui la violazione medesima -intesa come fatto -� stata commessa, essendo quello (dell'accertamento) il momento in cui lo Stato pu� far valere il suo diritto. I due motivi sono infondati. (1) La decisione non pu� essere condivisa. Proprio per la ragione, ampiamente esposta nella motivazione, che non esiste una sostanziale differenza di contenuto tra l'art. 2935 e.e. e l'art. 17 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, si deve ritenere, in via generale, che la regola fissata in quest'ultima norma non deroga al principio, ancor pi� generale, che la prescrizione non pu� cominciare a decorrere prima che il diritto possa esser fatto valere. Se quindi di norma la prescrizione della pena pecuniaria decorre dal giorno della commessa violazione, ci� non esclude che questo momento possa essere ritardato quando dalla violazione non nasce immediatamente il credito dell'Amministrazione completo di ogni suo elemento e tale da poter essere fatto valere. Nel caso di specie si discuteva, per�, della pena pecuiniaria prevista nell'art. 43 della legge sulle successioni (nel testo modificato con l'art. 12 della legge 12 giugno 1930, n. 742) nel caso che il valore definitivamente accertato, diminuito di un quarto, sia superiore �al valore dichiarato. Ci� significa, evidentemente, che la presentazione della denuncia di successione non solo non pone lAmministrazione nelle condizioni di PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1117 Il problema relativo al momento iniziale della prescnz10ne della pena pecuniaria dovuta allo Stato in dipendenza della violazione delle norme contenute nella legge sulle imposte di successione ed, in genere, in dipendenza della violazione di norme contenute nelle leggi finanziarie -problema che la Corte del merito ha esattamelllte ritenuto costituisse il �punto essenziale� della controversia -� stato risolto legislativamente dall'al't. 17 della 1. 7 gennaio 1929 n. 4, il quale dispone che �il diritto dello Stato alla riscossione della pena pecuniaria si prescrive col decorso di cinque anni dal giorno della commessa violazione �. E non sa vedersi, pertanto, per quale motivo -pur riconoscendo la natura civile di una tale obbligazione -debba farsi ricoi:so, per la soluzione di detto problema, alla disposizione dell'art. 2935 del codice civile vigente, in ispecie se si considera che la disposizione del citato art. 17 della legge n. 4 del 1929, per il suo carattere di norma speciale, prevale necessariamente sulla norma generale del citato art. 2935, ancorch� introdotta nel nostro ordinamento in epoca successiva. Coerente con tale lineare premessa, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha sempre affermato che l'obbligazione di pagamento della pena pecuniaria sorge con l'infrazione della norma fiscale ed al momento di questa e che i verbali di accertamento della infrazione medesima possono avere efficacia interruttiva (si noti, non impediti'Va) della prescrizione in corso, semprech� dagli stessi possa desumersi in modo non equivoco la manifestazione di volont� della P.A. creditrice di ottenere l'adempimento del debito, anche se non ancora specificamente determinato (Cass., n. 2824 del 1971; Id., n. 1186 del 1969;. Id., n. 34 del 1968). far valere il suo diritto, ma costituisce un presupposto del tutto ipotetico per la futura nascita del diritto, perch� fino a quando il valore non sar� definitiv>amente determinato (in via amministrativa con accertamento non opposto o concordato o in via contenziosa con decisione passata in giudicato) resta incerto non solo il quanto ma il se della pena pecuniaria. Non � quindi concepibile che il diritto alla pena pecuniaria si prescriva prima che si possa verificare se esso � mai venuto ad esistenza. Ma va considerato un ulteriore profilo. L'avviso di accertamento di valore interrompe la prescrizione per tutti quei diritti discendenti dalla determinazione di una maggiore base imponibile e quindi non solo per l'imposta complementare, ma anche per le sopratasse, le pene pecunarie e gli interessi. Ci� per la duplice considerazione che tutti questi accessori, legati nell'an e nel quantum all'accertamento di un maggior valore non potrebbero essere azionati separatamente e prima della definizione della valutazione e che, costituendo essi un credito indisponibile della Amministrazione, sono necessariamente legati alla sorte del credito di 1118 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Vale, tuttavia, la pena di chiarire come la norma (speciale) dell'art. 17 della legge del 1929 e quella (generale) dell'art. 2935 del <:od. civ. vigente non siano fra loro incompatibili. Sono note le dispute che, sotto l'impero del codice civile abrogato, il quale non dettava una norma espressa in proposi.io, si facevano in dottrina circa il momento iniziale della prescrizione. Dottrina e giurisprudenza prevalenti non tardarono, peraltro, ad .adottare, come criterio risolutivo, quello tradizionale dell'actio nata, determinando -sulla base di una sostanziale identificazione fra la .azione e la ragione (ossia il diritto) -come momento iniziale della prescrizione quello stesso in cui sorge la ragione. Orbene, � a questo stesso criterio che hanno prestato sostanzialmente adesione tanto il legislatore fiscale, con la norma dell'art. 17 della legge n. 4 del 1929 (in materia di repressione delle violazioni delle leggi finanziarie) quanto -pi� tardi -il codice civile del 1942; <:on la disposizione dell'art. 2935, sebbene nei due casi la formula adottata sia diversa a cagione della dirversa ampiezza del rispettivo <:ampo di applicazione. Alla stregua del principio dell'actio nata -e cosi pure alla stregua dell'art. 2935 e.e. che quel principio ha codificato -si fa distinzione fra diritti che possono farsi valere appena costituiti e diritti che, in tanto consentono l'esercizio dell'azione, in quanto siano stati violati. Orbene, se residuano ancora dubbi circa la precisa/ identificazione di questi ultimi diritti, non � dubbio invece che rientrino nella prima categoria i diritti di obbligazione in genere (ed, in ispecie) le obbliga zioni di �dare�, in base appunto alla considerazione che l'obbligazione, .appena sorta, attribuisce al credi:tore il diritto a chiederne l'adempi .mento, anche se non sia determinata nel suo ammontare. jmposta, come se l'accertamento, contenga o no superflue formule di .salvezza (sanzioni come per legge; oltre sanzioni ed interessi e simili), sia sempre (e necessariamente) diretto ad interrompere la prescrizione, <>ltre che per l'imposta, per tutti gli altri diritti accessori. Ci� � pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza per quanto con <:erne gli interessi la cui prescrizione non comincia a decorrere finch� il credito d'imposta � controverso ed � comunque interrotta dagli atti con i quali l'Amministrazione coltiva il suo diritto al tributo (Cass. 5 gen naio 1972, n. 20, in questa Rassegna, 1972, I, 281; 13 luglio 1973, n. 2023, ivi, 1973, I, 960). D'altra parte l'accertamento di valore contiene una generica dichia razione destinata a costituire la base imponibile sulla quale saranno liqui <lati successivamente tutte le somme dovute per vario titolo; esso non �contiene un invito a pa�gamento o costituzione in mora (nemmeno per l'imposta), ma evidentemente interrompe la prescrizione su tutti i rap porti che traggono ragione dalla determinazione della base imponibile. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 1119 Si chiarisce, pertanto, come la disposizione dell'art. 17 della pm volte citata legge n. 4 del 1929, allorquando stabilisce che il diritto della Finanza ad e1sig.ere fa pena pecuni:ar�i<a (conseguente ad infrazioni delle leggi finanziarie) si prescrive col decorso di cinque anni -dalla commessa violazione, non faccia che applicare al campo delle peculiari obbligazioni di cui si tratta, lo stesso principio al quale -come accennato -si � ispirato il legislatore del 1942 nel dettare l'art. 2935 del cod. civ., dato che l'obbligazione di cui si traitta sorge al momento della violazione delle norme tributarie e che -per quel che concerne in particolare la infrazione qui considerata -la stessa si consuma al momento della presentazione della infedele denuncia di successione. Il ricorso deve essere rigettato. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 dicembre 1975, n. 4098 -Pres. Rossi -Est. Scanzano -P. M. Raja (conf.) -Soc. Rodeo Simmenthal (avv. Guadagni) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Corsini). Imposta di registro -Agevolazione per l'industrializzazione del Mezzogior� no � Primo acquisto di terreni e fabbricati � Trasferimento di stabili� mento industriale gi� attivato e in dissesto � Esclusione dell'agevo� lazione. (d.I. 14 dicembre 1947, n. 1598. art. 2 e 5). Il fine dell'agevolazione dell'art. 5 del d.l. 14 dicembre 1948 n. 1598 � quello di incrementare la formazione del patrimonio industriale mediante la trasformazione di terreni o fabbricati a destinazione agricola -0 civile in stabilimenti industriali tecnicamente organizzati; conseguentemente l'agevolazione non pu� essere riconosciuta per l'acquisto di un opificio industriale gi� attivato anche se in dissesto a causa di fallimento e anche se a seguito del trasferimento viene modificato il tipo di produzione industriale (1). (1) Viene confermato il recente indirizzo restrittivo (Cass. 6 dicembre 1974 n. 4032, in questa Rassegna, 1975, I, 210) in materia di primo acquisto di terreni e fabbricati per l'impianto di stabilimenti industriali nel Mezzogiorno. Sono da sottolineare le precisazioni che alla base dell'agevolazione sta la trasformazione di un bene a destinazione agricola o civile in un impianto industriale e che anche la completa trasformazione di un impianto per una produzione diversa non realizza il fine dell'incremento del patrimonio industriale, perch� l'attivazione di una nuova iniziativa comporta la soppressione dell'iniziativa precedente. N� risulta indirettamente confermata la regola che l'agevolazione pu� essere accordata una sola volta sul trasferimento di un bene determinato. 1120 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Col secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 e segg. D.L.C.P.S. 14 dicembre 1947 n. 1598; 2 e 3 L. 19 dicembre 1948 n. 1482; 36 e 37 L. 29 luglio 1957 n. 634 riproponendo la tesi secondo cui l'acquisto dovrebbe godere dei benefici tributari previsti per l'industrializzazione del mezzogiorno. Sostiene in proposito: a) che detti benefici spettano anche quando la riattivazione di uno stabilimento preesistente viene a realizzare una finalit� industriale nuova, com� nel caso � avvenuto attraverso l'installazione di impianti e maccb.inari necessari per la produzione di carne conservata (attivit�, questa, del tutto diversa da quella originaria dello stabilimento, ed ormai 'cessata); b) che la riattivazione � espressamente prevista, a fini agevolativi, degli artt. 2 e 3 della legge n. 1482/48, e non solo per gli stabilimenti che erano inattivi prima dell'entrata in vigore del DLCPfS n. 1598/47; c) che il diritto alle agevolazioni invocate � reso chiaro anche dagli artt. 36 e 38 della legge n. 634/57 che accordano ben~fici tributari anche ad atti secondari quali la costituzione e gli aumenti di capitale di societ� che si propongano di rilevare stabilimenti industriali, per �ampliarli, .trasformarli e riattarli. Conne~so col motivo ora riassunto � il terzo, che � anzi logicamente preliminare nella pavte in cui censura come scarsamente motivato l'accertamento di fatto che costituisce il presupposto della decisione impugnata. Denunciando ancora violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e segg. DLCPS 14 dicembre 1947 n. 1598, la Rodeo Simmenthal ripropone la tesi subordinata secondo cui, tassandosi i beni mobili separatamente dagli immobili, il beneficio dell'imposta fissa di registro doveva essere riconosciuto spettante almeno per questi ultimi. Lamenta che la Colite del merito, osservando in contrario che l'acquisto ebbe ad oggetto un complesso indtvisibile, abbia adottato una motivazione insufficiente ed erronea, per aver trascurato che la legge, in tema di riattazione di stabilimenti preesistenti, prevede separa.tamente gli atti economici concernenti gli immobili, i materiali di costruzione e le macchine. Anche queste censure sono prive di fondamento. Nell'interpretazione dell'atto della cui registrazione si discute, gi� il primo giudice aveva ritenuto che l'acquisto ebbe ad oggetto uno stabilimento industriale preesistente e funzionante. Proponendo appello, la Rodeo Simmenthal, pi� che negare che il suo acquisto concernesse una azienda come complesso organizzato, sostenne ehe questa caratteristica era priva di rilevanza per il fatto che lo stabilimento era dive ---� PARTE l, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA nuto inservibile a causa dell'inattivit� seguita al fallimento. La Corte di Napoli ha comunque esaminato la questione nel suo duplice aspetto, confermando, da un lato (con riferimento anche alle relazioni di stima) che il decreto del giudice delegato aveva ordinato il trasferimento dell'intero stabilimento industriale con tutte le attrezzature e macchinari di cui era dotato e che costituivano un tutt'uno per la loro combinazione strutturale collegata allo svolgimento di una specifica attivit� produttiva, e, dall'altro, che la momentanea sospensione di questa per effetto del fallimento non valeva a sopprimere la suindicata caratteristica e la idoneit� del complesso ad assolvere la finaut� industriale per la quale era stato costituito. Con tali argomentazioni, sufficienti e pienamente aderenti ai principi relativi all'azienda, detta Corte ha ritenuto che la Rodeo Simmenthal acquist� uno stabilimento industriale gi� esistente in territorio agevolato e tuttora idoneo a consentire lo svolgimento di una attivit� produttiva. E questo accertamento conduce a disattendere ogni altro assunto della ricorrente. L'agevolazione tributaria di cui si discute � quella prevista dall'art. 5 DLCPS 14 dicembre 1947 n. 1598 secondo cui il primo trasferimento di propriet� di terreni e di fabbricati occorrenti per l'attuazione delle iniziative industriali di cui all'art. 2 � soggetto a imposta di registro e di �trascrizione in misura fissa. L'al't. 2 dello stesso decreto, nel testo risultante dal coordinamento con la I. 29 dicembre 1948 n. 1482, fa riferimento al primo impianto di stabilimenti industriali tecnicamente organizzati ed all'ampliamento, trasformazione, ricostruzione e riattivazione di stabilimenti gi� esistenti nei territori contemplati dall'al.'t. 1. Nell'interpretazione del predetto art. 5 questa Suprema Corte ha, pi� volte, affermato che i benefici da esso previsti non si applicano .agli acquisti di stabilimenti gi� esistenti (cass. 1111/63, 1548/65, 1410/73). L'orientamento va confermato, condividendo il Collegio le ragioni �che lo presidiano. Lo scopo dell'agevolazione � quello di favorire l'industrializzazione del Mezzogiorno, incentivando le iniziative che ne arri�chiscono il patrimonio produttivo. Il risultato perseguito dal legislatore si realizza nel caso in cui terreni e fabbricati acquistati servano di base per la creazione di nuovi stabilimenti, o ricevano comunque una destinazione industriale che prima non avevano, per essere impiegati nell'ampliamento, riattivazione o ricostruzione di stabilimenti preesistenti. � necessario cio� che immobili aventi una destinazione agricola, o genericamente civile o sia pure commerciale, attuata col mero scambio di beni, diventino immobili industriali mediante la loro utilizzazione in attivit� 1122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO produttive di beni o servizi. Detto risultato invece non si realizza quando l'acquisto ha ad oggetto immobili che gi� costituiscono uno stabilimento organizzato e possiedono la destinazione industriale che il legislatore vuole favorire. � evidente infatti che la trasformazione che in tal caso l'acquirente voglia farne (come nella specie) per utilizzare i beni secondo le esigenze di una nuova impresa, d� bens� vita a questa nuova iniziativa industriale, ma nel contempo viene a sopprimere l'industria preesistente impoverendo il relativo settore produttivo. Ad una siffatta iniziativa il legislatore non � insensibile: ma le agevolazioni apprestate in proposiito sono di altro tipo e consistono, come la Corte di merito ha posto in evidenza, nelle esenzioni disposte agli artt. 2 e 3 del citato decreto 1598/47. De�ve quindi concludersi, anche con riferimento alle disposizioni dell'art. 5 1. 9 dicembre 1948 n. 1482, che in tema di riattivazione e di trasformazione di stabilimenti esistenti, i benefici tributari riguardano i materiali da ~ostruzione e le macchine a tali fini impiegati, e si estendono agli acquisti immobiliari solo nel caso che ai relativi beni � venga impressa una destinazione industriale che prima essi non avevano. Rimane cos� confutato anche la tesi subordinata, sostenuta col terzo motivo, dell'applicabilit� delle agevolazioni di soli immobili. Deve infine aggiungersi che non giovano alla tesi della ricorrente gli artt. 2 e 3 della 1. 1482/48 (che riguardano rispettivamente l'estensione a certe operazioni del Banco di Napoli, di Sicilia e di Sardegna, del privilegio di cui all'art. 7 D.L. 1 novembre 1944 n. 367 e agevolazioni tributarie per operazioni di credito), n� l'art. 36 della L. 29 luglio 1957 n. 634 (che prevede agevolazioni per atti costitutivi di societ�, ed ha quindi un ambito ben delimitato, non estensibile alla diversa materia che ne occupa senza violazione del divieto dell'analogia, che in questo campo � tassativo), n� l'art. 37 della stessa legge, che agevola la costituzione di ipoteche contestuali agli acquisti immobiliari previsti dall'art. 5 D.L. 1598/47. .< Il ricorso deve essere pertanto rigettat<;>, con la conseguenze di �=: legge. -(Omissis). SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (*) CORTE DI CASSAZIONE, sez. III, 26 agosto 1975, n. 3018 -Pres. DeIfiil! i. -R.el. Baciconi -P.M. Pedace (conf.) -Impire1sa De Luca (avv. Freno) c. Ministero dei lavo�ri pubiblid (avv. Stato Tariin) e I.A.C.P. di Reggio Calabria (avv. Oala;rco). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Capitolato generale di appalto per i lavori di competenza del Ministero dei lavori pubblici. -Richiamo nei contratti con enti pubblici diversi dallo Stato -Efficacia negoziale -Modifiche del capitolato generale di appalto -Irrilevanza nella disciplina del rapporto. (d.m. 28 maggio 1895, artt. 42 e segg.; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 43 e 47). Nei rapporti di appalto con enti pubblici diversi dallo Stato, e cio� quando le norme del cap~tolato generale di appalto richiamate dalle parti contraenti hanno natura contrattuale, il rapporto rimane disciplinato, anche per quanto concerne le previsioni di carattere processuale, dalle norme del capitolato genemle di appalto vigente alla data di conclusione del contratto (1). (Omissis). -Con il iprimo motivo, il a:<.i.tcoirrente afferma di aver correttamente .piroposto la domanda davanti al g1iudice 011d.inairi-0 competente, avvalendosi delil.a facolt� di scelta conces1sa alle jparti dagU artt. 43 e 47 del nuovo �caipitolato generale d'appalto peir il.e opere di competenza del Mini1stero dei Lavori pubbJ.ici, a,ppirovato �con d.P.R. 16 lugliio 196:2, n. 1063; e sOlstiene che il Tiribunale avirebbe eI"f�ato nell'affermare apoditticamente che le norrme suddette non oono appilicabi.Jl (1) Sui prindpi affermati nella �sentenza in rassegna (ed in base ai quali � stata esclusa, nella specie,, 1a .comipetenza del .g.iudice ordinado� relativamente a contratto di appalto stipulato con richiamo alle norme del capitolato generale di appalto approvato con d.m. 28 ma�g.gio 1865) cfr., da ultimo, Cass., 21 maggio 1975, n. 2006, 1�etro, I, 752, con nota di richiamo ai precedenti, ed in particolare App. Roma, 17 luglio 1975, retro, I, 930. con nota contraria di ALBISINNI, Capitolato generale oo.pp. approvato con. d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063. Estensione obbligatoria alle opere di competenza della Regione siciliana: wpplicabilit� delle norme di procedura alle� controversie arbitrali in corso. (*) Le decisioni in materia di a�c.que pubbliche sono massimate ed: annotate dall'avv. PAOLO VITTORIA. 1124 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO al contratto in questione (stipulato il 26 maggio 1961), dato �Che appa~tante � un ente dlive1riso da.110 Stato, rper il quale le drsrpo1siziioni del capitolato generale hanno �carattere pattizio e non nol"Inativo. Lia nuova discipliina dovrebbe, invece, trovare appUcazione pier tutti i �contratti non ancora' giunti al�a fase contenziosa pirima deihla sua entrata 1in vii.gore: tanto pi� che gli IACP sono tenuti per legge .ad uniformare i prQiPri capitoilati a quello generale dall'arprpalto di opere di comrpetenza del Min1stero dei lavori pubbHci. Il motivo � i.infondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il capito�ato generale dli appa1lto per le opere pubbliche di �COffi[l�etenza del MiniJ.siteiro dei Lavori Pubblici ha natura e vialo�re normativo (di regolamento di ol'ganizzazione) �soltanto nei confronti delHe ammin1strazioni delt1o Stato. Per gli altri enti, ancorch� tenuti ad uniformare i .piroipri capitolato a quello generale dello Stato, le .prev�isioni de.I suddet-to capitolato costitui1se1ono clausole neg101Zliali, O!P)'jranti !P�E'lt" vicilont� rpattizia e non in quanto impoote autoritativamente nel quadro di un ra:prporto �Che 1mpil.ica, entro �certi limiti, la subordinazione di un soggetto a1l'altro a!llJche durante il suo svolgimento. Ne segue, che, una volta for:mata1si la volont� contrattuale secondo la disciiplina dettata da1l capitolato generale per i lavori di �competenza de�l Ministero dei Lavoiri Pubbltci, vigiente nel momento in cui il contratto � 1stato conclwso (nelila 1spede quello del 28 maggio 1895), '1'intero rapporito � retto e dev�e 1svolg~si secondo quella drsc1plina: e le eventuali modificazioni 1soptravv.enute del oaipitolato suddetto, varranno bensl 1come ,prescrizionii alle qu:ali l'ente deve unifo['oma'I'e il proprio �Capito-lato ed i propri contratti, ma non possono alterare il regime pattizio dei contratti in �covso. Ci� vale, ovviamente, sia .per il.e previsioni dli carattere sostanziale, sia per Le� previsioni di carattere procets; suale, come queUa concernente la �competenza del giudice oTdinario in alternativa �con fa competenza del Colil.egio arlbitraJe. La natura ip!I"Ooesisuale delle norme 1nvocate dal De Luca, dunque, non pu� ionc1dere sulla dau:sola, di diverso contenuto, inserita nel �contratto di �Cui si discute. Anche U secondo motivo (con cu:i il �rico:ra'ente .sost�ene che, ammessa la natura pattizia deilla, dausola 'compiromissoria, esl>:a dovrebbe ditenersi priva �di effetto perch� non aipprov:ata :E1pecificamente peT iscritto, a norma del!l'art. 13�41, comma 2�, cod. dv.) � infondato. La questione prospettata �, infatti, predUJsa, perch� gi� deciosa da questa stessa Coirte, tra le .stesse parti ed in or�dine al medesimo rapporto, con fa sentenza n. 1343 del 1970, 1sopra richiamata. Va pevci� dichiarata la competenza del Collegio avbitrale, con condanna del1'1stante al rimborso delle Sl!lese ad entrambi gili intimati. (Omissis). PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBL. 1125 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 10 o'ttobre 1975, n. 3250 -Pres. Stile -Est. Guerrieri -P. M. Pedace (conf.) -Mastrandrea (avv. Messina) c. Ente acquedotti siciliani -E.A.S. (avv. Stato Fiumara). Acque pubbliche ed elettricit� � Competenza e giurisdizione � Dei tribunali delle acque � Controversie per danni da opere eseguite dalla P.A. � Danni derivanti da comportamento colposo . Ricomprensione . Condi� zioni. (t.u. 11 dicembre 193.3, n. 1775, art. 140, lett. e). A norma dell'art. 140 lett. e) t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775 sono da considerare controversie per risarcimenti di danni dipendenti da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione, quelle in cui il danno sia conseguenza di un comportamento colposo, attivo od omissivo, posto in essere nel corso di operazioni che, attinenti alla sua esecuzione. o manutenzione, rientrino nel processo produttivo dell'opera pubblica, perch� in tal caso la valutazione della colpa importa apprezzamenti tecnici sulla corretta e razionale esecuzione dell'opera stessa in relazione agli interessi pubblici connessi al regime delle acque (1). (Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso il Mastrandrea denunziando violazione degli artt. 140 (lett. e) del T.U. n. 1775 del 1933 e artt. 822 e 824 del cod. civ., sostiene che la affermazione della Conte di Messina, concernente il carattere demaniale dell'acquedotto dell'E.A.S., non � sufficiente a sorreggere la decisione in merito alla competenza del giudice specializzato, perch� non tutte le cause per risarcimento di danni collegati ad opere di derivazione o manutenzione di acque pubbliche rientrano nella previsione dell'art. 140 citato. La Corte di Messina, che aveva preso in esame solo quell'aspetto della controversia (e tale punto della decisione non costituisce oggetto di censura) non .avrebbe tenuto presente che sono invece riservate alla cognizione di tali tribunali quelle controversie in cui o si discuta della demanialit� delle acque, ovvero nelle quali colui che agisce per ottenere il risarcimento dei danni in conseguenza di tale esecuzione o manutenzione di opere, non lamenti la comm1ss1one di un fatto illecito, bens� deduca soltanto un rapporto di causalit� fra l'esecuzione delle opere ed i danni subiti. Orbene, proseguiva il ricorrente, sia nella citazione che nei successivi scritti difensivi di primo grado era stata prospettata la tesi della (1) Nello stesso senso, tra le pi� recenti decisioni della Corte di Cassazione, cfr., Sez. I, 22 giugno 1974 n. 1897 e Sez. II, 29 gennaio 1974 n. 240, in Giust. civ. Rep., 1974, acque pubb. e priv., 32 e 37. 1126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO colpa, e quindi il fatto illecito, della pubblica amministrazione per �cattiva installazione dell'acquedotto e omessa manutenzione�. Nella. specie poi era risultato, in base alla consulenza tecnica esperita in primo grado, che l'acquedotto era stato costruito con erronei criteri tecnici e che era stata trascurata la manutenzione di esso. Concludeva pertanto chiedendo che fosse ritenuta la competenza del tribunale ordinario. Replicava l'E.A.S. 'che :l'illecito dedotto dal Mastrandrea era attinente alla cattiva installazione e omessa manutenzione dell'opera idraulica, e pertanto, a prescindere dalla generale previsione di cui all'art. 2043 e.e., si collegava alla specifica previsione di cui alla lett. e) del citato art. 140. Il ricorso non � fondato. Premesso che in base alla citata norma appartengono alla competenza del Tribunale delle acque pubbliche le controversie per risarcimento di danni dipendenti da qualunque opera eseguita dalla P.A. va rilevato che il Mastrandrea nel sostenere che sussisterebbe la competenza dei tribunali ordinari semprech� a fondamento della domanda di risarcimento venga dedotto un fatto illecito della pubblica amministrazione si avvale di una interpretazione schematica e sostanzialmente errnta di talune massime di questa Supremo Collegio. Infatti .il ricorrente omette di considerare che il danno, conseguenza dell'eventuale illecito della P.A. deve essere �occasionato� dalla esecuzione della opera pubblica, il che deve intendersi nel senso, che il comportamento colposo della P.A. deve inerire ad operazioni le quali, con l'esecuzione delle opere o la manutenzione di esse, siano� solo genericamente, o indirettamente, o addirittura occasionalmente connesse (Cass. 29 genaio 1974, n. 240). La opposta tesi del ricorrente, �che presuppone che in ogni caso in cui si deduca comunque un comportamento della pubblica amministrazione e quindi un suo fatto illecito, savebbe da �escludere la competenza del Tribunale delle acque pubbliche, ha il torto di eludere la norma di cui all'art. 140 lett. e) del citato t.u., posto che � difficilmente ipotizzabile un danno che dipenda obiettivamente dalla esecuzione o manutenzione dell'opera pubblica senza che sia configu-� rabile un comportamento colposo della stessa (tranne le ipotesi di caso fovtuito o forza maggiore in cui in ogni modo sa.rebbe da escludere ogni responsabilit� della P.A.). Al contrario � ragionevole ritenere, invece, che l'ipotesi prevista dalla normativa in oggetto riguardi proprio i casi in cui il danno si presenti come ~a conseguenza di un comportamento colposo, attivo ed omissivo, posto in essere nel corso delle operazioni lato sensu attinenti alla esecuzione o manutenzione� dell'opera concernente le acque pubbliche, vale a dire ad operazioni rientranti nel relativo processo produttivo: ci� perch� in tal caso,, PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBL. 1127 la valutazione della colpa importa apprezzamenti tecnici sulla corretta �e razionale esecuzione dell'opera stessa in relazione agli interessi pubblici connessi al regime delle acque e quindi richiede indagini per le quali il giudice specializzato � particolarmente competente e attrezzato. In questo senso, dirimendo eventuali perplessit� che potessero persistere in proposito, si � del resto gi� espressa la Suprema Corte con la gi� citata sentenza n. 240 del 1974. Posta dunque la questione in questi termini, e poich� nella specie non vi � contestazione su~ punto che la colpa della P.A. sia dedotta per cattiva installazione dell'acquedotto e omessa manutenzione, e non in relazione ad attivit� indirette o occasionali (punto questo che comunque, coinvolgendo apprezzamento di fartto, non potrebbe essere oggetto di esame in questa sede di legittimit�) sono le stesse premesse e gli stessi argomenti del ricorrente che si dtorcono contro la tesi da lui sostenuta, sicch�, cos� integrata la motivazione della sentenza della Corte di� Messina, il ricorso deve, conseguentemente, essere rigettato. Il ricorrente deve essere condannato, in favore dell'Ente Acquedotti Siciliani, al pagamento delle spese del procedimento di cassazione liquidate come in dispositivo. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 25 ottobre 1975, n. 3561 -Pres. Ferrati -Est. Sagnelli -P'. M. Pedace (conf.) -Boccalari, Cavallari e S.p.az. Immobiliare Alluvione (avv. G. Stella Richter, Bianchi e Chiesa) c. Ministero delle finanze (avv. Stato Cavalli). Acque pubbliche ed elettricit� -Competenza e giurisdizione -Incrementi alluvionali -Incontestata estraneit� all'alveo -Controversia sull'appar tenenza -Tribunali delle acque � Competenza � Esclusione. (cod. civ., artt. 941 e 947; t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140, lett. b). La causa, in cui, sul presupposto pacifico della loro estraneit� all'alveo di un fiume, si controv.erte sulla appartenenza di terreni alluvionali ai proprietari confinanti o al patrimonio dello Stato, rientra nella competenza del giudice ordinario non specializzato e non in quella dei tribunali delle acque pubbliche (1). (1) Il princ1p10 affermato nella sentenza in rassegna � stato prn volte enunciato dalla. Corte di cassazione, da ultimo con la sentenza, Sez. I, 3 dicembre 1974 n. 3936, in Foro it., 1975, I, 312 e Giust. civ., 1975, I, 639. Sulla nozione di alveo, cfr. la giurisprudenza richiamata in nota a Trib. sup. acque 7 marzo 1974 n. 4, in questa Rassegna, 1974, I, 737. 1128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Con l'unico motivo i ricorrenti sostengono che 1) � pacifico che gli incrementi fluviali non fanno pi� par,te dell'alveo del fiume Po, tanto che la stessa Amministrazione nel. 1963, nel delineare l'attuale tracciato dell'alveo (non in contestazione) li ha lasciati alle spalle della curva di navigazione n. 15; 2) lo stabilire se tali incrementi, non pi� demaniali, siano tuttavia beni patrimoniali della pubblica amministrazione o siano acceduti alle propriet� private confinanti, non involge indagini tecniche, che possano giustificare la competenza del giudice specializzato secondo la ratio della previsione dell'art. 140 citato. Il ricorso � fondato. Oggetto della controversia non � la delimitazione dell'alveo del fiume Po ed, in particolare, la ripartizione -in senso orizzontale -dei terreni tra demanio idrico e propriet� privata, ma, nella impostazione data alla causa petendi e al petitum nella loro valutazione univoca (petitum sostanziale), lo stabilire se i terreni alluvionali di cui � causa, che non fanno pi� parte dell'alveo, debbano essere considerati di origine naturale o artificiale e siano, quindi, di pertinenza degli attori oppure rientrino nel patrimonio dello Stato. L'ev,entuale opportuni<t� di accertare gli effetti derivati ai terreni alluvionali dalla costruzione della curva di navigazione n. 15 non sposta i termini della controversia nella impostazione ad essa data con l'atto di citazione, poich� la domanda proposta dagli attuali resistenti parte dalla premessa indiscussa che i terreni in questione non fanno pi� parte dell'alveo del fiume Po. Il giudice non � chiamato ad accertare la configurazione dei terreni alluvionali nel confine verso l'alveo del fiume, )lla se attualmente debbano essere considerati o meno di propriet� degli attori, ,ed ogni eventuale indagine tecnica sar� essenzialmente relativa alla causa del venir meno della pertinenza dei terreni all'alveo e, cio�, all'accevtamento della loro derivazione da fatti naturali o dall'opera della Pubblica Amministrazione. La questione della delimitazione dell'alveo non � stata invece, mai oggetto di contestazione, avendo gli attori fatto piena acquiescenza alle decisioni in merito della competente autorit� ammini:Strativa. La sentenza n. 2640 del 1969 di questa Corte, contrariamente a quanto si afferma nella sentenza impugnata, � per:liettamente aderente alla fattispecie. In essa si fa una netta distinzione tra fatto storico consistente nella passata appartenenza di un terreno all'alveo di un fiume e, pertanto, al demanio idrico e l'attualit� della contestazione dei limiti e della estensione dell'alveo, escludendosi la competenza del giudizio specializzato nel secondo caso, nel quale la contestazione � inerente a terreni che, pur avendo fatto parte dell'alv,eo del fiume, sono attualmente esterni alla linea di � perimetrazione � del corso di acqua. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBL. 1129 La fattispecie esaminata nella sentenza citata � sostanzialmente identica a quella oggetto della presente controversia, in cui non ricorre affatto la ipotesi prevista dall'art. 140 lett. b del t.u. del 1933, che, come. questa Corte ha pi� volte affermato, concerne esclusivamente la delimitazione� dell'alveo, ossia la determinazione della linea di confine tra demanio idrico, inteso come zona di terreno interessata al deflusso delle acque pubbliche, e la propriet� privata confinante (sent. 9 marzo 1973 n. 659; 10 dicembre 1970 n. 2627; 16 novembre 1970 n. 2423; 13 dicembre 1969 n. 3955). In accoglimento dell'istanza di regolamento di competenza va, pertanto, dichiarata la competenza per materia del Tribunale di Brescia, con le 1conseguenze di legge. -(Omissis). CORTE DI APPELLO DI PALERMO, 23 settembre 1975 -Pres. S:carpu1la -Rel. Albane.se -Fallimento RUiSo e Cangemi (avv. Manil51cailco Basile) c. Aissesrsorato ai lavorri pubblici della Regione siciliana (avv. Stafo MancUiSo). Appalto . Appalto di opere pubbliche � Capitolato speciale di appalto � Prezzi unitari � Indicazione in lettere ed in cifre � Discordanza � Prevalenza dell'indicazione pi� vantaggiosa per l'amministrazione. (r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 72, secondo comma). Poich� il capitolato speciale predisposto dall'amministrazione appaltante, nel caso in cui l"offerta dei concorrenti alla gara per l'aggiudicazione sia formulata in base e con riferimento a tale capitolato, assrume significato e rilievo di elemento dell'offerta, in ogni sua parte, tecnica ed economica, qualora vi sia discordanza tra il prezzo indicato in lettere e queHo indicato in cifre trova applicazione, direttamente o quanto meno in via di interpretazione estensiva, il principio stabilito dall'art. 72, secondo comma, del r.d. 23 maggio 1924, n. 827, e deve quindi ritenersi valida l'indicazione pi� vantaggiosa pe1� l'amministrazione (1). (1) Nella prima parte della sentenza, di cui appare superflua la pubblicazione, risultano riaffermati gli oramai consolidati principi sul carattere generale dell'istituto della riserva, sull'onere della tempestiva riserva per maggiori oneri che si assumano sostenuti in conseguenza del.la sospensione dei lavori o anche per fatti cosiddetti continuativi, e sulla decadenza dell'appaltatore da richieste riferibili a partite di lavori o a somministrazioni contabilizzate senza contestuale formulazione di riserve, con � definitiva non opponibilit� .all'amministrazione appaltante delle circostanze determinanti il maggior costo, che resta conseguentemente a carico dell'appaltatore senza possibilit� di rivalsa�. Da segnalare il princi.ipio riassunto nella massima sopra riprodotta, convincentemente motivato e coerente con il sistema, ed in particolare con 1130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Egualmente infondata, infine, � 1a ,pretesa (enU!Ildata in L. 443.580.987) fondata suU'a:ssunto secondo cui 1per i lavori di scavo di .sbancamento era stato contrattualmente fissato il ;prezzo di L. 5.S-85 per metro cu:bo, e non quello di solo lire 5-85 in ba:se <al quale, invece, quei lavori furono conta!bilizz.a�ti e ipagati. Deduce in relazione �l'appellante che nella 1copia in 1suo posseisso, fovmata e �rilasciata dall'amministrazione committente, del contratto di appalto stipulato per l'esecuzione del!la particolare opera pubblica il prezzo dell'anzidetta p�restaziione di lavori (di scavo di sbancamento) �, all'art. 40 dell'elenco dei prezzd contenuto nel capitolato speciale, indicato dive11samente, in lettere e in cifre, in lire dnquemilaottocentottancinque e in lire 585; e deduce �a:ncoll."a che con ta�le divro-sa indioazfone di prezzo in lettere e cifre il �Caipitofato 1spedale, precliisposto dall'amminiistrazione appaltante, fu esdbito agU �t~renditori aspiranti a rpairtecipare a11a licitazione privata indeitta per l'aggiudkazione dell'aptPalto. Sostiene, d� premesso, l'appe1lante che :l'inrucazfone del minore prezzo in �cifre � effetto di mero errove di 1scritturazione;� �e che la aggiundiicazione e la stipulazione dell'ap.pailto debbono .ritenersi avvenute sulla base del pi� elev�ato J;>�rezzo indicato ,iJn letteire, 1per concorrentii ragioni fo11mali e 1sos.tanziali. Secondo .I'ap.pellante, infatti, cin caso di diffoTmit� nel!lo stesso atto, la indicazione in lettere ptreva1e 1su quella in cifre, in forza di 1princtpio generale deH'ordianmento, esipirmsamente codificato per la materia della cambiale e degli assegni ma apipUcahile ad ogni altra materia; e peraltro, nel caso, �in concreto, il ,prezzo indicato in l'esigenza di aver riguardo alla condizionante .correlazione dell'offerta con gli estremi delle indicazioni alle quali tale offerta deve necessariamente riferir�si, e quindi anche alle clausole del capitolato speciale di appalto ed al re1ativo elenco dei prezzi unitari. La validit�, anche sotto il profilo sostanziale, della so.luzione adottata risulta del resto �confermata, nell'ultima parte della motivazione, da ulteriori �e molteplici argomentazioni desunte dai dati di progetto, dal computo metrico estimativo, dai vari atti forniti in visione ai partecipanti alla gara, dal raffronto con gli altri prezzi unitari previsti per analoghe e pi� onerose categode di l�avoro, e dallo �stesso costo complessivo preventivato per l'esecuzione dei lavori appaltati, tutti elementi �Che concorrevano inve.ro a dimostrare, anche nel merito, ed anche indipendentemente damaffermata presunzione legale, che il prezzo voluto dalle parti contraenti era effettivamente quello indicato in cifre. Considerato che tale prezzo era stato applicato, senza alcuna contestaz, ione o riserv.a, a tutti i lavori contabilizzati fino al decimo stato di avanzamento (pari � alla quasi totalit� dei lavori di scavo di sbancamento previsti in contratto �) va piuttosto osservato che la riserva in argomento iscritta alla firma dell'undicesimo stato di :avanzamento, e che i giudici di appello hanno ritenuto �di dover esaminare nel merito sia pur con limitato riferimento al quantitativo contabilizzato in tale stato di avanzamento, si PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBL. 1131 lettere, e questo soltanto, �, per la sua congruit� Gsia pure apiproS1Simrata per eccesso), quel.ilo che effettivamente corri!sponde 'aHe p1revLsiion!i e alfa volont� dell'amm.inistriazione a1ppaltante, quello 1che fu da questa tenuto a calcolo nella progettazfone dell'opera, e quello, inffine, 1che ,costitui H punto dt incontro e il vero oggetto de11a volont� 1contrattuale, esclusa la 'stessa ~potizzahilit� di una concovde cooo1derazlione diel minore prezzo .erroneamente indicato in cifre, di assoJ.uta evidente insufficienza rispetto al costo e:l�fettivo notorio della iparrticoJare (pl'estazione. SEHi deduzioni dell'aipipeUante sono prive di fondamento, giuridieo e di fatto, e vanno dLsattese. Il criterio di stLp1.111'azione del ,contratto di� appalto mediante a1Sta. pubblica o ,licitazione ,privata, invero, comporta 1che ciascuno dei pa~tecipanti ailla g~a per l'ag�giudltcazione 0SSIUlme, mediante la formulazione de1la propria offerta posizione e vesti di proponenti 'e 1che all'amministrazione aPtP'altante, dell'offerta destinataria, spetti la veste di iPaJrt,e accettante. E ,certamente, nel caso m 1cui !l'offerta 1sia formulata in bai.se e con riferimento al 'capitolato !Slpecdaile piredi1sposto daH"ammini.istrazione appaltante, questo capito!lato aissume !significato e rilievo di elemento dell'oflierta, in ogni sua parte, tecnka ed economica. Ci� posto, trova aippLicazione, direttamente o quanto meno in via di interpretazione eistensiva, H ipr.i:nci'PiO sancito daJ.l'art. 72 del regolamento suHa amministrazione d!el 1patri:rnonio e sulla contabiilit� genevwe dello Stato a1pprovato 'con ir.d. 23 maggio 1192,4, n. 827, se,condo cui � quando in una offerta alla asta vi sia diisic0111danza 'tra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifre, � valtda 1l'indkazione pi� sarebbe dovuta riconoscere invece a priori inammissibile, per l'acquiescenza prestata dall'appaltatore al criterio di contabili.zzazione in precedenza, e senza contestazioni, adottato. � In via di prindpio, invero, non pu� negarsi la rilevanza preclusiva che assume, in tali casi, l'acquiescenza dell'appaltatore al criterio di contabilizzazione (o di misurazione) adottato dal direttore dei lavori, anche perch� Tisulta evidentemente privo di senso concreto e viziato, nella sostanza, il formalistico criterio di ammettere la Tiserva, in ,quanto in tali limiti tempestiva, per il solo residuo quantitativo (spesso di irdsoria portata) al quale la riserva sia stricto jure riferibile; e deve quindi rritenersi, proprio sulla base del principio secondo cui � si avranno coone accertati i fatti Tegistrati � senza riserve, che il difetto di tempestiva contestazione comporti la consolidazione del criterio applicato ne11a contabilizzazione o nella misurazione dei lavori, tale da precludere la possibilit� di rimettere tale criterio in discussione anche relativamente a successive registrazioni contabili. Da 'segnalare, infine, che criterio diverso da quello stabilito con l'art. 72, secondo comma, del r.d. 23 mag,gio 1924, n. 827 risulta ora contemplato, per il caso di licitazione mediante offerta di prezzi unitari, dall'art. 5, quarto .comma, della legge 2 febbraio 1973, n. 14, secondo cui come prezzo unitario offerto (da indicare in cifre ed in lettere) � vale in caso di .discordanza il prezzo indicato in lettere�. ll32 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vantaggiosa per l'amministrazione � appaltante. Se, quindi, dovesse ritenel'!si, con l'aippellante che, nell'appa:lto cui sii ha rtguardo, [a parrteciipazione alla Ucitazione privata diell'imprenditoce fallito, !Per cui sta in giudizio H d�ratore, e Ja sua oft�erta 1siano avvenute in base al capitolato speciale poi allegato in 'copia al contratto istipuJ.ato (e aill'elenco dei prezzi che ne fa parte), ove � rilevabile J.a divierrsa indicazii.one in letterre e in .cifre del pirezzo dei lavori di ,scavo di i.sbancamento, dovrebbe nece1s1sariamente giudical1Si, prescindendo da �qualsiasi inrdagin1e dn oT�dine alla volont� effettiva dell'iimiprenditore anzidetto, che il 1contTa'tto di appalto si � formato sulla base del prezzo minoTe inc�iicato in cifre, perch� in esso � ad evidenza rkonosaibhle l'offerta pi� vantaggiosa per l'amminiistrazionre �~paltante, e per tCi� l'offerta che deve rritenertsi vail1damente accettata dall'amminiistrazicme medesima. E, per la 1~pecialit� della matel[' lia e la .sipecificit� della d~scip]dna del caso, resa per un ver1so esctluso il riicorso ai diversi criterri ai quaili l't�liPpel:lante fa riferimento (1peraltro anch'essi �~ecifid alla materia particolare della cambLiale e deN'assegno, e per d� incapaci di e~rimere un principio generra1e detltl'ocdinamento valido in ogni caso e i:n ogni campo), e perr altro verso non � consentita l'applkaziione della subordinatamente dnvocarta dilsc~plin� deH'errore neJ.la formazione o nella enunciaz1one della volont� ,contrattuale (cui fa prevalenza legistlativamente riconosciuta per mera corusdderazione di carattere oggettivo, a una sola tra due ddchiaraziioni che intuitivamente, sOiltanto per errore, non 'coincidono, �come inv1ece dovrehberro, non lascia margine di operare. -(Omissis). I f: TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 13 giugno 1975, n. 14 -P1�es. Danzi -Rel. Moscone -Amministrazione delle finanze (avv. Stato Albisinni) c. E.N.E.L. (avv. Bartoluzzi e Conte). I Acque pubbliche ed elettricit� � Canoni -Decorrenza � Grandi derivazioni I Termine originario di ultimazione dei lavori -Sospensione del canone . Possibilit� -Limiti. (t.u., 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 37, comma 2; r.d. 14 agosto 1920, n. 1285, art. 17). I Per le grandi derivazioni di acqua pubblica l'obbligo di pagamento del canone decorre improrogabilmente dalla scadenza del ter~= ~ mine originariamente assegnato per la ultimazione dei lavori, ma ci� r non esclude che pur dopo la scadenza del termine originario l'obbligo ' f resti sospeso se l'Amministrazione concedente, nell'esercizio del potere I \ PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBL. 1133 discrezionale di tutela dei pubblici interessi e non per ragioni riconducibili a fatto del concessionario, ordini di sospendere la realizzazione di opere indispensabili per l'uso dell'acqua (1). (Omissis). -� opportuno ricapitolare le seguenti circostanze, su cui ci si dovr� soffermare nell'esame dell'impugnazione e che risultano provate dai documenti prodotti o sono, comunque, pacifiche fra le parti: a) con l'atto di concessione e col relativo disciplinare venne stabilito fra l'altro, che i lavori concernenti il secondo gruppo di centrali avrebbero dovuto essere ultimati entro il 12 novembre 1959 e che da questa data sarebbe decorso "l'obbligo di corrispondere il canone annuale di L. 9.766.941,28, comprendente anche il canone di Lire 4.534.619,68, gi� dovuto con decorrenza dal 12 novembre 1957 per il primo gruppo di centrali; b) dal 12 novembre 1959 al 29 maggio 1963 fu sempre paga�to anticipatamente il sudde�tto canone di L. 9.766.941,28 finch�, a partire dal 30 maggio del 1964, l'E.N.E.L. ricominci� a versare una somma corrispondente a quello che, fra il 12 novembre 1957 e il 12 novembre 1959, era stato il canone dovuto soltanto per il primo gruppo di centrali; c) con decreto 29 maggio 1956 il Ministro per i lavori pubblici, su richiesta del concessionario motivata da un anticipo della realizzazione delle opere del primo gruppo e da altri suoi impegni, prorog�, relativamente al secondo gruppo di centrali, al 12 maggio 1958 la presentazione del progetto esecutivo, al 12 novembre 195B l'inizio dei lavori e al 12 novembre 1961 la loro ultimazione; d) con decreto 15 gennaio il medesimo ministro, su richiesta del concessionario motivata dalla necessit� di pi� compiute indagini geoidrologiche per la progettazione della diga di Caprile, accord� un'ulteriore proroga dei termini suddetti, rispettivamente, al 12 maggio 1961, al 12 novembre 1961 e al 12 novembre 1964; (1) La sentenza confermata, Trib. reg. Venezia 27 ottobre 1972 pu� leggersi in Rass. giur. Enel, 1972, 938. Sulla decorrenza dell'obbligo di pagamento del canone dalla scadenza del termine originariamente assegnato per la ultimazione dei lavori, Cass., 12 giugno 1969 n. 2080, Rass. giur. Enel, 1969, 635; sulla irrilevanza a tal fine della concessione di proroghe, Trib. sup. acque, 1 dicembre 1959 n. 32, Acque bonif. costruz., 1959, 592. Trib. sup. acque 3 febbraio 1967 n. 2, Cons. Stato, 1967, II, 141 ha affermato che se la p.a. non trasferisce al concessionario il possesso materiale del bene oggetto della concessione non pu� pretendere di trattenere le somme riscosse sine causa a titolo di canone per la concessione. 1134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e) l'Ufficio del Genio Civile di Belluno con fonogramma del 28 dicembre 1963, in considerazione degli studi e ricerche in corso sulla stabilit� delle pendici del serbatoio di Caprile, dispose la sospensione di tutti i lavori inerenti allo sbarramento sul Cordevole; indi con lettera del 28 febbraio 1964 conferm� la disposta sospensione, rimettendo all'E.N.E.L. di valutare l'opportuni�t� o meno di sospendere anche i lavori d'altro genere, relativi alla costruzione dell'impianto; f) con decreto 22 dicembre 1964 il Ministro dei lavori pubblici, su richiesta del concessionario motivata dalla disposta sospensione di tutti i lavori inerenti allo sbarramento del Cordevole, prorog� al 12 novembre 1967 il termine per l'ultimazione dei lavori relativi al secondo gruppo di centrali. Ci� premesso, si rileva che col primo motivo lAmministrazione appellante denunzia la violazione del secondo comma dell'art. 37 t.u. 11 dkembre 1933, n. 1775, e dell'art. 17 r.d. 14 agosto 1920, n. 12185, deducendo che il Tribunale Regionale di Venezia err� nel ritenere che l'ordine di sospensione dei lavori, emesso dal Genio Civile quando era scaduto da tempo il termine del 12 novembre 1959, originariamente fissato per l'ultimazione delle opere, potesse sospendere l'obbligo di corrispondere il canone, giacch� l'improrogabile decorrenza di questo obbligo non era suscettibile di spostamento per effetto delle tre proroghe concesse per l'ultimazione delle opere e giacch�, comunque, di tali proroghe la prima era stata accordata nell'esclusivo interesse del concessionario e le altre per la necessit� di ovviare a difetti di progettazione imputabili al medesimo. Tali censure non sono fondate. � indubbio che, ai sensi del secondo comma dell'art. 37 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, il pagamento del canone per le grandi derivazioni decorre � improrogabilmente � dalla scadenza del termine � originariamente � assegnato per l'ultimazione dei lavori e che, ai sensi della lett. b) dell'art. 17 Reg. 14 agosto 1920, n. 1285, esso � dovuto quando anche il concessionario non faccia uso volontariamente della concessione, ovvero non possa farne uso per fatti o circostanze non riconducibili all'Amministrazione concedente. N� qui vi � discussione al riguardo, tanto � vero che l'E.N.E.L. non contesta di aver pagato debitamente il canone relativo alle centrali � Saviner II� e �Alleghe� per tutto il periodo dal 12 novembre 1959 al 28 dicembre 1963, nonostante che il termine del 12 novembre 1959, originariamente fissato per l'ultimazione dei lavori, fosse stato prorogato dapprima al 12 novembre 1961 e poi al 12 novembre 1964. Ma nel presente giudizio si discute se l'obbligo del pagamento venga meno qualora l'impossibilit� di far uso ~ielle acque sia deter minata da un fatto della stessa Amministrazione concedente: fatto che, PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBL. 1135 nella specie, viene indicato nell'ordine dell'Ufficio del Genio Civile di Belluno di sospendere sine die la realizzazione delle opere occorrenti per l'esercizio di tale uso. Ora, la possibilit� della soluzione positiva non si pu� respingere a priori, perch� in taluni casi lo stesso t.u. .n. 1775 del 1933 ammette esplicitamente che fatti della concedente possano far venir meno o ridurre l'obbligo di corresponsione del canone (terzo comma dell'art. 48, in tema di modificazione delle acque per l'esecuzione di opere da parte dello Stato; sesto comma dell'art. 55, in tema di pronuncia di decadenza dalla concessione). A un simile quesito il primo giudice ha dato risposta affermativa, ponendo come presupposto che il canone ha funzione di corrispettivo pecuniario del bene concesso e che, quindi, sono applicabili senz'altro i principi fondamentali vigenti in materia di rapporti giuridici a carattere sinallagmatico, e deducendone poi che, per la cessazione dell'obbligo di corrispondere il canone, � sufficiente un comportamento Qbbiettivo dell'Amministrazione concedente, che determini il mancato godimento dell'acqua assenti:ta. La pronuncia � sostanzialmente esatta, sebbene non si possano condividere talune affermazioni troppo categoriche della sentenza impugnata. Come si desume dal complesso delle norme dettate dagli artt. 35, 36, 37, 48 e 55 del t.u. n. 1775 del 1933 in materia di dete:rminazione del canone e di obbligo del relativo pagamento, il canone rappresenta la prestazione dovuta per legge in correlazione al godimento dell'acqua pubblica assenUta, onde il rapporto di concessione si qualifica come bilaterale oneroso e le rispettive obbligazioni delle parti hanno un �certo carattere di corrispettivit� in senso ampio, pur mancando fra �esse un rapporto riconducibile nell'ambito del sinallagma proprio dei contratti a prestazioni corrispettive del diritto privato. In base a questi principi, sulla cui fondatezza sarebbe superfluo dilungarsi, avendo questo Tribunale Superiore avuto ripetutamente occasione di affermarli (da ult. 16 giugno 1971, n. 14), in conformit�, per di pi�, con una costante giurisprudenza della Corte di Cassazione (da ult. 25 maggio 1971, n. 1539), si deve escludere che, in controversie del genere di quella attuale, si possa fare indiscriminato ricorso a norme e principi che regolano i rapporti giuridici privatistici a carattere sinallagmatico. Tuttavia non sembra possibile porre in dubbio che, qualora l'Amministrazione concedente impedisca essa stessa di poter disporre dell'acqua assentita per ragioni non riconducibili in alcun modo al comportamento del concessionario, questi rimanga esonerato dall'obbligo della corresponsione del canone per tutta la durata dell'impedimento, in virt� di quella stretta correlazione fra disponibilit� dell'acqua e ,canone, di cui sopra si � detto, e considerato al tempo stesso che anche nel campo delle concessioni-contratto � sicuramente applicabile, quanto 1136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO meno, il principio generale e fondamentale che ogni contratto va eseguito secondo buona fede. D'altra parte, anche nel caso dei rapporti giuridici privatistici a carattere sinallagmatico, un contraente non pu� valersi del diritto di sospendere o di rifiutare definitivamente l'esecuzione della propria prestazione per il puro e semplice fatto oggettivo dell'inadempimento della controprestazione, quando questo sia giustificato da un comportamento di lui. Venendo� alla specifica fattispecie in esame, il rifiuto dell'E.N.E.L. di continuare a corrispondere il canone appare legittimo, giacch� da un lato la stessa Amministrazione concedente gli impose di sospendere sine die la realizzazione delle opere indispensabili per esercitare l'uso dell'acqua, e giacch�, dall'altro, non risulta che una siffatta imposizione fosse giustificata da un qualsiasi comportamento dell'E.N.E.L. stesso, costituente inadempienza agli obblighi specificamente assunti e alJ.'obbligo generale del neminem laedere e di non mettere in rpertLcoJo I la pubblica incolumit�. ~ Sotto il primo aspetto, non si regge in alcun modo la distinzione ]~ che, in .sede di diisieus1sione omle, l'appellante ha prete,so di poter faire ;� tra il Servizio Dighe, al quale si riallaccia l'ordine di sospensione I impartito dal Genio Civile di Belluno, gli altri organi dell'Amministrazione dei lavori pubblici, competenti in materia di rilascio e di ~: ~! attuazione della concessione, e l'Amministrazione delle Finanze dello , Stato, a cui spetta la riscossione dei canoni. Infatti, stante l'unicit� I i] della personalit� giuridica dello Stato, � sicuramente sempre il medesimo soggetto quello che accord� la concessione, che dispose in data lj 28 dicembre 1963 di sospendere tutti i lavori per lo sbarramento del f Cordevole e che agisce nel presente giudizio per ottenere il pagamento di canoni scaduti. I Sotto il secondo aspetto, non si pu� ovviamente contestare la legittimit� del provvedimento con cui lAmministrazione concedente, I nell'ambi�to del suo potere discrezionale per la tutela dei pubblici interessi, ritenga di disporre la sospensione di tali lavori, essendo emersi I �' a suo giudizio nuovi elementi circa la stabilit� delle pendici del serba-~ I toio di Caprile, per cui appariva necessario che l'attuazione del detto & sbarramento fosse preceduta da ulteriori studi e ricerche. Resta per� il fatto, per quanto concerne la questione dell'obbligo del canone, che, . se il concessionario aveva ormai acquisito il diritto di procedere alla ' . attuazione di �tutte le opere occorrenti per lo sfruttamento dell'acqua, ' Ia seguito di tempestiva presentazione del relativo progetto e di regolare approvazione di esso, incombeva sull'attuale appellante l'onere di l!l fornire la prova eventuale che la mancata considerazione anteriore di ,,, quegli elementi fosse dipesa, non gi� da un suo modo di valutare le i i.� cose, ma da errori di progettazione o da altre ragioni, di cui non I 1: �: i: 11111rifr1w1:1r11il11111~;1rill111rt1i11ra�r11111::r~1;1~1t11111r1~,1111111~1:1~;11111~::::1l~'rrrlrt11;:t1111rtlfll~\llrtf:r111 PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBL. 1137 fosse stato possibile rendersi conto al momento dell'approvazione del progetto, per fatto addebitabile ,esclusivamente al concessionario. Ora, una prova di questo genere non � stata data e, anzi, nemmeno offerta o prospettata. Per contro, a quanto risulta dagli atti di causa, devesi ritenere che, prima della sospensione disposta il 28 dicembre 1963, il progetto esecutivo era stato approvato e quindi i lavori erano stati iniziati, e che, successivamente alla sospensione stessa, rimase fermo il medesimo progetto, senza che alcuna variante fosse richiesta dalla Amministrazione concedente o proposta dal concessionario. Infatti, mentre col d.m. 15 gennaio 1959 si d� atto della volont� del concessionario di procedere a pi� compiute indagini e all'uopo si prorogano i termini per la presentazione del progetto esecutivo e per l'inizio dei lavori (presupponente, questo inizio, l'approvazione del progetto), nel d.m. 22 dicembre 1964 si d� atto soltanto dell'intervenuta sospensione, nulla si dice circa modificazioni del progetto esecutivo precedente su richiesta dell'Amministrazione concedente o per iniziativa del concessionario, e ci si limita a prorogare il termine per l'ultimazione dei lavori. ( Omissis). TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 27 giugno 1975, n. 16 -Pres. Danzi -Rel. Salvatore -Azienda municipalizzata acquedotto di Palevrno (avv. Fornario, Aocavdi, Mi.istretta e Seruseri) c. Prefetto di Palermo e altro (avv. Stao Al!bi'S[nni). Acque pubbliche ed elettricit� � Competenza e giurisdizione . Tribunale superiore delle acque e Consiglio di Stato � Provvedimenti in materia di acque pubbliche � Competenza del Tribunale superiore. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 143). La giurisdizione del Tribunale superio1�e delle acque pubbliche quale giudice degli interessi ricomprende tutte le controversie derivanti da provvedimenti in materia di utilizzazione di acque pubbliche da qualunque organo adottati (1). (Omissis). -I ricorsi, oggettivamente e soggettivamente connessi, vanno riuniti ai fini di una unica decisione. (1) Cass., Sez. un., 7 dicembre 1974 n. 4089, richiamata in motivazione, � pubblicata in questa Rassegna, 1975, I, 428: ivi, al punto 9 della nota Requisizione e limitazioni temporanee dell'uso di acque pubbliche oggetto di concessione, dr. la giurisprudenza relativa alla questione cui ha :riguardo la massima. Cfr., altresl, infra, Trib. sup. acque, 15 luglio 1975 n. 19 e la relativa annotazione. 1138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l I Ci� premesso, ha carattere preliminare l'esame della eccezione di I' difetto di giurisdizione di questo Tribunale Superiore, adito in sede I I I di legittimi1t�, sollevata dall'Avvocatura Generale dello Stato sotto il 1 profilo che la requisizione disposta dal Prefetto non inciderebbe su l \ acque pubbliche. Tale eccezione � destituita di fondamento e va, quindi, disattesa. La giurisdizione di questo Tribunale Superiore, quale giudice degli interessi, ricomprende tutte le controversie derivanti da provvedimenti I in materia di utilizzazione di acque che, a norma dell'a:vt. 1 del testo unico n..1775 del 1933, abbiano od acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse (cfr. Cass. SS.UU. 7 dicembre 1974 n. 4089),. I a nulla rilevando la natura dell'organo che abbia adottato i relativi provvedimenti (cfr. Trib, Sup. 17 maggio 1973 n. 19). Ora la natura pubblica delle acque in ordine alle quali � inter I venuto il provvedimento prefettizio di requisizione non pu� essere I validamente contesta:ta atteso che le stesse, con l'impugnato provvedimento, sono state destinate a soddisfare le esigenze, indiscutibilmente � ~ pubbliche, di approvvigionamento idrico dei Comuni di Casteldaccia, S. Flavia, Bagheria, Ficarazzi e Villabate. ~ ~ Sussiste, pertanto, la giurisdizione di questo Trib'llnale Superiore sulla controversia introdotta con il ricorso proposto dall'azienda muni f: It cipalizzata di Palermo avverso il decreto prefettizio del 29 gennaio 1971. Tale ricorso, peraltro, si appalesa inammissibile per difetto di interesse processuale. i: L'azienda ricorrente, prima del provvedimento surricordato, per l'approvvigionamento idrico della ci<tt� di Palermo fruiva delle acque� delle sorgenti di Scillato addotte tramite l'omonimo canale, nel quale nei periodi di magra, come la stessa ricorrente precisa, vi immetteva. le acque del Pozzo Due Torri. Con il provvedimento fatto oggetto del primo ricorso, nel disporsi la requisizione del pozzo Speciale, � stata autorizzata l'immissione nel canale Scillato dell'acqua del suddetto pozzo con contestuale sospensione dell'immissione nel canale anzidetto delle acque del pozzo Due Torri. Ci� premesso, va rilevato, alla stregua delle affermazioni contenute al riguardo nel provvedimento impugnato e non contestate dall'azienda ricorrente, che l'acqua �edotta dal Pozzo Due Torri ha una portata di l/s 35. Ora, poich� la portata da edursi dal pozzo Speciale, oggetto della requisizione � stata valutata in l/s 70 e poich� il provvedimento de quo ha disposto che l/s 35 dovranno essere restituiti all'azienda ricorrente, deve escludersi che la stessa nella nuova si�tua zione, essendo rimasta inalterata anche la portata integrativa sopra si � fatto cenno, possa contare su di un quantitativo di inferiore a quello sul quale, sempre ovviamente sul piano del di cui acque mecca- I I f I i PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBL. 1139 nismo formale all'uopo predisposto, poteva fare affidamento nella situazione precedente. Dalla inammissibiHt� del primo ricorso per carenza di interesse sotto il profilo suesposto deriva l'inammissibilit� anche del secondo� ricorso, nel quale � stata fatta valere unicamente una prospetti1Va di illegittimit� derivata, dal prov,vedimento di requisizione, del successivo atto di ripartizione dell'acqua requisita. -(Omissis). TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 15 luglio 1975, n. 19 -Pres. Danzi - Rel. Salvatore -Comune di Castellammare di Stabia e aHro (avv. Abbamonte) c. Ministero dei lavori pubblici ed altri (avv. Stato Imponente). Acque pubbliche ed elettricit� � Piano regolatore generale degli acquedotti � Ricorso giudsdizionale � Termine . Decorrenza. (1. 4 febbraio 1963, n. 129; l. 1 luglio 1966, n. 506; 1. 9 agosto 1967, n. 734;: d.P.R. 3 agosto 1968, art. 3; t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 146). n termine per la impugnazione del d.P.R. 3 agosto 1968, con cui venne approvato il piano regolatore generale degli acquedotti di cui alla legge 4 febbraio 1963, n. 129, ha iniziato a decorrere dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e nel bollettino ufficiale delle regioni, e ci� per essere il piano atto programmatico a carattere generale le cui previsioni sono rivolte ad una pluralit� di soggetti non individuati n� a priori singolarmente individuabili (1). (1) L'art. 3 del d.P.R. 3 agosto 1968 dispose che gli atti del piano regolatore generale degli acquedotti di ciascuna regione sarebbero stati depositati presso il competente provveditorato regionale alle opere pubbliche e lasciati in visione, a chiunque vi avesse interesse, per sessanta giorni consecutivi, decorrenti dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dello stesso decreto nella Gazzetta ufficiale. Lo stesso art. 3 ed il successivo art. 4 disposero poi che gli atti sarebbero stati depositati presso le regioni a statuto speciale ed il decreto�. pubblicato anche nel bollettino ufficiale di quelle regioni. Nel risolvere la questione di ricevibilit� d'altro ricorso proposto contro il decreto di approvazione del piano, il Consiglio di Stato � giunto alla stessa conclusione del Tribunale superiore nel considerare il piano riconducibile nel novero degli atti che non richiedono notificazione ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione (art. 2 reg. proc. Cons. St.;-art. 146 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775), ma in conformit� della giurisprudenza formatasi in tema di impugnazione dei piani regolatori 1140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Il provvedimento impugnato, il piano regolatore generale degli acquedotti, tende essenzialmente, come si evince dalla relazione introduttiva, ad inquadrare con unitariet� di criteri e direttive l'insieme delle opere necessarie per la soluzione del problema dell'approvvigionamento idrico-potabile di tutto il territorio nazionale mediante l'utilizzazione delle risorse idriche pi� adeguate ai fini della razionalit� tecnica e dell'economia di costruzione e di esercizio. Trattasi in sostanza, di un atto programmatorio, .a carattere generale, sia nel senso che si rivolge ad una pluralit� di soggetti, non individuati n� individuabili a priori singolarmente, sia nel senso che la struttura delle prescrizioni nello stesso contenuto � generale, in quanto ha ad oggetto tutta una serie di fattispecie. Coerentemente con tale misura l'art. 3 della legge 4 febbraio 1963 n. 129 prescrive per il decreto di approvazione dello stesso, come .specifico mezzo di conoscibilit�, la pubblicazione nella Gazzetta Uffidale e nel Bollettino Ufficiale delle Regioni. Conseguentemente il termine per l'impugnativa del decreto di .approvazione del piano decorreva dalla pubblicazione con le modalit� normat~vamente prescritte di cui si � fatto sopra cenno, a nulla rilevando, alla stregua di principi ormai consolidati, la certezza successiva in ordine alla -lesivit� dell'atto ovvero la conoscenza successiva dei in materia edilizia (Cons. St., Sez. V, 16 ottobre 1970 n. 737, Rass. Cons. Stato, 1970, I, 1629; Cons. St., Sez. IV, 13 luglio 1971 n. 718, ivi, 1971, I, 1357; Cons. St., Sez. IV, 13 novembre 1973 n. 994, ibidem, 1973, I, 1564) ha affermato che il termine per l'impugnazione ha preso a decorrere solo con il decorso dell'ultimo giorno di deposito degli atti presso il provveditorato (Cons. St., Sez. IV, 17 dicembre 1974 n. 1042, Rass. Cons. Stato, 1974, I, 1610 e Giust. civ., 1975, II, 210). Il Consiglio di Stato ha perci� affermato che il termine per l'impugnazione del piano ha cominciato a decorrere il 12 maggio 1969, cio� due giorni dopo della data di presentazione del ricorso dichiarato in questa circostanza irricevibile dal Tribunale superiore, peraltro in base a rilievo di ufficio. Nella stessa decisione il Consiglio di Stato ha affermato la propria -competenza giurisdizionale a conoscere dei ricorsi proposti contro il piano -e non contro provvedimenti concreti concernenti l'effettiva utilizzazione delle singole acque pubbliche, rientranti questi ultimi nella competenza giurisdizionale del Tribunale .superiore ex art. 143 lett. a) del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775. Sul 'Piano regolator-e generale degli acquedotti dr. C0Lucc1, RAMPULLA, RoBECCHI MAJNARDI, Piani e provvedimenti nel passaggio dall'amministrazione al governo delle acque, Riv. trim. dir. pubbl., 19'74, 1284 e 1317 ss., e Corte cost., 1 febbvaio 1964 n. 4, in Giur. cost., 1964, 33 con nota di D'ALBERGO, In tema di piano economico, piano settoriale e � attuazione di piano �. IJIJll.IJllJllllflllllflJIJllJllJirlirllllJlll81111111111��11;1411 PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBL. ll41 vtizi dell'atto stesso e, quindi, ,l'esistenza di subptrocedimenti !Preordinati a tali fini che concernono non gi� la proponibilit� del ricorso ma l'eventuale deducibilit� successiva di motivi di censura. Nella specie il provvedimento impugnato � stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 febbraio 1969, mentre il ricorso risulta notificato il 10 maggio successivo, vale a dire oltre i itermini di legge. Il ricorso va, pertanto, dichiarato irricevibile. -(Omissis). TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 18 luglio 1975, n. 20 -Pres. Danzi - Rel. Quaranta -S.p.A. Cartiere Antonio Sterzi (avv. Ghia) c. Ministero dei lavori pubblici (avv. Stato Imponente), Consorzio dei �comuni ipetr l'acquedotto della Ba:ra.ggia Ve11ce11ese (avv. Conte) e Soc. Cartiera Ponte Strona (avv. Marucchi). Acque pubbliche ed elettricit� � Diritto all'uso dell'acqua � Concessione Scadenza � Rifiuto di rinnovazione � Illegittimit� per contrasto col diritto d'uso � Esclusione. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 2, 24, 28 e 30). Atto amministrativo � Eccesso di potere � Travisamento dei fatti � Accertamento nel giudizio � Condizioni. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 143). Acque pubbliche ed elettricit� � Giudizio e procedimento . Tribunale supe� riore � Consulenza tecnica � Inammissibilit�. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 196). n riconoscimento del diritto all'uso deU'acqua previsto dagli articoli 2 lett. b e 3 del t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775 d� luogo ad una: concessione pur essa soggetta alla disciplina della durata e della rinnovazione delle concessioni di acque pubbliche, con la conseguenza che il provvedimento che rigetta la domanda di rinnovazione non pu� considerarsi illegittimo per contrasto con le norme che disciplinano il riconoscimento (1). (1) La decisione si fonda sul princ1p10 che il diritto di utenza trae origine dalla concessione e le situazioni contemplate alle lettere a) e b) dell'art. 2 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 esauriscono la loro rilevanza nel dare diritto, ex art. 3 t.u., alla concessione, che � per� assoggettata al comune regime della scadenza (art. 24 t.u.) ed � quindi suscet-� tibile di rinnovazione secondo le regole ordinarie dettate dagli artt. 28 e 30 t.u. Cass., 30 ottobre 1974 n. 3306, citata in motivazione, � pubblicata in questa Rassegna, 1975, I, 250. Nel senso che la situazione di interesse alla rinnovazione non � protetta come diritto soggettivo, cfr. Trib. sup. acque, 15 ottobre� 1974 14 1142 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'eccesso di potere per travisamento dei fatti� deve essere considerato insussistente se non si lamentino vizi dell'attivit� istruttoria o� non si adducano prove od un principio di prova sulla non corrispon-denza al reale dei fatti affermati nel provvedimento impugnato (2). Nel giudizio avanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche in sede di legittimit� non � ammesso il ricorso a consulenze tecniche� ma � solo possibile richiedere all'Amministrazione nuovi chiarimenti e documenti ovvero ordinare alla stessa di fare nuove verificazioni (3). (Omissis). --1. I drUe T1corsi 3/1968 e 17/1969 possono es1se�re� riuniti, data la loro evidente connessione. Essi sono entrambi infondati. 2. LI primo rkoriso (n. 3/1968) � di.reitto all'impugnativa del decreto del Ministro dei lavori pubblici n. 1089 del 26 luglio 1967, con il quale sono state respinte sia la domanda 28 gennaio 1947 della ricorrente Cartiera Sterzi, volta ad ottenere la rinnovazione delle utenzedi cui al D.M. 31 maggio 1923 n. 4671, sia la successiva domanda presentata dalla stessa Cartiera in data 30 giugno 1965. Con la prima censura la ricorrente deduce l'illegittimit� del decreto impugnato per violazione dell'art. 2 lettera b) del T.U. 11 dicembre 1933 n. 1775, Mi quanto ella doveva ritenel1si titOil.alre di un. n. 17 e 16, in questa Rassegna, 1975, I, 769 e 599, ed ivi ulteriori richiami a decisioni in tema di rinnovazione. (2) Sull'eccesso di potere desunto da vizi dell'attivit� istruttoria, cfr., Trib. sup. acque, 27 maggio 1974 n. 9, in questa Rassegna, 1974, I, 1297, decisione relativa ad un caso in cui le modalit� seguite per l'acclaramento dei fatti sono state ritenute non idonee 1ad assicurare della conformit� aL reale dei dati assunti a presupposto di fatto del provvedimento. Sulla regola dell'adeguatezza dell'attivit� istruttoria, cfr., Cons. St., Sez. VI, 6 maggio 1975 n. 144, in Cons. Stato, 1975, I, 631. (3) L'istruzione davanti al Tribunale superiore in sede di legittimit� � disciplinata dall'art. 196, comma primo, t.u. con disposizione di tenore identico a quella dell'art. 44, comma primo, t.u. sul Consiglio di Stato: ambedue le disposizioni non prevedono che possa ordinarsi una indagine� tecnica rimettendone l'espletamento ad un consulente. In tema di istruzione nei giudizi di legittimit� va peraltro richiamata la affermazione contenuta in Trib. sup. acque, 7 giugno 1968 n. 14, in. questa Rassegna, 1968, I, 653 ed ivi indicazioni sulla precedente giurisprudenza, secondo cui �nei giudizi di legittimit� davanti al Tribunale� Superiore delle acque pubbliche, la prova per interrogatorio e testi, pur non essendo del tutto preclusa come accade per i giudizi di legittimit� davanti al Consiglio di Stato ai sensi dell'art. 44 del t.u. 26 giugno 1924,.. n. 1054, e rigorosamente circoscritta alle circostanze di fatto che tendon0o a stabilire l1a le�gittimit� del provvedimento �. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBL. 1143 diritto di antica utenza sulle acque dei torrenti Sessera e Strona di Guardabosone, avendo esercitato le relative derivazioni per un periodo superiore ad un �trentennio anteriore alla legge 10 agosto 1884 n. 2644. A confutare siffatto assunto � sufficiente rilevare che in seguito alla presentazione dell'istanza di regolamento di giurisdizione proposto dalla stessa ricorrente, le Sezioni Unite della Suprema Corte (sentenza n. 3306 del 30 ottobre 1974), hanno dichiarato la giurisdizione di questo Tribunale Superiore sulla impugnativa de qua, affermando che la Societ� Cartiera An.tonio Sterzi non pu� considerarsi titolare dell'antico diritto cui ella fa riferimento, giacch� la relativa concessione risultante dal D.M. 31 maggio 1923 � sc�duta e non � stata rinnovata. Ha osservato cos� la Suprema Corte che � solo dalla concessione che trae origine il diritto di utenza, ancorch� si �tratti di rinnovo di antico diritto a suo tempo riconosciuto, per cui nel periodo intercorrente tra la scadenza di tale diritto e il rinnovo della concessione l'utente si trova in una situazione di fatto la quale non � idonea ad attribuirgli un diritto n� verso l'Amministrazione, n� verso chi abbia a sua volta ottenuto una concessione sulle medesime acque. In relazione, pertanto, a quanto affermato dalle Sezioni Urnte ai� fini della decisione della questione di giurisdizione, deve ritenersi infondato il primo motivo di gravame che poggia appunto sul presupposto, dimostratosi inesistente, del diritto di antica utenza affermato dalla ricorrente sulle acque in questione. Del pari infondato � il secondo motivo con il quale la Soc. Ste�rzi censura la motivazione del provvedimento impugnato sotto il profilo dell'eccesso di potere per travisamento dei fatti, in quanto talune affermazioni del provvedimento sarebbero inesatte e non veritiere. In particolare, non risponderebbe a verit� la circostanza, affermata nel provvedimento, della mancata attuazione dell'opera di ampliamento della Roggia Molinara destinata a convogliare la maggiore portata coneessa con il D.M. 31 maggio 1923 e quindi l'affermata inesistenza, ai fini della richiesta rinnovazione, della derivazione della maggiore portata. Sotto altro aspetto, si deduce che non risponderebbe a verit� che la derivazione del Sessera sarebbe da tempo inattiva e che le acque del torrente Strona di Guardabosone, sarebbero da tempo utilizzate esclusivamente a scopo industriale. L'assunto della ricorrente deve essere disatteso. Risulta, infatti, dalle premesse del provvedimento impt,1gnato che nel corso dell'istruttoria sulla domanda di rinnovazione presentata dalla ricorrente, l'Ufficio del Genio Civile di Vercelli ha proceduto all'accertamento in loco dei fatti che sono stati posti a fondamento della determinazione amministrativa adottata con l'impugnato decreto. 1144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO E la stessa ricorrente non lamenta alcun presunto vizio dell'attivit� istruttoria in tal modo compiuta dall'Ufficio. Ella si limita ad affermare la non veridicit� dei fatti senza addurre alcuna prova o alcun principio di prova delle sue asserzioni. N�, d'altra parte, l'accertamento di quanto afferma.io dalla ricorrente pu� derivare dall'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio chiesta con le conclusioni, sia perch� l'oggetto dell'accevtamento de quo esula da una indagine peritale trattandosi di un fatto storico, sia perch� a norma dell'art. 196 del T.U. n. 1775 del 1933 � possibile soltanto richiedere all'Amministrazione nuovi chiarimenti e documenti ovvero ordinare alla stessa di fare nuove verificazioni. E non sussistono nella specie, data la completezza dell'istruttoria svolta sulla domanda di rinnovazione, gli estremi per disporre ulteriori accertamenti istruttori in questa sede a norma della disposizione sopra citata. Con il terzo motivo la ricorrente deduce che il provvedimento impugnato illegittimamente l'ha privata dell'acqua necessaria per la sopravvivenza della sua industria, determinando un'ingiustificata discriminazione nei confronti di altri complessi industriali di pi� recente installazione. Lamenta, inoltre, la .ricorrente la mancata ammissione ad istruttoria della sua domanda in concoi:renza eccezionale con quella presentata il 12 marzo 1962 dal Consorzio dei Comuni per l'Acquedotto della Baraggia Vercellese, quando altre domande avrebbero beneficiato di tale ammissione ad istruttoria. Anche tali censure sono destituite di fondamento. �, infatti, da escludere che l'Amministrazione si sia determinata diversamente, in relazione di situazioni perfettamente identiche dal punto di vista soggettivo ed �ggettivo, e sia incorsa, quindi, nel vizio di eccesso di potere per disparit� di trattamento. N� risponde al vero l'affermazione secondo la quale l'impugnato provvedimento avrebbe privato la ricorrente dell'acqua necessaria alla sua sopravvivenza, atteso che l'Amministrazione ha diffidato la Soc. Sterzi, con lo stesso decreto in questione, a presentare entro breve termine (2 mesi) domanda di concessione in via di sanatoria per l'abusiva utilizzazione a scopi industriali vari prati�ati sulla destra del torrente Strona di Guardabosone. Quanto, poi, alla lamentata non ammissione ad istruttoria della domanda in concorrenza eccezionale con quella del Consorzio dei Comuni per l'acquedotto della Baraggia Vercellese, � sufficiente osservare che l'art. 10 del T.U. n. 1775 del 1933 conferisce all'Amministrazione un potere largamente discrezionale in relazione a speciali e prevalenti motivi di pubblico interesse. E tale potere non pu� essere sindacato in questa sede sotto il profilo del merito amministrativo. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBL. 1145 3. Le considerazioni dianzi svolte sul primo ricorso valgono in larga parte anche ad escludere la fondatezza del secondo ricorso (numero 17/1969). Questo � diretto all'annullamento del decreto del Ministro dei lavori pubblici 22 giugno 1968 n. 777 con il quale� � stato concesso, in via di sanatoria, al Conte Ing. Giorgio Sisini di variare l'utenza sulla sinistra della Strona di Guardabosone per derivare moduli massimi di aco.ue 1,75 e medi 1 per servizi industriali della Cartiera, con restituzione a valle della successtva presa destra del torrente Strona di Guardabosone praticata dalla ricorrente. Assumendo che tale provvedimento determina un ulteriore impoverimento della porfata d'acqua della emananda concessione in via di sanatoria di cui al D.M. 26 luglio 1967 n. 1089 (impugnato con il precedente ricorso n. 3/1968) la Soc. Cartiera Sterzi ha dedotto, con il primo motivo, che la concessione in favore del Sisini si pone in contrasto con il suo antico diritto di derivare acqua dal torrente Strona. Per respingere tale assunt_o � sufficiente soltanto richiamare quanto questo Tribunale ha ritenuto in ordine al primo motivo del ricorso n. 3/1968, attesa la insussistenza, alla data del provvedimento de quo, di un antico diritto della ricorrente sulle acque in questione. Anche in relazione al secondo motivo di gravame possono richiamarsi le considerazioni svolte sul secondo motivo del ricorso n. 3/1968, in quanto le affermazioni della ricorrente in ordine alla non veridicit� di talune asserzioni contenute nell'impugnato provvedimento non risultano assistite da alcuna prova o principio di prova. Con il terzo motivo, infine, la Soc. Sterzi deduce che l'Amministrazione sarebbe incorsa nel vizio di eccesso di potere sotto il profilo della ingiustizia grave e manifesta, in quanto l'impugnato provvedimento avrebbe impoverito ancor di pi� la derivazione di. acqua a servizio della Cartiera Sterzi determinando una ingiusta discriminazione a favore della Cartiera del Conte Sisini sorta in epoca pi� recente. Anche fale assunto non pu� essere condiviso. Come ha esattamente rilevato la difesa della Societ� Bresi Cartiera Ponte Strona, avente causa dal Conte Sisini, il decreto ministeriale 22 giugno 1968 a favore del Sisini costituisce la rinnovazione di una antica utenza con sanatoria di variazione d'uso e con riduzione della porfata. Atteisa, quindi, .Ja divers.U� delle posizd.ona deihla ricorrente e della Societ� controinteressata e considerato l'oggetto dell'impugnato provvedimento ministeriale, deve escludersi che possa essere rilevato il denunciato vizio di eccesso di potere sotto il profilo dell'ingiustizia manifesta. -(Omissis). SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 11 aprile 1975, n. 7985 -Pres. Mo1si110 -Rel. Manca Bitti -P. M. Moscerini (conf.) -Rk. Donati. Reato -Acque pubbliche -Pesca -Art. 6 R.D. n. 1604 dell'8 ottobre 1931 Riferimento alla sola ipotesi che l'ammissione avvenga a scopo di pesca -Erroneit�. {art. 6, r.d. 8 ottobre 1931, n. 1604). I Reato � Pesca -Scarico di rifiuti di stabilimenti industriali in acque pubbliche -Reato di pericolo. (art. 6, r.d. 8 ottobre 1931, n. 1604). I La norma di cui all'art. 6 del R.D. 8 ottobre 1931 n. 1604 che I pone il divieto di gettare o infondere nelle acque materie nocive ai pesci e agli altri ani�mali acquatici non pu� essere riferita alla sola ~ ipotesi in cui il getto, lo scarico o l'immissione di sostanze dannose avvenga a scopo di pesca e deve invece trovare applicazione in qua.l i siasi caso di versamento inquinante in acque pubbliche (1). Il reato di immissione di materie nocive ai pesci e agli altri ani I mali acquatici � reato di pericolo onde, una volta dimostrato che lo 1; scarico altera il liquido recipiente, non si richiede la dimostrazi~ne ~ del concreto nocumento (2). I (Omissis). -Il presente procedimento trae origme dalle indagini d'ufficio svolte dal Pretore di Milano per accertare lo stato d'inquina I mento delle acque del torrente Minore. In seguito al risultato delle analisi cliniche degli scarichi reflui I dello stabilimento industriale di Aspiate della societ� S.I.O., l'attuale ricorrente Gianni Donati, veniva rinviato a giudizio, dinanzi al predetto Pretore, per rispondere: a) d�l reato di cui agli artt. 81 capov. . cod. pen., 9 e 36 del r.d. n. 1604 dell'8 ottobre 1931, perch�, nella sua qualit� di consigliere delegato della suindicata societ� riservava i rifiuti liquidi dello stabilimento industriale di Ospiate nel torrente (1-2) La prima massima � conforme alla ratio legis ed alla sua lettera, la seconda costituisce un'affermazione ormai costante della giurisprudenza della Cassazione: v. Cass. 5 aprile 1973 n. 734 rie. Abbruzzetti in questa Rassegna 1974, p. 504. V. Cass. 26 ottobre 1972 n. 2588 in Cass. Pen. Mass. Annotato 1973 p. 1597, n. 2188 e sentenze ivi richiamate. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1147 :Mirone (corso d'acqua pubblica) senza avere ottenuto il permesso del Presidente della Giunta Provinciale; b) del reato di cui agli artt. 6 e 33 del r.d. n. 1604 dell'8 ottobre 1931 e dell'art. 81 capov. cod. pen., perch�, nella predetta qualit�, riversava nel citato torrente gli scarichi reflui del summenzionato stabilimento, i quali contenevano sostanze atte a stordire, intorpidire e uccidere pesci e altri animali acquatici; e) del reato continuato di danneggiamento aggravato (artt. 81 capov. '635 n. 3 e 4 cod. pen.), del torrente Nirone, a causa dell'immissione nelle sue acque (di pubblica utilirt� e destinato all'irrigazione) degli .scarichi to.ssici di cui ai precedenti capi; d) del reato previsto dall'art. 216 del r.d. n. 1265 del 27 luglio 1934, in relazione al d.m. 12 luglio 1912 e successive modificazioni e in relazione al d.m. 12 febbraio 1971, per aver attivato, sempre nella predetta qualit�, il citato :stabilimento della S.I.O., compreso nella prima e seconda categoria delle industrie insalubri, senza averne dato preventivo avviso al sindaco; e) infine, del reato previsto dell'art. 650 cod. pen., per non avere �osse1wato le ordinanze del sindaco di Bollate, in darta 1 febbraio 1971 -e 6 dicembre dello stesso anno -legalmente emesse per motivi di igiene -che gli imponevano, nella sua qualit� di responsabile della S.I.O., di depurare gli scarichi reflui del pi� volte citato stabilimento. Il Pretore, ritenuto che dall'istruttoria dibattimentale era emessa la responsabilit� penale dell'imputato in ordine a tutti i reati ascrittigli, lo condannava con sentenza pronunciata il 5 dicembre 1972 alla pena complessiva (condizionalmente sospesa) di quattro mesi e dieci giorni di reclusione e a lire 250.000 di ammenda, con le attenuanti generiche, concesse in considerazione dell'incensuratezza del Donati e della concreta volont� dimostrata di risolvere il problema della depurazione degli scarichi, tanto che il secQndo prelievo delle acque, eseguito dal Nucleo antisofisticazioni (N.A.S.) dei carabinieri il 1� dicembre 1971, si era presentato con caratteristiche cliniche pressoch� perfette. L'imputato veniva inoltre condannato al risarcimento dei danni e .al pagamento delle spese e degli onorari in favore dell'Amministrazione dello Stato, costituita parte civile. Giudicando sul gravame del Donati, che deduceva vari motivi a sostegno dell'appello, il Tribunale di Milano confermava la decisione di primo grado con la senrtenza indicata in epigrafe, avverso la quale l'imputato ha proposto ricorso per cassazione. Le censure del ricorrente, cui ha fatto seguito una memoria illu strativa in.tesa a chiarire le questioni tecniche prospettate col primo motivo, si articolano in numerosi mezzi di annullamento, relativi a vizi in procedendo e in iudicando della sentenza denunziata: le prime sono <Comuni a tutte le contestazioni relative al ritenuto inquinamento del torrente Nirone; le seconde riguardano i singoli addebiti contenuti 1148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nei cinque capi d'imputazione; le ultime, infine, si riferiscono aila mancata concessione delle richieste circostanze attenuami previste dall'art. 62, numeri 4 e 5 cod. pen. e alla mancata riduzione della pena al minimo edittale. Motivi della decisione Col primo gruppo di censure il ricorrente lamenta (denunciando la violazione dell'art. 475 n. 3 cod. proc. pen.) che il giudice d'appello non avrebbe congruamente e correttamente esaminato la relazione del perito tecnico d'ufficio, limitandosi ad aderire pressoch� assiomaticamente alle conclusioni di questa, senza tenere in alcun conto le numerose critiche mosse sul piano logico e su quello scientifico a quella relazione del consulente di parte, soprattutto con riferimento al metodo d'indagine usato per la determinazione dell'acidit� riscontrata nelle acque di scarico sottoposte ad analisi e, in sostanza, senza prendere in considerazione tutte le argomentazioni ampiamente illustrate con i moti<vi di gravame, e le stesse risultanze emerse nel caso del dibattimento di secondo grado. In relazione al reato sub a) il Tribunale ha fondato il giudizio di responsabilit� sulla circostanza che il Donati non aveva ottenuto dal Presidente della Giunta Provinciale l'autorizzazione per versare i ri fiuti liquidi nelle acque pubbliche, osservando in proposito che il co pioso carteggio non poteva in alcun modo sostituirsi al necessar�o per messo ,e che il preteso errore dell'imputato, che riteneva di averlo ottenuto, essendo errore di diritto e non di fatto ex art. 47 cod. pen., non poteva comunque escludere la punibilit�. Sostiene in proposito il ricorrente (denunciando anche su questo� punto il difetto di motivazione) che il Tribunale, prima di escludere l'errore di fatto, avrebbe dovuto adeguatamente dimostrare l'insussi stenza dello stesso, disattendendo con congrua motivazione l'assunto dif~nsivo e il valore probatorio .della documentazione, dalla quale risul tava che l'imputato aveva fatto tutto il possibile per osservare la legge, richiedendo tempestivamente il necessario permesso, non ottenuto sol tanto per la prolungata inerzia dell'autorit�; con la conseguenza che nella specie non sussisteva l'elemento psicologico del reato contravven zionale ascrittogli. In relazione alla lettera b) del capo d'imputazione il ricorrente sostiene: 1) che la ratio della norma contenuta nell'art. 6 del testo unico delle leggi sulla pesca non tutelerebbe indiscriminatamente -con trariamente a quanto ritenuto dai giudici del merito ---:-la fauna acqua tica anche da coloro che immettono nelle acque pubbliche scarichi PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1149 nocivi, limitandosi della disposizione a proteggere; pesci e gli altri animali acquatici, mentre la tutela della microvita e dell'ittioflora, essenziali al mantenimento dell'equilibrio ecologico dell'acqua, � prevista espressamente dalla legge n. 963 del 1965 (la cui violazione non � stata contestata all'imputato); 2) che se � vero che la norma contenuta nel citato art. 6 prevede un reato di pericolo, deve pur sempre trattarsi di un pericolo reale e non presunto -collegato all'effettiva presenza dell'ittiofauna laddove nel torrente Nirone e nei suoi affiuenti non esisteva pi� fauna ittica, con la conseguenza che nella specie ricorrerebbe l'ipotesi del reato impossibile, il Tribunale avrebbe apodi1ticamente ritenuto la �vitalit�� del corso d'acqua, senza alcun accertamento tecnico al riguardo, bench� fosse stato sollecitato in proposito, con la richiesta in rinnovazione del dibattimento; 3) che la ritenuta presenza del fattore Ph acido -comunque di pronta e immediata bonifica -veniva immediatamente neutralizzata sia per la diluizione nell'acqua dell'eccipiente, sia per la commistione con le molte acque di raffreddamento che venivano scaricate in luogo finitimo ai rifiuti liquidi dello stabilimento, sia per il contatto col letto del torrente, di natura basica; ne conseguirebbe, secondo il ricorrente, che la sostanza acida, contenuta negli scarichi in questione, non sarebbe materia atta a intorpidire, stordire o uccidere pesci o a1tri animali acquatici; 4) che, infine, non sussisterebbe l'elemento psicologico del contestato reato, dato che esso imputato non aveva voluto l'azione proibita, non sapeva e non voleva l'evento di pericolo, non voleva e non sapeva di gettare nelle acque del Nirone sostanze nocive ai pesci. In relazione alla lettera e) del capo d'imputazione il ricorrente -premesso che in tema di danneggiamento l'oggetto della tutela penale nel delitto previsto dall'art. 635 cod. pen. � costituito dall'inviolabilit� del patrimonio mobile e immobile nello stato in cui si trova -sostiene, sotto il profilo del difetto di motivazione anche con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo, che allorquando il danno cagionato dal soggetto attivo sia talmente esiguo da non poter integrare una modificazione strutturale e funzionale della cosa ovvero un deterioramento evidente e dimostrabile, non pu� realizzarsi l'ipotesi del danneggiamento. Comunque, nella specie, mancherebbe, secondo il Donati, nonch� la prova del danno, la prova stessa dell'idoneit� del mezzo e della sua attitudine a determinare le acque del torrente. Anche in relazione al capo d) dell'imputazione il ricorrente si duole della mancanza di motivazione sul giudizio di responsabilit� in ordine al reato contestatogli, osservando in proposito che il Tribunale 1150 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO non avrebbe tenuto conto del fatto (dimostrato dal carteggio in atti) <:he il sindaco di Bollata conosceva bene l'attivit� svolta dalla societ� S.I.O., e che comunque esso ricorrente versava nella ragionevole certezza soggettiva che l'avvertimento degli scarichi nel Torrente era stato regolarmente e tempestivamente dato al predetto sindaco. Quanto al reato ex art. 650 cod. pen. (inosservanza dei provvedimenti dell'autorit�) il Donati, denunziando anche su questo punto la carenza di motivazione della sentenza impugnata, sostiene che il giudice d'appello non avrebbe esaminato le ordinanze del sindaco, non ne avrebbe apprezzato i lim~ti e il vero significato e con riferimento a detti prorvvedimenti, non avrebbe valutato il contegno dell'imputato, messo in evidenza anche dal carteggio con il Comune e dalla concreta volont� dimostrata di evitare l'inquinamento, delimitando l'ambito di produzione dello stabilimento e riducendola del 50 % . Passando a riassumere l'ultimo gruppo delle censure, il ricorrente lamenta, in via subordinata -come s'� gi� accennato -: a) la man eata concessione dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuit� (art. 62 n. 4 cod. pen.) osservando in proposito che il Tribu na~e l'aveva esclusa con l'apodittica affermazione dell'evidente gravit� del danno; b) la mancata concessione dell'attenuante ex art. 62 n. 5 cod. pen. (fatto doloso della persona offesa); c) la mancata riduzione della pena al minimo edittale, senza tenere conto dei criteri fissati dall'art. 133 cod. pen. Ci� premesso, rileva il Collegio che i reati indicati con le lettere a) .e d) del capo d'imputazione, riportato integralmente in sede di svol gimento del processo, sono estinti per prescrizione, a norma degli .artt. 157 e segg. del cod. pen. Per il resto, la sentenza denunziata non merita le censure che le sono state rivolte dal ricorrente, diffusamente illustrate dalla difesa nel corso della discussione orale. Non sussiste, infatti, la lamentata violazione dell'art. 475 n. 3 cod. proc. pen. (sotto nessuno dei profili segnalati con i motivi di ricorso) n� i pluriuri errores in iudicando in ordine ai reati contestati ai punti b) c) ed e) del capo d'imputazione. Il giudice d'appello -lungo dall'adeguarsi pressoch� apodittica mente, come assume il ricorrente Donati, al giudizio di responsabilit� formulato dal Pretore -ha invece ribadito con logiche e congrue argomentazioni e con puntuale riferimento ai motivi di gravame (dopo avere chiesto tutti gli opportuni chiarimenti al perito d'ufficio e al consulente �tecnico di parte) l'esattezza del metodo adottato da detto perito per determinare la misura dell'acidit� delle acque di scarico dello stabilimento, osservando al riguardo che la presenza del fat tore PH acido nel campione degli scarichi reflui era tale da provocare .. ., ' :~~ ~ �: �: I ~I; ~m ,.,. r ' 1:1 L f: . . &111�11111'4,q;i.�il�?rjji#.iiir!4�!~fri4itiiiii.iitiii1Ylllfl1if�Ml_,A PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1151 sicuramente non solo l'intorpidimento, lo stordimento o l'uccisione di pesci o altri animali acquatici, ma anche da turbare il complesso idrografico generale e l'evoluzione spontanea dell'habital naturale. Non ha pregio, pertanto (almeno in relazione a quest'ultima considerazione) il rilievo secondo il quale il citato torrente e i suoi affiuenti non avevano pi� � vitalit� � al momento dei commessi reati. N� il ricorrente pu� invocare -ai fini di escludere la sussistenza dei reati ex artt. 6 e 33 del r.d. n. 1604 del 1931 e 635 cod pen. la presenza nello stabilimento di una idonea vasca di deacidificazione dei liquidi, giacch� il prelievo del campione degli scarichi per la relativa analisi chimica con il piaccametro -(dalla quale veniva accertata la presenza di un PH aco acido) -� stata fatta immediatamente prima della immissione degli scarichi stessi nel Nirone, come ha opportunamente precisato il Pretore, alla motivazione della cui sentenza � �consentito a questo Collegio fare riferimento, essendo stata la decisione �confermata dal giudice di secondo grado. Il Tribunale pertanto -contrariamente a quanto si afferma nel motivo di ricorso e a quanto � ~tato osservato in sede di discussione -0rale -non aveva alcun obbligo di occuparsi della vasca, e della sua efficienza e funzionalit� accampate dall'imputato. Per quanto in particolare riguarda il reato sub b) il Collegio non ignora le questioni insovte in dottrina e nella giurisprudenza sull'ambito di applicabilit� del primo comma, seconda ipotesi dell'art. 6 del r.d. n. 1604 dell'B ottobre 1931 (divieto di gettare o infondere nelle acque materie nocive ai pesci e agli altri ani:nali acquatici. Si � ritenuto da alcuni autori e in talune pronunzie che tale disposizione dovrebbe essere riferita alla sola ipotesi in cui il getto, lo scarico e l'infiussione di sostanze dannose nelle acque pubbliche avvenga a scopo di pesca. Ma siffatta interpretazione restrittiva della norma non pu� essere accolta; essa infatti, considerando lecito l'inquinamento di acque pubbliche non determinato dal fine di pesca, priverebbe la disposizione di ogni significato pratico, e renderebbe inattuabile la ratio della legge, che � quella di garantire il patrimonio ittico. � invece �chiaro ed evidente che la norma in questione deve trovare applicazione in qualsiasi caso di �versamento inquinante in acque pubbliche, effettuato sia per scopi di pesca (prima parte del precetto) sia per altri fini, in tal senso non ostando n� la sedes materiae che, come � noto, prevede pure all'art. 9 del citato regio decreto, gli scarichi industriali, n� alcun argomento sintattico o letterale, in quanto il richiamato art. 6 ipotizza due distinte figure criminose, l'una con modaUt� esecutive prestabilite -(esercizio di pesca con dinamite, con materie esplosive, con corrente elettrica ecc.) -l'altra a forma libera (divieto di gettare materie nocive nell~ acque pubbliche. rrm�111rr111111m11r11111111a1111r11r1111111r1111111111~1 1152 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Trattandosi poi di reato a carattere formale o di pura condotta, di pericolo e non di danno, una volta dimostrato (come nella specie) che lo scarico alterava il liquido recipiente, creando una situazione f I f (anche se non prolungata nel tempo) di pericolo per l'habitat acquatico, ' 1 neppure si richiede quella dimostrazione del concreto nocumento (per esempio, con esame su organismi viventi) che secondo il ricorrente i giudici del merito avrebbero dovuto fornire a sostegno del giudizio di reit�. I N� pu� infine sostenersi che nel torrente Nirone e nei suoi affluenti non esisteva pi� alcuna forma di vita animale, non solo per I ch� l'art. 6 del Testo Unico sulla pesca tutela altresi i microorganismi (limnoplancton) costituenti il nutrimento dei pesci ma anche perch� l'accampata insussistenza dei pesci nel Nirone � stata solo affermata e non rigorosamente dimostrata, e non escludeva comunque che vi fossero pesci o altri animali acquatici nei corsi d'acqua pi� a valle, dove confluiva il predetto torrente. L'interpretazione della norma in questione nel senso ritenuto. dal Collegio � stata gi� altre volte affermata da questa Suprema Corte Regolatrice, n� ha fondamento sostenere, in favore della tesi contraria, che gli scarichi nocivi provenienti da attivit� industriali non rientrerebbero nella normativa di cui all'art. 6, in quanto trovano la loro disciplina nel successivo art. 9, che impone l'obbligo di ottenere l'autorizzazione amministrativa prima di procedere all'immissione. A parte il fatto che detta autorizzazione � richiesta per tutti gli scarichi, anche per quelli non nocivi, c'� da osservare che, seguendo questa interpretazione resterebbe impunita la condotta di colui il quale, per scopi diversi da1:J.'esercizio della pesca, versi in acque pubbliche sostanze dannose per il patrimonio ittico, o comunque per l'habitat acquatico, non dertvanti da attivit� industriale, e quella dello stesso titolare di uno stabilimento industriale o di chiunque nell'esercizio di un'attivit� industriale scarichi tali sostanze pur avendo ottenuto la relativa autorizzazione del Presidente della Giunta Provinciale. In conclusione, non avendo il ricorrente addotta, a sostegno della tesi che intende accreditare argomenti tali che gi� non abbiano formato oggetto di meditata considerazione, non c'� che da confermare� l'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, ribadito anche con recenti pronunzie. Anche in relazione al reato di danneggiamento la censura del Donati dev'essere dissatesa sia in base ai rilievi esposti esaminando i precedenti motivi, sia in base alle stesse esatte e motivate considerazioni svolte dal giudice d'appello, il quale -precisato che il delitto ex arit. 635 cod. pen. si concreta nella coscienza e volont�, da parte dell'agente, di distruggere, disperdere, deteriorare o rendere inservi PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 1153 bile la cosa altrui, essendo irrilevante il movente e la finalit� per cui il danneggiamento viene commesso -ha osservato che detto delitto pu� configurarsi anche quando l'azione sia posta in essere non per recare nocumento ma quale mezzo per conseguire uno scopo diverso. Il Tribunale ha anche rilevato in proposito che si poteva essere certi che l'appellante non aveva la specifica volont� di originare le acque del itorrenrte Nirone, era del pari indubbio che egli -nella sua qualit� di chimico dirigente di una societ� industriale avente per oggetto l'esecuzione di sintesi organiche per la preparazione di prodotti farmaceutici ed intermedi organici, non poteva non essere consapevole della forte acidit� degli scarichi e, nello interesse della sua attivit� industriale, ne accettava le conseguenze, idonee a cagionare un danno tutt'altro che esiguo, contrariamente a quanto si assume nel motivo di ricorso. Quanto al reato di cui all'art. 650 cod. pen. le doglianze del ricorrente si traducono, �n sostanza, in un puro sofisma, giacch� le ordinanze del sindaco di Bollate (allegate agli atti processuali) con cui s'imponev~ al Donati di depurare gli scarichi, non comportano dubbi interpretativi in ordine al loro significato, con la conseguenza che il Tribunale non era tenuto a dilungarsi in una diffusa motivazione per valutare il comportamento dell'imputato che non si era attenuto alle prescrizioni tassativamente impostegli. Passando all'esame dell'ultimo gruppo di censure rileva il Collegio che la doglianza relatiiva alla mancata applicazione della attenuante ex art. 62 n.' 5 cod. pen. � affatto generica, e pertanto inammissibile. Si pu� comunque osservare che il Tribunale ne ha esattamente e motivatamente escluso la sussistenza in quanto la pretesa inerzia della Pubblica Amministrazione non pu� certo essere ritenuta come un fatto doloso concorrente a determinare l'evento dell'inquinamento delle acque. Il giudice d'appello ha altres� esattamente e motivatamente negato la concessione della attenuante ex art. 62 n. 4 cod. pen., per la cui applicazione, come � noto, non basta che il danno sia lieve, occorrendo invece che rivesta carattere di speciale tenui1t�, insussistente nel caso in esame per le considerazioni gi� svolte nel corso della presente motivazione. Quanto alla violazione dell'art. 475 n. 3 cod. proc. pen. in relazione alla richiesta diminuzione della pena, basta fare richiamo -per disattendere la censura -alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la determinazione in concreto della misura della pena rientra nel poteil'�e discreziona1le del giudke del meirito, incensurabile in questa sede di legittimit� quando il giudice stesso (come il Tribu 11111r1,11111a11111t11111r111ar1ari111111111r1rrm11111f111111111:rr11tr1 1154 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nale ha fatto nel caso in esame, con formulazione concisa ma non generica) abbia adempiuto all'obbligo della motivazione. E se � vero -come afferma il ricorrente -che il Tribunale, nel confermare la pena inflitta dal Pretore, dopo aver valutato gli elementi indica.ti nell'art. 133 cod. pen., ha accennato anche alla circostanza che le pene edittali per i reati ascritti all'imputato non erano proporzionate alla gravit� del fenomeno attuale dell'inquinamento idrico -uscendo dalla mentalit� in cui l'ordinamento giuridico colloca il giudice, e invadendo cos� il campo riservato al legislatore non per questo la sentenza merita di essere annullata. � noto, infatti, che le considerazioni superflue contenute nella motivazione della sentenza (come quella sopra riportata) ma non aventi alcun riflesso sul disposUivo, non viziano la sentenza stessa, e ci� anche se con esse il giudice sia incorso in errori di diritto, in quanto tali considerazioni non possono passare in cosa giudicata. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 20 giugno 1975, n. 1086 -Pres. Mosillo -Rel. Paci ~ P. M. Lapicirella (diff.) -Rie. Versaggi. Procedimento penale -Notificazioni all'imputato irreperibile -Nomina di difensore d'ufficio residente sul posto -Imputato munito di difensore di fiducia residente in luogo diverso -Necessit�. (c.p.p. art. 170, secondo comma). Il secondo comma dell'art. 170 c.p.p. impone la nomina di un difensore d'ufficio residente nel posto anche aU'imputato che sia munito di un difensore di fiducia residente in luogo diverso da quello in cui si tratta il processo (1). (Omissis). -� stato ritenuto dai giudici di merito che l'attuale ricorrente aveva ottenuto di insegnare, come supplente, nelle scuole statali, presentando la copia notarile di un attestato di laurea di un suo cugino omonimo, previa alterazione della data di nascita risultante dal documento. Deduce il ricorrente, in rito, la nullit� del decreto di irreperibiHt� in base al quale erano state effettuate tutte le notifiche, compresa quella del decreto di citazione per il giudizio di appello, e quindi la nullit� della sentenza impugnata; e, nel merito, il vizio di motivazione relativamente al giudizio di colpevolezza e, comunque, in ordine alla ritenuta inapplicabilit� dell'attenuante del danno patrimoniale di spe ciale tenutira. (1) Nello stesso senso della decisione v., oltre alla sentenza citata in motivazione, Oass. 12 settembre 1972 rie. Borrassi in Cass. pen. M~s. Annotato 1973, p. 1313, m. 1775; 26 gennaio 1968 rie. Villa ivi 1969, p. 313, m. 444. II PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 115& Si chiede, infine, l'applicazione delle norme sopravvenute, pi� favorevoli al reo (d.l. 11 aprile 1974, n. 99, conv. in 1. 7 giugno 1974, n. 220). Osserva questa Corte, quanto al primo motivo, che per l'emissione del decreto di irreperibilit�, a sensi dell'art. 170 c.p.p., � richiest�' che il giudice abbia disposto le dovute ricerche particolarmente nel luogo di nascita o in quello dell'ultima dimora dell'imputato. Ora risulta dagli atti processuali che le nuove indagini erano state� eseguite (v. fol. 10 del fase. della Corte d'Appello) proprio in quest'ultimo luogo (Latina, Via Adua, n. 8), indicato dalla legge alternativamente rispetto all'altro, e che era stata ordinata la notificazione� con il rito degli irreperibili dopo che le nuove ricerche avevano dato esito negativo. Nulla rileva quindi, per la legittimit� delle notificazioni, che analoghe indagini non fossero starte eseguite anche nel luogo di nascita (Formia) o che tali indagini, come si assume dal ricorrente, si siano� limitate alla semplice rilevazione dei dati anagrafici di quel luogo, dai quali era risultato che il Versaggi era emigrato altrove. Piuttosto, come ha rilevato, in udienza, il difensore del ricorrente, il decreto del Presidente della Corte d'Appello di Roma innanzi alla quale si era svolto il procedimento di appello, in contumacia dell'im putato irreperibile, conteneva la nomina di un difensore di ufficio� residente in luogo diverso (Latina) da quello in cui si doveva svol gere il processo (Roma) e quindi di un difensore non residente sul posto, come dispone l'art. 170 comma secondo c.p.p .. Tale norma pre scrive, infatti, che all'imputato, che gi� non abbia un difensore nel luogo in cui si procede, deve essere nominato un difensore di ufficio, ovviamente residente nello stesso luogo in cui si procede, essendo� un tale difensore il pi� idoneo a curare gli interessi dell'imputato a differenza di colui, invece, che risieda altrove. Si tratta, quindi, di una norma che concerne l'assistenza e la rappresentanza dell'impu tato, la cui violazione determina la nullit� sia del decreto di irrepe ribiUt� che di tutti gli atti successivi, compresa la sentenza impu gnata (art. 185 c.p.p.) : tanto pi� che, come si � detto, e come risulta dal verbale di dibattimento, l'imput~to era rimasto contumace e nes sun difensore di fiducia era comparso per lui (v. a fol. 30 e segg.); tanto che gli fu nominato un difensore di ufficio diverso anche da quello nominatogli con il decreto di irreperibilit� (v., nello stesso� senso, anche Cass. sez. III, 30 ottobre 1972, n. 1617, rie. P.M. e Ra dici ed altri, in Mass. d.p. 1973. n. 123.820). I precedenti rilievi sono assorbenti di ogni altro motivo di ricorso. -(Omissis). 1Plllrlllll*�l1J1lrlll/l/lll:lllllfl@lllllllllllrlllirlfllllllllfllrlllllli ~- lll!llJlrlllllllilllrllllllllitilliflilllltlllllllllllllJllllllllllllllrlKfl PARTE SECONDA QUESTIONI QSSERVAZIONI SULLA� ESECUTIVIT˥ DELLE SENTENZE DEI T.A.R. E SULLA PROPONIBILIT� IMMEDIATA DEL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA NEI CONFRONTI DELLE STESSE 1. -� noto il contrasto giurisprudenziale che, da almeno sei anni (1), divide Je Sezioni Unite della Cassazione, da un lato, ed il Consiglio di Stato, dall'aJtro, in ordine alla 1ammissibilit� immediata del giudizio di ottemperanza, previsto dall'all't. 27 n. 4 del t.u. 26 giugno 1924 n. 1054, anche nella ipotesi in cui la decisione del Supremo' Organo di giustizia amministrativa sia gi� stata, o possa essere ancora, gravata di ricoo-so per difetto di giurisdizione innanzi alle Sezioni Unite. Le prime hanno pi� volte enunciato il principio che il giudizio di ottemperanza � consentito bens� anche nei �confronti delle decisioni del Consiglio di Stato -alle quaJi esso, propriamente, ossia nella fOll'mulazione letterale dell'art. 27 n. 4 non si riferiva, ma � stato successivamente applicato dalla giurisprudenza con interpretazione estensiva (2) -, ma ci� solo in quanto esse decisioni 1siano, cos� come � pacifico per le sentenze dell'A.G.0., passate in giudicato (3). Come per le sentenze emesse dal Giudice ordinario, cos� anche per le decisioni del Consiglio di Stato la Cassazione non ritiene quindi sufficiente, per la iproponibilit� del giudizio di ottemperanza, che le pronunce 1siano immediatamente esecutive, quali sono d'ordinario quelle emesse dal �giudice civile d'apipel�lo e quali, rispettivamente, quelle che sono emesse dal Consiglio di Stato (in �appello o in grado unico), ma esige, a quel fine, che le de.cisioni alle quali aa iP.A. � tenuta a dare ottemperanza abbiano ac.quistato quella definitiva irretrattabilit� che consegue al passa.g.gio in giudk1ato, secondo il -concetto ben noto e tradizionale di tale istituto. Il Consiglio di Stato, per contro, almeno a partire, come si � detto, da epoca recente, � andato in contrario avviso, avendo ritenuto, ormai pi� (1) Fino al 1969, infatti, la giurisprudenza del C.d.S. era nel senso di ritenere proponibile il giudizio di ottemperanza solo nei confronti delle pro'nunce giurisdizionali passate in giudicato: cfr. sez. IV, 11 giugno 1954, n. 396, in Foro amministrativo, 1954, l, 1, 330; sez. VI, 25 ottobre 1955, n. 700, ivi, 1956, 1, 3, 66; sez. V, 28 novembre 1959, n. 783, ivi, 1959, I, 1523; sez. VI, 25 luglio 1964, n. 563, ivi, 1964, 1, 2, 915; sez. VI 12 marzo 1965, n. 171, ivi, 1965, 1, 2, 403; sez. VI, 25 marzo 1966, n. 286, ivi, 1966, 1, 2, 586; sez. IV, 28 settembre 1967, n. 437, ivi, 1967, 1, 2, 1269; sez. V, 17 ottobre 1967, n. 1178, ivi, 1967, l, 2, 1216. (2) Non in virt� di analogia, vietata qui dalla natura eccezionale della giurisdizione di merito cui il rimedio in esame, come tutti quelli previsti dall'art. 27 del t.u. Cons. stato, appartiene: cfr. sul punto AzzARITI, in Rass. Avv. Stato, 1969, 1, 1095 e segg. (in partic. 1098 e segg,) e giurispr. ivi richiamata, tra cui Cass. SS. UU., 8 luglio 1953, n. 2157, in Foro amministrativo, 1953, Il, I, 182, con nota di MIELE, nonch� Cass. SS. UU., 2 ottobre 1953, n. 3141, ivi, 1954, II, I, 32, la quale escluse l'ammissibilit� del rimedio in relazione alle decisioni emesse su ricorso straordinario. (3) Cfr. Cass. SS. UU., 18 settembre 1970, n. 1563, in Foro it., 1970, I, 2349; Cass. SS. UU., 5 novembre 1973, n. 2863, in Foro amministrativo, 1974, I, 188; Cass. SS. UU., 7 novembre 1973, n. 2897, in Cons. Stato, 1974, Il, 125. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 120 di una volta, che il ricorso ex rart. 27 n. 4 sia ammissibile anche nei riguardi delle decisioni emesse dallo stesso Consiglio di Stato avverso le quali fosse stato proposto il ricorso rper difetto di giurisdizione innanzi alle Sezioni Unite o quello per revocazione ex art. 395 n. 4 e 5 C.P.C. ovvero nei confronti delle quali fosse pendente il termine per proporre tali rimedi. Questo indirizzo pu� dirsi ormai radicato a partire dalLa decisione dell'Adunanza Plenaria del 21 marzo 1969 n. 10 (4). 'con questa pronuncia, argomentando dalla constatata difformit� dei due sistemi della giustizia civile e delLa giustizia amministrativca, l'A.P. ha in sostanza escluso, in via generale, l'applicabilit� alle decisioni del Consiglio di Stato dei principi della cosa. giudicata formale come discipilinata dal codice di procedura civile. Secondo tali rprincirpi non rpu� chiedersi, di regola, la esecuzione forzata delle sentenze non rpassate to11malmente in giudicato, in quanto cio� avverso le stesse risulti proposto appello o !dcor.so rper ca�ssazione o ricorso per revocazione ex art. 395 n. 4 e 5 C.P.C. (del quale ultimo istituto trattavasi, pTecisamente, nella specie decisa da1l'A.P.) ovvero in quanto rispetto al.le stesse non �siano comunque ancora decoosi i termini per la proposizione dei detti gravami. In altri termini, alla stregua della citata decisione n. 10/69 dell'A.P., dovrebbe distinguersi, nel termine �giudicato� quale ricorre nell'art. 27 n. 4, il significato proprio e tradizionale riferibile esclusivamente alle pronunce emesse dall'A.G.O., secondo il quale non si ha passag.gio in giudicato se non quando siano ,stati esauriti o non possano essere rpi� esperiti avverso la sentenza i .rimedi menzionati nell'art. 324 C.P.C.; ed un significato tutt'affatto speciale, rpeculiare alle decisioni dell'or.gano .giurisdizionale amministr, ativo, secondo il ,quale rper �giudicato> dovrebbe intendersi semplicemente � .ci� �che � stato deciso �. Distinzione, questa, che ci appare non tanto originale, �quanto, in tutta franchezza, del tutto sconcertante. Senza diffonderci in critiche al riguardo, gi� da altri acutamente avanzate (5), � da notare qui che l'indirizzo giua-ilsprudenziale aperto con la decisione n. 10/69 dell'A.P. � stato ulteriormente ribadito da decisioni pi� recenti dello stesso Consiglio ,di Stato (6) e persino di qualche Tribunale Amministrativo Regionale (7). Da ultimo, in concordanza con quanto ritenuto da gran parte della dottrina che si � occupata dello specifico argomento con riferimento alla nuova disciplina relativa ai T.A.R. (8), l'indirizzo stesso � ,stato espressamente esteso anche al:le decisioni emesse da questi ultimi organi giurisdizionali, giungendosi all'affer( 4) In Foro amministrativo, 1969, I, 2, 171. (5) efr. AZZARITI, loc. cit.; adde: TAMIOZZO, in Rass. Avv. Stato, 1974, I, 1202 e segg.; e soprattutto eEJUNo-eANoVA, in Giur. lt., 1970, IV, 88 e segg. (6) efr. sez. VI, 27 giugno 1969, n. 319, in Cons. Stato, 1969, I, 255: :i:>oi di nuovo A.P., 10 aprile 1970, n. 1; in Foro amministrativo, 1970, I, 2, 375: sez. IV, 14 aprile 1970, n. 265, ivi, 1970, I, 2, 389; sez. IV, 24 novembre 1970, n. 938, ivi, 19'70, I, 2, 1194; sez. V, 22 dicembre 1970, n. 1248, ivi, 1970, I, 2, 1470; e.SI., 19 giugno 1971, n. 349, ivi, 1971, I, 2, 789; sez. V, 17 aprile 1973, n. 404, ivi, 1973, I, 2, 440; sez. IV, 15 maggio 1973, n. 564, in Cons. Stato, 1973, I, 697; sez. IV, 30 ottobre 1973, n. 938, ivi, 1973, I, 1306; sez. V, 15 marzo 1974, n. 245, ivi, 1974, I, 451: sez. V, 25 ottobre 1974, n. 430, ivi, 1974, I, 1233; e.SI., 24 febbraio 1975, n. 8, ivi, 1975, I, 194. (7) efr. T.A.R. Piemonte, 9 maggio 1974, n. 17, in Cons. Stato, 1974, spec., 19. (8) efr. VIRGA, I tribunali amministrativi regionali (1972), 84 nt. 66; nello stesso senso, ma del tutto immotivamente, anche LucIFREDI-eAIANIELLO, I tribunali amministrativi regionali (1972), 247; e da ultimo PALEOLOGO, in Foro amministrativo, 1975, II, 440 e segg. contra SEPE-PES, Le nuove leggi di giustizia amministrativa (1973), 405, per cui deve escludersi che nell'art. 37 della legge n. 1034 del 1971 il termine -I PARTE II, QUESTIONI mazione che � in relazione all'art. 33, secondo e terzo comma della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, deve ritenersi ammissibile il ricorso per esecuzione delle sentenze del T.A.R. anche se esse siano state impugnate o siano ancora impugnabili in sede di grnvame � (9). 2. -IJ .problema di cui intendiamo occuparci in questo scritto � appunto quello consistente nel veil'ificare se siffatta estensione della immediata proponibilit� del ricorso ex art. 27 n. 4 (ed ora ex art. 37, 3� e 4� comma della legge istitutiva dei T.A.R.) alle sentenze emesse in primo grado dai T.A.R. e gravate d'appello innanzi al Consiglio di Stato, o tuttora suscettibili di essere appellate, possa o meno ritenersi fondata. A nostro avviso, anche indipendentemente da una soluzione in senso affermativo -per quaJe permangono tuttora serie perplessit� sia sul piano teorico che da un punto di vista pratico -del problema relativo alla ainmissibilit� dell'immediato ricorso per ottemperanza rispetto alle decisioni emesse in unico g!t',ado (ed oggi, di regola, in grado di appello) dal Consiglio di Stato, deve comunque ritenersi assolutamente ingiustificata una estensione dell'indirizzo favorevole all'immediata proponibilit� del detto ricorso anche rispetto alle decisioni dei T.A.R. non ancora passate formalmente in cosa giudicata. 3. -A tale estensione non pu� essere per certo di ,aiuto, come potrebbe sembrare a prima vista, il fatto che le decisioni dei T.A.R. siano dichiarate, dall'art. 33, 1� comma della legge n. 1034 del 1971, � esecutive � (10). In proposito non _sembra inopportuno rammentare come la stessa Suprema Corte, con le pronunce sopra ricordate, abbia chiaramente messo in evidenza che il processo che segue ad un ricorso diretto ad ottenere l'ottemperanza della pubblica Amministrazione alla decisione giurisdizionale non � un mero pxocesso di �esecuzione�. Nella prima delle citate pronunce, in particolare (11), la Cassazione si � in primo luogo richiamata ai principi fondamentali in tema di �esecuzione forzata nei �Confronti della pubblica Amministrazione; e tra di essi, innanzi tutto, a quello desumibile dall'art. 4, 2� comma, della Jegge abolitiva del contenzioso amministrativo (leg,ge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E), che, dopo aver posto al giudice 011dinario, nell'esercizio della sua funzione giurisdizionale, il ben noto limite costituito dal divieto di revocare o modificare, cio� annullare, l'atto amministrativo, stabilisce .che le autorit� amministrative � si atterranno al giudicato dei tribunali in quanto riguarda il caso deciso�. Con riferimento a tale norma, .la Suprema Corte, con argomentazioni di esempla,re chiarezza che meritano di essere riferite per esteso, ha in particolare rilevato quanto segue. � Questa norma, in cui il cosiddetto giudizio di ottemperanza trova la sua prima giustificazione, nonch� la determinazione del suo contenuto, �giudicato� sia usato impropriamente; v. anche, da ultimo, le acute, ancorch� fugaci, note di CANNADA-BARTOLI, in Foro amministrativo, 1975, II, 71. (9) Cos� sez. V, 15 marzo 1974, n. 245, in Cons. Stato, 1974, I, 451; nello stesso senso, da ultimo, T.A.R. Sicilia, 23 maggio 1975, n. 120, in I trib. amm.vi reg., 1975, I, 1744 (e ivi, III, 188 e segg. nota adesiva di TASSONE). (10) Sulla dizione dell'art. 33 della legge istitutiva dei T.A.R. fa principalmente leva, infatti, la decisione sez. V, n. 245 del 1974, citata sopra, nonch� VIRGA, loc. cit. e CAIANIELLO, Zoe. cit. (11) Cass. SS. UU., 18 settembre 1970, n. 1563, in Foro It., 1970, I, 2349. 122 RASSEGNA DELL'Avvo�ATURA DELLO STATO dimostra che l'obbligo di conformarsi alla decisione non attiene alla esecuzione de1la sentenza o, quanto meno, non �attiene meramente ad essa, bens� allo svolgimento di un'attivit� conseguenziale a tale pronuncia e di natura prevalentemente pubblicistica. � Invero, �coordinando le due disposizioni contenute nella norma stessa, appare chiaro che l'obbUgo di ottemperanza imposto alle autorit� amministrative non riguarda tanto il comando giurisdizionale �espresso nella decisione, che si impon� per forza propria ai sog�getti cui � rivolto, quanto la rimozione dell'atto illegittimo e lo svolgimento di ogni ulteriore attivit� conseguente, che non possono �essere stati disposti dal giudice, per il divieto fattogli di revoca;re l'atto amministrativo. �Ci� vale anche a spiegare perch� il dovere di esercitare la suddetta attivit� divenga operante solo quando la p;ronuncia giurtdizionale abbia acquistato certezza, attraverso il passaggio in cosa giudicata. Fino a quel momento, perci�, attenersi alla decisione del giudice � per l'amministrazione soltanto una facolt� e non anche un obbligo. In conseguenza deve escludersi che nell'art. 4 �legge del 1865, .come nell'art. 27 n. 4 t.u. del 1924, il termine �giudicato� sia usato impropriamente per indicare una decisione esecutiva. � Le ;ragioni sopra esposte sussistono poi, e sono pienamente valide, anche quando si tratti di applicare il rimedio dell'art. 27 n. 4 ai casi di inosservanza di decisioni dei giudici amministrativi ed in particolare del Consiglio di Stato. � Vero � infatti che pe;r �questo or.gana giurisdizionale non opera il limite imposto ai giudici ordinari, consistente nel divieto di annullare l'atto amministrativo, ma � ugualmente certo che non s�mpre �le disposizioni contenute nella decisione, ancorch� questa abbia annullato l'atto illegittimo, valgono da sole a restaurare l'ordine giuridico leso n� a soddisfare l'interesse del privato a detta restaurazione, come gi� innanzi si � detto e come dimost;rerebbe, ove fosse necessario, lo stesso caso di cui ci si sta occupando, giacch� l'annullamento di alcuni atti relativi alla predisposizione della gara non � bastato a soddisfare l'interesse di chi, come la Camst, trovandosi nelle condizioni richieste, ha fatto valere la pretesa di partecipare ad un'altra gara da disporre ed espletare conformemente a legge. � Pertanto si pu� ;rendere necessaria, ai fini della predetta restaurazione, un'attivit� conseguenziale de1l'autorit� amministrativa, nel caso in cui vi sia stata decisione del Consiglio di Stato -come nel caso di decisione del �giudice ordinario: proprio in tale ipotesi si giustifica ed � sperimentabile il ricorso previsto dall'art. 27 n. 4. � Ci� dimostra che il �p.rocesso che ne segue non pu� essere inteso come un mero. processo di �esecuzione, neppure quando in esso si fa valere la pretesa che l'amministrazione conformi la sua attivit� alla decisione del giudice amministrativo. � Del resto, propdo per le decisioni del Consiglio di Stato, l'art. 88 reg. 17 agosto 1907 n. 602 stabilisce che l'esecuzione si fa in via amministrativa, eccetto che per la parte �relativa alle spese. Ci� che pu� chiedersi al giudice deve quindi essere necessariamente cosa diversa, cio� l'espletamento dell'attivit� conseguenziale alla pronuncia, perci� tale pretesa non pu� essere fatta valere in giudizio, ai sensi dell'art. 27 n. 4, ancorch� si tratti di pronuncia di un giudice amministrativo, se non in !presenza del requisito di certezza della pronuncia stessa, derivante dal passaggio in giudicato �. Con riguardo, poi, al mutato avviso espresso sulla questione dall'A.P. del Consiglio di Stato con la rammentata decisione n. 10 del 1969, le Sezioni PARTE II, QUESTIONI Unite, nella stessa sentenza n. 1563 del 1970, hanno sottoposto a serrata critica il nuovo orientamento dell'Organo di giustizia amministrativa, affermando, tra l'altro, quanto segue. � Come dsulta dalla precedente esposizione, il Consi-glio di Stato muove dunque, nell'espor�re le ragioni della sua dedsione, dall'affermazione che, quando si ricorra ad esso �per ottenere dall'amministrazione l'adempimento dell'obbligo di uniformarsi alle decisioni dei giudici amministrativi, si 'verta in tema di applicazione analogica dell'art. 27 n. 4. 1.1 Consiglio di Stato nega quindi che i principi .che regolano il giudicato nel codice di procedura civile siano applicabili alle deci-sioni dei giudici amministrativi, ed in particolaa.-e �a quelle dello stesso Consiglio di stato, ed infine espone ulteriori ragioni logico-giuridiche che escluderebbero la possibilit� che l'esistenza di un giudicato amministrativo costituisca presupposto necessario per l'esperibilit� del rimedio previsto dall'art. 27 n. 4 t.u. n. 1054 del 1924. �Sul primo punto �questa corte ha gi� manifestato innanzi di ritenere che l'esperibilit� del rimedio di cui sopra, per ottenere osservanza delle decisioni dei giudici amministrativi, non costituisca applicazione analogica della norma, ma sia soltanto frutto di una interpretazione estensiva di essa. �Null'altro ritiene di dover aggiungere a quanto gi� esposto, anche per la �Considerazione, pur essa gi� svolta, che, anche se si trattasse di applicazione analogica, in nessun caso potrebbe ritenersi consentito di mutare la struttura stessa dell'azione. �Se questa non potesse essere inclusa nell'ambito del sistema proprio delle pronunce giurisdizionali amministrative, dovrebbe invero concludersi per l'inammissibilit� del rimedio, non gi� ritener lecito la creazione di altro rimedio �sostanzialmente diverso, seppur simile a quello dato dalla legge. � Ma il vero � che l'impossi�bilit� di inquadrare il rimedio, quale esso risulta dalla norma che lo appresta e lo disciplina, ai �casi in cui si tratti dell'obbligo di conformarsi alle decisioni dei .giudici amministrativi in realt� non �sussiste. Che avverso le suddette decisioni ed in particolare avverso la decisione del Consiglio di Stato non siano ammesse tutte le impugnazioni normalmente consentite contro le sentenze dei tribunali ordinari � un dato certo ma non punto risolutivo. � Infatti � indubitabile, stante la possibilit� di esperire contro di esse un sia pur limitato numero di impugnazioni, �che anche per le decisioni dei giudici amministrativi manca ogni caa.-attere di immutabilit� fino a quando tali impugnazioni siano �esper~bili o, �se .siano state in realt� proposte, fino a quando esse non siano state definite. �Solo se le impugnazioni siano precluse o siano state definite, la decisione vale perci� a chiudere il processo ed assume il carattere di immutabilit� che costituisce l'essenza del giudicato, quale pu� desumersi proprio dal disposto dell'art. 324 cod. proc. civ., che non si pone dunque in contrasto, ma si armonizza con l'intero sistema del procedimento dinanzi ai giudici amministrativi ed in particolare del procedimento dinanzi al Consiglio di Stato. Questo poi � regolato bensl da norme particolari ma non per questo solo pu� escludersi l'applicazione di una qualsiasi norma del codice di procedura civile. � Del resto si sa bene che neppure contro le �sentenze dei giudici ordinari sono sempre consentiti tutti i tipi di impugnazione menzionati nell'art. 324; ci� non toglie per� che la disciplina del giudicato, desumibile da tale norma, sia applicabile anche a quelle sentenze contro le quali sono consentite solo limitate impugnazioni, nel senso che il loro passaggi6 in RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 124 gludicato si verifichi solo con l'inutile decorso del termine per proporle o con la loro definizione. � Quanto poi alla pretesa esigenza di fare ossequio immediato alle decisioni del Consiglio di Stato, in ,quanto immediatamente esecutive, l'argomento si appalesa di ben scarsa consistenza ove si ,consideri che vi sono numerose categorie di sentenz.e dei tribunali ordinari le quali hanno efficacia esecutiva senza costituire giudicato: basti :pensar.e a tutte le sentenze di appello ed anche a quelle di primo grado, dichiarate provvisoriamente esecutive. � � Anche per tutte queste �sentenze dovrebbe perci� consentirsi il rimedio del cosiddetto giudizio di ottemperanza, se esso dovesse trovare applicazione in dipendenza della forza esecutiva della pronuncia, ma questo � escluso dalla legge. � D'altra parte far leva sull'efficacia esecutiva della sentenza, per imporre all'amministrazione di .conformarsi all'ordine in essa contenuto, significa configurare il giudizio di ottemperanza come un giudizio meramente esecutivo, mentre ci� non appatre esatto pe;r le ragioni gi� esposte, in aggiunta ed a conferma delle quali .pu� rilevarsi che i provvedimenti che � possibile emettere a conclusione del giudizio di ottemperanza non vanno in nessun caso oltre il limite .di ordini rivolti all'amministrazione di espletare l'attivit� ,conseguenziale alla precedente pronuncia, ci� significa che neppure in questo g,rado del prrocesso ha luogo la diretta ed immediata tutela invocata dal prrivato, n� per effetto �degli atti di questo processo si verificano quelle caratteristiche modificazioni della sfera giuridica del soggetto passivo, ,che sono proprie del processo esecutivo. � Infine, gli inconvenienti ai quali pu� dar luogo il differire al momento della formazione del giudicato amministrativo la possibilit� di esperire il rimedio dell'art. 27 n. 4, non sono diversi da quelli che si verificano o si possono verificare differendo, come indubbiamente deve ritenersi differita, al momento del passaggio in ,giudicato delle sentenze dei tribunali ordinari, la possibilit� di proporre al Consiglio di Stato il rrico;rso contro il rifiuto dell'amministrazione di conformarsi alla pronuncia del giudice. � Gli inconvenienti, quali che essi siano, non possono comunque dispensare dal rispetto dei limiti posti dalla legge per l'esercizio dell'azione �. Questi stessi concetti si trovano successivamente ribaditi, anche se in modo pi� sintetico, ma non per questo meno energico, nelle motivazioni delle due pi� recenti sentenze delle Sezioni Unite sopra ricordate (12). Non vi � poi motivo alcuno per ritener�e che tale orientamento giurisprudenziale, pur maturatosi con riguardo alle decisioni emesse dal Consiglio di Stato in grado uni,co, non .sia oggi applicabile anche alle decisioni emesse dai T.A.R. in primo �grado. J?er le quali, come pu� apparire pe;rsino ovvio, ancor meno che per le pronunce emesse dal Consiglio di Stato in grado unico (ed oggi in grado di appello) pu� parlarsi di �giudicato� in senso proprio, dal quale soltanto pu� discendere a carico dell'Amministrazione un obbligo di conforma,re la propria ulteriore attivit�. 4. -D'altro canto, .� appena il caso di rammenta.re che la giurisprudenza delle Sezioni Unite �sopra riferita non rappresenta una assoluta novit�. E ci� sia per i non certo remoti precedenti conformi dello stesso Consiglio (12) Cass. SS. UU., 5 novembre 1973, n. 2863 e 7 novembre 1973, n. 2897 (rispett. in Foro amministrativo, 1974, I, 188 e in Cons. Stato, 1974, II, 125). PARTE II, QUESTIONI di Stato sulla questione (13), 'sia soprattutto perch�, con le sopra riferite decisioni, la Suprema Corte non ha fatto altro, in sostanza, che far propria, autorevolmente rafforzandola, la distinzione, gi� da vari anni avvertita dalla dottrina, tra � esecuzione � e c.d. � ottemperanza � (14) ovvero tra � esecutivit� � e � obbligo di conformarsi � al giudicato. Intendiamo riferirci qui, innanzi tutto, ai risultati raggiunti nel convegno di studiosi tenutosi a Napoli nell'aprile del 1960 sul tema dell'adempimento del giudicato amministrativo. Ed in primo luogo alla relazione ivi tenuta dal Sandulli (15), con la quale, dopo ampia illustrazione delle vicende ,storiche che condussero all'introduzione nel nostro ordinamento, con l'art. 4 n. 4 della legge 31 marzo 1889, n. 5992 (da cui direttamente deriva l'art. 27 n. 4 del t.u. n. 1054 del 1924), dell'obbligo di cui trattasi, si analizzano in profondo la consistenza, l'estensione e la natura di tale obbligo, ravvisandone in pa.rticolare il contenuto (16) non gi� nell'obbligo dell'Amministrazione di � dare esecuzione � a ci� che � disposto nella pronuncia giurisdizionale, bens� nell'obbligo di � porre in essere tutte le attivit� occorrenti perch� -a parte e oltre l'esecuzione -lo 'stato di fatto determinato dall'amministrazione sia reso conforme, e cio� consono, allo stato di diritto definito dal giudice, eliminando ogni contrasto giuridico con esso� (17). Come chiarisce ulteriormente il ,citato autore, tale obbligo �consiste cio� nella eliminazione delle situazioni di fatto (precedentemente poste in essere) in contrasto col (sopravvenuto) giudicato, nonch� nella realizzazione delle situazioni di fatto necessarie per raggiungere una corrispondenza (qualsiasi possa essere) con Io stato di diritto affermato dal giudicato. Pi� precisamente consiste nel porre in essere tutti ,gli atti .giuridici e tutte le operazioni occorrenti per la realizzazione del fine� anzidetto. Si tratta di una attivit� la quale presuppone esaurita quella giudsdizionale, ed � istituzionalmente destinata a svolgersi al di fruori e al di l� dei limiti in cui questa � in grado di operare. Una attivit�, la quale si esplica in un campo precluso a quella giurisdizionale, e pu� aver inizio soltanto dove l'altra cessa. Una attivit�, inoltre, che non presuppone necessariamente esaurita (13) Cfr. sez. VI, 21 novembre 1950, n. 413, in Giur. compl. Cass. Civ., 1951, I, 855; cfr. altresi la giurisprudenza citata sub nt. 1, alla quale aggiungansi anche: C.SI., 17 giugno 1963 n. 166, in Cons. Stato, 1963, 1127 e C.SI., 27 agosto 1964 n. 319, ivi, 1964, 1585. A questo orientamento (che parte dal 1950) il C.d.S. era stato indotto anche per le vivaci critiche che la dottrina pi� autorevole (cfr. per tutti RANELLETTI, in Riv. trim. dir. pubbt., 1951, 76 e segg.) aveva mosso alla contraria, sia pure per implicito, decisione presa dalla sez. V con ord. 31 gennaio 1947 (in Foro It., 1947, III, 166), la quale aveva affermato l'ammissibilit� del giudizio di ottemperanza nei confronti delle pronunce giurisdizionali esecutive, anche se non passate in giudicato; per maggiori dettagli vedasi AZZARITI, in Rass. Avv. Stato, 1969, I, 1100 seg.. ' (14) L'espressione, originariamente propria del gergo curiale, � divenuta ormai usuale in dottrina, per autorit� soprattutto del GIANNINI M.S., Contenuto e limiti del giudizio di ottemperanza, in Atti del convegno sull'adempimento del giudicato amm.vo (1962), 117 e segg. (15) Cfr. SANDULLI, Consistenza ed estensione dell'obbligo delle autorit� amm.ve di conformarsi ai giudicati, in Atti, cit., 17 e segg.; concetti sostanzialmente riprodotti, in sintesi, nella successiva opera dello stesso autore: cfr. ancora SANDULLI, �Il giudizio davanti al C.d.S. e ai giudici sottordinati (1963), 167 e segg.; nonch� SANDULLI, Manuale di dir. amm.vo, 12a ed. (1974), 959 e segg., in partic. 963 e segg. (16) SANDULLI, Consistenza ed estensione, cit., 44 e segg.; per la precedente dottrina orientata nei medesimi sensi vedi ivi, 44 nt. 38. (17) SANDULLI, op. cit., 46 e seg. . \ 126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'attivit� di esecuzione, ben �potendo esplicarsi in una sfera del tutto diversa da quella di quest'ultima � (18). Ben chiaro era quindi, nel dibattito dottrinale negli anni che hanno preceduto la emanazione della legge istitutiva dei T.A.R., che altro � la �esecuzione� ed altro � lo �adempimento dell'obbligo di conformarsi� al giudieato da parte dell'Amministrazione (19). 5. -A questo punto, e tralasciando per brevit� ogni ulteriore richiamo di dottrina (20), si pone per�, necessariamente, un interrogativo. E precisamente quello consistente nell'accertare, o meglio definire, ci� che propriamente debba intendersi per � esecutivit� � delle sentenze dei T.A.R. ai sensi dell'art. 33, 1� comma, della legge n. 1034 del 1971; e, pi� in generale, per � esecutivit� � delle decisioni dei giudici amministrativi. Quale sia stata l'intenzione del legislatore nel dichiarare che le sentenze dei T.A.R. sono �esecutive� non � certo facile stabilire sulla scorta dei lavori preparatori della legge ora citata (21). E tuttavia, posto che -come si � sopra visto -dottrina e giurisprudenza pi� autorevoli distinguono tra � esecuzione � e � ottemperanza � ovvero tra � esecutivit� � e �obbligo di conformarsi., � gioco forza, a nostro avviso, ricorrere ad una inter�pretazione restrittiva, o forse sarebbe meglio dire riduttiva, del dettato legislativo, se non si vuol cor.rere il rischio di ravvisare in esso una espressione del tutto sfornita di significato concreto (22). Nel far ci� occorre innanzi tutto distinguere tra decisioni di annullamento di atti amministrativi emesse dai T.A.R. (ossia le decisioni di natura costitutiva che sono senz'ombra di dubbio le pi� frequenti e comunque (18) SANDULLI, op. cit., 47 e seg, (19) Vedasi ancora al riguardo, tra i relatori del ricordato convegno, BENVENUTI, Valore delle pronunce ex art. 27 n. 4 T.U. del C.d.S. e lol'o esecuzione, in Atti, cit., 243 e segg., partic. 255. (20) Per quella precedente al ricordato convegno vedasi soprattutto NIGRO, in Rass. dir. pubbl. 9 (1954), 228 e segg. (21) Pu� essere forse interessante rilevare che il I0 comma dell'attuale art. 33 non esisteva nel testo approvato dalla I� Commissione permanente della Camera e fu aggiunto dal Senato in sede di discussione sui singoli articoli in assemblea (Seduta del 17 novembre 1971) in accoglimento di apposito emendamento proposto dal sen. MURMURA, peraltro senza particolare motivazione (cfr. resocont� stenografico della seduta, in Atti Senato, V Legislatura, 28876 e segg.); il testo, cosi modificato, ritorn� alla Camera, ove il relatore (on. LUCIFREDI), nella seduta del 1 dicembre 1971 della I� Commissione permanente in sede legislativa, ebbe a rilevare, con riguardo all'art. 33, che : � � stato introdotto un comma iniziale che pu� forse ritenersi superfluo, ma certamente contribuisce alla chiarezza della normativa disposta � (cfr. Atti Camera, V Legislatura, Discuss. I� Comm. in s.l., 368). Per quanto attiene alla nomogenesi, questo � tutto: l'unico dato che si pu� ricavare � che, secondo il relatore on. LUCI� FREDI, il 1� comma riprodurrebbe, in sostanza, il contenuto del precetto contenuto nel 2� comma: � il ricorso in appello al Consiglio di Stato non sospende l'esecuzione della sentenza impugnata.; il che per� non risolve il problema di stabilire che cosa debba propriamente intendersi per esecuzione del1a sentenza, se cio� nel termine � esecuzione � sia da ritenere ricompreso anche il � conformarsi..� ad essa da parte della p.A. oppur no. (22) Il che non pare ammissibile, dovendosi avere per certo che anche per la interpretazione delle leggi valga il generale canone ermeneutico, positivamente previsto dal vigente ordinamento per l'interpretazione dei contratti (cfr. art. 1367 cod. civ.), secondo cui, nel dubbio, ogni atto giuridico deve interpretarsi nel senso in cui possa avere un qualche effetto anzich� in quello secondo cui non ne avrebbe alcuno (cenni sulla portata generale del principio in BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici (1949), 151 e sul significato della norma civilistica, ivi, 310 e seg.). PARTE II, QUESTIONI quelle tipiche e peculiari al sistema della giustizia amministrativa) e decisioni di condanna emesse dai T.A.R. a carico dell'Amministrazione, quali sono ora previste, sia pure in determinate e circoscritte ipotesi (23), per il pagamento di somme di cui l'Amministrazione risulti debitrice, dall'art. 26, 3� comma, dena legge n. 1034 del 1971. Cominciando dalle prime, .� da ritenere che per �esecutivit�., ai sensi dell'art. 33, 1� ,comma, citato, delle decisioni di annullamento di atti amministrativi emesse dai T.A.R., le quali siano tuttora suscettibili di appello o addirittura siano state gi� gravate di appello innanzi al Consiglio di Stato, non possa intendersi altro che la immediata operativit� della pronuncia (costitutiva) di annullamento emessa dal giudice amministrativo nei confronti delle ulteriori conseguenze giuridiche che l'atto annullato sarebbe stato ancora, di per s�, idoneo a produrre, qualora fosse stato riconosciuto legittimo e per.ci� fatto salvo dall'ol'gano giurisdizionale. La norma in esame (art. 33, 1� comma) non pu�, in particolare, voler dire che, una volta resa pubblica col deposito la sentenza del T.A.R., sussista eo ipso un immediato obbligo giuridico per l'Amministrazione soccombente di prestare ottemperanza al comando giudiziale in essa contenuto mediante la messa in essere di una qualsiasi attivit�, giuridica o materiale, di carattere ulteriore e conseguenziale; ossia una attivit� che sia diversa ed ulteriore rispetto a quella strettamente necessaria per la sospensione delle ulteriori conseguenze che l'atto originariamente impugnato fosse ancora, per avventura, idoneo a produrre nella realt� sia giuridica che materiale. Per scendere al concreto, ossia per fare degli esempi, si immagini che un bando di concorso 'sia annull�to da un T.A.R. per illegittima esclusione di taluna categoria di aspiranti; le � esecutivit� � di tale pronuncia di annullamento pu� importare unicamente che il suddetto atto amministrativo sia temporaneamente da considerare tamq'l.lam non esset e che non possa quindi spiegare ulteriori effetti, s� che l'Amministrazione sia tenuta a non indire le prove di concorso o, se queste siano state per avventura espletate, a non procedere alla formazione ed approvazione della graduatoria ovvero ancora, ove ricorra il caso, a non procedere alle nomine in servizio dei vincitori; ma non potrebbe certamente affermarsi che la predetta �esecutivit�� importi anche l'obbligo per l'Amministrazione di bandire subito, .pur nelle more del giudizio di appello promosso avverso la decisione di annullamento del T.A.R., un nuovo concorso con inclusione della categoria di aspiranti prima pretermessa. Ed ancora: si immagini che uno scrutinio di .promozione a scelta sia annullato dal T .A.R. per illogicit� dei criteri di massima adottati; la �esecutivit� � di tale pronuncia di annullamento pu� importare unicamente ,che l'Amministrazione non possa, tempol'aneamente, procedere alla emanazione dei decreti di promo (23) Precisamente nei casi di controversie relative a � diritti attribuiti alla ... ... competenza esclusiva e di merito � dei T.A.R.: casi, per vero, non molto frequenti secondo la normativa vigente; per indicazioni al riguardo vedasi SANDULLI, Il giudizio, cit., 105 e segg., 136 e segg., 147 e segg. e ancora SANDULLI, Manuale, cit., 946 e segg.; ed ivi, 947, proposta di interpretazione lata della norma in questione (art. 26, 30 comma), nel senso cio� che essa attribuisca il potere di condannare l'Amm.ne al pagamento ogni volta che il T.A.R. abbia competenza in materia di diritti, tanto se la legge la indichi come competenza esclusiva, quanto se la indichi come competenza di merito (v. pure nello stesso senso Nmao, in Cons. Stato, 1972, Il, 152; e CAIANIELLO, op. cit., 220 e seg.): il che, a nostro avviso, non pu� non indurre alle pi� ampie riserve e perplessit�, stante la dizione letterale chiaramente in senso congiuntivo della norma in questione. Ji8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione ,ma non pure che essa sia tenuta subito a retrocedere gli impiegati eventualmente gi� promossi alla superiore qualifica e tanto meno a rinnovare subito lo scrutinio con l'adozione, in luogo dei precedenti, di nuovi crite�ri di massima immuni dai vizi riscontrati dall'organo giurisdizionale di primo grado. Ed ancora: si immagini che una gara per l'aggiudicazione di un appalto di servizi venga annullata da un T.A.R. per una qualche illegittimit� del procedimento seguito; la �esecutivit�� di tale pronuncia di annullamento pu� importare unicamente che non si proceda, da parte dell'Amministrazione, alla formale stiopula del contratto (nei casi in cui ne occorTa una apposita) ovvero alla sua approvazione, registrazione, esecuzione, ecc. ecc.; ma non pure che l'Amministrazione sia tenuta ad indire subito un'altra gara. Ed ancora: si immagini .che un'ordinanza di demolizione di edificio per violazione di norme urbanistiche o di vincolo paesistico sia annullata dal T.A.R. per un �qualsiasi vizio formale o sostanziale; la �esecutivit�� di tale pronuncia di annullamento pu� importare unicamente che l'Amministrazione non proceda alla mate!riale esecuzione coattiva dell'ordine di demolizione, non .pure che essa sia tenuta subito, qualera tale demolizione sia stata in tutto o in parte gi� eseguita, alla rimessione in pristino stato. I casi potrebbero moltiplicarsi all'infinito, ma riteniamo che non occorra, perch� quanto sin qui esemplificato appare �gi� pi� che sufficiente ad evidenziare ci� che, a nostro avviso, deve propriamente intendersi per � esecutivit� � delle sentenze di T.A.R. E, soprattutto, come tale � esecutivit� � sia qualcosa di ben diverso e di ben pi� limitato rispetto all'� obbligo di conformarsi� ovvero �obbligo di ottemperanza� alla pronuncia giurisdizionale. Tralasciando, per il momento, di porre l'accento sulle gravissime, e per ci� solo inaccettabili, �conseguenze pratiche .che deriverebbero dall'affer mazione della sussistenza immediata, ossia per effetto della sola pronuncia di primo grado non passata in cosa giudicata, del suddetto obbligo, con il rischio pi� che evidente di spiegare tutta una complessa attivit� ammini strativa destinata a .cadere nel nulla in caso di riforma della sentenza da paTte del Consiglio di Stato in grado di appello, quello che maggiormente ci preme sia chiaro in questa sede � che nel concetto di � esecutivitd � delle decisioni di annullamento di atti amministrativi emesse dai T.A.R. deve escludersi che possa essere ricompreso l'obbligo di ottemperanza, inteso, cos� �Come lo intendono la giurisp'l'udenza e la dottrina sopra ricordate, come obbligo di porre in essere attivit� ulterioil'.'i e conseguenziali alla pronuncia giurisdizionale di primo grado; e deve altres� escludersi, di conseguenza, la coercibilit� di un siffatto obbligo con il rimedio di cui agli ultimi due comma dell'art. 37 della legge n. 1034 del 1971. In altri termini, e guardando alla sostanza delle cose, ci� significa, a nostro avviso, che alla �esecutivit�� delle sentem;e di annullamento dei T.A.R. non pu� attribuksi una portata molto diversa da quella di una sospensione della efficacia dell'atto amministrativo impugnato (sospensione, peraltro, essa stessa �sospendibile ., o forse meglio � revocabile ., con lo strumento previsto dai successivi comma dello stesso art. 3~ della legge n. 1034 del 1971, nei casi in cui tale esecutivit�, di per se stessa, sia per arrecare un danno grave e irreparabile all'Amministrazione: si pensi, nel primo degli esempi fatti sopra, all'ipotesi di una necessit� assoluta per l'Amministrazione di coprire i posti messi a concorso e quindi di nominare i vincitori, ma1grado l'intervenuto annullame�nto del bando di concorso da parte del T.A.R., avverso la cui decisione sia stato dall'Amministrazione proposto appello); sospensione valevole sino a quando la decisione di primo PARTE II, QUESTIONI grado non sia passata in cosa giudicata, a seconda dei casi, o per il decorso inutile del termine di impugnativa o per il rigetto della stessa da parte del Consiglio di Stato. .Appare 'Per contro impossibile intendere, nella �esecutivit�., l'obbligo immediato (nel senso, cio�, che esso sussista per il solo effetto della pronuncia non ancora passata in giudicato nei modi anzidetti) di porre in essere attivit� ulteriore e conseguenziale alla 1pronuncia ancora appellabile o addirittura gi� appellata innanzi al Consiglio di Stato. Per conseguenza -trattandosi in fondo della stessa cosa, vista per� dall'angolo visuale dell'actio anzich� da ,quello del � diritto� soggettivo (24) -_non pu� neppure ammettersi la proponibilit� immediata del giudizio di ottemperanza al � giudkato � rispetto ad una decisione del giudice amministrativo di primo grado :ancora suscettibiJ,e di essere appellata ovvero addirittura gi� appellata innanzi al Consiglio di Stato. . 6. -Venendo ora a prendere in esame, assai brevemente, le decisioni di condanna (25), � da rilevare che solo per questo tipo, assai meno fre,quente, di pronuce che possono essere emesse dagli or.gani di giurisdizione amministrativa (26) appare forse possibile istituire un parallelo .con le sentenze di condanna dei giudici ordinari provvisoriamente (o forse meglio: immediatamente) esecutive o per loro natura (27) o per disposto di �legge (28). In ,questo parallelo, per�, � esecutivit� � immediata vuol dfo:oe, a nostro avviso, semplicemente possibilit� per la parte vittoriosa in primo grado di procedere alla esecuzione forzata in via ordinaria delle sentenze mede;. sime, come disciplinata dal libro terzo del codice di procedura civile, sia pure con tutte le riserve e le limitazioni che al riguardo valgono quando (24) � appena il caso di notare, con riguardo alla posizione giuridica attiva tutelabile con il rimedio di cui all'art. 27 n. 4 del T.U. n. 1054 del 1924 (ed oggi art. 37 della legge n. 1034 del 1971) che non di diritto soggettivo perfetto trattasi, bensi di interesse legittimo (cfr. SANDULLI, Consistenza ed estensione, in Atti, cit., 59 e segg.; SANDULLI, Il giudizio, cit., 170; SANDULLI, Manuale, cit. 960; contra, per�, nel senso della sussistenza di un vero e proprio diritto soggettivo all'osservanza del giudicato, da ultimo: A.P., 9 marzo 1973 n. 1, in Foro amm.vo, 1973, I, 2, 203); ci� non esclude, a nostro avviso, che la correlata posizione passiva dell'Amm.ne sia qualificabile come e obbligo � e non come mero e dovere � (in questo secondo senso, invece, CANNADA-BARTOLI, in Riv. It. Se: Giur., 86 (1949), 253 e seg.): in quest'ultima questione, di natura prevalentemente teorica (e che in taluni autori appare impostata su una non esatta concezione della categoria del dovere giuridico) .non � qui il luogo di addentrarci. (25) Anche riguardo alle decisioni di natura dichiarativa -quali sono in primo luogo quelle di rigetto del ricorso -pu� porsi a nostro avviso, il problema della esecutivit� come concetto diverso da quello dell'� obbligo di conformarsi� (cfr. SANDULLI, Il giudizio, cit., 417): la questione, per�, salvo forse nei casi in cui vi sia stata sospensione, in via cautelare, della esecutivit� dell'atto originariamente impugnato, presenta un interesse pi� teorico che pratico. (26) Cfr. art. 26, 3� comma, della legge n. 1034 del 1971; potere da estendere ora anche al C.d.S. in sede di appello (non per� in grado unico) in base al disposto dell'ultimo comma dell'art. 28 della stessa legge (cfr. in tal senso SANDULLI, Manuale, cit., 932; SANTANIELLO, I tribunali amm.vi regionali (1974), 79; SEPE-PES, op. cit., 345). (27) Sentenze del giudice di appello: cfr. art. 373, 1� comma, c.p.c. (28) Sentenze di primo grado provvisoriamente esecutive: cfr. art. 282 c.p.c.; nonch� art. 431 c.p.c. (nuovo testo introdotto con la legge 11 agosto 1973, n. 533), norma che non ha mancato di sollevare dubbi di costituzionalit�, sui quali v. da ultimo MONTESANO, in Giur. It., 1974, IV, 33 e segg.; e, pi� in generale, TARZIA, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1974, 467 e segg. 130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la parte nei cui confronti si procede esecutivamente sia una pubblica Amministrazione (29). L'ammissibilit�, in via di principio, della esecuzione forzata in via ordinaria per ci� che attiene alle pronunce di condanna (o al capo di pronuncia in cui sia contenuta una condanna) dell'Amministrazione risulta, del resto, positivamente prevista dallo stesso art. 8'8 del Regolamento di proeedw:a innanzi al Consiglio di Stato approvato con R.D. 17 agosto 1907 n. 642 (30), ove � precisamente stabilito .che � la esecuzione delle decisioni si fa in via amministrativa, eccetto che per la parte relativa alle spese �. Il disposto di tale norma, laddove essa prevede appunto che la esecuzione delle decisioni de�gli organi giurisdizionali amministrativi si fa � in via amministrativa., il che vuol dire in primo luogo escludere la possibilit� di esecuzione forzata in via ordinaria, rappresenta anzi un'ulteriore conferma che per le decisioni (costitutive) di annullamento di atti amministrativi -le uniche che fossero cognite al legislatore del 1907 -non pu� neppure in astratto ipotizzarsi una � esecuzione forzata � in senso proprio, bens� unicamente una conformazione o adeguamento alle stesse dell'ulteriore operato dell'Amministrazione, nel che propriamente consiste l'� obbligo di ottemperanza � (31). Col riferimento� all'eccezione relativa al capo delle .spese, invece, appare possibile ravvisare l'esistenza di un principio generale in base al quale la possibilit� di esecuzione forzata in via ordinaria potre,bbe aversi con riguardo a tutte le decisioni di condanna emesse a cairico dell'Amministrazione, anche diverse da quelle alle spese del giudizio (32). Purch�, per�, si tratti 'di condanna vera e propria, ossia di pronuncia contenente un esplicito comando giuridico particolare di dare (ovvero di tacere o di non tacere, nei casi, parvero difficilmente immaginabili, in cui anche pronunce di tal fatta siano possibili) emesso a carico di una pubblica Amministrazione. Arppare di conseguenza possibile, per tornare all'argomento, intendere, anche sotto questo profilo, l'� esecutivit�� immediata delle decisioni dei T.A.R., di cui all'art. 33, 1� comma, della legge istitutiva, siccome relativa alle pronunce di condanna nel senso test� chiarito; e quindi prospettare una interpretazione pro-imenti possibile, ancorch� apparentemente riduttiva o restrittiva, della norma �stessa, idonea comunque ad attribuirle un concreto ed effettivo significato. (29) Per le sentenze di condanna al pagamento di somme a carico dello Stato, vedasi, infatti, l'art. 277 del Reg. cont. gen. Stato, secondo cui �la liquidazione delle spese deve essere appoggiata a titoli e documenti comprovanti il diritto acquisito dei creditori � : ove nella espressione, di indubbio sapore arcaicizzante, � diritto acquisito � non pu� intendersi altro che un diritto (in ipotesi: di credto nascente da sentenza di condanna) scaturente da una decisione divenuta irrevocabile. (30) Norma applicabile al giudizio innanzi ai T.A.R. ai sensi dell'art. 19, 1� comma, della legge istitutiva; lo stesso prevedeva l'art. 61 del Reg. di proc. innanzi alla G.P.A. in s.g. approvato con R.D. 17 agosto 1907 n. 643. (31) Per uno spunto in tal senso v. TAMiozzo, in Rass. Avv. Stato, 1974, I, 1205; e prima ancora SANDULLI, Consistenza ed estensione, in Atti, cit., 45 ed ivi nt. 39. (32) Cfr. da ultimo, sia pur con riferimento a sentenza di condanna emessa dall'A.G.O. a carico dell'Amm.ne, A.P., 9 marzo 1973 n. 1 (in Foro amm.vo, 1973, I, =!. 203), con cui � stato ritenuto ammissibile il ricorso ex art. 27 n. 4 per la esecuzione di sentenze recanti condanna al pagamento di somme in alternativa con la esecuzione forzata ordinaria, confermandosi cos� l'indirizzo del e.SI. 18 maggio 1972 n. 337 (in Foro amm.vo, 1972, I, 2, 708), per altro non del tutto pacificamente accolto in dottrina (vedasi per talune perplessit� GESSA, in Cons. Stato, 1971, II, 1139 e segg., partic. 1141; in senso favorevole al nuovo indirizzo SEPE-PEs, op. cit., 409 e segg.). I I I ~ l I I fil f i; ~= ) PARTE II, QUESTIONI 7. -Del resto, la proposta interpretazione restrittiva o riduttiva del termine � esecutive ., riferito alle sentenze dei T.A.R. dall'art. 33, 1� comma, della legge istitutiva, appare confermata, in entrambi gli aspetti sopra illustrati, da considerazioni di carattere pi� generale, relative sia ai principi generali dell'attivit� amministrativa sia a quelli del vigente ordinamento processuale generale, delle quali � necessario fare un rapido a�ccenno. A) Innanzi tutto, va qui ricordato uno dei .caratteri propri ed essenziali dell'attivit� amministrativa di diritto pubblico, la quale, per sua natura, non pu� essere � condizionata � (33). La pubblica Amministrazione, cio�, non pu� agire, con ri1evanza pubblica esterna, se non in modo definitivo, vale a dire non precario n� soggetto a condizione. Si tratta qui di un modo di �essere connaturato ad o.gni manifestazione esterna dei pubblici poteri sia nella sfera legislativa che in quella amministrativa e giurisdizionale, ma che assume una particolare rilevanza proprio nell'ambito dell'attivit� amministrativa anche, se non soprattutto, per effetto della statuizione costituzionale (art. 97, 1� comma), secondo la quale la legge che disciplina l'attivit� dei pubblici uffici deve assicurare il loro �buon wndamento �. Orbene, non � chi non veda come, se fosse da accogliere la tesi secondo cui non sarebbe necessario il giudicato, ma basterebbe la sola pronuncia di primo grado �esecutiva� a determinare eo ipso l'obbligo dell'Amministrazione di conformarvisi, una grave lesione verrebbe inferta, non soltanto al cennato principio costituzionale, ma altres� al predetto carattere di � definitivit� � o � non condizionabilit� � proprio dell'attivit� amministrativa di diritto pubblico. Infatti' l'attivit� ulteriore e conseguenziale, che l'Amministrazione sarebbe obbligata, in ipotesi, a svolgere immediatamente, dovrebbe di necessit� conf��gurarsi come attivit� sottoposta a condizione risolutiva, essendo essa destinata a risolversi nel nulla in caso di riforma della sentenza di primo grado da parte del giudice dell'appello. Con quale vantaggio per i singoli interessati e per la collettivit� dei cittadini in generale non � certo dato scor.gere, laddove, al contrario, pi� che manifesti si rivelano gli inconvenienti che .deriverebbero dall'affermazione di un siffatto obbligo immediato di procedere. Anche dal ~unto di vista qui esaminato, si rivela dunque esatto e in ogni caso pienamente consono al sistema il principio secondo il quale l'obbligo dell'Amministrazione di conformarsi alla pronuncia giurisdizionale pu� sorgere soltanto col e dal giudicato, onde evitare che la pubblica Amministrazione sia costretta a svolgere la propria attivit�, volta al conseguimento dei fini� df pubblico interesse, quando ancora tale pubblico interesse (33) Com'� noto, � controversa, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, la possibilit� stessa di apporre condizioni o altri elementi accidentali agli attivi amm.vi; possibilit� che va comunque esclusa riguardo agli atti a contenuto vincolato (cfr. ALESSI, Dir. amm.vo ital., 3� ed. (1960), 332 e 336 e seg.; SANDULLI, Manuale, cit., 479; e pi� ampiamente LucIFREDI, L'atto amm.vo nei suoi elementi accidentali, 273 e segg., 286 e segg.). � peraltro appena il caso di avvertire che la � non condizionabilit� � o � non precariet� � di cui � parola nel testo concerne un profilo essenzialmente diverso da quello della possibilit� o meno di apporre condizioni (sospensive o risolutive) o termini (iniziali o finali) agli atti amm.vi: infatti, ad esempio, un atto amm.vo sottoposto a termine (iniziale o finale) �, ci� non di meno, pur sempre un atto, per sua stessa natura, ad efficacia � assoluta � e � definitiva� (ed � ben per ci� che la revoca dell'atto amministrativo non !:>U� mai avere effetto retroattivo); analogamente, le leggi transitorie o temporanee, valevoli cio� per un certo periodo di tempo, non sono, per questo, leggi meno � incondizionate � e � definitive � di quelle che tale carattere di temporaneit� non hanno. 132 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO o i modi per pe<rseguirlo legittimamente non siano stati definitivamente accertati (34); evitare, cio�, che la pubblica Amministrazione debba porre in essere atti amministrativi conseguenziali che non sono definitivi, ma precari, provvisori e condizionati all'esito delle previste o addirittura gi� esperite impugnative giurisdizionali. B) In secondo luogo va qui ;richiamato anche uno dei fondamentali princiipi del vigente ordinamento processuale generale. il: cio� da ricordare che, �secondo la dottrina processual-civilistica pi� autorevole e di gran lunga prevalente, l'esecuzione forzata (o azione esecutiva) � un potere che nasce unicamente dalla sentenza �i condanna, intesa appunto come preparatoria all'esecuzione forzata ed a questa funzionalmente collegata (35). Le sentenze costitutive per contro -e le decisioni di annullamento di atti amministrativi emesse dagli organi della �giustizia amministrativa sono, com'� noto, di tal fatta -non producono azione esecutiva e non � quindi dato, rispetto alle stesse, parlare di esecuzione forzata (36). Tali sentenze invero, com'� stato :autorevolmente chiarito dalla dottrina (37), contengono in s� � atto di accertamento e :atto di esecuzione � (3�8). In altri termini, nell'ipotesi di azione �Costitutiva, fa decisione, la quale presuppone l'avvenuto accertamento della sussistenza delle condizioni giurtdiche richieste perch� possa operarsi un mutamento dell'ordine giuridico, � sufficiente di per s� a realizzare la tutela giurisdizionale del diritto ossia �per operare quel mutamento giuridico che la legge riconnette al verificarsi delle condizioni accertate� (39). N� di minor peso appare poi -per venire pi� da presso a fattispecie in certo �senso analoga a quella dell'art. 33, 1� comma, della legge istitutiva dei T.A.R. -la .constatazione �che, sempre nel vi:gente ordinamento processuale civile, la esecutivit� c.d. provvisoria (meglio sarebbe forse dke: immediata) delle sentenze di primo grado (art. 282 cod. proc. civ.) non soltanto rappresenta, rispetto :al sistema, una possibilit� di .carattere eccezionale e non gi� normale, ma essa stessa concerne, anche qui secondo la dottrina prevalente (40), unicamente le sentenze di condanna, le sole cio� che siano suscettibili �di �esecuzione forzata disctplinata dal libro terzo del codice di procedura civile. Si ha qui, pertanto, una ulteriore �conferma che la �esecutivit�� di cui � parola nell'art. 33 della leg.ge n. 1034 del 1971 pu� riferirsi bensi alle sentenze di condanna �emesse dai T.A.R. (quali sono ora previste, come si � visto, dall'art. 26, 3� comma, della citata legge istitutiva), se ed in quanto suscettibili di esecuzione forzata nelle vie ordinarie (41); ma non pure pu� estendersi alle sentenze (costitutive) di annullamento emesse dai T .A.R., per (34) Cfr. AZZARITI, in Rass. Avv. Stato, 1969, I, 1107. (35) Fondamentale, al riguardo, CHIOVENDA, Istituzioni, voi. I (1937), 168 e 286 e segg.; cfr. anche ANDRIOLI, Commento al cod. proc. civ., voi. II, 3� ed. (1956), 274, soprattutto con riferimento alla provvisoria esecutivit� delle sentenze dei giudici ordinari. (36) Cfr. sez. V, ord. 22 settembre 1959 n. 179, in Cons. Stato, 1959, I, 1435. (37) V. per tutti CALAMANDREI, Ist. dir. proc. civ. (1941), 62 e segg., partic. 64 e segg. (38) Cosi SATTA, Commentario al cod. proc. civ., voi. III (1965), 28. (39) Cfr. CALAMANDREI, op. cit., 65. (40) Cfr. ANDRIOLI, op. cit., 274. (41) Ma per le spese dello Stato valgono al riguardo, come gi� detto, i limiti derivanti dall'art. 277 Reg. cont. gen. Stato (supra nt. 29); sono poi da rammentare !l -I \ ..... PARTE II, QUESTIONI le quali, come per qualunque decisione a carattere costitutivo, non pu� esservi affatto questione di esecuzione forzata, ma soltanto di ottemperanza, vale a dire di adeguamento dell'attivit� amministrativa ulteriore e conseguenziale a quanto disposto nella pronuncia stessa. ' 8. -La giurisprudenza della Suprema Corte sopra ricordata, la dottrina dianzi richiamata e le considerazioni di carattere pi� generale test� svolte non esauriscono, ancora, il nostro discorso. Vi � infatti qualcosa di pi� e di nuovo e, �quel che pi� conta, di pi� specificamente attinente alla materia in esame e al tema della inammissibilit� del giudizio di ottemperanza immediato rispetto alle decisioni giurisdizionali amministrative di primo grado non ancora passate formalmente in cosa giudicata. Si tratta di un argomento, a quel che consta, del tutto nuovo che, a nostro avviso, pu� trarsi proprio dalla esegesi testuale degli ultimi due comma dell'art. 37 della legge n. 1034 del 1971. Secondo le disposizioni di cui al 3� e 4� comma dell'articolo citato, le quali attribuiscono e regolano la competenza funzionale (42} relativa ai giudizi di ottemperanza alle decisioni degli or.gani della giustizia amministrativa, � stabilito infatti che: a} � quando i ricorsi sono diretti ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorit� amministrativa di conformarsi al giudicato degli organi di giustizia amministrativa, la competenza � del Consiglio di Stato o del Tribunale Amministrativo Regionale territorialmente competente secondo l'organo che ha emesso la decisione, della cui esecuzione si tratta� (art. 37, pen. comma); b) �la competenza � peraltro del Tribunale Amministrativo Regionale anche quando si tratti di decisione del Tribunale Ainministrativo Regionale confermata dal Consiglio di Stato in sede di appello� (art. 37, ultimo comma). Orbene, sulla base del combinato e� complessivo disposto delle due norme, possono darsi, con dguardo all'obbligo di ottemperanza alle decisioni dei giudici amministrativi di primo, .secondo o unico grado, unicamente le seguenti ipotesi: a) der:isione emessa dal Consiglio di Stato in grado unico (casi della competenza residua � a stralcio � o � ad esaurimento � ovvero altri, per vero rarissimi e in qualche caso assai controversi ( 43) casi di residua competenza i limiti generali relativi alla pignorabilit� dei beni pubblici demaniali o indisponibili, per cui vedasi, per tutti, SANDULLI, Manuale, cit. 555 e 559. (42) Cosi ANDREANI, La competenza per territorio dei T.A.R. (1974), 79 e segg.; e pure CAIANIELLO, op. cit., 248; per materia, secondo� NIGRO, in Cons. Stato, 1972, Il, 154; v. pure SEPE-PES, op. cit., 375 e 396. (43) Uno di questi -e il pi� importante -riguarda proprio la competenza del C.d.S. per il giudizio di ottemperanza nei casi previsti dal 20 comma (giudicati dell'A.G.0.) nonch� dal combinato disposto del 3� e 4� comma (giudicati propri, non meramente confermativi) dell'art. 37 in esame (cfr. SANDULLI, I Tribunali amm.vi regionali (1972), 82 e seg.; e ancora SANDULLI, Manuale, cit., 924). Altro caso -rarissimo -sarebbe (sempre secondo SANDULLI, Manuale, cit., 945) quello della competenza del C.d.S. a conoscere delle controversie in materia di sospensione degli amministratori degli Enti locali ai sensi dell'art. 6 della legge 23 dicembre 1966 n. 1147. Altro caso ancora (secondo VIRGA, op. cit., 89 nt. 2) quello -pur esso di rarissima applicazione -del procedimento speciale di cui all'art. 33, 2� comma, T.U. Cons. Stato. Venuta meno, per effetto della declaratoria di illegittimit� costituzionale dell'art. 40, 10 comma, della legge n. 1034 del 1971 (C. Cost.le, 12 marzo 1975 n. 61, in Foro It., 134 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del Consiglio di Stato in grado unico): il relativo giudizio di ottemperanza compete senz'altro allo stesso -Consiglio di Stato (44); b) decisione emessa dal Consiglio di Stato in grado di appello non confermativa -non rileva se in tutto o in parte -della decisione emessa in primo grado dal T.A.R.: il relativo giudizio di ottemperanza compete anche qui senz'altro allo. stesso Consiglio di .Stato (45). c) decisione emessa dal Consiglio di Stato in grado di appello confermativa -e deve necessariamente intendersi, in ,assenza di diversa lettera della norma, integralmente confermativa, ossia di rigetto integrale dell'appello proposto (46) -della decisione emessa in primo grado dal T.A.R.: il relativo giudizio di ottemperanza compete qui al T.A.R. (47), ma per l'appunto solo ed in quanto -e deve di necessit� ag,giungersi: solo a partire dal momento in cui, dato che sino a tale momento � del tutto impossibile affermare se una tal conferma sia o meno intervenuta -vi sia stata una conferma della sentenza di primo grado da parte del Consiglio di Stato in sede di appello; d) decisione emessa dal T.A.R. in primo grado, ma ancora suscettibile di appello o gi� appeilata: il relativo giudizio di ottemperanza non � ancora proponibile (48); vi � cio�, a nostro avviso, una vera e propria carenza, sia pure temporanea, di giurisdizione, proprio perch� ancora non si sa, ed � impossibile saperlo, se la competenza di natura funzionale appartenga ad esso stesso T.A.R. (nella ipotesi di conferma integrale della decisione in grado di appello) ovvero al Consiglio di Stato (nell'ipotesi inversa di riforma, sia pur solo parziale, della decisione in sede di appello); 1975, I, 785) � la residua (ancorch� di attribuzione dubbia in dottrina: cfr. SANDULLI, Manuale, cit. 92/J nt. 235 contro VIRGA, op. cit., 103 nt. 5) competenza in grado unico del C.d.S. per le controversie sugli atti degli organi centrali dello Stato o di Enti ultraregionali con efficacia locale limitata alla Sicilia, che non erano passati alla competenza del T.A.R. Sicilia ai sensi della norma ora citata. Transitoria � infine -e cio� sino alla emanazione della nuova legge prevista dall'art. 1, 4� comma, della legge n. 1034 del 1971 -la competenza in grado unico del C.d.S. sulle materie che sarebbero di spettanza della sezione staccata di Bolzano del T.A.R. Trentino-Alto Adige (cfr. sez. V, ord. 4 maggio 1973 n. 150, in Giur. It., 1973, 3, I, 305, con nota contraria di SANDULLr); sulla residua giurisdizione in unico grado del C.d.S. v. da ultimo JAarccr, in Riv. amm.va, 1975, I, 526 e segg. (44) Ex art. 37, 3� comma, legge istitutiva. (45) Ex art. 37, 40 comma (a contrario), legge istitutiva. (46) Cos�, esattamente, SANDULLI, Manuale, cit., 962. Qualche dubbio potrebbe insorgere relativamente a una riforma soltanto in punto spese di giudizio (che, peraltro, rappresenta un capo autonomo di condanna): in tale ipotesi saremmo dell'avviso di ritenere assorbente la pronuncia principale confermativa dell'annullamento gi� pronunciato in primo grado dal T.A.R., con la conseguenza che la competenza per il giudizio di ottemperanza sarebbe dello stesso T.A.R., ancorch� il C.d.S. in sede di appello si sia pronunciato diversamente in punto di spese (punto che, secondo noi, non potrebbe comunque costituire oggetto di un giudizio di ottemperanza, ma, se mai, solo di esecuzione forzata nelle vie ordinarie). (47) Ex art. 37, 40 comma, legge istitutiva. (48) Non sfuggir� certamente all'attenzione di chi legge come l'ipotesi in considerazione (sub d)) non rientri n� nella previsione del 3� comma, n� in quella del 40 comma, n� in quella risultante dal combinato disposto di entrambi gli ultimi comma dell'art. 37 legge istitutiva: in altri termini, manca qui, propriamente, La norma astratta attributiva dei diritto di azione (improponibilit� assoluta della domanda) e dei correlativo potere di cognizione in capo a qualsiasi organo giurisdizionale (vuoi del complesso amministrativo vuoi al di fuori di questo). I ~ fil I I m II PARTE II, QUESTIONI e) decisione emessa dal T.A.R. in primo grado, non pi� suscettibile di appello (e quindi passata formalmente in .cosa giudicata): il relativo giudizio di ottemperanza � ora ;proponibile e compete allo stesso T.A.R. (49). Poich� all'infuo;ri delle cinque ipotesi qui sopra elencate non sussiste, sul piano logico-giuridico, alcuna altra possibilit� (50), � agevole concludere che, in base alla stessa esegesi testuale dell'art. 37 della legge istitutiva dei T.A.R., si pu� pervenire alla dimostrazione che � logicamente -oseremmo quasi dire matematicamente -impossibile ritenere la immediata proponibilit� del ricorso diretto ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'Amministrazione di conformarsi alla decisione del giudice amministrativo, nel caso (che coincide esattamente con quello da noi sopra pro,spettato sub d) che tale ottemperanza riguardi una decisione emessa in primo ,grado dal T.A.R., ma che sia stata gi� gravata di appello o sia tuttora suscettibile di esserlo. Invero, in sintesi, posto che l'ultimo comma dell'articolo in esame attribuisce al T.A.R. la competenza per il giudizio di ottemperanza alle decisioni emesse dallo stesso T.A.R. solo alla .condizione che le stesse siano state confeirmate dal Consiglio di Stato in sede di appello, la logica giuridica -e prima ancora quella comune -non consente in alcun modo di sfuggire alla conclusione che, quando tale appello sia ancora possibile ed a fortiori quando esso sia ancora pendente -non sussiste, ancora, alcuna competenza n� del T.A.R. n� del Consiglio di Stato in proposito. Ed anzi di pi�, non essendovi, a quel che ne consta, alcun altro .giudice -sia pur pro tempore -competente nell'ordinamento vigente, � gioco-forza ritenere che non sussista, ancora, alcuna giurisdizioine, n� del T .A.R. n� del Consiglio di Stato, in merito al suddetto .giudizio di ottemperanza. � �quindi solo allorch� l'appello non sia pi� ;possibile (ipotesi da noi sopra prospettata sub e]) ovvero esso sia stato esperito, ma si sia concluso con una decisione di integrale rigetto (ipotesi da noi sppra prospettata sub c]) che compete -ma ci� soltanto a partire dal momento in cui dette circostanze si siano realizzate -al T.A.R, ed � pertanto proponibile innanzi ad esso, il giudizio di ottemperanza secondo le previsioni, rispettivamente, del comma 3� e del �Comma 4� dell'art. 37 della legge n. 1034 del 1971. (49) Ex art. 37, 3� comma, legge istitutiva. Che si tratti dello stesso T.A.R. che ha emesso la decisione da � ottemperarsi � sembra anche a noi pacifico, malgrado la dizione, non certo esemplare per chiarezza, usata in proposito ( � tribunale amministrativo regionale territorialmente competente secondo l'organo che ha emesso ia decisione, della cui esecuzione si tratta�) e che non ha mancato di suscitare perplessit� (sulle quali vedasi ANDREANI, op. cit., 80 e segg., il quale � per la tesi della stretta corrispondenza tra organo che ha emesso la decisione e organo che giudica in sede di ottemperanza, seguito da VIRGA, o:p. cit., 83; SANDULLI, Manuale, cit., 969; SEPE-PES, op. cit., 397; CAIANIELLO, op. cit., 247). (50) Vi sarebbero, ancora, in teoria, le decisioni del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Sicilia (in grado unico e in grado di appello) e i relativi giudizi di ottemperanza, di cui il legislatore, nella fretta, si � completamente dimenticato; ma ci� non pu� significare altro, a nostro avviso, che per tali decisioni rimangono ferme le regole preesistenti (cfr. art. 40, 2� comma, della legge n. 1034 del 1971) e che quindi il relativo giudizio di ottemperanza competa allo stesso C.G.A. Sicilia (cosi pure SANDULLI, Manuale, cit., 962; nonch� SANDULLI, I tribunali amm.vi regionali, cit., 83; erroneo SEPE-PEs, o;p. cit., 397, ove si attribuisce tale competenza al C.d.S.); la presenza di tali decisioni del C.G.A. Sicilia, essendo esse in tutto assimilate o assimilabili a quelle del C.d.S. -e quindi rientranti, a seconda dei casi, nelle ipotesi sub a), sub b) o sub c) di cui al testo -non � in grado, comunque, di spostare sostanzialmente i termini della questione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 136 Il dato testuale di questa legge, mediante la esegesi che s1 e sopra effettuata dell'art. 37, 3� e 4� comma, consente quindi di superare ogni sia pur residuo dubbio in ordine alla fondatezza della tesi che, sia pur temporaneamente, il T.A.R. difetti di giurisdizione in merito al giudizio di ottemperanza alle decisioni da esso emesse, ma non ancora passate in cosa giudi.cata. Il meccanismo stesso dell'art. 37 di detta legge non consente infatti, seppw:e fosse vero che l'art. 27 n. 4 del t. u. n. 1054 del 1924 lo consentisse, di ritenere che il termine � giudicato � � possa essere assunto, quanto meno in riferimento alle decisione dei T.A.R., in un senso diverso da quello storicamente proprio dell'istituto della cosa giudicata (sia formale che sostanziale} (51}. 9. -N�n ci sembra poi inopportuno ag,giungere alcune osseirvazioni o perplessit� di ordine �preV1alentemente pratico, ma non soltanto pratico, che l'accettazione del punto di vista qui combattuto, quello cio� favorevole alla immediata proponibilit� del giudizio di ottemperanza alle decisioni di annullamento emesse dai T.A.R. e non ancora passate in giudicato, inevitabilmente suscita. A} Sul piano delle implicazioni di ordine pratico � sufficiente qui un breve accenno, essendo la cosa di� per s� intuitiva, ai deleteri effetti sull'ordinato svolgimento dell'attivit� amministrativa che deriverebbero dall'ammettere che la pubblica Amministrazione, qualora la � esecutivit� � delle decisioni dei T.A.R. dovesse intendersi nel senso pi� ampio e cio� comprensivo dell'obbligo di immediata ottemperanza, sia tenuta a porre immediatamente in essere ogni attivit� ulteriore e .conseguenziale alla pronuncia di primo grado, idonea ad adeguare la situazione di fatto alla situazione di diritto; e ci� pur con il :rischio, tutt'altro che teorico, di compiere in tal modo attivit� del tutto vane e non di rado produttive di conseguenz.e dannose irreparabili, qualora la decisione di primo grado venga successivamente riformata in grado di appello. Non � chi non veda .quanto sia poco consigliabile gravare di siffatto � obbligo � di porre in essere attivit�, destinate a risolversi nel nulla in caso di riforma della decisione �da ottemperarsi�, organismi amministrativi, come quelli oggi esistenti, �gi� oberati da compiti immani e sempre pi� crescenti e per di pi� ridotti nelle condizioni di efficienza operativa tutt'altro che ottimali, a tutti ben note. N� varrebbe, in contrario, addur�re l'inconveniente, o per dir meglio. il pericolo, che, ader.endosi alla tesi da noi qui sostenuta, si potrebbe �dar modo all'Amministrazione che volesse procrastinare maliziosamente la totale soddisfazione o reintegrazione del legittimo interesse e persino del diritto � civile o politico� del cittadino, che il T.A.R. abbia riconosciuto leso, .di attuare, mediante la proposizione di appelli pretestuosi e defatigatori, tale suo pravo disegno, confidando all'uopo nelle lungaggini procedurali e nella crisi della nostra giustizia, anche amministrativa (52). E ci� perch�, a parte il �ben noto detto scolastico per cui � adducere inconveniens non est solvere argumentum � (soprattutto veiro quando l'inconveniente � di natura pratica e l'argomento no), (51) Il che, del resto, trova conferma nel disposto dell'art. 90, 20 comma, del Reg. di proc. del C.d.S. approvato con R.D. 17 agosto 1907 n. 642 (norma applicabile anche innanzi ai T.A.R. per effetto dell'art. 19, 1� comma, legge istitutiva), ove � stabilito che i ricorsi per ottenere che l'Amm.ne si conformi al giudicato �possono essere proposti finch� duri l'azione di giudicato� (cfr. AzzARITI, in Rass. Avv. Stato,. 1969, I, 1100). (52) Questo motivo pratico � uno di quelli cui si richiama, tra le altre, la dee. n. 10 del 1969 dell'A.P. (v. Foro amm.vo, 1969, 1, 2, 173). PARTE II, QUESTIONI l'esperienza concreta ha sinora dimostrato, con la rapidit� davvero esemplare con la quale il Consiglio di Stato ha fissato per la discussione e gi� deciso la maggior parte degli appelli -peraltro non numerosi -innanzi ad esso proposti avverso decisioni dei T.A.R., che l'Amministrazione che fosse animata da intenti puramente defatigatori sba,glierebbe senz'altro, e di molto, i propri maliziosi calcoli. B) Sempre sul piano pratico -ma non solo su tale piano -si presentano, a nostro avviso, ulteriori perplessit�, derivanti dal fatto che, qualora dovesse ammettersi la immediata proponibilit� del giudizio di ottemperanza rispetto alle decisioni dei T.A.R. non ancora passate formalmente in cosa giudicata, verrebbero ad insorger.e, nella pratica, problemi assai gravi e pressoch� insolubili allo stato dell'attuale normativa in materia -di coordinamento tra eventuale giudizio di appello, promosso ex art. 28, 2� comma, della legge n. 10'34 del 1971, e giudizio di ottempe;ranza, promosso ex art. 37, 3� comma, della stessa legge. Il primo pendente,. di norma, come giudizio di mera legittimit� (in sostanza quale prosecuzione di quello di primo. grado svoltosi innanzi ail T.A.R.), innanzi al Consiglio di Stato; il secondo pendente, come giudizio esteso anche al merito, innanzi all'organo giurisdizionale di primo grado cio�, normalmente (53), innanzi allo stesso T.A.R. che ha emesso la decisione della cui �esecuzione � si tratta. Il coordinamento tra i due giudizi -che sono, com'� noto, entrambi giudizi di cognizione (54) -non regolato in alcun modo dal Legislatoce, non potrebbe trovare altra possibilit� di soluzione se non, forse, nel generale istituto processuale della sospensione, se ed in quanto �esso possa essere ritenuto applicabile ai rapporti tra processi pendenti tra organi della giustizia amministrativa di diversa competenza funzionale. Ma, anche in tale prospettiva, non appare pensabile altra soluzione che quella della necessaria sospensione__..:. per pregiudizialit� -de!l giudizio di ottemperanza (in ipotesi pendente innanzi al T.A.R.) in attesa della decisione sull'appeno (in ipotesi pendente innanzi al Consiglio di Stato): non .gi� la soluzione inversa che sarebbe, all'evidenza, priva di senso comune. Col che, per�, si tornerebbe, in pratica, alla tesi da noi qui propugnata, quella cio� deH.a improponibilit�, almeno temporanea, di un giudizio di ottemperanza in pendenza dell'appello avverso la decisione � da ottemperare �. Altrimenti, non resterebbe che pren (53) V. supra nt. 49; comunque, anche a non voler accedere alla tesi degli autori ivi citati e a voler ritenere che la competenza spetti al complesso dei T.A.R., ripartendosi poi specificamente al loro interno secondo i criteri generali di competenza (territoriale) della legge istitutiva (sopratt. art. 3, 20 e 30 comma), le ipotesi di non coincidenza tra T.A.R. che ha emesso la decisione da �ottemperarsi� e T.A.R. competente per il giudiz~o di ottemperanza sembrano, gi� in astratto, di rarissima ricorrenza. (54) Che tale sia anche il giudizio ex art. 27 n. 4 T.U. Cons. Stato (e ora ex art. 37 legge istitutiva dei T.A.R.) � pressocch� pacifico nella dottrina; cfr. NIGRO, in Rass. dir. pubbi. 9 (1954), 228 e segg., partic. 277 e segg.; MoNTESANO, in Foro amm.vo, 1963, I, 248 e seg.; SANDULLI, Il giudizio, cit., 169 e segg.; SANDULLI, Manuale, cit., 963 e seg.; e soprattutto fondamentale per la configurazione dell'azione ex art. 27 n. 4 come vera e propria actio iudicati (cognitoria) CANNADA-BARTOLI, in Riv. It. Se. Giur. 86 (1949), 251 e segg., partic. 291 e segg.. Il GIANNINI M.S. (v. soprattutto Contenuto e limiti del giudizio di ottemperanza, in Atti, cit., 117 e segg., partic. 141 nt. 14) ritiene invece che tale giudizio, per evoluzione storica interna, operatasi principalmente tramite la giurisprudenza, si sia trasformato da giudizio di cognizione in giudizio di esecuzione (sia pure in senso lato e non coincidente, neppure per questo autore, con la esecuzione forzata ordinaria). 138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dere atto di una grave anomalia del vigente ordinamento processuale amministrativo. 10. -A conclusione, nonch� a dprova ulteriore della fondatezza e legittimit� delle tesi sin qui esposte, non ci sembra infine fuor di luogo richiama �re l'attenzione sui gravi pt"oblemi e sui pi� che giustificati dubbi che potrebbero insor.gere in ordine alla stessa .conformit� delle norme della legge istitutiva dei T.A.R. dianzi prese in esame (artt. 33, 1� comma, e 37, 3� e 4� comma) ai principi della vigente Carta costituzionale, qualora si ritenesse di accedere alla tesi della proponibilit� immediata del giudizio di ottemperanza ["ispetto alle decisioni di annullamento emesse dai T.A.R. e non ancora passate in giudicato. A) Al riguardo va preso qui in attenta considerazione, in primo luogo, lo stesso art. 113, ultimo comma, della Costituzione. Orbene, se alla sentenza di annullamento emessa dal T.A.R. si dovesse attribuire una efficacia costi tutiva di natura definitiva, o come se definitiva, come sembrerebbe ineluttabile alla 'Stregua delila tesi qui �combattuta, non � chi non veda come siffatta efficacia assai difficilmente potrebbe conciliarsi con il disposto della citata norma della Costituzione (55), nella qual.e pe;r � organi di giurisdizione � ai quali compete il potere di annullamento degli atti dehla pubblica Amministrazione debbono intendersi -come razionalmente si impone, trattandosi qui di una mani:flestazione tra le pi� evidenti del pi� generale principio costituzionale della separazione dei poteri dello Stato e come � dimostrato, esegeticamente, dal confronto con la identica dizione usata dal costituente nel 1� comma delilo stesso articolo 113 -i compless.i giurisdizionali globalmente intesi, tra i quali si ripartisce il compito della tutela dei diiritti e degli interessi legittimi, e non gi� i singoii organi di ciascun complesso o addidttura gli organi di primo grado di un determinato complesso giurisdizionale (56). Questa osservazione si ricollega e in certo senso completa quanto gi� prima si � avuto occasione di rilevare (57) .ciirca [a impossibilit� concettuale, oltre che pratica, di una attivit� amministrativa � condizionata � o � precaria � o � provvisoria �. La pubblica Amministrazione, invero, nel perse (55) Art. 113, ult. comma, Cost.: e la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa �. (56) Pare comunque da escludere che l'ultimo comma dell'art. 113 Cost. stabilisca in ogni caso, e quindi anche con riguardo alle sentenze dei T.A.R., una garanzia costituzionale circa la natura di annullamento pieno e definitivo degli atti amm.vi da parte dell'organo giurisdizionale : la norma costituzionale, infatti, riserva alla legge ordinaria di determinare i � casi � e soprattutto gli � effetti � di tale annullamento, e tali effetti ben possono essere, a seconda degli organi e dei casi, appunto effetti soltanto limitati o semipieni (per spunti in tal senso v. anche C. Cost.le, 7 luglio 1962 n. 87, in Giur. cost., 1962, 933 e segg. ed ivi, 935 e segg., nota adesiva, sul punt-0 in questione, di ScocA F.G.; v. anche, incidentalmente, C. Cast.le, 16 giugno 1964 n. 47, ivi, 1964, 586 e segg.). Sulla reale portata della disposizione dell'art. 113, ult. comma, Cost., anche con riferimento ai lavori preparatori, v. LESSONA, La funzione giurisdizionale, in Comm. sist. Cost. Ital. a cura di Calamandrei e Levi (1950), vol. II, 199 e segg., partic. 219 e seg., secondo cui la intenzione dei costituenti fu soprattutto quella di far cadere il divieto di annullamento degli atti amm.vi posto della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E al giudice ordinario, dando la possibilit� alla legge ordinaria di consentirgli di annullare gli atti amm.vi, nei casi e con gli effetti che essa stessa avrebbe determinato. (57) V. supra � 7, sub A. PARTE II, QUESTIONI guire i propri fini istituzionali, noh pu� agire se non in base a comandi e direttive assistiti dal carattere della certezza giuridica; e allorch� appunto tali comandi provengano, vuoi direttamente vuoi per il tramite di un conseguenziale obbligo di conformarvisi, dall'Organo giurisdizionale, essi non possono avere detto carattere di certezza, se non quando siano definitivi o per loro natura o per l'Lnutile decorso dei termini di impugnativa (58). Tornando alll'art. 113, ultimo comma, della costituzione, ci sembra che soltanto� se si adotta fa inter.pretazione :restrittiva o riduttiva del termine � esecutive�, di cui all'art. 33 della legge istitutiva dei T.A.R. da noi qui difesa (nel senso cio� che siffatta e esecutivit� � o si riferisce alle sole sentenze di condanna ovvero, quand'anche sia ll'iferita alle sentenze costitutive di annullamento, non ha una .portata maggiore di una sospensione d'efficacia dell'atto impugnato e serve solo a paralizzarne medio tempore ~li ulteriori effetti .e non gi� a creare obblighi immediati di confo:rmarsi), non pu� sorgere alcun problema circa la legittimit� .costituzionale di tale norma della legge n. 1034 del 1971. E cos� � poce, a �ben vedere, per l'art. 37, ultimo comma, nella interpretazione da noi sopra suggerita (5�9). B) Ancor pi� evidente appaire, in secondo !luogo, il contrasto della tesi qui combattuta con il disposto dell'art. 125, 2� comma, della Costituzione, nel �quale si stabilisce �Che: � nella Regione sono istituiti otgani di giustizia amministrativa di primo grado, secono l'ordinamento stabilito da le�gge della Repubblica � . .Si � volutamente sottolineato l'inciso � or.gani... di primo grado �, perch� da esso traspare evidentisstmo che carattere peculiare dell. nuovo sistema di giustizia amministrativa, come ideato dal legislatore costituente e quale attuato dalla legge n. 1034 del 1971, � appunto quello del doppio grado di giurisdizione amministrativa; vale a dire del duplice sindacato di legittimit� sugli atti della pubblica Amministrazione da parte, dapprima, di un organo avente sede � neUa Regione� e, .successivamente, in grado di appello, da parte di un organo superiore avente competenza territoriale generale (Consiglio di Stato). Si vuol poi sottolineare ulteriormente come la espressione � di primo grado � postuli, di ne.cessit�, che il � secondo gr�ado � debba disporre degli stessi poteri, �quanto al sindacato di legittimit�, che sono attribuiti al primo. Il costituente, cio�, non awebbe potuto certo usare la �espressione e di primo grado �, qualora avesse voluto intendere altrimenti, ossia confLgurare il � secondo grado � come grado di mera impugnativa e non di vero e proprio gravame (60), con poteri cio� in ce�rto senso analoghi a quelli del giudice di cassazione rispetto ai .giudici del merito, anzich� con i poteri propri del giudice di appello ll'ispetto a �quello di prLmo grado (come in realt� �, e non pu� non essere, anche alla stregua de.Ua normativa oggi in vigore: cfr. artt. 28, 4� comma (61) e 35, 3� comma� (62), della legge n. 1034 del 1971) (63). (58) In tal senso gi� RANELLETTI, in Riv. trim. dir. pubbl., 1951, 78 e seg., il quale vi aggiunse anche l'ipotesi della rinuncia-acquiescenza (espressa o tacita). (59) V. supra � 8. (60) Per la diversit� dei due concetti cfr. SANTANIELLO, op. cit., 73 e segg. (61) � In ogni caso, il Consiglio di Stato in sede di appello esercita gli stessi poteri giurisdizionali di cognizione e di decisione del giudice di primo grado �. (62) �In ogni altro caso� -diverso ci~ dal rinvio al T.A.R. -�il Consiglio di Stato decide sulla controversia �. (63) Cfr. VIRGA, op. cit., 90 e seg.; ESPOSITO, in La giustizia amm.va, a cura di GIANNINI M.S. (1972), 175 e seg.: FAZZALARI, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, 1898 e 140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Invece, proprio una tail conclusione, di assai pi� che dubbia legittimit� costituzionale alla luce della norma in esame (arrt. 125, 2� comma, Cost.), dovrebbe ineluttabi�lmente imporsi, qualora si dovesse attribuire alle sentenze di annullamento dei T.A.R. una immediata e definitiva efficacia costitutiva o una assai simile �a questa. Il compito affidato al Consiglio di Stato quale giudice dell'appello sarebbe, allora, non gi� quello di un giudice � di secondo grado �, bens� quello, o quanto meno uno assai ,simile a quello, del giudice di cassazione rispetto alla sentenza del giudice d'appello esecutiva per sua natura (64). � E non sarebbe poi questa l'unica anomalia. Infatti, qualora si dovesse ammettere che l'atto amministrativo originariamente impugnato innanzi al T.A.R. ,sia stato da questo, con la decisione di annull.lamento, posto immediatamente e definitivamente nel nulla, l'eventuale II'iforma della sentenza di primo grado da parte del Consiglio di Stato avr.ebbe, addirittura, l'effetto di � ricreare � ex novo l'atto amministrativo originario; e ci� in virt� della vis ex.ecutiva propria di una siffatta pronuncia costitutiva emessa dal giudice dell'appello e comunque propria dellle decisioni del Consiglio di Stato in base ai p!l'incipi generali. Il che � per� chiaramente assurdo; e comporterebbe comunque un tale sconvolgimento del vigente sistema di giustizia amministrativa, nonch� dello stesso principio di separazione tra attivit� di amministrazione attiva e attivit� di giurisdizione, da non potersi razionalmente ammettere che un disegno innovativo di tale portata sia stato perseguito ed attuato dal legislatore ordinario con la emanazione delle citate norme dedla legge istitutiva dei T.A.R. (65). �� C) Vengono, infine, in considerazione, sempre ove si voglia seguiire la tesi qui combattuta, gli artt. 3 e 24, 1� e 2� comma (e si potrebbe aggiungere anche 97, 1� comma) della Costituzione. 11 discorso, al.riguardo, pu� essere assai breve. La �esecutivit� � immediat. a delle sentenze di annullamento dei T.A.R. intesa nel senso pi� ampio, ossia come creativa di un obbligo immediato per la pubblica Amministrazione di porre in essere attivit� ulte-riore e conseguenziale alla pronuncia di !primo :grado, per conformarvisi, e ci� pur nclle more del termine per appellare o del gi� �pendente a�ppello, finirebbe fatalmente col rendere del segg., parti�, 1900 e segg. Gravame appellatorio attenuato viene definito l'ap' pello al c.c1,;s., dal SANDULLI, Manuale, cit., 1010 (vero e proprio carattere appellatorio invece, in SANDULLI, I Tribunali amm.vi regionali, cit., 79) per la compresenza di alculli caratteri propri del giudizio di cassazione; per una natura ibrida v. anche NIGno; in cons: Stato, 1972, II, 144; CAVALLO, voce Tribu.nali Amministrativi Regionali, in NN. Dig., vol. XIX (1973), 749 e seg.; SEPE-PEs, op, cit., 338 e seg.; come ricorsoimpugnativa e ricorso-gravame, a seconda dei casi e delle finalit� del ricorso, configura il nuovo appello SANTANIELLO, op. cit., 74 e seg. Il carattere di giudizio di mera revisione o di cassazione, quale era per lo pi� ritenuto l'appello al C.d.S. contro le decisioni delle G.P.A. (cfr. per tutti PoTOTSCHNIG, voce Appello (dir .amm.vo), in Enc. Dir., voi. II (1958), 781 e segg.), �, a nostro avviso, completamente inaccettabile con riguardo alla: disciplina: dell'appello avverso le decisioni dei T.A.R. anche e soprattutto per effetto dell'art. 125, 2� comma, Cost. (cui si richiama anche PoTOTSCHNIG, loc. cit., 784 e segg.); da ultimo, nello stesso senso, v. LUBRANO, in Riv. amm.va, 1975, I, 1 e segg., partic. 3 e segg. (64) Cfr. art. 373, 1� comma, c.p.c. (ancorch� qui trattisi di esecutivit� soltanto provvisoria). (65) Nessun indizio, bench� minimo, in tal senso pu� ricavarsi dall'esame dei lavori preparatori (Relazioni e discussioni parlamentari) della legge istitutiva dei T.A.R. !:: i:: PARTE II, QUESTIONI tutto apparente ed illusorio, a danno dell'Amministrazione risultata soccombente in primo grado, lo stesso principio del dorppio grado di giurisdizione amministrativa che, come si � test� visto, � stato attuato dal legislatore con la legg.e n. 1034 del 1971. Invero, nel rpi� dei casi, potrebbe benissimo accadere che l'Amministrazione, pur avendo pienamente ragione sul piano giuridico, ancorch� per errore del giudice di primo grado ci� sia stato misconosciuto, sia indotta comunque a non far uso del diritto di appello, perch� tale rimedio potrebbe rivelarsi del tutto inutile ovve�ro addirittu:ra dannoso, per essa e per gli interessi degli amministrati, di fronte alle conse.guenze che si verificherebbero qualoca essa Amministrazione dovesse -come dovrebbe secondo la tesi qui combattuta -prestare frattanto immediata ottemperanza aLla sentenza di primo grado e successivamente, U:na volta vinto l'aooello, rimettere di nuovo tutto il gi� fatto nel nulla per ripristinare -e per giunta ex tunc -la situazione originaria, quella cio� anteriore al ricotrso giurisdizionale innanzi al T.A.R. Le .complicazioni che potrebbero nascere da un siffatto -tutt'altro che teorico -intrecciarsi di pronunce e di relative �ottemperanze� non abbisognano certamente di alcun ulteriore commento. Non si saprebbe poi bene quale sorte sarebbe da riservare, in una siffatta situazione in cui l'Amministrazione abbia prescelto per motivi di opportunit�, solo da .essa apprezzabili, la via della ottemperanza alla decisione di primo grado, al diritto di difesa (sotto specie di diritto di gravarsi d'appello) di spettanza di eventuali controinteressati (66). E se, come sembrerebbe tutto sommato doversi ammettere, si riconosca ai detti controinteressati il diritto di appellare pur quando l'Amministrazione abbia, dal canto suo, immediatamente ottemperato alla decisione di primo grado, non � chi non veda come di pressoch� impossibile soluzione si presenti, allo stato, il problema delle interferenze che si verrebbero a 1creaire con l'attivit� amministrativa nel frattempo svolta nonch� degli effetti che una decisione di appello favorevole ai controinteressati determinerebbe riguardo a tale attivit� (67). Sono tutti interrogativi ai quali non potrebbe trovarsi, in alcun modo, una sicura e soddisfacente risposta ponendosi dal punto di vista qui combattuto e che, per contro, non hanno neppure ragione di essere, ove si acceda invece alla tesi, secondo la quale una ottemperanza alle pronunce dei giudici amministrativi -cos� come a quelle dei giudici ordinari -non pu� (66) 'Si pensi agli esempi fatti sopra (� 5) dell'annullamento dello scrutinio di promozione a scelta o della gara per l'aggiudicazione di un appalto di servizi, in entrambi i quali � indubbia la presenza di controinteressati: dovrebbe, in siffatti casi, ammettersi, quanto meno, che il giudizio di ottemperanza, se immediatamente proponibile, si svolga anche in contraddittorio con costoro (ma ci� sarebbe conforme alla natura originaria e propria del giudizio di ottemperanza?). (67) Si � gi� proposto, in pratica, il caso di Amm.ni che hanno dato ottemperanza spontanea alla decisione di primo grado non ancora passata in giudicato e successivamente appellata dai controinteressati: sar� interessante vedere come il C.d.S. uscir� fuori da siffatti pasticci procedurali; e soprattutto come, in caso di riforma della sentenza del T.A.R., sar� possibile ottenere che� l'Amm.ne si conformi alla decisione di riforma emessa dal C.d.S. (sta, forse, per profilarsi all'orizzonte la figura di un obbligo di ottemperanza di � 2� grado � o, se si vuole, di una � superottemperanza �? Si noti poi che, a rigore, avendovi :fatto tacita acquiescenza l'Amm.ne, la sentenza del T.A.R. dovrebbe ritenersi passata in giudicato nei confronti della stessa Amm.ne, con la conseguenza che nel giudizio di appello promosso dai controinteressati quest'ultima, a nostro avviso, non sarebbe parte neppure in senso formale). 142 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nascere se non dalla definitiva certezza .giuridica, quale � prodotta soltanto dal giudicato. Appare, comunque, innegabile come l'accettazione della tesi qui combattuta finirebbe, 11 pi� delle volte, col creare all'Amministrazione drammatici problemi di scelta tra esercizio del dirritto di difesa in giudizio (sotto specie di diritto di appelilarsi) e confoxmit� della propria azione ai principi di buona amministrazione (art. 97, 1� comma, Cost.); e coll'indur.re l'Amministrazione, in <base �a considerazioni di opportunit�, a dover Tinunciare al diritto di difesa sopra detto, anche ad essa costituzionalmente garantito dall'art. 24 della Costituzione (68); nonch� col por.re essa Amministrazione in una situazione di evidente sostanziale disparit� rispetto ai privati (siano questi i ricorrenti ovvero i �Controinteressati), con possibilit� di lesione, pertanto, anche dell'art. 3 della vigente Costituzione. PAOLO COSENTINO �1'. i ~ ilif: f: !: f (68) Primo e soprattutto secondo comma: � la difesa � diritto inviolabile in ogni stato e grado dei procedimento�. . �1i:' . li I LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI D.I. 20 febbraio 1968, n. 59, art. 13, secondo comma. Sentenza 30 ottobre 1975, n. 232, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. d.I. 20 febbraio 1968, n. 59, art. 13, terzo comma, limitatamente alla parte in cui ha reso possibile al Governo di emanare norme regolamentari non necessarie per l'applicazione di regolamenti (CEE) 13 giugno 1967, n. 120, e 21 agosto 1967, n. 473. Sentenza 30 ottobre 1975, n. 232, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. d.I. 19 dicembre 1969, n. 947, art. 16, primo comma. Sentenza 30 ottobre 1975, n. 232, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. d.I. 19 dicembre "1969, n. 947, art. 1_6, secondo comnia, limitatamente alla parte in cui ha reso possibile al Governo di emanare norme regolamentari non necessarie per l'applicazione di regolamenti (CEE) 13 giugno 1967, n. 120, e 21 agosto 1967, n. 473. Sentenza 30 ottobre 1975, n. 232, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, artt. 314/4, 314/8 e 314/11 (artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione). Sentenza 30 ottobre 1975, n. 234, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. codice di procedura civile, artt. 659 e 665 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Sentenza 17 dicembre 1975, n. 238, G. U. 24 dicembre 1975, n. 339. codice penale, art. 707 (artt. 25, secondo comma, 3, primo comma, anche in relazione all'art. 24, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 30 ottobre 1975, n. 236, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. codice penale, art. 720 (artt. 3, 14, 17, 18 e 41 della Costituzione). Sentenza 30 ottobre 1975, n. 237, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.I. 2 febbraio 1948, n. 23 (artt. 2 e 6 della Costituzione). Sentenza 17 dicembre 1975, n. 239, G. U. 24 dicembre 1975, n. 339. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91, secondo comma (artt. 24 e 25 della Costituzione). Sentenza 30 ottobre 1975, n. 235, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. legge 20 maggio 1970, n. 300, artt. 14, 20, 27 e 28 (artt. 1, 3 e 39, primo comma, della Costituzione). Sentenza 17 dicembre 1975, n. 241, G. U. 24 dicembre 1975, n. 339. d.P.R. 1� febbraio 1973, n. 50, art. 9, terzo comma (artt. 2, 4, 25, 56 e 63 dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige). Sentenza 17 dicembre 1975, n. 240, G. U. 24 dicembre 1975, n. 339. III -QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, art. 751 (artt. 3 e 42, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Sciacca, ordinanza 26 giugno 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. codice civile, art. 1886 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Rieti, ordinanza 29 settembre 1975, G. U. 17 dicembre 1975, n. 332. codice civile, art. 1916 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 18 dicembre 1974, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. codice civile, art. 2096, terzo comma, prima .parte (art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 30 maggio 1975, G. U. 3 dicembre 1975, n. 320. codice civile, art. 2948, n. 4 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanze 9, 28 e 30 giugno 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. codice di procedura civile, art. 140 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanze 26 maggio 1975 (G. U. 26 novembre 1975, n. 313) e 20 giugno 1975 (G. U. 19 novembre 1975, n. 306). PARTE II, LEGISLAZIONE codice di procedura civile, artt. 414 e 416, secondo e terzo c�omma, 418, primo comma, 420, primo e quinto comma, 421, secondo comma e 420, sesto comma, 423, secondo comma e 43.1, primo e ultimo c�omma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 21 giugno 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. codice di procedura civile, art. 416 (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Pretor.e di Finizzano, ordinanza 27 giugno 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. codice di procedura civile, art. 629 (art. 3, primo comma, della Costituzione). Tribunale di Civitavecchia, ordinanza 23 . maggio 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. codice penale, artt. 2, terzo comma, 163 e 164 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Alatri, ordinanza 14 giugno 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. codice penale, artt. 89 e 169 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 25 settembre 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. codice di procedura penale, art. 88 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Giudice istruttore del tribunale di Venezia, ordinanza 2 agosto 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. codice di �procedura penale, art. 171 (artt. 3 e 24 della Costitl,lzione). Pretore di Roma, ordinanza 30 maggio 1975, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. codice di procedura penale, art. 304-quater (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Tolmezzo, ordinanza 10 giugno 1975, �G. U. 19 novembre 1975, n. 306. c�odice di procedura penale, art. 428, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Varese, ordinanza 23 maggio 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. 146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di .procedura penale, art. 618, primo e secondo comma (art. 25, primo comma, della Costituzione). ' Pretore di Roma, ordinanza 14 luglio 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. r.d. l1 luglio 1907, n. 560, art. 92 (artt. 3, 23 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Milano, ordinanza 15 gennaio 1975, G. U. 3 dicembre 1975, �n. 320. legge 7 gennaio 19'29, n. 4, art. 20 (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, terza sezione penale, ordinanza 7 marzo 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. legge 7 gennaio 1929, n. 4, art. 60 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Palermo, ordinanza 6 agosto 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 17 (artt. 2, 3, 7, 24, 25, 29, 101 e 102 della Costituzione). Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 3 luglio 1975, G. U. 3 dicembre 1975, n. 320. r.d. 8 gennaio 193.1, n. 148, art. 18 del modello unico di statuto di cui all'allegato B (al't. 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Biella, ordinanza 18 gennaio 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 10, secondo e terzo c�omma (artt. 3, 24 e 36 della Costituzione). Giudice del lavoro del tribunale di Napoli, ordinanza 3 luglio 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. r.d. 8 gennaio 11931, n. 148, allegato A, artt. 26, quinto e sesto comma, e 27, quarto comma (artt. 3, 35 e 36 della Costituzione). Sezione distaccata di corte d'appello di Salerno, ordinanze 28 gennaio 1975 (quattro), G. U. 17 dicembre 1975, n. 332. r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 18, terzo comma (artt. 3, 17, 21 e 27 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 25 novembre 1974, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. PARTE II, LEGISLAZIONE 147 r.d.I. 27 novembre 1933, n. 1578, artt. 5 e 6 (artt. 24, secondo comma, 3, primo comma, 4 e 41 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 29 settembre 1975, G. U. 3 dicembre 1975, n. 320. legge 17 luglio 1942, n. 907 (art. 23 della Costituzione). Corte di appello di Venezia, ordinanze 20 febbraio, 3. marzo, 24. aprile, 5 maggio, 17 e 31 maggio 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 45 e seguenti (artt. 41 e 43 della Costituzione). Corte di cassazione, terza sezione penale, ordinanza 7 marzo 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. Corte di appello di Bari, ordinanze 14 e 21 aprile, e 2 e 3 maggio 1975, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. Tribunale di Bologna, ordinanze 6 e 30 maggio 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. Tribunale di Roma, ordinanza 26 agosto 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. Tribunale di Ferrara, ordinanza 30 settembre 1975, G. U. 3 dicembre 1975, n. 320. Tribunale di Rovigo, ordinanze 6 e 23 ottobre 1975, G. U. 17 dicembre 1975, n. 332 e 24 dicembre 1975, n. 339. Tribunale di Casale Monferrato, ordinanza 16 ottobre 1975, G. U. 24 dicembre 1975, n. 339. legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 45 e seguenti, e 64 e seguenti (artt. 41 e 43 della Costituzione). Tribunale di Varese, ordinanza 24 giugno 1974, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 65, 66 e seguenti (artt. 41 e 43 della Costituzione). Corte di cassazione, terza sezione penale, ordinanza 20 giugno 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. d.l.C.p.S. 1� aprile 1947, n. 273, art. 1, lettera a (artt. 44 e 3 della Costituzione). Tribunale di Brescia, ordinanza 26 maggio 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. d.P.R. 9 maggi�o 1950, n. 203, art. 65 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 9 gennaio 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.l.P. reg. sicHiana 29 ottobre 1955, n. 6, artt. 250 e 253 (art. 103, secondo comma, della Costituzione). Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione siciliana, ordinanze 7 giugno 1974 (G. 'U. 17 dicembre 1975, n. 332) e 25 marzo 1975 (G. U. 3 dicembre 1975, n. 320). legge 21 luglio 1956, n. 904, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Salerno, ordinanza 10 giugno 1975, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. legg�e 15 iebbraio 1958, n. 46, art. 7, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale, ordinanza 5 dicembre 1973, G. U. 17 dLcembre 1975, n. 332. legge 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 8 (artt. 3, 4 e 35, primo comma, della Costituzione). Rretore di Torino, ordinanza 24 giugno 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. d.P.R. 22 novembre 1961, n. 1192, art+. 2, primo comma, e 3 (artt. 3, 4, 35, primo comma, e 76 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 24 giugno 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. legge 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, decimo ed undicesimo comma (artt. 3, 24, 42 e 43 della Costituzione). Pretore di Empoli, ordinanza 22 luglio 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. t.u. 30 giugno 196�5, n. 1124, art. 4, primo comma, n. 1 (artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Aosta, ordinanza 23 giugno 1975, G. U. 3 dicembre 1975, n. 320. +.u. 30 giugno 1965, n. 1124, n. 38, tabella allegato 4 (artt. 3, 38, primo e secondo comma, e 35, primo comma, della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 25 settembre 1975, G. U. 3 dicembre 1975, n. 320. d.I. 2�7 giugno 1967, n. 460, art. 3, primo comma (artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Brescia, ordinanza 21 maggio 1975, G. U. 3 dicembre 1975, n. 320. PARTE II, LEGISLAZIONE d.I. 20 febbraio 1968, n. 59, artt. 9 e 10 (artt. 10, primo comma, e 11 della Costituziom~). Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 26 giugno 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. legge 18 marzo 1968, n. 249, art. 16 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, ordinanza 26 febbraio 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. legge 24 dicembre 1969, n. 990, artt. 1, terzo comma, e 4, lettera c (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 3 ottobre 1975, G. U. 24 dicembre 1975, n. 339. cl.I. 3 febbraio 1970, n. 7, art. 20. (artt. 102, 113 e 24 della Costituzione). Pretore di Patilia Policastro, ordinanza 17 dicembre 1973, G. U. 17 dicembre 1975, n. 332. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 6 (artt. 2, 3, 13 e 41, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 26 maggio 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 35, terzo comma (artt. 76, 39, secondo comma, 39, primo comma, 18, primo comma, 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 27 febbraio 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. d.I. 19 giugno 1970, n. 370, art. 8 (art. 3 della Costituzione). Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 24 maggio 1974, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 (artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione). Corte di appello di Bologna, ordinanze 2 maggio 1975 (G. U. 26 novembre 1975, n. 313), 6 giugno 1975 e 2 luglio 1975 (G. U. 5 novembre 1975, n. 293). d.P.R. 30 CJiugno 1972, n. 748, art. 1 (artt. 3, 36, 76 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, ordinanza 26 febbraio 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 26 ottobre 1972. n. 633, art. 58, quarto c�omma (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Cremona, ordinanza 14 giugno 1975, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (artt. 24, 102, 108, secondo comma, e VI disp. trans. della Costituzione). Corte di cassazione, �sezioni unite civili, ordinanza 19 giugno 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 53, primo comma, della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Macerata, ordinanza 4 giugno 1975, G. U. 17 dicembre 1975, n. 332. d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, art. 17 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Carrara, ordinanza 4 giugno 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1, 183 e 195 (artt. 3 e 10 della Costituzione). Pretore di Ragusa, ordinanza 10 luglio 1973, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. d.I. 24 luglio 1973 n. 427, artt. 1, 2 e 1 O (art. 41 della Costituzione). Pretore di Canicatt�, ordinanza 16 ottobre 1974, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art 4 (artt. 3, 53, 76 e 77 della Costituzione). Pretore di Foggia, ordinanza 30 luglio 1975, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 4, primo comma, lettera a (artt. 53, 29 e 27 della Costituzione). Pretore di Carrara, ordinanza 12 giugno 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 1 (artt. 3, 53, 76 e 77 della Costituzione). Pretore di Foggia, ordinanza 30 luglio 1975, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. PA~TE II, LEGISLAZIONE d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. (artt. 53, 29 e 27 della Costituzione). Pretore di Carrara, ordinanza 12 giugno 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, primo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, terza sezione pensioni civili, ordinanza 15 novembre 1974, G. U. 17 dicembre 1975, n. 332. legge 14 febbraio 1974, n. 62, art. 2, quindicesimo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Larino, ordinanza 24 settembre 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. d.I. 20 aprile 1974, n. 104 (artt. 111, secondo comma, 102, primo comma e 24, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Ferrara, ordinanza 30 settembre 1975, G. U. 3 dicembre 1975, n. 320. d.I. 2 maggio 1974, n. 115, art. 7 (artt. 3 e 113, secondo comma, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 28 gennaio 1975, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. legge reg. Toscana 4 luglio 1974, n. 3�5, artt. 19, 21 e 55 (artt. 3 e 117 della Costituzione). Pretore di Pontremoli, ordinanze 21 febbraio 1975 (G. U. 19 novembre 1975, n. 306) e 24 g�ugno 1975 (G. U. 26 novembre 1975, n. 313). legge reg. Toscana 4 lugUo 1974, n. 35, art. 55 (artt. 25, secondo comma, e 117 della Costituzione). � Tribunale di Pisa, ordinanze 30 giugno 1975 e 14 luglio 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. d.I. 8 luglio 1974, n. 261, art. 6, secondo e terzo comma (artt. 4 e 13 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 21 maggio 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. legge 12 agosto 1974, n. 351, art. 1, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 18 giugno 1975, G. U. 5 novembre 1975, n. 293. I 152 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1 l legge provinciale di Trento 7 ottobre 1974, n. 27, art. 2, primo c:omma ' ' (artt. 5 e 9, n. 3, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Pretore di Rovereto, ordinanza 15 settembre 1975, G. U. 26 novembre 1975, n. 313. I legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 1 (art. 25 della Costituzione). .i Tribunale di Milano, ordinanza 12 marzo 1975, G. U. 3 dicembre 1975, n. 320. Tribunale di Tolmezzo, ordinanza 20 giugno 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. Corte di appello di Trento, ordinanza 2 luglio 1975, G. U. 17 dicembre 1975, n. 332. d.I. 1 O gennaio 1975, n. 2, artt. 1, 2 e 3 (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 12 marzo 1975, G. U. 3 dicembre 1975, n. 320. Tribunale di Tolmezzo, ordinanza 20 giugno 1975, G. U. 19 novembre 1975, n. 306. legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 1, 2, 3 e 45 (artt. 3, 21, 41 e 43 della Costituzione). Pretore di Livorno, ordinanza 16 agosto 1975, G. U. 24 dicembre 1975, n. 339. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 36, primo c�omma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Parma, ordinanza 1� ottobre 1975, G. U. 24 dicembre 1975, n. 339. legge 22 maggio 1975, n. 152, artt. 27, 28 e 29 (artt. 3, 25, 107 cpv., secondo comma, e 112 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 13 ottobre 1975, G. U. 17 dicembre 1975, n. 332. CONSULTAZIONI COMPETENZA E GIURISDIZIONE Giurisdizione civHe -Straniero -Ingre$SO nel territorio nazionale. Se lo straniero, in possesso dei documenti richiesti dall'ordinamento italiano per l'ingresso in Italia, abbia -per tale ordinamento -un diritto soggettivo perfetto ad entrare nel territorio nazionale (n. 31). CONTABILIT� DELLO STATO Amministrazione dello Stato -Danni prodotti ad altra Amm.ne o ad Azienda autonoma -Imputazione spesa. Se la spesa occorsa per la rimessa in e:fficenza di una strada statale danneggiata da un automezzo di propriet� di una Amministrazione dello Stato debba restare a carico dell'ANAS ovvero debba essere imputata al bilancio dell'Amministrazione proprietaria dell'automezzo (n. 301). FALSO Falso -Impiegato dello Stato -Falsit� ideologica in tabella di missione ( Cod. pen. artt. 479 e 480). Se integri gli estremi del delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsit� commessa dall'impiegato dello Stato nella compilazione della tabella per l'indennit� di missione (n. 4). IMPIEGO PUBBLICO Falso -Impiegato dello Stato -Falsit� ideologica in tabella di missione ( Cod. pen. artt. 479 e 480). ' Se integri gli estremi del delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsit� commessa dall'impiegato dello Stato nella compilazione della tabella per l'indennit� di missione (n. 780). IMPOSTA SUL PATRIMONIO Imposta straordinaria sul patrimonio -Privilegio -Estinzione -(t.u. 9 maggio� 1950 n. 203, art. 65; cod. civ. art. 2880). Se il privilegio speciale immobiliare previsto dalla legge a garanzia del credito dell'imposta straordinaria sul patrimonio si estingua per l'inutile decorso di venti anni dalla data (27 marzo 1947) di riferimento dell'imposta e se detto privilegio si estingua, qualora gli immobili siano stati acquistati da terzi, decorsi venti anni dalla data di trascrzione del titolo d'acquisto (n. 15). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IMPOSTE DIRETTE Reati finanziari -Omessa denuncia dei redditi -Prescrizione -Durata (t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, artt. 17 e 243; l. 7 gennaio 1929, n. 4, artt. 16, 60; cod. pen. art. 157). Reati finanziari -Omessa denuncia dei redditi ~ Prescrizione -Decorrenza -(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 17, 243; l. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 21; cod. pen. art. 158). Se il reato di omessa denuncia dei redditi si prescrive nei termini fissati dall'art. 157 cod. pen. (18 messi o tre anni, a seconda che il reato sia punibile con la sola pena dell'ammenda ovvero anche con la pena dell'arresto) o nel termine unico di tre anni di cui all'art. 16 legge 7 gennaio 1929, n. 4 (19). Se il corso della prescrizione del reato di omessa denuncia dei redditi cominci dal giorno della scadenza del termine entro cui si sarebbe dovuta effettuare la denuncia ovvero dal giorno in cui l'accertamento tributario sia divenuto definitivo (n. '19). PRESCRIZIONE N. 87 Reati finanziari -Omessa denuncia dei redditi -Prescrizione -Durata (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 17 e 243; l. 7 gennaio 1929, n. 4, Art. 16, 60; cod. pen. art. 157). Reati finanziari -Omessa denuncia dei redditi -Prescrizione -Decorrenza -(T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 17, 243; L. 7 gennaio 1929, n. 4 -art. 21; cod. pen. art. 158). Se il reato di omessa denuncia dei redditi si prescrive nei termini fissati daU'art. 157 cod. pen. (18 mesi o tre anni, a seconda che il rea1;o sia punibile con la sola pena dell'ammenda ovvero anche con la pena dell'arresto) o nel termine unico di tre anni di cui all'art. 16 legge 7 gennaio 1929, n. 4 (n. 87). Se il corso della prescrizione del reato di omessa denuncia dei redditi cominci dal.giorno della scadenza del termine entro cui si sarebbe dovuta effettuare la denuncia ovvero dal giorno in cui l'accertamento tributario sia divenuto definitivo (n. 87). PUBBLICO UFFICIALE Falso -Impiegato dello Stato -Falsit� ideologica in tabella di missione ( Cod. pen. artt. 479 e 480). Se integri gli estremi del delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsit� commessa dall'impiegato dello Stato nella compilazione della tabella per l'indennit� di missione (n. 8). PA!lTE II, CONSUt,.Tj\ZIONI Zii/i Reati finanziari -Omessa denuncia dei redditi -Prescrizione -Durata (T.U. 29 gennaio 1958 n. 645, artt. 17 e 243; L. 7 gennaio 1929, n. 4, Art. 16, 60; cod. pen. art. 157). Reati finanziari -Omessa denuncia dei redditi -Prescrizione -Decorrenza -(T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 17, 243; L. 7 gennaio 1929, n. 4 -art. 21; cod. pen. art. 158). Se il reato di omessa denuncia dei redditi si prescriva nei termini fissati dall'art. 157 cod. pen. (18 mesi o tre anni, a seconda che il reato sia punibile con la sola pena dell'ammenda ovvero anche con la pena dell'arresto) o nel termine unico di tre anni di cui all'art. 16 legge 7 gennaio 1929, n. 4 (n. 14). Se il corso della prescrizione del reato di omessa denuncia dei redditi cominci dal giorno della scadenza del termine entro cui si sarebbe dovuta effettuare la denuncia ovvero dal giorno in cui l'accertamento tributario sia divenuto definitivo (n. 14). REGIONI Atti amministrativi gi� di competenza statale -Pubblicazione nella G.U. della Repubblica. Se gli atti amministrativi gi� di competenza statale, per i quali fosse prevista la pubblicazione per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, debbano essere ancora pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, anche dopo il trasfer.hnento della competenza in materia alle Regioni a statuto ordinario (n. 217). Atti amministrativi gi� di competenza statale -Pubblicazione del B.U. della Regione. Se per gli atti amministrativi gi� di competenza statale, ora trasferita alle Regioni a statuto ordinario, debba effettuarsi la pubblicazione per estratto anche nel Bollettino Ufficiale della Regione, allorch� lo Statuto regionale ovvero leggi ordinarie regionali prevedano tale forma di pubblicazione degli atti. amministrativi regionali (n. 217). Atti amministrativi gi� di competenza statale -Pubblicazione tanto nella G.U. della Repubblica quanto nel B.U. della Regione -Impugnativa Decorrenza del termine -(D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, artt. 2 e 5 R.D. 17 agosto 1907, n. 642, artt. 1 e 2). Se per gli atti amministrativi da pubblicarsi obbligatoriamente tanto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica che nel Bollettino Ufficiale della Reg'.one, il termine per la impugnativa decorra, per i soggetti non contemplati direttamente dall'atto, dalla data della pubblicazione, sia essa quella della Gazzetta Ufficiale o\l'vero quella del Bollettino Ufficiale (n. 217). RESPONSABILIT� CIVILE Giurisdizione civile -Straniero -Ingresso nel territorio nazionale. Se lo straniero, in possesso dei documenti richiesti dall'ordinamento italiano per l'ingresso in Italia, abbia -per tale ordinamento -un diritto soggettivo perfetto ad entrare nel territorio nazionale (n. 273). 156 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO RICORSl AMMINlSTRATIVI Atti amministrativi gi� di competenza statale -Pubblicazione nella G.U. della Repubblica..� Se gli atti amministrativi gi� di competenza statale, per i quali fosse prevista la pubblicazione per estratto nella Gazzetta Ufficiaie della Repubblica, debbano essere ancora pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, anche dopo il trasferimento della competenza in materia alle Regioni a statuto ordinario (n. 23). Atti amministrativi gi� di competenza statale -Pubblicazione nel B.U. della Regione. Se per gli atti amministrativi gi� di competenza statale, era trasferita alle Regioni a statuto ordinario, debba effettuarsi la pubblicazione per estratto anche nel Bollettino Ufficiale della Regione, allorch� lo Statuto regionale ovvero leggi ordinarie regionali prevedano tale forma di pubblicazione degli atti amministrativi regionali (n. 23). Atti amministrativi gi� di competenza statale -Pubblicazione tanto nella G.U. della Repubblica quanto nel B.U. della Regione -Impugnativa Decorrenza del t�rmine -(D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, artt. 2 e 5 R.D. 17 agosto 1907, n. 642, artt'. 1 e 2). Se per gli atti amministrativi da pubblicarsi obbligatoriamente tanto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica che nel Bollettino Ufficiale della Regione, il termine per la impugnativa decorra, per i soggetti non contemplati direttamente dall'atto, dalla data della pubblicazione, sia essa quella della Gazzetta Ufficiale ovvero quella del Bollettino Ufficiale (n. 23) .